AVOGADRO: LA CHIMICA E LA SCIENZA
DEL SUO TEMPO
Bolis Chiara, Pora Stela, Ricci Eleonora, Sabatini Laura
Classe IV D, Liceo Scientifico N. Rodolico
Firenze
L'Alchimia è un'antica pratica proto-scientifica che combina
elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia,
medicina, misticismo e religione.
Vi sono tre grandi obiettivi che si propongono gli alchimisti. Il più
importante traguardo dell'alchimia è la trasmutazione dei metalli
in oro o argento. Essi tentarono di creare la panacea universale, un
rimedio che dovrebbe curare tutte le malattie e prolungare
indefinitamente la vita. La pietra filosofale era la chiave per questi
obiettivi. Questa mitica sostanza, che potrebbe essere una polvere,
un liquido o una pietra, avrebbe avuto il potere di rendere possibili
entrambe.
Il terzo obiettivo consisteva nel creare la vita. L'alchimia può essere
considerata come il precursore della scienza moderna della chimica
prima della formulazione del metodo scientifico. L'alchimia, oltre
ad essere una disciplina fisica e chimica, implicava un'esperienza
di crescita ed un processo di liberazione e di salvezza dell'artefice
dell'esperimento.
In quest'ottica la scienza alchemica veniva
metafisicizzata e sacralizzata, assumendo
connotati mistici e soteriologici. Cosicchè i
processi e simboli alchemici posseggono
sovente un significato interiore relativo allo
sviluppo spirituale in connessione con quello
prettamente materiale della trasformazione
fisica. Per comprendere gli alchimisti, bisogna
considerare come la conversione di una
sostanza in un'altra, sarebbe dovuta sembrare
magica in una cultura senza alcuna
conoscenza formale di fisica o chimica. Per gli
alchimisti non vi era ragione alcuna di
separare la dimensione materiale da quella
simbolica o filosofica.
In quei tempi una fisica priva di una componente metafisica
sarebbe stata parziale ed incompleta al pari di una metafisica
sprovvista di manifestazione fisica. La trasmutazione dei metalli di
base in oro simbolizza un tentativo di arrivare alla perfezione e
superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano
che l'intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione,
e l'oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era
considerato la più perfetta delle sostanze. La scienza dell'alchimia
ebbe inoltre una notevole evoluzione nel tempo, iniziando quasi
come un'appendice metallurgico-medicinale della religione,
maturando in un ricco coacervo di studi, trasformandosi nel
misticismo ed alla fine fornendo alcune delle fondamentali
conoscenze empiriche nel campo della chimica e della medicina
moderne.
Fino al XVIII secolo, l'alchimia era considerata una scienza seria
in Europa; per esempio, Isaac Newton impiegò molto più tempo
allo studio dell'alchimia piuttosto che a quello dedicato all'ottica o
alla fisica, per le quali è famoso.
Il declino dell'alchimia iniziò nel XVIII secolo con la nascita della
chimica moderna, che fornì una più precisa e reale struttura per le
trasmutazioni della materia, e la medicina, con un nuovo grande
disegno dell'universo basato sul materialismo razionale. La storia
dell'alchimia è diventata un prolifico campo per speculazioni
accademiche. Via via che l'ermetico linguaggio degli alchimisti
andava gradatamente decifrato, gli storici hanno cominciato a
trovare connessioni intellettuali tra quella disciplina ed altre
componenti della storia culturale occidentale, come le società
mistiche, del tipo di quella dei Rosacroce, la stregoneria e
naturalmente l'evoluzione della scienza e della filosofia.
Alchimia nell'antico Egitto
Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l'origine della
loro arte all'antico Egitto. La città di Alessandria in Egitto fu un
centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza
fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non
esistono documenti originali egizi sull'alchimia.
Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti
nell'incendio della Biblioteca di Alessandria, nel 391. La leggenda
vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana fu il dio Thot,
chiamato Hermes-Thoth o Hermes il tre volte grande (Ermes
Trismegisto) dai Greci. Secondo la leggenda il dio avrebbe scritto i
quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i
campi dello scibile, fra cui anche l'alchimia. Il simbolo di Ermes
era il caduceo, che divenne uno dei principali simboli alchemici. La
Tavola di Smeraldo di Hermes Trismegistus, che è nota solamente
attraverso traduzioni greche ed arabe, è generalmente considerata
la base per la pratica e la filosofia alchemica occidentale.
Alchimia grecoalessandrina
Le dottrine alchimistiche della scuola
greca passarono attraverso tre fasi
evolutive: l'alchimia come tecnica, cioè
l'arte prechimica degli artigiani egizi,
l'alchimia come filosofia ed infine quella
religiosa. I Greci si appropriarono delle
dottrine ermetiche degli Egiziani,
mescolandole, nell'ambiente
sincretistico della cultura alessandrina,
con le filosofie del Pitagorismo e della
scuola ionica e successivamente dello
Gnosticismo.
La filosofia pitagorica consiste essenzialmente nella credenza
che i numeri governino l'universo e che siano l'essenza di tutte
le cose, dal suono alle forme. Il pensiero della scuola ionica era
basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti
i fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali
furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone
ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte
integrante dell'alchimia. Si delinea, come base della nuova
scienza, la nozione di una materia prima che forma l'universo,
e che può essere spiegata solamente attraverso attente
esplorazioni filosofiche.
Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo da
Empedocle, è che tutte le cose nell'universo erano formate
solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A
questi elementi Aristotele aggiunge l'etere, la materia di cui
sono formati i cieli e che viene denominata quintessenza. La
terza fase si differenzia dalla precedente di speculazione
filosofica per le caratteristiche di una religione esoterica, per
l'abbondanza di rituali misterici e per il linguaggio. Nei primi
secoli dell'età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò una
letteratura di carattere filosofico-soteriologico-religiosa. Il
supporto dottrinale di questa letteratura è una forma di
metafisica che si rifà al Neoplatonismo ed al Neopitagorismo.
Alchimia nell'Europa medievale
L'Occidente riprende contatto con la tradizione alchimistica greca
attraverso gli Arabi. L'incontro tra la cultura alchimistica araba ed il
mondo latino avviene per la prima volta in Spagna, probabilmente ad
opera di Gerberto di Aurillac, che più tardi divenne Papa Silvestro
II. Il materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante
tutto il XIII secolo.
A Tommaso d'Aquino vengono
attribuiti alcuni opuscoli alchemici,
nei quali è dichiarata la possibilità
della produzione dell'oro e
dell'argento. Il primo vero alchimista
dell'Europa medievale deve essere
considerato Roger Bacon un
Francescano che esplorò i campi
dell'ottica e della linguistica oltre agli
studi alchemici. Le sue opere, oltre ai
numerosi pseudo-epigrafi a lui
attribuiti, furono utilizzate dagli
alchimisti dal XV al XIX secolo.
Alla fine del XIII secolo l'alchimia si sviluppò in un sistema
strutturato di credenze, grazie anche all'opera di Arnaldo da
Villanova, con il suo Rosarium Philosophorum, e soprattutto con
Raimondo Lullo, che divenne presto una leggenda per la sua presunta
abilità alchemica. Nel XIV secolo l'alchimia ebbe una flessione a
causa dell'editto di Papa Giovanni XXII, che vietava la pratica
alchemica, fatto che scoraggiò gli alchimisti appartenenti alla Chiesa
dal continuare gli esperimenti. L'alchimia fu comunque tenuta viva
da uomini come Nicholas Flamel, il quale è degno di nota solamente
perché fu uno dei pochi alchimisti a scrivere in questi tempi
travagliati. Nell'alto medioevo gli alchimisti si concentrarono nella
ricerca dell'elisir della giovinezza e della pietra filosofale, credendo
che fossero entità separate. In quel periodo molti di loro
interpretavano la purificazione dell'anima in connessione con la
trasmutazione del piombo in oro.
Alchimia nel
Rinascimento e nell'età
moderna
In questo periodo magia e medicina,
alchimia e scienze naturali e
addirittura astrologia e astronomia
operano in una sorta di simbiosi,
legate le une alle altre in modo spesso
inestricabile. Agli inizi del XVI
secolo uno dei maggiori interpreti di
questo coacervo di discipline
scientifiche fu il medico, astrologo,
filosofo e alchimista Heinrich
Cornelius Agrippa von Nettesheim.
La sua influenza fu di modesta entità, ma come Flamel, produsse
opere alle quali fecero riferimento tutti gli alchimisti posteriori.
Fece molto per cambiare l'alchimia da una filosofia mistica ad
una magia occultista. Inoltre mantenne vive le filosofie degli
antichi alchimisti, che includevano scienza sperimentale,
numerologia, ecc., aggiungendovi la teoria magica, che
rinforzava l'idea di alchimia come credenza occultista. Il nome
più importante di questo periodo è, senza dubbio, Paracelso, il
quale diede una nuova forma all'alchimia, spazzando via un
certo occultismo che si era accumulato negli anni e promuovendo
l'utilizzo di osservazioni empiriche ed esperimenti tesi a
comprendere il corpo umano.
La iatrochimica di Paracelso era basata sulla teoria che il corpo
umano fosse un sistema chimico nel quale giocano un ruolo
fondamentale i due tradizionali principi degli alchimisti, e cioè lo
zolfo ed il mercurio, ai quali lo scienziato ne aggiunse un terzo: il
sale. Paracelso era convinto che l'origine delle malattie fosse da
ricercare nello squilibrio di questi principi chimici e non dalla
disarmonia degli umori, come pensavano i galenici. Quindi,
secondo lui, la salute poteva essere ristabilita utilizzando rimedi
di natura minerale e non di natura organica. Anche molte
personalità politiche del periodo si interessarono all'alchimia. Tra
questi: Caterina Sforza e suo nipote Cosimo I de' Medici.
Il declino dell'alchimia
occidentale
Il declino dell'alchimia in Occidente
fu causato dalla nascita della scienza
moderna con i suoi richiami a rigorose
sperimentazioni scientifiche. Nel
XVII secolo Robert Boyle (foto a
destra) diede l'avvio al metodo
scientifico nelle investigazioni
chimiche, alla base di un nuovo
approccio alla comprensione della
trasformazione della materia, che di
fatto rivelò la futilità delle ricerche
alchemiche della pietra filosofale.
Anche gli enormi passi avanti compiuti dalla medicina nel periodo
seguente la iatrochimica di Paracelso, supportati dagli sviluppi
paralleli della chimica organica, diedero un duro colpo alle
speranze dell'alchimia di reperire elisir miracolosi, mostrando
l'inefficacia se non la tossicità dei suoi rimedi. Nel 1772 un
nobiluomo francese, Antoine Lavoisier cominciò a dedicarsi a
esperimenti sulla combustione. Pesando gli oggetti prima e dopo
la combustione egli constatò che, bruciando, acquistavano peso.
Egli osservò, inoltre, che facendo avvenire la combustione dentro
un recipiente chiuso non aveva luogo alcun cambiamento di peso.
Anche se le sostanze contenute nel recipiente mutavano di forma,
il loro peso complessivo rimaneva, al termine della combustione,
identico a quello misurato in precedenza.
Non vi erano prove che venisse ceduto
il flogisto, anzi gli esperimenti
stavano a indicare che una sostanza,
bruciando, acquista qualche cosa
dall'aria. Il peso acquistato dal
campione che bruciava era identico a
quello perduto dall'aria; pertanto,
effettuando la combustione in
recipiente chiuso, non si registrava
mutamento risultante di peso.
Basandosi su queste e su altre
osservazioni Lavoisier formulò
l'ipotesi che il ruolo dell'aria nel corso
della combustione non consistesse
nell'asportare il flogisto, bensì nel
fornire ossigeno.
Se un oggetto brucia viene allontanato ossigeno dall'aria, ed esso
viene incorporato nell'oggetto che brucia. In verità non vi è
motivo di ritenere che il flogisto esista. L'essersi basato su
esperimenti attentamente controllati, servendosi di determinazioni
quantitative, ha meritato a Lavoisier la fama di padre della chimica
moderna. Ridotta ad un arcano sistema filosofico, scarsamente
connesso al mondo materiale, l'Ars magna subì il fato comune di
altre discipline esoteriche quali l'astrologia e la cabala; esclusa
dagli studi universitari e ostracizzata dagli scienziati, si cominciò
a guardare ad essa come l'epitome della superstizione. Dopo aver
goduto per più di duemila anni di un così grande prestigio
intellettuale e materiale, l'alchimia uscì in tal modo dall'universo
del pensiero occidentale, salvo ricomparire nelle opere di studiosi a
cavallo tra scienza, filosofia ed esoterismo, quali lo psicanalista
Carl Gustav Jung e il pensatore Julius Evola.
Amedeo Avogadro
Nato in un'antica famiglia nobile
piemontese, Amedeo Avogadro fu un
brillante studente, si laureò molto
giovane (20 anni) in diritto ecclesiastico
e iniziò a praticare. Comunque, poco
dopo si dedicò allo studio della fisica e
della matematica, le sue scienze
preferite, e nel 1809 cominciò a
insegnarle al liceo di Vercelli (dove la
sua famiglia aveva dei possedimenti).
Durante la sua permanenza a Vercelli scrisse una memoria nella quale
dichiarava un'ipotesi che viene oggi chiamata Legge di Avogadro:
Spedì questa memoria al «Journal de Physique, de Chemie et d'Histoire
naturelle di De Lamétherie» e venne pubblicata nell'edizione del 14
luglio 1811 con il titolo Essai d'une manière de déterminer les masses
relatives des molecules élémentaires des corps, et les proportions selon
lesquelles elles entrent dans ces combinaisons.
La Legge di Avogadro
implica che le relazioni tra i
pesi di volumi identici di gas
differenti (a temperatura e
pressione uguale),
corrispondono alle relazioni
tra i rispettivi pesi
molecolari. Quindi, i pesi
molecolari relativi, possono
essere calcolati dal peso dei
gas.
Avogadro sviluppò questa ipotesi dopo che Joseph Louis GayLussac pubblicò la sua legge sui volumi (e i gas combinati) nel
1808. La principale difficoltà che Avogadro dovette risolvere
fu la grande confusione che regnava al tempo su atomi e
molecole – uno dei più importanti contributi del lavoro di
Avogadro fu quello di distinguere gli uni dalle altre,
ammettendo che anche particelle semplici potevano essere
composte da molecole, e che queste ultime sono composte da
atomi. John Dalton, ad esempio, non considerava questa
possibilità. Avogadro in realtà non usò la parola "atomo" in
quanto i termini "atomo" e "molecola" erano usati in maniera
quasi indistinta.
Egli considerava l'esistenza di tre tipi di "molecole", comprese le
"molecole elementari" (i nostri "atomi"). Oltre a ciò, diede una
particolare attenzione alla definizione di massa, come distinta dal
peso. Nel 1814 pubblicò Mémoire sur les masses relatives des
molécules des corps simples, ou densités présumées de leur gaz, et
sur la constitution de quelques-uns de leur composés, pour servir de
suite à l'Essai sur le même sujet, publié dans le Journal de Physique,
juillet 1811, sulla densità dei gas.
Nel 1820 divenne professore
all'Università di Torino; nel 1821
pubblicò un'altra memoria, Nouvelles
considérations sur la théorie des
proportions déterminées dans les
combinaisons, et sur la détermination
des masses des molécules des corps e
poco dopo Mémoire sur la manière de
ramener les composès organiques aux
lois ordinaires des proportions
déterminées.
Con sospetto entusiasmo, prese parte ai movimenti
politici rivoluzionari del 1821 (contro il re di Sardegna),
cosicché due anni dopo venne rimosso dalla sua posizione
(o, come venne dichiarato ufficialmente, l'università era
lieta di permettere a questo interessante scienziato, di
prendere una pausa di riposo dai pesanti doveri
dell'insegnamento, in modo da essere in grado di dare
una migliore attenzione alle sue ricerche).
Comunque, con il tempo il suo
isolamento politico venne gradualmente
ridotto, in quanto le idee rivoluzionarie
ricevevano una crescente attenzione da
parte di casa Savoia, fino a quando nel
1848 Carlo Alberto emise una
costituzione moderna (lo Statuto
Albertino). Ben prima di ciò (1833), a
seguito della crescente attenzione per i
suoi lavori, Avogadro venne richiamato
all'Università di Torino, dove insegnò
per altri venti anni. Nel 1841 completò e
pubblicò il suo lavoro in 4 volumi: Fisica
dei corpi ponderabili, ossia Trattato della
costituzione materiale de' corpi.
Molto poco si sa della sua vita privata e della sua attività politica;
nonostante il suo aspetto sgradevole (almeno a giudicare dalle
rare immagini trovate), era conosciuto come un discreto tombeur
de femmes anche se uomo religioso e devoto a una vita sobria.
Ebbe sei figli. Molti studi storici confermano che patrocinò e aiutò
alcuni cospiratori sardi che stavano organizzando una rivoluzione
sull'isola, bloccata all'ultimo momento dalla concessione dello
statuto da parte di Carlo Alberto. Alcuni dubbi comunque
permangono, considerando l'esiguità delle prove. Avogadro
occupò incarichi pubblici in statistica, meteorologia, e pesi e
misure (introdusse il sistema metrico decimale in Piemonte) e fu
un membro del Reale Concilio Superiore sulla Pubblica
Istruzione. La comunità scientifica non riservò grande attenzione
alle sue teorie, quindi l'ipotesi di Avogadro non fu accettata
immediatamente quando fu annunciata.
André-Marie Ampère fu in grado, tre anni
dopo, di ottenere lo stesso risultato, con un altro
metodo (nel suo Sur la détermination des
proportions dans lesquelles les corps se
combinent d'après le nombre et la disposition
respective des molécules dont leurs particules
intégrantes sont composées), ma lo stesso
sguardo indifferente fu dato anche alle sue
teorie. Solamente con gli studi di Gerhardt,
Laurent e Williamson sulla chimica organica, fu
possibile dimostrare che la Legge di Avogadro
era indispensabile a spiegare perché la stessa
quantità di molecole, portate allo stato di
vapore, avessero lo stesso volume.
La diatriba venne finalmente conclusa da Stanislao Cannizzaro,
come venne annunciato al Congresso di Karlsruhe (1860, quattro
anni dopo la morte di Avogadro), dove egli spiegò che queste
eccezioni avvenivano a causa della dissociazione molecolare che
occorreva a determinate temperature, e che la Legge di Avogadro
poteva determinare non solo le masse molari, ma come conseguenza,
anche le masse atomiche. Clausius, con la sua teoria cinetica dei gas
fu in grado di dare un'altra conferma della Legge di Avogadro. Non
molto dopo, nelle sue ricerche riguardanti le soluzioni diluite (e la
conseguente scoperta delle analogie nel comportamento di soluzioni
e gas), J. H. van 't Hoff aggiunse il suo consenso finale al trionfo
dello scienziato italiano, che da allora è considerato il fondatore della
teoria atomico-molecolare. In onore dei contributi di Avogadro alla
teoria delle moli e dei pesi molecolari, il numero di molecole in una
mole è stato ribattezzato Numero di Avogadro.
La legge di Avogadro afferma che:
volumi eguali di gas diversi a parità di pressione e
temperatura
contengono lo stesso numero di molecole.
Attraverso questa legge si introduce il numero di Avogadro
(NA = 6,0221415 x 1023) e il concetto di mole. Il numero di
Avogadro è il numero di atomi di carbonio-12 presenti in 12
grammi di questa sostanza. La mole è la quantità di materia
contenente un numero di oggetti uguale al NA. "
Numero di Avogadro, chiamato così in onore di Amedeo Avogadro
e denotato dal simbolo NA o N, è il numero di elementi contenuti in
una mole. Viene formalmente definito come il numero di atomi di
carbonio-12 presenti in 0,012 kg di tale sostanza.
Significato fisico del Numero di Avogadro
Anche se definito in termini di carbonio-12, il Numero di Avogadro
si applica a qualsiasi materiale. Corrisponde al numero di atomi o
molecole necessario a formare una massa pari al peso atomico del
materiale (in grammi). Il Numero di Avogadro compare anche in
altre relazioni fisiche, come fattore di scala tra costanti
microscopiche e macroscopiche:
la costante universale dei gas R e la costante di Boltzmann kB:
R = kBNA
la costante di Faraday F e la carica elementare qe:
F = qeNa
Valore numerico
Al momento non è tecnologicamente possibile contare il numero
esatto di atomi in 0,012 kg di carbonio-12, quindi il valore preciso
del Numero di Avogadro è sconosciuto. Il valore raccomandato dal
CODATA del 2002 per il Numero di Avogadro è
dove il numero tra parentesi rappresenta la deviazione standard
dell'ultima cifra del valore. A scopo di semplificazione, il Numero di
Avogadro viene a volte arrotondato a:
che è sufficientemente accurato per la maggior parte delle
applicazioni.
Connessione tra massa dei protoni e dei neutroni
Un atomo di carbonio-12 consiste di 6 protoni e 6 neutroni (che
hanno approssimativamente la stessa massa) e da 6 elettroni (la cui
massa è trascurabile al confronto). Si potrebbe quindi pensare che
un NA di protoni o neutroni abbia massa 1 grammo. Anche se
questo è approssimativamente corretto, la massa di un protone libero
è di 1,00727 uma, quindi una mole di protoni ha una massa di
1,00727 g. Similarmente, una mole di neutroni ha massa pari a
1,00866 g. Chiaramente, 6 moli di protoni combinate con 6 moli di
neutroni dovrebbero avere massa superiore a 12 g. Ci si potrebbe
chiedere quindi come è possibile che una mole di atomi di carbonio12, che deve consistere di 6 moli di neutroni, 6 di protoni e 6 di
elettroni, possa avere una massa di appena 12 g.
Cosa ne è della massa in eccesso?
La risposta è legata all'equivalenza massa-energia, derivata dalla
teoria della relatività ristretta. Nella struttura del nucleo, i protoni e
i neutroni sono tenuti assieme dalla forza nucleare forte. I legami
corrispondono a stati di energia potenziale minore rispetto ai
protoni e neutroni liberi e isolati. In altre parole durante la
formazione del nucleo atomico viene liberata una grande quantità di
energia e, poiché la massa è equivalente all'energia, si ha una
"perdita di massa" del nucleo rispetto alla semplice somma delle
masse dei protoni e dei neutroni liberi. La differenza tra massa del
nucleo e la somma delle masse dei suoi componenti non è costante e
dipende dalla forza dei legami.
È massima per gli elementi più stabili (in particolare l'elio-4) ed
è minore per gli elementi meno stabili, cioè con legami nucleari
più deboli (come gli elementi radioattivi). Per il carbonio-12 la
differenza è all'incirca dello 0,7% e rende conto, per definizione,
della massa "mancante" in una mole dell'elemento. Si può
quindi dire che NA è il rapporto tra massa in grammi di una
mole di elemento e la sua massa nucleare in uma, tenendo però
conto che è un'approssimazione, anche se molto precisa; perché
la massa di un nucleo atomico non dipende solo dal numero di
protoni e neutroni che lo compongono ma anche dalla sua
struttura.
Misurazione sperimentale del numero di
Avogadro
Esperienza di laboratorio effettuata dalle alunne
Per determinare il numero di Avogadro esistono molti metodi.
Il metodo da noi utilizzato e’ quello con l’acido oleico. L’idea è la
seguente: se lasciamo cadere una goccia di acido sulla superficie
dell’acqua essa si espande in modo simmetrico formando un
cerchio.
L’espansione avviene poiché inizialmente le molecole di acido
sono accatastate l’una sull’altra nella goccia. A contatto con
l’acqua si forma un cilindro di acido che diminuisce di
altezza man mano che si allarga. Quando non si allarga più
possiamo formulare l’ipotesi che si sia arrivati ad uno strato
monomolecolare di acido; a questo punto l’altezza del
cilindro dà un’ indicazione delle dimensioni della molecola.
Conoscendo il peso atomico dell’acido oleico e la sua densità,
è possibile risalire al numero di Avogadro (almeno come
ordine di grandezza). Per fare la misura seguiamo tre metodi
diversi.
Materiale occorrente
una vaschetta di dimensioni opportune (30 x 40 cm)
due palloncini tarati da 100 cm3
2 pipette oppure un cilindro
2 contagocce
1 righello
1 microsiringa
Reagenti
acido oleico
polvere di talco
acetone
Procedimento
La prima operazione consiste nel preparare una soluzione di acido
oleico che sia in grado di formare una macchia di circa 12-15 cm di
diametro. Si prepara adesso la vaschetta con l’acqua; si aspetta che
l’acqua sia perfettamente ferma e si versa la polvere di talco in modo
da ottenere uno strato sottilissimo e uniforme. La polvere di talco
presenta la caratteristica di galleggiare sulla superficie
dell’acqua e quindi consente di visualizzare bene i bordi della
macchia. Usando il contagocce affilatissimo, si preleva un po’ di
soluzione e se ne lascia cadere una goccia al centro della bacinella, in
modo da ottenere una “macchia” dai contorni quanto più regolari
possibili. Si attende fino a quando la “macchia” si stabilizza e quindi
si misura il suo diametro in 2 o 3 punti, facendone poi la media (d). Il
raggio della macchia è pertanto dato da r = d/2
Il volume di una goccia si può conoscere per via indiretta,
contando il numero di gocce necessarie a formare un
volume di 1 cm3 Conviene ripetere più volte la misura del
numero di gocce e farne la media. Il volume di acido oleico
puro è 0,1% del volume della goccia e quindi è dato da:
Vac. oleico = Vgoccia.
Conoscendo il raggio della macchia (r) ed il volume di
acido oleico usato (Vac. oleico ), si risale prima alla superficie
(S = ̟·r·2) e poi all’altezza delle molecole (h = V/S).
Conoscendo la densità dell’acido oleico (d = 0,87 g· cm-3),
si può risalire alla stima della massa della molecola di
acido oleico (m = d·V).
La goccia di acido oleico si spande sulla polvere di talco
formando una macchia quasi circolare, della quale si deve
misurare il diametro.
Calcolo del volume della molecola di acido oleico
Prima di effettuare qualsiasi calcolo, dobbiamo immaginare
per questa molecola di acido oleico
una forma geometrica ben definita. Potremmo, ad esempio,
fare l’ipotesi che essa sia cubica
oppure sferica.
Esempio numerico: ammettiamo che il diametro della macchia sia di
13,5 cm e che il numero di
gocce necessario a formare 1 cm3
sia pari a 65; ne deriva che:
Vgoccia = 1/65 = 0,015 cm3
Smacchia = ̟·r·2 = 143,12 cm2
Rmacchia = 6,75 cm
H = Vac. oleico / Smacchia =1,05·10-7
Dac. oleico = 0,873 g/cm3
l’altezza (h) coincide col lato del cubo e poiché il volume del cubo è
dato da l3 , basta utilizzare l’altezza trovata in precedenza per stimare
la dimensione della molecola (Vcubo). In base ai valori sopra indicati
Vcubo = 0,015 cm3
Calcolo del numero di particelle contenute in una mole di acido oleico
Abbiamo così trovato il volume di una molecola; possiamo adesso
risalire al numero di Avogadro, considerando che il rapporto fra il
volume di una mole di acido oleico ed il volume di una singola
molecola dà il numero di particelle.
Il volume molare (Vmolare) si determina conoscendo la MM (massa
molare) dell’acido oleico e la sua densità: Vmolare = MM / d
La MM dell’acido oleico è 282,4 mentre la densità è pari a 0,87; il
Vmolare risulta pertanto 282/0,87 = 324
Infine si calcola N, eseguendo il rapporto fra Vmolare ed il volume della
singola molecola (Vcubo )
N = Vmolare / Vcubo = 324/(1,16x10-21) = 2,749· 1023
Conclusioni
Il risultato ottenuto, considerando l’elevatissimo valore del
numero di Avogadro N pari a 6,02·1023 , si può ritenere
accettabile; tuttavia ripetendo la prova più volte ed eseguendo
la media dei risultati si può ottenere un valore ancora più
vicino a quello reale. Una considerazione importante sul
numero di Avogadro è che la quantità in grammi
corrispondente alla massa atomica di ogni elemento, contiene
un numero fisso di particelle, pari a
6,023 ·1023
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