Gesù per tutti
Renza Guglielmetti
Nazaret: straordinariamente
ordinario
La storia di Gesù sprigiona una pienezza di umanità difficilmente riscontrabile altrove. Pensiamo alle giornate
di questo giovane ebreo durante quei
trent’anni di vita trascorsi a Nazaret,
sperduta borgata di Galilea. Il silenzio delle narrazioni evangeliche al riguardo dice essenzialmente una cosa:
l’incarnazione del Figlio di Dio si è
realizzata in una condizione di vita
assolutamente ordinaria, fatta di cose
quotidiane all’interno di una normale
vita familiare con Maria e Giuseppe.
Nulla di eccezionale, nulla di eclatante
è avvenuto tra quelle mura domestiche, nulla da far notizia tanto da essere
registrato nei ricordi dei contemporanei come accadrà nei tre anni di vita
pubblica.
Trent’anni vissuti dunque nella normalità, lavorando come “falegname” (Mc
6,3), il mestiere appreso in famiglia
(Mt 13,55), condotto come servizio alla
comunità locale e certamente eseguito
con il gusto delle cose fatte bene.
Quello di Nazaret è un Gesù autenticamente umano, pienamente umano
e che mostra anzitutto come l’umano,
l’ordinario sia appunto il luogo normale della fede, dell’incontro con Dio. Se
così non fosse, perché sprecare tanto
tempo? Invece proprio questo lungo
tempo di silenzio, senza clamori, ci
mostra senza parole ma con i gesti di
una ordinaria ferialità, che in questo
contesto Gesù ha maturato la sua vocazione (Lc 2,49) accogliendo in piena
libertà e in perfetta adesione la volontà
di Dio.
Una vita in pienezza
Spostiamoci ora a considerare i tre
anni di vita pubblica. Nelle scelte che
ha fatto, nel suo insegnamento e nel
suo agire con le persone che incontrava Gesù ha proposto progetti, idee,
valori in cui ogni uomo, credente o no,
può trovare davvero forza e ispirazione
per diventare migliore e umanizzare il
mondo.
Prendiamo i rapporti umani, quei legami naturali senza i quali nessuno può
vivere in modo sereno, interiormente
appagante, la propria esistenza sulla
terra.
Gesù non dà norme speciali ma fonda
ogni tipo di relazione sul duplice ed
inscindibile comandamento dell’amore
di Dio e del prossimo.
Editoriale
Gesù per tutti
pag. 1
DOMANDE & (qualche) RISPOSTA
Dov’è il tuo cuore?
pag. 6
flash dai centri
pag. 8
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Ricordando Lidia
Banchetti d’estate...
Notizie dalla sede
Mostra «Grafie dell’Anima»
l’eco del dio nascosto pag. 14
Bontà dell’uomo, voce di Dio
diciamolo con l’arte
pag. 18
religioni culti magìa
pag. 23
Il sogno biblico di Chagall
Un business milionario
Perché questo amore universale che
arriva fino all’estremo, addirittura all’amore per i nemici? Gesù dà un paio
di motivazioni fondamentali: Dio è padre di tutti (Mt 5,45) e usa misericordia
verso ogni essere umano, senza distinzioni di fede, cultura, etnìa (Lc 6,36).
E se Dio è misericordioso e ha cura di
ogni sua creatura, l’uomo è chiamato
ad imitarlo facendosi a sua volta portatore di compassione e di perdono verso
i suoi simili (Lc 17,4).
Che cosa pensa Gesù della pace e della giustizia? Attingendo alla tradizione
biblica, egli ne assume la stretta correlazione. Poiché la pace non è solo
assenza di conflitti ma ha un significato molto più ampio: indica pienezza,
benessere, felicità, armonia di vita, ovvero tutto ciò che concorre alla piena
felicità dell’uomo. E la giustizia è tutto
ciò che rende possibile e realizzabile
questa pace. Allora, l’agire con giustizia che davvero crea pace, sarà la
liberazione da ogni tipo di oppressione, la tutela del debole, l’aiuto a chi è
nel bisogno, il rispetto della dignità e
della libertà di ogni persona. Le opere
della giustizia sono dunque qualcosa di
molto concreto, che promuove la persona nella sua totalità. Chi Gesù proclama benedetti e meritevoli del Regno
di Dio? Coloro che si sono presi cura
dell’affamato, del forestiero, dell’ignudo, del malato, del carcerato (Mt 25,
31-40), la grande categoria dei poveri
nei quali egli stesso, il Figlio di Dio,
si identifica.
La violenza. Gesù ha vissuto in modo
perfettamente coerente quello che ha
insegnato agli altri. E poiché è stato
un autentico e insuperabile operatore
di pace e di giustizia, è diventato a
poco a poco un personaggio piuttosto
scomodo. Perché? Perché di fronte alle
palesi situazioni di ingiustizia e di oppressione, ha mostrato che esiste una
strada diversa per opporsi, diversa sia
dalla pura rassegnazione e passività
sia dall’antica “legge del taglione” e,
comunque, da ogni tipo di reazione
violenta.
Gesù non insegna né a fuggire la realtà né la lotta armata; propone invece
la nonviolenza attiva che spiazza l’avversario e interrompe la spirale della
violenza: «Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico. Ma io vi dico: amate i vostri
nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 43-44)… «non giudicate… non condannate… perdonate…»
(Lc 6,37). E Gesù giustifica così la richiesta: «affinché siate figli del Padre
vostro che è nei cieli; egli fa sorgere
il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt
45). Dio è un Padre che riserva la sua
benevolenza a tutti, gratuitamente.
Gesù ha sempre denunciato apertamente, senza alcun timore, ogni tipo
di male, di peccato e di ingiustizia, tuttavia non ha mai usato o minacciato
un qualche potere divino contro i suoi
oppositori per annientarli. Se ne è ben
guardato, anzi, perché attraverso il suo
agire potesse invece trasparire, senza
fraintendimenti, quel volto di Dio che
era venuto a rivelare: non il volto del
Dio potente e vendicatore ma quello
del Padre buono che ha cura di ogni
creatura e che, al fine di liberare l’uomo, lotta contro il male fino ad assumerlo su di sé sulla croce.
con una frase lapidaria che lui riferisce
a Gesù stesso: «Si è più beati nel dare
che nel ricevere!» (At 20,35). Ciò significa che si può essere felici solo se ci
si occupa della felicità degli altri. Una
spiegazione perfettamente coerente con
il comandamento della carità espresso
nei vangeli. D’altronde lo dice la stessa
umana esperienza. L’avidità del ricevere non appaga mai perché si vorrebbe
avere sempre di più mentre la capacità di donare libera dalla schiavitù dell’insoddisfazione e sa accogliere come
dono insperato la gratitudine altrui.
Ogni persona si trova coinvolta su tutti
questi grandi temi che toccano l’umana esistenza. Sono di per sé un terreno
comune a tutti, cristiani e non, dove
ci si può confrontare, comprendere e
trarre indicazioni vitali per un futuro
migliore. E forse un giorno… giungere
insieme alla fede in Lui.
La felicità. Che cosa pensa Gesù della
vita dell’uomo e del suo destino? Dio
vuole la felicità dell’uomo, questo è il
suo progetto. Ma il segreto della sua
realizzazione ce lo spiega San Paolo
le ragioni della fede oggi
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le ragioni della fede oggi
Corruzione, illegalità,
evasione fiscale...
...prosperano.
Non basta indignarsi!
Guardiamo in faccia alla realtà
Sceglieva come uno dei suoi apostoli, un
funzionario delle imposte (Matteo-Levi).
Chiese ai corrotti la conversione e il
risarcimento e lo chiese anche per
l’alto funzionario Zaccheo (Luca 19,1-10).
«Nel nostro paese c’è un gravissimo,
persistente problema di illegalità:
corruzione, evasione fiscale, abusivismo
edilizio, traffici illeciti di rifiuti e così via...
E poi si continua a dire che non ci sono
i soldi per i servizi sociali, per la lotta
alla povertà, per chi non ha lavoro.
...La corruzione per esempio, ci costa
circa 60 miliardi di euro l’anno,
una tassa occulta di 1000 euro per ogni
cittadino italiano...». Così don Ciotti.
E tali fenomeni continuano. Perché?
Forse perché… tutti evadiamo un po’?
Lì per lì, c’è l’indignazione, ma...
…ma passa subito. Perché non serve.
Servirebbe invece l’osservanza delle
regole, da parte di tutti.
Purtroppo, il novanta per cento degli
italiani – come emerge da una ricerca –
pensa che tangenti e raccomandazioni
sono un modo efficace per ottenere
servizi dalla Pubblica Amministrazione:
servizi di cui tutti noi abbiamo diritto di fruire.
Davvero non serve indignarsi per gli
scandali, quando, per esempio,
non si emette lo scontrino fiscale,
non si paga il biglietto del tram,...
Gesù pagava le tasse!
Pur non facendo parte di una
famiglia benestante, Lui si comportava da
scrupoloso contribuente (Matteo 17,24-27).
Mandava Pietro a versare il
tributo imperiale e
formulava il principio: «rendere a Cesare
quello che è di Cesare» (Matteo 22,21).
E Papa Francesco dice:
«Scandaloso chi dona alla Chiesa e
ruba allo Stato;... Il corrotto porta da
mangiare ai figli pane sporco».
Siamo tutti responsabili!
È dalla non osservanza delle regole più
semplici che si arriva a tollerare che
il politico rubi, l’esistenza delle mafie
e così via.
Cominciamo a far il nostro dovere,
partendo dalle cose più semplici!
La forza dell’annuncio di Gesù
Gesù ha denunciato e combattuto
con fermezza ogni forma di egoismo,
di ingiustizia e di corruzione,
comportamenti contrari alla dignità umana.
Ha richiamato tutti alla conversione
chiedendo di cambiare vita.
Il “regno di Dio” proclamato da Gesù
diventa l’annuncio di un modo
diverso di impostare e di
vivere le relazioni tra gli uomini,
tra i gruppi umani e perfino tra le nazioni.
Il Suo messaggio è quanto mai attuale e
aspetta di essere realizzato da ogni
persona di buona volontà.
Vogliamo parlarne insieme?
DOMANDE & (qualche) RISPOSTA
Dove è il tuo cuore?
a cura di Fiorella Danella
L’editrice EMI ha stampato nel
2013 un breve scritto di Jorge M.
Bergoglio «Guarire dalla corruzione». Papa Francesco non è nuovo ai
richiami contro la corruzione. Già
nel 1991, quando non era ancora
vescovo, aveva fatto stampare una
prima edizione, poi riproposta nel
2005 da arcivescovo. Quella attuale
è la stessa del 2005 con l’aggiunta
dell’intervento di Pietro Grasso,
Presidente del Senato e già Procuratore nazionale antimafia.
Il libro è una profonda meditazione
morale che Papa Bergoglio ci ripropone.
La corruzione è un male antico
quanto l’uomo, invade la politica,
l’economia, la società, la chiesa…
Su questo cancro morale, l’allora
cardinale di Buenos Aires offre una
riflessione sferzante che scende alla
radice del problema: il cuore umano. Così che dal fatto della corruzione (personale o sociale) si passa
al cuore come autore e preservatore
di questa corruzione, e dal cuore si
passa al tesoro al quale è attaccato
questo cuore.
Oggi si parla spesso di corruzione,
soprattutto per ciò che riguarda l’attività politica. Viene denunciata in
diversi ambienti sociali. Vari vescovi
hanno segnalato la «crisi morale» che
attraversa molte istituzioni. Intanto
la reazione generale di fronte a certi
fatti che sono indice di corruzione è
andata crescendo. […]
Ogni corruzione sociale non è altro che la conseguenza di un cuore
corrotto... Non ci sarebbe corruzione
sociale senza cuori corrotti: «Ciò che
esce dall’uomo, questo sì contamina
l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè
dal cuore degli uomini, escono le
intenzioni cattive: fornicazioni, furti,
omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di
dentro e contaminano l’uomo» (Mc
7,20-23).
Un cuore corrotto: qui sta il punto.
Perché un cuore si corrompe? Il cuore non è un’ultima istanza dell’uomo, chiusa in sé stessa; non finisce
lì la relazione (e quindi nemmeno la
relazione morale). Il cuore umano è
cuore nella misura in cui è in grado
di riferirsi a un’altra cosa: nella misura in cui è capace di aderire, nella
misura in cui è capace di amare o di
negare l’amore (odiare). Per questo
Gesù, quando invita a conoscere il
cuore come fonte delle nostre azioni, richiama la nostra attenzione su
questa adesione finalistica del nostro
cuore inquieto: «Là dov’è il tuo te-
DOMANDE & (qualche) RISPOSTA
soro, sarà anche il tuo cuore» (Mt
6,21). Conoscere il cuore dell’uomo,
il suo stato, comporta necessariamente conoscere il tesoro al quale questo
cuore si riferisce, il tesoro che lo libera e lo riempie o che lo distrugge
e lo riduce in schiavitù; in quest’ultimo caso, il tesoro che corrompe. Di
modo che dal fatto della corruzione
(personale o sociale) si passa al cuore
come autore e preservatore di questa corruzione, e dal cuore si passa
al tesoro al quale è attaccato questo
cuore. […]
Non bisogna confondere peccato con
corruzione. Il peccato, soprattutto se
reiterato, conduce alla corruzione,
non però quantitativamente (tanti
peccati fanno un corrotto) ma piuttosto qualitativamente, con il generarsi
di abitudini che vanno deteriorando e
limitando la capacità di amare, ripiegando ogni volta di più i riferimenti
del cuore su orizzonti più vicini alla
sua immanenza, al suo egoismo.
Potremmo dire che il peccato si perdona, la corruzione non può essere
perdonata. Semplicemente per il fatto
che alla radice di qualunque atteggiamento corrotto c’è una stanchezza
della trascendenza: di fronte al Dio
che non si stanca di perdonare, il
corrotto si erge come autosufficiente
nell’espressione della sua salvezza: si
stanca di chiedere perdono.
Nel corrotto esiste un’autosufficienza
di base, che inizia come incosciente e
in seguito viene assunta come la cosa
più naturale. L’autosufficienza umana
non è mai astratta. È un atteggiamento del cuore riferito a un tesoro che
lo seduce, lo tranquillizza e lo inganna: «Anima mia, hai a disposizione;
molti beni, per molti anni; riposati,
mangia, bevi e datti alla gioia» (Lc
12,19).
E, curiosamente, ci si presenta un
controsenso: l’autosufficiente è sempre – in fondo – uno schiavo di quel
tesoro, e quanto più schiavo, tanto
più insufficiente nella consistenza di
quella autosufficienza.
Così si spiega perché la corruzione
non può rimanere nascosta: lo sbilanciamento tra la convinzione di bastare
a sé stessi e la realtà di essere schiavi
di quel tesoro non può essere arginato. È uno squilibrio che esce fuori e,
come succede con tutte le cose chiuse
su sé stesse, bolle per sfuggire alla
propria pressione... e – al fuoriuscire
– sparge l’odore di questa chiusura
su sé stessi: puzza. Sì, la corruzione
odora di putrefazione. […]
Ne consegue che altrettanto difficilmente il corrotto può uscire da questo stato per un rimorso interiore.
Si ritrova con la virtù di quell’ambito anestetizzata. Generalmente il
Signore lo salva attraverso prove che
gli arrivano da situazioni che non può
evitare (malattie, perdita di ricchezze,
di persone care ecc.) e sono queste
che spaccano l’ossatura corrotta e
permettono l’accesso della grazia.
Solo allora potrà essere curato.
FLASH DAI CENTRI
Torino
Ricordando Lidia
Ci ha improvvisamente lasciati per
il Cielo il 29 maggio scorso, in un
grigio giorno di pioggia, la nostra
carissima Lidia Belliardo. La sua
partenza ci ha sorpresi e addolorati:
essendo stata la sua una vita passata a lottare con una salute tanto
precaria quanto capace di incredibili riprese, avevamo sperato che ce
l’avrebbe fatta anche questa volta.
La sorreggeva il desiderio ardente
di continuare ancora il suo lavoro
e mantenere i vincoli di profonda
amicizia che aveva intessuto nei
tanti anni trascorsi come responsabile del centro di ascolto prima di
corso San Martino 2 e, successivamente, di corso Marconi, 3 a Torino. Ma il Signore l’ha chiamata a
sé nella sua casa, ritenendola matura
per l’abbraccio eterno.
Lidia resta nel ricordo di tutti, negli
amici, come nei colleghi di insegnamento e negli allievi della sua scuola, una donna vivace, socievole, di
eccezionale sensibilità e capacità comunicativa. Soprattutto era una donna di fede, che ha lasciato trasparire
quella pace e serenità che soltanto
sgorgano da una profonda fiducia in
Dio e ha saputo esprimere la sua
gioia per il dono della vita e il suo
esempio di carità e luminosità. Lo
stanno testimoniando tante persone
che, dopo averla incontrata, confidano di essersi sentite rinfrancate, più
serene e fiduciose, richiamate interiormente alla luce della fede. Sono
donne, uomini e giovani, che ella
ha accolto, ascoltato, accompagnato
con attenzione, dedizione e rispetto
e ora la ricordano con affetto, simpatia e tanta nostalgia.
r.g.
FLASH DAI CENTRI
Banchetti d’estate...
Da diversi anni Torino, città dell’auto per eccellenza, ha rivoluzionato il
suo “look” creando strade e aree pedonali dove la gente passeggia piacevolmente discorrendo, guardando
vetrine, gustando gelati e pizzette
senza dover scansare continuamente
auto e motorini (al massimo qualche
incauta bici….).
Seguendo l’idea di permettere un
uso più piacevole e vivibile della
città, ha anche promosso iniziative sulla strada e nelle piazze quali
manifestazioni culturali, musicali,
commerciali ecc… di vario genere,
con allestimento anche di gazebo e
banchetti.
L’Associazione InformaCristo, nata
per portare l’informazione sulla
fede, sul senso della vita e sui temi
a ciò inerenti, ha pensato bene di
cogliere questa utile innovazione e
già qualche anno fa aveva allestito
alcuni gazebo in strade o altri spazi
di notevole passaggio.
Quest’anno si è “lanciata” con una
serie di ben sei banchetti da giugno
a settembre.
Sabato 14 giugno è stato allestito il
primo in via Garibaldi, davanti alla
chiesa di san Dalmazzo.
È stato letteralmente un “battesimo”
visto che una pioggerellina lieve,
ma insistente ha bagnato persone e
cose...
Torino - Banchetto in corso San Martino
FLASH DAI CENTRI
Ma questo non ha frenato l’entusiasmo, anzi ha prevalso l’umorismo
e l’inventiva per riparare locandine,
dépliant e opuscoli dalle insistenti
gocce e da folate di vento che minacciavano la stabilità di tutto l’impianto.
Il secondo è stato allestito domenica
29 giugno davanti alla nostra vetrina
che si trova in piazza san Carlo, accanto alla chiesa di santa Cristina.
Il posto è stato ben visibile dai quattro punti cardinali di quella grande
e frequentata area della città, in un
giorno particolarmente trafficato per
la presenza di una simpatica manifestazione che ha visto l’arrivo di
centinaia di persone.
Torino - Banchetto in via Garibaldi
10
Ci siamo sentite proprio “in mezzo
alla gente” volantinando con gioia,
proprio per l’opportunità di scambiare anche idee, reciproci auguri
per la buona riuscita di tutto e, perché no? caldi sorrisi sull’esempio di
papa Francesco che, al linguaggio
verbale, fa seguire quello dei gesti.
Le previsioni meteo, quest’estate,
non sono mai state molto favorevoli, ma non hanno ancora frenato
la voglia e l’entusiasmo di allestire i banchetti. Il terzo, quello del
19 luglio, era ben riparato sotto i
portici di corso san Martino angolo
piazza Statuto con, sullo sfondo, la
bella bacheca che esponeva l’ultimo
manifesto “PANE SPORCO”,
ideato sulla frase di papa
Francesco a proposito di corrotti e corruttori. Il tavolino
con le varie pubblicazioni
e messaggi e due sandwich
con manifesti erano sotto gli
occhi di un flusso quasi continuo di gente che passeggiava sotto i portici o attraversava al semaforo proprio lì
all’angolo.
Da segnalare, con piacere,
alcune lunghe conversazioni
con persone incuriosite e piene di interrogativi.
FLASH DAI CENTRI
Alba
Elena Cillario
Sabato 17 maggio 2014. Alba in festa
per diversi eventi importanti tra cui
una Veglia di preghiera ed evangelizzazione organizzata dai gruppi
Gam, InformaCristo e La Comunità
(dalle 21 alle 24), nella Chiesa di San
Giovanni, in pieno centro storico. Io
rimango fuori, per esporre il materiale e per parlare con la gente.
Guardo la piazza gremita e la fiumana di gente che mi passa dinanzi,
anche in ora tarda… Tutti sono alla
ricerca di qualcosa o, inconsciamente, di Qualcuno. Molti passano indifferenti, altri si fermano a vedere
dépliant, libretti e volantini, altri ancora entrano in Chiesa per pregare e
lasciarsi amare da Dio.
Diversi ragazzi vanno a volantinare
nelle “periferie” della città, sotto lo
sguardo di Maria, con gioia e fiducia
grande.
La veglia dura tre ore, ben guidata
dai giovani e da don Eligio, veramente coinvolgente. Alla fine siamo
tutti pieni di gioia, quella vera, perché un piccolo seme è stato gettato,
con fede e convinzione. I risultati
li sa Dio.
(segue da pag. 10)
Allo stesso modo, ma con un po’ di
sole in più, il giorno dopo, domenica 20 luglio, si è potuto allestire di
nuovo un banchetto in via Garibaldi,
sulla gradinata della chiesa di san
Dalmazzo. Ho notato che quelle parole “pane sporco” hanno attirato lo
sguardo dei numerosi passanti “festivi” per cui sono stati distribuiti
più di cento dépliant. Questa volta
sembra essere piaciuto anche il manifesto “DIO SOTTO L’OMBRELLONE” forse perché... non si vede l’ora
di andare al mare...
F.C.
11
FLASH DAI CENTRI
Cuneo
Mirella Lovisolo
Notizie dalla sede
Domenica 29 giugno abbiamo realizzato una presentazione sotto i
portici di corso Nizza a Cuneo del
nuovo provocatorio manifesto «Pane
sporco». L’iniziativa, attuata come
il solito, con gli aiuti delle persone
mandate dalla Provvidenza, ha colpito suscitando reazioni varie: interesse e approvazione, qualche reazione
negativa, ma più diffusamente apparente indifferenza e impassibilità;
in altri, che passavano facendo finta
di non vedere, sconcerto.
Certamente il messaggio ha toccato
e ci sono stati incontri interessanti
di cui ringraziamo il Signore.
Mostra «Grafie dell’Anima»
In questi tempi la sede di Cuneo
ha potuto rimanere aperta anche
nei giorni fuori orario grazie alla
presenza della nuova collaboratrice
albanese (capacissima a incontrare
le persone e soprattutto a confutare
i TdG che vorrebbero ricatturarla).
Con questa ragazza, impegnatissima
a tradurre tutto il materiale di Infor-
Banchetto in corso Nizza a Cuneo
12
FLASH DAI CENTRI
maCristo e i pannelli della mostra,
è affiorata la nuova idea “missionaria”: portare un altr’anno, se Dio vorrà, la mostra «Grafie dell’anima» in
Albania. All’inizio di luglio, siamo
partite insieme per l’Albania – io
l’occhio, lei la parola – alla ricerca
dei numerosi siti archeologici delle
origini del cristianesimo in questa
terra dalle profonde radici cristiane, ma segnata dalle sofferenze per
le varie invasioni e oppressioni nei
secoli: dalla dominazione romana
a quella Bizantina, alle invasioni
slave a quelle dei barbari. Nel
secondo millennio la lunga lotta con i Turchi ottomani che,
respinti per venticinque anni
dall’eroe nazionale Giorgio
Skanderbeg, invasero l’Albania alla sua morte, prendendone possesso e islamizzandola
nei lunghi secoli della loro
permanenza. Per arrivare alle
vicende dolorose del sec. XX
della seconda guerra mondiale,
ma soprattutto la dittatura comunista che sino dal 1944 al
1990 ha cercato di cancellare
ogni traccia di cristianesimo
riducendo al silenzio, annientando i cristiani e chiudendo
le chiese. Un popolo che, radicato nelle tradizioni, è stato disorientato e privato della
consapevolezza della propria
identità e delle proprie radici. Nel
nostro viaggio abbiamo cercato le
tracce archeologiche delle basiliche
paleocristiane e dei siti dei primi
secoli. Ci siamo proposte di incontrare le persone che possono aiutarci in questa missione di annunciare
le radici cristiane di questa nazione
così ricca di storia, arte e bellezze
naturali.
A settembre la mostra torna a Cuneo, nella parrocchia di S. Rocco
Castagneretta dal 14 al 21 settembre.
13
l’eco del dio nascosto
Bontà dell’uomo, voce di Dio
Teresa Testa
Come parlare di Dio dopo la tragedia della Shoah? Il filosofo Hans Jonas, nel suo
celebre libro Il concetto di Dio dopo Auschiwtz, rimette in questione la teologia tradizionale proponendo l’immagine di un Dio sofferente: creando l’uomo libero, Dio
«ha compiuto un’opzione radicale a tutto vantaggio dell’esistenza di un essere finito,
capace di autodeterminare se stesso: dopo essersi affidato totalmente al divenire del
mondo, Dio non ha più niente da dare; ora tocca all’uomo dare».
Ma ad Auschwitz dov’è l’uomo? «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9), domanda Dio.
Primo Levi, nella prefazione al suo libro di testimonianze Se questo è un uomo,
scrive: «Può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero
è nemico”. Ma quando questo avviene, al termine della catena sta il Lager». Quando
l’uomo sprofonda nell’odio più feroce, sembra che anche Dio venga meno alla “cura”
dell’uomo. L’uomo viene annientato e Dio è assente.
La poesia che Levi pone all’inizio dell’opera citata, è emblema dell’uomo offeso nella sua dignità, distrutto nell’anima e nel corpo:
Considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango
che non conosce pace / che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no… / Meditate che questo è stato…
(Anteprima a Se questo è un uomo)
Alla liberazione furono trovati in una bottiglia, sepolti nel lager, alcuni fogli del
«Canto del popolo ebraico massacrato», composto da Jizchaq Katzenelson tra il ghetto di Varsavia e il campo di sterminio. Questo è il passo preferito da Primo Levi:
14
l’eco del dio nascosto
O cieli, ditemi, perché?
Qual è la ragione di tutto ciò, di una tale offesa sulla terra?
Alzate la testa verso il cielo e sputateGli in faccia.
O cieli, voi non avete un Dio dentro di voi…
Aprite le porte o cieli, spalancatele!
Disperazione e ribellione, dunque. Eppure, anche dopo aver consumato l’omicidio
dell’uomo e dichiarato la morte di Dio, l’uomo rimane comunque alla ricerca di un
Dio. E lo trova, come nella parabola del buon samaritano, nell’uomo che si prende
cura del fratello, incarnando il modello di comportamento di Dio che l’uomo si aspetta dal suo Dio. Non è possibile salvare Dio senza salvare l’uomo.
Proprio là dove sembra regnare solo barbarie, Primo Levi è toccato da episodi di singolare bontà, che gli aprono uno squarcio di cielo. È l’incontro con un “samaritano” a salvare Levi, a salvare in lui la speranza di un mondo migliore e, con la speranza, la vita.
Così egli narra in Se questo è un uomo:
«Un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e il resto della sua razione ogni
giorno per sei mesi; mi ha dato un giubbotto di suo, pieno di toppe; ha scritto una
cartolina a mio nome in Italia e mi ha portato la risposta. Per tutto questo egli non
ha chiesto né accettato alcun compenso, perché era buono e semplice e non pensava che uno ha fatto bene per una ricompensa. Credo che fosse davvero a causa di
Lorenzo che sono vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per il suo
avermi costantemente ricordato dalla sua presenza, dal suo modo naturale e semplice
di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto fuori del nostro, qualcosa e
qualcuno di ancora puro e intero, non corrotto, non selvaggio, estraneo all’odio e al
terrore; qualcosa di difficile da definire, una remota possibilità di bene, ma per il quale valeva la pena di sopravvivere. Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura
e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo,
sono riuscito a non dimenticare che io stesso ero un uomo» (Ivi, pp.116-119).
Di questo operaio, Lorenzo Perrone, scrive Levi: era «un uomo sensibile, quasi analfabeta ma in realtà una sorta di santo… istintivamente cercò di salvare la gente, non
per orgoglio, non per la gloria, ma di buon cuore e per la comprensione umana. Mi
disse una volta: “Perché siamo al mondo, se non per aiutarci a vicenda?”».
Altra pagina densa di umanità è il ricordo dell’incontro con Jean, il Pikolo. Nel disperato tentativo di salvare qualcosa di umano, ecco riaffiorare in Levi il volto di Dio.
Insieme, Levi e Jean, devono andare a prendere il secchio della zuppa e distribuirla.
Devono fare un chilometro all’andata e uno al ritorno. Il ragazzo chiede allora a Levi
d’insegnargli un po’ d’italiano e Primo pensa al canto di Ulisse di Dante nel XXVI
dell’Inferno. Si sforza di ricordarsi i versi e li traduce, come può, al ragazzo. Quando
arriva alla terzina famosa:
15
l’eco del dio nascosto
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguire virtute e conoscenza,
Levi ha come un’illuminazione e dice:
«Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca. Come
se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di
Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono! Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene» (Ivi, p. 111).
“Disseppellire l’uomo”, dunque, per “disseppellire Dio”, compromettersi con l’uomo
per “prendersi cura” di Dio, di un Dio implicato nelle vicende umane fino ad assumere le sembianze dell’uomo più sofferente.
È stata questa la scelta libera e consapevole di Etty Hillesum come è documentata
nel suo Diario, decisione di sorprendente umanità e interiorità. Ebrea olandese, figura
di eccezionale sensibilità umana e spirituale, Etty, pur avendo l’occasione di cercare
la salvezza non vuole sottrarsi al destino del suo popolo e si avvia al campo di sterminio con la volontà di portare un po’ di luce nella vita altrui. Muore nel novembre
del 1943, e nella testimonianza dei sopravvissuti resta fino all’ultimo una persona
“luminosa”.
Quel resto di umanità che Levi cerca – e non c’è umanità che, coscientemente o no,
non faccia appello a Dio – si appresta a salvarla Etty, con il suo altruismo radicale capace di assorbire il male, di perdonarlo, di spezzarne la catena di trasmissione. Senza
provare alcun odio o amarezza, anzi con una certa comprensione per questo tempo,
ella ha dato all’odio l’unica risposta alternativa, quella dell’amore.
Dio le si fa presente in quell’abisso di male come acqua viva: «Dentro di me c’è una
sorgente molto profonda e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla,
più sovente essa è coperta di pietre e di sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna
dissotterrarlo di nuovo» (Diario 1941-43, p. 170). Etty tiene vivo Dio in sé instaurando con Lui una profonda relazione: «Discorrerò con te molto spesso e in questo
modo ti impedirò di abbandonarmi». E più avanti: «Esisterà pur sempre un pezzetto
di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani
in una preghiera» (Ivi, p. 172).
Mentre la situazione storica precipita in orrore, ella chiede di essere «il cuore pensante della baracca» (Ivi, p. 169). Anziché incolpare Dio del male, comprende che
«non è Dio responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i
responsabili siamo noi» (Ivi, p. 134). In ascolto di se stessa, cresce in benevolenza e
fiducia verso la vita, intuisce il legame profondo tra le sorti dell’uomo e quelle di Dio:
«L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente
conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio… per rintracciare il minuscolo
16
l’eco del dio nascosto
essere umano, sepolto sotto la barbarie dell’insensatezza e dell’odio» (Ivi, p. 169).
Nella certezza che l’unica cosa che conta sia salvare Dio nell’uomo, piuttosto che
avvertirlo assente o nemico, scopre un nuovo volto di Dio, fa esperienza di un Dio
anch’egli sofferente e morente che, come nel libro di Giobbe, si fa accanto all’uomo
distrutto nell’anima e nel corpo. Dall’incontro con quel Dio Etty passa al dono sempre più radicale ai fratelli, e con il dono di se stessa ella dona Dio: «Amo così tanto
gli altri, perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio» (Ivi, p. 194). «Ho spezzato
il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così
affamati, e da tanto tempo!» (Ivi, p. 238).
Coraggiosamente afferma: «In fondo io non credo alle cosiddette “persone malvagie”… Vorrei raggiungere le loro paure, scoprirne la causa, ricacciarli nel loro terreno interiore» (Ivi, p 211).
Chiude il suo diario alla vigilia del viaggio finale con queste parole: «Vorrei essere
un balsamo per molte ferite» (Ivi, p. 239). «Ad ogni nuovo crimine o orrore dovremo
opporre un nuovo pezzetto di amore… Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere» (Ivi, p. 245).
In quei campi dell’orrore Dio non è stato assente. Egli è salito sulla croce con l’uomo,
facendosi carico del male e del dolore di tutti, compagno degli uomini umiliati, offesi,
soppressi.
Con la stessa convinzione Elie Wiesel, nello scritto La notte, rievoca l’impiccagione
di un bambino: «Più di una mezz’ora restò così a lottare tra la vita e la morte agonizzando sotto i nostri occhi». Dove è la bontà di Dio di fronte alla sofferenza di un
bambino innocente?
«Dietro di me udii il solito uomo domandare:
– Dov’è dunque Dio?
Se noi salveremo
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
solo i nostri corpi
– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...».
dai campi di prigionia,
«Percorri l’uomo – dice S. Agostino – e troverai Dio».
dovunque essi siano,
Dio si è reso presente nella sofferenza mortale delsarà troppo poco.
l’uomo e nella compassione dei fratelli. La sua preNon si tratta infatti
senza è stata avvertita e non è passata invano. Se con
di conservare questa
l’uomo è morta anche una parte di Dio, con Dio è
vita a ogni costo,
anche risorto l’uomo.
Testi citati:
PRIMO LEVI, Se questo è un uomo, Einaudi 2005
ETTY HILLESUM, Diario 1941- 1943, Adelphi 2005
ma di come
la si conserva.
Etty Hillesum
17
DICIAMOLO CON L’ARTE
Il sogno biblico di Chagall
Mirella Lovisolo
Chagall, artista contemporaneo “ingenuo e raffinato, colto, mistico e solare” dal cromatismo esaltante che non
urla a Dio, ma lo esprime, cantando
la gioia del suo sogno biblico. È un
ebreo che, subite le dolorose vicende
delle due dittature del sec. XX, rivela
una comprensione della trascendenza
più ampia e più libera di quella del
suo popolo che ama e che è sempre
presente nelle sue
poesie e nei suoi
dipinti.
Nasce a Vitebsk in
Russia nel 1887 da
una modesta famiglia di ebrei di tradizione chassidica (un
movimento religioso
ebraico, popolare,
mistico, che favorisce il rapporto diretto dell’individuo
con Dio e unisce al
rifiuto dell’ascetismo un grande fervore religioso – il
Shabbat – pieno di
meraviglia davanti
ai benefici della vita
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terrena; una pratica religiosa entusiasta dove musica e canto hanno una
gran parte).
Chagall vive nella realtà culturale del
ghetto della sua cittadina che conserva ancora il carattere di una borgata
di campagna. Egli assimila dall’infanzia il mondo chassidico, quella
mistica della natura abitata da
Dio che non dimenticherà più. Nel
Lo Sabbath - 1910
DICIAMOLO CON L’ARTE
suo linguaggio pittorico appaiono infatti ampiamente, i simboli che egli
trae dal suo vissuto, fatto di piccole
cose che diverranno il suo scrigno
poetico: il gallo, la vacca, il violinista sul tetto, i cavalli che volano,
le vecchie case di legno di Vitebsk;
cose tradizionali come la preghiera dei contadini e dei rabbini, le
innamorate, le feste, le venditrici
ambulanti, sinagoghe e chiese ortodosse, elementi che ricorreranno
sempre nelle sue tele.
Nel 1910 Chagall va a Parigi dove
porterà il suo mondo e la sua fantasia
mentre, a contatto con l’espressività
cromatica degli impressionisti, dei
Fauve e la scomposizione dei Cubisti, la sua pittura si arricchisce di colore, di toni fantastici, lirici, fiabeschi
e sognanti, dove gli uomini volano e
le case lievitano come nuvole.
In Parigi dalla mia finestra del 1913,
il gatto, con la testa umana, guarda
stupito quel mondo nuovo davanti a
lui; in primo piano il volto di Chagall rivolto verso Vitebsk e, allo stesso tempo, a Parigi. Il dipinto ricorda
Delaunay e il Cubismo sintetico. Io e
il villaggio del 1911 è una delle sue
opere più importanti. Sulla tela geometricamente divisa secondo le linee del
cubismo sintetico, appare l’espressione della nostalgia del pittore mentre
l’allungarsi delle figure, liberate dalla
gravità newtoniana e il rifiuto della
prospettiva, si ricollegano alla tra-
La Crocefissione bianca - 1938
dizione bizantina delle icone russe.
Chagall, nominato Commissario delle Belle Arti, in Russia fonda un’Accademia; entusiasta della Rivoluzione
in atto, vuole “far scendere l’arte per
la strada” per avvicinarla al popolo.
Il suo incarico però dura poco. Egli
non tollera i conformismi e la strumentalizzazione della cosiddetta
“arte proletaria” dove primeggia il
costruttivismo di Malevitch, il teorico dell’arte della rivoluzione. Nel
1919 Chagall è allontanato dalla sua
scuola. Raggiunge la Germania,
ma sono tempi cupi, il Nazismo sta
trionfando; Chagall va in Palestina
alla fonte della sua cultura della Bibbia. Tornerà per sapere che nel 1933,
19
DICIAMOLO CON L’ARTE
Goebbels – capo nazista – ha bruciato in piazza i suoi dipinti.
Appare allora nelle sue opere il tema
del Crocefisso, simbolo universale
della sofferenza degli uomini, del
suo popolo, della sua sofferenza personale e forse speranza di riscatto
dell’umanità. Ricordiamo la Crocefissione Bianca del 1938 che è un
grido di compassione per i connazionali perseguitati. Vi appaiono tutti i
simboli della sofferenza degli ebrei in
fuga: la sinagoga in fiamme, Vitebsk
distrutta, la Torah gettata nel fuoco,
mentre il personaggio principale è
il Crocefisso “Gesù di Nazareth, Re
dei Giudei” che ha come perizoma
il mantello rituale ebraico.
Con l’avvento della Shoà
Chagall fugge e lavora
negli Stati Uniti; qui nel
1944 muore la moglie
Bella. Il dolore di Marc
è senza limiti, per quasi
un anno non dipinge più.
Tornato in Europa, si stabilisce a Vence sulla Costa
Azzurra e termina nel 1956
i temi della Bibbia, opera
di vasto respiro, dal messaggio spirituale universale. Chagall portò sempre
con sé una predisposizione
aperta ai temi biblici in cui
coglie significati profondi e personali: “Fin dalla
mia giovinezza sono stato
affascinato dalla Bibbia,
la fonte cui hanno attinto,
come in un alfabeto colorato, gli artisti di tutti i
tempi”. Mi è sempre sembrato e mi sembra ancora la più grande fonte di
poesia
di tutti i tempi… Se
Creazione dell’uomo - Museo biblico di Nizza
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DICIAMOLO CON L’ARTE
gli uomini volessero leggere con più
attenzione la parola dei profeti, potrebbero trovarvi le chiavi della vita”
(1973). Questa affermazione esprime
bene il posto che occupa nell’arte e
nella vita la Bibbia, il Libro sacro
dove Ebrei e Cristiani si riconoscono
fratelli. Quella “Parola” si è calata nelle forme storiche del tempo e
nel linguaggio di un uomo, il profeta che è diventato strumento ispirato
per trasmettere il messaggio di Dio
che oggi gli studi biblici e le ricerche
archeologiche ci aiutano a comprendere meglio.
Chagall dona alla Francia l’intera
opera collocata nel Musée du Message Biblique a Nizza con questa
dedica: «Ho voluto dipingere il sogno di pace dell’umanità… Forse in
questa casa verranno giovani e
meno giovani a
cercare un ideale di fraternità
e d’amore come
i miei colori
l’hanno sognato. Forse non
ci saranno più
nemici… e tutti,
qualunque sia la
loro religione,
potranno venire
qui e parlare di
questo sogno, lontano dalla malvagità e dalla violenza. Sarà possibile
questo? Credo di sì, tutto è possibile
se si comincia dall’amore».
LA CREAZIONE DELL’UOMO (Gen
1,26). L’ampia tela posta all’ingresso della grande sala, presenta Adamo che, ancora addormentato, abbandonato e inerte nelle braccia del
Creatore, simboleggiato dall’Angelo
che presto lo deporrà sulla terra; la
creatura divina distoglie lo sguardo
da lui: l’uomo fatto ad “immagine
e somiglianza di Dio” (Gen 1,27) è
posto di fronte alle sue responsabilità, è libero; ma sotto di lui, arrotolato, appare già il serpente tentatore.
L’uomo che soccombe alla caduta, si
contrappone alla sfolgorante girando-
Il giardino dell’Eden - Museo biblico di Nizza
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DICIAMOLO CON L’ARTE
la della Creazione. Con i protagonisti
della storia di Israele la sfera di fuoco
culmina nella grande figura del Cristo crocefisso, simbolo di sofferenza
e speranza della Redenzione.
IL GIARDINO DELL’EDEN (Gen
2,16-24; 3). È il luogo dell’accordo
intimo, della pace tra tutti i viventi.
L’uomo e la donna, animali e angeli, circondano la coppia originale,
suprema incarnazione dell’amore del
Creatore per le sue creature (espresso
in alto nella splendida figura angelica dal sorriso ineffabile). Nell’opera,
Adamo ed Eva, diventano i gambi dei
mazzi di fiori intorno all’Angelo, in
un insieme che si assimila all’albero
della vita. Ma i progenitori, strettamente abbracciati, portano insieme la
La cacciata dei progenitori
22
responsabilità del peccato: l’associazione nella risposta al tentatore.
LA CACCIATA DEI PROGENITORI
(Gen 3,23). Adamo ed Eva, cacciati
dall’Eden, sembrano correre sulle ali
del gallo che contrariamente a quanto comunemente si pensa, è simbolo
di risurrezione. Il volatile volge lo
sguardo verso la luce, l’albero della vita sulla cui sommità splende un
disco bianco, simbolo della Presenza
stessa di Dio nella cui luce si radica
la Bellezza eterna e che ci rimanda
all’Eucaristia. «Non mi sorprende,
dice Gloria Riva (Avvenire 19/6/014)
che l’artista Marc Chagall, fiero della
sua ebraicità eppure totalmente aperto
alla cattolicità, abbia saputo apprendere e rielaborare in modo originale
il segno eucaristico. Sulla
sommità dell’albero della
vita splende
un disco bianco. Simbolo
della Presenza stessa di
Dio nella cui
luce si radica
la Bellezza
eterna».
religioni culti magìa
Un business milionario
Mito del potere magico
Laura Rossi
L’uomo primitivo ebbe da affrontare le angosce esistenziali del dolore,
della sopravvivenza, della morte. Per
difendersi dai fenomeni sconosciuti
della natura e non soccombere tentò
di imprigionare quelle forze che lo
terrorizzavano. Credeva fortemente
di avere potere sulla natura, potere
che in seguito venne definito potere
magico. Per esempio, disegnò sulle rocce forme di animali convinto
che con il disegnarne l’immagine,
l’animale diventasse di suo dominio
e così potesse essere catturato. Perché quell’immagine disegnata corrispondeva simbolicamente all’animale stesso, era l’animale del disegno,
esorcizzato.
La magìa rientra nel campo dell’occultismo e ne costituisce la corrente
che mira al potere, cioè alla possibilità e capacità di interferire su forze
esterne all’uomo.
Il magico, al contrario del sacro,
crede nelle forze soprannaturali impersonali, cioè della natura, e nella
possibilità di assoggettarle alla volontà umana.
Per venire all’oggi, da circa quarant’anni, con l’avvento in forme or-
ganizzate dei Movimenti New Age,
c’è il tentativo di tornare al primitivo, ma con la tendenza a confondere
il sacro con la magìa.
Il sacro, riconoscendo che al di sopra
dell’uomo esistono un creatore con
poteri assoluti sulla natura, e altre
divinità inferiori con mansioni specifiche, spinge l’uomo a sottomettersi
alla divinità e al riconoscere che da
essa tutti dipendiamo.
Trattare il sacro compete alle religioni che con l’andar del tempo
devono sempre di più contendere
con le numerose forme di occulto,
specialmente con lo spiritismo e la
magìa. Questi sono pseudo-culti del
soprannaturale, ma distorti, creativizzati in modo negativo cioè resi iniziatici, esoterici e settari. E quasi certamente sono operazioni che offrono
possibilità di far denaro e di ottenere
successo e potere.
Le comunità cristiane in occidente
devono affrontare situazioni di confusione provocate dalla assidua partecipazione di alcuni loro membri ai
gruppi magico-spiritici-occultistici.
Cioè frequentano gruppi, anche solo
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religioni culti magìa
di preghiera, dove si pratica lo spiritismo classico, l’evocazione dei morti,
e lo spiritismo del new age, il channelling con la scrittura automatica e
altre forme di registrazione delle voci
dei trapassati.
I leaders di questi gruppi esercitano
molta influenza sui loro seguaci e
possono anche creare in loro una specie di dipendenza. Il capo carismatico
è ritenuto più autorevole e degno di
affidamento che non le Sacre Scritture bibliche dove ripetutamente gli
autori sacri ribadiscono che Dio non
vuole che si evochino i morti e che
si pratichi la magìa.
Ma il leader oggi è diventato o diventata, poiché è alto il numero di
donne che praticano riti occulti, il
nuovo sacerdote, il guru della società dei consumi e del tornaconto
che consiste nel costruire il proprio
successo. Come sacerdote non ha
più, come nella religione cristiana, il
mandato da Dio, ma si autoproclama
tale in base ai propri poteri e in base
a questi compie i riti che la gente
richiede, disposta a pagare qualunque
cifra pur di ottenere il suo magico
intervento per un fine di bene o di
male.
Ogni sacerdote deve avere anche un
libro sacro e un noto mago, con inchiostro magico, preparò il suo Libro
del potere, dove ad un certo punto
scrisse: «La magìa non sarà più un
mistero, ora sarà un potere!».
FOGLIO DI COLLEGAMENTO - Semestrale di informazione dell’Associazione Informazioni su Cristo
10125 Torino Corso Marconi 3
Tel. e Fax 011 540681
16124 Genova Piazza Bandiera 27r Tel. e Fax 010 2465085
12100 Cuneo Corso Giolitti 21 Tel. 333 3901053
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E-mail: [email protected]
ccp 31717101
Direttore Responsabile Renza Guglielmetti - Registrazione Tribunale di Saluzzo n. 124 del 4-4-1991
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ROC n. 19390
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Foglio di Collegamento - Settembre 2014