Gesù per tutti Renza Guglielmetti Nazaret: straordinariamente ordinario La storia di Gesù sprigiona una pienezza di umanità difficilmente riscontrabile altrove. Pensiamo alle giornate di questo giovane ebreo durante quei trent’anni di vita trascorsi a Nazaret, sperduta borgata di Galilea. Il silenzio delle narrazioni evangeliche al riguardo dice essenzialmente una cosa: l’incarnazione del Figlio di Dio si è realizzata in una condizione di vita assolutamente ordinaria, fatta di cose quotidiane all’interno di una normale vita familiare con Maria e Giuseppe. Nulla di eccezionale, nulla di eclatante è avvenuto tra quelle mura domestiche, nulla da far notizia tanto da essere registrato nei ricordi dei contemporanei come accadrà nei tre anni di vita pubblica. Trent’anni vissuti dunque nella normalità, lavorando come “falegname” (Mc 6,3), il mestiere appreso in famiglia (Mt 13,55), condotto come servizio alla comunità locale e certamente eseguito con il gusto delle cose fatte bene. Quello di Nazaret è un Gesù autenticamente umano, pienamente umano e che mostra anzitutto come l’umano, l’ordinario sia appunto il luogo normale della fede, dell’incontro con Dio. Se così non fosse, perché sprecare tanto tempo? Invece proprio questo lungo tempo di silenzio, senza clamori, ci mostra senza parole ma con i gesti di una ordinaria ferialità, che in questo contesto Gesù ha maturato la sua vocazione (Lc 2,49) accogliendo in piena libertà e in perfetta adesione la volontà di Dio. Una vita in pienezza Spostiamoci ora a considerare i tre anni di vita pubblica. Nelle scelte che ha fatto, nel suo insegnamento e nel suo agire con le persone che incontrava Gesù ha proposto progetti, idee, valori in cui ogni uomo, credente o no, può trovare davvero forza e ispirazione per diventare migliore e umanizzare il mondo. Prendiamo i rapporti umani, quei legami naturali senza i quali nessuno può vivere in modo sereno, interiormente appagante, la propria esistenza sulla terra. Gesù non dà norme speciali ma fonda ogni tipo di relazione sul duplice ed inscindibile comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Editoriale Gesù per tutti pag. 1 DOMANDE & (qualche) RISPOSTA Dov’è il tuo cuore? pag. 6 flash dai centri pag. 8 • • • • Ricordando Lidia Banchetti d’estate... Notizie dalla sede Mostra «Grafie dell’Anima» l’eco del dio nascosto pag. 14 Bontà dell’uomo, voce di Dio diciamolo con l’arte pag. 18 religioni culti magìa pag. 23 Il sogno biblico di Chagall Un business milionario Perché questo amore universale che arriva fino all’estremo, addirittura all’amore per i nemici? Gesù dà un paio di motivazioni fondamentali: Dio è padre di tutti (Mt 5,45) e usa misericordia verso ogni essere umano, senza distinzioni di fede, cultura, etnìa (Lc 6,36). E se Dio è misericordioso e ha cura di ogni sua creatura, l’uomo è chiamato ad imitarlo facendosi a sua volta portatore di compassione e di perdono verso i suoi simili (Lc 17,4). Che cosa pensa Gesù della pace e della giustizia? Attingendo alla tradizione biblica, egli ne assume la stretta correlazione. Poiché la pace non è solo assenza di conflitti ma ha un significato molto più ampio: indica pienezza, benessere, felicità, armonia di vita, ovvero tutto ciò che concorre alla piena felicità dell’uomo. E la giustizia è tutto ciò che rende possibile e realizzabile questa pace. Allora, l’agire con giustizia che davvero crea pace, sarà la liberazione da ogni tipo di oppressione, la tutela del debole, l’aiuto a chi è nel bisogno, il rispetto della dignità e della libertà di ogni persona. Le opere della giustizia sono dunque qualcosa di molto concreto, che promuove la persona nella sua totalità. Chi Gesù proclama benedetti e meritevoli del Regno di Dio? Coloro che si sono presi cura dell’affamato, del forestiero, dell’ignudo, del malato, del carcerato (Mt 25, 31-40), la grande categoria dei poveri nei quali egli stesso, il Figlio di Dio, si identifica. La violenza. Gesù ha vissuto in modo perfettamente coerente quello che ha insegnato agli altri. E poiché è stato un autentico e insuperabile operatore di pace e di giustizia, è diventato a poco a poco un personaggio piuttosto scomodo. Perché? Perché di fronte alle palesi situazioni di ingiustizia e di oppressione, ha mostrato che esiste una strada diversa per opporsi, diversa sia dalla pura rassegnazione e passività sia dall’antica “legge del taglione” e, comunque, da ogni tipo di reazione violenta. Gesù non insegna né a fuggire la realtà né la lotta armata; propone invece la nonviolenza attiva che spiazza l’avversario e interrompe la spirale della violenza: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 43-44)… «non giudicate… non condannate… perdonate…» (Lc 6,37). E Gesù giustifica così la richiesta: «affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 45). Dio è un Padre che riserva la sua benevolenza a tutti, gratuitamente. Gesù ha sempre denunciato apertamente, senza alcun timore, ogni tipo di male, di peccato e di ingiustizia, tuttavia non ha mai usato o minacciato un qualche potere divino contro i suoi oppositori per annientarli. Se ne è ben guardato, anzi, perché attraverso il suo agire potesse invece trasparire, senza fraintendimenti, quel volto di Dio che era venuto a rivelare: non il volto del Dio potente e vendicatore ma quello del Padre buono che ha cura di ogni creatura e che, al fine di liberare l’uomo, lotta contro il male fino ad assumerlo su di sé sulla croce. con una frase lapidaria che lui riferisce a Gesù stesso: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). Ciò significa che si può essere felici solo se ci si occupa della felicità degli altri. Una spiegazione perfettamente coerente con il comandamento della carità espresso nei vangeli. D’altronde lo dice la stessa umana esperienza. L’avidità del ricevere non appaga mai perché si vorrebbe avere sempre di più mentre la capacità di donare libera dalla schiavitù dell’insoddisfazione e sa accogliere come dono insperato la gratitudine altrui. Ogni persona si trova coinvolta su tutti questi grandi temi che toccano l’umana esistenza. Sono di per sé un terreno comune a tutti, cristiani e non, dove ci si può confrontare, comprendere e trarre indicazioni vitali per un futuro migliore. E forse un giorno… giungere insieme alla fede in Lui. La felicità. Che cosa pensa Gesù della vita dell’uomo e del suo destino? Dio vuole la felicità dell’uomo, questo è il suo progetto. Ma il segreto della sua realizzazione ce lo spiega San Paolo le ragioni della fede oggi AMICI, AIUTATECI A DIFFONDERE MANIFESTO E DEPLIANT! Richiedete il materiale presso le nostre sedi di Torino, Genova e Cuneo. le ragioni della fede oggi Corruzione, illegalità, evasione fiscale... ...prosperano. Non basta indignarsi! Guardiamo in faccia alla realtà Sceglieva come uno dei suoi apostoli, un funzionario delle imposte (Matteo-Levi). Chiese ai corrotti la conversione e il risarcimento e lo chiese anche per l’alto funzionario Zaccheo (Luca 19,1-10). «Nel nostro paese c’è un gravissimo, persistente problema di illegalità: corruzione, evasione fiscale, abusivismo edilizio, traffici illeciti di rifiuti e così via... E poi si continua a dire che non ci sono i soldi per i servizi sociali, per la lotta alla povertà, per chi non ha lavoro. ...La corruzione per esempio, ci costa circa 60 miliardi di euro l’anno, una tassa occulta di 1000 euro per ogni cittadino italiano...». Così don Ciotti. E tali fenomeni continuano. Perché? Forse perché… tutti evadiamo un po’? Lì per lì, c’è l’indignazione, ma... …ma passa subito. Perché non serve. Servirebbe invece l’osservanza delle regole, da parte di tutti. Purtroppo, il novanta per cento degli italiani – come emerge da una ricerca – pensa che tangenti e raccomandazioni sono un modo efficace per ottenere servizi dalla Pubblica Amministrazione: servizi di cui tutti noi abbiamo diritto di fruire. Davvero non serve indignarsi per gli scandali, quando, per esempio, non si emette lo scontrino fiscale, non si paga il biglietto del tram,... Gesù pagava le tasse! Pur non facendo parte di una famiglia benestante, Lui si comportava da scrupoloso contribuente (Matteo 17,24-27). Mandava Pietro a versare il tributo imperiale e formulava il principio: «rendere a Cesare quello che è di Cesare» (Matteo 22,21). E Papa Francesco dice: «Scandaloso chi dona alla Chiesa e ruba allo Stato;... Il corrotto porta da mangiare ai figli pane sporco». Siamo tutti responsabili! È dalla non osservanza delle regole più semplici che si arriva a tollerare che il politico rubi, l’esistenza delle mafie e così via. Cominciamo a far il nostro dovere, partendo dalle cose più semplici! La forza dell’annuncio di Gesù Gesù ha denunciato e combattuto con fermezza ogni forma di egoismo, di ingiustizia e di corruzione, comportamenti contrari alla dignità umana. Ha richiamato tutti alla conversione chiedendo di cambiare vita. Il “regno di Dio” proclamato da Gesù diventa l’annuncio di un modo diverso di impostare e di vivere le relazioni tra gli uomini, tra i gruppi umani e perfino tra le nazioni. Il Suo messaggio è quanto mai attuale e aspetta di essere realizzato da ogni persona di buona volontà. Vogliamo parlarne insieme? DOMANDE & (qualche) RISPOSTA Dove è il tuo cuore? a cura di Fiorella Danella L’editrice EMI ha stampato nel 2013 un breve scritto di Jorge M. Bergoglio «Guarire dalla corruzione». Papa Francesco non è nuovo ai richiami contro la corruzione. Già nel 1991, quando non era ancora vescovo, aveva fatto stampare una prima edizione, poi riproposta nel 2005 da arcivescovo. Quella attuale è la stessa del 2005 con l’aggiunta dell’intervento di Pietro Grasso, Presidente del Senato e già Procuratore nazionale antimafia. Il libro è una profonda meditazione morale che Papa Bergoglio ci ripropone. La corruzione è un male antico quanto l’uomo, invade la politica, l’economia, la società, la chiesa… Su questo cancro morale, l’allora cardinale di Buenos Aires offre una riflessione sferzante che scende alla radice del problema: il cuore umano. Così che dal fatto della corruzione (personale o sociale) si passa al cuore come autore e preservatore di questa corruzione, e dal cuore si passa al tesoro al quale è attaccato questo cuore. Oggi si parla spesso di corruzione, soprattutto per ciò che riguarda l’attività politica. Viene denunciata in diversi ambienti sociali. Vari vescovi hanno segnalato la «crisi morale» che attraversa molte istituzioni. Intanto la reazione generale di fronte a certi fatti che sono indice di corruzione è andata crescendo. […] Ogni corruzione sociale non è altro che la conseguenza di un cuore corrotto... Non ci sarebbe corruzione sociale senza cuori corrotti: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,20-23). Un cuore corrotto: qui sta il punto. Perché un cuore si corrompe? Il cuore non è un’ultima istanza dell’uomo, chiusa in sé stessa; non finisce lì la relazione (e quindi nemmeno la relazione morale). Il cuore umano è cuore nella misura in cui è in grado di riferirsi a un’altra cosa: nella misura in cui è capace di aderire, nella misura in cui è capace di amare o di negare l’amore (odiare). Per questo Gesù, quando invita a conoscere il cuore come fonte delle nostre azioni, richiama la nostra attenzione su questa adesione finalistica del nostro cuore inquieto: «Là dov’è il tuo te- DOMANDE & (qualche) RISPOSTA soro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Conoscere il cuore dell’uomo, il suo stato, comporta necessariamente conoscere il tesoro al quale questo cuore si riferisce, il tesoro che lo libera e lo riempie o che lo distrugge e lo riduce in schiavitù; in quest’ultimo caso, il tesoro che corrompe. Di modo che dal fatto della corruzione (personale o sociale) si passa al cuore come autore e preservatore di questa corruzione, e dal cuore si passa al tesoro al quale è attaccato questo cuore. […] Non bisogna confondere peccato con corruzione. Il peccato, soprattutto se reiterato, conduce alla corruzione, non però quantitativamente (tanti peccati fanno un corrotto) ma piuttosto qualitativamente, con il generarsi di abitudini che vanno deteriorando e limitando la capacità di amare, ripiegando ogni volta di più i riferimenti del cuore su orizzonti più vicini alla sua immanenza, al suo egoismo. Potremmo dire che il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata. Semplicemente per il fatto che alla radice di qualunque atteggiamento corrotto c’è una stanchezza della trascendenza: di fronte al Dio che non si stanca di perdonare, il corrotto si erge come autosufficiente nell’espressione della sua salvezza: si stanca di chiedere perdono. Nel corrotto esiste un’autosufficienza di base, che inizia come incosciente e in seguito viene assunta come la cosa più naturale. L’autosufficienza umana non è mai astratta. È un atteggiamento del cuore riferito a un tesoro che lo seduce, lo tranquillizza e lo inganna: «Anima mia, hai a disposizione; molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia» (Lc 12,19). E, curiosamente, ci si presenta un controsenso: l’autosufficiente è sempre – in fondo – uno schiavo di quel tesoro, e quanto più schiavo, tanto più insufficiente nella consistenza di quella autosufficienza. Così si spiega perché la corruzione non può rimanere nascosta: lo sbilanciamento tra la convinzione di bastare a sé stessi e la realtà di essere schiavi di quel tesoro non può essere arginato. È uno squilibrio che esce fuori e, come succede con tutte le cose chiuse su sé stesse, bolle per sfuggire alla propria pressione... e – al fuoriuscire – sparge l’odore di questa chiusura su sé stessi: puzza. Sì, la corruzione odora di putrefazione. […] Ne consegue che altrettanto difficilmente il corrotto può uscire da questo stato per un rimorso interiore. Si ritrova con la virtù di quell’ambito anestetizzata. Generalmente il Signore lo salva attraverso prove che gli arrivano da situazioni che non può evitare (malattie, perdita di ricchezze, di persone care ecc.) e sono queste che spaccano l’ossatura corrotta e permettono l’accesso della grazia. Solo allora potrà essere curato. FLASH DAI CENTRI Torino Ricordando Lidia Ci ha improvvisamente lasciati per il Cielo il 29 maggio scorso, in un grigio giorno di pioggia, la nostra carissima Lidia Belliardo. La sua partenza ci ha sorpresi e addolorati: essendo stata la sua una vita passata a lottare con una salute tanto precaria quanto capace di incredibili riprese, avevamo sperato che ce l’avrebbe fatta anche questa volta. La sorreggeva il desiderio ardente di continuare ancora il suo lavoro e mantenere i vincoli di profonda amicizia che aveva intessuto nei tanti anni trascorsi come responsabile del centro di ascolto prima di corso San Martino 2 e, successivamente, di corso Marconi, 3 a Torino. Ma il Signore l’ha chiamata a sé nella sua casa, ritenendola matura per l’abbraccio eterno. Lidia resta nel ricordo di tutti, negli amici, come nei colleghi di insegnamento e negli allievi della sua scuola, una donna vivace, socievole, di eccezionale sensibilità e capacità comunicativa. Soprattutto era una donna di fede, che ha lasciato trasparire quella pace e serenità che soltanto sgorgano da una profonda fiducia in Dio e ha saputo esprimere la sua gioia per il dono della vita e il suo esempio di carità e luminosità. Lo stanno testimoniando tante persone che, dopo averla incontrata, confidano di essersi sentite rinfrancate, più serene e fiduciose, richiamate interiormente alla luce della fede. Sono donne, uomini e giovani, che ella ha accolto, ascoltato, accompagnato con attenzione, dedizione e rispetto e ora la ricordano con affetto, simpatia e tanta nostalgia. r.g. FLASH DAI CENTRI Banchetti d’estate... Da diversi anni Torino, città dell’auto per eccellenza, ha rivoluzionato il suo “look” creando strade e aree pedonali dove la gente passeggia piacevolmente discorrendo, guardando vetrine, gustando gelati e pizzette senza dover scansare continuamente auto e motorini (al massimo qualche incauta bici….). Seguendo l’idea di permettere un uso più piacevole e vivibile della città, ha anche promosso iniziative sulla strada e nelle piazze quali manifestazioni culturali, musicali, commerciali ecc… di vario genere, con allestimento anche di gazebo e banchetti. L’Associazione InformaCristo, nata per portare l’informazione sulla fede, sul senso della vita e sui temi a ciò inerenti, ha pensato bene di cogliere questa utile innovazione e già qualche anno fa aveva allestito alcuni gazebo in strade o altri spazi di notevole passaggio. Quest’anno si è “lanciata” con una serie di ben sei banchetti da giugno a settembre. Sabato 14 giugno è stato allestito il primo in via Garibaldi, davanti alla chiesa di san Dalmazzo. È stato letteralmente un “battesimo” visto che una pioggerellina lieve, ma insistente ha bagnato persone e cose... Torino - Banchetto in corso San Martino FLASH DAI CENTRI Ma questo non ha frenato l’entusiasmo, anzi ha prevalso l’umorismo e l’inventiva per riparare locandine, dépliant e opuscoli dalle insistenti gocce e da folate di vento che minacciavano la stabilità di tutto l’impianto. Il secondo è stato allestito domenica 29 giugno davanti alla nostra vetrina che si trova in piazza san Carlo, accanto alla chiesa di santa Cristina. Il posto è stato ben visibile dai quattro punti cardinali di quella grande e frequentata area della città, in un giorno particolarmente trafficato per la presenza di una simpatica manifestazione che ha visto l’arrivo di centinaia di persone. Torino - Banchetto in via Garibaldi 10 Ci siamo sentite proprio “in mezzo alla gente” volantinando con gioia, proprio per l’opportunità di scambiare anche idee, reciproci auguri per la buona riuscita di tutto e, perché no? caldi sorrisi sull’esempio di papa Francesco che, al linguaggio verbale, fa seguire quello dei gesti. Le previsioni meteo, quest’estate, non sono mai state molto favorevoli, ma non hanno ancora frenato la voglia e l’entusiasmo di allestire i banchetti. Il terzo, quello del 19 luglio, era ben riparato sotto i portici di corso san Martino angolo piazza Statuto con, sullo sfondo, la bella bacheca che esponeva l’ultimo manifesto “PANE SPORCO”, ideato sulla frase di papa Francesco a proposito di corrotti e corruttori. Il tavolino con le varie pubblicazioni e messaggi e due sandwich con manifesti erano sotto gli occhi di un flusso quasi continuo di gente che passeggiava sotto i portici o attraversava al semaforo proprio lì all’angolo. Da segnalare, con piacere, alcune lunghe conversazioni con persone incuriosite e piene di interrogativi. FLASH DAI CENTRI Alba Elena Cillario Sabato 17 maggio 2014. Alba in festa per diversi eventi importanti tra cui una Veglia di preghiera ed evangelizzazione organizzata dai gruppi Gam, InformaCristo e La Comunità (dalle 21 alle 24), nella Chiesa di San Giovanni, in pieno centro storico. Io rimango fuori, per esporre il materiale e per parlare con la gente. Guardo la piazza gremita e la fiumana di gente che mi passa dinanzi, anche in ora tarda… Tutti sono alla ricerca di qualcosa o, inconsciamente, di Qualcuno. Molti passano indifferenti, altri si fermano a vedere dépliant, libretti e volantini, altri ancora entrano in Chiesa per pregare e lasciarsi amare da Dio. Diversi ragazzi vanno a volantinare nelle “periferie” della città, sotto lo sguardo di Maria, con gioia e fiducia grande. La veglia dura tre ore, ben guidata dai giovani e da don Eligio, veramente coinvolgente. Alla fine siamo tutti pieni di gioia, quella vera, perché un piccolo seme è stato gettato, con fede e convinzione. I risultati li sa Dio. (segue da pag. 10) Allo stesso modo, ma con un po’ di sole in più, il giorno dopo, domenica 20 luglio, si è potuto allestire di nuovo un banchetto in via Garibaldi, sulla gradinata della chiesa di san Dalmazzo. Ho notato che quelle parole “pane sporco” hanno attirato lo sguardo dei numerosi passanti “festivi” per cui sono stati distribuiti più di cento dépliant. Questa volta sembra essere piaciuto anche il manifesto “DIO SOTTO L’OMBRELLONE” forse perché... non si vede l’ora di andare al mare... F.C. 11 FLASH DAI CENTRI Cuneo Mirella Lovisolo Notizie dalla sede Domenica 29 giugno abbiamo realizzato una presentazione sotto i portici di corso Nizza a Cuneo del nuovo provocatorio manifesto «Pane sporco». L’iniziativa, attuata come il solito, con gli aiuti delle persone mandate dalla Provvidenza, ha colpito suscitando reazioni varie: interesse e approvazione, qualche reazione negativa, ma più diffusamente apparente indifferenza e impassibilità; in altri, che passavano facendo finta di non vedere, sconcerto. Certamente il messaggio ha toccato e ci sono stati incontri interessanti di cui ringraziamo il Signore. Mostra «Grafie dell’Anima» In questi tempi la sede di Cuneo ha potuto rimanere aperta anche nei giorni fuori orario grazie alla presenza della nuova collaboratrice albanese (capacissima a incontrare le persone e soprattutto a confutare i TdG che vorrebbero ricatturarla). Con questa ragazza, impegnatissima a tradurre tutto il materiale di Infor- Banchetto in corso Nizza a Cuneo 12 FLASH DAI CENTRI maCristo e i pannelli della mostra, è affiorata la nuova idea “missionaria”: portare un altr’anno, se Dio vorrà, la mostra «Grafie dell’anima» in Albania. All’inizio di luglio, siamo partite insieme per l’Albania – io l’occhio, lei la parola – alla ricerca dei numerosi siti archeologici delle origini del cristianesimo in questa terra dalle profonde radici cristiane, ma segnata dalle sofferenze per le varie invasioni e oppressioni nei secoli: dalla dominazione romana a quella Bizantina, alle invasioni slave a quelle dei barbari. Nel secondo millennio la lunga lotta con i Turchi ottomani che, respinti per venticinque anni dall’eroe nazionale Giorgio Skanderbeg, invasero l’Albania alla sua morte, prendendone possesso e islamizzandola nei lunghi secoli della loro permanenza. Per arrivare alle vicende dolorose del sec. XX della seconda guerra mondiale, ma soprattutto la dittatura comunista che sino dal 1944 al 1990 ha cercato di cancellare ogni traccia di cristianesimo riducendo al silenzio, annientando i cristiani e chiudendo le chiese. Un popolo che, radicato nelle tradizioni, è stato disorientato e privato della consapevolezza della propria identità e delle proprie radici. Nel nostro viaggio abbiamo cercato le tracce archeologiche delle basiliche paleocristiane e dei siti dei primi secoli. Ci siamo proposte di incontrare le persone che possono aiutarci in questa missione di annunciare le radici cristiane di questa nazione così ricca di storia, arte e bellezze naturali. A settembre la mostra torna a Cuneo, nella parrocchia di S. Rocco Castagneretta dal 14 al 21 settembre. 13 l’eco del dio nascosto Bontà dell’uomo, voce di Dio Teresa Testa Come parlare di Dio dopo la tragedia della Shoah? Il filosofo Hans Jonas, nel suo celebre libro Il concetto di Dio dopo Auschiwtz, rimette in questione la teologia tradizionale proponendo l’immagine di un Dio sofferente: creando l’uomo libero, Dio «ha compiuto un’opzione radicale a tutto vantaggio dell’esistenza di un essere finito, capace di autodeterminare se stesso: dopo essersi affidato totalmente al divenire del mondo, Dio non ha più niente da dare; ora tocca all’uomo dare». Ma ad Auschwitz dov’è l’uomo? «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9), domanda Dio. Primo Levi, nella prefazione al suo libro di testimonianze Se questo è un uomo, scrive: «Può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Ma quando questo avviene, al termine della catena sta il Lager». Quando l’uomo sprofonda nell’odio più feroce, sembra che anche Dio venga meno alla “cura” dell’uomo. L’uomo viene annientato e Dio è assente. La poesia che Levi pone all’inizio dell’opera citata, è emblema dell’uomo offeso nella sua dignità, distrutto nell’anima e nel corpo: Considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango che non conosce pace / che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no… / Meditate che questo è stato… (Anteprima a Se questo è un uomo) Alla liberazione furono trovati in una bottiglia, sepolti nel lager, alcuni fogli del «Canto del popolo ebraico massacrato», composto da Jizchaq Katzenelson tra il ghetto di Varsavia e il campo di sterminio. Questo è il passo preferito da Primo Levi: 14 l’eco del dio nascosto O cieli, ditemi, perché? Qual è la ragione di tutto ciò, di una tale offesa sulla terra? Alzate la testa verso il cielo e sputateGli in faccia. O cieli, voi non avete un Dio dentro di voi… Aprite le porte o cieli, spalancatele! Disperazione e ribellione, dunque. Eppure, anche dopo aver consumato l’omicidio dell’uomo e dichiarato la morte di Dio, l’uomo rimane comunque alla ricerca di un Dio. E lo trova, come nella parabola del buon samaritano, nell’uomo che si prende cura del fratello, incarnando il modello di comportamento di Dio che l’uomo si aspetta dal suo Dio. Non è possibile salvare Dio senza salvare l’uomo. Proprio là dove sembra regnare solo barbarie, Primo Levi è toccato da episodi di singolare bontà, che gli aprono uno squarcio di cielo. È l’incontro con un “samaritano” a salvare Levi, a salvare in lui la speranza di un mondo migliore e, con la speranza, la vita. Così egli narra in Se questo è un uomo: «Un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e il resto della sua razione ogni giorno per sei mesi; mi ha dato un giubbotto di suo, pieno di toppe; ha scritto una cartolina a mio nome in Italia e mi ha portato la risposta. Per tutto questo egli non ha chiesto né accettato alcun compenso, perché era buono e semplice e non pensava che uno ha fatto bene per una ricompensa. Credo che fosse davvero a causa di Lorenzo che sono vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per il suo avermi costantemente ricordato dalla sua presenza, dal suo modo naturale e semplice di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, non corrotto, non selvaggio, estraneo all’odio e al terrore; qualcosa di difficile da definire, una remota possibilità di bene, ma per il quale valeva la pena di sopravvivere. Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo, sono riuscito a non dimenticare che io stesso ero un uomo» (Ivi, pp.116-119). Di questo operaio, Lorenzo Perrone, scrive Levi: era «un uomo sensibile, quasi analfabeta ma in realtà una sorta di santo… istintivamente cercò di salvare la gente, non per orgoglio, non per la gloria, ma di buon cuore e per la comprensione umana. Mi disse una volta: “Perché siamo al mondo, se non per aiutarci a vicenda?”». Altra pagina densa di umanità è il ricordo dell’incontro con Jean, il Pikolo. Nel disperato tentativo di salvare qualcosa di umano, ecco riaffiorare in Levi il volto di Dio. Insieme, Levi e Jean, devono andare a prendere il secchio della zuppa e distribuirla. Devono fare un chilometro all’andata e uno al ritorno. Il ragazzo chiede allora a Levi d’insegnargli un po’ d’italiano e Primo pensa al canto di Ulisse di Dante nel XXVI dell’Inferno. Si sforza di ricordarsi i versi e li traduce, come può, al ragazzo. Quando arriva alla terzina famosa: 15 l’eco del dio nascosto Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza, Levi ha come un’illuminazione e dice: «Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca. Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono! Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene» (Ivi, p. 111). “Disseppellire l’uomo”, dunque, per “disseppellire Dio”, compromettersi con l’uomo per “prendersi cura” di Dio, di un Dio implicato nelle vicende umane fino ad assumere le sembianze dell’uomo più sofferente. È stata questa la scelta libera e consapevole di Etty Hillesum come è documentata nel suo Diario, decisione di sorprendente umanità e interiorità. Ebrea olandese, figura di eccezionale sensibilità umana e spirituale, Etty, pur avendo l’occasione di cercare la salvezza non vuole sottrarsi al destino del suo popolo e si avvia al campo di sterminio con la volontà di portare un po’ di luce nella vita altrui. Muore nel novembre del 1943, e nella testimonianza dei sopravvissuti resta fino all’ultimo una persona “luminosa”. Quel resto di umanità che Levi cerca – e non c’è umanità che, coscientemente o no, non faccia appello a Dio – si appresta a salvarla Etty, con il suo altruismo radicale capace di assorbire il male, di perdonarlo, di spezzarne la catena di trasmissione. Senza provare alcun odio o amarezza, anzi con una certa comprensione per questo tempo, ella ha dato all’odio l’unica risposta alternativa, quella dell’amore. Dio le si fa presente in quell’abisso di male come acqua viva: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e di sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo» (Diario 1941-43, p. 170). Etty tiene vivo Dio in sé instaurando con Lui una profonda relazione: «Discorrerò con te molto spesso e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi». E più avanti: «Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera» (Ivi, p. 172). Mentre la situazione storica precipita in orrore, ella chiede di essere «il cuore pensante della baracca» (Ivi, p. 169). Anziché incolpare Dio del male, comprende che «non è Dio responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi» (Ivi, p. 134). In ascolto di se stessa, cresce in benevolenza e fiducia verso la vita, intuisce il legame profondo tra le sorti dell’uomo e quelle di Dio: «L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio… per rintracciare il minuscolo 16 l’eco del dio nascosto essere umano, sepolto sotto la barbarie dell’insensatezza e dell’odio» (Ivi, p. 169). Nella certezza che l’unica cosa che conta sia salvare Dio nell’uomo, piuttosto che avvertirlo assente o nemico, scopre un nuovo volto di Dio, fa esperienza di un Dio anch’egli sofferente e morente che, come nel libro di Giobbe, si fa accanto all’uomo distrutto nell’anima e nel corpo. Dall’incontro con quel Dio Etty passa al dono sempre più radicale ai fratelli, e con il dono di se stessa ella dona Dio: «Amo così tanto gli altri, perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio» (Ivi, p. 194). «Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo!» (Ivi, p. 238). Coraggiosamente afferma: «In fondo io non credo alle cosiddette “persone malvagie”… Vorrei raggiungere le loro paure, scoprirne la causa, ricacciarli nel loro terreno interiore» (Ivi, p 211). Chiude il suo diario alla vigilia del viaggio finale con queste parole: «Vorrei essere un balsamo per molte ferite» (Ivi, p. 239). «Ad ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore… Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere» (Ivi, p. 245). In quei campi dell’orrore Dio non è stato assente. Egli è salito sulla croce con l’uomo, facendosi carico del male e del dolore di tutti, compagno degli uomini umiliati, offesi, soppressi. Con la stessa convinzione Elie Wiesel, nello scritto La notte, rievoca l’impiccagione di un bambino: «Più di una mezz’ora restò così a lottare tra la vita e la morte agonizzando sotto i nostri occhi». Dove è la bontà di Dio di fronte alla sofferenza di un bambino innocente? «Dietro di me udii il solito uomo domandare: – Dov’è dunque Dio? Se noi salveremo E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: solo i nostri corpi – Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...». dai campi di prigionia, «Percorri l’uomo – dice S. Agostino – e troverai Dio». dovunque essi siano, Dio si è reso presente nella sofferenza mortale delsarà troppo poco. l’uomo e nella compassione dei fratelli. La sua preNon si tratta infatti senza è stata avvertita e non è passata invano. Se con di conservare questa l’uomo è morta anche una parte di Dio, con Dio è vita a ogni costo, anche risorto l’uomo. Testi citati: PRIMO LEVI, Se questo è un uomo, Einaudi 2005 ETTY HILLESUM, Diario 1941- 1943, Adelphi 2005 ma di come la si conserva. Etty Hillesum 17 DICIAMOLO CON L’ARTE Il sogno biblico di Chagall Mirella Lovisolo Chagall, artista contemporaneo “ingenuo e raffinato, colto, mistico e solare” dal cromatismo esaltante che non urla a Dio, ma lo esprime, cantando la gioia del suo sogno biblico. È un ebreo che, subite le dolorose vicende delle due dittature del sec. XX, rivela una comprensione della trascendenza più ampia e più libera di quella del suo popolo che ama e che è sempre presente nelle sue poesie e nei suoi dipinti. Nasce a Vitebsk in Russia nel 1887 da una modesta famiglia di ebrei di tradizione chassidica (un movimento religioso ebraico, popolare, mistico, che favorisce il rapporto diretto dell’individuo con Dio e unisce al rifiuto dell’ascetismo un grande fervore religioso – il Shabbat – pieno di meraviglia davanti ai benefici della vita 18 terrena; una pratica religiosa entusiasta dove musica e canto hanno una gran parte). Chagall vive nella realtà culturale del ghetto della sua cittadina che conserva ancora il carattere di una borgata di campagna. Egli assimila dall’infanzia il mondo chassidico, quella mistica della natura abitata da Dio che non dimenticherà più. Nel Lo Sabbath - 1910 DICIAMOLO CON L’ARTE suo linguaggio pittorico appaiono infatti ampiamente, i simboli che egli trae dal suo vissuto, fatto di piccole cose che diverranno il suo scrigno poetico: il gallo, la vacca, il violinista sul tetto, i cavalli che volano, le vecchie case di legno di Vitebsk; cose tradizionali come la preghiera dei contadini e dei rabbini, le innamorate, le feste, le venditrici ambulanti, sinagoghe e chiese ortodosse, elementi che ricorreranno sempre nelle sue tele. Nel 1910 Chagall va a Parigi dove porterà il suo mondo e la sua fantasia mentre, a contatto con l’espressività cromatica degli impressionisti, dei Fauve e la scomposizione dei Cubisti, la sua pittura si arricchisce di colore, di toni fantastici, lirici, fiabeschi e sognanti, dove gli uomini volano e le case lievitano come nuvole. In Parigi dalla mia finestra del 1913, il gatto, con la testa umana, guarda stupito quel mondo nuovo davanti a lui; in primo piano il volto di Chagall rivolto verso Vitebsk e, allo stesso tempo, a Parigi. Il dipinto ricorda Delaunay e il Cubismo sintetico. Io e il villaggio del 1911 è una delle sue opere più importanti. Sulla tela geometricamente divisa secondo le linee del cubismo sintetico, appare l’espressione della nostalgia del pittore mentre l’allungarsi delle figure, liberate dalla gravità newtoniana e il rifiuto della prospettiva, si ricollegano alla tra- La Crocefissione bianca - 1938 dizione bizantina delle icone russe. Chagall, nominato Commissario delle Belle Arti, in Russia fonda un’Accademia; entusiasta della Rivoluzione in atto, vuole “far scendere l’arte per la strada” per avvicinarla al popolo. Il suo incarico però dura poco. Egli non tollera i conformismi e la strumentalizzazione della cosiddetta “arte proletaria” dove primeggia il costruttivismo di Malevitch, il teorico dell’arte della rivoluzione. Nel 1919 Chagall è allontanato dalla sua scuola. Raggiunge la Germania, ma sono tempi cupi, il Nazismo sta trionfando; Chagall va in Palestina alla fonte della sua cultura della Bibbia. Tornerà per sapere che nel 1933, 19 DICIAMOLO CON L’ARTE Goebbels – capo nazista – ha bruciato in piazza i suoi dipinti. Appare allora nelle sue opere il tema del Crocefisso, simbolo universale della sofferenza degli uomini, del suo popolo, della sua sofferenza personale e forse speranza di riscatto dell’umanità. Ricordiamo la Crocefissione Bianca del 1938 che è un grido di compassione per i connazionali perseguitati. Vi appaiono tutti i simboli della sofferenza degli ebrei in fuga: la sinagoga in fiamme, Vitebsk distrutta, la Torah gettata nel fuoco, mentre il personaggio principale è il Crocefisso “Gesù di Nazareth, Re dei Giudei” che ha come perizoma il mantello rituale ebraico. Con l’avvento della Shoà Chagall fugge e lavora negli Stati Uniti; qui nel 1944 muore la moglie Bella. Il dolore di Marc è senza limiti, per quasi un anno non dipinge più. Tornato in Europa, si stabilisce a Vence sulla Costa Azzurra e termina nel 1956 i temi della Bibbia, opera di vasto respiro, dal messaggio spirituale universale. Chagall portò sempre con sé una predisposizione aperta ai temi biblici in cui coglie significati profondi e personali: “Fin dalla mia giovinezza sono stato affascinato dalla Bibbia, la fonte cui hanno attinto, come in un alfabeto colorato, gli artisti di tutti i tempi”. Mi è sempre sembrato e mi sembra ancora la più grande fonte di poesia di tutti i tempi… Se Creazione dell’uomo - Museo biblico di Nizza 20 DICIAMOLO CON L’ARTE gli uomini volessero leggere con più attenzione la parola dei profeti, potrebbero trovarvi le chiavi della vita” (1973). Questa affermazione esprime bene il posto che occupa nell’arte e nella vita la Bibbia, il Libro sacro dove Ebrei e Cristiani si riconoscono fratelli. Quella “Parola” si è calata nelle forme storiche del tempo e nel linguaggio di un uomo, il profeta che è diventato strumento ispirato per trasmettere il messaggio di Dio che oggi gli studi biblici e le ricerche archeologiche ci aiutano a comprendere meglio. Chagall dona alla Francia l’intera opera collocata nel Musée du Message Biblique a Nizza con questa dedica: «Ho voluto dipingere il sogno di pace dell’umanità… Forse in questa casa verranno giovani e meno giovani a cercare un ideale di fraternità e d’amore come i miei colori l’hanno sognato. Forse non ci saranno più nemici… e tutti, qualunque sia la loro religione, potranno venire qui e parlare di questo sogno, lontano dalla malvagità e dalla violenza. Sarà possibile questo? Credo di sì, tutto è possibile se si comincia dall’amore». LA CREAZIONE DELL’UOMO (Gen 1,26). L’ampia tela posta all’ingresso della grande sala, presenta Adamo che, ancora addormentato, abbandonato e inerte nelle braccia del Creatore, simboleggiato dall’Angelo che presto lo deporrà sulla terra; la creatura divina distoglie lo sguardo da lui: l’uomo fatto ad “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,27) è posto di fronte alle sue responsabilità, è libero; ma sotto di lui, arrotolato, appare già il serpente tentatore. L’uomo che soccombe alla caduta, si contrappone alla sfolgorante girando- Il giardino dell’Eden - Museo biblico di Nizza 21 DICIAMOLO CON L’ARTE la della Creazione. Con i protagonisti della storia di Israele la sfera di fuoco culmina nella grande figura del Cristo crocefisso, simbolo di sofferenza e speranza della Redenzione. IL GIARDINO DELL’EDEN (Gen 2,16-24; 3). È il luogo dell’accordo intimo, della pace tra tutti i viventi. L’uomo e la donna, animali e angeli, circondano la coppia originale, suprema incarnazione dell’amore del Creatore per le sue creature (espresso in alto nella splendida figura angelica dal sorriso ineffabile). Nell’opera, Adamo ed Eva, diventano i gambi dei mazzi di fiori intorno all’Angelo, in un insieme che si assimila all’albero della vita. Ma i progenitori, strettamente abbracciati, portano insieme la La cacciata dei progenitori 22 responsabilità del peccato: l’associazione nella risposta al tentatore. LA CACCIATA DEI PROGENITORI (Gen 3,23). Adamo ed Eva, cacciati dall’Eden, sembrano correre sulle ali del gallo che contrariamente a quanto comunemente si pensa, è simbolo di risurrezione. Il volatile volge lo sguardo verso la luce, l’albero della vita sulla cui sommità splende un disco bianco, simbolo della Presenza stessa di Dio nella cui luce si radica la Bellezza eterna e che ci rimanda all’Eucaristia. «Non mi sorprende, dice Gloria Riva (Avvenire 19/6/014) che l’artista Marc Chagall, fiero della sua ebraicità eppure totalmente aperto alla cattolicità, abbia saputo apprendere e rielaborare in modo originale il segno eucaristico. Sulla sommità dell’albero della vita splende un disco bianco. Simbolo della Presenza stessa di Dio nella cui luce si radica la Bellezza eterna». religioni culti magìa Un business milionario Mito del potere magico Laura Rossi L’uomo primitivo ebbe da affrontare le angosce esistenziali del dolore, della sopravvivenza, della morte. Per difendersi dai fenomeni sconosciuti della natura e non soccombere tentò di imprigionare quelle forze che lo terrorizzavano. Credeva fortemente di avere potere sulla natura, potere che in seguito venne definito potere magico. Per esempio, disegnò sulle rocce forme di animali convinto che con il disegnarne l’immagine, l’animale diventasse di suo dominio e così potesse essere catturato. Perché quell’immagine disegnata corrispondeva simbolicamente all’animale stesso, era l’animale del disegno, esorcizzato. La magìa rientra nel campo dell’occultismo e ne costituisce la corrente che mira al potere, cioè alla possibilità e capacità di interferire su forze esterne all’uomo. Il magico, al contrario del sacro, crede nelle forze soprannaturali impersonali, cioè della natura, e nella possibilità di assoggettarle alla volontà umana. Per venire all’oggi, da circa quarant’anni, con l’avvento in forme or- ganizzate dei Movimenti New Age, c’è il tentativo di tornare al primitivo, ma con la tendenza a confondere il sacro con la magìa. Il sacro, riconoscendo che al di sopra dell’uomo esistono un creatore con poteri assoluti sulla natura, e altre divinità inferiori con mansioni specifiche, spinge l’uomo a sottomettersi alla divinità e al riconoscere che da essa tutti dipendiamo. Trattare il sacro compete alle religioni che con l’andar del tempo devono sempre di più contendere con le numerose forme di occulto, specialmente con lo spiritismo e la magìa. Questi sono pseudo-culti del soprannaturale, ma distorti, creativizzati in modo negativo cioè resi iniziatici, esoterici e settari. E quasi certamente sono operazioni che offrono possibilità di far denaro e di ottenere successo e potere. Le comunità cristiane in occidente devono affrontare situazioni di confusione provocate dalla assidua partecipazione di alcuni loro membri ai gruppi magico-spiritici-occultistici. Cioè frequentano gruppi, anche solo 23 religioni culti magìa di preghiera, dove si pratica lo spiritismo classico, l’evocazione dei morti, e lo spiritismo del new age, il channelling con la scrittura automatica e altre forme di registrazione delle voci dei trapassati. I leaders di questi gruppi esercitano molta influenza sui loro seguaci e possono anche creare in loro una specie di dipendenza. Il capo carismatico è ritenuto più autorevole e degno di affidamento che non le Sacre Scritture bibliche dove ripetutamente gli autori sacri ribadiscono che Dio non vuole che si evochino i morti e che si pratichi la magìa. Ma il leader oggi è diventato o diventata, poiché è alto il numero di donne che praticano riti occulti, il nuovo sacerdote, il guru della società dei consumi e del tornaconto che consiste nel costruire il proprio successo. Come sacerdote non ha più, come nella religione cristiana, il mandato da Dio, ma si autoproclama tale in base ai propri poteri e in base a questi compie i riti che la gente richiede, disposta a pagare qualunque cifra pur di ottenere il suo magico intervento per un fine di bene o di male. Ogni sacerdote deve avere anche un libro sacro e un noto mago, con inchiostro magico, preparò il suo Libro del potere, dove ad un certo punto scrisse: «La magìa non sarà più un mistero, ora sarà un potere!». FOGLIO DI COLLEGAMENTO - Semestrale di informazione dell’Associazione Informazioni su Cristo 10125 Torino Corso Marconi 3 Tel. e Fax 011 540681 16124 Genova Piazza Bandiera 27r Tel. e Fax 010 2465085 12100 Cuneo Corso Giolitti 21 Tel. 333 3901053 Internet: www.informacristo.org E-mail: [email protected] ccp 31717101 Direttore Responsabile Renza Guglielmetti - Registrazione Tribunale di Saluzzo n. 124 del 4-4-1991 24 ROC n. 19390