BIBLIOTECA ONLINE
DELL’ ORIENTAMENTO
Occupazione e Mobilità in Zona Frontaliera
L’estremo ponente ligure dall’Ottocento ai giorni nostri:
Terra di Viaggiatori, Migranti ed Immigrati
Dott. Alberto Guglielmi Manzoni
CC BY-NC-SA – Permettiamo di distribuire, modi�icare, creare opere derivate dall’originale, ma non a scopi
commerciali. Tutto ciò a condizione che venga riconosciuta la paternità dell’elaborato all’autore e che alla
nuova opera vengano attribuite le stesse licenze dell’originale (quindi ad ogni derivato non sarà permesso
l’uso commerciale).
INDICE
INTRODUZIONE
p. 2
CAPITOLO I
STRANIERI in ITALIA e nell’ESTREMO PONENTE LIGURE
tra OTTOCENTO e NOVECENTO
a-) Una panoramica generale
p. 6
b-) Comunità religiose ed iniziative filantropiche
ad opera degli stranieri nel Ponente ligure
p. 15
CAPITOLO II
MIGRANTI ITALIANI in FRANCIA: il CASO dei FRONTALIERI
della LIGURIA
a-) Alcune considerazioni generali
p. 24
b-) Vicende, stereotipi e pregiudizi dall’Ottocento
al secondo dopoguerra
p. 33
c-) Gli italiani in Francia ai tempi della grande migrazione
p. 49
d-) Caratteristiche e sviluppi dell’integrazione sociale e culturale
nell’area transfrontaliera italo-francese
p. 51
CAPITOLO III
I MIGRANTI di OGGI nell’ESTREMO PONENTE LIGURE e
il RUOLO dei CENTRI per l’IMPIEGO nell’ORIENTAMENTO
a-) Le principali comunità straniere nel territorio della provincia
di Imperia
p. 58
b1-) I Centri per l’Impiego: l’orientamento e i principali servizi
offerti nella provincia di Imperia
p. 70
b2-) L’orientamento: significato, finalità e applicazioni con utenti
italiani e stranieri
p. 73
CONCLUSIONE
p. 87
2 INTRODUZIONE
La Provincia di Imperia è una delle quattro province che compongono la
Liguria e conta 221.885 abitanti (dati Istat al 31/12/2009). Comprende 67
Comuni e si estende su una superficie di 1.156 km².
È la trasformazione della vecchia provincia di Porto Maurizio. Nel mese
di maggio del 1945 il territorio dell’attuale provincia fu occupato da truppe di
soldati francesi, i cosiddetti Tirailleurs, su ordine diretto di Charles de Gaulle,
che dopo un mese si ritirarono nuovamente oltre Ventimiglia.
Il capoluogo è Imperia (circa 41.500 abitanti) che risulta essere superato
per popolazione dal Comune di Sanremo (circa 56.000 abitanti).
Il settore economico si basa essenzialmente sul turismo, con centri
balneari che offrono ai turisti svariati servizi. L’agricoltura, sviluppata
principalmente nelle piane Intemelia, Argentina e Dianese, oltre che sui colli
litoranei e del primo entroterra, si basa essenzialmente su tre prodotti di
qualità: i fiori (soprattutto nella fascia che va da Ventimiglia a Sanremo), la
vite e l’olivo. L’allevamento del bestiame è praticato soprattutto nelle zone
montane dell’alto comprensorio Intemelio, nel Pievese e nella zona del Col di
Nava. L’industria si concentra principalmente ad Imperia, Ventimiglia e nelle
valli Argentina-Armea, e si sviluppa per lo più nel settore alimentare, edile, e
della floricoltura industriale. Il terziario è principalmente sviluppato nelle
maggiori città: Sanremo, Imperia, Ventimiglia.
Ma com’era la situazione nel Ponente ligure e come si è sviluppata
dall’Ottocento ai giorni nostri? Ai fini della ricerca del presente lavoro - il cui
taglio è prevalentemente storico-sociologico - è utile ed importante indagare e
ripercorrere, sia pure a grandi linee, le alterne vicende che, in riferimento alle
tematiche del lavoro e dell’occupazione, hanno caratterizzato i movimenti e le
attività della popolazione, sia autoctona che forestiera, di questo angolo della
Liguria.
Come si evince chiaramente dal titolo dell’elaborato, il filo conduttore
del medesimo è costituito dalla relazione tra la presenza degli stranieri, dal
3 ruolo e dall’azione che questi hanno esercitato dall’Ottocento ai giorni nostri e
le tematiche del lavoro quali si sono via via presentate, nell’arco di due secoli,
nel territorio preso in esame. Nell’illustrare ruolo e funzioni dei Centri per
l’Impiego, che sono uno degli attori dell’incrocio domanda-offerta dei giorni
nostri, si sono approfonditi il significato e l’applicazione del processo
orientativo che riguarda sia l’educazione alla scelta di percorsi di istruzione e
formazione, sia l’educazione alle opportunità professionali, finalizzata alla
conoscenza, anche diretta, del mondo del lavoro.
Il primo capitolo getta luce sul fatto che indubbio, notevole e composito
è stato il contributo apportato dagli stranieri (principalmente tedeschi, inglesi,
russi), nel corso dell’Ottocento e segnatamente a partire dalla fine di esso sino
ai primordi del secolo successivo, al costituirsi di varie imprese e realtà sul
piano socio-economico ma anche su quello culturale e solidaristico della vita e
della popolazione delle località del Ponente ligure. In un simile contesto si è
realizzata una forte sinergia tra persone di varie nazionalità e diverse
confessioni religiose. Di tale azione sinergica ha beneficiato la popolazione
locale composta, in prevalenza, da persone di modeste condizioni economiche
e prive di istruzione. Sono state pertanto descritte le diverse caratteristiche
socio-economico-culturali e religiose dei principali gruppi di stranieri, le
motivazioni e le finalità che li hanno portati a soggiornare o a stabilirsi in
questo angolo di Liguria; l’incidenza, quindi, di questi stranieri nell’economia
locale e i vari mutamenti da loro realizzati nelle dinamiche del mondo del
lavoro.
Il secondo capitolo descrive flussi e vicende dei migranti italiani in
Francia. Si sofferma sui molteplici e a volte concomitanti fattori che hanno
portato i nostri connazionali oltre confine nel corso dell’età moderna e
contemporanea ma soprattutto sul fenomeno dei frontalieri della Liguria:
fenomeno che ha caratteristiche storico-sociologiche e geografico-economiche
sue peculiari.
Dal secondo dopoguerra ai giorni nostri è cambiata l’area di provenienza
degli italiani in Francia: prevalentemente italiani del nord-est (Veneto e Friuli)
4 e, in misura considerevole, italiani del sud (Ciociaria, Puglie, Calabria, Sicilia)
secondo i soliti meccanismi aggregativi delle catene migratorie che si
producono spontaneamente a livello delle singole famiglie e comunità di
migranti. Per quanto riguarda gli italiani di provenienza centro-meridionale, i
primi immigrati nel Ponente ligure risalenti al 1921-25 sono stati Calabresi a
Ventimiglia, Abruzzesi a Coldirodi (sulle colline di Sanremo) e Riva Ligure.
Nel corso degli anni, essi hanno in vario modo sollecitato la venuta di familiari
e parenti dalle terre d’origine. L’immigrazione si è compiuta così secondo una
‘catena’ progressiva di solidarietà familiare e paesana. Vere e proprie colonie
di meridionali (calabresi, abruzzesi, siciliani, pugliesi) si sono formate poi nei
vari comuni del territorio imperiese e del comprensorio intemelio.
Lo stesso fenomeno dei frontalieri dell’estremo Ponente ligure ha
riguardato, in minima parte, gli autoctoni e in misura assai significativa proprio
questi nutriti gruppi di immigrati, provenienti dalle regioni del sud d’Italia, i
quali sono affluiti nella zona ligure di confine alla ricerca senza dubbio di una
sistemazione lavorativa e residenziale ma, soprattutto e il più delle volte, col
preciso scopo di diventare frontalieri. La loro sarebbe stata, dunque, una scelta
‘forzata’, considerate le caratteristiche economico-strutturali ben poco
incoraggianti dell’Italia e certamente di questa particolare area territoriale di
frontiera.
Il terzo capitolo descrive, invece, le caratteristiche delle principali
comunità straniere di oggi (albanesi, romeni e marocchini) nel Ponente ligure
e, al tempo stesso, il ruolo e le funzioni degli attuali Centri per l’Impiego, che
sostituiscono i vecchi Uffici di Collocamento. Relativamente all’aspetto
dell’orientamento da questi espletato nel territorio della provincia di Imperia,
particolare attenzione è stata rivolta alla pratica dell’orientamento presso il
Centro per l’Impiego di Sanremo che, ormai da anni, si interfaccia, con sempre
maggiore frequenza, con utenti stranieri di varia provenienza e fascia d’età.
Tra i servizi offerti dai Centri per l’Impiego della provincia di Imperia vi
sono: l’orientamento, la preselezione e il tutoraggio individuale. È stato
enucleato ed approfondito il significato dell’orientamento il cui concetto ha
5 avuto, nel corso della storia, modalità di espressione e declinazioni molto
diverse. Mentre il processo di orientamento come rapporto fra la persona e la
propria esperienza lavorativa ha accompagnato la vita dell’uomo in tutto il
percorso storico, l’azione professionale finalizzata a sostenere ed articolare
questo rapporto è piuttosto recente: ha solo un secolo di vita. Oggi
l’orientamento è visto e concepito come processo di auto-orientamento e autoeducazione alla scelta e come tale è un processo che accompagna l’intera vita
di un individuo.
Ai fini della preparazione e stesura del presente elaborato sono stati
utilizzati, quasi interamente, saggi, articoli di riviste, atti di convegni e
interviste.
I guitti e I migratori (Disegni di Duilio Cambellotti, 1924).
6 I
STRANIERI in ITALIA e nell’ESTREMO PONENTE
LIGURE tra OTTOCENTO e NOVECENTO
a)
Una panoramica generale
A partire dalla seconda metà del secolo XVIII, l’Italia, grazie alle sue
bellezze artistiche e alla salubrità del suo clima temperato, diventò meta
prediletta per i viaggiatori del Grand Tour, specialmente in séguito alle scoperte
di Ercolano e Pompei, avvenute rispettivamente nel 1738 e nel 1748. Non è un
caso che, proprio in quegli anni, incominciarono a giungere nel nostro Paese, da
ogni parte d’Europa, visitatori appartenenti all’aristocrazia. Soprattutto
nell’Ottocento si sviluppò il turismo d’élite: ne risentì in misura notevole e
significativa lo stesso Ponente ligure1.
Gli scambi commerciali con l’estero e le importanti relazioni economiche
e culturali che ne derivarono possono spiegare il fatto, ad esempio, che alla fine
del secolo diciannovesimo la città di Sanremo ospitava i consolati di Russia e di
Grecia e i vice-consolati di Gran Bretagna, Germania, Danimarca, Olanda,
Portogallo, Spagna, Svezia e Norvegia (allora unite in un solo regno scioltosi
pacificamente nel 1905), ma anche di Argentina, Brasile, Paraguay, Perù e Stati
Uniti2 ed altre rappresentanze furono aperte nei primi anni del Novecento.
Una guida del tempo, pubblicata a Milano ma in lingua inglese, a
proposito della presenza di stranieri nella Città dei Fiori, parlava di circa 22.000
visitatori (mediamente durante l’anno), di ogni nazionalità, soprattutto inglesi,
americani e tedeschi di cui quasi 4.000 residenti nei numerosi alberghi, pensioni
1
Il presente saggio riprende, modificandone e rielaborandone qua e là il testo, un personale
contributo dal titolo Espressioni di filantropia ed ecumenismo cristiano nell’estremo Ponente
ligure tra Ottocento e Novecento apparso su «Intemelion» n.15 (2009), pp. 131-159.
2
Vedi: A. OSTROWICZ M. D., Stranger’s Guide to San Remo, edito da A. Bruckmann, Munich
1894, p.60. Si tratta di una pregevole guida in inglese pubblicata da un editore tedesco, con sede a
Monaco di Baviera.
7 e ville (strutture ricettive che superavano il numero delle 150 unità)3.
È nondimeno un dato storico ormai acquisito e consolidato che indubbio,
notevole e composito è stato il contributo apportato dagli stranieri, nel corso
dell’Ottocento e segnatamente a partire dalla fine di esso, al costituirsi di varie
realtà ed opere sul piano socio-economico ma anche su quello culturale e
solidaristico della vita e della popolazione delle località di questo angolo di
Liguria e non è, forse, superfluo sottolineare che in un simile contesto si è
realizzata una formidabile ed intensa sinergia tra persone di varie nazionalità e
diverse confessioni religiose in nome anche di comuni ideali e princìpi
(filantropia, ecumenismo cristiano). Di tale azione sinergica ha beneficiato la
popolazione locale (composta in prevalenza da persone di modeste condizioni
economiche e prive di istruzione) e ad essa hanno nondimeno concorso alcuni tra
i più colti e spiritualmente ispirati dei residenti e nativi di queste cittadine
rivierasche4.
3
Vedi: Sanremo. Italy - Riviera. Station d’Hiver - Guide - Souvenir français - English, Tip. ‘The
Artistic International Advertising Company’, Milano 1900.
4
Diventando tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo ventesimo meta privilegiata del
turismo europeo d’élite, Sanremo poté contare sulla presenza di stranieri abbienti e facoltosi. Va
pur detto che non tutti questi stranieri, naturalmente, si segnalarono per sensibilità verso attività
culturali e filantropiche. Una parte di loro era semplicemente interessata ad una ‘dolce vita’
all’insegna del lusso e dell’ostentazione della propria ricchezza. In quel periodo di «tutte le città
della Riviera italiana, soltanto Sanremo è da ritenersi, insieme a Cannes o Nizza sulla Costa
Azzurra, luogo privilegiato della high society, dell’eleganza, degli oziosi benestanti e dell’elevato
stile di vita» da R. LEGLER, Die italienische Riviera. Ligurien - die Region und ihre Küste von
San Remo über Genua bis La Spezia, Dumont Buchverlag, Köln 1985, p. 322. Tra i viaggiatori e
turisti di lingua tedesca, vi fu chi, alla vita sfavillante e delle ricche attività commerciali lungo la
costa, preferiva la tranquillità ed il fascino delle zone collinari di Sanremo. Così scriveva, ad
esempio, Alfred Steinitzer che giunse nella Città dei Fiori nel 1906: «Lassù impallidisce il rancore
per la gente dal grande portafoglio; la frugale colazione, sacco in spalla, servita su una roccia è più
prelibata del più raffinato pranzo apparecchiato su una tavola adorna di fiori. Ci si sente al di sopra
dei lussuosi commerci che pur danno immensi piaceri e si ha la confortante sensazione che
provano coloro che vivono sotto [lungo la costa, N.d.T.], come se si appartenesse ai ‘ricchi’». A.
STEINITZER, Aus dem unbekannten Italien, R. Piper & Co., München 1911, p. 11. Quanto alla
percezione che degli stranieri e di quelli di fede protestante ebbero i residenti, da un punto di vista
socio-culturale e religioso, può essere interessante ricordare alcune considerazioni che il pastore
valdese Giovanni Petrai redasse in un rapporto datato 1894: «Dell’evangelizzazione propriamente
detta dobbiamo pur troppo con nostro grande rincrescimento, dire, come già abbiamo fatto gli anni
scorsi, che in questo ramo i progressi sono assai lenti, almeno per quanto riguarda i risultati visibili
e diretti. Ci sono dei risultati indiretti di cui bisogna tener conto. Poco a poco alcuni dei più
inveterati pregiudizi spariscono; si fa a poco a poco strada l’opinione che anche noi siamo
cristiani, anzi come molti riconoscono, più cristiani dei cattolici romani; ma per quanto amici, a
parole, dell’Evangelo, si mantengono o indifferenti o nominalmente cattolici romani, sia per
rispetto umano, sia per mancanza di vere e proprie convinzioni. Oltre a ciò, la continua ricerca
8 Lo studioso locale Saverio Napolitano ha indagato, in modo particolare, il
cinquantennio 1872-1922: periodo che nella storia ponentina rappresenta «una
fase di netta differenziazione rispetto al passato, meritevole di un’adeguata messa
in luce della dinamica di modernizzazione che investì la Riviera conferendole
una fisionomia radicalmente altra»5. Questo processo di modernizzazione
presenta nell’estremo Ponente ligure elementi peculiari e distintivi, tra i quali il
fatto che «lungo la Riviera - in modo clamoroso a Sanremo/Ospedaletti e
Bordighera, prima apprezzate come località terapeutiche, poi esclusivamente
mondane - lo sviluppo turistico introduce nuove opportunità lavorative e
occupazionali (edilizia, artigianato, attività tecniche, servizi, professioni), da cui
sono scaturiti l’incremento demografico dei centri costieri, il forte contenimento
del fenomeno emigratorio verso le Americhe e parzialmente verso la Francia,
l’esodo nelle città dai piccoli paesi dell’entroterra e della fascia rivierasca, oltre
all’immigrazione extraregionale; […] l’afflusso degli stranieri avvia un processo
di internazionalizzazione, “civilizzazione” e “laicizzazione” della società
ponentina con riflessi sulla dinamica sociale; sugli stili di vita; sulla disciplina
del lavoro col servizio prestato in alberghi, ville, banche, strutture ricreative e
assistenziali, negozi; sulla maturazione dell’idea di diritti economico-sociali e di
interazione solidaristica in società di mutuo soccorso e associazioni operaie; sulla
parziale emancipazione delle donne che si avviano ad attività lavorative diverse
dalle tradizionali. […] Questa modernizzazione ha toccato anche altri aspetti
della vita sociale se pensiamo alle attività teatrali e musicali del Casinò di
Sanremo; alle mostre d’arte e floricole; alle sfilate, corse e gare automobilistiche
e ciclistiche; alla formazione di gruppi sportivi, bandistici e jazzistici nei quali
ebbero modo di emergere talenti locali, alla costituzione di associazioni ed enti;»6
delle cose materiali in un paese che vive quasi unicamente sui forestieri, addormenta le coscienze e
indurisce il cuore» da R. NISBET, La chiesa valdese di Sanremo, dattiloscritto inedito composto
nel corso degli Anni Settanta del Novecento.
5
S. NAPOLITANO, Presenze straniere e modernizzazione nell’estremo Ponente ligure: 18721922. Questo contributo figurerà nell’opera collettanea di A. GUGLIELMI MANZONI (a cura di),
Stranieri nel Ponente ligure. Percorsi e testimonianze tra Ottocento e Novecento, Atene Edizioni,
Arma di Taggia (IM), che uscirà nel corso del 2011. Il passo citato è a p. 13.
6
S. NAPOLITANO, Presenze straniere e modernizzazione nell’estremo Ponente ligure…, op. cit.,
pp. 14-15.
9 così come non va dimenticato l’elemento costituito da una «classe politica locale
formata dall’aristocrazia liberale e dalla borghesia emergente, che coglie con
molta chiarezza il mutamento dei tempi e le nuove prospettive economiche legate
al turismo (ma molto meno alla floricoltura, che pure non era ignorata),
impostando in questa direzione, con coerenza, ostinazione e lungimiranza, un
vero e proprio progetto politico-amministrativo. Il suo impegno, sia pure
contrastato inizialmente da un combattivo “partito” antituristico formato dagli
antichi maggiorenti, del tutto scettici sulle frontiere economiche che potevano
essere aperte dalla nuova realtà, si indirizza, tra il 1865 e il 1880 circa, verso lo
sviluppo delle strutture ricettive e l’avallo alla tratta ferroviaria GenovaVentimiglia. Successivamente, tra il 1880 e il 1905 circa, verso la dilatazione e
trasformazione urbana di Sanremo e Bordighera, la risoluzione della questione
igienico-sanitaria (acquedotti e reti fognarie), la creazione di strutture di
entertainment e di leisure (Casinò a Sanremo, Kursaal a Bordighera): opere che
vengono realizzate anche su istanza e sollecitazione dei nuovi residenti e
soggiornanti, attivandosi così una proficua sinergia tra gli ospiti stranieri e gli
amministratori comunali»7.
Non erano solo inglesi i turisti che approdarono nella Riviera ligure di
Ponente alla fine dell’Ottocento: ci furono anche tedeschi e russi e, in misura
minore, svizzeri, francesi e americani8.
7
S. NAPOLITANO, Presenze straniere e modernizzazione nell’estremo Ponente ligure…, op. cit.,
p. 15.
8
Per i riferimenti e i dati storici di queste pagine mi sono avvalso delle preziose informazioni
ricavate da: A. GANDOLFO, Vite di sanremesi illustri, Edizione Casabianca, Sanremo (IM) 2009;
G. SILINGARDI, C’era una volta a Sanremo. Storia della seconda metà del 1800, Edizione
Casabianca, Sanremo (IM) 2008; D. ASTENGO, L’altro sguardo. Artisti e viaggiatori in Liguria
dal '700 al '900, Philobiblon Edizioni, Ventimiglia (IM) 2007; G. B. VARNIER, Chiesa e
religiosità nella Liguria contemporanea: diocesi e vita religiosa in G. ASSERETTO - M. DORIA
(a cura di) Storia della Liguria, Roma-Bari 2007, pp. 345-362; F. D’IMPORZANO - R. LUPI,
Sanremando tra cronaca e storia, Philobiblon Edizioni, Ventimiglia (IM) 2004; Guida di
Sanremo, ristampa di una guida turistica edita nei primi anni del Novecento, Edizioni Il Nuovo
Atelier snc, Sanremo 2003; A. GANDOLFO, Storia di Sanremo, in «Quaderno n. 10», Circolo
Filatelico Numismatico Sanremese, Ed. R. Colombo, Sanremo (IM) 2000, in particolare pp. 215279; J. PEMBLE, La passione del sud. Viaggi mediterranei nell’Ottocento, Il Mulino, Bologna
1998; M. TALALAY, Le chiese degli stranieri, in AA.VV., Immagini di San Remo nel mondo, a
cura di E. Kanceff, Centro Interuniversitario di Ricerche sul ‘Viaggio in Italia’, Comune di
10 Certo è, comunque, che la presenza inglese lasciò un segno vivo ed assai
importante in questo angolo di Liguria, dal momento che i non pochi sudditi di
Sua Maestà che qui si trovarono a transitare per poi, il più delle volte,
soggiornarvi o stabilire la propria residenza, non solo goderono della piacevole
tranquillità del posto e dei salutari effetti del clima - specie nella stagione
invernale - ma diedero un formidabile impulso all’economia locale, favorendo il
flusso turistico ed incentivando gli scambi commerciali: fecero costruire alberghi,
ville con bellissimi giardini, banche d’affari, sale da tè e campi da tennis, ma
anche chiese e ricoveri, diventando così promotori di vere e proprie iniziative
filantropiche ad ampio respiro. Tra i britannici dell’età vittoriana ed edoardiana,
l’Italia occidentale con le sue città di mare - specialmente quelle del Ponente
ligure - fu la destinazione più popolare. Si trattava, in modo particolare, di nobili,
facoltosi commercianti e proprietari terrieri insieme a letterati ed artisti, i quali
predilessero il sud e il Mediterraneo nel corso del secolo diciannovesimo almeno
sino alla fine del 1860, allorché il primato andò alle altrettanto rinomate località
Sanremo (IM) 1998; E. PORRI, Sanremo. Nel segno della fede, in «Quaderno n. 4», Circolo
Filatelico Numismatico Sanremese, Ed. R. Colombo, Sanremo (IM) 1995; G. MERELLO,
L’immagine turistica di Bordighera, Medalei Editore, Bordighera (IM) 1995; D. NEGRI, La
Biblioteca Civica Internazionale di Bordighera: un caso di presenza inglese in Italia, Tesi di
Laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Corso di Laurea in
Lingue e Letterature Straniere Moderne, anno accademico 1993-1994; R. COLOMBO, Sanremo.
Le scelte del tempo, in «Quaderno n. 1», Circolo Filatelico Numismatico Sanremese, Ed. R.
Colombo, Sanremo (IM) 1993; E. FUNELLI, Gli Inglesi a Bordighera, Tesi di Laurea, Facoltà di
Magistero dell’Università degli Studi di Genova, anno accademico 1988-1989; B. DURANTE - F.
POGGI - E. TRIPODI, I “graffiti della storia”: Vallecrosia e il suo retroterra, Edizioni Erio’s,
Vallecrosia (IM) 1984; R. NISBET, La comunità e l’istituto di Vallecrosia (nel centenario del
tempio), Coop. Tipografica Subalpina, Torre Pellice 1978; R. NISBET, La chiesa valdese di
Sanremo, cit.; A. HOHLFELD, 90 Jahre Kurkapellen in Italien 1886-1976, Verein für Einrichtung
deutsch-evangelischer Gottesdienste in Kurorten e.V., Wiesbaden 1976 (una copia è conservata
nell’archivio della chiesa valdese di Bordighera); E. BERNARDINI - G. BESSONE (a cura di),
Bordighera ieri, Edizioni S.A.S.T.E., Cuneo 1971; A. BACHERINI, San Remo 800, Camillo
Tacconis Editore, Sanremo (IM) 1965; G. FERRARI, Chiese antiche di San Remo, Camillo
Tacconis Editore, Sanremo (IM) 1965; D. TAGGIASCO, Bordighera, Stabilimento Tipografico
“Giacomo Gandolfi”, Sanremo (IM) 1930; A. MUSTON - G. BONNET - E. MEYNIER,
Riassunto storico della evangelizzazione valdese durante i primi cinquant’anni di libertà 18481898, Tipografia Chiantore-Mascarelli, Pinerolo (TO) 1899. Si è citato come autore Roberto
Nisbet, merita ricordare che costui (1904-1996), di origine scozzese, fu pastore delle comunità di
Sanremo, Bordighera e Vallecrosia dal 1963 al 1975: abitò dapprima, dal 1963 al 1968, alla Casa
Valdese di Vallecrosia per poi passare a Sanremo sino alla fine del suo mandato. A lui si deve la
minuziosa trascrizione dattiloscritta di una grandissima quantità di documenti, lettere, verbali,
resoconti - che sarebbero altrimenti andati persi - riguardanti la vita e l’organizzazione delle varie
comunità del Ponente ligure dall’Ottocento agli anni Settanta del Novecento.
11 della Riviera francese. Pellegrinaggi, cultura e salute furono molto sovente le
vere ragioni di questi numerosi viaggi alla volta del sud dell’Europa.
Le guide del tempo informano che il turismo fu notevolmente potenziato
verso la metà dell’Ottocento, in un primo tempo, per opera dell’acuta e
lungimirante contessa Adele Roverizio di Roccasterone che ospitò - in una villa
fatta costruire appositamente - i primi turisti inglesi. Quindi, per la grande eco
suscitata dalla pubblicazione del romanzo del mazziniano Giovanni Ruffini,
Doctor Antonio.
Nel 1865, quando la linea ferroviaria tra Nizza e Sanremo era in fase di
progettazione (sarebbe stata completata nel 1874 ed entrò in funzione il 27
gennaio 1872), lo stesso Ruffini scrisse un articolo Sanremo revisited (Sanremo
rivisitata), in cui si augurava una presenza più significativa di frequentatori,
specialmente inglesi, nella incantevole città matuziana. Le strutture, dotate di
ogni comfort, erano del resto pronte ad accoglierli: basti pensare ad alberghi
prestigiosi come il ‘Victoria’, l’‘Angleterre’, il ‘Grande Bretagne’ e il ‘Londres’,
costruito - quest’ultimo - da Pietro Bogge nel 1861 all’inizio del centrale corso
Matuzia in uno stile inconfondibilmente vittoriano.
Tutto, a quel tempo, testimoniava la presenza e l’influsso degli inglesi a
Sanremo. Oltre ai menzionati ed eleganti alberghi, pure il campo da golf, il
‘Tennis e Bridge Club’, persino una strada - tuttora esistente - che si ergeva
tortuosa tra ville e giardini chiamata, per l’appunto, ‘Corso degli Inglesi’ (non si
dimentichi che nella non lontana Nizza, a lungo contesa tra la Francia e i Savoia e
definitivamente francese dal 1861, v’era e v’è ancora oggi, lungo il mare, la
splendida Promenade des Anglais) e ben due luoghi di culto: una prima chiesa
anglicana dedicata a San Giovanni Battista, costruita nel 1868 e sita dove è oggi la
chiesa valdese in via Roma; un’altra, detta di ‘Tutti i Santi’, edificata nel 1883 ed
inaugurata l’anno successivo, che si trovava - e si trova ancora ma non è più
chiesa anglicana - in corso Matuzia.
Sanremo, dunque, disponeva di ecclesiastici anglicani in grado di offrire
assistenza spirituale e religiosa ai propri turisti d’oltre Manica così come di medici
12 qualificati, sempre di nazionalità britannica, qualora ce ne fosse stato bisogno.
Nella seconda metà dell’Ottocento, infatti, la Città dei Fiori godette di
un’intensa stagione turistica, essendo annoverata tra le stazioni climatiche più
importanti e richieste del Mediterraneo. I turisti giungevano in Riviera non solo
per riposare, ma sovente quei luoghi diventavano indispensabili per le loro virtù
terapeutiche e i positivi effetti di un clima considerato tonificante.
Per questo motivo, insieme agli inglesi, numerosissimi furono gli ospiti
tedeschi.
Il più illustre dei ‘malati’ tedeschi che vi approdarono fu Federico III
(1831-1888), anche se la sua permanenza a Sanremo non fu portatrice di
miglioramenti per la sua salute. Arrivò nel 1887, con al séguito consorte e figlie, e
prese alloggio nella splendida Villa Zirio, ornata di marmi bianchi, ed il cui
giardino fu disegnato da Ludwig Winter. In molte occasioni il principe tedesco imperatore nel 1888 ma per soli tre mesi in quanto stroncato da quel cancro alla
laringe da cui era affetto già durante il soggiorno sanremese - manifestò la sua
ammirazione ed il suo amore per questo angolo di Liguria e per l’Italia in
generale.
Ma non solo come stazione termale Sanremo era prediletta dai tedeschi.
Per molti di loro la città ligure, con la sua peculiare vegetazione fatta di palme,
ulivi e pini marittimi, e con gli alterni e variegati cromatismi che la
caratterizzavano, rappresentava una sorta di arcadia perduta. Marie von Bunsen
(1860-1929), ad esempio, personaggio di spicco della corte prussiana ed
instancabile viaggiatrice, fu più volte a Sanremo e ne decantò la bellezza dei
luoghi incontaminati e la luminosità del mare9.
9
In cerca di un qualche giovamento per la propria salute cagionevole fu un altro illustre ospite:
non tedesco, bensì svedese, e conosciuto in tutto il mondo come scienziato e fondatore di
un’istituzione che porta il suo nome e che premia ogni anno i successi raggiunti in diversi campi
dello scibile umano. Si tratta del celebre Alfred Nobel (1833-1896) che soggiornò nella elegante
villa - che ancora oggi si può ammirare e visitare, e che è teatro di manifestazioni culturali
rilevanti ed apprezzate - circondata da un parco ricco di piante esotiche, da lui acquistata e
chiamata ‘Mio nido’, dal 1891 alla morte. E la morte lo colse proprio a Sanremo: le esequie furono
celebrate nella stessa villa da un - ancora sconosciuto ai più - pastore luterano dell’ambasciata
svedese a Parigi. Era quel Nathan Söderblom - amico personale di Nobel e futuro arcivescovo di
Uppsala - che diventò un esponente di notevole rilievo nell’ambito dell’ecumenismo cristiano e
che si adoperò per la pace tra i popoli tanto da essere insignito del premio Nobel per la Pace nel
13 Si può affermare che la contessa Roverizio di Roccasterone fu, per certi
versi, un’antesignana delle moderne pubbliche relazioni. Il salotto della sua bella
palazzina sulla collina del Berìgo diventò il luogo di incontro delle più stimate
autorità mediche - e non solo - d’Europa: illustri suoi ospiti furono, ad esempio, il
Barone Boris d’Uxküll, zio dell’ex-ambasciatore russo a Roma, tramite il quale
poté conoscere il Dottor Gustav Pröell, direttore delle Terme di Bad Gadstein, ed
il Dottor Elsässer, medico del re di Württemberg. Fu proprio la contessa che
spinse ed incoraggiò il noto medico sanremese Gian Battista Panizzi a redigere
un articolo sui benèfici effetti del clima di Sanremo (Sanremo e il suo clima)10:
saggio che vide la luce nel 1860 e che di lì a poco fu tradotto in lingua inglese
(Sanremo and its climate), su invito del Ruffini, e sottoposto, in pari tempo, al
giudizio del signor Taylor, segretario del Consiglio di Sanità a Londra.
Insieme alla contessa di Roccasterone si distinse, come ‘promotore’ di
1930.
10
L’importante guida di Cesare Da Prato, nella sua edizione del 1876, alla voce ‘Colonizzazione
straniera’, riportando le parole del professore Stefano Martini, autore dell’articolo Il dottor
Panizzi e la colonia inglese nella Liguria e dell’opuscolo Gli Inglesi a San Remo, così riferisce:
«In Londra il dottor Panizzi si occupò esclusivamente di Sanremo, scrivendo all’uopo articoli per
entro i giornali inglesi per diffondere sempre più quelle notizie che possono attirare l’attenzione
dei medici e dei malati sopra i tesori naturali di cui la natura ha largamente favorito questa
regione perciò che è all’igiene e alla terapeutica. […] Tornato dalle sue peregrinazioni, per
meglio avvicinare i suoi concittadini alla colonia inglese aperse gratuitamente una scuola serale
di lingua inglese, frequentata da ben 150 alunni, dalla quale si ottennero i più favorevoli risultati
[…]: tradusse varii opuscoli inglesi in lingua italiana; massimamente quelli che si attengono al
clima di Sanremo: per mezzo dei giornali del luogo pubblicò un corso d’igiene popolare: trattò
dell’utilità dei bagni di mare: mise in chiaro i vantaggi che la Colonia forestiera arreca a
Sanremo, e inoltre, come ci consta, sta traducendo in lingua italiana un nuovo libro inglese
istruttivo assai e sommamente utile». E subito dopo il Da Prato aggiunge: «Ciò non pertanto
puossi attribuire al dott. G. B. Panizzi tutto il merito del prodigioso attecchimento della colonia
straniera. In materia di pubblicazioni, devesi grandissima riconoscenza all’illustre letterato
Giovanni Ruffini di Taggia, ch’io chiamerei il Manzoni della Liguria, per la ragione che se
Manzoni milanese scrivendo nobilitava la lingua plebea, Ruffini taggiasco dava, scrivendo,
l’attraenza alle minime scene domestiche; né poca riconoscenza la dobbiamo, per questa colonia,
ai dottori Calvi, Onetti, Sigmund, De Pasquale, Edwin Lee, Aspinall, Prosser James, Daubeny
ecc., i quali dal 1859 al 1865 cantarono in tutti i tuoni, vale a dire, scrissero in ogni lingua i pregi
del nostro San Remo; e finalmente, innalziamo al proposito un grano d’incenso ai sindaci Carli,
Corradi e Roverizio, che da progressisti puro sangue, addobbarono ammodino il paese, e quindi
ai Bogge, ai Grossi ed ai Ferrari, che con un coraggio ad ogni ardir maggiore, preparavano quei
magnifici alberghi, chiamati Londres, Victoria e Angleterre, dove i forestieri potettero trovare agi
e dovizie a brettio. Nell’invernale stagione 1874-75, i forestieri che soggiornarono in Sanremo
furono in numero grandissimo, né minore lo abbiamo nell’inverno corrente, a rappresentare, si
può dire, l’Europa intiera» da C. DA PRATO, Guida di San Remo, Tip. Sociale Ligure, Sanremo
1876, pp. 440-442.
14 Sanremo nel mondo, anche Antonio Rubino, proprietario di una banca a Sanremo
e nominato vice-console di Russia nel 1871. Tra i protagonisti stranieri del
turismo sanremese non vanno dimenticati i russi. E che i russi iniziassero, verso
gli Anni Ottanta-Novanta dell’Ottocento, a privilegiare la Riviera di Ponente
risulta dai dati statistici relativi alla presenza di stranieri a Sanremo verso il 1890.
Negli anni di fine secolo erano infatti ospiti di alberghi e pensioni od alloggiate
in ville e villini circa cinquanta famiglie russe, alcune delle quali appartenenti
all’aristocrazia più altolocata. Ai primi del Novecento v’era a Sanremo una vera
e propria ‘colonia’ russa con tanto di biblioteca, farmacia e stabilimento balneare.
Arrivò poi la costruzione di una sontuosa chiesa - che ancora oggi si può
ammirare - per il culto ortodosso. La prima pietra fu posta nel novembre 1912
per iniziativa di un benemerito Comitato presieduto dal Conte Giuseppe Tallevici
ed il progetto fu curato dall’ingegnere Pietro Agosti; nel dicembre dell’anno
successivo la chiesa fu inaugurata.
È indubbio che una grande pubblicità della dolce e temperata Sanremo tra
le ampie e fredde distese boreali fu compiuta dall’imperatrice Maria
Aleksandrovna, consorte dello zar Alessandro II della Casa dei Romanov, che
rimase a Sanremo nella stagione invernale 1874-1875. Quando partì, in segno di
gratitudine per l’accoglienza ricevuta e per il piacevole soggiorno trascorso in
questo incantevole angolo di Liguria, fece dono alla città di una serie di palmizi
che furono piantati lungo il viale che correva tra la vecchia stazione ferroviaria e
la zona dei grandi alberghi, e che una delibera della giunta municipale volle fosse
intitolato, come lo è tuttora, ‘Corso Imperatrice’, proprio in onore dell’illustre e
amata ospite11.
11
Negli ultimi decenni dell’Ottocento numerosi furono gli ospiti russi che scelsero la Riviera
ligure come luogo di soggiorno e di cura. Il 1° dicembre 1874 giunse l’imperatrice Maria
Aleksandrovna, moglie dello zar Alessandro II. Insieme a lei si installò nella Città dei Fiori una
folta rappresentanza della corte russa. Alcuni popi tenevano le funzioni, ma solo nel 1910 venne
inaugurata una modesta cappella in casa dei fratelli Ermiglia, in via Roma n. 22. Per l’occasione
giunse da Mosca il procuratore del Santo Sinodo - massima autorità della chiesa russa - Vladimir
Sabler, accolto da tre popi residenti in Sanremo. La costruzione dell’attuale maestosa chiesa
venne iniziata su un terreno messo a disposizione dal conte Giuseppe Tallevici (di famiglia russoarmena e sposato alla russa Anna Tarasova), il quale finanziò anche l’impresa. Il progetto fu
disegnato e seguìto dall’ing. Pietro Agosti: la prima pietra fu posta nel novembre 1912 e, nel giro
di un anno, i lavori furono portati a compimento. La consacrazione - tenuta dal vescovo e dal
15 Un’elegante nobildonna con la sua servitù in Riviera in una cartolina dell’Ottocento
b)
Comunità religiose ed iniziative filantropiche ad opera degli
stranieri nel Ponente ligure
A Sanremo, nella seconda metà del secolo XIX, le chiese presenti erano
tutte cattoliche. Le comunità straniere appartenenti ad altre confessioni cristiane
decisero col tempo di riunirsi in preghiera in luoghi di culto dedicati o si
adoperarono per costruire dei veri e propri luoghi di culto, chiese o cappelle dove
celebrare i loro riti e funzioni religiose12.
Gli Inglesi e i Russi si insediarono nella zona di ponente in corrispondenza
del Berìgo, mentre i Tedeschi occuparono la parte di levante con la collina di
clero russi della Costa Azzurra e di Roma - avvenne il 23 dicembre 1913 alla presenza di varie
autorità civili e militari italiane e russe. Successivamente, nel 1921, nella cripta della chiesa
vennero sepolti i Reali del Montenegro: Nicola I Petrovic e la regina Milena, genitori della regina
Elena sposa di Vittorio Emanuele III.
12
Alcune guide riferiscono anche di due culti israelitici in corso Garibaldi al numero civico 28 e 26
rispettivamente presso la ‘Pensione Nebenzal’ e la ‘Pensione Austria’. Cfr. in proposito, ad
esempio, 1914 - Riviera - Guide. Annuario Completo della Riviera Italo - Francese, Tip. G.
Gandolfi, Sanremo 1914, p. 153.
16 Peirogallo.
La comunità evangelica luterana si costituì a Sanremo verso la fine degli
Anni Sessanta del secolo XIX13. Il merito della costituzione della comunità
evangelica luterana e della costruzione di una chiesa a Sanremo per i fedeli di
lingua tedesca sono da attribuirsi, almeno in parte, all’impegno ed al profondo
spirito altruistico dimostrato da alcuni membri residenti della colonia inglese.
La comunità evangelica tedesca ricevette sempre preziosi aiuti dagli
Inglesi i quali contribuirono anche con generose offerte e donazioni alle iniziative
filantropiche. Concessero l’uso della propria chiesa agli amici tedeschi anche se
questi avvertivano l’esigenza di disporre di uno spazio tutto loro come proprio
luogo di culto.
Tra gli ospiti tedeschi più illustri e caritatevoli della Città dei Fiori si
ricorda Carolina Elena Laura Heye, chiamata più semplicemente dai sanremesi
Sorella o Suor Laura. Quest’ultima, originaria di Brema, partecipò con coraggio
ed attivamente alla guerra franco-prussiana del 1870-1871, durante la quale si
prodigò per l’assistenza ai feriti, prima sui campi di battaglia e, poi, negli
ospedali. Pochi anni dopo si trasferì a Sanremo per ragioni di salute e nella
cittadina ligure rimase per una ventina d’anni, durante i quali ebbe modo di farsi
conoscere ed apprezzare per gentilezza d’animo e formidabile generosità.
Tra le azioni di beneficenza di maggior rilievo si ricorda quella a favore
della Società Operaia, di cui divenne membro e alla quale elargiva annualmente
una somma di 100.000 lire. Altrettanto fece per le Scuole Serali, per la Società di
Mutuo Soccorso ed Istruzione, per la Federazione Operaia Sanremese e per la
Società Marittima. Concorse, inoltre, all’allestimento delle lotterie indette dalla
Società di Mutuo Soccorso ed Istruzione e si preoccupò di fornire di nuove opere
la Biblioteca Civica. Quando, nel 1885, venne a conoscenza che la Società
13
P. DACCÀ, Il turismo nel Ponente ligure tra fine Ottocento e inizi del Novecento: i turisti di
lingua tedesca, Tesi di Laurea, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne dell’Università
degli Studi di Genova, Anno Accademico 1995-1996, parte seconda pp. 197-217. Il lavoro della
Daccà si è avvalso delle informazioni contenute nello scritto del pastore W. HÖRSTEL,
Geschichte der deutschen evangelischen Gemeinde von San Remo, Druck von W. Bellenstedt,
1899, documento conservato presso l’Archivio della Comunità Evangelica Luterana di Sanremo.
17 Operaia, in occasione dell’inaugurazione dell’Acquedotto Marsaglia (12 marzo
1885), chiese al Municipio il prestito di una bandiera, si adoperò per
procurargliene una. Oltre alla spesa per la creazione della bandiera (allora vero
capolavoro artigianale) di 430 lire, ne aggiunse altre 50 per la festa
d’inaugurazione, tenutasi il 2 maggio 1886. Nel 1891, la Società Marittima
Sanremese dichiarava sciolto il Corpo di Musica per mancanza di numero.
Appresa la notizia, Sorella Laura con l’aiuto di altri benefattori ricostituì in soli
quattro mesi una nuova Banda recante inizialmente il suo nome e alla quale
furono consegnate anche una bandiera e la divisa. Per questa ulteriore
manifestazione di generosità, il presidente della Società Marittima omaggiò
Sorella Laura con una medaglia d’oro e a lei furono intitolate la Banda e la Scuola
di Musica. Ogni anno, la Banda ricevette in dono da Sorella Laura 300 lire. Gli
ultimi anni li trascorse a Ospedaletti e a Bordighera, dove si spense il 26 marzo
1906. Suo desiderio era essere tumulata nel Cimitero di Sanremo (Cimitero Foce).
Ai suoi funerali, officiati dal pastore valdese Ugo Janni nella chiesa evangelica
luterana di Sanremo, «la dimostrazione spontanea fatta dalla cittadinanza alla cara
salma, dimostrò quanto grande fosse l’affetto di cui in vita seppe
circondarsi»14.
Cospicui furono i lasciti di Sorella Laura a favore della collettività
sanremese, che furono un’ulteriore dimostrazione di quanto grande fosse il suo
altruismo: lire 12.000 per la Federazione Operaia Sanremese, lire 3.000 per la
Società Marittima, lire 1.000 per la Società Filodrammatica ‘Alberto Nota’.
Il tempio valdese di Sanremo fu eretto grazie ad un notevole lascito di lire
100.000 e fu inaugurato il 22 novembre 1907, con lo scoprimento di un ricordo
marmoreo in onore di colei che fu ricordata come straordinaria benefattrice,
capace di un sentimento d’amore e di solidarietà verso il popolo sanremese.
Anche gli inglesi costituivano una ‘colonia’ ricca e numerosa.
14
Gazzetta di S.Remo», 8 aprile 1906. Sulla vita e le attività di Sorella Laura, cfr. G. GIRIBALDI,
Sorella Laura di Germania, dalla rivista «A Gardiöra du Matussian», anno VII, n. 2, giugno 1988.
18 La prima chiesa non cattolica costruita nella Città dei Fiori fu proprio per
opera loro: fu la chiesa di rito anglicano ‘di San Giovanni Battista’ (‘St. John
Baptist Church’), eretta all’angolo tra via Roma e via Carli, dov’è oggi la chiesa
valdese. La seconda, detta di ‘Tutti i Santi’ (‘All Saints Church’), fu costruita
all’estremità dell’attuale corso Imperatrice, davanti all’‘Hotel de Londres’ e
vicino all’‘Hotel Palmieri’ e a séguito della cospicua riduzione dei componenti
della ‘colonia’ inglese - che per varie ragioni si è avuta nel corso degli anni - è
stata venduta, nel marzo 1991, all’associazione cattolica ‘Famiglia dell’Ave
Maria’.
La prima chiesa, progettata dall’architetto inglese W. Barber su proposta
dei signori H. G. Clarke, C. Crump, N. Bridges, J. Martin e W. Ashley, fu
consacrata nel 1868 ed ebbe come suo primo ministro il Rev. George
Levingstone Fenton. A séguito di un violento incendio che si sviluppò il 27
dicembre 1899 e non esistendo a quell’epoca a Sanremo un servizio
pompieristico, andò distrutta ma la comunità anglicana non si perse d’animo e
decise di erigere una nuova chiesa, intitolata sempre a San Giovanni Battista
(venerato dagli anglicani), in un altro luogo della città: in via Regina Margherita
(attuale corso Nuvoloni), in stile vittoriano e non lontano dalla futura chiesa russa
(le cui funzioni si tennero, in un primo tempo, a ‘Villa Flora’). Tra i promotori
della nuova costruzione vi fu il custode, Lionel E. Kay Shuttleworth, ed essa fu
consacrata il 10 novembre 1901. Quasi nulla resta di questa chiesa che subì
notevoli danni durante l’ultima guerra e fu poi demolita15: solo alcuni pannelli
lignei del coro furono trasportati nella chiesa di ‘Tutti i Santi’ e oggi decorano le
pareti del battistero di questa chiesa.
Ancora oggi si può ammirare e frequentare il bell’edificio a tre navate
della chiesa di ‘Tutti i Santi’. Conserva splendidi arredi e pregevoli opere d’arte:
dall’enorme trittico in legno di quercia sull’altare maggiore in stile neogotico al
suggestivo affresco riproducente ‘angeli turibolanti’, dipinto sulla parete di
15
Gravemente danneggiata dai bombardamenti, la chiesa nel 1948 venne demolita e al suo posto
successivamente sorse il palazzo IRPA mentre con le pietre della chiesa - alcune di esse sono ben
visibili da via Roma - fu costruito in parte il Cinema Astra che ormai non esiste più.
19 fondo; dal pulpito ligneo in stile neomedievale al grande rosone - dedicato alla
memoria di A. J. Freeman, uno dei fondatori della chiesa e medico di fama - alle
artistiche vetrate istoriate, rappresentanti i vari santi e donate dalla famiglia
Hanbury, ben nota nella Riviera ligure. Tra i fedeli più famosi e munifici, merita
ricordare, oltre alla stessa famiglia Hanbury, il dottor George King (1840-1909),
sovrintendente del Giardino Botanico Reale di Calcutta, botanico noto
nell’Europa di fine Ottocento anche per aver reso disponibile il chinino per le
esigenze del popolo indiano. Nel 1924 venne costruito l’atrio, detto ‘Salone
dell’Orologio’, per merito della benefattrice Miss Lucy Georgina Cotes, in
memoria del defunto fratello Charles, per cui l’atrio veniva anche chiamato
‘Cotes Hall’. Dei vari rettori della chiesa di ‘Tutti i Santi’ va ricordato il Rev. A.
H. Fletcher, conosciuto e stimato presso la cittadinanza sanremese e che tenne il
ministero pastorale dal 1922 al 1936. Risiedeva a ‘Villa Verde’ con la sua
famiglia.
Al tempo stesso non va dimenticato il fatto che la comunità di ‘Tutti i
Santi’ si distinse sempre per iniziative ed opere di carità: soccorse le vittime
colpite dal terremoto del 1887 (che, con epicentro a Nizza, sconvolse l’intera
Liguria); assistette i soldati feriti durante la Grande Guerra; aiutò i profughi
venuti in Italia, dopo la Rivoluzione russa del 1917 e, nei limiti delle proprie
possibilità finanziarie, sostenne i missionari impegnati in Africa e nelle Indie
Occidentali così come provvedeva periodicamente ai più bisognosi ed
indigenti della zona.
Un’altra chiesa fatta costruire dagli ospiti britannici fu ad opera degli
scozzesi che, sempre più numerosi, negli Anni Settanta dell’Ottocento diedero
vita ad una vera e propria comunità presbiteriana16, caratterizzata soprattutto dalla
presenza di scozzesi e americani.
16
I Presbiteriani sono protestanti professanti una organizzazione ecclesiale diversa da quella
dell’episcopalismo e del congregazionalismo: i laici insieme ai pastori fanno parte dei Sinodi,
assemblee elette a tutti i livelli, dalla parrocchia locale sino all’Alleanza Mondiale. Ispirato
dottrinalmente al calvinismo, introdotto in Scozia da John Knox nel 1560, il Presbiterianesimo è in
questa regione britannica ‘religione di Stato’ dal 1688. È diffuso, altresì, in Inghilterra, Irlanda,
Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Stati Uniti.
20 Al pari di quella anglicana, nei tardi Anni Trenta del Novecento, anche la
comunità presbiteriana incontrò ostacoli e difficoltà a causa della propaganda
antibritannica della politica di Mussolini. Ridottosi drasticamente il numero dei
propri fedeli, essa si vide costretta, nel 1936, a vendere il suo tempio al Comune
di Sanremo il quale, a sua volta, ne decise la demolizione in vista
dell’allargamento di corso Imperatrice, secondo i piani urbanistici dell’epoca.
Anche la comunità evangelica valdese di Sanremo deve la sua esistenza
alle iniziative di personaggi stranieri. Tuttavia non è da escludere che un
contributo significativo alla diffusione dei princìpi della Riforma nella Città dei
Fiori provenne anche da quel Francesco Aprosio di Vallecrosia, già prete
cattolico poi convertitosi al Protestantesimo, al quale si fanno risalire le origini
dell’opera evangelica nella stessa Vallecrosia. Opera che, in un secondo tempo,
poté contare sul notevole appoggio dell’inglese Louise Murray (1822-1891),
giovane vedova del maggiore Henry Boyce, la quale, in viaggio nell’inverno del
1864-1865 nella Riviera di Ponente su una diligenza diretta a Sanremo in
compagnia del pastore R. D. Graves e della di lui consorte, ebbe a fare sosta a
Bordighera.
Non è superfluo ricordare che anche la Scuola Valdese di Sanremo fu da
collegarsi alle iniziative di alcuni stranieri: si segnalarono, dapprima nel 1887,
Miss Charlotte Murray che dovette però partire dopo poco tempo; quindi, Mrs.
Claude Braddon, moglie del pastore presbiteriano scozzese Rev. Alexander
Robertson, la quale con l’aiuto di Miss Kay Shuttleworth riprese a far scuola nel
1884 in un modesto alloggio all’ultimo piano di via Gaudio al n. 6. Nel
settembre del 1886, la Scuola fu trasferita in Casa Gaglietto al n. 9 di via
Umberto (oggi corso Mombello). Legata inizialmente al movimento dei
‘plymuttisti’ (o ‘Fratelli di Plymouth’, seguaci del teologo inglese J. N. Darby17
e perciò detti anche ‘darbisti’, attivi a Sanremo presumibilmente fin dal 1870), la
17
John Nelson Darby (1800-1882), predicatore, fondò a Plymouth (nel sud-ovest dell’Inghilterra,
nella contea del Devon), la comunità dei ‘darbisti’ o ‘plymuttisti’, che si distingueva, tra le diverse
comunità di ‘fratelli’ nell’ambito del risveglio, per la critica nei riguardi di qualsiasi
organizzazione ecclesiastica e per un certo rigorismo.
21 Scuola continuò a funzionare per oltre 50 anni, sotto la tutela della comunità
valdese ed ebbe, tra i suoi allievi, Italo Calvino che la frequentò dal 1929 al
1933.
Tra i benefattori della medesima, merita ricordare Mr. James Gordon
Oswald (1819-1897), peraltro ricordato da una lapide all’ingresso della Casa
Valdese, che fu seguace del teologo J. N. Darby e che poi aderì alla chiesa
valdese, occupandosi in modo particolare dell’opera di educazione scolastica.
Tra i personaggi stranieri che ebbero un’importante influenza nello
sviluppo della comunità valdese, spicca certamente la tedesca e già menzionata
Carolina Elena Laura Heye (1830-1906), chiamata dai sanremesi Suor o
Sorella Laura, la quale - cristiana fervente e animata da spirito ecumenico una volta giunta nella Città dei Fiori per motivi di salute, diventò ben presto
zelante e generosa sostenitrice di varie opere ed istituzioni locali. E fu proprio
per mezzo del notevole lascito di Suor Laura che, su un ampio terreno resosi
disponibile e messo in vendita alla fine del 1903, all’angolo di via Carli e di
via Roma - dove prima sorgeva la chiesa anglicana di San Giovanni Battista,
andata distrutta in un incendio e ricostruita altrove - fu possibile costruire la
Casa Valdese, le aule scolastiche, i locali per le attività giovanili, l’alloggio del
pastore, ma anche e soprattutto il tempio il cui progetto fu commissionato
all’architetto Giovenale Gastaldi con la consulenza tecnica dell’ingegnere
Liborio Coppola, membro del Comitato di Evangelizzazione18.
Nel frattempo, nel marzo del 1901 entrò a far parte ufficialmente della
comunità valdese di Sanremo Ugo Janni (1865-1938), già sacerdote della chiesa
vecchio-cattolica19 la quale nella Città dei Fiori poteva contare su 39 membri e 9
18
Nato nel 1860, il Comitato di Evangelizzazione si configurò come un organismo dotato di
funzioni sue proprie e distinte da quelle della Tavola Valdese e sovrintendeva sostanzialmente alla
diffusione dell’opera evangelistica valdese nel territorio italiano. Nei primi decenni del Novecento
confluì poi nella Tavola Valdese la quale, fin dal secolo XVII, rappresenta l’organo o comitato
esecutivo nominato dal Sinodo. Quest’ultimo, a sua volta, è l’assemblea formata dai pastori e dai
rappresentanti di tutte le chiese valdesi presenti in Italia (ed anche in Svizzera) e dal 1979 anche
dai pastori e dai rappresentanti delle chiese metodiste e di alcune chiese evangeliche che hanno
aderito all’ordinamento valdese. Costituisce la massima autorità umana in ambito dottrinale,
legislativo, giurisdizionale e di governo.
19
All’indomani dell’unità d’Italia, all’interno del mondo cattolico, che pur aveva
energicamente partecipato all’azione risorgimentale, si registrarono numerosi tentativi -
22 catecumeni e che si riuniva in via Principe Amedeo (oggi via G. Mameli). Anche i
membri della chiesa vecchio-cattolica di Ugo Janni confluirono con lui nella
preesistente chiesa valdese che si riuniva in via Umberto - dove stava anche la
Scuola - sotto la guida di Giovanni Petrai.
Il tempio venne inaugurato il 22 novembre 1907. Per quasi quattro decenni
ognuno, in verità, destinato a breve durata e a scarsa fortuna - di dare vita ad una chiesa
nazionale autonoma e indipendente da Roma. Il loro sorgere fu causato dai forti contrasti con
la gerarchia ecclesiastica, specie negli ultimi periodi del Risorgimento, e dalla persistenza della
questione romana nel nuovo stato unitario. La classe dirigente liberale, inizialmente avversa al
mondo cattolico, sostenne e alimentò queste spinte e tensioni di cambiamento. Ad esempio: nel
1862 il domenicano Luigi Prota Giurleo fondò a Napoli la ‘società nazionale emancipatrice e
di mutuo soccorso del sacerdozio italiano’ che si prefiggeva di riformare la chiesa cattolica
romana attraverso il suo affrancarsi dal potere temporale e riportare il cattolicesimo al
patrimonio delle origini; nel 1882 il conte Enrico di Campello, ex canonico della basilica
vaticana, fondò la ‘chiesa cattolica nazionale’ (o ‘italiana’ e che successivamente assunse
anche il nome di ‘chiesa cattolica riformata d’Italia’) alla quale aderì l’abruzzese Filippo
Cicchitti Suriani, insegnante di filosofia; nel 1896 si costituì a Piacenza la ‘chiesa cattolica
italiana indipendente’ ad opera del movimento che si raccoglieva intorno al vescovo Paolo
Miraglia Gullotti…
I temi maggiormente posti in risalto erano quelli che più stavano a cuore ai cattolici
risorgimentali e ai più strenui difensori del liberalismo. Essi non avevano a che fare con
disquisizioni di natura teologica ma riguardavano problemi di interesse pratico: la libertà
religiosa, la separazione tra chiesa e stato, la formulazione di una morale indipendente dalle
convinzioni religiose, la formazione di una società internazionale capace di favorire il
benessere economico e sociale. Questi movimenti italiani guardarono con grande interesse a
ciò che avveniva nel resto d’Europa, in particolare all’azione del movimento vecchio-cattolico
(o vetero-cattolico) presente già in vari Paesi: in Germania, ad esempio, essi facevano capo
all’illustre storico della chiesa Ignaz von Döllinger, in Francia a Charles Loyson (detto Père
Hyacinthe, italianizzato Padre Giacinto) e in Svizzera al vescovo Eduard Herzog. I vecchiocattolici respingevano le linee-guida del Concilio Vaticano I (1869-1870) e, dunque, le
affermazioni del primato e dell’infallibilità papali, giudicati in contrasto con la tradizione dei
primi dieci secoli della Chiesa cristiana indivisa. Nell’arco dei primi mesi del 1889 il conte
Enrico di Campello fu invitato a tenere una conferenza a Ventimiglia e a Sanremo per
illustrare il motivo della sua uscita dalla chiesa cattolica romana. Il successo fu tale che
cominciarono a formarsi gruppi di sostenitori e simpatizzanti a Ventimiglia, a Sanremo e a
Imperia Oneglia. L’anno successivo lo stesso Campello insieme ad Ugo Janni tenne una serie
di conferenze a Bordigehra e a Ventimiglia: in occasione di questi incontri pubblici lo Janni
ebbe modo di farsi conoscere ed apprezzare per la sua grande cultura e forza spirituale.
Nato a L’Aquila, Ugo Janni cominciò a frequentare, ai tempi del ginnasio e con assiduo
interesse, la locale chiesa metodista wesleyana - sorta in Italia a partire dal 1861 per iniziativa
di missionari inglesi che facevano capo a Henry James Piggot - per poi passare alla ‘chiesa
cattolica nazionale’ su cui, inizialmente, raccolse informazioni attraverso il suo insegnante di
filosofia Filippo Cicchitti Suriani. Fu ordinato presbitero alla Facoltà vecchio-cattolica
dell’università di Berna nel dicembre 1889 per mano del vescovo Herzog.
Dopo alcuni anni, tuttavia, di fronte alla crisi - per varie ragioni - dell’organismo fondato dal
Campello, su consiglio di Charles Loyson e della benefattrice tedesca Sorella Laura, decise di
confluire in una chiesa cristiana evangelica già esistente: diventò il pastore della comunità
valdese della Città dei Fiori.
23 lo Janni restò a Sanrremo come pastore e accompagnò
a
ò la sua coomunità sino
o alla
morte avvvenuta nel 19938.
L’Hotel de Paris di Sanrremo con a fiaanco la chiesa presbiteriano scozzese, ogggi non più esisstente Corso Imperratrice, così chhiamato in onnore di Maria Aleksandrovnna, in una carttolina d’epocaa: sulla
destra si vedde parte della sontuosa chiesa russa preseente ancora ogggi
24 II
MIGRANTI ITALIANI in FRANCIA: il CASO dei
FRONTALIERI della LIGURIA20
a) Alcune considerazioni generali
Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento ha avuto luogo la ‘grande
migrazione’ dal Vecchio al Nuovo Mondo: centinaia di migliaia di europei
hanno lasciato, di anno in anno, il vecchio continente per raggiungere le
Americhe (si parla, addirittura, di circa 60 milioni di migranti nell’arco di
tempo secolare 1815-1914)21, causando, peraltro, uno spostamento dell’asse
demografico del pianeta destinato a rimanere irreversibile.
Ma anche l’Europa, tra Ottocento e Novecento, ha conosciuto flussi e
movimenti migratori consistenti e degni di rilievo. Si stima che tra il 1820 e il
1930 più della metà della popolazione europea sia stata caratterizzata da
processi di migrazione interni alle frontiere dei singoli Stati. Non è da
escludere che una certa liberalità nei confronti del migrante - raramente, sino
ad allora, bersaglio di discriminazioni (al 1851 sembra risalire il primo
censimento che in Francia distingueva tra cittadini e stranieri e, per buona parte
dell’Ottocento, il passaporto restò uno strumento sconosciuto) - abbia rivestito
un ruolo importante: alla luce di questo si potrebbe spiegare quella ‘fluidità’ di
20
Queste pagine riprendono tematiche ed aspetti affrontati, con i contributi di vari autori, nella
pubblicazione Differenze e uguaglianze culturali in zona frontaliera. Italia e Francia: un rapporto
di amore-odio tra passato e futuro, edita dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro
Transfrontaliero presso il Centro per l’Impiego di Imperia, 2006. Queste pagine, nondimeno,
devono molto alle preziose indicazioni contenute nell’articolo di P. CORTI, L’emigrazione
italiana in Francia: un fenomeno di lunga durata in «Altreitalie 26», gennaio-giugno 2003, edito
dalla Fondazione Giovanni Agnelli di Torino (a sua volta, l’articolo è la rielaborazione di una
lezione tenuta dall’autrice Paola Corti, il 5 febbraio 2003, nell’ambito del ‘Ciclo formativo
sull’emigrazione italiana e piemontese all’estero’ organizzato dal Forum internazionale ed europeo
di ricerche sull’immigrazione/International and European Forum of Migration Research di
Torino).
21
G. GOZZINI, Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata, Bruno Mondadori, Milano
2005, p. 27.
25 movim
menti alle frrontiere chee ebbe luog
go sul versaante orientaale del variiegato
contineente europeeo. A partirre dal 1890
0, ad esemppio, «ai connfini orientali di
Germannia e Austriia-Ungheriaa si verificò un crescennte flusso m
migratorio neei due
sensi di
d marcia coomposto esssenzialmentte da lavoraatori agricoli stagionali. Per
quanto effimeri, questi
q
insediiamenti tem
mporanei di stranieri - cche alcune stime
valutanno nel 1912 pari a una media
m
annua di 380 miila polacchi diretti nellee aree
rurali prussiane
p
e di 700 mila
m tedesch
hi in Poloniia orientalee e in Ucraaina contribbuirono a frammentar
f
re ulteriorm
mente il mosaico
m
etnnico dell’Eu
uropa
orientale, approfondendo connflittualità ataviche
a
m anche fornendo motivi a
ma
nuove rivendicazio
r
oni territoriiali, come quelle
q
avanzzate da partee nazista do
opo la
guerra»»22.
Foto di italiiani alla volta dell’Americaa (fine Ottocennto)
N periodo che va dal 1965 al 200
Nel
00 è stata, invece,
i
piùù precisamen
nte la
parte occidentale del
d continennte europeo
o ad essere investita,
i
inn modo cresscente
e significativo, daal fenomenoo immigrazzione: «gli stranieri
s
paassano da 11.750
22
G. GOZZINI, Le migraazioni di ieri…
…, op. cit., p. 16.
1
26 (pari al 3,6% della popolazione totale) a 29.971 mila (7,2%); nella stessa
Svizzera la quota di stranieri sale al 25%, in Francia al 10,6%, in Germania al
9%»23.
Se si confrontano i dati europei con quelli del nord America (Stati Uniti
in primis, essendo tanto nel passato quanto oggi il principale attrattore di
immigrati) si nota che «la presenza di stranieri nel vecchio continente»
corrisponde «a un flusso annuale medio (stimabile attorno alle 650 mila unità
tra 1995 e 2000) pari alla metà di quello nordamericano e a un tasso di
immigrazione netta, cioè risultante dalle differenze tra arrivi e partenze (1,6
ogni mille abitanti contro 4,6) pari a poco più di un terzo»24.
È anche vero che dal 1945 ad oggi il continente europeo non ha più
rivestito il ruolo di principale terra di emigrazione transoceanica che aveva
avuto ai tempi della ‘grande migrazione’ ed è diventato teatro di cospicue
migrazioni intercontinentali che dopo il 1970 sono state sopravanzate da flussi
immigratori intercontinentali provenienti per lo più da nord Africa, Asia e, in
misura minore, da centro e sud America25. La stessa Italia, da terra di
emigrazione, è diventata ormai terra di immigrazione: in questi ultimi anni il
nostro Paese è diventato lo stato europeo a più forte immigrazione dopo la
Germania, con ingressi due volte superiori rispetto alla Francia. (Se la
situazione si dovesse mantenere così - secondo le previsioni dei demografi nell’arco di vent’anni, si avranno 6,5 milioni di immigrati)26.
Adoperando le stime fornite dall’Eurostat sul saldo e il tasso migratorio
netto si possono individuare nel panorama migratorio europeo alcune
interessanti tendenze. Va precisato, tuttavia, che questi indicatori sono il
risultato della combinazione di immigrazioni ed emigrazioni e che, comunque,
anche in questo caso le differenti modalità di registrazione e raccolta dei dati
influiscono sulle possibilità di raffronto. Secondo il rapporto annuale dell’Istat,
23
Ibidem.
G. GOZZINI, Le migrazioni di ieri…, op. cit., pp. 16-17.
25
Vedi G. GOZZINI, Le migrazioni di ieri…, op. cit., p. 36.
26
U. MELOTTI, Migrazioni internazionali. Globalizzazioni e culture politiche, Bruno Mondadori,
Milano 2004, p. 137.
24
27 aggiornnato al 20088, l’Italia prresentava neel 2008 il saaldo migrattorio con l’eestero
positivoo più elevatto (+ 484.0000), seguitaa dalla Spaggna (+ 464.0000). Nel 20
007 il
nostro Paese era il
i secondo per
p saldo migratorio
m
p
positivo
(+ 454.000), subito
s
+ 685.000). Sono ormaii numerosi i Paesi dell’Unione eurropea
dopo laa Spagna (+
con salldo migratorio negativoo o appena positivo: sii tratta di P
Paesi dell’Eu
uropa
centro-orientale. Anche
A
se l’Italia presenta un salldo migratoorio netto molto
m
oluti, in term
mini relativii non compare ai
elevatoo dal punto di vista dei valori asso
primi posti
p
della graduatoriaa. Con un tasso migraatorio pari a 8,1 per mille
residennti, infatti, ill nostro Paeese si collocca al sesto posto.
p
È preeceduto non
n solo
dalla Spagna
S
(+ 10,2), ma anche da Irlanda (+ 14,1), Sloovenia (+ 12,6),
1
Lussem
mburgo (+ 11,9) e Ciproo (+ 11,7).
Contadini italiani del suud
L sociologiia classica distingue
La
d
i flussi
f
migraatori in miggrazioni ‘intterne’
o ‘esterrne’ (a secoonda che talli migrazion
ni si svolganno all’internno dei conffini di
28 un Paesse o superinno questi steessi), in ‘deffinitive’ o ‘temporaneee’ (a second
da che
vi sia determinaazione o meno di tempo). Altri
A
studioosi, in passato,
prescinndendo da criteri unicam
mente territtoriali, avevvano preferiito classificare le
migrazioni seconddo criteri unitari
u
di teempo e di distanza edd allora aveevano
parlato di migrazioni ‘locali’ (ovvero in
ntercomunalli o provincciali), migraazioni
‘a cortoo raggio’ (iinterprovincciali o regionali), ‘a laargo raggioo’ (nazionalli), ‘a
stadi successivi’
s
(a più ripprese nel tempo), e ‘temporannee’. Ma queste
q
suddiviisioni non rendevano
r
p
piena
giustizzia alla variietà e compllessità dei fattori
f
caratterrizzanti i fluussi migratoori.
Contaadini liguri
N sono mancati,
Non
m
inffatti, coloro
o che hannoo cercato ddi classificaare le
migrazioni seconddo criteri ‘quualitativi’, individuand
i
do la funzioone conservatrice
o di innnovazione per
p la socieetà di questee migrazionni e ponendo l’accento sulla
situazioone socio-eeconomica delle zonee di partennza comparrate a quellle di
approdo. Non si possono
p
connsiderare faattori irrilevvanti il diveerso o disu
uguale
svilupppo econom
mico industtriale dellee zone di emigrazioone così come
l’altretttanto diverso o disugguale svilup
ppo della percentuale
p
di popolaazione
29 attiva rispetto a quella totale sia nelle zone di emigrazione che in quelle di
immigrazione27.
Se ci si riferisce all’emigrazione italiana (a prescindere che essa sia stata
interna o esterna, definitiva o temporanea), è indubitabile che essa, in larga
parte e sovente, è avvenuta da zone di basso sviluppo economico verso zone di
elevato sviluppo.
Per quanto concerne il fenomeno transfrontaliero un dato è
inequivocabile: esso è profondamente legato a quello dell’immigrazione. Prova
ne è il fatto - come già a suo tempo aveva messo in luce l’importante saggio di
Bruno Gozzi sui frontalieri della Liguria - che nel periodo 1946-1971
l’andamento demografico della regione Liguria e della provincia di Imperia
aveva rilevato il peso notevole di questa provincia sull’incremento regionale e
aveva evidenziato come l’aumento verificatosi nella provincia imperiese fosse
da attribuire al movimento migratorio. L’aumento del numero dei frontalieri è
risultato proporzionale all’incremento dell’immigrazione, proveniente dalle
regioni meridionali28.
Il fenomeno dei transfrontalieri presenta caratteristiche sue proprie e
sovrapposte:
-
è migrazione ‘esterna a corto raggio’ finalizzata ad una sistemazione
lavorativa (a tempo determinato e/o indeterminato) per la ristretta
parte di popolazione originaria della zona di frontiera;
-
è migrazione ‘interna a largo raggio’ finalizzata ad una sistemazione
lavorativa e residenziale nel territorio italiano di confine, e con uno
27
Lo schema delle migrazioni secondo criteri unitari di tempo e di spazio e quello secondo criteri
qualitativi sono stati analizzati e illustrati da G. BLUMER, L’emigrazione italiana in Europa,
Feltrinelli, Bologna 1970. A suo tempo, un altro tipo di schema od impostazione era stato proposto
da F. ALBERONI - G. BAGLIONI, L’integrazione dell’immigrato nella società industriale, Il
Mulino, Bologna 1965: i due autori avevano individuato 5 ‘tipi ideali’ di emigranti cui
corrispondeva un diverso tipo di integrazione sociale degli stessi.
28
Vedi B. GOZZI, I frontalieri della Liguria occidentale. Analisi sociologica del fenomeno
frontaliero nelle aree occidentali della Liguria, Società Abete, Roma 1974, p. 80. Ricco di spunti
e di lucide riflessioni, il capitolo IV, pp. 95-116. Sulla presenza e sulle migrazioni dei meridionali
nel Ponente ligure negli Anni Quaranta e Cinquanta, sulle loro caratteristiche socio-economicoculturali e sul loro impiego prevalentemente nel settore dell’agricoltura, vedi F. MARTINELLI,
«Contadini meridionali nella “Riviera dei Fiori”» in Alcuni problemi economico-agrari della
Riviera ligure, Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, Imperia 1958, pp. 219-247.
30 scopo esclusivamente lavorativo nell’area franco-monegasca da parte
di popolazioni immigrate nell’area di frontiera.
Ma v’è da considerare un ulteriore ed interessante elemento peculiare del
fenomeno transfrontaliero: quest’ultimo non si configura come comportamento
‘volontario’ e ciò si rileva sia nei migranti interni italiani che nei nativi della
zona di confine. Detto altrimenti: non è stato tanto o, comunque, solo il
proposito di migliorare la propria situazione personale sul piano economico che
ha agito come movente a diventare transfrontalieri. È stata, in modo
particolare, un’esigenza derivata dalla struttura economica, per certi versi
anche geografica, delle zone interessate cui è andato ad aggiungersi il limitato
od assente sviluppo industriale.
Il territorio dell’estremo Ponente ligure è zona collinare e montagnosa: la
sua struttura morfologica non ha permesso una solida ed adeguata rete di
collegamenti esterni ma neppure una efficientissima rete viabilistica interna.
Tradizionalmente votata all’agricoltura, all’artigianato e ai servizi connessi al
turismo, questa zona non ha mai conosciuto un vero e proprio sviluppo
industriale: cosa che invece si è registrata oltre confine.
Questi italiani immigrati transfrontalieri non hanno semplicemente
lasciato la loro terra d’origine per stabilirsi in Francia: hanno lasciato la loro
terra natale per trasferirsi in Liguria e fare poi i pendolari in Francia. Hanno
compiuto una duplice ed articolata migrazione: una interna (all’interno,
appunto, dell’Italia) ed una esterna (dall’Italia verso la Francia). Seguire e
ripercorrere le peregrinazioni di questi italiani ci dà modo di conoscere pagine,
anche tristi ed amare, della vita di tanti connazionali che nella quotidiana lotta
per la sopravvivenza hanno dovuto affrontare innumerevoli prove nonché
laceranti dissidi interiori. Considerando la questione da un punto di vista
psicologico e antropologico-culturale, fonte di dissidio interiore potrebbe
essere l’ambivalente rapporto che questi italiani hanno avuto nei confronti della
31 ‘terra’, intesa sia come la terra d’origine che come la terra di destinazione29. La
‘terra’ è buona e cattiva al tempo stesso.
La terra d’origine è buona, in quanto là i migranti sono nati e cresciuti, e
ancora forti sono i legami con i valori trasmessi dalla famiglia; ma è cattiva in
quanto non permette loro di vivere e lavorare autonomamente. Nondimeno, la
terra di approdo è buona, nella misura in cui fornisce od assicura un lavoro ma
è, in pari tempo, cattiva poiché richiedi sforzi e sacrifici notevoli, costringendo
a condizioni di vita e di lavoro anche assai difficili ed umilianti. In
conseguenza di ciò i rapporti con gli autoctoni, italiani o francesi che siano,
rischiano di essere - come, di fatto, talvolta sono stati - all’insegna della
diffidenza se non dell’ostilità.
Questa situazione di squilibrio affettivo gli immigrati hanno cercato di
superare, per così dire, comportandosi in uno dei due seguenti modi: o si sono
conformati, quasi in tutto per tutto, alle regole, agli usi e costumi del Paese
ospitante, ne hanno appreso la lingua (nel miglior modo possibile, imitandone
magari cadenze od inflessioni), hanno idealizzato la terra adottiva
dimenticandosi quasi delle loro origini; oppure, hanno preservato la propria
identità, talvolta in modo risoluto e caparbio, isolandosi dalla realtà circostante
e vivendo prevalentemente con i propri familiari e conterranei.
Entrambe le modalità, però, non hanno risolto e non risolvono il
problema di fondo: mostrano, semmai, una reazione che si può peraltro
riscontrare in tanti altri gruppi di immigrati italiani sparsi in Europa e anche
fuori dall’Europa.
Tuttavia, proprio partendo dal concetto di ‘terra’ inteso metaforicamente
come strumento di salvezza e di riscatto, si può gettare nuova luce e, forse,
comprendere meglio la parabola esistenziale e lavorativa di questi e di tanti
altri connazionali migranti.
Gli italiani in Francia, così come in altri Paesi verso cui sono migrati,
hanno svolto i lavori più diversi. Hanno accettato di compiere qualsiasi attività
29
Su questo aspetto, vedi, ad esempio, R. DADOUN, «Migration et antropologie culturelle» in E.
TÉMIME - T. VERTONE (a cura di), Gli Italiani nella Francia del Sud e in Corsica (1860-1960),
Franco Angeli, Milano 1988, pp. 29-41.
32 fosse inn quel mom
mento richiesta, anche quelle loggoranti sul ppiano fisico
o e in
ambiennti malsani, contando molte voltee su un baasso salarioo e senza alcuna
a
prestazzione assisteenziale da parte
p
dello Stato.
S
È anchhe vero, perrò, che una parte
non irriilevante di loro, a mezzzo di grand
de impegnoo e di numeerosi sacrificci, ha
potuto cambiare inn meglio la propria situ
uazione. V’èè stata un’ascesa econo
omica
degli ittaliani nell’ambito im
mprenditoriaale (dalla riistorazione all’ediliziaa) ma
anche nel
n settore agricolo.
a
Inn merito a quest’ultimo
q
o aspetto, ad esempio, si può dire che una paarte di
lavoratori stagionnali in Franncia riuscì a diventatte possidennte: nel 1930 si
poteronno contare 200.000
2
gesstori di tenu
ute in gradoo di somministrare lav
voro a
100.0000 persone e coltivaree centinaia di migliaiia di ettari in affitto o in
proprieetà.
M
Meno
frequuenti, invecce, e meno fortunati i mutamennti di statuss per
quanto riguarda le attività di tipo
t
industrriale e sopraattutto nella grande indu
ustria
(meccaanica, autom
mobilistica e siderurgia)).
L
L’evento
doloroso dell’’iniziale sep
parazione dalla
d
terra è stato vissu
uto ed
accettatto come neecessario, quindi
q
affron
ntato con loo slancio e l’energia di
d chi
intendee compiere un
u percorsoo di riscatto sociale e di
d auto-redennzione. La fatica
ed il lavvoro, pur duuri ed estennuanti, hann
no permessoo di raggiunngere determ
minati
risultati e hanno portato,
p
in non pochi casi e circoostanze, ad una gratifiicante
realizzaazione.
(Dogganieri italianii e francesi al confine italo--francese ↓)
33 Laa Frontiera itallo-francese
b) Vicende, stereotipii e pregiu
udizi dalll’Ottocentto al seco
ondo
d
dopoguerr
ra
M
Molteplici
e a volte conncomitanti sono
s
stati i fattori
f
che hhanno portaato gli
italiani in Francia nel corso deell’età moderna e conteemporanea.
34 A livello socio-demografico, la Francia, a differenza di altri Paesi europei
(tra cui l’Italia30), già nei primi decenni dell’Ottocento ha subìto il contraccolpo
demografico dei massacri interni, delle guerre rivoluzionarie e delle guerre
napoleoniche, e ha conosciuto una forte caduta del tasso di natalità31. Al tempo
stesso va ribadito che segnatamente tra il 1886 e il 1911, al corposo incremento
degli italiani ha corrisposto la progressiva diminuzione delle altre popolazioni
immigrate.
Dal punto di vista storico-geografico, la Francia, soprattutto in
determinate sue zone poste al confine e di rilevanza strategica e diplomaticomilitare (come il Nizzardo e la Savoia), ha rappresentato una sorta di contiguità
o prolungamento dell’area territoriale della vicina Italia. Frontiere molto
‘fluide’ hanno permesso una continuità temporale dei flussi migratori.
Per quanto riguarda, invece, l’aspetto storico-politico, la Francia specialmente dopo il 1848 e nel contesto dell’Europa contemporanea - si è
segnalata come una sorta di refugium peccatorum per esuli e dissidenti politici,
ma anche e soprattutto come una vera terre d’accueil: un paese aperto ed
accogliente verso lo straniero. Questo, beninteso, sempre in nome di un forte
‘assimilazionismo etnocentrico’: chiunque volesse vivere in Francia poteva
diventare un ‘buon francese’ purché assimilasse la lingua, la cultura ed
eventualmente la stessa mentalità degli autoctoni. In cambio otteneva la
cosiddetta ‘naturalizzazione’, ovvero la concessione della cittadinanza.
«Proprio per favorire l’assimilazione degli immigrati, finché le fu possibile la
Francia preferì attingere ai grandi serbatoi di manodopera degli altri paesi latini
e cattolici (in un primo tempo il Belgio, oltre tutto di lingua francese nella sua
area vallone, da cui provenne il contributo più consistente sino agli inizi del
30
Può essere utile ed interessante ricordare che nel suo primo secolo di esistenza come Stato
nazionale (1861-1961), l’Italia ha conosciuto un’emigrazione di ben 26 milioni di persone, uguale
alla sua intera popolazione al momento dell’Unità e a poco meno della metà della sua popolazione
attuale. E non è un caso che la legge n. 55 del 1912 che ratificava lo jus sanguinis (che conferisce i
diritti di cittadinanza in base alla discendenza) fu votata proprio negli anni in cui avveniva la
grande migrazione transoceanica verso Paesi - nel caso dell’Europa, certamente la Francia - in cui
vigeva lo jus soli (per il quale la cittadinanza si acquisisce con la residenza).
31
Su questo aspetto, vedi, ad esempio, P. CORTI, Storia delle migrazioni internazionali, Laterza,
Bari 2003, pp. 29-30.
35 Novecento; poi, per un lungo periodo, sino agli anni settanta, l’Italia, la Spagna
e il Portogallo). Ma questi serbatoi si sono da tempo esauriti e la maggior parte
degli immigrati giunge ormai da aree più lontane: i paesi del Maghreb, di
lingua araba e di religione musulmana; i paesi dell’Africa occidentale, di
prevalente religione animista o musulmana; i paesi del Sud-est asiatico, di
tradizione buddista o confuciana»32. In effetti, il grande problema è che oggi il
progetto assimilatore che per tanto tempo ha ispirato e contraddistinto la
politica migratoria francese è in crisi, sta perdendo colpi dovendosi scontrare
con una realtà assai difficile da gestire, nonostante gli effetti dell’omologazione
prodotta dal processo di globalizzazione: troppe o troppo profonde sembrano
essere le differenze linguistiche e culturali dei nuovi immigrati, che risultano in
crescente aumento e per nulla disposti a rinunciare alla propria dignità culturale
e ai legami con i Paesi d’origine.
A questi fattori si sono poi aggiunte motivazioni di carattere economico:
caratterizzata da una crescita e da uno sviluppo più forti e precoci rispetto
all’Italia, la Francia ha avvertito il bisogno di impiegare manodopera straniera
per sostenere il suo sviluppo industriale e tenere in vita tutte le attività
connesse al suo grande impero coloniale.
32
U. MELOTTI, Migrazioni internazionali, op. cit., p. 19.
36 L’immigraazione italianaa in Francia daal 1900 al 20000
T sono le fasi in cui una
Tre
u consoliidata tradiziione storioggrafica sudd
divide
la storiaa dell’emigrazione italiana in Fran
ncia:
-
dalla finee dell’Ottoccento al prim
mo conflittoo bellico moondiale;
-
a cavalloo tra le due guerre;
g
-
dal seconndo dopoguuerra ai giorrni nostri.
L prima grande migraazione deglii italiani in Francia rissale agli ann
La
ni del
Seconddo Impero, con lo sviilupparsi deel sistema capitalistico
c
o e della grrande
industria, contempporaneamennte alla realizzazione dell’unità
d
deel nostro Paaese e
1
al 1914.
va dal 1876
P
Presenze
di italiani nellla vecchia Gallia
G
si risscontrano coomunque giià nel
corso del
d secolo XIII nelle fiere comm
merciali dellla Champaagne: si trattta di
mercannti che sm
merciavano spezie, tesssuti e setaa. A questti personag
ggi si
andaronno poi sostituendo, con il decliino delle grandi
g
fiere commerciali, a
partire dalla seconnda metà del secolo XIIII, figure legate al monndo della fin
nanza
nessa ai preestiti: usuraai lombardi e poi
e ad oggni sorta di attività luccrativa conn
37 toscani, piemontesi, liguri e veneti33. Questi diventarono ben presto bersaglio
di un sentimento xenofobo che giunse sino agli inizi del secolo scorso, ed anzi
crebbe in intensità a séguito dei continui e massicci arrivi di italiani in territorio
francese nell’Ottocento. Esemplare testimonianza, tra le tante, di questo
sentimento di avversione ed ostilità: il romanzo L’invasione di Louis Bertrand,
pubblicato nel 1907. In esso, l’autore, sullo sfondo di una Marsiglia34 popolata
da numerosissimi italiani - in gran parte facchini e scaricatori di porto - e in cui
è rappresentata la Napoli più sciatta e chiassosa, delineò un ritratto a tinte
fosche dei nostri connazionali rappresentandoli come uomini barbari ed
incivili, ‘accoltellatori’ ed ‘ubriaconi’ (uno stereotipo che permase a lungo
nell’opinione pubblica francese…).
Senza dubbio, furono gli italiani dediti a lavori umili (contadini e
manovali) e di tipo stagionale, specie delle aree vicine al confine, i più costanti
frequentatori della Francia nel corso dei vari secoli, ma accanto ad essi si
distinsero, riscuotendo generosi apprezzamenti, tutti quei mestieranti di strada
(suonatori di organetto, attori ambulanti, vetrai, spazzacamini, lustrascarpe…)
che contribuirono al formarsi del primo e pittoresco stereotipo dell’italiano
come ‘commediante’ o ‘imbonitore’ caro a certa letteratura francese (si pensi al
romanzo Senza Famiglia di Hector Malot in cui, tra l’altro, si affrontava - sia
pure in modo marginale e sfumato - il tema dello sfruttamento del lavoro dei
bambini oltre confine).
33
Nella Francia sud-orientale, ad Orange (nell’attuale dipartimento di Vaucluse), si registra la
presenza di una comunità italiana già dal 1310. Si tratta di italiani appartenenti alla borghesia cólta
e benestante venuti volontariamente qui per seguire a distanza la Corte Pontificia (il periodo dei
papi ad Avignone va dal 1309 al 1376). Dal 1311 al 1380 registri notarili annoverano il nome di
175 italiani provenienti soprattutto dal Piemonte e dalla Toscana. Molti di loro si distinsero come
banchieri e cambiavalute ma anche come albergatori, speziali e mercanti di sale. Vedi, in
proposito, AA.VV., Gli Italiani nella Francia del sud. Inserimento sociale ed integrazione
culturale, «Atti del Convegno», Marsiglia, 3 dicembre 1994, pp. 49-51.
34
Nel 1928 Marsiglia con i suoi 138.000 italiani, senza contare i naturalizzati, sembrerà ancora
una grande città italiana. Nell’opera Rome contemporaine, pubblicata nel 1861, l’autore Edmond
About dedicava il primo capitolo proprio a Marsiglia e così si esprimeva: «Si dice che ogni strada
porti a Roma, ma per noi parigini quella più corta passa per Marsiglia» precisando più avanti che
«italiani, greci e spagnoli sono la materia prima di cui son fatti quasi tutti i marsigliesi» (E.
ABOUT, Rome contemporaine, IV ed., Paris 1861, p. 5 citato da R. PARIS, «L’emigrazione» in
Storia d’Italia. Dall’Unità a Oggi, vol. IV, Giulio Einaudi Editore, Torino 1975, p. 528). Nel
1901-1902 Marsiglia è, a livello europeo, la prima città ‘italiana’ fori d’Italia.
38 Come si accennava prima, fu proprio nella seconda metà dell’Ottocento
che gli italiani diventarono una presenza assai notevole, quasi ingombrante. Il
vero salto qualitativo verso un’emigrazione di massa si ebbe dopo il 1860.
Nel 1876 gli Italiani in Francia erano 163.000; nel 1881 il loro numero
salì a 240.000. Nel primo censimento del Novecento gli italiani superarono per
la prima volta il numero dei belgi, anche se soltanto nel 1911 essi diventarono
il primo gruppo di stranieri presenti nel Paese. In quell’anno gli italiani
rappresentarono il 36% degli immigrati e oltre l’1% dell’intera popolazione
francese. Va precisato naturalmente che a questi controlli e censimenti
sfuggivano tutti quegli emigranti di tipo stagionale che di fatto costituivano una
larghissima parte dei frequentatori del vicino Paese d’oltralpe e il cui numero
medio annuale, approssimativamente, si aggirava intorno ai 30.000.
Malgrado alterni periodi di stasi e di ripresa dei flussi migratori
imputabili a vicende di politica interna dei rispettivi Paesi (spinte nazionaliste e
protezionistiche di fine secolo), a nuove alleanze ed assestamenti di ordine
internazionale (la stipulazione, ad esempio, della Triplice Alleanza nel 1882
con conseguente deterioramento delle relazioni diplomatiche italo-francesi ed
un inasprirsi della conflittualità sui mercati finanziari) o a fatti contingenti di
particolare gravità (scontri ed episodi di aperta avversione nei confronti degli
italiani in diverse località francesi e che culminarono nel massacro di AiguesMortes del 1893), alla vigilia del I° conflitto mondiale gli italiani in Francia si
aggiravano intorno al mezzo milione di presenze.
Si è fatto riferimento all’episodio di Aigues-Mortes. Esso merita una più
attenta considerazione nel contesto delle relazioni politico-diplomatiche tra
Italia e Francia di allora ed è significativo per comprendere meglio, forse,
stereotipi e pregiudizi che quelle relazioni hanno condizionato anche se, per
certi versi, essi appartengono al patrimonio di quei luoghi comuni che non
conoscono limiti temporali e confini geografici. È un motivo vecchio e risaputo
quello secondo cui lo straniero è pericoloso poiché ruba il pane del lavoratore
autoctono e sfoga sull’altro l’odio che prova nei riguardi delle difficoltà e della
miseria di cui è intessuta la propria storia passata e presente…
39 «Il massacro di Aigues-Mortes, che il 17 agosto 1893 costò la vita a nove
operai italiani linciati da una folla inferocita, rappresenta indubbiamente un
episodio non secondario della storia dei rapporti tra l’Italia e la Francia, sia al
livello delle relazioni politico-diplomatiche tra i due stati che a quello della
storia delle classi subalterne dei due paesi»35. Un tragico fatto che vide
coinvolti poveri operai francesi ed italiani impiegati nel duro lavoro delle
saline e di cui non è possibile stabilire con esattezza la fedele sequenza delle
circostanze e l’evolversi delle cause scatenanti che si verificarono il giorno
precedente quel drammatico 17 agosto. Un fatto che pare essere stato rimosso
per un secolo dalla memoria collettiva francese, assai di rado menzionato, ma
anche poco conosciuto e studiato sino in fondo qui in Italia. Solo in epoca più
recente sono stati pubblicati scritti importanti in merito, sia da parte francese
che da parte italiana.
Eppure, allora «si parlò di centinaia di morti - ed ancora in molte
pubblicazioni, anche recenti, le cifre delle vittime continuano ad essere
gonfiate e imprecise - ma quale che fosse il numero dei colpiti, quella guerra
tra i poveri, quella caccia selvaggia allo straniero, quel sangue di miseri
proletari rilevavano un dramma inedito e spaventoso del lavoro, che avrà
35
E. BARNABÀ, Morte agli Italiani. Il massacro di Aigues-Mortes, prefazione di G. A. STELLA
e introduzione di A. NATTA, Infinito edizioni, Castel Gandolfo (Roma) 2008, p. 18. Sulla vicenda
di Aigues-Mortes vedi anche G. A. STELLA, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Bur,
Milano 2003, in special modo il capitolo 10 «Strage per un pugno di sale», pp. 154-167. Il saggio,
ricco di aneddoti e documenti, è molto utile per comprendere circostanze ed aspetti poco noti della
grande emigrazione italiana in Europa, nelle Americhe e in Australia, con le sue tragedie e i suoi
lati oscuri, con i pregiudizi e le discriminazioni subite. Sulle vicende di molti italiani emigrati nel
sud-est della Francia, tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale, merita segnalare il
pregevole saggio di P. SALVETTI, Storie di ordinaria xenofobia. Gli italiani nel sud-est della
Francia tra Ottocento e Novecento, Franco Angeli, Milano 2008. Il volume racconta pagine
drammatiche della storia dell’emigrazione italiana in Francia e ricostruisce, sulla base di
documentazione in massima parte inedita, alcuni dei frequenti episodi (non solo quello di AiguesMortes) di questa ‘epopea’ che ha visto morti e feriti. Il saggio fornisce un quadro chiaro e
dettagliato delle condizioni di lavoro e di sfruttamento degli italiani in Francia e permette di
conoscere aspetti dell’esperienza migratoria vista ‘dall’interno’, attraverso le autobiografie di due
emigranti italiani in Francia (Giovambattista Cane da Pietrabruna e Orlando Tonelli) tra Ottocento
e Novecento.
40 purtroppo dall’Europa alle Americhe tante altre espressioni e di cui AiguesMortes diventerà il simbolo cupo e ammonitore»36.
Alla fine dell’Ottocento, sulla base del censimento del 1896, la più parte
degli italiani era concentrata nella zona est del litorale mediterraneo con centro
a Marsiglia. Notevole la presenza italiana nei dipartimenti limitrofi e in quelle
a forte sviluppo industriale (Parigi e Lione).
Nel Gard, dipartimento compreso tra le Cèvennes a ovest e il Rodano a
est e in cui si trova Aigues-Mortes, nel 1893 risiedevano 3.080 italiani su un
totale di 4.600 stranieri.
L’eccidio si è consumato in un quadro di miseria e di forti tensioni
sociali. Le regioni del Midi, in quegli anni, attraversavano un periodo di
profonda crisi economica, «una grave crisi di identità dovuta all’affermarsi del
modello di sviluppo imposto dal capitalismo parigino […] a scapito degli
equilibri tradizionali. Sembra legittimo ipotizzare l’esistenza di sentimenti
xenofobi originati dal tentativo di affermare, sia pure in negativo, la propria
identità già entrata in crisi e che si teme ulteriormente attaccata dalle
periodiche ondate migratorie. Non è casuale, d’altra parte, il fatto che episodi
del genere avvenissero nella stessa epoca in Corsica, nei confronti degli
immigrati “lucchesi”, come venivano e talvolta vengono ancora chiamati con
una sfumatura peggiorativa gli italiani in genere»37: la produzione vinicola
regionale, un tempo florida e redditizia, era in sensibile calo a causa della
filossera diffusasi proprio in quel periodo, ma anche altri settori produttivi, alla
fine del secolo XIX, versavano in condizioni assai critiche e negative a séguito
della concorrenza vincente delle regioni del Nord e di un loro più efficiente
apparato produttivo. Le regioni del Midi erano poco sviluppate non solo sul
piano economico ma anche su quello sociale e politico: rigurgiti nazionalisti,
sentimenti anarchici ed un continuo radicalismo operaio si erano mescolati tra
36
Dalla introduzione di A. NATTA a E. BARNABÀ, Morte agli Italiani…, op. cit., p. 12. Le fonti
storiche non sono, di fatto, concordi nel riportare dati univoci circa il numero delle vittime del
massacro di Aigues-Mortes: un numero esatto non è mai stato acclarato. Sembra tuttavia
attendibile e verosimile il numero di 9 morti e di alcune decine di feriti, taluni in modo grave.
37
E. BARNABÀ, Morte agli Italiani…, op. cit., p. 35.
41 loro rendendo sempre più difficili e tesi i rapporti con gli stranieri, soprattutto
con gli italiani.
Non va neppure dimenticato che il massacro di Aigues-Mortes
rappresentò un evento gravido di implicazioni anche all’interno della storia del
socialismo, essendosi venuto a consumare a distanza di pochi giorni dalla IIª
Internazionale svoltasi a Zurigo ed in cui si era discusso, tra le altre cose, pure
il problema dell’emigrazione. A chi gridava sdegnato che Aigues-Mortes
smentiva Zurigo, Antonio Labriola rispose che al contrario quei tragici fatti
confermavano le idee della solidarietà e del socialismo, e la necessità di
un’opera di coesione tra le classi operaie di tutto il mondo.
Anticipazioni del sanguinoso fatto di Aigues-Mortes c’erano già state in
Francia: a Marsiglia nel 1881 (scontri e tafferugli durati alcuni giorni), mentre
nel 1882 si registrarono due episodi, avvenuti anch’essi nel Gard, di
aggressioni e intimidazioni a danno dei nostri connazionali chiamati con
disprezzo pimos o piemontais (termine con cui nel sud venivano chiamati i
piemontesi). Ad Aigues-Mortes il termine spregiativo più usato contro i nostri
connazionali sarà ours (orsi), quasi a voler evocare le stesse paure che l’irsuto e
selvatico mammifero suscita nell’immaginario collettivo. (Merita, forse,
ricordare che anche in America, proprio in quello stesso periodo, gli immigrati
italiani furono talvolta oggetto di forti manifestazioni xenofobe di vario genere
da parte delle popolazioni locali, se non già di veri e propri linciaggi: si pensi al
linciaggio di New Orleans del 1891 - dunque precedente di pochi anni i tragici
fatti di Aigues-Mortes - in cui 11 italiani, accusati di aver ucciso un capo della
polizia ma poi giudicati innocenti, furono prelevati dal carcere e trucidati…)38.
Gli immigrati italiani risultavano meno esigenti e con minori bisogni
rispetto ai lavoratori francesi, pronti a lavorare a cottimo quasi ad oltranza pur
38
Su questo punto e per una più ampia e circostanziata disamina delle situazioni di xenofobia
vissute dagli italiani in America, vedi P. SALVETTI, Corda e sapone. Storie di linciaggi degli
Stati Uniti, Donzelli, Roma 2003. L’insulto anti-italiano più vecchio che sia stato registrato in
Francia è bachins, derivante, forse, dall’omonimo ligure ‘baciccia’ e nato dalla rivalità storica,
attestata già nel secolo XVIII, tra Genova e Marsiglia. Gli italiani furono anche chiamati babis
(rospi) e christos (appellativo, quest’ultimo, che può spiegarsi con l’abitudine di molti italiani di
pronunciare in modo ingiurioso o blasfemo il nome di Cristo da cui, peraltro, lo stesso verbo
‘cristonare’ che in piemontese significa, per l’appunto, bestemmiare).
42 di portaare a casa qualche
q
solddo in più. Alla
A luce di questo, si ppuò compren
ndere
la nasccita degli stereotipi
s
deegli italianii briseurs de salairess (disponibiili ad
accettarre bassi salaari), e briseurs de grèves (crumiri e stacanoviisti).
Il lavoro nellee saline in un’’immagine delll’epoca
L
L’operaio
f
francese
v
vedeva
nell’immigratoo italiano un rivalee, un
pericoloso concorrrente utilizzato, com
me riserva, dai datorii di lavoro
o per
mantennere i salari al livello più
p basso. Certo,
C
in queesto atteggiaamento di aperta
a
ostilità nei confrronti dei nostri
n
conn
nazionali, entravano
e
in gioco anche
a
dinamiche psicoloogiche più profonde:
p
l’operaio fraancese, gravvato da miseeria e
da preccarietà, sfoggava sullo straniero
s
- in
n questo caaso sull’italiiano - l’odio che
provava nei confrronti della sua stessa miseria. A proposito di come veniva
v
percepiito, in geneerale, il lavooratore italiiano in Franncia può essere interesssante
la testiimonianza resa da unn sindacaliista pariginno nel corsso dell’inch
hiesta
parlamentare sullaa condizionee operaia deel 1884, il cosiddetto R
Rapporto Sp
puller:
«L’opeeraio italianoo è caratteriizzato dal faatto d’essere più docilee, più malleabile;
gli si fa
f fare tuttoo ciò che si vuole, abb
bassa la schiena e tendde la guanciia per
ricevere un altro schiaffo.
s
Coome uomo, trovo la coosa rivoltantte. Questi operai
o
43 non hanno dignità personale; sopportano tutto, chinano il capo ed
obbediscono»39. Si tratta di una fonte operaia, sindacale nella fattispecie. Molto
diversi i giudizi dei datori di lavoro: «“Si distinguono dagli altri operai per la
propensione all’ordine e alla sobrietà”; “Generalmente sono laboriosi,
economi, vivono di poco e mandano alla famiglia una buona parte della paga”;
“Sono più docili degli operai francesi, lavorano volentieri un quarto d’ora e
anche mezz’ora in più del periodo regolamentare”»40.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale i flussi migratori subirono
un ridimensionamento ma non si fermarono ed anzi ripresero con forza
nell’immediato dopoguerra. Nel 1931 gli italiani in Francia erano 808.000 e
rappresentavano, con il loro 27,9%, il primo gruppo di stranieri.
Il processo di integrazione è cresciuto soprattutto durante il periodo
fascista italiano. L’adesione degli italiani ai fasci in Francia ha riguardato solo
una parte degli immigrati, prevalentemente i notabili legati agli ambienti
diplomatici della colonia italiana, i commercianti e gli impresari. Non ha
toccato i numerosissimi operai e manovali che lavoravano in Francia:
soprattutto a Nizza, a Marsiglia e nella Lorena.
I fasci, che si erano insediati nel dipartimento delle Alpi Marittime nel
corso degli Anni Venti non senza difficoltà e mediocri risultati, conobbero una
forte ripresa a partire dal 193341.
Il rinsaldarsi dei rapporti tra i due Paesi nel 1935 (in occasione della
conferenza di Stresa) e la conquista dell’Etiopia da parte dell’esercito italiano
conferirono al regime un notevole prestigio. Di conseguenza, crebbe il numero
degli aderenti al movimento fascista che passò da 1.000 nel 1929 a 2.200 nel
1938. Una larghissima parte di questi ultimi apparteneva alla classe sociale
media e superiore ed esercitava professioni legate al terziario. Furono costruiti
(a Grasse, Vence, Beausoleil, Saint-Laurent du Var, Cannes, Nizza e Mentone)
edifici accanto alle strutture consolari in cui i sostenitori e i simpatizzanti del
39
E. BARNABÀ, Morte agli Italiani…, op. cit., p. 25.
Ibidem.
41
Vedi R. SCHOR, «Les Italiens dans les Alpes-Maritimes durant les années 1930» in E. TÉMIME
- T. VERTONE (a cura di), Gli Italiani nella Francia del Sud e in Corsica…, op. cit., pp. 231-237.
40
44 Duce potevano trovarsi o riunirsi. Anche in questa zona della Francia, dunque,
il fascismo favorì luoghi di incontro, manifestazioni culturali e sportive.
Indubbiamente, un certo numero di italiani si accostò al fascismo per i più
svariati motivi: per vantaggi personali, per la paura di non ottenere il rinnovo
del permesso di soggiorno o di esporre i familiari rimasti in patria a ritorsioni o
rappresaglie…
La sinistra, da parte sua, era profondamente divisa.
Tuttavia, due erano le grandi famiglie che la componevano: i socialisti
riformisti, da un lato (i quali potevano contare a Nizza su circa 250 aderenti), e
i comunisti, dall’altro, che conobbero una decisa rimonta, parallelamente e in
séguito alla nascita nel 1934 del Fronte popolare francese, disponendo nel 1937
di circa 500 iscritti.
Poche, se non pochissime, le decine di affiliati al partito socialista
massimalista e al partito repubblicano, mentre significativo risultò il numero
dei membri attivi nella lega dei diritti dell’uomo: 300 nel 1938.
Le due grandi famiglie della sinistra - che, peraltro, si distinguevano per
le diverse forme d’azione alle quali facevano ricorso - lottavano tra loro per
avere il controllo sulle manifestazioni di rivolta e protesta.
I riformisti rimproveravano ai rivoluzionari di aver aderito alla IIIª
Internazionale e di essere agli ordini di Mosca; i comunisti rinfacciavano ai
loro rivali di aver approvato l’entrata dell’Italia in guerra nel 1915, nonché di
aver favorito la nascita del fascismo e di essere, in parte, con esso conniventi.
Ogni tentativo di conciliare o di unire queste due anime della sinistra fu
destinato a fallire. Una possibile soluzione, in tal senso, parve profilarsi alla
fine degli Anni Trenta: l’Unione popolare italiana (Upi) fondata nel 1937 corrispettiva del Fronte popolare francese - incontrò un certo successo. Questa
organizzazione, sviluppando una intensa propaganda e promettendo agli
immigrati l’adozione di uno statuto e l’annullamento delle espulsioni arbitrarie,
riuscì ad ottenere un migliaio di adesioni nelle Alpi Marittime. Alla fine del
1938, sullo sfondo di uno scenario politico internazionale carico di fortissime
tensioni tra Italia e Francia, molti immigrati italiani oltre confine temettero
45 seriamente di non fare più ritorno in patria e guardarono con viva
preoccupazione ad una possibile guerra tra i due Paesi così vicini e a loro così
profondamente cari.
Le lotte all’interno dell’Upi continuarono tra riformisti e comunisti per
prendere il controllo dell’organizzazione. A séguito della stipulazione del patto
tedesco-sovietico i rapporti si aggravarono ancora di più: i socialisti lo
condannarono formalmente, i comunisti l’approvarono e accusarono gli
avversari di condurre ‘una ignobile campagna contro l’Unione sovietica’.
L’inconciliabilità di queste posizioni e l’asprezza del conflitto finirono col
dissolvere l’Upi agli inizi del secondo conflitto mondiale.
Si può dire che nel corso degli Anni Trenta gli immigrati italiani che
vivevano e lavoravano nel dipartimento delle Alpi Marittime erano visti, tutto
sommato, con benevolenza sia da parte della sinistra che da parte della destra:
la prima solidarizzava con questi lavoratori stranieri, sfruttati e pronti a
svolgere qualsiasi attività pur di raccogliere qualche soldo; la seconda, che
ammirava Mussolini, si preoccupava delle sorti dei suoi compatrioti immigrati
promuovendo iniziative e manifestazioni di incontro tra i due Paesi. Va detto,
nondimeno, che la più parte di questi italiani, onesti ed animati da buona
volontà, era politicamente neutrale e capace di integrarsi in tempi rapidi con la
popolazione ospitante.
Furono concomitanti circostanze esterne e fattori politici (la crisi
economica degli Anni Trenta, l’aumento economico della disoccupazione, il
militantismo di alcuni gruppi di italiani - tanto a destra quanto a sinistra -, le
rivendicazioni dell’Italia sulla contea di Nizza, il timore di sommosse
irredentiste…) a rovinare le relazioni tra Francia e Italia alimentando quei
pregiudizi - di cui già si è detto - dei francesi sui nostri connazionali (briseurs
de grèves, sobillatori politici, ecc.) e ad impedire un’armonica convivenza tra
le due comunità che condividevano, oltreché lo stesso ambiente geografico,
l’identico milieu etnico, culturale, linguistico e religioso.
L’adesione degli italiani alla Resistenza francese risulta, ancora oggi, un
fenomeno complesso e controverso da valutare. Ha giocato, in tal senso, un
46 ruolo non irrilevante l’atteggiamento anti-italiano di certa opinione pubblica
francese che poco e male ha digerito l’entrata in guerra dell’Italia fianco della
Germania.
Alla vigilia del IIº conflitto mondiale, molti italiani hanno chiesto la
naturalizzazione ma molti anche hanno chiesto di fare rientro in patria, a ciò
spinti dalla paura di subire possibili ritorsioni sia da parte delle autorità francesi
che a causa di quel sentimento xenofobo cui si accennava prima.
È un dato di fatto, comunque, che numerosi italiani di ogni estrazione
sociale, esuli politici e semplici lavoratori hanno combattuto nelle file della 1ª
Armata francese sul fronte delle Alpi Marittime dall’ottobre 1944 alla fine di
aprile 1945: hanno partecipato alla guerra di resistenza a fianco dei maquisards
contro le truppe degli stessi italiani che occupavano il sud della Francia e sono
morti per gli stessi ideali di libertà e giustizia.
Come è stato a suo tempo osservato - durante un convegno italo-francese
sulla Resistenza nelle Alpi Marittime, tenutosi nella sala consiliare di
Ventimiglia il 9 dicembre 1995 - la cooperazione partigiana franco-italiana è
stata possibile in quanto l’unità di intenti e gli obiettivi contro il nazifascismo
sono stati gli stessi, identica la matrice storica e culturale di questi due Paesi e
popoli latini, condiviso il valore della pace per un futuro di democrazia e
giustizia.
Oggi più che mai, in un contesto europeo allargato e nel quale siamo
direttamente coinvolti, occorre incrementare e rafforzare il processo di
integrazione transfrontaliera, abbattendo - ove permangano ancora - pregiudizi
e barriere culturali, affinché si realizzino, in modo sempre più consapevole e
fruttuoso, il recupero e la valorizzazione di un comune patrimonio storico,
culturale e di tradizioni franco-italiane. Può essere interessante ricordare un
fatto realmente accaduto a Nizza l’8 settembre 1943 e ben descritto dallo
studioso locale Enrico Berio - convinto europeista, tra i principali animatori e
fondatori del Movimento federalista europeo in provincia di Imperia, e ideatore
del periodico bilingue «Alpazur» - in un suo saggio: «Troppo lunga è la
narrazione di episodi di maggiore o minor portata che servirono, tutti assieme,
47 a far ritrovare, almeno in parte, lo spirito di fraternità fra italiani e francesi,
accomunati ormai dall’antifascismo. Ci limitiamo, perciò, a ricordare un
episodio che ci pare il più significativo per la risonanza che ebbe e per le
conseguenze che ne derivarono. Si tratta della disperata azione del tenente
Salvatore Bono che comandava, all’8 settembre 1943, il presidio militare
italiano alla stazione ferroviaria di Nizza. Il Bono, al sopraggiungere di un
reparto tedesco che intimava la resa, invece di cedere all’imposizione nemica,
reagì d’istinto (come ebbe a confessarmi in uno dei nostri incontri di alcuni
anni dopo, dapprima come federalisti e poi anche come amici) e aprì il fuoco
scatenando una cruenta battaglia in cui caddero numerosi tedeschi ed alcuni dei
suoi uomini. Raggiunto a sua volta dalle schegge di una granata o bomba a
mano, fu terribilmente dilaniato, tanto che solo per la forte fibra riuscì a
salvarsi, dopo una lunga degenza, sempre all’ospedale di Nizza. Così Salvatore
Bono divenne per i nizzardi l’eroe del riscatto acquistando la massima
considerazione degli abitanti, grazie anche ai suoi modi gentili e cordiali ed
alla perfetta conoscenza acquisita della lingua francese, tanto che, non appena
ristabiliti i rapporti diplomatici tra Italia e Francia, essendo anche laureato in
filosofia, venne incaricato della riapertura del Consolato generale d’Italia nella
stessa città di Nizza ove poi rimase per lunghi anni come addetto culturale.
Insignito della Medaglia d’Oro al valor militare divenne poi un fervente
europeista e si deve proprio a lui il primo contatto con i federalisti di
Ventimiglia nel 1950-51»42.
Lavorare per un’Europa unita è forse il messaggio più significativo e
pregnante che le vicende di cooperazione partigiana italo-francese nelle Alpi
Marittime sembrano lasciarci a oltre sessant’anni di distanza.
42
E. BERIO, ALPAZUR Nizza, Cuneo, Imperia «Distretto Europeo». La cooperazione
transfrontaliera nell’interregione delle Alpi Meridionali, Istituto Storico della Resistenza di
Imperia, 1992, p. 22. L’episodio viene riportato anche da L. VIALE, «Attualità delle iniziative di
cooperazione partigiana italo-francese, nelle Alpi Marittime, a cinquant’anni di distanza» in
AA.VV., «Atti del Convegno italo-francese sulla Resistenza nelle Alpi Marittime», Sala
Consiliare di Ventimiglia, 9 dicembre 1995, pp. 82-83. Tra le relazioni di quel convegno, merita
altresì ricordare, in riferimento al tema della Resistenza degli italiani nella Francia del sud,
l’intervento di J. L. PANICACCI, «Les Italiens dans la Résistance du département des AlpesMaritimes», pp. 67-77.
48 Al termine del IIº conflitto bellico, la ripresa delle emigrazioni fu
incentivata dalla necessità della ricostruzione nelle zone settentrionali e
orientali della Francia, nei cantieri edili e nelle fabbriche. A partire dagli Anni
Cinquanta, nonostante gli indici favorevoli del boom economico, i gruppi di
italiani nel Paese d’oltralpe calarono notevolmente: nel 1962 i nostri
connazionali censiti erano 629.000; nel 1975 la cifra degli italiani si aggirava
intorno a 462.940 presenze. Nel 1982, a quasi dieci anni di distanza dalla
grande crisi petrolifera del 1973, gli italiani oltre confine rappresentavano
appena il 9% degli stranieri. Gli emigrati provenivano dalle aree settentrionali
dell’Italia, per lo più dalla Lombardia, dal Piemonte e dal Veneto e avevano
come meta, per la maggior parte, il dipartimento delle Alpi Marittime e, in
misura minore, l’area settentrionale. Queste aree vantavano importanti cantieri
e uno sviluppo industriale e commerciale che interessava rilevanti poli urbani. I
lavoratori italiani in Francia, come in molte altre realtà di immigrazione, erano
prevalentemente uomini di età compresa tra i 20 e i 40 anni (stessa fascia di età
per le donne). Circa la metà di questi uomini era costituita da celibi: ciò
contribuì all’aumento dei matrimoni misti e a un’integrazione più rapida. Le
donne emigravano per lo più con il marito e, a differenza degli uomini, non
partivano mai lasciando la propria famiglia a casa. Come manodopera edile e
agricola erano maggiormente richiesti gli uomini, mentre, per quanto riguarda
le donne, esse erano ricercate come lavoratrici domestiche o operaie nel settore
tessile. Nella regione settentrionale l’arrivo degli italiani fu anche stimolato
dall’effetto congiunto del bisogno della ricostruzione postbellica nelle località
più devastate dai bombardamenti insieme alla necessità di manodopera per le
miniere, per le industrie chimiche e siderurgiche, tutte in forte espansione. Le
comunità italiane nel 1946 risultavano meno concentrate nella regione
meridionale, ma più disperse sul territorio, con un forte aumento nella regione
settentrionale (intorno a Parigi e nella Lorena); sul piano professionale le
attività più legate alle industrie metalmeccaniche e a quelle automobilistiche
presentavano maggiore incremento in confronto alle occupazioni prevalenti in
passato (l’edilizia, i servizi, le miniere e i lavori pubblici). In questo periodo
49 cambia anche la provenienza: se dapprima gli italiani arrivavano per l’80%
dalle regioni del Nord e dal Sud ne provenivano per un 13%, lentamente ma
progressivamente il Sud crebbe fino ad arrivare al 39% ed il Nord scese al
50%: questo a causa del notevole sviluppo socio-economico che investì il
Nord.
Il 90% degli immigrati era analfabeta: quando arrivavano alla frontiera
veniva dato loro un ‘passaporto rosso’ che indicava il loro grado di istruzione e
li inquadrava nella categoria dei ‘lavoratori umili’ (nel periodo 1950-1970
l’analfabetismo si abbassò al 75%, rimanendo pur sempre un valore alto). La
vita quotidiana degli immigrati era fatta molto spesso di solitudine, di paura e
di fatica e, una volta sistemati, facevano arrivare parenti e amici che potevano
servire alla stessa impresa in cui già lavoravano: in questo modo si costituivano
catene migratorie che finivano col creare una sorta di piccola comunità.
Successivamente si assistette alla crescita di commerci di diverse dimensioni
gestiti da italiani, in quanto molti prodotti erano di origine italiana e i rapporti
con le loro famiglie favorivano l’esportazione di merci per poi rivenderle in
Francia. L’ascesa economica fu evidente soprattutto nel commercio di generi
alimentari e nel settore della ristorazione: gli italiani iniziarono ad aprire
botteghe, laboratori e ristoranti, molte volte passando da ‘servi’ a ‘padroni’.
c)
Gli italiani in Francia ai tempi della grande migrazione
Gli italiani che migrarono in Francia ai tempi della grande migrazione
provenivano in gran parte dalle regioni settentrionali e andarono a concentrarsi
principalmente in tre zone:
-
il territorio più vicino alla frontiera, comprendente il dipartimento
delle Alpi Marittime, il Var e le Bocche del Rodano. Queste zone,
insieme alla Corsica, raggruppavano i due terzi della popolazione di
nostri connazionali;
50 -
l’area alpina comprendente l’Alta Savoia, la Savoia e l’Isère. Questi
dipartimenti, insieme a quello del Rodano, detenevano circa il 10%
degli italiani;
-
e, come terzo polo di insediamento, il dipartimento della Senna,
quello della capitale che, da solo, nel 1896 vantava un numero di
italiani pari a 24.000.
In queste zone, ora elencate, si concentrava all’inizio del Novecento circa
l’85% degli italiani. Dopo la Prima guerra mondiale ebbe luogo una nuova
ridistribuzione territoriale della presenza italiana: mentre la grande regione
meridionale, Provenza - Costa Azzurra, subì un sensibile calo (nel 1921
annoverava oltre il 51% degli italiani, nel 1931 ne conteggiava il 30,5%), si
registrò un forte balzo della presenza italiana nell’area nord-occidentale e
parigina (Senna, Senna e Oise, Senna e Marna) ma anche nell’area sudoccidentale (Aquitania, Gers, Lot-et-Garonne).
Nell’area nord-occidentale e parigina l’aumento degli italiani fu
alimentato dal bisogno di manodopera sia per la ricostruzione post-bellica nelle
località più devastate dai bombardamenti che per le miniere e le industrie
chimiche e siderurgiche; nell’area sud-occidentale, invece, la richiesta di forza
lavoro scaturiva dalla necessità del popolamento di grandi aree agricole. E
proprio in queste zone andò a confluire un’assai nutrita schiera di veneti e di
italiani del nord-est.
Anche nel secondo dopoguerra si è registrata un’ulteriore regressione
degli italiani nelle aree mediterranee e un loro incremento nell’area parigina e
nella Lorena industriale.
Dal secondo dopoguerra ai giorni nostri è cambiata l’area di provenienza
degli italiani in Francia: prevalentemente italiani del nord-est (Veneto e Friuli)
e, in misura considerevole, italiani del sud (Ciociaria, Puglie, Calabria, Sicilia)
secondo i soliti meccanismi aggregativi delle catene migratorie che si
producono spontaneamente a livello delle singole famiglie e comunità di
migranti: basti ricordare che nel 1959 l’area del Veneto costituiva il 37% degli
51 immigrati, mentre gli italiani di provenienza centro-meridionale sfiorarono la
soglia del 59%.
A proposito di italiani di provenienza centro-meridionale, i primi
immigrati nel Ponente ligure risalenti al 1921-25 erano Calabresi a
Ventimiglia, Abruzzesi a Coldirodi (sulle colline di Sanremo) e Riva Ligure.
Nel corso degli anni, essi hanno in vario modo sollecitato la venuta di familiari
e parenti dalle terre d’origine. L’immigrazione si è compiuta così secondo una
‘catena’ progressiva di solidarietà familiare e paesana. Vere e proprie colonie
di meridionali (calabresi, abruzzesi, siciliani, pugliesi) si sono formate poi nei
vari comuni del territorio imperiese e del comprensorio intemelio.
Lo stesso fenomeno dei frontalieri dell’estremo Ponente ligure ha
riguardato, in minima parte, gli autoctoni e in misura assai significativa proprio
questi nutriti gruppi di immigrati, provenienti dalle regioni del sud d’Italia, i
quali sono affluiti nella zona ligure di confine alla ricerca senza dubbio di una
sistemazione lavorativa e residenziale ma, soprattutto e il più delle volte - come
detto precedentemente -, col preciso scopo di diventare frontalieri. La loro
sarebbe stata, dunque, una scelta ‘forzata’, considerate le caratteristiche
economico-strutturali ben poco incoraggianti dell’Italia e certamente di questa
particolare area territoriale di frontiera.
Nel già menzionato saggio sui frontalieri della Liguria di Bruno Gozzi,
quest’ultimo,
intervistando
un
notevole
campione
di
transfrontalieri,
concludeva che tre quarti degli interpellati sarebbero tornati volentieri a
lavorare in Italia se ci fossero state nel nostro Paese opportunità lavorative
concrete e adeguatamente remunerate43.
d)
Caratteristiche e sviluppi dell’integrazione sociale e culturale
nell’area transfrontaliera italo-francese
Nell’arco degli ultimi 30/40 anni non sono mancati iniziative e progetti
vòlti a promuovere e ad intensificare i rapporti tra la realtà italiana e quella
43
B. GOZZI, I frontalieri della Liguria…, op. cit., p. 178.
52 francese della zona transfrontaliera, partendo dalla cura e dalla preservazione
del territorio44.
La tutela del territorio, d’altra parte, con tutto ciò che essa comporta
(prevenzione e fronteggiamento delle calamità sismiche, degli incendi, delle
inondazioni e del dissesto idrogeologico; la salvaguardia della biodiversità e
degli spazi naturali di particolare interesse; lo smaltimento dei rifiuti, ecc.) è
l’elemento che sostiene e giustifica tutte le altre attività e servizi: turismo,
agricoltura, trasporti.
Proprio nell’ambito delle iniziative promosse dal piano Interreg I,
l’Università di Genova ha condotto a suo tempo una ricerca sulla porzione
transfrontaliera facente capo ai poli di Mentone e Ventimiglia, esaminando
l’uso del suolo, gli strumenti di gestione e di pianificazione, i valori
paesaggistici ed architettonici nonché gli aspetti socio-economici, le
problematiche e potenzialità del territorio.
Un secondo progetto, riferito questa volta al programma Interreg II, ha
proposto invece di creare un ‘circuito turistico-culturale transfrontaliero’ per la
valorizzazione del patrimonio naturale e culturale delle Alpi del Sud.
Prevedeva infatti un circuito museale dei quattro Comuni coinvolti (Sanremo e
Triora per la parte italiana, Tenda e Roquebrune-Cap-Martin per la parte
francese) e la creazione di un percorso turistico fra i più ricchi di bellezze
naturali e di reperti artistici in una delle zone più note e suggestive dell’intera
area della Liguria e della Costa Azzurra.
Insieme alla cura del territorio, anche la lingua è indubbiamente un
importantissimo strumento di integrazione sociale e culturale. Tutti i rapporti
umani, economici, socio-culturali e politici passano attraverso la conoscenza
della lingua.
44
Per queste ed altri riferimenti, mi è stato utile consultare E. DELL’AGNESE, Dal confine di
linea al confine di fascia: conseguenze territoriali della trasformazione geopolitica
contemporanea della regione transfrontaliera di Ventimiglia - Mentone, Tesi di Laurea, Facoltà di
Scienze Politiche (Università degli Studi di Milano), Anno Accademico 1997-1998.
53 Eppure per troppo tempo, almeno da parte italiana, si è ritenuto poco
importante conoscere bene la lingua francese per andare a lavorare oltre
confine.
Alcuni insegnanti italiani di lingua e letteratura francese, da me
intervistati e che esercitano nel comprensorio intemelio, hanno confermato
questo assunto. Tra loro v’è chi sostiene: «La situazione è tale in quanto i
contatti con la Francia a noi prossima, da un punto di vista culturale, sono
pressoché inesistenti. Il francese del cinema, del teatro o della letteratura è
lingua difficile, non basta ‘orecchiarlo’ come fanno i bottegai intemeli. È
comunque un altro mondo: non vado al cinema a Mentone non solo perché non
ci capirei gran che, ma anche perché di quel film non ho mai sentito parlare, è
un’altra programmazione».
La limitata e/o mediocre conoscenza della lingua francese - imputabile,
forse, anche ad una certa pigrizia intellettuale (per cui si possono comprendere
giustificazioni del tipo: «La Francia è vicina e poi il dialetto del Ponente ligure
comprende termini ed espressioni di derivazione francese: è sufficiente questo
per farsi capire. Perché impegnarsi nello studio di una lingua straniera?») o ad
una superficiale modalità d’approccio al problema linguistico-culturale (cui
non sarebbero esenti, talvolta, gli stessi politici ed amministratori locali, gli
insegnanti e i dirigenti scolastici) - ha avuto ripercussioni negative su una
autentica e compiuta integrazione transfrontaliera anche in termini strettamente
occupazionali, impedendo infatti una reale collocazione di professionalità più
alte e diversificate degli italiani nella vicina Costa Azzurra. Molte persone
native del territorio ligure, che oggi hanno 50/60 anni e che hanno conseguito
un diploma di scuola superiore e/o di laurea, dichiarano di aver studiato in
gioventù solo o prevalentemente l’inglese. Privilegiando l’inglese, è venuta
così meno l’opportunità di utilizzare o valorizzare il francese nella ricerca
concreta di un’occupazione nella vicina Costa Azzurra, a meno che non fosse
un’attività di manovalanza per la quale non è indispensabile padroneggiare la
lingua del Paese ospitante.
54 Per contro, da parte francese, a fronte anche di uno studio a livello
scolastico dell’italiano come lingua straniera, non si è registrata - finora - una
numericamente significativa richiesta di inserimenti occupazionali nel territorio
del Ponente ligure: circostanza quest’ultima facilmente attribuibile alle note
condizioni di difficoltà od insufficienza di offerte lavorative di quest’area ma
che forse non può ridursi solo ed unicamente a questo fattore…
La Riviera francese è un’area decisamente più ricca e vivace, a livello
economico-lavorativo, di quella ligure. Presenta non poche opportunità in ogni
settore del terziario, dell’artigianato e dell’industria. È inserita nella cosiddetta
sun belt che ha attratto industrie ad alta tecnologia (vedi IBM di La Gaude) e
ad alti profitti. La disoccupazione è quasi sconosciuta.
Va nondimeno precisato che la mobilità dei giovani francesi è
ulteriormente stimolata da aiuti statali come finanziamenti al pagamento
dell’affitto, il reddito minimo (RMI) e l’allocazione di disoccupazione che non
costringono i ragazzi a stare a casa dei genitori per sopravvivenza, come
avviene il più delle volte in Italia date le oggettive difficoltà economiche e la
penuria di lavoro riguardanti i giovani (e i non più giovani) del nostro Paese.
Nel corso almeno degli ultimi due decenni le cose hanno cominciato a
cambiare: lo studio e la comprensione della lingua sono stati, da ambo le parti,
molto sviluppati e migliorati, e questo già a partire dal progetto d’integrazione
scolastica iniziato nel 1989.
Questa iniziativa è stata frutto degli sforzi compiuti, sin dal 1984, dalla
‘Consulta transfrontaliera Imperia - Cuneo - Nizza’ promossa dall’allora
assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Imperia, Lorenzo Viale45,
mediante un progetto chiamato ‘Riuscire insieme’ prima dalla giunta
provinciale di Imperia e poi ratificato anche dalla Provincia di Cuneo e dal
Dipartimento delle Alpi Marittime, nel 1987.
Dopo il trattato di pace del 1947, le tensioni derivanti dalla fine della
Seconda guerra mondiale e dalla necessità di ricostruire un nuovo ordine
45
L. VIALE, «La cooperazione transfrontaliera italo-francese. verso una Euroregione: NizzaCuneo-Imperia» in «Intemelion», n. 4, Ventimiglia 1998, pp. 153-181.
55 politico internazionale hanno reso difficili e rigidamente burocratici i rapporti
di frontiera tra Italia e Francia: il confine è stato visto e vissuto come una netta
linea divisoria fra i due Paesi e, quindi, fra le due comunità. In verità questa
situazione è durata pochi anni: il territorio di confine italo-francese - in virtù
dei comuni interessi e delle analoghe, se non identiche, caratteristiche storiche,
geografiche e culturali - è venuto sempre più a configurarsi come una frontiera
aperta e in continuo movimento.
A partire dalla fine degli Anni Ottanta si sono varati progetti pilota per lo
sviluppo del bilinguismo italo-francese coinvolgendo le istituzioni scolastiche
ed universitarie.
Il 1 e il 2 aprile 1993 a Nizza, presso l’università Sophia Antipolis, si è
tenuto il I° Convegno per la reciproca diffusione delle lingue nelle zone di
confine fra Italia e Francia.
Le università di Genova e di Nizza-Sophia Antipolis hanno costituito due
commissioni (scientifica e letteraria), riunitesi ad Imperia nel giugno del 1991,
ed hanno elaborato un documento di cooperazione. Si è avvertito il bisogno di
favorire scambi culturali, corsi di formazione professionale in entrambe le
lingue, e politiche giovanili a valenza transnazionale. Si è affacciata pure l’idea
di dare vita ad un periodico culturale bilingue: cosa che è avvenuta nel
settembre 1990 con la rivista «Le Alpi del Mare» sostenuta finanziariamente
dalle amministrazioni provinciali di Nizza, Cuneo ed Imperia.
A livello universitario, può essere utile ricordare, ad esempio, che nel
1993 - all’interno dello studio per lo sviluppo del Programma Interreg, nella
sezione degli scambi e cooperazione universitari e formativi - è stato elaborato
un progetto franco-italiano finalizzato all’installazione a Mentone di un
dipartimento dello IUT (Istituto Universitario di Tecnologia) di Nizza in grado
di accogliere nel campo della biologia applicata 180 studenti delle due nazioni
e di rilasciare un diploma per la formazione di tecnici specializzati nel settore
farmaceutico ed alimentare.
Il progetto si è di fatto realizzato nel settembre 1997. A Mentone,
appunto, è stato aperto il dipartimento dello IUT: ‘Statistica e Trattamento
56 informatico dei dati’. Il Protocollo, che ha decretato la nascita di questo
istituto, è stato firmato dalle università di Nizza-Sophia Antipolis, Genova e
Torino, all’interno del quadro europeo ‘Nicomede’, che prevede cooperazioni
transfrontaliere, organizzate dal rettorato universitario di Nizza. L’istituto
rilascia diplomi universitari di tecnologia (DUT) riconosciuti sia in Italia che in
Francia.
A favore dell’integrazione scolastica e culturale delle tre province di
Imperia, Cuneo e Nizza opera da anni, segnalandosi per importanti iniziative
(corsi serali e diurni di lingua, conferenze e mostre sulla storia e cultura
francese, ecc.), anche l’Alliance Française che è, più precisamente,
un’associazione internazionale di lingua e cultura francese, senza scopi di
lucro, che ha sede per quanto riguarda l’Italia a Ventimiglia e a Cuneo nonché
in altre città (Sanremo, Imperia) della costa e dell’entroterra delle province di
Imperia e Savona.
Significativo esempio della sua intensa e lodevole attività: la sigla, nel
1992, della Convenzione tra la provincia di Imperia e l’università di NizzaSophia Antipolis che ha dato - e continua a dare ancora oggi - la possibilità agli
studenti italiani della provincia di Imperia di iscriversi all’università francese di
Nizza dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore, previo superamento
- salvo altre indicazioni delle singole Facoltà - di un test in lingua francese.
La situazione attuale - dal 1999/2000 ad oggi - nell’Académie de Nice
(Alpi Marittime e Var) è la seguente: la lingua insegnata nella scuola primaria
va insegnata nella scuola media e nel liceo della stessa zona di modo che, se
l’italiano viene insegnato nella scuola primaria, significa che dovrebbero
esserci nella scuola media della stessa zona classi di prima media chiamate
‘LV1 bis’ in cui i ragazzi possono continuare l’apprendimento dell’italiano
contemporaneamente a quello inglese (ecco perché ‘LV1 bis’: Langue Vivante
bis, cioè due lingue straniere); per poi accedere alle classi o sezioni di liceo
chiamate ‘europee’ poiché comprendono l’insegnamento di due lingue (italiano
e inglese) ad un livello piuttosto alto (ciò dipende dai programmi dei licei, dal
numero delle iscrizioni, dalle capacità dei singoli studenti, ecc.) e
57 l’insegnamento di una materia non linguistica (solitamente Storia o Geografia)
in lingua straniera (DNL, disciplina non linguistica). Questo percorso permette
di presentare l’esame di maturità (Baccalauréat) con menzione europea, grazie
all’ottenimento di un voto uguale o superiore a 12/20 alla prova d’italiano e a
10/20 alla prova di DNL (nella maggioranza dei casi, prova orale di ‘Storia
dell’Italia contemporanea’ in italiano). Queste classi europee sono tuttavia una
minoranza e non sono ovviamente obbligatorie: si può dire che, in genere, sono
considerate di élite.
La situazione più generale è un insegnamento della lingua italiana come
seconda lingua straniera, a scelta libera, iniziata in terza media - cioè due anni
dopo l’inglese - e proseguita fino all’esame di maturità (in tutto 5 anni di
studio). Bisogna però precisare che l’insegnamento prevede in Francia due
lingue obbligatoriamente, ma la scelta delle stesse resta ‘libera’, condizionata
solamente dall’offerta locale (tranne nei licei professionali dove è obbligatoria
una sola, anche se nel Liceo ‘Paul Valéry’ di Mentone l’italiano è stato
istituito, alcuni anni or sono, come materia fissa per tutti gli allievi, in
considerazione degli interessi professionali locali).
Resta comunque il fatto che l’obbligatorietà dell’apprendimento di due
lingue straniere fin dalla scuola media fa la differenza con la situazione
dell’Italia in cui l’apprendimento di un’unica lingua straniera fa prediligere per
forza l’inglese (anche se in Francia si va verso l’inglese obbligatorio fin dalla
scuola primaria a discapito delle altre lingue e delle classi di ‘LV1 bis’ in
particolare).
Esistono in Italia, specie in grandi città, sezioni internazionali all’interno
di licei piuttosto di élite che corrispondono pressappoco alle classi europee
francesi, dal momento che l’insegnamento della lingua francese va completato
anche lì con l’insegnamento di una materia non linguistica in francese (il più
delle volte si tratta di Storia o Filosofia).
Negli ultimi cinque anni non si sono registrati nuovi e significativi
progetti o iniziative degne di menzione vòlti a promuovere o a intensificare i
rapporti tra la realtà italiana e quella francese della zona transfrontaliera.
58 III
I MIGRANTI di OGGI nell’ESTREMO PONENTE LIGURE e
il RUOLO dei CENTRI per l’IMPIEGO
nell’ORIENTAMENTO
a)
Le principali comunità straniere nel territorio della provincia
di Imperia46
Da alcuni decenni il corso della storia, relativamente ai flussi migratori
avvenuti nel mondo occidentale, è mutato e l’Italia è diventata meta di persone
provenienti da varie parti del mondo in cerca di una vita e di un futuro migliori47.
All’inizio del 2010 l’Istat ha registrato 4 milioni e 235.000 residenti stranieri ma,
secondo l’ultimo rapporto annuale del Dossier statistico sull’immigrazione a cura
46
Parte delle informazioni contenute in queste pagine sono state ricavate dalla ricerca, patrocinata
dalla Camera di Commercio di Imperia in collaborazione con l’Inail, l’Inps e l’Agenzia delle
Entrate, di G. LOCARNO, Gli imprenditori stranieri in provincia di Imperia, 2008. Le notizie
sulle caratteristiche sociali e culturali dei principali gruppi di immigrati extracomunitari in
provincia di Imperia sono state fornite dall’Associazione Mappamondo di Sanremo. Mappamondo
è un’associazione di mediazione culturale senza fini di lucro che dal 2002 opera soprattutto nella
città in cui ha sede, ma anche in altri centri della provincia con lo scopo di rappresentare un tramite
tra gli immigrati, le istituzioni (Enti territoriali, ASL, Caritas) e i cittadini italiani, offrendo servizi
finalizzati alla loro integrazione ed alla conoscenza della loro cultura di origine, presupposti al
superamento dell’insicurezza e dell’intolleranza percepite dagli italiani nei riguardi degli
immigrati. Stipula, per conto dei Comuni e della Provincia, contratti di collaborazione con
mediatori culturali di lingua cinese, rumena, araba, russa, spagnola, portoghese e turca, organizza
corsi di lingua italiana ed estera, promuove seminari e convegni sull’intercultura, feste e
manifestazioni per avvicinare alla cultura degli immigrati, offre agli stranieri consulenza legale, li
accosta alle istituzioni scolastiche e ai consultori. L’Associazione Mappamondo organizza anche,
insieme ad altre associazioni sanremesi che si occupano di immigrati, manifestazioni e iniziative
multiculturali come la ‘Festa dei Popoli’. Durante un’intera giornata, in una delle piazze del centro
storico della città, le associazioni culturali, o anche semplici gruppi spontanei di stranieri
propongono alla cittadinanza alcune espressioni della propria cultura, soprattutto musiche e canti
etnici, sfilate in costume, specialità gastronomiche. Si segnalano come visibilità i latino-americani
ed alcuni gruppi di africani sub sahariani; albanesi e cinesi sono stati finora assenti.
47
Sul fenomeno della immigrazione in Italia, nel corso degli ultimi anni, possono essere utili ed
interessanti i seguenti volumi: A. FERRACUTI (a cura di), Permesso di soggiorno. Gli scrittori
stranieri raccontano l’Italia, Ediesse, Roma 2010; C. LOMBRASSA - F. STRAZZERI, Stranieri
in Italia, Foschi Editore, Forlì (FC) 2010; A. COLOMBO - G. SCIORTINO (a cura di), Stranieri
in Italia. Trent’anni dopo, Il Mulino, Bologna 2008. Sulle problematiche di integrazione e
multiculturalismo, vedi, ad esempio: G. SARTORI, Pluralismo multiculturalismo e estranei, Bur,
Milano 2002; M. MARTINIELLO, Le società multietniche, Il Mulino, Bologna 2000.
59 della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes («Dossier 1991-2010: per una
cultura dell’altro», giunto ormai alla ventesima edizione), includendo tutte le
persone regolarmente soggiornanti seppure non ancora iscritte in anagrafe, si
arriva a 4 milioni e 919.000 (1 immigrato ogni 12 residenti). L’aumento dei
residenti è stato di circa 3 milioni di unità nel corso dell’ultimo decennio, durante
il quale la presenza straniera è pressoché triplicata, e di quasi 1 milione
nell’ultimo biennio.
In tutta Europa la crescita dell’occupazione è legata ai lavoratori
immigrati. Essi sono circa 17,8 milioni, dei quali circa 2 milioni in Italia. Nel
2008 è stato varato l’ultimo decreto flussi per lavoratori dipendenti (150.000
persone), mentre nel 2009 è seguìto un decreto flussi solo per gli stagionali
(80.000 unità), e infine nel mese di settembre 2009 è stata approvata la
regolarizzazione degli addetti al settore domestico e di cura alla persona (295.000
domande presentate). Secondo i dati Istat, nel 2009 (un anno in cui l’occupazione
complessiva è diminuita di 527.000 unità), i lavoratori stranieri occupati sono
aumentati di 147.000 unità, arrivando a quota 1.898.000, con una incidenza
dell’8,2% sul totale degli occupati (nell’anno precedente l’incidenza era del
7,5%). Il loro tasso di occupazione, rispetto al 2008, è passato dal 67,1% al
64,5% (quello degli italiani è sceso dal 58,1% al 56,9%), mentre quello di
disoccupazione è aumentato dall’8,5% (media 2008) all’11,2% (per gli italiani il
cambiamento è stato dal 6,6% al 7,5%). Nel 2010, ogni 10 nuovi disoccupati 3
sono immigrati e, tuttavia, il fatto che svolgono mansioni umili ma essenziali è
servito a proteggerli da conseguenze più negative. Un mercato così frastagliato
spiega l’accostamento di dati abbastanza disparati: aumento degli occupati
immigrati (147.000), ma anche dei disoccupati a séguito della crisi (77.000 in
più) e degli inattivi (aumentati di 113.000 unità).
In ogni caso gli immigrati assicurano allo sviluppo dell’economia italiana
un contributo notevole: sono circa il 10% degli occupati come lavoratori
dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, incidono per l’11,1% sul
prodotto interno lordo (dato del 2008), pagano 7,5 miliardi di euro di contributi
previdenziali, dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi di euro.
60 In sintesi: cresce la popolazione immigrata regolare in Italia, arrivando
alla soglia di 5 milioni. Insieme al numero degli immigrati crescono però anche
le paure degli italiani, gli atteggiamenti di ostilità, chiusura e diffidenza nei loro
confronti. Secondo sempre il dianzi citato rapporto annuale sull’immigrazione di
Caritas/Migrantes, a predisporre negativamente la popolazione verso la presenza
degli immigrati sono, in particolare, gli effetti della crisi mondiale mentre non si
valutano le opportunità connesse ai flussi migratori.
Dal rapporto emerge come già evidenziato da altri studi, ad esempio
quello della Banca d’Italia di luglio 2009, come i lavoratori immigrati svolgano
una funzione complementare in grado di favorire migliori opportunità
occupazionali per gli italiani. Venendo essi a mancare, o a cessare di crescere, nei
settori produttivi considerati non appetibili dagli italiani (in agricoltura, in
edilizia, nell’industria, nel settore familiare e in tanti altri servizi), il Paese
sarebbe impossibilitato ad affrontare il futuro. Inoltre, la Caritas insieme alla
Fondazione Migrantes, in un’analisi sui benefici e sui costi dell’immigrazione, ha
evidenziato che gli immigrati versano alle casse pubbliche più di quanto
prendano come fruitori di prestazioni e servizi sociali. Sono quasi 11 miliardi i
contributi previdenziali e fiscali versati dai migranti: 2,2 miliardi di tasse, 1
miliardo di Iva, 100 milioni per il rinnovo dei permessi di soggiorno e per
pratiche di cittadinanza, 7,5 miliardi di euro per contributi previdenziali.
In un’Italia alle prese con un elevato e crescente ritmo di invecchiamento,
dove gli ultrasessantacinquenni superano già i minori di 15 anni, gli immigrati
sono un fattore di parziale riequilibrio demografico, influendo positivamente
anche sulla forza lavoro.
La collettività romena è la più numerosa, con poco meno di 1 milione di
presenze (quasi 900.000 residenti); seguono albanesi e marocchini, quasi mezzo
milione, mentre cinesi e ucraini sono quasi 200.000. Nell’insieme, queste 5
collettività coprono più della metà della presenza immigrata (50,7%). Gli europei
sono la metà del totale, gli africani poco meno di un quinto e gli asiatici un sesto,
mentre gli americani incidono per un decimo. Roma e Milano, rispettivamente
con quasi 270.000 e 200.000 stranieri residenti, sono i comuni quantitativamente
61 più rilevanti, ma gli immigrati si stabiliscono anche nei piccoli centri, spesso con
incidenze elevate rispetto al totale dei residenti.
Il rapporto ribadisce inoltre che il ‘rigore’ legislativo contro la
clandestinità, va unito al rispetto del diritto d’asilo e della protezione umanitaria.
Gli immigrati irregolari presenti in Italia, secondo le stime Caritas, sono 500-700
mila, tendenzialmente in calo, rispetto allo scorso anno, e ciò è dovuto agli effetti
dell’ultima regolarizzazione, oltre al fatto che la crisi economica ha attratto di
meno gli immigrati. All’origine dell’illegalità, infine, non ci sono gli sbarchi, ma
l’entrata legale, ossia: arrivi per turismo, affari, visita e altri motivi che una volta
scaduti diventano clandestinità.
Per quanto riguarda la situazione in Liguria, così si è recentemente
espresso (Fonte Agenzia di Stampa ‘Asca’) l’assessore regionale alle Politiche
attive del Lavoro e dell’Occupazione e alle Politiche dell’Immigrazione, Enrico
Vesco, nel corso della presentazione a Genova, come in altre città italiane, del
citato Dossier statistico sull’immigrazione: «L’immigrazione in Liguria è ormai
un fenomeno consolidato con 126.000 presenze nel 2009 di cui il 40% risultano
cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, mentre il 19% sono minori. […]
L’immigrazione in Liguria [ha spiegato l’assessore] dura ormai da diversi anni
con modifiche rispetto alle aree di provenienza. Oltre a quelle infatti più
tradizionalmente rappresentate si registra un incremento di cittadini provenienti
dai nuovi paesi dell’Unione Europea, dell’Europa centro-orientale e dell’Asia».
L’assessore ha sottolineato inoltre come la crisi abbia colpito anche gli stranieri.
«L’importo medio delle rimesse mensili per ogni straniero è passato da 160 euro
nel 2008 a 150 nel 2009. […] La domanda di lavoro riferita ai lavoratori stranieri
ha subìto in modo minore i contraccolpi della crisi, proprio perché riferita a
mestieri che non sono più appetibili dagli italiani nel campo dell’edilizia, della
ristorazione, dei servizi alle imprese e presso le famiglie. […] Dati come questi
[conclude Vesco] ci spingono a continuare a sostenere la necessità di definire
politiche di integrazione lungimiranti e non demagogiche per il benessere di tutti
62 i liguri»48.
E com’è la situazione nel territorio della provincia imperiese? Secondo la
fonte Istat, su un totale di 221.885 residenti nella provincia di Imperia - dati
aggiornati al 31/12/2009 - 19.632 risultano stranieri per un rapporto in
percentuale pari a 8,8. Questo trend si rivela in forte crescita nell’arco degli
ultimi anni. Basti pensare che la popolazione straniera costituiva il 3,3% in
relazione alla popolazione totale nel 2000 ed è passata a un valore del 5,6% nel
2005 e, con ogni probabilità, si attesterà oltre il 9% alla fine del 2010. Il primato
degli stranieri spetta alla comunità albanese (3.260 individui), seguita da quella
romena (2.479 individui) e da quella marocchina (2.253 individui). Al quarto
posto si colloca la comunità turca (1.609 individui) cui fa sèguito quella francese
(1.313 individui). I numerosi gruppi stranieri presenti nel territorio della
provincia di Imperia si differenziano non solo per la consistenza numerica e per
le caratteristiche culturali, ma anche per le diverse circostanze che li hanno spinti
nel nostro Paese, per il progetto migratorio personale e l’approccio con cui essi
cercano o meno di integrarsi nel contesto della società ospitante.
Totale % Stranieri popolazione sulla provinciale popolazione
Anno Stranieri residenti anno 1999
6.412
216.386
3,0%
anno 2000
7.181
216.400
3,3%
anno 2001
6.549
205.238
3,2%
anno 2002
6.973
205.998
3,4%
anno 2003
10.735
207.997
5,2%
anno 2004
11.036
215.591
5,1%
48
Vedi:http://www.asca.it /regioni
63 anno 2005
12.226
217.037
5,6%
anno 2006
13.198
217.354
6,1%
anno 2007
15.447
219.383
7,0%
anno 2008
17.632
220.712
8,0%
anno 2009
19.632
221.885
8,8%
Nazione Maschi Femmine Totale Albania
1.751
1.509
3.260
Romania
1.098
1.381
2.479
Marocco
1.329
924
2.253
Turchia
991
618
1.609
Francia
595
718
1.313
Germania
415
620
1.035
Tunisia
543
347
890
Ecuador
303
498
801
Perù
268
437
705
Ucraina
71
396
467
Cina Rep.
Popolare
195
206
401
Regno Unito
158
228
386
Moldova
103
232
335
Paesi Bassi
119
144
263
64 Polonia
73
180
253
Bangladesh
168
77
245
Russia
Federazione
51
186
237
Egitto
130
75
205
Brasile
46
115
161
Svizzera
53
90
143
Filippine
50
79
129
Algeria
77
48
125
Senegal
92
26
118
Bulgaria
45
69
114
Cuba
27
80
107
Spagna
31
72
103
Svezia
35
45
80
India
46
30
76
Macedonia
38
37
75
Belgio
27
47
74
altre 435 755 1.190 TOTALE ZONA 9.363
10.269
19.632
Fonte ISTAT: stranieri residenti in provincia
di Imperia al 31/12/2009
Con oltre 3 mila individui, gli albanesi costituiscono il gruppo immigrato
di gran lunga più numeroso. Il loro arrivo più consistente è coinciso con le ondate
migratorie seguite alla caduta del regime comunista di Tirana, nella prima metà
degli Anni Novanta, ed è stato caratterizzato, nella prima fase, da un’affluenza
65 soprattutto maschile, cui hanno fatto séguito, negli anni successivi, i
ricongiungimenti familiari. Nonostante il loro numero, non si rendono molto
visibili: non hanno associazioni culturali, tendono a costituire un gruppo poco
aperto ai contatti con l’esterno, non partecipano ad iniziative multiculturali in cui
altre comunità esternano la propria identità e le proprie tradizioni, che proprio per
questo gli albanesi tendono invece a perdere progressivamente. Si direbbe che
cerchino di attuare una specie di mimetismo culturale, omologandosi ai modelli
di vita della società ospitante nella prospettiva di una permanenza definitiva,
rinunciando così a preservare i caratteri della propria identità. Si trovano
attualmente a metà di questo lungo processo, con un distacco quasi completato
nei riguardi del Paese d’origine senza ancora una piena integrazione nella società
italiana.
I marocchini sono presenti, in Liguria come nel resto d’Italia, da più
tempo (tanto che alcuni hanno già acquisito la nazionalità italiana) e nel
Sanremese rappresentano oggi il gruppo più numeroso. Il loro arrivo è stato più
continuo e regolare nel tempo e ha dato luogo ad una comunità coesa ma chiusa,
che ha conservato tutte le proprie tradizioni culturali e non si è omologata al
modello italiano. Praticano il culto islamico in locali adattati a moschea (ne sono
presenti sia a Imperia che a Sanremo) che sono anche luoghi di contatto tra
membri della comunità e di conservazione del patrimonio culturale: la moschea
di Sanremo, ad esempio, è utilizzata la domenica per l’insegnamento dell’arabo
ai bambini. L’attaccamento ad oltranza alle proprie tradizioni si scontra con i
princìpi della politica di integrazione promossa dalle associazioni di mediazione
culturale italiane. I maghrebini in genere sono i più strenui sostenitori del fatto
che la società ospitante debba farsi carico delle loro istanze di conservazione
della cultura d’origine: ad esempio, istituendo l’insegnamento dell’arabo nelle
scuole pubbliche e rispettando rigorosamente le prescrizioni religiose in materia
di alimentazione nelle mense scolastiche, ed è proprio questo l’atteggiamento
che, nella società ligure generalmente poco incline alle aperture e ai
cambiamenti, genera non pochi dubbi e perplessità se non un diffuso senso di
minaccia.
66 Queste richieste sono peraltro poco compatibili con un vero desiderio di
integrazione e con un progetto migratorio che da un lato, con i numerosi
ricongiungimenti familiari, sembrerebbe stabile, dall’altro è sempre caratterizzato
da un desiderio di ritorno in patria: sono infatti pressoché assenti i matrimoni
misti con cittadini italiani. La scarsa integrazione nei meccanismi fiscali che
regolano le attività economiche va vista anche in chiave di rivalsa psicologica nei
confronti di una società alla quale non si deve nulla, a compensazione del
dominio da essa subìto nei secoli coloniali.
Al di là della difesa ad oltranza di lingua, usi e costumi ispirati alla norma
coranica, i marocchini non esternano le proprie tradizioni in feste, cerimonie o
raduni pubblici, che rimangono confinati allo stretto ambito privato o all’interno
delle moschee.
Lentamente, con discrezione e senza apparire, la comunità cinese ha
ultimamente accelerato il proprio ritmo di crescita anche nel Ponente ligure.
Come in altre regioni d’Italia, si tratta di una colonizzazione economica che si
avvale di un sistema creditizio interno alla comunità, garantita dalla rete
parentale.
Assidui
lavoratori,
riservati
nei
rapporti
interpersonali,
dal
comportamento apparentemente ineccepibile di fronte alla legge, al punto da non
essere quasi mai al centro dei fatti di cronaca, i cinesi si stanno inesorabilmente
espandendo sui mercati locali, forti di persistenti contatti commerciali con la
madrepatria per la fornitura di merci a prezzi molto più competitivi di quelli del
mercato comunitario. Nonostante molti nutrano sempre il sogno del ritorno in
Cina, il loro progetto migratorio in Italia è solitamente definitivo, ma la loro
integrazione culturale è oltremodo faticosa e si completerà solo nella seconda
generazione, nata in Italia o trasferitavisi nell’infanzia. Il loro carattere
individuale non li porta ad associarsi tra connazionali per fini culturali per cui le
tracce della loro cultura nella società ligure non vanno oltre la cucina dei
ristoranti etnici. I cinesi sembrano avere una scarsa stima nei confronti della
scuola italiana, accusata di lassismo e di scarsa attenzione all’educazione, tanto
che chi ha la possibilità economica manda i figli a studiare in patria. (Anche gli
albanesi peraltro lamentano il fatto che il sistema scolastico italiano abbia
67 obiettivi inferiori a quelli cui erano abituati in patria ai tempi della dittatura).
I sudamericani sono frazionati in diversi gruppi (ecuadoriani, peruviani,
brasiliani, colombiani, argentini, boliviani, venezuelani e altri) che si riconoscono
nelle rispettive associazioni culturali, numericamente esigue e peraltro
difficilmente monitorabili (molte di queste hanno carattere informale: nascono e
si sciolgono senza lasciare traccia e i loro aderenti spesso non sono neppure
registrati). Le principali attività di questi gruppi culturali, che generalmente non
contano più di una cinquantina di persone, sono feste etniche, la domenica
pomeriggio, con canti e balli in locali privati e la partecipazione a cerimonie
religiose. Visibile è anche la loro presenza in costume alla ‘Festa dei Popoli’
organizzata a Sanremo dall’‘Associazione Mappamondo’ nel mese di giugno.
Figura di riferimento del culto cattolico è Don Rito, parroco colombiano
di Roverino (frazione di Ventimiglia), che officia in spagnolo l’ultima domenica
del mese riunendo decine di fedeli sudamericani da tutta la provincia. Un punto
di aggregazione socio-culturale è invece il centro di accoglienza ‘Virgen de
Guadalupe’, nel centro storico di Sanremo, aperto a tutti, ma frequentato
soprattutto da donne e da sudamericani, che fa capo alla Caritas ed è stato
fondato da una suora italiana che alcuni anni fa ha fatto ritorno in patria dopo un
periodo missionario in Perù. Il centro si occupa di assistenza materiale e
spirituale a favore degli immigrati di più recente arrivo. Data la maggiore affinità
culturale con gli italiani e la condivisione del culto cattolico, i sudamericani
mostrano in genere una buona propensione all’integrazione culturale. Amano il
Paese che li ospita e le sue tradizioni e sono disposti a mettere da parte i propositi
di ritorno in patria in cambio di una occupazione dignitosa.
Nell’immaginario collettivo i senegalesi sono associati, non a torto, alla
figura del venditore ambulante, spesso abusivo. Hanno in provincia una propria
associazione nata all’interno della CGIL con una forte impronta sindacale, quindi
slegata dalle tematiche culturali, il cui numero di frequentatori, molto fluttuante
anche per l’altalenante presenza di molti irregolari, non è noto. Unico momento
di aggregazione culturale è la preghiera del venerdì nella moschea già frequentata
dai maghrebini. La scarsità di ricongiungimenti familiari testimonia l’instabilità
68 del loro progetto migratorio e della loro consistenza numerica, determinata dal
saldo tra i numerosi arrivi ed i frequenti rientri in patria, dove l’immigrato aspira
a ricongiungersi con la famiglia non appena ha accumulato un po’ di denaro.
I vari gruppi di europei orientali, giunti in Italia abbastanza recentemente,
stanno costituendo solo adesso le primissime associazioni, spesso ancora
informali. A Sanremo, la chiesa russa ortodossa, inaugurata circa un secolo fa,
tiene periodicamente funzioni mentre la sempre più folta comunità romena di
fede ortodossa può contare su funzioni a cadenza regolare nella ex-chiesa delle
Carmelitane, nelle immediate vicinanze della nuova stazione ferroviaria: in
questa chiesa la comunità romena ha celebrato, nell’aprile del 2009, la prima
Pasqua.
Anche i turchi non hanno associazioni culturali ma dispongono a Sanremo
ed Imperia di moschee proprie, diverse da quelle degli altri islamici, rispetto ai
quali mantengono una propria identità culturale e di pratica del culto,
festeggiando privatamente le ricorrenze religiose. Con i curdi mantengono un
rapporto conflittuale che si alimenta dai motivi di attrito che li contrappongono in
patria. I loro tentativi di integrazione tendono a costituire un gruppo chiuso, con
scarsi contatti con la società, per cui mantengono sempre vivo il desiderio di
ritornare in patria. Le diffuse carenze linguistiche si riflettono anche in difficili
rapporti con la Pubblica Amministrazione, accusata di non agevolare le
procedure burocratiche e di ostacolare le pratiche di ricongiungimento,
emettendo con molto ritardo, talvolta già al limite della scadenza, i permessi di
soggiorno indispensabili al conseguimento del ricongiungimento familiare. I
titoli di studio di provenienza sono in genere piuttosto bassi, anche se non
mancano alcuni diplomati e chi in patria aveva già iniziato un corso universitario,
senza tuttavia portarlo a termine. Non è raro incontrare, specie tra i giovani, chi,
immaginando di trovare in Italia una sorta di ‘eldorado’ è rimasto poi deluso e
spera di poter fare presto rientro in patria. Li trattiene la speranza di realizzare
comunque guadagni molto più elevati rispetto a quelli in Turchia, tuttavia in
parte vanificati dall’alto costo della vita. I turchi hanno in maggioranza
mantenuto usi e costumi del Paese d’origine, mangiano seduti sui tappeti,
69 dormono su giacigli al livello del pavimento; le donne sono tutte casalinghe,
escono poco di casa e indossano l’esarp, l’ampia sciarpa che copre i capelli e si
avvolge attorno al collo, ed hanno la tendenza a sposarsi molto giovani, anche se
alcune ragazze cominciano a frequentare le scuole superiori e ritardano il
matrimonio. Sono tutti musulmani praticanti e il venerdì si riuniscono nelle
moschee di Sanremo e di Imperia: quest’ultima è retta da un imam che vive delle
offerte della comunità e dei guadagni derivanti dal commercio, che avviene al
termine della preghiera, di prodotti etnici provenienti dalla Francia, dove sono
importate da grossisti turchi.
I cittadini dei Paesi sviluppati, compreso il più numeroso gruppo dei
francesi, non sono riuniti in associazioni che intrattengano rapporti ufficiali con
la società italiana. In virtù e a séguito - come illustrato nel primo capitolo - della
loro ormai più che secolare presenza nella Riviera, i protestanti praticano il culto
in chiese proprie nelle città principali. Alcuni spagnoli e portoghesi frequentano
l’Associazione Mappamondo per offrire la propria collaborazione nel processo di
integrazione linguistica dei sudamericani.
La provincia di Imperia non è, in Italia, tra quelle in cui l’impatto
immigratorio risulta percentualmente più rilevante e significativo. Tuttavia, in
alcuni piccoli centri, poche decine di immigrati possono rappresentare una
percentuale così elevata da alterare vistosamente i rapporti di serena convivenza
con la popolazione locale, specialmente quando i primi appartengono in
maggioranza ad un solo gruppo etnico e, più in generale, possono alterare gli
equilibri del mercato immobiliare e generare problemi nella gestione degli spazi
pubblici e nell’erogazione dei servizi del welfare, come l’istruzione, la sanità,
ecc. Un caso emblematico è quello del comune di Pietrabruna, piccolo centro
montano nell’immediato entroterra di Imperia, a 10 km dalla costa. Nel 1998 vi
arrivò una prima famiglia di turchi originari del distretto di Artova, nella Turchia
centro-settentrionale, che vi prese residenza stabile e rappresentò un richiamo per
nuovi immigrati durante il decennio successivo. Nel 2008, su 577 residenti nel
comune 125 erano stranieri, di cui 84 di nazionalità turca (14,6%). La
proporzione è ancora maggiore se si considera che essi si concentrano tutti nel
70 capoluogo, dove i residenti totali sono solo circa 400. Nessuno si occupa di
agricoltura, la prevalente attività locale, ma quasi tutti sono muratori. Anche gli
imprenditori stranieri sono in maggioranza turchi (18 su 24), piccoli artigiani
edili che lavorano in proprio o, al più, con la collaborazione di uno o due
familiari. Il loro grado di specializzazione non è elevato: prevalgono gli operatori
generici, le imprese che eseguono demolizioni, muri, intonaci e opere in cemento
armato. Pochi hanno attrezzature e competenze per eseguire pavimentazioni,
lavori in cartongesso, tinteggiature con ponteggi e carpenteria.
b1) I Centri per l’Impiego: l’orientamento e i principali servizi
offerti nella provincia di Imperia
I nuovi Centri per l’Impiego della Provincia sostituiscono i vecchi Uffici
di Collocamento. Sono nati a séguito del processo di decentramento di funzioni e
compiti in materia di mercato del lavoro dal Ministero del Lavoro alle Regioni, e
da queste alle Province in base al D. Lgs. 469/97. I Centri forniscono nuovi e
diversificati servizi gratuiti per favorire la crescita professionale del cittadino e
l’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro.
I Centri per l’Impiego si rivolgono a:
-
persone in cerca di lavoro, disoccupate o inoccupate, persone occupate
che vogliono migliorare la propria condizione lavorativa, persone in
fase di scelta formativa o professionale;
-
imprese private e pubbliche: l’interlocutore impresa, al pari
dell’interlocutore persona, è referente privilegiato da ascoltare e
soddisfare se si vogliono realmente sviluppare azioni mirate per
favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro e contribuire
alla crescita globale dell’ economia del nostro territorio.
Nei Centri per l’Impiego i vari operatori danno risposte immediate a chi è
in cerca di lavoro o a chi vuole cambiarlo attraverso percorsi personalizzati: è
possibile redigere ed inserire il proprio curriculum vitae in banca dati, candidarsi
per le offerte di lavoro, partecipare ad incontri con esperti, ad attività formative e
71 ricevere consulenze per l’orientamento professionale e per la creazione di
un’impresa. Gli operatori dei Centri per l’Impiego offrono alle aziende
consulenze specialistiche tra cui un servizio di ricerca e selezione del personale,
consulenza normativa e contrattuale, consulenza per l’inserimento lavorativo di
soggetti appartenenti alle categorie protette.
Tra i servizi offerti dai Centri per l’Impiego della provincia di Imperia vi
sono: l’orientamento, la preselezione e il tutoraggio individuale.
L’orientamento si può definire come attività di sostegno alla scelta dei
percorsi professionali svolta in forma individuale. Le azioni sono finalizzate ad
aiutare la definizione di un progetto professionale e lavorativo realistico e
coerente con le risorse personali e del mercato del lavoro e a valutare le
condizioni più opportune per realizzarlo. A tal fine l’orientamento supporta
l’analisi delle esperienze di studio e di lavoro precedentemente svolte e delle
risorse e delle tappe necessarie per raggiungere gli obiettivi individuati fornendo
informazioni, indicazioni e strumenti per definire un progetto formativo,
lavorativo, professionale.
Scopo di tale attività è quello di sostenere una corretta individuazione del
proprio progetto professionale valorizzando le potenzialità degli individui e
aiutandone lo sviluppo.
Il servizio si esterna attraverso le seguenti modalità:
-
consulenza orientativa mirata: colloqui individuali per consentire al
soggetto una migliore formulazione del proprio progetto individuale,
degli obiettivi, delle risorse e dei vincoli connessi alla sua
realizzazione;
-
tecniche di ricerca attiva di gruppo: azioni volte a fornire strumenti
per aiutare le azioni di ricerca di lavoro da parte degli individui e
informazioni utili per una migliore conoscenza del mercato del lavoro
locale e delle azioni di ricerca di lavoro;
-
bilancio di competenze: supporto ad un’analisi approfondita delle
potenzialità e delle risorse di cui un soggetto dispone in relazione
all’esperienza scolastica, formativa e lavorativa per mettere a fuoco le
72 esigenze di rafforzamento e le migliori opportunità di valorizzazione.
La preselezione è un’attività che ha lo scopo di raccogliere e proporre ai
lavoratori opportunità di impiego. Essa si attua secondo le seguenti modalità:
-
censire, individuare e raccogliere le opportunità di lavoro che
emergono dal mercato locale. Pubblicizzare tali offerte attraverso
diversi canali: annunci sul settimanale “Iolavoro Newsletter”, sul
quotidiano “La Stampa”, sul teletext dell’emittente televisiva ligure
“Primocanale”, sul sito internet della provincia;
-
effettuare un servizio di preselezione del personale;
-
costruire rapporti stabili con le aziende e le imprese del territorio
provinciale;
-
rendere disponibili per lavoratori in cerca di un’ occupazione le
richieste di manodopera raccolte anche utilizzando bacheche
opportunamente predisposte presso ciascun Centro per l’Impiego;
-
proporre candidature e verificare il loro esito con gli appositi forms.
Per tutoraggio individuale si intende il programma finalizzato ad
accompagnare il lavoratore nella fase dell’inserimento lavorativo attraverso
azioni che ne incrementino l’occupabilità e favoriscano l’individuazione di
concrete ed adeguate opportunità di impiego.
Il disoccupato è tenuto a sottoscrivere il ‘Patto per la ricerca
occupazionale’ e a svolgere le attività previste nello stesso. Qualora ciò non
avvenga, il lavoratore decade dallo stato di disoccupazione.
Vengono organizzati interventi in grado di fornire informazioni, supporti
e occasioni per realizzare un progetto di ricerca lavorativa e avviare azioni per
realizzarlo. Lo scopo primario di tale attività è quello di stimolare i lavoratori
perché avviino una ricerca personale di lavoro.
Tale azione si realizza attraverso:
-
attività corsuali di gruppo;
-
l’esplicitazione di un progetto individuale personalizzato;
73 -
l’informazione mirata (compreso quella relativa all’avvio di attività di
lavoro autonomo);
-
l’assistenza al lavoratore nell’attuazione del programma.
Vengono inoltre offerte ai lavoratori interessati opportunità di
qualificazione, aggiornamento e specializzazione professionale, allo scopo di
fornire loro esperienze di formazione mirate. Nello specifico l’attività consiste
nel:
-
censire, individuare e raccogliere le opportunità formative e i corsi
presenti nel territorio provinciale da proporre agli utenti;
-
supportare gli utenti nell’attivare le procedure necessarie all’iscrizione
ai corsi;
-
costruire una rete di rapporti stabili con i Centri di Formazione
Professionale e gli Enti Formativi da attivare quando necessario;
-
realizzare il catalogo delle offerte formative provinciali da rendere
disponibile per la libera consultazione;
-
proporre candidature e verificare il loro esito con gli appositi forms.
b2) L’orientamento49: significato, finalità e applicazioni con utenti
italiani e stranieri
Per quanto riguarda l’orientamento, nel cui ambito lavoro da alcuni anni
presso il Centro per l’Impiego di Sanremo, desidero inserire un approfondimento
insieme ad alcune considerazioni.
Il termine ‘orientamento’ deriva dal latino oriens, che significa oriente,
che sorge. È il procedimento che consente di trovare la posizione del nord e, di
conseguenza, gli altri punti cardinali. Grazie alla rilevazione dei punti cardinali è
possibile individuare la giusta direzione in cui muoversi. I dizionari spiegano in
genere il significato dell’orientamento a partire dall’azione dell’orientare o
49
Sull’argomento vedi: F. PETRUCCELLI, Psicologia dell’orientamento, Franco Angeli, Milano
2006; G. SARCHIELLI, Psicologia del lavoro, Il Mulino, Bologna 2003; C. RUFFINI - G.
SARCHIELLI (a cura di), Il bilancio di competenze:nuovi sviluppi, Franco Angeli, Milano 2001;
A. DI FABIO, Psicologia dell’orientamento. Modelli metodi e strumenti, Giunti, Firenze 1998; M.
L. POMBENI, Orientamento scolastico e professionale, Il Mulino, Bologna 1996.
74 dell’orientarsi, «comune a molti animali e attenuata nell’uomo» (Garzanti),
effettuata in genere con riferimento ai punti cardinali, «in modo da poter decidere
la direzione da seguire per giungere a una certa meta» (Sabatini-Coletti), o
presentata in termini più complessivi come «consapevolezza relativa alla reale
situazione in cui un soggetto si trova, rispetto al tempo, allo spazio, a se stesso»
(Devoto-Oli), riconoscendo che tale funzione «risulta dalla sintesi di molteplici
processi psichici» (Dizionario Enciclopedico Treccani). La prima definizione
riporta al significato originario di orientamento prevalentemente spaziale ed
esterno; la seconda introduce l’importante fattore della decisione in un contesto
che si può riconoscere come tipicamente umano; la terza propone una concezione
globale che introduce a una dimensione fondamentalmente soggettiva e
personale; l’ultima sottolinea proprio la portata psicologica di questo processo.
Alcuni
dizionari
contemplano
anche
l’ulteriore
specificazione
interna
dell’orientamento scolastico e professionale, definito come «l’insieme dei
procedimenti che tendono ad accertare le attitudini di una persona per indirizzarla
alla scelta di una scuola o di un lavoro» (Garzanti), o come l’insieme dei processi
«volti ad aiutare il giovane a scegliere la professione più rispondente all’ideale
che vuol raggiungere, tenendo conto della sua personalità, delle sue attitudini
psicofisiche, delle condizioni del mercato del lavoro, della situazione economica
familiare e delle condizioni sociali», ripartendone il compito tra diversi agenti:
educatori, medici, psicologi (Treccani).
L’orientamento è, per certi versi, un processo di accompagnamento che si
snoda lungo tutto l’arco della vita. L’orientamento riguarda, pertanto, sia
l’educazione alla scelta di percorsi di istruzione e formazione, sia l’educazione
alle opportunità professionali, finalizzata alla conoscenza, anche diretta, del
mondo del lavoro. Tutti gli enti e le istituzioni che hanno una finalità educativa,
formativa o sociale (Scuole, Università, Enti di Formazione Professionale, Centri
per l’Impiego, ecc.) contemplano anche l’orientamento tra i loro obiettivi
prioritari. L’orientamento è pertanto un’attività di supporto e sostegno alle
persone nei processi di transizione che accompagnano periodi come la fine dei
percorsi scolastici o formativi, l’avvio della ricerca del lavoro o il rientro nel
75 mercato del lavoro.
Solitamente si distingue in orientamento scolastico e orientamento
professionale:
-
l’orientamento scolastico è rivolto ai giovani per fornire un sostegno
di fronte alla scelta di un percorso scolastico/formativo, individuando
l’alternativa più vicina alle loro competenze e ai loro interessi;
-
l’orientamento professionale è rivolto a tutti coloro che sono in cerca
di occupazione o di ricollocazione/riqualificazione professionale e che
necessitano di aiuto per identificare le proprie risorse e competenze al
fine di definire un progetto professionale coerente con i propri
obiettivi personali e professionali.
L’orientamento scolastico e professionale è un percorso che può essere
definito di ‘educazione alla scelta’. In un momento storico come l’attuale in cui
le garanzie esterne sembrano non essere più una certezza, l’orientamento e la
capacità di auto-orientarsi diventano una garanzia. Auto-orientarsi è una
competenza: significa fare proprio, imparare un modello e applicarlo nel
momento in cui si affronta un cambiamento. Gli obiettivi del percorso di
orientamento sono:
-
sostenere le persone durante le fasi di transizione formativa e/o
professionale;
-
favorire la consapevolezza delle proprie risorse e abilità; stimolare la
conoscenza delle opportunità esistenti;
-
promuovere l’acquisizione di competenze che permettono di
affrontare la scelta in modo consapevole e responsabile.
I principali strumenti dell’orientamento sono il colloquio individuale e le
attività informative e formative, sia individuali che di gruppo. Attività e sportelli
di orientamento sono presenti, oltre che nei Centri per l’Impiego, nelle Scuole,
nelle Università, nei Centri di Formazione Professionale, e negli Informagiovani
(ove presenti).
Il concetto di orientamento, tuttavia, ha avuto nel corso della storia
76 modalità di espressione e declinazioni molto diverse. I modelli teorici e le
pratiche operative dell’orientamento si sono evolute in relazione alla storia.
Mentre il processo di orientamento come rapporto fra la persona e la propria
esperienza lavorativa ha accompagnato la vita dell’uomo in tutto il percorso
storico, l’azione professionale finalizzata a sostenere ed articolare questo
rapporto è piuttosto recente: ha solo un secolo di vita.
Prima dell’avvento dell’era industriale, la famiglia ha avuto il compito di
orientare: l’orientamento è stato una sorta di pratica spontanea svolta a livello
domestico-familiare. Dopo l’avvento della società industriale l’idea di
orientamento ha cominciato a trovare una propria giustificazione nell’aumento
delle possibilità di scelta offerte al singolo individuo.
Da fatto privato l’orientamento è diventato così un problema di interesse
collettivo la cui azione ha richiesto e richiede metodi più razionali e raffinati in
grado di indirizzare le persone (giovani e non) alla scelta di un lavoro
rispondente alle proprie attitudini e competenze al fine di garantire un migliore
rendimento economico.
La concezione storica di orientamento si è definita attraverso quattro
tappe:
-
approccio diagnostico-attitudinale (che si concentra sulle ‘attitudini’ e
mette in relazione queste ultime con i ‘requisiti professionali’ richiesti
per lo svolgimento di una determinata attività lavorativa);
-
approccio caratterologico-affettivo (che considera gli ‘interessi’ di una
persona considerando di questa necessariamente le componenti
affettive, intellettive e volitive);
-
approccio clinico-dinamico (che fa proprio il metodo psicoanalitico e
concepisce il lavoro come fonte di soddisfazione dei bisogni più
profondi dell’uomo);
-
approccio maturativo-personale (che considera l’individuo soggetto
capace, con l’aiuto di un orientatore, di auto-orientarsi e di effettuare
scelte consapevoli e responsabili).
Certo è che i nuovi riferimenti teorici insieme al rinnovamento culturale
77 giunto a maturazione alla fine degli Anni Sessanta del secolo ventesimo hanno
portato l’orientamento sempre più verso una prospettiva di ‘educazione alla
scelta’.
Questa prospettiva ha trovato conferma e supporto in
numerose e
prestigiose sedi tanto che ancora oggi la definizione di orientamento formulata
come sintesi in un Seminario Unesco, tenutosi a Bratislava (nell’attuale
Repubblica Slovacca) nel 1970, resta un importantissimo punto di riferimento:
«Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé
e di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle
mutevoli esigenze della vita con il duplice obiettivo di contribuire al progresso
della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona».
Il clima politico e culturale degli Anni Settanta ha promosso il processo di
rinnovamento e termini come auto-educazione e auto-orientamento, introdotti
anni prima, trovano adesso e, forse, oggi più che mai le condizioni più concrete
per la loro applicazione.
Da quello che ho potuto verificare nella mia attività di orientatore, la
validità della pratica orientativa è tanto più efficace quanto più si riesce ad
entrare nella psicologia della persona che si ha dinanzi e si riesce ad accendere in
lei stimoli e nuove idee. Molte volte una persona, che magari non lavora da mesi
e dichiara di aver inviato il curriculum già a diversi potenziali datori di lavoro
senza alcun riscontro, manifesta, nelle parole e nei gesti, un atteggiamento di
rassegnazione e sconfitta. Ciò che maggiormente si rileva è il fatto che la persona
ha perso fiducia in sé stessa e nelle proprie capacità. Non è raro allora, in simili
circostanze, sentir dire: «È inutile che mando via e-mail un altro curriculum o
che vado a presentarmi di persona in quel posto. Ci sono già tanti prima di me e
poi ci saranno i soliti raccomandati!...».
Eppure se si invita la persona a spiegare più a fondo la problematica che
la preoccupa e, ponendola a proprio agio, la si fa parlare di sé e del suo vissuto, la
persona stessa individua - magari non in modo automatico ed immediato ma
lentamente e progressivamente - nuovi percorsi o strade non ancora battute. La
78 persona riesce ad intravedere un’opportunità che potrebbe avere un séguito
interessante nella sua vita e scopre, ad esempio, un potenziale o un bagaglio
professionale fino a quel momento non adeguatamente valorizzato e messo in
risalto durante i passati colloqui ed incontri di lavoro.
Ecco che allora la pratica orientativa acquista una valenza, per dirla con
Socrate, ‘maieutica’ (letteralmente ‘arte della levatrice’ o ‘dell’ostetricia’). Il
termine ‘maieutica’ indica il metodo di indagine di Socrate descritto da Platone
nel Teeteto: Socrate non forniva mai soluzioni ma si limitava a porre domande
nell’idea che l’interlocutore, opportunamente sollecitato, scoprisse (o partorisse)
la verità dentro di sé.
Penso a Marco G., 20 anni, residente ad Arma di Taggia (località vicina a
Sanremo), il quale, diplomato con fatica in ragioneria e dopo 1 anno passato
come iscritto (più per desiderio dei genitori che suo proprio) alla Facoltà di
Economia presso l’Università di Genova, attraverso un colloquio di
orientamento, si è chiarito le idee e ha maturato l’intenzione di fare uno stage di
3 mesi presso un’autofficina di Sanremo. Ha sviluppato così quell’attitudine alla
manualità che sapeva, in fin dei conti, di avere ma che non aveva mai considerato
in termini di possibile e concreta opportunità, ed ora lavora, con piena
soddisfazione, come apprendista nella medesima autofficina. Così come penso a
Giuliano B., 45 anni, di Sanremo, il quale, dopo circa 20 anni di lavoro come
operaio in un’azienda produttrice di apparecchiature per solari e centri estetici
che ha chiuso definitivamente, si è trovato a fare, suo malgrado, ‘il punto della
situazione’ e a séguito di un colloquio di orientamento ha deciso di frequentare
un corso di lingua francese per aprirsi nuove opportunità in Costa Azzurra e ha
trovato lavoro come commesso in un supermercato di Mentone.
Seguire un percorso di orientamento è utile quando ci si trova di fronte ad
una ‘non chiarezza’ relativa ad un progetto professionale o formativo. Il percorso
di orientamento, in questi casi, serve a definire un obiettivo e una strategia:
indica la strada per arrivare. È come mettersi davanti ad uno specchio, che ci
rimanda la nostra immagine, però, con una prospettiva allargata, più ampia.
Nell’orientamento il soggetto è protagonista, sta al centro del processo, non è mai
79 un soggetto passivo al quale l’orientatore indica dall’esterno che cosa fare. Si
tratta di un percorso in cui sia il soggetto che l’orientatore lavorano insieme
all’insegna della massima trasparenza. Il percorso di orientamento si sviluppa
sulle domande: Chi sono? Che cosa so fare? Che cosa voglio fare?
L’orientamento opera su due dimensioni: ‘che cosa’ e ‘come’. Quando ci
si trova in una fase di transizione c’è un progetto e ci sono sogni. Compito
dell’orientamento - posso dire in base a quello che ho constatato nella mia pratica
orientativa - è anche quello di riuscire a tenere legati questi due piani. L’obiettivo
è supportare la persona: nel valutare le capacità, gli interessi e le aspirazioni;
nell’identificare gli obiettivi personali e professionali; nell’acquisire gli strumenti
per la ricerca attiva di un lavoro o di opportunità formative; nell’intraprendere un
piano di azione.
L’orientamento professionale è un processo trasversale e mirato per lo
sviluppo delle risorse umane e la razionalizzazione delle risorse in una società
caratterizzata da mutamenti rapidi, dove la conoscenza diventa la principale
risorsa strategica e gli individui necessitano di opportunità di apprendimento
durante tutto l’arco della vita lavorativa. Orientarsi vuol dire allora individuare
una direzione professionale da percorrere mettendo insieme una serie di
informazioni:
-
informazioni su se stessi, sulle proprie caratteristiche, attitudini,
interessi, sui propri punti deboli, sulle conoscenze e le competenze
acquisite;
-
informazioni sul mondo del lavoro e delle professioni, oltre che sulle
opportunità formative offerte dal contesto di riferimento;
-
definire una strategia per affrontare il mercato del lavoro in modo
efficace.
Da tutto ciò si evince quanto è importante e fondamentale l’orientamento
per una persona che è inoccupata o disoccupata magari da tempo e non sa come
muoversi. Il discorso si fa ulteriormente più complesso e problematico quando in
cerca di orientamento è uno straniero che parla poco e male la lingua italiana.
80 Secondo i dati dell’Osservatorio del Mercato del Lavoro attivato presso il
Centro per l’Impiego di Imperia, al 31 dicembre 2009, risultavano iscritti, a
livello complessivo, come ‘disoccupati o inoccupati e immediatamente
disponibili al lavoro’ (sommando tutti gli iscritti dei tre Centri per l’Impiego del
territorio imperiese, ovvero di Sanremo, Imperia e Ventimiglia) circa 10.015
cittadini italiani. Per quanto riguarda le comunità straniere, sono stati i
marocchini il gruppo più numeroso (401 individui); a seguire gli albanesi (287
individui) e i romeni (208 individui).
Iscrizioni ai CPI al 31/12/2009 per cittadinanza CITTADINANZA ITALIANA MAROCCHINA ALBANESE ROMENA Non definita TUNISINA ECUADOREGNA UCRAINA PERUVIANA FRANCESE POLACCA TURCA TEDESCA EGIZIANA RUSSA MOLDOVA BANGLADESH ALGERINA CINESE CUBANA BRASILIANA BULGARA SENEGALESE NIGERIANA AUSTRIACA BIELORUSSA BRITANNICA COLOMBIANA SVEDESE totale 10.015 401 287 208 164 118 81 56 54 46 43 38 31 26 26 25 21 19 18 16 14 14 10 9 8 8 7 7 7 81 FINLANDESE UNGHERESE CECA CILENA ARGENTINA CROATA PORTOGHESE SERBIA E MONTENEGRO (YUGOSLAVIA) CINGALESE DOMINICANA, REPUBBLICA LITUANA MESSICANA OLANDESE PACHISTANA SPAGNOLA SVIZZERA THAILANDESE AFGHANA APOLIDE GAMBIA INDIANA IRACHENA URUGUAIANA BELGA BOLIVIANA BOSNIACA BURKINA FASO CAMERUNENSE CAPOVERDIANA CONGOLESE DANESE DOMINICA FILIPPINA GIAPPONESE GRECA GUINEA INDONESIANA IRANIANA IRLANDESE IVORIANA JUGOSLAVIA KAZAKA KENIANA KIRGISA KOSOVARA LETTONE MACEDONE MAURIZIANA 6 6 5 5 4 4 4 4 3 3 3 3 3 3 3 3 3 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 82 NEPALESE NIGER PANAMENSE PARAGUAIANA SERBA SLOVACCA SOMALA STATUNITENSE SUDAFRICANA VENZUELANA Totale 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 11.889 Fonte: Osservatorio del Mercato del Lavoro (presso Centro Impiego di Imperia)
Da alcuni mesi, presso il Centro per l’Impiego di Sanremo e nella
fattispecie all’interno dell’Ufficio Orientamento nel quale lavoro, è presente una
mediatrice culturale, Amina Berakkas, di lingua araba che fornisce, un giorno
alla settimana, informazioni alle persone provenienti da uno dei tanti Paesi arabi
e che vivono a Sanremo o nel territorio circostante. Sempre un giorno alla
settimana, è operativa la Dr.ssa Rosanna Menghetti che ha una consolidata e
pluriennale esperienza nell’ambito dell’orientamento presso il Centro per
l’Impiego di Ventimiglia.
L’intervista che ho fatto loro è quanto mai utile ed interessante per meglio
comprendere la situazione, le principali esigenze e problematiche concernenti
molti immigrati stranieri e utenti italiani, residenti o domiciliati nel territorio
della provincia imperiese.
La mediatrice culturale Amina Berakkas è marocchina, ha 47 anni; è
sposata con un italiano e vive a Sanremo ormai da 20 anni.
•
Buongiorno Amina. Da quanto tempo fai questo lavoro nel nostro
territorio?
Da quattro anni, dal 2006.
•
Da quali Paesi provengono le persone che si rivolgono a te? Sono più
uomini o più donne e a quale fascia di età appartengono?
83 Provengono soprattutto dal Marocco per un 70%-80%; poi ci sono
tunisini per circa un 15% e algerini per un 5%-10%; pochissimi sono gli
egiziani. Sono decisamente più donne che uomini - in base all’esperienza
raccolta in questi anni - a rivolgersi a me e hanno un’età che varia dai
19/20 anni sino ai 50 anni. Anche gli uomini appartengono alla stessa
fascia di età. Il livello medio di istruzione corrisponde al diploma italiano
di scuola superiore (licei e istituti professionali).
•
Quali sono le domande più frequenti che ti vengono poste? Ci sono
situazioni o problematiche che in queste domande ricorrono più spesso?
La ricerca di lavoro è senza dubbio la domanda più frequente e le
persone dichiarano di essere disposte a svolgere i lavori più diversi e
disparati. Le donne cercano come lavapiatti, badanti e addette alle
pulizie. Gli uomini cercano prevalentemente come manovali e autisti di
camion.
Quando si presentano coppie, fanno domande per una casa, anche
piccola, se non hanno bambini. Chiedono, nondimeno, come poter far
arrivare in Italia congiunti e familiari per avere un aiuto in più in casa o
assistenza in caso di futura gravidanza e maternità.
Domandano poi se ci sono strutture dove poter imparare la lingua
italiana: le donne preferiscono un insegnante donna che conosca bene la
loro lingua. Aggiungo che ci sono mamme che parlano poco e male
l’italiano e le scuole contattano me, mediatrice culturale, quando ci sono
incontri o riunioni con gli insegnati così che possa spiegare a queste
mamme come vanno i loro figli nelle varie materie…
Al tempo stesso i genitori chiedono, per i propri figli nati in Italia, se
esistono luoghi o strutture dove poter studiare l’arabo. Molti di coloro
che lavorano e sono musulmani praticanti domandano se è possibile
avere il riconoscimento delle festività del calendario islamico.
Oltre al tema ‘lavoro’, ci sono anche domande relative al tema ‘salute’: le
donne chiedono dove e se possono avere consulti presso studi medici con
donne medico. Madri e genitori chiedono di pediatri per i loro bambini.
84 Gli utenti arabi che si rivolgono a me dicono di apprezzare molto
Sanremo dal punto di vista climatico e paesaggistico. A livello di
mentalità e di rapporti umani, rilevano che una parte della popolazione
autoctona è piuttosto chiusa e diffidente. Altri italiani del luogo, invece,
instaurano senza problemi rapporti di conoscenza ed amicizia e li aiutano
se in difficoltà.
•
In riferimento al tema ‘lavoro’, le domande che ricevi riguardano più la
ricerca di un lavoro od anche un possibile e mirato orientamento al fine
di una migliore collocazione nel mondo professionale?
Sono soprattutto genitori che mi chiedono per i figli quali sono le
principali opportunità di lavoro e come poter imparare un mestiere
attraverso corsi di formazione professionale, stages o tirocini, ecc.
Molte donne arabe - alle quali, alcuni fa, ho insegnato l’italiano chiedono se c’è la possibilità concreta, qui a Sanremo, di svolgere il
lavoro per il quale hanno studiato o per il quale si sono formate nel loro
Paese d’origine.
•
Parlando sempre di lavoro, quali sono i lavori che gli utenti
prevalentemente svolgono o cercano?
Le donne cercano come badanti, collaboratrici domestiche, aiuto-cucina
in alberghi o ristoranti, e nell’ambito delle pulizie.
Gli uomini cercano soprattutto nell’edilizia e una parte di loro dice che è
disposta a fare quello che capita: l’importante è lavorare.
•
Si parla tanto in Occidente di ‘pari opportunità uomo-donna’. Secondo
te, in base alla tua esperienza, le donne sposate che provengono da Paesi
arabi e sono di fede musulmana e si trovano a vivere all’estero, in un
paese come l’Italia, sono ‘libere’ di cercare un lavoro ed affermarsi
professionalmente, o tendono a rimanere in casa rispettando antiche
tradizioni?
Devo dire che questo principio di ‘pari opportunità’ - in riferimento al
lavoro e per quanto riguarda il Marocco - sussiste già presso molti tra le
giovani generazioni che hanno compiuto studi a livello liceale o
85 universitario e provengono da grandi città. Per le donne, magari anche
giovani, ma che provengono da piccole cittadine o paesini, l’inserimento
nel mondo del lavoro è molto difficile. Per le donne che hanno un’età dai
50 anni in su e senza un particolare titolo di studio o qualifica, la vita si
svolge prevalentemente, se non già esclusivamente, a casa, nel rispetto di
antiche tradizioni.
•
Qual è la domanda più singolare o bizzarra che ti è stata rivolta nello
svolgimento della tua attività?
Una volta mi sono capitate due donne tunisine di circa 30 anni che, dopo
avermi chiesto informazioni su ‘come’ e ‘dove’ cercare lavoro, mi hanno
domandato come preparo il cous cous… Forse non erano molto brave ai
fornelli!...
Analoghe domande ho posto alla Dr.ssa Menghetti. La Dr.ssa Menghetti,
59 anni, è stata anche insegnante di lingua francese e ‘Consigliera di Parità’
presso la nostra provincia ed è specializzata nel mercato del lavoro
transfrontaliero.
•
Buongiorno Rosanna. Da quanto tempo fai questo lavoro nell’ambito
dell’orientamento?
Dal 1986: sono ormai tanti anni…
•
Da quali Paesi provengono le persone che si rivolgono a te? Sono più
uomini o più donne e a quale fascia di età appartengono?
Devo dire che in maggioranza, per circa un 60%, sono persone che
provengono dai Paesi dell’est europeo (Romania, Moldavia, Ucraina);
seguono i nord africani (soprattutto marocchini e tunisini) per un 2030%. Il resto sono italiani. La fascia di età è molto varia: si va
mediamente dai 20 ai 50 anni. Ci sono tanti uomini quante donne, in
egual misura. Ho a che fare anche con adolescenti, ragazzi sui 16-17
anni, che non hanno più voglia di andare a scuola e chiedono se ci sono
possibilità per imparare un mestiere.
86 •
Quali sono le domande più frequenti che ti vengono poste? Ci sono
situazioni o problematiche che in queste domande ricorrono più spesso?
Beh, senza dubbio la ricerca di lavoro è la domanda principale e ‘più
assillante’….: quasi tutti cercano un lavoro e di poter iniziare a lavorare
nel più breve tempo possibile dopo aver lasciato da noi un curriculum.
Molte domande, comunque, riguardano i corsi di formazione e di lingua
(italiana per gli stranieri). Molti lamentano difficoltà di inserimento
legate, peraltro, a mancanza di qualificazione specifica e di competenze.
La maggioranza degli stranieri, devo dire, manifesta buona volontà: sono
persone che hanno realmente bisogno e sono disposte a svolgere i lavori
più diversi e di bassa manovalanza…
•
Parlando di lavoro, quali sono i lavori che gli utenti prevalentemente
svolgono o cercano?
Gli uomini, sia italiani che stranieri, cercano specialmente nell’edilizia;
le donne nell’ambito dei servizi alla persona o in strutture alberghiere o
di ristorazione (tuttofare in cucina, lavapiatti, cameriera di sala o ai
piani).
•
Tu sei stata anche ‘Consigliera di Parità’: il principio delle pari
opportunità uomo-donna, in base alla tua esperienza, è rispettato e trova
applicazione nel nostro territorio?
Devo dire che per le donne, sia italiane che straniere, la maternità e i figli
costituiscono, ancora oggi, motivo di ostacolo o di discriminazione.
Alcuni datori di lavoro chiedono espressamente personale maschile per
continuità di rendimento…
•
Qual è la domanda più singolare o bizzarra che ti è stata rivolta nello
svolgimento della tua attività?
Beh, mi vengono in mente due piccoli e curiosi episodi. Un utente si
presenta con un foglio in mano dicendo che si tratta del suo curriculum e
chiedendomi se gentilmente potevo fargli una fotocopia del suo
curriculum in francese. Detto fatto. Inserisco il foglio per effettuare
l’operazione e mi rendo conto che il curriculum è in italiano. Dico la
87 cosa all’utente il quale mi risponde: «Lo so che è in italiano, ma io
pensavo che facendo la fotocopia uscisse in francese!!!».
Altro episodio: nel nostro ufficio vengono anche affisse le offerte della
vicina Francia, naturalmente in lingua francese. In una offerta della
stazione sciistica di Auron si richiedeva un plongeur, parola che significa
sia la persona che fa immersioni subacque o tuffatore sia il lavapiatti.
Vengo apostrofata con un sorriso ironico da un utente (che, peraltro,
aveva dichiarato di conoscere il francese) con queste parole: «Ma cosa ne
faranno mai di un tuffatore in una stazione sciistica??!!».
CONCLUSIONE
Come si è illustrato, sia pure in parte e a grandi linee, nello svolgimento
del presente elaborato, da alcuni decenni il corso della storia, relativamente ai
flussi migratori avvenuti nel mondo occidentale, è mutato e l’Italia è diventata
meta di persone provenienti da varie parti del mondo in cerca di una vita e di un
futuro migliori. Fra alcuni decenni gli stranieri rappresenteranno il 25% della
popolazione italiana: è dunque un fenomeno strutturale destinato a mantenere, e
semmai ad accrescere, la propria rilevanza.
Anche l’estremo Ponente ligure, destinazione prediletta del turismo d’élite
nella seconda metà dell’Ottocento, è stato, e presumibilmente continuerà ad
essere negli anni futuri, terra d’approdo per migranti (ma spinti costoro da ben
altre motivazioni) di diverse nazionalità, teatro di nuovi ed eterogenei
insediamenti umani, intreccio di innumerevoli storie…
Gli stessi italiani sono stati, a loro volta, migranti e talvolta hanno
conosciuto e vissuto sulla propria pelle non poche e notevoli difficoltà nell’essere
accolti, rispettati, integrati nel Paese ospitante, e hanno incontrato ostacoli nella
ricerca di un lavoro onesto e dignitoso.
Chi lavora in un Centro per l’Impiego e fa orientamento constata ogni
giorno quanto sono impegnativi la ricerca di un lavoro e nondimeno, se non già
soprattutto, riuscire ad avere un lavoro concreto e stabile. E quando si interagisce
88 con gli stranieri (giovani e non), sussistono ulteriori e maggiori difficoltà: si ha
dinanzi persone che hanno una mentalità, usi e costumi molto differenti dai nostri
e che non sempre parlano in modo comprensibile l’italiano.
Personalmente - da quanto ho sperimentato nella mia pratica orientativa devo dire che imbarazzo, disagio, confusione nel chiedere, riportare o raccogliere
le giuste informazioni sono gli atteggiamenti che maggiormente rilevo durante gli
incontri e i colloqui presso l’Ufficio Orientamento del Centro per l’Impiego di
Sanremo. In molti casi le persone, a prescindere che siano italiane o straniere,
oltre a chiedere per il lavoro, manifestano un forte bisogno di ‘sfogo’. Avvertono
la necessità di confidare a qualcuno parte delle proprie preoccupazioni, ansie,
paure: talvolta in cerca di qualche consiglio o rassicurazione, ma talvolta
semplicemente così ‘per sfogarsi e basta’, e si sentono tanto più sollevate quanto
più trovano un interlocutore che ascolta con attenzione e non giudica.
Ascoltare senza giudicare, chiedere senza essere intrusivi, dare
informazioni senza essere distaccati o pedanti sono, a mio avviso, elementi
importanti per un’efficace pratica orientativa. Una tale pratica orientativa non
può allora fare a meno della ‘gentilezza’50 (che non è bontà ma che potrebbe
esserne l’anticamera) intesa proprio come capacità di ascoltare ed accogliere le
istanze e fragilità altrui.
In un mondo in cui sembrano prevalere e sono considerati vincenti l’autoaffermazione ad ogni costo, l’arroganza, l’aggressività ed anche la fredda
impassibilità ai problemi degli altri, la gentilezza si configura, al contrario, come
vera ed autentica espressione di vitalità, manifestazione di rispetto, attenzione e
sollecitudine per i propri simili, generosità d’animo. La gentilezza è un
formidabile strumento di composizione dei conflitti e di promozione della
convivenza, una dimostrazione di intelligenza nel difficile tentativo di
comprendere e valorizzare le ragioni e - a maggior ragione nel caso
dell’orientamento - le potenzialità e le competenze altrui.
50
Vedi in proposito: A. PHILILIPS - B. TAYLOR, Elogio della gentilezza, Ponte alla Grazie,
Milano 2009; P. FERRUCCI, La forza della gentilezza. Pensare e agire con il cuore fa bene al
corpo e allo spirito, Mondadori, Milano 2006; G. AXIA, Elogio della cortesia, Il Mulino, Bologna
1996.
89 90 
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