UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA
“LA SAPIENZA”
FACOLTÀ DI SCIENZE STATISTICHE
Corso di Laurea in Scienze Statistiche ed Economiche
TESI DI LAUREA
IMPATTO ECONOMICO DEGLI OGM
IN AGRICOLTURA
RELATORE
Chiar.mo
prof. Paolo PALAZZI
CANDIDATO
Emanuele D’ALESSANDRO
Anno Accademico 2000/2001
Seduta di Laurea del 24 Settembre 2001
Chiunque è autorizzato per fini informativi, di studio o didattici, a utilizzare
e duplicare il presente documento, purché sia citata la fonte
Indice
Introduzione…………………………….……………………...………
I
Capitolo Primo
Il progresso biotecnologico e l’avvento delle biotecnologie
I.1.
I.2.
I.3.
I.4.
I.5.
I.6.
I.7.
I.8.
I.9.
I.10.
I.11.
I.12.
I.13.
I.14.
I.15.
I.16.
La tecnologia come motore per lo sviluppo produttivo e socioeconomico….
Le biotecnologie e l’ingegneria genetica come fonte d’innovazione………..
Gli Organismi Geneticamente Modificati…………..………………………..
Le biotecnologie in agricoltura………………………………………………
OGM: i campi di applicazione in agricoltura……...…………………………
Il carattere di resistenza agli insetti…………………………………………..
Il carattere di tolleranza agli erbicidi………………………………………...
La tecnologia “Terminator”………………………………………………….
La biodiversità e la sicurezza alimentare…………………………………….
Impatto economico delle coltivazioni transgeniche: alcune considerazioni
preliminari……………………………………………………………………
Vantaggi economici connessi alla coltivazione di OGM…..………………...
Considerazioni di carattere macroeconomico………………………………..
OGM: la soluzione al problema della fame nel mondo?………………….…
Quali benefici per gli agricoltori?……………………………………………
Quali benefici per i consumatori?……………………………………………
Cenni sulle successive argomentazioni economiche………………………...
1
3
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7
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16
18
20
24
24
25
30
32
35
38
Capitolo Secondo
Il mercato agro-alimentare transgenico
II.1.
II.2.
II.3.
II.4.
II.5.
II.6.
II.7.
II.8.
II.9.
II.10.
II.11.
II.12.
II.13.
Introduzione………………………………………………………………….
Distribuzione geografica e socioeconomica delle coltivazioni transgeniche...
Le principali coltivazioni GM secondo il tipo di coltura ed il tratto
modificato……………………………………………………………………
La soia transgenica…………………………………………………………...
Il mais transgenico…………………………………………………………...
Il cotone transgenico………………………………………………………....
La colza transgenica………………………………………………………….
Distribuzione delle colture transgeniche secondo il tratto modificato……….
I mercati destinatari delle produzioni agricole di origine biotecnologica……
Ogm di prima e seconda generazione………………………………………..
I mercati sementiero e fitofarmacologico……………………………………
Benefici economici apportati dalla coltivazione di piante transgeniche in
USA e Canada………………………………………………………………..
Area mondiale potenzialmente adatta alla diffusione delle colture
transgeniche………………………………………………………………….
39
40
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50
52
55
57
60
62
67
69
73
77
Capitolo Terzo
La competitività delle biotecnologie in agricoltura
III.1.
III.2.
III.3.
III.4.
III.5.
III.6.
III.7.
III.8.
III.9.
III.10.
Introduzione………………………………………………………………….
Linea metodologica…………………………………………………………..
Le performances economiche della soia HT……..…………………………..
Le performances economiche del mais BT…..………………………………
Le performances economiche della canola HT………..………………….….
Le performances economiche del cotone transgenico….……………………
La riduzione dei prodotti chimici…………………………………………….
Effetto delle colture Gm sugli agricoltori……………………………………
Effetti di una maggiore produzione………………………………………….
Osservazioni sui dati utilizzati per le comparazioni…………………...…….
80
81
82
86
89
97
101
104
112
117
Capitolo Quarto
La concorrenza nel mercato delle biotecnologie
IV.1.
IV.2.
IV.3.
IV.4.
IV.5.
IV.6.
IV.7.
IV.8.
IV.9.
IV.10.
IV.11.
IV.12.
IV.13.
IV.14.
Introduzione………………………………………………………………….
Il mercato agro-farmaceutico e il ruolo delle multinazionali………….……..
Evoluzione degli assetti societari delle maggiori società sementiere e
fitofarmacologiche…………………………………………………………...
Le operazioni di mercato delle principali società Biotech…………….……..
Le principali evidenze empiriche scaturite dalle recenti operazioni di
mercato……………………………………………………………………….
Le società che operano nel mercato agro-alimentare………………………...
La concentrazione nel mercato sementiero…………………………………..
La concentrazione nel mercato fitofarmacologico…………………………...
La concentrazione dei brevetti……………………………………………….
La concentrazione nel mercato transgenico………………………………….
L’integrazione verticale ed orizzontale………………………………………
I sistemi di protezione intellettuale per le varietà vegetali e i brevetti………
Il monopolio delle biotecnologie…………………………………………….
Sintesi sulla struttura del mercato transgenico……………………….………
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Capitolo Quinto
Conclusioni. Quali le opportunità economiche legate alle biotecnologie in
campo agricolo?
V.1.
V.2.
V.3.
V.4.
V.5.
V.6.
V.7.
Introduzione…………………………………………………………………..
L’accettazione delle biotecnologie…………………………………………...
La sostenibilità economica ed ambientale delle biotecnologie………………
Lo sviluppo e la diffusione degli Ogm……………………………………….
Vantaggi e svantaggi economico-ambientali connessi alle piante
transgeniche…………………………………………………………………..
Il mercato delle biotecnologie………………………………………………..
Il sottosviluppo e le biotecnologie……………………………………………
172
173
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187
V.8. L’ambiente come fonte di ricchezza e di diseconomie……………………… 189
V.9. L’accettazione del rischio……………………………………………………. 192
V.10. Conclusioni finali ………………….…………………….…...……………... 196
Glossario……..………………………….……………………...……… 198
Bibliografia…..………………………….……………………...……… 200
INTRODUZIONE
Le biotecnologie transgeniche applicate in agricoltura rappresentano una delle
innovazioni più importanti che negli ultimi decenni hanno interessato il settore agricolo.
I problemi posti dagli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) sono molto
ampi, e la possibilità di riassumere un fenomeno così complesso ed intercorrelato con
tante sfere delle attività umane è di difficile attuazione.
Lo studio del fenomeno, nel lavoro che seguirà, sarà finalizzato alla comprensione
e alla sintesi dello stesso, al fine di fornire al lettore un quadro esauriente che metta in
relazione gli Ogm in quanto tali con le principali variabili socioeconomiche connesse.
Innovazione, sistemi produttivi agricoli, ambiente e sottosviluppo saranno le
chiavi di lettura principali, tutte analizzate in un’ottica di lungo periodo e dominate dal
paradigma della sostenibilità nel suo concetto più ampio.
La biotecnologia transgenica nasce essenzialmente come ricerca di soluzioni volte
a risolvere i principali problemi connessi all’attività agricola, sotto un’ottica di
miglioramento produttivo ed agronomico, di qui la ricerca e la gestione appaiono essere i
punti cruciali per uno sviluppo sicuro e sostenibile di una tale innovazione.
Le necessità principali per una siffatta analisi economico-ambientale risiedono
nella comprensione del fenomeno nella sua vastità, ovvero tenendo conto non solo degli
aspetti strettamente economici, includendo, altresì, nelle argomentazioni componenti
esterne all’attività produttiva, influenzate dal fenomeno in maniera diretta, come, ad
esempio, le normative e le regolamentazioni sulla diffusione e lo sfruttamento
commerciale dei prodotti transgenici, connessi ai diritti di protezione intellettuale.
Le normative sul rilascio ambientale degli Ogm, le regolamentazioni sui brevetti e
le protezioni commerciali giocano un ruolo essenziale nel definire le prospettive future
dell’innovazione biotecnologica, determinandone il possibile scenario futuro e gli effetti
sulla realtà socioeconomica mondiale.
L’intento finale è quello di fornire argomentazioni ed analisi tali da inquadrare il
fenomeno biotecnologico in un’ottica di analisi costi-benefici virtuale, visto che
attualmente non si possiedono stime precise sui costi connessi a tale innovazione
tecnologica.
La determinazione della convenienza economica, dati i possibili costi in termini
ambientali e di sviluppo sostenibile, è basata su considerazioni tratte dai recenti studi sui
benefici produttivi e sugli effetti ambientali degli Ogm, oltre che sulle variabili sociali
connesse, con una particolare attenzione a fenomeni quali il sottosviluppo, la
malnutrizione, l’accesso alle risorse e la salvaguardia della biodiversità, quest’ultima
concepita in termini di risorsa necessaria ed imprescindibile per una valutazione sullo
sviluppo ambientale ed economico di lungo periodo.
Un’attenta analisi sarà rivolta alla considerazione degli effetti economici, sociali
ed ambientali, che si potranno verificare nei Paesi in Via di Sviluppo, intesi, e proposti
dall’industria Biotech, come i possibili principali beneficiari del progresso biotecnologico,
non escludendo allo stesso tempo l’analisi degli effetti che si potranno avere nei Paesi
Industrializzati. L’analisi dell’impatto sanitario degli Ogm sarà trascurato o trattato al
minimo informativo, in quanto allo stato attuale non esistono strumenti per una tale
verifica: infatti, non è possibile definire, con le conoscenze attuali, gli effetti che tali
organismi potranno avere sulla salute umana e sull’ecosistema in generale.
Il testo è stato strutturato in cinque capitoli, ognuno dei quali dedicato ad un
particolare aspetto economico, all’interno dei quali vi sono continui richiami e commenti
agli effetti sulle variabili socioeconomiche ed ambientali in termini di sostenibilità.
Il primo capitolo è di tipo introduttivo ed è rivolto alla descrizione delle
biotecnologie transgeniche attraverso definizioni e spiegazioni scientifiche, ponendo
attenzione ai temi più rilevanti di ordine sociale, economico, biologico ed ambientale. Il
capitolo è orientato alla descrizione delle biotecnologie come innovazione, descrivendone
le peculiarità essenziali, fornendo argomentazioni sulle caratteristiche tecniche
dell’innovazione e sulle applicazioni concrete di impatto tecnologico e sociale:
affrontando, altresì, temi quali la fame nel mondo, il progetto “Terminator” e la
biodiversità. La parte conclusiva del capitolo fornisce delle prime valutazioni circa le
componenti economiche della tecnologia transgenica: vantaggi economico-produttivi,
benefici per gli agricoltori e per i consumatori.
Il capitolo secondo è dedicato interamente alla descrizione del mercato, riguardo
alla sua diffusione ed al suo sviluppo, oltre ad una ripartizione delle aree coltivate
attualmente, secondo il livello di sviluppo dei Paesi, la collocazione geografica e le
tipologie di coltivazione. Parte del capitolo fornirà argomentazioni per comprendere le
caratteristiche agro-industriali delle prime piante transgeniche: soia, mais, cotone e colza.
La ripartizione dell’area mondiale destinata al transgenico è suddivisa secondo il
prodotto e la tipologia di modificazione genetica, al fine di valutare, da un lato, i risultati
raggiunti dalla ricerca, e dall’altro per individuare le linee di tendenza della ricerca stessa,
in termini di tipologie di produzioni agricole.
Nella parte finale sono fornite informazioni circa i possibili sviluppi futuri delle
biotecnologie, come tipologia di prodotto e tecnologia utilizzata, oltre ad una prima
trattazione sulla struttura dei mercati sementiero e fitofarmacologico, insieme ad una
prima stima dei benefici finora apportati a livello economico, relativamente ai casi
statunitense e canadese.
Il capitolo terzo, che insieme al quarto costituisce il nucleo principale del lavoro,
tratta della struttura economico-produttiva connessa alla coltivazione di piante
transgeniche, al fine di definire il loro attuale livello di opportunità economica. L’analisi
delle funzioni di produzione nelle coltivazioni transgeniche e la ripartizione dei benefici
tra produttori ed agricoltori costituiscono il punto principale nella determinazione della
convenienza economica, effettuata con particolare riguardo circa gli effetti di lungo
periodo sul mercato dei beni alimentari e sugli effetti sulla redditività agricola, in
particolare nei Pvs, ponendo l’accento sulla diversa struttura dei costi tra una coltivazione
con piante convenzionali ed una con piante geneticamente modificate, oltre ad una
valutazione sulle tradizionali variabili agronomiche, come la resa per ettaro, e ad alcune
variabili di tipo ambientale, legate all’uso di prodotti chimici e all’impatto ambientale.
Il capitolo quarto analizza in dettaglio il mercato delle biotecnologie transgeniche
riguardo ai livelli di concorrenzialità e all’evoluzione dello stesso in termini di
integrazione, attraverso opportuni indicatori di concentrazione. Il livello di concentrazione
è messo in relazione alla sua evoluzione nel tempo e alle caratteristiche legislative e
normative inerenti, le quali giocano un ruolo essenziale nella determinazione del livello di
concorrenzialità e nella determinazione delle barriere all’accesso del mercato stesso, sia
per le nuove aziende sia per gli agricoltori, questi ultimi differenziati secondo il livello di
reddito e l’appartenenza geografica. L’analisi della struttura del mercato agricolo
transgenico è messa in relazione ai rapporti con quello tradizionale, evidenziando punti di
continuità e di correlazione che ne accentuano il livello di concentrazione.
Parte del capitolo è dedicata alla descrizione delle convenzioni sui ritrovati
vegetali e alla legislazione sui brevetti vigenti, al fine di rendere evidenti le caratteristiche
peculiari e le loro conseguenze sul mercato e sull’attività agricola in generale.
Nel capitolo conclusivo si formula una sintesi dei risultati ottenuti in quelli
precedenti: sintesi che vuol essere una valutazione della situazione attuale dello sviluppo
dei mercati e delle produzioni transgeniche in un’ottica di necessità e di sostenibilità di
lungo periodo, con particolare riguardo alle componenti ambientali, sociali ed
economiche.
Il capitolo conclusivo fornisce informazioni anche sulla situazione economica e
politica che ruotano attorno al fenomeno degli Ogm, evidenziando alcune caratteristiche
normative, legislative e politiche attuali che pongono perplessità sulla gestione del
fenomeno transgenico, poiché se da un lato le prospettive tecnologiche ed economiche
future appaiono interessanti, dall’altro la gestione e gli orientamenti metodologici di
ricerca, attuali e futuri, sembrano non essere in grado di fornire un effettivo
miglioramento (desiderato e sostenibile), a vantaggio principalmente delle produzioni,
degli operatori e delle attività produttive agricole in generale, intese come prodotti,
modificazioni genetiche attuate e tutela ambientale nell’ottica dell’attuazione del
Principio di Precauzione.
Capitolo Primo
IL PROGRESSO TECNOLOGICO E L'AVVENTO DELLE
BIOTECNOLOGIE
I.1. La tecnologia come motore per lo sviluppo produttivo e socioeconomico
La realtà in cui viviamo è il frutto di un'
evoluzione che si è protratta nel corso dei
secoli. Il progresso tecnologico è stato senz'
altro uno dei fattori che maggiormente ha
influenzato il corso della storia e la vita degli esseri umani: le scoperte e le invenzioni
hanno, nel corso del tempo, influenzato la vita quotidiana sia dal punto di vista sociale che
economico. La continua ricerca dell'
innovazione tecnologica può essere comunemente
considerata come la ricerca di soluzioni ai problemi che si pongono quotidianamente di
fronte alle persone, in campo sia sociale sia produttivo.
Secondo alcune recenti ricerche si stima, utilizzando la cosiddetta "contabilità
della crescita", che il progresso tecnico abbia contribuito almeno per il 30% alla crescita
del PIL reale statunitense nel periodo 1948-1990, altre fonti vi attribuiscono un contributo
nei sistemi produttivi che arriva a superare il 50% (Nomisma, 1999).
L'
importanza che viene attribuita al progresso tecnologico nello sviluppo
socioeconomico può certamente essere messa in discussione da un punto di vista
quantitativo, ma non è possibile ignorare quali benefici abbia apportato la scienza e la
tecnologia al vivere quotidiano. Grazie al progresso della tecnica si è potuta migliorare la
vita degli uomini abbassando nel giro di pochi decenni la mortalità, arrivando ad un
traguardo biologico prima d'
ora inimmaginabile.
Lo sviluppo delle scienze è semplicemente la risposta alle domande e alle richieste
che la società nel suo insieme formula, anche se nella storia il progresso spesso è stato
visto come un nemico, come un qualcosa che avrebbe potuto metter fine all'
esistenza
dell'
uomo stesso. Queste paure mostrano come gli uomini, di fronte alla soluzione dei
problemi del loro vivere quotidiano, dimentichino che sono stati essi stessi a formulare le
domande, anche se in modo indiretto. Nei confronti della scienza e delle innovazioni la
società si è sempre divisa in due opposte fazioni, senza considerare l'
esistenza di una zona
intermedia che si pone in modo critico, e spesso più produttivo rispetto a posizioni troppo
estremistiche di chi è aprioristicamente pro o contro un'
innovazione. Nella storia si è
sempre assistiti a scontri tra posizioni a favore e altre che spesso hanno il sapore di accuse
"torquemadaiche" per una paura di cui non si conosce neanche la ragion d'
essere.
La scienza e il progresso nel corso dei secoli hanno sempre costretto gli uomini a
cambiamenti negli stili di vita che, di fatto, nella maggior parte dei casi, hanno contribuito
ad un aumento del benessere: gli sviluppi della tecnologia, della medicina, dei processi
produttivi agricoli, industriali e dell'
informazione, hanno permesso all'
uomo di meglio
soddisfare i propri bisogni fisici e sociali.
Nel corso del XX Secolo si è assistiti ad uno sviluppo economico e sociale mai
prima verificatosi, e gli studi, per comprendere come ciò sia stato realizzabile, mostrano
come esistano all'
interno dei sistemi produttivi stimoli ad innovazioni radicali ed
incrementali, seguendo un percorso che a volte ha un carattere di discontinuità ed altre di
continuità rispetto alla situazione precedente.
Nella teoria economica shumpeteriana sono proprio le innovazioni che generano il
progresso economico e lo sviluppo in generale; è proprio la ricerca imprenditoriale che
porta avanti lo sviluppo socioeconomico nel suo insieme, una ricerca spinta
essenzialmente dall'
esigenza di trovare fonti di profitto in nuovo mercato, o
semplicemente dettata dalla possibilità di migliorare il processo di produzione esistente
diminuendo i costi, fissi e variabili, o rinnovandolo in parte o radicalmente, ma il tutto
determinato nei tempi e nei modi da componenti casuali, quali la scoperta di una legge
scientifica o di un nuovo materiale per produrre, ed è proprio questa componente casuale
che rende lo sviluppo non lineare e dunque ciclico.
Le
caratteristiche
delle
innovazioni,
secondo
le
leggi
della
«teoria
evoluzionistica», sono da ricercarsi nell'
assunto che quelle radicali avvengono per puro
volere della casualità e al loro interno contengono i presupposti necessari per delle
innovazioni incrementali successive, che nel lungo periodo finiscono per dare un
contributo maggiore rispetto all’innovazione radicale originaria. Nel contesto odierno,
caratterizzato dalla competitività globale, i processi innovativi seguono due direttrici di
processi concorrenziali nei quali il concetto di innovazione ha ricoperto un ruolo ben
definito e molto importante. Nella prima direttrice il processo competitivo può essere
caratterizzato dalla ricerca di un brevetto, dove solamente chi arriva per primo guadagna
profitti tramite un potere monopolistico e temporaneo allo stesso tempo, affinché nei casi
in cui le economie di scala nel processo di ricerca sono ridotte ed il brevetto ha una
scadenza, nuovi innovatori possano entrare in competizione con i primi e generare un
rimescolamento continuo nella leadership nell'
industria; mentre nella seconda rientra il
caso in cui l'
innovazione assume la forma di accumulazione creatrice, ovvero
l'
innovazione nasce da un processo cumulativo di apprendimento fornendo all'
innovatore
la possibilità di continuare a migliorare nel tempo, creandosi all'
interno dell'
industria una
competenza specifica di difficile competizione. Nel secondo caso, l'
industria nello
specifico settore sarà caratterizzato da un oligopolio, in cui pochi grandi innovatori
mantengono la loro leadership fino quando non vi si ponga contro un nuovo soggetto con
una nuova innovazione radicale.
Ciò che è stato illustrato precedentemente mostra da un lato l'
importanza
dell'
innovazione e del processo tecnologico nello sviluppo socioeconomico e, dall'
altro,
come il processo innovatore può, secondo le proprie caratteristiche originarie, generare
effetti diversi sul mercato.
L'
effetto che può avere l'
innovazione sul mercato è stato ricordato per meglio
comprendere come debbano essere presi in considerazione le argomentazioni che di
seguito saranno fatte sulla scia della nuova spinta innovativa che le moderne tecniche di
ingegneria genetica applicata alla biotecnologia stanno apportando al mercato agroalimentare mondiale ed alla struttura del relativo mercato.
I.2. Le biotecnologie e l'ingegneria genetica come fonte d'innovazione
Nel contesto precedentemente descritto ben s'
inserisce l'
attuale sviluppo delle
biotecnologie e l'
applicazione dell'
ingegneria genetica per la risoluzione di molteplici
problemi. Le biotecnologie possono essere comunemente accettate come un'
innovazione
di primaria importanza per lo sviluppo socioeconomico mondiale. L'
attribuzione
dell'
aggettivo primario all'
innovazione biotecnologica è riferita non solo al grado
d'
importanza, ma si riferisce ad un contesto più ampio: il significato dell'
aggettivo
primario risiede nella constatazione che le biotecnologie non sono un'
innovazione a sé
stante, marginale, ma al loro interno hanno la capacità di generare forze che fanno sentire
i propri effetti in molti ambiti scientifici, forze che creano le cosiddette innovazioni
"secondarie" o incrementali che aprono le frontiere ad un nuovo modo di comprendere e
dominare la natura e gli eventi che ci circondano1.
Le recenti scoperte nell'
ambito dell'
ingegneria genetica hanno tracciato un
possibile percorso per una nuova rivoluzione sia nel campo medico sia nel campo
produttivo: le principali industrie che operano in questo nuovo settore sono
principalmente le "vecchie" multinazionali farmaceutiche che, difatti, hanno avviato al
loro interno delle vere e proprie rivoluzioni sia nel campo organizzativo sia nell'
indirizzo
di ricerca.
Considerando l'
intero mercato farmaceutico mondiale, è possibile notare come si
siano moltiplicati gli studi e le ricerche per decifrare la struttura dei geni e del DNA, al
fine di capire come curare una malattia o eliminare un "difetto" di un organismo.
Parallelamente a questa nuova impostazione della ricerca medica, è possibile notare come
quest'
ultima abbia influenzato notevolmente l’evoluzione degli assetti societari e la stessa
struttura organizzativa dell'
industria farmaceutica.
Le caratteristiche del nuovo assetto industriale sono influenzate da alcuni fattori
importanti, che in un certo qual modo ne determinano struttura, composizione e strategia
di mercato da adottare.
La "nuova industria" è caratterizzata e fortemente basata sulla scienza, i cui
progressi sono determinati univocamente dall'
evoluzione della ricerca. La caratteristica di
un'
industria, di essere basata esclusivamente sulla ricerca e sui suoi risultati, fa sì che la
possibilità d'
accesso ad essa, da parte di nuove società, sia limitata dal potenziale
d'
investimento, che nello specifico settore delle "biotecnologie genetiche" è
incredibilmente alto. L'
alta spesa in R&S nelle biotecnologie dà vita ad un oligopolio
composto da società di grandi dimensioni capaci di ottenere fonti di finanziamento privato
e pubblico con relativa facilità: in tale contesto la capacità ad investire ed ottenere
finanziamenti rappresenta un limite spesso invalicabile per chi abbia intenzione di entrare
e competere nel settore. L'
industria biotecnologica appare impenetrabile dall'
esterno e le
poche nuove società che vi sono entrate si sono trovate dinanzi un gruppo di società in
competizione tra loro, ma che hanno nel tempo stabilito un rapporto di collaborazione per
disporre di competenze e attività differenziate di cui nessuno disponeva autonomamente
1
Le biotecnologie e l'
ingegneria genetica non possono essere considerate a sé: gli effetti "collaterali" sprigionano energie
in tutti i campi della scienza.
in maniera completa. Non di rado le start-up sono state acquisite dalle grandi società nel
momento in cui avevano raggiunto un traguardo importante, come ad esempio la
registrazione di un brevetto su di un ritrovato biotecnologico.
La tendenza dell'
industria biotecnologica è relativa alla concentrazione e si
evidenziano sempre più vantaggi da prima mossa che, con il sistema dei brevetti e dei
diritti di proprietà intellettuale, creando barriere all'
entrata nel settore praticamente
insormontabili.
Quanto detto finora sull'
innovazione e le sue caratteristiche, ed in particolare sullo
specifico settore delle biotecnologie, pone le basi alle argomentazioni successive che
riguarderanno le biotecnologie e la loro applicazione in agricoltura, intese come
un'
innovazione primaria, sotto un’ottica essenzialmente economico-ambientale, lasciando
agli aspetti biologici, medico, religioso, etico solamente una trattazione definitoria e
marginale, al fine di ottenere uno studio che metta in risalto in maniera pragmatica le
caratteristiche economiche dell'
applicazione delle moderne biotecnologie in agricoltura e
le relative conseguenze in un’ottica di sviluppo sostenibile.
I.3. Gli Organismi Geneticamente Modificati
Prima di poter dare una definizione essenziale ed esaustiva degli OGM è
prioritario specificare il significato e la differenza tra biotecnologia e Organismo
Geneticamente
Modificato:
quest'
ultimo
è
figlio
della
biotecnologia,
ovvero
dell'
applicazione di tecniche biologiche, come l'
incrocio o la selezione delle specie, atte a
modificare le caratteristiche degli organismi viventi, piante, batteri, animali; dunque gli
Ogm appartengono ad una particolare branca della biotecnologia che sfrutta le
conoscenze dell'
ingegneria genetica per intervenire direttamente sul patrimonio genetico
degli organismi e non più solamente sul fenotipo2, attraverso il tradizionale incrocio
vegetale-vegetale.
Dalla sua origine, l'
uomo ha sempre cercato di intervenire sugli animali e sulle
piante, attraverso incroci e selezioni, al fine ottenere caratteristiche fisiche e nutrizionali
migliori, creando in questo modo quell'
immensa varietà di specie che a tutt’oggi
conosciamo e che viene definita biodiversità. Il processo di selezione, nel tempo, è
2
Si definisce fenotipo il complesso delle caratteristiche esteriori di ogni organismo, che dipende dal suo particolare
corredo genetico.
sempre avvenuto in modo pressoché naturale attraverso la riproduzione sessuale o
l'
incrocio tra piante, mentre oggi le scoperte sul DNA e le ricerche effettuate sulla
"codifica" dei geni permettono all'
uomo di intervenire alla base degli esseri viventi,
ovvero sul "patrimonio genetico".
Da quanto detto in precedenza è possibile distinguere il significato di
biotecnologia, intesa in senso generale, e OGM, intesa come caso particolare di
biotecnologia.
Le tecniche di modifica di un genoma3 sono nate negli anni settanta ad opera di
due scienziati, Watson e Crick, che per primi hanno descritto con precisione la struttura
del DNA, aprendo le frontiere alla ricerca su come possa essere modificata la "vita".
Volendo fare un esempio, per meglio rendere comprensibile l'
entità della scoperta, è
possibile paragonarla alla scoperta della Stele di Rosetta che ha permesso agli archeologi
di comprendere e tradurre gli antichi geroglifici egiziani: infatti, la scoperta di questi due
scienziati ha posto le basi alla ricerca sulla comprensione del "funzionamento degli esseri
viventi".
La sigla OGM racchiude in sé il suo significato, modifica di un organismo
attraverso la manipolazione genetica. Le tecniche del DNA ricombinante sono state
possibili grazie alla scoperta degli enzimi di restrizione4 che hanno permesso un moderno
"taglia ed incolla" a livello molecolare al fine di aggiungere o eliminare caratteristiche
agli esseri viventi per diversi motivi che possono essere sia medici, sia produttivi (si pensi
al miglioramento nutrizionale o alla resistenza alle malattie sia nell'
uomo sia negli altri
esseri).
L'
applicazione dell'
ingegneria genetica agli esseri viventi, siano essi batteri,
vegetali o animali, ha permesso di identificare sequenze del DNA con date proprietà, al
fine di "tagliarle" per eliminarle dal corredo genetico o per aggiungerle ad un altro
organismo per cui si richieda una tale proprietà.
Una volta isolata una "caratteristica" da un organismo è possibile, attraverso le
tecniche di ingegneria genetica, inserirla in un vettore molecolare, il plasmide, che può,
secondo le caratteristiche della ricerca e della volontà del ricercatore, o clonarla, e cioè
3
Si definisce genoma il corredo genetico di un organismo vivente, ovvero il DNA nel suo complesso
4
Un enzima è una proteina che interviene in una reazione chimica accelerandola rispetto al normale, o contribuendo a
trasformare un composto di partenza in uno finale. Gli enzimi di restrizione sono particolari proteine che identificano
una sequenza bersaglio sul DNA e si legano a loro per tagliare in due la doppia elica che forma il DNA.
moltiplicare il DNA inserito, o esprimerla, quando permettono la sintesi di proteine, a
partire dai geni presenti nel vettore. Tra i vettori molecolari più importanti è bene
ricordare l'
Agrobacterium tumefaciens, ovvero il plasmide utilizzato per clonare e
trasferire geni alle cellule vegetali.
Gli studi d'
ingegneria genetica condotti negli ultimi vent’anni sono stati indirizzati
verso la codifica dei genomi degli organismi viventi per comprendere quali fossero i geni
portatori di certi "difetti ereditari" e creare, a partire da quelli esistenti in natura, nuovi
genotipi "migliorati artificialmente": a titolo di esempio si riporta il caso della pecora
Dolly che rappresenta l'
estrema realtà raggiungibile attualmente dalla scienza, ovvero la
moltiplicazione (clonazione) in laboratorio di animali a partire da un esemplare unico.
La possibilità di intervenire sul corredo genetico pone la scienza di fronte ad un
nuovo modo di comprendere e modificare la natura circostante, per meglio soddisfare i
bisogni individuali sia di salute sia di miglioramento delle strutture produttive.
I.4. Le biotecnologie in agricoltura
L'
applicazione delle biotecnologie in agricoltura rappresenta, nella ricerca
bioingegneristica, il settore più importante sia per le polemiche ecologiche, sociali ed
economiche che suscitano, sia perché le piante geneticamente modificate rappresentano il
98.6% degli OGM in circolazione (Serra, 2000). Le piante geneticamente modificate in
laboratorio sono moltissime (soia, mais, barbabietola, colza, pomodori, patate, cotone,
banane, fragole, uva, melanzane, ecc.), ma attualmente solo poche tra loro sono coltivate
su superfici estese, tra queste le più importanti dal punto di vista sperimentale, sono
sicuramente la soia, il mais, la colza, il cotone ed il riso.
La soia ed il mais, in particolar modo, sono le piante che più tra le altre sono state
sottoposte alle sperimentazioni (ovvero sono quelle che hanno subito più modificazioni
dando vita a molteplici varanti geniche diverse) e sono quelle che più hanno subito
controlli e verifiche, tant'
è che alcuni le considerano appartenenti ad un piccolo gruppo di
OGM considerati sicuri (Serra, 2000).
Le prime piante geneticamente modificate sono state immesse nel mercato nel
1996 dalla Monsanto S.p.A. nell'
America Settentrionale e gli agricoltori hanno avuto
l'
opportunità di utilizzare tre nuovi prodotti: le patate NewLeaf, il cotone Bollgard, in
grado di autoproteggersi dagli insetti e la soia Roundup Ready, tollerante al diserbante
Roundup, prodotto dalla stessa Monsanto S.p.A. (Monsanto S.p.A., 1999).
La tabella 1, elaborata dall'
Istituto Sperimentale di Cerealicoltura, riassume il
percorso evolutivo delle piante transgeniche fino alla prima commercializzazione in USA.
La continua espansione delle colture transgeniche nel mondo ha, negli ultimi anni,
sollevato innumerevoli quesiti circa la loro utilità e i rischi connessi alla loro produzione.
Nel contesto odierno i dibattiti più diffusi, sulle conseguenze economiche
connesse alla produzione e alla commercializzazione degli OGM, riguardano i problemi
sull'
etichettatura, e quindi di trasparenza nei confronti dei consumatori, sulle
modificazioni del mercato agro-alimentare, sulla reale produttività e convenienza
economica, ed in particolare sulla loro efficacia nel risolvere il problema della fame nel
mondo, tanto pubblicizzato dalla società del settore.
Attualmente nel mondo esiste una gran varietà di prodotti geneticamente
modificati e si ha a disposizione una diversificazione degli stessi secondo la tecnologia
utilizzata e le caratteristiche genetiche che, nel complesso, rendono il prodotto adattabile
ad ogni esigenza agricola e ad ogni situazione ambientale sia del terreno da coltivare, sia
dell'
ambiente circostante (flora e fauna locale). A livello mondiale, a tutto il 1998,
esistono ben 56 prodotti transgenici approvati in almeno un paese (Tab. 2) e nei soli USA
la lista dei prodotti autorizzati alla coltivazione ne comprende circa 50 (James, 1998).
La tabella 2 mette in rilievo alcune caratteristiche dei prodotti geneticamente
modificati autorizzati: è da rilevare che alcune caratteristiche geniche introdotte nelle
piante sono molto frequenti, il gene BT5 o le sue varianti (resistenza agli insetti) e la
tolleranza ai diserbanti non selettivi quali il glifosato e il glufosinato6.
Nel corso degli ultimi anni le "Life'
s Industrys" (così vengono definite tutte le
industrie appartenenti al settore delle biotecnologie applicate) hanno attirato l'
attenzione
dell'
opinione pubblica e quella dei governati circa i risultati che si potranno ottenere in
futuro con queste nuove tecnologie e i rischi connessi.
Le "Life'
s Industrys" sostengono che la sostenibilità è alla base della loro ricerca e
lo sviluppo delle biotecnologie e la loro applicazione in agricoltura, nel tempo, mostrerà i
5
Il gene BT, estratto dal Bacillus Thuringensis, permette alle piante di autoprodurre una sostanza tossica per le larve
degli insetti che si nutrono della pianta.
6
Il glufosinato e il glifosato sono due erbicidi non selettivi, ovvero sono validi per qualsiasi tipo di erba infestante, che
permettono la completa disinfestazione dei campi con un unico prodotto.
Tab. 1 - Storia delle piante transgeniche
1973
PRIMA APPLICAZIONE DELLA TRANSGENESI AD UN BATTERIO
MODELLO: ESCHERICHIA COLI.
1974
NASCITA DELL'
INGEGNERIA GENETICA CON L'
APPLICAZIONE
DELLE PRIME TECNICHE DI CLONAZIONE DI GENI.
1983
RICERCATORI
DELL'
UNIVERSITA' DI
GAND
(BELGIO)
PRODUCONO LA PRIMA PIANTA TRANSGENICA: TABACCO
RESISTENTE ALL'
ANTIBIOTICO KANAMICINA.
1986
PRIME SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON PIANTE
TRANSGENICHE:
PIANTE
DI
TABACCO
TOLLERANTI
A
ERBICIDI NON SELETTIVI.
1987
PRIMA PIANTA TRANSGENICA RESISTENTE AGLI INSETTI:
TABACCO CHE PRODUCE LA TOSSINA INSETTICIDA DEL
BATTERIO BACILLUS THURINGIENSIS.
1990
INIZIO NEGLI USA DELLE SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO
CON PIANTE TRANSGENICHE.
1993
INIZIO DELLE SPERIMENTAZIONI IN PIENO CAMPO CON
PIANTE TRANSGENICHE IN ITALIA.
1994
COMMERCIALIZZAZIONE IN USA DEL PRIMO PRODOTTO
VEGETALE TRANSGENICO: IL POMODORO « FLAVR SAVR» A
MARCESCENZA RITARDATA DELLA SOCIETA'CALGENE.
AUTORIZZAZIONE
ALL'
INTRODUZIONE
NEL
MERCATO
COMUNITARIO DELLA PRIMA PIANTA TRANSGENICA: IL
TABACCO RESISTENTE AL BROMOXYNIL.
Fonte: Istituto Sperimentale di Cerealicoltura (ISC)
Tab. 2 - Stato dell'approvazione delle colture transgeniche a tutto il 1998:
56 prodotti approvati in almeno un paese
Società/Paese
Coltura transgenica
Mais tollerante il glufosinato
Colza tollerante il glufosinato
AgrEvo
Soia tollerante il glufosinato
Barbabietola tollerante il glufosinato
Mais tollerante il glufosinato e resistente agli insetti
Agritope, Inc.
Pomodoro a ritardata marcescenza
Zucca resistente al virus WMVZ
Asgrow Seed Co.
Zucca resistente al virus ZYMV
Zucca resistente al virus CMV
Basf
Mais tollerante il sethoxydim
Bejo-Baden
Cicoria maschiosterile
Pomodoro a ritardata marcescenza
Calgene Inc.
Cotone tollerante il bromoxynil
Colza ricca di acido laurilico
Cotone resistente agli insetti e tollerante il glufosinato
Tabacco resistente ai virus
Cina
Pomodoro resistente ai virus
Mais BT
Cornell U./U. of Hawaii
Papaia resistente ai virus
Mais resistente agli insetti
DeKalb Genetics Corp.
Mais tollerante il glufosinato
Mais resistente agli insetti e tollerante il glufosinato
DNA Plant Technology
DuPont
Florigene
Pomodoro a ritardata marcescenza
Cotone tollerante la sulfonilurea
Soia a modificata composizione
Garofano a lunga longevità nel vaso
Garofano con colore dei fiori modificati
Soia tollerante il glifosato
Pomodoro a ritardata marcescenza
Pomodoro resistente agli insetti
Cotone resistente agli insetti
Cotone tollerante il glifosato
Monsanto Co.
Cotone resistente agli insetti e tollerante il glifosato
Mais resistente agli insetti
Colza tollerante il glifosato
Mais resistente agli insetti e tollerante il glifosato
Barbabietola tollerante il glifosato
Pomodoro resistente agli insetti e al PLRV
Mais tollerante il glifosato
Mycogen
Mais resistente agli insetti
Mais resistente agli insetti
Novartis Seeds
Mais dolce resistente agli insetti e tollerante il glufosinato
Mais resistente agli insetti e tollerante il glufosinato
Pioneer Hi-Bred Int.
Mais maschiosterile
Olio di semi di rape ibride tolleranti il glufosinato
Olio di semi di rape tolleranti il glufosinato e
maschiosterili
Plant Genetic System
Olio di semi di rape tolleranti il glufosinato e restauratore
di fertilità
Mais tollerante il glufosinato
Mais tollerante il glufosinato e maschiosterile
Mais tollerante il glufosinato e restauratore di fertilità
Rhône-Poulenc
Colza tollerante il bromoxynil
Seita
Tabacco tollerante il bromoxynil
Seminis Vegetable Seeds
Zucchino resistente al virus ZW20
Zucchino resistente al virus CZW3
Univ. of Saskatchewan
Lino tollerante la sulfonilurea
Zeneca/Petoseed
Pomodoro a ritardata marcescenza
Fonte: James (1998)
propri frutti, apportando un'
espansione delle potenzialità (qualitative e quantitative) dei
prodotti agricoli attraverso l'
introduzione di nuove caratteristiche nelle piante, grazie ad
un miglioramento della conoscenza della struttura genica delle piante.
Una delle società leader nel settore dell'
applicazione delle biotecnologie in
agricoltura, la Monsanto, afferma che uno dei punti chiave per ottenere uno sviluppo
sostenibile consiste nella sostituzione di materiali ed energia con l'
informazione presente
nelle piante.
L'
applicazione delle biotecnologie, sempre secondo le società del settore,
permetterà di ridurre l'
uso dei prodotti chimici come i diserbanti ed allo stesso tempo
migliorerà la resa dei campi a favore dei redditi dei coltivatori; inoltre in un prossimo
futuro, assicurano, le biotecnologie forniranno i mezzi necessari per ridurre l'
impiego di
materie prime e di energia, producendo altresì prodotti migliori sia da un punto di vista
quantitativo, nel senso della resa per ettaro, sia qualitativo.
I promotori delle biotecnologie, in particolare le società che hanno investito in
questo settore, le presentano come sorgente di numerosi benefici per i consumatori, gli
agricoltori e l'
ambiente (Bonny, 1999). L'
interesse della "Life'
s Industry" relativa
all'
agricoltura è quella di introdurre nelle piante caratteristiche, utili agli agricoltori, come
ad esempio la resistenza alla siccità, che colpisce un numero crescente di regioni nel
mondo (Bonny, 1999). Altrettanto importante oggetto di studio sono la resistenza al gelo,
che potrebbe essere ottenuta attraverso lo studio di un batterio che, a detta degli studiosi,
impedisce alle molecole d'
acqua di trasformarsi in ghiaccio, e il miglioramento dei sistemi
di protezione dagli insetti, proseguendo la ricerca sul gene BT e suoi derivati.
I.5. OGM: i campi d'applicazione nell'agricoltura
Dalla scoperta dei metodi di ricombinazione del DNA, avvenuta all'
incirca venti
anni fa, le tecniche atte a modificare le caratteristiche genetiche degli esseri viventi si
sono più che moltiplicate.
Agli inizi la ricerca sulla possibilità di ricombinare il DNA era basata
essenzialmente sullo studio di organismi semplici, quali i batteri e i virus.
La ricerca odierna, ormai, può senza dubbio affermare che esiste la possibilità di
modificare qualsiasi organismo vivente dal più elementare fino ad arrivare alla clonazione
umana, e se esiste un limite esso è rappresentato dalle regolamentazioni internazionali sui
brevetti e dall'
etica comune.
Nell'
ambito agricolo è possibile definire una serie di indirizzi di ricerca, ognuno
dei quali orientato su di un particolare problema che quotidianamente si pone dinanzi
all'
agricoltore.
Allo stesso tempo nel corso degli anni si è sviluppata un'
industria delle
biotecnologie applicate in agricoltura che si propone come alternativa al tradizionale
mercato dei mezzi di produzione agricola, il tutto con l'
intento di rinnovarlo e migliorarlo
attraverso la risoluzione di problemi semplici (James, 1998), ma che fino a qualche
decennio fa erano considerati irrisolvibili: basti pensare al passato ed in particolare ai
popoli nomadi che secondo le stagioni e lo stato di sfruttamento dei suoli agricoli si
spostavano continuamente proprio perché non avevano la possibilità di "sfidare" ciò che
la natura stessa imponeva loro.
Il mercato mondiale dei cibi transgenici non può essere considerato come la
"semplice vendita" di prodotti modificati, ma va rapportato con la portata
dell’innovazione biotecnologica stessa.
La produzione di OGM in agricoltura deve essere riferita non solo alla produzione
di beni di consumo finali, destinati all'
uomo o agli allevamenti, ma bisogna specificare
che l'
intera ricerca biotecnologica è orientata e finalizzata alla risoluzione di problemi
inerenti sia il processo produttivo in senso stretto sia il miglioramento tecnico-qualitativo
dei prodotti finali destinati al consumo, così com'
è desumibile dalla tabella 3.
Nell'
ambito dell'
applicazione dell'
ingegneria genetica in agricoltura due tecniche,
in particolare, rivestono un ruolo di rilevo: la resistenza agli insetti e la tolleranza ad
alcuni erbicidi non selettivi, tra i quali spicca il ruolo svolto dal glifosato, che è alla base
dei prodotti della Monsanto, e il glufosinato, utilizzato prevalentemente dalla Novartis e
dall’AgrEvo. Il ruolo di primaria importanza svolto da queste due tecniche è giustificato
dalla loro applicazione sul campo in termini di diffusione.
Dai dati messi a disposizione dall'
International Service for the Acquisition of
Agri-biotech Applications (Isaaa), che è l'
associazione cui fa riferimento la quasi totalità
delle società Biotech, è evidente come i caratteri di resistenza agli insetti e di tolleranza
agli erbicidi siano i più richiesti ed utilizzati: infatti, sul totale delle coltivazioni Gm, esse
rappresentano, stando ai dati del 1998, rispettivamente il 71% e il 28%.
Tab. 3 - Campi di applicazione delle agro-biotecnologie vegetali
Innovazione
Campo di
Tecnologia utilizzata
applicazione
Complementare
Tolleranza agli erbicidi
Resistenza a insetti
Di sostituzione
Resistenza a virus
Resistenza a nematodi, funghi, batteri
Modificazione riproduttiva
Di processo
Frutta senza semi
Agronomico
Colore dei fiori
Resistenza agli stress ambientali
Ibridazione tra cellule somatiche
Alimento e salute animale
Cibo-alimento
animale
Diminuzione della tossicità alimentare
Aumento dei componenti nutritivi
Migliore qualità panificatoria e altre applicazioni
Di prodotto
alimentari
Composizione degli oli vegetali
Qualità del
prodotto
Amidi e altri polisaccaridi
Modificazione della maturazione dei frutti
Fonte: Nomisma (1999)
Tab. 4 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche secondo i tratti
modificati (milioni di ettari)
Tratti Modificati
1997
%
1998
%
Ratio
Tolleranza agli erbicidi (a)
6.9
63
19.8
71
2.9
Resistenza agli insetti (b)
4.0
36
7.7
28
1.9
Caratteri (a) e (b)
<0.1
<1
0.3
1
(-.-)
Qualità
<0.1
<1
<0.1
<1
(-.-)
11.0
100
27.8
100
2.5
Fonte: James (1998)
Graf. 1 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche secondo
i tratti modificati (percentuale)
100%
80%
Qualità
Caratteri (a)e(b)
Res. Insetti
Tol. Erbicidi
60%
40%
20%
0%
1997
1998
I.6. Il carattere di resistenza agli insetti
Le piante transgeniche che autoproducono tossine contro gli insetti sono basate sui
geni clonati del batterio BT. Le clonazioni effettuate sul BT hanno reso possibile la
produzione di più tipi di tossine, capaci di adeguarsi a qualsiasi situazione di infestazione
o meglio dire a qualsiasi insetto. L'
autoproduzione di tossine da parte delle piante
permette, secondo le società produttrici, di evitare qualsiasi infestazione dannosa per la
pianta, garantendo una maggiore produzione vendibile per l'
agricoltore e di conseguenza
un maggior reddito.
La tecnica si basa su concetto semplice: nel momento in cui le larve degli insetti, o
gli stessi insetti adulti, ingeriscono una qualsiasi parte della pianta essi muoiono per
l'
ingestione di un insetticida presente in tutta la struttura della pianta, dalle radici alle
foglie e al fusto. Il beneficio che potrebbe apportare nel lungo periodo tale tecnica è
principalmente la diminuzione dell'
uso di insetticidi sulle colture con la conseguente
riduzione dei costi di produzione.
Il mercato mondiale degli insetticidi si stima abbia un valore di 8.000 milioni di
dollari: con l'
applicazione di questa tecnologia è possibile ridurre del 30% l'
uso di
insetticidi, portando così il consumo di insetticidi ad un controvalore di 5.300 milioni di
dollari (Krattinger, 1997).
I benefici della riduzione dell'
uso degli insetticidi sulle coltivazioni sarebbero, in
tal caso, per tutti: ambiente, coltivatori e consumatori.
Secondo le previsioni nei prossimi anni saranno a disposizione nuove tossine
alternative alle proteine BT basate su chinitasi, lecitine e inibitori delle proteasi, e saranno
migliorate le caratteristiche di resistenza ai virus.
I.7. Il carattere di tolleranza agli erbicidi
La caratteristica di tolleranza agli erbicidi riveste nel settore della ricerca genetica
un ruolo importante: infatti, uno dei principali fattori che influenza la corretta crescita
delle piante è la presenza all'
interno dei campi delle erbe infestanti, che si nutrono delle
stesse sostanze delle piante.
Le malerbe limitano l'
accesso alle risorse da parte della pianta sottraendole la luce
solare, l'
acqua e gli elementi nutritivi presenti nel terreno (Monsanto, 1996).
Immettere in una pianta il carattere di tolleranza agli erbicidi permetterebbe da un
lato di ridurre l'
uso di erbicidi, sia in quantità totale sia rispetto al numero di applicazioni,
e dall'
altro permette di disinfestare il campo senza intaccare la piantagione.
In commercio esistono principalmente tre composti usati come erbicidi, cui sono
associate le relative piante a loro tolleranti: il glufosinato, il glifosato e la sulfonilurea.
L'
erbicida glifosato, commercializzato dalla Monsanto sotto il nome Roundup, è
di tipo non selettivo ed assicura la protezione da oltre 100, tra le più dannose, specie
infestanti (Monsanto, 1996).
Il glifosato non è tossico e, assicurano i produttori, biodegradabile7 e non è
necessario miscelarlo con altri erbicidi. I geni introdotti nelle piante per tollerare il
glifosato permettono di proteggere efficacemente mais, soia, canna, tabacco, riso, cotone,
barbabietola ed erba medica. Varietà transgeniche approvate per la coltivazione e
resistenti al glufosinato sono disponibili per colza, mais, cotone e cicoria (Nomisma,
1999).
L'
erbicida glufosinato, commercializzato dalla Novartis sotto il nome Basta,
secondo la ditta è non tossico e biodegradabile nel terreno (anche se alcuni studi recenti
affermano che per 25 giorni dopo il raccolto il terreno non è utilizzabile ed è consigliabile
recintarlo per proteggere la fauna locale per il pericolo di avvelenamento): i geni
introdotti nelle piante dalla Novartis rendono le piante, come colza, mais e soia, resistenti
a tale erbicida. Varietà transgeniche di soia, cotone e mais sono già in coltivazione
(Nomisma, 1999).
Le sulfoniluree sono erbicidi altamente selettivi e attivi a basse concentrazioni.
Piante transgeniche tolleranti le sulfoniluree, è stato dimostrato, sono tolleranti anche un
altro tipo di erbicida basato su imidazolinoni. Le colture interessate dal carattere di
tolleranza alle sulfoniluree sono state già sviluppate e coltivate: in particolare mais, colza
e grano (Nomisma, 1999).
Le possibilità di usufruire di queste nuove tecniche di coltivazione
rappresenterebbe per gli agricoltori un fattore di minor rischio nel processo produttivo, e
7
Rispetto alla biodegradabilità del prodotto, caratteristica riportata anche sulla confezione, le opinioni sono contrastanti.
Infatti, nel 1997 la magistratura statunitense, basandosi su uno studio condotto dal North West Coalition for
Alternatives to Pesticides (NWCAP), ha multato per un importo di 50.000 $ la società Monsanto perché ritenne non
veritiera la caratteristica di biodegradabilità del Roundup e ha costretto la società ad eliminare il riferimento sulla
confezione, in particolare l’episodio riguarda il periodo di isolamento del terreno dopo il trattamento. Inoltre, alcuni
studi recenti, promossi da GreenPeace, indicano per il glifosato caratteristiche cancerogene.
stando alle prospettive delle società produttrici di sementi tale minor rischio avverrà in
concomitanza ad un aumento della produttività dei terreni.
I.8. La tecnologia "Terminator"
La tecnologia Terminator, o del gene suicida, è un brevetto (U.S.A. N.5.723.765)
concesso nel marzo 1998 a Delta & Pine Land e all'
U.S. Department of Agriculture
(USDA).
Il sistema Terminator si basa su tre geni che agiscono sulla capacità riproduttiva
delle piante ed il fine è rendere sterile il seme di seconda generazione. La concessione di
tale brevetto ha suscitato numerose polemiche e dibattiti che non si sono ancora esauriti:
la polemica più aspra è stata tra la Monsanto, detentrice del brevetto tramite Delta & Pine
Land, attraverso il suo portavoce Robert Shapiro da un lato e Gordon Conway, presidente
della Fondazione Rockfeller, la FAO (Food and Agriculture Organization), e la RAFI
(Rural Advancement Foundation International) dall'
altro, che si oppongono a tale brevetto
per le implicazioni economiche che ne potrebbero derivare.
Una considerazione che è possibile fare sugli enti che hanno criticato questa nuova
tecnologia: infatti, tra gli enti oppositori non figurano solo quelli che lo sono stati da
sempre, ma figurano anche enti come la FAO che ha, insieme all'
USDA e l'
UE, attraverso
il "principio di sostanziale equivalenza", autorizzato la commercializzazione degli OGM
nel mondo.
La RAFI afferma che «questa tecnologia, ingegneria genetica delle piante per
produrre sementi suicide, è universalmente considerata l'
applicazione più moralmente
offensiva dell'
agricoltura biotecnologica poiché più di 1.4 miliardi di persone dipendono
da sementi agricole conservate».
In effetti, la tecnologia Terminator mette gli agricoltori in condizione di dover
riacquistare ogni anno sementi nuove per cominciare un nuovo ciclo produttivo perché,
contrariamente a quanto accade da sempre, le sementi ricavate dal raccolto dell'
anno
precedente sono sterili.
Nonostante le rassicurazioni fatte dalla Monsanto, che affermava di voler
abbandonare la ricerca sul "Terminator", la polemica continua e, da più paesi, come
Uganda, Ghana, Panama e India arrivano proteste ufficiali e attuazioni di misure
restrittive all'
importazione di tali sementi che, di fatto, sono proibite (AceA, 2000).
La FAO, nel marzo 2000, ha espresso, in un documento ufficiale, la propria
ostilità verso la ricerca biotecnologica al fine di produrre semi sterili ritenendo che tale
ricerca non sia destinata a debellare la fame nel mondo, ma che sia solo destinata a
controllare la produzione e la commercializzazione del cibo nel mercato internazionale.
La Fao nello stesso documento afferma, altresì, che la responsabilità dei possibili
accadimenti successivi alla commercializzazione del "Terminator" sia nelle mani dei
Governanti dei singoli Stati, ed in tal senso li esorta a concentrare la propria attenzione su
tali problematiche.
Il motivo che ha spinto la ricerca a rendere sterili i semi è ancora ignoto e le stesse
società si rifiutano di dare una motivazione che ne giustifichi la necessità; certo è che le
conseguenze dell'
applicazione di questa nuova tecnologia pone seri problemi, soprattutto
ai Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati, che sono, secondo le società Biotech, i
principali destinatari delle nuove tecniche di ingegneria genetica per risolvere i loro
problemi di malnutrizione e inefficiente produttività agricola.
La politica di commercializzazione dei semi "Terminator" si prefigura, in tal
modo, come uno strumento atto al controllo della produzione agricola mondiale e se,
come auspicato dalle società Biotech, tale nuovo modo di produrre debba estendersi
principalmente ai Paesi sottosviluppati per rendere disponibile alle proprie popolazioni, in
continua crescita demografica, sempre più beni alimentari, si potrebbe ipotizzare una
condizione di sudditanza, o, come preferiscono gli ambientalisti più accaniti una
situazione di neocolonialismo, di tali Paesi nei confronti delle multinazionali che
controllano il mercato internazionale delle biotecnologie.
La tecnologia "Terminator", a nostro avviso, non può essere compresa tra le nuove
biotecnologie poiché essa non risolve nessun problema né nutritivo-alimentare né
produttivo: tale tecnologia tende, esclusivamente, a legare i profitti delle società
produttrici di semi, e di biotecnologie in generale, ai fabbisogni alimentari dei Paesi,
soprattutto non industrialmente avanzati che crescono demograficamente in misura
esponenziale.
In quest'
ottica è certa la perdita di sovranità alimentare mondiale, con la
conseguente dipendenza alimentare, e quindi di sopravvivenza, di intere comunità dalle
decisioni dei consigli di amministrazione delle società produttrici. La tecnologia dei semi
sterili può essere comunemente considerata un esempio di agribusiness, che, nell'
ipotesi
di scarso livello di concorrenzialità nel mercato delle sementi, potrebbe rappresentare un
vero e proprio controllo del mercato agro-alimentare mondiale.
L'
incidenza di una simile situazione di controllo all'
accesso dei beni primari, vale
a dire del cibo, su tutti i Paesi, ed in particolare quelli non autosufficienti a livello
alimentare, sarebbe quella di mettere alcune aziende in condizione di poter controllare la
possibilità di approvvigionamento e di produzione alimentare interna ai Paesi, condizione
questa che consentirebbe di esercitare un'
influenza indiretta anche sulla crescita e lo
sviluppo economico.
I.9. La biodiversità e la sicurezza alimentare
Si definisce biodiversità vegetale, o diversità genetica, l'
intero patrimonio genetico
di tutte le specie coltivate in un determinato territorio, unitamente all'
intera parentela
selvatica e semi-selvatica e alla flora locale in generale. L'
intera comunità scientifica
sostiene che quanto maggiore è il patrimonio genetico tanto più ampia è la diversità
biologica, e quindi la possibilità di sviluppare nuove varietà vegetali (Nomisma, 1999).
Il rilascio ambientale, sia per prove sperimentali sia per la messa in coltivazione a
pieno campo, delle piante transgeniche ha diviso la comunità scientifica internazionale
circa le possibili conseguenze che queste ultime potrebbero avere sulla biodiversità.
Infatti, esiste una stretta relazione tra il rilascio di nuove varietà vegetali nell'
ambiente,
frutto di esperimenti in laboratorio nel caso degli OGM, e il patrimonio genetico esistente
in un determinato territorio.
L'
immissione di organismi geneticamente modificati nell'
ambiente può, a detta di
molti esperti appartenenti ai settori della scienza e dell'
ambiente, determinare distorsioni
irreparabili sulla fauna e flora, ed in generale su tutto il patrimonio genetico locale.
Le piante transgeniche sono portatrici di nuovi geni provenienti da altre specie
(pesci, batteri, animali, ecc.) e la loro coltivazione a pieno campo può, secondo esperti,
modificare le caratteristiche dell'
ambiente interessato attraverso la soppressione di insetti
benefici all'
agricoltura da un lato, e dall'
altro favorire lo sviluppo di resistenze da parte
degli stessi insetti-obiettivo e malerbe-obiettivo8 (Alstad e Andow, 1999), creando a
livello ambientale condizioni critiche per l'
intero ecosistema mondiale.
8
Il termine obiettivo è qui indicato come riferito all'
insetto destinatario dell'
insetticida o alle malerbe destinatarie
dell'
erbicida.
Il percorso seguito dallo sviluppo delle piante transgeniche, che autoproducono
insetticida o tolleranti erbicidi, è lo stesso seguito dallo sviluppo dei pesticidi negli ultimi
decenni (Alstad e Andow, 1999).
Nel corso di pochi anni l'
efficacia degli insetticidi e degli erbicidi chimici
tradizionali è andata sempre più diminuendo a causa della comparsa di nuove resistenze,
messe in atto dai destinatari di tali trattamenti: dunque, se da un lato si è utilizzato finora
il modello "chimica contro infestante", oggi la moderna ingegneria genetica pone il
modello "gene contro infestante".
Entrambi i modelli proposti dalla vecchia e moderna biotecnologia permettono,
nel medio-lungo periodo, lo sviluppo di resistenze da parte degli organismi, che, di fatto,
potrebbero diventare immuni da tali trattamenti9.
Problemi connessi alla riduzione della biodiversità sono relativi anche alla
possibilità che il polline delle colture di piante transgeniche, trasportato via dal vento,
possa "inquinare" le colture e l'
ambiente circostante, il tutto all'
insaputa degli agricoltori
proprietari: si potrebbe avere una diffusione incontrollata degli OGM (un caso simile si è
verificato nel Maggio 2000 in Francia ad opera di una coltivazione sperimentale di colza
transgenica che ha indotto il presidente francese Chirac ad interrompere qualsiasi
sperimentazione), con la conseguenza di uno sviluppo monocolturale "non voluto" di
intere regioni, in una prospettiva diametralmente opposta al concetto di biodiversità, che è
alla base dello sviluppo ambientale sostenibile e la trasmissione orizzontale della
tolleranza agli erbicidi alle piante circostanti, malerbe comprese.
Lo sviluppo delle colture transgeniche ha effetti anche sulla biodiversità animale,
ed in particolare su quella degli invertebrati: numerosi studi affermano che l'
inquinamento
da polline transgenico crea danni alle colture biologiche e tradizionali uccidendo insetti
benefici all'
impollinazione, come la farfalla Monarca, e che le foglie delle piante
modificate mescolate al terreno attraverso l'
aratura danneggiano la popolazione degli
invertebrati, come i nematodi, fondamentali per la fertilità e la salute dei terreni.
Le piante transgeniche resistenti ai virus possono nel tempo far innescare processi
di ricombinazione, tipici dei virus, che potrebbero portare alla comparsa di nuovi più
9
Nel corso degli anni, è stato confermato, le quantità di erbicidi e insetticidi chimici sono andate sempre più aumentando
a causa della resistenza da parte degli insetti a tali prodotti, e ciò ha portato la chimica a fornire sostanze sempre più
nocive e dannose per l'
ambiente, per la loro tossicità, e molte volte a danno dell'
intera fauna e flora locale causando
danni irreversibili.
resistenti e più difficili da debellare, dunque le resistenze degli Ogm potrebbero
concludersi con un continuo ritorno al punto di partenza, vale a dire trovare un nuovo
gene di tolleranza per il nuovo virus.
La possibilità che gli agenti virali possano ricombinarsi all'
interno delle piante
transgeniche è stata dimostrata da alcuni ricercatori, i quali affermano che la nascita di
questi nuovi virus può avvenire all'
insaputa degli agricoltori, e dunque in maniera del
tutto incontrollata.
Il ricombinarsi dei virus o la presenza di geni, virali e non, "non voluti" sia nelle
piante, sia nei semi o nei prodotti derivanti, è un fatto confermato: un episodio del genere
si è verificato in Canada dove sono stati ritirati dal commercio dei semi di canola ove era
stato riscontrato un gene non previsto dalla società produttrice; nel 1989, 1580 persone, di
cui 38 ne morirono, contrassero una misteriosa malattia "la Sindrome della Mialgica
Eosinofila (EMS) ", causata molto probabilmente da un amminoacido, utilizzato come
tranquillante, della ditta giapponese Showa Denko, prodotto mediante un batterio
geneticamente modificato che ne migliorava l'
efficacia rispetto ai batteri normali (Giannì
A., 1996).
Gli episodi, precedentemente riportati, sono solo una piccolissima parte di quelli
dimostrati e di quelli di cui non si è avuta ancora una risposta ben precisa, ma che in
qualche modo vengono ricondotti ai prodotti geneticamente modificati.
Le relazioni che intercorrono tra la biodiversità e l'
immissione delle piante
transgeniche nell'
ambiente non sono definibili in modo univoco: la possibilità che si possa
avere uno sviluppo incontrollato, o imprevedibile, degli organismi geneticamente
modificati a danno dell'
ambiente o dei consumatori non sono attualmente quantificabili e
prevedibili. La ricerca sulle possibili conseguenze sulla salute umana e l'
ambiente è
attualmente oggetto di studio da parte degli enti nazionali ed internazionali preposti, ma
una risposta chiara, convincente ed univoca è lungi dall'
essere fornita.
Il dibattito tra gli esperti del settore biotecnologico e della medicina è ancora al
punto di partenza: infatti, il punto dal quale partire con l'
investigazione e la
sperimentazione degli Ogm è ancorato, principalmente, sulla definizione scientifica
dell'
applicazione dell'
ingegneria genetica agli organismi.
La definizione che dovrebbe essere chiara è se vi è diversità tra la comune
biotecnologia, basata sulla selezione delle specie tramite incrocio omogeneo10, e la
biotecnologia moderna, che sfrutta le caratteristiche genetiche di tutte specie esistenti per
introdurle in altre creando così delle nuove specie ibride.
È evidente a questo punto che tutte le rassicurazioni delle industrie
biotecnologiche sui rischi derivanti dagli Ogm non hanno alcun fondamento: quello che
viene presentato come un rischio calcolato è in realtà incalcolabile, anche perché, ad oggi,
non esistono né ricerche esaustive sull'
argomento o sperimentazioni sulla non nocività,
oltre che sulle reali potenzialità, di tali prodotti, tant'
è che alcuni studiosi pongono a
paragone le nuove biotecnologie ad un altro prodotto, tristemente passato alla storia, come
il DDT, che dapprima pubblicizzato come la soluzione a tutti i problemi agricoli e poi
vietato per la sua tossicità sia per l'
uomo sia per l'
ambiente
Alcuni portavoce dell'
industria biotecnologica adottano una posizione diversa: pur
riconoscendo che gli Ogm presentano dei rischi, sostengono che essi rappresentano una
soluzione eccellente a problemi gravi, come quello della fame nel mondo, e che i vantaggi
superano notevolmente i pericoli paventati, ma come sarà in seguito dimostrato ciò non
può essere ritenuto veritiero.
L'
industria si difende spesso affermando che nessun progresso è privo di rischi: in
fondo, anche i moderni mezzi di trasporto portano con sé la possibilità di incidenti, ma
nessuno sarebbe disposto per questo a rinunciare a treni, automobili, aerei (Dell'
Aversano,
2000). Una differenza, però, vi è: i mezzi di trasporto se usati correttamente non
presentano rischi mortali ed inoltre i loro rischi sono percettibili e visibili da chiunque,
mentre la possibilità d'
inquinamento genetico o le malattie genetiche ipoteticamente
derivanti dai cibi transgenici no, essi sono invisibili e una possibile perdita di controllo
non può, anche nella sua tragicità, essere paragonata neanche al più grave disastro aereo.
E'evidente che, tenendo conto dei pareri espressi sulle possibili conseguenze della
commercializzazione dei prodotti transgenici, il punto di riflessione deve essere fissato in
uno schema ove si possano mettere a confronto i costi e i benefici connessi: proprio
un'
attenta analisi costi-benefici potrebbe dare una soluzione al problema, un'
analisi, però,
a tutt'
oggi di difficile attuazione, causa la scarsa disponibilità (in taluni casi determinati
dall'
impossibilità di reperimento o elaborazione) dei dati. In un prossimo capitolo si
10
Il termine omogeneo riguarda la possibilità di incrociare specie appartenenti alla stessa specie.
tenterà di illustrare le caratteristiche economiche di coltivazione degli OGM mettendo in
evidenza le conseguenze sui consumatori e sugli agricoltori, al fine di dare un quadro
esaustivo sull'
effettiva convenienza e necessità di tali nuove coltivazioni.
I.10. Impatto economico delle coltivazioni transgeniche: alcune considerazioni
preliminari
Le argomentazioni fatte in precedenza, anche se sintetiche rispetto alle
problematiche a carattere biologico o agronomico, pongono le basi per le successive
riflessioni ed analisi che verteranno esclusivamente sulle conseguenze economiche, nel
sistema agro-alimentare mondiale, derivanti dalla commercializzazione dei prodotti
transgenici. Spesso si tende a identificare il problema OGM come di carattere
esclusivamente biologico, senza tener conto dei riflessi e le conseguenze che questi hanno
sia a livello microeconomico sia macroeconomico.
Infatti, l'
attuale e futura commercializzazione dei prodotti geneticamente
modificati non si manifesta solo come semplice introduzione di nuovi prodotti sul
mercato agricolo, ma costituisce un'
innovazione di primaria importanza che modifica il
mercato agricolo in tutte le sue diverse componenti.
Le caratteristiche merceologiche, la metodologia di coltivazione, la struttura del
mercato stesso dei prodotti transgenici tende a modificare il preesistente mercato
tradizionale: il modello di mercato agro-alimentare mondiale esistente sarà modificato
sulla base dell'
interazione tra lo sviluppo delle nuove biotecnologie e la globalizzazione.
I.11. Vantaggi economici connessi alla coltivazione degli OGM
Lo sviluppo della ricerca nel settore agro-alimentare, ed in particolare quello
relativo agli OGM, è sempre stato finalizzato alla possibilità di ridurre i costi di
produzione attraverso un aumento della produttività delle coltivazioni ed un minor uso di
agenti chimici (fertilizzanti e insetticidi).
Gli studi e le ricerche condotte dalle multinazionali, leader nel settore degli OGM,
hanno sempre anteposto il fine di migliorare la produttività dei campi di coltivazione:
infatti, la ricerca effettuata sulla possibilità di "costruire" piante resistenti agli insetti o
tolleranti agli erbicidi, che rappresentano gli indirizzi maggiormente seguiti, è
evidentemente finalizzata sia alla riduzione dei costi, ovvero la riduzione di erbicidi, che
in questo caso ben si coniuga anche con la salvaguardia dell'
ambiente, sia all'
aumento
della produttività delle colture, o meglio all'
aumento della produzione vendibile.
Dalla tabella 5 è possibile verificare come, le colture di prodotti geneticamente
modificati abbiano apportato un miglioramento della redditività delle coltivazioni e una
diminuzione dei trattamenti erbicidi. L'
aumento di produzione dovuta alla coltivazione di
prodotti GM c'
è stato, ma in misura nettamente inferiore alle previsioni delle ditte
produttrici, le quali auspicavano un aumento in media del 15-20%, tale aumento tuttavia è
stato dovuto sia ad un aumento della produttività sia alla possibilità di utilizzare nuovi
terreni agricoli, prima inutilizzabili a causa della cattiva qualità del terreno.
Nei prossimi capitoli sarà evidenziato un particolare importantissimo sulla
produttività delle coltivazioni di OGM, vale a dire che come tutte le colture anche quelle
geneticamente modificate sono sensibili alle variazioni ambientali (clima, terreno,
umidità, e caratteristiche in generale del territorio), confutando in tal modo l'
asserzione
delle società produttrici che tali prodotti apportino un aumento generalizzato della resa in
tutte le regioni del mondo e che siano più convenienti rispetto a quelli tradizionali.
Altri particolari interessanti e di rilievo, che saranno illustrati successivamente,
sono da ricondursi sia al fatto che tali colture da un punto di vista strettamente statistico,
confermato sia dal Dipartimento dell'
Agricoltura (USDA) sia dal Dipartimento di Ricerca
Economica degli Stati Uniti, non hanno apportato un aumento significativo della
produzione rispetto alle colture tradizionali sia al fatto che, dal punto di vista dei costi per
ettaro, vi è stato, unitamente ad una loro riduzione non significativa, una redistribuzione
delle componenti dei costi (la diminuzione delle spese di erbicidi è stata traslata, nella
maggior parte, sul costo dei semi) a favore delle società sementiere.
I.12. Considerazioni di carattere macroeconomico
Negli ultimi anni il peso sul mercato internazionale dei prodotti transgenici è
andato sempre crescendo in modo sostenuto, con riferimento sia alle superfici coltivate sia
al fatturato dell'
intera industria che utilizza le biotecnologie per lo sviluppo agricolo
(Graf. 2 e Graf. 3).
Analizzando il mercato e le aziende che lo compongono è da evidenziare come
l'
applicazione delle biotecnologie richieda ingenti fonti di finanziamento e anni di ricerca,
da parte delle società detentrici dei brevetti, per ottenere dei risultati (o meglio profitti per
Tab. 5 – Benefici apportati dalle colture transgeniche nel 1997
COLTURA
ANNO/PAESE
Tabacco resistente a virus
1995-1997/Cina
BENEFICI
Incremento produzione (5-7%)
Riduzione trattamenti insetticidi
Incremento produzione (7%)
Cotone BT
1996/USA
Riduzione dei trattamenti insetticidi
(da 7 a 1 max)
Riduzione costi (-150.000 lire/ha)
Incremento produzione (7%)
Mais BT
1996-1997/USA
Guadagno economico nazionale di
342 mld di lire
Riduzione dei trattamenti erbicidi
Soia tollerante gli erbicidi
1996/USA
(-10% negli USA del Nord, -40%
negli USA del Sud)
Riduzione dei trattamenti erbicidi
Colza tollerante gli
erbicidi
1996/Canada
Incremento produzione (9%)
Incremento del reddito (84.000
lire/ha)
Incremento
Patata BT
1996-1997/USA
(85.800
lire/ha)
Riduzione
insetticidi
Fonte: James (1997)
produzione
dei
trattamenti
con
Graf. 2 - Valore del mercato mondiale delle
colture transgeniche
3000
2500
2200
2000
1600
1500
1000
670
500
0
1997
1998
1999
Milioni di dollari U.S.A.
Graf. 3 - Superfice destinata alle colture
transgeniche
60
50
39,9
40
27,8
30
20
10
11
0
1997
1998
Milioni di ettari
Fonte: nostra elaborazione su dati James (1999)
1999
gli investitori): in questo caso è già evidente come rispetto al modello agricolo
tradizionale quello transgenico presenta delle barriere all'
entrata, per le aziende, più alte
ed onerose.
Gli apparati organizzativi che sono dietro alle aziende multinazionali, che
attualmente dominano il mercato agro-alimentare, sono molto complessi e ramificati e
non di rado le stesse multinazionali appartengono all'
industria farmaceutica o collaborano
con essa: Monsanto (che recentemente si è fusa con Pharmacia, una multinazionale
farmaceutica) e Novartis (leader mondiale nel campo farmaceutico) ne sono un esempio.
Negli ultimi dieci anni l'
intera industria farmaceutica e quella biotecnologica
hanno subito profondi cambiamenti, soprattutto per quanto riguarda la struttura
dell'
azionariato e delle alleanze: infatti, se da un lato il cambiamento che è ancora in atto
può essere visto come una semplice riorganizzazione tecnico-strategica in seguito agli
effetti "globalizzanti" del mercato, dall'
altro è indubbio affermare che le relazioni tra
industria farmaceutica e biotecnologica sono divenute sempre più forti. In un prossimo
capitolo si cercherà di illustrare la struttura del mercato delle biotecnologie mettendo in
evidenza le alleanze e le fusioni in atto tra i principali attori nel suddetto mercato.
L'
effetto che la globalizzazione ha avuto su questo nuovo connubio industriale è
stato quello di creare grandi colossi, dove la linea di demarcazione tra sperimentazione
biotecnologica per l'
agricoltura e farmacologica è spesso non identificabile.
Le accuse rivolte alle grandi multinazionali biotech circa una loro posizione
dominante all'
interno del mercato internazionale, prima che all'
interno dei singoli Paesi, si
sono moltiplicate (solo negli U.S.A. la Fondazione sulle tendenze Economiche, presieduta
dall'
economista Jeremy Rifkin, insieme alla Coalizione Nazionale delle Aziende agricole
familiari e alle più influenti associazioni dei consumatori statunitensi si sono unite nella
presentazione di oltre trenta cause antimonopolio all'
Antitrust di altrettanti Stati).
Le accuse rivolte alle multinazionali non si basano semplicemente sull'
ipotesi di
monopolio o oligopolio (a seconda che ci si riferisca all'
intero settore biotech o ai singoli
prodotti), ma ha radici più profonde, che mirano a contrastare la strategia d'
azienda
dell'
industria biotecnologica in generale.
La definizione di posizione dominante per un'
impresa è stata sempre riferita alla
capacità di controllo del mercato da parte di una singola o poche imprese.
Il settore delle biotecnologie applicate all'
agricoltura ha una struttura che si
discosta notevolmente da quella tradizionale, ed è proprio questa diversità che impone un
nuovo criterio (applicato anche al caso Microsoft) di identificazione di posizione
dominante da parte di un'
impresa.
Le accuse di monopolio mosse dalle varie associazioni poggiano essenzialmente
sulle componenti e sulle novità del mercato transgenico: la brevettabilità dei prodotti, il
principio di "sostanziale equivalenza", il "pacchetto di coltivazione biotecnologica", la
concentrazione del mercato sementiero (in particolare quello legato alla tecnologia
Terminator), la nuova struttura dei costi di produzione.
Gli effetti, che i prodotti transgenici hanno sul sistema agro-alimentare mondiale,
non sono quindi riferibili esclusivamente alle quote di mercato spettanti alle singole
imprese o al solo grado di concorrenzialità esistente nel mercato stesso, nonostante questi
aspetti siano importanti e spesso evidenti nel settore delle biotecnologie; le moderne
biotecnologie modificano il sistema alla base.
La possibilità che solo alcune grandi multinazionali possano in futuro controllare
la disponibilità di cibo nel mercato mondiale (stando alle affermazioni delle società
secondo le quali il transgenico è il principale cibo del futuro ed in particolare nei Paesi in
Via di Sviluppo) resta un problema da affrontare, anche perché, volendo fare un paragone,
il monopolio dei sistemi operativi (ipotizzato per Microsoft) pone problemi sì per
l'
economia mondiale e il libero mercato, ma nel caso delle biotecnologie si fa riferimento
alla principale necessità dell'
uomo: il cibo.
La difesa delle aziende biotech si basa sull'
asserzione che lo sviluppo degli Ogm
in futuro permetterà di risolvere il problema della fame nel mondo: volendo accettare
senza riserve questa possibilità, allora i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, che più
di tutti soffrono del problema della fame, potrebbero essere, in futuro, dipendenti da un
gruppo ristretto di aziende.
Le condizioni di monopolio o di oligopolio, o più in generale di posizione
dominante, per le varie colture transgeniche non investe solo la parte relativa alla ricerca o
alla proprietà dei brevetti: infatti, le strategie messe in atto dalle aziende biotech negli
ultimi anni presuppongono la ricerca del controllo dell'
intera filiera agro-alimentare
mondiale.
Le continue fusioni, e le continue alleanze e partnerships, tra le aziende hanno
permesso di creare grandi colossi industriali capaci di intervenire su tutto il processo di
produzione e distribuzione dei prodotti geneticamente modificati: ogni colosso industriale
creato, per esempio Monsanto, Novartis, Pioneer Hi-Bred, DuPont, è strutturato in modo
tale da incorporare al suo interno il settore relativo alla ricerca di nuovi prodotti, la
produzione di semi GM, la distribuzione di quest'
ultimi e, grazie alle normative
internazionali sui brevetti (Trip11, Trade Intellectual Properties), controllare la produzione
su campo e indirettamente la commercializzazione di tali prodotti finali sul mercato agroalimentare.
Le
regolamentazioni
esistenti
sulla
produzione,
commercializzazione
e
brevettabilità degli Ogm sono attualmente in discussione all'
ONU attraverso il Pob12
(Protocol on Biosafety), ma, al momento, ogni Stato ha una regolamentazione a sé per il
rilascio e la commercializzazione, destinata ad uso sia animale sia umano.
L'
unico atto internazionale di riconoscimento degli Ogm è attualmente il
"Principio di Sostanziale Equivalenza", di cui si parlerà in un prossimo capitolo in
maniera più dettagliata, sottoscritto dagli U.S.A., dall'
UE e dalla Fao che sancisce
l'
equivalenza a livello merceologico tra i prodotti transgenici e quelli convenzionali.
Il principio promosso dalla Fao permette la commercializzazione degli Ogm sul
mercato internazionale al pari di quelli tradizionali, unendo così nella stessa filiera
entrambi i prodotti, evitando, in tal modo, tutti i controlli dei Ministeri competenti, i quali
dovrebbero stabilire la non nocività dei prodotti sia per l'
uomo sia per gli animali.
I.13. OGM: la soluzione al problema della fame nel mondo?
Il miglioramento della capacità produttiva interessa maggiormente i Paesi in Via
di Sviluppo e quelli sottosviluppati, i quali auspicano di colmare, attraverso le nuove
tecnologie agricole ed industriali, il divario che essi hanno nei confronti del "Nord del
11
Sulla base dell'
art.27 dell'
accordo Trip sottoscritto in sede Wto (World Trade Organisation) "possono costituire
oggetto di protezione intellettuale le invenzioni, di prodotto o di processo, in tutti i campi della tecnologia, che siano
nuove, implichino un'
attività inventiva e siano atte ad avere un'
applicazione produttiva", che include naturalmente le
modificazioni degli organismi viventi. Tale legislazione è riconosciuta sia negli U.S.A. sia in Europa, e in ogni modo
da tutti i Paesi aderenti al Wto.
12
Il Pob prevede di controllare sistematicamente tutti i movimenti di Living Modified Organism (Lmo) attraverso le
frontiere internazionali, di stabilire procedure di import/export di Lmo condizionatamente alla valutazione del rischio,
di adottare schemi internazionali di responsabilità per l'
impiego di Lmo e di imporre il Pob come unica
regolamentazione internazionale al di sopra di ogni altro atto.
Mondo", anche se attualmente sia la ricerca sia le società, che utilizzano sistemi
innovativi di produzione, risiedono ed operano nei paesi industrialmente avanzati.
Il problema della fame nel mondo è alla base della politica della "Life’s Industry":
infatti, le stesse società tendono ad evidenziare nei loro comunicati stampa e nelle loro
relazioni previsive che lo sviluppo e le ricerche sugli OGM possono essere la soluzione al
problema della fame nel mondo e, in generale, ai problemi della malnutrizione specie nei
paesi arretrati, che attualmente secondo le stime della Fao colpiscono 800 milioni di
persone, in altre parole una persona su sei.
Alcuni studi dell'
INRA (Institut National de la Recherche Agronomique) e della
RAFI affermano che il problema della fame nel mondo non è dovuto principalmente ad
un'
insufficiente produzione agricola a livello globale, ma essa è dovuta alle guerre ed in
generale all'
impossibilità per una parte della popolazione mondiale di acquistare i prodotti
alimentari di prima necessità, tesi condivisa anche dalle due organizzazioni mondiali di
riferimento per gli studi del settore, Fao e Banca Mondiale.
La situazione di generale malnutrizione che affligge i paesi non sviluppati può
essere ricondotta, essenzialmente, a due fenomeni: l'
impossibilità di acquistare cibo sul
mercato internazionale, dovuto ad una questione di reddito, e l'
esponenziale crescita
demografica in atto in alcuni paesi che impedisce di realizzare all'
interno dello stesso una
struttura produttiva che garantisca l'
autosufficienza alimentare.
Sostenere l'
esistenza di una stretta correlazione tra la malnutrizione e una crescita
demografica di tipo esponenziale, come fanno le società biotecnologiche, è errato: infatti,
al mondo esistono paesi dove entrambe le condizioni esistono e paesi dove la
malnutrizione coesiste con una densità demografica molto bassa, dunque sia in rapporto
alla densità sia alla numerosità demografica la relazione resta indeterminata nei confronti
della malnutrizione.
Non vi è un’univoca relazione tra malnutrizione in un determinato paese e la sua
popolazione. La malnutrizione è un problema presente in paesi sovrappopolati come il
Bangladesh o Haiti, ma anche in paesi a bassa densità demografica rispetto al territorio,
come l'
Etiopia o il Mozambico (Lappe, Collins e Roisset, 1998). Secondo le stime della
Fao mai come nei nostri giorni si è avuta tanta disponibilità di cibo: ogni abitante ha a
disposizione ogni giorno circa un chilo e mezzo tra cereali, fagioli e noci, mezzo chilo tra
carne, latte, uova e un altro mezzo chilo di frutta e verdura. Il problema non risiede nella
disponibilità a livello mondiale, ma nella disuguaglianza e nell'
impossibilità ad accedere
agli alimenti. Infatti, ci sono persone troppo povere che non dispongono delle risorse
necessarie per potersi comprare il cibo disponibile sui mercati interni ed esteri, oppure
non dispongono di terra e di mezzi sufficienti per coltivare quel che gli occorre (Lappe,
Collins e Roisset, 1998).
Le imprese che producono organismi geneticamente modificati, ed in particolar
modo quelle che producono sementi biotecnologiche, sostengono che la loro ricerca e i
loro prodotti possano essere la risposta al problema della fame nel mondo e ridurre la
povertà nei paesi sottosviluppati. Tali affermazioni si basano sull'
assunto che la fame nel
mondo sia correlata al ritmo di crescita della popolazione e che l'
ingegneria genetica sia
l'
unico modo di accrescere la produzione agricola e soddisfare i bisogni futuri (Lappe,
Collins e Roisset, 1998), contrariamente a quanto nella realtà è evidente.
Dai dati elaborati e messi a disposizione dalla Fao è possibile desumere che la
malnutrizione, in generale, è riconducibile alla distinzione dei concetti di sicurezza
alimentare13 e autosufficienza alimentare: i due concetti sono legati tra loro, ma non vi è
una condizione di concausalità e non vi è un rapporto di determinazione, ovvero è
possibile che ci si trovi, come afferma la Fao, in una condizione di equilibrio tra domanda
ed offerta a livello mondiale di cibo ed allo stesso tempo esistono paesi o intere regioni
del mondo ove non vi sia una condizione di autosufficienza alimentare, sia per motivi di
reddito sia per motivi riconducibili ad un'
inefficiente distribuzione di cibo sul territorio.
Quanto appena detto permette di affermare che, nonostante a livello mondiale vi
sia un surplus alimentare, esistono paesi interi che soffrono il problema della
malnutrizione senza che nessun'
organizzazione mondiale metta in moto dei sistemi per
evitarlo: i motivi che dovrebbero indurli ad intervenire sono di carattere etico, ma
soprattutto perché è la loro stessa natura di organizzazione internazionale che dovrebbe
fare in modo che s'
interessino di tutti i paesi e non solo di un gruppo ristretto, per ovvie
convenienze economiche e di finanziamento.
I.14. Quali benefici per gli agricoltori?
Secondo le aziende biotech i maggiori benefici derivanti dalla futura espansione
delle colture transgeniche saranno a favore dei consumatori e degli agricoltori.
13
Il concetto di sicurezza alimentare è qui indicato come relazione tra domanda ed offerta di cibo a livello mondiale.
La possibilità, per gli agricoltori, di ridurre l'
uso dei pesticidi e diserbanti in
concomitanza di un aumento della produttività, ed in generale della produzione vendibile,
costituisce un fattore di notevole attrazione nei confronti delle nuove biotecnologie.
Nel processo produttivo agricolo i principali fattori che influiscono sui costi sono
sementi, erbicidi e fertilizzanti, produttività e lavoro, oltre il fattore terra che in questo
caso non verrà considerato, poiché non costituisce un fattore influenzato dagli Ogm, in
quanto la disponibilità attuale dei terreni, soprattutto nei paesi economicamente avanzati,
è data.
La coltivazione di piante transgeniche permetterebbe, secondo le società
promotrici, di ridurre tutti i fattori di costo per l'
agricoltore, compreso il fattore lavoro che
all'
interno del processo di globalizzazione costituisce un fattore importante nella
determinazione del prezzo finale dei prodotti e di conseguenza nella competitività dei
prodotti nel mercato internazionale.
Le colture transgeniche possono rappresentare, dunque, una miglioramento per gli
agricoltori, ma solo in apparenza, meglio dire nel breve periodo.
Le principali conseguenze nel lungo periodo derivanti dalla coltivazione su ampia
scala degli Ogm possono invece ribaltare la situazione.
La diminuzione dei costi di produzione se in un primo momento garantirà un
maggior reddito per gli agricoltori, dall'
altro nel lungo periodo la concorrenza (soprattutto
con l'
agricoltura biologica che negli ultimi anni sembra attraversare una fase di
espansione) determinerà una diminuzione dei prezzi con la conseguente riduzione del
reddito degli agricoltori, di ciò si parlerà nel capitolo relativo all'
impatto economico della
coltivazione di OGM sugli agricoltori e sui consumatori.
Nei Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) la possibilità che i prezzi dei prodotti
agricoli, ivi compresi quelli geneticamente modificati, scendano è un fatto conclamato e
confermato dalle statistiche fornite negli ultimi anni, mentre nei Paesi in Via di Sviluppo
(PVS) la tendenza alla diminuzione dei prezzi agricoli dipende principalmente dal
mercato internazionale, dai cambi e da fattori che risiedono nel complesso delle relazioni
politiche internazionali.
La coltivazione degli Ogm comporta una diversa composizione dei costi di
produzione spostando la quasi totalità del valore sui costi variabili, ovvero sui costi
relativi alle sementi e ai prodotti chimici in particolare, che, di fatto, diventano un capitale
cui viene attribuito un fattore remunerativo: la remunerazione del processo produttivo non
può più essere ripartita allo stesso modo di una coltivazione tradizionale, infatti, al fattore
terra e al fattore lavoro viene attribuita una minima parte, visto che questi due fattori
perdono la loro importanza nel processo produttivo.
Ogni prodotto agricolo transgenico viene fornito dalle ditte produttrici insieme ai
prodotti chimici: infatti, voler coltivare un prodotto Ogm significa acquistare un
"pacchetto" composto da semi, diserbanti, fertilizzanti, che naturalmente sono di proprietà
dei detentori dei brevetti.
La tecnica per coltivare Ogm rappresenta per l'
agricoltore un nuovo modo di
produrre caratterizzato non solo dalla tipologia del prodotto in sé, ma anche da una
diversa possibilità di movimento sul mercato.
Quando si decide di cominciare un ciclo produttivo ogni agricoltore si rivolge al
mercato per acquistare i fattori di produzione cercando quei prodotti che garantiscano il
miglior rapporto qualità-prezzo (dalle sementi ai prodotti chimici): tale metodologia, che
ha permesso nel tempo un migliore grado di concorrenza nei mercati, con l'
applicazione
degli Ogm in agricoltura lascia il passo ad una nuova caratterizzata da una sola relazione
nel mercato, quella tra agricoltore e detentore dei brevetti.
Tale metodologia costituisce un punto fondamentale nell'
analisi dell'
impatto sul
sistema agricolo provocato dai prodotti transgenici: la concorrenza, soprattutto nel
contesto della globalizzazione, ha permesso, nel bene e nel male, di porre chi domanda
sul mercato di fronte a chi offre permettendogli di scegliere il prodotto domandato
secondo le proprie esigenze e soprattutto al prezzo da lui ritenuto più consono.
La peculiarità della metodologia di coltivazione degli Ogm elimina ogni
possibilità di variare le tecniche di produzione, l'
agricoltore, acquistato il seme, è
obbligato ad acquistare i prodotti chimici dalla stessa ditta, perché ogni prodotto è
tollerante ad un solo prodotto chimico, il che comporta la totale dipendenza
dell'
acquirente da una sola ditta fornitrice perdendo la possibilità di ridurre i costi degli
erbicidi attraverso un rifornimento presso un'
altra ditta.
I costi di produzione per la coltivazione degli Ogm, scelto il prodotto, sono dati e
non modificabili dall'
agricoltore, se non a "discrezione" della ditta fornitrice.
In tale contesto è possibile evidenziare una struttura dei costi, nella sua parte
variabile, data ed esogena (ovvero fornita esclusivamente dalle aziende produttrici) che
nel lungo periodo, data la minore necessità di fattore lavoro, ridurrà il reddito degli
agricoltori, limitati nel potenziare e nel migliorare il processo produttivo per ottenere un
maggior profitto, con la conseguente loro uscita dal settore per essere rimpiazzati da
grandi colossi (magari detentori dei brevetti); inoltre le piante Ogm sono brevettate ed è
quindi logico che le aziende produttrici spingano il prezzo fino ad un livello limite per cui
gli agricoltori sono disposti ad acquistarli.
In conclusione è possibile affermare, date queste prime ipotesi, che per
l'
agricoltore non esistano poi così tanti benefici, anche perché la subordinazione ad un
"contratto", visto che i prodotti sono brevettati, costituisce, assieme ai costi variabili
costanti, una limitazione non sopportabile per qualsiasi agricoltore, limitazioni che
faranno sentire la propria "morsa" solo nel medio-lungo periodo, in particolare essendo gli
Ogm trattati sul mercato internazionale le condizioni di concorrenza esistenti
accelereranno tali processi di caduta del reddito in favore di quei paesi che più utilizzano
mezzi di automazione nei processi produttivi agricoli o che dispongono di un costo del
lavoro più basso.
I.15. Quali benefici per i consumatori?
La ricerca di nuovi prodotti, la successiva coltivazione e introduzione sul mercato
agro-alimentare mondiale non può esimersi dal considerare l'
opinione e i vantaggi che ne
trarrebbero i consumatori.
I consumatori sono i veri decisori della validità e della convenienza dei nuovi
prodotti. Un consumatore attento e informato certamente rivolgerà la propria attenzione
sulle caratteristiche degli Ogm: valuterà il prezzo, le caratteristiche nutrizionali, la
trasparenza dell'
informazione sugli ingredienti, la salubrità del prodotto, ed infine, non in
ordine di importanza, gli effetti di tali produzioni sulla salute umana.
Fornire uno schema semplice ed univoco sui benefici per i consumatori circa gli
Ogm non è facile come possa sembrare: i consumatori d'
altro canto sono diversificati tra
loro, ognuno ha delle preferenze dettate dalle origini culturali, dal luogo di residenza o
provenienza e dal gusto.
Una prima distinzione da fare sul consumo degli Ogm è quella relativa
all'
importanza che ha il prodotto: infatti, bisogna fare una prima precisazione, ovvero se si
è intenti a considerare un prodotto finale o un ingrediente.
La distinzione tra il prodotto finale e l'
ingrediente è fondamentale soprattutto se si
è intenti a considerare la possibile riduzione dei costi.
Accettando le ipotesi di riduzione dei costi di produzione connessi alla
coltivazione di Ogm, non è possibile collegare in modo univoco tale riduzione di costi
con una corrispondente riduzione dei prezzi sul mercato al dettaglio: è molto probabile
che la riduzione dei costi sia tutta a vantaggio dei produttori di sementi e fertilizzanti.
Nel caso in cui l'
Ogm sia un prodotto intermedio, ovvero sia un semplice
ingrediente, la riduzione dei costi si rifletterà sui prezzi in misura sicuramente meno che
proporzionale rispetto alla percentuale dell'
ingrediente, e tale asserto è giustificato da una
logica economica secondo la quale la riduzione dei costi debba essere ripartita tra tutti gli
utenti della filiera, con una conseguente diminuzione dei prezzi che di certo influisce in
modo quasi impercettibile sulle preferenze dei consumatori, in particolare se ci si pone di
fronte al fatto che si tratta comunque di prodotti non sicuri al cento per cento e non
soggetti a sperimentazioni sanitarie adeguate.
Nel caso in cui l'
Ogm sia un prodotto finale (un ortaggio o un frutto ad esempio)
molto probabilmente la riduzione dei costi di produzione avrà riflessi più consistenti sul
prezzo finale a vantaggio del consumatore, ma non in maniera proporzionale.
Per il consumatore i benefici degli Ogm potranno avere effetto sulla disponibilità
dei prodotti agricoli durante l'
intero anno, eliminando la componente di stagionalità dei
prodotti, senza variazioni dei prezzi relativi; per contro la destagionalizzazione potrebbe
far sentire i propri effetti sulla variabilità degli alimenti prodotti, dovuta alla
concentrazione dei processi produttivi verso gli Ogm (Malagoli, 2000).
Un punto fondamentale da considerare è se la riduzione dei prezzi dei generi
alimentari sia una necessità dell'
industria o sia una reale richiesta dei consumatori: infatti,
non è detto che una riduzione dei prezzi sia considerata dal consumatore giustificata,
soprattutto nel caso in cui il prodotto non venga accettato come nutrizionalmente
equivalente a quelli convenzionali, o nel caso in cui non venga comunemente accettata la
salubrità del prodotto, visto che parte della comunità scientifica non ritiene vi siano state
sufficienti sperimentazioni in merito.
Considerando il mercato agro-alimentare europeo, è evidente come l'
introduzione
nella catena alimentare degli Ogm abbia suscitato perplessità nell'
opinione pubblica: la
conseguenza di tale introduzione, non ancora sufficientemente regolamentata, è stata
quella di dar vita a due distinte filiere di produzione agricola, l'
una biologica l'
altra
convenzionale (ove rientrano per il principio di «sostanziale equivalenza» gli Ogm).
La distinzione nel mercato agricolo delle due differenti filiere ha avuto un effetto
non desiderato per il consumatore che giustifica l'
asserto per cui gli Ogm non
garantiscono benefici per il consumatore: infatti, è evidente come i prezzi dei prodotti
tradizionali siano rimasti sostanzialmente stabili, mentre i prodotti etichettati come
biologici, rispondenti ad un codice legislativo europeo, hanno subito un brusco rialzo dei
prezzi giustificato dalla garanzia «Ogm Free».
La mancata diminuzione dei prezzi ha condotto i consumatori verso un sentiero di
convenienza che è risultata virtuale, se non pure controproducente, in quanto sia i prodotti
acquistati tradizionalmente non contenenti Ogm sia quelli biologici hanno subito una
maggiorazione di prezzo, con la conseguenza che il consumatore tornando alle proprie
abitudini di consumo si è visto aumentare il costo dei prodotti. Dunque, se in un primo
momento il consumatore ha visto nel nuovo prodotto una possibilità di risparmio da
dedicare ad altri consumi, soprattutto non alimentari o comunque prima non acquistabili
per disponibilità di reddito, in un secondo tempo, magari deluso dalle aspettative sul
nuovo prodotto, ha avuto un effetto contrario a quello desiderato, ovvero quello di
risparmiare sul consumo alimentare.
L'
effetto, dunque, che finora gli Ogm hanno avuto sui prezzi dei prodotti è stato
opposto rispetto a quello previsto. Per acquistare un prodotto «Ogm Free» o biologico il
consumatore deve essere disposto a pagare una quota di prezzo aggiuntiva, una sorta di
assicurazione sulla genuinità del prodotto e sulla reale provenienza.
Il contesto precedentemente descritto non ha, però, carattere universale: infatti,
com’è stato detto in precedenza, i consumatori sono una categoria difficilmente
identificabile in modo univoco, essi risentono principalmente di due fattori che sono la
disponibilità di reddito, e la possibilità di scelta sul mercato.
La possibilità di orientarsi sulle due filiere, biologica e tradizionale, può essere
riferita sostanzialmente ai paesi industrialmente avanzati e non di certo ai Paesi in Via di
Sviluppo, dove il reddito, ove è sufficiente, rappresenta un fattore determinante sulla
possibilità di consumo. Argomentare dell'
effetto sui consumi degli Ogm per i paesi non
industriali non è possibile nei termini utilizzati precedentemente: avere sul mercato
internazionale o nazionale prodotti ad un minor prezzo significa per tali paesi acquistarli
senza pregiudizi o possibilità di scelta, dato che il reddito non permette loro di farlo.
Il problema dei consumatori dei PVS spesso non è quello risparmiare sui consumi
alimentari, ma è quello di poter acquistare sul mercato i beni di sussistenza e certamente
in questo senso la possibilità di approvvigionamento di prodotti Gm, dato il loro costo
leggermente più basso, potrebbe essere una soluzione, anche se stando ai dati sulla
produzione mondiale di beni alimentari è possibile affermare come fattori che influiscono
sul problema della fame sono di ordine più politico ed etico, visto che a livello mondiale
siamo in una condizione di autosufficienza alimentare, stando alle stime fornite dalla
FAO.
I.16. Cenni sulle successive argomentazioni economiche
Finora sono state date le definizioni e i caratteri principali connessi alla
coltivazione e alla commercializzazione degli Organismi Geneticamente Modificati.
Si è cercato di essere sintetici ed esaustivi nel descrivere le caratteristiche e
l'
impatto degli Ogm in agricoltura sia da un punto di vista biologico sia economico,
tuttavia, per ciò che concerne le conseguenze e le caratteristiche economiche del
fenomeno, nei capitoli successivi saranno evidenziati alcuni aspetti finora solamente
accennati: si cercherà di evidenziare la struttura del mercato delle biotecnologie, l'
impatto
economico sul mercato agro-alimentare mondiale, sui produttori, si cercherà di verificare
la reale convenienza economica e le modificazioni che tali prodotti hanno apportato nel
mondo agricolo, relativamente al nuovo modo di produrre e alla struttura dei costi di
produzione e si cercherà, inoltre, di verificare se gli Ogm rappresentino veramente la
panacea per la soluzione del problema della fame nel mondo, lasciando, altresì, uno
spazio adeguato alle influenze esercitate dalle componenti legislative e normative.
Le argomentazioni successive saranno esclusivamente a carattere economico,
utilizzando come unità di misura i dati forniti dalle varie associazioni e governi, cercando
di essere il più distaccati possibile dalle critiche ambientaliste che, sempre più agguerrite e
che secondo il nostro parere, a volte, si basano solamente su congetture non
empiricamente verificabili, ed hanno un effetto sull'
opinione pubblica opposto a quello
desiderato.
Capitolo Secondo
IL MERCATO AGRO-ALIMENTARE TRANSGENICO
II.1. Introduzione
In questo secondo capitolo la trattazione verterà sulla diffusione a livello mondiale
delle coltivazioni transgeniche e sulla commercializzazione dei prodotti finali ottenuti.
L'
esigenza di un quadro informativo, su cui basare le successive argomentazioni teoriche
e pratiche, è dettata dalla semplice constatazione che qualsiasi argomentazione, che voglia
acquisire un carattere scientifico, necessita di un riscontro oggettivo, empirico.
La conoscenza d’informazioni, sulla superficie destinata alle coltivazioni
transgeniche, sull’ammontare della relativa produzione agricola, sulle principali piante
coltivate e sulle loro peculiarità merceologiche e tecnologiche, è necessaria per una
corretta trattazione, in particolare se i dati messi a disposizione dai vari istituti di ricerca
(in tal senso il riferimento principale è l'
International Service for the Acquisition of Agribiotech Applications) sono disaggregati per aree geografiche e per caratteristiche
tecnologiche e merceologiche utilizzate.
I dati forniti dall'
Isaaa permettono di descrivere in modo preciso la diffusione dei
prodotti transgenici in riferimento soprattutto alla loro diffusione e distribuzione tra Paesi
a Sviluppo Avanzato (PSA) e Paesi in Via di Sviluppo (PVS).
La disponibilità di dati affidabili sulle coltivazioni transgeniche, disaggregate per
tipologia di prodotto, rappresenta un utile punto di riferimento per la trattazione di
problemi riguardanti il rapporto tra biotecnologia applicata all'
agricoltura e sottosviluppo,
o più specificatamente sottosviluppo in concomitanza di insufficienza alimentare:
conoscere quali sono le principali coltivazioni GM e le loro caratteristiche tecnologiche,
conoscerne i Paesi produttori, o meglio ancora comprendere il perché alcune coltivazioni
abbiano avuto un successo ed una diffusione maggiore rispetto ad altre, rispondere ad
interrogativi sulla reale necessità di Ogm, verificare se effettivamente possono concorrere
a risolvere il problema del sottosviluppo e della malnutrizione o se semplicemente sono il
risultato di effetti "globalizzanti" atti a ridurre i costi di produzione o per qualsiasi altra
motivazione di carattere strettamente contabile-economico, costituisce un fattore
prioritario per le analisi successive.
Le domande che ci porremo sono indirizzate verso la comprensione del perché
alcuni prodotti Ogm hanno avuto una siffatta diffusione rispetto alle altre colture
modificate. Ci si chiederà se tale constatazione sia riconducibile ad una maggiore
produttività delle piante Ogm prese in esame rispetto alle varietà convenzionali, o se
semplicemente tale diffusione sia riconducibile al fatto che sono più facilmente
commercializzabili, o ancor meglio se tali prodotti sono quelli più richiesti dall'
industria
agro-alimentare.
In questo secondo capitolo verranno mostrati i primi pesi delle coltivazioni
transgeniche sulla contabilità nazionale, naturalmente rispetto al comparto agricolo,
disponibili per i principali paesi produttori, U.S.A. e Canada; verranno forniti, inoltre, i
dati necessari per comprendere quale sia il valore del mercato mondiale dei prodotti agroalimentari, dunque la loro destinazione e il loro potenziale diffusivo.
La conoscenza della struttura commerciale, intesa come relazione "paese
produttore-paese destinatario", fornisce, inoltre, gli elementi conoscitivi primari per
giudicare empiricamente la dimensione del mercato biotecnologico e le sue caratteristiche
fondamentali, che determinano, assieme al suo trend, l'
importanza e la dinamicità del
mercato stesso.
II.2. Distribuzione geografica e socioeconomica delle coltivazioni transgeniche
Le statistiche fornite dall'
International Service for the Acquisition of Agro-biotech
Applications (Isaaa)
14
mostrano come nel 2000 gli ettari di terreno destinati alle
coltivazioni transgeniche ammontano a circa 44.2 milioni, un'
area circa venti volte la
superficie dell'
Inghilterra (James, 2000).
La crescita della superficie destinata al biotech è stata tra il 1999 e il 2000 di 4,3
milioni di ettari, vale a dire una crescita del 11%: tale incremento, se confrontato con
quelli avuti negli anni passati, mostra come la diffusione delle coltivazioni transgeniche
abbia subito una battuta d'
arresto.
Nel periodo 1996-2000 l'
area mondiale destinata al transgenico è cresciuta di ben
25 volte, da circa 1.7 a circa 44.2 milioni di ettari (Tab. 6).
14
L'
Isaaa è l'
associazione di riferimento delle principali società biotecnologiche a livello mondiale.
Tali statistiche evidenziano come le nuove tecnologie agricole abbiano riportato
un ottimo successo: in soli quattro anni gli Stati che hanno deciso di avviare la
coltivazione di piante transgeniche sul proprio territorio sono passati dai sei del 1996 ai
tredici del 2000 (James, 2000).
La distribuzione delle coltivazioni Ogm tra paesi industrializzati e in via di
sviluppo nel quadriennio considerato, il 1996-2000, è rimasta fino al 1999 pressoché
immutata: nel 1997 l'
86% della superficie destinata a tali colture era attribuibile a paesi
industrialmente avanzati, in particolare Canada e USA, e solo il 14% a quelli della fascia
del sottosviluppo, soprattutto Argentina (Tab. 7 e Graf. 5). Nel corso del biennio 19992000 la situazione è andata modificandosi. Le quote di superficie destinata al transgenico
attribuibili al Nord del mondo e quelle attribuibili al Sud sono passate dall'
86% e dal 14%
al 76% e 24%, rispettivamente (Tab. 7, Graf. 5 e Graf.6). Isolando il dato relativo alla
superficie agricola destinata alle colture transgeniche nel 2000 è rilevante notare come tali
nuove produzioni abbiano, nel corso di pochissimi anni, avuto uno sviluppo ed una
diffusione molto veloce.
L'
introduzione in campo agricolo di tali colture ha suscitato sicuramente la
curiosità e la fiducia degli agricoltori, soprattutto quelli statunitensi, canadesi ed argentini.
Usa, Canada e Argentina possono essere considerati gli unici paesi dove la cultura
del transgenico sembra aver avuto successo. Una tale affermazione, ad una prima lettura,
può apparire del tutto insignificante, ma non lo è. Infatti, concentrando l'
attenzione sui tre
Stati è possibile notare caratteristiche politico-economiche simili, fondate su una solida
collaborazione industriale e politica, in particolare tra USA e Argentina è da sottolineare
che quest’ultimo ha adottato il dollaro statunitense come valore di riferimento per il
proprio cambio; in secondo luogo, e non in ordine di importanza, tali Stati hanno tra loro
delle solide e consistenti relazioni commerciali (basti pensare all'
accordo NAFTA tra
USA e Canada, destinato ad allargarsi all’intero continente americano). Inoltre, i tre Stati
considerati hanno una caratteristica fondamentale che li accomuna nell'
ambito agricolo,
vale a dire che tutti hanno sviluppato al loro interno un’agricoltura molto meccanizzata,
dove l'
intervento umano è limitato e quasi tutto il lavoro sui campi è svolto con sofisticati
mezzi, sia per la semina sia per la raccolta.
Tab. 6 - Superficie mondiale destinata alle coltivazioni GM 1996-2000
(in milioni di ettari)
Anno
Superficie
Incremento percentuale
1996
1.7
1997
11.0
547%
1998
27.8
153%
1999
39.9
44%
2000
44.2
11%
Graf. 4 - Superficie mondiale destinata alle
coltivazioni transgeniche 1996-2000
(milioni di ettari)
50
40
30
20
10
0
1996
1997
1998
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)
1999
2000
Tab. 7 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al livello di sviluppo
(milioni di ettari)
Livello di
sviluppo
Paesi
industrializzati
Paesi in Via di
Sviluppo
1997
%
1998
%
1999
%
2000
%
9.5
86
23.4
84
32.8
82
33.5
76
1.5
14
4.4
16
7.1
18
10.7
24
11.0
100
27.8
100
39.9
100
44.2
100
Graf. 5 - Distribuzione delle colture transgeniche
secondo il livello di sviluppo economico al 1997
PSA
PVS
Graf. 6 - Distribuzione delle colture transgeniche secondo
il livello di sviluppo economico al 2000
PSA
PVS
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)
Il fatto che tali Stati siano stati i precursori nell'
applicazione delle tecnologie
transgeniche di coltivazione può senz'
altro essere messo in relazione alle tecniche di
produzione agricola caratteristiche di questi Paesi. Inoltre, in tali Paesi le nuove
legislazioni in materia di biotecnologie possono, alla stregua del modo di produrre, essere
messe in relazione alla crescente richiesta di meccanizzazione dei processi produttivi
agricoli, ma di ciò si parlerà più dettagliatamente in seguito.
Ritornando alla distribuzione della superficie mondiale destinata alle coltivazioni
transgeniche, tra paesi industrialmente avanzati e non, è da rilevare come la variazione
della quota spettante ai Paesi in Via di Sviluppo, dal 18% del 1999 al 24% del 2000, non
significa che la diffusione di tali colture abbia trovato uno sbocco in tutti i paesi di
quest'
area, ma tale variazione è attribuibile per l'
84% alla sola Argentina, che nei suddetti
anni ha visto crescere la propria superficie destinata agli Ogm di ben 3.6 milioni di ettari
su una crescita totale mondiale di 4.3 milioni di ettari, passando dal 17 % al 23% della
superficie mondiale di coltivazioni transgeniche (Tab. 8). Sempre in riferimento al
biennio 1999-2000, anche se non rilevante dal punto di vista delle superfici coltivate, è da
segnalare l'
entrata in tale mercato di nuovi Paesi come Cina, Bulgaria, Germania,
Portogallo, Ucraina e Uruguay e la diminuzione dei terreni coltivati in Canada (in termini
sia relativi sia assoluti per quanto riguarda la colza), che passa nel solo biennio
considerato dall'
avere il 10% delle colture transgeniche mondiali al 7%, mostrando un
dato in controtendenza rispetto agli altri due Paesi precursori (Tab. 8).
Nella tabella 8 è illustrata la ripartizione geografica delle colture transgeniche
secondo i singoli Paesi.
Come detto in precedenza i principali paesi produttori di prodotti transgenici
agricoli sono USA, Canada e Argentina che, rispettivamente con il 69, 7 e 23 per cento
del totale mondiale producono il 99 per cento dei prodotti transgenici a livello mondiale,
ovvero la quasi totalità.
In generale, la diffusione delle coltivazioni transgeniche a livello geografico sono
da attribuirsi ad un ristretto gruppo di Stati, ove sia per una più facile legislazione in
merito sia per la tipologia di colture e processi produttivi utilizzati, possono essere a tutti
gli effetti considerati gli unici produttori di Ogm. Il risultato riportato dall'
Argentina nel
biennio 1999-2000, più 3.3 milioni di ettari, è frutto di un significativo aumento delle
coltivazioni destinate alla soia e al mais.
Tab. 8 - Distribuzione delle coltivazioni transgeniche per Paese
(in milioni di ettari)
PAESE
1999
%
2000
%
Usa
28.7
72
30.3
69
Argentina
6.7
17
10
23
Canada
4
10
3
7
Cina
0.3
1
0.5
1
Sudafrica
0.1
--
0.2
--
Australia
0.1
--
0.2
--
Romania
<0.1
--
<0.1
--
Messico
<0.1
--
<0.1
--
Bulgaria
--
--
<0.1
--
Spagna
<0.1
--
<0.1
--
Germania
--
--
<0.1
--
Francia
<0.1
--
<0.1
--
Portogallo
<0.1
--
--
--
Ucraina
<0.1
--
--
--
Uruguay
<0.1
--
<0.1
--
TOTALE
39.9
100
44.2
100
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)
Un tale risultato mostra come l'
Argentina stia consolidando la propria posizione di
principale paese produttore di piante geneticamente modificate, contrariamente a quanto
accade per il Canada che, sempre nel biennio considerato 1999-2000, vede ridurre di un
milione di ettari, soprattutto a colza, la superficie destinata a tali colture.
Tra i paesi emergenti nel mercato delle biotecnologie applicate in agricoltura è da
rilevare l'
incremento di 0.2 milioni di ettari della Cina, aspetto questo che trova la sua
importanza non tanto nella misura in cui sono aumentati i terreni coltivati con Ogm, ma
nel mercato stesso cinese e in particolare sotto l'
aspetto della potenzialità di assorbimento
del mercato agro-alimentare, date le caratteristiche demografiche ed economiche del
Paese, vale a dire di avere una popolazione molto ampia caratterizzata da una crescita
demografica significativa e dal fatto che negli ultimi anni ha mostrato un potenziale di
crescita economica rilevante. Altri Paesi si fanno strada nel mercato transgenico negli
ultimi anni, tra i quali sono da segnalare sia Paesi come Australia, sia Paesi dell'
UE come
Spagna, Germania e Francia, ognuno dei quali ha dato inizio nel 1999 alle prime
coltivazioni, sperimentali e su campo, di mais BT, ridotte poi nel 2000, oltre a Paesi
emergenti dell'
Europa dell'
Est, come Romania, Bulgaria e Ucraina.
II.3. Le principali coltivazioni GM secondo il tipo di coltura ed il tratto
modificato
Le ricerche sulle colture geneticamente modificate sono iniziate negli anni
ottanta15, ma la commercializzazione di sementi e prodotti Gm viene fatta risalire alla
seconda metà degli anni novanta. Nel paragrafo precedente si è delineato lo sviluppo della
diffusione dei prodotti Gm in agricoltura, caratterizzato da una crescita sostenuta (si è
passati dagli 11 milioni di ettari del 1996 ai 44,2 del 2000).
La diffusione e la crescita delle aree addette alla coltivazione di prodotti Gm, però,
non hanno interessato tutte le colture. Infatti, dalle statistiche fornite dall'
Isaaa, è evidente
come solamente alcune colture siano state interessate dal fenomeno transgenico: in
particolare le colture che più di tutte hanno subito l'
effetto Ogm sono state principalmente
quelle relative alla soia, al mais, al cotone e alla colza, lasciando a tutte le altre, una
percentuale sul totale quasi impercettibile.
15
Il riferimento è relativo solamente all'
ambito agricolo, escludendo in tal modo ogni riferimento a quello medicofarmacologico.
La riflessione fatta in precedenza sulla reale diffusione in agricoltura degli Ogm
può essere estesa anche alla tipologia del tratto modificato. Infatti, solo alcune tipologie di
modificazione genetica hanno avuto una reale diffusione, o livello di gradimento da parte
degli agricoltori e delle stesse società fornitrici: in particolare, le tipologie di tratto
modificato, che più di tutte hanno avuto una reale diffusione sono quelle relative alla
resistenza agli erbicidi, e all'
autoproduzione di insetticida, o alla concomitanza di
entrambi i tratti specificati.
La tabella 9 e il grafico 7 evidenziano come le quattro principali colture Gm, soia,
cotone, colza e mais, rappresentino quasi il 100% del totale delle colture Gm, e che,
sostanzialmente, negli anni, sia la percentuale spettante alle quattro colture principali sia
le percentuali spettanti ad ognuna di loro, siano rimaste pressoché invariate, tranne quella
relativa alla soia che è cresciuta del 4% sul totale a scapito di una perdita della stessa
entità relativa al mais; infatti, sul totale delle colture Gm relativamente all'
anno 2000 il
58% dei terreni messi a coltura con Ogm spetta alla soia, il 23% al mais, il 12% al cotone
e il restante 7% alla colza (Tab. 9).
Nella tabella 10 e nel grafico 8 vengono evidenziate le caratteristiche
tecnologiche, ossia la tipologia di tratto modificato, relative alle colture transgeniche: i
dati mostrano come le colture transgeniche, finora utilizzate, sfruttino due soli tipi di
modificazioni, ovvero la resistenza agli erbicidi e l'
autoproduzione di insetticida, che
insieme rappresentano l'
83% delle colture Gm di tutto il 2000, ed il restante 7% è
attribuibile ad una loro combinazione.
L'
anno 2000 per le colture transgeniche rappresenta un vero e proprio punto di
stallo: infatti, le modificazioni tra il 1999 e il 2000 sono di piccola entità, sia sotto il punto
di vista della crescita sia sotto quello delle ripartizioni percentuali tra colture e tra i tratti
modificati. Tale situazione probabilmente è dovuta alle restrizioni ancora in atto sia nel
continente europeo, ed in particolar modo nei paesi dell'
UE, sia in quello asiatico,
restrizioni che vanno dalla coltivazione alla commercializzazione dei prodotti transgenici
finalizzati all'
alimentazione sia umana sia animale.
Le cause della situazione di stallo per l'
anno 2000 nel mercato biotech possono
essere ricollegate a carenze del mercato agro-alimentare mondiale, ed in particolare alla
mancanza d’informazioni sulla reale profittabilità dei prodotti transgenici e sui rischi
paventati da molteplici enti, tra i quali in prima linea troviamo la Rafi.
Tab. 9 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al tipo di coltura
(milioni di ettari)
Tipo di coltura
1997
%
1998
%
1999
%
2000
%
Soia
5.1
46
14.5
52
21.6
54
25.8
58
Mais
3.2
30
8.3
30
11.1
28
10.3
23
Cotone
1.4
13
2.5
9
3.7
9
5.3
12
Colza
1.2
11
2.4
9
3.4
9
2.8
7
Altre
<0.1
<0.1
<0.1
<1
<0.1
<1
<0.1
<1
11.0
100
27.8
100
39.9
100
44.2
100
Graf. 7 - Sviluppo delle coltivazioni transgeniche per
tipo di coltura (milioni di ettari)
50
40
30
20
10
0
1997
1998
soia mais
1999
cotone colza
Fonte: nostra elaborazione su dati James (1998 e 2000)
2000
Tab. 10 - Distribuzione delle colture transgeniche rispetto al tratto modificato
(milioni di ettari)
Tipo di
1997
%
1998
%
1999
%
2000
%
HT16
6.9
63
19.8
71
28.1
71
32.7
74
IR17
4.0
36
7.7
28
8.3
22
8.3
19
HT+IR
<0.1
<1
0.3
1
2.9
7
3.2
7
QT18 e VR19
<0.1
<1
<0.1
<1
<0.1
<1
<0.1
<1
11.0
100
27.8
100
39.9
100
44.2
100
coltura
Graf. 8 - Distribuzione percentuale delle colture
transgeniche per tratto modificato (1997-2000)
100%
QT e VR
HT & IR
IR
HT
80%
60%
40%
20%
0%
1997
1998
1999
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)
16
HT: tolleranza agli erbicidi
17
IR: resistenza agli insetti
18
QT: modificazione della qualità
19
VR: resistenza ai virus
2000
Di seguito si cercherà di delineare le caratteristiche dei principali prodotti
transgenici coltivati (soia, mais, cotone e colza) e della loro diffusione, concentrando la
nostra attenzione sul perché alcuni prodotti abbiano avuto un maggior successo rispetto ad
altri e perché si preferisca utilizzare solo alcuni tipi di modificazione genetica.
II.4. La soia transgenica
La prima commercializzazione della soia geneticamente modificata è avvenuta nel
1996 in USA e in Argentina, dove rappresentava rispettivamente l'
1,6% e lo 0,8%
dell'
area destinata a tale coltura (Tab. 11).
Nell'
anno 2000 la superficie destinata alla soia Gm è stata di 25,8 milioni di ettari,
vale a dire che la soia transgenica copre il 58% dell'
area mondiale destinata a colture
transgeniche ed il 36% dell’area mondiale destinata alla soia. (Tab. 11 e Graf. 9).
Argentina e USA sono gli Stati che più di tutti tra quelli produttori di soia, hanno
convertito le tradizionali coltivazioni di soia in quella transgenica, tant'
è che,
rispettivamente, hanno destinato a tale coltura il 95% e 51% del totale dell'
area coltivata a
soia, vale a dire che la quasi totalità della soia prodotta in Argentina e più della metà della
soia di quella statunitense risulta essere del tipo geneticamente modificato (James, 2000).
Principalmente la soia Gm coltivata è del tipo HT, ovvero la modificazione
genetica più diffusa per tale coltura è relativa alla resistenza agli erbicidi non selettivi, tra
i quali il più utilizzato è il Roundup della società statunitense Monsanto (ora Pharmacia).
E'evidente che negli USA l'
adozione della soia Gm da parte dei coltivatori ha
riscosso un ottimo successo, come evidenziano i dati sulla diffusione.
Dal punto di vista dell'
offerta mondiale è da considerare come la soia sia una
coltivazione pertinente quasi esclusivamente ad alcuni Paesi produttori, tra i quali,
appunto, USA, Argentina e Cina, dove, di fatto, contrariamente agli altri Paesi
occidentali, la soia è utilizzata non solo nei processi di produzione di tipo industriale, ma
rappresenta un prodotto di largo consumo, paragonabile alla pasta per noi italiani.
Dal lato della domanda, la soia rappresenta sul mercato mondiale un prodotto di
dipendenza da parte dei mercati europei e giapponesi, che importano la quasi totalità della
soia destinata al fabbisogno nazionale, destinato principalmente all'
industria alimentare e
a quella foraggiera: in Italia, ad esempio, la percentuale di produzione interna sul
fabbisogno nazionale ammonta a circa il 3% (Istituto Sperimentale di Cerealicoltura).
Tab. 11 - Diffusione della soia transgenica 1996-2000 (in milioni di ettari)
Soia Gm su area
STATO
1996
1997
1998
1999
2000
USA
0.40
3.64
10.12
15.00
16.30
51%
ARGENTINA
0.005
1.40
3.43
5.50
9.12
75%
0.001
0.004
0.10
n.d.
10%
1.18
n.d.
10%
n.d.
n.d.
25.8
47%
CANADA
BRASILE
ALTRI
TOTALE
0.45
5.10
14.50
21.78
nazionale 1999
Graf. 9 - Distribuzione geografica della soia transgenica
nel 1999
USA
ARGENTINA
CANADA
BRASILE
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)
Il rifiuto europeo, sia dei consumatori sia dei coltivatori, ad importare soia GM ha
posto negli anni 1999 e 2000 seri problemi al mercato, per la mancanza in quest'
ultimo di
soia certificata Ogm-Free. Difatti le previsioni da parte dell'
Isaaa per l'
anno 2000, e i
primi dati sembrano confermare tale ipotesi, mettono in rilievo come lo sviluppo e la
diffusione della soia GM stia rallentando, proprio perché nel mercato europeo la
diffidenza verso tali prodotti è molto alta, e sia le leggi in materia di etichettatura (reg.
C.E. n.49/2000, 258/97 e 1139/98) sia le stesse associazioni dei consumatori pongono
"paletti"
all'
introduzione
nel
mercato
europeo
di
tali
prodotti,
tuttavia
la
commercializzazione di soia all'
interno del mercato europeo è assai diffusa.
Uno studio effettuato dall'
associazione dei consumatori AltroConsumo ha posto in
evidenza come in due case produttrici di lecitina di soia, le percentuali di soia transgenica
erano rispettivamente del 24% e 7%, e nell'
etichetta non era indicato nulla a riguardo;
inoltre, se si pensa che nei mangimi destinati agli allevamenti di bovini il contenuto di
soia è alto, che il 90% della soia europea ed italiana è importata dal continente americano
dove il 90% della soia commercializzata è transgenica, resta il dubbio se la legislazione
vigente europea in materia di cibi transgenici sia valida o meno.
II.5. Il mais transgenico
La prima diffusione di mais transgenico è avvenuta nel 1996 in USA e Canada
con 0.3 e 0.001 milioni di ettari coltivati, dove rappresentava rispettivamente l'
1% e lo
0.1% della superficie totale destinata a tale coltura (Tab. 12 e Graf. 10).
Nel 1999 il mais transgenico poteva contare su 11.1 milioni di ettari ad esso
destinato, che in percentuale corrispondeva al 27% dell'
area mondiale destinata alla
coltivazione di Ogm (James, 2000).
In generale, nel 2000 la superficie coltivata con mais GM è diminuita di 800 mila
ettari, in particolare in USA e Canada, mentre in Argentina la superficie destinata al mais
transgenico è incrementata dal 5% al 20% sul totale dell'
area nazionale destinata a mais
rispetto all'
anno precedente. Tale accadimento mostra come, nonostante la fase di
stazionarietà del mercato transgenico mondiale ed in particolare quello relativo al mais,
l'
Argentina sia intenzionata a proseguire il suo cammino nella produzione di colture GM e
ad imporsi sul mercato internazionale come protagonista, assieme agli USA, nella
produzione di prodotti transgenici destinati al mercato agro-alimentare.
Tab. 12 - Diffusione del mais transgenico 1996-2000
(in milioni di ettari)
Mais Gm su area
STATO
1996
1997
1998
1999
2000
USA
0.30
2.27
8.66
10.30
n.d.
36%
0.07
0.09
0.31
1.50
11%
0.27
0.30
0.50
n.d.
44%
0.05
0.16
n.d.
5%
0.59
0.05
0.17
n.d.
3.20
9.11
11.28
10.3
ARGENTINA
CANADA
0.001
SUDAFRICA
ALTRI
TOTALE
0.30
nazionale 1999
28%
Graf. 10 - Distribuzione geografica del mais transgenico
nel 1999
USA
CANADA
ALTRI
ARGENTINA
SUD AFRICA
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)
Attualmente il mais transgenico occupa, a livello mondiale, il 7% dell'
area
destinata alla coltura del mais e il 23% dell'
area totale destinata ai prodotti transgenici.
La maggior parte dell'
area destinata alla coltivazione di mais GM è localizzata in
USA, Argentina e Canada, dove nel 1999 tale coltura rappresentava il 36, 11 e 44 per
cento delle rispettive aree nazionali destinate al mais (Commissione della Comunità
Europea, 2000).
La caratteristica principale del mais GM coltivato è l'
autoproduzione di insetticida,
ed in particolare il mais GM più diffuso tra quelli transgenici risulta essere quello BT: i
prodotti del tipo BT nel 2000 hanno interessato il 15% dell'
area mondiale destinata al
transgenico.
Nonostante nel 1998 sia stato autorizzato nel mercato USA, da parte dell'
USDA
(U.S. Department of Agriculture), un nuovo tipo di mais GM basato sulla resistenza agli
erbicidi (ovvero l’equivalente per il mais della soia Roundup Ready della Monsanto),
quest’ultimo non ha avuto molto successo, inoltre secondo le prime stime fornite
dall'
Isaaa sembrano confermare quanto si era detto nel 1999, ovvero che nel 2000 si
sarebbe assistiti ad una diminuzione dell'
area destinata al mais transgenico.
Tale stima non è tanto da considerarsi correlata con l'
andamento del mercato
transgenico in generale, ma evidenzia una caratteristica peculiare della coltivazione di
mais. Le coltivazioni di mais, e più in particolare le infestazioni parassitarie maidicole,
hanno carattere ciclico, dunque la riduzione dell'
area destinata al mais transgenico del tipo
BT, nel caso particolare, è da ricondursi, secondo l’USDA, quasi esclusivamente, al fatto
che dopo il picco delle infestazioni avvenuto nel 1998, per gli anni immediatamente
successivi si è previsto un basso livello di infestazione.
In definitiva, l'
anno 2000 per gli agricoltori non rappresenta un anno cui prestare
particolare attenzione nei confronti degli insetti nocivi alle coltivazioni, di qui la mancata
necessità, o meglio ancora la non convenienza, ad adottare le sementi di mais GM.
Tale considerazione mostra da un lato la non universale convenienza del mais
transgenico, in particolare in quegli anni in cui il grado di infestazione è ritenuto medio o
basso, e dall'
altro come dal punto di vista dei costi e della produttività le coltivazioni
transgeniche di mais non siano convenienti, se non in particolari situazioni d’infestazione.
La condizione di non convenienza nel caso del mais e degli altri prodotti
transgenici in generale sarà approfondita nei successivi capitoli, quando si andranno ad
analizzare e a confrontare le caratteristiche economiche di coltivazione tra i prodotti
transgenici e quelli convenzionali.
II.6. Il cotone transgenico
Le prime coltivazioni di cotone transgenico sono state introdotte nel 1996 in USA
dove, rispetto all'
area nazionale destinata al cotone in generale, rappresentavano il 12%.
Tra il 1999 e il 2000 l'
area mondiale destinata alla coltivazione di cotone GM è
cresciuta del 35%, vale a dire si è passati da 3,92 a circa 5,3 milioni di ettari coltivati.
L'
incremento dell'
area destinata al cotone GM conferma il trend positivo di
sviluppo e della diffusione di tale coltura, sviluppo che rispecchia la crescita avuta negli
anni precedenti (+61% nel 1999 e +70% nel 1998): rispetto all'
area mondiale destinata ai
prodotti GM il cotone, tra il 1999 e il 2000, passa dal 9 al 12 per cento del totale.
La crescita dell'
area a cotone GM è attribuibile, in particolar modo, agli USA che
hanno visto crescere la propria quota di cotone GM sul totale (6 milioni di ettari) dal 55%
del 1999 al 72% del 2000, passando da 3,25 a 4,3 milioni di ettari.
Tra gli altri Stati che coltivano cotone GM sono da segnalare la Cina, che ha
portato la propria quota di area destinata a cotone GM sul totale nazionale al 10%, e Stati
come l'
Australia, la cui quota di cotone GM sul totale nazionale è del 79% (relativamente
all'
anno 1999) e il Messico la cui quota è del 25% (Comunità Europea, 2000).
Il cotone GM rappresenta, a tutto il 1999, il 12% della produzione mondiale
(attualmente le stime dell'
Isaaa stimano tale quota a circa il 16% per l'
anno 2000).
Il cotone transgenico per gli Stati Comunitari è principalmente di origine estera e
la necessità di segregare le varietà GM da quelle tradizionali ha posto seri problemi circa
le regolamentazioni sul commercio internazionale, soprattutto in relazione agli accordi tra
USA e Unione Europea, visto che le società produttrici di sementi avevano introdotto
negli ultimi anni sementi GM miste a quelle convenzionali senza una precisa
autorizzazione da parte del Parlamento Europeo.
Le principali modificazioni genetiche applicate al cotone sono la tolleranza agli
erbicidi, circa il 40%, la resistenza agli insetti, circa il 30%, e la presenza di entrambe le
modificazioni precedenti (HT+IR), circa un terzo del cotone GM.
Tab. 13 - Diffusione del cotone transgenico 1996-2000
(in milioni di ettari)
Quota su cotone
STATO
1996
1997
1998
1999
2000
USA
0.73
1.23
2.00
3.25
4.3.
55%
0.10
0.30
n.d.
10%
0.30
0.30
n.d.
79%
SUDAFRICA
0.01
0.02
n.d.
13%
MESSICO
0.05
0.05
n.d.
25%
2.43
3.92
5.30
12%
CINA
AUSTRALIA
TOTALE
0.20
0.73
1.43
nazionale 1999
Graf. 11 - Distribuzione geografica del cotone transgenico
nel 1999
USA
CINA
AUSTRALIA
ALTRI
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)
Nei soli USA il 72% dei terreni destinati alla coltura del cotone è coltivato con le
varietà transgeniche che presentano caratteristiche IR e/o HT, in particolare il 39% è del
tipo IR, il 54% è del tipo HT e il 7% presenta caratteristiche di resistenza ad altri erbicidi,
inoltre nel complesso delle modificazioni IR e HT è utile segnalare che il 28% del cotone
GM ha entrambe le modificazioni (Carpenter e Gianessi, 2001).
Le relazioni dell'
USDA affermano che i principali effetti desiderati dalle colture
IR e HT sono quelli di aver ridotto sia l'
uso di agenti chimici (fertilizzanti, insetticidi ed
erbicidi) sia le perdite di raccolto dovute a fattori ambientali e caratteristici, vale a dire
insetti e perdite strutturali delle coltivazioni (Carpenter e Gianessi, 2001).
Rispetto alla soia, la coltivazione di cotone transgenico HT non è caratterizzata
dalla presenza quasi esclusiva di un unico prodotto (il Roundup della Monsanto, nel caso
della soia HT), ma il mercato offre la possibilità, a seconda delle caratteristiche
ambientali, altre alternative: molto diffuso nella coltivazione di cotone GM è la
caratteristica di resistenza ad un altro erbicida, il Bromoxynil (BXN).
Secondo l'
USDA la richiesta da parte del mercato del cotone BXN è dovuta, in
particolar modo, al fatto che il Roundup della Monsanto, la cui caratteristica è quella di
essere un erbicida ad ampio spettro o non selettivo, non è perfettamente tollerato, nel caso
del cotone, dalle corrispettive piante Roundup Ready (Carpenter e Gianessi, 2001).
II.7. La colza transgenica20
Le prime coltivazioni di colza transgenica sono state introdotte nel nordamerica
nel 1996, in particolare in USA e Canada, dove con 0.01 e 0.1 milioni di ettari coltivati, si
riuscivano a coprire rispettivamente il 5 e il 3 per cento delle aree nazionali destinate a
tale coltura.
Nel 2000 la colza transgenica occupa un'
area di circa 2,8 milioni di ettari, un
valore questo inferiore a quello del 1999, che poteva contare su di una superficie di circa
3,7 milioni di ettari, e che, di fatto, hanno portato la colza a ricoprire il 7% delle colture
geneticamente modificate dal 9% dell'
anno precedente.
La diminuzione dei terreni coltivati con colza GM, interamente del tipo HT, tra il
1999 e il 2000 di circa 600.000 milioni di ettari è principalmente attribuibile al Canada,
20
Nel Nord-america la colza coltivata appartiene al tipo Canola.
che da sola ha contribuito a ridurre i terreni coltivati di circa 600.000 milioni di ettari, sia
nella forma tradizionale sia nella "versione" transgenica.
Lo Stato canadese afferma, secondo quanto riportato sulle pubblicazioni dell'
Isaaa,
che le cause di tale diminuzione di colza GM è attribuibile essenzialmente alle difficoltà
riscontrate nella coltivazione ed in particolare a tre fattori determinanti:
•
In prima istanza, il Canada afferma che la diminuzione di colza GM segue lo
stesso trend discendente del suo corrispettivo tradizionale, che si traduce in una
diminuzione dei terreni coltivati da 5,5 a 4,9 milioni di ettari.
•
In secondo istanza, si afferma che la colza GM del tipo HT comporta dei rischi
connessi alla coltivazione, vale a dire che la colza HT presenta problemi di
mutazione il cui risultato è quello di trasferire le proprie caratteristiche di
resistenza agli erbicidi alle altre piante (malerbe comprese). La situazione
canadese mostra come gli Ogm, in questo caso la colza, non siano del tutto
controllabili.
In ultimo, il basso prezzo della colza potrebbe aver disincentivato i contadini a
coltivare la varietà GM in favore di quella tradizionale, in modo tale da poter contrarre i
costi di produzione.
Nella realtà dei fatti la colza GM ha suscitato, più di altre piante GM, perplessità
circa la sua affidabilità nel rilascio ambientale, poiché tale pianta ha caratteristiche
riproduttive diverse dalle altre: una delle principali caratteristiche della colza in ambito
riproduttivo è quella di potersi incrociare facilmente con molte piante imparentate,
comprese le malerbe.
Un episodio del genere, accaduto il 25 Maggio 2000 in Francia, ha portato il
governo francese e il presidente Chirac ad abbandonare le sperimentazioni in campo
aperto: la colza GM del tipo HT si era incrociata con le malerbe e con le coltivazioni
adiacenti, annullando, di fatti, la caratteristica principale della colza GM di resistenza agli
erbicidi attraverso il trasferimento del gene HT, causando così danni ai campi circostanti
che non erano predisposti a tali erbicidi.
La diminuzione di terreni coltivati con colza GM è attribuibile ad imperfezioni
della colza geneticamente modificata, confermando, di fatti, le preoccupazioni espresse da
molte associazioni ambientaliste ed istituti di ricerca, ovvero che le piante transgeniche in
generale non possono garantire che il tratto modificato venga disperso nell’ambiente: tale
Tab. 14 - Diffusione della colza transgenica 1996-2000
(in milioni di ettari)
Colza Gm su area
STATO
1996
1997
1998
1999
2000
USA
0.01
0.02
0.03
0.06
n.d.
15%
CANADA
0.10
1.40
2.40
3.40
n.d.
65%
TOTALE
0.11
1.42
2.43
3.46
2.80
12%
nazionale 1999
Graf. 12 - Distribuzione geografica della colza
transgenica nel 1999
Canada
USA
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000) e Commissione Europea (2000)
situazione potrebbe rivelarsi incontrollabile provocando danni all'
ambiente
probabilmente permanenti o comunque le piante transgeniche potrebbero rappresentare
per ecosistema un rischio incalcolabile (in termini monetari ed ecologici).
II.8. Distribuzione delle colture transgeniche secondo il tratto modificato
Le colture transgeniche, fin dalla loro prima commercializzazione, hanno mostrato
come la ricerca nel suo complesso sia stata indirizzata verso la possibilità di ridurre i costi
di produzione, da un lato, e dall'
altro incrementare le produzioni sia attraverso l'
aumento
delle rese dei campi coltivati sia attraverso l'
aumento delle superfici coltivabili (arable
land, secondo la definizione della Fao).
Questo processo intrapreso dalla ricerca viene confermato, in modo del tutto
evidente, dalla tipologia dei tratti geneticamente modificati.
La diffusione e la distribuzione delle colture transgeniche nel mondo sembra aver
recepito quello che, ragionevolmente, può essere considerato il maggior beneficio
ipotizzato per le colture GM, ovvero di ridurre gli inputs produttivi (prodotti chimici e
capitale umano), ma le argomentazioni successive mostreranno una realtà diversa.
Il grafico 8 e la tabella 10 hanno evidenziato come, tra il 1997 e il 2000, la
distribuzione delle colture GM, rispetto al tratto modificato, sia rimasta sostanzialmente
simile e sia stata in favore di quei prodotti che presentano caratteristiche economiche più
direttamente convenienti, vale a dire verso quelle colture il cui tratto modificato era quello
della tolleranza agli erbicidi e la resistenza (o autoproduzione) agli insetti. Infatti, le
colture del tipo HT e IR sono le più diffuse, cui spettano rispettivamente il 63 e il 36 per
cento del totale delle colture GM nel 1997 e che, relativamente all'
anno 2000, l'
unica
differenza riscontrabile nella distribuzione risiede nella quota spettante alla tipologia che
sfrutta entrambe le modificazioni, tolleranza agli erbicidi e resistenza agli insetti,
lasciando una quota minima, circa l'
un per cento, alla tipologia QT, ovvero a quella
tipologia di prodotti con caratteristiche di miglioramento qualitativo, che sul mercato
potrebbero essere commercializzate ad un prezzo più alto, garantendo al coltivatore un
maggior valore della produzione finale a parità di costi di produzione, quindi prodotti a
maggior valore aggiunto.
Il caso della quota relativa alla tipologia IR che, in base ai dati forniti dall'
Isaaa
passa dal 36 per cento del 1996 al 19 per cento del 2000, non può essere considerata come
direttamente legata allo sviluppo delle altre tipologie, ma è bene tener presente ciò che è
stato detto nel paragrafo 5: tra il 1999 e il 2000 vi è stata una riduzione delle coltivazioni
di mais, che nella quasi totalità dei casi è del tipo IR, e tale coltura ha un peso
considerevole all'
interno di detta tipologia di colture GM.
Nel complesso delle colture, dunque, è evidente, dalla distribuzione per tratto
modificato, come la diffusione delle colture GM sia stata favorita dalla possibilità, non
tanto di aumentare la produttività dei campi, bensì dalla possibilità di ridurre i costi di
produzione attraverso un minor uso di prodotti chimici, che oltre al loro costo di mercato,
offrendo la possibilità di ridurre il capitale umano a favore di una più alta
meccanizzazione dei processi produttivi.
Prima di entrare nel merito delle colture transgeniche più diffuse riteniamo utile
soffermarci su alcuni aspetti relativi alla diffusione nel mondo di tali nuove colture,
aspetti questi desumibili dalla ripartizione percentuale della colture GM, che nel prossimo
capitolo saranno ripresi in un contesto più ampio e dettagliato, e che riguarderà il modo di
produrre OGM.
Un punto fondamentale nella trattazione degli OGM in agricoltura sta
nell'
evidente contraddizione delle multinazionali Biotech, le quali pubblicizzano le colture
GM proponendole come il futuro dei PVS e come la soluzione di problemi, come la
malnutrizione, che affliggono tali Paesi da un lato, e dall'
altro è evidente come nel
mercato le tipologie di prodotti GM, che più di tutte si sono affermate e diffuse, sono
quelle che più intrinsecamente prevedono un'
alta meccanizzazione del processo
produttivo ed un contenuto tecnologico, difficilmente assimilabile dai PVS. Tale
contraddizione sembra affermare come le colture GM, più che essere disponibili e
benefiche per i PVS, siano rivolte verso quei Paesi industrializzati, la cui unica priorità è
quella di ridurre i costi di produzione agricola, attraverso l'
introduzione di tecnologie
capital intensive, seguendo in tal modo le richieste di un mercato internazionale sempre
più globale e competitivo, dove le produzioni sono sempre più interdipendenti e,
soprattutto, dove lo sviluppo e la crescita economico-sociale non risiedono nella
produzione di beni alimentari ad alto contenuto nutrizionale o specifici, ma consistono
nella riduzione dei costi con la conseguente possibilità di omogeneizzazione dei prodotti
alimentari eliminando le specificità locali (sia dei prodotti sia di metodi di produzione) a
scapito, come nell'
esempio della Bse21 (Encefalopatia Spongiforme Bovina), della
sicurezza alimentare.
Tralasciando
per ora le argomentazioni sulla sicurezza alimentare e
sull'
evoluzione dei processi produttivi connessi alla globalizzazione dei mercati, è bene
tornare alla diffusione degli OGM in agricoltura ed in particolare a quelle coltivazioni che
più tra tutte hanno riscontrato un successo sul mercato mondiale (relativamente a quei
Paesi dove attualmente sono autorizzati alla produzione e alla commercializzazione) o,
come preferisce definirli l'
Isaaa, "Dominant Transgenic Crops".
La principale coltivazione GM, relativamente all'
anno 2000, differenziate secondo
la tipologia di modificazione genetica è la soia HT, che copre il 59 per cento della
superficie mondiale coltivata con prodotti GM, cui segue il mais BT con il 15 per cento
della superficie, ed infine con percentuali tra il 5 e il 6 per cento ognuna, colza HT, mais
HT e cotone HT (Tab. 15).
Un elemento caratterizzante delle "Dominant Transgenic Crops" è che la tipologia
IR è attribuibile principalmente al mais, mentre per converso la tipologia HT è diffusa per
tutte le colture, compreso il mais, la cui quota del tipo HT è relativa al cinque per cento
del totale delle colture transgeniche.
Nel complesso delle quattro colture (mais, soia, colza e cotone) è possibile
evidenziare (Tab. 16) come su 273 milioni di ettari, coltivati a livello mondiale, il 16 per
cento è del tipo geneticamente modificato, ed in particolare soia, cotone e colza GM
coprono rispettivamente il 36, 16 e 11 per cento del totale.
II.9. I mercati destinatari delle produzioni agricole di origine biotecnologica
I paragrafi precedenti illustrano la diffusione delle colture transgeniche nel mondo,
evidenziando come, tra queste, solo alcune hanno suscitato la curiosità e gli interessi degli
addetti ai lavori, ovvero ricercatori e produttori.
Nel complesso, le biotecnologie trovano la loro applicazione essenzialmente nel
settore farmaceutico e agricolo, cioè nella produzione di piante e farmaci modificati
geneticamente.
21
La relazione con la Bse è intesa nel senso che la normalizzazione dei processi produttivi, spesso, è a scapito delle
tipicità locali: infatti, nel caso della Bse la mancanza di sicurezza è, all’origine, dovuta al fatto che sul mercato delle
carni non si tiene conto delle tipicità delle razze con le conseguenti caratteristiche di peso (ingrassamento del vitello
durante l’allevamento) e della qualità delle carni.
Tab. 15 - Le principali piante transgeniche per prodotto e tratto modificato
(milioni di ettari)
Tipo di coltura
1999
%
2000
%
Soia HT
21.6
54
25.8
59
Mais BT
7.5
19
6.8
15
Colza HT
3.5
9
2.8
6
Mais HT
1.5
4
2.1
5
Cotone HT
1.6
4
2.1
5
Cotone BT/HT
0.8
2
1.7
4
Totale
36.5
92
41.3
93
Graf. 13 - Distribuzione percentuale delle colture
transgeniche per prodotto e tratto modificato
ALTRO
100%
80%
COTONE
BT/HT
COTONE HT
60%
MAIS HT
40%
COLZA HT
20%
MAIS BT
0%
1999
2000
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)
SOIA HT
Tab. 16 - Rapporto tra le principali coltivazioni transgeniche e le
corrispettive convenzionali (milioni di ettari)
A.Transgenica/
Tipo di coltura
Area Mondiale
Area Transgenica
Soia
72
25.8
36%
Cotone
34
5.3
16%
Cotone
25
2.8
11%
Mais
140
10.3
7%
Altro
-
-
-
Totale
273
44.2
16%
A. Mondiale
Graf. 14 - Rapporto tra le colture transgeniche e le
corrispettive convenzionali
(in milioni di ettari)
160
140
120
100
80
60
40
20
0
SOIA
COTONE
TRANSGENICO
COLZA
MAIS
NON TRANSGENICO
Fonte: nostra elaborazione su dati James (2000)
Restringendo l'
attenzione sul solo settore agricolo è possibile evidenziare come le
produzioni transgeniche, ed in particolare le colture di soia, mais, cotone e colza, non
siano destinate solo ed esclusivamente al mercato agricolo inteso come mercato destinato
direttamente all'
alimentazione umana e animale, ma esse si presentano come prodotti
intermedi nell'
industria alimentare, taluni, ed altri trovano il loro mercato di destinazione
in altre industrie, come ad esempio l'
industria tessile, nel caso del cotone.
Prima di entrare nel dettaglio dei singoli prodotti agricoli, relativamente ai loro
campi di applicazione, è utile sottolineare un aspetto molto interessante dei prodotti GM
più diffusi: le principali colture GM e le loro corrispettive "versioni" convenzionali
trovano sul mercato industriale numerose applicazioni in molti settori tra loro eterogenei,
dunque le variazioni nei costi e nelle rese di tali prodotti agricoli possono avere
ripercussioni su molteplici settori industriali, da quello farmaceutico a quello dei
carburanti, un mercato di destinazione, stando ai fatti, dal potenziale di crescita e di
profitto di notevole entità.
Le caratteristiche dei prodotti transgenici finora coltivati mostrano come
l'
interesse dei produttori e dei ricercatori, stando allo stato attuale, sia rivolto verso quelle
produzioni maggiormente utilizzate dall'
industria alimentare intermedia (intesa come
produzione di beni intermedi), dove la ricerca di fondo non risiede nel miglioramento
delle caratteristiche merceologiche, ma nell'
ottimizzazione dei processi produttivi atti alla
riduzione dei costi di produzione (sia come costo delle materie prime sia come capitale
umano) seguendo uno schema consolidato nel nostro tempo, ovvero trovare una corretta
interpretazione delle richieste dei mercati internazionali, in termini di globalizzazione e
normalizzazione dei mercati.
Le considerazioni appena fatte entrano in contraddizione con quanto affermano le
società del settore biotecnologico circa i benefici di cui potrebbero giovare i PVS: le
industrie di trasformazione e commercializzazione, oltre alla ricerca, sono proprie dei
Paesi a medio-alto sviluppo. I principali destinatari di tali prodotti, intesi come fonte di
profitto e sviluppo, non sono i paesi arretrati: essi possono essere considerati solo mercati
di sbocco, e, volendo fare una considerazione di carattere strettamente economico, è
possibile affermare che l'
introduzione in tali paesi di prodotti, il cui contenuto tecnologico
appartiene a soggetti stranieri o perlomeno appartengono a soggetti stranieri i settori della
filiera a più alto valore aggiunto, non è detto che si riveli un presupposto di sviluppo e di
crescita economica.
Allo stato attuale dello sviluppo dei prodotti Gm è ragionevole considerare come
l'
unico beneficio di cui i PVS potrebbero godere è quello della coltivazione, la cui
redditività è relativamente bassa, dato il basso contenuto tecnologico dell'
output e la
concorrenza esistente sui mercati internazionali, che vede confrontare i PVS con Paesi
dotati di un’agricoltura più meccanizzata e produttiva; in sintesi, il beneficio da trarre da
parte dei PVS dagli OGM in campo agricolo è quello della coltivazione dello Staple, con
tutti i rischi connessi e le problematiche ampiamente argomentate nella letteratura
economica, dai teorici dell'
Imperialismo a quelli della Dependençia.
Tornando alla descrizione dei principali mercati destinatari dei prodotti
biotecnologici e al loro utilizzo nei processi produttivi industriali potrebbe essere utile al
lettore avere un quadro completo delle applicazioni industriali delle piante transgeniche,
un quadro che possa far comprendere il perché alcune piante siano state interessate dal
fenomeno OGM ed altre no; inoltre è necessario considerare, stando allo stato attuale
delle coltivazioni, che le biotecnologie sono di beneficio solo per alcuni Paesi e che i
prodotti attualmente coltivati e commercializzati, sia in termini di tipologia di prodotto sia
in termini di tecnica produttiva, sono estranei e lungi dal contribuire ad alleviare il
problema della malnutrizione e del sottosviluppo.
Tralasciando per ora il caso del cotone, il quale trova il proprio settore di
destinazione nell'
industria tessile, è fondamentale considerare in quali applicazioni
industriali trovano i principali prodotti biotecnologici: soia, mais e colza.
I prodotti derivanti dalla soia sono principalmente il latte e la lecitina di soia che
trovano nell'
industria alimentare un loro massiccio impiego nella produzione dolciaria
(quasi il 90% dei biscotti e dei dolci contiene lecitina di soia, usata come emulsionante al
fine di miscelare le parti oleose a quelle acquose); altri impieghi della soia sono
rintracciabili, ad esempio, nelle salamoie e nella preparazione di piatti pronti, oltre,
naturalmente, al quotidiano uso umano (in particolare in Cina) e animale sotto forma di
farina o oli come componenti del foraggio.
Il mais, così come la soia, è da sempre utilizzato dall'
industria foraggiera o
destinata al consumo umano, sia in forma intera sia sotto la forma di oli, ma il suo
impiego, al contrario di quanto si pensi, è molto diffuso in quasi tutti i settori produttori di
alimenti, tant'
è che secondo uno studio recente si stima che ogni persona ne consumi ogni
anno almeno 10 Kg, equivalente a circa 1 litro di olio (Focus N°100, Febbraio 2001).
Il caso della colza è simile a quello del mais e della soia, ma al contrario di
quest'
ultimi non viene direttamente consumato sotto forma di prodotto alimentare: infatti,
la colza trova il suo impiego nell'
industria alimentare sotto forma di olio (le modificazioni
genetiche prossime per la colza sono indirizzate verso la produzione di colza a più alto
contenuto di sostanza oleose e con basso contenuto di acido erucico), e stando alle ultime
ricerche la colza è destinata a diventare il carburante del nuovo millennio per la
caratteristica di non essere inquinante e di mantenere il motore dei veicoli in ottimo stato,
grazie ai suoi componenti oleosi.
II.10. Ogm di prima e seconda generazione
I prodotti di origine geneticamente modificata, fino ad oggi coltivati e
commercializzati in alcuni Stati, rientrano in una categoria che gli studiosi definiscono
come OGM di prima generazione o input traits. Tali prodotti costituiscono l'
inizio dello
sviluppo delle piante transgeniche: infatti, la definizione di input traits racchiude in sé il
significato e la struttura delle prime piante transgeniche prodotte dalle multinazionali del
settore, vale a dire che la prima generazione di OGM è stata indirizzata verso il
miglioramento delle caratteristiche produttive delle piante, quindi la denominazione input
traits sta ad indicare che tali prodotti hanno il compito di risolvere problemi legati alla
coltivazione (malerbe e infestazione di insetti), che incidono sul livello di produzione.
Attraverso gli OGM di prima generazione si è intenti a risolvere problemi secolari
dell'
attività agricola mondiali, problemi che incidono, attraverso della perdita dei raccolti,
sulla redditività degli stessi. La resistenza agli erbicidi selettivi e l'
autoproduzione di
insetticida costituiscono il punto di partenza della ricerca biotecnologica: l'
ipotetica
strategia, desumibile dalla tipologia di sperimentazioni che si stanno attuando in diversi
Paesi, dovrebbe portare tra alcuni decenni alla realizzazione di prodotti di seconda e terza
generazione, caratterizzati non solo da modificazioni che risolvono problemi inerenti alla
coltivazione, ma anche da caratteristiche nutrizionali migliori. Le sperimentazioni in atto
confermano questa linea di tendenza della ricerca ispirata dalla necessità di ottenere
prodotti a più alto contenuto tecnologico e possibilmente a più alto valore aggiunto (anche
se è ancora non definibile chi tra agricoltori o società produttrici sia il destinatario di tale
valore aggiunto). Il fine ultimo della ricerca sulle biotecnologie dovrebbe in un prossimo
futuro assicurare la convergenza tra due produzioni, quella biotecnologica e quella
farmaceutica, indirizzate verso la realizzazione dell'
alimento-farmaco.
La ricerca sugli OGM di seconda generazione, ovvero quelli che dovrebbero
inglobare sia miglioramenti produttivi sia quelli relativi alla qualità ed al livello nutritivo,
è stata annunciata da pochi anni e i primi prodotti disponibili sul mercato non dovrebbero
tardare, in particolare uno dei primi prodotti già sperimentati e in stato di discussione è il
riso con modificazioni genetiche per ottenere un maggior contenuto di ferro e vitamina
A22, la cui sperimentazione ad oggi è stata deludente.
In generale le ricerche sugli OGM nei prossimi anni saranno caratterizzate quindi
sia da input traits sia da output traits che permetteranno di ottenere innovazioni di
prodotto e di processo, seguendo un percorso già intrapreso, costituito dalla necessità di
ottenere una presenza simultanea nella stessa pianta di più modificazioni genetiche (il
caso di OGM contemporaneamente del tipo HT e IR ne sono una prova evidente), che
garantiscano una più alta convenienza ed affidabilità, proponendo al consumatore e al
coltivatore un prodotto dalle caratteristiche migliori.
Nel medio-lungo termine i tratti saranno indirizzati verso la realizzazione di
prodotti ben definiti, che interesseranno tutte le produzioni agricole, compreso il settore
orticolturale, anche se i dubbi sollevati negli ultimi anni sia dagli agricoltori sia da alcune
istituzioni internazionali circa la reale efficienza degli OGM, sembra aver fatto rallentare
la diffusione, con conseguenze dirette sul rilascio della nuova generazione di Ogm.
Tuttavia, ciò che più di tutto ha rallentato la ricerca non sembra esser stato il pericolo
paventato da alcuni studi scientifici circa gli effetti sull'
ambiente, ma sembra che la brusca
frenata del settore sia dovuta ad una reale insoddisfazione da parte degli agricoltori nei
confronti di tali prodotti, insoddisfazione che nasce dalla differenza tra i livelli di
produttività e redditività promessi e quelli realizzati, che, di fatto, hanno scoraggiato gli
agricoltori a continuare a coltivarli (basti pensare al caso della colza canadese e al mais
statunitense citati nei paragrafi precedenti).
22
Le carenze di vitamina A e ferro sono alla base di malattie diffuse nel terzo mondo come l'
anemia e il deficit
d’accrescimento corporeo.
II.11. I mercati sementiero e fitofarmacologico
Il mercato agricolo, inteso in senso generalizzato, è frutto dell'
interazione di più
industrie che costituiscono nel loro insieme la filiera produttiva dei prodotti agricoli: tra
questi i settori primari possono essere identificati in quello sementiero e quello
agrochimico o fitofarmacologico, che forniscono le materie prime necessarie all'
attività
produttiva.
Il mercato delle produzioni agricole transgeniche è parte integrante di quello
agricolo tradizionale, e la sua diffusione ha negli anni ne ha modificato la struttura, in tal
senso le produzioni di OGM non solo ne sono diventate parte integrante, ma hanno
influenzato notevolmente la struttura produttiva e più in generale le linee di strategia di
mercato e di ricerca.
Gli interessi che ruotano attorno al mercato transgenico sono enormi e hanno
attirato principalmente l’attenzione di quelle industrie che abbiamo definito come
primarie. Nel giro di pochissimi anni il fatturato del mercato sementiero transgenico è
andato crescendo ad una velocità decisamente alta, passando da un valore di mercato di
circa 152 milioni di dollari del 1996 a circa 2750-3000 del 1999 (secondo le proiezioni
dell'
Isaaa), vale a dire che il valore di tale mercato è cresciuto di venti volte in soli quattro
anni (Tab. 17).
Attualmente il mercato sementiero delle colture transgeniche occupa il 10% di
quello mondiale, stimato attorno ai 30 miliardi di dollari. All'
interno del mercato
sementiero è possibile costatare come i prodotti più diffusi abbiano inciso in maniera più
significativa di altri: in particolare se ci riferisce al solo al mercato degli OGM del tipo
HT il fatturato è cresciuto del 180% tra il 1997 e il 1998, da 425 a 1188 milioni di dollari,
mentre nel caso dei prodotti IR il fatturato è cresciuto da 423 a 738 milioni di dollari,
sempre in riferimento al periodo 1997-1998. Le statistiche del FIS mostrano come,
relativamente al 1998, il mercato sementiero dei prodotti transgenici costituiva il 6% del
mercato sementiero mondiale e come all'
interno dell'
industria sementiera mondiale vi
siano Stati che godono di una posizione di rilievo nella produzione e commercializzazione
di sementi agricole Gm, come ad esempio gli USA, Argentina e Canada, che possiedono
rispettivamente il 77, 12 e 9 per cento del fatturato sementiero transgenico mondiale.
Tab. 17 - Valore del mercato sementiero transgenico
(in milioni di dollari USA)
Anno
Valore del mercato
Incremento in $
Incremento percentuale
1996
152
1997
851
699
459
1998
1959
1108
131
1999
2750-3000
791-1041
40-53
Fonte: James (2000)
Graf. 15 - Valore del mercato sementiero transgenico
1996-1999 (in milioni di dollari USA)
3500
3000
3000
2500
2000
1959
1500
1000
851
500
152
0
1996
Fonte: James (2000)
1997
1998
1999
Riferendoci al mercato sementiero mondiale, secondo i dati FIS, è possibile
costatare come il fatturato del commercio delle sementi abbia una discreta concentrazione
in pochi Paesi, come USA, Cina, Giappone, Russia, Francia, Brasile e Germania, cui
spettano 16.270 milioni di dollari, pari al 54% del fatturato mondiale della vendita di
sementi (Tab. 18).
Relativamente al 1999, le stime valutano le vendite del mercato sementiero
transgenico attorno ai 3000 milioni di dollari, attribuibili nella maggior parte ai principali
Stati produttori di OGM, vale a dire USA, Argentina e Canada, una crescita del fatturato
del 40-53 per cento sull'
anno precedente, che rispecchia tra l'
altro l'
andamento sulla
diffusione dei prodotti transgenici; le stime per gli anni a venire, sempre in relazione al
grado di accettazione futura dei prodotti GM, descrivono uno scenario di tutta crescita del
fatturato sementiero transgenico che dovrebbe essere di circa 8000 di dollari per l'
anno
2005 per arrivare nel 2025 a circa 25000 milioni di dollari, ovvero entro il 2025 il
fatturato sementiero GM arriverà ad un valore prossimo a quello attuale mondiale.
Il mercato agro-chimico segue lo stesso andamento di quello sementiero,
relativamente ai prodotti GM, anche perché le tecniche di coltivazione di piante
geneticamente modificate fanno sì che vi sia una strettissima relazione tra questi due
mercati, in particolare per i prodotti del tipo HT: infatti, la peculiarità già accennata in
precedenza delle produzioni transgeniche è incentrata sulla stretta relazione di dipendenza
tra semi e prodotti chimici che è alla base del "pacchetto di produzione biotecnologica",
ad ogni seme un suo unico erbicida, una linea strategica tracciata dalle aziende produttrici
che dovrebbe proseguire negli anni, e che ha sollevato numerose critiche circa la possibile
distorsione che si verrebbe a crearsi sul livello di concorrenzialità nel mercato e, più in
generale, sulla capacità di controllo da parte delle multinazionali del settore nei confronti
sia degli agricoltori sia delle produzioni agricole.
Il commercio internazionale delle sementi agricole interessa principalmente alcune
tipologie di prodotti (Tab. 19) che, nella quasi totalità dei casi, interessano l'
industria
alimentare: infatti, dalla tabella 19 è possibile evidenziare come mais, patate, colture
erbacee e barbabietole abbiano un ruolo di prima importanza nel settore delle esportazioni
di sementi agricole. Tuttavia è evidente dai dati espressi come l'
intera industria alimentare
mondiale e quella agricola, intesa come produttrice di sementi e prodotti chimici, siano
molto attente all'
evoluzione dei prodotti transgenici, anche perché, come è stato detto in
Tab. 18 - Valore del commercio mondiale delle sementi agricole
(in milioni di dollari USA)
Stato
Mercato interno
Quota di mercato mondiale
USA
5700
19%
Cina
2500
8%
Giappone
2500
8%
Russia
2000
7%
Francia
1370
5%
Brasile
1200
5%
Germania
1000
3%
Totale
30000
55%
Fonte: FIS (1999)
Tab. 19 - Valore delle esportazioni mondiali di sementi
(in milioni di dollari USA)
Coltura
Esportazione di sementi
Mais
530
Colture erbacee
427
Patate
400
Grano
75
Barbabietole
308
Altro
1900
Totale
3640
Fonte: FIS (1999)
precedenza, le caratteristiche di modificazione per le piante GM attualmente disponibili
sul mercato sono indirizzate per lo più verso la produzione di piante che abbiano una certa
importanza nei processi produttivi industriali, e per converso tali modificazioni hanno
effetti quasi nulli circa una possibile Nuova Rivoluzione Verde che, dopo quella degli
anni sessanta che ha portato alla diffusione, spesso incontrollata, dei prodotti chimici in
agricoltura, possa risolvere i problemi degli agricoltori del Sud del mondo, certamente
non dovuti ad una mancanza di meccanizzazione nei processi produttivi.
II.12. Benefici economici apportati dalla coltivazione di piante transgeniche in
USA e Canada
I primi dati sulla redditività delle coltivazioni geneticamente modificate sono
relativi agli USA e al Canada che, in qualità di pionieri nella coltivazione di piante
transgeniche, hanno potuto contabilizzare i benefici apportati dalle prime coltivazioni
GM.
Di seguito saranno riportati i dati di contabilità relativi alle prime coltivazioni
transgeniche per fornire al lettore un quadro iniziale sugli effetti economici derivanti dalla
diffusione e commercializzazione degli Ogm, e che nel prossimo capitolo saranno
analizzati più in dettaglio, al fine di verificare la reale convenienza degli OGM per gli
agricoltori e per l'
agricoltura mondiale in generale, attraverso la comparazione di
produttività e redditività tra le varie colture GM e le loro corrispettive tradizionali.
I dati riportati nella Tab. 20 mostrano i benefici economici apportati dalle colture
transgeniche su 23.3 milioni di ettari, relativi al 1998, coltivati in USA e Canada. I dati
sono il risultato di un'
indagine effettuata dall'
Isaaa, tenendo conto della produzione totale,
della produttività e comprendono le variazioni di dipendenza dei campi coltivati dall'
uso
di agenti chimici, in particolare, essendo tutti i prodotti del tipo HT o IR tali prodotti
chimici, saranno essenzialmente diserbanti ed insetticidi.
Gli utili netti calcolati dipendono naturalmente dal tipo di coltura, dal grado di
infestazione e dalla localizzazione dei campi coltivati (tipologia dei terreni, clima e
ambiente circostante). I dati relativi al cotone BT prodotto in USA sono forniti all'
Isaaa
dall'
Istituto Falk-Zepeda, che fornisce oltre a dati consuntivi sulla produzione di cotone,
dati sulla distribuzione degli utili fra i vari componenti della filiera.
Tab. 20 - Stima dei benefici apportati dalle colture transgeniche in USA e
Canada
Coltura
1996
Area
Transgenica23
1997
Benefici24
Area
Transgenica
Benefici
USA
Soia HT
0.4
12
3.6
109
Mais BT
0.3
19
2.8
119
Cotone BT
0.7
128
1.0
133
Cotone HT
--
--
0.3
5
Totale USA
1.4
159
7.7
366
CANADA
Colza HT
0.1
5
1.2
48
Mais BT
<0.1
<1
0.1
5
Totale Canada
>0.1
5
1.3
53
Totale
3.8
164
21.7
419
Fonte: James (1998)
23
Le aree sono stimate in milioni di ettari
24
I benefici sono stimati in milioni di dollari USA
Lo studio stima che ad un utile netto di 128 milioni di dollari USA, relativi alla
produzione di cotone BT nel 1996 in USA, corrisponde un surplus economico del settore
pari a circa 240 milioni di dollari, dei quali il 53% (128 milioni di dollari) sono spettati
agli agricoltori, il 26% alle società fornitrici Monsanto e Delta & Pine Land, il 12% è
spettato ai consumatori statunitensi, ed il restante 9% è andato al resto del mondo come
surplus economico.
Benefici della soia HT in USA
I benefici ottenuti dalla coltivazione di soia HT negli Stati Uniti sono riconducibili
ad una diminuzione, per gli anni 1996-1997, dei prodotti chimici, la cui intensità varia tra
il 10 e il 40 per cento, con conseguente riduzione dell'
inquinamento dei terreni e delle
falde acquifere.
Dal punto di vista della performance economica della soia è da evidenziare un
incremento, sia nel 1996 sia nel 1997, delle rese dei campi di circa il 4,7%, il che si
traduce in un utile netto di circa 29,64$ per ettaro coltivato.
A livello di contabilità nazionale la performance della soia HT si riflette in un utile
nazionale netto di circa 12 milioni di dollari nel 1996, a fronte di 0.4 milioni di ettari
coltivati (1% della superficie nazionale coltivata con soia), e di 109 milioni di dollari nel
1997, conseguentemente ad una superficie coltivata pari a 3,6 milioni di ettari, 13% della
superficie nazionale (James, 1998).
Mais BT in USA e Canada
La principale miglioria apportata dal mais BT è stata, nel periodo 1996-1997,
quella di aver ridotto le perdite di raccolto causate dalla piralide attraverso l'
uso congiunto
di piante BT e insetti benefici.
La performance economica è stata di un aumento delle rese del 7% nel 1996 e del
9% nel 1997, con un ritorno di utile netto per ettaro di circa 67,30$ nel 1996 e 42,00$ nel
1997, equivalenti a livello di contabilità nazionale di circa 19 milioni di dollari nel 1996 e
119 nel 1997. Le mancate perdite provocate dalla piralide sono stimabili in circa un
miliardo di dollari per anno, cifra che può arrivare al 30% di perdite di raccolto in caso di
infestazioni gravi di cui sono affetti la metà dei campi statunitensi (15 milioni di ettari).
Per quanto riguarda la diffusione del mais BT è significativo considerare come si è
passati, tra il 1996 e il 1997, da circa 300 mila a 2,7 milioni di ettari coltivati, pari
rispettivamente all'
uno ed al 9% per cento della superficie nazionale (James, 1998).
Cotone BT in USA
I benefici apportati dalla coltivazione di cotone BT in USA sono da riferirsi al
maggior controllo delle infestazioni da insetti (principalmente nematodi), che ha portato
ad una riduzione di circa il 70% degli agenti chimici. Tale beneficio si è tradotto in un
utile netto nazionale di 128 milioni di dollari nel 1996 e 133 milioni nel 1997, in
conseguenza di un aumento delle rese di circa il 14% a fronte di una superficie coltivata
di 700 mila ettari nel 1996 (13% della superficie nazionale) e di un milione di ettari nel
1997 (17% della superficie nazionale).
Nel complesso è da considerare come nel 1998 la superficie destinata al cotone
transgenico è salita a 2 milioni di ettari, composti non solo da cotone BT, ma anche da
nuovi tipi di cotone GM come ad esempio il tipo HT e il tipo HT/BT (James, 1998).
Colza HT in Canada
La performance della colza HT, sempre in riferimento al biennio 1996-1997, è da
ricondurre alla diminuzione del 70% dei trattamenti erbicidi e ad un maggior controllo
delle infestazioni da parte di insetti congiuntamente ad una minor erosione del suolo.
Al livello economico la performance della colza si traduce in un aumento delle
rese di circa il 7,5% nei due anni considerati, con un utile netto di circa 39,19$ per ettaro
coltivato. A livello di contabilità nazionale l'
aumento delle rese e la diminuzione dei
trattamenti erbicidi si riflette in un valore degli utili di 12 milioni di dollari nel 1996 e 109
nel 1997, corrispondenti a circa 100 mila ettari coltivati nel 1996 (3% della superficie
nazionale) e 1.200 mila ettari nel 1997 (30% della superficie nazionale (James, 1998).
Considerazione sui valori aggregati
I dati, riportati in precedenza sulle performances delle prime piante Gm coltivate
in USA e Canada, mostrano come, nei soli due Paesi, l'
adozione di tali colture abbia
contribuito ad incrementare le rese agricole e a ridurre l'
uso di agenti chimici permettendo
di trarre da tali ottimizzazioni produttive ricavi per 164 milioni di dollari nel 1996 e per
419 milioni di dollari nel 1997, in relazione ad un’area coltivata di 3,8 e 21,7 milioni di
ettari rispettivamente per gli anni 1996 e 1997 (James, 1998).
L'
interpretazione dei dati forniti dall'
Isaaa permette in un primo momento di
cogliere gli aspetti economici positivi delle prime piante GM, ma, essendo i dati aggregati
per i singoli Stati o le singole colture, non permettono una migliore analisi a livello
disaggregato. Infatti, secondo uno studio commissionato dalla comunità europea
l'
aumento delle rese e la diminuzione degli agenti chimici sono validi solo a livello
nazionale, in quanto a livello sub-nazionale tali statistiche variano sensibilmente da Stato
a Stato, da terreno a terreno, anche in misura alquanto notevole (Commissione Europea,
2000), ma ciò verrà analizzato in dettaglio nel capitolo terzo.
I risultati dell'
indagine della Comunità Europea mostrano come possano essere
diverse le performances economiche degli OGM, se considerate ad un livello più
disaggregato di quello nazionale.
II.13. Area mondiale potenzialmente adatta alla diffusione delle colture
transgeniche
Considerando le principali colture transgeniche disponibili sul mercato è possibile
definire le aree potenzialmente destinate alle colture transgeniche, ovvero le aree che per
caratteristiche ambientali richiedono delle metodologie di coltivazione diverse da quelle
tradizionali: infatti, i prodotti disponili sul mercato sono orientati verso quelle produzioni
dislocate in territori dove malerbe ed insetti sono i principali fattori che determinano i
risultati della raccolta e della redditività agricola
L’area mondiale desinata alla coltivazione di mais, soia, colza e cotone a livello
mondiale ammonta a circa 271 milioni di ettari e complessivamente, le colture del tipo
Gm ne occupano il 16% (44,2 milioni di ettari). Relativamente alle singole colture, come
detto in precedenza, si evince come la soia con caratteristiche transgeniche sia la più
diffusa coprendo i 36% dell’area mondiale (nei soli USA più della metà dell’area
destinata alla soia è di tipo Gm), seguita da cotone, colza e mais, che rispettivamente
coprono il 16, 11 e 7 per cento delle corrispettive aree mondiali.
Interessante è considerare quali terreni, a livello mondiale, siano a potenziale
transgenico, al fine di individuare o meglio ipotizzare, il potenziale di diffusione di tali
colture.
Tab. 21 – Area mondiale a potenziale transgenico
(in milioni di ettari)
Area
Area
Area Gm
Quota Gm 1998 su
mondiale
potenziale
1998
potenziale
Soia HT
72
30
25,8
86%
Mais BT
140
49
6,8
14%
Cotone BT
34
11
1,5
14%
Colza HT
25
25
2,8
11%
Mais HT
140
60
2,1
3%
Totale
271
175
39
Coltura
Fonte: nostra elaborazione su dati James (1998 e 2000)
Sempre dalla tabella 21 è da rilevare come, soia a parte, lo sviluppo delle colture
transgeniche sia all’inizio (da tener conto che le varie legislazioni nazionali hanno molto
limitato la diffusione di piante GM, che, come detto in precedenza, sono attualmente
pertinenti solo ad alcuni Paesi). Osservando, poi, le singole colture differenziate per
tipologia di modificazione è evidente come la soia abbia un potenziale di diffusione assai
limitato coprendo circa l’86% della sua area potenziale, mentre le altre colture hanno
ancora un buon margine di diffusione.
Particolare che salta agli occhi dalla tabella 21 è che la colza, rispetto alle altre
colture, ha un potenziale transgenico equivalente a tutta la sua area, così come il mais ha
un potenziale transgenico di 109 milioni di ettari sui 140 totali suddivisi nelle due
tipologie BT e HT. Tra tutte le coltivazioni solo il cotone presenta un potenziale
transgenico pari ad un terzo della sua area.
La tabella 21 mostra tuttavia come, nel complesso, il reale potenziale di diffusione
delle colture Gm sia solo agli inizi, soprattutto se si tiene conto dei possibili sviluppi
futuri sia dei prodotti sia dei Paesi che potrebbero avvicinarsi a tali nuove coltivazioni. E’
da tener presente, inoltre, come le colture transgeniche sono disponibili sul mercato
mondiale solo dal 1996, e relativamente a quei Paesi che ne hanno consentito la
coltivazione in campo aperto: tutto ciò fa pensare che il futuro di tali produzioni sia
incerto, causa la mancata accettazione per ovvi motivi di precauzione.
Capitolo Terzo
LA COMPETITIVITA’ DELLE BIOTECNOLOGIE IN
AGRICOLTURA
III.1. Introduzione
Il fine principale del capitolo è descrivere la composizione delle funzioni di
produzioni connesse alle coltivazioni di piante GM, così come si presentano attualmente,
attraverso cui poterne definire il reale livello di competitività ed efficienza economica
rispetto alle colture tradizionali, attribuendo importanza anche al livello di sostenibilità e
convenienza nel lungo periodo sia per l’agricoltore sia per l’ambiente.
Le biotecnologie, in generale, non rappresentano solo un nuovo strumento
attraverso il quale è possibile rivoluzionare il settore agricolo, ma comportano anche un
nuovo modo di relazionarsi e concepire la natura25.
Il rapporto tra l’uomo e la natura che lo circonda è un rapporto che troppo spesso è
stato ignorato o considerato semplicemente non vincolante nel contesto delle analisi
economiche: ciò che in tale sede s’intende realizzare è quello di introdurre, in un contesto
puramente economico, il concetto di natura stessa, intesa come una variabile rilevante e
non eludibile.
Riuscire a verificare la reale convenienza economica degli Ogm in agricoltura
attraverso confronti e analisi contabili, o meglio analizzando le diversità nella struttura
produttiva e nei costi rispetto alle coltivazioni tradizionali, costituisce un punto
fondamentale per individuare la reale necessità di tale nuovo modo di produrre, dove,
anche se non direttamente incluso nel modello di analisi, la natura diviene parte integrante
della discussione e dell’analisi contestuale: la conseguenza di una tale posizione non
troverà un riscontro quantitativo nello studio che s’intende affrontare, come competerebbe
ad ogni elaborazione che voglia avere un carattere esclusivamente scientifico, ma il
25
Il concetto di natura è qui indicato come l’insieme delle specie ed in particolare tale concetto è considerato inscindibile
dall’azione dell’uomo.
concetto di convenienza degli Ogm sarà affrontato tenendo conto che le fondamenta del
discorso poggiano su di una virtuale analisi costi-benefici, che possa fungere da ago della
bilancia nel definire una produzione conveniente o meno rispetto ad un’altra, e la
conseguenza di una tale premessa sarà possibile rintracciarla nella definizione quantitativa
di ciò che è conveniente, ovvero sarà definito conveniente solo ciò che potrebbe cambiare
lo status quo, apportando significativi vantaggi (di convenienza per gli agricoltori, di
sicurezza alimentare e di tutela dell’ambiente), rapportati naturalmente ai costi (rischi)
connessi (in questo caso la salute umana, la natura, il settore agricolo e suoi operatori).
Nel prosieguo l’intento sarà quello di confrontare la struttura produttiva degli
Ogm con i corrispettivi tradizionali: si analizzeranno le diversità nella struttura dei costi e
nelle variazioni quantitative e qualitative degli inputs produttivi, nella redditività e nella
produttività dei sistemi a confronto. In un secondo momento si tenterà di verificare gli
effetti sulla natura, attraverso le variazioni quantitative e qualitative dei prodotti chimici
utilizzati nelle produzioni agricole (ovvero i costi sociali26).
III.2. Linea metodologica
Nel seguito del capitolo l’analisi, come precedentemente detto, verterà sulla
comparazione tra le coltivazioni transgeniche e le corrispettive tradizionali, rispetto alla
distribuzione dei costi e alle caratteristiche performanti, al fine di ottenere un quadro
sintetico sulla reale convenienza delle coltivazioni transgeniche.
I dati utilizzati sono provenienti da varie fonti con l’intento di dare
un’informazione più completa, ed allo stesso tempo più eterogenea rispetto alle
metodologie utilizzate; inoltre, un altro motivo per il quale si è preferito utilizzare più
fonti è quello di evidenziare come le differenti metodologie di rilevazione utilizzate
abbiano portato a risultati, a volte, estremamente contrastanti tra loro.
Le principali fonti utilizzate sono relative all’USDA (Dipartimento Statunitense
dell’Agricoltura) e al NCFAP (National Center for Food and Agricultural Policy), tramite
le elaborazioni di Carpenter e Gianessi, oltre all’indagine effettuata nel 2000 dalla
Comunità Europea sul fenomeno delle coltivazioni transgeniche.
26
Il termine sociale è riferito alla constatazione che i costi (rischi) non sono semplicemente a scapito della natura, intesa
come ambito separato dalla vita degli esseri umani, ma sono riferiti al fatto che dallo stato di salute della natura
dipende quella umana, e che comunque i possibili costi di un danno ambientale sono in fin dei conti a spese dell’uomo
e della società che dovrà porvi rimedio.
Le elaborazioni successive faranno riferimento alla soia, al cotone e al mais Gm
coltivato negli USA e alla colza canadese, scelti come coltivazioni di riferimento sia per il
numero di ettari coltivati sia per il numero di anni di esperienza degli agricoltori nella
coltivazione.
III.3. Le performances economiche della soia HT
Le analisi condotte sulla soia transgenica sono prevalentemente relative alla
tipologia HT, o meglio ancora alla tipologia Roundup Ready (RR) della società Monsanto
(ora Pharmacia), alla quale va attribuita una percentuale stimabile attorno all’80% della
soia transgenica HT attualmente coltivata (Commissione Europea, 2000).
Le ragioni che spingono i coltivatori ad utilizzare sementi GM sono
principalmente da ricondurre alla possibilità, a detta delle società produttrici, di
incrementare le rese congiuntamente ad una diminuzione dei costi di produzioni, tramite
la riduzione del quantitativo dei trattamenti chimici (sia in termini quantitativi per ettaro
sia in termini di numero di applicazioni per anno), con un conseguente aumento del valore
aggiunto delle coltivazioni.
Negli USA sono stati condotti vari studi per verificare l’effettiva resa della soia
HT, e tutti hanno evidenziato un risultato non atteso: le rese per ettaro della soia HT
risultano influenzate molto dal territorio e dalle caratteristiche ambientali dove viene
attuata la coltivazione, con una conseguente variabilità nelle rese stesse.
Le differenze riscontrabili nelle rese tra le varietà convenzionali e quelle
transgeniche mostrano come non sia possibile definire in modo univoco quale delle due
coltivazioni sia la più conveniente (dal punto di vista della produttività delle sementi).
Dalla tabella 22 è possibile verificare come la differenza nelle rese, delle due tipologie di
coltivazioni di soia, sia molto variabile da Stato a Stato (lo studio è rivolto al territorio
statunitense): infatti, la differenza delle rese, relativamente al 1998, tra le varietà
transgeniche e quelle tradizionali mostra come esse siano variabili tra un aumento del
3.5%, relativo allo stato dell’Illinois, ed una diminuzione del 12%, nel caso del Nebraska,
inoltre la medesima situazione è stata riscontrata nel 1999 dove si passa da un aumento
del 2%, sempre nell’Illinois, ad una diminuzione dell’11%, dell’Ohio.
La non uniformità delle differenze performanti riscontrata nelle rese della soia HT
sono relative non solo rispetto ai vari Stati USA, ma sono presenti anche all’interno
degli stessi: infatti, secondo Benbrook (1999), le rese, ad esempio, all’interno dello Stato
del Minnesota sono estremamente variabili, le differenze di resa tra la soia Gm e quella
convenzionale varia da un meno 18% del centro del Paese ad un meno 1% del nord, così
come nel Wisconsin dove, secondo i dati, la differenza tra soia GM e tradizionale non è
stata identificabile, ovvero è stata variabile da un aumento del 3% nel nord dello Stato ad
una diminuzione del 4% nel sud.
La tabella 22 mostra, non solo, come non sia possibile definire uno standard
performante univoco per le sementi geneticamente modificate rispetto ai corrispettivi
tradizionali, ma allo stesso tempo si evidenzia un fattore di rischio importante per gli
agricoltori: l’estrema variabilità nelle rese delle coltivazioni transgeniche rappresenta una
spinta repulsiva nell’adozione di piante GM. Tale variabilità nelle rese delle piante GM
costituisce un fattore di repulsione rispetto a tali colture da parte degli agricoltori, proprio
perché tali dati annullano il principale vantaggio dei prodotti transgenici, vale a dire un
aumento delle rese agricole congiuntamente ad una maggiore stabilità delle stesse.
Una delle principali caratteristiche delle coltivazioni Gm è quella di poter ridurre
gli agenti chimici utilizzati in agricoltura, in termini sia di quantità sia nel numero dei
trattamenti: ciò rappresenta uno dei punti di forza nella strategia promossa dalle
multinazionali del settore.
Nel caso della soia Roundup Ready della Monsanto la resistenza è relativa
all’erbicida Roundup della Monsanto stessa, basato sul glifosato. La tecnologia HT è il
risultato di uno studio condotto per anni dalle società biotech, vale a dire inventare una
pianta che abbia bisogno di un minor uso di erbicidi e che sia nel contempo resistente ad
esso.
La possibilità per gli agricoltori di coltivare una pianta, che resista ad un erbicida
non selettivo come il Roundup della Monsanto, rappresenta un notevole punto di forza
perché permette di ottenere una stabilità delle rese, conseguentemente al controllo delle
erbe infestanti: infatti, nelle coltivazioni soggette ad infestazioni di malerbe la possibilità
di ridurre al minimo tale infestazione permette, oltre al normale controllo delle rese, di
facilitare la coltivazione, di limitare la possibilità di perdite di raccolto, riducendo nel
contempo stesso il numero di trattamenti chimici, nella quantità totale e nel numero di
agenti chimici. Tale situazione permette di ridurre la quantità di lavoro nei campi, in
modo tale da ottenere al limite del ragionamento il completo controllo ed automazione del
ciclo produttivo.
Lo studio sulla funzione di produzione costituisce uno strumento fondamentale per
verificare la convenienza e la struttura produttiva associata alla coltivazione di soia HT.
Uno studio in tal senso è stato effettuato dall’Usda (Tab. 23) ed evidenzia alcune
peculiarità nella coltivazione di soia transgenica rispetto a quella tradizionale. Dalla
tabella 23, che riassume lo studio della funzione di produzione, i particolari che possono
essere evidenziati sono relativi alla mancata riduzione dei costi di produzione associati ad
una non stabilità delle rese per ettaro, le quali aumentano tra il +14% e il –10%.
L’adozione di soia HT non permette, allo stato attuale, di definire il livello di
convenienza del prodotto GM, relativamente all’ammontare dei costi per sementi ed
erbicidi: un particolare di rilievo è relativo alla composizione dei costi di produzione, ove
è riscontrabile uno spostamento dei costi dalle spese per gli erbicidi a quella per le
sementi, conseguenza della principale caratteristica dei prodotti GM, vale a dire che il
costo delle sementi comprende il technology fee27. Valori statisticamente significativi per
l’anno in considerazione, il 1997, sono relativi ad una netta diminuzione delle spese per
erbicidi e per il controllo delle malerbe, congiuntamente ad un aumento del costo delle
sementi, giustificato dalla presenza del brevetto.
Nel complesso dello studio è evidente come le principali differenze nella struttura
delle funzioni di produzione, associate alle due metodologie di coltivazione, sono relative
ad una diversa composizione dei costi (che non mostrano valori statisticamente uniformi
per le tre regioni) associata ad un’estrema variabilità delle rese. Le differenze nelle rese
relative al dato della regione dell’Heartland, è bene specificare, sono probabilmente
attribuibili al fatto che in tale regione viene prodotto il 70% della soia statunitense,
dunque è probabile che la maggiore resa sia attribuibile ad una maggiore attitudine alla
coltivazione o ad un migliore sfruttamento delle economie di scala.
Le maggiori differenze nella struttura dei costi sono relative alle spese per gli
erbicidi e al costo dei semi: è da rilevare che il costo del programma Roundup è stato di
36,6€ per ettaro rispetto ai 29,8€ della varietà convenzionale con trattamento pre-semina,
o ai 55,2€ per le altre tecniche di controllo degli infestanti (Commissione Europea, 2000).
27
Il technology fee è la parte del prezzo della semente spettante al detentore del brevetto, che, di fatto, costituisce un
costo aggiuntivo associato al contenuto tecnologico della stessa e che si aggira attorno al 30% del costo totale.
Tab. 22 – Rese della coltivazione della soia
Stato
Differenze
Rese 1998 (ton/ettaro)
Convenzionale
(RR-Convenzionale)
Roundup Ready
1998
1999
Illinois
3.90
4.40
+3%
+2%
Iowa
4.10
3.83
-7%
-5%
Michigan
4.44
4.30
-3%
+1%
Minnesota
4.44
4.10
-8%
-9%
Nebraska
3.90
3.43
-12%
-3%
Ohio
4.04
3.90
-3%
-11%
Sud Dakota
3.30
2.96
-10%
-6%
Wisconsin
4.77
4.64
-3%
0%
Fonte: Carpenter (2001)
Tab. 23 – Funzione di produzione delle coltivazioni di soia per regioni, 1997
(dollari USA per acro)
Heartland
Ogm
Non-Ogm
Mississippi Portal
Southern Seaboard
Ogm
Ogm
Non-Ogm
Non-Ogm
Valore produzione
330.80
287.88
204.80
225.78
239.63
205.68
Semi
30.03
17.70
26.78
14.96
29.43
15.74
Erbicidi
19.20
28.16
20.61
28.15
12.54
24.64
2.88
3.34
3.57
3.91
2.20
2.83
0.45
0.29
0.21
0.60
1.12
0.69
0.31
1.27
0.38
1.35
0.28
1.04
Costi totali
52.87
50.75
51.54
48.96
45.56
44.94
Valore aggiunto
277.93
237.12
153.26
176.82
194.07
160.74
Applicazione
erbicidi
Gestione malerbe
Coltivazione
malerbe
Fonte: USDA (2000)
86
Secondo le stime Furman & Selz la riduzione degli erbicidi, a seguito delle
coltivazioni di soia RR, è variabile tra i 33€ e i 35€ per acro.
Nella spesa per le sementi un peso di rilievo è dovuto al costo del technology fee
che, di fatto, fa registrare incrementi nel prezzo delle sementi di circa 15€ per ettaro
(Commissione Europea, 2000). Uno studio condotto da Duffy nel 1999 (riportato sul
documento della Commissione Europea) mostra come, escludendo i fattori di produzione
terra e lavoro, la riduzione dei costi connessi alla coltivazione di soia transgenica HT
(8%) sia stata annullata da una maggiore resa della varietà convenzionale.
Allo stato attuale esistono numerosi studi per la verifica del potenziale produttivo
e agronomico della coltivazione di soia HT, e tutte presentano i medesimi risultati, vale a
dire che le prime generazioni di soia transgenica non hanno apportato un significativo
aumento della redditività degli agricoltori: l’unica modificazione per gli agricoltori è una
diversa struttura dei costi associata alla coltivazione e, come sarà in seguito illustrato,
tutto ciò è il risultato di una vera e propria politica del brevetto e del pacchetto
tecnologico che tende sostanzialmente aumentare la dipendenza della redditività agricola
dal fattore capitale, ovvero dal pacchetto tecnologico.
III.4. Le performances economiche del mais BT
La coltivazione del mais è soggetta ad infestazioni parassitarie più di altre colture,
di qui la ricerca delle società biotecnologiche è stata indirizzata verso la creazione di
piante che resistessero maggiormente agli attacchi da parte degli insetti come la piralide,
che molto spesso compromettono i raccolti, risultando un fattore determinante nella
determinazione della redditività della coltivazione stessa.
La principale tecnologia utilizzata, e che più tra le altre ha riscosso interesse da
parte degli agricoltori, è stata quella BT basata su di un gene che rende la pianta del mais
più resistente agli attacchi degli insetti grazie all’autoproduzione di insetticida (la tossina
BT transgenica appunto).
L’interesse suscitato dagli agricoltori verso tale tecnologia risiede nella possibilità
di ridurre il rischio di perdita del raccolto congiuntamente alla possibilità di ridurre e
facilitare le applicazioni antiparassitarie, giacché l’insetticida è prodotto dalla pianta
stessa.
87
Un particolare di rilievo nella coltivazione del mais, ed in particolare nelle
infestazioni che interessano tale coltivazione, risiede nella constatazione che tali
infestazioni hanno carattere ciclico, dunque la convenienza dei prodotti transgenici in tale
coltivazione è influenzata notevolmente dal periodo di rilevazione (bassa, alta o media
infestazione). Il carattere ciclico delle infestazioni ha fatto sì che la diffusione delle piante
di mais BT sia stata influenzata dal ciclo: infatti, secondo i dati forniti dall’Isaaa, la
diminuzione dei campi coltivati, con prodotti come il mais YieldGard della Monsanto, è
dovuta essenzialmente alla constatazione, da parte degli agricoltori che in periodi di bassa
infestazione non sia conveniente utilizzare prodotti transgenici come il mais BT; inoltre,
questa volta a definire convenienti o meno gli Ogm sono gli stessi agricoltori e non gli
istituti di rilevazione che, di fatto, dichiarano i limiti delle colture GM rispetto a quelle
tradizionali.
Le analisi empiriche riportate nella tabella 24 mostrano come l’andamento del
guadagno netto per il mais BT siano notevolmente influenzato dall’anno di rilevazione:
infatti, si passa da un guadagno aggregato, rispetto alle colture tradizionali, di 89 milioni
di dollari del 1997 a perdite di 26 e 35 milioni di dollari per gli anni 1998 e 1999, valore
che deriva soprattutto da un minor vantaggio nelle rese dei campi, il quale diminuisce da
11,7 a 3,3 bushel/acro nel periodo 1997-1999, come desumibile dalla tabella 2528, con un
guadagno medio netto che varia tra i 18$ per acro nel 1997 ad una perdita di 1.81$ e
1.73$ per i due anni successivi. La tabella 25 mostra come l’andamento delle infestazioni
incida notevolmente sulle qualità performanti del mais BT: infatti, seguendo le tabelle in
base all’anno è evidente che il technology fee ha un peso rilevante nei costi di produzione
e tende a diminuire al decrescere del livello di infestazione così come diminuisce il prezzo
del mais per bushel per la diminuzione dei rischi connessi alle infestazioni, evidenziando
una politica del brevetto attuata attraverso il technology fee.
Nella tabella 26 fornita dalla Commissione Europea, su dati Furman e Selz, si
evidenzia, in modo marcato, come il livello di infestazione influenzi notevolmente sia la
resa sia la convenienza nell’adottare sementi del tipo BT a parità di prezzo del mais, dove
è evidente il passaggio del guadagno netto, per aver utilizzato mais BT, da 24,5 €, nei
periodi di bassa infestazione, fino a 163,5€, in quelli di alta.
28
Il 1997 rappresenta dal punto di vista delle infestazioni l’anno di maggiore impatto.
88
Tab. 24 – Costi e benefici aggregati per il mais BT 1997-1999
(in milioni di dollari USA)
Costi
Benefici
Guadagno netto
(valori espressi in milioni di $)
1997
47
136
89
1998
144
118
-26
1999
161
126
-35
Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)
Tab. 25 – Incremento delle rese e prezzo del mais BT nel periodo 1997-1999
Bushels/acro
Costo del bushel
Technology fee
1997
11.7
2.43
10$
1998
4.2
1.95
10$
1999
3.3
1.90
8$
Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)
89
Le stime della funzione di produzione per la coltivazione di mais BT sono state
effettuate con diverse metodologie: la prima di Carpenter e Gianessi, ove i benefici delle
colture transgeniche sono stati stimati solo in base all’impatto del prezzo delle sementi nei
costi di produzione, ed una più completa ed esaustiva effettuata da Duffy, che comprende
tutte le variazioni nei costi del mais BT, anche se entrambe non mettono in rilievo le
possibili variazioni nel costo del capitale umano e del capitale terra che, in tali produzioni
intensive, possono essere diminuite attraverso la meccanizzazione dei processi produttivi.
La tabella 27 fornisce stime molto differenti sulla convenienza o meno nella
coltivazione di mais BT: infatti, oltre al fattore infestazione è evidente che il tipo di stima
effettuato sulla funzione di produzione incide notevolmente sul risultato finale.
Secondo le stime di Duffy, che da un punto di vista metodologico sembrano essere
le più esaustive e corrette, la maggiore redditività delle coltivazioni di mais BT è
misurabile attorno ai 9€ per ettaro, una stima, questa, che mostra come l’adozione di tale
mais non sia molto più redditizia della varietà convenzionale, in particolare nei periodi
ritenuti, dal punto di vista delle infestazioni, non pericolosi, come ad esempio l’anno
1998.
La principale caratteristica del mais BT dovrebbe essere rintracciabile nella
riduzione di insetticidi come componente principale nei costi di produzione, ma secondo
le stime di Duffy la riduzione di tale componente risulta essere molto modesta in termini
monetari (1.3 € per ettaro), inoltre l’adozione del mais di tipo BT comporta un maggior
costo per i fertilizzanti (11.1 € per ettaro) ed una maggior spesa per il controllo delle
malerbe (6.2 € per ettaro).
Nel complesso l’adozione di mais BT nelle coltivazioni statunitensi negli anni
considerati (che come precisato sono gli anni in cui sono più convenienti, ovvero di alta
infestazione) non ha avuto le caratteristiche performanti sperate ed annunciate o
comunque il maggior reddito derivante è molto basso, soprattutto tenendo conto delle
limitazioni sui brevetti, i quali saranno affrontati successivamente.
III.5. Le performances economiche della canola HT
La canola è un particolare tipo di colza coltivata principalmente in Canada ed è
destinata ad uso principalmente industriale (alimentari e non).
90
Tab. 26 – Convenienza del mais BT secondo il livello di infestazione
Grado di infestazione
Perdite29
Bassa
Media
Alta
5%
10%
20%
Prezzo
€/ton
98.4
98.4
98.4
Maggiori Rese
ton/ettaro
0.471
0.941
1.883
Costi addizionali
€/ettaro
21.8
21.8
21.8
Guadagno netto
€/ettaro
24.5
70.9
163.5
Fonte: elaborazione Commissione Europea (2000)
Tab. 27 – Funzione di produzione per la coltivazione del mais BT
Carpenter & Gianessi
1997
1998
1998
Prezzo
€/ton
84.5
68.6
66.8
Maggiore Resa
ton/ettaro
0.73
0.26
0.80
Ricavo Aggiuntivo
€/ettaro
62.0
18.1
53.2
Sementi
€/ettaro
21.8
22.1
21.3
Insetticida
€/ettaro
Malerbe e altro
€/ettaro
13.4
Fertilizzanti
€/ettaro
11.1
Guadagno netto
€/ettaro
Non disponibile
40.20
Fonte: elaborazione Commissione Europea (2000)
29
Duffy
Le perdite sono calcolate in base all’assenza di trattamento.
-3.99
-1.3
8.8
91
Le caratteristiche desiderate per le piante di colza sono il basso contenuto di acido
erucico nell’olio, di acido glucosinolato negli alimenti o un contenuto più alto di acido
laurilico.
Tali caratteristiche desiderate per la coltivazione di canola sono state ottenute fino
ad oggi grazie alla selezione naturale, anche se negli ultimi anni la diffusione di tecniche
transgeniche sembra aver preso il sopravvento.
In Canada la coltivazione della canola è cresciuta notevolmente negli ultimi venti
anni (Commissione Europea, 2000) e, attualmente, rappresenta la terza coltivazione
nazionale. Nello Stato canadese le regioni interessate alla coltivazione della canola sono
essenzialmente tre (Alberta, Manitoba e Saskatchewan), che nel complesso producono il
98% della canola nazionale. La diffusione della varietà transgenica, esclusivamente del
tipo HT, è stata molto rapida: infatti, dalle prime coltivazioni nel 1996 che fornivano solo
il 4% della produzione nazionale si è passati, nel 1999, ad una produzione che ne fornisce
il 69% (Fulton e Keywoski, 1999).
Le varietà di canola Gm attualmente più diffuse sono la Roundup Ready della
Monsanto, resistente al glifosato e la Liberty Link della AgrEvo (Aventis), resistente al
glufosinato ammonio.
La coltivazione della canola mostra, rispetto ad altre, una stretta correlazione, per
ciò che concerne la resa e i costi di produzione, con il tipo di terreno coltivato e con il tipo
di canola coltivata.
La maggior parte delle elaborazioni effettuate, per verificare la convenienza o
meno nell’uso di piante GM, mostra come non sia possibile definire uno standard
performante univoco, tale da indicare quale tra le due tipologie di coltivazione sia la più
conveniente o la più redditizia per gli agricoltori.
I problemi riscontrati dagli agricoltori nella coltivazione della canola transgenica
del tipo HT sono stati principalmente riconducibili a tre fattori determinanti:
1. Attualmente i coltivatori canadesi trovano difficoltà a commercializzare il
loro prodotto nella Comunità Europea (loro principale acquirente).
2. Negli ultimi anni si sono moltiplicati casi di impollinazione incrociata non
voluta tra varietà tradizionali e GM con il conseguente inquinamento
ambientale e ricadute legali ed economiche sugli agricoltori, che, di fatto,
92
hanno messo in allarme sia i gruppi ambientalisti sia gli stessi agricoltori
“inquinati”30.
3. Gli agricoltori nel biennio 1999-2000 hanno evidenziato delle diseconomie
dovute alla concentrazione delle industrie sementiere e chimiche, che
attraverso la regolamentazione dei brevetti dispongono di un alto controllo
sulla produzione, ed infine hanno evidenziato come ad un aumento della
produzione connessa alle coltivazioni di canola Gm sia corrisposta una
diminuzione del prezzo sul mercato internazionale che, di fatto, ha
annullato i benefici apportati da tali nuove metodologie.
Oltre alle difficoltà e alle perplessità suscitate dagli agricoltori canadesi circa la
convenienza nell’adozione di piante GM, lo studio effettuato da Fulton e Keywoski
evidenzia come la redditività della coltivazioni sia strettamente dipendente sia dal terreno
sia dalle capacità imprenditoriali degli agricoltori (capacità che derivano essenzialmente
dall’esperienza nella coltivazione e dall’insieme di tecnologie utilizzate).
Le caratteristiche aggiuntive della canola HT, essenzialmente del tipo Roundup
Ready della Monsanto, sono da collegarsi al fatto che attraverso tale metodologia è
possibile avere un maggior controllo delle erbe infestanti tramite un erbicida non selettivo
come il Roundup (il cui brevetto fino all’anno 2000 è di proprietà della Monsanto stessa):
infatti, nella coltivazione delle varietà convenzionale la canola necessita di due
trattamenti, prima e dopo la semina, per il controllo degli infestanti, e in tal senso la
tecnologia Roundup Ready rappresenta un punto di forza nella possibilità di ridurre i costi
di produzione in termini di energia e lavoro, oltre che ad una riduzione degli agenti
chimici.
La coltivazione di canola Gm offre agli agricoltori una maggior flessibilità della
coltivazione attraverso un maggior controllo delle infestazioni, riducendo i costi del
controllo attraverso gli erbicidi non selettivi.
Le argomentazioni successive faranno riferimento ai due principali studi effettuati
al fine di verificare il livello di convenienza nell’adozione di piante Gm nella coltivazione
di canola: il primo è una simulazione effettuata nella provincia di Alberta (che come
30
Nella regione del Saskatchewan un agricoltore, Percy Schmeiser, è stato costretto a “restituire” le sementi ottenute
dopo il raccolto, necessarie alla successiva semina, alla Monsanto che ne aveva richiesto la proprietà e la titolarità del
brevetto: l’agricoltore era stato riconosciuto “reo perché la sua coltivazione era stata inquinata” da una coltivazione
transgenica adiacente, causa un’impollinazione indiretta, e costretto a pagare un’ammenda di 85.000$.
93
precedentemente detto è una delle regioni più interessate alla coltivazione di canola in
Canada) ed è basata sulla comparazione tra coltivazioni tradizionali e GM mettendo in
evidenza anche il fattore terreno come variabile determinate; l’altro è un modello,
costruito da Fulton e Keywoski, che propone una comparazione sulla struttura dei costi e
sui ricavi tra le principali coltivazioni di canola diffuse.
Le comparazioni, nello studio della provincia di Alberta, mettono in evidenza le
differenti strutture nei costi e nelle rese delle principali varietà di canola coltivate (Gm e
non) rispetto al tipo di terreno utilizzato (black e brown).
Le varietà di canola considerate si differenziano per la resistenza alle condizioni
climatiche, ed esse sono: la canola “Argentina” che ha una buona resa per ettaro in
condizioni climatiche non rigide, la canola “Polacca” resistente al freddo ma vulnerabile
alle malattie, e la canola HT del tipo Roundup Ready della Monsanto. La canola
“Argentina”, è da dire, generalmente ha una maggior resa rispetto alla varietà “Polacca”.
L’analisi comparativa effettuata dalla provincia di Alberta, riportata nella tabella
28, evidenzia come, nel complesso, le varietà coltivate su terreni del tipo Dark Brown
hanno una minore redditività, dovuta essenzialmente alle minori alle rese.
Nei terreni del tipo Dark Brown non vi è stata rilevata una sostanziale differenza
nelle rese e nei costi, variabili e non, ma allo stesso tempo il maggior ricavo lordo è
attribuibile ad una maggiore entrata dalle assicurazioni (+29€/ettaro), che, di fatto, annulla
il vantaggio sui ricavi dalle vendite riscontrabile per la varietà Argentina.
Nei terreni del tipo Black vi è stata una differenza nella struttura dei costi e delle
performances agronomiche. Dal punto di vista delle rese, escludendo la varietà Polacca
(nella quale si è evidenziata una minor convenienza, che rispecchia la caratteristica di tale
canola di essere adatta a particolari condizioni climatiche), è da riportare come la varietà
Argentina abbia avuto una maggior resa rispetto alla varietà transgenica HT, ma, nel
contempo, nella varietà transgenica si è evidenziata una riduzione dei costi attribuibile
essenzialmente ad una riduzione dei costi da capitale e dei costi per i prodotti chimici,
nonostante vi sia stata una maggiorazione nel prezzo delle sementi attribuibile al
technology fee. Dal punto di vista del margine lordo, grazie alla maggior resa per ettaro, la
varietà Argentina rimane in ogni modo la più conveniente per gli agricoltori.
94
Tab. 28 – Costi e ricavi per differenti varietà di canola
(in €/Ettaro)
Tipo di terreno
Terreno Black
Terreno Dark Brown
Tipo di canola
HT
Argentina
Polacca
HT
Argentina
Ricavo lordo
342
379
307
278
259
Entrate vendite
328
353
296
240
255
7
5
0
29
0
6
21
11
9
5
182
190
185
181
184
Sementi
36
18
36
27
21
Fertilizzanti
42
44
43
36
48
Chimici
32
51
25
31
35
Costi da capitale
75
92
102
66
63
Costi totali
257
281
287
248
247
Margine lordo
131
163
76
84
48
Resa (bu/ha)
67
71
59
50
53
Entrate
assicurazioni
Altri ricavi
Costi variabili
Di cui:
Fonte: Commissione Europea (2000)
95
Nel complesso, la redditività della varietà Argentina è maggiore rispetto a quella
HT di circa 13€ per ettaro (Ricavi lordi meno costi totali). La sostanziale differenza
riscontrabile tra le due varietà risiede principalmente nei costi da capitale, evidenziando in
tal senso un minor costo del lavoro e dell’energia nel processo produttivo transgenico.
La tabella 29 illustra un modello di comparazione tra differenti varietà di canola,
escludendo il fattore terra e lavoro. Le varietà sottoposte alla comparazione della struttura
produttività, dallo studio di Fulton e Keywoski, sono la colza transgenica HT Roundup
Ready della Monsanto, la Smart Open Pol, la Liberty Hybrid della AgrEvo (Aventis) e la
Conventional Pol. Le differenze ricavabili dalla tabella 29 sono relative ad un minor costo
di produzione per la varietà HT Roundup Ready della Monsanto, attribuibile ad un minor
costo per gli erbicidi (tra i 17.75 e i 25 dollari per acro), nonostante vi sia stata una
maggiorazione nei costi delle sementi (circa 5,33$ per acro) ed al costo (15 € per acro)
della licenza brevettale, attribuibile al technology fee. La riduzione dei costi nella
coltivazione della varietà HT Roundup Ready varia tra gli 8,80$ per acro rispetto alla
varietà Liberty Hybrid (che però necessita di un minor quantitativo di sementi per acro di
0,5 libbre, rispetto ai normali 5 libbre per acro) e 4,77$ per acro rispetto alla varietà
convenzionale (Conventional Open Pol).
Nel complesso i maggiori ricavi attribuibili alla varietà convenzionale si aggirano
tra i 29,62$ rispetto alla varietà Smart Open Pol e i 4,03$ della varietà Liberty Hybrid,
sempre per acro, mentre la maggior resa della varietà convenzionale è stimabile tra i 4,2
bushel per acro rispetto alla varietà Smart Open Pol e i 2,7 bushel per acro rispetto alla
varietà Roundup Ready, mentre non vi è differenza rispetto alla varietà Liberty Hybrid.
I ricavi lordi sono tutti a favore della varietà convenzionale, che permette, oltre ad
un maggior ricavo e ad una maggiore resa, di conservare le sementi per l’anno successivo.
L’impossibilità da parte degli agricoltori di conservare le sementi per l’anno
successivo e la presenza del technology fee (che varia nel complesso tra i 20,23$ e 26,28$
per acro) pone gli agricoltori in condizione di rinunciare alle nuove metodologie, in
quanto la dipendenza nei confronti dell’industria fornitrice degli inputs produttivi e la
perdita di capacità manageriale agricola (caratteristica fondamentale nella coltivazione
della canola) rappresentano un motivo di avversione.
96
Tab. 29 – Comparazione della struttura produttiva
tra la canola convenzionale e quelle GM
(in dollari USA)
Roundup
Smart Open
Liberty
Conventional
Ready31
Pol32
Hybrid33
Open Pol
Costi
38.70
44.90
47.50
43.47
Sementi ($/acro)
18.70
18.70
24.75
13.47
Erbicidi ($/acro)
5.00
26.20
22.75
30.00
TUA ($/acro)
15.00
0.00
0.00
0.00
Rese (bu/acro)
33.0
31.5
35.7
35.7
Prezzo ($/bu)
8.00
8.00
8.00
8.00
264.00
252.00
285.60
285.60
225.30
213.75
238.10
242.13
Ricavo Atteso
($/acro)
Ricavo Lordo
($/acro)
Fonte: Fulton e Keywoski (1999)
31
La varietà Roundup Ready copre una superficie coltivata pari al 57% della colza Gm canadese.
32
La varietà Smart Open Pol copre una superficie coltivata pari al 24% della colza Gm canadese.
33
La varietà Liberty Hybrid copre una superficie coltivata pari al 18% della colza Gm canadese.
97
I dati comparativi riguardo alla coltivazione di canola in Canada mostrano come,
attualmente, non sia possibile determinare il grado di maggiore profittabilità dei prodotti
geneticamente modificati, in quanto, come detto in precedenza, la coltivazione di tale
pianta richiede un apporto di esperienza maggiore rispetto alle altre colture e, allo stesso
tempo, il grado di convenienza nell’adozione deve tener presente della quota di agricoltori
che utilizzano prodotti convenzionali non ibridi, i quali permettono loro di conservare le
sementi degli anni precedenti per ricominciare il ciclo produttivo di anno in anno.
Tuttavia, l’analisi della funzione di produzione evidenzia come la riduzione dei
costi nell’applicazione di chimici sia stata vanificata dalla presenza della maggiorazione
del prezzo nelle sementi e dal technology fee, come conseguenza della brevettabilità delle
varietà transgeniche.
III.6. Le performances economiche del cotone transgenico
Le principali modificazioni genetiche richieste per il cotone sono relative alle
metodologie IR (resistenza agli insetti) e HT (dove la tecnologia Roundup Ready della
Monsanto è la più diffusa), alle quali vanno attribuite rispettivamente il 39 e 54 per cento
dell’area statunitense (ovvero il maggior produttore mondiale per tale coltura) destinata a
tale coltura nell’anno 2000, inoltre molto diffusa è una combinazione delle due
tecnologie, ovvero il cotone HT/IR che attualmente copre il 28 per cento della superficie
USA destinata a cotone.
La principale evidenza empirica rilevata per il cotone BT è relativa alla
diminuzione degli agenti chimici (in numero e quantità per trattamento), congiuntamente
ad una minor perdita del raccolto causata dalle infestazioni. Secondo l’USDA tra il 1995 e
il 1999 l’uso di insetticidi nelle piantagioni di cotone è diminuito di 2.7 milioni di pounds,
ovvero il 14 per cento del totale degli erbicidi per gli Stati considerati, cui corrisponde una
diminuzione nel numero di trattamenti34 per anno di circa 15 milioni, ovvero una
diminuzione del 22%. La riduzione degli insetticidi e il maggior controllo degli insetti
infestanti conseguente, ha permesso di ottenere in cinque Stati esaminati su sette (Tab. 30)
un incremento dei ricavi netti, che in media sono stati di 20,81$ per acro, comprendente il
technology fee. Allo stesso tempo il costo per il controllo degli insetti infestanti è
aumentato 14,28 $ per acro e, in media, si è registrato un aumento delle rese del 9%, che
34
Il numero di trattamenti tiene conto anche del numero d’ingredienti per trattamento.
98
Tab. 30 – Applicazioni degli insetticidi sul cotone BT e su quello
convenzionale (1999)
Arizona
Totale
Louisiana
Tennessee
BT
Conv.
BT
Conv.
BT
Conv.
1.6
2.5
7.3
7.8
6.8
6.6
Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)
Tab. 31 – Comparazione tra il cotone BT e quello convenzionale35
Studio
Stato
Costi per il
controllo degli
Produzione di Ricavo lordo Ricavo netto
garza
insetti
$/acro
%
$/acro
$/acro
Cooke
MS
11.19
2
18.67
1.23
Karner
OK
16.47
19
77.50
40.06
Reed
MS
14.66
12
39.52
24.86
Steward
TN
19.00
3
10.20
(9.00)
Mullins
AR, AL,
6.46
7
37.20
31.12
17.89
10
53.89
36.61
14.28
9
39.50
20.81
MS, LA
West TX
Media
Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)
35
I costi, la produzione e i ricavi sono calcolati come differenze tra il cotone BT e quello convenzionale.
99
nel complesso ha permesso di ottenere nel 1999 un aumento complessivo della
produzione di cotone di circa 260 milioni di libbre, equivalenti a 99 milioni di dollari
(Carpenter e Gianessi, 2001).
Un particolare interessante rilevabile nelle tabelle 30 e 31 è relativo ad un
fenomeno che sembra essere caratteristico degli Ogm, vale a dire che la maggiore resa è
molto variabile ed inoltre non vi è stata, corrispondentemente alla riduzione degli
insetticidi, una diminuzione proporzionale dei costi degli insetticidi stessi, molto
probabilmente perché la riduzione dei prodotti chimici è compensata da un aumento del
costo delle sementi, che, di fatto, lo comprendono. Nel complesso è evidente come la
maggior parte delle caratteristiche desiderate dal cotone BT (riduzione dei costi per
insetticidi) sia stata controbilanciata dall’aumento del costo delle sementi.
Il cotone Gm del tipo HT è il più diffuso tra quelli Gm in USA, in particolare la
varietà Roundup Ready. La caratteristica principale di tale cotone è rappresentata dalla
resistenza all’erbicida Roundup della Monsanto a base di glifosato (un erbicida non
selettivo), anche se negli ultimi anni la varietà resistente al Bromoxynil sembra ottenere
dei buoni risultati.
Recenti studi affermano che la varietà Roundup Ready della Monsanto presenta
alcuni inconvenienti, in quanto sembra non essere perfettamente tollerante al glifosato,
attraverso l’erbicida Roundup (Carpenter e Gianessi, 2001).
I costi di un normale programma di controllo per il cotone richiede circa 44$ per
acro, mentre il programma Roundup Ready ha un costo variabile tra i 23 e i 47 dollari per
acro, secondo il numero di applicazioni e del tipo di trattamento, compreso il costo del
technology fee, pari circa a 8$ per acro (Carpenter e Gianessi, 2001).
La tabella 33 mostra le differenze nei ricavi netti per le diverse coltivazioni di
cotone secondo il tipo di trattamento utilizzato, mettendo in evidenza come il cotone GM
fornisca un maggior ricavo rispetto alla varietà convenzionale, nonostante le differenze
nelle rese siano molto più limitate e variabili (Tab. 32). La differenza nei ricavi tiene
conto anche della qualità del prodotto ottenuto.
La maggiore innovazione del cotone HT risiede nell’aver diminuito il quantitativo
di erbicidi nelle coltivazioni: si è passati dal programma convenzionale che prevedeva da
5,5 a 9 libbre per acro, a programmi come il Roundup Ready che prevedono circa 2.754.5 libbre per acro, o programmi basati sul Bromoxynil che prevedono un quantitativo di
100
Tab. 32 – Rese medie delle differenti varietà di cotone (1997-1998)
Programma di controllo degli
Produzione relativa al programma
infestanti
convenzionale
Convenzionale
100%
Staple
95%
BXN-Buctril
93%
RR-conv.+1xRU
101%
RR-Teflan/RU
102%
RR-RU
96%
RR-RU/Bladex+MSMA
93%
Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)
Tab. 33 – Comparazione dei ricavi netti per le differenti varietà di cotone, 1998
(Dollari per acro)
Tennessee
Louisiana
Programma
Ricavo netto
Ricavo netto
RR-conv.+1xRU
636
546
RR-Teflan/RU
636
536
RR-RU
569
508
Convenzionale
541
522
RR-RU/Bladex+MSMA
535
556
BXN-Buctril
494
668
Staple
491
559
Fonte: Carpenter e Gianessi (2001)
101
erbicidi pari a 2.8-4.45 libbre per acro, con una riduzione globale dal 1995 al 1999 di
circa 1.3 milioni di applicazioni annue.
La riduzione dell’uso degli erbicidi, in termini di quantità e numero, secondo
l’USDA è da attribuire alla principale caratteristica dell’erbicida Roundup, ovvero di
essere un erbicida ad ampio spettro, capace di agire su tutte le malerbe senza intaccare la
pianta coltivata.
III.7. La riduzione dei prodotti chimici
Le metodologie finora sviluppate nell’ambito delle biotecnologie sono state, nella
maggior parte, indirizzate verso la possibilità di ridurre le perdite (o aumentare le rese dei
campi) attraverso un miglior controllo delle malerbe (HT) e degli insetti infestanti (IR).
Negli ultimi anni la ricerca di prodotti chimici e non, al fine di ottenere una
produzione più eco-compatibile, ha suscitato molto interesse da parte di tutti gli ”attori”
del settore, dagli istituti di ricerca ai gruppi ambientalisti.
Le biotecnologie, in tal senso, agli inizi erano state promosse e pubblicizzate dalle
società produttrici come un possibile rimedio al dissesto ambientale e come mezzo di
produzione eco-compatibile attraverso cui si sarebbero potuti ottenere prodotti più sani e
nutrienti e nel contempo si sarebbero potute migliorare le condizioni di lavoro degli
agricoltori, che dalla Rivoluzione Verde degli anni settanta avevano visto peggiorare la
loro situazione di salute in relazione al maggior uso di agenti chimici.
Da un punto di vista strettamente quantitativo e qualitativo, le necessità messe in
rilievo dai gruppi ambientalisti e da vari istituti di ricerca erano rappresentate dalla ricerca
di prodotti chimici meno nocivi (per l’uomo e per l’ambiente) congiuntamente ad un
minor quantitativo di erbicidi per ettaro da applicare sui campi.
Le varietà biotecnologiche del mais BT hanno avuto un effetto sull’uso degli
insetticidi molto limitato, in quanto, come afferma l’USDA, l’uso di insetticidi nella
coltivazione di mais, ed in generale in tutte le coltivazioni soggette ad infestazioni da
parte di insetti, non può essere oggetto di uno studio accurato sui quantitativi per ettaro.
Infatti, prima dell’adozione dei prodotti BT, gli insetticidi usati per combattere l’ECB
(European Corn Borer) erano pochi e presentavano caratteristiche che rendevano la
ricerca e la lotta alle infestazioni quasi vane:
102
•
In primo luogo, gli insetticidi prima usati erano ad ampio spettro, quindi
non specifici per l’ECB, con ripercussioni su tutta la popolazione di insetti;
•
In secondo luogo, le popolazioni di insetti sono suscettibili di variazioni
annuali, il che rende la ricerca di insetticidi specifici non esauriente
(Carpenter e Gianessi, 2001).
Nel complesso l’introduzione della tecnologia BT sembra aver avuto effetto solo
sul controllo dell’ECB, e non sulle quantità di insetticidi utilizzate precedentemente:
infatti, relativamente al 1999, le stime fornite dallo studio di Carpenter e Gianessi,
evidenziano come per i principali insetticidi (chloropyrifos, permethrin, BT e methyl
parathion) le riduzioni si siano attestate attorno al 1-2 per cento.
Le varietà biotecnologiche HT (tolleranza agli erbicidi), contrariamente a quelle
IR, sono state indirizzate verso la ricerca di erbicidi ad ampio spettro, capaci di ridurre il
numero di agenti chimici usati e, che comportassero, nello stesso tempo, una riduzione del
fattore lavoro. Il principale erbicida utilizzato per le colture HT in commercio risulta
essere il glifosato36(brevettato dalla Monsanto) che è applicato essenzialmente nelle
colture del cotone, della soia, della colza ed in misura marginale nei campi di mais37.
Le evidenze empiriche indicano come nel caso della soia si è assistiti ad una
diminuzione totale del 10% nell’uso degli erbicidi, mentre non è stata rilevata alcuna
variazione significativa nel caso del cotone (tale significatività è relativa all’insieme delle
regioni considerate dall’USDA (infatti, nel caso del Southern Seaboard la diminuzione è
stata del 20% circa).
Nel caso del cotone HT la diminuzione rilevata nell’uso degli erbicidi da 1.89 a
1.63 (-13%) nel periodo 1995-1999 è attribuibile essenzialmente all’introduzione del
programma Staple e non alle varietà HT: infatti, nel programma Staple occorrono in
media circa 0.05 libbre per acro di erbicidi, mentre per gli altri programmi le quantità di
erbicida per acro risultano in media essere ari a 0.09-0.18 libbre, altresì l’introduzione
36
Il glifosato è considerato la terza causa di malattie tra gli agricoltori Californiani dovuta all’uso di pesticidi
(GreenPeace, 1996). Secondo Legambiente, il glifosato è la terza causa di morte tra gli agricoltori (Legambiente,
2001), inoltre sembra essere correlato alla presenza nella popolazione umana di un linfoma (del tipo non Hogkins),
anche se secondo gli studi condotti dall’USDA tal erbicida è da 3.4 a 16.8 meno tossico degli altri in commercio.
37
Il mais HT, resistente al glufosinato ammonio, prodotto dall’Aventis (StarLink dell’AgrEvo) e da altre società è
sospettato di essere cancerogeno ed altamente allergenico (riguardo l’allergenicità per il caso del mais StarLink il fatto
è stato confermato).
103
delle varietà HT ha permesso di ridurre il numero di applicazioni per anno, proprio per il
fatto che si tratta di un erbicida ad ampio spettro (Carpenter e Gianessi, 2001).
La riduzione degli erbicidi per le varietà HT, basate essenzialmente sul glifosato e
il glufosinato ammonio, risulta essere significativa solo nel numero di applicazioni.
Le indagini empiriche, riportate negli studi statunitensi, evidenziano un particolare
di rilievo (considerato soprattutto da gruppi ambientalisti e da alcuni ricercatori):
congiuntamente ad una diminuzione variabile degli altri erbicidi si è evidenziata nel
periodo 1996-1998 un incremento del quantitativo per ettaro dell’erbicida glifosato (il più
usato nelle coltivazioni HT).
Nel periodo 1996-1998, ad esempio, relativamente alle coltivazioni di soia HT
(principalmente la varietà Roundup Ready della Monsanto) si è evidenziato come ad una
diminuzione da 1 a 0.57 pounds per acro (-43%) degli erbicidi (escluso il glifosato) sia
corrisposto un aumento da 0.17 a 0.43 pounds per acro dell’erbicida glifosato (+152%)
(Heimlich, Fernandez-Cornejo, McBride, Klotz-Ingram, Jans e Brooks, 2000), e tali
risultati, nel complesso, indicano una riduzione degli erbicidi per la soia HT del 10%.
Tale evidenza, riscontrabile su tutti i prodotti HT, dimostra due assunti
fondamentali messi in rilievo dagli oppositori delle biotecnologie:
1. L’uso di erbicidi ad ampio spettro accelera i processi di resistenza degli
agenti infestanti rendendo necessario un maggior quantitativo dell’erbicida
stesso fino alla sua inefficacia.
2. L’adozione di colture HT spinge gli agricoltori ad usare in maniera più
massiccia del dovuto l’uso dell’erbicida, con conseguente accelerazione
del processo sopraindicato e con effetti dannosi per l’ambiente e per
l’uomo, ed in particolare accelera il processo di dipendenza del controllo
degli infestanti agricoli dall’uso di prodotti chimici sempre più aggressivi.
Le evidenze sopraindicate permetto di rilevare come l’uso delle attuali piante
geneticamente modificate potrebbe avere effetti nel lungo periodo opposti a quelli sperati:
gli effetti che nel breve periodo sembrano essere vantaggiosi (anche se su questo punto i
dati sono molto discordanti tra loro), nel lungo periodo vengono annullati dallo sviluppo
di resistenze da parte degli organismi oggetto di controllo, riproponendo, di fatto,
all’agricoltore la situazione iniziale, anzi peggiore, in quanto nel lungo periodo la ricerca
104
di prodotti più efficaci potrebbe essere più lenta, lasciando l’agricoltore con prodotti non
più redditizi e con infestazioni sempre più resistenti e dannose.
La possibilità di trasmissione e di dispersione nell’ambiente del tratto modificato è
relativo soprattutto a quelle specie vegetali allogame (colza e barbabietola, ad esempio),
che tendono ad incrociarsi con le specie selvatiche affini, non distanti, attraverso
l’impollinazione tramite insetti e vento.
Nel caso di specie autogame, che hanno caratteristiche ermafrodite, il pericolo
risiede nella constatazione che il loro polline tende a disperdersi a lunga distanza, con il
rischio che nel lungo periodo si possano avere casi di trasmissione del transgene,
nonostante il carattere autogamico della pianta in questione.
Il processo sopra descritto non è inedito in agricoltura: infatti, dagli anni della
Rivoluzione Verde l’uso degli agenti chimici in agricoltura ha portato sì ad un aumento di
produzione agricola, ma nel lungo periodo tale aumento non si è riflettuto sui redditi degli
agricoltori in modo proporzionale, e, allo stesso tempo, ha diminuito le potenzialità
imprenditoriali dell’attività agricola, subordinandola alle imprese fornitrici degli inputs
produttivi e ai mercati destinatari (controllati principalmente dalla grande industria)
sempre alla ricerca di prodotti a più buon mercato.
III.8. Effetto delle colture Gm sugli agricoltori
Al fine di sintetizzare i dati e le argomentazioni precedentemente esposte di
seguito saranno illustrati e commentati i principali risultati ottenuti.
Stabilire la convenienza nell’uso delle biotecnologie agricole richiede la
conoscenza di meccanismi complessi, non solo economici connessi alle performances
delle varietà commercializzate (la redditività in sé non rappresenta un indicatore sintetico
capace di stabilire la convenienza degli Ogm), in quanto le biotecnologie non prevedono
solamente un miglioramento qualitativo e performante delle varietà vegetali, altresì
l’innovazione biotecnologica, così come diffusa, comprende, al suo interno, meccanismi
legislativi (connessi all’attività agricola) e metodologici che fanno di essa un’innovazione
completa e complessa, con caratteristiche che sembrano essere più confacenti ad una
rivoluzione agricola in corso che semplicemente ad un miglioramento tecnologico degli
inputs agricoli.
105
La rivoluzione biotecnologica ha effetti sull’economia dell’agricoltore che
investono tutto il quadro normativo e metodologico: i brevetti, le sementi biotecnologiche,
i prodotti chimici agricoli, la struttura commerciale e il livello di concentrazione
industriale, rilevabile sul mercato sementiero e fitofarmacologico, sembrano, attraverso
una visione più attenta, essere connessi gli uni con gli altri, formando, nell’insieme, una
struttura produttiva e commerciale molto articolata, dove le singole parti non possono
essere considerate a sé stanti o isolate, ma esse sono parte integrante e funzionante di un
tutto.
I vantaggi economici connessi alle piante GM
I dati menzionati precedentemente sulle performances agronomiche ed
economiche delle prime piante Gm introdotte a partire dal 1996, mostrano come nel
complesso non è possibile definire in modo univoco la maggiore redditività degli Ogm:
infatti, è evidente come i costi siano stati sostanzialmente eguali alle varietà convenzionali
e, allo stesso tempo, il ricavo aggiuntivo dalla vendita dei prodotti è notevolmente
variabile per alcuni prodotti (ad esempio la soia) e nel caso di una maggiore redditività
tale aumento potrebbe essere considerato non sufficiente rispetto ai pericoli paventati
circa gli effetti sull’ambiente, sui consumatori e sul sistema agricolo.
Le società che sostengono la diffusione degli Ogm in agricoltura affermano, in
generale, come gli agricoltori possano ottenere attraverso la loro coltivazione un maggior
reddito disponibile (i dati non sembrano dimostrarlo o comunque vi è una forte
eterogeneità sui risultati ottenuti) attraverso la riduzione dei costi di produzione.
Nel caso in cui vi fosse effettivamente una riduzione nei costi di produzione, tale
riduzione nel lungo periodo potrebbe essere sterilizzata da una diminuzione dei prezzi dei
prodotti sui mercati agricoli, anche perché, non essendovi una segregazione tra prodotti
convenzionali e Ogm, non si potrebbe ottenere un guadagno aggiuntivo connesso a dei
prodotti agricoli Ogm caratterizzati da un maggior contenuto nutrizionale38 e qualitativo
che giustificherebbe la differenza nel costo di vendita.
Nel lungo periodo, data la non segregazione (in opposizione alle richieste degli
agricoltori e dei consumatori) dei mercati agricoli, è plausibile un ritorno alla situazione di
38
La ricerca, a detta degli Istituti preposti, è indirizzata verso una produzione agricola caratterizzata da prodotti migliori
dal punto di vista nutrizionale (Ogm di seconda generazione).
106
partenza e, allo stesso tempo, la stabilità dei prezzi agricoli sul mercato internazionale, per
l’agricoltore, dovranno confrontarsi con una sicura crescita stabile dei prodotti non
agricoli e quindi una diminuzione del reddito reale dell’agricoltore: come osserva il Prof.
Malagoli39 “… per la Legge di Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un aumento
del reddito reale del consumatore favorito dalla diminuzione del prezzo dei prodotti
agricolo-alimentari, si verifichi un aumento della domanda di beni non agricoli, con
conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore diminuzione del reddito
reale dell’agricoltore. L’agricoltore nazionale potrebbe ottenere un incremento del suo
reddito netto attraverso l’adozione di un processo produttivo che consenta o una
maggiore utilizzazione dei fattori della produzione di cui dispone in abbondanza o, al
contrario, una minor utilizzazione dei fattori della produzione che è costretto ad
acquistare sul mercato”.
La possibilità per l’agricoltore di far leva sulle proprie capacità imprenditoriali,
svincolandosi dalla dipendenza di taluni fattori esterni (erbicidi e sementi tecnologiche),
potrebbe fungere da “salva-reddito”, in quanto nel lungo periodo le tecnologie applicate
alla produzioni agricole tendono a perdere il loro effetto di generatrici di ricchezza,
mentre, al contrario, la costante crescita dell’esperienza e della capacità imprenditoriale
da parte dell’agricoltore tende a salvaguardare il reddito, non risultando completamente
condizionato dall’industria fornitrice degli input produttivi.
L’applicazione di biotecnologie transgeniche applicate al settore agricolo tende ad
aumentare la dipendenza degli agricoltori dai settori fornitrici dei mezzi di produzione, in
particolare sementi e prodotti fitofarmacologici, prodotti in un mercato caratterizzato da
un elevato livello di concentrazione (di cui si parlerà in modo più specifico nel prossimo
capitolo), che, di fatto, produce i suoi effetti attraverso la regolamentazione sui brevetti,
legati alle biotecnologie, materializzandosi nel technology fee. Gli effetti sui costi di
produzione del technology fee appaiono più evidenti quando, nel caso del mais, essi
vengono fatti variare in relazione alle condizioni climatiche e infettive, o in generale
secondo le previsioni agricole (nel caso di stagioni favorevoli vengono diminuiti, per non
disincentivare l’uso di sementi biotech, e inversamente nelle stagioni ritenute a rischio).
39
Il Prof. Claudio Malagoli è professore Associato di Estimo Rurale e Pianificazione Agraria presso l’Università di
Bologna.
107
L’effetto del technology fee nelle produzioni resistenti agli erbicidi, in particolare
della soia, fa sentire il proprio peso nel 2000 quando, al decadere della titolarità del
brevetto sull’erbicida Roundup al glifosato (della società Monsanto), ne consegue una
diminuzione del prezzo dell’erbicida (ora in un mercato più concorrenziale), che va a
riversarsi sul prezzo delle sementi (Nomisma, 1999).
In effetti, il technology fee appare in contraddizione con la necessità di rendere
meno costosi e più redditizi per gli agricoltori le attività agricole, in quanto neutralizza, in
parte o del tutto in taluni casi, la stimolo ad utilizzare gli stessi prodotti geneticamente
modificati. L’esistenza del technology fee è giustificato dal fatto che le piante Gm (o
secondo le legislazioni vigenti, il gene introdotto) sono brevettate, di qui la possibilità per
il detentore del brevetto di poter decidere in tutta autonomia a chi e se concedere la
fruizione dello stesso e di produrre sementi brevettate previo pagamento di un “affitto”.
Un particolare di rilievo, esposto nel paragrafo precedente, mostra come, nel
complesso, lo sviluppo e la diffusione degli Ogm ripercorra del tutto ciò che in passato è
stata definita la Rivoluzione Verde: infatti, le metodologie finora utilizzate sono tutte
indirizzate a riproporre un maggior uso della chimica in agricoltura, che se dapprima offre
una possibilità di maggior guadagno, poi rende necessaria una maggior dose degli erbicidi
e probabilmente nel tempo renderà necessaria la ricerca di sostanza chimiche più
aggressive (così come sembra mostrare l’andamento delle dosi di glifosato per ettaro
rilevato nel periodo 1996-1998).
Le opinioni riguardo all’uso di agenti chimici come disinfestanti pongono un
problema noto in agricoltura, vale a dire che è ragionevole considerare come gli insetti
sviluppino, nell’arco di un periodo di 4-5 anni (Malagoli, 2000), una resistenza alle
tossine chimiche rendendo quindi vano il tentativo dei prodotti transgenici BT (come il
mais), a meno che non si voglia in futuro introdurre man mano sempre più geni estranei
nella pianta al fine di continuare a fuggire dagli insetti nella consapevolezza che questi
dopo 4-5 anni ridurranno sempre il distacco.
Aumento della dipendenza degli agricoltori da parte degli input produttivi
La struttura dei costi connessa alla coltivazione di prodotti transgenici muta
notevolmente rispetto alle varietà tradizionali. La diversa struttura dei costi si riflette, in
particolar modo, sugli erbicidi e le sementi.
108
Nelle coltivazioni del tipo HT, come mostra la tabella 28, la riduzione dei costi è
relativa alla sola coltivazione della colza, dove la riduzione dei costi variabili pari al
quattro per cento, mentre nelle altre coltivazioni tale riduzione nel totale non è stata
rilevata.
Nel caso della soia HT ad un aumento del 4% nei costi variabili è corrisposto un
aumento del 7% nella spesa per erbicidi e sementi, che, di fatto, fa aumentare la quota dei
costi per le sementi e gli erbicidi sul totale dei costi variabili dal 90% a 93%40, e, al
contempo stesso, la minor spesa per erbicidi è stata compensata da un aumento del costo
delle sementi che, di fatto, inverte le quote di spese per erbicidi e sementi sul totale dei
costi variabili, che passano rispettivamente dal 35 e 55 per cento, nel caso di coltivazioni
convenzionali, al 56 e 36 per cento, nel caso di coltivazioni HT (Tab. 23).
Nel caso della colza HT41 (varietà canola) la spesa sul totale dei costi variabili per
erbicidi e sementi non ha avuto significate variazioni, mentre è più evidente come il minor
costo degli erbicidi è stato completamente compensato da un aumento paritetico nella
spesa per le sementi, congiuntamente ad una riduzione dei costi totali attribuibile ad una
diminuzione nei costi da capitale (Tab. 28).
Nel caso del cotone HT la spesa per erbicidi e sementi è aumentata del 55%, così
come i costi totali (lavoro incluso) che aumentano dell’8% (White K., Jones D., Johnson
P., 1999). Nella coltivazione del cotone HT la riduzione nel costo degli erbicidi non è
stata rilevata, anzi la spesa sia per le sementi sia per gli erbicidi è aumentata del 63 e 43
per cento rispettivamente, contemporaneamente ad un aumento del 20% della produttività
(che include anche la qualità del prodotto): risulta evidente come, nel caso del cotone,
l’aumento nelle spese per erbicidi e sementi sia stato maggiore dell’aumento della resa per
acro (White K., Jones D., Johnson P., 1999) e, allo stesso tempo, è stata richiesta una
maggiore spesa per l’irrigazione (particolare in contraddizione con le necessità di uno
sviluppo eco-compatibile, attraverso un minor impatto ambientale salvaguardando quei
beni comuni come l’acqua ritenuti, negli ultimi decenni, sempre più scarsi), accelerando i
processi erosivi.
40
I dati sono relativi alla tabella 23 e alla regione Heartland (dove maggiore è la tradizione e la produzione di soia negli
USA).
41
I dati sono relativi alla tabella 28, alle varietà HT e Argentina in terreni del tipo Black.
109
I risultati confermano ciò che in precedenza era stato affermato, vale a dire che la
coltivazione di piante Gm, e in quelle relative alla tecnologia HT, il maggior impatto nelle
abitudini agricole è relativo alla maggiore dipendenza da parte degli agricoltori dagli
inputs di origine esterna all’impresa, in particolare da parte di quegli input provenienti
dall’industria sementiera e fitofarmacologica. Tale considerazione riveste una particolare
importanza nel caso in cui, oltre alle caratteristiche performanti ed economiche connesse
alla coltivazione di piante Gm, si intenda considerare come variabile di sintesi la
sostenibilità nel lungo periodo dei processi produttivi connessi. Infatti, nel lungo periodo
gli effetti di una possibile riduzione dei costi di coltivazione possono riversarsi sui prezzi
dei prodotti agricoli, eliminando così la possibile convenienza. Sempre nel lungo periodo
è possibile considerare come la maggiore dipendenza dagli inputs produttivi riduca al
minimo l’apporto del capitale umano, inteso sia nel senso di quantità di lavoro sia nel
senso dell’espressione delle capacità imprenditoriali, spostando le remunerazioni del
processo produttivo verso quelle componenti dei costi non governabili dall’agricoltore,
che al limite del ragionamento potrebbe portare ad una completa meccanizzazione
dell’attività agricola con conseguenze che implicano una completa industrializzazione del
settore agricolo ed una diminuzione forzata degli occupati del settore.
Nel caso degli Ogm agricoli di seconda generazione, vale a dire quelli che
dovrebbero comportare un miglioramento qualitativo del prodotto, la regolamentazione
attuale sugli Ogm e le norme sui brevetti prevedono, come attualmente accade per alcune
coltivazioni di colza, che all’agricoltore competa solo il compito di seminare e raccogliere
il prodotto, mentre tutte le altre attività connesse all’attività produttiva risultano di
completo appannaggio della società fornitrice degli inputs produttivi, con la conseguenza
evidente di una trasformazione dell’imprenditore agricolo o del semplice agricoltore a
dipendente industriale, una sorta di operaio agricolo-industriale, eliminando tutte quelle
potenzialità imprenditoriali e manageriali che solitamente competono all’agricoltore e che
di norma garantiscono i redditi e la crescita del settore agricolo, ovvero viene meno
all’agricoltore la capacità di gestione dei fattori secondo la propria esperienza.
La collocazione sul mercato dei prodotti agricoli
La collocazione dei prodotti di origine transgenica sul mercato, così come attuata
ad oggi, pone limiti allo sviluppo e alla diffusione di tali nuove coltivazioni, in quanto allo
110
stato attuale sul mercato agricolo internazionale non è possibile acquistare separatamente
prodotti agricoli Gm e non, in quanto non esiste una segregazione del mercato. La
segregazione del mercato agricolo ha effetti molteplici sulla diffusione delle piante
transgeniche:
•
La mancata segregazione non permette di evidenziare, nel caso di Ogm di seconda
generazione, i prodotti che hanno una maggiore qualità e che quindi potrebbero
richiedere un maggior prezzo, con un conseguente effetto non attrattivo da parte degli
agricoltori.
•
La mancata segregazione ha sui consumatori effetti non desiderati, che li portano ad
acquistare prodotti garantiti Ogm-Free (come ad esempio i cibi biologici), a causa di
un’inadeguata informazione sugli effetti negativi sulla salute umana (in alcuni casi
ipotetica, ma probabile, ed in altri documentata, ma non divulgata a sufficienza).
•
La mancata segregazione spinge gli Stati, ove la produzione non viene attuata per
mancanza di un’adeguata documentazione e sperimentazione sui rischi connessi, a
rifiutare alle frontiere prodotti Gm con conseguenze anche su quegli agricoltori che
producono prodotti convenzionali.
La mancata segregazione dei prodotti Gm da quelli convenzionali viene
giustificata dalle società produttrici con i costi che questa comporterebbe sull’intero
settore e che ciò eliminerebbe tutti i vantaggi economici connessi alla loro produttività.
La questione della mancanza di una segregazione dei prodotti non può, però,
essere ricondotta semplicemente ai costi connessi (attualmente sembrano essere a totale
carico di chi garantisce l’assenza di tali prodotti attraverso la certificazione biologica che,
però, non copre i coltivatori tradizionali non biologici), in quanto sembra che tale assenza
sia necessaria alla commercializzazione di tali prodotti in quegli Stati dove le
preoccupazioni, circa gli effetti sulla salute, sono più accentuate, e una certificazione di
completa derivazione transgenica potrebbe avere un effetto repulsivo da parte dei
consumatori verso tali prodotti. Tale necessità sembra essere più irrinunciabile all’interno
dell’Unione Europea che, ritenendo non sufficiente la documentazione finora prodotta in
materia di sicurezza alimentare (e probabilmente sull’onda dei problemi di sicurezza
alimentare dovuti al caso BSE e dei “polli alla diossina”), proprio all’inizio del 2001 ha
rivisto e inasprito i controlli dei prodotti alimentari e ha richiesto, attraverso la revisione
del regolamento C.E. 90/220, l’obbligatorietà di etichettatura per quei prodotti che
111
contengono un quantitativo di prodotto o derivato Gm superiore all’1%42.Tale necessità
nasce dal fatto che il regolamento C.E. 258/97 (denominato “Principio di Sostanziale
Equivalenza”), approvato anche dalla Fao e promosso dalla FDA (ovvero l’ente di
controllo sui farmaci e sugli alimenti statunitense) non prevede particolari controlli
tossicologici sui prodotti Gm che vengono dichiarati sostanzialmente equivalenti a quelli
convenzionali che, di fatto, comporta un’assenza di controllo sugli effetti a lungo termine
di tali prodotti sulla salute umana, e che, nel caso di marginali modificazioni degli stessi
prodotti approvati, il protocollo stilato dalla FDA non prevede alcun controllo
supplementare se non un preavviso di 30 per l’immissione nell’ambiente: ad esempio, se
dall’incrocio di due piante Gm, l’una HT e l’altra IR, si ottiene una terza pianta che ha
ereditato entrambe le modificazioni genetiche, questa non necessita di alcuna
sperimentazione perché ritenuta sicura, escludendo in tal senso qualsiasi effetto
pleiotropico43.
L’Unione Europea è interessata a salvaguardare i princìpi sanciti nell’Agenda
2144, che prevede il rispetto del “Principio di Precauzione”, introdotto anche nel Trattato
di Maastricht nel 1992, per il quale gli Ogm, in assenza di una documentazione scientifica
che certifichi l’assenza di pericoli per l’ambiente e la sicurezza alimentare nel lungo
periodo, sono da considerarsi “potenzialmente pericolosi” (Legambiente, 2001).
La mancanza di una segregazione della filiera alimentare ha effetti contrastanti per
le società fornitrici: infatti, se da un lato tale mancanza permette di commercializzare tali
prodotti in quegli Stati dove non sono completamente “graditi”, dall’altro rappresenta
un’esternalità per gli agricoltori nel produrli, e di conseguenza per ditte fornitrici, in
quanto non permette di evidenziare le caratteristiche innovative dal punto di vista
nutrizionale previste per gli anni a venire.
42
La percentuale è riferita al singolo componente, vale a dire che per ogni componente l’origine Gm non deve superare
tale soglia per non essere in obbligo di etichettatura.
43
Gli effetti pleiotropici si riferiscono all’intero metabolismo nucleotidico della pianta che potrebbe risentire del gene
aggiuntivo. Tali effetti sono considerati solo dal lato della produttività (resa limitata dall’effetto), ma non vengono
presi in considerazione in senso generale. I recenti studi, ad esempio, sul genoma umano hanno reso noto che i geni
non sono indipendenti tra loro e da ciò che circonda il corpo umano, ma interagiscono in maniera significativa e
continua con l’ambiente circostante.
44
Agenda 21 è un documento redatto nella 2° Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro
nel 1992, che prevede obiettivi stabiliti, nei tempi e nei modi, al fine di raggiungere una crescita eco-sostenibile per i
Paesi firmatari (gli USA si sono rifiutati di firmare il documento).
112
III.9. Effetti di una maggiore produzione
Spesso si tende ad identificare una maggiore produzione di un bene con un
aumento del reddito di chi li produce, ma la realtà non è sempre così come si possa
immaginare.
Nel settore agricolo la presenza di una maggiore produzione di un bene non
genera necessariamente un maggior reddito e non è necessariamente una fonte di crescita
stabile e duratura, ovvero non genera Sviluppo.
Infatti, è difficile considerare come indicatore economico essenziale la crescita in
sé, in quanto se tale crescita è relativa ad un periodo limitato, e non genera sviluppo, è
possibile incorrere in un meccanismo in cui nel lungo termine si potrebbero avere
conseguenze sui sistemi economico-sociali negative45.
La maggiore produzione di beni in agricoltura può avere effetti diversificati
secondo lo Stato considerato, le condizioni climatiche, le necessità industriali ed
alimentari di uno Stato, e più in generale le necessità del mercato e delle strutture
economiche del Paese in esame.
Maggiore produzione nei Paesi dell’area Nafta
Il caso di una maggiore produzione di beni agricoli nell’area Nafta hanno un
effetto diverso da quello che si potrebbe ottenere in un qualsiasi altro Paese, in quanto
l’agricoltura nordamericana è caratterizzata da un’elevata meccanizzazione dei processi
produttivi agricoli e dall’assenza di produzioni autoctone caratteristiche soprattutto dei
paesi europei e di quelli dell’area del sottosviluppo.
La maggiore spesa in capitali e macchinari agricoli è un elemento caratterizzante
di tale agricoltura, perché permette di ottenere vantaggi nei costi di produzione connessi
alla maggiore superficie dei terreni agricoli, che in media sono di 250 ettari,
contrariamente alla situazione europea.
I prodotti Ogm più sperimentati e coltivati in tale area sono relativi a quelle
produzioni destinate alle esportazioni e a mercati caratteristici dell’industria alimentare,
che nel caso statunitense sono principalmente destinati al largo consumo massificato e
45
Per gli esempi si rimanda alla letteratura economica classica sullo sviluppo, in particolare agli scritti di Kaldor N.,
Frank G. e Hirschman A. O.
113
agli allevamenti per garantire una maggiore produzioni di carni, oltre ai mercati intermedi
dell’industria dolciaria.
I sistemi agricoli statunitensi e canadesi sono caratterizzati da produzioni
specifiche: mais, soia e cotone per gli USA e colza per il Canada. Tali produzioni sono
caratteristiche di grandi estensioni con vantaggi di scala, non conseguibili in altri paesi.
Gli Ogm in tale area sembra, nel modo in cui vengono pubblicizzate, essere
confacenti alla tipologia di agricoltura esistente (altamente industrializzata), anche se,
dopo un primo periodo di attrazione, sembra che tali prodotti per svariati motivi
(difficoltà di collocazione della merce e convenienza in particolar modo) stiano perdendo
il loro “potere attrattivo”.
Maggiore produzione nell’area della Comunità Europea
Nell’area europea la diffusione degli Ogm in agricoltura è ancora molto limitata in
seguito all’approvazione del “Principio di Precauzione”. La possibile maggiore resa di tali
produzioni, ed in generale di tutte le biotecnologie agricole (ivi comprese quelle relative
alle produzione di carni e derivati), non potrebbero avere effetti positivi, in particolare
nella realtà italiana.
I principali prodotti Gm coltivati sono, per gli Stati europei, principalmente di
origine importata, mais escluso per il quale si è a livelli di autosufficienza (Comunità
Europea, 2000).
Il livello di autosufficienza nella produzione di soia, ad esempio, è stato del 12%
nel biennio 1998/1999 (6% nel biennio 1995/1996) e l’origine dell’importazione è
relativa principalmente al Brasile, all’Argentina e agli USA, che rispettivamente
forniscono il 41.5, 34 e 21 per cento dell’importazione di soia in Europea.
Il principale mercato destinatario di tali prodotti sono le industrie dolciarie (nel
caso della colza) e quelle foraggiere per la nutrizione del bestiame.
Di rilievo è da considerare come le coltivazioni tradizionali di soia, colza e cotone
non potrebbero rappresentare di per sé una fonte di ricchezza per il sistema agricolo:
infatti, la competizione con i principali Stati produttori sarebbe persa in partenza, in
quanto questi dispongono di mezzi tecnici correlati alla grandezza dei terreni capaci di
ottenere vantaggi di scala (ad esempio le disinfestazioni, in tali Paesi, vengono effettuate
attraverso gli aerei, cosa impensabile in Europa a causa dell’elevato rapporto “costo
114
disinfestazione-dimensione
degli
appezzamenti
di
terreno”
rispetto
a
quello
nordamericano o argentino, dunque non sarebbe possibile ottenere dei vantaggi di scala).
Nelle coltivazioni tradizionali l’ingresso degli Ogm al fine di aumentare la
produzione vendibile non è perseguibile, in quanto le norme agricole europee impongono
livelli limite alle produzioni al fine di salvaguardare i singoli Paesi produttori, l’unico
beneficio degli Ogm potrebbe essere la riduzione dei costi di produzione, ma, come già
constatato, la realtà degli Ogm non ha intrapreso tale strada.
Altro particolare non secondario, all’interno delle caratteristiche agricole della
Comunità Europea, è la presenza di una diffusa cultura nella produzione di specie
autoctone, caratteristiche delle singole aree e generatrici, attraverso i marchi di qualità e di
origine geografica protetta, di ricchezza attraverso produzioni specifiche, a volte di
nicchia altre no, caratterizzate da un alto valore aggiunto (relativo alla qualità, alla
sicurezza e alla tipicità).
La principale differenza tra la realtà agricola americana e quella europea risiede,
dunque, nella distanza che intercorre tra i due tipi di agricoltura: l’una caratterizzata da
grandi latifondi e da una produzione massificata e vocata alla quantità, l’altra
caratterizzata da eccedenze alimentari in alcuni settori, contemporaneamente ad una
produzione dove la tipicità trova la sua giusta collocazione sul mercato (nella quantità e
nella qualità che ne determinano il maggior prezzo). Per questi ed altri motivi, la
Comunità Europea è sempre in prima linea nel promuovere la ricerca sull’agricoltura
biologica come fonte di sicurezza, tipicità, sostenibilità economica ed ecologica, e dove il
potere agricolo deve tendere ad una distribuzione dei profitti più a favore degli agricoltori
(spesso a conduzione familiare) e non dell’industria alimentare, così come sembra essere
caratterizzata quella nordamericana.
Maggiore produzione nei Paesi in Via di Sviluppo
Una delle principali argomentazioni portate avanti dalle multinazionali Biotech è
che tali nuove tecnologie hanno la struttura e le potenzialità per poter avviare, con
maggior decisione, lo sviluppo nei paesi arretrati e di essere uno dei principali mezzi per
alleviare la fame nel mondo e della malnutrizione, che attualmente colpisce 800 milioni di
persone secondo le stime della Fao.
115
L’adozione delle biotecnologie qualora fornissero i mezzi per una maggior
produzione di alimenti, da sé non sembra abbiano le potenzialità e la struttura produttiva
capace da garantire un tale risultato.
Prescindendo da una semplice considerazione, ricavabile da qualsiasi rapporto
della Fao, che il problema della fame nel mondo non può essere ricondotta al solo deficit
nelle risorse alimentari, è da considerare come, nel complesso, il problema della
malnutrizione nei paesi più arretrati, ed in generale il problema della fame nel mondo, sia
il frutto di coincidenze economiche, sociali, politiche e soprattutto geopolitiche che,
contrariamente a quanto spesso si afferma, non possono essere più considerate meramente
contingenti e transitorie. Piuttosto la realtà dei fatti (ad esempio il caso del Farm Act in
Sudafrica) sembra evidenziare come i soli meccanismi economici, lì dove sono instaurati,
non rappresentano la Panacea per tale male: la fame nel mondo, le difficoltà d’accesso al
benessere per una parte rilevante della popolazione del pianeta costituiscono esempi non
negabili dell’esistenza dei cosiddetti Fallimenti di mercato, di qui la tesi, sempre più
comunemente accettata, secondo la quale il mercato da sé non garantisce la parità di diritti
per l’accesso ad una vita più equa e dignitosa.
Riprendendo l’argomentazione sull’opportunità posta in essere dalle piante
geneticamente modificate al fine di risolvere una situazione, che moralmente ed
eticamente inaccettabile ed insostenibile, come la fame nel mondo, è da evidenziare come
la storia passata abbia dimostrato come l’aumento della semplice produzione alimentare e
agricola nei Pvs non sia il giusto rimedio al sottosviluppo, a meno che essa non sia parte
integrante di un progetto più ampio di emersione e sviluppo socioeconomico: infatti, gli
studi economici effettuati dall’Economia dello Sviluppo mostrano come, in generale, il
solo sviluppo agricolo non garantisce di per sé uno sviluppo socioeconomico equilibrato
di lungo periodo, soprattutto se tale sviluppo agricolo è condizionato ad una tecnologia
estranea al territorio e improntata all’esportazione dei beni. In generale è possibile
affermare come l’agricoltura in sé non è in grado di generare effetti tali da permettere ad
un Paese arretrato di emergere senza attuare un preciso programma di coordinamento di
interventi nei vari settori dell’economia, delle istituzioni centrali, dell’istruzione e della
salute al fine di correggere gli squilibri esistenti, congiuntamente ad una politica di
correzione, da parte dei Paesi Sviluppati, di quei meccanismi che hanno o creato o
condizionato tali squilibri.
116
Utilizzando una semplice espressione di Hirschman è possibile affermare che le
biotecnologie così come strutturate e gestite non sono in grado di attivare connessioni
interne. Le biotecnologie finora sviluppate interessano essenzialmente prodotti destinati
all’industria dolciaria e alimentare straniera, destinati né all’alimentazione interna né alla
lavorazione di un’industria nazionale. La mancanza di tali connessioni è destinata a far
dipendere l’agricoltura nazionale dal mercato internazionale, gestito da poche grandi
multinazionali. Inoltre, essendo gli input produttivi, la commercializzazione finale, la
titolarità dei brevetti estranei alla loro economia la dipendenza da tali società fornitrici dei
mezzi tecnici ed intellettuali sembra essere molto forte.
Dal punto di vista della maggior produzione la necessità per i Pvs di sviluppare
una tale agricoltura destinata all’export, non attivante connessioni di consumo, fiscali (i
prodotti Ogm secondo le multinazionali sono producibili ovunque), a monte e a valle, nel
lungo periodo generano meccanismi di perdita di competitività, correlati alla mancanza di
rigenerazione del contenuto tecnologico, nei confronti dei beni manifatturieri che, come
numerosi studi affermano, hanno una costante rigenerazione tecnologica interna.
La situazione di lungo periodo esposta porta a considerare più semplicemente che
i prezzi dei beni dell’industria manifatturiera tendono a crescere in modo più significativo
rispetto ai beni prodotti nell’ambito agricolo, perché nel tempo inglobano un maggior
contenuto tecnologico e perché hanno la capacità di rinnovarsi ad una velocità maggiore.
La maggiore produzione ottenibile, la meccanizzazione richiesta per ridurre i costi
di produzione (congiuntamente al fattore capitale umano, che disincentiva la connessione
di consumo), il sistema dei brevetti, la produzione di beni non specifici (mais, cotone e
soia sono semplici materie prime), sembra riproporre, questa volta con la componente
tecnologica, quello che storicamente è stato definito il periodo della Dipendenza, che ha
portato allo svuotamento di intere nazioni, lasciate poi al loro destino.
In definitiva lo sviluppo nei Pvs di tali produzioni non garantisce né lo sviluppo né
la soluzione della fame nel mondo: il Brasile, ad esempio, è uno dei principali paesi
esportatori di prodotti agricoli (specialmente soia, e frutta), ed allo stesso tempo è uno dei
paesi colpiti dalla malnutrizione.
Le biotecnologie potrebbero essere utili a tali Paesi se e solo se si attivassero per
sviluppare e migliorare varietà vegetali autoctone (garantendo la tipicità e l’esclusività a
vantaggio dei redditi agricoli locali), svincolando tali produzioni dalla regolamentazione
117
sui brevetti e dal controllo, da parte delle multinazionali, del mercato agro-alimentare
mondiale (come sarà evidenziato nel capitolo quinto).
III.10. Osservazioni sui dati utilizzati per le comparazioni
I dati utilizzati per fare le comparazioni tra coltivazioni transgeniche e tradizionali,
nonostante le fonti siano autorevoli (Comunità Europea, Università statunitensi,
Dipartimento statunitense per l’agricoltura, etc…), sono da considerarsi all’interno di un
mercato, quello agricolo, dove le posizioni dominanti da parte di talune compagnie
generano distorsioni sui prezzi dei prodotti e sulla possibilità di diversificare le
metodologie di coltivazione e dove le stesse compagnie operano contemporaneamente su
ambedue i mercati, quello tradizionali e quello transgenico.
La non concorrenzialità del mercato, la quale sarà illustrata ed analizzata in modo
più specifico nel Capitolo Quarto, costituisce un dato essenziale su come tali statistiche
siano affette da errori non eludibili.
La non completa affidabilità dei dati utilizzati trova la sua giustificazione anche
nell’assunto che le diverse ricerche al fine di comparare le due tipologie di coltivazione
risultano essere a volte in contrasto tra loro, e ciò implica necessariamente che la
rilevazione e le metodologie utilizzate siano state molto diverse tra loro, come del resto
gli stessi risultati, dal punto di vista quantitativo, a volte non sono comparabili; in
definitiva, però, i risultati ottenuti da quegli studi che, secondo le opinioni di chi scrive,
sono stati ritenuti i più completi e sono quelli che restano in ogni modo i più eloquenti e
concordi con le principali ricerche.
La constatazione della non concorrenzialità del mercato congiuntamente alle
relazioni intercorrenti tra mercato tradizionale e transgenico fa sì che le comparazioni non
siano del tutto attendibili: le società che operano nel mercato biotecnologico agricolo sono
le stesse che operano nel mercato tradizionale; inoltre i mercati agricoli sono dominati da
poche società che, di fatto, li controllano (nel caso del mercato tradizionale il livello di
concentrazione industriale è minore di quello transgenico) e tali società sono le stesse che
operano sia nei due mercati “consequenziali” sementieri sia nel mercato dei fitofarmaci.
Le relazioni esistenti e create nel mercato agricolo internazionale (attraverso
fusioni, alleanze strategiche tramite la concessione di utilizzo dei brevetti, strategie di
segmentazione dei mercati, etc…) creano una situazione in cui non è più possibile
118
definire quali siano i veri prezzi dei prodotti, quale incidenza abbia il livello di
concentrazione dei mercati sui prezzi dei prodotti transgenici e non, soprattutto non è dato
sapere se tali società varino l’offerta dei prodotti al fine di rendere conveniente o meno
una determinata coltivazione o semplicemente, grazie alle ingenti possibilità economiche,
operino in regime di produzione sottocosto per favorire la diffusione di tali nuove
tecnologie.
Per tali motivi, e per la necessità di ottenere un’argomentazione che sia la più
corretta e affidabile possibile, si rende necessario un capitolo, il quarto, dedicato alle
argomentazioni sul mercato (concorrenzialità e relazione tra i vari mercati che interessano
più da vicino il settore degli inputs agricoli) e ai suoi principali operatori, evidenziandone
le strutture produttive e commerciali al fine di identificare le possibili strategie di mercato
intraprese e di verificare come e quanto incidano tali strategie sul mercato agricolo
internazionale, ponendo maggior rilievo alle argomentazioni riguardanti gli effetti sui
Paesi in Via di Sviluppo e sulla possibilità di alleviare il problema della malnutrizione e
del sottosviluppo.
Capitolo Quarto
LA CONCORRENZA NEL MERCATO DELLE BIOTECNOLOGIE
IV.1. Introduzione
Il fine del capitolo quarto è quello di descrivere la struttura del mercato
transgenico e agro-alimentare in generale, per metterne in evidenza le caratteristiche
peculiari economiche e non.
In effetti, le sole variabili economiche rilevanti, concentrazioni, quote di mercato,
operazioni di mercato, non sono in grado di descrivere il percorso attuale e futuro dello
sviluppo delle biotecnologie in agricoltura.
Una descrizione che metta in evidenza anche i meccanismi legislativi legati alla
globalizzazione dei mercati può certamente essere un modo diverso e più proficuo per
fornire al lettore una chiave di lettura più complessa e completa del fenomeno in
questione.
La necessità di una diversa trattazione e descrizione del mercato agro-alimentare
transgenico trae origine dalla constatazione che il mercato transgenico e il suo futuro sono
legati allo sviluppo delle regolamentazioni in materia commerciale e di diritti di proprietà
intellettuale. Inoltre, ad un’analisi più approfondita appare sempre più evidente come
leggi, regolamentazioni, quote di mercato e capacità di penetrazione nei mercati esistenti
formano un insieme indissolubile di fattori che condizionano lo sviluppo attuale e futuro
delle biotecnologie in campo agricolo.
Nel prosieguo, dunque, verranno trattate variabili economiche cui saranno
affiancate informazioni di carattere normativo, al fine di stabilire quali siano realmente le
potenzialità di diffusione e il potere reale e potenziale delle compagnie che operano sul
mercato, sempre mantenendo fermo il presupposto che le informazioni saranno elaborate
in un’ottica di previsione di lungo periodo. La definizione di lungo periodo sarà relativa ai
vari aspetti del sistema agricolo mondiale, da quello economico a quello sociale, avendo
come base di riferimento il concetto di sviluppo sostenibile in tutte le sue componenti:
120
società, mercato, ambiente, risorse. La sostenibilità rappresenterà il parametro di
riferimento per ogni riflessione ed ogni analisi dei fenomeni in questione.
In tale ottica di lavoro verranno descritti i movimenti del mercato e il loro
possibile sviluppo futuro, verranno elencate le principali compagnie del settore e i loro
comportamenti, e verranno relazionate, inoltre, alle vigenti regolamentazioni tutte le
variabili economiche al fine di verificare l’effettivo potenziale di sviluppo delle
biotecnologie ed il ruolo delle compagnie leaders nel settore.
IV.2. Il mercato agro-farmaceutico e il ruolo delle multinazionali
Dalle prime commercializzazioni dei prodotti biotecnologici avvenute nel 1994, la
struttura di questi mercati è profondamente cambiata.
Le società operanti in tale mercato hanno rivoluzionato tutto il sistema agroalimentare: le fusioni, le alleanze, le nuove regolamentazioni nel rilascio ambientale e
sull’immissione nel mercato alimentare hanno fatto sì che il sistema ne fosse radicalmente
mutato.
Le biotecnologie, e i loro effetti sul mercato internazionale e sull’agricoltura in
generale, non possono essere considerate a sé stanti, ma vanno relazionate allo sviluppo
dell’ingegneria genetica da un lato (come fonte d’innovazione), e dall’altro vanno
relazionate al complesso sistema di regolamentazioni, che presenta, a nostro avviso, falle
ed omissioni in favore della diffusione degli Ogm, oltre ad essere in netto contrasto con i
diversi protocolli di difesa ambientale e con il Principio di Precauzione, ratificato dalla
Comunità Europea.
Le principali società operanti sul mercato biotecnologico sono prevalentemente
multinazionali appartenenti a tre diverse aree geografiche (USA, Comunità Europea,
Svizzera), le quali hanno il controllo sulla quasi totalità del mercato biotecnologico ed
operano anche nel mercato sementiero tradizionale e fitofarmacologico.
I principali “attori” della scena biotecnologica sono le società Monsanto,
Syngenta, Aventis e DuPont, le quali detengono attualmente il monopolio delle colture
transgeniche. Tali società operano in diversi mercati, ma attualmente la diffusione
commerciale dei loro prodotti è relativa solamente a quegli Stati che ne permettono la
diffusione ambientale, vale a dire USA, Canada e Argentina principalmente.
121
La strategia principale di tali società sembra essere indirizzata ad ottenere,
attraverso fusioni e alleanze strategiche, una “fetta” del mercato transgenico attraverso la
ricerca sui brevetti e la loro gestione, dal potenziale ancora incerto da un lato, e, dall’altro,
tali operazioni di mercato tendono a mettere sempre più in relazione il settore agroalimentare tradizionale con quello biotecnologico, ed in particolare sembra che tali società
abbiano l’intenzione di sfruttare la struttura commerciale esistente nel settore agricolo
tradizionale al fine di meglio diffondere i prodotti Ogm attraverso i canali commerciali
esistenti, eludendo qualsiasi forma di segregazione del mercato (in tal senso sembra essere
indirizzata l’acquisto da parte della Monsanto della società Cargill, tra le principali società
che commercializzano sementi).
Le finalità di tali operazioni di mercato, supportate dalle nuove normative e dalle
regolamentazioni sui brevetti e sui sistemi di protezione intellettuale richiesti dagli
accordi Trip’s, possono essere ricondotte a due obiettivi precisi:
Un obiettivo è di tipo produttivo-economico, vale a dire di estendere il
controllo sull’intera filiera per favorire l’integrazione, in modo tale da trarre un
vantaggio più efficiente dalle complementarità delle risorse utilizzate e create
(ricerca, produzione, commercializzazione).
Un secondo obiettivo è quello di favorire un maggior controllo sulla ricerca,
restringendo la possibilità di accesso alle innovazioni e di distribuzione dei
prodotti, tramite l’acquisizione di società di ricerca e commercializzazione
esistenti ed emergenti, da parte di soggetti terzi46.
Tali obiettivi pongono, congiuntamente agli alti livelli di concentrazione, limiti
per l’accesso al mercato da parte di possibili concorrenti e pone i maggiori produttori e le
società di ricerca (riconducibili ai medesimi soggetti economico-giuridici) in condizione
di controllare gli indirizzi della ricerca stessa e di commercializzare i loro prodotti
attraverso canali già esistenti, gestendo il mercato attraverso il potere finanziario e
giuridico a loro favore47, e garantendo lo sviluppo solo di quelle colture economicamente
rilevanti con ripercussioni sui livelli di biodiversità esistenti.
46
I limiti sono riconducibili al fatto che nella revisione del ’91 della Convenzione sulla Protezione degli Ottenimenti
Vegetali (promossa dall’UPOV, Unione per la Protezioni degli Ottenimenti Vegetali) è prevista la possibilità di
doppia protezione, ibridatori (Plant Breeder’s Rights, PBR) e brevetti (Patents), oltre alla possibilità di estendere la
protezione a tutti i vegetali e alle varietà essenzialmente derivate.
47
Le legislazioni vigenti in materia di brevetti e protezione favoriscono i vantaggi da prima mossa, grazie alla possibilità
di estendere la protezione a tutto il materiale biologico derivato e alle varietà essenzialmente derivate.
122
Nel complesso è facile identificare come tali società adottino strategie di mercato
diverse: ad esempio la Monsanto pratica principalmente una strategia d’integrazione
verticale e contemporaneamente adotta una politica sulle licenze molto diversificata,
alcune sono esclusive (per il cotone, il principale fruitore autorizzato è la ditta Delta &
Pine Land, la quale doveva essere acquisita dalla Monsanto stessa, ma tale acquisizione è
stata vietata a causa dell’eccessivo potere di mercato che ne sarebbe derivato), alcune
libere ed altre sembrano essere decise di volta in volte dalla Monsanto secondo la società
richiedente; la Novartis (che dopo la fusione con parte di AstraZeneca prende il nome di
Syngenta) opera in condizione d’integrazione verticale, ovvero i geni introdotti sono
relativi alle sole sementi prodotte dalle società del gruppo stesso, ma ciò verrà ripreso in
un secondo momento.
Uno dei fattori più interessanti riguardante le biotecnologie, quindi, sembra essere
proprio il fatto che i principali operatori nel mercato siano delle società multinazionali,
alcune delle quali hanno sempre avuto un grande interesse nel mercato agricolo mondiale
e che negli ultimi anni si sono specializzate nel settore biotecnologico grazie
all’interconnessione con l’industria farmaceutica mondiale.
In sintesi, fino al 1994 lo sviluppo degli Ogm è stato relativo alla ricerca di geni da
introdurre nelle piante con la possibilità di migliorare l’attività agricola, ma di lì in poi la
strategia delle società è stata indirizza a consolidare le proprie posizioni di mercato, a
creare alleanze strategiche che, di fatto, hanno reso il mercato molto concentrato,
dominato da poche grandi società che si sono alleate o fuse tra loro al fine di meglio
controllare il mercato e di avviare una seconda fase di sviluppo e diffusione delle
biotecnologie atta a rivoluzionare il mercato agricolo attraverso i tradizionali mercati
agricoli dei prodotti fitofarmacologico e sementieri, dove le attuali regolamentazioni sui
diritti di proprietà intellettuale e la possibilità a brevettare giocano un ruolo decisivo e
fondamentale nelle strategie di mercato delle società del settore.
IV.3. Evoluzione degli assetti societari delle maggiori società sementiere e
fitofarmacologiche
Le grandi compagnie impegnate nel settore delle biotecnologie hanno investito
molto negli ultimi anni per acquisire compagnie attive nel mercato sementiero e
fitofarmacologico.
123
Le principali operazioni di mercato riguardano le grandi compagnie multinazionali
come Aventis, Monsanto, Syngenta e DuPont.
Il riassetto societario, in atto ed in corso, è evidente anche attraverso i nomi delle
società stesse, vale a dire che nel periodo 1997-2000 le società di riferimento sono
cambiate perché, sempre nel periodo considerato, numerose sono state le fusioni ed in
generale le operazioni di mercato che hanno rivoluzionato gli assetti societari ed in
generale le strutture produttive e commerciali di fondo: la Novartis, dopo la fusione con
parte di AstraZeneca, viene denominata Syngenta; la Monsanto, dopo l’ultima fusione
con la farmaceutica Pharmacia & UpJohn, viene denominata Pharmacia Company;
Zeneca e AstraZeneca si fondono in Advanta, Rhône-Poulenc si fonde con Hoechst per
dar vita ad Aventis che incorpora anche AgrEvo.
Le operazioni di mercato, alla luce degli attuali assetti societari, appaiono ancor
più ristrette ad un numero esiguo di società che, di fatto, ha dominato la ristrutturazione
del mercato: in particolare, se si tiene conto dell’acquisizione da parte di Monsanto della
società sementiera DeKalb Genetics, della fusione tra AstraZeneca e Norvatis (che ha
dato vita a Syngenta) e alla fusione tra AgrEvo e Rhône-Poulenc, il numero di società cui
fa riferimento l’indagine si riduce da dieci a sette, e le operazioni principali di mercato
possono essere ricondotte per il 60% (124 su 205) a tre sole multinazionali, Monsanto,
Syngenta e Aventis (Tab. 34).
Nel complesso, è evidente che, negli ultimi cinque anni, le società appartenenti
alle Life’s Science hanno avviato una ristrutturazione del mercato agricolo; un processo di
consolidamento i cui effetti sul mercato sono relativi ad una concentrazione verticale,
intesa come inglobamento all’interno delle società delle filiere produttive relative ai
propri prodotti brevettati, ed ad una concentrazione orizzontale, intesa come acquisizione
o fusione con società simili già esistenti riducendo in tal modo il livello di
concorrenzialità del mercato stesso, coinvolgendo non solo il mercato inerente le
biotecnologie, ma investendo anche il mercato tradizionale con le relative influenze
oligopolistiche.
Le acquisizioni e le fusioni messe in atto dalle principali società del settore biotech
hanno fatto sì che il controllo del mercato e delle filiere produttive agricole potesse essere
ricondotto ad un gruppo ristretto di società, ma dalle potenzialità finanziarie cospicue,
escludendo ogni possibilità di segregazione delle filiere: di fatto, le filiere non sono
124
distinguibili poiché i punti di commercializzazione, che presentano un discreto livello di
concentrazione, e le società produttrici sono riconducibili alle stesse che operano nel
mercato tradizionale. In definitiva le società biotecnologiche hanno sfruttato ed
“occupato” i tradizionali mercati di produzione e distribuzione esistenti per i propri
prodotti.
Relativamente al mercato statunitense, gli effetti della diffusione delle
biotecnologie agricole hanno investito principalmente il mercato sementiero: tali
conseguenze sul mercato fitofarmacologico sono evidenti relativamente al fatto che sono
state esse stesse ad entrare nel mercato sementiero, come ad esempio Monsanto, le quali
hanno così allargato le proprie prospettive di sviluppo sul mercato agricolo.
Il grafico 16 mostra come le acquisizioni delle principali società sementiere
mondiali sono riconducibili a poche sole società delle Life’s Science, tra le quali un ruolo
dominante spetta alla Monsanto (ora denominata Pharmacia) e alla società Aventis.
I dati forniti dall’Usda mostrano con estrema evidenza la tendenza del mercato
sementiero statunitense (primo produttore mondiale di sementi, con una quota sul totale
mondiale, secondo i dati dalla FIS, del 19%) alla concentrazione tecnico-industriale, in
particolare nel mercato del cotone attraverso la società Delta & Pine Land, la cui
acquisizione da parte della Monsanto è stata negata dall’Antitrust statunitense perché già
in possesso della società sementiera Stoneville (cui spetta il 12% del mercato sementiero
del cotone), e che, di fatto, poi è stata sostituita con la possibilità di diventare unico
fruitore del brevetto sulle sementi di cotone Roundup Ready, cui spetta il 71% del
mercato delle sementi di cotone, vale a dire una netta posizione dominante o monopolio
(Grafico 17), oltre alla posizione di rilievo nel mercato statunitense della società Pioneer
Hi-Bred (DuPont), la quale vanta un posto di rilievo anche in campo internazionale,
soprattutto in Europa.
Nel complesso sono evidenti due fattori essenziali che hanno determinato la
ristrutturazione del mercato sementiero e fitofarmacologico:
1. Le principali operazioni di mercato sono state tendenzialmente indirizzate
ad un rafforzamento delle posizioni dominanti da parte di poche
compagnie, tra le quali è evidente il ruolo svolto dalla Monsanto (sia come
società a sé, sia come associata alla società Delta & Pine Land nel mercato
del cotone sia attraverso le attività sementiere europee della Cargill).
125
Tab. 34 – Attività di consolidamento delle principali società biotecnologiche
(1998)
Compagnie
Fusioni Acquisizioni
Joint Ventures
Altro Totale
Monsanto (USA)
1
15
4
17
37
AgriBiotech (USA)
1
30
0
5
36
Novartis48 (Svizzera)
3
21
10
0
25
Aventis-AgrEvo (Germania)
2
15
3
2
22
AstraZeneca (Inghilterra)
0
14
1
1
16
Limagrain (Francia)
0
15
0
1
16
1
10
0
5
16
Rhône-Poulenc (Francia)
3
6
2
2
13
Dupont (USA)
0
3
2
8
13
DeKalb Genetics50
0
11
0
0
11
La Moderna/Savia
(Messico49)
Fonte: Brennan e altri (1999)
Graf. 16 – Acquisizioni di compagnie sementiere da parte delle società della
Life’s Science, 1995-1998
0
10
Monsanto
20
Aventis
30
40
Dow Chemical
50
AstraZeneca
60
Novartis
70
80
Dupont
Fonte: Brennan ed altri (1999)
48
Attualmente il gruppo Novartis ha dato vita insieme con Zeneca (escluso il 50% della società in comune con la società
Advanta) a Syngenta.
49
Società operante anche in Italia.
50
Le attività sementiere della DeKalb appartengono alla società Monsanto.
126
Graf. 17 – Concentrazione (CR4) per l’industria commerciale di sementi in
USA, 1998
87
100
80
60
67
49
40
20
0
Mais
Soia
Fonte: Hayenga e Kalaitzandonakes (1999)
Cotone
127
2. La non segregazione del mercato (su cui ci si soffermerà più in seguito) ha
avuto l’effetto di stabilire uno stretto rapporto tra il mercato tradizionale e
quello transgenico (entrambi caratterizzati da posizioni dominanti) che, di
fatto, determinano una distorsione su ambedue mercati.
L’attività di consolidamento viene esplicata attraverso strumenti diversificati:
dalle semplici joint-ventures alle fusioni, come strumento culminante e radicale in un
riassetto societario ed organizzativo.
Tra le società che sono state più attive vanno considerate, relativamente al mercato
delle sementi, Monsanto e Aventis, cui spettano rispettivamente, in termini di
acquisizioni, 22 e 18 operazioni, importanti soprattutto dal punto di vista qualitativo51
(Graf. 16).
Relativamente al mercato delle sementi e alle colture maidicole, della soia e del
cotone (tradizionalmente molto diffuse in USA) appare giustificato considerarli come
caratterizzati da alti livelli di concentrazione, in particolare quelli del mais e del cotone.
IV.4. Le operazioni di mercato delle principali società Biotech
In questo paragrafo forniremo argomentazioni e dati sulle principali operazioni di
mercato effettuate dalle società Biotech, al fine di identificare una possibile strategia di
mercato, evidenziando come la diffusione delle biotecnologie non sia un fatto a sé stante,
ma che presenta correlazioni con il mercato tradizionale. Attraverso una struttura del
mercato così composta, è possibile ipotizzare una distorsione del prezzo dei prodotti
connessi al basso livello di concorrenzialità: tali società hanno in sé le capacità tecniche e
finanziarie per influenzare il mercato a favore dell’una o dell’altra parte, naturalmente
secondo una logica di convenienza legata sì alla produzione di sementi fitofarmaci, ma,
nel contempo stesso, condizionata dalle regolamentazioni sui brevetti ed al relativo
technology fee.
Di seguito si cercherà di riassumere le principali operazioni di mercato avvenute
negli ultimi anni e che hanno avuto una valenza sugli equilibri del mercato agricolo
mondiale, il tutto suddividendole per società operante.
51
Il riferimento al carattere qualitativo è da riferirsi al potere, effettivo e potenziale, di mercato delle società oggetto
dell’operazione.
128
Monsanto. Le principali operazioni di mercato della Monsanto possono essere
riassunte, relativamente al periodo 1995-1999, nel seguente elenco:
•
Acquisizione delle società sementiere Asgrow, Holden’s Foundation Seeds Inc.,
DeKalb Genetics Corp., Corn States Hybrid Service Inc., attività internazionali
delle sementerie Cargill (escluso Canada, Usa e Inghilterra), Sementes Agroceres
(Brasile).
•
Tentativo d’acquisizione della Delta & Pine Land.
•
Acquisizione della società di ricerca Calgene, Agracetus.
•
Tentativo di fusione con la società operante nel settore dei fitofarmaci American
Home Products, negata dall’Antitrust statunitense.
•
Acquisizione della società Plant Breeding International Cambridge (PBIC) da
Unilever, importante trasformatore di prodotti agricoli (grano, oli di semi, ecc.)
nel mercato europeo.
•
Collaborazione (diritto d’usufrutto della resistenza al glifosato su soia, mais e
cotone) con le società Novartis, Cheminova, Dow AgroScience e Nufarm.
•
Collaborazione con la società Zeneca per l’uso del glifosato trimesio sulle piante.
•
Collaborazione con la società di ricerca Great Lakes Hybrid per la ricerca di
resistenze per il mais (tale società è in collaborazione con la società sementiera
KWS).
•
Fusione con la multinazionale farmaceutica Pharmacia (guidata da un suo ex
dirigente), dando vita alla società Pharmacia Company.
•
Collaborazione con la società di ricerca Genzyme Molecular oncology.
•
La Monsanto detiene inoltre le società: Jacob Hartz, Hybritech, Ameri-Can
Pedigree, Monsoy (Brasile), First Line Seeds (Canada), Forage Genetics Inc.
(collaborazione), Sensako (Sudafrica) e Custom Farm Seed.
Tali operazioni sono state valutate per un controvalore maggiore di 35.000 milioni
di dollari USA (27.000 milioni relativi alla fusione con Pharmacia).
Novartis. La società Novartis, che dopo la fusione con AstraZeneca prende il nome
di Syngenta (relativamente alla divisione agricoltura), opera principalmente nel settore
farmaceutico (in principio tale società era stata originata dalla fusione tra le società
129
farmaceutiche Ciba-Geigy e Sandoz. Syngenta sviluppa le proprie ricerche soprattutto nel
settore della resistenza agli insetti (BT).
Tra il 1995 e il 1999 le operazioni di mercato principali sono state:
•
Alleanza con Acacia Bioscience per la selezione delle colture.
•
Collaborazione con Monsanto per l’uso del glifosato sulle colture.
•
Cooperazione con i proprietari dell’erbicida PPO, che include Sumitomo e Rhône
–Poulenc, per la ricerca di piante resistenti al PPO.
•
Acquisizione delle società sementiere Eridania Beghin-Say, che include le società
Agra (Italia), Agrosem (Francia), Koisel Semillas (Spagna) e altre operazioni in
Ungheria e Polonia.
•
Fusione con AstraZeneca per dar vita a Syngenta, che vanta vendite di prodotti
agricoli per 7.000 milioni di dollari (22% del mercato).
•
Collaborazione per un valore di 34.000 milioni di dollari con la società Myriad
Genetics per la ricerca sui cereali.
•
Novartis include, inoltre, società come CC Benoist e Maisaduour Semences
(Francia).
La società Syngenta vanta un fatturato nel 1999 di 7.000 milioni di dollari, di cui
4,7 derivanti dal settore agribusiness della società Novartis.
Aventis. La società nasce dalla fusione tra Hoechst (Germania) e Rhône-Poulenc
(Francia) ed ha stretto relazioni con Mycogen (Dow AgroScience), Biogemma
(Limagrain).
La gestione delle attività dell’agribusiness, scaturita dalla fusione, è affidata alla
controllata AgrEvo, la quale raggruppa tutte le attività legate alle biotecnologie applicate
in agricoltura della compagnia Aventis. La fusione è stata valutata attorno ai 4.500 milioni
di dollari.
Tra le principali operazioni della società vanno menzionate:
•
Acquisizione tramite AgrEvo di Biogenetich Technology (Olanda), la quale
detiene la seconda società sementiera indiana (ProAgro), specializzata nella
produzione di sementi di riso, miglio, sorgo, e Misr Hytech (Egitto), specializzata
in vegetali.
130
•
Acquisizione della società Rio Colorado Seeds (California), specializzata nella
produzione di ibridi di cipolle.
•
Acquisizioni di tre società sementiere brasiliane, quali Sementes Ribeiral,
Sementes Fartura e Mitla Perquisa Agricola, per un controvalore di 13.000 milioni
di dollari (tali società controllano l’8% delle vendite di sementi di mais e sono
attive nel mercato della soia e del sorgo).
•
Aumento del controllo al 95% nella società Plant Tech Biotechnology.
•
Acquisizione della società Genex e istituzione della AgrEvoSeeds Australia,
specializzata nel mais e nel sorgo.
•
Collaborazione, tramite la società Rhône-Poulenc, con Agritope per la ricerca
sugli Ogm di seconda e terza generazione (modifiche genetiche plurime e
miglioramento qualitativo), tale accordo prevede un investimento da parte di
Rhône-Poulenc di 20.000 milioni di dollari in 5 anni.
•
Collaborazione con l’Istitute of Molecular Agrobiology per la ricerca sul riso.
Aventis detiene inoltre società come PGS (Belgio), Numhens (Olanda), SunSeed
(USA), Cotton Seed International (Australia) e la Cargill Hybrid (USA), Granja 4 Irmaos
(Brasile), Keystone Seed, Dessrt Seed, Castle Seed, Cannon Roth.
Le operazioni di mercato (esclusa la fusione iniziale) relative alle acquisizioni di
Cargill, Sunseeds e PGS sono state valutate attorno a 1.200 milioni di dollari.
Advanta. La società raggruppa la divisione agribusiness nata dalla collaborazione
tra Zeneca (Inghilterra) e Van Der Have (Olanda) e poi dalla fusione tra Astra (Svezia) e
Zeneca, esclusa la parte di Zeneca detenuta dalla società Syngenta.
Tra le principali operazioni vanno citate:
•
La collaborazione con la ditta giapponese Japan Tobacco per la ricerca sul riso ed
il mais.
•
La collaborazione con AgriPro (USA), con Plant Bioscence e con Maxygen
tramite Zeneca, con un investimento di 20.000 milioni di dollari in 5 anni.
•
Tra le società facenti parte di Advanta sono da considerare: Garst, Gutwein, ICI
Seed, Interstate Payco, Olds Seeds, Zenco, Mogen e Sharpes International.
Il costo della fusione per dar vita a Advanta è stato stimato attorno ai 3.500
milioni di dollari.
131
DuPont. La società è leader nella produzione di sementi grazie l’acquisizione di
Pioneer Hi-Bred, che è il principale produttore mondiale di sementi di ibridi di mais (42%
del mercato), fornisce il 18% delle sementi di soia nel mercato statunitense ed ha
recentemente acquisito la compagnia brasiliana di sementi di soia Dois Marcos.
Tra le principali operazioni di mercato effettuate dalla DuPont vanno considerate:
•
La completa acquisizione della Pioneer Hi-Bred per un controvalore di 9.400
milioni di dollari.
•
La collaborazione con la società Curagen per la ricerca sull’identificazione di
piante per la protezione genetica (ricerca di geni utili da brevettare).
•
La collaborazione con la John Innes Research Center in Inghilterra.
•
Acquisizione della società Protein Technologies International da Optima Quality
Products.
IV.5. Le principali evidenze empiriche scaturite dalle recenti operazioni di
mercato
In precedenza sono state illustrate le principali operazioni di mercato effettuate
dalla società leaders nel settore delle biotecnologie agricole: tali operazioni sembrano
caratterizzare una strategia di mercato atta al consolidamento delle posizioni dominanti
congiuntamente ad un rafforzamento delle collaborazioni tra le società leaders.
La mancata segregazione delle filiere produttive per sementi e la crescente
collaborazione (a volte si tratta di veri e propri cambi di settore di pertinenza) tra
l’industria sementiera e quella fitofarmacologica evidenziano come la caratteristica
principale dei prodotti biotecnologici (quella di collegare l’uso dell’erbicida alla semente,
dove il caso della strategia portata avanti dalla Monsanto, attraverso la tecnologia RR ne
rappresenta il prototipo) abbia influenzato le scelte di mercato, facendo in modo che i
rapporti commerciali tra le due industrie non fossero più caratterizzate da semplici
relazioni, ma le continue fusioni e collaborazioni hanno fatto sì che queste si fondessero,
formando un’industria unica rivolta al settore agricolo nel suo complesso, unendo le
esperienze nei rispettivi settori al fine di trarre mutui benefici dalla ricerca biotecnologica.
La fusione tra il mercato fitofarmacologico e sementiero ha avuto effetti evidenti
anche sul mercato tradizionale. Il potere di mercato esercitato da talune multinazionali,
congiuntamente alla constatazione che esse operano in ambedue i mercati (transgenico e
132
tradizionale), ha creato una situazione ambigua: infatti, entrambi i mercati sono
caratterizzati da posizioni più o meno dominanti, con il risultato che non può essere
rilevato, in maniera certa e quantificabile, quanto le aziende abbiano influenzato l’uno o
l’altro mercato, seguendo la normale (ma non per questo eticamente corretta) logica
aziendale, atta a favorire quei prodotti che potrebbero essere per le aziende più
convenienti, viste le regolamentazioni esistenti sui prodotti Gm e le caratteristiche di
coltivazione degli stessi.
La ristrutturazione dei mercati sementieri e fitofarmacologici ha optato per la
scelta di avviare una collaborazione (a volte riassunta in fusioni ed acquisizioni) tra le
principali compagnie operanti nei mercati, accentuando il carattere di consolidamento del
mercato, tale da farne restringere il controllo da un oligopolio costituito da una decina di
società ad un altro formato da quattro società principali: Monsanto, Aventis, Syngenta e
Advanta. Inoltre, tenendo conto delle relazioni di collaborazione esistenti e create di
recente, è possibile ipotizzare come tale mercato oligopolistico abbia acquisito le
caratteristiche di un monopolio o di un cartello, capace di influenzare il mercato
attraverso non solo i prezzi e quantità, ma anche attraverso il potere, acquisito attraverso i
brevetti, intrinseco nel concetto e nelle regolamentazioni degli stessi.
Tra le principali operazioni e collaborazioni che fanno presupporre tale tentativo
di consolidamento del mercato, attorno a poche sole società, sono da evidenziare le
seguenti:
La fusione recente, nel 2000, tra la farmaceutica Pharmacia e la Monsanto.
L’acquisizione da parte della Monsanto, risolta poi in una licenza esclusiva per le
sementi di cotone, con la società Delta & Pine Land.
La spartizione della società sementiera Cargill tra la Monsanto (mercato europeo e
sudamericano), l’Aventis (mercato nordamericano) e la Dow (mercato delle sementi
ibride statunitensi e canadesi).
La divisione della società Delta & Pine Land tra la Monsanto (mercato delle sementi
di cotone, tramite la licenza esclusiva) e la società Dow (mercato delle sementi di
mais e sorgo).
L’acquisizione da parte di AgrEvo (Aventis) del 20% della società sementiera KWS
(8° società sementiera al mondo per fatturato), la quale controlla il 25% delle sementi
mondiali di barbabietola da zucchero.
133
La fusione annunciata per il Gennaio 2000 tra le società KWS (Germania) e
Limagrain (Francia), rispettivamente l’ottava e la quarta società mondiale per fatturato
nel mercato sementiero (relativamente alle attività legate al mais e alla soia in
nordamerica).
La fusione di Novartis e AstraZeneca (la parte non compresa nella fusione che ha dato
vita ad Advanta) ha dato vita a Syngenta (entrambe le società erano attive sia nel
mercato sementiero sia nel mercato fitofarmacologico).
La completa acquisizione, da parte di DuPont, della società sementiera Pioneer HiBred, società leader mondiale nella produzione e commercializzazione delle sementi
di mais.
In sintesi dai dati forniti dalla Rafi (1999, 2000) è possibile costatare come le
prime dieci società mondiali produttrici di sementi (cui spetta un fatturato complessivo
del mercato pari al 31%), attraverso le varie operazioni di mercato, le partecipazioni
azionarie possono essere ricondotte, attualmente, a sole cinque: nella restrizione del
numero di società sono state incluse la Dow, che insieme con Monsanto e Aventis detiene
le varie divisioni della Cargill, la società Delta & Pine Land, che collabora strettamente
con Monsanto (cotone) e allo stesso tempo è parte integrante di Dow (sorgo e mais), e le
società Limagrain e KWS, le quali hanno annunciato la fusione delle proprie attività
nordamericane relativamente alle sementi di mais e soia.
Tali strategie mostrano come le compagnie leaders abbiano ristrutturato il mercato
agricolo mondiale, nelle sue componenti principali, in funzione della nuova metodologia
di coltivazione delle piante transgeniche, in funzione cioè del pacchetto tecnologico
composto da semente+erbicida.
Dal 1996 ad oggi il mercato sementiero insieme a quello fitofarmacologico è stato
oggetto di numerose operazioni di mercato caratterizzate da ingenti investimenti, in
particolar modo fusioni, che hanno portato ad esempio alcune società come la Monsanto a
ricoprire un ruolo di primaria importanza nel mercato agro-alimentare mondiale.
Relativamente al 1997 la Monsanto era la settima società mondiale nel mercato
sementiero con 200 milioni di dollari di fatturato, nel 1998 tale fatturato aumentava a
circa 1800, facendola balzare al secondo posto tra le leaders mondiali del mercato.
134
IV.6. Le società che operano nel mercato agro-alimentare
Le società che operano nel mercato dell’agribusiness negli ultimi anni hanno
investito molto nella ricerca sulle biotecnologie agricole. Tali società, tuttavia, non
sempre operano solamente nel mercato agricolo, ma spesso sono costituite da diversi
settori, in particolare è evidente una stretta relazione tra le multinazionali farmaceutiche e
multinazionali agricole, soprattutto riguardo allo sviluppo parallelo che le biotecnologie
stanno avendo sia in agricoltura sia nella medicina (relativamente ai farmaci e agli
xenotrapianti). La tabella 35 mostra come tutte le società principali, operanti sul mercato
dell’agribusiness, non hanno come unico settore prevalente di vendite quello agricolo,
tranne alcune come AgrEvo.
Società come Novartis e Monsanto (ora denominata Pharmacia Company)
vantano un’esperienza pluriennale in settori diversi. Monsanto comprende, al suo interno,
tre divisioni di produzione e vendita, quella relativa all’agricoltura con Monsanto (reparto
scienze della vita) Solutia (chimica tradizionale), quella farmaceutica (grazie anche alla
fusione con la multinazionale farmaceutica Pharmacia & UpJohn). Essa, ad esempio,
opera in 100 paesi al mondo commercializzando prodotti come il dolcificante Misura;
Novartis, d’altro canto, è una multinazionale farmaceutica di lunga esperienza che ha
diviso le proprie attività in tre divisioni riconducibili a settore agricolo, alimentare e
farmaceutico. Ad esempio, Novartis produce contemporaneamente il Mais BT Evento 11
(riconosciuto tra l’altro come non “sostanzialmente equivalente” in Europa insieme con
altre sei piante Gm), medicinali come il Voltaren e prodotti alimentari dietetici come
PesoForma; società come Monsanto, con un fatturato del 47% derivante dall’agribusiness
(si stima che il 15% delle vendite sia attribuibile all’erbicida Roundup), e società come
AgrEvo, la cui totalità del fatturato trae origine dal settore agribusiness, investono molto
nel settore dell’agribusiness e dove hanno investito negli ultimi anni molti capitali
finanziari, settore questo che secondo le loro prospettive avrà effetti sui mercati agricoli
per un tempo molto lungo. In alcuni casi la concentrazione realizza economie di scala, le
quali potrebbero avere l’effetto positivo di ridurre i costi di produzione.
Le protezioni intellettuali e commerciali sono parte integrante del sistema
biotecnologico, stimolando ricerca, sviluppo ed investimenti, ma, allo stesso tempo, le
modalità di applicazione di tali normative potrebbero essere troppo restrittive, rendendo
inefficiente il mercato.
135
Tab. 35 – Impatto del settore agribusiness nelle principali compagnie (1999)
Compagnia
Percentuale dei settori agribusiness (1999)
AgrEvo
100%
Monsanto
47%
Novartis
26%
Rhône –Poulenc
19%
AstraZeneca
18%
DuPont
13%
Dow Chemical
9%
Fonte: Commissione Europea (2000)
136
La tabella 35, ad esempio, mostra come anche le diverse compagnie non operano
solamente nel mercato dell’agribusiness, bensì hanno anche l’accesso, e un discreto
potere di mercato, al mercato farmaceutico.
In generale, le società Biotech, proprio per ottenere economie di scala, hanno
diviso internamente le divisioni agro-alimentare e farmaceutica, come, ad esempio, hanno
fatto Syngenta, Aventis e Monsanto, ed in alcuni casi sembra che vogliano separare
definitivamente tali attività e concentrare la propria attenzione su di un solo settore52.
IV.7. La concentrazione nel mercato sementiero
Lo sviluppo e la diffusione delle biotecnologie hanno avuto effetti evidenti sui
vecchi assetti societari e sugli equilibri del mercato agro-alimentare. Le continue
acquisizioni e collaborazioni, che si sono succedute negli ultimi anni, hanno fatto sì che il
mercato ne uscisse profondamente modificato.
Le prime dieci società sementiere mondiali hanno un fatturato consolidato di 6
miliardi di dollari, cioè circa l’11% del mercato mondiale. Esse controllano circa il 40%
del mercato mondiale del seme certificato, per un valore di circa 15 miliardi di dollari
(Giornale Ufficiale della Repubblica Francese, 1999).
La tabella 36 mostra, come l’anno 1998, rappresenti un punto cruciale nella
ristrutturazione degli assetti societari: tali nuovi assetti hanno influito sui livelli di
concentrazione (CR4 e CR10) che nell’arco di un solo anno sono cresciuti entrambi del
10%. La maggior concentrazione stabilita per l’anno 1998, la quale non subisce variazioni
di rilievo nell’anno successivo, è dovuta, in particolare, alla completa acquisizione da
parte di DuPont della società Pioneer Hi-Bred ed alle acquisizioni di numerose società
sementiere da parte di Monsanto, che, dal 1998, diventa uno dei primi produttori di
sementi e che vanta nel suo nuovo assetto aziendale società quali DeKalb, Cargill (attività
internazionali), Asgrow, Sakata, Agroceres ed altre, che le permettono di avere punti di
commercializzazione e produzione in tutto il mondo, dagli USA al Brasile, al Sudafrica.
Le prime tre società sementiere mondiali nel 1999 possono vantare punti di
commercializzazione in tutto il mondo, dall’America all’Europa all’Africa, che
permettono loro di coprire tutti i principali mercati agricoli mondiali (Tab. 37).
52
L’esempio è riferito al recente annuncio da parte di DuPont di dismettere le proprie attività farmaceutiche in favore
della Novartis (Val. M., 2001)
137
Tab. 36 – I principali produttori di sementi a livello mondiale, 1997-1999
(in milioni di dollari)
1997
Rank
Compagnia
1998
Fatturato
Compagnia
1999
Fatturato
Compagnia
Fatturato
1
Pioneer53
1750
DuPont
1835+
Dupont
1850
2
Novartis
900
Monsanto
1800
Pharmacia
1700
3
Limagrain
700
Novartis
1000
Syngenta
947
4
Advanta
460
Limagrain
733
Limagrain54
700
5
Takii
430
Savia
428
Seminis
531
6
Sakata
390
AstraZeneca55
412
Advanta
416
7
Seminis
380
Kws
370
Sakata
396
8
Kws
345
AgriBiotech
370
Kws
355
9
AgriBiotech
300
Sakata
349
Dow
350
10
DeKalb56
250
Takii
300
Delta & P. L.
301
CR4
13%
23%
21%
CR10
21%
33%
31%57
CR458
24%
Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione Europea (2000) e Nomisma (1999)
53
La Pioneer Hi-Bred nel 1999 sarà completamente acquisita dalla Dupont.
54
Limagrain e Kws hanno annunciato una loro fusione nel Gennaio 2000, relativamente alle attività nordamericane
legate alla soia ed al mais.
55
AstraZeneca entrerà per metà del suo capitale in Advanta, l’altra metà farà parte della fusione con Novartis per dar vita
a Syngenta.
56
La DeKalb sarà acquisita dalla Monsanto insieme alle società sementiere Asgrow e alle attività internazionali della
Cargill.
57
Il CR10, date le relazioni esistenti tra le diverse società, può essere definito come CR8.
58
Il CR4 in tal caso deriva dall’aver considerato la fusione tra Limagrain e Kws e dall’aver considerato che la principale
divisione della società Delta & Pine Land è riconducibile alla Monsanto (cotone).
138
Tab. 37 – Accesso per le principali compagnie al mercato sementiero (1999)
Compagnia
Società sementiere acquisite
Mais
AgrEvo
Cargill
X
Metla Pesquisa
X
Sementes Ribeiral
X
Sementes Fartura
X
Biogentic Technology
X
B.V. (BGT)
X
Zeneca
Garst (50%)
X
Novartis
Northrup King
X
Eridania Beghin
X
Pioneer
X
DuPont
Monsanto
Cotone
X
X
X
Mycogen
X
Cargill
X
Dekalb
X
X
Asgrow
X
X
Holden’s
X
X
X
X
X
Calgene
Cargill
Altri semi per oli
X
Protein Technologies Int.
Dow
Soia
X
X
Delta & Pine Land59
X
Fonte: nostra elaborazione su dati Commissione Europea (2000)
59
La Delta & Pine Land ha l’esclusiva per la commercializzazione in Usa delle sementi di cotone Gm della Monsanto.
139
La concentrazione delle società sementiere, che nel 1997 aveva livelli del CR4
pari al 13% e del CR10 pari al 21%, si attesta nel 1999 a livelli rispettivamente del 21 e
31 per cento, vale a dire che un terzo delle vendite mondiali di sementi è riconducibile a
sole dieci società e che un quinto di queste è riconducibile a sole quattro.
Relativamente al 1999, tenendo conto della mancata acquisizione da parte di
Monsanto della principale società sementiere di cotone degli USA Delta & Pine Land
(risolta poi attraverso un accordo di esclusiva sulle sementi di cotone GM brevettate dalla
Monsanto) e dall’annuncio di fusione tra la Kws e il consorzio francese Limagrain, il CR4
assume un valore del 24%, mostrando dunque come la ristrutturazione del mercato sia
ancora in corso, e, lì dove non avvengono fusioni, vi sono strette collaborazioni che
eludono le leggi antimonopolistiche (l’acquisizione di Delta & Pine Land da parte di
Monsanto era stata annullata dall’antitrust statunitense).
In un prossimo futuro non appare fuorviante considerare come il mercato
sementiero possa essere controllato da poche società: Pharmacia, Syngenta, DuPont, il
soggetto che uscirà dalla fusione tra Limagrain e Kws (controllata per il 20% dalla
Aventis, che ha un fatturato nel settore sementiero pari a 288 milioni di dollari) ed
Advanta. Tale considerazione sembra confermare come all’interno del mercato delle
sementi vi siano società con posizioni dominanti, cui spetta un potere decisionale capace
di agire al di fuori delle normali leggi di concorrenza, attraverso la costituzione di barriere
all’entrata e attraverso una serie di alleanze e collaborazioni che, di fatto, incrementano il
loro potere di controllo60.
Attraverso le recenti acquisizioni Monsanto insieme con la Pioneer Hi-Bred è in
grado di influenzare significativamente il mercato delle sementi di mais. Le due società
hanno
le
potenzialità
per
controllare,
grazie
alla
rete
di
produzione
e
commercializzazione, il 90% delle sementi di mais Nordamericano (Hayenga M., 1998) e
l’80% delle sementi di mais italiane (il 60% è controllato da Pioneer e il 20% è
riconducibile alla Monsanto, Novartis ed altre ditte sementiere francesi). In aggiunta la
Monsanto ha acquisito la Asgrow per competere nella produzione di sementi di mais con
Pioneer (Hayenga M., 1998) e la DeKalb che ha permesso alla società di controllare il 2530% delle sementi di soia nel 1998 (un valore cinque punti più alto rispetto al 1997).
60
Le regolamentazioni sui brevetti permettono alle società detentrici di decidere a quali società terze concedere il diritto
di usufrutto, posizione questa che potrebbe avere effetti distorsivi sulla libertà di produzione, che costituiscono delle
barriere all’entrata molto alte.
140
La Monsanto dopo la fallita acquisizione di Delta & Pine Land ha deciso che
dismetterà la società sementiera di cotone Stoneville (cui spetta il 16% del mercato delle
sementi di cotone USA), società che solo tra il 1997 e il 1998 ha visto crescere la sua
quota di mercato di quattro punti grazie allo sviluppo di piante resistente al bromoxynil
(Buctril).
IV.8. La concentrazione nel mercato fitofarmacologico
Le compagnie operanti del mercato biotecnologico negli anni recenti hanno
avviato, attraverso operazioni di mercato (fusioni, alleanze), anche una ristrutturazione del
mercato dei prodotti fitochimici. La ricerca di nuovi assetti all’interno del mercato
agroalimentare ha comportato, conseguentemente al maggior collegamento tra sementi ed
erbicidi (Technology Package), l’adozione strategie di mercato, da parte delle maggiori
compagnie, atte a consolidare il rapporto esistente tra il settore degli inputs primari
agricoli (sementi e fitofarmaci).
Tra le operazioni che più tra tutte hanno modificato gli assetti societari, e di
conseguenza la struttura del mercato, si evidenzia la fusione tra i due colossi AgrEvo e
Rhône-Poulenc che ha dato vita ad Aventis, la quale è diventata la prima società al mondo
per fatturato (4.676 milioni di dollari) operante nel mercato dei fitofarmaci.
La ristrutturazione del mercato fitofarmacologico ha avuto effetti sul mercato e sul
suo livello di concentrazione: il tasso di concentrazione CR4, tra il 1997 e il 1998,
aumenta dal 41 al 51 per cento, mentre il CR10 aumenta dall’82 al 91 per cento (Tab. 38).
E’ possibile affermare come il mercato fitofarmacologico abbia un livello di
concentrazione altissimo: le prime dieci società al mondo controllano la quasi totalità del
mercato, operando in un mercato strettamente oligopolistico e le prime quattro
controllano la metà del fatturato mondiale dei prodotti chimici applicati all’agricoltura.
Tale situazione non concorrenziale, da parte del mercato dei fitofarmaci, mostra,
con estrema evidenza, come nel corso degli ultimi anni, in particolare tra il 1996 e il 1999,
tale mercato sia stato oggetto di spartizione ed acquisizione da parte delle società operanti
nel mercato biotech. La ricerca da parte delle principali compagnie operanti nel biotech di
altre che potessero garantire una migliore gestione dei prodotti biotecnologici, ha fatto sì
che queste ultime si fondessero tra loro e, nello stesso tempo, si fondessero o avviassero
delle collaborazioni con le società sementiere. Lo schema interpretativo delle
141
ristrutturazioni in atto possono essere ricondotte al successo avuto dalla società “pioniera”
nel mercato biotecnologico, la Monsanto, che ha fatto della concentrazione e fusione tra il
mercato sementiero e fitofarmacologico il suo punto di forza e il suo passe-partout per la
conquista di grosse fette di mercato.
La strategia di mercato messa in atto dalla Monsanto ha fatto sì che il proprio
fatturato passasse, nel solo settore agro-chimico, da circa 2.555 milioni di dollari del 1996
a 4.032 del 1998 ed, allo stesso tempo, il fatturato nel mercato sementiero passasse da 200
milioni di dollari del 1997 ai 1700 del 1998 (Nomisma, 1999; Rafi, 1999).
L’interesse scaturito dalle società impegnate nel biotech nasce dal linkage tra la
semente biotecnologica e l’erbicida, caratteristica fondamentale del pacchetto tecnologico
relativo alla metodologia HT. Ad esempio Monsanto, grazie all’acquisizione di società
sementiere e agro-chimiche, è riuscita a sfruttare in prima persona i ricavati dei suoi due
principali brevetti, Roundup erbicida e Roundup Ready sementi, dando origine al nuovo
modo di relazionarsi con il settore agricolo, ovvero fornendo ai coltivatori un unico
pacchetto necessario per coltivare, i cui componenti sono prodotti e tutelati dalla
Monsanto stessa: in tal modo la società garantisce a se stessa il monopolio sulle nuove
tecnologie sia dal lato delle sementi sia dal lato degli erbicidi.
Nel Luglio 1998 era stato annunciato un tentativo di fusione tra la Monsanto e
l’industria leader nella produzione di erbicidi per le piantagioni di soia American Home
Products (che controlla American Cyanamid), respinto poi dall’Antitrust statunitense
(Hayenga, 1998). Tale fusione dal valore di circa 35.000 milioni dollari avrebbe
ulteriormente condizionato il mercato fitofarmacologico, facendo attestare l’indice CR4 al
47% per il 1997 e al 58% nel 1998.
L’effetto di tale fusione avrebbe fatto guadagnare alla Monsanto la leadership
nella produzione di fitofarmaci (soprattutto per coltivazione di soia), sarebbe nata una
società dal fatturato, nel solo settore agro-chimico, di 6.226 milioni di dollari, e che
avrebbe avuto il controllo del 20% del mercato agro-chimico. L’interesse scaturito per
AHP nasce dalla rapida diffusione della soia GM, e AHP è sempre stata una società leader
nel mondo nella produzione di erbicidi, insieme alla Monsanto, per le coltivazioni di soia.
Fino alla fine del 2000, data di scadenza del brevetto sul Roundup, la Monsanto è
riuscita a gestire, come meglio ha ritenuto, le strategie di mercato per i prodotti GM,
poiché la principale tecnologia sviluppata è quella HT e dove la resistenza al glifosato è la
142
Tab. 38 – I principali produttori di fitofarmaci a livello mondiale, 1997-1999
(in milioni di dollari)
1996
Rank
Compagnia
1997
Fatturato
Compagnia
1998
Fatturato
Compagnia
Fatturato
1
Novartis
4068
Novartis
4140
Aventis61
4676
4
Zeneca
2638
Monsanto
3126
Novartis
4152
2
Monsanto
2555
Zeneca
2673
Pharmacia
4032
5
AgrEvo
2475
Dupont
2518
DuPont
3156
3
Dupont
2472
AgrEvo
2348
AstraZeneca
2897
7
Bayer
2350
Bayer
2265
Bayer
2273
6
Rhône-Poulenc
2203
Rhône-Poulenc
2220
A.H.Products62
2194
9
Dow
2010
Am.Cyanamid
2119
Dow
2132
8
Am.Cyanamid
1989
Dow
2000
Basf
1945
10
Basf
1536
Basf
1863
Makhteshim
801
CR4
40%
51%
CR10
82%
91%
Fonte: Commissione Europea (2000), Nomisma (1999) e Rafi (1999)
61
Nata dalla fusione tra AgrEvo e Rhône-Poulenc.
62
Società che controlla American Cyanamid.
143
più diffusa da conferire alle piante, seguita dal Bromoxynil e dal glufosinato ammonio.
Il grafico 18 mostra sinteticamente l’evoluzione dell’industria fitofarmacologica,
evidenziando schematicamente come le continue fusioni abbiano aumentato il livello di
concentrazione all’interno del settore.
Le fusioni avvenute, tra le principali società agro-chimiche, hanno fatto sì che il
mercato si fosse consolidato attorno a poche sole società: Pharmacia, Syngenta, Aventis,
Advanta, oltre alla Dow.
Le prime fusioni sono avvenute nel 1996 con le joint-ventures tra Zeneca e Van
Der Have, che ha dato vita ad Advanta (sementi), e tra Hoechst e Shering (fusesi nel
1998), che ha dato vita ad AgrEvo (la quale sarà assorbita in Aventis). Successivamente,
nel 1996, avvengono le fusioni tra Ciba-Geigy e Sandoz, creando Novartis, che a sua
volta nel 1999 si fonde con AstraZeneca (la parte non inclusa in Advanta) per dar vita al
colosso agro-alimentare Syngenta.
Il 1999 rappresenta un anno di fondamentale importanza per il mercato agrochimico, ed agro-alimentare in genere, poiché proprio durante tale anno avvengono
ulteriori fusioni e appaiono più evidente le finalità delle singole operazioni di mercato: la
fusione tra Pharmacia & UpJohn (la quale sembrava non essere interessata inizialmente
all’avventura biotecnologica) e la Monsanto (dopo il divieto da parte dell’Antitrust
statunitense di attuare la fusione con AHP) dà vita ad un colosso attivo sia nel campo
sementiero sia agro-chimico; la fusione tra Rhône-Poulenc e AgrEvo dà vita ad Aventis,
la prima compagnia al mondo per fatturato nel settore agro-chimico; Advanta (sementi)
nata nel 1998, avvia una fusione con AstraZeneca, nata come joint-venture tra la
controllata Zeneca e la società svedese Astra.
Un particolare di rilievo, oltre alla tendenza al consolidamento del mercato agrochimico, appare evidente nel percorso di formazioni delle compagnie Advanta e
Syngenta, vale a dire che la società AstraZeneca è divisa tra le due.
La posizione di AstraZeneca, ad un’analisi più approfondita, funge da punto di
collegamento (anche se le due società sono separate) tra le due società: infatti, Novartis
prima della fusione aveva una struttura indirizzata principalmente alla chimica, mentre
Advanta aveva una struttura societaria più specifica per il settore sementiero,
AstraZeneca, invece, trae beneficio (oltre ad essere se stessa una compagnia leader nei
due settori) dalle caratteristiche societarie sia di Novartis sia di Advanta.
144
Graf. 18 – Evoluzione degli assetti societari che ha dato origine alle
principali società fitofarmacologiche mondiali
Monsanto
Pharmacia
Pharmacia
& UpJohn
Ciba-Geigy
Novartis
Sandoz
Syngenta
Astra A. B.
AstraZeneca
Zeneca
Van Der
Have
Advanta
Advanta
Hoechst
AgrEvo
Shering
Aventis
RhonePoulenc
Fonte: nostra elaborazione su dati Nomisma (1999), Rafi (1999, 2000)
145
La società ZenecaSeeds, del gruppo Advanta, nel 1998 ha avviato una
collaborazione con AHP63 per lo sviluppo delle biotecnologie, non transgeniche, al fine di
introdurre caratteristiche di resistenza agli erbicidi in modo naturale nel mais: Zeneca si
occuperà della ricerca sulle sementi e AHP si occuperà della ricerca sull’erbicida cui
resistere (tale nuova ricerca è indirizzata anche verso piante ibride).
IV.9. La concentrazione dei brevetti
Nel contesto delle biotecnologie la possibilità di ottenere un brevetto è
indispensabile per garantirsi un posto nel mercato. Le grandi compagnie mondiali, negli
ultimi anni, hanno finanziato grossi investimenti nel settore della ricerca, sia in capitale
umano sia attraverso la collaborazione o l’acquisizione di centri di ricerca capaci, nei
mezzi e nelle capacità intellettuali di garantire un certo numero di brevetti biotecnologici
nel minor tempo possibile. Il brevetto, nello sviluppo degli Ogm, rappresenta per ogni
azienda, che voglia avere un posto di rilievo nel mercato, il primo passo. Il potenziale di
sviluppo di un’azienda nel mercato agro-alimentare, in particolare quello transgenico, è
proporzionale alla capacità finanziaria di acquisire o avviare collaborazioni in centri di
ricerca64. Il brevetto su una varietà vegetale transgenica, viste le regolamentazioni
restrittive connesse, dà il diritto alle compagnie, per un ventennio o più, di agire in
condizioni di monopolio, quindi di gestire secondo le proprie strategie di mercato i
benefici derivanti dall’esclusiva connessa. Negli anni dello sviluppo delle biotecnologie
transgeniche alcune aziende, come la Monsanto, hanno avuto la possibilità, attraverso
grossi investimenti nelle ricerche, di imporsi sul mercato.
La posizione leader della Monsanto sembra essere legata ai due brevetti ”base”
sulle tecnologie Roundup Ready sementi e Roundup erbicida, che ha permesso alla
società di gestire al meglio l’ingresso dei propri prodotti Gm in agricoltura, in particolare
in quella delle materie prime industriali (mais, soia, cotone), tramite i prezzi delle sementi
e degli erbicidi.
63
AHP è stata la prima società nel 1992 ad ottenere una resistenza agli erbicidi, in modo naturale e non transgenico,
nelle piante di mais.
64
I centri di ricerca spesso sono collaborazioni nate tra biotecnologi indipendenti con fondi a rischio, denominate StartUp, che una volta raggiunto il traguardo di un brevetto biotecnologico diventano oggetto di acquisizione, brevetto
compreso, da parte delle grandi compagnie multinazionali.
146
La tabella 39 mostra la ripartizione delle prove sperimentali in campo in USA dal
1987 al 1998 ripartita tra le diverse compagnie. Le ripartizione delle prove sperimentali
fornisce due indicatori fondamentali: l’uno riguardante la ripartizione dei brevetti, l’altro
ci fornisce un quadro più completo sulle aziende che, più tra tutte, sembrano essere
interessate alla ricerca sul transgenico.
I dati indicano come il livello di concentrazione delle prove in USA sia molto alto,
74% per il CR4 standard e 71% per CR4, relativo alle sole compagnie private: le
compagnie private comprendono Monsanto, 38.2%, DuPont, 16%, Aventis, 10.5%, e
Novartis, 5.8% (Tab. 39).
La Monsanto può essere considerata la compagnia leader nel settore delle
sperimentazioni su campo, che è l’ultimo stadio prima della coltivazione su larga scala ai
fini commerciali: infatti, nonostante non sia stato compreso il dato relativo a Delta & Pine
Land, che la società leader nel settore del cotone (71% del mercato statunitense), ad essa
spetta quasi il 40% delle prove, evidenziando come tale società abbia un notevole
interesse sul futuro delle applicazioni biotecnologiche al settore agricolo.
La posizione di rilievo nel numero delle prove sperimentali relativa a Monsanto è
attribuibile anche al beneficio apportato dalla società acquisite tra il 1997 e il 1998, le
quali hanno contribuito per ben 810 prove su 2531.
Seconda nel numero di sperimentazioni è la compagnia DuPont, cui spetta il 16%
delle prove condotte, soprattutto grazie al contributo apportato dall’acquisizione totale di
Pioneer (leader nella produzione di sementi di mais e cui spetta una posizione di rilievo
internazionale sul controllo del germoplasma del mais), alla quale vanno attribuite ben
672 prove su 1060 riconducibili alla DuPont, circa il 63% del totale. Tra le 6616 prove
condotte nel decennio considerato, una posizione di rilievo negli USA va attribuita anche
alle Università che con 612 prove condotte, 9.3% del totale.
Il caso europeo è ben diverso dal contesto USA: infatti, le prove condotte sono
state 1283, nel periodo 1990-1998 (Tab. 40).
Le più contenute autorizzazioni europee alle sperimentazioni su campo sono da
ricondurre a diversi fattori, che hanno esercitato un’influenza negativa sul numero delle
sperimentazioni: tali fattori di riduzione vanno ricercati su due fronti complementari,
l’uno economico e l’altro legislativo.
147
Tab. 39 – Autorizzazioni a prove sperimentali in campo di piante
transgeniche negli USA dal 1987 al 1998
Rank
Società/Ente
Numero
%
1)
Monsanto65
2531
38.2
2)
3)
DuPont
Aventis
1060
696
Monsanto
1716
DeKalb
280
Calgene
258
Asgrow (agronomiche)
123
Agracetus
26
Holden'
s
63
Altre
5
Pioneer Hi-Bred
672
DuPont
388
AgrEvo
499
Cargill (USA e Canada)
106
Plant Genetics Systems
60
Rhône-Poulenc
22
Altre
14
Seminis Vegetable Seeds
67
Dna Plant Tech
82
PetoSeed
70
Asgrow (orticole)
91
16
10.5
4)
Università
612
9.3
5)
Novartis
386
5.8
6)
Seminis
310
4.7
Altri
1021
15.4
Totale
6616
100
CR4
4899
74
CR4 (privato)
4673
71
Fonte: nostra rielaborazione su dati Nomisma (1999)
65
Il dato non comprende Delta & Pine Land dato che l’acquisizione non è stata possibile.
148
Il fattore economico va ricondotto alla minor necessità da parte del settore
agricolo europeo ad utilizzare e sperimentare piante transgeniche, dato che la Comunità
Europea non ha problemi di deficit di produzione: infatti, le politiche comunitarie tendono
a contenere le produzioni agricole al fine di salvaguardare i prezzi dei prodotti e i redditi
del settore agricolo; in secondo luogo, le caratteristiche delle prime piante GM non
risolvono i problemi agricoli locali (in particolare nel caso di tecnologie BT la possibile
adozione di tale tecnica risulta non necessaria, dato che le popolazioni di piralide
potrebbero, potenzialmente, attaccare solo il 2% delle coltivazioni di mais), e vanno in
controtendenza alle politiche agricole comunitarie intente (in particolare in Italia) a
salvaguardare le colture locali e le tipicità dei prodotti regionali, attraverso le
certificazioni DOC (Denominazione di Origine Controllata), DOP (Denominazione di
Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e le politiche delle quote
agricole.
Le piante Gm non offrono un maggior valore della produzione in favore degli
agricoltori da un lato, e dall’altro le possibili maggior rese non sono eco-compatibili,
poiché contribuirebbero ad una maggior erosione dei suoli coltivati e non rappresentano,
ad oggi, un’alternativa valida ed affidabile dato che si tratta di un sistema di produzione
recente e ancor poco conosciuto nei suoi effetti di lungo periodo, sia sull’uomo sia
sull’ambiente.
Il fattore legislativo, in accordo con la Convenzione sulla Biodiversità ratificata
nel trattato di Maastricht, si pone obiettivi atti a rispettare i redditi degli agricoltori da un
lato e dall’altro esercita i propri poteri attraverso la salvaguardia dell’ambiente, attraverso
un approccio legale che tende a ridurre al minimo i rischi connessi a tali colture, sia dal
punto di vista ambientale sia dal punto di vista dei diritti dei consumatori, applicando alla
lettera il Diritto alla salute sancito nel Trattato di Nizza (2001).
La presa di posizione dell’UE sulle questione rurali è evidente anche dai dati sui
livelli di concentrazione delle prove sperimentali, visto che alle Università e agli Enti
Governativi spettano 227 prove su 1283, circa il 17.7% del totale.
L’indice di concentrazione CR4 (58.2%, 747 prove) è relativamente basso, se
confrontato a quello statunitense; invece, quello delle sole aziende private è del 47.7%
(612 prove).
149
Tab. 40 – Autorizzazioni a prove sperimentali in campo di piante transgeniche
nell’UE dal 1990 al 1998
Rank
Società/Ente
Numero
%
1)
Aventis
257
20.0
3)
2)
4)
5)
6)
Enti Gov./Univ
66
Monsanto
Advanta
Novartis
227
17.7
132
10.3
131
92
Plant Genetics System
127
AgrEvo
86
Rhône-Poulenc
30
Nuhems
7
Altre
7
Monsanto
97
Asgrow
16
DeKalb
8
Pbi
7
Cargill (attività europee)
4
Advanta
5
Van Der Have
70
Ses
35
Mogen
25
Zeneca-ICI
12
Altre
19
Novartis
19
Ciba-Geigy
37
Altri
36
10.2
7.2
Altri
444
34.6
Totale
1283
100
CR4
747
58.2
CR4 (privato)
612
47.7
Fonte: nostra rielaborazione su dati Nomisma (1999)
66
Il dato non comprende Delta & Pine Land dato che l’acquisizione non è stata possibile.
150
Tra le società che sperimentano nel territorio europeo spicca il ruolo della
compagnia franco-tedesca Aventis, cui spettano 257 prove, circa il 20% del totale, seguita
(escludendo quelle non private) da Monsanto con 132 prove, circa il 10.3% del totale e da
Advanta cui spettano 131 prove, circa il 10.2%, grazie in particolare al contributo della
società interna Van Der Have (Olanda), che garantisce ad Advanta più del 50% delle
prove condotte (Tab. 40).
IV.10. La concentrazione nel mercato transgenico
I dati finora mostrati sono relativi alle società che operano nel mercato agricolo in
generale, tradizionale e biotecnologico, senza distinzione. Le compagnie che operano nel
mercato biotecnologico, è da dire, sono le stesse che operano nel mercato tradizionale, di
qui la necessità di analizzare i mercati sementiero e fitofarmacologico nel loro insieme.
Le operazioni di riassetto societario, nel mercato agricolo in generale, hanno
profondamente cambiato i rapporti di forza nello stesso e gli indirizzi di ricerca
agronomica, oltre agli indirizzi di ricerca di possibilità di profitto.
Il fatto che le società operanti nel mercato tradizionali sono le stesse che
detengono il monopolio delle coltivazioni transgeniche pone problemi sulla libertà di
scelta del mercato agricolo e dei consumatori.
La possibilità che le maggiori aziende Biotech, attraverso il technology fee o
attraverso variazioni di produzione, possano influenzare il mercato agricolo, appare
realizzabile: le possibilità finanziarie, le regolamentazioni vigenti e il technology fee
offrono alle società la possibilità e la potenzialità di favorire l’una o l’altra coltura, oltre
alla possibilità di influenzare il mercato attraverso il canale dei prodotti fitofarmacologici,
il quale appare più concentrato di quello sementiero (sotto il controllo delle medesime
società che producono sementi).
Tale condizione anticoncorrenziale, congiuntamente alle regolamentazioni in
materia di brevettabilità e protezione vegetale, pone problemi di accesso e di distribuzione
dei vantaggi derivanti dalle ricerche agronomiche, a scapito del settore di destinazione
degli inputs agricoli, il quale risulta condizionato dalle oscillazioni dei prezzi dei mercati
degli inputs agricoli determinabili dalle scelte delle società leaders nel mercato agricolo in
generale.
151
Le statistiche fornite dalla RAFI nel 2000, indicano come il settore agroalimentare transgenico abbia livelli di concentrazione che rasentano il monopolio assoluto
da parte di un’azienda, la Monsanto (ora Pharmacia), la quale controlla l’87% del mercato
transgenico, 34.8 milioni di ettari coltivati con i prodotti Monsanto sui 39.9 totali nel
mondo, con un incremento sull’anno precedente del 48%, da 23.5 a 34.8 milioni di ettari
coltivati (Rafi, 200067).
La posizione della Monsanto nel mercato transgenico appare consolidata: la
società è tra le prime al mondo nella ricerca, nel mercato sementiero, nel mercato
fitofarmacologico e nelle acquisizioni societarie, che hanno trasformato l’azienda, prima
interessata solo al settore degli erbicidi (il Roundup in particolare), nella società leader nel
settore agricolo mondiale.
Il grafico 19 mostra la ripartizione societaria del settore agricolo mondiale,
transgenico e tradizionale, tenendo conto sia delle quote effettive di mercato sia del
potenziale: i dati evidenziano come cinque grandi compagnie al mondo abbiano il totale
controllo del settore sementiero agrobiotecnologico, Monsanto (80%), Aventis (7%),
Syngenta (5%), Basf (5%) e DuPont (3%) (Rafi, 2000). Le stime sono state effettuate da
un gruppo di analisti agrochimici della società Wood McKenzie, anche se la Rafi ritiene
che il potere di mercato della Monsanto sia ancora più alto.
Risulta ben evidente come le statistiche fornite dai vari Enti, come la RAFI,
l’USDA o Wood McKenzie, siano tra loro molto eterogenei. Tale eterogeneità, senza
dubbio, è da ricondursi alle diverse metodiche utilizzate nell’elaborazione dei dati: alcune
basate sulla quota di fatturato che le singole società detengono, altre hanno utilizzato
misure più reali, studiando il reale potere di mercato, diretto ed indiretto68.
IV.11. L’integrazione verticale ed orizzontale
Un nuovo aspetto che non può essere trascurato, il quale scaturisce dalle recenti
operazioni di mercato, riguarda la concentrazione nelle mani di poche società di tutta la
filiera agro-alimentare e l’accesso alle nuove tecnologie agricole.
67
La fonte utilizzata dalla Rafi è proprio la Monsanto: infatti, l’articolo è basato su un comunicato stampa del 10
Febbraio 2000 intitolato “Monsanto Reports 1999 Fourth-Quarter And Full-Year Results”.
68
Attraverso misure atte a verificare il potere di influenza sul mercato, non determinato solamente dal fatturato, ma
anche dal numero di brevetti, dalla capacità finanziaria e di espansione sui mercati.
152
Graf. 19 – Quote di mercato agricolo mondiale per società (1999)
100%
90%
80%
70%
60%
DuPont
Basf
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Fonte: nostra elaborazione su dati Rafi (2000)
Syngenta
Aventis
Monsanto
153
Le “campagne acquisti” portate avanti da società come Monsanto, DuPont e la
Dow evidenziano come lo scopo finale sia quello di consolidare il rapporto tra mercato
sementiero e fitofarmacologico, rapporto questo insito nell’applicazione delle nuove
metodologie, e di collegarle alle società che “producono” brevetti.
Una situazione del genere stabilisce un nuovo sentiero per lo sviluppo del sistema
agro-alimentare: tale sentiero, oltre all’industrializzazione del settore agricolo, è costituito
dalla possibilità di unificare la filiera produttiva in senso totalitario, vale a dire non solo si
ha un consolidamento del potere di mercato da parte di alcune compagnie, ma si è anche
inglobata nella filiera il settore della ricerca scientifica del settore.
In una tal situazione ogni compagnia ha in sé la struttura ed il potenziale di
controllo dell’intera filiera agricola, dalla produzione di brevetti a quella delle sementi e
dei prodotti chimici (nel caso di particolari prodotti, come ad esempio la colza con alto
contenuto laurilico, tale controllo si estende alla commercializzazione finale verso
l’industria richiedente), lasciando all’agricoltore solamente il lavoro nei campi e la
consegna del prodotto ai mercati internazionali che provvedono a commercializzarlo.
Ogni compagnia, data una tale struttura completa, ha in sé il potenziale per trarre
dei vantaggi economici da ogni settore della filiera produttiva, ivi compresa la possibilità
di distribuire le quote di valore aggiunto, prodotte dalle singole parti della filiera, secondo
precise logiche di mercato.
In particolare ogni azienda ha la possibilità di distribuire il profitto complessivo
tra le varie componenti della filiera: ciò darebbe la possibilità di produrre sottocosto, ad
esempio, la semente a favore dell’erbicida usato e viceversa; è possibile che le compagnie
decidano di sfruttare solo il brevetto tramite il pagamento di royalties, o che le compagnie
decidano, attraverso le variazioni di offerta di rendere conveniente un prodotto
tradizionale o uno transgenico, visto che le stesse compagnie operano in ambedue i
mercati, caratterizzati entrambi da un’elevata concentrazione (misurata non solo dalle
quote di mercato, ma anche dal potenziale di espansione sui mercati, e dal numero di
mercati raggiungibili).
Le operazioni di mercato hanno da un lato favorito la concentrazione verticale (la
filiera allargata69) e dall’altro hanno dato vita ad un’integrazione orizzontale, vale a dire
69
La definizione di filiera allargata si riferisce al fatto che generalmente il settore della ricerca non viene classificato
all’interno della filiera, perché estraneo al processo produttivo, ma nelle biotecnologie la ricerca diviene parte
154
operazioni che non hanno creato società nuove da introdurre nella filiera, ma le principali
compagnie hanno acquisito o avviato collaborazioni con società esistenti, ben strutturate e
con una lunga esperienza nel mercato. Tale interiorizzazione, congiuntamente al controllo
della filiera, ha avuto effetto ancor più consolidante nel mercato agro-alimentare,
lasciando nelle mani di pochissimi, quello che prima era nelle mani di pochi, con la
conseguenza di poter avere degli effetti distorsivi sul mercato. La concentrazione è dovuta
alla constatazione che le più importanti industrie sementiere (Asgrow, DeKalb e Ciba
Sementi) e i titolari di brevetti inerenti le biotecnologie (Calgene, Ecogen, Agracetus,
Plant Genetics Systems, Mycogen e DNA Plant Technology), oltre alle Start-Up, sono
stati assorbiti dalle grosse compagnie agro-chimiche come la Monsanto, la DowElanco e
la DuPont: in tal modo la tecnologia si è consolidata e sviluppata entro un ristretto numero
di compagnie che hanno controllo dell’accesso alle applicazioni specifiche, vale a dire che
tramite i brevetti sui geni viene meno la libertà di ricerca su di loro e su di un loro
possibile riutilizzo diverso e più produttivo.
All’interno delle società che detengono il maggior potere di mercato, la Monsanto
sembra esserne il prototipo: la società è sempre stata attiva nel settore della produzione di
sostanze chimiche per l’agricoltura70, in particolare il brevetto sul glifosato (il RoundUp)
è stato il risultato più importante e remunerativo insieme alla produzione di PBC, un
composto oleoso che conduce calore, ma non elettricità, utilizzato per svariati scopi (dalle
apparecchiature elettriche all’uso come sgrassatore per i sottomarini nucleari71), di cui poi
si scoprì nel 1969 la nocività e la sua presenza nella catena alimentare (nel 1968 in
Giappone a Kyush si ammalarono 1300 persone per aver mangiato riso contaminato da
PCB), oltre al fatto che tale sostanza, biodegradabile dopo molti anni, si fosse depositata
soprattutto nelle regioni polari, con conseguenze gravi per l’intera popolazione umana e
animale.
Negli ultimi anni la Monsanto ha dato vita ad una serie di acquisizioni atte a
incorporare l’intera filiera produttiva agricola: infatti, la società detiene la proprietà di
fondamentale nella possibilità di produrre sementi biotecnologiche. Essa funge da chiave di accesso senza la quale
non è possibile produrre, congiuntamente alle collaborazioni o alle acquisizioni di società nel settore agro-chimico.
70
La Monsanto, insieme alla Dow, è diventata tristemente famosa per la produzione dell’erbicida Agente Orange usato
durante la guerra in Vietnam, il quale serviva a defogliare le piante, poi rivelatosi essere nocivo alla salute: secondo
alcune stime, escludendo i militari USA, si calcola che fino ad oggi siano morti a causa di tale erbicida circa 500.000
bambini vietnamiti (The Ecologist, 1998). Il TCDD (una diossina), che compone l’Agente Arancio, è stato
considerato il più tossico tra le diossine mai prodotte e conosciute dall’uomo.
71
Secondo l’Ecologist, la Monsanto conosceva gli effetti nocivi del PCB dagli anni ’30.
155
aziende che si occupano dalla ricerca alla commercializzazione delle sementi. La
compagnia in tal modo dispone di tutte le competenze necessarie, tutelate e salvaguardate
dalle regolamentazioni internazionali, per sfruttare al meglio i ritrovati biotecnologici.
Il grafico 20 mostra la struttura della società suddivisa per attività. La società
possiede inoltre:
Società sementiere quali DeKalb, Cargill (attività internazionali), Asgrow,
Holden’s Foundation.
Società titolari di brevetti e attive nel settore della ricerca, quali Calgene,
Agracetus e PBI.
Il comparto della chimica applicata all’agricoltura è affidato alla Monsanto stessa,
da tener presente inoltre che la società si è recentemente fusa con un’altra
multinazionale della chimica Pharmacia & UpJohn (diretta attualmente da un suo
ex dirigente), oltre al tentativo di acquisizione della multinazionale della chimica
AHP (di proprietà dell’American Cyanamid).
La struttura societaria della Monsanto (ora Pharmacia) contiene al suo interno i
vari “pezzi” della filiera produttiva, garantendo alla società un controllo ottimale sulla
creazione di ricchezza in ogni comparto72, ognuna delle quali dispone di un discreto
potere di mercato.
IV.12. I sistemi di protezione intellettuale per le varietà vegetali e i brevetti
L’analisi quantitativa sui livelli di concentrazione tecnico-industriale, nel mercato
agro-alimentare, va considerata in relazione alle possibilità di esercitare il potere indotto e
dai brevetti e dalle potenzialità finanziarie ed economiche di diffusione delle compagnie
operanti nel settore.
I sistemi di protezione intellettuale sulle varietà vegetali esercitano influenze sulla
possibilità di accesso alle conoscenze nuove da un lato, e dall’altro limitano la possibilità
che tali ritrovati siano di appannaggio dei “veri proprietari” (i Paesi d’origine dei geni
brevettati), soprattutto in termini di remunerazione.
72
In tal modo la società è in grado di attingere valore aggiunto da qualsiasi settore della filiera produttiva,
potenzialmente sfruttando il diverso potere di mercato di cui dispone nei vari settori.
156
Graf. 20 – Struttura societaria di Pharmacia
ATTIVITA’ DI
RICERCA
PBI, Calgene,
Agracetus
PRODUZIONE E
COMMERCIALIZZAZIONE
DI SEMI
Cargill, Holden’s,
Agrow, DeKalb
PRODUZIONE DI
FITOFARMACI
Pharmacia e
Monsanto
Fonte: nostra elaborazione su dati Rafi (1999,2000)
157
Le normative internazionali sui ritrovati vegetali fanno riferimento essenzialmente
all’Unione per la Protezione degli Ottenimenti Vegetali (Upov), relativamente alle varie
versioni modificate durante gli anni, l’ultima risale al 1991.
L’ultima revisione del sistema di protezione Upov nasce dall’esigenza di ovviare
ad alcune lacune nelle regolamentazioni sui Diritti di Protezione Intellettuale, le quali
vietavano la brevettabilità dei ritrovati vegetali e degli esseri viventi in generale: infatti,
l’articolo 27.3 (b) degli Accordi sui Diritti di Protezione Intellettuale Commerciali o
TRIPS stabilisce l’impossibilità di brevettare piante e animali, ma contempla la
possibilità, meglio ancora la necessità di brevettare o di proteggere attraverso un sistema
sui generis o una combinazione di entrambi gli ottenimenti e le varietà vegetali.
Il sistema Upov ’91 è un sistema sui generis, vale a dire è un sistema specifico ed
unico di individuazione di una nuova varietà vegetale (naturale o transgenica), che
permette ai ricercatori e alle società interessate di far valere i propri diritti di proprietà sui
nuovi ritrovati, anche se semplicemente si tratta di una varietà già esistente73, della quale
sono state identificate e confermate delle caratteristiche distintive.
La nascita della regolamentazione Upov è legata alla necessità di tutela, da parte
degli enti sovrani, degli ibridatori dei Paesi Sviluppati (PBR), impegnati nella ricerca di
nuove varietà vegetali che potessero avere delle caratteristiche desiderate per i sistemi di
coltivazione attuali, attraverso o un aumento delle rese o una diminuzione dei costi o al
fine di ottenere delle varietà merceologicamente più valide o tutti i fattori citati (nel
miglior caso possibile). Attraverso un sistema di protezione siffatto si garantisce la tutela
dei diritti degli ibridatori e delle loro ricerche al fine di garantire la protezione di un
ritrovato vegetale con finalità commerciali e tale da garantire, nel contempo stesso, una
remunerazione per chi avesse intenzione di investire capitale finanziario ed umano in tali
ricerche.
La revisione del 1991 degli accordi Upov, però, prevede un articolo che più tra
tutti ha suscitato le polemiche da parte dei PVS, contrari al recepimento di tale direttiva
internazionale, perché limitativo della sovranità sulle risorse genetiche e del diritto di
73
La relazione è rintracciabile nella doppia protezione, brevetti e protezione commerciale, prevista dalla Convenzione
del ’91. La normativa statunitense prevede la possibilità di brevettare anche le scoperte qualora queste fossero
conosciute solo da una stretta minoranza di individui isolati. Nella pratica secondo la legge statunitense è possibile
brevettare anche ciò che già esiste in natura, purché non conosciuta alla collettività, e prevede inoltre di richiedere dei
sistemi di protezione brevettale poco specifici, che potrebbero avere ripercussioni anche su ritrovati vegetali non
correlati, ma simili.
158
fruizione dei ritrovati vegetali che hanno caratteristiche migliorative per l’autosufficienza
alimentare: il “Diritto del Costitutore (DC) ”.
Il DC è in contraddizione con un altro diritto reclamato dalle comunità locali e
fatto proprio da alcuni Paesi Avanzati (ad esempio quelli appartenenti all’UE): il “Diritto
dell’Agricoltore (DA) ”.
Il DC prevede che per i ritrovati vegetali iscritti negli elenchi internazionali sia
rispettato il diritto di fruizione dei benefici commerciali per chi tali ritrovati li ha scoperti
o ne ha specificato le caratteristiche. Il DC consiste nel diritto di royalties per la
moltiplicazione in azienda ai fini commerciali da parte della società detentrice del
brevetto o della varietà vegetale ritrovata: inoltre, prevede che chi utilizza tali sementi
debba pagare un canone al titolare (al fine di garantire introiti a tutela della ricerca) per la
moltiplicazione aziendale o per la semplice risemina, dalle sementi ottenute nel raccolto
precedente. Tale canone se da un lato garantisce un diritto alla remunerazione della
ricerca (lì dove sono i privati ad investire), dall’altro limita la possibilità di fruizione del
ritrovato stesso, specie da parte di chi (in particolare gli agricoltori dei PVS) non ha le
capacità economiche per l’accesso a tali migliorie vegetali.
Nei Paesi Avanzati le condizioni economiche degli agricoltori, nei limiti sanciti
dai diversi Stati per legge, sono tali da garantire il pagamento dei canoni, mentre nei Paesi
meno Sviluppati tali potenziali non sono presenti, soprattutto per quegli agricoltori di
sussistenza o per quei piccoli proprietari, i cui fini commerciali non sono tali da rendere
possibile il pagamento del canone.
La tecnica della risemina, molto diffusa nei PVS, costituisce un fattore di estrema
importanza per il diritto alla sopravvivenza di tali popolazioni, e le restrizioni connesse
all’accesso di tali ritrovati, lì dove possano apportare benefici collettivi, fanno sì che tali
popolazioni non possano usufruirne o, per chi abbia le capacità per farlo, la fruizione
comporta una totale dipendenza economica verso chi è proprietario della varietà vegetale.
La regolamentazione Comunitaria in vigore (Reg. C.E. 2100/94) offre un’altra
possibilità di tutela (sempre sui generis) per le varietà vegetali, avversata dalle principali
compagnie sementiere (legate all'
Upov “originale”), la quale definisce i soggetti sottoposti
al pagamento del canone (DC) in chi ne abbia le possibilità economiche, in modo tale da
rendere lecito il rispetto delle invenzioni, che ricordiamo hanno dietro ingenti
investimenti dal punto di vista finanziario. Nella pratica il Reg. 2100/94 garantisce il
159
Diritto del Costitutore qualora il fruitore del ritrovato vegetale non sia un piccolo
agricoltore (la cui definizione è stabilita dalla normativa) o dove la moltiplicazione in
azienda non può essere considerata ai fini commerciali, ma per il solo uso personale: tale
rettifica (o nuova proposta di regolamentazione) sancisce, dunque, che il diritto alla
privativa sui ritrovati sia lecito solo nel caso in cui tale privativa non eserciti un ruolo
penalizzante per chi potrebbe ottenere benefici personali e non commerciali dallo
sfruttamento dei ritrovati, vale a dire che il DC non può essere applicato sui piccoli
agricoltori, di sussistenza e non. Una tale regolamentazione pone al vertice delle priorità
la possibilità di accesso, alle invenzioni e ai ritrovati, per i produttori meno abbienti ivi
compresi quelli delle regioni meno sviluppate del mondo, le quali potrebbero utilizzare
tali ritrovati semplicemente per il sostentamento e che, attraverso le nuove sementi,
potrebbero dare un impulso all’agricoltura per alleviare i problemi connessi alla scarsità
di cibo.
Nei Paesi Avanzati la risemina dal raccolto precedente è quasi inesistente per
motivi economici legati alle performances delle varietà protette. Infatti, la risemina non
garantisce le stesse qualità, a livello di resa e di resistenza agli stress ambientali, della
semente pura e certificata dalle aziende produttrici (che ne garantisce la qualità e la
stabilità), di qui l’uso comune di riacquistare anno per anno le sementi (nel caso di ibridi
il riacquisto è inevitabile, visto che nella maggior parte di loro sono sterili al secondo
ciclo o comunque non garantiscono la stessa resa ed affidabilità). Tale situazione mette in
condizioni gli agricoltori di essere dipendenti dai prezzi delle sementi stabilite dalle
aziende produttrici (che nel caso dell’UE sono controllati per legge, Reg. 2100/94, per
evitare distorsioni dovute a posizioni dominanti presenti nel mercato sementiero e
fitofarmacologico).
La condizione dei PVS è sostanzialmente diversa in quanto da un lato la mancata
ratifica dell’Upov non permette l’accesso alle sementi “migliori” e dall’altro la possibilità
di accesso non garantisce, se non per legge, l’equità dei prezzi e la fruizione da parte di
chi, di queste sementi, ne fa un uso di sussistenza (oltre ai problemi connessi alla
possibilità di porre sotto protezione o brevetto le sementi locali, qualora ne siano state
studiate e certificate le caratteristiche, appropriandosi, in tal modo, dei diritti di chi nel
160
corso dei secoli ha isolato le specie migliori74). Tale situazione è possibile in quanto
l’ambito di protezione di un brevetto è definito dallo stesso richiedente.
Nei Paesi industrializzati, dunque, il mercato delle sementi, transgeniche e
tradizionali, è controllato dalle stesse società che operano in condizione di oligopolio o di
monopolio, tale da avere le potenzialità finanziarie e tecniche per distorcere il mercato
stesso, attraverso i prezzi e le quantità prodotte, o in ultima istanza da avere la capacità di
influire sulle scelte produttive degli agricoltori, piante e metodi di coltivazione, Gm o no.
Nei Paesi meno sviluppati la necessità di recepimento dell’Upov 91, così come
impostata tramite il DC, avrebbe effetti negativi sia dal punto di vista della dipendenza dai
fattori produttivi e dalle scelte agronomiche (il riacquisto delle sementi anno per anno e la
scelta tra Ogm e piante tradizionali) sia dal punto di vista dell’agricoltura di sussistenza
che non possiede i mezzi finanziari per l’accesso alle sementi ”migliori” e che, di fatto, è
costretta utilizzare le proprie sementi, meno produttive, o, in ultima istanza, la ratifica di
tale normativa, in assenza del DA (nel caso di piccoli agricoltori o di sussistenza), è a
sfavore, o meglio ancora penalizza i piccolissimi proprietari terrieri (molto diffusi nei
PVS) che si troverebbero in competizione con altri più grandi (economicamente e
tecnologicamente), con gravi ricadute economiche causate dalla competizione sfavorevole
per collocazione delle merci sul mercato agricolo (soprattutto dal lato dei prezzi e delle
quantità).
La differenza tra il sistema dei brevetti, in vigore negli USA, e un sistema sui
generis, come l’Upov o le sue modifiche apportate dai singoli Stati o gruppi (come ad
esempio l’UE o le proposte dell’Organizzazione dell’Unità Africana), consiste nelle
restrizioni alla fruizione.
Un brevetto basato sulle regolamentazioni TRIPS (Trade Related Intellectual
Property Rights) esclude dalla brevettabilità, oltre all’ovvio”, le specie animali e vegetali,
ma permette di brevettare i geni da introdurvi.
Anche la Comunità Europea ha emanato una direttiva (98/48 C.E.) che regola la
brevettabilità: tale direttiva concede un diritto esclusivo a sfruttare un’invenzione e
74
Il brevetto concesso nell'
agosto 2000 alla multinazionale americana DuPont, per un tipo di mais che ha due
particolarità: un alto contenuto di olio (oltre il 6% del peso di ogni chicco) e un alto tenore di acido oleico (superiore
al 55% del contenuto totale di olio), che svolge un'
efficace funzione antiossidante. Dalla Germania, GreenPeace e
Misereor (un'
agenzia cattolica tedesca per la cooperazione e lo sviluppo) hanno deciso di presentare all'
ufficio di
Monaco un ricorso contro il brevetto. Perché il campo di applicazione della tutela giuridica richiesta dalla DuPont è
tale da assicurare alla multinazionale la "proprietà" di intere varietà di mais già esistenti coltivate da secoli sugli
altipiani del Messico. (www.verdi.it).
161
impedisce ad altri di usarla sia che si tratti di un prodotto che di un processo. La
protezione si estende ad ogni materiale in cui l’invenzione brevettata si trova o che è
prodotto mediante un procedimento brevettato.
Il fine di tali normative è di assicurare un diritto all’ottenitore di una nuova varietà
vegetale mediante il rilascio di un titolo di protezione “sui generis” (Plant Breeders’
Rights) molto diverso rispetto al brevetto per invenzione (Utility Patents). Questi si
riferiscono alla nuova varietà in quanto tale e non al procedimento usato per ottenerla né
agli usi di questa e proteggono la sola commercializzazione del materiale di riproduzione.
Secondo gli accordi TRIPS, all’art. 27.3, si afferma che « (gli Stati) ... membri ...
possono escludere dalla brevettabilità piante ed animali ... e i processi essenzialmente
biologici per la produzione di piante e di animali. … (gli stati) ... membri possono
provvedere alla protezione delle varietà di piante o di animali sia mediante brevetti
(Patents) sia mediante un efficace sistema sui generis o su una combinazione di entrambi
… ».
La differenza di base tra un PBR ed un brevetto risiede sull’oggetto e sulle
modalità di protezione dello stesso.
Un sistema sui generis tutela chi investe nelle ricerche dal punto di vista
commerciale, vale a dire sulle sementi. La revisione dell’Upov, nel ’91, modifica in gran
parte la precedente versione, avviando, come richiesto dagli accordi Trip’s, la
convergenza dei sistemi di protezione vegetale con i brevetti.
L’Upov ’91 prevede la possibilità di doppia protezione, PBR e Patent, che può
essere esteso a tutto il materiale biologico derivato e alle varietà essenzialmente derivate.
Il sistema Upov non prevede il divieto di ricerca sui ritrovati, contrariamente ad un
brevetto, oltre al fatto che la protezione vegetale non può vietare a terzi di riprodurre le
sementi dietro un compenso monetario.
Dunque la differenza tra un brevetto ed una protezione vegetale risiede nelle
restrizioni, che nel caso dei brevetti sono richiesti dagli stessi titolari del brevetto.
In definitiva è possibile affermare che un sistema sui generis regolamenta gli
aspetti commerciali, mentre un brevetto regola la protezione intellettuale, con
ripercussioni negative sulla ricerca e la diffusione delle conoscenze.
I problemi relativi alle differenze tra un sistema sui generis e quello brevettale
risiede essenzialmente nelle limitazioni alla proprietà ed alla libera fruizione o ricerca.
162
Le necessità, europee ed americana (ove il sistema di protezione è più restrittivo)
riguardano l’opportunità di offrire al titolare della privativa una tutela più ampia di quella
tradizionalmente concessa sulle novità vegetali, senza che la protezione divenga eccessiva
per non incidere sui meccanismi complessi che governano tradizionalmente il mondo
agricolo. La necessità è di armonizzazione con altri sistemi di proprietà industriale, primo
tra tutti quello dei brevetti di invenzione industriale, il complesso quadro normativo
internazionale che include, oltre alla Convenzione UPOV, la Direttiva europea sui
brevetti e gli accordi TRIPS.
La Direttiva 98/48 C.E. ha enormi connessioni con le regolamentazioni sulle
protezioni vegetali in quanto va a regolare “le invenzioni “ in un settore, le biotecnologie,
che avranno un impatto sempre maggiore nel comparto agroindustriale e, alla luce dei
contenuti, rende ulteriormente più complesso il quadro della situazione.
La ricerca di una nuova regolamentazione internazionale mira ad estendere il
sistema di brevettazione per invenzione di tipo industriale (Utility Patents) a piante ed
animali ingegnerizzati e s’introduce il brevetto di procedimento e d’uso considerando del
tutto inadeguato "il diritto del costitutore “ e insufficiente la tutela per lo “sforzo
economico” fatto in questo campo dai grandi gruppi industriali.
Il problema, inoltre, riguarda la possibilità che un materiale biologico, che venga
isolato dal suo ambiente naturale o che venga prodotto tramite un preciso procedimento
tecnico, possa essere oggetto di invenzione anche se preesistente allo stato naturale,
includendo il materiale e le varietà derivate.
Il documento, pur riconoscendo che i brevetti sono importanti per l’innovazione in
molti settori, rileva che concedere brevetti su organismi viventi può minare il valore delle
risorse genetiche e danneggiare gli interessi degli agricoltori nei Paesi in Via di Sviluppo.
Le restrizioni relative ai brevetti sono molto più incisive di un sistema sui generis,
sia in termini di fruizione da parte di terzi sia per ciò che riguarda la ripartizione dei
benefici e l’accesso al materiale biologico brevettato, e la possibilità di unire le due
regolamentazioni pone seri problemi sui diritti di commercializzazione e ricerca: infatti,
un sistema come l’Upov prevede esclusivamente una regolamentazione di tipo
commerciale, lecita se opportunamente regolamentata.
Un modello di legge proposto dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana),
pone le proprie basi giuridiche sul fatto che l'
accesso alle risorse biologiche e/o
163
conoscenze o alle tecnologie delle comunità locali, in ogni parte del paese, dovrà essere
sottoposto ad una richiesta al fine di ottenere il consenso, che sarà rilasciato dalle autorità
nazionali dopo aver chiesto parere alle comunità locali. Le royalties, calcolate sulla base
dell'
ammontare delle vendite di questa nuova varietà, dovranno essere versate in un fondo
che servirà a finanziare progetti elaborati dalle comunità locali per garantire «sviluppo,
conservazione ed uso duraturo delle risorse genetiche agricole» (CIDSE, 2000).
La legislazione dell’OUA non si accontenta di disciplinare l'
accesso alle risorse
biologiche: essa definisce anche un sistema di protezione dei diritti di proprietà
intellettuale per i selezionatori di nuove varietà vegetali.
L’OUA esige che si provveda ad una protezione delle varietà vegetali attraverso
un efficace sistema sui generis, cioè un sistema adattato alla loro particolare situazione (F.
Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000).
Pur garantendo ai selezionatori la protezione dei loro diritti di proprietà
intellettuale, il sistema sui generis definito dall'
Oua è molto meno esclusivo di quello dei
brevetti. Al contrario di quest'
ultimo, riconosce all'
agricoltore il diritto di conservare una
parte del suo raccolto per ripiantarlo l'
anno successivo senza dover pagare canoni: «il
Privilegio dell’Agricoltore». Questa varietà può anche essere utilizzata, liberamente e
gratuitamente, come risorsa genetica dai ricercatori che vogliano creare una nuova varietà,
vale a dire che prevede l’esenzione per la ricerca (F. Seuret e R. Brac de la Perrière,
2000).
Un'
agricoltura meno industrializzata, basata sul sistema sui generis proposto
dall'
Oua, si adatta, dunque, alla situazione africana meglio del brevetto o del Diritto
d'
Ottenimento Vegetale (cioè il diritto del miglioratore) dell'
Unione per la Protezione
delle Ottenimenti Vegetali (Upov), al quale aderiscono 43 Paesi (in gran parte
occidentali), poiché si rende necessario mantenere «il Privilegio dell’Agricoltore» per le
comunità locali meno abbienti.
Nei Paesi in Via di Sviluppo sono ancora, per lo più, gli stessi contadini, o i
piccoli produttori di semi o meglio ancora la ricerca pubblica, che selezionano e
migliorano le sementi, e non i grandi gruppi da cui dipendono gli agricoltori del Nord (F.
Seuret e R. Brac de la Perrière, 2000).
Il sistema sui generis proposto dall’Oua rappresenta un’alternativa sia ai brevetti
sia all’Upov: si esclude la brevettabilità del vivente ed allo stesso tempo si favorisce la
164
ricerca con sistema ad hoc che tuteli la biodiversità, l’accesso da parte dei più poveri,
l’accesso con royalties per chi ne abbia le capacità, tutelando, altresì, i fondi per la ricerca
e i diritti delle società ricercatrici, salvaguardando le pratiche e le conoscenze locali.
Il sistema brevettale è ritenuto troppo restrittivo dal punto di vista economico, ed
allo stesso tempo fa sì che grandi compagnie abbiano l’accesso alle risorse genetiche e
culturali dei Paesi del Sud del mondo per poi brevettarle al Nord, mentre un sistema ad
hoc sulla protezione delle risorse vegetali ed animali, che preservi le comunità, le pratiche
locali ed i meno abbienti, e che garantisca allo stesso tempo i fondi per chi effettua le
ricerche, rappresenta un giusto compromesso tra mercato, ricerca e diritti allo sviluppo.
Il sistema Upov 91 adotta in contemporanea, su richiesta delle società del settore,
le direttive sulla protezione dei brevetti e il Diritto d'
Ottenimento Vegetale (Dov): un
selezionatore non può più utilizzare liberamente per la ricerca una varietà vegetale
contenente geni brevettati, anche se la varietà stessa non è brevettata, ma solo protetta dal
Dov, come succede, per esempio, con i nuovi semi transgenici commercializzati,
contrariamente alla proposta di revisione consigliata dall’Oua.
Secondo il Voice of Irish Concern for the Environment, attualmente l'
80% di tutti
i brevetti sui cibi geneticamente modificati è detenuto da soltanto 13 multinazionali e le
prime cinque aziende agro-chimiche controllano quasi l'
intero mercato di semi
geneticamente modificati. Contemporaneamente, 1,4 miliardi di agricoltori del mondo
dipendono dai semi risparmiati dal raccolto per la semina dell'
anno successivo.
Le regolamentazioni sui brevetti e quelle sulle varietà vegetali, con il supporto
delle posizioni dominanti sul mercato agro-alimentare, rischiano per costringere gli
agricoltori, tramite la protezione di piante già esistenti (il cui sfruttamento sarebbe
limitato), alla totale dipendenza nei confronti di tali compagnie, e, a livello mondiale, si
potrebbe arrivare alla concentrazione delle risorse genetiche, con ripercussioni sul sistema
economico ed etico dagli sviluppi imprevedibili.
IV.13. Il monopolio delle biotecnologie
La concentrazione delle principali società del mercato agro-alimentare sembra
essere il problema principale, a livello economico, della diffusione delle biotecnologie.
L’esistenza di un monopolio produttivo (sementi e chimici) estesa alla sfera della
ricerca pone problemi sulla distribuzione dei benefici del progresso biotecnologico, tra
165
produttori e consumatori di inputs agricoli da un lato, e dall’altro limita la libera ricerca,
condizionando in tal modo le scelte produttive.
La perdita di benefici per il consumatore (nel caso specifico l’agricoltore)
connessa alla struttura monopolistica (o oligopolistica relativamente al caso delle
biotecnologie transgeniche, in quanto è più di una compagnia a detenere il potere di
mercato) si concretizza semplicemente nel maggior costo delle sementi e dei fitofarmaci,
nella perdita di profitti da parte dei potenziali produttori, dovuta alle barriere all’entrata,
che nel caso specifico possono essere ricondotte al possesso di un brevetto.
Il caso delle biotecnologie appare molto complesso, in quanto il potenziale
pericolo ambientale e sanitario connesso pone dubbi sulla reale necessità di tali
applicazioni.
Uno degli aspetti che più attira l’attenzione, circa l’alta concentrazione nel
mercato, risiede nell’individuazione degli effetti ad essa connessi, vale a dire se un
oligopolio, così fatto, possa avere effetti positivi sul sistema agricolo, date le possibili
economie di scala.
La presenza di un oligopolio potrebbe essere conveniente, lì dove, le economie di
scala sono a vantaggio, quasi esclusivo, degli agricoltori attraverso la riduzione dei costi e
non attraverso un aumento della produzione, a parità d’impatto dei costi sul totale. Altresì,
la presenza di un oligopolio o monopolio è inefficiente, lì dove, vi è una riduzione della
produzione per favorire un aumento dei prezzi degli inputs agricoli, nel caso specifico,
massimizzando il ricavo totale, situazione questa che penalizza l’agricoltore, ad esempio
attraverso il technology fee.
Appare ambiguo l’interesse di molti agricoltori verso le biotecnologie (a tutt’oggi
sono circa 44 milioni gli ettari coltivati) proprio perché non esistono vantaggi assoluti, se
non per chi abbia una struttura organizzativa agricola molto meccanizzata; appare
ambigua la situazione in cui 8 dollari per acro, tanto è stato il maggior ricavo nelle
coltivazioni di mais nel 1998, rappresentino un vantaggio da raggiungere a fronte di un
controllo (la Monsanto si avvale di ispettori per verificare che qualcuno non rubi le
sementi) e di una maggiore dipendenza dagli inputs produttivi.
Tuttavia alcune ipotesi possono essere esposte. Nel caso del mais e del cotone, le
sementi utilizzate sono essenzialmente ibride, vale a dire che devono essere riacquistate
anno per anno, e ciò potrebbe far ipotizzare che le società gestiscano il technology fee in
166
modo tale da rendere conveniente la semente tradizionale o quella transgenica (come è
stato verificato relativamente al mais nel capitolo terzo). Tale possibilità è plausibile, ma
non verificabile nel modo più assoluto, in quanto il mercato delle sementi tradizionali è
anch’esso molto concentrato e vi partecipano le stesse società, e ciò potrebbe ancor più
rendere possibile che tali compagnia abbiano il potere e i mezzi per favorire l’una o l’altra
coltura, probabilmente in base ai corrispettivi introiti connessi (da tener presente la
relazione tra erbicida e semente) ed in base al potere di mercato che le stesse hanno nel
mercato dei chimici per l’agricoltura.
Il monopolio delle biotecnologie sembra essere legato sia a fattori economici sia
alle legislazioni vigenti, nei vari Stati, in materia: non è possibile separare il monopolio
biotech dalle leggi sui brevetti e dalle regolamentazioni Upov.
Le compagnie che promuovo il biotech continuano da anni proporle al mercato
agricolo, a volte con successo a volte no75. L’eccessiva concentrazione, nelle mani di
poche compagnie trasnazionali, del mercato agro-alimentare (chimici, sementi, brevetti,
cibi) sembra precludere qualsiasi forma di autodifesa da parte degli agricoltori.
La possibilità che la filiera alimentare e agricola possa essere sotto il controllo di
alcune società paventa il rischio che vengano ignorati gli effetti sull’ambiente, sul
consumatore e sull’attività agricola sempre più industrializzata.
L’effetto che un monopolio siffatto può avere sugli agricoltori è diversificato, a
seconda se si consideri un agricoltore europeo, dei PVS, o nordamericano: infatti, nel caso
europeo (dove peraltro il tentativo di attuare il Principio di Precauzione e di far valere i
diritti dei piccoli agricoltori sembra farsi sempre più decisivo) l’effetto del monopolio
potrebbe essere quasi nullo per l’agricoltore visto che l’UE ha problemi di surplus
agricolo (quindi non vi è necessità a coltivarli, se non attraverso una politica delle aziende
fornitrici di input atte a favorirle rispetto ai prodotti convenzionali o tali da ridurre i costi
di produzione a vantaggio dei fattori interni all’azienda); l’agricoltore del Sud del mondo
avrebbe ricadute economiche connesse allo spiazzamento da parte di tali colture (qualora
fossero più produttive) nei confronti delle produzioni locali e tradizionali, ove i possibili
minori costi immediati certamente verrebbero annullati nel lungo periodo con la
conseguenza di aver abbandonato un’agricoltura già poco redditizia, nei confronti del
75
Esiste una lunga lista di Paesi, tra i quali spicca l’India, che si oppongono al biotech, a volte attraverso vere e proprie
moratorie. Altre come l’Indonesia vengono minacciate di sanzioni dagli USA per aver introdotto delle soglie di
tolleranza per i prodotti geneticamente modificati.
167
settore manifatturiero, in cambio di una ancor più legata agli input di origine industriale e
straniera, con perdite sul livello dei redditi e con un’agricoltura tutta orientata verso la
produzione di beni destinati all’export, non capaci di generare sviluppo interno; nel caso
di un agricoltore nordamericano le conseguenze sarebbero rivolte verso lo spiazzamento
dei piccoli agricoltori nei confronti dei grandi latifondisti, favoriti dai possibili rendimenti
di scala e dalla maggiore flessibilità76.
L’effetto del monopolio delle colture ha, quindi, un effetto diversificato secondo
l’area considerata, il livello di tutela da parte degli organi nazionali e la capacità di
autonomia finanziaria e tecnica. In generale, il consolidamento del mercato agricolo
determina, anche se diversificate, perdite per l’attività agricola, sempre più
industrializzata e dipendente dagli input. Le biotecnologie rappresentano la Seconda
Rivoluzione Verde77: la prima, analoga nei fini e diversa nelle metodologie (la seconda si
basa anche sull’ingegneria genetica), aveva promesso una riduzione della povertà e della
fame nel mondo, ma nell’ultimo documento redatto dall’ONU nel 2001 si fa notare come
essa sia stata controproducente.
La Prima Rivoluzione Verde ha fatto sì che il numero dei Paesi Meno Sviluppati
(Pms) aumentassero da 25 a 49 (relativamente al periodo 1971-2001, vale a dire dalla
definizione stessa da parte dell’ONU dei Paesi Meno Sviluppati), che la redditività
agricola di tali Paesi diminuisse e diventasse sempre più industrializzata e dipendente dai
fattori esterni, che si producesse più cibo, ma che tale cibo non avesse nessuna influenza
nel ridurre la povertà, la malnutrizione e che l’habitat di quei Paesi che più vi hanno
creduto fosse più inquinato dagli agenti chimici.
In generale, è possibile affermare come le biotecnologie, così concentrate nelle
mani di pochi, con un accesso molto limitato economicamente e legato alle fluttuazioni
dei prezzi degli input produttivi, limitato alla produzione di beni alimentari omogenei e
“chimici” dotati di un valore qualitativo industriale, e non tradizionalmente locale, non
rappresenti un effettivo vantaggio.
Il monopolio delle colture ha, dunque, in sé il potere di influenzare il mercato
agricolo, in senso negativo nel lungo periodo (soprattutto per i Pms), e di favorire colture
76
La maggiore flessibilità connessa alla coltivazione di Ogm è relativa al minor capitale umano utilizzato nei campi.
77
Il paragone è inevitabile e nei modi e nei fini proposti, vale a dire attraverso un maggior uso della chimica in
agricoltura.
168
che non apportano, almeno attualmente, benefici concreti, e, nel contempo, da più parti si
levano allarmi circa i possibili effetti ambientali e sulla salute umana78.
La necessità di ridurre la dipendenza degli agricoltori dalla chimica è sentita anche
nei PSA: la Foundation On Economic Trends, la Coalition Nationale des Familles
Agricoles (USA) e decine di organizzazioni di agricoltori, hanno deciso di intraprendere
un’azione legale nei confronti delle multinazionali Biotech per posizioni dominanti.
I brevetti rafforzano l’agricoltura industriale a scapito di quella a conduzione
familiare: solo chi ha la possibilità di trarre vantaggi di scala, attraverso un maggior uso di
prodotti chimici, avrà convenienza nel coltivare Ogm79. Alcuni Stati, a tal proposito,
«favoriscono le nuove varietà fornendo sussidi per l’uso di prodotti chimici e rifiutano
crediti ai contadini che continuano ad usare semi locali» (Oxfam, 1998).
Negli anni passati il potere delle società agroalimentari aveva incentivato l’uso di
sementi nuove, prodotti chimici a scapito delle colture tradizionali, in quella che è stata
definita Rivoluzione Verde: tale Rivoluzione ha sì aumentato le produzioni, ma nel lungo
periodo la “chimicizzazione” agricola assieme alla diffusione delle monocolture estensive
ha penalizzato fortemente i piccoli agricoltori, riducendoli in povertà (Oxfam, 1998).
Il problema del monopolio, infine, delle colture e della chimica andrebbe
sicuramente rivisto in relazione agli accordi di Kyoto e al Principio di Precauzione, al fine
di salvaguardare il patrimonio ambientale, e ad indirizzare le multinazionali biotech nella
ricerca di prodotti a basso potenziale di rischio, connesso all’uso della chimica, e ad
indirizzare la ricerca verso lo sviluppo di colture eco-sostenibili e di facile accesso per le
popolazioni meno abbienti e più disagiate.
IV.14. Sintesi sulla struttura del mercato transgenico
Le argomentazioni precedenti e i dati forniti sulle quote di mercato e sui livelli di
concentrazione, nei diversi mercati che forniscono inputs agricoli, mostrano come il
sistema agricolo internazionale sia molto complesso.
L’insieme di leggi e regolamentazioni accentuano il carattere oligopolistico di tali
mercati, incrementano il potere di mercato, non più determinabile attraverso i normali
78
Alcuni “effetti collaterali” si sono concretizzati come ad esempio nel caso StarLink, per cui la ditta Aventis è stata
condannata a pagare una multa di alcune migliaia di miliardi, o ad esempio casi di contaminazione (caso Smeiser).
79
Tale convenienza è a vantaggio soprattutto di chi tali prodotti chimici li produce.
169
indicatori economici come il fatturato, ma vanno relazionati alle potenzialità di
espansione e di ricerca di materiale biologico da brevettare.
In definitiva è possibile affermare come la tendenza del mercato agricolo sia
quella di unire i principali mercati di inputs (sementi e fitofarmaci) al settore della ricerca,
che ne diventerebbe il principale vettore di espansione.
Gli elevati livelli di concentrazione nel mercato agricolo sono da considerarsi in
riferimento al fatto che le società leaders sono le stesse che controllano il mercato
transgenico, ed hanno le capacità finanziarie per controllare e unire la filiera agroalimentare, escludendo la possibilità di accesso da parte di terzi che ne verrebbero
sicuramente assorbiti.
Le posizioni dominanti creano problemi anche nella determinazione dei reali
prezzi di mercato e delle reali differenze nei costi tra le produzioni agricole convenzionali
e quelle geneticamente modificate, rendendo difficile ogni valutazione. Alcune
associazioni ambientaliste sostengono che in Canada, Australia, Sudafrica, Argentina e
USA, ad oggi, è quasi impossibile acquistare sementi tradizionali, in quanto destinate
esclusivamente al mercato europeo dove le sementi Gm sono vietate o sottoposte a severe
restrizioni. Tale condizione mostra, in modo palese, quale sia il potere d’influenza
esercitato dal monopolio delle colture tradizionali e transgeniche da un lato, e dall’altro
mostra come questi due settori agricoli siano interconnessi, ovvero gestiti dalle stesse
società in condizioni di oligopolio o monopolio.
L’asimmetria delle necessità tra Paesi ricchi e poveri determina discriminazioni di
prezzo connesse al potere monopolistico, come ad esempio nel caso della
commercializzazione del cotone BT della Monsanto, a svantaggio degli agricoltori
australiani causa un incremento del prezzo delle sementi (Fonte M., Salvioni C., D’Ercole
E., 2000).
Le regolamentazioni, inoltre, offrono l’opportunità di incrementare tali posizioni
dominanti e rendere ancor più difficile l’accesso e la concorrenzialità del mercato, a
scapito soprattutto dei Pms.
Infatti, le ricerche saranno sicuramente indirizzate verso varietà economicamente
rilevanti e avranno un effetto negativo sulle colture locali dei Paesi poveri, fuori dalla
mira dell’industria privata.
170
La ricerca sulle innovazioni biotecnologiche ha portato alla nascita di numerose
piccole imprese, le quali sono state acquisite dalle grandi compagnie multinazionali.
La struttura del mercato è cambiata, unendo i settori sementiero e agro-chimico,
prima separati, avviando in tal modo l’integrazione della filiera.
Le acquisizioni e le fusioni hanno portato sotto il controllo di un’unica impresa i
vari segmenti della filiera produttiva: la ricerca di geni e varietà vegetali nuove, la
produzione di sementi, la produzione di erbicidi e chimici ad hoc e la
commercializzazione del prodotto finale (il tutto regolamentato e tutelato dalle leggi sui
brevetti) sono sotto un controllo oligopolistico che ne influenza i meccanismi economici.
Tale integrazione se da un lato permette di gestire ed ottimizzare le complementarità dei
vari rami della filiera, dall’altro crea un monopolio delle colture e del settore agricolo
internazionale, a scapito delle piccole comunità locali.
Da un punto di vista strettamente economico, l’integrazione delle filiere
(tradizionale e Gm) e il loro controllo da parte delle stesse poche società non garantisce né
la concorrenzialità né la libertà di scelta degli agricoltori, visto che risulta impossibile
definire in modo univoco le caratteristiche delle due tipologie di produzione: è
ipotizzabile che tali società indirizzino, attraverso variazioni dei prezzi e delle quantità
prodotte, le scelte del mercato verso quei prodotti a loro più convenienti.
Nei confronti dei Pms la situazione di monopolio delle filiere non garantisce un
adeguato accesso alle risorse per migliorare la propria condizione, e non garantisce
un’adeguata remunerazione brevettale dato che la maggior parte delle risorse genetiche
sono rintracciabili nel loro territorio.
L’agricoltura potrebbe essere condizionata ed indirizzata verso una nuova
industrializzazione, a scapito del reddito agricolo, visto che maggiore è la remunerazione
dei fattori esterni nel sistema dei costi di produzione di Ogm.
In definitiva, appare non condivisibile l’integrazione della filiera tradizionale e
transgenica, congiuntamente ad una mancata segregazione delle filiere, ad opera di poche
grandi compagnie multinazionali che, di fatto, esercitano una notevole influenza sul
mercato agricolo e sulle scelte produttive, a tutto loro vantaggio.
Le regolamentazioni, inoltre, hanno svolto un ruolo decisivo nella costituzione del
monopolio agricolo aumentando le barriere all’entrata del mercato per le aziende
interessate, attraverso, soprattutto, la regolamentazione brevettale, che in U.S.A. è basata
171
essenzialmente sulle sentenze passate dei vari tribunali, dove sono state intentate le cause
in materia di brevettabilità e tutela brevettale.
Capitolo Quinto
CONCLUSIONI. QUALI LE OPPORTUNITÀ ECONOMICHE
LEGATE ALLE BIOTECNOLOGIE IN CAMPO AGRICOLO?
V.1. Introduzione
La finalità di questo capitolo è quella di fornire una sintesi dei principali risultati
ottenuti nei precedenti, siano essi dati economici o relazioni tra composizione del mercato
e legislazioni vigenti.
Il complesso fenomeno delle biotecnologie applicate all’agricoltura incorpora in
sé problematiche e discussioni attuali e classiche, relative ai mercati agricoli
internazionali. Infatti, le biotecnologie appaiono, a chi voglia studiarne i meccanismi
economico-legislativi, come un sistema complesso, completo ed ambiguo.
La complessità del fenomeno in questione risiede nelle metodologie di
miglioramento agronomico utilizzate, basate sull’ingegneria genetica, e correlata al fatto
che esse sono di recente scoperta. Infatti, le metodologie di ricombinazione del DNA
hanno suscitato perplessità da parte di numerosi scienziati circa la loro stabilità.
Le principali critiche dal punto di vista della salvaguardia ambientale e del
mantenimento degli attuali livelli di biodiversità vegetale sono rivolte al fatto che molti
studiosi definiscono tali modificazioni genetiche poco conosciute e per natura loro
instabili, causa i possibili effetti pleiotropici80.
Se da un lato le biotecnologie rappresentano una metodologia del futuro, capace di
risolvere molti problemi legati all’attività agricola, dall’altro le insufficienti informazioni
circa i possibili effetti nel lungo periodo, per l’uomo e per l’ambiente, pongono dei dubbi
sulla reale necessità di applicazione e di rilascio ambientale.
Tra le principali problematiche di tipo ambientale, che traggono origine da tali
metodologie agricole, sono da considerarsi, nella maniera il più pragmatica possibile, il
80
Il tratto di DNA è inserito casualmente negli organismi, non tenendo conto del metabolismo completo nucleotidico e
delle possibili relazioni di dipendenza ed interazione esistenti all’interno della struttura genetica delle piante.
173
rischio connesso alla perdita di controllo ambientale, agli effetti sulla salute umana e alla
definizione legislativa dei responsabili di tali possibili impatti negativi.
La completezza del sistema biotecnologico trova la sua giustificazione nel fatto
che il loro sviluppo, congiuntamente ai fenomeni di globalizzazione in atto, è collegato
indissolubilmente all’evoluzione dei sistemi agricoli tradizionali e delle regolamentazioni
sui diritti di proprietà intellettuale, i quali influiscono in maniera diretta sullo sviluppo
agricolo, soprattutto dei Pvs, sulla libertà d’accesso alle innovazioni e sulla
privatizzazione delle risorse naturali.
L’ambiguità, nel fenomeno transgenico agricolo, trova la sua ragion d’essere nella
constatazione che la facilità nel rilascio ambientale, la mancanza di ulteriori
approfondimenti scientifici degli effetti sulla salute e sull’ambiente, l’impossibilità a
gestire in toto i meccanismi di commercializzazione (come nel caso del mais StarLink), le
lacune nelle regolamentazioni vigenti in materia e la scelta dei funzionari che controllano
e rilasciano autorizzazioni per la coltivazione e la commercializzazione, non sono del
tutto gestite al meglio e, per alcuni versi, corrette.
V.2. L’accettazione delle biotecnologie
Negli ultimi anni la diffusione delle biotecnologie in campo agricolo ha suscitato,
nell’opinione pubblica, reazioni contraddittorie.
Gli sviluppi dei ritrovati biotecnologici hanno certamente colpito l’immaginario
collettivo in maniera positiva per alcuni versi, e per altri hanno suscitato accessi dibattiti
circa la loro affidabilità e necessità economica.
La realtà del fenomeno Biotech si pone nei confronti dell’opinione pubblica come
una possibile strada per un miglioramento agronomico sia qualitativo sia quantitativo, ma,
dai fatti, è ben diversa da come era stata immaginata dai produttori e dai consumatori.
L’immagine degli Ogm appare proiettata verso il futuro, caratterizzata da
innumerevoli vantaggi per tutti i beneficiari, ma le metodologie, nel momento in cui
vengono rese note, deludono le aspettative. Pensare che coltivazioni resistenti ai prodotti
chimici, che fanno presupporre un maggior uso della chimica, o contenenti insetticida
possano rappresentare il futuro, soprattutto alla luce delle preoccupazioni espresse dalle
recenti vicissitudini alimentari che hanno visto come protagonisti i “polli alla diossina” e
la “mucca pazza”, lasciano perplessa l’opinione pubblica.
174
In ambito comunitario l’accettazione sembra ancor più difficile in rapporto alle
stesse politiche agricole, le quali incentivano l’agricoltura biologica come fonte di
redditività agricola e di benessere alimentare.
Se da un lato le biotecnologie rappresentano il normale sviluppo tecnologico
applicato all’agricoltura, dall’altro le modalità di diffusione, l’incapacità di fornire
un’adeguata informazione al consumatore e di tutelare la piccola proprietà agricola
comunitaria e del terzo mondo, hanno creato una barriera tra favorevoli e contrari che, di
fatto, ha relegato la discussione solo agli ambienti scientifici ed ha limitato l’accesso al
dibattito da parte del grande pubblico, accentuando, in tal modo, i fattori di repulsioni.
La probabilità che il grande pubblico possa avere un quadro conoscitivo di
riferimento semplice e completo sul fenomeno biotecnologico appare remota, anche
perché esso è complesso ed è intrecciato indissolubilmente con questioni normative e
ambientali molto specifiche e tecniche, comprensibili molto spesso dai soli addetti ai
lavori.
Lo sviluppo delle biotecnologie e la loro diffusione ambientale dal 1996, anno
della prima commercializzazione in USA, è avvenuta in modo impetuoso, diffondendosi a
macchia d’olio, per poi rallentare nel momento in cui l’opinione pubblica ne è venuta a
conoscenza, proprio perché in principio la diffusione e il loro consumo alimentare era
avvenuto all’insaputa dei più.
Generalmente, la diffusione di una nuova tecnologia avviene nella maniera la più
diretta e semplice possibile attraverso campagne informative sul ritrovato e sulle sue
potenzialità affinché ne possa usufruire il più vasto pubblico possibile, ed è ben accetta
dall’opinione pubblica, la quale vede nelle innovazioni la possibilità di un miglioramento
delle proprie condizioni di vita, ma nel caso delle biotecnologie la tecnica in sé, quella
della modificazione genetica, e l’impossibilità ad evitarla hanno creato incertezza e paure
a volte eccessive, come se il grande pubblico si fosse sentito escludere dal decidere sulla
propria alimentazione.
Il parere di chi scrive è che le modalità di discussione e la mancata informazione81
per il grande pubblico hanno creato molta sfiducia da parte dei consumatori e degli
agricoltori che si sentono minacciati, soprattutto perché essi si sentono impotenti di fronte
81
Le informazioni a riguardo, riportate sulla stampa tradizionale non specializzata sono spesso lacunose e non pongono
gli accenti su tutte le tematiche connesse.
175
al fenomeno. La principale causa della reazione negativa nei confronti delle biotecnologie
risiede nell’incapacità, da parte di chi le promuove, di fornire argomentazioni valide che,
qualora fossero disponibili, potrebbero essere accettate dal pubblico.
Resta difficile, al momento, fornire tali argomentazioni dato che non esistono
ricerche ed informazioni che stabiliscano in modo univoco i vantaggi economici ed
ambientali. Non esiste una legislazione, inoltre, capace di porre i consumatori in
condizione di poter scegliere tra un prodotto convenzionale o uno transgenico, un
meccanismo legislativo di etichettatura non ambiguo, contrariamente a quello europeo,
che, basato sulla soglia di accidentalità dell’1% e sul principio di Sostanziale
Equivalenza, di fatto ammette la non etichettatura dei cibi contenenti Ogm, poiché non
sono tracciabili e rintracciabili82.
Lo sviluppo delle biotecnologie appare come incontrollabile e potenzialmente
pericoloso per l’opinione pubblica proprio perché basata sulla modificazione del DNA.
Attualmente nessuno è in grado di prevedere l’effetto di lungo periodo sull’uomo
e sull’ambiente, né in positivo né in negativo, e questa mancanza di informazioni tende,
nel consumatore e negli agricoltori, a tramutarsi in paura e l’unica soluzione sembra
essere quella di attuare il Principio di Precauzione, come forma di autodifesa in assenza di
certezze scientifiche.
Da un punto di vista economico, che nella realtà odierna sembra essere l’unico
parametro di riferimento universalmente accettato (come se l’economia potesse
monetizzare gli effetti ambientali, misurare gli effetti delle modificazioni genetiche sul
metabolismo umano o gli effetti pleiotropici), le biotecnologie sono ancora poco
conosciute.
La non conoscenza del fenomeno è legata alla sua complessità normativa e al fatto
che nel mercato agricolo mondiale è difficile attuare dei confronti economico-produttivi
tra piante convenzionali e Gm, poiché il mercato della produzione e della
commercializzazione è lo stesso, dominato da poche aziende in forma di oligopolio. Nella
pratica, dunque, è quasi impossibile eliminare nei prezzi dei prodotti gli effetti distorsivi
della concentrazione di mercato al fine di avere dei prezzi puri e confrontabili, ovviando
82
Il Principio di Sostanziale Equivalenza definisce che un prodotto derivato da Ogm è sicuro ed equivalente ad uno
convenzionali se nel prodotto, durante il processo di lavorazione, viene “perso” il tratto di DNA modificato o se esso
non è rintracciabile. Nella sostanza è impossibile per il consumatore evitare prodotti Gm, poiché, ad esempio, nell’olio
di soia non è possibile rintracciare, tramite l’analisi Pcr, il tratto modificato a meno che non sia lo stesso produttore a
dichiararlo.
176
in tal modo alla possibilità esistente, da parte di chi produce le sementi e i prodotti chimici
agricoli, di favorire l’una o l’altra coltivazione secondo i propri interessi economici,
“guidando” in tal modo le scelte e l’indirizzo di sviluppo del settore agricolo.
V.3. La sostenibilità economica ed ambientale delle biotecnologie
Il complesso fenomeno delle biotecnologie investe in toto la società: esiste uno
stretto legame tra biotecnologie, sviluppo economico, malnutrizione, ambiente e salute,
che non può essere ignorato alla luce delle perplessità, poste in essere da vari settori della
scienza, circa le metodologie transgeniche applicate all’agricoltura.
Come avevamo premesso, i concetti, che di seguito saranno esposti, saranno basati
essenzialmente sul concetto di sostenibilità nelle sue due componenti principali,
economica ed ambientale, tralasciando gli aspetti sanitari connessi.
Il concetto di sostenibilità, nella sua definizione più semplice ed intuitiva, fa
riferimento alla necessità, per ogni tipo di sviluppo, di evolvere i sistemi mantenendo un
equilibrio di breve e di lungo periodo, facendo coincidere le necessità presenti a quelle
future, vale a dire affiancando all’equilibrio inter-generazionale quello intragenerazionale. Il presupposto per un tale sviluppo trova le sue ragioni sull’attribuzione di
un valore alle risorse, variabile nel tempo, riguardo alla loro scarsità e ai loro livelli di
riproducibilità.
Il fenomeno biotecnologico, così come attualmente sviluppato e gestito, non
appare di tipo sostenibile, in quanto i possibili costi (danni all’ambiente, concentrazione
tecnico-economica e libertà di accesso limitata) risultano di gran lunga superiori agli
attuali benefici apportati (lì dove questi si sono verificati).
La motivazione che ha spinto la scienza alla ricerca del miglioramento
agronomico, attraverso la manipolazione genetica, è sempre stata quella di migliorare i
sistemi di produzione agricola esistenti, in concomitanza alle necessità espresse dallo
sviluppo demografico mondiale, particolarmente accentuato in alcune regioni del pianeta:
in questo ambito il concetto di sostenibilità economica e ambientale trova la sua necessità
di esistenza.
Definire la sostenibilità delle biotecnologie applicate in agricoltura significa
comprendere i meccanismi economici e legislativi inerenti, ed ipotizzare un possibile
scenario futuro, ponendo l’attenzione sulle variabili economiche, sociali ed ambientali,
177
confrontando il tutto con i possibili benefici futuri: in tal modo è possibile definire il
livello di necessità delle biotecnologie agricole, attuando una virtuale analisi costi
benefici.
Inoltre, il livello di sostenibilità deve essere relazionato alle reazioni ambientali,
comprendendo un concetto semplice ed inequivocabile, ovvero che i possibili danni
ambientali, prescindendo da chi ne abbia le responsabilità, sono a carico dell’intera
collettività.
Il concetto di sostenibilità in senso economico è da riferirsi alla possibilità che lo
sviluppo delle biotecnologie sia gestito e regolamentato in funzione sia delle necessità del
mondo agricolo sia in relazione alla tutela di chi ha investito nella ricerca: un tale
presupposto, viste le potenzialità negative e positive non ancora espresse dalle
biotecnologie, rappresenta un punto cardine per una corretta applicazione e gestione della
diffusione delle nuove metodologie di coltivazione.
La gestione delle biotecnologie in campo agricolo, legata alle convenzioni e alle
regolamentazioni, rappresenta il fattore cruciale per un’adeguata analisi economicoambientale del fenomeno volta ad evidenziarne gli aspetti positivi e negativi, ponendo
attenzione a tutti i fenomeni connessi, siano essi ambientali o socioeconomici.
L’analisi di lungo periodo può senz’altro essere lo strumento migliore per
prevederne gli effetti nel tempo: l’interazione ambientale e l’influenza delle biotecnologie
in campo agricolo sono da considerarsi prioritarie al fine di avere una solida base di studio
ed avviare, di conseguenza, una corretta analisi per prevederne gli sviluppi successivi.
La necessità di un sistema agricolo nuovo, capace di fornire sempre più beni
alimentari, trova la sua ragion d’essere nella constatazione che i fenomeni demografici
futuri potrebbero creare deficit alimentari per i Pvs, anche se la questione del deficit come
principale causa della malnutrizione sembra, negli ultimi mesi, esser stata confutata
proprio dalla Fao83.
La sostenibilità, dunque, deve essere riferita soprattutto a chi necessita di un
miglioramento agricolo, ovvero i Pvs. Porre una maggiore attenzione sui Pvs e creare le
basi, attraverso le quali i principali beneficiari di tali nuove metodologie siano proprio
83
Recenti studi della Fao concordano che il problema della malnutrizione nei Pvs è da ricondursi alla mancanza di mezzi
finanziari per acquistare i beni alimentari sul mercato, di qui la necessità di sviluppare, in tali zone, un’agricoltura
biologica che renda le popolazioni autosufficienti e soprattutto indipendenti dalle fluttuazioni e le offerte del mercato
internazionale.
178
essi, rappresenta il punto di partenza migliore per qualsivoglia discussione in merito alle
biotecnologie in sé o alla normativizzazione e regolamentazione delle attività agricole.
V.4. Lo sviluppo e la diffusione degli Ogm
Dalla loro prima commercializzazione avvenuta nel 1996, lo sviluppo e la
diffusione delle biotecnologie hanno seguito un percorso crescente ed impetuoso.
La stessa definizione di biotecnologie è stata riadattata anche dai media alla nuova
realtà. La definizione di biotecnologia è relativa al miglioramento delle specie esistenti
attraverso il miglioramento genetico, ma ciò non vuol dire esattamente DNA
ricombinante. Infatti, i prodotti transgenici sono una piccola parte dei risultati della
biotecnologia, dove al posto delle convenzionali tecniche di miglioramento genetico
naturale, attraverso l’incrocio omogeneo, vengono utilizzate tecniche di ricombinazione
del DNA artificiali e tra specie eterogenee, come, ad esempio, tra piante e animali.
Dal 1996 al 2000 l’area coltivata con piante transgeniche, soprattutto in tre Stati
(USA, Canada e Argentina), è cresciuta velocemente passando da 1.7 milioni di ettari a
44.2, con un incremento tra il 1999 e il 2000 di circa l’11%, e ciò stabilisce quanto sia
stata l’aspettativa riposta in queste tecniche agricole di nuova generazione.
Il 98% delle colture transgeniche sono localizzate in Usa (68%), Canada (7%) e
Argentina (23%), relativamente all’anno 2000, anche se nei prossimi anni sembra che la
Cina possa avere un ruolo determinante nello sviluppo di tali tecnologie.
La distribuzione delle aree messe a coltura è in favore dei Paesi a Sviluppo
Avanzato (Psa) con il 76% dei terreni, mentre nei Pvs la diffusione delle colture
transgeniche è limitata al 24% dell’area mondiale destinata a loro, principalmente da
ricondurre all’Argentina.
Le colture Gm maggiormente diffuse (99% del totale) sono quattro: mais, soia,
cotone e colza, con rispettivamente il 23, 58, 12 e 7 per cento dell’area mondiale, anche se
nei prossimi anni dovrebbero diffondersi molto velocemente colture come il riso, le
banane, il caffè e il grano. Da notare che le colture su cui sono stati fatti i maggiori studi
sono quelle colture ad una maggiore industrializzazione e che sono tra le materie prime
agricole più scambiate al mondo ed alla base di tutta l’industria agro-alimentare mondiale.
Le caratteristiche disponibili per i prodotti Gm sono essenzialmente la tecnologia
di resistenza agli erbicidi (HR) non selettivi (74%), e quella relativa alla resistenza agli
179
insetti (IR) o “autoproduzione di insetticida” (19%), mentre il restante 7% è relativo a
prodotti che contengono entrambe le caratteristiche genetiche.
V.5. Vantaggi e svantaggi economico-ambientali connessi alle piante
transgeniche
I risultati degli studi economici riportati nel capitolo terzo forniscono i mezzi per
avviare un’analisi più dettagliata del fenomeno delle piante transgeniche, al fine di
evidenziarne le principali caratteristiche economiche in un’ottica di lungo periodo, ovvero
di sostenibilità.
Da un punto di vista strettamente economico le prime coltivazioni transgeniche
hanno disilluso chi poneva in loro molta fiducia.
La produttività (rese per ettaro) delle colture transgeniche sembra essere molto
variabile da coltura a coltura e da zona a zona, mostrando un’estrema variabilità nella
qualità dei prodotti ottenuti e nelle rese rispetto ai corrispettivi tradizionali. La resa per
ettaro è andata in controtendenza alle aspettative. Infatti, l’estrema variabilità delle rese,
che possono variare da +2 a –11 per cento rispetto ai prodotti convenzionali nel caso della
soia Roundup Ready, mostra come attualmente la principale aspettativa delle colture Gm
sia stata disattesa. Tale variabilità nelle rese è verificabile per tutte le colture esaminate
nel capitolo terzo, ad eccezione del cotone che rappresenta l’unica pianta Gm in grado di
aumentare le rese.
Il caso del mais è di difficile interpretazione in quanto il periodo di riferimento
dello studio ricade in quello di maggior infestazione, il quale influisce positivamente sulle
colture Gm di mais, ma negli anni successivi, quando il grado di infestazione diviene più
basso, la differenza nelle rese diminuisce sensibilmente rispetto alle varietà tradizionali.
Dal punto di vista dei costi, le colture Gm non offrono margini di riduzione
rilevanti, ma, allo stesso tempo, è evidente una diversa distribuzione degli stessi tra le
diverse componenti.
Nelle colture Gm è stato evidenziato che il minor costo degli agenti chimici, lì
dove rintracciabile, è stato più che compensato da un aumento del costo del seme, che ha
la caratteristica di inglobare il miglioramento genetico, dovuto al technology fee, vale a
dire il costo di fruizione del seme brevettato.
180
Particolare di rilievo per la sostenibilità nel lungo periodo è da rilevarsi nella
struttura degli inputs produttivi necessari alle coltivazioni Gm: per coltivare piante Gm è
necessario acquistare un pacchetto tecnologico comprendente semi ed erbicidi84, in
corrispondenza del fatto che i semi sono resistenti solo a particolari erbicidi, che vengono
forniti dalla stessa azienda.
Tale condizione favorisce una diversa struttura dei costi di produzione variabili,
favorendo nella coltivazione la remunerazione dei fattori di origine esterna all’azienda,
riducendo quindi il valore aggiunto attribuibile al fattore lavoro e alla capacità
imprenditoriale, che sono sotto il controllo e la gestione degli agricoltori.
Lo spostamento dei costi a favore di mezzi esterni rende meno gestibile l’attività
agricola che vede il capitale esterno come principale fonte di valore aggiunto.
La conseguenza di un tale risultato è di rendere l’attività agricola sempre più
dipendente da fattori esterni, quali il prezzo delle materie prime e degli inputs produttivi,
legando l’attività agricola alle fluttuazioni del mercato e alle scelte dei produttori di inputs
(sementi ed erbicidi), i quali godono dei benefici derivanti da un mercato agro-alimentare
concentrato.
Nel lungo periodo la struttura dei costi delle coltivazioni transgeniche appare non
sostenibile, in quanto se da un lato i costi rimangono immutati e se dall’altro si ipotizza, e
non è ancora certo, una crescita della produzione, il risultato sarà una riduzione dei prezzi
dei prodotti agricoli a svantaggio degli agricoltori. Una tale condizione è molto più
complessa se si considera che parte del costo delle sementi, che per le varietà Gm sono
più costose delle tradizionali, sono stabilite e gestite dai produttori in forma di monopolio
conseguentemente alle regolamentazioni brevettali.
La posizione delle aziende produttrici di sementi, che sono le stesse che
producono anche erbicidi e prodotti chimici in generale per l’agricoltura, è quella di avere
il controllo, quasi assoluto, sul livello di redditività del settore agricolo, e di chi intenda
coltivare prodotti Gm, attraverso principalmente la variazione del costo del technology fee
(che ha il suo effetto sulle sementi), degli erbicidi, dei pesticidi e delle sementi,
transgeniche e non.
La condizione appena espressa non è irreale, in quanto nel caso del mais è stato
rilevato che il costo delle royalties è stato fatto variare in relazione alla differenza di rese
84
Il riferimento è alla tecnologia HR (resistenza agli erbicidi) che è la più diffusa.
181
tra le varietà Gm e quelle convenzionali, aumentandone il valore nei periodi di alta
infestazione (quando la redditività del mais Gm potenzialmente minore), e viceversa nei
periodi di bassa infestazione.
La diversa distribuzione dei costi in favore del pacchetto tecnologico fa sì,
dunque, che si crei una dipendenza forte tra il settore agricolo transgenico e quello
dell’industria fornitrice degli inputs produttivi.
Gli svantaggi nella coltivazione di piante Gm sono da ricollegarsi, più che alla
tecnologia in sé, al modo in cui sono gestite tali produzioni, vale a dire attraverso le
posizioni dominanti sul mercato ed i brevetti.
Nel lungo periodo, e alcuni studi recenti lo confermano, è prevedibile una reazione
ambientale che renda inefficaci le piante Gm, siano esse del tipo HT o IR: infatti, sia le
malerbe, il principale obiettivo degli erbicidi, sia gli insetti sono in grado nell’arco di 4-5
anni di attuare forme di resistenza agli agenti chimici, così com’è accaduto dall’inizio
della prima Rivoluzione Verde degli anni settanta, tali da rendere necessario un
quantitativo sempre maggiore di prodotti chimici per ettaro fino alla loro definitiva
sostituzione per inefficacia.
Le reazioni ambientali sono da tener presenti in quanto, in un tempo
sufficientemente breve, è prevedibile che i costi per erbicidi possa aumentare a scapito
della redditività agricola, con la conseguenza di schiacciare i profitti e aumentando ancor
più la redistribuzione del valore aggiunto al fattore capitale, principalmente di origine
esterna all’impresa agricola.
Casi di resistenza o di trasmissione del transgene alle malerbe sono stati già
individuati e hanno suscitato le perplessità delle aziende Biotech, confermando le
preoccupazioni di molti scienziati circa la possibilità che l’ambiente reagisca a tali superpiante creando super-insetti e super-erbacce, riproponendo all’agricoltore gli stessi
problemi iniziali, peggiorati dall’esistenza di nuovi organismi ancor più resistenti,
soprattutto per quelle piante allogame (barbabietola e colza, ad esempio) che tendono ad
incrociarsi con le specie selvatiche e non affini.
Alcuni studi confermano che l’uso dell’erbicida Roundup ha sì fatto diminuire il
quantitativo di prodotti chimici, ma si è visto che le dosi di Roundup per ettaro, necessarie
per le piante Roundup Ready (le più diffuse e prodotte da Monsanto), sono più che
raddoppiate a fronte di una diminuzione complessiva degli erbicidi intorno all’11%.
182
Altro fattore molto importante nell’analisi di lungo periodo per le biotecnologie
agricole riguarda il brevetto delle piante. La possibilità di brevettare una pianta pone
difficoltà all’accesso e al libero riutilizzo delle sementi per la semina successiva.
L’impossibilità per gli agricoltori di riutilizzare per gli anni successivi le sementi
ricavabili dal raccolto dell’anno precedente costituisce, per i Pvs, un fattore di esternalità
nell’adozione di piante transgeniche, in quanto spesso non esistono i mezzi finanziari per
il riacquisto delle sementi e non esistono, a livello nazionale ed internazionale, norme che
prevedano particolari criteri per far sì che da un lato venga tutelata la varietà protetta, e
dall’altro si favorisca l’accesso alle sementi migliori da parte dei ceti più deboli.
L’agricoltura transgenica è, nella sua struttura produttiva, molto simile
all’industria manifatturiera. Da più parti, il pericolo paventato è stato quello di una
maggior industrializzazione dei processi agricoli a scapito dei piccoli agricoltori, i quali
non godono di rendimenti di scala per via dell’estensione dei terreni posseduti.
Un’agricoltura strutturata e gestita come quella transgenica rende il lavoro agricolo ancor
meno redditizio, sempre più meccanizzato a favore di una produzione di quantità e a
scapito di una produzione di qualità, che può, soprattutto nei Pvs, essere il punto di
partenza per lo sviluppo di un’imprenditoria agricola locale basata sulla coltivazione di
specie autoctone, e non volta alla produzione di piante alloctone, destinate ai grandi
mercati internazionali e alle loro fluttuazioni, spesso non sopportabili dalle piccole
comunità del Sud del mondo.
L’agricoltura potrebbe ottenere un incremento della propria redditività attraverso
l’adozione di processi produttivi che sfruttino maggiormente i fattori interni all’azienda,
come terra, lavoro e capacità imprenditoriale, e non attraverso tecniche, come quelle
transgeniche, che basano la propria redditività su tecnologie e fattori esterni, a pagamento
sul mercato, soprattutto se il mercato è fortemente concentrato.
Le colture transgeniche pongono le basi alla completa automazione del processo
produttivo agricolo, volta alla produzione di beni alimentari sostanzialmente equivalenti a
quelli convenzionali, e nel lungo periodo tali coltivazioni sono destinate a perdere
redditività in rapporto ai beni manifatturieri acquistabili sul mercato, che hanno nel tempo
un incremento del loro valore grazie al continuo miglioramento tecnologico.
Un’agricoltura basata su tecniche labour-intensive può senz’altro rendere
l’agricoltura meno dipendente dall’industria fornitrice di inputs e tende a ridistribuire il
183
maggior reddito in favore del fattore lavoro, come conseguenza dell’aumento di
produttività, intesa sia come produttività materiale sia come produttività riconducibile
all’ingegno e alle capacità imprenditoriali.
La principale aspettativa per i prodotti Gm è di conseguire un aumento del reddito
dalla maggior resa delle coltivazioni, a parità di costi, e tale situazione nel lungo periodo è
attuabile solo attraverso rendimenti di scala, ottenibile solo per chi abbia in proprio
possesso grandi appezzamenti di terreno, e ciò è in contraddizione con le necessità degli
agricoltori del Sud del Mondo, i quali verrebbero spiazzati dai grandi latifondisti: dunque,
non sono i piccoli agricoltori i principali beneficiari degli Ogm, bensì sono i grandi
proprietari terrieri, spesso dei Psa, che possono trarre i maggiori benefici da tali
coltivazioni.
Il vantaggio prospettato per le colture geneticamente modificate, a detta dei
promotori, sarà quello di facilitare l’attività agricola riducendo al minimo le possibili
perdite di raccolto, che in alcune colture come il mais sono ciclicamente compromettenti,
rendendo più flessibile l’attività agricola.
La facilitazione nel controllo delle coltivazioni è relativa alla possibilità di ridurre
le piante infestanti con prodotti chimici non selettivi, utilizzabili per tutto l’arco temporale
della coltivazione. Tale possibilità, se da un lato fornisce una condizione ottimale di
controllo dall’altro, ha ripercussioni su più fattori:
L’uso di erbicidi non selettivi potrebbe, e da alcuni studi recenti è stato già
dimostrato, far aumentare il ricorso alla chimica in agricoltura, con un
impatto negativo sulla qualità del prodotto connessa ai possibili residui,
congiuntamente ad una perdita di stagionalità per i raccolti, la quale
avrebbe effetti sul livello dei prezzi, facendoli diminuire a scapito del
reddito dell’agricoltore.
Il maggior uso della chimica porterà ad una maggiore dipendenza
dell’attività e della produttività agricola nei confronti dell’industria
fornitrice di inputs.
La maggiore industrializzazione agricola riduce la possibilità di aumentare
il reddito agricolo in relazione ad un uso eccessivo di fattori esterni
all’impresa, a scapito dei fattori terra e lavoro.
184
Nel lungo periodo è prevedibile che la riduzione delle remunerazioni dei
fattori terra e lavoro porti ad una perdita di profittabilità dell’attività
agricola con conseguente abbandono delle terre coltivate, o potrebbe
essere plausibile il subentro delle compagnie nella gestione delle attività,
riducendo l’agricoltore ad operaio di un’agricoltura sempre più
industrializzata.
In definitiva, l’agricoltura transgenica, basata sul pacchetto tecnologico
(sementi+chimici), ha in sé le potenzialità per rendere più dipendente l‘agricoltore e
l’attività agricola nei confronti delle compagnie che controllano il mercato tramite le
risorse economico-finanziarie ed i brevetti.
V.6. Il mercato delle biotecnologie
La rivoluzione biotecnologica, avvenuta negli ultimi cinque anni, ha apportato
sconvolgimenti in tutto il sistema agro-alimentare mondiale, facendo sentire i propri
effetti sugli equilibri societari esistenti: le società si sono trovate dentro una rivoluzione
difficile da gestire ed interpretare nel suo complesso, in particolare per le piccole
compagnie sementiere nazionali.
Il valore del mercato delle sementi biotecnologiche, per l’anno 1999, è stato
calcolato attorno ai 2750-3000 milioni di dollari, +40-53% sull’anno precedente, ovvero
circa il 10% del mercato mondiale delle sementi. Le previsioni indicano che, in assenza di
problemi di accettazione da parte dell’opinione pubblica, tale stima debba essere rivista al
rialzo: infatti, si stima che il valore del mercato biotech delle sementi arrivi a 8.000
milioni di dollari nel 2005 e a 25.000 nel 2010.
Il potenziale del mercato biotecnologico, però, non può essere considerato a se
stante, in quanto le recenti operazioni finanziarie nel mercato sementiero e agro-chimico
hanno modificato tutti gli assetti societari preesistenti.
Le biotecnologie hanno cambiato profondamente la configurazione industriale del
mercato agricolo, ed hanno avviato un’integrazione tra i suoi due grandi comparti, quello
sementiero e agro-chimico, in relazione alla caratteristica del pacchetto biotecnologico,
propria del modo di coltivare Ogm.
185
Negli ultimi anni si è assistiti ad un vero e proprio riassetto societario,
caratterizzato da numerose fusioni, alleanze, collaborazioni e acquisizioni all’interno
dell’industria delle biotecnologie applicate all’agricoltura.
Il risultato principale di tali operazioni di mercato è stato quello di aver reso ancor
più concentrato il mercato, riconducibile ad un oligopolio formato da quattro grandi
compagnie (Monsanto, Syngenta, Aventis e DuPont), le quali hanno avviato una
ristrutturazione aziendale atta ad integrare al loro interno l’intera filiera agro-alimentare:
infatti, ognuna delle società comprende al suo interno i vari segmenti della filiera, dalla
ricerca ed identificazione dei geni da brevettare, alla produzione e commercializzazione di
sementi biotecnologiche con il relativo trattamento chimico che viene venduto in un unico
pacchetto.
Tale integrazione permette alle compagnie di gestire interamente, al proprio
interno, tutti gli sviluppi in campo biotecnologico, gestendo in prima persona i potenziali
rendimenti futuri in tutti i suoi comparti: attraverso una tale struttura societaria si è in
grado di gestire, direttamente, tutte le risorse produttive, evitando le lacune esistenti nelle
regolamentazioni brevettali, che costituiscono il punto fondamentale nella tutela delle loro
invenzioni85.
La ricerca delle caratteristiche genetiche desiderate e la loro gestione commerciale
diventano così risorse complementari da gestire in toto attraverso i brevetti e la protezione
intellettuale.
Tuttavia, è da considerare come il mercato biotecnologico non possa essere
misurato in termini monetari o attraverso semplici indici di concentrazione, senza tener
conto del potenziale di mercato delle aziende, così come espresso dalle stime dell’Istituto
Wood MacKenzie circa il vero potere di mercato della Monsanto.
Il problema del livello di concentrazione del mercato sementiero ed agro-chimico
necessita di essere considerato in rapporto alle relazioni esistenti tra il mercato
tradizionale e quello transgenico, circa le aziende protagoniste e la mancata segregazione
delle filiere.
Infatti, analizzando la struttura del mercato agricolo è evidente come la
ristrutturazione del mercato da un lato abbia favorito l’integrazione tra il settore
85
È nota la battaglia sulla proprietà del brevetto sulla tecnologia IR basata sulla proteina tossico-insetticida Bacillus
Thuringensis.
186
sementiero e agro-chimico, e dall’altro abbia concentrato l’intera industria nelle mani di
poche aziende multinazionali, che detengono lo stesso potere nel mercato tradizionale. La
condizione di parallelismo creata tra i due mercati pone problemi al libero sviluppo del
sistema agricolo internazionale, in quanto chi gestisce il mercato delle biotecnologie,
opera anche nel mercato tradizionale, di qui la possibilità per loro di influenzare il
mercato in direzione dei prodotti a loro più convenienti, vale a dire quelli transgenici.
Il prodotto transgenico ha caratteristiche remunerative per i produttori migliori dei
sistemi tradizionali di coltivazione, in quanto possono disporre del brevetto (espresso
tramite il technology fee), associare la semente all’erbicida, prodotti dalla stessa azienda
(doppio introito), e si garantiscono, grazie alle regolamentazioni sui brevetti, il controllo e
gestione, in regime di monopolio, delle varietà essenzialmente derivate86.
Il livello di concentrazione nel mercato agro-alimentare, transgenico e
tradizionale, l’integrazione della filiera, le regolamentazioni e la gestione dell’intero
mercato da parte delle stesse aziende, formano una tela complessa che permette alle
società produttrici un controllo completo e regolamentato.
Le regolamentazioni, dal canto loro, pongono i presupposti normativi e legali per
una strategia di mercato che favorisce alte barriere all’entrata per i possibili competitori e
pone nelle mani di poche aziende l’intero controllo della filiera, determinandone il
percorso da seguire, indipendentemente dalle necessità e dalle scelte dei fruitori, siano
essi agricoltori che consumatori.
Le regolamentazioni Upov sui ritrovati vegetali e le normative sui brevetti
sembrano unificarsi su suggerimento degli accordi Trip’s, firmati in sede WTO: tale
accordo prevede, al fine di uniformare le regolamentazioni, che i singoli Stati provvedano
a legiferare affinché brevetti e protezioni non entrino in contrasto tra loro, ma, nella
pratica corrente, tale necessità sembra stia andando a favore della costituzione di forti poli
finanziari ed economici, cui vengono riconosciuti alti poteri decisionali che vanno in
opposizione alle necessità del mondo agricolo dei Pvs, e maggiormente entrano in
contrasto con la giustificazione con cui erano state immesse sul mercato le piante Gm,
ovvero di risolvere il problema della malnutrizione e del sottosviluppo.
86
In questo modo, creata una nuova varietà è possibile gestire anche la sua evoluzione nel tempo, sempre in regime di
monopolio, poiché la proprietà brevettale è estesa anche al materiale biologico in cui viene incorporato.
187
La mancanza di concorrenzialità nel mercato, accentuata dalle normative sui
brevetti, pone problemi al libero sviluppo agricolo e alla libera scelta dei consumatori.
Attualmente non è possibile definire in modo univoco il vero potere di mercato
delle multinazionali Biotech, soprattutto in relazione alle normative vigenti che ne
accelerano la concentrazione ed il potere di influenza sui mercati.
V.7. Il sottosviluppo e le biotecnologie
Il rapporto tra sottosviluppo e biotecnologie appare la questione fondamentale
nella trattazione: comprendere quali potrebbero essere gli effetti di lungo periodo delle
biotecnologie nei Pvs rappresenta un fattore cruciale, anche e soprattutto alla luce delle
affermazioni delle compagnie promotrici, le quali indicano i Pvs come i principali
destinatari di tali nuove tecniche di coltivazione.
La struttura del mercato e le modalità di coltivazione dei prodotti transgenici è in
contraddizione con le necessità dei Pvs: infatti, un tale sviluppo è basato sulle offerte delle
compagnie in termini di sementi, erbicidi e prezzo per l’accesso, il tutto regolamentato da
apposite convenzioni.
La definizione delle colture transgeniche come la “Seconda Rivoluzione Verde”
(SRV) appare per il Terzo Mondo come un secondo spauracchio che incombe su di loro.
Una tale posizione sembrerebbe troppo pessimista, ma se veramente gli Ogm potranno
essere alla base di una SRV, ciò non appare poi così fuorviante.
Per anni i dibattiti sulla possibilità di sviluppo agricolo dei Pvs e sulla fame nel
mondo hanno acceso lunghi dibattiti sugli effetti che la Prima Rivoluzione Verde ha avuto
in tali Paesi. Secondo un rapporto Fao, di recente pubblicazione, si afferma che grazie alla
Rivoluzione Verde si è potuto incrementare la produttività agricola utilizzando sementi
ibride, durante gli anni ’60 e ’70, ma allo stesso tempo l’uso stesso di sementi ibride e il
maggior uso di pesticidi e fertilizzanti ha portato nel ventennio ‘70-’90 ad una crescita del
360% degli agenti chimici, con ripercussioni estremamente negative sull’ambiente e sulla
salute umana. Inquinamento, riduzione delle riserve idriche, esclusione dei contadini che
non potevano permettersi di comprare le sementi migliori, sono stati i principali risultati
della Rivoluzione, in concomitanza del fatto che i benefici della maggior produzione o
sono finiti per essere di esclusivo appannaggio del Nord del mondo, grazie alla riduzione
188
dei prezzi, o sono stati distribuiti essenzialmente ai grandi latifondisti locali ed alle
compagnie produttrici di inputs agricoli.
Le biotecnologie per i Pvs, qualora siano gestite in modo da avvantaggiarli e non
siano limitative nell’accesso, potrebbero certamente essere di aiuto ai Pvs, soprattutto in
relazione alle ricerche su sementi resistenti alla siccità e al caldo o freddo.
Tale possibilità, però, se mal gestita potrebbe peggiorare la situazione dei Paesi
poveri relegandoli alla sola attività agricola, causa la mancata profittabilità del settore,
limitandoli ad essere dei meri fornitori dei beni alimentari richiesti dai Paesi più ricchi.
Altro fattore d’importanza nell’esportazione di Ogm nei Pvs, attraverso i quali
avviare una fase di sviluppo, è la gestione della terra coltivabile. Infatti, in assenza di una
riforma agraria che favorisca i ceti più poveri, il rischio è che l’adozione di piante Gm sia
relativa ai grandi agricoltori, la cui finalità sarà di esportare i beni alimentari all’estero
piuttosto che indirizzarli verso i mercati locali. Ad esempio la situazione Sudamericana è
caratterizzata da grandi latifondi dove i produttori di materie prime indirizzano i prodotti
verso l’export a costi sempre più bassi, in concomitanza all’impossibilità per gli
agricoltori più poveri di attingere ai crediti e alle tecnologie, e dove i programmi di
aggiustamento strutturale riducono i sussidi all’agricoltura. Inoltre, la competizione tra
grandi latifondi e piccole proprietà appare una battaglia persa, soprattutto se i grandi
latifondisti, per aver utilizzato nuove tecnologie a loro possibili economicamente,
ricevono sussidi governativi.
L’agricoltura transgenica è indirizzata verso quei Paesi e quegli agricoltori che
hanno capacità economiche e tecnologiche tali da ottenere economie di scala, e non sono
quindi rivolte ai ceti bassi. L’agricoltura transgenica è un’agricoltura estremamente
industrializzata, dove i maggiori rendimenti, qualora possibili, sono da attribuirsi al
maggior uso di macchine agricole e agenti chimici, a scapito del fattore lavoro.
Brevetti, protezioni, meccanizzazione, monopolio degli inputs produttivi,
costituiscono un insieme di fattori limitativi per l’accesso, soprattutto per i Pvs, i quali
non dispongono di mezzi finanziari per accedere alle sementi migliori, siano esse
transgeniche o tradizionali: ciò è il punto fondamentale della trattazione. Infatti, se da un
lato le biotecnologie potrebbero essere lo strumento essenziale per lo sviluppo
dell’agricoltura dei Pvs, dall’altro non si capisce il perché l’accesso sia limitativo,
attraverso le normative e la concentrazione del mercato, soprattutto per quei Paesi che non
189
hanno le possibilità economiche per accedervi e che, a detta delle società Biotech,
dovrebbero essere i destinatari principali: tale situazione economico-legislativa appare
palesemente contraddittoria.
Le limitazioni all’accesso sono dettate essenzialmente dai brevetti e dalle
protezioni, che includono anche le varietà essenzialmente derivate, le quali tramite le
royalties ed il controllo della produzione, relativamente al controllo dei prezzi delle
sementi e degli erbicidi collegati, fanno sì che il principale destinatario della tecnologia
transgenica sia l’utile aziendale dei fornitori di inputs agricoli e non la redditività degli
agricoltori.
Uno degli ultimi rapporti OCSE sul sottosviluppo conclude affermando che dalla
Prima Rivoluzione Verde ad oggi i Paesi Meno Sviluppati (Pms) sono aumentati in
numero da 23 a 44, indicando in tal modo come l’industrializzazione agricola, connessa
alla politica delle multinazionali basata sull’uso della chimica e sullo sviluppo di varietà
vegetali destinata all’industria del Nord del Mondo, abbia apportato significativi
cambiamenti positivi solo nei Paesi destinatari dei prodotti, ovvero i Paesi a Sviluppo
Avanzato (Psa), attraverso la riduzione dei prezzi dei beni agricoli.
La mancanza di connessioni interne derivanti dallo sviluppo delle biotecnologie
agricole transgeniche, rivolte alla produzione di vegetali industriali, è di particolare
importanza: infatti, solo uno sviluppo capace di attivare investimenti interni, capace di
creare un mercato locale e di favorire la crescita di benessere e di reddito per gli abitanti
locali, può senz’altro essere considerato positivamente e sostenibile nel lungo periodo,
sostenibilità, questa, che dovrà essenzialmente fare i conti anche con l’ambiente
circostante e la sua conservazione. L’indipendenza tecnica dei Pvs nei confronti
dell’estero rappresenta una conditio sine qua non è possibile avviare un qualsivoglia
processo di sviluppo basato su crescita, non essenzialmente monetaria (l’importante è il
benessere, che non necessariamente s’identifica con la ricchezza monetaria), sostenibilità
e redistribuzione.
V.8. L’ambiente come fonte di ricchezza e di diseconomie
I dibattiti sulla protezione ambientale sono l’argomento più discusso e dibattuto
degli ultimi anni, in particolare dalla stesura degli accordi di Kyoto in tema di riduzione
dell’emissione di gas nocivi che incidono sull’effetto serra.
190
L’ambiente è certamente una delle variabili più interessanti che si sono intrecciate
con quelle economiche. La realtà dei fatti mostra come l’ambiente se da un lato è una
risorsa da gestire al meglio e capace, allo stesso tempo, di generare reddito attraverso alla
sua conservazione87, dall’altro una sua cattiva gestione pone problemi di rilevanza
economica, legati indissolubilmente alla salute umana e al normale svolgimento delle
attività quotidiane, si pensi all’inquinamento delle falde acquifere, alla salubrità dei
prodotti alimentari ed alla tutela della principale risorsa scarsa esistente, l’acqua.
L’attività agricola ben s’innesta in tale discussione, in quanto il normale
svolgimento delle attività agricole ha effetti non solo economici legati alla coltivazione,
ma esso influisce positivamente con l’ambiente circostante attraverso, ad esempio, la
tutela della biodiversità.
La gestione ottimale della variabile ambientale rappresenta il punto cruciale per
uno sviluppo sostenibile, limitando in tal modo possibili retroazioni negative connesse
all’eccessivo sfruttamento delle risorse.
Le biotecnologie così come attualmente strutturate non permettono di raggiungere
la sostenibilità economica e ambientale, in quanto ancor più legata alla chimica rispetto
alle colture tradizionali, che nel medio-lungo periodo ha sempre prodotto, congiuntamente
ad un aumento delle produzioni, inquinamento ed erosione dei suoli, con la conseguenza
di aver ridotto i terreni coltivabili.
Da un punto di vista strettamente economico, connesso all’ambiente, è da
considerare come le tecniche di ingegneria genetica applicate all’agricoltura dal punto di
vista della finalità agronomica non aggiunge nulla all’esistente: infatti, sia l’agricoltura
tradizionale che quella transgenica offrono la possibilità di ridurre le perdite agricole
attraverso la chimica, e la differenza risiede nell’uso della chimica stessa, che
nell’agricoltura Gm viene incorporata nella semente.
Le possibili reazioni ambientali nel medio periodo, legate all’eccessivo uso della
chimica, potrebbero essere legate alla comparsa di resistenza da parte delle malerbe e
degli insetti alla chimica “transgenica”, con il risultato per l’agricoltore di tornare al punto
di partenza, in una situazione, però, peggiore dal punto di vista produttivo in quanto
87
Il riferimento è legato al turismo ambientale (parchi nazionali, litorali, montagne), all’agricoltura biologica, e a tutte
quelle strutture economiche che pongono come risorsa generatrice di ricchezza l’ambiente nelle sue manifestazioni
varie.
191
sarebbe necessario un nuovo agente chimico più efficace ed aggressivo, e così nel tempo
la situazione potrebbe sempre ripresentarsi.
La possibilità di resistenza ambientale si è già verificata nell’uso della colza Gm e
della soia Roundup Ready della Monsanto.
Secondo uno studio condotto dal Dr. Charles Benbrook del Northwest Science and
Environmental Policy Center, i dosaggi dell'
erbicida RoundUp Monsanto, contenente
glifosato, sono aumentati nelle piantagioni di soia transgenica. Le erbacce hanno, infatti,
sviluppato la resistenza all'
erbicida, costringendo gli agricoltori ad utilizzare un
quantitativo sempre maggiore di RoundUp88. Anche nel caso della colza Gm si sono
verificati problemi legati alla resistenza da parte delle malerbe riscontrata in Canada e al
suo controllo: infatti, la Colza transgenica sta diventando infestante nei campi dove non è
stata seminata. Il fatto che la colza Gm resista agli erbicidi ne rende difficoltoso il
controllo ed impone l'
uso di altri prodotti chimici ancor più dannosi per la disinfestazione
e secondo alcuni studi si ritiene stia diventando impossibile un suo controllo, in quanto
uno dei veicoli di diffusione sembra essere il letame dei bestiami (i semi transitando
attraverso l'
apparato digestivo degli animali, si depositano sul terreno in cui germinano) e
il carattere allogamico della pianta.
I problemi ambientali, che impongono una maggiore rigidità nella concessione dei
rilasci, sono reali in alcuni casi: tuttavia, attualmente non esiste uno studio che stabilisca
l’innocuità e la possibilità di controllo e gestione del rischio ambientale connesso.
Le stesse biotecnologie sono di per sé instabili: la sequenza genica introdotta
avviene in una posizione casuale, con la conseguente impossibilità di verificarne gli effetti
sull’intero metabolismo dell’organismo (Panfili A., 2001).
La possibile perdita di controllo delle reazioni transgeniche sono da collegarsi al
fatto che le sementi possono essere disperse nell’ambiente, andando ad attivare
derivazioni genetiche ulteriori, pari o superiori a quella della semente stessa: è possibile la
nascita di un clone di cui non si conoscono le caratteristiche genetiche e gli effetti
sull’ambiente.
88
Secondo la società produttrice del Roundup, la Monsanto, tale situazione è dovuta alla mancata commercializzazione
del nuovo diserbante Roundup Ultra, confermando indirettamente le ipotesi di molti istituti di ricerca, secondo i quali
l’uso di erbicidi non selettivi a lungo termine rende necessaria la sua sostituzione con un altro erbicida più efficace ed
aggressivo, causa le resistenze ambientali
192
Nel complesso gli effetti sull’ambiente e sull’uomo, congiuntamente alle capacità
di controllarli, appaiono lungi dall’essere determinate: da un lato perché le tecniche di
transgeniche sono ancor poco conosciute e dall’altro proprio perché le tecniche
transgeniche sono di per loro instabili nella struttura.
Le perplessità circa gli effetti nocivi sull’ambiente da parte degli Ogm sono in
parte giustificate dalle numerose discussioni circa le modalità di sperimentazione attuate
in USA, dove gli organi di riferimento sono per l’agricoltura e l’ambiente, l’USDA e la
FDA.
Numerosi studiosi dei due Enti statunitensi, nel 1992, sollevarono i propri dubbi
circa la possibilità di controllo e nocività, per l’ambiente e per l’uomo, derivanti dagli
Ogm. In tali rapporti si evidenziava la non stabilità degli Ogm e si sottolineava come vi
fossero profonde differenze tra la riproduzione naturale e quella transgenica, oltre ai
possibili problemi di tossicità e allergenicità, legati ad agenti sconosciuti, connesse al loro
consumo. In una tal situazione la Fda non tenne conto delle avvertenze dei propri
scienziati, affermando come le critiche venissero fatte da «impiegati» di basso profilo
professionale: i 44.000 rapporti critici, risalenti al 1992, furono occultati da parte
dall’Ente fino alla loro recente scoperta (Cardini, A., 2001).
L’evidenza empirica dei fatti mette in evidenza come sia ancora molto confusa la
stessa sfera scientifica, biotecnologi compresi, circa le potenzialità positive e negative di
un rilascio indiscriminato di Ogm nell’ambiente: ultima è stata la presa di posizione del
Premio Nobel Montalcini, il quale afferma che nel caso delle applicazioni mediche delle
tecniche transgeniche i benefici superano di gran lunga i possibili rischi, anche perché
isolati in un corpo controllabile, mentre nel caso delle applicazioni agricole afferma che la
strada è ancora molto lunga e complessa, e che attualmente i potenziali rischi, connessi
alla perdita di controllo, sono superiori agli attuali benefici.
V.9. L’accettazione del rischio
La componente di rischiosità connessa alle biotecnologie è uno dei punti
fondamentali di carattere ambientale. L’assenza di controllo del processo di transgenesi
ha effetti sulle produzioni e sulle variabili socioeconomiche connesse.
La formulazione base del rischio, in termini probabilistici, può essere riassunta
dalla funzione seguente:
193
RISCHIO=PROBABILITÀ(EVENTO) * IMPATTO(EVENTO)
La componente probabilistica, attualmente, è indeterminabile, in relazione sia
all’assenza di percezione del possibile evento nel suo complesso sia alla determinazione
quantitativa della probabilità che l’evento in considerazione si manifesti.
La componente impatto, che identifica il possibile danno, è anch’essa di difficile
determinazione, o quasi impossibile, poiché resta indeterminabile: tale indeterminabilità
deriva dal soggetto cui va attribuito il danno.
Il soggetto danno può senz’altro essere identificato nella biodiversità, vale a dire
l’insieme delle caratteristiche genetiche esistenti nei diversi organismi, i quali hanno
permesso la vita e l’evoluzione delle specie.
La biodiversità rappresenta uno dei concetti base, insieme alle caratteristiche
economiche dell’innovazione agronomica, attraverso il quale stabilire il potenziale di
rischio delle applicazioni genetiche. La biodiversità è in stretta relazione sia con i
fenomeni ambientali sia con il concetto di sostenibilità inteso in senso generale.
La valutazione del rischio è il parametro essenziale, ed attualmente assente, per
ottenere una corretta valutazione, dei pro ed dei contro, di un’innovazione, in un’ottica di
analisi costi-benefici, che, finora, è stata portata avanti in base alle argomentazioni,
fondate su dati di tipo quantitativo e qualitativo relativi ai benefici, di chi scrive.
Una tale analisi costi-benefici “virtuale” è sembrata essenziale per valutare
l’effettivo potenziale, in base ai dati disponibili, delle applicazioni transgeniche in
agricoltura.
In assenza di una misura del rischio appare giustificabile l’applicazione del
Principio di Precauzione, valido all’interno dell’UE, da utilizzare come parametro
decisionale di riferimento.
L’applicazione del Principio di Precauzione, nel caso delle biotecnologie, sembra
essere stato tralasciato: infatti, le preoccupazioni espresse da molti scienziati circa i rischi
connessi alle biotecnologie sembrano esser stati ignorati, sia dalle leggi sia dalle
autorizzazioni concesse per il loro rilascio in campo aperto, soprattutto in relazione ai
benefici ottenuti finora, che sembrano avere deluso le aspettative.
Appare indubbio costatare come particolari situazioni politiche abbiano favorito
un’accelerazione nel rilascio ambientale degli Ogm, anche alla luce dei danni certificati e
194
stabiliti. L’interesse economico che ruota attorno alle biotecnologie è ingente: ricerche,
studi, sperimentazioni, sono state il frutto di anni di lavoro e di investimenti, ma non
giustificano la semplificazione del problema e delle procedure.
Esistono, nelle normative vigenti, situazioni che chi scrive definisce anomale:
situazioni connesse sia alle normative sulle sperimentazioni, sia ai rapporti esistenti tra
produttori e legislatori e tra legislatori e consumatori.
La normativa sui brevetti permette alle società di ricerca, relativamente alla
legislazione americana, di brevettare anche le scoperte, ovvero ciò che già esiste in
natura89.
Le biotecnologie transgeniche, a detta dei produttori, sono state sviluppate per i
Pvs, ma allo stesso tempo il costo dei brevetti e la loro fruizione sembra non essere adatta
alle condizioni economiche degli stessi destinatari.
La regolamentazione europea prevede l’obbligatorietà di etichettatura per quei
prodotti che contengano una quota maggiore dell’1% di prodotti Gm o derivati: tale
regolamentazione prevede una soglia di accidentalità poiché non è possibile assicurare,
per i prodotti convenzionali, l’assenza totale di prodotti o derivati Gm, causa la mancata
segregazione delle filiere, come confermato dal Commissario Europeo David Byrne.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità alcuni prodotti non possono dare
esiti certi nell’applicazione dell’analisi PCR (principio base per la verifica della struttura
del DNA, ma non affidabile al 100%), in quanto non amplificabili: ciò pone in condizione
di non poter definire un prodotto Gm o derivato senza che ne sia stata certificata l’origine.
Nella pratica è impossibile stabile se un olio, una lecitina di soia o un amido di mais siano
di origine transgenica.
Il Principio di Sostanziale Equivalenza (PSE) prevede, per quei prodotti che hanno
caratteristiche nutrizionali simili ai corrispettivi convenzionali, la commercializzazione
come tradizionali, poiché non vi è differenza90.
89
La regolamentazione brevettale statunitense la possibilità di brevettare il processo produttivo relativo all’estrazione o
alla lavorazione di un bene naturale, o di brevettare un gene esistente in natura, purché sia modificato in parte (ad
esempio il principio del Roundup Ready si basa sulla modificazione di un gene della petunia), o, in ultima istanza, di
brevettare nel proprio Paese un gene o una pianta esistente in un altro.
90
Nella pratica viene definito sostanzialmente equivalente ogni prodotto il cui tratto di DNA modificato non sia
rintracciabile (così come avviene nella produzione di olio di soia che perde il tratto modificato e che quindi è
commercializzato come il tradizionale, a meno che non ne sia stata identificata la provenienza).
195
Il PSE appare, dunque, ingannevole per il consumatore, in quanto non definisce,
causa la non segregazione delle filiere alimentari, con certezza ciò che è tradizionale o
transgenico nel suo complesso.
In alcuni casi la sperimentazione sugli Ogm non viene effettuata: infatti, se il
prodotto è frutto dell’incrocio di due Ogm già sperimentati, e quello finale contiene solo i
due tratti originari, la sperimentazione è esclusa, senza tener conto del metabolismo
genetico.
Una considerazione particolare da considerare è il rapporto tra produttoriricercatori e organismi di controllo. Infatti, dall’inizio degli anni novanta ad oggi, ovvero
il periodo delle maggior sperimentazioni in USA, accanto alla ristrutturazione del mercato
agro-chimico e sementiero, legato allo sviluppo degli Ogm, è stato evidente anche un
cambiamento dell’indirizzo politico da parte delle Istituzioni statunitensi: infatti, sia nella
gestione Clinton sia nella recente gestione Bush sono stati nominati a capo dei principali
enti di controllo alimentare e agricolo, FDA e USDA, alcuni tra i dirigenti delle principali
società biotecnologiche.
Alcuni esempi sono riportati qui di seguito:
Tommy Thompson, ex-governatore del Wisconsin, è il nuovo Segretario della Sanità.
Come Governatore aveva contribuito, con parte dei finanziamenti forniti dalla
Monsanto, alla creazione di zone agricole Biotech per favorirne l’accettazione, ed allo
stesso tempo la società ha in parte finanziato la sua campagna elettorale.
Ann Veneman, il nuovo Segretario all’Agricoltura, è stata in precedenza direttrice
della società biotech Calgene, attualmente sotto il controllo della Monsanto, ed è stata
attiva nel sostenere le ditte biotech per commercializzare le sementi nei Pvs.
Donald Rumsfel, attuale Segretario alla Difesa, era presidente della Searle
Pharmaceutical quando venne acquisita dalla Monsanto.
Linda Fisher, ex dirigente Monsanto, è stata nominata a ricoprire un ruolo primario
nella gestione dell’EPA, l’ente di protezione ambientale statunitense, che dovrebbe
verificare la non nocività ambientale.
Tale elenco non intende porre alcuno sotto accusa, ma vuole essere semplicemente
una descrizione dettagliata di alcuni accadimenti avvenuti all’interno delle Istituzioni
196
statunitensi. Avvenimenti questi, che certamente, destano perplessità circa il rapporto di
collaborazione e indipendenza, allo stesso tempo, che dovrebbe esserci tra i due soggetti.
V.10. Conclusioni finali
Le biotecnologie in agricoltura rappresentano senza dubbio un’innovazione
complessa, dal potenziale non ancora determinabile, e dalla rischiosità non ancora
accertata, ma probabile e già documentata in alcuni casi.
Le prospettive future non sono determinabili in modo scientifico, poiché non
scientifiche sembrano essere alcune considerazioni, circa i costi e i benefici, soprattutto in
relazione alle modalità di regolamentazione.
Il fenomeno Biotech appare, a chi scrive, molto contraddittorio ed allo stesso
tempo pone preoccupazioni sul futuro circa gli effetti socioeconomici ed ambientali, così
come strutturate e gestite.
Tuttavia, la complessità e la scientificità del fenomeno sembra infrangersi contro
l’aspetto economico dell’innovazione.
Brevetti, protezioni, normative ambientali di rilascio e controllo, sono troppo
spesso ambigui ed antieconomici: sembra che il paradigma, autodefinitosi, dominante sia
quello del profitto ad ogni costo, e dunque non sostenibile.
La definizione normativa delle responsabilità dei possibili danni, come il recente
caso StarLink che è costato alla società Aventis 2.100 miliardi di risarcimento danni alle
vittime (agricoltori e consumatori), certamente non attenua le paure, soprattutto se il
danno fosse irreparabile.
L’innovazione biotecnologica è per i poveri, si è detto, ma le modalità di
commercializzazione non sono adatte a loro: il technology fee appare non correlato alla
necessità di ricostituire l’investimento fatto, ma sembra essere legato al normale controllo
monopolistico del prodotto o del processo produttivo.
In tale ottica quale ruolo è possibile attribuire alla natura da salvaguardare, al
consumatore da rispettare, al Sud del Mondo intento nel suo riscatto socioeconomico?
Le ambiguità normative e legislative, insieme all’assenza di una corretta
informazione, mostrano le biotecnologie ingegneristiche come un fenomeno preoccupante
nella sua complessità ed ambiguità per chi se ne voglia interessare, ed un qualcosa
197
d’incomprensibile per chi ne voglia essere informato attraverso i tradizionali mezzi di
comunicazione.
Le biotecnologie risultano, in definitiva, un fenomeno molto complesso, completo
ed ambiguo, come chi scrive le preferisce definire, difficile da sintetizzare e da
semplificare.
Il fine del lavoro è stato quello di fornire informazioni ed analisi economiche,
basate essenzialmente sul concetto di sostenibilità intesa in senso generale, ponendo come
variabili principali la conservazione dell’ambiente, la precauzione, la fiducia in una
scienza futuristica ma ragionevole, il tutto con un particolare riguardo ai fenomeni del
sottosviluppo e alla fame nel mondo, come principali destinatari di una tecnologia volta,
nella sua teoria, ad alleviare i problemi che affliggono i Paesi del Sud del Mondo.
Il fine ultimo non è quello di dare una soluzione o di condannare un’innovazione,
ma è quella di porre l’attenzione sulle necessità umane ed ambientali, sia nel Nord sia nel
Sud del Mondo, in modo tale da porre come fine ultimo delle innovazioni l’uomo,
l’ambiente e il benessere, e non il solo profitto aziendale.
Una scienza, che ponga l’uomo al centro dei suoi interventi, può senz’altro essere
quella in cui si crede e si pone fiducia nel futuro.
Glossario
Allogamia: fecondazione tra gameti provenienti da fiori diversi della stessa pianta o tra
fiori di piante affini.
Autogamia: fecondazione tra gameti provenienti da uno stesso fiore (ermafrodito).
BT: tecnologia transgenica di resistenza agli insetti basata sulla tossina Bacillus
Thuringensis.
Pleiotropico (effetto): i molteplici effetti che un singolo gene può esercitare
sull’organismo.
EPA: Environmental Protection Agency
Fenotipo: il risultato osservabile e misurabile dell’espressione dei geni, cioè l’insieme
delle caratteristiche fisiche, biochimiche e fisiologiche di un organismo.
Genoma: l’intero patrimonio genetico di un organismo.
Genotipo: complesso dei caratteri ereditari di un individuo, che non sempre corrisponde
ai caratteri visibili, cioè al fenotipo.
Gene: l’unità genetica fondamentale, costituita da DNA e contenente un’informazione
ereditaria.
GM: Geneticamente Modificato.
HT: tecnologia transgenica basata sulla tolleranza agli erbicidi specifici.
INRA: Institut National de la Recherche Agronomique.
IR: tecnologia transgenica basata sulla resistenza agli insetti.
ISAAA: International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications.
NCFAP: National Center for Food and Agricultural Policy.
OGM: Organismo Geneticamente Modificato.
QT: tecnologia transgenica atta a modificare le caratteristiche qualitative delle piante.
RAFI: Rural Advancement Foundation International.
Technology fee: tassa tecnologica connessa alla fruizione di un ritrovato vegetale
tutelato da brevetto.
Tossina: proteina dalle proprietà tossiche.
199
Transgene: gene destinato ad essere trasferito in un organismo estraneo.
USDA: United States Department of Agriculture.
VR: tecnologia transgenica basata sulla resistenza ai virus.
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SITI INTERNET
Di seguito viene fornito un elenco di siti Internet dove è possibile reperire
informazioni e dati sulle problematiche relative alle biotecnologie.
1. www.biotech-info.net
2. www.ers.usda.gov
3. www.biotechknowledge.com
211
4. www.cgiar.org
5. www.colostate.edu
6. www.greenpeace.it
7. www.ers.usda.gov
8. www.fao.org
9. www.europa.eu.int
10. www.worldseed.org
11. www.isaaa.org
12. www.monsanto.it, www.monsanto.com, www.pharmacia.com
13. www.novartis.it
14. www.rafi.org
15. www.upov.org
16. www.rfb.it\csa
17. www.usda.gov
18. www.vaslombardia.org
19. www.verdiambienteesocieta.it
20. www.verdi.it
21. www.verdinrete.it
22. www.wwf.it
23. www.pan-europe.net
24. www.cidse.org
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Impatto Economico degli OGM in Agricoltura