Alcune considerazioni teoriche e sperimentali sui carichi di rottura delle
corde
di Silvano Melotti
1. Premessa
Lo sviluppo nella costruzione delle corde statiche e il perfezionamento degli autobloccanti meccanici ha
portato alla pressoché totale diffusione del metodo di progressione in sola corda. La grande resistenza delle
fibre artificiali ha permesso la riduzione della sezione delle funi senza scapito per la sicurezza, ma
ovviamente non si può pretendere che i fabbricanti di corda da roccia o da speleologia possano avere
eliminato ogni difetto. La richiesta degli speleologi sarebbe quella di avere corde di resistenza elevatissima
e assoluta stabilità nel tempo, purtroppo le fibre sintetiche non hanno una tale rispondenza.
L’usura meccanica dovuta all’impiego (specie in presenza di fango) provoca un deterioramento delle
caratteristiche delle funi, inoltre l’invecchiamento dei polimeri, accelerato sembra dai raggi ultravioletti,
porta ad un decadimento della resistenza senza che chi le usa possa rendersene conto ed è perciò
giustificato il consiglio di gettare le corde “vecchie” anche se poco usate e apparentemente ben conservate.
Un sistema cautelativo contro il pericolo di “incidente” è quello di aumentare molto il cosiddetto
“coefficiente di sicurezza”, ovvero fabbricare corde di resistenza molto maggiore di quella richiesta,
cosicché nell’eventualità di un declassamento delle caratteristiche rimarrebbe comunque una resistenza
residua sufficientemente elevata.
Resta da definire quale sia il concetto di resistenza.
Quando si acquista una corda avente un carico di rottura di 2500 Kg viene istintivo supporre che questo
carico di rottura sia 25 volte superiore al peso di una persona di 100 Kg e perciò la corda risulti in grado di
sostenere non una ma più persone contemporaneamente in tutta tranquillità.
Questo discorso sarebbe valido solo se la corda fosse usata in regime statico, in situazioni in cui il carico
viene applicato abbastanza lentamente da rendere trascurabili i fenomeni dinamici (accelerazioni, forze
d’inerzia), ossia se viene usata per sollevare lentamente un certo peso, come avviene nelle gru e negli altri
apparecchi di sollevamento.
Quando si tratta invece di fermare la caduta di un alpinista (speleologo) precipitato da una certa altezza, la
questione si ribalta, nel senso che sono trascurabili le forze statiche (peso della persona) e diventano
determinanti invece le forze dinamiche (decelerazione durante l’arresto) pertanto queste ultime possono
arrivare ad intensità dell’ordine delle migliaia di Kg.
Dovendo le funi non solo sostenere lo speleologo ma anche salvaguardarlo da cadute accidentali, risulta
necessario conoscere le forze in gioco (molto grandi) in una situazione dinamica quale quella delle cadute,
ed è solo illusorio basare le proprie considerazioni sulla sicurezza nei piccoli carichi generati dalla situazione
statica (peso dell’escursionista appeso).
2. Il coefficiente di caduta
Il coefficiente di caduta è dato dal rapporto tra altezza di caduta e lunghezza della fune.
Arriva al massimo a 2 nel caso di pratiche alpinistiche e al massimo a 1 in speleologia.
=
dove
l = lunghezza della corda
h = altezza di caduta
Quanto minore è il coefficiente di caduta tanto maggiore è la sicurezza. Per questo non bisognerebbe mai
armare i pozzi sull’orlo ma bensì a qualche metro addietro per avere un po’ di corda che assorba l’energia
di un eventuale scivolone sull’imbocco; così pure i frazionamenti andrebbero ancorati con il nodo barcaiolo
(che scivola a sforzi elevati) o con cordino o fettuccia, i quali rompendosi darebbero modo alla fune a
monte di ammortizzare la caduta.
In ogni caso dovrebbero essere fatti degli artifici per cui in caso di incidente vi fosse un tratto di corda
sufficiente ad assorbire l’energia.
3. Energia di caduta e lavoro di deformazione
Durante la caduta un corpo acquista un’energia cinetica proporzionale al peso del corpo ed all’altezza della
caduta. Quando il corpo viene arrestato dall’azione della corda, tutta l’energia acquistata durante la caduta
deve essere assorbita dalla fune con lavoro di deformazione; la fune si tende e, mano a mano che si allunga
(deformazione), la forza di trazione aumenta e il corpo viene frenato fino a fermarsi (*1).
L’energia di caduta di un corpo equivale a:
E = P * h = peso x altezza = Energia (in Kgm)
Quando la corda viene tesa si ha per la legge di Hooke:
=
dove
∆
M = modulo di elasticità della fune (dipende dalle dimensioni e caratteristiche costruttive)
∆
= allungamento relativo della fune
F = Forza di trazione
Il lavoro di deformazione è uguale al prodotto della forza F per lo spostamento del punto di applicazione,
poiché la forza F non è costante ma dipende dall’allungamento (Hooke) il lavoro L sarà uguale a
∆
=
=
∆
dove Fmax è la forza raggiunta alla fine dell’allungamento. Il lavoro equivale all’area del grafico F, ∆l.
Per il principio di conservazione dell’energia il lavoro L deve essere uguale all’energia di caduta E
L=E
elaborando si ha:
=
∆
quindi
∆
=
=
=
=
=
−
(
∆)
(poiché
∆
∆
=
+∆ )
+
+
(poiché
∆
=
)
+
−
=
Si giunge ad un’equazione di 2° grado risolvibile in Fmax la quale dà come radice:
=
+
+
Quando la lunghezza l della fune e l’altezza h della caduta sono diverse (coefficiente di caduta ≠ 1) la
formula risulta modificata nel seguente modo:
=
+
+
Ovvero nella formula entra il rapporto corrispondente al coefficiente di caduta.
Come si vede nelle formule della Fmax la forza d’arresto non dipende dall’altezza da cui si cade ma solo dal
peso del corpo e dall’elasticità della corda (eventualmente dal coefficiente di caduta). (*2)
Per fare un esempio pratico, ponendo M=10000 Kg e P=100 Kg, coefficiente di caduta=1, si trova:
=
+
+
∗
∗
=
Uno speleologo del peso di 100Kg provocherebbe durante una caduta uno sforzo di trazione di 1520Kg
(indipendentemente dall’altezza da cui precipita).
Con coefficiente di caduta 2 (alpinismo) si avrebbe Fmax=2100 Kg. In realtà per cadute molto piccole, es.
poche decine di cm, l’elasticità del corpo, lo stringimento dei nodi e l’ammortizzamento dell’imbrago
rappresentano dei dissipatori di energia e riducono la Fmax a valori assai modesti; questi effetti benefici
divengono sempre meno significativi via via che si aumenta lo spazio percorso (e quindi l’energia in gioco)
fino a risultare trascurabili per cadute superiori a qualche metro.
4. Caso reale
Le formule di calcolo ora viste sono verificate fintanto che il coefficiente di elasticità (M) rimane costante.
Purtroppo, per le funi sintetiche il coefficiente M non è costante ma varia con l’applicazione del carico e
quindi quanto fino ad ora si è detto è trasferibile solo grossolanamente ai casi reali. Per conoscere il lavoro
di deformazione e le forze massime indotte in modo più preciso conviene procedere con metodi grafici: si
ricava sperimentalmente il diagramma Forza-dilatazione per una data corda, esso non sarà più
rappresentato da una retta ma da una linea curva, e se ne misura l’area (integrazione grafica). (*3)
Nel caso della fune Edelrid Ø 10 statica, l’area L corrispondente a tutto il grafico (Lavoro di deformazione
fino alla rottura) risulta essere 200 Kgm per ogni metro di lunghezza della corda. (*4)
Si possono misurare le aree relative ad alcuni allungamenti parziali e costruire un nuovo diagramma (Figura
6) dove comparirà il lavoro di deformazione in funzione dell’allungamento relativo percentuale.
Sovrapponiamo la retta dell’energia di caduta (crescente con l’allungamento della fune). L’intersecazione
dei due grafici corrisponde all’eguaglianza E = L e fornisce l’allungamento percentuale risultante al
momento dell’arresto. Conoscendo la dilatazione si può risalire, sul grafico do figura 5, alla forza di
trazione, nel momento dell’arresto (con
∆
% = 26% si trova F = 1400 Kgm).
Una corda Edelrid nuova genera in caso di caduta accidentale una forza di arresto di 1400 Kg se il peso dello
speleologo è di 100 Kg.
5. La questione dei nodi
La forza ora ricavata di 1400 Kg non assicura ancora la resistenza della fune perché non si è tenuto conto
dell’influenza dei nodi. Il nodo si trova in uno stato di sollecitazione composta, dovuto a tensioni normali di
vario tipo, trazione e compressione, con il risultato di ridurre la propria resistenza. A seconda del tipo di
corda la diminuzione del carico di rottura può variare dal 30% al 70%.
Il nodo bulino e il nodo delle guide con frizione diminuiscono a circa il 50% il carico di rottura della fune, la
quale perciò deve sopportare carichi maggiori a 1400 x 2 = 2800 Kg senza collassare.
Quando si ricava l’area del diagramma Forza-dilatazione si deve tener conto di questi effetti e il lavoro di
deformazione risultante deve essere calcolato per una trazione adeguatamente inferiore a quella di rottura
del nodo. La corda in oggetto non presenta alcun margine di sicurezza per eventuali piccoli difetti, anzi
addirittura possiede un carico di rottura leggermente inferiore a quello teorico richiesto.
6. Prove statiche
Sono state eseguite delle prove di laboratorio riguardanti la resistenza di trazione statica di alcune funi
usate dal nostro gruppo. Sono stati rilevati i diagrammi Forza- dilatazione su vari campioni agganciati
all’apparecchio di misura con nodo bulino e nodo delle guide con frizione. Il tratto di fune era lungo circa
10÷15 cm (escluso nodi e asole).
Le rotture sono sempre avvenute sui nodi (il nodo delle guide con frizione si è rivelato più robusto del nodo
bulino); i controlli sono stati eseguiti direttamente sulla fune (con l’uso di un calibro) per ricavare gli
allungamenti della sola corda, e dal macchinario di prova che ha fornito gli allungamenti risultanti
dall’insieme funi + nodi + asole.
Confrontando i due diagrammi si è potuto risalire all’energia assorbita dal nodo + asola in regime statico.
(*5)
Asola con nodo
Bulino
Guida con frizione
Energia assorbita
30 ÷ 50 Kgm
50 ÷ 100 Kgm
I risultati ottenuti con le misurazioni dirette (ossia con esclusione degli effetti dei nodi) sono descritti nella
tabella seguente. Essi sono rapportati ad una fune lunga 1 metro.
Fune
EDELRID Ø 10
statica
EDERLID Ø 10
statica
SPELEO Ø 9,5
statica
SPELEO Ø 10,5
statica
CAMP Ø 10,5
dinamica
Nodo
F rottura
(Kg)
Allungamento
%
Lavoro max.
(rottura) Kgm
Forza d’arresto
bulino
1130
15
60
guide
1230
15,5
65
bulino
900
8,5
40
guide
970
11,5
55
Superiore a
quella di rottura
Superiore a
quella di rottura
Superiore a
quella di rottura
bulino
1370
31,5
160
800
bulino
870
27
105
690
Per P=85 Kg (Kg)
Superiore a
quella di rottura
(rossa – verde)
ROCCIA Ø 10,5
dinamica
Come si può vedere la forza di arresto in caso di caduta libera di un peso di 85 Kg (Energia = 85 Kgm per
ogni metro di caduta) risulta superiore a quella di rottura delle funi statiche campione. Le funi erano tutte
usate tranne la CAMP che era nuova.
7. Prove dinamiche
I risultati delle prove statiche possono essere trasferiti solo parzialmente in situazioni dinamiche dove la
rapidità dello sforzo, le inerzie in gioco, gli attriti, ecc … complicano notevolmente gli effetti studiati.
Per verificare il comportamento delle funi in regime dinamico il C.R.N. ha provveduto ad effettuare delle
prove di caduta libera a coefficiente 1 presso il Ponte di Veja. (*6) L’altezza della caduta è stata fissata in
metri 10 in modo da avere un’energia sufficientemente alta da rendere minimi gli errori dovuti
all’assorbimento dei nodi. Si è visto infatti che l’energia assorbita da un nodo può essere anche di 100Kgm,
ma non si può fare affidamento su questo beneficio in quanto non è nota la quota parte realmente fruibile
in caso di incidente.
RISULTATI
N°
Fune
1
2
EDELRID
EDELRID
Peso
(Kg)
210
160
Rottura
Punto di rottura
SI
SI
al nodo inferiore
al nodo inferiore
Note
(NON ATTENDIBILE)
3
EDELRID
125
NO
4
5
EDELRID
SPELEO
85
160
NO
SI
6
SPELEO
125
NO
7
SPELEO
125
SI
La caduta è rallentata da un
accavallamento della fune attorno
ad un paletto
al nodo inferiore
(NON ATTENDIBILE)
Sembra che la fune di recupero
abbia intralciato la caduta
nodo inf. e sup.
contemporaneamente
8
SPELEO
85
NO
I carichi sono stati fissati in base al taglio dei pesi (in calcestruzzo) a disposizione.
Dopo ogni prova non si riusciva più a sciogliere i nodi e si doveva procedere con la taglierina; la calza a
contatto degli ancoraggi risultava sempre superficialmente fusa, inoltre le funi si presentavano molto
irrigidite, specialmente le EDELRID.
8. Altre questioni sui nodi
Le funi hanno sorpreso per la loro resistenza dinamica, maggiore di quella statica provata in laboratorio;
infatti esse hanno sopportato abbastanza tranquillamente il carico di 85 Kg in caduta libera a coefficiente 1,
a dispetto delle prove di laboratorio in cui hanno dimostrato una minore capacità di assorbimento.
In regime statico il nodo risulta sempre teso e la fune che lo compone, scivolando pian piano, ha tutto il
tempo di strizzarlo.
In regime dinamico la trazione avviene molto rapidamente e, sia il tempo ridotto che le inerzie in gioco, non
permettono al nodo di stringersi completamente e perciò risulta meno sollecitato dalle compressioni
dovute allo strozzamento della fune che lo compone, e resiste a sforzi maggiori.
Vi possono essere anche altre ragioni non esclusa quella della dispersione dei risultati (non verificabile dato
il ridotto numero di prove) relativa ai vizi di esecuzione ecc.
9. Velocità di trasmissione dello sforzo
Quando una forza viene applicata molto rapidamente (impulso) ha bisogno di un certo tempo per
trasmettersi da un capo all’altro. Questo tempo varia con l’elasticità della corda ed è valutabile, nel nostro
caso, in circa 7 millisecondi.
Se il carico ha una massa di 160 Kg esso possiede un’energia tale da conservare una velocità residua di 11
m/sec (40 Km/h) nell’istante che precede la rottura. Questa velocità per il tempo di ritardo nella
trasmissione consente un ulteriore dilatazione al lembo inferiore dello 0,7%, corrispondente ad una
differenza sulla trazione di 130 Kg fra un’estremità e l’altra (fig. 8, fune Edelrid tesa). (*7)
Il nodo inferiore si trova sottoposto al massimo sforzo con un piccolo anticipo rispetto al nodo superiore,
sufficiente a favorire il collasso per primo. Questo spiega perché le rotture sono sempre avute nel nodo
inferiore. In realtà lo sforzo raggiungere poi anche il nodo superiore, ma una volta recisa la fune non vi è più
energia sufficiente a spezzarlo.
10. Difficoltà incontrate
Le prove descritte hanno comportato notevoli difficoltà per la loro esecuzione, dovute alla scarsità di
laboratori attrezzati per le prove statiche su funi. Le prove riportano infatti difetti metodologici (come le
incertezze sugli allungamenti e sui nodi) dovuti all’assenza di apparecchiature specifiche. (*8)
Vi sono stati problemi anche per la mancanza di modalità nelle prove dinamiche, risultate assai più faticose
e dispendiose del previsto ed i cui ostacoli sono stati superati solo grazie all’improvvisazione. La mancanza
di un metodo collaudato ha quindi limitato in parte e talvolta escluso le prove progettate.
Rimane aperto il quesito sul comportamento dinamico dei nodi e sulla capacità di assorbire energia, di cui
sono state esposte soltanto delle ipotesi, anche perché è mancato il tempo sia per discuterne con altri che
per vagliare bibliograficamente il problema.
Un appunto va fatto anche ai venditori perché ho incontrato un muro di omertà riguardo le richieste di
caratteristiche più dettagliate sulle funi esibite, compreso l’anno di fabbricazione (certamente conosciuto).
11. Conclusioni
L’idea di basare la propria fiducia nel carico di rottura statico di una corda è non solo impropria ma anche
ingannevole. Per giudicare la bontà di una fune è necessario conoscere il lavoro di deformazione (o energia
assorbita), oppure il peso massimo sopportabile in caduta libera (a coefficiente 1 per gli speleologi).
Sarebbe bene anche sapere il valore della Forza di arresto per un corpo del peso di 80 ÷ 100 Kg per
verificare che essa non superi il livello massimo sopportabile dall’uomo (1000 Kg per brevi istanti) e dagli
attrezzi usati.
Esistono delle norme fissate dall’Unione Internazionale Associazioni Alpinistiche sulla fabbricazione degli
attrezzi di alpinismo ove viene prescritta, per le funi da roccia, la resistenza ad un carico dinamico di
almeno 80 Kg in caduta libera a coefficiente 1,85 (che viene misurata con uno speciale meccanismo
chiamato apparecchio di Dodero).
Purtroppo non tutti i fabbricanti vi si attengono, e per questo sarebbe opportuno che tutte le corde fossero
fornite di un tagliando ampiamente descrittivo delle caratteristiche meccaniche e delle particolarità d’uso,
e vi fosse stampigliato (meglio sulla calza) almeno l’anno di fabbricazione come per ogni prodotto soggetto
a decadimento. Visto l’uso a cui sono sottoposte le funi sarebbe quanto mai auspicabile l’emissione di una
normativa nazionale che ne regoli la produzione e la vendita.
NOTE (*)
1. L’energia viene accumulata dalla fune tesa la quale, in campo elastico, cerca di ritornare nella
posizione iniziale, e fa rimbalzare il corpo verso l’alto; nasce così una successione di oscillazioni
smorzate fino al completo arresto.
2. È evidente che aumentando l’altezza della caduta aumenta anche la lunghezza della corda e quindi
la sua capacità di assorbire energia. Tuttavia per cadute elevate la velocità di trasmissione dello
sforzo può non essere sufficiente ad interessare l’intera fune con discapito per la sicurezza.
3. Per semplicità ci riferiremo alla caduta ideale di 1 metro considerando nulli gli effetti ammortizzanti
(corpo rigido e assenza di nodi).
4. Questi risultati e quelli dell’intero paragrafo sono validi nei limiti di attendibilità del diagramma
Forza-dilatazione desunto dai dati forniti dal venditore. Potrebbero subire delle correzioni qualora il
diagramma citato non fosse adeguatamente rappresentativo delle caratteristiche meccaniche della
fune Edelrid statica Ø 10 mm.
5. I risultati ottenuti devono considerarsi solo approssimativi a causa del modesto numero di prove
effettuate.
6. Hanno collaborato tutti i soci del C.R.N. Monti Lessini ed in particolare Andrea Baltieri – Giorgio
Beso – Lino Girardi e Mirko De Lazzari.
7. La velocità di trasmissione dello sforzo è data da:
=
dove
M è il modulo di elasticità (E A)
Pm è il peso a metro della fune
=
,
=
/
(fig.8)
+∆
=
,
=
= , ∗
al momento della rottura. (Inizialmente si ha Vtr = 780 m/sec e t = 13 millisec.)
Il carico acquista un’energia E = mg(h+∆h)=18000 J.
Nell’ipotesi che la fune abbia assorbito 6000÷8500 J in prossimità della rottura (vedi prove statiche
e dinamiche), il carico conserverebbe un’energia cinetica di 12000÷9500 J. Con alcune
semplificazioni (in difetto) si ha:
=
∗
=
=
=
∗ ,
=
=
/
=
/
+
Trascurando il termine di ordine superiore:
=
∆
∆ =
%=
∆
=
+∆
= ,
∗ , ∗
∗
=
∗
= ,
,
∗
,
=
= , %
(
)
L’allungamento relativo dello 0,7% genera un incremento di forza di 130 Kg in prossimità del punto
di rottura della fune EDELRID Ø 10 (fig. 8).
8. Sono stati interpellati vari istituti senza risultato.
Le prove sono state infine eseguite presso il Laboratorio delle Officine Galtarossa (grazie al gentile
interessamento di Franco Florio del gruppo C.A.I.).
BIBLIOGRAFIA
Generalità sulla trazione e altri presupposti teorici
O. BELLUZZI:
Scienza delle costruzioni – Zanichelli 1977
(Part. 104 – 110)
CELESTI GUERRIERO SALVATORI:
Sollecitazioni dinamiche e statiche nelle attrezzature speleologiche. Teoria e
sperimentazione.
Speleologia Umbra 1984
EDELRID-Werk:
Cordologia – Opuscolo EDELRID
Isny/Allagau, W. Germany
Sulla velocità di trasmissione dello sforzo
A. Rostagni:
Meccanica, Termodinamica – Padova 1957
(Part. XVI)
Per un uso corretto delle funi
M. CAPPON:
Guida alla tecnica alpinistica – Mondadori 1984
EDELRID-Werk:
Cordologia (Op. già citata)
Prove e sperimentazioni sulle funi
A. MAMBELLI:
Prove di resistenza – Notiziario U.S.V. n.8
Verona 1976
B. CALVAN:
La sollecitazione degli armi ai pozzi – Natura alpina n°3, Museo di S. N. – Trento 1985
CELESTI GUERRIERO SALVATORI:
Sollecitazioni dinamiche ecc. (Op. già citata)
Normativa
NORME U.I.A.A. – Union Internationale des Associations d’Alpinisme.
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alcune considerazioni teoriche e sperimentali sui carichi di rottura