LE EMISSIONI DI CO2 DAI TRASPORTI E GLI
OBIETTIVI DI KYOTO:
STRATEGIE, PROBLEMI, STRUMENTI
NORMATIVI
di Alberto Muratori
Produzione e logistica >> Normativa ambientale
I TRASPORTI E LE EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA
Come ben noto, il settore dei trasporti, e segnatamente quello dei trasporti su strada, è tra
quelli che maggiormente influiscono - secondo solo alle centrali termoelettriche - alle
immissioni di CO2 in atmosfera, ritenute le principali (anche se non esclusive) responsabili
dell’effetto serra, e perciò destinatarie di azioni finalizzate al loro ridimensionamento, in
attuazione degli indirizzi sanciti dal Protocollo di Kyoto.
A livello mondiale, secondo fonti OCSE, il settore dei trasporti, nell’anno 2000, produceva il
23% delle
emissioni di CO2, e alle sole autovetture era imputabile oltre il 15% delle emissioni globali di
CO2.
Né le proiezioni dell’OCSE riferite al 2010 sono ottimistiche, da momento che ci si attende un
aumento del numero di veicoli almeno pari al 45% del parco circolante nel 1990, cui
corrisponderebbe, in assenza di correttivi, una crescita delle emissioni di CO2 superiore al 50%.
Ovviamente quest'incidenza trova sostanziale conferma anche nei dati nazionali: per l’Italia, in
media coi valori dell’Unione europea, il contributo del settore dei trasporti al totale delle
emissioni di CO2 è stato calcolato nel 19,86% relativamente al 1990, nel 22,80 % per il 2000,
mentre le proiezioni della pianificazione nazionale appaiono tutt'altro che ottimistiche, anche
tenendo conto delle misure poste in atto o programmate.
I gas di scarico dei veicoli sono anche, per altro, tra le principali cause della presenza di
inquinanti primari e secondari in atmosfera, con la rimarchevole differenza, tuttavia, che
mentre l’evoluzione tecnologica - sia nel campo delle caratteristiche chimico merceologiche dei
carburanti per autotrazione, sia in quello del miglioramento dei sistemi di carburazionecombustione nei motori, sia in quello della depurazione degli scarichi prima della loro
espulsione - ha già fornito risposte significative per la riduzione degli inquinanti emessi, (e
basterà citare a tal riguardo, l’eliminazione del piombo e il ridimensionamento del tenore di
aromatici dalle benzine, la messa a punto delle motorizzazioni diesel di ultima generazione, e
l’introduzione della marmitta catalitica), la CO2 rappresenta, insieme al vapore acqueo, la
risultante stechiometrica della reazione «perfetta» di ossidazione di qualsiasi combustibile a
base di carbonio, e in particolare, di qualsiasi combustibile fossile.
LINEE STRATEGICHE E PROFILI TECNICI
Ciò significa che per ridurre le emissioni «massicce» di CO2 è necessario intervenire secondo le
seguenti direttrici:
1) ridurre i consumi assoluti di combustibili fossili:
• intervenendo sull’articolazione modale della risposta alla domanda di trasporto
persone e merci, per orientarla verso sistemi e mezzi in grado di risultare
energeticamente più efficienti, a parità di quota di domanda soddisfatta;
• introducendo motori a minor consumo specifico di carburante, a parità di percorrenze
e carichi;
• incentivando la diffusione - anche per additivazione ai carburanti tradizionali - di
combustibili a bilancio di CO2 nullo, come nel caso dei cosiddetti biocarburanti, neppure
questi ultimi, per altro, scevri di elementi di problematicità sotto il profilo delle emissioni
inquinanti;
2) privilegiare, comunque, il ricorso a carburanti caratterizzati da un minore «fattore di
emissione» di CO2 in seguito alla reazione di combustione.
Ovviamente, nessuna delle indicazioni su esposte, sulle quali si svilupperanno,
successivamente, alcune considerazioni ed esemplificazioni, appare, da sola, in grado di
risolvere il problema, e i risultati restano comunque esposti all’incognita della sempre
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crescente esigenza di trasporto di persone e merci, come confermato, del resto dalle su
esposte proiezioni in senso incrementale; ma costituiscono comunque il presupposto di
qualsiasi azione si voglia intraprendere, sia a livello di politiche, che di strumenti normativi,
comunque, in una prospettiva di utilizzazione congiunta delle diverse possibilità.
L'importanza dell’articolazione modale nella risposta alla domanda di spostamento, sia a breve
che a grande distanza, di persone e merci, è così evidente che la trattazione può essere
liquidata in poche righe: il trasporto collettivo, di qualunque tipo, comporta un consumo di
combustibile di gran lunga inferiore a quello del trasporto individuale, mentre il trasporto su
ferro delle merci, che pure comporta il consumo di elettricità, anche ottenuta
«tradizionalmente», (o il ricorso a locomotori equipaggiati con motori diesel) dà luogo ad una
generazione di CO2 di gran lunga inferiore - anche in termini di ordini di grandezza - a quella
del trasporto su strada, a parità di quantitativi movimentati e di percorrenze effettuate. Si
tratta, indubbiamente, di un livello di intervento da affrontare attraverso «azioni nazionali»
complessivamente finalizzate al riassetto della mobilità, sia in ambito urbano, che per il
trasporto a media e lunga distanza, che, se comporta, da un lato, l’impiego di ingentissimi
investimenti, risulta, da un altro, passibile di approccio anche a scala locale e regionale, e dà
risultati certi anche sul piano del carico di inquinanti riversati in atmosfera, e quindi anche del
risanamento della qualità dell’aria ambiente e del rispetto dei «tetti nazionali» di emissioni
fissati per diversi parametri inquinanti.
Consumi ed emissioni di CO2
Anche il profilo del minor consumo specifico di carburante da parte degli autoveicoli - che poi si
traduce in termini di pressoché paralleli minori quantitativi di CO2 immessi in atmosfera - può
giocare un ruolo significativo nel conseguimento di risultati tangibili, e la diffusione di motori
rispondenti a tale obiettivo può essere incentivata attraverso vincoli normativi, che sollecitino
l’evoluzione tecnologica, attraverso accordi volontari con le case costruttrici, ed anche
ricorrendo alla manovra fiscale, cui non sono in generale insensibili i consumatori al momento
della scelta tra le opzioni offerte dal mercato.
Ferma restando una dipendenza evidente delle emissioni specifiche di CO2 (espresse in g/Km) così come dei consumi, nel ciclo urbano, nel ciclo extraurbano e in quello misto - dalla
cilindrata e dal peso della vettura, in termini generali, i valori medi su percorso urbano tendono
a risultare inferiori per le auto non catalizzate di piccola cilindrata (<1,4 litri), seguite dalle GPL
non catalizzate e dalle «ecodiesel», mentre le autovetture catalizzate di grossa cilindrata (>2
litri) presentano un carico emissivo anche due volte superiore (ANPA, 2000). Si osserva
comunque, dati alla mano, una notevole variabilità di valori tra i modelli proposti dalle diverse
case costruttrici, anche per vetture di classe e caratteristiche esteriormente analoghe, come
può verificarsi «spigolando» tra i valori di emissione dichiarati dai produttori, che,
limitatamente ad alcuni modelli di cilindrata 1,6 litri, si propongono nella Tabella 1.
Un aspetto rilevante, in tale ambito, è per altro quello della corrispondenza tra emissioni reali e
metodi standardizzati di calcolo, che intervengono applicando modelli scientificamente
riconosciuti, secondo schemi predefiniti assunti a riferimento dalla normativa comunitaria, ed
utilizzati anche per la stima delle emissioni, sia ex post, che predittive.
Merita particolare menzione, in tal senso, una ricerca promossa dall’ANPA e sviluppata
dall’Istituto Motori del CNR, dal titolo «Dati sperimentali di emissioni e consumi di diverse
tipologie di veicoli confrontati con fattori di emissione» presentata nell’aprile 2000, riferita a
tutti gli inquinanti caratteristici dei gas di scarico e alla CO2, che ha riguardato due autovetture
appartenenti a modelli a larga diffusione, alcuni ciclomotori e motocicli e un minibus, e
precisamente:
• un’autovettura a benzina catalizzata FIAT «Punto» di cilindrata inferiore a 1,4 litri
(1242 cc) rispondente alla direttiva 94/12 sulle emissioni allo scarico (Euro II);
• un’autovettura a benzina catalizzata Alfa Romeo 155 di cilindrata compresa tra 1,4 e
2,0 litri (2000 cc) rispondente alla direttiva 91/441 sulle emissioni allo scarico (Euro I);
• 16 ciclomotori di 50 cc di cilindrata a due tempi di tipo convenzionale;
• sei motocicli di 125 cc di cilindrata a due tempi di tipo convenzionale;
• un minibus diesel, di 2445 cc di cilindrata, con 10 posti totali.
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Tabella 1: Emissioni di CO2 dichiarate dalle case costruttrici per alcuni modelli
1600 cc
Cilindrata
G CO2/km
Alfa 147 1,6 105 CV
1598
192
Audi A2 Confort FSI
1596
144
Citroen C2 126 Senso Drive
1587
141
Citroen XSARA Ricasso 16
1587
178
FIAT Stilo 16 16VI 5P
1596
176
Ford FOCUS 1,6 GHIA 5P
1596
167
Ford FOCUS 1,6 ZETEC Auto
1596
192
Honda CIVIC 3P 1,6 sport
1590
157
Lancia Lybra 1,6 16V
1596
194
Peugeot 206 XS 16V 1,6 3P
1598
161
Peugeot 307 XS 1,6 16V AUTO 5P
1598
189
Renault Megane Berlina 4P
1598
184
Renault Scenic 4P
1598
172
Toyota Corolla HB 1,6
1598
190
Toyota Avensis 16 Berlina
1596
172
VoksksWagen GOLF 1,6 FSISportline 4P
1596
163
VoksksWagen GOLF Aut.
1596
201
Modello
Tutti i veicoli coinvolti sono stati adeguatamente strumentati e, per i diversi inquinanti,
compresa l’anidride carbonica, si è operato il confronto tra i dati sperimentali e quelli calcolati
ricorrendo ai modelli, scientificamente riconosciuti, «Copert II e III», «HBEFA», e «Drive
Modem».
Senza qui entrare in un'illustrazione delle modalità di impostazione ed esecuzione
dell’indagine, basterà riferire:
• che i parametri rilevati acquisiti su strada sono stati successivamente analizzati e
rielaborati e, attraverso l’utilizzo di analisi multivariata delle sequenze cinematiche,
sono stati ottenuti dei cicli di guida reali, e che i cicli più rappresentativi sono stati
successivamente guidati in sala prova emissioni;
• che, in particolare per la CO2, è stata rilevata una buona corrispondenza tra dati
sperimentali e valori calcolati coi modelli «Copert».
Come riferisce la premessa della «Guida relativa al risparmio di carburante e alle emissioni di
CO2» pubblicata dal Ministero dell’Ambiente nell’aprile 2004, attualmente, il valore medio
dell’emissione specifica del parco attualmente circolante - ovviamente omologato sulla base di
normative che nel tempo hanno subito non irrilevanti modificazioni - si attesta sui 186 g/km;
secondo le strategie messe in atto dall’Unione europea, «non oltre il 2010» ci si dovrebbe
attestare, per le vetture nuove, su valori medi dell’ordine dei 120 g/km, con una riduzione,
perciò, intorno al 35,5 %.
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Uno dei principali elementi della strategia comunitaria, accanto al livello normativo, è
rappresentato dagli accordi con l’industria automobilistica sulla riduzione delle emissioni di CO2
prodotte dalle autovetture.
Si è così sottoscritta un'intesa con l’Associazione dei costruttori europei di autoveicoli (ACEA),
in base alla quale i membri dovranno raggiungere collettivamente, entro il 2008, un livello
medio di emissioni di CO2 pari a 140 g/km per le autovetture da essi commercializzate
nell'Unione Europea.
Analogo accordo è stato concordato tra la Commissione Europea e l’Associazione dei costruttori
di autoveicoli giapponesi (JAMA) e coreani (KAMA) il cui obiettivo è stato posticipato di un anno
rispetto a quello con l'ACEA.
In base a tale accordo, il parco delle autovetture a benzina nuove immesse sul mercato nel
2008/2009 consumerà in media circa 5,8 litri di benzina per 100 km, quelle a gasolio 5,25 litri
per 100 chilometri.
Tuttavia, affinché gli accordi con i costruttori di autovetture portino ad un’effettiva riduzione
delle emissioni di CO2 da autovetture nuove, occorre anche incentivare il rinnovo del parco, e
far sì che i consumatori si indirizzino verso l’acquisto di autovetture a basse emissioni di CO2,
ed utilizzino le proprie autovetture secondo criteri di «uso responsabile».
Il ruolo dei carburanti
Un discorso molto più complesso è invece quello che riguarda il possibile ruolo dei carburanti
da autotrazione nel contenimento/riduzione delle emissioni di CO2, per il cui approccio occorre
entrare nel merito della reazione di ossidazione che avviene all’interno dei motori, e che
presenta articolate sfaccettature. Inoltre, quando si vogliano comparare le diverse tipologie di
carburanti, benzina, gasolio, GPL, GNP (metano), il discorso non può essere scisso dalle
caratteristiche delle motorizzazioni che le utilizzano. Un tema a sé stante, infine, è quello
dell’impiego di carburanti non «convenzionali», cioè non di natura fossile, che sebbene
anch'essi, in combustione, generino, inevitabilmente, CO2, si considerano a bilancio di CO2
nullo, in quanto il rilascio di anidride carbonica non può eccedere il quantitativo a suo tempo
sottratto dal materiale vegetale da cui hanno origine.
Per un primo approccio a grandi linee sul tema del paragone tra alimentazione a benzina,
gasolio, GPL e metano, deve tenersi innanzitutto presente che le conclusioni non vanno tratte
solo a partire dalle prestazioni in termini di emissioni di CO2 e consumi, ma tenendo conto di
tutti gli altri inquinanti contenuti nei gas di scarico dei veicoli, di qualunque tipo.
Seguendo quest'ottica varrà la pena ricordare che, in termini generali, a confronto con le
vetture a benzina, quelle a gasolio emettono una quantità di CO2 significativamente inferiore,
per la più alta efficienza dei motori diesel, e che le motorizzazioni di nuova generazione
presentano anche minori emissioni di CO (ossido di carbonio) e HC (idrocarburi incombusti)
sempre rispetto a equivalenti vetture a benzina. Peraltro i motori diesel emettono maggiori
quantità di NOx (ossidi di azoto) e polveri fini.
Le vetture alimentate a metano o a GPL, che derivano generalmente dalla conversione di
motori a benzina, e possono essere prodotte direttamente dal costruttore o allestite
successivamente da parte di operatori specializzati, per ragioni pratiche tendono ad essere bicombustibile (benzina/metano o benzina/GPL). L'alimentazione a GPL, in relazione ai consumi
e alle caratteristiche energetiche del combustibile, dà luogo ad emissioni di CO2 intermedie tra
quelle della benzina e del gasolio per autoveicoli equivalenti e presenta minori emissioni di CO,
HC e benzene, rispetto alla benzina, né comporta significative emissioni di particolato;
l’alimentazione a metano, oltre a un carico inquinante inferiore alla benzina, ha anche
buonissime prestazioni sul fronte della CO2, paragonabili a quelle dei motori diesel ad iniezione
diretta, per il più basso contenuto di carbonio e per il più alto contenuto energetico del
combustibile.
Volendo approfondire il discorso, occorre rifarsi alle valutazioni operate in sede di ricerca
scientifica, avendo presente, tuttavia, che la materia dell’influenza dei carburanti - tipologia,
composizione merceologica, parametri chimici significativi - ai fini degli effetti sulle emissioni di
CO2 non è stato affrontato, in prima istanza, al fine di ridurre le emissioni, ma piuttosto per
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operarne la quantificazione, sia in termini di bilanci riferiti al passato, che di previsioni per il
futuro, col supporto di adeguati (e complessi) modelli matematici.
La stima di queste emissioni si deve infatti effettuare a cura dei diversi Stati con cadenza
annuale, secondo metodologie approvate da organismi scientifici internazionali quali
l’Intergovernmental Panel for Climate Change. In particolare per le emissioni di anidride
carbonica di origine energetica sono previste due diversi tipi di metodiche, il metodo cosiddetto
di riferimento (Reference Approach) o metodo semplificato, e metodi dettagliati o settoriali,
fondati su modelli matematici complessi.
Mediante il metodo di riferimento le emissioni di anidride carbonica si calcolano valutando il
contenuto di carbonio dei combustibili fossili utilizzati dal sistema energetico e sottraendo
quanto di questo non è emesso sotto forma di anidride carbonica per un qualsiasi motivo
(perdite, usi non energetici); la quantità di carbonio così ottenuta è considerata emessa sotto
forma di CO2. La metodologia prevede che con pochi dati di partenza sui quantitativi di
combustibili prodotti o importati, disponibili, nel caso dell’Italia, direttamente dal Bilancio
energetico nazionale (BEN - a cura del Ministero dell’Industria) sia possibile giungere ad una
stima approssimata delle emissioni. A tal fine sono indicati un gran numero di valori stimati a
livello internazionale, da utilizzarsi nel caso non siano disponibili valutazioni più precise. I
metodi settoriali, come quello fondato sull’applicazione del modello «Copert», prevedono
invece la stima dettagliata dei quantitativi di combustibili fossili effettivamente bruciati nei vari
settori di utilizzo e sono in genere possibili almeno due diversi livelli di approfondimento
dipendenti dal livello di disaggregazione settoriale. La decisione sul livello di approfondimento è
lasciata al singolo Paese, in base ai dati disponibili. Nel caso italiano la stima è fatta con una
metodologia comune europea, la metodologia «Corinair»1 utilizzata anche per la
valutazione degli inquinanti veri e propri.
Il calcolo delle emissioni effettuato con i due metodi dovrebbe portare a risultati analoghi, se
fatto partendo dagli stessi dati di base, ma così non è, a causa delle approssimazioni
intrinseche ai metodi stessi, e al fatto che il modello settoriale è meno «sensibile» al contenuto
energetico e alla densità dei diversi combustibili, e/o dei mix di idrocarburi che compongono i
prodotti commercializzati.
Il mondo della ricerca scientifica ha profuso sforzi significativi per pervenire alla definizione di
sempre più attendibili fattori di emissione (espressi, per quanto di interesse in queste note, in
kg CO2/kg carburante, nel caso dei combustibili liquidi), sottoposti anche a ripetute verifiche di
tipo sperimentale.
Ne costituisce esempio l’indagine APAT «Analisi dei fattori di emissione di CO2 dal settore dei
trasporti», eseguita con la collaborazione della stazione Sperimentale Combustibili, e
pubblicata nell’aprile 2004, nella quale si sono posti a confronto i fattori di emissione ottenuti
con il metodo di riferimento IPCC, col modello «Copert» ed attraverso analisi sperimentali.
La ricerca è stata effettuata ai fini di migliorare l’attendibilità delle stime relative alle emissioni,
e ha consentito l’individuazione di correttivi ai modelli matematici «originali», che ne
aumentano il grado di convergenza; ma ha anche permesso - ed è questo ciò che ci interessa
in questa sede - di trarre indicazioni sulle strategie da perseguire con congiunto riferimento ai
carburanti e ai motori, per ridurre ulteriormente le emissioni. Si «stralciano» pertanto alcune
considerazioni sviluppate nel par. 4.4., «Relazione tra qualità dei combustibili ed emissioni di
CO2».
Viene innanzitutto ribadito che «La qualità dei combustibili è strettamente correlata alle
tecnologie di costruzione dei veicoli da trasporto; il connubio delle due porta globalmente ad
avere un contenimento delle emissioni inquinanti in atmosfera». Conseguentemente, per
ridurre le emissioni di CO2, «i costruttori di veicoli a motore dovranno costruire sistemi in grado
di migliorare l’economia del combustibile (agendo anche sulle dimensioni del veicolo e/o sulla
riduzione del peso)».
Possibile anche «incrementare l’utilizzo di motori con iniezione diretta e tecnologia di
combustione magra (operata in eccesso d’aria)», fermo restando che, in tale ipotesi «sono
necessari sistemi De-NOx in grado di funzionare in ambienti con eccesso d’aria e molto
1
Acronimo di CORe INventory AIR emissions: tale metodologia è stata proposta dall’Agenzia Europea per l’Ambiente,
ed assunta da tutti i Paesi Ue.
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efficienti», dal momento che l’eccesso d'aria genera ovviamente una sovrapproduzione di
NOx., ciò innescando per altro il problema dell’elevata sensibilità dei sistemi De-NOx ad alta
efficienza nei confronti dello zolfo, con conseguente necessità di avere sul mercato combustibili
con tenori di zolfo conformi ai valori previsti dal D.P.C.M. 23 novembre 2000, n. 434, che
aveva fissato, a partire dal 2005, una soglia di 50 mg/kg. Già all’atto dell’effettuazione della
sperimentazione si poteva rilevare, comunque, che per quanto riguarda le benzine, nel 41 %
dei campioni analizzati lo zolfo era presente in quantità <50 mg/kg e nella totalità dei campioni
si attestava sempre sotto i 150 mg/kg, mentre per i gasoli, invece, il 98% dei campioni aveva
un tenore di zolfo inferiore a 350 mg/kg; da ciò la considerazione che «le raffinerie italiane si
stanno allineando con un certo margine di anticipo alle normative vigenti in materia di qualità
dei combustibili, specialmente per le benzine».
Viene poi focalizzata l’importanza dell’aspetto relativo alla presenza dei composti ossigenati,
(in Italia, soprattutto MTBE), addizionati alle benzine per innalzare il numero di ottano, in
risposta all’abbassamento del tenore di composti aromatici (causa di emissioni pericolose di
benzene), evidenziandosi, a tal riguardo, che il 40 % circa dei campioni di benzina analizzati
nella campagna analitica oggetto della sperimentazione manifestava una presenza di composti
ossigenati superiore all’1% in peso, con un 16 % dei campioni che superava il 5% in peso,
rilevandosi che nelle benzine con alta presenza di ossigenati, (cioè con percentuale in . peso di
composti ossigenati pari o superiore al 12 %) si osserva una sensibile diminuzione del potere
calorifico inferiore rispetto alle benzine senza presenza di ossigeno, si evidenzia che «il potere
calorifico dei combustibili è un altro parametro che può influenzare le emissioni di CO2», nel
senso che «più il suo valore è alto per unità di massa di combustibile e per una data efficienza
termica del motore, più bassi saranno i consumi di carburante, a parità di percorrenza».
I carburanti non convenzionali
Merita invece, come già anticipato, una seppur breve trattazione a sé stante il tema dei
«combustibili non convenzionali», derivanti da biomassa, destinatari di una specifica strategia
comunitaria per incentivarne l’impiego.
Tale strategia, riconducibile all’apporto nullo di CO2 di tali carburanti, convenzionamente
stabilito in sede internazionale ai fini della quantificazione delle emissioni, trova sostanza nelle
seguenti considerazioni.
1) Esiste un’ampia gamma di biomassa che potrebbe essere usata per produrre
biocarburanti, proveniente dai prodotti agricoli e forestali nonché da residui e rifiuti
della silvicoltura e dell'industria silvicola e agroalimentare, alcuni dei quali adatti per il
motore a scoppio, come il bioetanolo, altri per quello ad accensione spontanea,
trattandosi in questo caso, per lo più, di esteri metilici ricavati da un olio vegetale o
animale, di tipo diesel, o in alcuni casi, anche da analoghi oli allo stato puro.
2) Il Libro bianco della Commissione «La politica europea dei trasporti fino al 2010: il
momento delle scelte» parte dal presupposto che tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2
dovute ai trasporti aumenteranno del 50% per raggiungere circa i 113 milioni di
tonnellate, situazione di cui il trasporto su strada è il principale responsabile in quanto
contribuisce per l'84% delle emissioni di CO2 imputabili ai trasporti;
3) In una prospettiva ecologica il Libro Bianco chiede quindi di ridurre la dipendenza dal
petrolio (attualmente del 98%) nel settore dei trasporti mediante l’utilizzazione di
carburanti alternativi come i biocarburanti, in conformità, del resto, al pacchetto di
misure necessarie per conformarsi al protocollo di Kyoto e di qualsiasi pacchetto di
politiche necessarie per rispettare gli impegni ulteriormente assunti al riguardo, ferma
restando comunque la primaria esigenza del rispetto della legislazione comunitaria sulla
qualità dei carburanti, le emissioni dei veicoli e la qualità dell’aria. CO2
4) Secondo la direttiva 2003/30/CE i Paesi dell’Unione europea devono perciò adottare
misure nazionali volte a sostituire il 5,75 % di tutti i combustibili fossili (benzina e
diesel) con biocarburanti entro il 2010, mentre il Libro verde della Commissione «Verso
una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico» fissa l’obiettivo
di sostituire il 20% dei carburanti convenzionali con i carburanti alternativi nel settore
dei trasporti stradali entro il 2020.
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Per dare un’idea dell’ampiezza del compito, basti dire che nel 2002 la quota dei biocarburanti
nel consumo di energia dovuto ai trasporti su strada dell’UE era pari solo allo 0,45 %, anche se
in alcuni Paesi l’impiego già sfiorava il 10%; tuttavia, anche se i livelli di impiego in termini
assoluti sono ancora molto bassi, la produzione di biocarburanti e il loro uso sono in rapida
crescita, tanto che la quota di biocarburanti ammontava solo allo 0,25 % nel 1999, mentre è
stato stimato il raggiungimento dell’1% per il 2004 (i cui dati non sono per altro ancora
disponibili), così da far ritenere non irrealistico il conseguimento dell’obiettivo fissato per il
2010, ove i tassi di crescita si mantengano costanti.
Tuttavia, occorre qualche cautela nell’orientare massicciamente la riconversione dei terreni
agrari alla produzione di colture idonee alla trasformazione in biocarburanti - con particolare
riferimento all’uso a tal fine di terreni incolti o in abbandono, dovendosi tenere conto anche
delle possibili ricadute su altri punti chiave delle politiche per la sostenibilità dello sviluppo come la conservazione della biodiversità - e del maggior rendimento, in termini di emissioni
evitate - dell’uso diretto della biomassa come possibile sorgente rinnovabile di energia
«primaria», senza trascurare, infine, neppure l’aspetto del possibile impatto nei confronti di
altre produzioni agricole da tutelare.
L'APPROCCIO NORMATIVO
Il panorama normativo finalizzato al controllo delle emissioni di CO2 da parte dei mezzi di
trasporto è di matrice comunitaria, risultandone comunque i provvedimenti fondativi
antecedenti alle stesse statuizioni del Protocollo di Kyoto, e da inserire nello scenario delle già
consolidate disposizioni riguardanti i requisiti di omologazione dei veicoli, ed il controllo dei
carichi inquinanti contenuti nei gas di scarico immessi in atmosfera, dotate di ancora più
articolate sfaccettature2. Un seconda filiera di norme, anch'esse significative, riguarda le
caratteristiche di qualità e di composizione dei combustibili, e segnatamente di quelli destinati
ad essere utilizzati come carburanti per autotrazione, mentre solo un più ristretto numero di
disposizioni, in realtà, riguarda più direttamente la questione delle emissioni di anidride
carbonica.
Le norme per la riduzione degli inquinanti emessi dagli autoveicoli
Varrà la pena di ricordare, in primo luogo, che la norma base relativa all’omologazione dei
veicoli è tuttora costituita dalla direttiva 70/156/CEE del Consiglio del 6 febbraio 1970,
«Concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'omologazione
dei veicoli a motore e dei loro rimorchi», che malgrado le infinite modifiche cui è stata
sottoposta, soprattutto per quanto riguarda i suoi allegati, mantiene tutt'ora piena efficacia per
quanto riguarda la classificazione dei veicoli (tabella 2), e l’elencazione della componentistica
assoggettata a verifica di rispondenza a determinate prestazioni e a determinati standard di
qualità e sicurezza; pressoché in parallelo, è stato elaborato il corpus di disposizioni per la
riduzione delle emissioni da veicoli, a partire dalla direttiva 70/220/CEE del Consiglio del 20
marzo 1970, «Concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle
misure da adottare contro l’inquinamento atmosferico con i gas prodotti dai motori ad
accensione comandata dei veicoli a motore», anch'esso poi andato evolvendosi nel corso del
tempo, ripetute modifiche in senso sempre più restrittivo.
2
In una primissima fase, finchè la normativa CEE non era stata perfezionata, o finchè non furono disciplinate le modalità
di recepimento delle norme europee non immediatamente esecutive (cioè i Regolamenti), la materia fu affrontata dalle
legislazioni dei singoli Stati. Per quanto riguarda il nostro Paese vanno citati il D.P.R. n° 323/71 e la L. 437/71, entrambi
in attuazione della L. 615/66 (la prima legge quadro contro l’inquinamento atmosferico) che stabilivano rispettivamente:
- i limiti di opacità dei fumi dei veicoli diesel validi sia per i veicoli nuovi che per quelli in circolazione;
- i limiti per gli autoveicoli alimentati a benzina validi solo per quelli nuovi di fabbrica e per quelli ai quali fossero state
modificate le caratteristiche costruttive essenziali.
Alla stessa sopra citata direttiva 70/156/CEE si diede attuazione sostanziale attraverso un provvedimento formalmente
«autonomo», rappresentato dal D.M. n. 105 del 23 aprile 1974.
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Tabella 2: Classificazione dei veicoli
Categoria L: motoveicoli (comprensiva anche dei quadricicli, a loro volta articolati in quadricicli «leggeri»
e «diversi da quelli leggeri»):
- L1: veicoli a due ruote la cilindrata del cui motore (se si tratta di motore termico) non supera i 50 cc e
la cui velocità massima di costruzione (qualunque sia il sistema di propulsione) non supera i 50 km/h;
- L2: veicoli a tre ruote la cilindrata del cui motore (se si tratta di motore termico) non supera i 50 cc e la
cui velocità massima di costruzione (qualunque sia il sistema di propulsione) non supera i 50 km/h;
- L3: veicoli a due ruote la cilindrata del cui motore (se si tratta di motore termico) supera i 50cc o la cui
velocità massima di costruzione (qualunque sia il sistema di propulsione) supera i 50 km/h;
- L4: veicoli a tre ruote asimmetriche rispetto all'asse longitudinale mediano, la cilindrata del cui motore
(se si tratta di motore termico) supera i 50 cc o la cui velocità massima di costruzione (qualunque sia il
sistema di propulsione) supera i 50 km/h (motocicli con carrozzetta laterale);
- L5: veicoli a tre ruote simmetriche rispetto all'asse longitudinale mediano, la cilindrata del cui motore
(se si tratta di motore termico) supera i 50 cc o la cui velocità massima di costruzione (qualunque sia il
sistema di propulsione) supera i 50 km/h;
Categoria M: veicoli a motore destinati al trasporto di persone ed aventi almeno quattro ruote, oppure tre
ruote e peso massimo superiore ad 1 tonnellata;
- Categoria M1: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al
sedile del conducente,
- Categoria M2: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del
conducente e peso massimo non superiore a 5 tonnellate,
- Categoria M3: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del
conducente e peso massimo superiore a 5 tonnellate.
Categoria N: veicoli a motore destinati al trasporto di merci, aventi almeno quattro ruote, oppure tre
ruote e peso massimo superiore ad 1 tonnellata;
Categoria N1: veicoli destinati al trasporto di merci, aventi peso massimo non superiore a 3,5 tonnellate,
Categoria N2: veicoli destinati al trasporto di merci, aventi un peso massimo superiore a 3,5 tonnellate
ma non superiore a 12 tonnellate,
Categoria N3: veicoli destinati al trasporto di merci, aventi peso massimo superiore a 12 tonnellate.
Categoria O: rimorchi (compresi i semirimorchi), ovviamente di nessun interesse sul fronte delle
emissioni inquinanti.
(Omissis)
In termini generali, la disciplina relativa alle emissioni, - che si riferisce agli inquinanti
«classici» e non alle emissioni di CO2 - prevede disposizioni specifiche per i diversi inquinanti,
con valori ammessi diversificati a seconda della categoria del veicolo ai sensi della
classificazione di cui alla nota (4), attraverso prescrizioni riguardanti i quantitativi in massa dei
seguenti inquinanti:
•
•
•
•
CO (monossido di carbonio);
HC (idrocarburi incombusti);
NOx (ossidi di azoto);
PM (materiale particolato).
Gli inquinanti vengono misurati durante cicli di prova codificati eseguiti secondo opportune
modalità. Per i veicoli leggeri, compresi i ciclomotori ed i motocicli, le prove vengono effettuate
su un apposito banco dinamometrico del tipo a rulli sull’intero veicolo, mentre per i veicoli
pesanti le prove dinamiche o stazionarie vengono effettuate, sempre su un banco
dinamometrico, ma solo sul motore.
Nelle norme sulle emissioni venivano inizialmente distinti i limiti validi per l’omologazione ed i
limiti validi per la conformità alla produzione, questi ultimi meno severi di quelli validi per
l’omologazione.
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I diversi provvedimenti specificano inoltre le date di entrata in vigore dei limiti, differenziando
quelle valide per i nuovi modelli da quelle valide per tutti i veicoli, prodotti e/o
commercializzati.
Relativamente a tale aspetto, le prestazioni del parco circolante immatricolato a partire dal 1°
gennaio 1993 - che ne costituisce indubbiamente una quota parte molto significativa - vengono
ordinariamente classificate in funzione della norma di riferimento che ha presieduto alla loro
omologazione, nei seguenti termini:
• Euro I (cioè conformi alla direttiva 91/441/CEE, cui dovevano rispondere rispettano
tutti i veicoli immatricolati a partire dal 1° gennaio 1993). Con tale direttiva si è
introdotta l’obbligatorietà del catalizzatore per l’abbattimento delle emissioni inquinanti,
ciò dando luogo, in pratica, allo spartiacque tra vetture ecologiche (catalizzate o
ecodiesel) e non;
• Euro II (cioè conformi alla direttiva 96/69/CEE, cui dovevano risultare conformi le gli
autoveicoli immatricolati dal 1996 al 31 dicembre 2000). Tale direttiva ha rappresentato
una seconda fase nel percorso di riduzione delle emissioni inquinanti;
• Euro III (cioè conformi alla direttiva 98/69/CE - Parte A, cui devono risultare
conformi gli autoveicoli immatricolati dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2005); tali
disposizioni, oltre a prevedere limiti ulteriormente restrittivi hanno introdotto
l’obbligatorietà di un sistema di autodiagnosi di bordo che segnalerà i malfunzionamenti
che fanno salire le emissioni nocive (EOBD ovvero European on board diagnostic), con
differimento al 2003 dell’analogo obbligo per i veicoli diesel;
• Euro IV (cioè conformi alla direttiva 98/68/CE - Parte B, cui dovranno risultare
obbligatoriamente conformi gli autoveicoli immatricolati dal 1° gennaio 2006). I limiti
d’inquinamento risultano ancora più restrittivi e comportano notevoli sforzi
d'innovazione da parte delle case costruttrici, né sarà più possibile "aggiornare" alle
nuove direttive auto precedentemente omologate nel rispetto di direttive precedenti.
Per avere un'idea delle riduzioni di carico inquinante previste dalle norme finora approvate, si
presenta in figura 1 un diagramma che evidenzia i carichi inquinanti - espressi in g/km ammessi dalle diverse norme, per i veicoli di classe M con massa fino a 2.500 kg e per i veicoli
commerciali leggeri, di cat. N1. Il prospetto presentato in tabella 3 mostra invece che le
disposizioni per il contenimento degli inquinanti ordinari non incidono sull’entità delle emissioni
di CO2, che dipendono invece dai fattori già in precedenza evidenziati.
Altre direttive, delle quali si farà solo cenno in questa sede, a conclusione di questo paragrafo,
hanno riguardato le emissioni dei veicoli alimentati con combustibili alternativi (GPL e GNC,
ovvero gas naturale compresso, o metano) ed i veicoli commerciali, sia leggeri (quando non
disciplinati nell’ambito insieme alle automobili) che «pesanti», destinatari, questi ultimi, di
direttive e disposizioni ad hoc.
Per entrare appena un po’ di più nel merito delle disposizioni finalizzate alla statuizione dei
limiti fissati per i diversi inquinanti con riferimento ai diversi tipi di motorizzazione, con
specifico riferimento alle automobili e ai veicoli commerciali leggeri, va anticipatamente chiarito
che l’originaria direttiva 70/220/CEE, i cui principali provvedimenti di modifica si sono appena
richiamati, è stata ripetutamente emendata sia con riferimento ai limiti consentiti, sia per
quanto riguarda la modalità di esecuzione delle prove attraverso le quali attestare la
rispondenza dei veicoli proposti per l’omologazione ai requisiti richiesti, in questo caso, al fine
di accrescerne la rappresentatività dei risultati di prova nei confronti della situazione nelle
effettive condizioni di marcia.
Ai fini di una ricostruzione «storica», occorre anche evidenziare che perché vedessero la luce
direttive comunitarie riguardanti i motori diesel3, si doveva tuttavia attendere fino al 1983,
3
Si tratta anche in questo caso di un flusso normativo formato da numerosissimi provvedimenti, l’ultimo dei quali
rappresentato dalla direttiva 7 marzo 2005, n. 2005/21/Ce «che adegua al progresso tecnico la direttiva 72/306/Cee del
Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle misure da adottare contro l'inquinamento
prodotto dai motori diesel destinati alla propulsione dei veicoli».
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anno in cui fu emanata la direttiva 83/351/CEE (emendamento 04 alla direttiva 70/220/CEE),
recepita in Italia con D.M. 30 novembre 1983. Con tale direttiva, inoltre, furono ulteriormente
abbassati i limiti alle emissioni di CO e furono introdotti limiti alle emissioni della massa
combinata HC+NOx in sostituzioni ai limiti separati per questi due inquinanti previsti dalle
direttive precedenti. La direttiva però non prevedeva limiti alle emissioni di particolato dalle
autovetture diesel, in quanto il regolamento ECE 24, in vigore nello stesso periodo, fissava solo
dei limiti all’opacità dei fumi allo scarico misurati con un metodo ottico.
Figura 1: Valori limite previsti dalle normative Euro I-Euro IV per i veicoli della
categoria M con massa massima inferiore a 2.500 kg e per i veicoli della categoria N1
classe I
Fonte: Le emissioni da trasporto stradale dal 1990 al 2000, APAT, 2003.
Senza entrare qui nel merito dei successivi provvedimenti di modifica emanati nel corso degli
anni ’80, basta qui ricordare che una tappa fondamentale della traduzione in norma degli sforzi
per ridurre l’inquinamento dell’aria causato dai veicoli a motore è rappresentata dalla direttiva
91/441/CEE, emanata dal Consiglio il 26 giugno 1991, nota come «direttiva consolidata
sulle emissioni», e recepita nell’ordinamento italiano con il D.M. (Ambiente) 28 dicembre 1991.
Con la 91/441/CEE, vennero fissati limiti alle emissioni che di fatto imponevano l’adozione
della marmitta catalitica e vennero introdotte alcune significative novità:
• venne introdotto il regolamento ECE 83-01 con il quale fu aggiornato il ciclo di prova;
• non vennero più previste distinzioni tra autovetture a benzina ed autovetture diesel,
per altro reintrodotte con la successiva direttiva 94/12/CEE emanata il 23 marzo 1994,
(Euro II), recepita con D.M. 29 febbraio 1996, che abolì la previgente distinzione tra
limiti all’atto dell’omologazione e della produzione;
• scomparve la distinzione tra cilindrate;
• i limiti alle emissioni allo scarico non vennero più espressi in g/prova ma in g/km.
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Tabella 3: Emissioni specifiche medie di inquinanti e CO2 derivanti dal parco
circolante
CO
g/km
THC
g/km
NOx
g/km
PM
mg/km
CO2
g/km
Note
Autovetture benzina
non cat
6,5-35
2,818
2,3-18
∼30
160-220
Autovetture benzina
cat Euro II
1,00
0,10
0,06
1-5
230
Autovetture benzina
cat Euro III
0,40
0,10
0,08
1-3
200
Autovetture diesel
Euro II
0,80
0,10
0,60
37-100
260
senza catalizzatore ossidante
Autovetture diesel
Euro III
0,40
0,05
0,60
25-50
150
con catalizzatore ossidante
Autovetture a GNC
non cat
3,0
4
0,4
trascurabile
130
HC quasi esclusivamente CH4
Autovetture a GNC
cat
0,50
0,15
0,06
trascurabile
150-200
HC quasi esclusivamente CH4
Autobus urbano Euro
II
3-6
1,5
20
700
1500
Autobus urbano Euro
III
3-5
0,81,5
18
300-500
1500
Ciclomotori non cat
(2T)
7-15
6-8
0,03-0,05
50-60
28-30
Ciclomotori cat (2T)
2,3
2,0
0,05
15-40
50-60
valori dipendenti dal livello di
manutenzione, cilindrata e anzianità
modello
valori dipendenti anche dal grado di
efficienza del TWC
Tratto dalla Comunicazione «Le nuove tecnologie per la riduzione delle emissioni degli autoveicoli» presentata da F.
Avella (Stazione Sperimentale Combustibili) al I Convegno Nazionale sul particolato atmosferico - Milano, 12-14 maggio
2004.
Di importanza fondamentale sono poi le disposizioni riguardanti i limiti alle emissioni derivate
dalla trasposizione in norma degli esiti dell’intensa attività di ricerca svolta nell’ambito dei
programmi comunitari «EPEFE» ed «Auto Oil I», finalizzati a stabilire correlazioni tra la qualità
dei carburanti ed i limiti alle emissioni con gli standard di qualità dell’aria4, dovendosi citare, in
particolare, a tal riguardo, la direttiva 98/69/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell’Unione Europea del 13 ottobre 1998 «relativa alle misure da adottare contro
l'inquinamento atmosferico da emissioni dei veicoli a motore e recante modificazione della
direttiva 70/220/CEE del Consiglio». Tale direttiva, nella sua Parte A, fissa i limiti di emissione
rispondenti alle cosiddette caratteristiche Euro III, costituenti, come s’ è visto, il riferimento
per l’immatricolazione degli autoveicoli fino al 31 dicembre 2005, mentre nella sua Parte B
propone le ulteriori restrizioni (limiti «Euro IV») cui dovranno rispondere i veicoli immatricolati
a partire dall’ormai prossimo 1° gennaio 2006.
4
Dagli esiti del Programma Auto Oil è derivata anche la direttiva 98/70 CE, di importanza fondamentale nella filiera
provvedimentale relativa alla qualità dei carburanti per autotrazione.
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Essa prevede inoltre ulteriori modifiche delle modalità di esecuzione dei cicli di prova, sancisce
il ricorso alla «miglior tecnologia disponibile», e ha dettato prescrizioni volte a garantire il
rispetto dei limiti nel tempo sia per le motorizzazioni a benzina che per quelle diesel, fissando
soglie di almeno 80.000 chilometri per i veicoli a benzina e di 100.000 chilometri per quelli
diesel, e perciò prescrivendo la previsione di strumentazioni di auto-diagnosi nel caso di
disfunzioni e guasti che possano comportare una presenza di inquinanti, in marcia, superiore a
quella consentita.
Né può trascurarsi, per completare il quadro almeno nelle sue grandi linee, un cenno alle
norme riguardanti le motorizzazioni alimentate da GPL e metano, ed i veicoli commerciali
pesanti.
Nel primo caso, il riferimento più importante è costituito dalla direttiva 98/77/CEE del 2 ottobre
del 1998, recepita in Italia con D.M. (Trasporti) 13 maggio 1999, che ha stabilito i requisiti
tecnici e le procedure di omologazione sia per i veicoli alimentati esclusivamente a GPL o
metano, sia per quelli con alimentazione mista, contestualmente fissando i requisiti per i
convertitori catalitici e le specifiche dei combustibili gassosi di riferimento. La successiva
direttiva 2001/1/CE del 22 gennaio 2001 ha poi disciplinato le modalità di soddisfacimento
all’obbligo di installare dispositivi d'autodiagnosi di tipo EOBD anche a bordo dei veicoli
alimentati con combustibili «alternativi».
Per quanto riguarda i veicoli commerciali pesanti, il primo riferimento normativo è
rappresentato dalla direttiva 88/77/CEE, che stabiliva limiti alle sole emissioni gassose,
assumendo i valori previsti dal regolamento ECE R-49-01. Per le misure di particolato, si
faceva invece riferimento al regolamento ECE 24.03, adottato dalla direttiva 72/306/CEE, che
stabiliva limiti alla opacità dei fumi in condizioni stazionarie. Successivamente tali disposizioni
furono superate dalla direttiva 91/542/CEE, nota come direttiva Clean lorry, adottata dal
Consiglio Europeo il 1° ottobre 1991 e recepita in Italia con il D.M. (Trasporti) 23 marzo 1992.
Il quadro normativo concernente i veicoli pesanti è stato ulteriormente delineato anche
attraverso la direttiva 96/1/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 22 gennaio 1996,
recepita in Italia con il D.M. 22 marzo 1997, mentre il «futuro» delle emissioni derivanti dai
veicoli di questo tipo è stato delineato dalla direttiva 1999/96/CEE, nota anche come Euro III,
recepita in Italia con il D.M. (Trasporti) 25 maggio 2001. Tale direttiva, oltre a stabilire limiti
più stringenti alle emissioni dei veicoli pesanti, sostituisce la previdente disciplina relativa ai
cicli di omologazione, introduce i limiti Euro IV e prefigura quelli classificabili Euro V, questi
ultimi ipotizzati a partire dal 2008, anche se da sottoporre a verifica in itinere, per quanto
riguarda la loro compatibilità con le tecnologie effettivamente disponibili, in particolare nel
campo dei dispositivi di post trattamento dei gas di scarico, come le trappole per il particolato
ed i catalizzatori De-NOx.
Le norme sulla qualità dei combustibili per autotrazione
Quali che siano le innovazioni tecnologiche introdotte a livello di controllo del processo di
ossidazione nei motori a combustione interna, e di dispositivi per la depurazione delle
emissioni a monte dell’espulsione dei gas di scarico, è tuttavia evidente che il carico inquinante
generato dipende, in larga misura, dalla composizione chimico-merceologica e dai requisiti di
qualità dei carburanti impiegati. Di qui l’importanza delle norme a ciò finalizzate, che sono
indirizzate sia alla determinazione di vincoli e limiti, fissati ex ante, nei confronti della presenza
di agenti in grado di produrre inquinamento, e da rispettare in fase di produzione, sia al
controllo della qualità, da operare ex post, dei combustibili effettivamente immessi sul
mercato.
Nel caso della benzina, le strategie avviate per il miglioramento di qualità dell’aria ambiente
hanno portato alle disposizioni attraverso le quali si è prima ridotto, poi eliminato, il piombo
tetraetile, e si è limitato il tenore di idrocarburi aromatici nei mix immessi in commercio; per il
combustibile diesel, l’obiettivo primario è, da sempre, la progressiva riduzione del tenore di
zolfo. L'introduzione dei postcombustori catalitici ha reso significativo anche il problema della
presenza di pur limitate concentrazioni di zolfo nella benzina - che possono neutralizzare i
catalizzatori - mentre l’eliminazione del piombo e la riduzione, giustamente imposta, del tenore
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di aromatici hanno reso attuale anche il tema del potenziale inquinante dei composti ossigenati
sostitutivi, addizionati alle benzine per aumentarne il numero di ottano.
Né può trascurarsi che il ricorso a carburanti non fossili - sollecitato, in questo caso, dalla
necessità di ridurre le emissioni di CO2 - ha, a propria volta, posto la necessità di avviare una
regolamentazione riguardante, nello specifico, il controllo dell’inquinamento connesso al loro
impiego.
Non si vuole, in questa sede, ripercorrere la storia pregressa dell’evoluzione della disciplina
sulla qualità dei combustibili per autotrazione, preferendosi assumere, come incipit, la direttiva
98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1998 «relativa alla qualità
della benzina e del combustibile diesel e recante modificazione della direttiva 93/12/Cee del
Consiglio», emanata, come la già citata direttiva 98/70/CE, come trasposizione sul piano
normativo del programma «Auto Oil».
Tale direttiva, recepita nell’ordinamento nazionale con D.P.C.M. 23 novembre 2000, n. 434
«Regolamento recante recepimento della direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina
e del combustibile diesel», è stata poi modificata dalla direttiva 2000/71/Ce (che ne ha
integralmente sostituito gli allegati), e dalla direttiva 2003/17/Ce, che oltre a introdurre
ulteriori restrizioni sul tenore di zolfo, ha prefigurato l’istituzione di un sistema di controllo
della qualità dei combustibili per autotrazione.
La direttiva 98/70/CE, nella sua versione modificata e integrata, prevede:
• agli Allegati I e II, rispettivamente, le specifiche ecologiche delle benzine senza
piombo e del gasolio per la trazione diesel da immettere al commercio a far tempo dal
1° gennaio 20005;
• agli Allegati III e IV, le analoghe specifiche per i medesimi carburanti da immettere
sul mercato dal 1° gennaio 2005.
La differenza fondamentale tra le specifiche prescritte per le due scadenze consiste nella
riduzione del contenuto di zolfo, che per la benzina scende da 150 a 50 mg/kg e per il gasolio
da 350 a 50 mg/kg.
Una delle modifiche apportate dalla direttiva 2003/17/CE prevede anche che gli stati membri
assumano iniziative affinché, sempre a partire dal 1° gennaio 2005, su adeguate e significative
aree geografiche siano disponibili sul mercato anche benzine e gasoli con tenore di zolfo non
superiore a 10 mg/kg, ulteriore limite che dovrà trovare generale applicazione a partire dal 1°
gennaio 2009.
All’origine di tale prevista ulteriore drastica riduzione dello zolfo sono le strategie per la
riduzione delle emissioni di anidride carbonica, che implicano minori consumi.
Secondo gli accordi volontari sottoscritti con le associazioni internazionali dei costruttori d'auto,
dovranno essere immesse sul mercato sulle cilindrate medie e medio-basse, sempre più
vetture in grado di contenere le emissioni di CO2 entro i 120 g/km (con un consumo nell’ordine
di 5 litri per 100 chilometri), e si dovrà avviare la produzione di vetture con consumi nell’ordine
di 3 litri per 100 chilometri, con connessa emissione di CO2 pari a 90 g/km.
In termini di tecnologia motoristica, sia i motori a benzina che quelli diesel dovranno essere ad
iniezione diretta e a combustione magra (learn burn) ed equipaggiati con sistemi De-NOx e
filtri per il particolato, per altro in grado di funzionare correttamente, secondo le case
costruttrici, solo con combustibili praticamente privi di zolfo, cioè conformi alla specifica sopra
richiamata.6
5
In realtà la commercializzazione della benzina al piombo è stata possibile fino al 31/12/2001, purchè il carburante
risultasse conforme a terminate specifiche, fissate dalla normativa.
6
Tuttavia, i produttori di combustibili, anch’essi chiamati a consistenti sforzi di innovazione e a grossi investimenti per
garantire il rispetto di tali parametri, evidenziano che i benefici sul parco circolante derivanti dall'uso di combustibili senza
zolfo debbono essere confrontati con gli incrementi delle emissioni di CO2 dalle raffinerie legati alla loro produzione, e
che perciò il reale bilancio dell’operazione dipenderà quindi dall’effettivo grado di penetrazione dei veicoli di nuova
concezione nel parco auto circolante, e almeno in una prima fase, potrebbe risultare negativo.
Pagina 14 di 18
Oltre alle sopra richiamate modifiche e integrazioni alla direttiva 98/70/CE, la direttiva
2002/13/CE prevede:
• ulteriori disposizioni sull’istituzione di sistemi nazionali di controllo della qualità dei
carburanti, nonché sistemi di informazione al fine di valutare la loro conformità alle
specifiche ecologiche obbligatorie in materia di carburanti;
• l'aggiornamento dei metodi di misurazione utilizzati per garantire la conformità dei
carburanti alle specifiche obbligatorie in materia di qualità dei carburanti;
• la definizione e l’applicazione, da parte degli Stati membri, di un regime di sanzioni in
caso di violazione delle disposizioni della direttiva 98/70/CE.
Essendo già aperta la procedura d’infrazione per il mancato recepimento della direttiva
2002/13/CE, il nostro Paese ha posto rimedio all’inadempienza attraverso due distinti
provvedimenti:
- il D.M. 3 febbraio 2005 «Istituzione del sistema nazionale di monitoraggio della qualità dei
combustibili per autotrazione» 7;
- il D.Lgs. 21 marzo 2005, n. 66 «Attuazione della direttiva 2003/17/CE relativa alla qualità
della benzina e del combustibile diesel»8, col quale sono stati implementati nell’ordinamento
nazionale gli allegati III e IV della direttiva 98/70 modificata, e si sono assunte le disposizioni
riguardanti l’immissione in commercio di carburanti con tenore di zolfo non superiore a 10
mg/kg.
La normativa per il contenimento delle emissioni di CO2 dei veicoli
Le prima disposizione sui consumi di carburante è stata la direttiva 80/1268/CEE del Consiglio
emanata il 16 dicembre 1980. Tale direttiva è stata successivamente modificata dalle direttive
89/491/CEE del 17 luglio 1989, 93/116/CEE del 17 dicembre 1993 e, da ultimo, dalla direttiva
1999/100/CE della Commissione emanata il 15 dicembre 1999 e recepita in Italia con il D.M.
(Trasporti) 16 marzo 2000.9
Le modifiche apportate da tali direttive hanno armonizzato le specifiche della prova per la
misura della CO2 a quelle nel frattempo apportate alla direttiva 70/220/CEE; in particolare, la
direttiva 1999/100/CEE ha adeguato il ciclo di prova di tipo I alla 98/69/CEE, eliminando il
periodo iniziale di funzionamento al minimo di 40 secondi, ed ha esteso l’obbligo di misurare la
CO2 anche ai veicoli alimentati a GPL ed a metano.
Successivamente, la direttiva 2004/3/CE dell’11 febbraio 2004, recepita dall’Italia con D.M. 27
dicembre 2004 «Recepimento della direttiva 2004/3/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell’11 febbraio 2004, che modifica le direttive 70/156/CEE e 80/1268/CE del Consiglio per
quanto riguarda la misurazione delle emissioni di biossido di carbonio ed il consumo di
carburante dei veicoli N1»10, ha esteso ai veicoli commerciali leggeri, (cioè a quelli di categoria
N1) l’obbligo di prevedere l’esposizione dei dati relativi alle emissioni di CO2 e la loro
misurazione in fase di omologazione.
Va evidenziato che né la direttiva originaria, né quelle di successiva modifica, fissano in realtà
limiti di consumo, o di emissioni specifiche di CO2, per le tipologie di veicoli da essi disciplinate;
ma prescrivono che tali dati siano esposti e verificati in sede di procedura di omologazione,
fissando le modalità di prova, le metodologie da impiegare per la loro quantificazione, le
formule per il calcolo della CO2 e le caratteristiche del combustibile da utilizzare nel corso delle
prove.
7
In G.U. 25 marzo 2005, n. 70.
In G.U. 27 aprile 2005, n. 96, s.o. n. 77.
9
La successiva Decisione n. 1753/2000/CE del Parlamento e del Consiglio del 22 giugno 2000 ha istituito un sistema di
controllo della media delle emissioni specifiche di CO2 prodotte dalle autovetture nuove, stabilendo anche le modalità e i
procedimenti per operare le relative quantificazioni.
10
In G.U. 14 marzo 2005, n. 60.
8
Pagina 15 di 18
Per la concretizzazione dei risultati di abbattimento di consumi ed emissioni si è preferito infatti
seguire, come già si è detto, la strada degli accordi volontari con le associazioni di
rappresentanza delle case costruttrici, ai quali si è già fatto cenno in precedenza.
Ciò che si è reso obbligatorio, invece, è l’ampia pubblicizzazione dei dati relativi ai consumi di
carburante e alle emissioni di CO2 di ciascun modello immesso in commercio, sia attraverso gli
opuscoli illustrativi predisposti dalle case costruttrici, che all’interno delle concessionarie.
A ciò ha provveduto la direttiva 1999/94/CE «concernente la disponibilità di informazioni sul
risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda
la commercializzazione di autovetture nuove», recepita in Italia col regolamento di cui al
D.P.R. 17 febbraio 2003, n. 8411, tra i cui allegati compare anche la già richiamata «Guida
relativa al risparmio di carburante e alle emissioni di CO2».
La normativa per l’incentivazione dei carburanti non fossili
Il provvedimento alla base delle strategie comunitarie per l’incentivazione dei biocarburanti è
la direttiva 2003/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 maggio 2003 sulla
promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti.
In base a tale norma, che provvede all’apparato definitorio e alla fissazione degli obiettivi da
raggiungere nel breve periodo e a stabilire gli adempimenti degli Stati membri, nel 2005 i
biocarburanti (tra quelli destinati ai motori a scoppio e quelli per i motori diesel, dovrebbero
garantire una copertura pari almeno al 2% del fabbisogno complessivo, con incremento al
5,75% del totale entro il 2010).
I provvedimenti di diritto interno per il recepimento della direttiva avrebbero dovuto essere
emanati entro il 31 dicembre 2004, mentre già dall’anno successivo a quello dell’entrata in
vigore - cioè a partire dal 2004 - non oltre il 1° luglio, gli Stati membri dovrebbero provvedere
alla comunicazione, con cadenza annuale, di una serie di dati e informazioni, concernenti, con
particolare riferimento ai seguenti aspetti:
• le misure adottate per promuovere l'utilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti
rinnovabili in sostituzione di carburante diesel o di benzina nei trasporti;
• le risorse nazionali assegnate alla produzione di biomassa per usi energetici diversi dai
trasporti;
• il totale delle vendite di carburanti da trasporto e la quota dei biocarburanti, puri o
miscelati, e di altri carburanti rinnovabili immessi sul mercato per l'anno precedente, se
del caso segnalando le condizioni eccezionali nell'offerta di petrolio greggio o di prodotti
petroliferi che abbiano influenzato la commercializzazione dei biocarburanti e di altri
carburanti rinnovabili;
• gli obiettivi di vendita di biocarburanti per l’anno successivo.
Lo Stato italiano non ha ancora recepito la direttiva, né ha provveduto ad inviare la relazione
del 2004, per cui è stato tra i destinatari di una lettera di messa in mora da parte della
Commissione europea (marzo 2005) che apre la strada alla formalizzazione della procedura
d'infrazione.
In contrasto con gli indirizzi comunitari, la legge finanziaria 2005 ha pesino ridotto il
contingente defiscalizzato di biodiesel dalle 300.000 tonnellate del 2004 a sole 200.000
tonnellate, anziché incrementarlo, e l’impiego dei biocarburanti risulta tuttora confinato in una
sorta di situazione di «sperimentazione permanente», sebbene i risultati già conseguiti da altri
Stati a noi vicini - in primo luogo Francia e Germania - abbiano dimostrato la possibilità di
decollo «industriale» di tali carburanti alternativi.
Considerazioni conclusive
Si sono finora esaminati gli aspetti generali, quelli di carattere tecnico e il quadro legislativo
che possono direttamente o indirettamente incidere sul problema delle emissioni di CO2
derivanti dal settore dei trasporti, ed in particolare dal «comparto» di gran lunga dominante,
riferibile al trasporto su strada. Vale perciò la pena, anche a fronte dei dati non confortanti che
11
In G.U. 19 aprile 2003, n. 92.
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sono emersi dalle prime fasi di controllo sulle tendenze del quadro emissivo, esaminare
brevemente le strategie poste in atto in Italia quali emergono dal «Piano nazionale per la
riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra - 2003-2010», approvato con
deliberazione CIPE 19 dicembre 2002, n. 123.
In tale documento, a partire dalla situazione consolidata al 1990 e al 2000 - a prescindere
dalle incertezze sul grado di rappresentatività dei metodi di calcolo adottati - si propongono lo
scenario emissivo «tendenziale» proprio dei diversi settori, e quello «di riferimento», cioè
quello corretto con gli effetti degli interventi e delle azioni previsti o da prevedersi, alla luce
delle normative vigenti, già applicate, o da applicare.
In assenza di correttivi, lo scenario tendenziale delle emissioni di CO2 derivanti dal settore dei
trasporti - che già denuncia un incremento del 20,48 % relativamente al decennio 1990-2000 dà luogo ad un ulteriore previsione incrementale del 14,03 % per il decennio 2000-2010;
riferendoci al periodo complessivo 1990-2010, le emissioni derivanti dai trasporti
trascorrerebbero, pertanto, da 103,5 milioni di tonnellate (Mton) di CO2 a 142,5 milioni di
tonnellate di CO2, con incremento pari al 37,39% circa. L'esito atteso delle azioni prese in
considerazione per la costruzione dello scenario di riferimento dovrebbe condurre ad una
riduzione di 7,5 milioni di tonnellate di CO2 rispetto allo scenario tendenziale, così articolate,
per tipologia di azione prevista (tabella 4).
Tabella 4: Piano nazionale riduzione emissioni CO2 settore trasporti - Azioni previste
e benefici
Azione
Mton CO2
- Autobus e veicoli privati con carburanti a minor densità di carbonio (Gpl, metano);
1,5
- Sistemi di ottimizzazione e collettivizzazione del trasporto privato;
- Rimodulazione dell’imposizione sugli oli minerali;
- Attivazione sistemi informatico-telematici per l’ottimizzazione del trasporto merci;
2,1
- Sviluppo infrastrutture nazionali e incentivazione del trasporto combinato su rotaia
e del cabotaggio
3,9
Ciò dovrebbe consentire di ridimensionare - ma non certo di annullare - la tendenza
incrementale, per cui le emissioni complessive dovrebbero ammontare a 132,8 milioni di
tonnellate nel 2005 e a 134,7 milioni di tonnellate nel 2010, con aumento «solo» del 30,14 %
rispetto al 1990, a fronte di quello ipotizzato dallo scenario tendenziale, che abbiamo visto pari
al 37,39%; il che non ci sembra un risultato molto lusinghiero, per un Paese impegnato in una
riduzione complessiva del 6,5% delle proprie emissioni di anidride carbonica, tenendo per di
più conto degli inquietanti segnali che derivano dagli altri settori responsabili delle emissioni.
Occorre attendere almeno un anno per confrontare i dati reali con le previsioni dello scenario di
riferimento relativamente allo step di metà decennio, cioè del 2005; ma visto il peso che si
assegna alle grandi infrastrutture, al trasporto combinato su ferro e al cabotaggio, e preso atto
che la manovra fiscale è in alto mare, e che negli altri sub-comparti i ritardi si accumulano ai
ritardi, (significativo è l’esempio dei bio-carburanti), non vi è alcuna ragione per essere
ottimisti, fermo restando l’auspicio di essere smentiti dai «numeri», quando saranno
disponibili.
E ciò, salvo che il «miracolo» non derivi dagli automobilisti, che, seguendo tutti, e passo passo,
le (pur sensate) istruzioni della Guida del Ministero dell’Ambiente - e tutti folgorati da una
inusitata coscienza ecologica, orientando gli acquisti di nuove autovetture sui modelli al
massimo delle prestazioni per consumi ed emissioni di CO2 - possano riuscire a ribaltare uno
scenario in cui le ombre prevalgono largamente sui rari sprazzi di luce.
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GLOSSARIO
Modello «Copert»
Acronimo di «COmputer Program to calcolate Emissions from Road Transport», che
calcola automaticamente le emissioni di anidride carbonica sulla base di una serie di
parametri relativi alle caratteristiche del combustibile, tra le quali particolarmente
importante è il rapporto carbonio - idrogeno.
Direttiva consolidata
Per «consolidamento» s'intende l’integrazione in un unico testo, non ufficiale, di un atto di
base della legislazione comunitaria e delle sue successive modifiche e rettifiche. Gli atti
«consolidati» hanno unicamente valore di strumento documentario e le istituzioni non
assumono alcuna responsabilità quanto al loro contenuto.
.
Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito http://www.sanpaoloimprese.com/
Documento pubblicato su licenza di WKI - Ipsoa Editore
Fonte: Ambiente - Mensile di consulenza e pratica per l'impresa
Copyright: WKI - Ipsoa Editore
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le emissioni di co 2 dai trasporti e gli obiettivi di kyoto