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Era in missione nella zona del monte Cristallo a Cortina
quattro gli operatori rimasti vittime, unanime cordoglio
BENVENUTO
PRESIDENTE
CADE LʼELICOTTERO DEL SUEM 118
a grande sciagura che s’è abL
battuta sui quattro operatori del
Suem di Pieve di Cadore in volo nella
zona del monte Cristallo sopra Cortina, è dramma per l’intera popolazione bellunese che subito s’è raccolta
attorno ai familiari delle vittime e ai
loro colleghi, dimostrando al di fuori
d’ogni dubbio il particolare affetto.
Era il pomeriggio del 22 agosto
quando “Falco”, l’elicottero del Soccorso di emergenza medica pilotato
da Dario di Filip (49 anni, di Pieve
d’Alpago) con a bordo il tecnico Mario Zago (42 anni di Belluno), il medico Fabrizio Spaziani (46 anni di Frosinone ma residente a Pieve di Cadore)
e Stefano Da Forno (40 anni, originario di Pozzale e trasferitosi a Santa
Giustina Bellunese) urtava con il rotore dei fili elettrici e si schiantava sulle
ghiaie di Rio Gere. Tutti morti.
Unanime il cordoglio, proclamato il
lutto provinciale, immensa la parteci-
pazione e commozione all’estremo saluto (5 mila persone ai funerali) tenutosi il 25 nella cattedrale di Belluno.
I loro volti sono ormai noti a tutti, i
loro nomi sono rieccheggiati in ogni
pubblica manifestazione.
Pur con animo affranto, al Servizio
di Urgenza ed Emergenza si guarda
ora al futuro, alle richieste della popolazione per cui lavorano, e un nuovo elicottero è già operativo. Bentornato “Falco”.
RDC
da Il Gazzettino
“Ora si ricomincia
Ci vogliono
determinazione,
coraggio
e sostegno”
intervista al
dottor COSTOLA
primario SUEM
SERVIZIO
A PAG. 6
Sono accorsi
numerosi a Pieve di
di Cadore i Veci del
“Battaglion Cadore”
A PAG. 8
Lʼannuale cerimonia
a Cima Vallona
A PAG. 5
Colori e luci del ʻ900
bellunese 1950-2000
Successo della mostra a San Vito
rganizzata dal gruppo dei giovani imprenditori di Confindustria Belluno Dolomiti, dal
comune sanvitese e dalla
“bottega del quadro” di
Feltre, la mostra “Colori e
luci dal ‘900 bellunese,
1950 - 2000”, aperta per
tutto il mese di agosto, si è
proposta come rassegna
di alto contenuto artistico
e culturale. Ospitata nel
palazzo delle scuole elementari è stata inaugurata con inter venti di Alberto Rossi, Andrea Fiori,
Max Pachner, Marco Bortoluzzi e Antonella Alban.
Tutti hanno espresso la
soddisfazione per un obiettivo prestigioso raggiunto,
quello di aver fatto vedere
un secolo di attività, di impegni, di artisti in due distinti periodi ma legati uno
all’altro: ne è uscita una
mostra che ha inteso dare
conto della intensa produ-
O
zione artistica del bellunese attraverso autori di alta
e altissima rilevanza; le
opere esposte sono state
una ottantina, con i nomi
più significativi della seconda metà del novecento:
Ocri, Tomea, Cavinato,
Buzzati, Simonetti, D’Ambros, Solero, per citarne
solo alcuni.
“E’ stata una rassegna
destinata e riscuotere successo e a lasciare il segno”,
è stato detto da più parti,
ed è stato sottolineato che
sono stati due i filoni culturalmente significativi della rassegna, quello della
natura e quello dell’uomo,
espressi da autori inconfondibilmente montanari.
Dopo il successo del
2008 (più di 4000 i visitatori
della mostra sul primo Novecento), la formula del
2009 ha riconfermato il
progetto precedente,
(segue a pag. 5)
B.D.V.
LE DOLOMITI
PATRIMONIO UNESCO
STRAORDINARIA
RICCHEZZA
Bagno di folla per il
presidente della Repubblica
Napolitano ad Auronzo
ono qui per partecipare ad un evento memorabile S
ha subito sottolineato il presidente Giorgio Napolitano nel suo discorso di saluto ad Auronzo - pur con un
velo di tristezza per i valorosi operatori del SUEM che hanno sacrificato la loro vita nello svolgimento del servizio. E
mentre ricorda le vittime dell’incidente di volo e rinnova
la sua partecipe solidarietà al dolore dei familiari, la voce
del presidente s’incrina. Poi un boato d’applausi.
La visita del presidente della Repubblica è un avvenimento eccezionale fra queste montagne, e memorabile
definisce lui stesso la motivazione della sua presenza,
l’inserimento delle Dolomiti nel patrimonio mondiale
dell’umanità per scelta dell’UNESCO. E la popolazione
ha capito, ha gratificato Napolitano di un bagno di folla
nelle strade del centro e in piazza Santa Giustina dove
era stata allestita una grande struttura per gli invitati alla celebrazione ufficiale durante la quale s’è tenuto lo
scoprimento di una targa (nella foto).
RDC
SERVIZI A PAG. 7
I MURALES VIVENTI
DI CIBIANA
A PAG. 19
Flash sulle tradizioni cadorine
nel piccolo paese dei murales
CADORINI LONTANI E
CADORINI VICINI
A
“Non rimanete
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all’ombra del
campanile,
partecipate!”
invita
il presidente della
Magnifica
Comunità D’Andrea
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A POINT OF YOU
mod. CHAMPION
RACING SUNGLASSES SINCE 1956
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A Zoppè di Cadore - Analisi dellʼattività svolta dalla Magnifica
Il saluto del Presidente
LA COMUNITAʼ DI CADORE Eʼ “IL CENTRO” CADORINI LONTANI E VICINI
Zoppè per verificare le prospetA
tive e i progetti di una comunità
storica. L’incontro con i cadorini lonta-
difficoltà di realizzare una convergenza adeguata di intenti. “La Magnifica,
che ha sede a Pieve, deve tornare ad
essere il centro degli interessi collettivi”, ha detto D’Andrea, “e i giovani
che studiano e che conseguono un titolo devono avere le opportunità di
restare tra le mura amiche, arricchendo i bacini di disponibilità a cui
enti, associazioni e strutture potrebbero attingere a piene mani”.
Gli ha fatto eco l’assessore Maria
Giovanna Coletti: “La Magnifica organizza annualmente un festa di
compiacimento e di augurio tutta loro, per i neo-laureati, anche se pochi hanno la possibilità di restare e di
ni, annuale appuntamento con gli emigrati che rientrano per un periodo di
riposo, ha perso le stucchevoli connotazioni nostalgiche ed ha acquistato
ogni anno di più il sapore politico dell’analisi dell’attività svolta da un ente
che riassume storia, cultura e tradizioni, la Magnifica Comunità, e del riconoscimento per la bravura dei giovani che studiano e che ottengono
buoni risultati scolastici.
Il presidente dello storico ente,
Emanuele D’Andrea, ha colto anche
quest’anno l’interessante opportunità non solo per stilare un consuntivo
della
presenza
della Magnifica
sul tessuto cadorino ma anche quella più stimolante
di conferire un riconoscimento, in
termini di borse di
studio, agli studenti che si sono
distinti a scuola
per bravura e profitto.
A Zoppè, il piccolo grazioso paese che ha ospitato
le cerimonie di accoglienza degli
ZOPPE’
emigrati rientrati
DI CADORE
in Cadore per le
9.8.2009
vacanze estive, il
presidente ha tracIl presidente
ciato un quadro in
Emanuele
chiaroscuro: l’ente
D’Andrea e il
prosegue nel suo sindaco Renzo
impegno di far coBortolot
noscere sempre consegnano le
più e sempre me- borse di studio
glio il Cadore e le
(sotto)
sue risorse, soUna scena di
prattutto culturali, teatro allestito
realizza
alcuni da “La Fontana
obiettivi di prestiConta” di
gio, come il consoDomegge
lidamento dei rapdi Cadore
porti collaborativi
mettere a frutto in casa la loro culcon i vicini di casa, Cortina in primis, tura e le loro conoscenze; ma anche
investe nella promozione di alcuni se sono costretti ad andarsene, i gioprodotti culturali di largo consumo, vani devono poter conser vare intema, nello stesso tempo, registra l’ad- gro il patrimonio di ideali e di valori
densamento di alcuni problemi che che la terra dei padri ha loro dato”.
pesano e che fanno riferimento alla
I giovani premiati con borsa di stu-
dio sono stati Marco De Filippo Roia
(Auronzo), Manuela De Carlo, Carlo
Salvetti, Viviana Toffoli, Elisa Tarozzo
e Alex Frescura (Calalzo), Roberto
Zandanel (Cibiana), Silvia De Martin
Pinter, Valentina Osta, Maria Martini
Barzolai, Ludovico Martini Barzolai,
Samantha Pinazza e Francesca Martini
Barzolai (Comelico Superiore), Roberta De Martin Topranin (Cortina), Eugenio Zanderigo Apollonio (Lorenzago), Silvia Del Favero e Vittorio Lora
(Lozzo), Gianluca Bertolani, Alessandro Cian, Dennis Da Corte, Silvia Piccin, Francesco Cian, Stefania Mattea e
Angela Sposato (Pieve), Enrica De Lotto, Lorenzo De Lotto e Monica Giusti-
Nellʼambito dellʼappuntamento con i Cadorini Lontani,
consegnate alcune borse di studio a studenti meritevoli
ra il 1609, giusto quattrocento anni fa, quando Galileo
E
riuscì a fabbricare in maniera abbastanza perfetta il
cannocchiale, a seguito di notizie imprecise che gli erano
na (San Vito), Riccardo Piazza (Vigo).
Hanno espresso adesione e compiacimento per la riuscita dell’incontro anche Renato De Fanti dell’associazione
emigranti bellunesi e Matteo Toscani,
assessore provinciale.
Bortolo De Vido
DIANA E ATTEONE, CAPOLAVORO DI TIZIANO
zianesco è stato acquistato per cinquanta milioni di sterline grazie a
una sottoscrizione promossa dalla
National Galler y di Londra e dalle
National Galleries of Scotland, dopo
una lunga trattativa segnata anche
da vivaci polemiche politiche sull’opportunità di utilizzare fondi pubblici
per acquistare un’opera d’arte in un
periodo di grave crisi economica.
La vendita è stata decisa un anno
fa dal duca di Sutherland, uno dei
maggiori proprietari terrieri di Scozia, collezionista importante e proprietario, tra l’altro, della Collezione
Bridgwater, in cui sono inserite due
tele dedicate a Diana: appunto, Diana e Atteone, e Diana e Callisto (anch’essa in vendita), che fanno parte
di una serie di sette quadri raffiguranti scene mitologiche tratte dalle
Metamorfosi di Ovidio e dipinte da
Tiziano per Filippo II di Spagna, tra il
1556 e il 1559.
In tanti si sono mobilitati
perché resti custodito
in un museo pubblico
ti anni, è molto più legato al Cadore di chi ci vive. Perché è
presto detto: vivere qui è svantaggioso, il tempo è inclemente, si vive in casa 8 -10 mesi l’anno. Il costo della vita è maggiore non solo per i] prezzo dei bisogni quotidiani, ma anche
per il luogo dove si fa la spesa quotidiana, perché spesso nei
paesi mancano i negozi e occorre andare altrove. Chi torna,
torna in un luogo di vacanza o comunque di meritato riposo:
non ha le difficoltà di chi lavora in montagna o, peggio, di chi
cerca lavoro in montagna.
Che dire? Che la battaglia per salvare i montanari e farli vivere dignitosamente nel proprio ambiente è perduta? Sì è
perduta nella misura in cui ciascuno vive chiuso nel proprio
comune o nella propria frazione di Comune, nella misura in
cui gli Amministratori amministrano solamente il proprio Comune, la propria Comunità montana, o peggio la propria frazione, senza vivere insieme agli altri, senza cercarli, senza
mettere insieme i propri problemi.
La Magnifica Comunità esiste proprio per questo, per rappresentare l’unione dci cadorini non solo morale, ma anche
materiale, fisica, ancor più oggi che le Comunità montane sono state ingiustamente delegittimate come enti inutili, togliendo alla montagna ancora una volta qualcosa che gli era
stato dato quasi 40 anni fa. La Comunità deve tornare ad essere il centro degli interessi collettivi. Pieve deve essere una
capitale, una capitale non di se stessa ma del Cadore, pronta a
chiamare a raccolta tutti, e dico tutti, i cadorini al di là del Comune di appartenenza e del colore politico.
Con questo auspicio: i cadorini lontani che hanno potuto
raccogliere un bagaglio di conoscenza altrove in altre e spesso più feconde realtà sociali possano dare un impulso sostanzioso al territorio.
Emanuele D’Andrea
GALILEI E LA PROSA
Acquistato di recente in Gran Bretagna da due grandi musei
a più di sessant’anni in custoD
dia alle Gallerie di Edimburgo, Diana e Atteone, il capolavoro ti-
iprendo dal mio discorso dello scorso anno Cadorini
R
lontani o cadorini vicini?
Spesso chi torna occasionalmente o stabilmente dopo mol-
In tanti si sono mobilitati in Gran
Bretagna, con una partecipazione minima di 25 sterline, per salvare da mani private il capolavoro tizianesco e
far sì che resti custodito in un museo
pubblico del Regno Unito continuando a essere visibile, secondo un calendario organizzato dalle rispettive
Gallerie. In soli quattro mesi è stata
raccolta la somma necessaria, con
una vera e propria lotta contro il tempo, poiché se non si fosse raccolta la
somma entro il 31 dicembre 2008, il
quadro sarebbe potuto finire in qualsiasi parte del mondo nelle mani del
maggior offerente e sottratto per
sempre alla vista del pubblico. Per
fortuna ciò non è avvenuto grazie alle
donazioni possibili anche online
www.nationalgallery.org.uk
www.nationalgalleries.org .
Ma la corsa non è finita: ora continua la campagna per raccogliere i
fondi occorrenti per l’acquisto del secondo capolavoro, quello di Diana e
Callisto.
Centro Studi
Tiziano e Cadore
arrivate dall’Olanda: ciò significò per lui la fama non solo
nel mondo degli studi, ma anche in quello delle corti; infatti
egli lo presentò dapprima al Senato Veneto, e poi ne mandò
copie anche presso molte altre corti, che in quel tempo erano i luoghi di accentramento degli studi più avanzati. Ricorre dunque quest’anno un anniversario di grande significato
scientifico, celebrato con tutta una serie di eventi, qui da noi
organizzati dal Museo dall’Occhiale di Pieve di Cadore e
dalla Associazione astronomica Cortina.
Al Museo si è aperta una mostra di particolare interesse,
che sottolinea l’importanza di Galileo nella storia della scienza
moderna, dovuta sì alle sue straordinarie scoperte ma anche
al fatto che, a differenza di tutti i pensatori del suo tempo, egli
elaborò un concetto di scienza rigorosamente distinto dalla
metafisica. Per lui la scienza è pura, oggettiva, “meccanica”,
estranea a qualsiasi problema riguardante la vita dello spirito,
della quale deve piuttosto occuparsi la fede tradizionale. Tutto
ciò è generalmente noto. Meno noto – anche se interessante è invece un altro aspetto della personalità di Galileo, e cioè
quello letterario: perché non c’è forse scienziato che alla misura matematica delle proprie scoperte scientifiche abbia fatto corrispondere una prosa e uno stile di altrettanta esattezza
e precisione, cosicché la sua prosa può essere ricordata come
esempio ammirevole di originalità scientifica e artistica nello
stesso tempo. Si ricordino in proposito alcune operette di carattere esclusivamente letterario, come le “Due lezioni” riguardanti l’Inferno di Dante, le “Considerazioni al Tasso” o le
“Postille e correzioni...” all’Orlando Furioso: sono ad esempio
passi famosi quelli che ci mostrano la irritazione di Galileo di
fronte a certi artifici tasseschi, a certi preziosismi già baroccheggianti. Si tratta di considerazioni ispirate a un realismo fenomenico e psicologico, perché Galileo è stato anche un critico letterario molto acuto, ma non seppe mai superare quel
realismo ,che era il fondamento delle sue scoperte di scienziato: un realismo che è qualcosa di più dell’atteggiamento derivante da una educazione letteraria, e che è invece il disporsi
del suo stesso discorso scientifico, la formula di una mente
scientifica, da cui derivano proprio il suo gusto di scrittore e il
suo stile sempre così vicino alle cose, coerente allo svolgimento dialettico della scoperta e al suo immediato concretarsi in esposizione, o meglio in una definizione scrupolosamente aderente all’oggetto. In tutta la sua prosa circola quindi
quello che si può indicare come uno spirito schiettamente rinascimentale, spirito di armoniosa proporzione, che unisce
una moltitudine di riflessioni e osservazioni di grande varietà
e vivacità; e Galileo non fu solo il capostipite di una discendenza di scienziati, ma anche di una folta schiera di letterati
che avrà un posto di rilievo nella cultura del Seicento italiano,
e non solo italiano. Grazie a lui e alla sua lezione di “oggettività” della scrittura, nascerà infatti quella scuola di prosa che sarà chiamata scientifica per la natura degli argomenti e il rigore della loro trattazione.
Ennio Rossignoli
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Appuntamenti Estivi
LʼARTE A DOMEGGE
PERAROLO - LA CAMINADA DEI ZATER G
na nutrita rappreU
sentanza del gruppo “Fameja dei zater e
Bella rievocazione storica
A piedi da Codissago a Perarolo
poi festa e mostra sul pojat
foto RDC
menadas del Piave di Codissago”, ha ripercorso
quello che per i loro avi
era solo l’inizio di una
lunga giornata di lavoro
che li portava a Perarolo
per costruire le zattere
che poi con maestria e rischio conducevano verso
Venezia.
Svegliarsi alle quattro
di mattina e percorrere i
16 km che dividono Codissago da Perarolo a piedi, non è certamente una
cosa da tutti. Invece così
è stato domenica 2 agosto. La giornata è proseguita a Perarolo dapprima con la Santa Messa e
poi con un’interessante
mostra “Il pojat e il fuoco
nascosto”, per rievocare
la produzione del carbone, nonché giochi Cidolo e del Legname. Uno stand gastroper bambini, visite guidate al museo del nomico ha funzionato fino a tarda sera con
musica in Piazza.
La buona riuscita della manifestazione, che ha visto coinvolte tutte le Associazioni del paese, coordinate dalla neonata Pro Loco fa ben sperare ad un ampliamento delle attività da svolgersi in
concomitanza con la rievocazione storica, giunta alla 2a edizione; molti vorrebbero diventasse una data fissa nel calendario delle manifestazioni estive. Il tema
legato allo sfruttamento del legname infatti, che per secoli ha condizionato le
sorti di queste popolazioni, può essere
rivolto come formula di “attrazione” non
solo locale ma anche per un pubblico più
vasto grazie al meraviglioso contesto naturalistico in cui si svolge.
Alta è stata la presenza dei giovani nel
“motore” organizzativo, a loro viene rivolto lo sguardo per ben sperare nel futuro di questa festa che rafforza la propria identità storica strettamente legata
a “la Piave”.
Renzo Zangrando
fondato nel 1953
DIRETTORE RESPONSABILE
Renato De Carlo
VICE DIRETTORE
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Magnifica Comunità di Cadore
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La Direzione e l’Editore non rispondono delle opinioni degli articolisti.
Foto e articoli non pubblicati saranno restituiti solo a richiesta.
Resp. trattamento dati (ex D.lgs 30.6.03 n.196): Renato De Carlo
QUESTO NUMERO Eʼ STATO CHIUSO AL 30.8.2009
li appuntamenti con
l’arte a Domegge di
Cadore mancavano da tanto, forse troppo tempo. In
questa languida estate domeggese si è finalmente assistito a una ripresa delle
esposizioni, a cominciare
dalla mostra di pittura di
Franco Rossato, organizzata dal gruppo Arti Visive
“Vittorio Veneto” in collaborazione con l’assessore alla
cultura del comune di Domegge di Cadore e visitabile presso l’ex negozio Giacobbi di fronte al municipio.
Negli incantevoli locali
del bar Serenissima (recentemente inserito dalla
giunta di Palazzo Balbi nell’elenco regionale dei locali storici del Veneto “per le
pitture alle pareti, il bancone del bar, sedie e tavoli,
lampade e lampadari”) si
potevano invece ammirare
le interessanti opere del
pittore Francesco Petit.
Una cornice ideale per accogliere i quadri di questo
talentuoso artista cadorino
di nascita, che dopo una vita trascorsa a Venezia, da
qualche anno ha riportato i
pennelli e il cuore tra le nostre montagne, trasferen-
dosi definitivamente a
Domegge.
Nato infatti a
Pieve di Cadore, si trasferisce da
bambino a
Venezia con
la famiglia,
dove è vissuto e ha lavorato fino al
2006 dedicandosi completamente
alla pittura.
Il suo percorso artistico si è sviluppato negli anni attraverso
f o r m e
espressive
assai diverse
e contrassegnate da una continua ricerca e sperimentazione,
che hanno fatto di lui un artista eclettico, di forte impatto emotivo, con uno stile
che si presenta sempre ricco di suggestioni e mai
scontato, spaziando dall’astratto al figurativo. A Venezia ha tenuto per molti anni
una bottega d’arte a Dorsoduro, preferendo un rap-
Mostre di pittura si
sono tenute da
Francesco Petiti e dal
gruppo Arti Visive
Vittorio Veneto
porto diretto con il pubblico piuttosto che i consueti
spazi espositivi, pur avendo
partecipato a diverse mostre sia in città che altrove.
Francesco Petit è stato uno
dei più giovani espositori
alla Biennale, solo ciò sarebbe sufficiente a testimoniare e riassumere il valore
artistico di questo pittore.
Rina Barnabò
A COSTALISSOIO
MEETING REGOLE DELLA PROVINCIA
eeting delle Regole della provin- brazione in piazza a S. Stefano di CadoM
cia di Belluno a Costalissoio di re l’11 luglio del 1993: “…chiamate ad
S. Stefano di Cadore lo scorso 6 agosto. essere garanti di una costante memoria
Gli onori di casa sono stati fatti con un
saluto di benvenuto da Valerio De Bettin Presidente della Regola di Costalissoio “Costa del Sole”, mentre l’avv. Elisa
Tomasella, specializzata sulle Regole,
ha trattato in una chiarissima ed interessante conferenza il tema della tutela
dell’ambiente attraverso la gestione attiva dei beni regolieri.
Posta una targa
con le parole di
PapaWojtyla,
presentata
unʼopera di
Regianini
E’ stata una grande festa,
iniziata con lo scoprimento e
la benedizione della targa ricordo, realizzata dal noto scultore Franco Fabiane, che riporta incisa una frase di Papa
Wojtyla pronunciata proprio
sulle Regole durante la cele-
di quelle radici profonde che si alimentano alle sane tradizioni dei padri.” La targa è stata posta sulla parete esterna
della sala della Regola e benedetta dal
Vicario Foraneo del Comelico don Diego Soravia.
Di seguito, è stata presentata un’opera emblematica del maestro pittore surrealista prof. Luigi Regianini, un dipinto (in foto) che raffigura le Regole esistenti “ab immemorabili” con la loro
schiera d’antenati. Nell’opera, gli elementi base d’azione delle Regole: montagne, boschi, pascoli, fuoco; nel cielo
terso lo stemma rappresentativo delle
Regole del Cadore (che è poi quello
della Magnifica Comunità di Cadore)
con sotto la dicitura sorretta da due
amorini classicheggianti, mentre nel
centro si vedono le montagne dolomitiche che s’innalzano su boschi e prati
verdeggianti, istoriate dalle figure degli
antichi avi; sotto e in primo piano un
grande fuoco-famiglia.
Il maestro Regianini ha proprio in
questo Museo un’interessante esposizione surrealista, che è stata visitata ed
apprezzata dai presenti.
Guido Buzzo
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Agosto-Settembre 2009
nche una strada riA
corda ora i Caduti di
Cima Vallona: collega i due
comuni di S. Stefano e San
Nicolò di Comelico in un
percorso suggestivo che si
può percorrere a piedi o in
bicicletta.. E’ stata inaugurata a Santo Stefano di Cadore dal sindaco neo eletto,
Alessandra Buzzo, alla
presenza dei familiari delle
vittime: la sorella di Armando Piva, i fratelli di Olivo
Dordi, la moglie e la figlia
di Mario Di Lecce. C’era
anche il Prefetto di Belluno, Provvidenza Raimondo, vera ispiratrice dell’iniziativa quando in occasione
del 40mo anniversario invitò le amministrazioni comunali per un ricordo ancor più tangibile dei Caduti.
Davanti a molte altre autorità civili e militari, alle
rappresentanze alpine e delle altre associazioni combattentistiche, breve e suggestiva la cerimonia con le parole di Alessandra Buzzo
che hanno invitato i giovani
a conoscere gli errori del
passato per non ripeterli. Al
termine le note della canzone di Francesco Guccini dedicata alla strage e intitolata
proprio Cima Vallona, sono
risuonate per la prima volta
nell’interpretazione di Martina Casanova: “Voglio saper se la mano assassina
che ha mosso la terra, che
ha messo la mina, sa stringere un’altra, se sa accarezzare, se quella d’un uomo
può ancora sembrare”.
La cerimonia è quindi
proseguita, come tradizione, in località Cappella Tamai nel Comune di San Nicolò di Comelico. Ed anche
qui una novità. Per la prima
volta era presente in forma
ufficiale la Provincia di Bolzano con il vicepresidente
del Consiglio Mauro Minniti. “Per troppo tempo la
Provincia di Bolzano ha taciuto sui tragici anni del terrorismo separatista. Oggi,
anche se in ritardo, la mia
presenza testimonia che finalmente qualcosa sta cambiando”. Minniti ha fatto riferimento ai segnali contraddittori che anche oggi
testimoniano di una cultura
di pace e di rispetto ancora
da costruire. “Non sembra
opportuno, in questo contesto, parlare di grazia. Specie per chi non si è mai pentito di ciò che ha fatto”. Queste parole sono state particolarmente apprezzate da
tutte le autorità presenti. Oltre al consueto schieramento di labari, vessilli e gagliar-
5
detti era presente anche il
labaro nazionale dell’Associazione paracadutisti d’Italia, scortato dal presidente
Gianni Fantini. Dopo l’alzabandiera e il commovente
momento dell’Onore ai Caduti, le allocuzioni ufficiali.
Il sindaco Giancarlo Ianese ha rievocato i tragici
momenti dell’attentato terroristico, facendo rivivere
le sensazioni provate dalla
popolazione comeliana profondamente ferita, che fin
da subito si strinse accanto
alle famiglie colpite. La vicinanza ai parenti è testimoniata dalla presenza praticamente costante a Cappella Tamai dei familiari di Armando Piva, Mario Di Lecce e Olivo Dordi. Anche la
moglie del capitano Gentile, presente nelle ultime
due cerimonie passate, ha
fatto pervenire un messaggio di ringraziamento. Antonio Cason, a nome dell’Ana Cadore che organizza
l’evento assieme ai gruppi
locali - quest’anno era impegnato il Gruppo di Casamazzagno guidato da Aldo
De Martin - ha richiamato i
valori dell’Ana e il costante
impegno associativo per
non dimenticare e non far
dimenticare. Analogamente il consigliere nazionale
Ana Nino Geronazzo che
ha portato il saluto di Corrado Perona, illustrando il
nuovo impegno dell’Ana
per la ricostruzione in
Abruzzo. Il generale dei carabinieri
Francesco
Vacca, intervenuto in rappresentanza del ministro
della difesa La Russa, ha
rammentato l’impegno delle forze dell’ordine nella
quotidiana battaglia contro
l’illegalità, ampliando il ricordo a tutti i militi caduti
nell’adempimento del dovere ed anche ai magistrati
periti per mano terrorista.
Infine il Prefetto di Belluno
Provvidenza
Raimondo
che, complimentandosi con
gli organizzatori della cerimonia, ha voluto stringersi
ancora una volta accanto ai
familiari delle vittime. “L’iniziativa di questa mattina a
Santo Stefano di Cadore”
ha detto il Prefetto “con l’intitolazione della via alle Vittime di Cima Vallona, è un
altro segnale della sensibilità delle istituzioni e delle
gente del Comelico verso
quattro militi che resteranno per sempre nel cuore di
tutti con il loro esempio e
con il loro sacrificio”.
Livio Olivotto
COLORI E LUCI DEL ʻ900
dalla prima pagina
con qualche integrazione: il periodo di esposizione è stato più lungo, in
sala erano presenti sculture di autori notissimi (Moro, Soppelsa e Murer) e le
opere erano di assoluto riscontro artistico. E’ stato
anche ribadito che la mostra conferiva prestigio ad
una terra straordinariamente bella e dolente come
quella della provincia e di
cui i quadri e le sculture
erano i segni artistici più
attendibili. Prezioso ed utilissimo il catalogo, curato
B. De Vido
con competenza da Antonella Alban, che ha guidato i visitatori della mostra:
esso rifletteva, insieme alla perfetta riproduzione dei
lavori, i dati biografici e
storici degli autori, e offriva meditati spunti alla riflessione. Numerosissimi,
come era da aspettarselo, i
visitatori, giunti anche da
lontano per non perdere
una occasione unica di ammirare importanti quadri
di collezioni private, raramente esposti al pubblico.
COMELICO - Per i caduti del 1967, a Cappella Tamai
autorità, rappresentanze combattentistiche e la presenza
significativa di Mauro Minniti. Intitolata una strada
ECCIDIO DI CIMA VALLONA
UN SILENZIO FINALMENTE INTERROTTO
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ANNO LVII
Agosto-Settembre 2009
ra il pomeriggio del 22 agosto quando
E
“Falco”, l’elicottero del Soccorso di
emergenza medica in missione nella zona del
monte Cristallo, sopra Cortina, si schiantava
al suolo in un canalone, dopo essersi impigliato in cavi elettrici. Morivano il pilota Dario di Filip (49 anni, di Pieve d’Alpago), il tecnico Mario Zago (42 anni di Belluno), il medico Fabrizio Spaziani (46 anni di Frosinone
ma residente a Pieve di Cadore) e Stefano Da
Forno (40 anni, originario di Pozzale, compo-
nente del Soccorso Alpino di Feltre).
L’intera popolazione bellunese s’è subito
raccolta attorno ai loro familiari e ai loro colleghi, dimostrando fin dall’inizio cordoglio
e affetto, partecipando ai funerali tenutesi il
25 nella cattedrale di Belluno. I loro nomi
sono stati scanditi in ogni pubblica manifestazione, compreso nella cerimonia di Auronzo dove alla presenza del presidente della Repubblica Napolitano è stato osservato
un minuto di silenzio.
Costola: “Indispensabili, erano dei veri professionisti”
l ricordo di questi uomiI
ni vittime di un ingiusto
destino lo affidiamo al dottor
Angelo Costola, iniziatore
nel 1986 del SUEM 118 a Pieve di Cadore, servizio che è
diventato il fiore all’occhiello
della sanità regionale.
“Che dire… Devo cominciare dal medico Fabrizio Spaziani che era uno stretto collaboratore del mio servizio ed era
quello che più d’altri s’occupava dell’aspetto organizzativo
della Centrale e dei problemi
dell’Emergenza, tant’è che era
lui che teneva i corsi per i medici volontari ed infermieri
per la maxiemergenza, era lui
ad aver organizzato la missione insieme a me per i terremotati dell’Abruzzo. Era un appassionato di questo lavoro,
era cresciuto molto dal punto
di vista clinico professionale di
anestesista rianimatore, ma
aveva questa propensione per
la parte organizzativa dell’emergenza. Oltre che un caro
amico, un fratello veramente.
Pure gli altri hanno lavorato intensamente con noi: dal
pilota Dario De Filip con noi
credo da nove anni, aveva volato per circa 4800 ore, una
esperienza di volo in ambiente
ostile ricchissima; al tecnico
dell’Elisoccorso Marco Zago,
prima tecnico del soccorso alpino e poi tecnico areonautico
con Elidolomiti, anche lui con
grande esperienza del nostro
territorio, delle montagne.
Gente preparata, professionalizzata, gente che faceva
200/300 ore di volo all’anno.
Non posso neanche lontanamente immaginare che non
conoscessero quel percorso sul
Cristallo fatto centinaia di volte, sia in estate che in inverno.
Cosa sia successo non lo so,
sappiamo soltanto il finale,
ahimé tragico e drammatico.
Stefano Da Forno altro professionista anche se proveniva
dal volontariato, tecnico del
Soccorso Alpino, era istruttore, persona preparata, capace.
Dovete sapere che il tecnico
dell’Elisoccorso viene selezionato tra i soccorritori del
CNSAS con un corso rigorosissimo. Perché non basta essere
bravi alpinisti, non basta essere brave guide, bisogna avere
freddezza, perché si è appesi
ad una corda sotto l’elicottero,
si parla con il pilota attraverso un microfono e con il pilota
si concorda a distanza di 25 o
100 metri l’avvicinamento per
raggiungere la persona infortunata. Bravi come alpinisti,
bravi come preparazione di
base, bravi a muoversi su elicottero e su terreno, bravi a
collaborare col medico che senza la loro presenza in certi interventi è impotente. Indispensabili.”
ostegno massiccio da parS
te della gente, ricorda il
dottor Angelo Costola.
“E’ stato massiccio, non solo
nei giorni del funerale, un pellegrinaggio presso la centrale, presso l’obitorio, un nugolo di telegrammi e mail, abbiamo avuto
un sostegno inimmaginabile. L’ho detto qualche sera fa: la nostra gente è difficile che parli, su
15.060 interventi credo che avremo avuto complessivamente 150
ringraziamenti, ma solo perché
la gente è abituata a questo servizio, lo ritiene indispensabile ma
normale. Solo ora si rende conto
dei rischi che talvolta corriamo,
che sono quotidiani.
Questa dimostrazione d’affetto, veramente ci ha fatto piacere. Adesso però dobbiamo pendi stima e di sostegno eccezionale, sare alle persone per cui lavoriamo, alla popolazione.”
Un grazie alle autorità, grande partecipazione
’ è stata partecipazione fin dal
“C
primo giorno della sciagura - ricorda il dottor Costola - a cominciare
dal sindaco di Pieve di Cadore Maria
Antonia Ciotti; ho ricevuto telegrammi
da tutti i Comuni, c’era un pullulare di
fasce tricolori all’interno della Cattedrale di Belluno, c’era il presidente della
Provincia Bottacin; il presidente della
Regione Galan è venuto in obitorio, il
ministro dell’Ambiente Prestigiacomo è
stata squisita, lo posso dire perché l’ho
accompagnata al saluto con i familiari e
lei ha trovato le parole giuste con tanta
sensibilità per tutti. E che dire del Prefetto Delfina Provvidenza Raimondo che è
stata sempre presente fin dalla fase più
critica a Cortina e ha portato i saluti del
Presidente della Repubblica a tutti i familiari. E tanti altri sono venuti a rendere omaggio alle vittime: l’assessore regionale alla Sanità Sandri, il segretario
regionale alla sanità Ruscitti, ed infine
il presidente della Regione Galan. Anche
questo è stato un segno di stima e rispetto per gli operatori.”
BENTORNATO “FALCO”
foto rdc
Era in missione nella zona del monte Cristallo a Cortina
quattro gli operatori rimasti vittime, unanime cordoglio
La riconoscenza
della popolazione
da Il Gazzettino
CADE LʼELICOTTERO DEL 118
8-9
E’ diventato operativo il nuovo elicottero
ra si riparte. Gli
O
operatori del SUEM
e il dottor Costola sono determinati.
“Abbiamo eseguito oggi
(mattino del 28 agosto) un
volo inaugurale con la mia
presenza a bordo, proprio
per fugare ogni dubbio, perché ahimé! gli errori sono
sempre degli uomini, è improbabile che la macchina
ci tradisca. Devo dire che
da parte del personale, medici e infermieri, la disponibilità a partire è quasi totale. Purtroppo abbiamo
un’unità preziosissima in
meno (il medico Spaziani)
ed un altro medico non fa
turni dopo la tragica perdita in montagna del figlio;
queste mancanze debbono
essere in qualche modo supplite. E qui ho trovato la
disponibilità di miei colleghi di Treviso, di Padova e
di Verona. La copertura è
pertanto assicurata.
Il velivolo è un AUGUSTA GRAND motore potentissimo, preciso al mezzo
che avevamo in dotazione
prima, ha 800 ore, meno
ore del precedente (che superava le 1200 ore); penso
che resterà per un periodo
fintantoché un nuovo elicottero verrà consegnato
dall’Augusta alla I-NAER.
Di certo la volontà è di
ripartire. Nessuno ha intenzione di interrompere
dopo 21 anni e 2 mesi l’attività di elisoccorso in provincia di Belluno. Certo, ci
vogliono determinazione,
coraggio, sostegno. Che non
ci è mancato da parte della
gente ed anche dalle autorità. Ed è fondamentale.”
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ANNO LVII
Agosto-Settembre 2009
Ad Auronzo di Cadore una
cerimonia di riflessione
e dʼimpegno futuro
L
a visita del presidente della Repubblica è un avvenimento eccezionale fra queste montagne, e memorabile definisce lui stesso la motivazione della sua presenza, l’inserimento delle Dolomiti nel patrimonio mondiale
dell’umanità per scelta dell’UNESCO.
Che non fosse questa di Giorgio Napolitano una visita
di sola cortesia lo si è visto subito, per la presenza alla
cerimonia del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, del ministro dell’Economia Giulio Tremonti,
del direttore del Centro per il patrimonio mondiale
Unesco Francesco Bandarin, del governatore del Veneto Giancarlo Galan, del presidente della Regione FriuliVenezia Giulia Renzo Tondo, del governatore del Trentino Lorenzo Dellai, del presidente della Provincia autonoma di Bolzano e presidente della Regione Alto Adige
Luis Durnwalder. Questi i nomi di quanti hanno preso
la parola (eccetto Tremonti), ma erano moltissime le autorità civili e militari presenti allo storico appuntamento, a cominciare dai nostrani, dal presidente della Provincia Giampaolo Bottacin, al senatore Maurizio Paniz,
all’assessore regionale Oscar De Bona, al presidente
della Magnifica Comunità Emanuele D’Andrea, al primario del Suem Angelo Costola, ai tanti sindaci e non
da ultimo, al sindaco di Auronzo Bruno Zandegiacomo
Orsolina che ha pubblicamente salutato e ringraziato il
presidente della Repubblica. Numerose anche le testate giornalistiche e televisive accreditate.
Piace Napolitano, per la sue misurate e spontanee parole, raccoglie applausi, ma fissa anche dei principi: ora
le Dolomiti fanno parte del patrimonio dell’umanità e sono affiancate alle isole Eolie, a conferma dell’inscindibilità del nostro patrimonio di storia e di bellezza che fa
grande la nostra Italia, da nord a sud. Ora su questo riconoscimento bisogna lavorare, ora contano i comportamenti di ciascuno per salvaguardare una ricchezza comune da trasmettere alle future generazioni, ora bisogna
superare le divisioni regionali perché ormai le Dolomiti
sono area di montagna aperta all’Europa.
Questo riconoscimento è dunque un’opportunità nel
mondo globalizzato, è anche una sfida sulle idee migliori, è una necessità per andare avanti. Staremo a vedere
se il messaggio verrà recepito appieno e non si litigherà
sulla sede della Fondazione (“ogni 2 anni cambi provincia”, propone il ministro Prestigiacomo), e si comporranno gli attriti coi potenti vicini (Durnwalder fischiato
per il suo discorso, parte in tedesco).
Renato De Carlo
“BENVENUTO
PRESIDENTE”
Il riconoscimento
UNESCO è una
opportunità e una sfida
Auronzo
25 agosto
2009
Foto
Andrea e
Luciano
e Andrea
Solero
DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE
Napolitano col ministro Prestigiacomo, i presidenti delle regioni
Galan, Tondo, Dellai, Durnwalder, il sindaco di Auronzo
Zandegiacomo (a sx) e il direttore Unesco Bandarin (a dx)
TRA LA GENTE
n velo di tristezza
U
aleggiava sulla cerimonia di martedì 25 agosto
ad Auronzo. Per la popolazione locale e i numerosi
turisti è stata un’attesa
composta, rispettosa del
dolore e del lutto per la tragedia che ha visto la morte
di quattro operatori del
Suem di Pieve di Cadore.
Bandiere tricolori ai balconi e lungo la strada principale, completamente transennata nel tratto dal Municipio fino a Piazza S. Giustina.
Il pubblico assiepato sui due
lati della strada era composto da famiglie, giovani,
bambini, anziani presenti
per le ultime giornate di ferie e per una occasione particolare come la visita del
presidente Giorgio Napolitano per la cerimonia dedicata alle Dolomiti, dichiarate dall’Unesco patrimonio
dell’Umanità.
Poco dopo le 11 giungeva
l’auto presidenziale accompagnata da quattro motociclisti della scorta. Ne è sceso Giorgio Napolitano, accompagnato dalla consorte
Clio, tra i calorosi applausi
della gente. Dopo l’omaggio
dei bambini delle scuole
l’ingresso nella tensostrutttura colma di invitati per la
cerimonia vera e propria
che il folto pubblico ha potuto seguire dall’esterno grazie allo schermo gigante.
Profonda commozione ha
suscitato il ricordo delle
quattre vittime del Suem per
Carla Zandegiacomo
le quali è stato chiesto in
apertura di cerimonia un minuto di silenzio. Quindi il
canto di vari coristi cadorini
- una selezione di appartenenti ai cori del Cadore - diretti per l’occasione dal maestro Benedetto Fiori. Proprio “Signore delle Cime” di
Bepi De Marzi è sembrata la
preghiera più degna in memoria dei caduti.
Il pubblico ha seguito poi
con attenzione gli interventi delle autorità. La gente ha
apprezzato le parole di Lorenzo Dellai, presidente
della provincia autonoma di
Trento, che ha chiesto alle
istituzioni statali e comunitarie di fare di più per la
montagna e per chi ci vive e
ci lavora, specialmente nel
settore primario. “La montagna senza gli allevatori, è
come Venezia senza gondole” ha detto Dellai con una
immagine molto ef ficace.
“Bisogna fare di più per la
montagna anche perchè il
suo peso politico è praticamente nullo”. Quindi il presidente Giancarlo Galan
Ornella Doriguzzi
che ha voluto sottolineare il
valore assoluto delle Dolomiti come vero e proprio
simbolo di bellezza, ma anche di serietà e solidarietà
della gente che in monta-
Giancarlo Mattietto
gna si ostina a vivere. “Da
teatro di guerre fratricide a
simbolo di pace e lavoro comune. Questa è la ricchezza delle Dolomiti” ha concluso tra gli applausi.
Concorde l’opinione della
popolazione auronzana sull’opportunità di svolgere
ugualmente la cerimonia
da tempo programmata e
per la quale l’organizzazione è stata particolarmente
complessa. Giancarlo Mattietto ne è convinto: “Sono
davvero contento che la cerimonia si sia volta. Quello
che è successo è un fatto tragico ed è giusto ricordare chi
è morto compiendo il suo dovere dedicandogli la cerimonia. Le polemiche vanno lasciate da parte”. Ornella
Doriguzzi: “Questa visita
del presidente Napolitano è
per noi una cosa bellissima.
Era programmata da tanto
tempo e non poteva certo essere annullata. Sono orgogliosa per questo riconoscimento che viene dato alle
nostre montagne”. Ancora
più decisa è Carla Zandegiacomo: “Nei giorni scorsi
sono state fatte delle polemiche assurde e ingiustificate
che non mi sono piaciute.
Penso che nella decisione di
qualche sindaco di non venire ad Auronzo in una occasione così importante e significativa, vi sia dell’invidia verso il nostro paese”.
Livio Olivotto
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I “Veci del Cadore” sono accorsi
ancor più numerosi
ANNO LVII
Agosto-Settembre 2009
Pieve di Cadore
VALORI ANTICHI E
NUOVI DEL GLORIOSO
“BATTAGLION CADORE”
imane salda la disciplina alpina, ma il cuore è a Pieve
R
di Cadore col proprio disciolto Battaglion Cadore. L’avevano detto, l’hanno fatto. I Veci del Cadore unitamente alla
Sezione Ana Cadore sono accorsi ancor più numerosi quest’anno, con le loro famiglie, hanno riempito la bella piazza
Tiziano con una selva di vessilli e labari, e, deposta una corona ai caduti, sono scesi in lungo e ordinato corteo alla Caserma P. F. Calvi per i discorsi ufficiali. Mancava il picchetto
d’onore del 7° Alpini, già da tanti anni non si vede più la fanfara, però lo spirito di queste penne nere è rimasto intatto
nel ricordo dei commilitoni caduti nelle guerre, degli eroismi del Battaglione sul fronte di guerra greco, del cameratismo negli anni recenti passati nella caserma Calvi.
“Il 7° Alpini è il nostro riferimento - ha detto il generale Bisignano, presidente dell’associazione - però chiediamo rispetto
e vogliamo essere fedeli ai nostri principi”. E il sindaco Ciotti,
forte del sentimento di tutta la popolazione: “Siete venuti qui a
Pieve di Cadore, pur sapendo concomitante un’altra cerimonia
importante a Belluno, noi come Cadore ci sentiamo più uniti e
più forti”. Inutile sottacerlo, i Veci del Cadore e lo striscione
della Sezione ANA Cadore non sono scesi a Belluno, peraltro
strapiena di penne nere e di autorità civili e militari, per rivendicare il diritto d’esistere in un’era di globalizzazione che fa
saltare ogni caposaldo. L’ultima domenica di agosto è stata, è
e sarà la festa del Battaglion Cadore, il cui gagliardetto custodito alla fine dell’ultima guerra dal tenente Alfredo Molinari è
conservato nella Caserma “Pier Fortunato Calvi”.
Un appuntamento toccante anche per chi alpino non è stato. Di primo mattino la santa messa in suffragio ai caduti nella chiesa arcidiaconale, poi, tutti schierati in piazza Tiziano
dove giunge anche la bandiera del Comune di Pieve decorata
di medaglia d’oro al valor militare per i fatti del 1848, mentre
sulle note del Piave e Trentatre la Banda di Dueville riscalda
l’atmosfera. Lo speaker ten. col. Gianluigi Rinaldi commenta,
ringrazia i partecipanti e le Sezioni alpini presenti, non da ultima la Sezione Abruzzi che ha voluto essere a Pieve per ringraziare il Cadore e gli alpini dell’aiuto offerto. Si susseguono
gli applausi. “At tenti!” Viene reso onore ai caduti cadorini da
parte delle autorità e dei Veci, posando una corona sotto la lapide del Palazzo della Comunità. Viene ricordato e reso
omaggio all’equipaggio dell’elicottero del Suem precipitato
sabato 22, e per loro, le note del Silenzio e gli applausi.
E’ il momento della sfilata: al rullo dei tamburi e sulle note
delle canzoni alpine, le penne nere dalla bala rossa lasciano
piazza Tiziano e sfilano orgogliosamente, a file, fra una selva
di vessilli, fino a Tai dove riprendono posizione nel cortile dell’amata Caserma Calvi per i discorsi di rito. Fra le quasi 1000
persone che qui s’assiepano (alpini, familiari, autorità civili e
militari) c’è il col. Preti che viene dalla Sardegna e regge il
glorioso gagliardetto del Battaglion Cadore, c’è il gen. Papini
già comandante della caserma e della Brigata Cadore, c’è il
presidente della Sezione Ana Cadore Antonio Cason, c’è il
ten. col. Monaco che porta i saluti del comandante del 7° Raggimento Alpini. A seguire, il discorso del gen. Gianni Monti
già comandante del Battaglione. “Ai caduti di tutte le guerre di
Pieve di Cadore va il nostro primo pensiero, unitamente alla riconoscenza di aver anteposto il dovere ad ogni altra considerazione. Accomuniamo nel ricordo anche i Veci che con i loro racconti e i loro scritti hanno rese vive le vicende di guerra del Battaglione”. “Anche i non cadorini hanno imparato a conoscere e
a stimare durante il servizio prestato lo spirito di corpo del Battaglione, così come il nome delle compagnie, 67ma, 68ma,
75ma, 167ma, C.C.. Vincolo morale che si eleva nel tempo”.
Il saluto infine del gen. Romano Bisignano presidente dei
“Veci del Cadore”. Questa è la nostra 53ma adunata, lo ricordo con una punta di polemica per rivendicare il diritto
dell’associazione a riunirsi in questo giorno. Noi siamo qui
per onorare i nostri caduti e rinverdire le tradizioni del nostro
Battaglione Cadore.”
Servizio di
Renato De Carlo
53a adunata
domenica 30 agosto
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Lettere & opinioni • Lettere & opinioni • Lettere & opinioni
Lʼ “AGE DʼOR” DI GIOʼ LIVA E
I SALUTI DELLA CREPALDI
OLGA DE MASO HA LASCIATO CORDOGLIO PER TILDE DAL
IL SUO CARO BORTOLETTO PONT VED. NICOLOʼDE SANDRE
Carissimi tutti,
ho ricevuto la rivista alcuni giorni fa. Speravo di venire in Italia, però non è
possibile, in agosto dovrò… e poi si vedrà.
Mio marito si diletta a fare della pittura senza pretenzione, però ad un concorso de “L’age d’or” ha
esposto alcune cose che sono piaciute, le ho fotografate e ve le mando, se le mettete sul giornale sarà una
cosa gradita a mia figlia e a
Gentile Direttore,
le invio questa mia con la
triste notizia che è morta la
mia sposa di 85 anni, 62 anni sempre assieme, abbiamo creato una famiglia degna dei nostri sacrifici.
Non resta che chiedere a
lei di mettere sul giornale Il
Cadore la sua foto di quando Olga De Maso aveva 83
anni. Al funerale molta gente, mio figlio Luigino medico e Vittore che è avvocato
e abita con me.
Se fa questa gentilezza le
sarei molto grato, a lei un
forte abbraccio unito al personale del giornale.
mia sorella di Calalzo.
Mandiamo tanti auguri
cordiali a tutti.
Enrica Liva Crepaldi
Laval - CANADA
luglio 2009
Complimenti a Giò. Avrei
voluto avere maggior spazio e
qualche notizia in più per presentare questo suo hobby; spero lo si possa fare in seguito.
Tanti auguri alla Signora
Enrica che tutto si sia risolto e
possa venire serena in Cadore
a ritrovarsi coi familiari.
Giò Liva festeggia con la moglie
Enrica Crepaldi gli 84 anni il
20 giugno 2009
La mia Olga è morta davanti casa il giorno 7 di giugno alle ore 11 prima di
mezzogiorno. Mille grazie
Bortoletto Coletti
Londrina - BRASILE
giugno 2009
A lei caro Bortoletto e ai
suoi familiari le condoglianze più affettuose.Ormai tutti
conosciamo la sua sposa Olga De Maso, di Nebbiù.
Sintetico e toccante il riassunto della vostra unione:
CALALZO - Molta gente ha porto a Calalzo l’estremo
“Abbiamo creato una famiglia degna dei nostri figli”. saluto a Tilde Dal Pont, la vedova di Nicolò De Sandre,
E’ un bel traguardo e ne può mancata a 82 anni dopo alcuni mesi di sofferenze.
Durante la cerimonia funebre ha parlato il parroco don
essere fiero in questo moLorenzo Menia, ricordandone con parole appropriate la
mento doloroso.
figura e le benemerenze. Le ceneri sono state poste al cimitero di San Vito accanto al corpo del marito, l’indimenticabile Nicolò, mancato alcuni anni fa dopo una intensa
vita di funzionario nelle Apt cadorine, in quella ampezzana e nella Magnifica Comunità di Cadore.
COMUNICAZIONE
Il direttore si scusa con quanti abbiano visto pubblicata la propria lettera in ritardo o non appaia su questo
numero. Ciò è dovuto alla programmazione del giornale.
AUGURI A EZIO E BEPPINA
CADORINI LONTANI, SEMPRE PIUʼ LONTANI...
Caro Direttore,
mi hai chiesto perché
non sono venuto alla manifestazione di Zoppè formalmente dedicata ai Cadorini lontani.
Tanti auguri a
Non sono venuto pur
Ezio Da Corte essendo un’oriundo ane a Beppina
ch’io, perché ho avuto la
Serafini
sensazione, che mi augudi Valle
ro sbagliata, di non sentirdi Cadore
la più come la festa nella
che hanno
quale i cadorini lontani
festeggiato
sono considerati protagoil 30 maggio
nisti; ma soltanto spettatoil loro 45°
ri di una manifestazione
anniversario
allargata d altre iniziative
di matrimonio. della Magnifica Comuni-
tà; iniziative tutte validissime ma… fuori luogo.
Non sono certo poi che
inviti personalizzati siano
stati mandati per tempo a
tantissimi cadorini che vivono fuori della Piccola
Patria, in Italia e all’estero. Bastava scorrere la lista degli abbonati a Il Cadore per identificarli e
contattarli. Non basta un
tardivo comunicato stampa o altro per risolvere
questo semplice problemino. Mortificante poi il
fatto che gli uffici della
Magnifica siano raggiun-
gibili solo un’ora al giorno
nei giorni della settimana,
se non per e-mail.
E’ comprensibile pertanto, che alla “Festa dei
Cadorini lontani” partecipino sempre meno cadorini lontani, perché si sentono forse troppo lontani
dal Palazzo e quasi degli
estranei.
Scusami per mio questo
sfogo amaro, ma sarò felicissimo di essere smentito
il prossimo anno con un
robusto recupero della cadorinità di chi vive altrove.
Tuo Emanuele De Polo
cadorino “de fora”
a Venezia
Fa male leggere questo
sfogo da Emanuele che, più
d’ogni altro e per oltre dieci
anni, dalla direzione de Il
Cadore ha tessuto affettuosi
e corrisposti rapporti con i
tanti Cadorini sparsi nel
Mondo e desiderosi di sentirsi partecipi fra la gente
della loro originaria terra.
Il presidente D’Andrea di
sicuro leggerà e risponderà.
Certamente bisognerà attivare canali preferenziali per
gli ancora pochi, anziani, affezionati Cadorini lontani.
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Lettere & opinioni • Lettere & opinioni • Lettere & opinioni
NENE LIDIA DI CIBIANA COMPIE 100 ANNI E FESTEGGIA CON IL SINDACO E NIPOTI
Lidia De Zordo di Cibiana ha festeggiato lunedì 24
agosto i cent’anni mostrando una splendida forma fisica, solida memoria
ed una spiccata arguzia.
Attorniata dai nipoti Gianni, Nives, Adua e Antonia
giunti anche da Pavia e
dalla Germania per festeggiare la néne, a fianco del
sindaco di Cibiana Guido
De Zordo che non ha voluto mancare portandole un
bel mazzo di fiori, Lidia ha
tagliato la torta e voluto
brindare “a tutti, perché
tutti mi hanno voluto in
questi anni molto bene”.
Quale sarà il segreto di
tanta longevità? “Ho lavorato tanto”, risponde.
Nata a Brunico nel 1909
dove il padre Giovanni ave-
va trovato occupazione, Lidia cominciò a 14 anni a
guadagnarsi il pane dapprima in Italia poi in Germania ed infine a Cibiana dove
lavorò alla FIOC per 20 anni. Essendo nubile, si dedicò ad allevare i nipoti ma
anche a produrre “scarpet”
che andava a vendere di
persona a Cortina.
Invecchiando e rimanendo sola, una decina d’anni
fa circa decise di entrare in
Casa di riposo a Tai di Cadore, dove ha trovato un’altra famiglia, sentendosi a
proprio agio coccolata dall’intero personale.
Non credeva di arrivare
a questo traguardo, néne
Lidia, però - dice - benvengano tanti altri compleanni
così.
SI FACCIA MANUTENZIONE SUI PONTI TOGLIENDO LE PIANTE
NON SI SA MAI, LA FERROVIA POTREBBE TORNARE UTILE
Poco tempo fa, un giornale riportava che la tratta ferroviara Padova Calalzo potrebbe essere soppressa
per mancanza di personale. Lo scrivente, che abita a 10 metri dalla linea
Ponte Nelle Alpi - Calalzo, è facilitato
nell’osservare più volte i convogli
che sferragliando transitano, riuscendo a contare all’interno delle
carrozze le teste dei passeggeri.
Mi chiedo: chissà quando e quale
sarà il pretesto che questa povera linea verrà definitivamente soppressa!? Perché non a torto, i passeggeri
sono veramente rari, eccetto a fine
anno, Pasqua e ferragosto, superano
di poco il numero delle dita delle mani. Vicino alla mia abitazione c’è la
bellissima costruzione del ponte ferroviario che valica la profonda forra
del torrente Valbona, un’opera alquanto imponente, ma che
purtroppo è minata dalle piante arboree che vi crescono
dalle fessure stesse del ponte
e come si sa la lenta e continua forza della pianta, sgretola il manufatto con estrema facilità. Potrebbe essere questo
il fenomeno che causa il pretesto di una possibile chiusura
della linea ferroviaria? Se dovesse essere per motivo ecoGRANDE MAGAZZINO
nomico lo potrei anche capire,
E LABORATORIO SPECIALIZZATO IN: ma se la chiusura dovesse avvenire per il cedimento del
manufatto a causa dalle radici,
TENDAGGI
magari poi seguito da una scu(Oltre 200 varianti sempre pron sa che la manutenzione costerebbe troppo, beh, sarebbe
TAPPETI...
veramente assurdo.
Sono stato in Brasile e nella
(Classici - Moderni - Rustici).
cittadina di Tubarao c’è un mudel treno, un buon numero
GRANDE MAGAZZINO
IT seo
L
tra
locomotive
e vagoni, che
A
LORENZO
tappezziere
LORENZO tappezzie
PERSIANI
ETAPPETI
LABORATORIO
SPECIALIZZATO IN: QU
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Consegnato un attestato
di benemerenza dalla
amministrazione di Pieve
tra l’altro, vengono riparati e
verniciati in una officina meccanica con disparate attrezzature,
ma nonostante ciò sono messi a
nuovo da volontari in pensione
uniti dalla loro associazione. Eba 70 anni in Piazza Tiziano è aperto albene, il convoglio risistemato,
la clientela l’elegante negozio “Palusbuffando vapore dal camino
detti Calzature”, avviato da Antonio poi pasesce dall’officina museo pronto
sato 40 anni fa a Carmelo Paludetti. Una perper la sua destinazione, che posona, Carmelo, capace, benvoluta e attiva nel
trebbe essere un enorme parco,
settore in cui è stato più volte presidente del
oppure un tronco ferroviario
locale Consorzio commercianti, nel Rotary
dismesso. Esperienza già pratiClub Cadore e Cortina di cui è stato presicata. Il viaggio dura circa una
dente, nel settore sociale dove si è prestato
giornata e in carrozza si ascolta
alle iniziative anche come sponsor.
musica dal vivo con chitarra e fiMeritatissimo dunque l’attestato di benesarmonica dove si canta e si balmerenza conferito alla Ditta “Paludetti Calzala. Ad ogni stazione che presenture” dall’amministrazione comunale nella
ta la sua caratteristica costruziopersona del sindaco Maria Antonia Ciotti, che
ne, c’è una tappa di circa mezha scelto per la cerimonia una manifestazione
z’ora, dove all’interno o sulla
importante fra quelle dell’anno internazionapensilina sono allestiti dei banle dell’astronomia, presentata all’Auditorium
chi per chi vuol fare delle compere, bere, assaggiare le specialità, fotografare, ecc...
Quello che al momento desidero
suggerire per la linea ferroviaria te quelle piante dai ponti; non si sa
Ponte Nelle Alpi - Calalzo non è cer- mai, forse un domani la tratta potrebtamente la sua chiusura per copiare be ritornare utile proprio a scopo tunell’immediato l’iniziativa di uno Sta- ristico museale.
to emergente, che sarebbe anche fatMilo Mazzucco
tibile, ma almeno si disboschino tutOspitale
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NEBBIUʼ - 1a EDIZIONE DEL PREMIO DI
SCRITTURA FANTASTICA PER RAGAZZI
Q
ualcosa di nuovo si è aggiunto quest’anno alla tradizionale Sagra di
Nebbiù, nato per l’idea dell’Ass. Turismo
& Servizi Stampa, che ha fornito i premi
consistenti in libri, e della Biblioteca dell’Ass. Pro Nebbiù, che ha curato il tutto: si
tratta della prima edizione del Premio di
Scrittura Fantastica per Ragazzi, dedicata
appunto ai ragazzi delle Scuole Primarie e
Secondarie, suddivisi i due gruppi: fino ai
10 anni e dagli 11 ai 15; il tema era: “Racconta la tua storia, narra la tua favola, inventa la tua leggenda.
Dagli elaborati pervenuti alla Segreteria,
non essendo tantissimi, la Giuria ha voluto
riconoscere il primo premio ex equo a due
coetanee di 10 anni: Jasmine Case di San
Gregorio delle Alpi, e Camilla Costella di
Pozzale di Cadore, rispettivamente per i
racconti: «L’Orso e la bambina» e « Augusta e la Fatina ». La prima per il taglio “giornalistico” con una narrazione essenziale e
scorrevole, la seconda per fantasia ed il finale inconsueto ed a sorpresa.
A premiato le mini-scrittrici, l’ Assessore alla Cultura del Comune di Pieve, prof.
Giovanna Coletti, che ha voluto evidenziare l’ottima qualità della loro narrazione,
incoraggiandole a proseguire con l’auspicio che tanti altri ragazzi/e seguano il loro
esempio semmai ci fosse un proseguo dell’iniziativa, con magari un II° Concorso
che coinvolga, appunto, altri giovanissimi
scrittori, iniziativa che l’Assessore non ha
mancato di elogiare.
Attestato e libri sono stati premi, tra cui
quello con dedica personalizzata dell’autore: “ In parole povere” di Antonio Alberti,
che è anche curatore della Biblioteca e del
concorso; ed infine, le ragazze hanno provocato la fortuna, ottenendo 10 biglietti ciascuna legati alla grande pesca di beneficenza; biglietti offerti dalla Ass. Pro Nebbiù
che è promotrice della Sagra medesima.
Antonio Alberti
Camilla Baldovin
(a destra)
e Jasmine Case
vincitrici ex equo
del premio
I Ragazzi Raccontano
AUGUSTA E LA FATINA
M
olti anni fa a Nebbiù
una piccola bambina
vestita di azzurro con una
cesta di mele in mano e una
bambolina nell’altra si diresse verso il Rù per osservare
i girini. Mentre guardava
con tenerezza quei piccoli
esseri viventi una voce la interruppe: Aiuto, aiuto, qualcuno mi aiuti! La voce arrivava da un piccolo pesce
rosso che si muoveva ansimante sulla terra ferma.
Tu puoi parlare?! - chiese
preoccupata la bambina osser vando l’animale con i
suoi dolci occhi.
Tutti gli animali possono
parlare basta ascoltarli veramente. Comunque questa notte durante la tempesta sono
stato trasportato a riva, ti prego rimettimi in acqua!
La bimba lo prese in mano
e lo posò delicatamente in
acqua. Il pesce si fece un giretto sotto acqua e poi tornò
a riva, fatto questo si illuminò una luce e al posto del
pesce appar ve una piccola
fatina: Ti ringrazio, allora
come ti chiami?
Io mi chiamo Augusta!- rispose la bambina sorridendo.
Bene Augusta, per ringraziarti del tuo gesto gentile ti
donerò la possibilità di avere
tre desideri a tua disposizione. Ti serve qualcoa in questo momento?
I 70 ANNI DELLA DITTA PALUDETTI CALZATURE
COS.MO di Pieve di Cadore l’11 luglio. L’evento presentato quest’anno dal Museo dell’Occhiale di Pieve e dall’Associazione Astronomica di Cortina d’Ampezzo con mostre,
conferenze, dibattiti, proiezioni cinematografiche, ha visto infatti interessato alla promozione il negozio “Paludetti Calzature”.
Chiamato sul palco all’inizio della serata,
Carmelo Paludetti ha voluto così ringraziare:
“20 luglio 2009 anniversario dei 40 anni dallo ‘sbarco sulla luna’; gli americani con questa
conquista hanno lasciato una impronta indelebile nella storia dell’umanità... 70 anni di
commercio in Cadore della mia azienda avrà
lasciato una impronta indelebile nel cuore dei
cadorini? Lasciare una impronta significa: esserci, esistere, avere una identità, una riconoscibilità, un senso di appartenenza, delle radici profonde...
70 anni di attività commerciale, all’ indiriz-
zo attuale ma che allora era il numero civico
39. Sì, perché già prima di quella data, mio
padre Antonio, di San Giacomo di Veglia veniva in Cadore col suo carretto carico di scarpe, carretto trainato da due cavalli; faceva tutte le fiere paesane: Auronzo, Santo Stefano,
Lorenzago, Domegge, Valle di Cadore, Pieve e
. . . molti altri paesi del Cadore.
Grandi eventi, accanto a piccoli eventi, ma
anche i piccoli eventi assumono un significato
profondo per chi li vive in prima persona, perché la passione e la dedizione che li contraddistingue e li sostiene, lungo gli anni, nel mio
caso ben quaranta, è sempre la stessa. Ma ciò
che di grande e di piccolo si fa, lo si fa assieme
ad altre persone, ed è per questo che, oggi, desidero ringraziare, accanto a mia moglie e alla mia famiglia, tutti i clienti, per avermi consentito di raggiungere questo splendido traguardo. Grazie.”
No ora non mi serve niente! rispose la bambina.
Allora ti saluto! - salutò la
fata e poi scomparve. Passarono molti anni e Augusta
era ormai una persona adulta e dato che a quel tempo
era molto complicato avere
figli corse al fiume a trovare
la fatina. Buon giorno è da
tempo che non ci vediamo! esclamò lei.
Mi dispiace è che ora ho
un marito, Adamo, e sono
adulta quindi molto impegnata!
Hai bisogno di qualcosa? chiese la fata.
Sinceramente sì - disse la
ragazza, quindi chiuse gli occhi e esclamò: Vorrei avere
molti bambini! Infatti negli
anni seguenti ebbe otto bambini: Arturo, Angelo, Rina,
Nelso, Bepi, Giovanni, Ornella e Francesco.
Passarono gli anni e Augusta ritornò al fiume dalla fatina per esprimere un altro desiderio: Ora ho molti figli non
mi manca niente ma vorrei
che i miei bambini avessero la
stessa fortuna che ho avuto io!
Infatti in famiglia ora sono
cinquanta!!!
Passarono molti anni e ormai Augusta era diventata
vecchia e stanca, si recò di
nuovo al ruscello: Allora cosa
desideri? - chiese la fata.
Nulla - rispose -. Ho molti
figli e nipoti, lontani e vicini,
ma siamo lo stesso una famiglia unita!
foto Albrizio
di Camilla Baldovin
Pozzale di Cadore
Va elementare
Ma allora cosa me ne farò
del tuo ultimo desiderio? chiese la fatina.
Donalo a chi ha più bisogno di me! - rispose Augusta
allontanandosi. Infatti la fatina prese alla lettera quel discorso e lo regalò a una famiglia bisognosa.
Ancora per molti anni la
fatina e Augusta si videro al
Rù mentre la donna lavava,
la fatina raccontava, ma poi
un giorno la fatina seppe da
un cer vo che Augusta era
malata. Volò subito a casa
sua e la osservò dalla finestra: era seduta sulla poltrona piccola, magra e stanca.
Allora la fatina esclamò: Per
tutti questi anni hai vissuto
gioie e dolori, allor io ti dono
una delle morti migliori.
Nella camera infatti entrò
Ornella che prese in braccio
Augusta per metterla a letto.
Lei si addormentò proprio
tra le braccia di sua figlia.
Io so di tutto questo: della
fata, dei desideri, della migliore delle morti perché in realtà
Augusta è la mia bisnonna, la
mamma del mio nonno Nelso. Per molti anni lei è stata la
donna più vecchia, ma anche
più forte di tutto Nebbiù.
LA FATA DEL RU’
C’E’ ANCORA
SI SENTE ANCHE NELLA
NOTTE PIU’ NERA
MA A ME NON FA PAURA
PERCHE’ DELLA
FAMIGLIA COSTELLA E’
UN’AMICA SICURA
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LA GRANDEZZA DEL CADORE
G
iovanni Sala Tuze, nato a Borca
1883 e morto nel 1965, era sposato
con una signora di Merano da cui ebbe l’unico figlio Marzio, che vive in Germania.
La famiglia Tuze era formata da sei fratelli: oltre a Giovanni c’erano Umberto, che
gestiva un emporio di generi vari non alimentari; Olivo, ufficiale degli alpini; Ortensia, andata sposa a Brescia; Ardennia
(1883), sposata a Vicenza e il suo gemello
Oreste (1883-1962), a sua volta padre di:
Ortensia jr (1927), Giovanni Battista “Tita” (1928), Olivo (11931), Ines (1934), Ardennia (1936), Umbertina (1937), Emma
(1942). Giovanni s’era laureato in scienze
forestali e combatté tutta la guerra volontario negli alpini. Fra i suoi meriti si ricorda che nel 1917, assieme al collega Gandolfi, aveva fondato La Trincea, seguendone i primi numeri fino a metà 1918 quando
il giornale, diventato popolare fra i soldati
del Piave, venne avocato dall’ufficio propaganda del comando supremo.
Ma l’impresa che lo ha consegnato per
sempre alla storia è la conquista del Passo
della sentinella, sulla Cima Undici, con la
perdita di un solo soldato. Una spedizione
alpinistica-militare sul filo dei tremila metri che gli avrebbe meritato la medaglia
d’oro. Le autorità l’assegnarono invece ad
suo sottoposto, aspirante ufficiale, di nome Italo Lunelli. Ma era un volontario
trentino, dunque un irredento e, per di
più, in seguito protetto dal partito fascista.
Giovanni Sala cui diedero invece la medaglia d’argento, si ribellò all’ingiustizia, iniziando una impervia <battaglia> per ristabilire la verità. C’era la testimonianza dei
suoi soldati e ufficiali; parlavano le sue relazioni sul campo; aveva l’appoggio autorevole di Antonio Berti, scrittore e alpinista che conosceva i luoghi; persino gli storici di guerra austriaci elogiavano quell’azione unica in tutta la guerra, che non avevano assolutamente previsto e che aveva
fatto loro perdere il prezioso , sul quale
stavano in posizione ideale per la difesa
gli austriaci. Inutilmente!
PRIMO ANNO DI GUERRA - 1915
Raccontiamo la storia di questo valoroso di cui il Cadore deve sentirsi fiero, soprattutto perché comandante militare con
minor perdita di vite umane. Eppure la politica lo ha tradito. Alla fine del primo anno
di guerra 1915 anche il fronte del Comelico, dal Monte Croce alla Croda Rossa e alla Cima Undici, era esattamente il medesimo di sei mesi prima, allo scoppio delle
ostilità. E, quasi al centro, continuava a resistere un passaggio chiave, sul quale si
di Mario Ferruccio Belli
Giovanni Sala
LʼEROE TRADITO
Era il segnale: dalle
caverne gli alpini
col capitano Sala
scivolarono fino al
Passo della Sentinella
e lo conquistarono
Nessuna riconoscenza
per lʼeroe di Borca
contrapponevano in posizione ideale gli
austriaci, detto della Sentinella per un
obelisco che tuttora lo caratterizza. Invano, e con molte perdite, l’esercito italiano
aveva cercato di rompere quella barriera.
In agosto s’era dissanguata una compagnia di fanteria; subito dopo ci aveva provato il battaglione alpini Finestrelle; in settembre ancora le fanterie. Alla fine di ottobre arrivò al comando del settore il generale Fabbri deciso a ritentare gli assalti
durante la stagione invernale. Ispezionò
più volte il fronte in compagnia del medico militare Berti e del capitano Sala, arrivando alla conclusione che il passo si poteva occupare calandosi dai 3000 e più metri di Cima Undici. Ma chi avrebbe osato
tanto? Il generale Venturi, che a metà novembre lo sostituì, fece suo quel piano audace e incaricò il capitano Sala di procedere.
Dal 9 al 25 gennaio 1916 Sala e suoi ufficiali ispezionarono segretamente la catena da entrambe i lati. Con il cannocchiale
studiarono ogni canalone, le cenge, le gole, gli anfratti, le forcelle, sempre nella
massima segretezza. Risalirono più volte
Val Giralba, accertando che il punto di
partenza per impossessarsi dell’immane
balconata di roccia doveva essere la Cre-
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sta Zsigmondi a quota 2850. Nell’estate
precedente, per fortunata combinazione,
il tenente De Zolt l’aveva già scalata, lasciando poco sotto la cresta un presidio di
tre alpini in un baracchino. Sala decise di
attrezzare quel percorso per operarvi anche in inverno. Da lassù l’avanzata sarebbe proseguita, lungo le creste fino alla Cima Undici che dai suoi 3100 metri e più
sovrastava l’agognato passo. Lo si doveva
percorrere con armi e carichi sia di giorno che di notte e senza che il nemico se ne
accorgesse. Bisognava evitare che i cannoni della Croda Rossa, proprio di fronte,
la neutralizzassero, ma pure guardarsi dai
telescopi puntati dai Tre Scarperi. Sarebbe stata un’impresa alpinistica anche d’estate, immaginarsi con il gelo e la neve di
quell’inverno! Era una sfida sia al senso,
ancor più ai manuali militari. Dunque proprio adatta agli alpini e al loro coriaceo comandante Sala da Borca!
GLI ALPINI CONQUISTANO
IL PASSO DELLA SENTINELLA
La dettagliata relazione, corredata da
un primo lunghissimo elenco di materiali,
fu sul tavolo del generale Venturi e, ancora prima della fine di gennaio 1916, arrivò
l’approvazione. Subito cominciarono le carovane a dorso di mulo, e in spalla, per far
arrivare sulla forcella Giralba baracche
smontate, stufe, combustibile, corde metalliche, scalette, piccozze, ramponi, vestiario, viveri, esplosivi, tavolati di ogni
misura e spessore, viveri in quantità, soprattutto grappa e vino. Il 30 gennaio
1916, in compagnia dell’aspirante Italo Lunelli, volontario trentino che i comandi gli
avevano aggregato, Sala si trasferì con il
suo piccolo comando sulla forcella, il punto più vicino alla Zsigmondy, e più sicuro
dagli occhi curiosi degli austriaci. Pernottò nelle baracche dell’artiglieria, il giorno
seguente si arrampicò sulla Zsigmondy e,
dopo aver stabilito i collegamenti telefonici, iniziò i sopralluoghi. Il 12 febbraio il generale Venturi, allarmato per la quantità di
materiale che la spedizione continuava a
richiedere ai magazzini divisionali di Auronzo, inviò il capitano Gregori a verificare. Egli era un alpino e esplorò il percorso
fino al punto più avanzato, una baracca
detta <la mènsola>, a m 2990, alla base del
torrione terminale di Cima Undici, dopo
di che stese una relazione che incominciava “Non è possibile immaginare quali difficoltà siano state vinte …”.
Il peggio, peraltro, doveva ancora arrivare. Il 21 febbraio il tempo si guastò. Per
giorni infuriò la bufera alternata nevicate;
era un succedersi di valanghe con isolamento dei posti avanzati e interruzione
delle linee telefoniche. Soltanto il 28 febbraio il capitano Rossi, della 96 Cp, riuscì
a stabilire un contatto telefonico con Cresta Zsigmondy, dove gli uomini erano allo
stremo, scarsi persino di candele e di tabacco. Il 12 marzo 1916, dopo numerosi
tentativi, Sala provò a calarsi in val Giralba, donde si fece portare ai comandi, mettendo in moto la macchina dei soccorsi e il
ricambio del personale ammalato o congelato. A forza di corvées il materiale ed i viveri arrivarono finalmente anche nei casotti più sperduti. Il 20, i reparti erano in
grado di riprendere l’avanzata. Il 23, l’alpino Menegus montava l’ultima ricovero a
3050 m, sulla forcella Da Basso, da cui si
dominava Val Fiscalina. Il 26, Sala comunicava che i preparativi erano stati comple-
tati e chiedeva teli bianchi mimetici. In
aprile incominciò l’armamento della linea.
Sul Popéra fu issato nottetempo un cannone da 65 puntato sulla Croda Rossa. Tutto
il crinale, tanto faticosamente impadronito, fu collegato con i comandi a mezzo di
telefoni ed eliografi. Dalla <mènsola>, che
da più settimane non aveva abbandonato,
Sala inviò il piano finale a Venturi, che lo
approvò, avocandosene il comando. L’assalto sarebbe stato fatto da due squadre di
venti uomini ciascuna, al comando dei tenenti De Poi e Iannetta. Il 16 aprile 1916
sul Popéra, ammantato di neve, l’artiglieria scatenò la tempesta. Era il segnale.
Dalle caverne dove avevano trascorso la
notte insonne, scivolarono verso l’ignoto
38 alpini, 2 ufficiali e il capitano Sala. La
sorpresa fu totale. Intontiti dallo scoppio
delle bombe a mano dei <diavoli vestiti di
bianco> i difensori del passo della Sentinella si arrendevano, con la perdita di un
solo uomo. Mai una conquista tanto brillante era stata pagata a così poco sangue.
PREMI E MEDAGLIE
Il resto è cronaca. Dopo i telegrammi di
compiacimento degli alti comandi e i tentativi vani degli austriaci di riprendersi
l’importante posizione, arrivarono i premi. Tutti gli <eroi>, che Sala chiamava
<mascabroni>, ebbero l’avanzamento di
carriera, agli ufficiali toccarono anche medaglie, fra cui quella d’argento a Sala e
d’oro, appunto, a Lunelli (il quale aveva
partecipato marginalmente all’azione conclusiva!). Conclusa la guerra iniziarono i
diari. Ma fu soltanto nel 1931 che il generale Venturi a raccontò l’impresa del 7° e
del 3° Alpini nel libro <La conquista del
passo della Sentinella>; mentre G. Lorenzoni lo riprendeva ancora più dettagliatamente sul mensile del corpo. Nel 1933
Giovanni Sala, nel frattempo nominato comandante dell’accademia forestale di Vallombrosa, pubblicava <Guerra per Crode>
che G. Fabbiani recensì su ASBFC, annotando, “Né l’uno né l’altro ce l’avevano raccontata con così abbondante materiale fotografico come ora hanno fatto Giovanni Sala, allora capitano degli alpini, e Antonio
Berti, ufficiale medico, ora primario nell’ospedale di Vicenza. Il racconto, che precisa
anche le persone partecipanti all’azione, ci
rivela episodi eroici di oscuri combattenti
ed è questo un gran merito della bella pubblicazione ”. A questo punto scattò la contro-campagna organizzata dalla Legione
trentina dell’associazione volontari di
guerra, con un opuscolo firmato dallo
stesso Lunelli. Quasi tirati per i capelli,
Berti e Sala pubblicavano la risposta <Postille al libro Guerra per Crode>. Apriti cielo! Il 28 ottobre 1933 Sala veniva convocato a Roma dal sottosegretario alla guerra,
il quale gli comunicava <per ordine del capo del governo la controversia doveva immediatamente cessare>. Siccome sui giornali continuavano le polemiche il 1 dicembre 1933, il ministro Baistrocchi, per ordine del <duce>, emanava un comunicato ufficiale che troncava ogni discussione. Nel
dopoguerra, ritrovata la libertà, Sala pubblicò <Crode contro crode>, con documenti
e fotografie.
Risultato? Nullo, a conferma di quanto il
falso sia spesso preferito al vero. La coltre
fascista aveva ormai reso verità le calunnie, purtroppo anche fra gli addetti, scrittori e giornalisti. Al centro del Popèra veniva intitolato un rifugio ad Antonio Berti,
ma il secondo rifugio creato sul costone
portava il nome non di Giovanni Sala bensì dell fratello Olivo! Peggio ancora, sui
prati di Selvapiana sorgeva un terzo rifugio intestato a Italo Lunelli, gestito dalla
guida Bepi Martini. Naturalmente i veti
dello sciagurato ventennio continuano a
colpire anche oggi. Giovanni Sala é stato
dimenticato persino nel suo paese che ha
dedicato una via non a lui ma ad Olivo.
Nel 1959 aveva scritto quasi come commiato: “Solo il tempo, giudice incorruttibile, permette che la verità trionfi, se la si
aiuta a trionfare”. E’ appunto questo che
abbiamo voluto fare, raccontando la gloriosa conquista ai lettori del Cadore.
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iusto 200 anni fa, nella priG
mavera del 1809, Napoleone sapeva estrarre per l’ennesima volta dal cilindro della sua
ineffabile strategia la soluzione
ad una difficilissima situazione
militare. Neanche un mese prima sull’Isonzo l’Austria aveva
presentato la dichiarazione di
guerra ed il Viceré Eugenio era
stato costretto a ritirarsi in tutta
fretta sul Tagliamento, ma poi
era bastata la battaglia dei 5 giorni per portare i soldati francesi
sotto le mura di Vienna. E quando l’Arciduca Giovanni tentò di
venire in soccorso alla capitale
congiungendosi alle forze dell’Arciduca Carlo l’Armata d’Italia
lo sconfisse a Conegliano ed
ostacolò in ogni modo la sua ritirata dal Veneto. Il Bellunese venne quindi a trovarsi tra l’incudine
ed il martello, scontando anzitutto le opposte esigenze di attaccanti e difensori, con tutto l’ineffabile rosario di requisizioni, incidenti e violenze.
Il generale francese Rusca per
Trento e la Valsugana puntò subito verso il Cadore per fiancheggiare il Principe Eugenio che inseguiva l’armata austriaca e la
valle del Piave assistette alla ritirata del Gen. Schmidt con 4000
soldati e 200 cavalli imperiali. La
retroguardia di questo corpo, comandata dal cap. Zuccari, con
circa 400 uomini croati e tirolesi,
il 10 maggio cercò di resistere a
Perarolo, alla confluenza del Boite nel Piave, per dar modo al
grosso di ritirarsi in tempo verso
Ampezzo. Si accese un accanito
13
La battaglia degli austriaci a Perarolo nel 1809 contro i napoleonici
SATIRA DURA SENZA PAURA
Don Giuseppe De Vido
non era certo un ammiratore di
Napoleone e ben prima del 1809
aveva già messo in circolazione in
Cadore due feroci satire contro
il grande còrso
scontro intorno al ponte di S.
Rocco e alla fine lo stesso Zuccari, ferito ad una coscia, dovette risalire verso Damos e fuggire
quindi verso Pieve di Cadore.
La battaglia di Perarolo costò
ai francesi 8 morti, poi sepolti a
Perarolo, e 57 feriti, mentre gli
austriaci ebbero, tra morti, feriti
e prigionieri, 25 uomini fuori
combattimento, cui però andrebbero aggiunti molti soldati gettati morti in acqua e un numero
elevato di disertori.
In quel bailamme restò coinvolto pure don Giuseppe De Vido, originario di S. Vito e Parroco di Perarolo dal 1779 fino alla
morte, inter venuta nel 1826. Il
nostro non era certo un ammiratore di Napoleone e ben prima
del 1809 aveva già messo in circolazione in Cadore due feroci
satire contro il grande còrso.
Nella prima, di circa 400 versi,
per lo più senari, ma anche quinari, rimati ABBC, racconta di
un spaventoso sogno fatto, con
Napoleone infermo che lo chiama al suo capezzale per un consulto: la diagnosi in verità è piuttosto semplice: “Provinzie e Regni / voi divoraste: / voi tracannaste / il sangue uman. / Ora un
ammasso / chiudete in petto / sì
maledetto / che non so dir.” Il rimedio? Liberarsi naturalmente,
magari con l’aiuto di acqua tiepida, di un “vomitorio” e di un “cagatorio”: “E che l’Italia / con
grand’affanni, / con gli urli strani / vomiterè. / E co’ un rabioso /
dolor de panza / anca la Franza /
vu cagarè”.
Quali le colpe imputate a Napoleone? Di essere stato il carnefice di mezzo mondo, di aver fatto
morire più d’un milione di persone, di aver escogitato “mile trapole” per arricchire se stesso ed i
suoi intendenti, di aver emanato
leggi contradditorie e confuse,
che minacciavano i diritti della
Chiesa e disprezzavano tutti i riti
religiosi.
Nella seconda composizione,
noscenza sicura su di un determinato argomento. E questo argomento è il legname con alcune
delle sue implicanze. Già il nome
di taia, che sta per tronco, indica
che solamente coloro che armeggiano nel bosco sanno riconoscere immediatamente quanto
sto scrivendo. Ma se si prosegue
con zochi da schei dove zochi sta
per ceppi e schei per denaro, oppure per remi da mercanzia, scorza od anche tressi (che sono quei
legni usati per le seggiole, i piuoli che servono a tenere unite le
scranne), allora qualche spiegazione risulta essere del tutto utile
perché si tratta ormai di nomi del
tutto desueti.
Ad esempio: il dessalvo. Nel Vocabolario ampezzano sta per disboscare radunando i tronchi e
specifica che i legnami mercantili, una volta tagliati, restano al posto del taglio perché spesse volte
impraticabile alle bestie da tiro.
Nomi desueti nei
lavori boschivi
Eʼ ormai difficile
districarsi tra
taie, boai e risme
Sul tardo autunno, quando il terreno diventa sdrucciolevole o
per piogge cadute o per il primo
gelo, allora i tronchi vengono radunati in luoghi opportuni per la
condotta, facendoli scivolare giù
per i canaloni ripidi. Due sono i
comuni sistemi di dessalvo: i boai
e le risme. Si usano i boai quando
il tratto da percorrere è breve, diritto ed in forte pendenza; le risme, invece, quando il tratto è
lungo, con svolte e minore pendenza. Il boai, sostanzialmente, è
una cunetta naturalmente scavata, dall’alto al basso, sul dorso del
monte, entro la quale vengono
precipitate le taie. A furia di farle
scivolare si scava sempre di più
nel terreno e si finisce col servi-
di circa 50 versi, per lo più novenari a rima baciata, si descrive
l’attesa di Napoleone e dei suoi
seguaci all’inferno, dove l’imperatore pagherà il fio delle tante
maledizioni lanciategli: “Meledetti li Francesi / maledetti i Milanesi / maledetti i Bellunesi / tutti in
fondo dell’inferno / maledetti in
sempiterno”. Come si vede il nostro non aveva davvero peli sulla
lingua, neanche nei confronti
delle autorità della provincia di
Belluno appena sorta, responsabili, secondo lui, di essere state
fin troppo prone al volere dell’invasore.
I francesi vennero a conoscenza di queste poesie e lo ricercarono, cosicché don Giuseppe fu costretto a fuggire da Perarolo e a
nascondersi in un convento del
Montello.
Al ritorno degli austriaci era
tornato a Perarolo e forse mai
avrebbe immaginato che proprio
preso il suo paese si sarebbe
combattuta un’importante battaglia il 10 maggio 1809. Il De Vido, che aveva notevoli conoscenze mediche e chirurgiche, si prodigò assai per curare ed assistere in canonica i molti feriti francesi, tanto che il Rusca ne riferì a
Napoleone, che non solo annullò
la precedente condanna, ma nominò addirittura il De Vido vescovo onorario di Torcello.
Si dice però che don Giuseppe,
ricevuto il foglio di nomina mentre si trovava seduto in canonica
accanto al fuoco, lo gettasse senza esitazione tra le fiamme. Coi
francesi non voleva aver a che fare, anche se in verità seppe
(segue a pag. 14)
DEL TAGLIALEGNA
IL LINGUAGGIO
l discorso che farò sembrerà
I
ai più un linguaggio per iniziati, adatto cioè a chi ha una co-
di Walter Musizza
Giovanni De Donà
re meglio allo scopo. Se poi vi è a
portata di mano dell’acqua, la si
getta sopra ed allora le taie... volano. La risma è un sistema alquanto più complesso perché più
lunga dei boai e può essere paragonata ad un vero e proprio canale, fatto con le taie stesse. Quelle
che formano la sponda sono
esternamente fermate con paletti, quelle del letto sono fermate
testa contro testa. Le lunghezza
della taia (quattro metri) costituisce un segmento della risina
la quale ne può contare anche
qualche centinaio.
Ecco la memoria sul contratto
da farsi per la condotta delle taie
tra la Regola di Calalzo e quella
di Padola: “1°- La strada dovrà esser a peso della Regola idest tanto
li danni che venissero fatti nel
condurle dal Capitello più nei boschi di Padola, anzi dovrà essa
Regola monirsi della licenza e permesso; 2°- Non saranno tenuti li
compagni ad alcuna responsabilità per rotture di taglie nel condurle e altrimenti; 3° - Si ricerca se si
abbia di separ le misure, se si abbia di cancellarle, o lasciarle in
massa come vengono condotte. Li
pagamenti saranno d’accordo fissati e stabiliti prima dei taglio
cioè in marzo, e parte prima.”
Una volta raccolte le taie, venivano spedite via acqua, tramite il
Piave, a Venezia. Al trasporto ci
pensavano i menadas i quali, come i loro compagni europei che
usavano gli stessi mezzi (spagnoli, francesi, tedeschi, svedesi, finlandesi, austriaci), erano estremamente capaci ed idonei. E cosa si ricavava poi dalle taie? Si
poteva scegliere tra: tolle, ponti,
palancole, tavole da scandola, fetoni grossi, cantinelle, seurette,
scorzi, sottoscorzi e scorzoni da
fondamenta, refudo o armatura,
colmetti, colmuzzi, sfiladette,
moralli, montapiù, sbarre e zappoli.
Con tutti questi tipi di legname
poteva succedere che il marico
(sindaco) di Pieve di Cadore, il
signor Giuseppe fu Lodovico Genova, il 20 aprile 1797 inviasse un
dispaccio urgente ai colleghi e
capi carissimi del circondario
perché ne era del tutto sprovvisto: “Mi può capitare da un momento all’altro, e forse di notte,
quantità di soldati, come potrò
somministrargli d’occorrenti legna, se sono affatto senza? Attendo due passa de legna, per valermi alle occorrenze non essendo così dolce di cuore di farmi gettar la
testa a terra, ò di spedir un picchetto di soldati per vizza, per la
mancanza della legna medesima.”
Marcello Rosina
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A PESTE, FAME ET BELLO, LIBERA NOS DOMINE!
ovantaquattro anni,
N
ma ancora vispa e intimamente contenta di poter raccontare a un ragazzo
che ha tantissimi anni in
meno, il suo Novecento, il
suo «secolo breve» (J. Hobsbawm). Davanti a una tazza di tè e a una scatola di biscotti si lascia andare ai ricordi della sua giovinezza.
Sembra quasi che le immagini, come fotografie d’epoca, sbiadite ma ancora vivide, vere, le passino davanti
agli occhi, ormai bisognosi
degli occhiali per mettere a
fuoco le parole dei libri che
ancora oggi ama leggere
per passare le fredde giornate d’inverno. E’ Aida d’Incau, classe 1915: nel suo salotto di casa a San Vito, anche se lei è originaria di Sovramonte, emerge una storia diversa, più umana, di
quella che si studia a scuola. E’ una storia vissuta.
Riandiamo alla Seconda
Guerra Mondiale (19301945).
“La fame vera l’abbiamo
sof ferta nel corso della
Grande Guerra (19151918). Durante il secondo
conflitto, grazie al cielo, a
San Vito non abbiamo avuto patimenti di genere, perché tutti avevamo le bestie e
non ce le hanno mai requisite, come fecero invece nel
’15-’18. Il pane nero, con la
farina di segale, non piaceva a nessuno, però noi lo facevamo qui in casa… mia
cognata era bravissima, riusciva a farlo buono!
Avevamo ospitato alcuni
tedeschi, venuti qui soprattutto dall’Italia centrale sulla via del rientro in Germania. Forse qualcuno del Comune aveva dato loro il nostro indirizzo, dicendo che
potevano sistemarsi qua da
noi. Mi avevano fatto vedere
le fotografie delle loro case…
case signorili… con i loro
bambini e le loro mogli. E
poi anche loro sono andati
incontro alla guerra con la
morte alle spalle. Ce n’erano
anche all’albergo Roma, su
La storia vissuta di Aida DʼIncau
novantaquattrenne di San Vito
Flash sugli anni bui dellʼultima
guerra
di Luca Dell’Osta
a Costa, e si mettevano in
comunicazione tra loro. Io
ai tempi avevo quattro bambini, e dormivamo tutti in
questa stanza (il salotto).
Avevamo due divani e, sopra la stufa, uno spazio dove
andare a distendersi. Il resto
delle stanze erano occupate
dai tedeschi: brave persone,
tutti graduati, ufficiali. Avevano al seguito anche soldati semplici per guidare i camion, ma quelli di notte stavano a fare la guardia perché avevano paura dei partigiani.”
Anche la Val Boite e l’Ampezzano erano sotto il
Reich e i partigiani molto
attivi.
“Ne sono venuti quel giorno che i tedeschi stavano per
partire per tornare in Germania. Due o tre di questi
partigiani si erano piazzati
qua sotto la nostra casa e
avevano il fucile. I tedeschi,
quando li hanno visti, hanno puntato contro di loro
una mitraglia. E sparavano, eh… Mio marito è andato giù e ha detto: «Andate
via, non vedete che hanno
piazzato la mitraglia?». Loro allora si sono scusati, dicendo che erano venuti per
proteggerci
dai
furti.
Mah…”
Scontri a fuoco per fortuna se ne sono visti pochi.
“Grazie a Dio qui non ci
sono stati scontri a fuoco,
anche perché le truppe alleate sono arrivate pochi giorni
dopo che i tedeschi se n’erano andati. Gli americani
portavano farina bianca e
altre cose che non vedevamo
da anni: avevano anche del
burro in barattolo, con sale
dentro, che non era buono.
Conoscevo un prete, del feltrino, al quale una mia sorella gli faceva da perpetua.
Era venuto a San Vito a tro-
varmi portandomi in regalo
qualche barattolo di quel
burro. Ma a noi non piaceva… eravamo abituati con
il nostro burro, quello che facevamo noi!”
Continuano i ricordi di
Aida in quel di S. Vito di Cadore.
“Eravamo tutti contenti
perché era finalmente finita!
Speravamo che tornasse chi
era andato a combattere. Si
era in primavera del
1945…, sai, a quei tempi
c’erano i cessi alla vecchia,
con le selle e il buco, e i liquami venivano buttati sui
campi. Quando li abbiamo
svuotati, pochi giorni dopo
la fine della guerra, abbiamo trovato i gradi degli ufficiali tedeschi: se li erano
staccati dalle divise e li avevano buttati nel cesso, oppure cercavano dei vestiti borghesi. Una famiglia che abitava qui nella nostra stessa
casa aveva dato loro un po’
di roba vecchia del nonno
che era morto.”
Durante la guerra, c’era
chi combatteva i tedeschi e
anche chi li temeva.
“C’era una brava famiglia
di ebrei: erano marito e moglie con due bambini, scappati via da Cortina, perché
a Cortina c’erano molti più
tedeschi, e temevano d’essere
deportati nei campi di concentramento. Una donna
molto caritatevole ha dato
loro le chiavi di una casa i
cui padroni erano in America e si sono sistemati là. Però poi sono arrivati anche
qui dei nazisti e allora questi ebrei hanno avuto di nuovo paura e se ne sono andati
nella campagna trevigiana
dove lei aveva delle conoscenze. Non ho più saputo se
sono vivi o morti. Avevano
due bellissimi bambini,
Claudio ed Evelina. Erano
Per i tuoi
peccati di gola
PASTICCERIA
CAFFETTERIA
L’AMORE PER
LA PROPRIA TERRA
NEL SEGNO
DELL’ ACCOGLIENZA
brave persone… una sera
noi avevamo ammazzato il
maiale e ho portato loro fegato e polmone, senza pensare alle loro usanze. Continuavano a ringraziarmi. In
effetti gli ebrei non mangiano mai carne di maiale, ma
parlando poi con uno di loro, che è anche diventato
mio genero, ho saputo che
quando ci si trova in quelle
OSVALDO BOMBASSEI, UNO DEI
PADRI DEL TURISMO IN CADORE
svaldo Bombassei, auronzano, uno
O
dei padri del lancio turistico del Cadore. Figura dimenticata, come del resto
tante altre. Correva il 22 dicembre 1910
ed il Cadore ne lamentava la precoce
scomparsa, avvenuta a Padova, all’età di
appena 58 anni. La Società Operaia di Auronzo, di cui era stato uno dei fondatori oltre che il secondo presidente, fu tra i primi a partecipare al lutto, evidenziando i
meriti di “cittadino integerrimo, industriale, agricoltore, commerciante, ottimo in
avvedutezza, operosità ed onestà”.
La sua è l’emblematica storia dell’uomo
che si era saputo costruire con le proprie
mani. Illuminante quanto all’epoca scrisse
’Il Gazzettino’, tracciandone il profilo, con
la messa in risalto degli ideali libertari di
matrice mazziniana che il padre gli aveva
trasmesso: “e liberale si conservò poi per
sempre - precisava il quotidiano nell’articolo in cui par di scorgere la mano del direttore Giampietro Talamini - benchè disgustato dalle intemperanze e dalle violenze dei nuovi partiti”. Dopo la scuola media
Bombassei aveva saldamente assunto le
redini dell’azienda paterna. In pari tempo
non trascurò di occuparsi della cosa
pubblica. Si impegnò per il decollo della società Operaia, si battè per l’istituzione di una scuola di disegno e d’intaglio e fu attivo nel Consiglio Agrario.
Tanto attivismo lo portò alla guida della
Magnifica Comunità, di cui fu presidente nel triennio 1905-1908. “E fu sua gloria - sottolineava ancora ’Il Gazzettino’ l’aver contribuito alla conser vazione
del rimanente patrimonio dell’antico
opponendosi alle facili tendenze di alienazione e di divisione”.
La notizia della sua scomparsa ebbe
eco a livello regionale. Se ne occuparono vari giornali, tra cui ’Il Veneto’ osservando che il Cadore doveva riconoscere in lui il merito dell’impulso “che
vi fu dato all’industria del legname, alla
quale Bombassei applicò la lavorazione
a mezzo dell’elettricità e trovò sbocco
Dosoledo di Comelico Superiore (BL) - Borgata” Sacco
Via Roma, 18 - Tel. 0435 68376
Oltre allʼimpulso che
diede allʼindustria del
legname, ideò e
costruì un impianto
idroelettrico
fornendo Auronzo
dellʼilluminazione
di Bruno De Donà
elettrica
all’esterno. Fu anche attivo e provvido fautore dell’industria del forestiero in Cadore
e con altri due soci costruì a Misurina il
magnifico albergo che sorge sullo sfondo
di quel lago Alpino”. Era il Grand Hotel
Misurina, uno degli emblemi della villeggiatura montana di pregio che iniziava ad
imporsi a livello nazionale. ’Il Gazzettino’
del 24 dicembre 1910 aggiunse dell’ altro.
“Fu sua infatti l’idea di estendere nei grandi mercati il legname del Cadore e fu felice anche quando lo fece conoscere ed apprezzare all’estero approfittando dell’esposizione di Parigi dove l’industria del legname del Cadore ebbe ottimi premi.
Ideò e costruì un impianto idroelettrico
utilizzando una forza d’acqua che traversa
il paese e fornì Auronzo della illuminazione elettrica quando ancora gli altri Comuni del Cadore ne erano privi”.
Dal canto suo ‘L’Adriatico’ del 23 dicembre, menzionato che fu per lunghi anni
consigliere ed assessore del Comune, tornava sui trascorsi libertari dell’industriale
cadorino. “Fin dalla prima giovinezza aveva militato nel campo repubblicano, ma
cresciuto in età, aveva temperati i primi
impulsi dell’animo generoso, rimanendo
pur sempre un buon liberale”. D’altro canto, bisognava pur giustificare l’ambita
onorificenza di cavaliere della Corona d’Italia, che nel frattempo era comparsa sul
petto dell’ex mazziniano.
SATIRA DURA SENZA PAURA
da pagina 13
Il dolce di produzione propria, la ricerca esclusiva di nuove mète
del gusto. Prodotti che coniugano esperienza e innovazione
confezionati artigianalmente per ritrovare i sapori di una volta
Anche da asporto e su ordinazione
In un ambiente confortevole potrai trascorrere momenti indimenticabili assaporando anche bevande di Tuo maggior gradimento
circostanze si può mangiare.”
Erano scarse le notizie di
quello che succedeva nel
mondo.
“Qualcuno comprava i
giornali, censurati, per il resto solo i “si dice”. Pensa che
nello stesso giorno che è finita la guerra e i tedeschi se ne
sono andati via, il due maggio, mio fratello è stato am-
mazzato e io per un mese
non lo seppi perché le poste
non funzionavano. Era tornato a casa dopo lo scioglimento dell’esercito l’8 settembre.”
Peggio la Prima Guerra
Mondiale rispetto alla Seconda, ricorda Aida.
“Almeno qui da noi a San
Vito. Qui la valle è ampia, e
quindi c’era possibilità di
coltivare i campi e di avere
il cibo. Man mano che si va
verso Pieve però la gente stava peggio perché le valli lì
sono più strette…”
“A peste, fame et bello, libera me Domine!” Mormora la
novantaquattrenne, prima
dei ringraziamenti di rito. A
casa, ci ripenso: Signore, liberami dalla malattia, dalla
fame e dalla guerra. E capisco che quell’invocazione
non era solamente di rito.
Musizza - De Donà
sfruttare in qualche modo il loro passaggio acquistando da un gruppo di soldati un pregevole apparato
d’oro ancor oggi conservato in chiesa.
Non sappiamo nemmeno oggi, a
200 anni da quei fatti, dire con certezza se l’arrivo dei francesi nel Bellunese abbia costituito per la nostra gente
solo un doloroso pedaggio ad un esercito meramente invasore, o piuttosto
la prima occasione per accedere ad
una visione del mondo più giusta e
moderna. Per il buon De Vido la visuale era forse limitata da troppi retaggi passatistici e pure clericali: per
lui il giudizio storico era senza appello: “No xe più venerdì / no xe più festa
/ ma tutto resta / a tombolon”.
Forse non era proprio così, ma certo è ammirevole il fatto che un uomo
abbia saputo rifiutare la facile egida di
un abito sacerdotale per gridare forte
tutta la sua rabbia e tutto il suo pensiero.
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LʼANNOSA LITE SUI BENI PROMISCUI
Regole e Comune di San Pietro di
Cadore da 20 anni discutono sulla
intestazione di proprietà di boschi
2a parte
LA SENTENZA DI PRIMO
GRADO DEL 2006
Con il cambio di amministrazione avvenuta nel
2004 e l’ingresso a Villa Poli di Silvano Pontil Scala,
sembrava che la questione
contesa potesse essere affrontata con serenità. La
componente di minoranza
consiliare rappresentata da
Bruno Villi aveva avanzato
all’assessore Renzi Pontil
Scala una proposta di transazione dei beni tra Comune e Regole che fosse conveniente per entrambi i
contendenti (si allega copia di quel documento).
Ma per disinteresse o paura non se ne fece nulla.
Fu il tribunale di Belluno
a sorprendere tutti con una
sentenza arrivata in tempi
più rapidi del previsto, nella quale le ragioni delle 4
Regole vennero completamente riconosciute dal giudice, mentre le istanze del
Comune furono del tutto
disattese, anche per quanto riguardava il bosco di
Söde, acquistato da privati
nel 1905 e intestato al Comune di San Pietro.
La sentenza, benvista o
malvista, segnava un punto
fermo. Una manifestazione
esplicita del terzo potere
dello Stato non è un parere
di un esperto o di un avvocato: è un atto di pieno valore giuridico. Appellabile,
certamente, ma comunque
di valore giuridico incontestabile. Accettare la sentenza di primo grado poteva
essere una scelta che il Comune di San Pietro faceva,
senza che nessuno potesse
contestarla nel merito. Invece il sindaco Pontil Scala
decise di ricorrere in appello contro la sentenza, affermando che “era un atto
dovuto”.
Ma la successiva azione
sua e degli avvocati che lo
assistevano non fu orientata a sostenere le richieste
del Comune per il riconoscimento di alcuni beni,
bensì a trovare un accomodamento con le Regole, lasciando loro tutto ciò che
già la sentenza di primo
grado riconosceva e spacciando tale accordo al ribasso come “transazione”.
Ma se il Comune di San
Pietro riconosceva di fatto
quanto già riconosciuto dal
giudice del Tribunale di
Belluno, perchè ricorrere
in appello? “Per non rischiare di finire al fresco”
confidava il sindaco Pontil
Scala, rivelando così di voler “pararsi il culo” da eventuali ricorsi.
LA TRANSAZIONE
POST SENTENZA
DI PRIMO GRADO
La strada intrapresa da
Silvano Pontil Scala e dalla
sua amministrazione per
tentare di venir fuori dalla
questione in maniera indenne, è andata in porto
con la collaborazione decisiva della Regione Veneto,
che ha nominato un Commissario ad Acta per firmare l’accordo di cessione dei
boschi intestati al Comune
alle Regole (come dice la
sentenza di 1° grado). La
maggioranza del Consiglio
comunale di San Pietro, dichiarandosi incompatibile
a decidere sulla questione,
ha rinunciato al dovere di
tutelare gli interessi dell’Ente pubblico, delegando
la chiusura dell’annosa vicenda ad un funzionario
dell’Ufficio del Difensore
Civico di Venezia.
A nulla sono valsi i tentativi di riportare la questione nei binari della correttezza giuridica, tentata dai
consiglieri di minoranza
Gianfiore Pradetto Roman
e Fabrizio De Villa. Sia il
Tar del Veneto, che il Consiglio di Stato hanno sentenziato che per il Comune
di San Pietro va bene così:
chiusura di ogni contenzioso a favore delle Regole, e
se c’era qualche centinaio
di ettari di bosco acquistato
dal Comune con regolare
atto notarile agli inizi del
Novecento, non serve formalizzarsi, su queste quisquiglie, meglio stendere il
velo dell’indifferenza.
Ora la tanto agognata
“pax sanpetrina” dovrebbe
aver tranquillizzato il mondo regoliero, che riteneva
suo sacrosanto diritto veder riconosciuta l’antica
proprietà dei beni intestati
al Comune di San Pietro, e
certamente avrà soddisfatto anche quella parte di cittadini non regolieri che,
pur avendo constatato che
il sindaco Pontil Scala stava
lavorando per liberare il
Solitaria a Salagona di Laggio, la chiesetta di
Santa Margherita del XII secolo
Stupendi gli affreschi bizantineggianti
Comune di San Pietro da
tutte le proprietà boschive,
lo ha riconfermato per la
seconda volta a capo del
Comune.
Lucio Eicher Clere
ma di catechesi in tempi di scarsa alfabetizzazione, mentre quella inferiore
si caratterizza per una decorazione di
prevalente stilizzazione geometrica.
Sulle pareti di Santa Margherita sono poi dipinti altri santi, un tempo assai venerati, come Martino e Cristoforo. Quest’ultimo venne martirizzato
nel territorio dell’attuale Turchia, dove si era recato a predicare al tempo
della persecuzione dell’imperatore
Decio. Anche la sua vicenda terrena è
pervasa da narrazioni favolose. Il santo, che viveva umilmente in riva a un
fiume e trasportava i viandanti da una
Santa Margherita
LA PREZIOSA
Edificata per volontà dei
Caminesi, Signori in Cadore
’ immersa in una radura, ha l’aE
spetto dimesso di una chiesetta
abbandonata, di quelle che si possono
incontrare nel silenzio di una passeggiata, o in qualche incrocio di strada
fra case antiche. Poi, all’interno, si
apre lo stupore, per l’incanto dell’atmosfera che vi si respira, ma anche
per l’assillo di una domanda che si fa
strada nel visitatore: come è possibile
che tale gioiello sia così poco conosciuto, talvolta anche per la difficoltà
ad accedervi?
La parola meraviglia si addice, inevitabilmente, per la chiesetta di Santa
Margherita, che sorge in territorio di
Vigo, nell’antica borgata di Salagona,
oggi prolungamento dell’abitato di
Laggio. E’ la più antica fra quelle del
Cadore giunte integre fino a noi. Si
compone di un’unica aula rettangolare, contenente affreschi databili tra la
fine del XIII e l’inizio del XIV secolo.
La semplicità è estrema, ma l’atmosfera spirituale che vi si respira, una
volta entrati, è intensa e assoluta. Vibrazioni sottili percorrono l’aria, come
se il silenzio fosse accordato sulla scia
di una musica invisibile. La piccola
chiesa, edificata per volontà dei Caminesi, che avevano Signoria in Cadore,
viene nominata per la prima volta nel
1205, mentre ad un secolo più tardi risale l’elenco dei beni di cui disponeva.
E’ dedicata a Margherita di Antiochia, martirizzata al tempo della persecuzione di Diocleziano e considerata protettrice delle partorienti. La
chiesa cattolica e quella ortodossa ne
celebrano la memoria in luglio. La
sua vicenda terrena è ricca di elementi altisonanti. Si racconta infatti
che, affidata ad una balia che professava segretamente la fede, si fosse
di Antonio riva all’altra, una notte sarebbe stato
Chiades svegliato da un misterioso fanciullo,
che lui si era caricato sulle spalle. Il
peso del bambino aumentava sempre
anche lei con- più, ma Cristoforo, sorreggendosi con
vertita al cri- un lungo bastone, era riuscito a comstianesimo. Allontanata dal padre, l’a- pletare l’attraversamento del fiume.
dolescente Margherita era stata posta Giunto sulla riva opposta, aveva avuto
a pascolare un gregge. Insidiata da un la rivelazione che il misterioso bambipotente del luogo, lo aveva respinto, no altri non era che Gesù. Il santo, rafvenendo per questo incarcerata. Se- figurato a grandi dimensioni, come si
condo una tradizione ricca di elemen- usava all’epoca, è ancor oggi consideti simbolici, in cella sarebbe stata visi- rato patrono dei viaggiatori.
tata dal demonio sotto forma di drago,
La chiesetta, salvatasi dall’incendio
che l’avrebbe inghiottita. Ma lei era ri- che nel ‘500 aveva distrutto la borgata
uscita prodigiosamente a liberarsi, di Salagona, sta lì, incredibilmente
senza tuttavia poter sfuggire, dopo al- isolata, circondata da un gruppo di catre vicissitudini e peripezie, alla deca- se di epoca recente e dalla maestà delpitazione, il 20 luglio dell’anno 290. A la natura: nulla fa sospettare, dall’eMargherita, popolarissima nel Me- sterno, la ricchezza dei tesori d’arte e
dioevo, apparteneva una delle voci di fede che conserva e quasi nasconche Giovanna d’Arco assicurava di de. Non manca un piccolo campanile
udire prima di essere mandata sul ro- ligneo. Al centro della facciata un porgo. Le altre, secondo l’eroina france- toncino d’ingresso evoca quella che
se, erano dell’arcangelo Michele e di dev’essere stata, un tempo, la partecisanta Caterina d’Alessandria, venera- pazione delle genti del posto, che si
ta fra l’altro ad Auronzo nella chieset- estendeva negli spazi circostanti al
ta a lei dedicata.
piccolo edificio. All’interno, il soffitto
Lo stupore che avvolge il visitatore, è a cassettoni in larice e risale presuappena entrato, è riferito essenzial- mibilmente al XVII secolo.
mente agli affreschi che adornano le
Fra i dipinti esistenti a Santa Marpareti. Sullo sfondo, al centro, spicca gherita uno raffigura il profeta biblila figura di Gesù giudice universa- co Daniele, colto mentre viene assile, con a fianco la Madonna, Gio- stito prodigiosamente dopo essere
vanni Battista e San Pietro. Alle stato gettato nella fossa dei leoni. Fra
due estremità sono visibili i momenti l’altro, sopra l’abitato di Laggio, su
cruciali della vita di Santa Margheri- uno sperone roccioso, esiste una mita, prima libera dal drago e poi decapi- nuscola chiesetta a lui dedicata, ragtata. A fianco, sulla parete di destra, è giungibile dopo un’aspra salita e mevisibile una Natività di originale fasci- ta ogni 28 agosto di pellegrini e visitano, ispirata alla narrazione dei vangeli tori che, dopo aver assistito alla Mesapocrifi, con Maria che, dopo il parto, sa, sostano sull’erba antistante per
appare coricata. Gli apostoli sono inve- consumare la colazione.
ce allineati sulla parete di fondo. Il croL’edificio, documentato già nel XIV
matismo degli affreschi bizantineg- secolo, era stato ricostruito un paio di
gianti è nitido ed incisivo. Le opere so- volte, l’ultima delle quali a metà Ottono state realizzate da due distinti fre- cento. E il suo isolato chiarore spicca
scanti. La parte superiore delle pareti anche da lontano, collocato com’è fra
è dedicata alla descrizione delle verità il verde della vegetazione e la roccia.
fondamentali della fede, autentica for-
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ARTE MODERNA
IL CAMPANILE DI CORTINA
E NON SOLO A
DʼAMPEZZO HA LA SUA STORIA LORENZAGO APERTA
Una splendida
on “El cianpanín – storia del
C
campanile di Cortina d’Ampezzo”, 279 pagg., uscito lo scorso giugno, il nostro collaboratore Mario
Ferruccio Belli arricchisce di un’altra perla la collana dedicata al suo
paese d’adozione e composta da:
“Storia di Cortina d’Ampezzo”, 1973,
“Cortina d’Ampezzo, 1914-1918, dall’Austria all’Italia”, 1993, “Guida di
Cortina, locus laetissimus”, 1997,
“Storia di Cortina d’Ampezzo – Da
Aquileia ai santi Filippo e Giacomo”,
2006.
Se quest’ultimo costituisce la storia
della comunità parrocchiale, oltre
che della chiesa barocca, nel nuovo
lavoro si percepisce la presenza fisica della comunità civile, tratteggiata
con vigorosi scorci nel suo orgoglioso impegno di erigere la nuova torre
campanaria. Non a caso ne è editrice
quella Cooperativa di consumo che,
come si sa, rappresenta la quintessenza della civiltà ampezzana, e lo
stesso prodotto tipografico (Grafiche
Antiga, Crocetta del Montello) pare
portarne con sé, nella sua solidità ed
eleganza, il contrassegno.
La maggiore prossimità del periodo storico (1850-1858) rispetto a
quello in cui è stata realizzata la chiesa, ha evidentemente permesso all’autore di disporre di maggiore (e
migliore) documentazione e di essere così in grado di dar vita, in una
successione di fatti, a una vera e propria rappresentazione. L’elenco dei
personaggi principali (“dramatis personae”) che realizzano il progetto di
darsi “una torre regolare e costruita
secondo le regole dell’arte”, collocato
subito dopo la fine, prima dei documenti, rivela la consapevolezza di
questa diversa dimensione conferita
al racconto.
Il racconto parte da Maria Teresa
Manaigo vedova Barbaria che, recandosi a messa il giorno di S. Marco
evangelista del 1818, raccoglie un
ciottolo cadutole davanti e, recatasi
in sacrestia, lo consegna al decano
Udalrico Berloffa con queste parole:
“Sior, pioan, l’é toma ?to sas dal cianpanín!”, e dal sagrestano che, meno
di una settimana dopo, si accorge
che la campana grande in RE si era
fessurata. Si capisce subito che ciò
non può essere accaduto per i troppo
energici colpi di cianpanoto, da lui assestati nelle festività, ma che è colpa
della malandata torre, vecchia di più
secoli, incorporata nei muri della
chiesa e perciò poco elastica. Si succedono nei decenni fusioni e rifusioni
di nuovi bronzi, finché nel 1846 si
prende atto che occorre provvedere
pubblicazione
edita dalla
Cooperativa
di Cortina
curata da Mario
Ferruccio Belli
senza indugio a “vistosi ristauri del
campanile”, se non decidersi per
“un’intiera rifabbrica”, mentre l’i.r.
giudice distrettuale dottor de Riccabona dispone la “immediata sospensione del suono delle campane”.
Entra in scena il maestro falegname Silvestro Franceschi (Téte Dàne),
cui è affidato l’incarico della “levanza
della campane” dalla torre pericolante, oltre che di un disegno per un
nuovo castello sul quale montarle: sarà “el cianpanin de len”, che durerà
ben dodici anni, durante i quali si
succedono ancora inconvenienti alle
campane, con rifusioni varie.
Primattore di tutta la vicenda, “il
più illustre personaggio che Cortina
ha avuto” (gli rende giustizia il bellissimo ritratto in divisa, con la medaglia d’oro dell’imperatore), come lo
definisce l’autore, è lo stesso Franceschi a ricordare in una lettera del
1862, riprodotta alla fine tra i documenti, la successiva attività svolta, a
partire dai lavori di demolizione
(1851), nonché dai quattro differenti
disegni sottoposti “alla saggia disamina del consiglio comunale, che trovò opportuno l’incominciare una torre dietro uno dei suoi piani” ed a proseguire con le fondazioni e lo zoccolo. Ha appena disegnato all’interno
della muraglia il millesimo 1852,
quando arriva il decreto n. 1680 che
intima l’arresto dei lavori: mancano i
permessi di legge. Superata l’impasse
burocratica mediante accorti contatti
intercorsi a Vienna con l’architetto
praghese Hermann Bergmann, mediati dal connazionale Carlo Pemzack, e l’acquisizione di nuovi disegni, Franceschi, spesso definito “inspiziente” nei documenti, riprende la
guida dei lavori. La manterrà sino al
termine, apponendo, a mano a mano
che la costruzione sarà progredita, i
millesimi 1853, 1854, 1855, 1856 e
1857 e curando, nell’estate del 1858,
la sistemazione finale del castello in
travi nella cella delle campane, che
suoneranno a distesa il successivo 17
novembre, giorno onomastico di
“Sissi”, Elisabetta di Baviera, la giovane moglie dell’imperatore Francesco
Giuseppe. Attorno alla bella figura
dell’ “umilissimo servo della lodevole
rappresentanza <comunale>”, come
egli stesso ama definirsi, cui è dedicato, a fine libro, anche l’omaggio
dell’albero genealogico che conduce
sino all’attuale sindaco Andrea Alessandro, si muove una schiera di comprimari.
Si va, per quanto riguarda la residenza municipale, dai capi comune
Francesco Dimai Fileno (1821), Gaetano Ghedina Toma?, proprietario
dell’Aquila Nera (1850), Sigismondo
Manaigo Mónego (1856-1857), Giuseppe Verzi (1858), primo i.r. Postmeister d’Ampezzo nel 1832 e fondatore del Croce Bianca, al segretario
comunale Angelo Apollonio de Varentín, da cui discendono varie famiglie di albergatori (Pontechiesa, Montana, Cortina, Concordia, Savoia),
sobrio nelle relazioni, accorto nel superare la “grana” dell’assenza di permessi, recandosi personalmente a
Vienna col capo comune Ghedina,
per parlare con l’i.r. ingegnere superiore, e anche custode dello stile che
si deve avere nei contatti col Comune. Ad un capo-scuola, forse di prima
nomina, che indirizza un’interpellanza in tedesco, lingua ufficiale dell’impero, ma non esclusiva, trasmette il
verbale di risposta, aggiungendo la
postilla: “voglia da qui innanzi produrre i suoi rapporti nel nostro idioma”). E, ancora, Giovanni Battista
Rudiferia, decano dal 1820 al 1860,
anche lui, come il giudice de Riccabona e Silvestro Franceschi, decorato di medaglia d’oro per il suo equilibrato comportamento nel 1848, l’i.r.
Commissario distrettuale Bernardo
Sevignani, gli orologisti Marco e
Francesco Lacedelli da Melères, il
Postmeister Giuseppe Celestino Ma-
razie ad un gruppo di oltre 60 artisti, alcuni giovani e
G
altri di fama, che hanno saputo rappresentare le arti
figurative tutte assieme, in modo originale, fresco, grazie so-
prattutto a Vito Vecellio rinomato artista della fotografia e
curatore organizzativo, si è tenuta la 9a Edizione di LORENZAGO APERTA. Pittura, scultura, fotografia, musica, cinema, concerti, teatro, tutto questo ha movimentato l’estate lorenzaghese e cadorina dal 1 al 20 agosto.
A presentare la rassegna culturale, dapprima in Magnifica
Comunità di Cadore e poi all’apertura sabato 1 agosto, il sindaco di Lorenzago Mario Tremonti, il presidente della Magnifica Emanuele D’Andrea e, necessariamente, Vito Vecellio
che anno dopo anno ha sorretto questo tipo di evento con costanza e caparbità. “E’ il contemporaneo che avanza, è una mostra allestita con fantasia dagli artisti e valida anche perché
ognuno ha dato qualcosa di personale” - ha commentato Vecellio anticipando il giudizio con la sua solita verve.
E i numerosissimi visitatori che si sono soffermati nelle ampie sale delle Scuole Medie e nel Teatro gli hanno dato ampiamente ragione. “Arrivederci al 2010”, li ringrazia tutti Vito.
naigo Mónego, lo Strassenmeister (capo cantoniere)
Antonio Gott. La grandiosità della costruzione fa quasi passare in secondo piano
le campane, che restano
pur sempre l’obiettivo finale: el canpanon (“Fecit Johannes Grassmaywer Oeniponti 1857”), in Si bemolle,
suona in anteprima, da solo, il 6 agosto 1858. Il giorno di Santa Elisabetta come
si è detto, lo farà in concerto con le altre, la seconda
in Re, la terza, in Fa, la
quarta, la quinta e la sesta,
ancora, nell’ordine, in Si
bemolle, Re, Fa.
Anche se l’evoluzione dei
fatti consiglia una lettura
continua, l’indice, posto in
testa, permette al lettore di
pescare episodi autonomi
rispetto alla trama, quali, ad
esempio, “Una foresta nel
fango”, “Le pietre a Crepedèl”, “La calce viva”, “I camina sempre e no i se moe
mai”, “Ra menada de ra
taes”. A conclusione compaiono: i giudizi sulla “meraviglia”, che, assieme al
Pomagagnon, doveva diventare il logo principe di
Cortina, espressi da alcuni
celebri visitatori, quali Josiah Gilbert e George C.
Churchill, Albert Wolff,
Amelia B. Edwards, Paul
Grohmann, “l’austriaco più
conosciuto dopo Mozart”,
studente di medicina in vacanza, Jules Gourdault,
Karl Baedeker, William
McCrackan, e i nostri
Brentari, Lorenzoni, Sinigaglia; il testo dei principali
documenti, in alcuni casi riprodotto, e la relazione ufficiale del restauro del 2006,
costato € 542,681 (in questa occasione l’altezza è stata accertata in m. 73,27, inclusa la palla dorata e la
croce in ferro); due foto, riproducenti rispettivamente
la porta d’entrata del campanile, realizzata dai noti
artigiani del ferro battuto
Demenego, e la targa “A ricordo di Carlo d’Austria /
che il 24 novembre 1917 /
risparmiò il spoerbo concerto / di queste campane / nel
primo anniversario / della
beatificazione /alla presenza del figlio /Carlo d’Asburgo / la gente d’Ampezzo / riconoscente pose / 3 ottobre
2005”. Il tutto si chiude con
una foto d’epoca dei primi
anni della Cooperativa: Arcangelo Siorpaes, Caterina
Ghezze, Daria Apollonio e
Giovanna Menardi sono il
personale al completo.
“Te ciamarón Beli del
ciampanín” è stato detto all’autore da uno che aveva
appena letto il libro.
Conoscendo la scarsa
propensione per l’enfasi da
parte degli ampezzani, che
prediligono, come il segretario Apollonio, il basso
profilo, non è tanto una battuta, ma un incondizionato
apprezzamento.
Il libro può essere acquistato presso il centro commerciale della cooperativa
stessa in corso Italia o richiesto a mezzo lettera, telefono, fax o e-mail a: La
Cooperativa di Cortina,
corso Italia 40 – 32043 Cortina d’Ampezzo tel. 0436861245, fax 0436-861300, in–
[email protected]
www.coopcortina.com.
Giuseppe De Sandre
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ANNO LVII
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AURONZO: CON LA LAZIO
INVESTIMENTO ASSICURATO
al 10 al 28 luglio, Auronzo
D
ha ospitato per il secondo
anno consecutivo il ritiro estivo
della squadra calcistica di serie A
S.S. Lazio. Un paese, Auronzo,
che, grazie all’arrivo di un team
così prestigioso, è riuscito a rivitalizzare il turismo di luglio, globalmente indebolito dalla crisi
economica, registrando perfino il
tutto esaurito dalla seconda settimana del mese. Una squadra, la
Lazio, che ha voluto optare nuovamente per la splendida località
turistica cadorina al fine di bissare il successo della scorsa stagione in Coppa Italia; ha stupito la
straordinaria tranquillità che offre Auronzo, luogo ideale per
concentrarsi, come hanno dimostrato i risultati delle importanti
sfide d’inizio campionato.
Su questa premessa, non c’è da
stupirsi riguardo i commenti rilasciati dal primo cittadino di Auronzo, Bruno Zandegiacomo Orsolina :”Tra il paese, con i suoi
abitanti in testa, e la squadra Lazio con i suoi tifosi, si è creata in
questi due anni un’ottima sinergia”; e dal presidente della S.S.
Lazio, Claudio Lotito sul proprio
sito internet: ”Lazio-Auronzo di
Cadore, un connubio vincente”.
Che dire, grande soddisfazione
da entrambe le parti, ma mentre
la Lazio avrà ancora tempo per
comprendere se il lavoro svolto
nel ritiro estivo sarà in grado di
concretizzare i successi auspicati
dal presidente Lotito, Auronzo ha
Il sindaco Zandegiacomo: “Abbiamo
ammortizzato brillantemente la crisi con
una notorietà a livello nazionale”
di
già abbozzato un commento generale a riguardo.
Signor sindaco, quanto ha
giovato al paese di Auronzo
l’arrivo della Lazio?
“Inizierei col dire che il nostro
scopo principale era quello di promuovere a livello nazionale la nostra località. Siamo davvero molto
soddisfatti: fino a due anni fa non
potevamo vantare ad Auronzo
una grande partecipazione turistica dalla regione Lazio. Con l’avvento della squadra, invece, la situazione si è completamente ribaltata. Basti pensare che già l’anno
scorso l’aumento dei turisti laziali
nel nostro paese sfondò quota
300%. Quest’anno, possiamo stimare che i tifosi presenti siano
raddoppiati rispetto al 2008. Inoltre abbiamo potuto contare sulla
sponsorizzazione dei mas media
come le televisioni “Sky” e “Mediaset”, in particolare di “Italia 1”,
che insieme trasmettevano per circa due-tre ore al giorno servizi sulla squadra; abbiamo ospitato giornalisti di alcuni siti internet e di
quotidiani sportivi nazionali come “La Gazzetta dello Sport” e il
“Corriere dello Sport”. Insomma
siamo certi che l’investimento fatto sia stato assolutamente proficuo: siamo riusciti ad ammortiz-
zare brillantemente la crisi in questi due anni, agevolando sia i nostri alberghi sia i nostri negozi.”
Pensiamo un attimo ad Auronzo bianco-celeste: bandiere e poster lungo le strade principali,
palloncini colorati e targhe di
benvenuto fuori dai negozi, grande partecipazione della gente alle
partite… Si può dire che la
gente locale abbia accolto nel
migliore dei modi la squadra?
“Senza ombra di dubbio. Tra
Auronzani e Laziali si è creata fin
da subito un’ottima collaborazione. Merito di questo va ad entrambi: a loro perché sono una tifoseria
di famiglie della media borghesia
romana, gente molto cordiale e
aperta con tutti; a noi perché ci
siamo organizzati in maniera, a
mio giudizio, impeccabile distribuendo bandiere, poster e manifesti nei locali pubblici. Inoltre ci
siamo inventati le bustine di zucchero per i bar con lo stemma laziale e, da quest’anno, hanno fatto
la loro comparsa anche i cioccolatini bianco-celesti. Citerei infine
l’ottimo lavoro degli operatori comunali: non hanno mai badato ad
orari e si sono sempre fatti in quattro, sia prima sia durante il ritiro,
per garantire tutto il necessario ai
giocatori e al seguito. Per tutto
Mario Da Rin
questo e non solo, i dirigenti della
Lazio, con Claudio Lotito su tutti,
hanno voluto complimentarsi con
noi per la splendida accoglienza,
mai riservata loro così calorosa in
nessun altro ritiro.”
L’ago della bilancia segna
dunque positivo…
“Sicuramente. Dal punto di vista economico, la Lazio ha rappre-
PREMIO AURONZO 3a EDIZIONE
“AI FIGLI DELLA SUA TERRA”
-
13 agosto 2009
sentato un vero e proprio toccasana per il nostro paese, al punto che
a luglio si pensava di essere in agosto dalla grande massa di gente per
le strade. Bene anche la situazione
legata al rapporto con i tifosi e con
la squadra. I primi non hanno mai
creato alcun problema di ordine
pubblico, anzi si sono comportati
ottimamente in tutte le situazioni.
I secondi hanno avuto la possibilità di girare tranquillamente a piedi per le vie del paese, senza mai
ravvisare problemi di nessun genere. I giocatori si sono inoltre resi
disponibili in ogni circostanza a
firmare autografi e a scattare foto
con i tifosi e con i locali.”
All’ultimo allenamento della
squadra, abbiamo avuto modo di
scambiare qualche opinione con
Pasquale Foggia, giocatore della
squadra che si è detto sicuro di ritornare qui. Può confermare
per il prossimo anno?
“Sì, abbiamo già avviato i contatti con la società esterna che si
occupa del ritiro estivo della Lazio. Bisognerà discutere dei dettagli, certamente, ma noi siamo stati contenti e loro altrettanto, non
vedo perché non si dovrebbe fare.”
ASSEGNATO AL MONDO
DELLʼEMIGRAZIONE
Consegnati dei riconoscimenti
foto Ottica
Capri
Fontana
Arreda
Santo Stefano di Cadore
Ambientazioni personalizzate anche su misura
Via Medola, 21 - Tel. 0435.62377 Fax 0435.62985 - Cell. 338.9418974 e-mail: [email protected]
itorna il PREMIO AURONZO. Il Consorzio operatori
R
turistici di Auronzo-Misurina col presidente Lorenzo
Caldart e l’amministrazione comunale del sindaco Bruno
Zandegiacomo Orsolina hanno ripristinato questo premio
dopo le due importanti edizioni di qualche anno fa e lo hanno affidato all’impeccabile conduzione di Barbara Paolazzi.
Il PREMIO AURONZO quest’anno è stato assegnato al
mondo dell’emigrazione, nelle figure di Gioacchino Bratti
presidente dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, a Vincenzo Barcelloni Corte che ne fu il primo presidente, a Maurizio Paniz già presidente dell’ABM.
La manifestazione, tenutasi nella sala consiliare del Municipio con la presenza di numeroso pubblico, è stata introdotta da alcuni canti talora struggenti sull’emigrazione, brillantemente eseguiti dal coro OLTREPIAVE e magistralmente
diretti da Arduino De Donà, intercalati dai commossi ricordi
dei coristi nelle loro tournée nei tanti Paesi ove vi sono ancora generazioni d’italiani emigrati.
Dapprima sono stati consegnati dei riconoscimenti “per
l’impegno sociale” a Renato De Carlo in qualità di direttore
de IL CADORE, il giornale della Magnifica Comunità che tiene mensilmente un filo diretto con i Cadorini lontani; alla
prof. Ilde Pais Marden per aver scritto un bel libro sulle testimonianze degli emigranti, proponendole ai giovani; a Gianni
Pais Bechèr in qualità di guida e memoria storica dell’alpinismo nostrano interessato alle culture dei popoli che visita; a
Oscar De Bona assessore regionale ai flussi migratori che è
attivissimo nelle relazioni nel mondo dell’emigrazione.
E’ stata una serata ricca di significati e, per dirlo con la Paolazzi, un’occasione di aprire i cassetti dei ricordi. Complimenti agli organizzatori e arrivederci al prossimo anno.
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Festeggiati in Magnifica Comunità i 70 anni Vico Calabrò
In un libro-documento, tutta la produzione di Vico in Cadore
na cerimonia per
U
dire grazie a Vico
Calabrò. A Pieve, nell’autorevole salone della Magnifica Comunità, sono
stati in molti a farlo nel
corso di una cerimonia
molto partecipata e con
molte, autorevoli voci a
portare la testimonianza
di una amicizia dalle tante
sfaccettature ma sempre
sincera e schietta ma soprattutto densa di gratitudine. Il grande artista ha
lasciato in Cadore, la terra dove ha vissuto da ragazzo gli anni della formazione anche scolastica, i
segni forse più importanti
della sua ormai vastissima produzione.
Vico ha appena compiuto i settant’anni: una ricorrenza che ha spinto alcuni
amici a riunirsi in comitato per promuovere la pubblicazione di un libro che
accogliesse pressoché
tutta la produzione di Vico in Cadore. Nello storico salone della Magnifica,
attraverso la sapiente regia di Gabriele Carniel,
palpabile l’atmosfera di
simpatia e di ammirazione e dense di riferimenti
8-9
LA PITTURA DI
NAZARENO CORSINI
ESPOSTE SUE OPERE ALLO
SPORT HOTEL DI PADOLA
NELLʼAMBITO DI
“ESTATE E COLORI”
e eleganti sale espositive dello “Sport Hotel” di PaL
dola, ospitano una personale di Nazareno Corsini
fino al 15 settembre prossimo, nell’ambito della iniziativa
Vico: Grazie a tutti per lʼopportunità avuta di essere
e di restare quello che volevo, un narratore
al servizio dellʼincanto e della trasfigurazione
le parole rivolte a Vico,
sorpreso e un tantino imbarazzato di tanta attenzione.
In un’atmosfera di autentica, palpabile partecipazione, hanno preso la parola il
presidente
Emanuele
D’Andrea, l’ex presidente
Giancandido De Martin,
Olga Riva Piller, Antonio
Cason, Gianni Monico, l’arcidiacono mons. Marinello.
Poi la presentazione del libro-documento che riproduce, col magico obiettivo
fotografico di Giorgio Viani, tutte le opere che Vico
ha lasciato in Cadore, la
terra delle prime emozioni
vissute seguendo un itinerario di ricerca e di scoperta che spesso, dopo, ha
avuto il sapore del rimpatrio. “Grazie, Vico, per i
tuoi settant’anni”, gli hanno detto, e alla fine è stato
lui a dire grazie a tutti per
le opportunità avute di essere e di restare quello che
voleva, un narratore che ha
piegato l’arte al servizio
dell’incanto e della trasfigurazione.
L’iniziativa ha avuto il
patrocinio e il sostegno
della Magnifica Comunità, della provincia e della
regione, con il contributo
di alcuni enti pubblici (Auronzo, Pieve, San Vito,
Valle, comunità montana
della Valboite, il Bim Piave e altri). Il libro è a disposizione di quanti abbiano intenzione ad averlo
presso gli uffici della Magnifica.
B.D.V.
“Estate a colori” che ogni anno prevede la presenza delle opere di rinomati artisti durante il periodo estivo.
Durante la vernice della mostra nel mese di luglio,
presente un folto pubblico e la prof.sa Antonella Belfi, oltre a varie autorità locali, è stato possibile approfondire
la figura e l’opera dell’artista cadorino, peraltro assai noto nel panorama artistico del bellunese e non solo. Corsini, compiuti gli studi artistici si è dedicato all’insegnamento del Disegno e della Storia dell’Arte, perseguendo
nel contempo una intensa attività di ricerca pittorica. Il
paesaggio collinare veneto nella sua tipica atmosfera
quasi rarefatta, colto nel momento del crepuscolo, influisce in modo fondamentale sulla sua pittura, assieme all’ispirazione per le natura morte e per le figure femminili,
spesso trasfigurate in un pacato abbandono.
La Critica ha avuto modo di occuparsi spesso dell’opera di Corsini, con molteplici recensioni apparse sulla
stampa nazionale e apprezzamenti legati alle molte personali realizzate in Italia e in Europa o alla partecipazione in rassegne collettive di grande rilievo. L’artista ha anche conseguito vari premi e riconoscimenti per le sue
opere.
L.O.
“STORIE DI MIO PADRE” GILIO CESCO FRARE
na figura interesU
sante e complessa
quella di Gilio (o Gildo)
Cesco Frare, originario di
Mare di San Pietro di Cadore dove visse fino al dopoguerra, per poi trasferirsi nel trevigiano. La descrive con passione e affetto, ma senza retorica o
facile agiografia, la figlia
Paola Cesco Frare nel volume “La cartella marrone - Storie di mio padre e
della sua famiglia” presentato in agosto nella sala consiliare della Comunità Montana davanti ad
un folto pubblico. Il compito di tratteggiare il contenuto del volume è stato
assolto da Achille Carbogno con attenzione e sensibilità per i diversi aspetti
di una figura di un “uomo
Presentato a S. Stefano di
Cadore un volume dedicato
al maestro originario di Mare,
amministratore pubblico e
uomo di cultura
libero, laico fedele solo alla propria coscienza e alla
verità” come viene definito Gilio nella presentazio-
ne di Luisa Bellina.
Giovane maestro elementare per dieci anni dal
‘37 al ‘47, a San Pietro di
Cadore, del Comune fu
anche podestà e primo
sindaco nell’immediato
dopoguerra. Quindi si trasferì nel trevigiano dove
proseguì la carriera scolastica diventando professore e preside. Appassionato di cultura in senso lato,
colto germanista e anche
docente di tedesco, era
particolarmente attratto
dalle forme nuove di
espressione della cultura
moderna, come ad esempio il cinema di cui era autentico esperto, senza tralasciare i fumetti o le storie per i bambini. Negli ultimi anni di vita - si spense
nel 1998 - fu anche consi-
liere comunale a Treviso e responsabile dell’Università Popolare.
Il volume “La cartella marrone” nasce proprio dagli
appunti autobiografici conservati da Gilio e “destinati”
a Paola come egli lasciò scritto. La figlia li ha raccolti e
integrati con foto, ricordi, testimonianze di altri parenti, per creare un’autentica storia familiare che, come
ha detto in occasione della presentazione, rappresenta
la vera storia delle nostre radici e dei nostri paesi. La
lettura di alcuni brani tratti dal volume ha consentito
al pubblico di cogliere meglio lo spirito della pubblicazione e di apprezzare anche la profondità del pensiero
di Gilio Cesco Frare su alcuni temi fondamentali come
la cultura, la vita e la morte. Particolarmente toccanti proprio le pagine dedicate alla vecchiaia e alla consapevolezza di una fine vicina.
L.O.
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ANNO LVII
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a storia di Cibiana sta
L
scritta nei murales. E’ la
storia del Cadore, di un Cadore che ovviamente non c’è
più, ma che piace sempre,
per quegli scorci suggestivi
dei paesi d’un tempo dove la
gente si soffermava per un
saluto, dove fervevano le attività, dove le vicende storiche,
le leggende, la pia devozione
erano talmente radicate da lasciare durevole traccia. Oggi,
inevitabilmente, si rimpiange
quello “ spirito di comunità”.
Quasi trent’anni sono passati da quando il pennello di illustri artisti, da Vico Calabrò ad
Aldo De Vidal a Giuliano De
Rocco e via via tutti gli altri, ha
raccontato Cibiana a cielo
aperto, sui muri di rustici e case nelle frazioni. A Masariè
apparvero come per incanto,
“Al mandolin de Lelo” raffinata serenata, “Al squaradòr” l’abile boscaiolo, “Lentra da lontan” una trepida attesa in famiglia; seguiti l’anno dopo da altri affreschi, “I fàure” che forgiavano arnesi, armi e chiavi
di Ernesto Lomazzi, “La faméa” la famiglia resa viva da
Miraldo Beghini, “Al mistro”
il casaro di Mario Albanese,
“Al moliner” il mugnaio di Luigi Rincicotti. Ben 55 artisti
hanno lasciato la loro firma
sui muri di Cibiana dal 1980.
Erano grandi pitture a tempere o acrilici su intonaco
che di anno in anno hanno
dato colore e nuova vita al
piccolo, vecchio borgo, sperduto tra il Rite e il Sass de
Mezdi. Fu la scintilla d’un fermento artistico-culturale che
imbaldanzì gli anziani, ridiede speranza alle nuove generazioni, portò frotte di curiosi
in paese che sciamarono, ben
accetti, nei stretti viottoli e
nelle ormai deserte piazzette
delle frazioni.
Onore al merito ai promotori, Osvaldo Da Col, al precedente sindaco Eusebio
Zandanel, all’attuale sindaco
Guido De Zordo, a tanti, tanti
altri che hanno fatto propria
l’iniziativa, a Umberto Olivotti che ha poi dato avvio ai
19
“mureles viventi”, appuntamento con la tradizione ed i
mestieri d’un tempo.
Quando ci sono i murales,
da fine luglio al 10 di agosto,
giornata della consegna della
“toaia piturada”, è vera festa
(servizio sul prossimo numero).
Non però una sagra, piuttosto
un’appartenenza alla comunità, uno sfoggio di costumi e
di arnesi quasi per rientrare
nel passato, un darsi agli
ospiti perché condividano il
calore della storia e dell’arte,
i sapori della buona cucina, la
schiettezza della gente di
paese. Domenica 2 agosto.
Masariè s’anima fin dal primo
mattino: apre la Bottega di
Maria de Aurelio con Loredana al bancone, ripiena delle
vecchie merci; nella piazzetta
della chiesetta di San Nicolò i
simpatici boscador di Valle
(sempre partecipi) preparano la polenta in un enorme
cagliera; più in là, i faure attizzano le braci e Ezio batte il
ferro per farne chiavi; di là
della galleria, vigilata dall’Alviano e adibita a mostra di
quadri, delle bambine spronano all’acquisto dei loro ricordini e, più sotto, magnifiche bambole affollano un
banco. E via, via, continuando
per le stradine: Ornella fa la
casara mostrando come si lavora, Daniele insegna a farsi
un ceston lavorando le bacchette di nocciolo, Carlos e i
suoi aiutanti preparano sulle
braci le costicine all’asador,
specialità della sua Pampas
che fa venire l’acquolina in
bocca. Ad accompagnare tutto questo fervore (e molto altro), la marea di visitatori che
guarda incuriosita, fotografa,
chiede, saluta, si sofferma a
cogliere la bellezza dei murales, ne vuole capire di più assistendo alla proiezione dei
filmati allestita in una casa
prospiciente alla piazzetta, si
sparpaglia per le altre frazioni
alla ricerca di nuovi murales.
E’ questo uno spaccato della Cibiana dei murales e delle
tradizioni, ma la sua notorietà
va ben oltre.
Festa ad agosto per i MURALES VIVENTI
Masariè invasa dai visitatori
Quasi 30 anni sono passati da quando
Cibiana ha accolto gli artisti e i murales
Iniziato il recupero delle pitture
MURALES DI CIBIANA
TRADIZIONI DEL
CADORE
Servizio di
Renato De Carlo
DATO IL VIA AI RESTAURI DEI MURALES
murales stanno morendo. ApI
paiono danneggiati, non sono
più quelli che hanno fatto conoscere Cibiana nel mondo, lasciano avviliti i visitatori. Colpa dei lunghi periodi invernali e delle abbondanti
nevicate (certamente), conseguenza del tempo e dei metodi di pittura
(anche), però sarebbe un oltraggio
non ripristinarli. Ne è conscio il sindaco Guido De Zordo che proprio
nella settimana dei murales ha dato
avvio ai lavori di restauro chiamando alcuni degli stessi autori delle
opere (c’erano Miraldo Beghini intento a ripristinare “La fameia”, Lorenzo Viola sulla sua “La camerata
de Tita”, Adriano Pavan che lavora-
va intorno al suo “Zacui e zetoi”) e
servendosi di altri restauratori affezionati a Cibiana per salvare quei
murales i cui artisti sono deceduti.
“Sono molti gli affreschi rovinati,
danneggiati proprio in profondità,
nelle malte”. Il maestro Giovanni Sogne, coordinatore del gruppo di restauratori, ci porta a verificare i danni e ci illustra gli interventi in atto.
“In questa settimana, l’operazione è
quella di stuccare e ripristinare gli intonaci in modo di dare l’idea almeno
di un certo decoro, di ordine e di pulizia”. Giovanni non è qui per caso; fu
uno dei primi a seguire Vico Calabrò
nella sua “impresa” a Cibiana, qui ha
tenuto una scuola di restauro, conosce le tecniche
di lavorazione di
tutti gli affreschi. “Ho un debito di riconoscenza nei confronti di Cibiana, così sono qui
con
Susanna
Brocchetto e Silvia Tof foletto,
professioniste,
trevigiana l’una
e veneziana l’altra, le quali da
diversi anni met-
tono a disposizione alcune giornate;
quest’anno ci sono anche Alessandro
Turrin, specialista in restauro di intonaci in calce e Paolo Bellotti, professionista pure lui”.
Sogne spiega la tecnica d’intervento. “Ripristiniamo l’intonaco laddove
sui dipinti s’è staccato in profondità,
portiamo a livello con intonaco grezzo
poi diamo uno strato di fino, usiamo
sempre materiali naturali (calce, sabbia); poi si procede a seconda del dipinto: se è affresco lo si ridipinge con
gli stessi pigmenti aggiungendo un filo
appena di resina sintetica, se è acrilico bisogna ripristinarli con la pittura
in acrilico, in pratica una colla che
forma una pellicola. Per alcuni dipinti, quando è possibile, mandiamo le fotografie all’autore e lui ci suggerisce le
modalità di ripristino”.
“Quest’anno superiamo l’emergenza
stuccando e dando ordine, l’anno
prossimo ci daremo un calendario per
il lavoro di ridipittura. Mi auguro che
questi interventi di ripristino, con
questo rinnovato interesse che ha manifestato l’amministrazione comunale, portino un’aria nuova ed anche…
la presenza di Vico. Peccato che sia
caduta l’iniziativa dei seminari di restauro, qui si avrebbe un campo scuola naturale, ci sarebbe un’attività che
si sposa benissimo con Cibiana”.
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ANNO LVII
Agosto-Settembre 2009
20
Inte chesto sfoi se dora la
grafia de l Istituto Ladin
de la Dolomites
a cura di FRANCESCA LARESE FILON
Cadorins
Zal pöi pi pizal dal Comelgo resiste la voia
da tgni inpizeda la lus
A COSTA D SAN COLÒ INÀ CONPÙ 10
ANE AL CIRCUL DLE ONGANE
Costa, pizal pöis sora San Colò, la
A
dente à cetó la maniöra da vinze la
solitudin e al saras dinze zle cede, par
chi pöce ch inà la volontà da continué a
vive lassù, e inà verto un lögo par cetasse e organisé algo ch döi ntin d vita al
pöis. Zal piön adauto dla Ceda dla Regola, el stanze btude aposto iné stade dade
a disposizion de duce cöi ch vö cetasse e
iné stó btu in pes al “Circul dle Ongane”. Ricordön ste figure dle legende e
dle storie d paura di tenpes dn ota, la
dente d Costa à volù lié al vecio col novo
e inpì d iniziative e d vita le stanze dla
sofita dla Regola. Nassù zal 1998, al circul inà conpù i diös ane co na bela festa
a la fin dl ön passó, co n spetacul dal
Grupo musical d Costauta e n rinfrösco
con taio dla torta e na boiuda intrà duce.
Anche zal prim ön di segonde diös
ane, al Circul Le Ongane inà dimostró
ch al vö continué a esse la lus inpizeda
par n lassà al pöis d Costa zal scuro dla
solitudin. Na bela istede d iniziative, inà
dimostró che zenza sta liadura intrà la
dente saraa al mortuorio.
Eco inveze i conzerte d orghin e os zla
gedia d San Dinel: la mostra d fotografii
su “Costa e dintorni”; el balade di Légar
ze pieza; el diapositive e al DVD sui ricorde di 10 ane dal circul; la dornada sui
prades dla monte de Doo co la mössa a
la verta; al torneo d calcio coi pupes; na
conferenza su ple Regole fata da Valentino de Bolfo; ncamò conzerto d orghin.
Sta vitalité d iniziative iné al fruto dla
colaborazion intrà cöi ch vive dut l ön in
Costa e cöi ch torna d istede o da Nadà.
Al presidente dal Circul dle Ongane iné
Francesco Costan Dorigon, pensionato
ch vive a Torino, ma da na vita lió a so
pöis con tante iniziative, sostgnide co l
entusiasmo e anche coi sode. Aped li zal
diretivo Ivo Costan, che stà a Trichiana
ma ch dedicöia tanto dal so tempo e dal
so spirto d iniziativa a Costa. Ma aped
löre un giro d parsone ch se dà da föi
con bona volontà e spirto d colaborazion.
Dinze dle stanze un pizal banco-bar,
par föi un sarvizio zun pöis gno ch à saró duce i anbientes publici; un ufizio par
tgni el carte dal circul; armeres e banches par tgni ordin e böt via la roba ch
serve par el tante iniziative. La dente va
là ze ste stanze come ch i dössa a ceda
soa, come zna stua dn ota, gno ch se cetaa i veces a parlà e dì rosario.
Sbögn ch iné tante dificoltes a portalo
inante, al “Circul dle Ongane” d Costa
iné la dimostrazion che, co s vö, anche
zi pöide pi ribandonade e con pöcia dente pö resiste el relaziogn e lo spirto d iniziativa. Par vinze la solitudin dle fonestre sarade.
ADES CHE L ISTADE E’ FINIDA
DES CHE L ISTAA
DE E’ FINIDA SE
PODARAE PENSA’ A ALGO DE N OTA CHE
ERA MEO DE NCUO.
TEGNì I PRAS PULITO: MEO LA FAU CHE L
DECESPUGLIATOR
Ades savon che no è pì
tenpo par nuia e che fason na vita senpre de corsa a zercà no sei che.
Man a man che mancia i
nostre vece muore n toco
de tradizion e de l savé fei
leou a na vita che betea
par prima al dové fei chel
che tocea par tegnì neto
al paese agnó che se vivea. No esistia le ferie e la
dente no dea tanto ngiro
ma la stesea a ciasa a fei l
orto, a seà par i pras, a
mete a posto n toco de
ciasa che i avea. Na ota,
po’, se vivea nte n modo
che i ecologiste de ncuoi
podarae dì de respeto par
la natura e par l anbiente.
No se bicea mai via nuia:
da la roba da magnà a
chel che vegnia nte l orto. Par no parlà de chel
che consideron al risparmio energetico: la dente
se sciaudea co le legne
che ciatea par i bosche e
no fasea tanto ciaudo,
parché se sa’, fa mal vive
masa nte l ciaudo. Chel
che se fasea se lo fasea
cuasi senpre a man con
tanta fadia. Ma no è senpre dito che chel che se
fa ncuoi sea par forza
meo. Penson a la difusion
de l decespugliator par
seà visin de ciasa e par le
strade. Na ota se dorea la
fau che seea duto nte l
Lucio Eicher Clere
AL MUSEO DEL VIVE DE NA OTA:
AL MUSEO LADIN DE LOZE
o la fin de agosto
C
al Comun de Loze
apede de l’Union Ladi-
na del Cadore de Medo
l à fato n itinerario museale ngiro par al paese
che permete a dute de
liede algo su per i laore
de na ota e le tradizion.
E’ stade fate sedese
carteloi meteste nte i
poste pì biei. Se taca visin al Comun co la descrizion de l itinerario,
se continua po su par la
piaza vecia agno che è
metesto n cartel che
parla de la lenga ladina
e de la storia de l Cadore. Caminado verso
Prou se ciata la stala vecia co davante n cartel
che parla de come che
vegnia fate le stale na
ota. L percorso pasa davante la ciasa pì vecia de
Loze, chela che è riuscida a salvase dopo l ultimo incendio del 1800
(ciasa Zanetti) e va ver-
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silenzio dorando l esperienza fata e tramandada
da pare n fiol. La fau la à
da ese batesta e guzada
ma con poche mose la tira n pras seou al meo senza fei tanto casin. Ades
dute dora l decespugliator che fa n casin de l
diau e che no è che al faze meo a la schena de chi
che lo dora. La tecnologia la à trasformou al seà
de na ota co n atrezo che
fa rumor come na motosiega, che bete n vibrazion la nostra schena e
che dovon portà par ore
nte la schena. A la fin chi
che dora sto’ atrezo l è pì
straco de prima, l à la
schena spacada e l à fato
n rumor del diau ntorno.
E alora, no è forse meo tacà da nuou a nsegnà a dorà la fau? Seà na ota l era
n arte e tante omins savea fei pulito chesto mestier. Fin a calche ane fa
inte par l Comelgo vegnia
fata na gara a chi che
seea meo e anche i dovin
partecipea. Se podarae tacà da nuou a dorà chesto
atrezo fasendose nsegnà
da i pì vece che se pensa
benon come che i fasea
da dovin. N corso agnó
che i nostre vece posse
tacà a fei vede come che
se à da fei a seà come na
ota. Dorà la fau è meo de l
decespugliator! E se podarae avé ntin pì de pas i
daspo’ medodì de i dì de
festa cuanche taca l concerto de sti atreze nte i
pras visin de le ciase.Non
senpre la tecnologia la
ser ve: avon debisuoi de
tornà a vede chel che è
meo ncuoi e n ota e zercà
de dorà chel che è meo
par l nostro bon sta.
Francesca Larese
Filon
Loze
so la ruoia de i Mulin fin mazion su l fol de la lana
agnó che se ciata le infor- che na ota funzionea co l
aga del Rio
Rin, sote i
mulin de i
Pinza. Caminando verso
Prou se ciata
le informazion su par
la Cianeipa
che na ota vegnia coltivada ca da noi.
Solo i pì vece
se pensa parché belo co
la
Grande
Guera no la
vegnia pì coltivada. Dendo su verso
la Manadoira
é le informazion su par i
cianpe de na
ota e la coltivazion de l
sorgo
Al
Museo Ladin
continua su
par la strada
de l Genio co
informazion
su par la coltivazion de l
lin de na ota.
Caminando nte la di-
rezion de la ciesa de Loreto é autre doi cartiei su
par le erbe dorate nte la
tradizion: un co na bela
storia fata da la maestra
Corina co i tosate de la
scola elementare de Loze e n autro su par chel
che se fasea co le erbe
par curase e magnà. Al
percorso l torna dó visin
de l paese apede de n bel
tabià de len. Nte l cartel
se spiega algo su par come se fasea i tabià e a
chel che i servia. Calche
metro dopo è na bela stala n pera co n sora l tabià
e ntin pì avante n cartel
parla de patate e fasuoi
che vien coltivade da dute le famee e che na ota
dasea da magnà par duto
l inverno.
Al Museo l è stou finanziou da la lage nazional par le minoranze linguistiche storiche 482
/99 e l è na bela oportunità , spezie par i pì dovin, par nparà algo su l
modo de vive e de fei de
na ota. I tabeloi no i è serade de inte è dute puó
liedeli cuanche i vó. Dute è vidade a vedeli.
Francesca Larese
Filon
Loze
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ANNO LVII
Agosto-Settembre 2009
IL RACCONTO
di Simonetta Cancian
M
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attia abitava nella
parte alta del paese,
dove tutto era rimasto intatto
nel tempo. Case in legno e
pietra, strette l’una all’altra
come le esistenze che custodivano tra le mura. Intorno,
fienili profumati, orti e pollai.
Sullo sfondo, la montagna.
Era stata sua madre, lettrice accanita, nonostante a
quel tempo la carta stampata non fosse vista di buon
occhio, a scegliere per lui
quel nome insolito, diverso
da quelli che si usavano. Nel
nome può stare scritto un
destino? Adesso Mattia era
convinto fosse proprio così.
Era figlio unico, fatto inconsueto per un luogo dove l’indice di natalità non dava ancora segni di cedimento.
Battezzato in fretta e furia,
perché non si sapeva mai
quel che poteva succedere di bambini ne morivano ancora tanti, da quelle parti Mattia pian piano si era irrobustito e, superati i primi
mesi, era cresciuto senza
particolari problemi.
“Diventerai alto e forte - gli
ripeteva la nonna, che lo adorava. - Come un bel faggio.
Un giorno sarai tu, a mandare avanti la segheria…”
Era il mondo di suo padre, l’argomento principe di
ogni discorso. Il papà prendeva Mattia sulle ginocchia
e si metteva a spiegargli tutte le fasi di lavorazione, dal
momento in cui l’autocarro
scaricava i tronchi sul piazzale davanti al capannone, a
quello in cui i clienti arrivavano a portarli via, trasformati in assi sottili della stessa lunghezza.
“Le facciamo diventare lunghe e strette come cioccolatine.”
Gli descriveva le macchine, gli attrezzi; un lavoro duro, sì, ma che soddisfazione
veder uscire da lì il prodotto
finito, pronto per la consegna. Altre mani, altre trasformazioni, fino a diventare un infisso, un mobile, una
cornice, o un’infinità di altri
oggetti.
Mattia ascoltava affascinato e dopo quei racconti
voleva sapere la storia di
ogni pezzo di legno che gli
capitava tra le mani. Fino al
momento di andare a scuola, il suo mondo era stato in
quella manciata di case che
da un lato si volgevano verso il centro del paese, dall’altro guardavano alla montagna, con la distesa del prato e il bosco sovrastante.
Non aveva molti compagni
di gioco, lì intorno. Mamma
e papà c’erano, sì, ma sempre indaffarati. Fortuna che
la nonna era piena di risorse
e riusciva a trasformare
ogni attimo di possibile noia
in un’infinità di piacevoli
passatempi.
Nel laboratorio dello zio, ricavato da un vecchio fienile,
Mattia entrò quel giorno per
caso. Normalmente evitava
quel posto buio, pieno di cianfrusaglie, e di polvere che lo
faceva starnutire. Lo zio era
così strano che Mattia non
osava chiedergli mai niente,
convinto com’era di non piacergli affatto. Ma quella volta
l’aveva mandato la nonna.
Lo zio, di solito intento a
riparare qualche oggetto - la
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riduzione
ANIMA DI LEGNO
renderlo contento ma, ades- caso aperta disapprovazio-
Premiato al 4°/5° posto so che la scuola era finita e ne tra gli abitanti. Alla fine,
Concorso letterario Nazionale c’era il lavoro ad aspettarlo, era stata attuata, anche se “TRICHIANA
- PAESE DEL LIBRO” non era più possibile finge- precisava l’amministrazione
Nel paese dove abitava Mattia tutto era rimasto intatto.
“Un giorno sarai tu a mandare avanti la segheria”,
gli diceva la nonna, e il papà, prendendolo sulle
ginocchia, gli descriveva lavorazioni ed attrezzi,
e il piccolo rimaneva affascinato.
Mattia però sʼinvaghì di quelle figure quasi vive uscite
da pezzi di legno lavorati dallo zio, e volle provarci.
Fu difficile. Il padre lo ascoltò..., sʼalzò di scatto...
sua occupazione principale
pareva essere sempre stata
quella, aveva lavorato in segheria solo per qualche
tempo - si rigirava tra le mani un pezzo di legno e con
un arnese simile a un cacciavite toglieva un po’ qua
un po’ là, lasciando cadere
ai suoi piedi stupendi riccioli bianchi.
“Che bello” - disse Mattia,
raccogliendone uno, ma lo
zio pensò fosse riferito a ciò
che stava creando e per la
prima volta gli sorrise.
“Ti piace?”
Fu allora che il bambino si
accorse che quello non era
solamente un pezzo di legno. Era un magnifico gufo,
che lo fissava con uno sguardo penetrante e si sarebbe
sicuramente messo a svolazzare, una volta che lo zio gli
avesse terminato le ali.
“Sembra vivo. Come hai
fatto a farlo?”
Lo zio sorrise di nuovo,
poi aprì un cassone da cui
uscirono, uno alla volta, innumerevoli animali creati
dalle sue mani. Mucche,
volpi, aquile, cer vi, galli e
tanti altri, di cui il bambino
non conosceva il nome. Una
collezione fantastica.
Le mani, spiegò poi con
una pazienza che Mattia
non gli conosceva, seguivano un’idea della mente. In
realtà, di ogni ceppo con
una certa forma, lui indovinava l’anima. Le mani e gli
attrezzi lo aiutavano poi a rivestirla di un corpo. Poteva
essere un animale, ma anche una maschera - come
quelle che si usavano in paese, a Carnevale - o una persona, ma in questo caso era
un po’ più difficile.
Da quel giorno la stanza
dello zio divenne la sua e il
legno fu tutt’uno con le sue
mani. I primi a prendere forma furono i personaggi delle
storie ascoltate dalla nonna.
Gnomi, folletti del bosco,
streghe sdentate, fate dai
cappelli appuntiti, animali
dallo sguardo impaurito o
dall’espressione minacciosa.
Piccole creazioni di cui Mattia non era mai soddisfatto.
Una volta terminati, si affrettava a nascondere gli oggetti
in qualche cassone. Lo zio
osservava, limitandosi a
qualche suggerimento, ma
non emetteva giudizi e Mattia si sentiva libero di continuare ad esprimersi in quella sorta di gioco che lo rendeva felice, indipendentemente dal risultato finale.
“Cos’hai in mente, stavolta?” - gli chiedeva, vedendolo intento a cercare un blocchetto. Larice, acero, tiglio,
frassino, nocciolo, cirmolo.
Adesso Mattia il legno lo riconosceva a colpo d’occhio.
Ne saggiava la consistenza,
ne riconosceva il profumo,
ne indovinava le reazioni. La
risposta al mazzuolo, il suo
arrendersi alle sgorbie…
Un po’ alla volta si convinse
che ognuno di quei blocchetti avesse un proprio carattere, esattamente come
le persone. Lui e lo zio lavoravano fianco a fianco per
ore, ma parlavano poco, a
volte niente, presi com’erano dall’entusiasmo di animare ciò che già aveva preso forma nella mente.
…Con l’arrivo dell’estate
non vi furono più scuse.
Ogni mattina, Mattia saliva
sul furgoncino del padre e
insieme si avviavano al capannone, qualche chilometro dopo il paese, in uno
spiazzo tra il bosco e il torrente. Non è che il ragazzo
non s’impegnasse. Eseguiva
gli ordini con precisione,
non si tirava mai indietro,
neppure di fronte ai compiti
più pesanti, però fu subito
evidente che non era tagliato per quel lavoro. Poteva
svolgerlo per molte ore al
giorno, ogni santo giorno,
ma in quanto a dirigerlo, un
domani. Lui, quel legno di
cui intuiva l’anima, avrebbe
voluto intagliarlo, non squadrarlo in anonimi pezzi di
una stessa misura, da accatastare secondo il quantitativo richiesto. Nonostante si
sforzasse di concentrarsi,
ogni tanto si ritrovava assorto di fronte a qualche tronco
dalla forma inconsueta. Era
più forte di lui. Si avvicinava
per toccarlo, ne respirava
l’aroma, perdendosi ad inseguire qualcosa che agli altri
sfuggiva. Qualcosa che, annullando spazio e tempo, sapeva regalargli sensazioni
incredibili. Il cigolio delle
segatrici elettriche lo riportava bruscamente alla realtà e, quasi vergognandosi,
si affrettava a recuperare il
tempo perduto.
Per Mattia, quei due mesi di lavoro furono molto
più impegnativi di un intero
anno scolastico… Benedì
in silenzio le piogge torrenziali di fine agosto, che rallentarono notevolmente i
ritmi, permettendogli di riprendere fiato. Quando riaprì la porta del laboratorio
e fu avvolto da un delicato
profumo di cera d’api, gli
sembrò di tornare a vivere.
Lo zio, dal suo sgabello, alzò gli occhi e sorrise, come
se avesse già capito tutto.
“Com’è andata, l’esperienza?” - domandò, senza aspettare risposta. (...)
“Guarda - gli disse, indicandogli dei tronchetti di
cirmolo in un angolo - Li ho
messi da parte per te.”
Mattia gli mostrò le mani. Ruvide, callose, solcate
da incisioni. Gli pareva di
aver perso ogni sensibilità,
sussurrò. Lo zio non si lasciò impressionare.
“Su, mettiti al lavoro - gli
intimò, secco. - Ad ognuno
la sua arte. La tua è questa.
Chissà quante idee hai raccolto in tutto questo tempo.”
Mattia osservò a lungo i
blocchetti di cirmolo. Aveva
già avuto modo di lavorarlo.
Un legno docile e compatto,
morbido e arrendevole. Si
erano intesi da subito. Accarezzò i pezzi uno ad uno, avvicinandosi ad aspirarne
l’effluvio. Resina e bosco,
aria pulita e libertà. Le mani
si mossero da sole. Non vi
furono incertezze, nonostante i due mesi di vuoto.
Fu come il rimbombo di
un tuono in un giorno d’estate. Temporale inevitabile.
Mattia parlò a suo padre dopo essersi esercitato a lungo, a livello mentale. Fu
ugualmente difficile. Era
duro soprattutto sapere che
per lui sarebbe stato un dolore. Non era pronto per
quel che aveva da dirgli,
non lo sarebbe stato mai.
Ma doveva andare fino in
fondo. Gli disse che aveva
riflettuto a lungo. Aveva provato. Avrebbe tanto voluto
re o rimandare. La segheria
non faceva per lui. Non era
il suo futuro, portare avanti
l’attività di famiglia. Voleva
continuare a scolpire, lavorare il legno in altro modo,
pur consapevole che quell’arte difficilmente gli avrebbe garantito un reddito dignitoso.
Suo padre lo lasciò finire,
poi si alzò di scatto, come
non potesse tollerare altro.
(…..)
Ne trascorsero, di stagioni. La frattura sembrava
ormai cristallizzata e la vita
di ognuno continuava. Normalmente. Indipendentemente. Mattia non aveva
avuto difficoltà a farsi assumere come lavorante stagionale dai vari commercianti
del paese. I momenti liberi, li
trascorreva in laboratorio.
Le idee fiorivano incessantemente, trovando espressione in grandi bassorilievi raffiguranti scene di vita vissuta. Boscaioli al lavoro, montanare intente alla raccolta
del fieno, pastori con le mucche al pascolo… C’erano maschere dai tratti marcati, che
riproducevano volti rimasti
impressi nella memoria e
pannelli in cui gli attrezzi
sembravano essersi sbizzarriti in una danza di segni dall’effetto suggestivo.
Quell’anno, l’estate portò
una novità. L’amministrazione comunale decretò la
chiusura al traffico della via
principale del paese, nell’intento di favorire le passeggiate e le soste ai negozi degli ospiti vacanzieri di luglio
e agosto. Un’iniziativa che,
come tutte le novità, aveva
creato sul nascere sconcerto, perplessità e in qualche
- in via sperimentale.
Una sera, tornando dalla
segheria, il padre di Mattia si
trovò di fronte al cartello
stradale che indicava la deviazione. Visibilmente irritato, scese dal furgone e si avviò verso il bar più vicino,
guardandosi intorno. Al centro della carreggiata erano
state posizionate delle aiuole
fiorite, che si susseguivano fino al termine dell’intera isola. Su ognuna, troneggiava al
centro accompagnata da un
cartello, un’imponente scultura in legno. Un vecchio che
affilava la falce, un gruppo di
donne con la gerla, malgari
intenti alla mungitura, ragazze in costume tipico impegnate a battere l’orzo, filare,
attingere acqua alle fontane… Leggende e ricordi, volti e tradizioni, usanze, vecchi
mestieri, fatiche e momenti
di svago. Tutte le vicende del
paese sembravano racchiuse
in quelle opere, una sorta di
libro scritto sul legno. Chiudeva l’esposizione un enorme pannello su cui erano
scolpiti alcuni stemmi antichi
insieme ai simboli delle attività del luogo tramandate di
padre in figlio. Tra queste
c’era… ma sì, era proprio la
segheria, quella. Non poteva
sbagliarsi. Non c’erano dubbi sull’identità dell’autore.
Il padre di Mattia continuava a spostare lo sguardo
da una scultura all’altra, frastornato. Nel caos interiore
di quel momento, un pensiero si faceva strada tra tutti.
Com’era possibile che suo
figlio fosse capace di tanto.
Com’era possibile che lui,
suo padre, non avesse capito chi era e che cosa aveva
dentro il suo ragazzo.
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SPORT E DIVERTIMENTO COL “CAMP CADORE” I 70 ANNI DEGLI
SCOIATTOLI
na grande festa ha
U
concluso sabato 18
luglio la quattordicesima
edizione del Camp Cadore
dedicato al basket, ospitato come sempre nello
splendido scenario di Domegge. Tre settimane fatte di tanto sport, altrettanto divertimento e un clima
di amicizia e passione che
rende l’evento un appuntamento di prim’ordine nel
settore a livello nazionale.
Oltre al grande entusiasmo che ruota attorno alla
manifestazione, che porta
tra le nostre montagne
ogni estate oltre un centinaio di ragazzi provenienti
da tutta Italia, il Camp
quest’anno ha realizzato
un’iniziativa davvero importante e fortemente
simbolica.
Per l’ultima settimana di
corso infatti sono stati
ospiti dell’evento un gruppo di ragazzi appartenenti
alla società della G.S. Pallacanestro L’Aquila, duramente colpiti dal recente
sisma che ha letteralmente sconvolto l’Abruzzo.
Capitanati dal loro allenatore Luciano Panella e
dall’istruttore Filiberto
Pagnanelli, i dieci giovani
atleti Francesco Ianni, Luca Lorenzetti, Williams
Rosito, Manuel Schiavone, Gianluca Parisse, Federico Di Francesco, Antonio Cirella, Federico
Santilli, Alessandro Miconi e Alberto Cobuccio,
n luglio e agosto Cortina d’AmI
pezzo ha ospitato la rassegna
“Cortina InCRODA”, una serie di
II Camp ha ospitato questʼanno un gruppo di ragazzi della GS
Pallacanestro LʼAquila seguiti dallʼallenatore Panella
di Daniele Collavino
hanno potuto trascorrere
una settimana di sano divertimento, dimenticando
così per un attimo tutte le
angosce presenti nella loro terra d’origine.
“Siamo stati davvero felicissimi dell’opportunità
che ci ha riser vato il
Camp - afferma un sorridente Panella - Questi ragazzi avevano proprio bisogno di evadere da tutto
ciò che gli è accaduto.
Molti di loro non hanno
più una casa e sono costretti a vivere in dei residence o in campeggio lontani dalle loro abitazioni.
Qui in Cadore ci siamo
trovati molto bene, siamo
stati accolti in modo splen- Panella - Saremo sempre l’augurio in futuro di podido, nessuno ci ha fatto riconoscenti al Cadore di ter ricompensare quanto
mancare nulla e c’è stata quanto fatto per noi con ricevuto”.
un ottima integrazione
con i ragazzi esterni e
quelli locali”.
Il sodalizio tra Domegge e il gruppo di L’Aquila
è stato reso possibile, oltre che dall’impegno comunale, dalla disponibilità del grande Dino Meneghin e di Osvaldo Gagliardini, e dalla società Forti&Liberi di Bologna, presieduta da Massimo Muratori, che ha garantito il
viaggio di un’onerosa trasferta. “Ringraziamo di
cuore tutti coloro che
hanno reso possibile la
nostra breve ma splendida avventura - conclude
Nella rassegna
“Cortina inCRODA”
gli Scoiattoli
hanno festeggiato i
70 anni dʼattività
I ringraziamenti
del presidente
Stefano Dimai
Gris con Scandroglio e
Corona ospiti di
“Cortina in CRODA”
appuntamenti, organizzati dall’assessorato alla cultura del Comune
in collaborazione con il gruppo degli Scoiattoli, proprio per festeggiare i 70 anni di vita dello storico sodalizio dei rocciatori ampezzani.
Il 1° luglio 1939, infatti, nasceva a
Cortina il primo gruppo di arrampicatori non professionisti, gli Scoiattoli appunto, in origine con il nome
“Società Scoiattolo”, presto trasformata in “Società rocciatori e sciatori
degli Scoiattoli” (i primi membri del
gruppo erano infatti tutti abili sciatori!), per diventare infine “Scoiattoli
di Cortina”.
Senza tralasciare le imprese compiute sulle grandi pareti dalle guide
ampezzane nella seconda metà dell’Ottocento e
nei primi decenni del Novecento, è infatti con
l’inizio dell’alpinismo
senza
guida che sulle
Dolomiti si apre
una nuova pagina di avventure
e conquiste, alla
ricerca di impegno alpinistico e
difficoltà sempre maggiori.
I sette soci
fondatori, Albino
Alverà
Boni, Silvio Alverà Boricio,
Romano Apollonio Nano, Angelo Bernardi Alo,
Ettore Costantini Vecio, Siro Dandrea Cajuto e Giuseppe Ghedina
To, erano tutti giovani ragazzi (la loro età oscillava tra i 15 e i 18 anni)
animati da una grande passione per
la montagna e da una forte amicizia.
Anche oggi gli Scoiattoli continuano ad essere un gruppo di amici appassionati di montagna: “Abbiamo sempre cercato di mantenere
vivo lo spirito di amicizia che 70 anni fa ha fatto nascere questo sodalizio”, ha dichiarato il presidente degli Scoiattoli Stefano Dimai Cash,
“e ora, con orgoglio, presiedo un gruppo che con grande sforzo ha creato la rassegna “Cortina InCRODA” che vuole celebrare un compleanno veramente importante.
Un ringraziamento
speciale da parte mia
e di tutti i miei amici
va a Mario Lacedelli,
già nostro presidente,
sempre attivo e partecipe, che ha dato una
forza e uno spirito al
gruppo animata dalla
sua grande passione
per la montagna”.
Nel mese di luglio
quindi Cortina si è
tinta di rosso. “Come Scoiattoli da
tempo collaboriamo con il Comune e
in questa occasione abbiamo voluto
unire il nome di una nuova manifestazione dedicata alla montagna,
“Cortina inCRODA”, all’anniversario del gruppo”, ha spiegato Mario
Lacedelli, che con il presidente
Stefano Dimai, ha curato la manifestazione. “Sono passati 70 anni
dalla nascita di questo sodalizio che
da sempre ha avuto una parola d’ordine, amicizia, ed è quindi giusto ricordare tutti gli amici e le loro avventure che hanno segnato la storia
di Cortina”.
Luca Dell’Osta
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ANNO LVI
Agosto-Settembre 2009
er molti anni l’Us CoP
melico ha rappresentato la punta di diamante
del calcio nel comprensorio
comeliano; spesso impegnata in seconda categoria
con alterne vicende e passaggi in terza per poi risalire.
Dopo il cambio della
guardia al vertice e l’avvicendamento tra lo storico
presidente Luigi Tonon e il
nuovo Rudy Costan, un
certo smarrimento tra dirigenti e giocatori aveva portato ad un momento di crisi
nei risultati e nell’assetto
complessivo con qualche
defezione di troppo. Due
stagioni fa la presidenza
aveva affidato al direttore
sportivo Paolo Marta e all’allenatore Gabriele De
Martin il compito di ricreare il gruppo. Dopo la spettacolare vittoria del campionato di terza nell’ultima
giornata e la promozione in
seconda categoria ne parliamo proprio con Gabriele
De Martin.
“Questo bel risultato nasce da lontano. Due stagioni fa abbiamo ricostruito la
squadra lavorando in team
con il direttore sportivo
Paolo Marta e Mosè Topran allenatore della juniores. Già in quel campionato
avevamo visto importanti
progressi specialmente nel
girone di ritorno che ci regalò ottimi risultati. In quest’ultimo campionato avevamo capito che si poteva ben
figurare anche se Ospitale, Longarone e Domegge sembravano ben attrezzate per lottare nei primi
posti. Il girone di andata è
stato positivo, pur se l’Ospitale ci era davanti e in qualche occasione non abbiamo
dato il meglio. Nel girone
di ritorno invece abbiamo
dato tutto e complice un
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LA 2a CATEGORIA ASPETTA lʼUS COMELICO
di Livio Olivotto
Lʼallenatore
Gabriele
De Martin:
“Abbiamo
ricostruito la
squadra
lavorando
in team
Un campionato
vissuto
dai giocatori
con passione”
piccolo calo degli avversari
siamo riusciti a conquistare
una promozione quasi inaspettata proprio all’ultima
giornata”.
Tutto questo con difficoltà logistiche incredibili.
“Non dobbiamo dimenticare che la squadra ha dovuto
allenarsi e giocare gli incontri interni senza il proprio campo di Lacuna chiuso per i lavori di completamento. Complice anche un
inverno mai così nevoso ci
siamo trovati ad allenarci in
palestra per molti mesi, e
quando il tempo lo ha consentito a correre sull’asfalto nel piazzale dietro al
campo sportivo. Un sacrificio incredibile che i ragazzi
hanno però vissuto con allegria e passione, forti anche dei bei risultati che domenica dopo domenica portavamo a casa”.
E ora cosa vi attende?
“Naturalmente ci iscriveremo alla seconda categoria,
Affidamento sui giovani che hanno conquistato la promozione
La squadra ha grande entusiasmo e stimoli, e un bel campo
ben sapendo che le difficoltà e gli impegni aumenteranno notevolmente. Abbiamo però un grande entusiasmo rafforzato dallo stimolo di utilizzare un campo di
gioco all’avanguardia per la
superfice in erba sintetica
di ultima generazione. Faremo affidamento sul blocco di giocatori giovani che
hanno conquistato la pro-
mozione. Forse ci sarà
qualche innesto con giocatori di esperienza che tornano a casa per concludere
la loro carriera. Stiamo ancora valutando, ma sono
certo che daremo il massimo. Poi naturalmente mettiamo in conto anche di retrocedere. E’ un po’ il nostro destino, come già tante
volte è accaduto negli anni
passati. Peraltro molti nostri giocatori hanno qualità
tecniche eccellenti che in
altre realtà di pianura
avrebbero consentito loro
di giocare anche in categorie superiori”.
Cosa la soddisfa di più di
questa esperienza alla guida dell’Us Comelico. “La
sensazione di aver svolto
un buon lavoro, assieme a
Paolo Marta a Mosè Topran e a tutta la dirigenza
che ha voluto riconfermarci. L’entusiasmo che ho visto nei ragazzi, la voglia di
stare insieme e fare gruppo,” conclude Gabriele De
Martin “rappresenta una
grande soddisfazione e dà
la voglia di continuare nonostante gli impegni di lavoro e di famiglia”.
IL PRESIDENTE DEL
CONI PETRUCCI FRA GLI
SPORTIVI DI DOMEGGE
Gianni Petrucci, presidente del Coni, ospite a Domegge
dell’amico di sempre Alberto Mattioli, fino a poco tempo fa
responsabile delle squadre nazionali di pallacanestro, è stato
invitato a cena presso il Rifugio Padova dove s’è parlato di
quanto fatto fin qui a livello sportivo dal comune cadorino.
A rappresentare l’amministrazione c’era Marco Castellani,
presidente del Domegge Calcio e neoeletto assessore comunale con delega allo sport. “La visita del presidente ci ha fatto
enormemente piacere. Abbiamo passato in rassegna tutte le
strutture presenti nel nostro comune, il palazzetto, il PalaFedon e i campi da calcio di Domegge e Vallesella. Petrucci è rimasto davvero sorpreso di quanto ci sia a disposizione per le
attività sportive, elogiando poi il Domegge Calcio e la propria
dirigenza per quanto compiuto fin qui, soprattutto per gli sforzi dedicati al settore giovanile.
Non di solo calcio si è parlato. Gli obiettivi del comune di
Domegge sono ben più ampi. Le priorità principali riguardano il tanto sospirato completamento della pista di Vallesella,
che sarebbe il primo impianto completo in tutto il comprensorio cadorino, ampezzano e del Comelico.
D.C.
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