Per l’Abate Giuseppe Mazzetti
Supplemento al periodico Cimone n. VII anno IX, 11 agosto 18981
L’Abate Giuseppe Mazzetti (E. Zaccaria)
Giuseppe Mazzetti nacque il 18 agosto 1818 nel trebbio della Scalfuora in San Martino di Montese,
primogenito della numerosa prole di Paolo Mazzetti e di Francesca Zeni di Salto. Della sua famiglia
si hanno memorie sin dalla metà del sec. XVI; ed egli stesso in uno schizzo genealogico che ne cominciò ma non condusse a termine, rileva che se essa in tre secoli non ha avuto alcun individuo segnalatosi né per cariche né per titoli, può almeno vantarsi di non contare nessuno che l’abbia disonorata con delitti o condanne. Il ramo a cui appartenne egli, è sempre stato relativamente agiato. Fece i suoi primi studi nella scuola di S. Martino, di cui parla il professor Santi; e verso il 1837 passò
al Seminario di Modena, ove compié il corso filosofico e teologico con profitto lodevole, come raccogliesi dall’attestato del rettore Soli-Muratori rilasciatogli nel giugno 1843. Fu ordinato prete a
Carpi il 13 ottobre del 44; e il 27 celebrò la messa solenne a S. Martino fra il giubilo di quei montanari. Dei sonetti dedicatigli in quella circostanza si conservano ancora fra le sue carte quelli a lui offerti da Casimiro Guidotti e da Pellegrino Ferrari.
Poco dipoi si stabilì a Modena, e strinse coi Magiera quella relazione che si sciolse solo colla morte.
Contrasse pure grande intimità coi Carbonieri, i Santhjan-Velasco, i Rovighi, i Salimbeni, i Lucchi,
i Bortolucci, ed altre famiglie segnalate, in alcune delle quali fece da precettore. Per una sua ingenita inclinazione alla vita libera e indipendente non accettò mai uffici ecclesiastici; e per questo e per
altri incidenti fu per alcun tempo riguardato da qualche miope come settario; del che egli ha sempre
riso di cuore. In questo mezzo attendeva a studi di teologia e di storia ecclesiastica e civile; e ne rimangono documenti certi abbozzi di trattazioni di quistioni teologiche, filosofiche e morali, e pensieri sui soggetti più svariati. Argomento della sua chiaroveggenza politica è il trovarsi fra le sue
carte un compendio della storia di Casa Savoja scritto verso il 1855, dove si leggono queste parole:
“La casa di Savoja che pare destinata dalla Provvidenza a raccogliere insieme quandochessia le
sparse membra d’Italia ecc.”.
Egli fu dunque profeta; ma bisogna anche dire che il Mazzetti dal canto suo contribuì all’avveramento della profezia. Nel maggio 1859, sospetto d’avere con altri dodici o tredici amici preso parte
ad una cospirazione contro il Duca, fu compreso in una lista di proscrizione, da cui si salvò solo
fuggendo, coll’aiuto dei Salimbeni, nel Bolognese e precisamente a Crevalcore; come desumesi da
una lettera direttagli dal compagno di sventura L. Carbonieri, che l’otto giugno scrivevagli da Piumazzo. Partito il Duca, e seguiti gli avvenimenti del 59, il Mazzetti ritornò a Modena; e nel maggio
1860 fu tra quei preti che cantarono il Te-Deum in Duomo per la venuta di Vittorio Emanuele; di
che s’ebbe ringraziamenti dal Sindaco di Modena mediante lettera del 18 maggio, che conservasi
ancor essa. E qui è da notare la modestia e il disinteresse del Mazzetti. Poiché data la sua partecipazione a quegli avvenimenti, egli avrebbe potuto seguire l’esempio di tanti altri che in quei momenti
seppero mettersi avanti e farsi pagare lautamente le loro benemerenze patriottiche. Egli al contrario
se ne stette in disparte, e continuò a vivere privato senza pretese ed ambizioni.
Ma intanto la sua stima era cresciuta; e se n’ha una prova evidente nel fatto che il 30 ottobre 1860 il
Consiglio Comunale di Carpi lo eleggeva a Direttore di quel Ginnasio: e il Sindaco Benassi nel comunicargliene la notizia l’otto novembre successivo diceva fra le altre cose: “Una tal nomina non
preceduta da alcuna sua dimanda, e fatta per proposta spontanea di questa Giunta, mostra chiaro
quale stima qui s’abbia di Lei”. Senonché in capo ad un anno il Mazzetti rinunciò a quella carica,
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[a questo supplemento seguì, lo stesso anno 1898, un volumetto in cui furono aggiunte, qui riportate, un’ode recitata
da Albano Sorbelli e una breve relazione sull’inaugurazione della lapide a Mazzetti, lapide che ancora si vede, quasi illeggibile, all’esterno della torre di Montese]
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non andandogli punto a sangue un tal genere di vita. Noterò tuttavia che altre due volte fece da insegnante: l’una nel 1881-82-83 nella scuola magistrale annessa all’Istituto Galli, della quale ebbe
anche la Direzione; e l’altra nel Liceo Spinelli l’anno 1886-87.
In questo mezzo il Mazzetti non intermetteva di studiare, e nel 1869 uscirono pei tipi Soliani le sue
Riflessioni intorno agli oggetti preistorici, alla trasformazione delle specie, all’origine e antichità
dell’uomo; opuscolo di sole 59 pagine, ma che fu molto apprezzato, come s’argomenta anche dalle
numerose richieste che ne furono fatte da privati e da editori. Nel 75 dié fuori un altro opuscolo dal
titolo Siamo ancora Cristiani? Dimanda di D. F. Strauss discussa dall’Ab. Mazzetti. Intanto s’era
venuta in lui spiegando quell’attitudine agli studi geologici, che formano il suo vanto principale, ed
ai quali è peccato non si fosse dato molto tempo prima.
Questi studi di geologia cominciarono intorno al 1867 e continuarono fino alla morte; ma il catalogo delle sue pubblicazioni su questa materia sarà dato in altra parte del giornale.
Fin dai suoi primi lavori il Mazzetti fu conosciuto e apprezzato nel mondo dei naturalisti; e lo vediamo subito entrare in relazione con parecchi uomini segnalati, e stringere con essi sincera amicizia; come tra gli altri fece col Manzoni di Lugo, lo Stoppani, il Varisco, il Worsae, il Pantanelli, il
Crespellani, il Taramelli, il Capellini e il De Stefani. Prese parte ai congressi di Bologna nel 71, di
Varese nel 78 e di Bologna nell’81; inoltre intervenne a non poche delle adunanze tenute dalla Società Geologica Italiana, tra le quali ricorderò quella di Massa Marittima nel 94, dove l’inglese
Ward, fattolo salire a cavallo con un ombrello, il volle, in segno d’affettuosa dimestichezza, ritrarre
in quell’atteggiamento. Fu anche invitato ai congressi internazionali di Lione nel 78 e di Berlino
nell’84. Fu membro della Società Geologica Italiana, dell’Accademia de’ Nuovi Lincei, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, e della Società dei Naturalisti della stessa città.
Sul valore scientifico del Mazzetti parlerà espressamente un giudice competentissimo, il Pantanelli,
il quale nella commemorazione fattane il 7 marzo 1897 alla Società Geologica in Roma, ne ritrasse
brevemente ma scultoriamente il carattere morale. “Sotto un involucro non raffinato, egli dice, il
Mazzetti nascondeva un cuor d’oro, un’anima fiera, indipendente e suscettibile dei sentimenti più
delicati. Mite di carattere, per la severa bonomia montanara e per un sentimento d’indipendenza per
cui non aveva mai voluto limitare la sua libertà contentandosi del poco ereditato dai suoi maggiori,
fu da tutti amato”. Quale fosse il cittadino si è già veduto. Solo aggiungerò che il Mazzetti coltivava
la scienza per entusiasmo; il che congiunto alla sua rara modestia, ed alla singolarità fisionomica e
morale dell’individuo, lo rese simpatico anche a quelli che fossero stati di principii opposti.
Egli moriva improvvisamente in Modena il 21 dicembre 1896, proprio il giorno in cui accadeva la
frana di S. Annapelago, da lui implicitamente predetta; e moriva fra il compianto sincero degli amici e dei colleghi che intervennero numerosi all’accompagnamento della salma. V’erano rappresentati i Comuni di Modena e di Montese, la Società Geologica Italiana dal suo presidente Pantanelli, la
Società dei Naturalisti, quella di Scienze, Lettere ed Arti, l’Università, l’Istituto Tecnico, il Museo
del Risorgimento, e i giornali Panaro, Cittadino, e Cimone. Sulla bara parlarono i prof. Pantanelli e
Zaccaria; e giunsero telegrammi da Taramelli, De Stefani, Bombicci e Capellini.
Il nome del Mazzetti resta legato ad una collezione geologica ch’egli nel 1889 cedette al Museo Universitario di Modena; ed ora a Montese, con denaro raccolto per pubblica sottoscrizione e da persone sparse per tutta Italia, gli si è collocata una lapide che ricorda, oltreché un echinologo segnalato, un uomo nel quale religione, scienza e patria, lungi dall’osteggiarsi, si trovarono unite in bell’armonia.
Ricordiamo... (M. A. Vicini)
Scrivere di Giuseppe Mazzetti, mentre tanti più valorosi e più competenti si sono assunti di illustrarne la vita di studio, l’opera illustre, la modesta virtù? scrivere di un grande quando ci si sente
così piccini al di lui confronto, di uno scienziato quando si è così ignari così alieni dal ramo speciale
di scienza da esso scelto?
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Scrivere di Giuseppe Mazzetti adunque no – ma ricordare...
Chiudiamo gli occhi e rivive sensibile reale nel pensiero la tipica figura del buon Abate – chiudiamo
gli occhi e ricordiamo...
Ricordiamo il fremito di piacere che provava l’anima nostra giovinetta al sentirsi amichevolmente
trattata da quel venerando vegliardo di cui intuiva la grandezza, di cui indovinava in ogni parola e in
ogni atto l’animo mite e l’intelletto profondo...
Ricordiamo le lunghe chiacchiere a sera – sorseggiando la solita tazza di pseudo-moka al Caffè dei
Cacciatori – le lunghe chiacchiere, che volgevano quasi sempre al triste andazzo della cosa pubblica, o al possibile futuro benessere del nostro Frignano, e sopratutto ai pericoli gravi che lo minacciavano.
Ricordiamo l’ansia colla quale l’ottimo Abate esponeva, coll’autorità che gli veniva dalla scienza, i
pericoli continui che sovrastavano alle nostre montagne dal libero vagare delle acque; ricordiamo
l’insistenza colla quale raccomandava i rimedi necessari, l’angoscia colla quale prediceva i disastri
possibili inevitabili – ed ahi! pur troppo inevitati.
E ricordiamo con quale compiacenza ponessimo la brillante nostra divisa d’ufficiale d’Italia presso
la nera veste dell’ufficiale di Cristo – e non del prete politicante, non del prete intransigente, ma del
sacerdote italiano che per la Patria nostra avea sofferto le persecuzioni e l’esiglio, che la Patria nostra amava di affetto sincero disinteressato – cui non faceva ostacolo la religione profondamente
sentita cui aveva dedicato l’esistenza.
E ricordiamo sopra tutto la commozione dolorosa che ci scosse l’animo all’annunzio improvviso
della sua morte – il giorno stesso in cui la triste sua profezia si compiva, in cui l’immane disastro da
lui così spesso e inutilmente preveduto colpiva una ridente plaga del Frignano, colpiva la più fertile
frazione del nostro Comune.
No, scrivere di lui non ci è possibile – né hanno la pretesa di essere un articolo commemorativo
queste poche righe gettate in fretta sulla carta. Esse non sono che l’espressione inadeguata e confusa
del ricordo caldo, profondo, incancellabile che ci è rimasto nel cuore di lui scienziato, sacerdote,
cittadino esemplare, di lui che al culto della scienza, della religione, della patria dedicò tutta la vita
operosissima, virtuosa, integerrima.
L’opera scientifica di Giuseppe Mazzetti (D. Pantanelli)
Come e per quali circostanze Mazzetti, essendo già verso il suo cinquantesimo anno d’età, si volgesse agli studi di scienze naturali non è facile determinare. Con molta probabilità vi fu condotto
dalla lotta vivacissima che si combatteva dopo il sessanta in seguito alle opere di Darwin e che specialmente a Modena aveva ad illustre campione, Canestrini. Egli vi prese parte con alcuni lavoretti
d’archeologia o di filosofia zoologica, ma deve aver presto compreso dopo la pubblicazione del terzo volume di geologia di Stoppani che non si poteva lottare disarmati e senza una seria cultura che
solo si acquista negli studi speciali e in una lunga preparazione esperimentale. Fu per questo che si
dette alle ricerche di paleontologia? La dimestichezza che io ebbi con lui per molti anni m’induce a
crederlo, per quanto possa essere ardua l’analisi di un’anima.
Il suo primo lavoro scientifico è un catalogo di fossili di Montese pubblicato nel 1872; per sé stesso
non è gran cosa, ma vi compare un fatto che era di assoluta novità; la presenza negli strati terziari di
spugne fossili della famiglia delle Litistide, dovendo escludere che potesse essere a sua notizia il lavoro di Pomel sulla paleontologia di Orano pubblicato nello stesso anno. E poi tanto più importante
che anche oggi, ventisei anni dopo, ben rari sono stati in Europa i rinvenimenti di spugne fossili nei
terreni miocenici; unico è rimasto in Italia.
Per lo studio accurato di queste spugne e per i primi echini, si unì a Manzoni e con i due nomi la società Toscana di Scienze naturali ne accolse i lavori negli anni 1878-79.
Da questo momento in poi Mazzetti lavora solo e riducendosi all’unico argomento degli echini terziari abbandona qualunque idea di polemica filosofica e anche quando pubblicammo insieme un
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riassunto sulla fauna del miocene medio dell’Appennino, tenemmo separati gli argomenti che il titolo più generale della pubblicazione avrebbe riunito.
La competenza acquistata in questo genere di studi, fece affluire nel suo studiolo materiali da diverse parti d’Italia e furono occasione per lui d’interessanti pubblicazioni; tra queste rammento volentieri uno studio su alcuni echini del vicentino e quello sugli echini dragati nel Mar Rosso nella campagna idrografica della R. Nave Scilla.
In un’altra questione singolare e che qui non posso riassumere, entrò Mazzetti con i materiali raccolti. Una famiglia di fossili speciali, gli inocerami, sono e saranno ancora sorgente di questioni
complicate; ritenuti dai più per forme che non raggiungano i terreni terziari e che cessino col cretaceo, avendo di questi rarissimi fossili trovato in diversi tempi quattro esemplari, ne dedusse, essendovisi aggiunto una placca dentale di picnodus, la presenza del cretaceo nella regione ed io pure lo
seguii in questa idea, sebbene oggi dovrei alla medesima fare alcune riserve; per ora mi basta accennare che dopo gl’individui raccolti da Mazzetti a Montese e di un quinto trovato dallo stesso a
Costa De Grassi nel reggiano, in tutto l’appennino settentrionale non arrivano a dieci gl’individui
trovati, alcuni dei quali in strati che per altre ragioni non possono essere assegnati alla creta e che
risalgono invece sino all’oligocene.
Nella geologia propriamente detta, Mazzetti ebbe nei suoi diversi lavori le idee dei tempi e del momento nei quali scrisse; e fu questo un merito; le opinioni e le deduzioni dei fatti osservati quando si
elevano ad una sintesi non possono stabilirsi al di fuori dell’opera altrui e solo è permesso alle menti superiori di trarre dalle proprie osservazioni e da quelle degli altri, leggi e conclusioni nuove o
nuovi aspetti di una stessa questione.
Le nuove specie descritte nei diversi lavori di Mazzetti sono: quarantasei echini dell’Appennino e in
massima parte delle colline della destra del Panaro, sei echini di Poleo nel vicentino, tre del Mar
Rosso ed un brachiopodo di Montese; questi numeri accertano che se Mazzetti entrò tardi nell’ambito scientifico non perdé proprio il suo tempo.
Accanto ai lavori maggiori, tra i quali sopra quello della fauna fossile di Montese tornò quattro volte, si noverano di Mazzetti molti altri minori che se dimostrano l’attività del medesimo, spiegano
altresì le ragioni che gli fecero guadagnare tanto rapidamente la stima e la benevolenza degli studiosi.
Pubblicazioni dell’Abate Giuseppe Mazzetti (Luigi Picaglia)
Dell’antichità dell’Uomo e degli oggetti preistorici – Alcune riflessioni in “Opuscoli Religiosi Letterari e Morali”, serie II, Tomo XIII, Modena, Tipi dell’Erede Soliani 1869, (pag. 356-386), Tomo
XIV, (pag. 55-71).
Dell’origine dell’Uomo e della trasformazione della specie – Alcune riflessioni in l. c., Serie III,
Tomo I, 1870, (pag. 384-419), Tomo II, (pag. 3-26).
Dottrina della genesi e tradizioni degli antichi popoli intorno all’origine dell’uomo brevemente accennata l. c., Tomo V, 1872, (pag. 417-448), Tomo VI, (pag. 60-79; 247-273).
Cenno intorno ai fossili di Montese in “Annuario della Società dei Naturalisti di Modena”, An. VI,
Modena, Tipi Eredi Soliani, 1872, (pag. 257-266).
Riflessioni intorno agli oggetti preistorici, alla trasformazione della specie e all’origine ed antichità
dell’Uomo – Modena, Tipografia di Angelo Capelli, 1873, (pag. 188).
Catalogo di fossili miocenici pliocenici del Modenese e suoi contorni raccolti dall’Abate G. M., in
“Ann. Soc. Nat. Mod.”, An. VIII, Modena, Tipi Paolo Toschi e C., 1874, (pag. 151-178).
Relazione intorno alla roccia di un ammonite che ha tutto l’aspetto di una roccia a nummuliti (c. 2
figure), l. c., An. XII, 1878 (pag. 17-20 Proc. Verb.).
La molassa marnosa delle montagne modenesi e reggiane e lo Schlier delle colline bolognesi (c. 3
figure), l. c., An. XIII, Modena, Tipi di G. T. Vincenzi e Nipoti, 1879, (pag. 105-126).
Montese i suoi terreni geologici, le sue acque minerali ed i suoi prodotti – Cenno monografico (c. 1
tav.), l. c., An. XV, 1882, (pag. 23-60).
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Echinodermi fossili di Montese, l. c., 1882, (pag. 108-129).
Relazione intorno al modo di formazione delle argille scagliose di Montese, in “Bollettino della Società Geologica Italiana”, Vol. I, Roma, coi Tipi del Salvucci, 1883, (pag. 156-160).
Della stratificazione delle argille scagliose di Montese e dell’analogia che passa fra alcuni lembi di
terreno di Costa di Grassi nel Reggiano ed alcuni affioramenti di S. Martino e di Ranocchio nel
Modenese, in l. c., Vol. II, 1883, (pag. 190-192).
Una specie nuova del genere Spatangus (c. 2 figure), in “Atti della Società dei Naturalisti di Modena”, Rendiconti delle Adunanze, Serie III, Vol. I, 1883, (pag. 126-128).
Toxobrissus varians, l. c., Vol. II, 1885, (pag. 73).
Contribuzione allo studio della Geologia delle montagne modenesi e reggiane, in “Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei”, An. XXXVIII, Tomo XXXVIII, Roma Tip. delle Scienze Matematiche e Fisiche, 1886, (extr. pag. 9).
Intorno ad alcuni echinidi dei dintorni di Schio (c. 1 tav.), in “Memorie dell’Accademia Pontificia
dei Nuovi Lincei”, Vol. V, Roma, 1889, (extr. pag. 17).
Sopra un affioramento cretaceo di argille scagliose in S. Martino di Salto frazione del Comune di
Montese – Nota, in “Atti Soc. Nat. Mod.”, Serie III, Vol. VIII, An. XXIII, 1889, (pag. 136-138).
Sopra la presenza dell’Inoceramo in Montese, l. c., (pag. 174-175).
Osservazioni intorno al carattere cretaceo del terreno delle argille scagliose del modenese e reggiano, l. c., vol. IX, An. XXIV, 1890, (pag. 41-58).
Lettera aperta al Cimone, in “Il Cimone” (Corriere del Frignano), An. II, n. 5, 1891. Modena, Società Tipografica Modenese (pag. 18-19).
Contribuzione alla fauna echinologica fossile – Una nuova specie di Brissospatangus [B. Vicentinus
Maz.], (c. 1 figura), l. c., Vol. X, An. XXV, 1892, (pag. 109-111).
Per lo scavo di un nuovo pozzo in Modena – Cenno intorno alla fauna e alla flora del sottosuolo di
Modena dai 10 ai 21 m. di profondità, l. c., Vol. XI, An. XXVI, 1892, (pag. 59-73).
Echini del Mar Rosso dragati nella campagna idrografica della R. Nave Scilla nel 1891-92, in
“Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena”, Serie II, Vol. X, Modena,
1893, (pag. 211-228), – id., [comunicazione preventiva] in “Atti Soc. Nat. Mod.”, Vol. XII, An.
XXVII, 1893, (pag. 100).
Per la Frana di Lama Mocogno, in “Cimone” etc., An. IV, n. 1 (pag. 3).
Al prof. d. Enrico Zaccaria, l. c., n. 4 (pag. 16).
Catalogo degli echinidi fossili della collezione Mazzetti esistente nella R. Università di Modena (c.
1 tav.), in “Memorie della R. Accademia di Sc. Lett. ed Arti di Modena”, Serie II, Vol. XI, 1895,
(pag. 409-461).
Echinidi fossili del vicentino o nuovi, o poco noti, in “Mem. Acc. Nuovi Lincei”, Vol. X, 1894,
(extr. pag. 12).
Le frane dell’Apennino modenese – Lettera aperta al popolo frignanese, ai loro comuni, alla loro
provincia ed al r. governo, in “Atti Soc. Nat. Mod.”, Vol. XIV, An. XXIX, 1896, (pag. 1-11).
Mazzetti ab. Giuseppe e Manzoni c.te Angelo:
Echinodermi nuovi della molassa miocenica di Montese nella provincia di Modena (c. 1 tav.) in
“Atti della società toscana di Scienze naturali”, Vol. III, Pisa, Tip. T. Nistri, 1878, (pag. 350-356).
Le Spugne fossili di Montese – Memoria (c. 2 tav.), l. c., Vol. IV, 1879, (pag. 57-66).
Mazzetti ab. Giuseppe e Pantanelli prof. Dante:
Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese, P. I, (c. 2 tav.), in “Atti Soc. Nat. Mod.”,
Memorie, Serie III, Vol. IV, An. XIX, 1885, (pag. 58-96).
Id., P. II, (c. 1 tav.), l. c., Vol. VI, An. XXI, 1887, (pag. 46-82).
La Patria dell’Abate Giuseppe Mazzetti a traverso i secoli (G. Colò)
San Martino di Salto, sezione di Montese con 345 abitanti, è un paesetto situato sulla sponda destra
del rio di S. Martino, affluente dello Scoltenna, con esposizione a mezzogiorno. Comprende vari ca5
solari sparsi qua e là, e due gruppi di abitazioni di qualche importanza, nel più notevole dei quali
detto Scalfora, sulla strada che conduce a Montese, ebbe i natali l’Ab. Giuseppe Mazzetti. A nordest di S. Martino, e non molto distante, è la frazione di Salto, ed a sud-est, pure a breve distanza, sul
dorso del monte giace Montese, confinante colla provincia di Bologna. Ridente e fertilissimo è il
paesaggio di S. Martino, coltivato a prati, a campi, a vigneti e a boschi di quercie e castagni, esempio per tutti il bosco grosso nella sponda opposta a San Martino.
La storia civile di questo paese s’integra naturalmente con quella di Montese, come territorio dipendente ne’ secoli passati da quel castello; onde non meravigli se nel parlare dell’un paese si nomina
anche l’altro2.
Sulle origini di S. Martino nulla si può dire di positivo, se non che in tempi remoti fece parte del
Comune di Salto, da cui poi si rese autonomo con propria reggenza amministrativa. Quel che è certo
si è che prima del secolo X Montese e luoghi vicini si governarono indipendentemente, quantunque
i monaci di Nonantola esercitassero qualche diritto sul territorio di Salto, ove nell’890 avevano ottenuto terre in donazione dal Re Berengario. Però quanto allo spirituale questi luoghi, come gli altri
del Frignano, erano soggetti al Vescovo di Modena e quanto al temporale all’Imperatore, il quale vi
teneva un deputato per il governo delle popolazioni.
Nell’XI secolo, e precisamente nel 1025, il vescovo Ingone donò ai Monaci di San Pietro di Modena la chiesa di S. Martino, e nel 1159 con diploma dell’Imperatore Federico I furono confermati a
quel monastero i possedimenti che erano in Plebe Salti. D’allora in poi quella chiesa rimase sempre
di pertinenza del monastero di S. Pietro, tanto che anche oggi esso vi ha il diritto del giuspatronato.
Nell’anno 1197 a’ 27 d’agosto, gli uomini di S. Martino con quelli di Montese e degli altri luoghi
vicini giurarono spontaneamente alleanza e fedeltà al Comune di Modena a patto di essere assistiti,
e con quel Comune si mantennero quasi sempre alleati fino al sopragiungere degli Estensi; a’ quali
pure fecero atto di sudditanza. Durante il secolo XII erano intanto sorti i Capitani, i quali, fortificandosi nelle rocche e rafforzando le fazioni, furono causa di lotte frequenti che desolarono il Frignano ed estesero su di esso la giurisdizione del Comune di Modena. Una di queste guerre sanguinosa quanto mai, tra frignanesi e modenesi, incominciò nel 1204 a motivo della rottura del patto
stretto dai terrazzani di Montese: i frignanesi sconfitti a Pavullo dovettero patteggiare coi modenesi,
e cedere loro Salto e Montespecchio, che nuovamente giurarono fedeltà al Comune di Modena.
La vicinanza di S. Martino, ed in generale di tutti i paesi posti sulla destra dello Scoltenna, al bolognese, fece sì che quel territorio fu spesso soggetto ad invasioni nemiche con sempre gravissimi
danni. Fin dal 1228 quelle popolazioni furono avviluppate nella guerra dai bolognesi combattuta nel
Frignano, guerra che durata fino al 1242 devastò grandemente Montese e i luoghi limitrofi. In
quest’anno, ed anche nel 1276, gli uomini di Montese e S. Martino si ribellarono al Comune di Modena, e nel 1286 fecero atto di vassallaggio all’Abate di S. Pietro di Modena, promettendo di difenderlo contro tutti eccettuato l’Imperatore e quel Comune. Al cadere di questo secolo (1296) Montese fu di nuovo occupato dai bolognesi per la lotta fra Azzo III d’Este e gli esiliati modenesi, Lanfranco e Tobia Rangoni; finché il pontefice Bonifazio VIII, eletto arbitro nella quistione, stabilì che
il castello di Montese ed i forti di Salto, S. Martino ecc. fossero nuovamente consegnati a Modena.
Nel principio del secolo XIV, essendo il Frignano caduto in balia delle fazioni, i bolognesi occuparono i paesi sulla destra dello Scoltenna compreso S. Martino. La sottomissione poi di Modena al
marchese Obizzo d’Este, avvenuta nel 1336, ridiede tranquillità al Frignano che riconobbe a proprio
signore l’Estense unitamente al territorio di Montese.
La nobile famiglia di Montecuccolo che aveva ottenuto l’investitura di Montese fino dall’anno 1212
dall’Imperatore Ottone IV, ne ebbe la conferma nel 1369 da Carlo IV, il quale assegnò, a titolo di
feudo, a Matteo Baldassarre Corsino ed a Frignano da Montecuccolo le terre di Montese, Salto e
Maserno. Pochi anni dopo Lancilotto da Montecuccolo cedé al Comune di Bologna il castello e la
rocca di Montese e la villa di S. Martino, la quale nel 1388 ritornò sotto gli Estensi.
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Per non affastellare di note questo articolo avverto una volta per sempre che nel redigerlo mi sono servito delle seguenti fonti: Dizionario topografico e storico del Tiraboschi – Documenti dell’Archivio di Stato di Modena – Storia di
Montese del Giacobazzi ms. – Vicende politiche e civili del Frignano di V. Santi.
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Nel 1390 nuova invasione dei bolognesi per opera di Lancilotto, e nel 1433 Nicolò d’Este, ottenuta
dall’imperatore Sigismondo l’investitura del Frignano, concesse a Gaspare da Montecuccolo, fra le
altre terre, Ranocchio, Salto e S. Martino, e più tardi (1455) Montese, Montespecchio e Malavolta.
Nell’anno 1510 Modena fu occupata da Francesco Maria della Rovere per ordine del pontefice Giulio II in seguito alla lega di Cambrai da lui stretta contro i Veneziani. Il Frignano in quell’occasione
si tenne fedele al duca Alfonso I d’Este, eccetto le comunità di Montese, Salto, Riva, Ranocchio, S.
Martino e Montespecchio, formanti la podesteria di Montese, le quali, temendo per un motivo o per
l’altro le parti belligeranti e stanche pure del governo dei Montecuccoli, scossero il giogo e formarono una repubblica coll’aiuto e col consiglio dei più facoltosi cittadini. E’ questa certo una delle
pagine più belle della storia di S. Martino e del territorio di Montese tutto, ma è anche ad un tempo
ricca di severi ammaestramenti!
Proclamata l’indipendenza fu stabilito che ogni Comune fosse diretto da un Sindaco da nominarsi
dal popolo, il qual Sindaco unitamente a due Consoli maneggiasse la pubblica azienda. Quanto
all’ordinamento ed amministrazione della giustizia fu deliberato di applicare alla piccola repubblica
il disposto degli Statuti del Frignano, e inoltre si ordinò che prima di istituire azioni civili le parti
dovessero ricorrere ai propri parroci e notai per l’accomodamento. La repubblica si mantenne ben
ordinata fino al 1513 anno in cui cominciarono le discordie per l’elezione del nuovo Sindaco in alcuni Comuni, e perché tale ufficio da taluni si voleva fosse conferito a vita. Nel 1514 il governo si
cambiò in vera anarchia; le fazioni s’armarono l’una contro l’altra, e fu anche sparso sangue.
L’anno seguente due dei pretendenti più accaniti nel sortire da un loro congresso furono uccisi.
Questo fatto dié il crollo alla piccola repubblica, la quale ritornò sotto i Montecuccoli nel 1516. A
tale scopo una rappresentanza dei singoli Comuni si portò da Bersanino di Cesare da Montecuccoli
offrendogli di governare la podesteria di Montese, a nome del duca Alfonso o di altro principe, sotto
diversi patti e condizioni, fra le quali fu messa la diminuzione delle imposte, ridotte da 40 soldi per
fumante come erano prima della sommossa, a soldi 25 per il mantenimento del pretore e castellani.
Alla morte di Bersanino la podesteria di Montese fu divisa tra i suoi successori in modo che S. Martino con Montese, Salto, Ranocchio e Montespecchio, passarono sotto il governo di Cesare e Girolamo Montecuccoli.
Le lotte sorte dopo il 1530 fra l’antica e potente famiglia dei Tanari di Gaggio bolognese e quella
dei Montecuccoli, travagliarono e danneggiarono moltissimo i luoghi prossimi al bolognese, non
escluso quindi Montese e S. Martino; finché il 24 febbraio 1538 Andrea Montecuccoli, aiutato anche da quelli di Salto, debellò definitivamente gli avversari. Montese, e con esso S. Martino, fu ancora turbato da banditi e malviventi dello stato pontificio sul principio della seconda metà del secolo XVI, e alle funeste e vandaliche irruzioni non fu posto un freno se non in seguito alle rimostranze
degli Estensi alla corte di Roma. Fatale fu pure la mossa d’armi nel 1613 per il passaggio
dell’esercito toscano, che andava in aiuto di Ferdinando Gonzaga contro Carlo Emanuele I di Savoia, inquantoché quelle milizie entrarono nella giurisdizione di Montese con immensa rovina di
que’ terrazzani, che furono derubati, insultati, saccheggiati, ed ebbero persino incendiate le abitazioni. Del resto non mancarono di frequente contese anche coi feudatari per i tributi che gravavano
sul popolo. Nell’anno seguente infatti si venne ad una transazione fra gli uomini di Salto ed i conti
Girolamo e Francesco Montecuccoli, colla quale le varie prestazioni erano ridotte ad un tributo pecuniario di 200 soldi d’estimo; ma riuscendo forse troppo gravoso tale carico, il Comune supplicò di
lì a non molto per esserne liberato, ed accettò le condizioni poste dalla contessa Leonora Ariosti,
vedova del conte Girolamo e tutrice dei figli Sigismondo, Guidinello, Alfonso, patti approvati dal
duca nel 1626.
Niente altro di notevole politicamente troviamo nella storia di S. Martino durante il secolo XVII se
togli un movimento di truppe nel 1643 in occasione della guerra di Castro, la protesta dei terrazzani
di Montese (1669) per non ritornare sotto il colonnello Ferrante Montecuccoli che accusavano
d’inabilità a governare, e il pagamento di 20 scudi di Modena che si assunse di fare S. Martino in
occasione della nascita del primogenito del Duca Francesco III (1698). Il feudo di Montese con S.
Martino anzi che a Ferrante fu investito nel 1670 a Giovanni Francesco Montecuccoli. Importantis7
sima è invece la predicazione fatta da Paolo Segneri nel 1672, insieme col padre Giovan Pietro Pinamonti, in occasione di Missioni nella podesteria di Montese, dal 27 maggio al 4 giugno, poiché ad
ascoltare il celebre oratore intervenne non solo in massa la popolazione del contado, ma altresì accorsero le persone più colte della pianura modenese.
Sulla fine del secolo XVII il feudo di Montese passò direttamente sotto l’Estense, e dal duca Rinaldo I fu dato nel 1720 al conte Benedetto Selvatico, a cui fu ritolto due anni dopo per scoperta infedeltà. Francesco III poi nel 1756 ne investì il marchese Cornelio Malaspina, morto il quale il feudo
passò a sua figlia marchesa Barbara, moglie del marchese della Rosa. Della signoria feudale – si
legge sull’Appennino modenese – esercitata per lungo corso di anni dalla famiglia Montecuccoli in
San Martino, rimane un benefico ricordo in un legato perpetuo fatto dal conte Ercole nel 1617 per il
mantenimento di una scuola semigratuita, la quale scuola anzi si rese subito floridissima; come pure
rimangono testimonianze in avanzi del palazzo ove quella famiglia poteva recarsi a villeggiare.
Nel resto del secolo XVIII e nella prima metà del XIX S. Martino e Montese seguirono le vicende
politiche generali del Frignano: ebbero i loro apostoli e martiri dell’indipendenza italiana, finché
nell’agosto del 1859, per mezzo del proprio deputato avv. Carlo Lucchi, dichiararono la volontà di
essere annessi col Frignano al Regno d’Italia.
A rendere di tempo in tempo tristi le condizioni di S. Martino e Montese, oltre le scorrerie e il funesto movimento di armi e di armati, dovuto sopratutto, come abbiamo visto, alla vicinanza del confine bolognese, non mancarono le naturali calamità. Nel 1025 grande penuria di viveri; nel 1159 continua siccità per 11 mesi; nel 1399 fierissimo terremoto; forte carestia per la molta neve caduta nel
1443. Poco danno invece arrecò la peste che infierì nel bolognese durante gli anni 1447-48. Ma crudelissima fu la carestia nel 1590-91 tanto che ridusse taluno a cibarsi persino di acini d’uve e di radici di erbe e di piante. Nel 1630 la peste uccise i due terzi della popolazione, e nel 1816 si ebbe
nuovamente la carestia susseguita dal tifo che colpì un grandissimo numero di persone. Le carestie
infine degli anni 1846-48 prepararono il terreno all’invasione colerica del 1855, ed il territorio di
Montese fu appunto uno dei luoghi più degli altri attaccati dal male.
Queste, in riassunto, le vicende principali a traverso ai secoli del paese che si onora di avere dato i
natali all’Ab. Giuseppe Mazzetti, e dal quale egli trasse il principale materiale per i suoi scritti, che
gli acquistarono fama non comune nel campo delle scienze.
Nella inaugurazione di una lapide all’Abate Giuseppe Mazzetti
in Montese il dì XI agosto MDCCCXCVIII (A. Galassini)
Spazia lo sguardo via pei digradanti
Vertici e là nel pian s’addentra e perde;
E per l’azzurro sterminato il sole
Dissemina la luce e la possente
Voce dell’infinito il cor soggioga.
Qui le prime spirava aure di vita
Lui che l’Italia onora, e la dottrina
Alta e il costume intemerato ammira.
Libera scienza e ferma fede, amore
Della patria e di Dio, merito vero
E profonda modestia (a troppi ormai
Difficil cosa) in armonia compose,
E in pace corsa l’operosa vita
Rese al cielo la bella anima in pace.
Deh! sorga un sasso e serbi l’opra e il nome
Venerato ai futuri, onde s’allegra
Questo nostro diletto almo Appennino
8
La Chiesa di S. Martino di Salto (Venceslao Santi)
Come di molte altre, così anche della Chiesa di S. Martino di Salto, dove il sacerdote Giuseppe
Mazzetti fu battezzato e dove celebrò la sua prima messa, sono scarse ed oscure l’origine e le prime
vicende. Per altro è certo che anticamente essa apparteneva al vescovo di Modena, il quale poi nel
1025 donò al Monastero di S. Pietro della medesima città, oltre a parecchie altre, “ecclesiam unam
quæ est fundata in loco Psaltu consecrata in honore S. Martini”. E questa donazione fu confermata
nel 1186 da Urbano IV e nel 1196 da Celestino III. Onde è a credere che alla chiesa di S. Martino
alludesse il diploma di Federico I là dove, confermando al Monastero di S. Pietro i suoi possedimenti, indica ancor quelli in plebe Salti.
Anticamente questa chiesa era beneficio semplice, come rilevasi dalla lunga ed aspra controversia
che nei primi anni del secolo XVII si agitò fra il rettore di essa Don Gian Maria Variselli, che appunto voleva restasse beneficio semplice, e gli uomini di S. Martino ed il conte Orazio e fratelli
Montecuccoli, i quali pretendevano farla chiesa curata.
Questi sporsero vivissime lagnanze al Vescovo di Modena, dolendosi sopratutto che il Variselli si
mostrasse negligente nella cura delle anime e non attendesse “ad altro che a cumulare per sé stesso”, ed ottennero che al Variselli fosse vietata l’amministrazione dei sacramenti e che a loro venisse
accordato un cappellano. A queste imputazioni si aggiunse l’addebito di non avere voluto tenere il
Santissimo nella chiesa e di essersi opposto all’ammissione del predicatore ambulante.
Per queste accuse il Variselli, quantunque spalleggiato dall’abate di S. Pietro, venne nel 1605 rinchiuso e trattenuto prigione nelle carceri del vescovato di Modena; ma dopo poco tempo fu rimesso
in libertà e in possesso della sua chiesa coll’assoluzione dall’obbligo di mantenervi il Santissimo e
di accettarvi il predicatore ambulante.
Ciò nondimeno i Montecuccoli, e specialmente il conte Ercole grande benefattore di questa chiesa
non desistettero dal proposito di farla erigere in cura, ed i loro sforzi, che raggiunsero il maggior
grado di intensità nel 1617, furono coronati da esito felice poco dopo la morte del Variselli avvenuta nel 1622. Laonde solo da quest’epoca cominciarono ad amministrarsi nella chiesa di S. Martino i
Sacramenti e a dar ivi sepoltura ai morti che prima venivano trasportati a Salto.
Il diritto di collazione, o meglio di presentazione, spettava all’abate di S. Pietro il quale nel 1475 vi
destinò a reggerla un don Giovanni dal Salto, cui fu dato per successore don Lorenzo da Bagnolo,
poi don Cornelio da Lira. Nel 1506 questa chiesa fu conferita a don Antonio di Daniele Lotti di Salto, poscia nel 1529 a don Andrea del quondam Braccio dal Salto, e nel 1542 a Giovan Battista Mazzucchi. Dopo il rettorato di Giovan Maria Variselli sopra accennato, ad istanza dei conti Orazio e
Francesco Montecuccoli, la cura della chiesa di S. Martino fu affidata a don Natale Nardi figliuolo
di Giuliano da Ranocchio e nel 1650 a don Costanzo Costi da Modena professo di S. Pietro.
Monaci erano stati anche parecchi dei rettori sopra nominati, ma dopo il Corti, in virtù della bolla di
Innocenzo X colla quale si levavano i monaci dalle cure, la chiesa di S. Martino venne data ad ecclesiastici irregolari. Così nel 1635 l’abate Pietro Valestri da Reggio la concesse a don Filippo Ricci
prete di Ranocchio e nel 1661 a don Gaspare Ricci, nipote del precedente, il quale morì nonagenario
nel 1716. Da quest’anno fino al 1770 fu parroco di S. Martino don Gian Giacomo Bertolucci, sacerdote dello stesso luogo, dal 1770 al 1799 don Carlo Bertolucci, dal 1799 al 1849 don Luigi Zaccaria, a cui successero nel 1849 don Serafini, nel 1859 don Piccinelli nel 1885 don Monzali e nel 1897
don Lodi.
L’entrata annua di questa chiesa, il cui patrimonio era anticamente costituito da beni stabili accennati anche in documenti dei secoli XII e XIII, nel 1617 era calcolata in circa 75 ducatoni, ed i rettori
pro tempore erano obbligati somministrare ogni anno al monastero di S. Pietro uno staro di castagne secche in riconoscimento del giuspatronato.
I Montecuccoli che per molti anni ebbero la giurisdizione feudale di S. Martino e di molti luoghi
circonvicini, furono larghi di beneficenza e di protezione a questa chiesa. Il conte Ercole in particolare nel dicembre del 1615 vi fece costrurre a nuovo e dotò la cappella maggiore nella quale venne
apposta la seguente iscrizione: Ad honorem SS. Corporis Christi, Beatique Martini protectoris sa9
cellum hoc Hercules Montecucculus erexit, agroque locupletavit cum onere, ut tabellæ Ioannis de
Gellonis civis et notari bononiensis decantant. Vos igitur rectores qui sacellum hoc absque nulla
impensa vestra ornatum invenietis, vosque adolescentes, quibus perpetuæ eruditionis utilitas concessa est, memores estote orare pro animam benevoli benefactoris vestri3.
Il conte Orazio poi nel 1629 vi fece erigere un modesto campanile e fornì la chiesa di 18 reliquie estratte dai cimiteri di S. Sebastiano e di S. Lorenzo di Roma, ottenute col mezzo del vescovo di
Modena dai cardinali Borghese e Ludovisi.
All’abate Giuseppe Mazzetti. Ode (A. Sorbelli)
Te che nascosto tra i monti umili
lungi dal facile rumor mondano
forte percosse l’ala del Genio,
Te del Frignano
illustratore, Te che i reconditi
corpi impietriti traesti a vita
novellamente ed a la storia,
ricostruita,
celebriamo. De l’arenaria
e del macigno dentro la mole
alta e sprezzata, da cento secoli
nascosti al sole,
con Te del cielo videro, i fossili,
l’orbita fulgida, l’ampia quiete;
a l’inventore molte narrarono
cose segrete:
dissero quelle de’ tempi arcaici
rosse di fuoco rivoluzioni
quando confusi lave vulcaniche
e lampi e tuoni
qui nella terra commossa, misera
a tanto irrompere di saturnali
ferocemente imperversavano.
E quando tali
del globo infranto scosse si tacquero,
voi pure, stanchi del rio cammino
e de la vita vostra girovaga,
triste destino,
dentro il Macigno, dentro la roccia
vi nascondeste. E da quel giorno
lunga de’ secoli fu la vigilia
a voi d’intorno.
Sopra la roccia vostra si crebbero
in lungo corso con altre forme
altri viventi, nove familie.
Grandi fur l’orme
che quei nel vostro suolo lasciarono,
grande l’ardire: de gli invidiati
vostri riposi anche turbarono
i freddi strati...
3
Si allude alla istituzione della Scuola di S. Martino.
10
Per Te di nuovo – non senti? – i fossili
tratti a la luce da l’alto speco
de le mutate forme degli esseri
ragionan teco.
Sorga dal marmo, sorga il tuo spirito
forte e ridente; libero voli
per gli orizzonti agli altri incogniti.
Di nuovi soli
illustra il vanto de la tua patria
prima che il sonno grave le pesi:
porta, vegliardo, porta la gloria
ai Frignanesi.
La Scuola di S. Martino di Salto (Venceslao Santi)
La signoria feudale della celebre famiglia Montecuccoli sopra S. Martino di Salto è strettamente legata ad una istituzione che per parecchi anni è stata fonte di molti vantaggi intellettuali e morali agli
abitanti dei paesi che ora costituiscono il comune di Montese. Questo instituto è la Scuola di S.
Martino nella quale Giuseppe Mazzetti apprese i primi elementi del sapere e per la quale spiegò
molto interessamento.
D. Ercole Montecuccoli conte di S. Martino, che per alcuni anni fu Arciprete di Maserno, dopo aver
con rogito del 6 febbraio 1616 ceduto al conte Francesco, suo nipote ex fratre, certi beni pel valore
di modenesi lire 21.350 coll’obbligo al cessionario di erigere in S. Martino un edificio per le scuole,
“animadvertens quam paucos esse in partibus istis montanorum qui, licet perspicacissimi ingenii,
in literis proficiant, et quidem culpa et defectu principaliter præceptorum, qui literas cum doctrina
christiana fideliter et debitis modis profiteantur et doceant, con testamento rogato il 10 luglio del
1617 da Pietro Ricci fece obbligo al suddetto suo erede conte Francesco Montecuccoli statim ac
missus fuerit in tenutam ac corporalem possessionem bonorum de Bontemptis, propriis sumptibus
construi, seu erigi domum unam, seu scholas, amplam et capacem, amplasve et capaces in curia
Sancti Martini in loco ab eodem Ill.° testatore designando, ubi stare habeant, et continuo in perpetuum habitare duo Præceptores probi viri moribus et virtutibus, ac integritate vitæ, sive modo laici
sint, sive religiosi, et ibi conjunctim, sive divisim literas grammaticales docere quoscumque ad eos
accedentes, et, ut dicitur, insegnare di leggere, scrivere e far conto, et insieme anche, se potrà, di
sonare e di cantare, et dippiù leggere pubblicamente et palam la sacra scrittura con li principj di logica et della scienza legale, et altre scienze ancora alli scolari che ce andaranno, nel modo infrascritto; cioè a 10 gratis et amore, 6 dei quali siano della terra di Ranocchio e 4 della terra di S. Martino,
da eleggersi, deputarsi et approbarsi per il Padrone che sarà pro tempore di d.e terre; et agli altri per
mercede onesta et conveniente. Quorum præceptorum idoneitas, et sufficentia semper approbetur
ab infrascriptis ejus heredibus ac successoribus ita et taliter ut si minus idonei reperiantur possint
ab eisdem repelli, reici, seu admoveri, et in eorum loco alii aptiores, seu idoniores subrogari. Et i
quali maestri dippiù abbino anche da insegnare pubblicamente due volte o una almeno la settimana
e tutti li giorni di festa la dottrina cristiana nella chiesa di S. Martino a ora competente a tutti quelli
grandi e piccoli, maschi e femmine, che v’andranno, et in specie alli fanciulli e fanciulle con quella
fede, integrità et amore che si conviene a buoni cristiani”. Per volontà del testatore il conte Francesco doveva inoltre provvedere tutto il mobilio necessario all’arredamento della casa e della Scuola e
lui e i suoi successori dare “cui quidem domui, scholisve, seu præceptoribus antedictis, in perpetuum, quotannis” 200 ducatoni da lire 4 di moneta di Bologna “ut deserviant eis pro alimentis, salariis, ac aliis sumptibus necessariis”.
Queste prime disposizioni fondamentali riguardanti la scuola di S. Martino furono nello stesso secolo XVII ampliate e notevolmente modificate. Il suddetto conte Ercole infatti con suo codicillo del 3
febbraio 1619 portò il numero degli scolari gratuiti da 10 a 28, stabilendo che 4 fossero di S. Marti11
no, 4 di Ranocchio, 4 di Montespecchio, 4 di Riva, 4 di Monteforte, 4 di Montese e 4 di Salto, e facendo alla predetta scuola un altro assegno di scudi 2000. Morto nel 1619 D. Ercole, il suo erede
conte Francesco, che nel 1630 ebbe anche la giurisdizione di Guiglia col titolo marchionale, ottenne
da mons. Alessandro Rangoni vescovo di Modena di poter erogare parte delle suddette rendite a beneficio anche dei sudditi delle giurisdizioni di Guiglia e di Montetortore, ingiungendo al proprio erede universale march. Gio. Battista Montecuccoli Laderchi di dare e lasciare alla Scuola di S. Martino tanti beni da costituire un frutto annuale di scudi 200 da lire 5,3 di Modena; il qual frutto e i
redditi lasciati dal co: Ercole alla Scuola medesima dovevano essere erogati a stipendiare prima i
maestri di S. Martino, poi quelli di Guiglia e di Montetortore. Passati alcuni anni il marchese Francesco, tormentato nella coscienza dal dubbio che le innovazioni da lui introdotte nella Scuola di S.
Martino col testamento del 1637 e la erezione da lui fatta in Guiglia di una casa d’istruzione e di
educazione avessero distratto parte delle rendite spettanti a quella Scuola, con rogito del 2 aprile
1645 prescrisse allo stesso erede ed a tutti i suoi successori nel feudo di S. Martino e nel godimento
degli allodiali di supplire con questi a quanto potesse mancare alla Scuola di S. Martino per insufficienza di redditi dei predetti beni.
Cionondimeno cominciando dal secolo XVIII il patrimonio di questa Scuola andò molto diminuendo; così che, non si sa in quale epoca, ma certo anche nel 1794, i maestri di essa, da due che erano
dapprincipio, furono ridotti ad uno solo stipendiato con modenesi lire 600. Quando poi, dopo la
morte del marchese Raimondo avvenuta in Milano nel 1873, si determinò la rovina finanziaria della
famiglia Montecuccoli-Laderchi, anche la Scuola di S. Martino ne seguì la deplorevole sorte. Onde
a stento il Comune di Montese poté salvare una piccola parte della dote di essa, che ora è destinata a
contribuire allo stipendio di una maestra elementare per le frazioni di S. Martino e di Salto.
Della fondazione di questa Scuola, un tempo floridissima, rimane memoria nella seguente iscrizione
che si legge nella cappella maggiore della chiesa di S. Martino a cornu evangelii:
D. O. M.
Hercules Montecuccolus comes et sacerdos prudenter et pie animadvertens iuvenes puerosque præceptoribus destitutos sæpissime a virtutibus ad vitia deflectere, testamento suo mandavit ut viri
doctrina et probitate conspicui perpetuo eligantur, qui honorificis beneficiis et præmiis a se propositis ac relictis ad iuvenes puerosque non solum ad humanas scientias sed ad Christi fidem spectantibus precipue erudiendos debeant accersiri, ut testantur tabellæ Joannis de Gellonis notarii bononiensis.
Inaugurazione della lapide all’Abate Giuseppe Mazzetti
La cerimonia dello scoprimento della lapide seguì effettivamente a mezzodì dell’11 corrente, come
s’era fissato. Il comitato era rappresentato da Pantanelli, Cuoghi, Lucchi, Magiera e Zaccaria: essendo il Cav. Crespellani assente per indisposizione, e avendo dovuto Santi, Colò e Vicini tornare
indietro da Magrignana per il cattivo tempo. Tuttavia nonostante queste assenze e quelle d’altri che,
non potendo intervenire, mandarono la loro adesione, la festa riuscì assai solenne; né Montese aveva mai visto un simile concorso di persone cospicue per cariche e dottrina. V’erano il dep. Gallini,
l’avv. Ferri di S. Felice, il pretore Franchini e il sindaco Poli di Zocca, i prof. Chistoni e Picaglia di
Modena, il dottor Sorbelli d’Iddiano, il prof. Lasagna di Carpi; senza contare altri signori e studenti
di Zocca, Castel d’Aiano, Pavullo, Fanano e Modena; e senza parlare dei villeggianti di Montese,
come i prof. Brini, Pincherle, Righi, Morini, Ascoli, dei signori, signorine e maestre del Comune,
dei molti preti e del numeroso popolo. Anche parecchi enti morali v’eran rappresentati, e S. E.
l’Arciv. di Modena aveva delegato il prevosto Colombo.
Finita alle 12 la premiazione scolastica, si scopre la lapide murata nel lato occidentale della torre; ed
allora Pantanelli fa il discorso di presentazione e consegna. Segue l’on. Gallini che s’associa ai sentimenti del primo; ed ambedue sono applauditissimi. Al Pantanelli risponde il ff. di Sindaco, sig.
Gualandi Massimo di S. Martino, ringraziando il comitato e promettendo diligente conservazione
della lapide. Al suono della banda si scioglie allora l’adunanza, e all’una e mezzo in canonica ha
12
luogo un banchetto di cinquanta commensali fra cui regna grande cordialità ed allegria. Il Pantanelli
fa voti per l’armonia della montagna e della pianura, Gallini per la prosperità di Montese; Gualandi
brinda al Gallini, Zeni G. ai presenti, e il dott. Sorbelli legge un’ode alla scienza dell’ab. Mazzetti
che riportiamo più sopra; e così ebbe termine la lieta festa della lapide mazzettiana, che resterà
sempre memorabile per Montese.
Montese, 15 agosto.
La lapide
Il Comitato che ha promossa e curata la creazione, nella rocca di Montese, della lapide inaugurata
l’11 agosto a ricordo dell’ab. Giuseppe Mazzetti è costituito dai signori: Pantanelli cav. prof. Dante
– Presidente, Crespellani cav. avv. Arsernio, Colò prof. Giuseppe, Cuoghi prof. Antonio, Lucchi
ing. Gian Battista, Magiera perito Ruggiero, Santi prof. Venceslao, Vicini avv. Marco Arturo, Zaccaria prof. d. Enrico. Nella lapide marmorea è incisa la seguente iscrizione:
IL SACERDOTE GIUSEPPE MAZZETTI
NATO A SAN MARTINO DI SALTO
IL XVIII AGOSTO MDCCCXVIII
MORTO A MODENA IL XXI DICEMBRE MDCCCXCVI
RICHIAMÒ L’ATTENZIONE DEI DOTTI
SULLA GEOLOGIA DI MONTESE
E STUDIANDO LE SPUGNE E GLI ECHINI
RIVELÒ ALLA SCIENZA TESORI SCONOSCIUTI
IN MEMORIA
GLI AMICI E I COLLEGHI
NELL’AGOSTO DEL MDCCCXCVIII
PP.
I Montecuccoli di Montese - Percorso storico
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Abate Giuseppe Mazzetti