GENUS BONONIAE
MUSEI NELLA CITTÀ
Novembre 2012
VI
edizione
Per informazioni: 051 275 41 27
e-mail: [email protected]
M
usica
Parrocchia di S.Giuliano
e Chiesa di S.Cristina
Chiesa di Santa Cristina della Fondazza
Piazzetta Morandi - Bologna
Marzo 2013
in
Santa Cristina
Musica
in
Santa Cristina
Le
tastiere raccontano
L’Accademia pianistica di Imola dà
voce a fortepiani e pianoforti antichi
D ediche
Dal Barocco al Novecento:
dieci anniversari da ascoltare
GENUS BONONIAE
MUSEI NELLA CITTÀ
Perché investire nella cultura
I
nvestire nella cultura, nell’arte e nella musica in un periodo di
crisi è segno di speranza, ma anche indice di grande onestà
intellettuale. La crisi, infatti, non deve determinare una mortificazione
della produzione e della condivisione dei soli valori che regolano la
nostra percezione del mondo, dei soli valori che ci permettono una
elaborazione consapevole dei fenomeni che si vivono. La cultura,
l’arte, la musica ci orientano e ci sostengono nel trovare soluzioni
ponderate e adeguate agli ostacoli che oggi appaiono insuperabili,
aiutandoci a maturare nuove idee e punti di vista insoliti, suggerendoci
di volta in volta livelli molteplici di interpretazione. Anche nella crisi,
soprattutto nella crisi, occorre ragionare nell’ottica di una società
della conoscenza, della formazione e dello sviluppo.
Musica in Santa Cristina è un progetto nato ormai sei anni fa,
quando le sorti economiche del mondo non lasciavano presagire
nulla di ciò che stiamo vivendo, quando potevamo concederci il lusso
di investire nella cultura soltanto per il gusto di offrire alla città eventi
di elevato livello culturale. Oggi, invece, abbiamo deciso di investire
nella cultura, consapevoli che ciò non è lusso, ma una necessità
primaria; l’unica risposta ragionevole alla crisi, la principale arma di
cui disponiamo per reagire alla sensibile mutazione storica, sociale
e civile in atto.
Musica in Santa Cristina raccoglie il consenso di migliaia di
bolognesi: i suoi concerti sono molto attesi e sempre seguiti dal
pubblico e dalla critica; tanto frequentati e apprezzati da incoraggiarci
ad allargare il nostro raggio d’azione a tutti i palazzi del percorso
Genus Bononiae, proponendo, a seconda dei luoghi, programmi
esecutivi diversi e sempre di buon livello.
Quest’anno il programma si arricchisce di una rassegna
eseguita dai talenti dell’Accademia pianistica “Incontri col Maestro”
di Imola; sono artisti che hanno investito tutto sulla musica, vincendo
peraltro, grazie alla loro bravura, i più importati premi internazionali.
Anche a loro dobbiamo questa scelta, perché l’affermazione di certi
valori sia più forte e decisa in una realtà che talvolta sembra volerli
negare, soffocando nel nulla anche le speranze dei nostri giovani e
dunque del nostro futuro.
Fabio Roversi-Monaco
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
5
Clima etereo - Armonia delle forme
Q
6
uante volte mio marito, buon’anima, rincasando la sera a
fine giornata di lavoro, esternava sconsolato il consueto
stucchevole lamento: «Ah… quella chiesa nella Fondazza… sempre
chiusa… ogni volta che ci passo davanti il cuore spreme lacrime
amare». Amante com’è della sua Bologna città natale sua e dei
suoi avi, ne conosce strade, piazze, portici, monumenti, chiese. Di
Santa Cristina – la chiesa inaccessibile che lo fa soffrire – conosce
le vicissitudini dei suoi cinquecentododici anni di vita: dall’origine
ad oggi. Ne conosce la storia, le singole opere d’arte incastonate in
preziose massicce ancone lignee dorate sovrastanti gli altari laterali,
le maestose statue di santi riposte nelle nicchie incavate nelle colonne
e… quell’incantevole Ascensione del Carracci che domina l’altar
maggiore! Ne venera una copia nel suo angolo nello studio di casa.
«Stasera i nostri due passi – mia cara – li faremo in Via Fondazza,
così finalmente vedrai questo monumento in abbandono che spreme
lacrime amare dal mio cuore e… provoca sorrisi di compatimento
sul tuo volto». Fu così che una sera d’autunno, ci bloccammo
come due statue di marmo all’ingresso di quel tempio rimesso a
nuovo, splendente nell’armonia delle sue forme e ornato di tante
opere d’arte. L’intera navata centrale era strapiena di un pubblico
devotamente assorto nell’ascolto di esecuzioni musicali travolgenti
che ci ammaliarono. Frutto della geniale intuizione del Presidente
della Fondazione Carisbo e del parroco di San Giuliano che,
accomunando le rispettive responsabilità passione e competenza,
coniugarono l’uso sacro saltuario della chiesa alla destinazione
ad Auditorium per esecuzioni musicali e iniziative culturali di livello
europeo.
(dal Diario onirico di una moglie)
Ha inizio in ottobre il programma musicale 2012-13 illustrato
in questo opuscolo. La sperimentata competenza degli ideatori e
organizzatori del programma garantisce l’eccellenza del repertorio,
che non mancherà di affascinare gli amanti dell’arte musicale.
Potranno per alcuni mesi partecipare a questo banchetto nuziale
fra genialità musicale e arte pittorica scultorea architettonica, in un
eccezionale contesto museale la cui sacralità assembla il tutto in un
clima etereo.
Monsignor Niso Albertazzi
Rettore di Santa Cristina
La Chiesa
di
Santa Cristina
della
Fondazza
N
el 1247 le monache camaldolesi si insediarono entro le
mura di Bologna fondando il Convento di Santa Cristina
“della Fondazza”. Il vano chiesastico, ad un’unica navata e con
quattro cappelle per lato, risale ai lavori di edificazione del 1602
realizzati da Giulio della Torre, architetto della cerchia di Domenico
Tibaldi. Tra una cappella e l’altra vi sono delle nicchie che ospitano le
statue di Santi opere di Giuseppe Mazza (Bologna, 1653-1741), di
Giovanni Tedeschi (Bologna, 1595-1645) e di Guido Reni (Bologna,
1576-1642); queste ultime sono di notevole importanza in quanto
unica testimonianza dell’attività scultorea del Reni. All’altezza del
presbiterio un’insolita strozzatura dona un assetto originale all’altare
maggiore, trasformando l’intera architettura in uno strumento
musicale. Ai lati dell’altare, infatti, si trovano due porte sormontate da
finestre che aprono sul coro, una stanza retrostante l’area absidale
dalla quale il canto delle monache si propagava con stupefacente
nitidezza acustica dall’altare fino all’ingresso. Il campanile barocco
risale al 1692. Originariamente sulla cima del campanile si stagliava
una statua di Santa Cristina in rame dorato e di grandi dimensioni,
che girava con il mutare dei venti. Nel 1745, dopo i danni causati
da un fulmine, l’architetto Carlo Francesco Dotti sostituì la statua con
una palla e una croce, ricostruendo parte del coperto.
Nelle cappelle, i dipinti, posti all’interno delle splendide ancone
lignee opera di Domenico Maria Mirandola (prima metà XVII sec.),
mantengono la loro collocazione originaria, fornendo uno splendido
compendio della pittura bolognese dagli inizi del Cinquecento sino
alla fine del Seicento. All’interno spicca per particolare pregio
L’Ascensione (1597) di Ludovico Carracci (Bologna, 1555-1619).
Collocata sull’altare maggiore, doveva in origine essere posta in
una cappella laterale in posizione molto alta, da qui il motivo del
gigantismo delle figure degli Apostoli, di Maria e della Maddalena
raffigurate in primo piano. I colori molto forti e “terreni” sono in
contrapposizione alle tonalità della parte superiore del dipinto dove
è raffigurato il Cristo mentre sale in Cielo. Tra gli altri capolavori
conservati sono da ricordare negli altari di destra: L’adorazione dei
pastori di Giacomo Raibolini, L’annunciazione del Passarotti e Santa
Cristina aggredita dal padre di Domenico Maria Canuti, mentre nella
parte di sinistra meritano di essere citati La salita al calvario, sempre
del Passarotti e, soprattutto, La sacra Conversazione di Francesco
de’ Rossi detto Salviati (Firenze, 1509 – Roma, 1563), quest’ultima
degna di nota in quanto influenzò molto, con il suo tonalismo, la
cerchia artistica bolognese, in particolare i Carracci.
7
calendario
Le
tastiere raccontano
L’Accademia pianistica di Imola dà voce
a fortepiani e pianoforti antichi
Dediche
Mercoledì 7 novembre 2012
Lunedì 26 novembre 2012
Duo Pianistico di Firenze
Sara Bartolucci – Rodolfo Alessandrini fortepiano
Musiche di Schubert, Czerny
Mercoledì 5 dicembre 2012
Giuseppe Albanese pianoforte
Musiche di Debussy, Liszt, Bellini
Mercoledì 30 gennaio 2013
8
Novembre
Andrea Bacchetti pianoforte
Musiche di Galuppi, Marcello, Paisiello, Soler, Scarlatti, Fano, Rossini
Mercoledì 6 febbraio 2013
Stefano Montanari violino barocco
Ryoku Yokoyama fortepiano
Musiche di Mozart, Beethoven, Schubert
Mercoledì 27 febbraio 2013
Malcolm Bilson fortepiano
Musiche di Haydn, Beethoven, Chopin
Mercoledì 6 marzo 2013
Davide Franceschetti fortepiano, pianoforte
Musiche di Mozart, Chopin, Janáček, Debussy
Chiesa
di
Santa Cristina della Fondazza
Piazzetta Morandi
2012 •
Marzo 2013
Dal Barocco al Novecento:
dieci anniversari da ascoltare
L’Arte dell’Arco
Federico Guglielmo violino
Musiche di Geminiani, Corelli
Lunedì 21 gennaio 2013
I Solisti dell’Orchestre de la Suisse Romande
Musiche di Poulenc, Debussy
Lunedì 18 febbraio 2013
Elena Popovskaya soprano
Silvia Gasperini pianoforte
Musiche di Wagner, Mascagni, Verdi
Lunedì 11 marzo 2013
The Brodsky String Quartet
Musiche di Wagner, Lutosławski, Britten
Lunedì 25 marzo 2013
Sergey Ostrovsky violino
Evgeny Brakhman pianoforte
Musiche di Poulenc, Britten, Kreisler
Ingresso libero
Tutti i concerti avranno inizio alle ore 20.30
non è consentito l’ingresso a concerto iniziato
9
Musica
in
Santa Cristina
Le
tastiere raccontano
L’Accademia pianistica di Imola dà
voce a fortepiani e pianoforti antichi
S
12
Qui sopra: lo studio di Ludwig van Beethoven
nella sua ultima abitazione a Vienna
Nella pagina precedente: fortepiano a coda di
J. Schanz, Vienna 1820 ca.
chott, Schanz, Érard, Steinway: a raccontare la storia della musica,
i suoi capolavori, i suoi linguaggi e le sue rivoluzioni, non ci sono
in questa rassegna soltanto gli spartiti e i loro interpreti, coadiuvati da uno
strumento il più possibile ‘aggiornato’ e docile sotto le loro mani. Anche le
tastiere, qui, raccontano la loro storia: storia sociale di uno strumento che
proprio a Vienna e Londra, a Parigi e New York, si apprestava nel primo
Ottocento a diventare il principe dell’arena concertistica, oltre che dei salotti
della borghesia in ascesa; storia industriale di brevetti e innovazioni sempre
più avanzati e sorprendenti, al servizio di un mercato in espansione, con
una clientela sempre più esigente e una concorrenza sempre più spietata; e
storia culturale di un repertorio nato per questa o quella particolare ‘voce’
strumentale, o meglio, per sfidarla, esplorandone e mettendone alla prova
ogni potenzialità tecnica e sonora. Accanto alle biografie degli interpreti e
dei compositori che andremo ad ascoltare, insomma, ci sono anche le storie
degli strumenti che le veicoleranno, e dei loro artefici: quella del viennese
Wenzel Schanz (che costruì un pianoforte per Haydn, conquistandolo) e del
fratello Johann che ne rilevò l’attività; o del parigino Sébastien Érard, autore
nel 1821 di un brevetto fra i più rivoluzionari della storia del pianoforte, quel
famoso “doppio scappamento” che consentirà una velocità di esecuzione
digitale fino ad allora impensabile; o ancora del migrante Steinweg, che
in America seppe costruire l’impero della Steinway & Sons. La ricchissima
collezione proveniente dall’Accademia pianistica “Incontri col Maestro” di
Imola, recentemente acquisita dalla Fondazione Cassa di Risparmio, ben
altro e ben di più che una raccolta museale di reperti storici, comprende
strumenti in grado di farci sentire la loro voce originale, restituendoci davvero
il suono su cui letteralmente lavoravano Haydn o Beethoven, poi Liszt e
Chopin, fino a Debussy e oltre: tutti autori per i quali la ricerca tecnica e
sonora costituiva una componente imprescindibile del proprio lavoro. A dar
loro la voce, per venire all’ultimo elemento (ma solo in ordine cronologico)
della triade autore-strumento-interprete, saranno docenti ed ex allievi
della stessa Accademia, che non a caso prevede nella sua preziosa offerta
formativa un Master in fortepiano e pianoforte romantico. Dagli incontri
coi Maestri di Imola sono nati negli anni i nuovi Maestri che ascolteremo
in questa rassegna, come Giuseppe Albanese, Andrea Bacchetti, Ryoku
Yokoyama, Davide Franceschetti, non solo laureati ai principali concorsi
pianistici internazionali, ma forti altresì di una specializzazione nella prassi
esecutiva sugli strumenti storici. Nel caso del Duo Pianistico di Firenze e
di Stefano Montanari, poi, quella specializzazione è oggi universalmente
riconosciuta, ed in quello di Malcolm Bilson addirittura pionieristica, avendo
egli partecipato da protagonista al movimento per l’esecuzione filologica
sin dagli anni Sessanta.
13
Le
Mercoledì 7
Sara Bartolucci - Rodolfo Alessandrini fortepiano
Franz Schubert (1797-1828)
Fantasia in fa minore D 947
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca.
Carl Czerny (1791-1857)
Grande Sonata Brillante in do minore op. 10
su fortepiano M. Schott, Vienna 1830 ca.
Due autori viennesi si fronteggiano in questo programma su altrettanti
strumenti viennesi a loro coevi. Schubert, emarginato in vita come il
povero suonatore d’organetto del suo celebre ciclo liederistico, è oggi fra
i compositori più noti ed eseguiti al mondo, e le sue opere, quasi tutte
pubblicate soltanto dopo la sua morte, conoscono una fama inespugnabile.
Al contrario, Czerny godette in vita di un’indiscussa reputazione come
esecutore virtuoso, didatta (fra i suoi allievi vi era anche Franz Liszt), autore
di metodi tuttora frequentati dagli studenti di pianoforte di ogni dove (chi
non si è cimentato almeno una volta con la sua Scuola della velocità, o
con l’agognata Arte di rendere agili le dita?), nonché compositore tanto
prolifico da raggiungere il numero d’opus 849; eppure oggi di quella
sterminata produzione si rammentano quasi soltanto i pur fondamentali
studi tecnici. Vale dunque la pena ascoltare in successione un capolavoro
come la Fantasia schubertiana, forse il pezzo più celebre del repertorio
per pianoforte a quattro mani, scritta nell’anno della morte e dedicata
all’ennesima passione non corrisposta dell’autore, l’allieva Karoline
Esterházy, e la Grande Sonata Brillante di Czerny, dove fra turbinii di trilli,
scalette, doppie terze e ottave emergono la felicità melodica e il piglio
ora appassionato, ora languido della migliore tradizione Biedermeier. A
riscoprire Czerny sono chiamati due interpreti e studiosi che proprio della
Sonata hanno curato la revisione moderna per Carisch editore: il Duo
Pianistico di Firenze, che dopo la vittoria in concorsi internazionali come
quelli di Roma e di Stresa, o lo “Schubert” di Dortmund, ha alle spalle
vent’anni di concerti fra Europa e Stati Uniti. Un’attività cui il Duo coniuga
l’approfondimento della prassi esecutiva su strumenti originali, ottenendo
in particolare con Stefano Fiuzzi il Diploma in fortepiano e pianoforte
romantico presso l’Accademia di Imola, con il titolo onorifico di Master.
tastiere raccontano
Mercoledì 5
novembre 2012
Duo Pianistico di Firenze
14
Le
tastiere raccontano
dicembre 2012
Giuseppe Albanese pianoforte
Claude Debussy (1862-1918)
Suite bergamasque – Ballade
su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864
Pour le Piano
su pianoforte Steinway & Sons, 1900 ca.
Franz Liszt (1811-1886)
Dalle Années de pèlerinage, Première Année, Suisse:
Au bord d’une source
Dalle Années de pèlerinage, Troisième Année, Italie:
Les jeux d’eaux à la Ville d’Este
Liebestraum n. 3 in la bemolle maggiore
su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864
Vincenzo Bellini (1801-1835) / Franz Liszt
Réminiscences de Norma
su pianoforte Steinway & Sons, 1900 ca.
Liszt e Debussy, ovvero due compositori che hanno ‘ripensato’, ciascuno a
suo modo, il pianoforte, risuonano qui su due strumenti nati a loro volta
dal più rivoluzionario costruttore della storia: quello Steinweg che dalla
Germania partì a metà Ottocento alla conquista dell’America, e da lì
del mercato globale, divenendo un brand, lo Steinway & Sons, che ancor
oggi rappresenta il pianoforte per antonomasia. Una solidità costruttiva
ed un volume di suono ancora inaudito si univano già nei primi Steinway
a possibilità timbriche e dinamiche sbalorditive per l’epoca, stimolando a
loro volta i compositori a sperimentare. Così se Liszt nelle sue Années de
pèlerinage si ripropone di tradurre in suono le sorgenti e i giochi d’acqua,
ma anche la contemplazione dei luoghi e le impressioni letterarie, lo fa
mettendo le accresciute potenzialità meccaniche dello strumento al servizio
di una tecnica altrettanto innovativa. Dal canto suo Debussy rievoca nella
Suite bergamasque le forme e il suono dell’antico clavicembalo, ma è capace
di alludere a sua volta a fruscii di foglie, chiari di luna, o fuochi d’artificio...
L’estetica lisztiana è oggetto di uno studio non soltanto pianistico da parte
di Giuseppe Albanese, che le ha dedicato la laurea con lode e dignità di
stampa in Filosofia. Conseguito nel 2003 il Master all’Accademia di Imola
sotto la guida di nomi come Scala, Rattalino, Lonquich, Lortie, lo stesso
anno Albanese trionfa al Concorso “Vendôme”, inaugurando un’intensa
carriera concertistica.
15
Le
Mercoledì 30
pianoforte
Baldassarre Galuppi (1706-1785)
Sonata in si bemolle maggiore
Benedetto Marcello (1686-1739)
Sonata in re minore
Giovanni Paisiello (1740-1816)
Due Minuetti (dai manoscritti di Pietroburgo per Caterina di Russia)
Antonio Soler (1729-1783)
Sonata in do maggiore – Sonata in si maggiore
Guido Alberto Fano (1875-1961)
da Rimembranze (1948): Mestizia – Valzer Improvviso
Domenico Scarlatti (1685-1757)
Sonata in la maggiore K 322 – Sonata in fa diesis maggiore K 319
Sonata in sol maggiore K 280 – Sonata in do minore K 99
Gioachino Rossini (1792-1868)
Da Péchés de vieillesse: Tarantelle pur Sang
su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864
Una rete di sottili rimandi interni percorre questo programma incentrato
su forme di breve respiro e sul trasferimento al pianoforte delle sonorità
clavicembalistiche: fra Venezia e la Pietroburgo di Caterina la Grande
s’intrecciano i destini di Benedetto Marcello, del suo protégé Baldassarre
Galuppi e di Giovanni Paisiello, che sulla tastiera riversano una cantabilità e
un senso dei contrasti tutti teatrali; imbevute di ritmi e moduli armonici della
tradizione iberica sono dal canto loro le ben più copiose sonate di Domenico
Scarlatti e del suo erede confesso, Padre Antonio Soler, che sottopongono
l’esecutore a veri e propri percorsi a ostacoli, fra incroci e scambi di
mani, arpeggi, scalette, cluster accordali, inaugurando una nuova scuola
dell’agilità. Perciò non stona qui l’inserimento di due autori, come Fano e
il Rossini dei Peccati di vecchiaia, il cui uso della tastiera è volutamente (e
spesso ironicamente) rétro. Forte dei consigli di Karajan, Magaloff, Berio,
dopo il Master a Imola Andrea Bacchetti si esibisce alla Scala come alla
Fenice, invitato regolarmente in Giappone e Sud America e protagonista di
incisioni accurate, fra cui proprio quelle di Galuppi e Marcello per la Sony.
tastiere raccontano
Mercoledì 6
gennaio 2013
Andrea Bacchetti
16
Le
tastiere raccontano
febbraio 2013
Stefano Montanari violino barocco
Ryoku Yokoyama fortepiano
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Sonata in mi minore KV 304
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca.
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata in fa maggiore op. 24 - La primavera
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca.
Franz Schubert (1797-1828)
Sonatina n. 1 in re maggiore D 384
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca.
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Trentasei furono le sonate per violino e tastiera di Mozart: in assoluto il
catalogo più corposo nella sua produzione strumentale da camera; ma
soprattutto un genere che lo accompagnò dall’opera 1, pubblicata nel
1764, agli ultimi anni di vita, segnando il passaggio dalle prime “sonate
per clavicembalo con l’accompagnamento del violino”, dov’è la tastiera a
condurre il gioco, al rapporto ormai paritario e dialogico dei due strumenti
nelle ultime sonate. Un rapporto che Schubert raccolse quasi alla lettera
nelle sue tre giovanili Sonatine dedicate al fratello, la prima delle quali (D
384) cita proprio l’incipit della mozartiana Sonata KV 304; e un rapporto
che Beethoven raccolse e sviluppò ulteriormente, lasciando capolavori ancor
oggi preclari come la Kreutzer, dalla materia incandescente, o la Primavera,
il cui segno è al contrario quello di una serena cantabilità, che fluisce come
per germinazione naturale. La copiosa letteratura cameristica viennese
d’inizio Ottocento, perlopiù dai toni “confidenziali” e disimpegnati, dove il
fortepiano la faceva spesso da padrone, rappresenta peraltro la traduzione
commerciale del favore di cui godeva la tastiera nelle case borghesi, qui
rappresentata da due esemplari costruiti dalla ditta familiare degli Schanz
di Vienna. Accanto a Ryoku Yokoyama, ennesimo fiore all’occhiello
dell’Accademia imolese, dove si è diplomata in fortepiano nel 2008 sotto le
cure di Stefano Fiuzzi, ascolteremo uno specialista riconosciuto della prassi
esecutiva su strumenti originali qual è Stefano Montanari, primo violino
e maestro concertatore dal 1995 dell’Accademia Bizantina, ospite di
ensemble come Les Talens Lyriques e protagonista di pluripremiate incisioni.
Le
Mercoledì 27
18
Le
tastiere raccontano
tastiere raccontano
Mercoledì 6
febbraio 2013
marzo 2013
Malcolm Bilson fortepiano
Davide Franceschetti
Joseph Haydn (1732-1809)
Sonata in sol maggiore Hob. XVI: 40
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca.
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Rondò in re maggiore KV 485 – Adagio in si minore KV 540
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca.
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata in re minore op. 31 n. 2
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca.
Fryderyk Chopin (1810-1849)
Andante spianato e Grande Polacca brillante op. 22
su pianoforte romantico S. Érard, Parigi metà ’800
Fryderyk Chopin (1810-1849)
Impromptu in sol bemolle maggiore op. 51
Mazurka in do diesis minore op. 50 n. 3
Valzer in la bemolle maggiore op. 34 n. 1
su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca.
Léoš Janáček (1854-1928)
Sonata 1. X. 1905
su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864
Della sessantina circa di sonate composte da Joseph Haydn, la maggior
parte si colloca nell’interregno fra il clavicembalo e le accresciute possibilità
meccaniche e sonore del fortepiano: tanto che lo stesso Haydn, come
annota Rattalino nella sua preziosa Storia del pianoforte, acquistato il suo
primo Schanz nel 1788, ne divenne ben presto un apostolo dall’ardore
quasi commovente, sebbene forse non del tutto disinteressato (parrebbe
infatti che simili illustri raccomandazioni venissero ripagate da Schanz con
una regolare provvigione...). Ma il progresso costruttivo dei nuovi strumenti
era e restava comunque epocale, e chi seppe intuirne le potenzialità finì
per trasformare di conseguenza persino la propria scrittura: Beethoven fu
tra i primi, e rimane fra i più grandi sperimentatori del suono pianistico,
dalla tastiera alla pedaliera. Nella Sonata op. 31 n. 2 (passata alla storia
con il sottotitolo La tempesta) egli utilizza il pedale di risonanza in modo
quasi impressionistico, mentre il moto perpetuo del finale è al servizio di
una sonorità quasi ipnotica. Ecco infine il respiro breve e improvvisativo di
certo Chopin, il quale semplicemente parlava attraverso il pianoforte: come
nelle Mazurke op. 50, che secondo George Sand «dicono più di quaranta
romanzi e valgono più di tutta la letteratura del secolo», o quando, nei Valzer
dell’op. 34, trasfigurava ogni pesantezza di martelletti «per far danzare
l’anima». Pionieristico nella storia dell’interpretazione è a sua volta il ruolo
di Malcolm Bilson, protagonista fin dagli anni Settanta del secolo scorso
del movimento per l’esecuzione musicale su strumenti originali, al fianco
degli English Baroque Soloists di Gardiner (con un’incisione di riferimento
dei Concerti mozartiani) o della Academy of Ancient Music di Hogwood.
fortepiano, pianoforte
Claude Debussy (1862-1918)
La plus que lente
su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864
Un caleidoscopio di sonorità e di forme (o meglio di libere reinterpretazioni
delle forme ‘canoniche’) si dipana qui in tre secoli di letteratura pianistica,
e su strumenti che vanno dal fortepiano viennese al pianoforte a coda
“americano” di Steinway & Sons, passando per il modello brevettato da
Sébastien Érard, autore nel 1821 di una fondamentale innovazione della
meccanica come il “doppio scappamento”, sistema che, permettendo
di ribattere una nota prima ancora che il martelletto fosse tornato nella
posizione di riposo, aprì nuovi orizzonti sonori ad esecutori e autori.
Su questo strumento Chopin – che pure gli preferì sempre il ‘suo’ Pleyel
– trova nuovo slancio, specie nelle evoluzioni della giovanile Grande
Polacca brillante. Ad aprire il programma, il Rondò KV 485 e l’Adagio KV
540 di Mozart, emblematici di come il loro autore sapesse trasformare
brevi pezzi d’occasione in enigmatiche variazioni (nel primo caso) o in
un tragico e intenso tombeau (nel secondo). All’antologia si aggiunge
l’unica sonata pianistica mai scritta da Janáček, che scelse il suono del
pianoforte per denunciare la morte di un operaio per mano delle forze
dell’ordine durante una manifestazione, avvenuta proprio il 1° ottobre
1905. Un valzer a modo suo, come sempre in Debussy, è anche La plus
que lente, con ironico riferimento alla francesissima voga della valse lente.
Dopo il perfezionamento ad Imola con maestri come Scala, Rattalino,
Lonquich, Berman, Masi e Fiuzzi, e la vittoria al Concorso internazionale
GPA di Dublino nel 1994, Davide Franceschetti è premiato nel 2000 a
Leeds, e nel 2001 a Van Cliburn, e da allora le sue tournée toccano le
principali sale europee e statunitensi.
19
Musica
in
Santa Cristina
Dediche
Dal Barocco al Novecento:
dieci anniversari da ascoltare
C
22
Qui sopra: i dieci autori protagonisti di Dediche
(nell’ordine: Britten, Verdi, Geminiani, Kreisler, Poulenc, Wagner,
Lutosławski, Mascagni, Debussy, Corelli)
Nella pagina precedente: l’incipit della celebre Follia
di Arcangelo Corelli, che conclude le sue Sonate op. 5
on buona pace della numerologia, il biennio 2012/2013
riunisce in sé una costellazione di anniversari musicali che
supera il centinaio, e ciò se ci limitiamo ovviamente a quelli più significativi:
l’anniversario in sé, si sa, è molto spesso nefasto per il malcapitato
protagonista, che i cartelloni concertistici si fanno un dovere di ricordare,
magari riesumandone opere giustamente dimenticate nell’urgenza di
obbedire al diktat diffuso di omaggiarlo, celebrarlo, eseguirlo. Per noi
l’anniversario dev’essere invece un’occasione per dedicare un pensiero e
una riflessione ad autori, come i dieci che abbiamo selezionato per questa
rassegna, che hanno segnato altrettante pietre miliari sulla strada della
musica. Le nostre Dediche percorrono infatti tre secoli di storia musicale
europea, da Corelli, morto nel 1713, a Britten e Lutosławski, nati entrambi
nel 1913, passando per altri due coetanei come Verdi e Wagner (classe
1813), i cui destini si sono incrociati come sappiamo anche in vita, nell’epoca
d’oro del melodramma. La panoramica che le loro opere ci permettono di
esplorare non è soltanto temporale e geografica, ma abbraccia anche la
storia dei generi musicali; a cominciare da Corelli, padre riconosciuto di
quell’arte dell’arco che si tramanderà attraverso un allievo come Francesco
Geminiani, e poi esploderà con archi-star come i Paganini e gli Joachim,
sino ai funambolismi di Fritz Kreisler, del quale (scomparso nel 1962 alla
bellezza di 87 anni dopo aver suonato e inciso fino al 1950) possiamo ancora
ascoltare le esecuzioni. Verdi e Wagner (fra i quali va incastonato Pietro
Mascagni, wagneriano della prim’ora, apprezzato da Verdi) rappresentano
ancor oggi i due numi tutelari dell’opera italiana e tedesca, ma anche di
un’arte della vocalità e dell’orchestrazione che emerge come cartina al
tornasole proprio nella loro produzione cameristica. E poi il Novecento:
l’arte delle nuances di un Debussy o di un Poulenc, autori peraltro
affascinati dagli strumenti a fiato (voce compresa), cui hanno dedicato una
parte importante della loro produzione; e il quartetto d’archi, immancabile
“strumento a sedici corde”, che ascolteremo dalla prospettiva originale
di Benjamin Britten e Witold Lutosławski: il primo vi si dedicò per tutta la
vita, dai tre Divertimenti degli anni Trenta al Terzo Quartetto, scritto poco
prima della morte, mentre il Polacco completerà un unico, emblematico
Quartetto nel 1965, dove le note scritte si alternano ad aree di libertà
e di improvvisazione. All’arte dell’arco di Federico Guglielmo, che con
l’omonimo ensemble da lui formato è interprete di riferimento del repertorio
barocco, si affiancherà quella di Sergey Ostrovsky, violinista dalla tecnica
sbalorditiva della scuola di Isaac Stern, mentre un atteso ritorno sarà quello
del Brodsky Quartet, da ormai quarant’anni fra i più attivi ensemble della
scena internazionale. Per gli strumenti a fiato, il repertorio francese sarà
affidato a specialisti riconosciuti (dal 1918) come i Solisti dell’Orchestre de
la Suisse Romande, mentre la voce wagneriana di Elena Popovskaya sarà
protagonista dell’incontro cameristico fra due grandi operisti.
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Dediche
Dediche
Lunedì 26
L’ARTE DELL’ARCO
Federico Guglielmo violino
Francesco Galligioni violoncello
Roberto Loreggian cembalo e organo
Arcangelo Corelli (1633-1713)
Sonata in re maggiore per violino e basso continuo op. 5 n. 1
Francesco Saverio Geminiani (1687-1762)
Sonata in do maggiore per violoncello e basso continuo op. 5 n. 3
Arcangelo Corelli
Sonata in fa maggiore per violino e basso continuo op. 5 n. 9
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Lunedì 21
novembre 2012
Francesco Saverio Geminiani
Dai Pièces de clavecin:
trascrizione dell’autore della Sonata per violino op. 4 n. 1
Sonata in la maggiore per violino e basso continuo op. 1 n. 1
gennaio 2013
I SOLISTI DELL’ORCHESTRE DE LA SUISSE ROMANDE
Stephan McLeod voce
Dmitry Rasul-Karejev clarinetto
Sarah Rumer flauto
Christian Chamorel pianoforte
Francis Poulenc (1899-1963)
Sonata op. 164 per flauto e pianoforte
Claude Debussy (1862-1918)
Première Rhapsodie per clarinetto e pianoforte
Francis Poulenc
Sonata op. 184 per clarinetto e pianoforte
Claude Debussy
Prélude à l’après-midi d’un faune per flauto e pianoforte
Arcangelo Corelli
Sonata in re minore per violino e basso continuo op. 5 n. 12:
La follia
Francis Poulenc
Selezione di Chansons per voce e pianoforte
Arcangelo Corelli, ovvero l’arte dell’arco. Un binomio storico, dal momento
che il titolo L’Arte dell’arco fu scelto da Giuseppe Tartini per le sue cinquanta
variazioni su una celebre Gavotta di Corelli, così omaggiando il maestro
indiscusso di uno strumento che di lì a poco avrebbe monopolizzato le sale da
concerto; ma anche un binomio moderno, grazie ad un interprete acclamato
dello strumento e della prassi storica qual è Federico Guglielmo, che nel 1994
fonda il suo ensemble proprio allo scopo di dare una personalità e un suono
ben definito al repertorio barocco italiano: un’impresa coronata da oltre
cinquanta incisioni e collaborazioni con colleghi quali Christopher Hogwood,
Gustav Leonhardt, Pieter Wispelwey, Michala Petri. Se Arcangelo Corelli tenne
a battesimo, tre secoli or sono, una nuova tecnica strumentale ed insieme la
nascente sonata solistica, in particolare con quell’Opera V destinata a fare
scuola in tutta l’Europa musicale (e suggellata dalla celeberrima Follia finale),
l’allievo Francesco Geminiani seppe mettere a frutto gli insegnamenti e la fama
stessa del maestro, facendosi strada a Londra come virtuoso e compositore.
Il suo catalogo, qui esaustivamente rappresentato, andava dai pezzi
clavicembalistici ai concerti grossi, alle sonate per violoncello, e naturalmente
per violino, dove il contemporaneo Hawkins non sapeva decidersi a quale
qualità dare la palma dell’eccellenza: se alla «sua finezza come esecutore, alla
sua abilità tecnica, oppure al buon gusto del suo stile».
Il flauto, il clarinetto, la voce: tre “strumenti a fiato” capaci di infinite
sfumature, dal grido più lancinante alla delicatezza di un soffio, oltre che
veicoli, specie nel Novecento francese, di una sensualità e di un’ironia
capaci di dissimulare qualsiasi “impalcatura pesante”: così è nelle
Chansons di Poulenc come nel Prélude o nella Rhapsodie di Debussy, che
intorno a un’idée fixe sviluppano le evanescenze di una solida architettura
dove l’autore ha però “tolto le colonne”, già ammiccando alle sonorità
pre-jazzistiche di New Orleans. Benny Goodman – che avrà in repertorio la
Rapsodia – non è lontano, e non a caso sarà lui a commissionare a Francis
Poulenc nel 1962 la Sonata per clarinetto. Nelle intenzioni dell’autore,
la Sonata doveva appartenere ad una serie dedicata agli strumenti della
famiglia dei legni; ma Poulenc riuscì a completarne soltanto tre parti, fra
cui la Sonata per flauto (1957), dedicata a sua volta al virtuoso JeanPierre Rampal. Un repertorio dallo stile inconfondibile, ‘timbrato’ dal
suono dei fiati e ricco di omaggi e di rimandi interni, è dunque quello
del Novecento francese, repertorio del quale specialisti riconosciuti sono i
Solisti dell’Orchestre de la Suisse Romande, compagine fondata nel 1918
da Ernest Ansermet, e protagonista di decine di incisioni per l’etichetta
Decca, fra cui le prime esecuzioni di molte opere di autori contemporanei,
quali lo stesso Debussy, Arthur Honegger e Frank Martin.
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Dediche
Dediche
Lunedì 18
febbraio 2013
Elena Popovskaya soprano
Silvia Gasperini pianoforte
Richard Wagner (1813-1883)
Cinque Wesendonck-Lieder WWV 91
Pietro Mascagni (1863-1945)
Intermezzo da Cavalleria Rusticana
Intermezzo del III Atto da L’Amico Fritz
Aria di Suzel “Son pochi fiori” da L’Amico Fritz
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Giuseppe Verdi (1813-1901)
Tre Romanze da camera:
“Stornello” – “Ad una stella” – “Lo spazzacamino”
“Pace, pace mio Dio” da La Forza del destino
Al solo proferirli, i nomi di Giuseppe Verdi e Richard Wagner (fatalmente nati
entrambi nel 1813) evocano già a lettere di fuoco le due anime riconosciute
dell’opera italiana e tedesca, nonché, aspetto tutt’altro che secondario, della
stessa tradizione lirica bolognese. Verdi infatti esordisce nella nostra città già
nel 1843 con il Nabucco, e a tutt’oggi i suoi titoli costituiscono l’ossatura
delle stagioni liriche bolognesi. Accanto a lui, ecco Richard Wagner, in un
incontro-scontro simboleggiato anche visivamente dalle due targhe bronzee
dell’Italiano e del Tedesco che si fronteggiano nel foyer del Teatro Comunale.
A Wagner Bologna riserverà diverse prime italiane, da Lohengrin nel 1871 –
che innescherà proprio la querelle fra sostenitori dell’opera italiana e di quella
tedesca, mentre l’anno dopo il suo autore sarà eletto cittadino onorario di
Bologna – sino al Parsifal del 1914. Un destino parallelo seguono anche le
produzioni non operistiche di entrambi, limitate peraltro a pochi titoli: se infatti
i Wesendonck-Lieder sono l’unico lavoro cameristico di Wagner, accanto al
Siegfried-Idyll, ad entrare stabilmente in repertorio, la trentina circa di romanze
da camera composte da Verdi per voce e pianoforte risale per la maggior parte
al periodo precedente la sua consacrazione universale come operista. Se le
Cinque poesie per una voce femminile con accompagnamento di pianoforte
su testi di Mathilde Wesendonck (da cui il ben più snello titolo di WesendonckLieder con cui sono passate alla storia) prefigurano i cromatismi e le armonie
cangianti del Tristano e Isotta, opera cui Wagner stava già lavorando, e della
quale i Wesendonck rappresentano veri e propri “studi” preparatori, a loro volta
le Romanze verdiane appaiono spesso come traduzioni in veste cameristica di
arie accompagnate, dalla vocalità, e dai vocalizzi, squisitamente operistici.
Ad intercalare i virtuosismi sopranili, due Intermezzi strumentali celeberrimi
anche nella loro trascrizione pianistica: quella Cavalleria rusticana con la quale
nel 1890 la fama di Mascagni si rivelerà repentinamente al mondo, e L’Amico
Fritz, che conseguirà l’anno dopo un successo trionfale.
Interprete ideale di un repertorio tecnicamente impegnativo, quanto drammatico
e intenso nell’espressività, è la soprano russa Elena Popovskaya, cui farà da
solida ‘spalla’ pianistica l’esperienza (anche direttoriale) di Silvia Gasperini.
La Popovskaya, solista della Novaja Opera di Mosca, è ospite regolare al
Mariinskij di San Pietroburgo e al Bol’šoj moscovita. Eroina nei principali titoli
verdiani, pucciniani e wagneriani, nonché naturalmente nel grande repertorio
della sua terra, si è esibita inoltre fra la Monnaie di Bruxelles e il Festival di Torre
del Lago, all’Arena di Verona come all’Opera di Roma, e proprio in un ruolo
wagneriano sarà ospite del Comunale bolognese: quel Fliegender Holländer
che a Bologna appunto ebbe la sua prima rappresentazione italiana, nel 1877.
La sala del Teatro Verdi di Busseto, inaugurato nel 1868
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Dediche
Dediche
Lunedì 11
THE BRODSKY STRING QUARTET
Daniel Rowland violino
Ian Belton violino
Paul Cassidy viola
Jacqueline Thomas violoncello
Richard Wagner (1813-1883)
Siegfried-Idyll in mi maggiore WWV 103
Witold Lutosławski (1913-1994)
Quartetto per archi
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Lunedì 25
marzo 2013
Benjamin Britten (1913-1976)
Terzo Quartetto per archi op. 94
Il 25 dicembre 1870, Richard Wagner offriva alla moglie Cosima un’opera
per lui insolitamente intima e ‘privata’: era il Siegfried-Idyll, strenna natalizia
ed insieme regalo di compleanno per la madre dei suoi tre figli, l’ultimo dei
quali si chiamava proprio Siegfried. Nell’idilliaco rifugio di Tribschen sul Lago
di Lucerna, risuonava così un omaggio d’amore ricolmo di riferimenti alla
vita familiare di Richard e Cosima: la nascita di Siegfried in una luminosa
“alba arancione di giugno”, i temi del mondo e della purezza della seconda
giornata della Tetralogia, una ninnananna per la seconda figlia Eva. E proprio
in una pagina così raccolta emerge al meglio il Wagner concertatore, capace
di scegliere timbri e colori che trasfigurano costantemente la pur solida
struttura contrappuntistica. Quasi un secolo dopo, Lutosławski ci offre uno
studio timbrico di pari intensità, pur in un contesto del tutto mutato qual è
quello dell’“alea controllata”: nel suo unico Quartetto, il compositore polacco
prevede infatti quattro parti separate senza sincronizzarle in un’unica partitura,
lasciando quindi a ciascuno strumento una sorta di “libertà condizionata”
dell’esecuzione. In una altrettanto libera concezione e combinazione
strumentale, il Terzo Quartetto di Britten, eseguito ad Aldeburgh poco dopo
la sua morte, pare davvero un desolato testamento musicale, percorso dai
frammenti dell’ultima sua opera, Death in Venice. A celebrare i tre anniversari,
un Quartetto che a sua volta ha raggiunto nel 2012 i quarant’anni di attività:
il Brodsky, che proprio per l’incisione dei Quartetti di Britten ha ricevuto il
“Diapason D’Or” e lo “Choc du Monde de la Musique”, oltre ad essere
insignito del “Royal Philharmonic Society Award” per il suo fondamentale
contributo al mondo della musica.
Sergey Ostrovsky
Evgeny Brakhman
marzo 2013
violino
pianoforte
Fritz Kreisler (1875-1962)
Praeludium und Allegro
Benjamin Britten (1913-1976)
Suite op. 6 per violino e pianoforte
Francis Poulenc (1899-1963)
Sonata op. 119 per violino e pianoforte
Fritz Kreisler
La Gitana – Liebesleid – Caprice Viennoise
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L’austriaco Fritz Kreisler fu una leggenda vivente del violinismo per buona
metà del ventesimo secolo: talento tanto precoce (si narra che il suo
primo violino fosse ricavato da una scatola di sigari) quanto longevo,
sbalordì tutta l’Europa e gli Stati Uniti con la sua tecnica unica, il vigore
delle interpretazioni, l’inconfondibile (e imitatissimo) vibrato. E a lui molti
virtuosi di oggi devono anche tutta una serie di pezzi di bravura, spesso
scritti “alla maniera di” autori e tradizioni musicali della storia: come il
Praeludium und Allegro nello stile settecentesco di Gaetano Pugnani, o i
suadenti arabeschi de La Gitana. E un efficace pezzo di bravura è anche
la giovanile Suite op. 6 di Benjamin Britten , scritta nel 1935 e già forte
del “marchio depositato” del suo autore, nella rivisitazione spesso ironica
delle forme tradizionali (il valzer, la ninnananna, la marcia…), ma in
senso sempre melodico e accattivante. Tanto disimpegnata è la Suite di
Britten, quanto disperato è il contesto della Sonata per violino di Poulenc
(fra i pochissimi pezzi cameristici per archi composti dall’autore, le cui
preferenze andavano dichiaratamente agli strumenti a fiato): completata
nel 1943, la Sonata rende un tragico tributo alla memoria di una celebre
vittima dello squadrismo franchista, Federico García Lorca. A ripercorrere
i fasti del violinismo novecentesco sarà Sergey Ostrovsky, primo violino
e fondatore nel 1996 dell’Aviv Quartet, e considerato da Isaac Stern
«il maggior simbolo degli straordinari talenti musicali presenti oggi in
Israele». Accanto a lui il russo Evgeny Brakhman, il cui pianismo, definito
“ipnotico”, è stato premiato in dodici concorsi internazionali, fra cui il
“Dino Ciani” 1999 e i Concorsi di Tivoli 2008 e di Cleveland 2009.
Per le attività in Santa Cristina:
consulente artistico
Bruno Borsari
responsabile coordinamento e organizzazione
Annalisa Bellocchi
redazione testi e segreteria organizzativa
Fulvia de Colle
La Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
si riserva il diritto di apportare variazioni
- dovute a motivi tecnici o di forza maggiore ai programmi, agli orari e alle date dei concerti
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012
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