INAF
Istituto Nazionale di Astrofisica
OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI PALERMO
Giuseppe S. Vaiana
Piazza del Parlamento 1 (Palazzo dei Normanni)
I–90134 Palermo (Italy)
Tel: +39 – 091 233111 Fax: +39 – 091 233444
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RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA
Rapporto 2002
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In copertina:
INAF
Istituto Nazionale di Astrofisica
OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI PALERMO
Giuseppe S. Vaiana
Piazza del Parlamento 1 (Palazzo dei Normanni)
I–90134 Palermo (Italy)
Tel: +39 – 091 233111 Fax: +39 – 091 233444
RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA
Rapporto 2002
Palermo, 30 maggio 2003
In copertina: Immagini in raggi X a falsi colori della regione post-shock a Nord-Est del resto di supernova
della Vela, nella banda spettrale 0.3–0.5 keV (a sinistra) e nella banda 0.5–1.0 keV (a destra), ottenute con
la European Photon Imaging Camera a bordo del satellite XMM-Newton.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
i
Indice
Introduzione
1
I Ricerca Astronomica
5
1 Fisica Solare
1.1 Fisica della corona confinata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Struttura e riscaldamento di archi coronali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Coronal Mass Ejections . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
5
5
7
2 La Connessione Sole-Stelle
2.1 L’Emissione in Raggi X del Sole come Stella . . . . . . . . . .
2.2 Variabilità temporale in raggi X del Sole come stella . . . . . .
2.3 Il diagramma FX -HR e la correlazione pressione-temperatura . .
2.4 Effetti dell’emissione stellare in raggi X su atmosfere planetarie
3 Astrofisica Stellare nei Raggi X
3.1 Studi di ammassi aperti e di regioni di formazione stellare . .
3.2 Scoperta di emissione in raggi X dagli oggetti Herbig-Haro .
3.3 Variabilità coronale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.1 Variabilità coronale in stelle giovani . . . . . . . . .
3.3.2 Il confronto della variabilità stellare con quella solare
3.4 Spettroscopia nei Raggi X di Corone Stellari . . . . . . . . .
3.4.1 Spettroscopia in raggi X con BeppoSAX . . . . . .
3.4.2 Spettroscopia in raggi X con XMM-Newton . . . . .
3.4.3 Spettroscopia in raggi X con Chandra ed EUVE . . .
3.5 Modelli di brillamenti stellari . . . . . . . . . . . . . . . . .
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29
35
4 Astrofisica Stellare Ottica
38
4.1 Spettroscopia ottica ad alta risoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
4.2 Fotometria e astrometria di ammassi aperti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
5 Resti di Supernova
5.1 Studi statistici di Resti di Supernova nell’archivio ROSAT OAPA . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Interazione plerione-shell in 3C58 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.3 Interazione fra shock e mezzo interstellare in RSN evoluti: il caso di Vela . . . . . . . . .
46
46
51
54
6 Survey in raggi X e struttura galattica
6.1 Analisi del contenuto stellare del “Chandra Deep Field North” . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Contenuto stellare nel survey HELLAS2XMM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Survey del Piano Galattico con XMM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
57
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60
7 Astrofisica Extragalattica
61
7.1 Popolazione di galassie late-type: M81 e M33 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
II Ricerca Tecnologica e Sviluppo di Strumentazione
65
INAF – OAPA: Rapporto 2002
ii
8 Laboratorio per Astronomia X
8.1 Descrizione della XACT facility . . . . . . . . . . . . .
8.2 Progettazione e Calibrazione di Filtri . . . . . . . . . . .
8.3 Sviluppo ed applicazione di microcalorimetri per raggi X
8.4 Sviluppo e Calibrazione di Ottiche per Raggi X . . . . .
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9 Strumentazione per Spettroscopia Ottica
9.1 Lo spettrografo per ottica adattiva AVES per il VLT . . . . . .
9.2 Lo spettrografo multi-oggetto FLAMES per il VLT . . . . . .
9.3 Lo spettrografo ad ampia banda X-SHOOTER per il VLT . . .
9.4 Lo spettrografo ICE per lo spettropolarimetro PEPSI per l’LBT
9.5 Il laboratorio di spettroscopia astronomica ottica LAOS . . . .
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10 Algoritmi e Banche Dati per Astronomia nei raggi X
86
11 Il Sistema di Calcolo per l’Astrofisica Numerica (SCAN)
11.1 Il codice numerico per plasmi astrofisici FLASH . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11.1.1 Effetti di non equilibrio di ionizzazione indotti durante un brillamento solare . . .
11.1.2 Modellistica di resti di supernova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
87
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91
III Storia dell’Astronomia
97
IV Meteorologia
98
V
Attività culturali
100
VI Il Sistema di Elaborazione Numerica
102
VII Pubblicazioni
105
Lavori su riviste con referee e monografie
Pubblicati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
In corso di stampa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sottoposti per la pubblicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
105
105
107
107
Relazioni su invito
109
Comunicazioni a congressi, altre riviste, etc.
111
Tesi di Laurea
115
Proposte di particolare rilevanza scientifica
115
VIII Eventi del 2002
116
INAF – OAPA: Rapporto 2002
iii
Convegni e scuole
116
Seminari
116
Eventi pubblici
117
Ricercatori in visita
118
IX Personale
119
Personale dell’Osservatorio Astronomico
119
Personale della Sezione di Astronomia
del Dipartimento di Scienze Fisiche ed Astronomiche
121
Personale dello IASFC-CNR
121
Partecipazione a Progetti e Comitati Nazionali ed Internazionali
122
INAF – OAPA: Rapporto 2002
1
Introduzione
L’Osservatorio Astronomico di Palermo (OAPA) è una delle strutture di ricerca dell’Istituto Nazionale di
Astrofisica (INAF) ed opera in collegamento con l’Università di Palermo attraverso la sezione di Astronomia del Dipartimento di Science Fisiche ed Astronomiche (Dip.S.F.A.).
Una convenzione tra Osservatorio ed Università di Palermo consente all’OAPA di usufruire dei locali
della sede storica situata nel Palazzo dei Normanni, e garantisce una razionale utilizzazione delle risorse
e del personale dei due Enti. Oltre che nella sede centrale, l’OAPA svolge attività di ricerca anche presso
locali distaccati (in affitto) dove risiedono il laboratorio X-ray Astronomy Calibration and Testing (XACT)
Facility, il Sistema di Calcolo per l’Astrofisica Numerica (SCAN), e dove è stato installato lo scorso anno
anche il Laboratorio per Astronomia Ottica e Spettroscopia (LAOS).
L’OAPA si caratterizza per la sua vocazione nel campo dell’astrofisica spaziale, che ha costituito –
sin dall’inizio della sua attività come ente autonomo – la linea portante delle ricerche. In questo ambito è
stato realizzato il laboratorio XACT per l’astronomia in raggi X, e l’OAPA ha raggiunto una competenza
riconosciuta internazionalmente nel campo dell’astrofisica solare e stellare e nell’analisi e archiviazione
di osservazioni in raggi X da missioni spaziali. In tempi più recenti, l’OAPA ha allargato il proprio campo
di interessi allo sviluppo e utilizzo di strumentazione per spettroscopia ottica per grandi telescopi, ed ha
ampliato il proprio investimento nell’ambito del calcolo ad alte prestazioni, con particolare riferimento ad
applicazioni nel campo dei plasmi astrofisici. La maggior parte dei programmi presentati vengono svolti
in collaborazione con ricercatori operanti presso istituti nazionali ed internazionali.
Per quanto riguarda l’attività di ricerca tecnologica nell’ambito dell’astronomia nei raggi X svolta
nel 2002, sono da segnalare:
• il programma per lo sviluppo ed applicazione di microcalorimetri per raggi X, per il quale l’OAPA
ha ricevuto nel 2001 fondi di Cofinanziamento MIUR (progetto “Tecnologia e applicazioni di microrivelatori criogenici”, coordinatore nazionale S. Serio); tale programma vede coinvolti tre gruppi italiani e – presso l’OAPA – esso viene svolto in collaborazione con ricercatori dello HarvardSmithsonian Center for Astrophysics di Cambridge (Massachusetts);
• il programma per la realizzazione del telescopio per raggi X ad incidenza radente (PI: L. Golub,
Smithsonian Astrophysical Observatory) che volera‘ sul satellite giapponese per osservazioni solari
Solar-B; il gruppo di Palermo ha la responsabilita‘ della calibrazione dei filtri di entrata e di piano
focale, nonche‘ delle misure di riflettivita‘ di fiducial sample degli specchi del telescopio per raggi
X;
• il programma di monitoraggio della trasmissività nella banda UV/visibile dei filtri (duplicati) della
European Photon Imaging Camera (EPIC) a bordo del satellite XMM-Newton, finanziato con fondi
dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI); l’OAPA prosegue in tale ambito la collaborazione con i gruppi
europei coinvolti nella realizzazione di EPIC;
• la collaborazione al Balloon-borne MIcrocalorimeter Nuclear Line Explorer (B-MINE), progetto
selezionato per uno studio di fattibilità su fondi dello Smithsonian Astrophysical Observatory (SAO,
PI: E. Silver);
• le proposte per l’INternational Spectro Polarimetric Imaging x-Ray Explorer (INSPIRE, PI E. Silver – SAO) e per il Soft X-ray Telescope (mission of opportunity a bordo del satellite indiano ASTROSAT, PI D. Burrows – Penn State University, USA), sottoposte in risposta al bando NASA
MIDEX AO-01-OSS-03.
2
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Lo sviluppo di strumentazione ottica per grandi telescopi è resa possibile principalmente tramite
finanziamenti da parte del CNAA, e con fondi di Cofinanziamento chiesti al MIUR e all’INAF. In particolare,
• il progetto UVES/FLAMES (spettrografo multi-oggetto) è in collaborazione con l’Osservatorio
Astronomico di Bologna, l’Osservatorio Astronomico di Trieste, l’Osservatorio Astronomico di
Cagliari e l’European Southern Observatory (ESO); l’OAPA ha partecipato alla realizzazione del
Data Reduction Software di UVES nel modo a fibre, strumento diventato operativo nell’aprile del
2003 sull’unità UT2 del Very Large Telescope (VLT) dell’European Southern Observatory (ESO);
• il progetto X-SHOOTER (spettrografo ad alta efficienza su ampia banda spettrale) è in collaborazione con l’Osservatorio Astronomico di Brera, l’Osservatorio Astronomico di Trieste, l’Osservatorio Astrofisico di Catania, insieme a Istituti in Olanda e in Danimarca facenti parte del Consorzio
europeo guidato dall’ESO; in questo progetto sono confluiti finanziamenti CNAA già assegnati per
la realizzazione di una precedente concezione (AVES) dello strumento e sono stati richiesti fondi
all’INAF e al MIUR/COFIN;
• il progetto PEPSI (spettropolarimetro ad alta risoluzione) è in collaborazione con l’Osservatorio
Astronomico di Brera, l’Osservatorio Astrofisico di Catania e l’Astrophysical Institute di Potsdam
(AIP); la partecipazione italiana riguarda la realizzazione dello spettrografo ICE per PEPSI; anche
per questo progetto sono stati chiesti fondi all’INAF e al MIUR/COFIN.
Ulteriori collaborazioni, che hanno un forte contenuto di tecnologia informatica, ma che non coinvolgono la realizzazione di attrezzature sono in corso con diverse istituzioni:
• il progetto per lo sviluppo di algoritmi e banche dati per astronomia in raggi X – che ha ricevuto
finanziamenti da parte del CNAA (sin dal 1997), parzialmente attraverso un programma di Cofinanziamento MURST (coordinatore nazionale S. Sciortino), e in misura modesta da parte dell’ASI
– vede la collaborazione di ricercatori OAPA con gruppi operanti presso l’Osservatorio di Brera,
l’Osservatorio di Roma e presso il Centro Dati dell’ASI, che hanno congiuntamento realizzato il
Distributed Interactive Astronomical Network Archive (DIANA);
• il Sistema di Calcolo per l’Astrofisica Numerica (SCAN), realizzato tramite il progetto “Alta formazione nel campo del calcolo ad alte prestazioni e problematiche astrofisiche attuali” del MURST
su finanziamento dell’Unione Europea (UE), ha consentito di avviare un’attiva collaborazione con
il Center for Astrophysical Thermonuclear Flashes, della University of Chicago, per lo sviluppo e
test di FLASH, un sofisticato codice numerico modulare e parallelo capace di affrontare problemi
generali di idrodinamica e magnetoidrodinamica astrofisica
Per quanto riguarda infine l’attività di ricerca direttamente legata all’analisi e interpretazione di
osservazioni in raggi X e nell’ottico, va ricordato:
• la collaborazione con ricercatori della High-Energy Astrophysics Division presso il Center for Astrophysics (CfA) di Cambridge (MA, USA), del X-ray Astronomy Group presso la Penn State University (USA) e del Research and Scientific Support Department di ESA/ESTEC, in programmi di
osservazione con l’osservatorio spaziale Chandra mirate allo studio della fisica dei processi di formazione stellare, tra i quali va ricordata l’osservazione profonda (850 ksec) della regione di Orione,
approvata nel 2002 come large project di Chandra;
• la collaborazione con ricercatori della HEAD/CfA (Cambridge, MA) nei programmi di osservazione
su Tempo Garantito con l’osservatorio spaziale Chandra e la collaborazione con vari ricercatori
INAF – OAPA: Rapporto 2002
3
europei per gli studi degli spettri in raggi X di sorgenti coronali osservate dal satellite XMM-Newton,
nella fase di calibrazione e di Performance/Verification;
• le collaborazioni su progetti di fisica della corona solare, basati su dati di Yohkoh, con ricercatori
dell’Università di Chicago, l’ISAS di Tokyo e l’Università di Tokyo, e collaborazioni con ricercatori
del SAO nell’analisi di dati ottenuti con i satelliti NIXT e TRACE, equipaggiati con telescopi a raggi
X a incidenza normale;
• i programmi di spettroscopia ottica ad alta risoluzione di regioni di formazione stellare e ammassi aperti, cui collaborano ricercatori di ESO, dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, del Centro
Galileo Galilei, del Center for Astrophysics, dell’Universita‘ del Maryland, dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, dell’Osservatorio Astronomico di Bologna, dell’Osservatorio Astronomico di
Padova e dell’Osservatorio Astronomico di Trieste.
• il programma di studio della popolazione stellare giovane della Galassia svolto nell’ambito del
programma di cofinanziamento del MIUR intitolato “Studio della struttura tridimensionale della
Galassia (coordinatore nazionale C. Chiosi).
Il personale afferente all’OAPA (vedi parte IX) è composto da 1 Astronomo Ordinario, 1 Astronomo
Straordinario, 1 Astronomo Associato e 6 Ricercatori Astronomi. Vi fanno attualmente parte anche tre
ricercatori a tempo determinato che usufruiscono di borsa di studio biennale Marie Curie (UE). All’attività
di ricerca scientifica della struttura contribuisce anche un ricercatore dell’Istituto di Astrofisica Spaziale
e Fisica Cosmica del CNR, e inoltre – nel corso del 2002 – vi hanno partecipano 9 borsisti, assegnisti o
contrattisti (M. Artale, V. Di Matteo, A. Faraci, E. Flaccomio, E. Franciosini, V. La Parola, E. Perinati, N.
Pizzolato, P. Spanò).
Alla sezione di Astronomia del Dipartimento afferiscono 1 professore ordinario, 1 professore straordinario, 2 professori associati e 1 ricercatore. All’attivitá didattica dei corsi di Astronomia ed Astrofisica
hanno preso parte anche la Dott.ssa A. Ciaravella, il Dott. F. Damiani, il Dott. A. Maggio, e la Dott.ssa G.
Micela. Lo stesso personale docente del Dipartimento (vedi elenco nella parte IX), insieme al personale
dell’Osservatorio Astronomico partecipa alle attività del Dottorato di Ricerca in Fisica. Nel 2002 hanno
svolto attività di ricerca presso l’OAPA 5 allievi del Dottorato di Ricerca in Fisica (C. Argiroffi, A. Marino,
I. Pillitteri, L. Prisinzano, P. Testa) e 6 laureandi (di cui due hanno conseguito nel 2002 la Laura in Fisica
di I livello, secondo il nuovo ordinamento).
L’OAPA conta inoltre sul supporto di 3 unità di personale tecnico/scientifico, 3 unità (di cui una a
tempo determinato) per la gestione del sistema di calcolo, 6 unità (inclusa una a tempo determinato) per
servizi di amministrazione, 2 unità per la gestione della biblioteca, 1 unità per attività museali e divulgative
e 5 unità per altri servizi generali e tecnici. Infine, nel 2002, hanno prestato servizio temporaneo presso
l’OAPA 3 unità di Personale per Lavori Socialmente Utili (L.S.U., tramite convenzione con il Comune di
Palermo) e 2 unità di personale per Lavori di Pubblica Utilità (L.P.U., tramite convenzione con la Provincia
di Palermo) che hanno fornito l’ausilio necessario per l’apertura al pubblico del Museo della Specola e per
altre attività culturali, divulgative e di supporto.
Questo documento descrive le attività di ricerca e lo sviluppo delle strutture dell’OAPA durante il
2002, ed è suddiviso nelle seguenti parti: I) ricerca astronomica, II) ricerca tecnologica e sviluppo di strumentazione, III) storia dell’astronomia, IV) meteorologia, V) attività culturali, VI) sistema di elaborazione
numerica. La parte VII è dedicata alla bibliografia, la parte VIII agli eventi organizzati dall’Osservatorio
nel corso del 2002, e la parte IX al personale.
Considerata la stretta osmosi fra le attività di tutto il personale coinvolto, indipendentemente dalla sua
afferenza o meno all’Osservatorio Astronomico di Palermo, tutte le attività vengono presentate in un unico
documento, ritenendo che questo sia in accordo con le linee guida dell’INAF, anche in considerazione
4
INAF – OAPA: Rapporto 2002
del fatto che, sin dai primi mesi del 2002, il personale scientifico universitario e del CNR, la cui attività è
illustrata in questo documento, ha avuto attribuito un incarico di ricerca gratuito nell’ambito dei programmi
svolti in collaborazione con il personale dell’Osservatorio.
5
Parte I
Ricerca Astronomica
1 Fisica Solare
1.1 Fisica della corona confinata
In questo campo l’interesse del gruppo è incentrato sulla comprensione della morfologia, delle condizioni
fisiche e della dinamica delle strutture coronali sia in condizioni stazionarie (cioè gli archi coronali in
quiete, le regioni attive) sia nel corso di eventi transitori come i brillamenti e i Coronal Mass Ejections.
L’approccio del gruppo vede tradizionalmente l’analisi teorica e interpretazione fisica delle strutture e dei
fenomeni coronali tramite modelli e il confronto dettagliato dei modelli con le osservazioni.
La maggior parte dell’emissione in raggi X della corona solare proviene da archi coronali “riempiti”
di plasma caldo a milioni di gradi. In tali regimi il plasma è totalmente ionizzato e confinato in presenza
di elevati campi magnetici, in molti casi si può assumere si comporti come un fluido. In pratica, le caratteristiche e i tempi scala dell’emissione in raggi X sono in gran parte determinate dalla fluidodinamica
del plasma: per tale motivo modelli puramente fluidodinamici di plasma si sono rivelati preziosi strumenti
teorici e di diagnostica e hanno fornito vincoli cruciali per comprendere i meccanismi fisici in gioco.
Le ricerche riguardanti la fisica della corona confinata sono state stimolate recentemente dalla acquisizione di dati di sempre maggiore qualità da diversi satelliti, e, in particolare, da Yohkoh, che ha
monitorato la corona e i brillamenti solari in continuazione dallo scorso massimo solare (1991), da SOlar and Heliospheric Observatory (SOHO), che dal 1995 fornisce una messe di informazioni soprattutto
di carattere spettroscopico della corona interna ed esterna, e da Transition Region And Coronal Explorer
(TRACE), che con elevata risoluzione spaziale (100 ) permette di studiare la struttura fine della corona e di
evidenziarne la forte filamentazione.
Il gruppo persegue cosı̀ delle linee che fanno continuo riferimento ai dati di queste tre missioni e li
utilizzano estesamente, sia attraverso studi più prettamente incentrati sull’analisi dei dati, sia attraverso
studi che invece legano tale analisi ad un modellaggio dettagliato delle strutture e dei fenomeni osservati e
alla sintesi dai modelli di quantità osservabili da confrontare con i dati.
Tale approccio è stato estensivamente applicato ad esempio allo studio dei brillamenti coronali, che
desta da tempo grande interesse nel gruppo dell’OAPA e della sezione di Astronomia del Dip.SFA/Palermo.
I brillamenti consistono in rapidi aumenti di luminosità di zone ristrette della corona solare, seguiti da una
più lenta e graduale diminuzione. I brillamenti possono raggiungere luminosità uguali o maggiori dell’intera corona della stella e temperature superiori a 10 milioni di gradi (MK). Il gruppo ha condotto numerosi
studi sui brillamenti solari, con l’utilizzo di sofisticati modelli fluidodinamici di archi coronali.
1.1.1
Struttura e riscaldamento di archi coronali
Il satellite TRACE, grazie alla sua elevata risoluzione spaziale nella banda XUV, ha permesso di avviare
indagini sulla strutturazione fine della corona solare. In particolare ha reso evidente che gli archi coronali
sono in realtà costituiti da fasci di sottili filamenti di spessore dell’ordine della risoluzione stessa dello
strumento (∼ 100 ). Recentemente (Testa et al. 2001, 2002) è stato effettuato uno studio dettagliato della
struttura trasversale e longitudinale di due sistemi di archi coronali osservati da TRACE nelle sottili bande
passanti a 171 Å e 195 Å, sensibili a plasmi con temperature intorno a 1 MK. La particolarità di questo
studio è consistita nell’aver analizzato singoli filamenti invece di interi fasci, come era stato fatto in lavori
di altri gruppi, e nell’aver cosı̀ derivato le caratteristiche fisiche degli elementi di base degli archi coronali.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
6
Yohkoh/SXT - Al.1
TRACE - 171A
13 AUG 98 - 01:28:17
13 AUG 98 - 00:11
Yohkoh/SXT - Al.1
TRACE - 171A
TRACE - 195A
TRACE - 195A
A
B
C
18 AUG 98 - 17:36:21
19 AUG 98 - 01:43
Figura 1: Immagini delle strutture coronali osservate con TRACE, di cui si analizza la struttura trasversale
e longitudinale. Nelle immagini a sinistra, prese con il satellite Yohkoh, sono evidenziati i campi di vista
delle osservazioni TRACE, prese a distanza di sei giorni (13 e 19 Agosto 1998). Al centro e a destra sono le
immagini di TRACE nelle due bande (171 Å e 195 Å), con i sistemi analizzati (marcati con linee bianche)
(tratto da Testa et al. 2002).
Nel corso dello studio è stato fatto uso di modelli idrostatici di archi coronali, sia molto semplici e con
l’assunzione di plasma isotermo, sia più complessi, e con un bilancio energetico dettagliato. L’analisi ha
permesso di identificare (Fig. 1 pannelli in alto) un filamento a temperature più elevate (≈ 5 MK) di quelle
che ci si poteva aspettare sulla base della sensibilità nominale dello strumento e dell’analisi standard, e
di alcuni filamenti invece relativamente freddi (∼ 0.2 MK, Fig. 1 pannelli in basso). Il filamento caldo è
ben descritto da un modello di arco coronale idrostatico non-isotermo, quelli freddi invece appaiono più
isotermi e, probabilmente, in condizioni dinamiche.
I risultati di questo lavoro confermano che esiste una varietà di condizioni termiche dei filamenti
osservati da TRACE; il filamento caldo sembra essere analogo ad un arco coronale di tipo convenzionale,
in contrasto con i risultati di altri lavori dove si afferma che gli archi osservati con TRACE siano di
natura diversa da quelli osservati con altri strumenti nella banda X. D’altronde, l’analisi mostra anche
filamenti freddi con caratteristiche fisiche radicalmente diverse, probabilmente per la presenza di forti
flussi di plasma o di fenomeni transitori.
Uno studio complementare al precedente ha riguardato l’analisi di un’osservazione di una regione
attiva coronale effettuata nel 1997 dal satellite SoHO, in diverse regioni e righe dello spettro ultravioletto,
e in particolare con lo strumento CDS, dotato anche di risoluzione spaziale (Di Giorgio et al. 2003).
Quest’analisi ha permesso di indagare come cambia nel tempo la morfologia degli archi coronali osservata
in diverse righe spettrali, e quale sia la stratificazione termica del plasma lungo e attraverso gli archi.
La campagna osservativa, promossa da ricercatori dell’OAPA e Università di Palermo (P.I. G. Peres e F.
Reale), era mirata all’indagine della variabilità di archi coronali legata alla possibile presenza di piccoli ma
intensi episodi di riscaldamento (microbrillamenti) che potessero spiegare la stabilità degli archi coronali.
Nel corso dello studio sono state identificate due strutture di interesse (Fig. 2): un arco abbastanza
Ricerca Astronomica
7
NW foot
NE foot
Loop A
Loop B
SW foot
SE foot
O V 629.73A
raster 8
arcsec
arcsec
Fe XVI 360.76A
raster 8
arcsec
arcsec
Figura 2: I due archi coronali identificati nel campo di vista di SoHO/CDS nell’osservazione della regione attiva. Le immagini in basso mostrano chiaramente le due strutture nei dati SoHO/CDS: a sinistra l’arco caldo è visibile nella riga calda del Fe XVI 360.76 Å; a sinistra quello freddo nella riga O V
629.73 Å (tratto da Di Giorgio et al. 2003).
lungo (∼ 50000 km), stabile e ben visibile nelle righe che si formano a temperature coronali (> 2 MK)
e uno più piccolo (∼ 20000 km), di breve durata e visibile solo nelle righe più fredde (∼ 0.2 MK).
All’interno dell’arco caldo, la regione più variabile è quella intorno all’apice e mostra distinti impulsi di
luminosità praticamente in tutte le righe, ma non sembrano essere tali da giustificare un riscaldamento a
impulsi che sostenga di continuo la struttura. L’arco freddo è stato osservato nell’intera sua evoluzione, e
sono stati rivelati flussi di plasma al suo interno, confermando la natura altamente transitoria di questo tipo
di strutture.
È continua l’attenzione del gruppo verso osservazioni coronali in raggi X. Osservazioni da parte del
satellite Yohkoh sono state oggetto negli ultimi anni di lavori volti a diagnosticare la distribuzione del
riscaldamento all’interno degli archi. In particolare un lavoro apparso nel 2000 (Priest et al. 2000, ApJ
539, 1002) aveva trovato che il riscaldamento era distribuito uniformemente in alcuni grandi archi coronali. Aschwanden (2001) ha poi evidenziato che questo risultato porta a un’incongruenza nello scenario
fisico e che è invece necessario che vi sia una componente di riscaldamento concentrata alla base di almeno uno di questi archi, per poter ottenere risultati autoconsistenti. Questa vivace dialettica ha stimolato
un’ulteriore analisi nel nostro gruppo (Reale 2002), che ha portato a conclusioni ulteriormente differenti: le incongruenze trovate da Aschwanden non sono necessariamente da spiegare con la presenza di un
riscaldamento ai piedi dell’arco, bensı̀, tenendo conto di opportune correzioni per uniformare i modelli ai
dati (Fig. 3), l’arco coronale in questione è in realtà più caldo di quanto si pensasse (∼ 3 MK) e con un
riscaldamento probabilmente localizzato in cima ad esso.
1.2 Coronal Mass Ejections
Lo studio dei Coronal Mass Ejections (CMEs) è un’altra linea di ricerca nell’ambito della fisica solare. I
CME sono fenomeni che hanno origine dalla esplosione di strutture magneticamente confinate il cui effetto
INAF – OAPA: Rapporto 2002
8
200
Y (pixels)
150
100
50
0
0
50
100
X (pixels)
150
200
Figura 3: Grande arco coronale osservato con il satellite Yohkoh: i dati, estratti all’interno del percorso in
grigio sono stati analizzati con modelli idrostatici, dopo aver sottratto un segnale di fondo stimato dai dati
contenuti nel tracciato in nero. Ne risulta che l’arco è a temperature superiori a 3 MK e riscaldato in cima
(tratto da Reale 2002).
e’ di espellere plasma, a velocitá anche di diverse migliaia di km/sec, nell’atmosfera solare e verso lo spazio
interplanetario. Si pensa che essi abbiano un ruolo importante nella riconfigurazione del campo magnetico
solare. La loro frequenza varia durante il ciclo solare da un evento ogni due giorni al minimo fino a tre
eventi al giorno nella fase di massimo dell’attività. Le tempeste geomagnetiche, la distruzione di satelliti
dovuta ad interazione con particelle molto energetiche nonchè i problemi al sistema delle comunicazioni
molto frequenti durante il massimo del ciclo solare sono in gran parte causati da CMEs. L’interesse per i
CMEs va oltre l’ambito astrofisico e mira anche alla possibilità di prevederne il verificarsi per limitarne
eventualmente gli effetti sulla terra. I fenomeni solari sono inoltre un importante termine di confronto per
lo studio di fenomeni esplosivi in altri ambiti astrofisici ed in particolare su stelle con atmosfere simili a
quella solare ma con livelli di attività X anche estremamente più elevati.
Il lancio del satellite Solar and Heliospheric Observatory ha segnato una svolta nello studio dei
CMEs. Infatti, osservazioni in diverse bande dello spettro elettromagnetico sono ora disponibili insieme
alle tradizionali immagini dei coronografi a luce visibile. In particolare con lo spettrometro UVCS per la
prima volta sono stati ottenuti spettri UV di CME nella corona solare. Questo gruppo in collaborazione
con il gruppo UVCS del Center for Astrophysics (Cambridge, USA), in particolare con il Dr J. Raymond
e il Dr A. van Ballegooijen, e’ impegnato nell’analisi degli spettri UVCS di CMEs. Diversi sono gli aspetti
che si prestano ad essere studiati utilizzando gli spettri UltraVioletti e di seguito riassumeremo alcuni degli
studi completati durante lo scorso anno ed altri in corso di svolgimento.
Ciaravella et al. (2002a) e Ko et al. (2002) sono due lavori dedicati alla analisi ed interpretazione
dell’osservazione di una regione attiva molto giovane ed in rapida evoluzione i cui spettri, osservati ad
altezze eliocentriche maggiori di 1.5 R , hanno mostrato emissione in righe tipiche di plasma a diversi
milioni di gradi. In particolare, UVCS ha rivelato una emissione localizzata molto brillante nelle righe del
[Fe XVIII] 974 Å (106.8 K), Fe XVII 1153Å (106.7 K), [Ca XV] 1098Å (106.6 K) e Ne IX 1248Å (106.5
K). L’emissione localizzata rivelata con UVCS è stata interpretata come il current sheet di riconnessione
predetto da alcuni modelli di flux-rope CME. Lo spessore, luminosità e durata del current sheet sono in
Ricerca Astronomica
9
accordo con le previsioni del modello di Forbes & Lin (2000).
Un Flux-rope CME è composto da tre componenti: un fronte circolare molto brillante, una zona scura,
cavità, di bassa emissione e racchiusa dal fronte, un nucleo brillante all’interno della cavità che è costituito
dalla protuberanza espulsa. Le osservazioni di flux-rope CMEs sono particolarmente importanti perchè
sono il riferimento morfologico di tutti i modelli di CME. La ragione e’ legata alla loro semplice morfologia che permette di definire facilmente la topologia del campo magnetico e di seguirne l’evoluzione
attraverso la corona. In mancanza di una diagnostica osservativa delle condizioni fisiche del plasma nelle
tre componenti (fronte,cavità e nucleo), i modelli utilizzano ipotesi ad hoc e riproducono esclusivamente la
morfologia e dinamica degli eventi. Spettri di un flux-rope CME sono stati ottenuti con UVCS per l’evento
del giorno 11/02/2000 ad altezze eliocentriche di 2.3 e 2.6 R . In Figura 1 sono mostrate le immagini in
Lyα , O VI 1032Å e Si XII 520Å ottenute dagli spettri di UVCS insieme alla immagine in luce visibile
ottenuta con LASCO C2. Le condizioni di temperatura, densità, e velocità nelle tre componenti del CME
sono responsabili delle differenze osservate nelle immagini delle righe Lyα , O VI 1032Å e Si XII 520Å.
L’immagine in Lyα è quella che meglio riproduce la morfologia del CME osservata in LASCO; infatti,
la riga Lyα si forma in un intervallo di temperatura più grande rispetto a quelli del Si XII e O VI ed ha
un profilo molto largo che rende la sua componente eccitata radiativamente meno influenzata dal Doppler
dimming causato dalla velocità del CME. Dagli spettri di UVCS e’ stato possibile stabilire le condizioni di
temperatura, densità e velocità lungo la linea di vista nelle tre componenti fronte, cavità e nucleo. Questo
lavoro è stato completato durante lo scorso anno ed è in via di pubblicazione (Ciaravella et al 2003, in
press).
UVCS ha anche osservato CME molto veloci associati con flares di classe X. Questi eventi mostrano caratteristiche diverse da quelle osservate in molti altri CME, quali la distruzione molto rapida dello
streamer, Doppler shift molto elevati (vedi Figura 2) e plasma ad alta temperatura osservabile nelle righe
del [Fe XVIII]. Tre eventi di questo tipo sono stati analizzati (Raymond et al. 2002, sottoposto) e sono
stati determinati i parametri fisici delle strutture pre-eruzione nonchè la natura fisica e geometrica della
eruzione.
Sono definiti halo CME gli eventi che avvengono approssimativamente entro la congiungente SoleTerra la cui estensione angolare, nelle immagini a luce visibile, è 360◦ . Questi eventi quando hanno origine
sulla parte visibile del disco solare sono diretti verso la terra. Lo studio di questo tipo di CMEs è cruciale
per confronti con le osservazioni in situ di particelle molto energetiche, eventi di shock, campi nel vento
solare e sono molto ben correlati con l’attivita’ geomagnetica. Per un effetto di proiezione le distanze eliocentriche reali degli eventi sono maggiori delle distanze a cui essi vengono osservati in corona e gli spettri
del materiale osservato sono quindi meno intensi rispetto a quelli di eventi che hanno origine da strutture vicine al lembo. Infatti, l’emissione di righe eccitate sia radiativamente che collisionalmente decresce
rapidamente con la distanza eliocentrica, per questa ragione gli halo CME sono in generale più difficili
da osservare. Tuttavia, UVCS ha osservato un certo numero di halo CME ed è probabile che essi siano
eventi particolarmente intensi e rivelino qualche peculiarità. Utilizzando le osservazioni in luce visibile
del coronografo LASCO sono stati individuati tutti gli halo CME osservati da UVCS e tra questi sono
stati selezionati gli eventi di maggiore interesse sia dal punto di vista spettroscopico che delle osservazioni
in situ e radio. Tra gli eventi selezionati quello verificatosi il 28 giugno 2000 e’ stato in parte analizzato e i risultati preliminari indicano che il fronte di shock del CME è stato molto verosimilmente rivelato
(Ciaravella et al 2003, in preparation). Questa circostanza ci permetterà di stabilire delle relazioni tra le
osservazioni spettroscopiche del front di shock con il burst radio osservato da Sagamore Hill Observatory
e la rivelazione di Wind/EPACT di particelle molto energetiche associate al CME.
10
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 4: Immagine del CME del 11/02/2000 ottenuta con LASCO/C2 combinata con le immagini ottenute
dai dati UVCS nelle righe di O VI 1032Å, H I Lyα and Si XII 520Å. Il segmento nero vicino al disco
occultatore del coronagrafo LASCO indica la posizione della fenditura di ingresso dello spettrometro
UVCS. L’altezza eliocentrica della fenditura e’ di 2.3 R .
2 La Connessione Sole-Stelle
2.1 L’Emissione in Raggi X del Sole come Stella
Le osservazioni solari ci offrono la possibilità di studiare accuratamente un esempio di stella di tipo spettrale avanzato, il Sole appunto, e, più in particolare, di esaminare in dettaglio la struttura delle regioni
da cui origina l’emissione in raggi X. Analoghe osservazioni non sono possibili per nessun’altra stella.
È pertanto naturale considerare il Sole come una guida per l’analisi e l’interpretazione delle osservazioni
stellari. In tale prospettiva il gruppo di Fisica solare ha sviluppato un metodo che consente un confronto
diretto tra la morfologia della corona solare e quella delle altre stelle e di controllare se sia valido, ed entro
che limiti, il paradigma quasi universalmente accettato che il Sole sia un prototipo di attività coronale su
stelle di tipo spettrale avanzato.
Il metodo messo a punto dal gruppo “traduce” le osservazioni solari raccolte dal Soft X-ray Telescope
(SXT) a bordo del satellite Yohkoh rendendole virtualmente identiche a quelle stellari e di simulare in
modo molto accurato osservazioni del Sole (posto a distanze stellari) con strumenti non solari. Ai dati cosı̀
simulati si possono applicare le stesse tecniche di analisi usate nel caso stellare, ed infine confrontare in
modo omogeneo dati stellari e solari. Il progetto si è sviluppato in diversi passi. un primo passo ha visto
la messa a punto del metodo attraverso lo studio dettagliato della risposta strumentale di Yohkoh/SXT
(Orlando, Peres, Reale 2000, 2000, ApJ 528, 524). Come prima applicazione del metodo (Peres et al. 2000,
ApJ 528, 537) si sono analizzati vari momenti del ciclo di attività del Sole, e un brillamento, ottenendo
le distribuzioni della misura di emissione in funzione della temperatura, EM (T ), e da queste spettri X
da confrontare con quelli di altre stelle. La distribuzione EM (T ) è risultata caratterizzata da un picco a
temperature tra 1 e 3 milioni di gradi, con dei cambiamenti durante il ciclo di attivita‘ del Sole (vedi Fig.
6). I risultati dicono, in modo quantitativo, che la corona solare é simile a corone stellari con basso livello
Ricerca Astronomica
11
Figura 5: Spettri osservati lungo la fenditura di ingresso di UVCS durante gli eventi del 21 aprile e 23
agosto 2002. Le righe presenti in questa porzione di spettro sono il doppietto OVI 1032,1037Å la riga
Lyβ 1026 Å dell’idrogeno e la riga del Si XII 521 rivelata al secondo ordine. Le velocità corrispondenti al
Doppler shift del OVI 1032Å sono riportate in km/sec.
12
INAF – OAPA: Rapporto 2002
di attività in fase quieta e, in momenti di maggiore attività si avvicina di più alla corona di stelle attive.
Figura 6: Pannello a sinistra: Distribuzione di misura di emissione in funzione della temperatura per tre
differenti fasi del ciclo solare (Peres et al. 2000): una fase con attività significativa (6 Gennaio 1992 - tratto
spesso), una fase intermedia (27 Luglio 1993 - tratto sottile) e una fase senza alcun segno significativo di
attività sul Sole (1 Giugno ’94 - linea tratteggiata). Pannello a destra: distribuzione durante un brillamento
di classe X9, avvenuto il 2 Novembre 1992 (Peres et al. 2000). La figura riporta anche i risultati dei fitting
agli spettri sintetizzati in termini di componenti termiche. I quadrati si riferiscono a spettri di Rosat/PSPC,
i rombi a quelli di ASCA/SIS. I simboli grandi, nel pannello superiore, si riferiscono al massimo solare,
quelli piccoli al minimo.
Un’altre fase del progetto ha visto, in collaborazione con il Dr. J. Drake di Harvard-Smithsonian CfA,
un confronto tra la EM (T ) della corona solare, con le distribuzioni ricavate tramite analisi di righe di
emissione EUV per due stelle, Eri (K2 V) e ξ Boo A (G8 V), circa 10 volte più luminose in raggi X del
Sole (Drake et al. 2000, ApJ 545, 1074). Questo studio fornisce, ad oggi, il migliore supporto all’ipotesi
che stelle di tipo solare, fino ai livelli di attività di Eri e ξ Boo A, posseggano corone dominate da strutture
coronali simili a quelle osservate nella corona solare.
Sul versante “solare”, si è anche investigato il ruolo che differenti regioni e fenomeni osservati sul Sole
hanno nel determinare e caratterizzare la EM (T ) di tutta la corona solare nonchè lo spettro X del Sole
osservato come una stella (Orlando, Peres, Reale 2001). Si è verificato che il Sole, lungo il suo ciclo, si
inserisce bene nello scenario stellare quale stella di bassa attività. Lo studio del rapporto di durezza, HR, e
del flusso in raggi X superficiale, FP SP C , derivati dagli spettri di ROSAT/PSPC ha mostrato che entrambi
aumentano passando dalla corona quieta, alle regioni attive, sino ai nuclei delle regioni attive (cf. Fig. 7). Il
confronto del diagramma FP SP C in funzione di HR con quello di osservazioni stellari reali ha mostrato che
la corona quieta ha valori di HR ed FP SP C tipici di stelle con attività molto bassa, che le regioni attive si
pongono nella parte del diagramma tra stelle di bassa attività e media attività, e i nuclei delle regioni attive
in quella delle stelle di media attività. Questo risultato suggerisce che le corone di queste stelle si possano
costruire come insiemi di strutture simili a quelle solari e che al variare della loro copertura superficiale
varino i livelli di luminosità in raggi X, HR ed FP SP C . É invece piú difficile spiegare gli elevati flussi
superficiali delle stelle molto attive.
Ricerca Astronomica
13
8
Log FX (erg s-1 cm-2)
7
6
5
4
3
-1.0
-0.5
0.0
Hardness Ratio
0.5
1.0
Figura 7: Flusso in raggi X superficiale (erg s−1 cm−2 ) nella banda di ROSAT/PSPC, FP SP C , in funzione
del rapporto di durezza, HR, tra i conteggi nella banda soffice ed in quella dura del PSPC. La figura riporta
il risultato ottenuto per tutta la corona solare non soggetta a brillamenti durante il ciclo di attività solare
(croci), la corona quieta (triangoli), le regioni attive (quadrati), ed i nuclei delle regioni attive (cerchi). La
curva tratteggiata indica la zona del diagramma popolata da stelle di tipo spettrale F, G, K ed M (tratto da
Orlando et al. 2001).
Si è anche applicato il metodo ad un campione di brillamenti solari, da deboli a intensi, osservati
con Yohkoh/SXT allo scopo di confrontarli con quelli stellari (Reale et al. 2001). La EM (T ) durante i
brillamenti risulta centrata intorno a 107 K per la maggior parte del tempo, con variazioni di altezza e
spostamenti a temperature più basse durante il decadimento, e con contributi anche a temperature molto
alte (T ≈ 108 K) nei brillamenti piú intensi. I brillamenti si mostrano in grado di produrre un secondo
picco nella EM (T ) dell’intera corona. Gli spettri ROSAT/PSPC ottenuti dalle EM(T) possono in generale
essere descritti con una sola componente isoterma con temperatura molto vicina a quella del massimo
della EM (T ). I corrispondenti valori di flusso superficiale FP SP C spaziano su due ordini di grandezza
(106 − 108 erg cm−2 s−1 ; cf. Fig. 8) e quelli del rapporto di durezza HR variano su un intervallo molto
stretto (0.3 − 0.4). I valori di HR e FP SP C sono confrontabili o più alti di quelli osservati nelle stelle
più attive. Si può dunque speculare che nelle corone delle stelle attive siano presenti sia strutture simili a
quelle solari attive, sia una continua produzione di brillamenti.
Un’altra fase del progetto ha visto di recente il collegamento tra la distribuzione di misura di emissione
del singolo arco coronale con la distribuzione EM (T ) integrata di tutta la corona solare al fine di dedurre
le proprietà energetiche della corona (Peres et al. 2001). Poiché EM (T ) ∝ T 3/2 sia per il singolo arco,
sia per la parte ascendente della EM (T ) di tutta la corona, quest’ultima può essere descritta come somma
di EM (T ) di archi individuali. Si può derivare da ció la distribuzione degli archi in funzione della temperatura, e, di conseguenza, il bilancio del riscaldamento per gli archi con differente temperatura massima,
fornendo dei vincoli sul meccanismo di riscaldamento della corona e sul suo bilancio energetico globale.
Il nostro metodo si adatta bene all’analisi di osservazioni stellari poichè esso usa caratteristiche globali, la EM (T ) di tutta la corona, ottenute dalle osservazioni spettroscopiche delle corone stellari. Prevediamo delle applicazioni ad osservazioni stellari di EUVE (Drake et al. 2000) cosı̀ come alle nuove osservazioni ad alta risoluzione spettrale ottenute con le missioni per astronomia nei raggi X Chandra ed
XMM–Newton.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
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10
Log FX (erg s-1 cm-2)
9
8
7
6
5
-1.0
-0.5
0.0
Hardness Ratio
0.5
1.0
Figura 8: Come in Fig. 7 per regioni soggette a brillamento durante le diverse fasi evolutive. La curva
tratteggiata nuovamente indica la zona del diagramma popolata da stelle di tipo spettrale F, G, K ed M
(tratto da Reale et al. 2001).
2.2 Variabilità temporale in raggi X del Sole come stella
Di recente abbiamo iniziato lo studio della variabilità temporale del Sole osservato come una stella X
(Orlando, Peres, Reale 2003). In particolare, in un lavoro preliminare, abbiamo analizzato i dati raccolti
da Yohkoh/SXT durante lo scorso minimo nel ciclo di attività solare (Giugno-Dicembre 1996) quando
sul Sole era presente una sola regione attiva osservata dal momento in cui è emersa e per tutta la sua
evoluzione. Questo ci ha consentito di analizzare gli effetti della modulazione rotazionale indotta da tale
regione attiva sullo spettro nella banda X e ci ha permesso di studiare l’evoluzione globale del flusso e dello
spettro di questa regione durante tutta la sua evoluzione. Infine abbiamo confrontato le caratteristiche della
variabilità indotta da differenti fenomeni coronali: modulazione rotazionale, ciclo solare, brillamenti.
Abbiamo derivato il diagramma flusso in raggi X, FX , in funzione del rapporto di durezza, HR, al
fine di caratterizzare la variabilità dovuta a modulazione rotazionale e per confrontare i nostri risultati
con quelli presenti in letteratura (vedi Fig. 9). Lo studio della modulazione rotazionale ha rivelato che la
presenza di una regione attiva sul Sole può determinare variazioni nel flusso nella banda di ROSAT/PSPC,
FX , di ampiezza sino ad un ordine di grandezza con piccoli cambiamenti nel rapporto di durezza, HR (vedi
croci in Fig. 9). Nel caso estremo in cui una faccia del Sole fosse coperta di regioni attive simili a quelle
presenti durante il massimo di attività e l’altra faccia ne fosse priva, abbiamo stimato che la modulazione
rotazionale potrebbe indurre variazioni del flusso di raggi X sino a due ordini di grandezza (cf. FX del
sole al massimo con i valori minimi osservati in Fig. 9). In presenza di modulazione rotazionale, abbiamo
trovato una correlazione tra FX ed HR con pendenza uguale a quella ricavata per il Sole durante il suo
ciclo di attività ed in assenza di brillamenti (Orlando et al. 2001).
In presenza di un brillamento, la correlazione tra FX ed HR risulta invece cambiare significativamente.
In Fig. 9 consideriamo due casi estremi: quando il Sole soggetto a brillamento si trova in prossimità del
minimo di attività e quando si trova al suo massimo. In entrambi i casi, troviamo che il contributo del
brillamento al picco della sua intensità rende lo spettro X nella banda del PSPC molto duro rispetto al Sole
non soggetto a brillamento; la variabilità X indotta da un brillamento porta nuovamente ad una correlazione
tra FX ed HR ma, a differenza dei casi precedenti, si osservano forti variazioni sia di FX che di HR.
La principale conclusione della nostra analisi è che la modulazione rotazionale ed il ciclo solare portano ad una variabilità X (nella banda del PSPC) caratterizzata dalla stessa pendenza nel diagramma HR-
Ricerca Astronomica
15
9
Solar Cycle
8
Rotational Modulation
Flaring Sun
Log FX (erg s-1 cm-2)
7
6
5
4
3
2
-1.0
-0.5
0.0
Hardness Ratio
0.5
1.0
Figura 9: Flusso superficiale (erg s−1 cm−2 ) nella banda di ROSAT/PSPC in funzione del rapporto di
durezza (Orlando et al. 2003). La figura mostra il risultato per il Sole in assenza di brillamenti durante le 6
rotazioni consecutive analizzate (croci), durante il ciclo solare (cerchi pieni; Orlando et al. 2001), e per il
Sole soggetto a brillamento (cerchi vuoti).
FX . La variabilità X indotta da un brillamento invece è caratterizzata nello stesso diagramma da una
pendenza più piatta se confrontata con i casi precedenti. Infine, il confronto con un campione di stelle G
studiate da Marino et al. (2001) ha mostrato che la variabilità osservata in questo campione è compatibile
con la variabilità indotta da un brillamento piuttosto che dovuta a modulazione rotazionale o al ciclo di
attività.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
16
2.3 Il diagramma FX -HR e la correlazione pressione-temperatura
Nel corso del 2002 si é svolto un lavoro di ampio respiro sulla derivazione di proprietá generali delle
corone stellari a partire da quelle della corona solare, secondo l’approccio metodologico fin qui descritto.
Lo strumento per questo studio é nuovamente il diagramma FX -HR, e il punto di partenza é la forte
correlazione tra le due quantitá riscontrata sia nella corona solare a tutte le fasi di attivitá, sia nelle strutture
individuali, sia nelle corone stellari.
Possiamo allora supporre che le corone delle stelle di tipo solare siano formate da strutture simili a
quelle solari e che la frazione di superficie stellare coperta da regioni attive e dai loro nuclei aumenti con
l’attivitá. Nelle stelle piú attive si aggiunge un contributo da brillamenti che si verificano in continuazione.
Su questa base si possono ricavare empiricamente delle leggi di scala che legano temperatura, pressione,
riscaldamento per unità di volume, e lunghezza degli archi coronali nelle stelle di tipo tardo (Fig. 10).
Le leggi ottenute sono, tra l’altro, in accordo con l’evidenza di plasma caldo ad alta densitá nelle corone. Queste leggi sembrerebbero il riflesso dei meccanismi fisici fondamentali che governano le strutture
coronali, dalla loro emersione sulla superficie stellare alla loro dispersione e dissipazione.
103
Pressure (dyn cm-2)
102
101
100
10-1
10-2
10-3
10-4
106
107
Temperature (K)
Figura 10: Pressione del plasma nelle strutture coronali in funzione della temperatura, ottenuta dai dati di
FX e HR, utilizzando le leggi di scala di Rosner, Tucker e Vaiana (1978) per un arco coronale in equilibrio.
La linea tratteggiata indica la legge p = 1.2 × 10−3 T6 5.2 . I simboli indicano i dati stellari: stelle F e G
(rombi vuoti), stelle K e M (triangoli vuoti), stelle RS CVn (quadrati pieni), e i dati solari: Sole durante il
ciclo (tondi pieni). regioni solari quiete (croci) regioni attive (quadrati crociati) nuclei delle regioni attive
(asterischi) brillamenti (cerchi vuoti) sole con brillamenti (cerchi crociati).
Ricerca Astronomica
17
2.4 Effetti dell’emissione stellare in raggi X su atmosfere planetarie
La ricerca di pianeti extrasolari sta recentemente avendo un grande sviluppo. Dalla scoperta del primo
pianeta esterno al Sistema Solare (Mayor & Queloz 1995, Nature 378, 355) piu’ di 100 pianeti orbitanti
intorno a 93 stelle sono adesso conosciuti. La maggior parte delle tecniche osservative si basa sull’analisi
delle curve di velocita’ radiale, mentre soltanto in pochi tentativi si e’ cercato di osservare direttamente
le atmosfere planetarie. In questo contesto l’influenza dell’emissione X stellare sull’evoluzione fisica,
chimica e biochimica delle atmosfere planetarie ha ricevuto poca attenzione. L’emissione X coronale di
stelle di uguale tipo spettrale e classe di luminosita’ varia in modo significativo con l’eta’ della stella.
In particolare, nel caso del Sole, l’emissione X e’ diminuita di circa due ordini di grandezza dal suo
posizionamento sulla Sequenza Principale (Micela 2002), sebbene i dettagli di questa evoluzione non
siano ancora ben compresi. La variazione e’ molto ripida per fotoni di alta energia (1-10 keV). Questa
circostanza implica che gli effetti della radiazione ad alta energia interagenti con una eventuale atmosfera
planetaria cambia drasticamnte durante il corso della vita di una stella.
L’ eccitazione del gas indotta dagli elettroni secondari (prodotti dai fotoassorbimenti diretti) produce
una chiara evidenza che la radiazione X influenza significativamente una atmosfera planetaria. Mentre
i fotoni X ionizzano preferenzialmente ioni pesanti. gli elettroni secondari, prodotti da essi, ionizzano
principalmente le molecole di idrogeno generando una cascata di elettroni nel gas. L’emissione IR dovuta
al riprocessamento collisionale dell’energia X assorbita e’ un utile diagnostica delle condizione fisiche del
gas atmosferico.
E’ stato elaborato un modello dell’interazione della radiazione X stellare con un gas, costituito prevalentemente da idrogeno ed elio con tracce di elementi pesanti, in grado di simulare l’atmosfera di un pianeta
gigante od una atmosfera primaria di pianeti di tipo terrestre (Cecchi-Pestellini et al. 2003 in preparazione).
L’analisi teorica ha due motivazioni principali: (i) la ricerca di possibili peculiarita’ spettroscopiche nello spettro di emissione del pianeta che ne permettano una separazione netta dallo spettro stellare; (ii) la
costruzione di modelli chimici indotti dalla radiazione X.
3 Astrofisica Stellare nei Raggi X
Si tratta di uno dei filoni di ricerca tradizionalmente condotti dai ricercatori dell’Osservatorio Astronomico di Palermo, questi studi vengono svolti nell’ambito di una ampia rete di collaborazioni locali (ricercatori e dottorandi del D.S.F.A), nazionali (Osservatori di Brera, di Napoli, di Torino, di Arcetri e di
Roma,) e internazionali (CfA, Keele University, MPE, IPAC, ESA/ESTEC, Leicester University, Chicago
University).
3.1 Studi di ammassi aperti e di regioni di formazione stellare
Lo studio degli ammassi aperti gioca un ruolo fondamentale nella comprensione dell’evoluzione delle
corone stellari durante la vita delle stelle, poichè permette di fissare alcune quantità, in generale note con
grande incertezza, quali la distanza e la composizione chimica e l’età. Per questa ragione le osservazioni
di un ammasso consentono di studiare un campione stellare in un grande intervallo di masse, ma con altri
parametri cruciali fissati, mentre il confronto fra ammassi diversi permette di determinare gli effetti dell’età
e della metallicità.
Nel corso del 2002 sono stati condotti una serie di studi delle emissione coronale in vari gruppi stellari coevi. Questi studi si sono soprattutto sulle nuove osservazioni degli osservatori spaziali Chandra ed
XMM-Newton.
18
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Sulla base di osservazioni con HRI di ROSAT è stato studiato l’ammasso aperto Blanco 1 (Pillitteri et
al. 2002). Per questo ammasso è stato possibile determinare le funzioni di luminosità in raggi X utilizzando una lista di membri dell’ammasso basata sulla recente determinazione dei moti propri stellari, e per la
prima volta si è ottenuta la funzione di luminosità X delle stelle dM. Blanco 1 è un ammasso molto interessante perchè è giovane (età ∼ 108 anni), coevo con le Pleiadi, ma con metallicità più elevata. Lo studio
delle sue proprietà nei raggi X permette quindi di esplorare l’effetto delle abbondanze chimiche sull’attività stellare, effetto che può operare in modo piuttosto complesso, sia attraverso le perdite radiative coronali
che attraverso l’influenza sull’efficienza della dinamo stellare, che dipende dalle proprietà della zona di
convezione (funzione del contenuto di elementi pesanti). I risultati delle osservazioni HRI di Blanco 1
sembrano suggerire un effetto delle abbondanze chimiche sulle stelle di piccola massa, le osservazioni più
profonde ottenute da XMM/Newton, in corso di riduzione, permetterano di consolidare (o di confutare)
queste indicazioni.
I dati recentemente ottenuti con Chandra ed XMM-Newton su NGC 2516 hanno permesso di determinare, per la prima volta, il livello di emissione coronale per i membri dell’ammasso di tipo dK e dM,
selezionati fotometricamente (Harnden et al. 2001, Sciortino et al. 2001, Damiani et al. 2003). I risultati ottenuti per i membri dell’ammasso cosı̀ selezionati, e corretti statisticamente per la contaminazione da stelle
di campo, indicano che il livello di emissione delle stelle dK (e possibilmente dG) di NGC 2516 è minore
di quello delle Pleiadi, mentre nessuna differenza è chiaramente presente nel caso delle stelle dM. La differenza nel livello medio di emissione X tra NGC 2516 e le Pleiadi risulta ben spiegabile considerando la
leggera differenza nell’età di questi due ammassi, in accordo con l’andamento già noto dell’emissione X al
crescere dell’età stellare. Studi ottici recenti sembrano invece escludere una differente metallicità tra i due
ammassi come possibile causa della loro diversa emissione X. Per una più definitiva conclusione sarà necessario attendere una lista di membri più affidabile, ottenuta da una campagna di velocità radiali (Jeffries
et al. 2003, in preparazione) le cui osservazioni sono state già condotte. Inoltre, lo studio della limitata
informazione spettrale in raggi X disponibile indica che le stelle dF di NGC 2516 hanno uno spettro di
emissione coronale più soffice delle stelle dG e dK. NGC 2516 è stato scelto come target di calibrazione sia
da Chandra che da XMM, per cui viene osservato periodicamente da questi strumenti. Come conseguenza
per questo ammasso saranno disponibili un elevato numero di osservazioni che consentiranno un’analisi
estremamente dettagliata delle proprietà della variabilità coronale di queste stelle (Wolk et al., in prep.;
Pillitteri et al. in prep.).
E’ stato portato a termine lo studio della popolazione stellare della regione di formazione stellare nella
nebulosa di Orione basata su osservazioni con l’HRC di Chandra (Harnden et al. 2001, Sciortino et al 2001,
Flaccomio 2001, Flaccomio et al. 2001, 2003a, 2003b). Questi studi si sono avvantaggiati delle tecniche di
analisi sviluppate dal gruppo proponente, in particolare dell’algoritmo di rivelazione di OAPA basato sulle
trasformate Wavelets disponibile sul sito dell’OAPA (http://www.astropa.unipa.it/progetti ricerca/PWDetect).
Nel caso di Orione sono state rivelate più di 700 sorgenti (vedi fig. 11) la maggior parte delle quali associate con stelle di pre-sequenza dell’Orion Nebula Cluster, e si è messo in evidenza come circa un terzo
delle stesse presenti variabilità statisticamente significativa. In alcuni casi si è messa in evidenza emissione
di brillamenti coronali su stelle con magnitudine in banda K maggiore di 17.5.
L’analisi delle proprietà delle sorgenti rivelate in Orione mostra alcuni risultati interessanti: il livello
di luminosità X non dipende dalla rotazione stellare, ma dalla massa, e questa relazione si estende fino al
limite delle nane brune; inoltre le stelle con presenza di accrescimento hanno un livello di luminosità X
inferiore a quello delle stelle senza accrescimento (Flaccomio et al. 2003a, 2003b).
La studio delle proprietà dell’emissione X delle stelle di pre-sequenza, e dei membri della Nebulosa
di Orione in particolare, continua con grande impulso grazie alla disponibilità di un osservazione della
regione di lunghezza eccezionale (circa 10 giorni di osservazione, distribuiti in un periodo di 13 giorni).
Tale osservazione, ottenuta nel Gennaio 2003 con l’ACIS di Chandra, é frutto di una ampia collaborazione
Ricerca Astronomica
19
Figura 11: Immagine di Orione ottenuta con l’HRC di Chandra (tratta da Flaccomio 2003a).
internazionale a cui l’OAPA partecipa.
I ricercatori dell’OAPA hanno avviato anche l’analisi di una osservazione in raggi X di NGC 6530,
un ammasso molto giovane connesso alla “Lagoon Nebula” (M8), osservato con ACIS-I durante il tempo
garantito di Chandra (vedi fig. 12). Nell’immagine ACIS sono state rivelate più di 880 sorgenti X puntiformi, di cui almeno il 90% sono con alta probabilità membri dell’ammasso, per la maggior parte di piccola
massa (Damiani et al. 2003). Questa ricca popolazione di stelle in NGC 6530, confrontabile o anche maggiore della Nebulosa di Orione, era essenzialmente sconosciuta in precedenza. Infatti, la maggior parte
di queste stelle hanno deboli righe di emissione nell’ottico e non erano quindi state riconosciute come
stelle di pre-sequenza in studi precedenti. La nuova popolazione trovata ha un’età tra 0.5 e 1.5 milioni
di anni. Inoltre, la distribuzione in età varia spazialmente: verso nord-ovest si trovano stelle in media più
vecchie che verso sud, e ciò suggerisce uno scenario di formazione stellare sequenziale. E’ interessante
notare che uno scenario di questo tipo era già stato proposto per questo ammasso, tuttavia in una direzione
diversa. L’osservazione ACIS ha inoltre evidenziato alcune decine di stelle con brillamenti in raggi X,
concentrate nella regione delle stelle più giovani; ciò suggerisce che la variabilità X di tipo flare è particolarmente intensa nelle primissime fasi dell’evoluzione stellare, e decade rapidamente durante la stessa fase
di pre-sequenza.
L’Osservatorio Astronomico di Palermo ha accesso a circa 650.000 sec di tempo garantito su XMMNewton assegnati in parte all’XMM Mission Scientist (R. Pallavicini) in ritorno della sua collaborazione
più che decennale al progetto (∼ 400 ksec) e in parte al consorzio EPIC (∼ 250 ksec) a cui l’OAPA ha
contribuito sia per la calibrazione dei filtri che con l’attività di due Co-I dello strumento (G. Peres e S.
Sciortino). Tale tempo garantito è stato quasi interamente dedicato ad un programma di osservazione di
ammassi aperti di varia età e di regioni di formazione stellare. Gli ammassi selezionati a tale scopo sono IC
2391 (∼30 Myr), IC 2602 (∼30 Myr), α Per (∼50 Myr), Pleiadi (∼ 100 Myr), Iadi (∼600 Myr) e Presepe
(∼600 Myr) nonchè le regioni di formazione stellare Taurus-Auriga, σ Ori in Orione and Upper Sco Cen.
I puntamenti sulle Iadi, su Taurus-Auriga e su σ Ori sono centrati su sorgenti sufficientemente intense per
spettroscopia ad alta risoluzione con l’RGS (sorgenti: VB50 e VB71 nelle Iadi, HD283572 e SU Aur in
Taurus-Auriga, e la stella calda σ Ori al centro dell’ammasso omonimo). Per tutti i campi, le osservazioni
20
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 12: Immagine di NGC 6530 ottenuta con Acis-I di Chandra (tratta da Damiani et al. 2002.)
XMM forniscono immagini e spettri a bassa risoluzione con lo strumento EPIC. Le osservazioni iniziate
nel corso del 2001 sono state completate nel 2002. L’analisi dei dati è in corso ed alcuni risultati sono già
stati pubblicati.
In particolare è stata analizzata un’osservazione EPIC del Presepe (Fig 13) per cercare di chiarire il
comportamento anomalo di questo ammasso, messo in evidenza da precedenti osservazioni ROSAT, che
era risultato meno luminoso in X rispetto all’ammasso delle Iadi di simile età e metallicità. L’osservazione
XMM mostra invece un buon accordo fra le funzioni di luminosità delle Iadi e del Presepe, in contrasto
con le osservazioni precedenti; tuttavia la discrepanza trovata da ROSAT diminuisce notevolmente limitando il campione ROSAT alla stessa regione di cielo coperta dal puntamento XMM, indicando che tale
discrepanza è dovuta a membri dell’ammasso deboli in X situati al di fuori del campo di vista di XMM.
Questo risultato suggerisce che il Presepe possa risultare dalla fusione di due ammassi distinti, come era
stato proposto per spiegarne il comportamento anomalo (Franciosini et al. 2003a).
È stata effettuata un’analisi preliminare delle osservazioni di σ Orionis, α Persei (Fig. 14) e di un
puntamento sulle Iadi. In particolare in σ Orionis sono state rivelate 3 stelle di massa molto piccola,
inclusa una candidata nana bruna, e possibilmente altre 4 (fra cui un oggetto di massa planetaria) la cui
identificazione è però ambigua. Le osservazioni di α Persei e delle Iadi hanno mostrato che le luminosità
dei membri dei due ammassi sono in ottimo accordo con quelle derivate dalle precedenti osservazioni
ROSAT, con differenze al massimo di un fattore 2 (Franciosini et al. 2003b).
Le osservazioni EPIC/XMM della regione di Upper Sco-Cen hanno messo in evidenza che la variabilità su breve scala di tempo è una proprietà comune a queste stelle ancora in contrazione, esempi della
variabilità osservata sono mostrati in figura 15. In alcuni casi i brillamenti osservati sono sufficientemente
intensi da permettere la determinazione delle dimensioni delle strutture emittenti e la presenza o meno di
riscaldamento durante il fenomeno. Inoltre è stato possibile individuare possibili nane brune dell’ammasso
fra le sorgenti X (Sciortino et al. 2002).
E’ stata iniziata l’analisi dell’osservazione EPIC di IC 2391, particolarmente interessante per la sua
giovane età. In particolare si è rivelata per la prima volta in modo molto evidente, la presenza di modulazione rotazionale in una stella dG9 supersatura, con luminosità Lx ∼ 1030 erg/s e periodo rotazionale di
Ricerca Astronomica
21
Figura 13: Immagine del Presepe ottenuta dai tre rivelatori EPIC a bordo di XMM-Newton (tratta da
Franciosini et al. 2003a).
0.223 days (Fig. 16). La rivelazione di questa modulazione rotazionale implica la presenza di inomogeità
strutturali, che per le loro caratteristiche spettrali sembrano essere riconducibili a una mistura di regioni
attive e brillamenti
Per i risultati spettroscopici sulle sorgenti osservate con l’RGS si rimanda all’apposita sezione.
3.2 Scoperta di emissione in raggi X dagli oggetti Herbig-Haro
Le stelle in formazione possono avere una struttura molto complessa e molte di esse mostrano dei getti
energetici emessi lungo l’asse di rotazione. Esistono getti molto diversi fra di loro, da getti molecolari,
freddi e poco collimati, fino a getti molto collimati di gas ionizzato. Questi getti sono un importante elemento nel processo di formazione di stelle di piccola massa, e la loro energetica e la perdita di massa
possono contribuire a regolare il processo di formazione stellare stesso. Spesso a questi getti sono associati, all’interfaccia fra i getti e il materiale circumstellare, degli shocks noti come oggetti di Herbig-Haro
(HH), con temperature, piuttosto elevate, fino a parecchie 105 K. Fino ad ora non esisteva alcuna evidenza
diretta dell’esistenza di radiazione ionizzante significativa emessa da questi shocks. Recentemente ricercatori dell’OAPA, in collaborazione con ricercatori di ESA/ESTEC hanno rivelato, osservando la regione
di L1551 con XMM/Newton, una sorgente X coincidente con HH 154, il getto associato con la protostella
IRS5 in L1551 (Favata et al. 2002). Allo stesso tempo anche Chandra ha rivelato una debole emissione
X da HH 2 in Orione. Se l’emissione ad alta energia dovesse mostrarsi comune in questo tipo di sorgenti,
questo avrebbe un impatto significativo nel processo di formazione stellare stesso, poichè lo stato di ionizzazione del materiale in un disco di accrescimento influenza molto le sue proprietà e condizioni fisiche,
determinandone per esempio la viscosità e influenzando il trasporto di momento angolare.
Indagini nell’archivio di ROSAT sembrano avere individuato almeno altri due casi simili, suggerendo
che il fenomeno è più diffuso di quanto finora ritenuto, aprendo la strada allo studio di questo nuovo
fenomeno (Favata et al. 2002b). Osservazioni con Chandra e XMM/Newton su questi oggetti sono in
corso.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
22
Figura 14: Immagini di σ Orionis e α Persei ottenute dai tre rivelatori EPIC a bordo di XMM-Newton
(tratte da Franciosini et al. 2003b).
3.3 Variabilità coronale
3.3.1
Variabilità coronale in stelle giovani
Allo scopo di determinare quali siano le strutture coronali dominanti in stelle diverse dal Sole e in particolare in stelle giovani, si sono studiate le proprietà della variabilità delle corone nelle stelle delle Pleiadi
(Marino et al. A&A 2003 in press).
I risultati indicano che in queste stelle la presenza di variabilità coronale non dipende dalla massa,
mentre l’ampiezza di variabilità su tempi scala brevi è maggiore per le stelle di piccola massa che per le
stelle di tipo solare. Lo studio di un sottocampione, osservato su tempi medio-lunghi, ha mostrato che su
questi tempi scala la variabilità è più comune nelle stelle di tipo solare che nelle stelle K-M. Le osservazioni suggeriscono che la variabilità delle stelle di massa più piccola è dominata dai brillamenti, senza
indicazioni di presenza di cicli e/o di modulazione rotazionale, mentre la variabilità delle stelle di tipo
solare presenta sia variabilità stocastica con brillamenti che variabilità a più lunghi tempi scala.
Il confronto dei risultati ottenuti con quelli precedenti ottenuti per le stelle di campo (Marino et al.
2000, A&A 353, 177; 2002, A&A 383, 210) mostra che le stelle giovani di tipo solare sono più variabili
della loro controparte più vecchia, suggerendo un’evoluzione della variabilità durante la vita della stella
solo in stelle di tipo solare.
3.3.2
Il confronto della variabilità stellare con quella solare
Abbiamo analizzato le variazioni temporali della luminosità X solare osservata da Yohkoh/SXT allo scopo
di confrontare la variabilità in raggi X del Sole con quella delle altre stelle di sequenza principale in
Ricerca Astronomica
23
Figura 15: Esempi di curve di luce osservate in due stelle di Upper Sco-Cen con XMM-Newton (tratta da
Sciortino et al. 2001).
phase
0.5
0
10000
1.0
1.5
20000
30000
0.20
0.15
0.10
0.0
0.05
Rate [count/sec]
0.25
0.30
0.0
Time [sec]
Figura 16: Curva di luce in raggi X di VXR 45, a dG9 star of IC 2391 (in alto) e del fondo relativo ad essa
(in basso) osservata da EPIC/PN nella banda 0.3-7.8 keV. Il periodo rotazionale fotometrico di 19.3 ksec
è ben visibile.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
24
funzione del tempo scala. Poichè le strategie usate per osservare il Sole sono diverse da quelle adottate
per le stelle, abbiamo esplorato la variabilità solare a partire dai dati disponibili, cercando di riprodurre
le procedure osservative adottate per le stelle. In particolare abbiamo quantificato come l’ampiezza della
variabilità solare cresce col tempo scala e abbiamo determinato che la variabilità dovuta al ciclo solare
può contribuire al più al 60% della dispersione osservata nella funzione di distribuzione della luminosità
X delle stelle vicine. Il confronto fra il Sole e le stelle è consistente con lo scenario per cui una frazione
di stelle moderatamente attive (Lx ≤ 1028 erg/sec) presentano variabiltà X simile al quella solare, mentre
le stelle più attive non possiedono cicli dell’attività come quelli solari (Micela & Marino 2003 A&A, in
press).
3.4 Spettroscopia nei Raggi X di Corone Stellari
L’analisi degli spettri in banda X emessi dalle corone stellari è lo strumento principale per effettuare diagnostiche delle condizioni termodinamiche del plasma caldo da cui origina l’emissione di radiazione ad alta
energia. Questi studi forniscono quindi elementi utili a determinare la strutturazione termica e il bilancio
energetico nelle corone stellari, e sono quindi di importanza fondamentale per comprendere i meccaniscmi di riscaldamento dei plasmi coronali e – in ultima analisi – la fisica dei processi di amplificazione ed
emersione dei campi magnetici superficiali, ai quali si deve il confinamento del plasma coronale.
Nel corso del 2002 una buona parte dell’attività di ricerca nel campo delle corone stellari si è basata
sull’analisi di osservazioni spettroscopiche di sorgenti X coronali ottenute sia con gli strumenti a mediobassa risoluzione spettrale a bordo dei satelliti ASCA e BeppoSAX, sia con gli spettrografi dei satelliti di
vecchia generazione (EUVE) e nuova generazione (Chandra e XMM-Newton).
3.4.1
Spettroscopia in raggi X con BeppoSAX
È continuata l’analisi di osservazioni in raggi X di corone stellari ottenute con il satellite BeppoSAX. Per
quanto questo satellite, da poco rientrato nell’atmosfera terrestre, non potesse competere con Chandra e
XMM-Newton in termini di sensibilità e risoluzione spaziale e spettrale, aveva il vantaggio di una grande
copertura spettrale simultanea (da 0.1 a oltre 200 keV) e di poter monitorare le stesse sorgenti per periodi
anche molto lunghi, cosa che sarebbe praticamente impossibile ottenere con missioni altamente competitive come Chandra ed XMM. L’ampia copertura spettrale simultanea ha permesso di rivelare per la prima
volta, eccezion fatta per il Sole, l’esistenza di emissione X-dura (> 20 keV) da corone stellari. Tale emissione si estende fin a 50 keV ed oltre ma appare solo durante la fase di salita ed al picco di brillamenti
molto intensi (osservati in Algol, UX Ari e AB Dor). Tale emissione risulta essere di natura termica e
dovuta alle temperature molto alte (∼ 108 K) raggiunte al picco dei brillamenti stellari più intensi. I lunghi
periodi di osservazione ottenuti in molti casi con BeppoSAX hanno permesso di seguire l’evoluzione di
brillamenti a lunga vita e di studiare le possibili variazioni temporali dell’emissione coronale dovute alla
rotazione della stella o al moto orbitale in sistemi binari ad eclisse. Al tempo stesso, la risoluzione spettrale
degli strumenti a bordo di BeppoSAX è sufficientemente elevata da permettere di determinare la struttura
in temperatura della stella e la metallicità globale.
Un caso particolarmente interessante studiato dai ricercatori di Palermo è stata la stella giovane a rotazione rapida (∼ 12 ore) AB Doradus. Essa è stata osservata da BeppoSAX in cinque occasioni e, ciascuna
volta, per svariati periodi rotazionali successivi. Nella maggioranza dei casi la stella è risultata molto attiva, con la presenza di spettacolari brillamenti che hanno aumentato la luminosità X della stella anche di
un fattore 100 (Fig. 17). Le temperature raggiunte al picco di tali brillamenti sono dell’ordine di ∼ 108
K. La metallicità coronale è risultata fortemente subsolare (in accordo con precedenti osservazioni ASCA) nonostante che l’abbondanza fotosferica della stella sia solare. La forte emissione in raggi X di AB
Ricerca Astronomica
25
Figura 17: Curve di luce di AB Dor osservate con lo strumento MECS di BeppoSAX. In alto: curve di
luce dei flares osservati nel Novembre 1997, Dicembre 1999, e Giugno 2000. La scala verticale è la stessa
per tutti i pannelli. In basso: curva di luce osservata nell’Agosto 2001. (Tratte da Franciosini et al. 2002).
INAF – OAPA: Rapporto 2002
26
Dor ha permesso di fare un’analisi spettrale a tempi diversi durante l’evoluzione dei brillamenti più intensi, determinando la variazione dei parametri coronali (temperatura e misura di emissione) nel corso del
brillamento. L’applicazione di modelli idrodinamici ha permesso di derivare, da queste osservazioni, informazioni sulla geometria e dimensioni della regione emittente, nell’ipotesi che l’evento esplosivo avvenga
in una struttura ad arco confinata dal campo magnetico. L’assenza di modulazione rotazionale nei brillamenti suggerisce che essi si siano prodotti in regioni prossime ai poli, in accordo con quanto ricavato
da osservazioni fotometriche ottiche, ma in contrasto con quanto avviene sul Sole. Il confronto dell’emissione in raggi X quiescente con osservazioni ottiche simultanee ha mostrato evidenza di modulazione
rotazionale, con massima emissione in raggi X quando la stella è meno coperta da macchie. Inoltre la
lunga osservazione dell’Agosto 2001 ha mostrato anche una modulazione a lungo termine dell’emissione
quiescente, con periodicità di circa 5 periodi rotazionali della stella (Franciosini et al. 2002).
Un lungo ed intenso brillamento osservato dalla binaria UX Ari è stato modellato con successo mediante un processo di riconnessione magnetica simile a quello che si ritiene operi in una classe di brillamenti solari (Franciosini, Pallavicini & Tagliaferri 2001). In questo modo è stato possibile ricavare informazioni sui parametri fisici della regione emittente. Un modello alternativo per interpretare lo stesso flares,
basato sulla compressione di plasma caldo confinato in archi coronali riscaldati all’apice, è stato proposto da Livshits, Livshits & Pallavicini (2002). Questo modello permette di definire con più precisione le
dimensioni della regione emittente e l’intensità del campo magnetico.
Osservazioni di emissione sia quiescente che di brillamento sono state ottenute per altre stelle attive
di tipo RS CVn quali HR1099, II Peg e CF Tuc, determinandone la distribuzione in temperatura e la
metallicità coronale. Particolarmente interessante il caso di sistemi ad eclisse (HD 9770, TY Pyx e YY
Gem) per i quali l’osservazione di modulazione orbitale, inclusa l’eventuale presenza di eclissi, permette
di ricavare informazioni sulla struttura spaziale della corona.
Le osservazioni di CF Tuc e TY Pyx hano mostrato che le corone di queste due stelle sono molto simili,
con temperature di ∼ 10 e ∼ 24 MK. L’emissione quiescente di TY Pyx ha mostrato una chiara modulazione rotazionale, ma poca evidenza di eclissi, al contrario di osservazioni precedenti. In entrambi i casi
sono state trovate abbondanze coronali minori di quelle solari, ma in perfetto accordo con le abbondanze
fotosferiche determinate da osservazioni ottiche (Franciosini, Pallavicini & Tagliaferri 2003).
3.4.2
Spettroscopia in raggi X con XMM-Newton
Osservazioni EPIC ed RGS sono state ottenute per due stelle delle Iadi (VB50 e θ 1 Tau), per due stelle
nella regione di formazione stellare del Toro-Auriga (HD283572 e SU Aur), e per la giovane stella calda
σ Ori come parte del tempo garantito dell’XMM Mission Scientist. θ 1 Tau è la più brillante delle quattro
giganti delle Iadi, le cui differenze di luminosità X e di emissione cromosferica rimangono a tutt’oggi
non spiegate, trattandosi di stelle che occupano la stessa posizione nel diagramma HR e hanno proprietà
(incluse età e rotazione) del tutto simili. VB50 è invece una delle più brillanti stelle di sequenza principale
di tipo solare dell’ammasso. Le osservazioni XMM confermano la forte emissione in raggi X di θ 1 Tau
che sembra essere rimasta praticamente costante, su un arco di tempo di venti anni, rispetto a precedenti
osservazioni Einstein, ROSAT ed ASCA. L’analisi degli spettri RGS ed EPIC di θ 1 Tau e VB50 (Fig. 18)
ha mostrato che la corona di VB50 è significativamente più calda di quella di θ 1 Tau: quest’ultima ha
temperature di ∼ 4 − 7 milioni di gradi, mentre la corona di VB50 raggiunge ∼ 18 milioni di gradi.
Entrambe le stelle hanno abbondanze subsolari, minori di circa un fattore 2 per VB50 rispetto a θ 1 Tau, e
significativamente minori della metallicità fotosferica misurata per le stelle delle Iadi.
La stella σ Ori è una giovane stella calda di tipo O9.5V appartenente all’associazione OB1 in Orione.
Lo spettro RGS dei questa sorgente è complicato dal contributo di altre tre stelle vicine. L’analisi preliminare degli spettri EPIC ha indicato che la corona di σ Ori è significativamente più fredda (T ∼ 2 − 5 MK)
Ricerca Astronomica
27
Figura 18: Spettri di θ 1 Tau e VB 50 ottenuti con i due strumenti RGS (a sinistra) e i tre strumenti EPIC
(a destra: spettro PN più in alto, spettri MOS1 e MOS2, sovrapposti, più in basso). (Tratta da Franciosini,
Sanz-Forcada, Maggio & Pallavicini 2002).
28
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 19: Distribuzione della misura di emissione (istogramma) in funzione della temperatura del plasma
nella corona di 31 Com e HD 283572 derivate dall’analisi degli spettri RGS di XMM-Newton. (Tratta da
Scelsi 2003).
delle altre sorgenti vicine (T ∼ 5 − 30 MK), mentre gli spettri RGS non mostrano evidenza di forti venti
stellari, come invece ci si aspetterebbe dai modelli di emissione da stelle calde.
Le due stelle giovani HD283572 e SU Aur si distinguono per essere una (HD283572) una stella Weaklined T-Tauri priva praticamente di materia circumstellare e l’altra (SU Aur) una T-Tauri classica con
un disco di accrescimento spesso. Il confronto delle proprietà della loro emissione in raggi X (l’analisi
è tutt’ora in corso) dovrebbe permettere di determinare se esistono differenze anche nella loro proprietà
coronali. Le stesse due stelle sono anche state accettate, in collaborazione con ricercatori dell’ETH di
Zurigo e del PSI di Villingen e della Columbia University di New York, per osservazioni con il satellite
Chandra.
Uno studio approfondito è stato condotto confrontando le due stelle attive 31 Com e HD 283572.
Queste due sorgenti appartengono alla stessa classe spettrale (G), presentano una medesima luminositá
X (∼ 1031 erg s−1 ), ma si trovano in un diverso stadio evolutivo ed hanno una diversa gravitá: infatti
31 Com è una gigante con massa pari a 3M e raggio pari a 8R , mentre HD 283572 è una stella in fase
di contrazione verso la Sequenza Principale ed ha massa e raggio pari a 2M e 2.7R rispettivamente. Lo
studio di queste due sorgenti ha come obiettivo primario la derivazione di informazioni circa le strutture
coronali delle sorgenti stesse, in termini di distribuzione di misura di emissione, abbondanze, densità.
D’altra parte, dal confronto dei risultati ottenuti per ciascuna stella, individuare quali siano i parametri
significativi, e quali no, nella descrizione ed interpretazione dell’emissione in raggi X da corone di stelle
attive.
Nello spettro di 31 Com sono state identificate righe appartenenti a C, O, Ne, Mg, Si, Fe e Ni, mentre
nello spettro di HD 283572 righe di O, Ne, Fe e Ni. In particolare si è utilizzato lo spettro di 31 Com
al fine di eseguire un dettagliato confronto fra i due database atomici APED e CHIANTI. Si è trovato
che, sebbene APED risulti più completo, avendo circa il 50% di transizioni in più rispetto a CHAINTI, le
distribuzioni di misura di emissione di 31 Com stimate a partire dai due database risultano compatibili.
In Fig. 19 sono riportate le distribuzioni di misura di emissione delle due stelle ricavate a partire dai
flussi misurati delle righe. Entrambe le EM (T ) presentano un picco in corrispondenza di T ∼ 107 K,
mentre la pendenza del tratto compreso fra 106.5 K e 107.0 K risulta compatibile con una legge del tipo T 5 .
Ipotizzando che l’emissione X sia prodotta da plasmi confinati in strutture magnetiche (loop) statiche a
pressione costante e procedendo secondo il metodo proposto da Peres et al. (2001) (cf. 2.1), è possibile sti-
Ricerca Astronomica
29
mare la distribuzione in temperatura massima della popolazione di tali strutture. Inoltre le ripide pendenze
osservate nella distribuzione di misura di emissione in funzione della temperatura suggeriscono che le loop
debbano avere qualche caratteristica diversa da quelle tipiche delle strutture nella corona solare: tra le varie
ipotesi vi sono la possibilità che la sezione delle loop sia crescente con l’altezza o, più verosimilmente,
che esse siano mantenute da un riscaldamento concentrato alla base, forse di tipo dinamico.
Le abbondanze stimate contestualmente alla ricostruzione della distribuzione della misura di emissione, se rapportate alle abbondanze della fotosfera solare, presentano solo una debole dipendenza dal
potenziale di prima ionizzazione (FIP) dei vari elementi, mentre nel caso della corona solare gli elementi con basso FIP (< 10 eV) risultano, in molti casi, sovrabbondanti di circa un fattore 4 rispetto alla
composizione chimica in fotosfera.
La Fig. 19 mostra inoltre che, nonostante le due stelle 31 Com e HD 283572 abbiano caratteristiche
fisiche ed evolutive sensibilmente diverse, le loro distribuzioni di misura di emissione risultano estremamente simili. Questo risultato indica che parametri rilevanti ai fini della distrbuzione in temperatura de
plasma coronale sono certamente la temperatura media e la luminosità X, mentre la gravità e stadio
evolutivo sembrano giocare, almeno nei casi presi in esame, un ruolo minore.
3.4.3
Spettroscopia in raggi X con Chandra ed EUVE
Il satellite Chandra, lanciato nel luglio del 1999, è – insieme a XMM-Newton – uno degli osservatori per
astronomia in raggi X più sofisticati costruiti fino ad oggi. In particolare, vi sono montati due spettrografi
a trasmissione (il Low Energy Trasmission Grating e l’High Energy Trasmission Grating), che forniscono
la migliore risoluzione spettrale oggi ottenibile nella banda dei raggi X soffici (0.1–10 keV). Ai ricercatori
dell’OAPA è stata affidata la responsabilità dell’analisi di alcune osservazioni spettroscopiche di corone
stellari, tra le quali la stella nana rossa AD Leo, ottenute nel periodo di Tempo Garantito (PI: S. Murray);
essi hanno successivamente effettuato studi dettagliati dell’emissione in raggi X di altre sorgenti coronali,
presenti nell’archivio dati, tra cui Capella – una stella binaria gigante più volte osservata da Chandra sia
per fini di calibrazione che durante la fase di Performace Verification degli spettrografi – e AB Dor, una
stella ZAMS di tipo K1V, archetipo della classe di sorgenti X stellari molto attive, per via della giovane
età e breve periodo di rotazione (circa 12 ore).
AD Leo (dM4.5e) è una delle sorgenti coronali più intense tra le stelle singole di tipo dMe osservate
sino ad oggi. In passato, questa stella è stata osservata praticamente da tutti gli osservatori in raggi X
che hanno preceduto Chandra. Per questi motivi AD Leo è stata da noi selezionata per due osservazioni
con lo spettrometro LETG che sono state effettuate – come parte del programma GTO – nel gennaio
2000, con un tempo di esposizione di circa 10 ksec, e successivamente nell’ottobre dello stesso anno, per
∼ 50 ksec. Entrambe le osservazioni hanno colto questa sorgente coronale attiva in una fase quiescente,
ed hanno fornito per la prima volta spettri in banda X ad alta risoluzione, da cui è stato possibile ottenere
diagnostiche robuste della struttura termica e di densità del plasma nella corona di questa stella, insieme a
una stima delle abbondanze chimiche coronali.
La Fig. 20 mostra lo spettro calibrato di AD Leo, dominato da righe di emissione del ferro con stati
di ionizzazione dal XVI al XXIII. Sono state inoltre identificate righe del C, N, O, Ne, Mg, Si, S, e Ni, per
un totale di 110 righe (incluse le righe del Fe), di cui le più intense (indicative della temperatura media
del plasma) sono quelle del doppietto Lyα (non risolto) del O VIII (λ18.967, 18.972), del Ne X+Fe XVII a
12.12 Å, del Ne IX+Fe XIX a 13.45 Å, del Fe XVII a 15.02 Å, e la riga di risonanza del tripletto dell’O VII
a 20.60 Å. Complessivamente, l’intervallo di temperature coperto dalle righe osservate si estende da T ∼
105.8 K (Ne VIII) a T ∼ 107.5 K (Si XIV e Fe XXIV).
La Fig. 21 mostra la distribuzione di misura di emissione derivata usando il sottoinsieme delle 50 righe
più intense ed affidabili tra tutte quelle identificate. L’analisi spettrale mostra che l’emissione in raggi X
30
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 20: Spettro in raggi X di AD Leo, ottenuto con lo spettrografo LETG di Chandra, in tre intervalli
di lunghezza d’onda, con le identificazioni delle righe di emissione più intense tra quelle osservate. (Tratta
da Maggio et al. 2002).
Ricerca Astronomica
31
Figura 21: Distribuzione della misura di emissione (istogramma a tratto spesso) in funzione della temperatura del plasma nella corona di AD Leo, derivata dall’analisi dello spettro Chandra/LETG, confrontata
con le 3 distribuzioni derivate dall’analisi di precedenti osservazioni EUVE (Sanz Forcada & Micela 2002);
queste ultime comprendono sia fasi quiescenti (curva a tratto chiaro più bassa), sia brillamenti (curva più
alta), mentre la curva intermedia si riferisce all’insieme di tutte le osservazioni nel loro complesso. (Tratta
da Maggio et al. 2003, in preparazione).
32
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 22: Distribuzione della misura di emissione (istogramma) in funzione della temperatura del plasma nella corona di Capella, derivata dall’analisi di due spettri LETG ottenuti a distanza di un anno con
Chandra. (Tratta da Argiroffi et al. 2003).
di AD Leo è dovuta a plasma con temperature comprese tra 106 K e ∼ 107.5 K, con un picco tra 106.7 K e
107 K. Stime della densità del plasma ottenute da rapporti tra le righe proibite e di intercombinazione dei
tripletti eliodi dell’O VII, Ne IX e Si XIII indicano che il plasma nel suo complesso non è in condizioni isobariche, e suggeriscono quindi la presenza di una distribuzione di archi coronali con diverse caratteristiche:
in particolare, la diagnostica di densità e temperatura fornita dal tripletto del O VII indica una pressione
media del plasma coronale (p ∼ 10 dyne cm−2 ) confrontabile con quella tipicamente presente nei nuclei
delle regioni attive osservate nella corona solare, mentre pressioni molto più elevate (p ∼ 105 dyne cm−2 )
vengono suggerite dall’analisi del tripletto del Si XIII.
Il risultato di questa analisi è in buon accordo con quello ottenuto da una analisi di tutte le osservazioni
di AD Leo precedentemente effettuate con il satellite EUVE (Sanz-Forcada & Micela 2002), che è stato
operativo tra il 1992 e il 2000. In totale, AD Leo è stato osservato da questo satellite per circa 1.1 milioni di secondi, durante 9 osservazioni che coprono sia fasi di emissione quiescente sia brillamenti. Le
distribuzioni della misura di emissione del plasma coronale, ricavate dall’analisi degli spettri EUV (aventi una risoluzione inferiore a quella degli spettrografi di Chandra) durante le varie fasi di attività della
stella sono mostrate sempre in Fig. 21: il confronto con il risultato ottenuto dall’analisi dello spettro Chandra/LETG mostra che gran parte della struttura termica del plasma coronale in questa stella è stabile, ma
significative variazioni si possono verificare nella coda ad alta temperatura (T > 107 K) in presenza di
brillamenti. Diagnostiche di densità ottenute dagli spettri EUV suggeriscono nuovamente pressioni molto
elevate per il plasma a temperature vicine a quella del picco della misura di emissione.
I risultati sin qui ottenuti suggeriscono che la corona di questa stella attiva è costituita, anche in fase
quiescente, da strutture coronali relativamente calde e compatte rispetto agli standard solari. Ulteriori
analisi sono attualmente rivolte a comprendere se tali strutture sono spiegabili in termini di archi coronali
in cui il plasma confinato magneticamente viene riscaldato in modo stazionario, ovvero se è necessaria una
interpretazione basata su una distribuzione continua di brillamenti di natura dinamica.
Un’analisi simile a quella descritta sopra è stata effettuata su osservazioni Chandra/LETG di Capella,
una stella attiva appartenente alla classe delle binarie RS CVn a lungo periodo. Ancora una volta, lo scopo è
stato quello di determinare la struttura termica della corona di questa sorgente coronale; in aggiunta, è stata
anche effettuata un’analisi della variabilità temporale del flusso in selezionate righe di emissione. A tale
scopo sono stati analizzati due spettri in raggi X ad alta risoluzione di Capella, ottenuti a distanza di circa
Ricerca Astronomica
33
Figura 23: Differenze dei flussi, in unità di incertezza a 1 − σ, tra righe in emissione osservate a distanza
di un anno negli spettri in raggi X di Capella. Ciascun punto si riferisce a un insieme di righe dello stesso
ione, che si formano alla temperatura indicata in ascissa. Da notare la maggiore variazione rilevata per le
righe intorno a 106.8 K (Tratta da Argiroffi et al. 2003).
un anno l’uno dall’altro. I risultati ottenuti si inseriscono nel quadro più ampio della fisica delle corone
delle stelle attive, fornendo informazioni sulla stabilità delle strutture coronali responsabili dell’emissione
e sui meccanismi di riscaldamento ad opera di brillamenti.
Dall’analisi degli spettri di ciascuna osservazione sono stati ricavati i flussi delle righe in emissione
più intense dovute a vari elementi (dal C al Ni) in diversi stati di ionizzazione, che sono stati impiegati per
la ricostruzione della misura di emissione del plasma coronale, ovvero della sua struttura termica, e per
valutare le abbondanze relative dei vari elementi chimici. Le due distribuzioni ottenute risultano fra loro
compatibili entro gli errori sperimentali (Fig. 22), mostrando che la corona di Capella si è ripresentata in
condizioni pressochè analoghe all’epoca delle due osservazioni.
La distribuzione di misura di emissione ricavata è stata utilizzata successivamente per la ricostruzione
della popolazione di strutture magnetiche nella corona di Capella, seguendo l’approccio di Peres et al.
(2001) (cf. 2.1). Ipotizzando che l’emissione si origini in plasmi confinati dal campo magnetico in strutture
ad arco stazionarie, e assumendo alcune ipotesi circa la loro geometria, dalla forma della distribuzione di
misura di emissione si ricavano importanti caratteristiche per gli archi coronali stessi.
Dall’analisi delle righe dei tripletti degli ioni elioidi O VII, Ne IX, Mg XI e Si XIII sono stati ottenuti
valori di densità elettronica compresi tra 1010 e 1012 cm−3 e valori di temperatura “efficace” di formazione
di questi tripletti, tra 106.2 e 106.8 K, da cui è stato possibile ricavare stime del volume e della pressione
del plasma responsabile dell’emissione. In particolare si è trovato che la pressione efficace del plasma
coronale di Capella aumenta all’aumentare della temperatura.
Allo scopo di valutare la stabilità o meno del plasma esistente in ristretti intervalli di temperatura, sono
state analizzate le curve di luce ottenute selezionando i fotoni appartenenti a righe in emissione caratterizzate dalla stessa temperatura, ed è stata valutata la variabilità su tempi di scala compresi nell’intervallo
102 − 104 sec. Questo tipo di diagnostica è stato effettuato per la prima volta in questo lavoro, sfruttando
l’elevata risoluzione temporale e spettrale delle osservazioni.
I risultati indicano che la corona di Capella risulta sorprendentemente stabile su tempi di scala <
4
10 sec: l’analisi pone dei limiti superiori stringenti (compresi tra il 5% ed il 10%) sulla possibile variabilità
dell’emissione in tutti gli intervalli di temperatura presi in esame. Questo risultato suggerisce che l’elevato
livello di emissione in banda X di Capella (∼ 103 volte quella del Sole) potrebbe essere compatibile con
INAF – OAPA: Rapporto 2002
34
53
Chandra/HETG
EUVE
log ∫N N dV [cm-3]
e H
XMM rev. 091
XMM rev. 205
52
51
50
49
6.0
6.5
7.0
log T (K)
e
7.5
8.0
Figura 24: Distribuzione della misura di emissione (istogramma) in funzione della temperatura del plasma
nella corona di AB Dor. (Tratta da Sanz-Forcada et al. 2003).
Abundance (solar units)
AB Dor
1.0
Chandra
XMM Rev. 205
XMM Rev. 091
0.1
Ca
Ni
Mg
Fe
Si
S
C
O
N
Ar
Ne
Element (increasing FIP)
Figura 25: Rapporto delle abbondanze degli elementi nella corona di AB Dor con le abbondanze della
fotosfera solare in funzione del FIP. (Tratta da Sanz-Forcada et al. 2003).
un riscaldamento coronale quasi stazionario; d’altra parte non si può escludere l’esistenza di fenomeni
di variabilità su piccola scala (al di sotto della soglia di sensibilità qui determinata), o la presenza di
numerosi brillamenti di media/grande scala simultenuamente presenti in ogni momento dell’osservazione.
Il confronto tra i flussi delle righe di emissione misurari a distanza di un anno (Fig. 23) suggerisce invece
la presenza di variabilità di piccola ampiezza limitata alle righe che si formano alle temperature vicine al
picco della distribuzione di misura di emissione globale.
Della stella attiva AB Dor, oltre alle osservazioni ottenute con BeppoSAX, sono stati analizzati gli
spettri ad alta risoluzione ottenuti con gli strumenti HETG di Chandra e RGS di XMM-Newton. Sono
state identificate e misurate le intensità di righe in emissione del Fe, con stato di ionizzazione dal XVII al
XXIV , e di C, N, Ne, Mg, Si, S, Ar, Ca, Fe e Ni.
L’insieme delle righe osservate indica che le temperature caratteristiche della corona di AB Dor vanno
da 106.1 K fino a 107.3 K, e utilizzando le misure dei flussi delle righe stesse é stata ricostruita la distribuzione di misura di emissione, riportata in Fig. 24. Si osserva la presenza di un primo picco intorno a
106.3 K, ed una rapida ascesa fino al picco principale che si estende da 106.9 K fino a 10.7.3 K. Da notare
inoltre come la distribuzioni di misura di emissione ricavata da una delle osservazioni di XMM, durante la
Ricerca Astronomica
35
5
log p (dyn cm-2)
e
4
3
2
1
0
5.0
5.5
6.0
log T (K)
6.5
7.0
Figura 26: Pressione elettronica nella corona di AB Dor a diverse temperature. (Tratta da Sanz-Forcada et
al. 2003).
quale AB Dor mostrava un maggiore rate di emissione X, risulti più elevata sull’intero range di temperature
rispetto alle altre distribuzioni.
Contestualmente alla ricostruzione della misura di emissione sono state stimate le abbondanze di tutti
gli elementi relative all’abbondanza del ferro. Confrontando questi valori con quelli della fotosfera solare si
osserva un andamento prima decrescente e poi crescente all’aumentare del FIP (First Ionization Potential)
come mostrato in Fig. 25.
Dall’analisi dei tripletti degli ioni elioidi O VII, Ne IX, Mg XI sono stati ricavati i valori di densità del
plasma alle temperature 106.2 K, 106.6 . I valori stimati sono 1010.8 cm−3 , 1011 cm−3 e 1012 cm−3 . Questi
risultati indicano che la corona di AB Dor è caratterizzata da pressioni crescenti con la temperatura, in
maniera simile a quanto trovato per la corona di Capella. In Fig. 26 sono riportati i valori ottenuti per le
pressioni elettroniche a diverse temperature, oltre ai risultati ottenuti dai tripletti elioidi sono stati aggiunti
anche i valori ricavati da rapporti di righe del C III che si forma a T = 104.9 K e da righe del Fe XXI e
XXII che si formano a temperature pari a 107.0 K e 107.1 K.
3.5 Modelli di brillamenti stellari
Le corone stellari non sono risolte spazialmente con gli attuali telescopi che operano nella banda X. I
brillamenti stellari osservati nei raggi X hanno molte analogie con quelli solari e su questa base sono stati
utilizzati per dedurre le dimensioni delle strutture soggette a brillamento, in particolare studiandone la fase
di decadimento.
Studiando le leggi di decadimento dei brillamenti, sia di quelli solari, sia di quelli stellari, si è appurato
che il tempo caratteristico di decadimento di un arco coronale in brillamento è proporzionale alla sua
lunghezza, consentendo cosı̀ di ricavarne una stima anche in assenza di immagini dirette della regione del
brillamento.
Un aspetto importante, da noi studiato in dettaglio, è l’effetto del riscaldamento durante il decadimento,
che, allungandone la durata, porterebbe ad una sovrastima della lunghezza, se non tenuto nel debito conto.
Grazie ad una serie di simulazioni idrodinamiche con il codice di Palermo-Harvard abbiamo ricavato un
metodo per stimare la lunghezza degli archi coronali in brillamento, che tiene conto della possibile presenza del riscaldamento, stimandola dall’andamento del rapporto della densità e della temperatura medie
del plasma durante il decadimento. Sono state effettuate quindi verifiche su brillamenti solari osservati da
Yohkoh/SXT, che permette di risolvere gli archi coronali e, quindi, di misurarne la lunghezza direttamente.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
36
QSS
loop
From eclipse
analysis
Hydro
loop
Figura 27: Brillamento sulla stella Algol osservato con il satellite BeppoSAX: è chiaramente visibile nella
curva di luce l’eclissi che ha permesso una stima indipendente delle dimensioni della regione interessata.
Il metodo sviluppato dal nostro gruppo fornisce una stima più vicina alle dimensioni ottenute dall’eclisse
di altri metodi. (tratto da Reale 2001).
Questo metodo ha avuto riconoscimento in ambito internazionale per applicazioni a brillamenti stellari
osservati con Einstein, ROSAT, ASCA, BeppoSAX e XMM-Newton ed ha avuto ad esempio, un’importante conferma nell’applicazione a un brillamento sulla stella Algol nel quale le dimensioni della regione
interessata si sono potute determinare indipendentemente, perchè soggetto a eclissi. Le dimensioni sono
largamente sovrastimate da altri metodi mentre il nostro metodo fornisce una stima più vicina a quella ricavata dallo studio dell’eclisse (Fig. 27). Recentemente un membro del gruppo ha presentato due rassegne
sulle applicazioni ai vari casi stellari a congressi internazionali sulle corone solare e stellari (Reale 2002,
2003).
Nei brillamenti stellari particolarmente lunghi e intensi, la pressione del plasma potrebbe essere cosı̀
grande da rompere il confinamento. Questa possibilità è stata esplorata con un lavoro che comprende
una serie di simulazioni di brillamenti in un’atmosfera libera da confinamento (Reale et al. 2002), in cui si
dimostra che in tali condizioni il plasma avrebbe tempi di decadimento estremamente brevi (alcuni minuti)
e che quindi anche nei lunghi brillamenti stellari è necessaria la presenza del confinamento magnetico.
Nell’ambito dello studio di brillamenti stellari che presentano curve di luce anomale, è in corso l’analisi tramite modello idrodinamico di un brillamento ben osservato sulla stella Proxima Centauri dal satellite
XMM-Newton (Reale et al. 2003, in preparazione). Questo brillamento presenta una fase di decadimento
non uniforme, con un secondo picco minore dopo circa un’ora dall’inizio del brillamento. Uno dei risultati
di questo lavoro è che questo secondo picco potrebbe essere associato all’innesco di un brillamento secondario in un’arcata coronale adiacente all’arco coronale che emette il picco principale. Un comportamento
analogo é stato già osservato sul Sole (Fig. 28).
Ricerca Astronomica
37
SUN
Bastille Day Flare
I peak
II peak
Prox Cen
Figura 28: Possibile scenario del sistema di archi coronali sede di un brillamento osservato sulla stella
Proxima Centauri dal satellite XMM-Newton, che presenta una curva di luce con un decadimento complesso. La parte principale del brillamento avviene nell’arco singolo mentre il secondo picco origina dall’arcata. In scala è riportato il disco solare e un’immagine, rilevata dal satellite TRACE, di un brillamento
solare con caratteristiche analoghe, avvenuto il 14 luglio (giorno della Bastiglia) del 2000.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
38
4 Astrofisica Stellare Ottica
Ricerche stellari nella banda spettrale ottica vengono svolte già da vari anni all’Osservatorio Astronomico di Palermo facendo uso di strumentazione esterna all’Osservatorio, cui i ricercatori di OAPA hanno
accesso mediante proposte di osservazione selezionate su base competitiva internazionale. I telescopi più
comunemente usati sono quelli dell’ESO in Cile, a La Silla e al Paranal, e quelli dell’Osservatorio di Roche
de los Muchachos nell’isola di La Palma, alle Canarie.
Le tematiche principali di ricerca riguardano:
• la spettroscopia stellare ad alta risoluzione, con particolare riferimento all’abbondanza del litio e del
berillio, all’emissione cromosferica, alla determinazione delle velocità radiali e di rotazione, e alle
misure di metallicità e dei prodotti della nucleosintesi stellare
• la fotometria di ammassi stellari aperti e la fotometria e spettroscopia a bassa risoluzione di controparti ottiche di sorgenti X, con particolare riferimento a sorgenti stellari in ammassi aperti e
regioni di formazione stellare osservate con i satelliti ROSAT, Chandra and XMM-Newton (cf. le
precedenti sezioni).
Più recentemente, l’Osservatorio Astronomico di Palermo ha iniziato, in collaborazione con altri Istituti italiani ed esteri, programmi tecnologici nel campo dell’astronomia ottica, con particolare riferimento a
strumentazione per il VLT e l’LBT, con l’intento di sviluppare strumenti spettroscopici innovativi particolarmente adatti ai programmi di ricerca di astrofisica stellare in cui l’Osservatorio è attualmente impegnato.
Questa attività è illustrata nella sezione tecnologica di questo documento.
4.1 Spettroscopia ottica ad alta risoluzione
Osservazioni spettroscopiche ad alta risoluzione (con poteri risolutivi R tra 20.000 e 100.000) permettono di ricavare informazioni fisiche sulle fotosfere e cromosfere di stelle di tipo spettrale avanzato, ivi
inclusa la determinazione delle abbondanze chimiche, dei processi di mescolamento interno e di nucleosintesi stellare, delle perdite radiative cromosferiche, della dinamica stellare (rotazione, convezione), della distribuzione delle disomogeneità superficiali (Doppler imaging) e dell’intensità dei campi magnetici
superficiali.
Gli strumenti usati per queste osservazioni sono tipicamente spettrografi echelle a dispersione incrociata che permettono l’acquisizione simultanea di un ampio intervallo spettrale su un rivelatore CCD.
Sono di questo tipo lo spettrografo CASPEC (ora dismesso, ma usato ampiamente dai ricercatori di OAPA
negli anni passati) al telescopio di 3.6m dell’ESO nonché gli spettrografi SARG al TNG, UVES al VLT e
FEROS originariamente all’1.5m dell’ESO. Analoghi strumenti per spettroscopia ottica ad alta risoluzione
sono disponibili in molti altri Osservatori (a Kitt Peak, a Cerro Tololo, al WHT a La Palma, all’AAT, al
Keck, al Subaru, etc.), ma sono di più difficile accesso per la comunità astronomica italiana e, pertanto,
sono usati solo in parte e sporadicamente. Uno spettrografo echelle a più oggetti e a risoluzione spettrale
medio-alta è appena entrato in funzione al VLT: lo spettrogragfo GIRAFFE alimentato dal posizionatore
di fibre FLAMES che permette anche spettroscopia multioggetto a più alta risoluzione mediante un collegamento a fibre con UVES. Con l’entrata in funzione di FLAMES (che è offerto alla comunità da aprile
2003), gli strumenti per spettroscopia ottica di maggior interesse per OAPA sono SARG al TNG, UVES e
FLAMES al VLT e FEROS attualmente al 2.2m dell’ESO/MPA a La Silla.
Un campo di ricerca in cui sono particolarmente attivi i ricercatori di OAPA (in collaborazione con
ricercatori di Arcetri e dell’ESO) è la determinazione dell’abbondanza del litio, mediante osservazioni
della riga del litio neutro a 6707.7 Å. Il litio è un potente mezzo di diagnostica della struttura interna delle
stelle e dei meccanismi di mescolamento interno. Esso infatti è facilmente distrutto nell’interno stellare
Ricerca Astronomica
39
Figura 29: Evoluzione dell’abbondanza del litio vs. temperatura efficace tra l’età delle Pleiadi (∼100 Myr)
e l’età delle Iadi (∼600 Myr); da Sestito, Randich, Mermilliod & Pallavicini 2003, A&A, in corso di
stampa.
a temperature superiori a circa 2.5 milioni di gradi: meccanismi di mescolamento che trasportano il litio
superficiale verso l’interno causano pertanto un progressivo impoverimento del litio superficiale, rivelabile
mediante osservazioni spettroscopiche a risoluzione alta ed intermedia. Secondo i modelli standard di
evoluzione stellare tale impoverimento dovrebbe dipendere solo dalla massa, dall’età e dalla composizione
chimica delle stelle. Osservazioni di stelle in ammassi aperti di varia età e metallicità hanno invece mostrato
forti discrepanze con le previsioni dei modelli standard, il che indica che altri fattori (quali per esempio
la rotazione) giocano un ruolo importante o addirittura dominante nei processi di mescolamento interno
(Fig.29).
Determinazioni dell’abbondanza del litio sono eseguite dai ricercatori di OAPA per stelle di ammassi
aperti di varia età e metallicità. Tra gli ammassi studiati ci sono ammassi molto giovani come IC 2602
e IC 2391 (che hanno un’età di circa 30 milioni di anni) o come α Persei (età di circa 50 milioni di
anni), ammassi di età intermedia tra le Pleiadi e le Iadi (quale ad esempio NGC 6475) ed ammassi con età
confrontabile a quella delle Iadi (circa 600 milioni di anni), quali Coma Berenices e il Praesepe. Particolare
attenzione è stata anche dedicata agli ammassi più vecchi, con età maggiore di quella delle Iadi, quali NGC
3680, IC 4651, NGC 752 (che hanno un’età di circa 2 Gyr), M 67 (5 Gyr) e NGC 188 (6−8 Gyr). Questi
ammassi di età intermedia e vecchi sono utili per comprendere i meccanismi di impoverimento del litio
durante l’evoluzione delle stelle sulla sequenza principale. Particolarmente importante a questo riguardo è
capire l’origine della dispersione nelle abbondanze di litio nelle stelle di tipo solare osservata nell’ammasso
vecchio M 67.
I programmi in corso in questo campo mirano ad ottenere una copertura il più possibilmente completa del piano età−metallicità, includendo sia ammassi relativamente giovani come Blanco 1 (con età
confrontabile con quella delle Pleiadi, cioè circa 100 Myr) che ammassi di età intermedia come NGC 752
(di ∼2 Gyr) o molto vecchi come NGC 188 (di ∼7 Gyr). I dati ottenuti, e quelli resi disponibili da altri
40
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 30: Confronto tra le abbondanze del litio in M 34 e NGC 6475, due ammassi di circa la stessa età
(∼250 Myr intermedia tra quella delle Pleiadi e ella delle Iadi) e di simile, ma probabilmente non identica,
metallicità (da Sestito, Randich, Mermilliod & Pallavicini 2003, A&A, in corso di stampa).
analoghi programmi in corso in varie parti del mondo (e particolarmente al Keck, al telescopio WYIN, ai
telescopi inglesi alle Canarie e all’AAT), permetteranno di ottenere un quadro più preciso dei complessi
meccanismi di mescolamento interno nelle stelle nelle loro varie fasi evolutive.
Nel corso dell’anno è stato portato a termine, in collaborazione con ricercatori dell’Osservatorio di
Arcetri, uno studio del litio nell’ammasso NGC 6475 che ha un’età intermedia (∼250 Myr) tra quella
delle Pleiadi e quella delle Iadi (Sestito, Randich, Mermilliod & Pallavicini 2003). A tal fine sono state
usate osservazioni ottenute con lo strumento CASPEC (ora dismesso) al 3.6m dell’ESO. Lo studio dell’ammasso conferma l’esistenza di meccanismi di depauperamente del litio sulla sequenza principali non
previsti dai modelli standard. I dati di NGC 6475 sono stati confrontati con quelli dell’ammasso coevo
M 34, mostrando un ottimo accordo (Fig. 30). Se la metallacità di M34 è solare (come si credeva fino
ad oggi) il buon accordo trovato nell’andamento del Li vs. Tef f nei due ammassi dimostrerebbe l’assenza di dipendenza dalla metallicità, dato che la metallicità di NGC 6475, determinata dagli stessi dati, è
[Fe/H]= +0.14±0.06. Tuttavia, una determinazione recente della metallicità di M 34 (Schuler et al. 2003,
AJ 125, 2085) darebbe invece [Fe/H]= +0.07 ± 0.04, il che lascia aperta la questione di una dipendenza o
meno del depauperamento del litio dalla metallicità. Questo dimostra l‘importanza di determinazioni precise della metallicità degli ammassi aperti, dato che determinazioni accurate, basate di dati spettroscopiche
ad alta risoluzione, sono attualmente disponibili solo per un numero ristretto di essi.
Sono state eseguite osservazioni al TNG con SARG dell’ammasso vecchio NGC 188 di ∼ 7 Gyr
(Randich, Sestito & Pallavicini 2003) e dell’ammasso di età intermedia NGC 752 di ∼ 2 Gyr (Sestito,
Randich & Pallavicini 2003), allo scopo di studiare il depauperamento del litio nelle fasi successive all’età
delle Iadi e il formarsi di uno scatter nelle abbondanze del litio quale quello osservato nell’ammasso
vecchio M 67 (Fig. 31). I risultati di questi studi e il confronto con precedenti osservazioni ottenute ad
ESO per gli ammassi di età intermedia NGC 3680 e IC 4651 hanno rivelato alcuni risultati interessanti. Per
Ricerca Astronomica
41
Figura 31: Confronto tra le abbondanze del litio in ammassi più vecchi delle Iadi (NGC 752, M 67, NGC
188) osservati al TNG ed ESO (da Sestito, Randich & Pallavicini 2003, Memorie SAIt, in press).
Figura 32: Evoluzione media del litio per stelle di tipo solare tra l’età delle Iadi (∼600 Myr) e quella di
NGC 188 (∼7 Gyr). Da Randich, Sestito & Pallavicini 2003, A&A 399, 133.
42
INAF – OAPA: Rapporto 2002
prima cosa, il meccanismo di depauperamento del litio sembra arrestarsi ad un’età dell’ordine di 2 Gyr: non
c’è infatti nessuna differenza significativa, nonostante la grande differenza in età, tra le abbondanze di litio
in stelle di tipo solare osservate in NGC 752, NGC 3680, IC 4651, NGC 188 e nelle stelle dell’inviluppo
superiore della distribuzione di litio osservata in M67 (Fig. 32). Secondo, la dispersione in litio osservata
in M 67 non sembra essere presente in nessuno degli altri ammassi più vecchi delle Iadi, nè in quelli più
giovani di M 67 e con età di ∼2 Gyr, nè in quelli più vecchi (come NGC 188). L’unica indicazione della
possibile esistenza di uno spread in NGC 752 è rappresentata da due stelle osservate una quindicina di
anni fa e con basso S/N da Hobbs & Pilachowski (1986, ApJ 309, L17). Riosservare queste stelle è quindi
assolutamente necessario ed una proposta è stata presentata al TNG per verificare meglio l’esistenza o
meno di uno scatter in NGC 752. Comprendere l’origine dello scatter in M 67 è estremamente importante
perchè il nostro Sole, come anche molte altre stelle G di campo, è impoverito in litio come le stelle più
povere di litio in M 67 (che ha la stessa età e metallicità del Sole). Comprendere quindi l’origine dello
scatter in Li di M 67 significa anche comprendere l’impoverimento in litio che è avvenuto nel Sole (e che
a tutt’oggi non è spiegato da nessuno dei modelli standard).
Con l’avvento di UVES al VLT, che ha un’ottima efficienza anche nell’estremo ultravioletto osservabile da terra, è stato possibile aggiungere un’ulteriore diagnostica dei processi di mescolamento interno
nelle stelle, attraverso osservazioni dell’abbondanza del Berillio. Questo elemento è distrutto a temperature di 3.5 milioni di gradi, cioè a temperature circa un milione di gradi più alte di quelle a cui viene
distrutto il litio. Osservazioni dell’abbondanza del litio e del berillio nelle stesse stelle (Fig. 33) permettono pertanto di fare una tomografia dell’interno stellare e dell’estensione in profondità dei meccanismi di
mescolamento. Osservazioni del doppietto di risonanza del Be II a ∼3130 Å con UVES in stelle di tipo
solare negli ammassi aperti M 67 (∼5 Gyr) e IC 4651 (∼2 Gyr) hanno permesso di dimostrare che tali
stelle non subiscono alcun significativo depauperamente del berillio in ∼5 Gyr (mentre subiscono un forte
depauperamento in litio), dimostrando cosı̀ che i meccanismi di mescolamento non operano in profondità
in queste stelle (Randich, Primas, Pasquini & Pallavicini 2002). E’ stata anche evidenziata una mancanza
di correlazione tra Li e Be (al contrario di quanto riportanto da altri autori per stelle F di campo) e che
nessuno dei meccanismi attualmente proposti per la diminuzione dell’abbondanza degli elementi leggeri
con l’età è in accordo con le osservazioni di stelle di ammasso (Fig. 34).
La spettroscopia di stelle in ammassi aperti subirà un forte impulso con l’avvento dello spettrografo
a più oggetti FLAMES al VLT, operativo dall’inizio del 2003. L’Osservatorio di Palermo ha collaborato
alla realizzazione di FLAMES (cf. la sezione sulle tecnologie ottiche in altra parte di questo documento)
e, in cambio, ha tempo garantito su FLAMES, sia per osservazioni con lo spettrografo a media risoluzione
GIRAFFE che per osservazioni a più alta risoluzione con il collegamento a fibre con UVES. A tal fine,
è stato elaborato, in collaborazione con ricercatori di Arcetri e di Bologna, un programma scientifico per
l’utilizzo del tempo garantito di FLAMES, programma focalizzato sulla determinazione dell’abbondanza
del litio e sull’analisi chimica dettagliata (di Fe, O, Ca, Na, Mg, Si) di stelle di tipo spettrale avanzato in
un campione di ammassi aperti di varia età e metallicità. Gli ammassi selezionati coprono l’intervallo di
età da pochi milioni di anni (NGC 6530 osservato anche in raggi X da Chandra) a quasi 10 Gyr (Collinder
261) e l’intervallo di metallicià [Fe/H] da −0.5 a +0.2. Altri ammassi che saranno osservati con FLAMES
sono Blanco 1, NGC 2506 e Melotte 66.
Nello studio di campioni omogenei per età e composizione chimica, è fondamentale accertarsi dell’effettiva appartenenza all’ammasso delle stelle osservate, cosa non semplice in regioni molto affollate
quali sono appunto gli ammassi. Per gli ammassi giovani, le osservazioni X sono un mezzo potente per
determinare l’effettiva appartenenza all’ammasso. Ulteriori conferme provengono dalla determinazione
delle velocità radiali e dalla misura dell’emissione cromosferica, informazioni che con spettri echelle a
dispersione incrociata si possono ottenere generalmente dagli stessi spettri utilizzati per la determinazione
dell’abbondanza del litio (con GIRAFFE si osserva un solo ordine spettrale per volta, ma anche in tal caso
Ricerca Astronomica
43
Figura 33: Spettri di stelle dell’ammasso aperto M 67 nella regione spettrale del Be II e del Li I ottenuti
con UVES al VLT (da Randich, Primas, Pasquini & Pallavicini 2002, A&A 387, 222).
44
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 34: Confronto tra le abbondanze di litio e berillo in stelle di tipo solare in M 67 e IC 4651 e le
previsione di modelli di mescolamento interno (da Randich, Primas, Pasquini & Pallavicini 2002, A&A
387, 222).
è possibile ricavare simultaneamente l’abbondanza del litio, la metallicità e la velocità radiale). Le osservazioni in Hα permettono di stimare il livello di attività cromosferica, che a sua volta è funzione dell’età
e della rotazione stellare. Analoghe informazioni sulle cromosfere stellari si ottengono dalle righe H e K
e/o dal tripletto IR del Ca II. Inoltre, per tutti gli ammassi, è essenziale avere una buona determinazione
spettroscopica della metallicità e possibilmente anche dell’abbondanza di altri elementi (in particolare dell’ossigeno) oltre a quella del ferro. Infine, per lo studio dei processi di dredge-up e di diluzione del litio
nelle stelle evolute, è anche importante determinare il rapporto isotopico C12 /C13 che dipende dalla nucleosintesi stellare e dal trasferimento in superficie dei prodotti della nucleosintesi interna durante la fase
evolutiva di gigante rossa. Queste sono altre problematiche di tipo spettroscopico su cui sono impeganti
attivamente i ricercatori di OAPA, con particolare riferimento a stelle di tipo spettrale avanzato in ammassi
aperti. Osservazioni al TNG con SARG di stelle giganti appartenenti agli ammassi NGC 7789 e NGC 2506
sono state ottenute nel corso del 2002 per studiare il depauperamento del litio ed il mixing interno degli
elementi CNO dopo il first drege-up, lungo il ramo delle giganti rosse e per le stelle del clump.
Un’altra linea di ricerca nel campo della spettroscopia ad alta risoluzione riguarda la determinazione
delle abbondanze chimiche nelle stelle dell’intorno solare. In quest’ambito è stato messo a punto, in collaborazione con ricercatori di ESTEC e dell’Observatoire de Paris, un sistema di analisi di spettri stellari
autoconsistente, con cui è possibile ricavare sia i parametri fisici stellari (temperatura, gravità e microturbolenza) che le abbondanze chimiche di vari elementi quali Ferro, Calcio, Alluminio ed altri. I risultati
ottenuti su alcune stelle sono stati confrontati con quelli ottenuti con altri metodi, confermandone la robustezza. Sono state analizzati alcuni spettri ad alto S/N ottenuti con lo spettrografo FEROS al telescopio
di 1.5m di ESO per un campione di stelle binarie SB1 attive. Per queste stelle sono state determinate le abbondanze di 13 specie chimiche, inclusi parecchi elementi alpha. L’analisi è stata condotta separatamente
sia con una lista di righe del ferro a bassa e ad alta eccitazione, che con solo le righe ad alta eccitazione.
Ricerca Astronomica
45
Figura 35: Abbondanze degli elementi in un campione di stelle binarie SB1. L’ultimo pannello mostra
l’abbondanza degli elementi alpha, ottenuta come media delle abbondanze del Mg, Si, Ca e Ti (Morel,
Micela, Favata, Katz & Pillitteri 2003, A&A, sottomesso per la pubblicazione).
I risultati ottenuti sono consistenti fra di loro, suggerendo che le righe del ferro neutro si formano in condizioni che non si discostano troppo dall’LTE. Alcuni indici di colore fotometrici appaiono influenzati in
modo sistematico dall’attività ed emerge che in queste stelle gli elementi α risultano in eccesso rispetto al
Ferro (Fig. 35). Quest’analisi verrà applicata su un campione più vasto di stelle attive, che verranno osservate con SARG al TNG e FEROS a La Silla nei prossimi mesi. Inoltre si sta cercando di estendere il metodo
a stelle con rotazione più elevata, basandosi sulla sintesi spettrale. L’estensione del campione a stelle appartenenti a diverse popolazioni permetterà di delineare un quadro dell’evoluzione chimica nell’intorno
solare.
4.2 Fotometria e astrometria di ammassi aperti
Per facilitare il corretto posizionamento delle fibre con FLAMES (che richiede una precisione astrometrica
di 0.1 secondo d’arco per non perdere in efficienza), è in corso un lavoro fotometrico e astrometrico sugli
ammassi aperti che saranno poi osservati in modo spettroscopico con FLAMES. Gli ammassi selezionati
sono inclusi per la maggior parte nel campione osservato con il Wide Field Imager (WFI) al telescopio
di 2.2m dell’ESO/MPA come parte della survey EIS (ESO Imaging Survey). Per alcuni ammassi che non
erano in EIS, sono state ottenute osservazioni supplementari al 2.2m con WFI. Le immagini WFI, sia di
archivio che acquisite appositamente, sono state analizzate o sono in corso di analisi all’Osservatorio di
Palermo per ricavarne sia una fotometria accurata degli oggetti nel campo che per una soluzione astrometrica. Una dottoranda di OAPA (L. Prisinzano) ha lavorato ad ESO alla riduzione delle immagini WFI di
EIS e sta lavorando, in collaborazione con l’Osservatorio di Bologna, alla riduzione degli ammassi del programma di OAPA per il Tempo Garantito di FLAMES. Oltre al loro uso per le osservazioni di FLAMES,
i dati fotometrici WFI hanno un interesse scientifico proprio per lo studio degli ammassi aperti, al fine di
determinare età, distanza, metallicità fotometrica e reddening dal confronto con tracce evolutive teoriche.
In particolare è stata ricavata la fotometria degli ammassi NGC 6530, NGC 3960 e Cr 261 per determinare la funzione di massa e l’evoluzione dinamica. Il confronto di queste tre ammassi che hanno età
46
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 36: Funzione di massa dell’ammasso NGC 2422. La figura mostra la funzione di massa ottenuta
tenendo conto della correzione della contaminazione delle stelle di campo e dell’evoluzione dinamica dell’ammasso (cerchi pieni), confrontata sia con quella ottenuta senza tenere conto della dinamica (triangoli),
che con la funzione di massa delle Pleiadi (cerchi vuoti). In figura è mostrata la legge di potenza ottenuta
per masse maggiori di 1 M (Prisinzano, Micela, Sciortino & Favata 2003, A&A, in corso di stampa).
e condizioni molto diverse permetterà di cominciare ad esplorare l’universalità della funzione di massa
tramite uno studio sistematico degli ammassi aperti.
Un lavoro approfondito è stato inoltre svolto sull’ammasso NGC 2422, per il quale sono state ottenute
sia osservazioni X che osservazioni ottiche fotometriche al CTIO, e per cui è stato possibile ricavare la
funzione di massa fino a ∼ 0.4M , mostrata in Fig. 36 (Prisinzano, Micela, Sciortino & Favata 2003,
A&A, in corso di stampa).
5 Resti di Supernova
5.1 Studi statistici di Resti di Supernova nell’archivio ROSAT OAPA
Gli studi statistici di RSN galattici sono di interesse considerevole per molti aspetti. Per esempio, questo
tipo di studi possono contribuire alla determinazione del bilancio energetico, della dinamica e della chimica
del mezzo interstellare (ISM), e possono dare ulteriori spunti per le questioni ancora non risolte riguardanti
i RSN in sè, come la loro distribuzione spaziale nella galassia, la correlazione fra RSN e supernova progenitrice ed il tasso di esplosioni di supernove nella galassia. Altri argomenti che possono essere esplorati
sono lo studio della classe di RSN mixed-morphology, scoperta recentemente grazie ad osservazioni nella
banda X, ed l’annoso problema degli effetti di selezione nella ricerca di pulsar dentro i RSN.
Studi statistici completi di RSN galattici non sono immediati, perché ci sono varie limitazioni imposte
da effetti osservativi. Comunque, molti di questi effetti sono specifici della banda radio, che è classicamente
usata per questo tipo di studi. I due problemi più grandi sono 1) mancanza di completezza in luminosità
superficiale, e 2) bias verso grandi (> 80 ) RSN. Per questi motivi, il catalogo corrente di Green dei RSN
galattici, che comprende circa 220 oggetti, è ben lontano da rappresentare un campione completo. In
particolare, l’efficienza di rivelazione di RSN di tipo “Filled Center e “Compositi è molto bassa.
La disponibilità dei risultati della pipeline di riduzione dei dati PSPC di ROSAT, sviluppata congiuntamente dall’OAPA e dal CfA, è una opportunità di portare avanti uno studio statistico di RSN nella banda
X. La risoluzione spaziale di ROSAT e il ben definito limite in sensibilità della survey può aiutare a su-
Ricerca Astronomica
Literature count rate (cnt s-1)
47
155
10.0
138
56
104
137
112
168
25
69
52
1.0
19
34
68
22
113
60
170
50
2
L/
94
0.1
P=
169
L
P=
2
L*
P=
0.1
1.0
10.0
Pipeline count rate (cnt s-1)
Figura 37: Confronto fra i count rate derivati dal sommare i rate di tutte le sorgenti associate ad un dato
RSN ed il count rate PSPC pubblicato in letteratura dello stesso oggetto. Le tre linee continue segnano
l’equivalenza dei due rate e le regioni a differenza di un fattore due.
perare le limitazioni imposte dalle survey radio, ed allo stesso tempo le misure di assorbimento possono
fornire una prima stima per le distanze.
Abbiamo preso in considerazione 2647 osservazioni PSPC puntate, delle quali 607 sono puntate a
latitudine galattici < 10◦ . Uno dei punti chiave del processo è la rivelazione delle sorgenti con il metodo
delle wavelet sviluppato in questo Osservatorio, metodo che corre in tre diverse bande del PSPC (broad,
soft e hard) e che fornisce una stima dell’estensione delle sorgenti rivelate. Sono state rivelate 96662
sorgenti nella banda broad, di cui 4101 estese.
Come primo aspetto di questo studio, abbiamo identificato tutti i RSN esistenti che sono stati osservati
da ROSAT. Per far questo abbiamo usato la lista di RSN galattici di Green (1998), che comprende 220
oggetti, con posizione, dimensioni, flusso radio ed indice spettrale. Per ogni RSN nel catalogo di Green
abbiamo definito a cerchio nel cielo nella posizione e con raggio riportati nel catalogo di Green. Abbiamo
poi estratto dal nostro archivio quelle sorgenti che cadono all’ interno del cerchio cosı̀ definito, se ve ne
sono. In questo modo, abbiamo trovato che, fra i 220 RSN radio nel catalogo di Green, 70 hanno almeno
una sorgente di associata (RSN rivelati), e 22 RSN cadono in qualche osservazione ROSAT, ma non hanno
alcuna sorgente di archivio associata (RSN non rivelati). Abbiamo poi ulteriormente selezionato la lista
dei RSN rivelati, ispezionando le relative immagini PSPC, ed abbiamo escluso quelle sorgenti chiaramente
associate ad oggetti noti non correlati con i RSN, quali stelle ed oggetti extragalattici. La lista finale e
composta da 50 RSN rivelati e 42 RSN non rivelati. La frazioni di RSN nelle subclassi morfologiche shell
(S), composite (C), filled-center (F) e irregolari (I) rivelate sono 64%, 26%, 4% e 6%, rispettivamente,
mentre sono del 78%, 11%, 5% e 7% nel catalogo di Green. Quindi, nella banda ROSAT, i RSN del tipo
compositi tendono ad essere rivelati meglio che quelli di tipo shell.
Per ricavare il flusso totale di un dato RSN, abbiamo sommato i flussi di tutte le sorgenti di archivio
associate ad un dato RSN, escludendo eventuali duplicazioni. Dato che le sorgenti non coprono l’intera
estensione del RSN ci si può chiedere se tale derivazione sia affidabile. A questo risponde la Fig. 37, che
riporta la nostra stima in ascisse ed il count-rate pubblicato in letteratura per alcuni RSN rivelati. Essendoci
un accordo molto buono fra le due stime, ne concludiamo che questa procedura è in grado di ricavare una
stima più che affidabile del flusso totale dei RSN.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
48
Ci siamo posti il problema di uno studio spettrale sistematico dei RSN rivelati. Per questo motivo,
abbiamo passato in rassegna due parametri spettrali conservati in archivio delle sorgenti che cadono entro
i RSN noti dal catalogo di Green, e cioè i due parametri hardness ratio HR1 e HR2 cosi definiti:
hard1 − sof t1
(1)
hard1 + sof t1
hard2 − sof t1
(2)
HR2 =
hard2 + sof t2
dove soft1 sono i conteggi nella banda 0.11-0.42 keV, hard1 quelli nella banda 0.52-2.02 keV, soft2
quelli nella banda 0.52-0.91 keV, e hard2 quelli nella banda 0.91-2.02 keV. Inoltre, abbiamo considerato i
color ratio
HR1 =
C2
C3
; C32 =
(3)
C1
C2
dove C1 è il numero di conteggi nella banda 0.11–0.42 keV (C1 è identico a S1 ), C2 nella banda
0.58–1.15 keV, e C3 nella banda 1.15–2.02 keV. Gli errori sono stati stimati con il metodo innovativo della
statistica-C (Cash 1979).
Inoltre, dato che questi valori sono definiti per ogni sorgente di archivio, abbiamo ricavato i corrispondenti valori per gli RSN rivelati facendo la mediana dei valori corrispondenti a tutte le sorgenti associate
ad un dato RSN
C21 =
Figura 38: Scatter plot HR1-HR2 e C32-C21 delle sorgenti estese che cadono entro l’estensione di RSN noti dal
catalogo di GREEN (in violetto) e di tutte le altre sorgenti estese (blu) presenti nell’archivio ROSAT OAPA.
La figura 38 mostra che i RSN hanno una distribuzione dei loro valori HR e CR molto diversa da quella
della maggior parte di altre sorgenti (in blu). Queste ultime, si addensano lungo un braccio fra le linee ad
indice costante α = 1 e α = 2 dei modelli di emissione a legge di potenza.
Possiamo identificare almeno tre regioni interessanti in questi scatter plot. Primo, la regione nel plot
HR a HR2 < 0 contiene principalmente grandi shell termiche interagenti con il mezzo interstellare (ISM),
il cui spettro è molto soffice, per esempio il RSN della Vela (Bocchino et al. 1999), PKS1209-51 (Zavlin
Ricerca Astronomica
49
et al. 1998) e G296.1-0.5. La parte superiore di questa regione è occupata da oggetti più giovani della
stessa categoria, come CTB80 (Safi-Harb et al 1995), CTA1 (Slane et al. 1997), G160.9+2.6 (HB9, Leahy
& Aschenbach 1995) e RCW86 (Bocchino et al. 2000).
La seconda regione è posta fra HR2 = 0 e HR2 = 0.5 e contiene la maggior parte dei RSN rivelati. La
possibile ambiguità riguardo alla natura termica o non dei RSN in questa regione è eliminata dall’ispezione
del plot dei CR insieme a quello degli HR. Infatti, considerando tutti e due i plot, risulta inequivocabilmente
che la natura dell’emissione è termica.
Infine, la terza regione, localizzata a HR2 > 0.6 contiene 12 RSN con uno spettro molto duro. Fra
questi, abbiamo W44 (Harrus et al. 1997), G11.2-0.3 (Reynolds et al. 1994) e W51 (Koo et al. 1995).
In generale quindi, troviamo che le proprietà spettrali dei RSN sono strettamente correlate con la sua
posizione nei plot HR e CR, e questo ha una doppia utilità. Primo, ci consente di derivare rapidamente le
caratteristiche spettrali di quei RSN del catalogo di Green rivelati nella a nostra survey, ma non ancora studiati in letteratura. Secondo, ci permette di derivare un metodo di identificazione di nuovi RSN, sulla base
della posizione degli scatter plot di sorgenti non associate ad nessun RSN noto. Stiamo ancora lavorando
a questo aspetto.
Radio spectral index
1.0 1
extra
0 -2 ex
p. sy
trap.
nc. e
sync.
missio
10 -3 e
e
m
x
ission
n 69
0.8
trap.
sync.
60
S
emis
U
sion
99
170
139
104
112
109
79
137
S
S
S
50S
S
S
S
S
0.6
94
37
175
90
19
103 123
218
121 89
S
197
55 22
138
S
62
S
S
S SS S
S S
CS
S
SC
155
S
113
0.4
134
S
68
S
42
0.2
0.0
F
SS
C
161
S
126 3 83
CCU
10-14
C
133
53
C
87
56
165
C
54
S
168
34
169
CCC
15
36
CF
10-13
10-12
10-11
10-10
fX/fR
79
126
C175
S
Size (arcmin)
S
60
112
S
104 U
S 83 103 123
U S S 89 S
S
19
15
168
S68 56
C
165 C34
99
42
161
94
S
CC
S
S
C
S
218
170
S
139
54
169
SS53 S
C
S S
90
100
37
S
10
S
121
138
109
S
S
S
113
137
69
SS
155
S
133
C
CS
134
C
197
55
87
F
3
C
50
S
62
22
SC
36
1
F
10-14
10-13
10-12
10-11
10-10
fX/fR
Figura 39: Rapporto fra la densità di flusso ad 1 GHz ed il flusso nella banda 0.1-2.4 keV in funzione
dell’indice spettrale (pannello in alto) e dimensione dei RSN (pannello in basso). Nel pannello in alto,
abbiamo anche riportato il rapporto atteso nel caso in cui lo spettro del RSN fosse caratterizzato da un
unico spettro non-termico di sincrotrone dalla banda radio a quella X, e due linee aggiuntive che mostrano
la stessa cosa nel caso in cui lo spettro X fosse un fattore 10−2 e 10−3 sotto quello radio estrapolato. La
regione fra queste linee contiene i candidati RSN della categoria shell non termiche.
Altri due aspetti estremamente importanti della nostra survey sono il confronto fra i flussi X ed i flussi
radio dei RSN selezionati e la derivazione della relazione Σ − D nella banda X. Per quanto riguarda il
50
INAF – OAPA: Rapporto 2002
confronto X-radio, in Fig. 39 mostriamo il rapporto fra la densità di flusso radio ad 1 GHz (dal catalogo di
Green) ed il flusso X fra 0.1 e 2.4 keV in funzione dell’indice radio spettrale, insieme al valore atteso del
rapporto nel caso in cui lo spettro del RSN fosse descritto da un’unica legge di potenza dalla banda radio
a quella X. Questo plot mostra immediatamente che, fra tutti i RSN, solo 3c400.2 è in queste condizioni,
mentre per gli altri vi è un break nello spettro fra queste due bande. Questo risultato è stato già notato da
Reynolds & Keohane (1999) su un campione più ristretto di RSN, e conclusero che, per questo motivo,
non vi è evidenza che tutti i RSN siano efficienti acceleratori di raggi cosmici molto energetici. Comunque,
è ancora possibile che qualche RSN preso individualmente possa accelerare i raggi cosmici fino ad energie
di alcune decine di TeV, ed in effetti in letteratura sono stati scoperti alcuni RSN aventi una componente
non-termica nel loro spettro X. Per questi casi, Reynolds (1998) ha mostrato che il rapporto fra il flusso
estrapolato da quello radio ed il flusso X osservato è nel range 10−2 − 1 per RSN giovani (∼ 103 anni)
e nel range 10−3 − 10−2 per RSN più vecchi (∼ 104 anni). Per questo motivo, abbiamo tracciato in Fig.
39 i valori attesi di fX /fR nel caso in cui il flusso X fosse 10−2 e 10−3 volte il flusso radio estrapolato.
I RSN che cadono nella regione definita tra queste linee sono quindi dei candidati alla nuova classe delle
shell non-termiche, altrimenti di difficile individuazione.
Il nostro grande campione di RSN è anche più che adatto a studiare la relazione fra la luminosità
superficiale Σ ed il diametro del RSN nella banda X, cosı̀ come è stato fatto nella banda radio. Questa relazione è estremamente utile nella determinazione della distanza dei RSN qualora altri metodi non
fossero disponibile, e cioè nella maggior parte dei casi, come dimostrato da Case & Bhattacharya (1998,
CB98 da qui in poi). Nella banda X inoltre è l’unico metodo per stimare la distanza per quei RSN dei
quali non si conosce una controparte radio. Precedenti studi della relazione Σ − D si trovano in FuscoFemiano & Preite-Martinez (1984), Berkhuijsen (1986) e Magnier et al. (1997), tutti con un misto di RSN
galattici ed extragalattici molto luminosi, i quali hanno anche calcolato le tracce evolutive dei RSN nel
diagramma Σ − D. È importante notare che la grande sensibilità della nostra survey ci permette di studiare
tale relazione a livelli di flusso più bassi di un fattore 10 e 100 rispetto al campione di Fusco-Femiano &
Preite-Martinez (1984) e Magnier et al. (1997), rispettivamente.
Usando i calibratori della distanza di CB98, la dimensione data nel catalogo di Green, ed il flusso 0.12.4 keV che abbiamo ricavato, abbiamo costruito la nostra Σ − D, riportata in Fig. 40. Un best-fit lineare
35
ai data point mostra che la relazione Σ = AD β , dove A = 8.8+76.1
−7.9 × 10 e β = −3.14 ± 0.59 riproduce
soddisfacemente i dati. La relazione da noi ricavata è più pendente della relazione radio. CB98 trovano
β = −2.21 ± 0.24. Dato che non ci sono in genere discrepanze fra le dimensioni di un RSN misurate in
0.7 ,
radio e nella banda X, la diversa pendenza implica una relazione fra ΣX e ΣR della forma ΣR ∝ ΣX
pienamente in accordo con la correlazione nel campione di RSN di Berkhuijsen (1986).
La Fig. 40 mostra inoltre le tracce evolutive attese cosı̀ come calcolate da Magnier et al. (1997). Si
noti che la presenza nel nostro campione di oggetti a ΣX ≤ 1030 erg s−1 pc−2 implicherebbe una densità
del mezzo interstellare in cui avviene l’espansione molto bassa (n0 = 10−3 ) se l’energia iniziale dell’esplosione fosse il valore canonico di 1051 erg (E51 = 1). Questo risultato non era stato ricavato negli studi
precedenti, i quali tendenvano a minimizzare le variazioni del parametro E51 a favore di variazioni della
densità. Dato che in letteratura si è accumulata una notevole evidenza di esplosioni con energie inferiore al
valore di solito assunto ((e.g. E51 = 0.1 per Vela, Bocchino et al. 1999; E51 = 0.02 − 0.3 per G292.0+1.8,
Hughes & Singh 1994, per citare alcuni), abbiamo altresı̀ derivato, seguendo Magnier et al. (1997), le tracce evolutive assumendo n0 = 0.1 e E51 = 0.1, e le abbiamo plottate in Fig. 40, per mostrare che la parte
a bassa ΣX del diagramma, popolata da vari oggetti, può essere interpretata altrettanto bene da un densità
ragionevole ed una energia iniziale dell’esplosione nel range E51 = 0.1 − 1, cosı̀ come osservato in altri
RSN.
Infine, per confrontare la bontà della relazione ΣX − DX nella determinazione della distanza di un
RSN, rispetto alla relazione ΣR − DR , abbiamo calcolato l’errore relativo f = |dobs − dΣ−D |/dobs , dove
Ricerca Astronomica
51
1033
S
S
50
S
E51 =1
10 -1
,E
51
=0
Se
89
S
138
68
S 113
109 S
S
do
1031
15
C 69
S
.1
56
SS
v Se
do onN
v
ΣX (erg s-1 pc-2)
1032
n0 =
) MAX
55
-D
(Σ
n0 =10 -1,
155
19
112
S
1030
104
S
S
25
S
-3
83
U
175
n0=10 , E51=1
S
1029
10
121
S
100
Diameter (pc)
Figura 40: Relazione empirica ΣX − DX per un sottocampione di RSN rivelati nella nostra survey selezionati da CB98, per i quali esiste una stima indipendente della distanza. Alcune tracce evolutive adattate
da Magnier et al. (1997) sono altresı̀ riportate con linee a tratto ed a puntini. Le linee continue marcano il
confine fra evoluzione a velocità costante e evoluzione secondo il modello di Sedov.
dΣ−D a distanza calcolata usando la relazione Σ−D e dobs e la distanza stimata tramite altri modi indipendenti (pulsar, misure di HI, ecc.). La media di f calcolata usando la relazione ΣR − DR e data da CB98 ed
è 0.41, mentre f = 0.30 per la relazione ΣX − DX che abbiamo ricavato dal nostro campione. Dunque,
la relazione ΣX − DX è migliore ai fini della derivazione delle distanze dei RSN del suo equivalente in
radio. Questa differenza si può spiegare presente che il flusso radio è condizionato dal campo magnetico
più di quanto lo sia il flusso nella banda X.
5.2 Interazione plerione-shell in 3C58
I processi di conversione dell’energia di rotazione delle pulsar in emissione elettromagnetica rivestono
un interesse grandissimo nello studio delle pulsar wind nebulae (PWN). I moderni telescopi nella banda
dei raggi X, come quelli di XMM-=Newton e Chandra, che sono sensibili a fotoni fino ad energie di 10
keV, forniscono una stupenda opportunità per questo tipo di studi, perché l’emissione non-termica delle
PWN può essere facilmente rivelata e studiata in questa banda, anche quando è immersa nel fondo dovuto
all’emissione nei raggi X soffici della shell compagna, come è spesso il caso. Tra l’altro, lo studio di
quest’ultima è anch’esso di notevole interesse, perché permette di stabilire dei forti vincoli sull’età del
RSN (e quindi della pulsar) e sulla densità del mezzo in cui si espande la PWN.
Per questo motivo, l’Osservatorio Astronomico di Palermo ha avviato un ramo di ricerca riguardante i
RSN di tipo plerionico con le loro PWN ed il loro ambiente di evoluzione.
Inizialmente, ci siamo occupati di 3C58, un bell’esempio di plerione, probabilmente associato alla
supernova dell’anno 1181 d.C., che è stato sempre molto studiato perché da un canto, mostra delle caratteristiche molti simili alla Crab, mentre dall’altro sembra molto diverso (per esempio, break nello spettro
a frequenze più basse, fX /fr 100 volte inferiore, ecc.).
3C58 è stata osservata da XMM-Newton come parte del programma di calibrazione degli strumenti per
INAF – OAPA: Rapporto 2002
52
MOS 0.1-1.0 keV
MOS 1.0-2.0 keV
MOS 2.0-10.0 keV
52m48s
52m48s
52m48s
50m24s
50m24s
50m24s
64d48m00s
64d48m00s
64d48m00s
2h06m24s
46s
07s
2h06m24s
46s
07s
2h06m24s
46s
07s
Figura 41: Immagine MOS1+2 binnata in pixel da 2 e smussata usando una gaussiana con σ = 3 pixel per
evidenziare la morfologia delle parti più deboli della nebulosa. Pannello a sinistra: banda soffice (0.1–1.0
keV). Pannello centrale: banda media (1.0–2.0 keV). Pannello a destra: banda dura (2.0–10.0 keV). Sono
visibile anche i livelli di contorno che rappresentano il minimo segnale radio (3σ = 0.15 Jy beam−1 )
rivelato da Reynolds & Aller (1988) e quello 4 volte superiore (in bianco); e sei livelli di contorno X in
giallo, da 1/100 del picco fino al valore di picco, spaziati logaritmicamente.
25 ks nel Marzo del 2000. La Fig. 41 riporta l’immagine sommata MOS1+2 in tre diverse bande spettrale,
cioè 0.1-1 keV, 1–2 keV e 2–10 keV, insieme al il contorno dell’emissione radio 1446 MHz a 0.15 e 0.6
Jy beam−1 di Reynolds & Aller (1988, in bianco) ed ai livelli di contorno dell’emissione X (in giallo). È
chiaro che c’è una corrispondenza molto marcata fra i contorni radio e quelli nella banda X dell’immagine
nella banda più soffice. Questa correlazione è del tutto inattesa, in quanto ci si aspetta che gli elettroni
responsabili dell’emissione di sincrotrone nella banda X abbiano una vita media molto più corta di quelli
che emettono in radio, risultando di norma in una dimensione X molto più piccola di quella radio. In questo
caso invece, i dati suggeriscono un confinamento della PWN entro limiti ben precisi.
2.8
2.6
0.45
0.40
0.35
0.30
0.0 0.5 1.0 1.5 2.0
Distance from center (pc)
gamma
NH (1022 cm-2)
0.50
2.4
2.2
2.0
1.8
0.0 0.5 1.0 1.5 2.0
Distance from center (pc)
Figura 42: Analisi spettrale spazialmente risolta della pulsar wind nebula del resto di supernova 3C58,
ricavati dalle regioni anulari e dalla regione “edge definite nel testo. I risultati MOS sono in nero, PN in
rosso; le barre a puntini sono i fit effettuati lasciando il valore NH libero, quelle continue sono i fit con
NH fisso a 4 × 1021 cm−2 . Le regioni sono centrate a 2h 05m 38.0s +64d 49m 37s (J2000). Un fit lineare ai
punti MOS corrispondenti all’NH fisso è mostrato nel pannello inferiore.
Per quanto riguarda l’analisi spettrale, abbiamo deciso di sfruttare appieno la risoluzione spaziale e
Ricerca Astronomica
53
1.00
1.000
0.10
fbbody/ftot
fmekal/ftot
0.100
0.010
0.01
0 20 40 60 80 100120140
Offaxis angle (arcsec)
0.001
0 20 40 60 80 100120140
Offaxis angle (arcsec)
Figura 43: Rapporto tra il flusso X nella banda 0.5–2.0 keV della componente termica (MEKAL nel pannello
superiore e bbody in quello inferiore) ed il flusso totale nella stessa banda, in funzione della distanza da
centro. Le frecce indicano limiti superiori.
l’alta sensibilità degli strumenti di XMM-Newton effettuando per la prima volta in letteratura la suddivisione dell’estensione di 3C58 in 8 anelli concentrici con ∆r = 8, centrati sul picco dell’emissione, ed
abbiamo estratto e studiato indipendentemente gli spettri da queste regioni. Inoltre, abbiamo anche definito una ulteriore regione che comprende tutto l’estensione di 3C58 dall’ultimo anello fino alle più deboli
propaggini del bordo ellittico (“edge). La Fig. 42 mostra il valore di best-fit dell’assorbimento interstellare e dell’indice della legge di potenza che descrive lo spettro osservato in funzione della distanza dal
centro della PWN. Sono riportati anche i casi relativi ai fit con NH fisso. Si noti l’aumento della pendenza con la distanza, un effetto previsto teoricamente e dovuto al diminuire della vita media degli elettroni
con l’aumentare della loro energia. La misurazione di questo effetto in altre PWN permetterà di rivelare
chiaramente delle differenze o similitudini nei processi di trasporto degli elettroni e del campo magnetico
dal punto di iniezione (termination shock) e le propaggini della PWN in vari oggetti.
Per rivelare la presenza di qualsiasi emissione aggiuntiva dall’oggetto centrale che alimenta 3C58,
oppure da un’ipotetica shell che la circonda, abbiamo ripetuto tutti i fit aggiungendo allo spettro a legge
di potenza una componente termica, ora del tipo plasma otticamente sottile (MEKAL), ora del tipo blackbody (bbody). In Fig. 43 sono riportati i risultati. I fit pl+bbody pongono un limite superiore di LX =
2 erg s−1 (dove D
1.8 × 1032 D3.2
3.2 è la distanza in unita di 3.2 pc) alla componente termica dell’oggetto
centrale. La Fig. 44 mostra che questo limite superiore, seguendo il modello “outer-gaps di emissione
termica da superficie di stelle di neutroni di Yancopoulos et al. (1994) Cheng et al. (1986), si traduce in
un valore irragionevolmente alto del campo magnetico, se la pulsar è associata alla SN1181. I dati dunque
suggeriscono che, o il modello non è valido, oppure la pulsar è più vecchia, oppure non ha rallentato il suo
periodo in modo apprezzabile dal 1181 fino ad ora.
Considerando ora il risultato relativo alla regione “edge di 3C58, la Fig. 43 ci mostra che c’è una
chiara rivelazione di una componente di plasma otticamente sottile con kT = 0.3 keV. Se interpretata con
5/2
il classico modello di Sedov, tale componente risulterebbe essere originata da 0.1D3.2 M di plasma, una
quantità oltremodo piccola per una shell di Sedov. Inoltre, si deriverebbe una energia iniziale di esplosione
anch’essa di molto inferiore alla norma. Viste tutte queste difficoltà nell’interpretazione di Sedov, abbiamo
proposto una interpretazione innovativa di tale componente in termini di espansione della PWN dentro gli
ejecta, i quali sono a loro volta in espansione (modello “inomogeneo di Reynolds & Chevalier (1984). In
54
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 44: Regioni permesse nel piano B − P secondo il modello classico di pulsar in linee continue (e.g.
Manchester & Taylor 1977), e secondo il modello “outer gap di Cheng et al. (1986) ed il nostro limite
superiore della luminosità X (linea tratteggiata).. Sono riportati casi classici di una pulsar di 800 anni e di
8000 anni. L’intersezione fra i modelli classici ed il nostro upper-limit definisce le regioni permesse (tratto
più marcato delle linee continue). Se 3C58 fosse il resto della SN1181, si otterrebbe un campo magnetico
più alto di quello più alto mai misurato sino ad ora nelle pulsar (linea orizzontale). Una pulsar più vecchia
e/o un basso rate di perdita di energia rotazionale darebbero valori di B più ragionevoli.
questo caso la bassa velocità da noi misurata in X (∼ 450 km s−1 ) è il risultato della differenza fra la
velocità degli ejecta e quella di espansione della PWN, in pieno accordo con il modello. Si noti che questa
è la prima rivelazione nei raggi X dell’interazione fra una PWN ed il suo ambiente circostante, e la seconda
in assoluto, essendo stata rivelata per la priva volta in ottico nella Crab da Sankrit & Hester (1997).
5.3 Interazione fra shock e mezzo interstellare in RSN evoluti: il caso di Vela
Nell’ambito della partecipazione dell’Osservatorio Astronomico di Palermo al consorzio di istituti che ha
curato lo sviluppo e la calibrazione dello strumento EPIC a bordo di XMM-Newton, sono stati allocati
dietro nostra richiesta circa 30 ksec di tempo di osservazione per lo studio dell’interazione fra shock e
mezzo interstellare nel resto di supernova della Vela. Nonostante una pesante contaminazione da parte di
alti livelli di emissione spuria dovuti a lampi di protoni focalizzati sul rivelatore EPIC, questi dati sono
di notevole qualità e si è deciso di usarli per il lavoro di tesi di uno studente di Fisica, M. Miceli. La
problematica scientifica si collega con la ricerca di punta nel settore dei resti supernova, anche perchè
negli ultimi due anni, la disponibilità di XMM-Newton e Chandra, che ben coniugano nel loro complesso
ottima risoluzione spaziale e spettrale, insieme ad una notevole sensibilità alle sorgenti estese, hanno dato
nuovo slancio a questo tipo di studi.
La regione selezionata per l’osservazione è una piccola parte della shell del RSN della Vela, già studiata
nella banda X con il rivelatore PSPC a bordo di ROSAT negli anni passati (regione FilD, Bocchino et al.
1997, 1999, 2000). Questa regione mostra tutte le caratteristiche più tipiche delle regioni di interazioni
fra shock e mezzo interstellare, come “knot di emissione molto più brillanti del resto, filamenti allungati,
regioni estese a bassa luminosità superficiale. Sebbene il meccanismo che produce tale emissione X è in
linea generale noto (e riguarda la generale compressione e riscaldamento del plasma da parte dello shock
Ricerca Astronomica
55
fino a temperature di milioni di gradi), non sono ben noti i dettagli di come questo avviene, per cui è
in generale difficile modellare accuratamente un emissione X cosı̀ variegata come quella che si osserva
nella regione FilD. Inoltre non è chiara l’evoluzione delle disomogeneità del mezzo interstellare una volta
raggiunte dall’onda d’urto ed il loro grado di miscelamento con le fasi del mezzo meno dense.
-42:30:00
-42:30:00
Declination
25:00
Declination
25:00
35:00
35:00
-42:40:00
-42:40:00
45:00
45:00
-42:50:00
8:37:00
36:30
8:36:00
35:30
Right ascension
8:35:00
34:30
-42:50:00
8:37:00
36:30
8:36:00
35:30
Right ascension
8:35:00
34:30
Figura 45: A sinistra: immagine EPIC della region del FilD nella banda 0.3–0.5 keV. A destra: come a
sinistra, ma per la banda 0.5–1.0 keV
L’analisi dei dati XMM-Newton di questa regione è tutt’ora in corso ed i risultati preliminari sono stati
presentati al congresso “High Energy Studies pf Supernova Remnants and Neutron Stars, tenutosi dal 10 al
12 Ottobre a Houston (USA) nell’ambito del “34th COSPAR Scientifi Assembly e saranno pubblicati negli
atti del congressp su Adv. Sp. Res. (2003). Come primo passo ci siamo concentrati sull’analisi dell’emissione X di questa regione in poche bande selezionate (0.3-0.5 keV, 0.5-1.0 keV, 1.0-10 keV, 0.3-2.4 keV)
e della correlazione fra energia media dei fotoni rivelati in un dato pixel del rivelatore e tasso di conteggi
nello stesso pixel. In Figura 45 sono mostrate le immagini nella banda soffice e media, che mostrano una
sostanziale differenza nella morfologia delle strutture presenti. In particolare la struttura centrale molto luminosa nella banda soffice (il FilD propriamente detto) si riduce notevolmente nella banda media, mentre
la regione a Nord Est che era poco luminosa nella banda soffice diventa nella banda media la regione più
luminosa del cmpo di vista. Tali variazioni cosı̀ drammatiche rispecchiano senz’altro le disomogeneità del
mezzo interstellare; resta però da capire se si tratti un effetto di densità, di temperatura o di un semplice
effetto geometrico che spiega le differenze nelk count-rate come semplce variazione dell’estensione della
linea di vista del plasma emettente. Per far luce su questi punti si è proceduto a realizzare la mappa dell’energia media dei fotoni, la cui relazione con il count-rate è mostrata in Fig. 46. Questa figura mostra
che le varie regioni dell’immagine sono caratterizzate da diverse relazione fra l’energia media dei fotoni
(E) ed il countrate (r). In particolare, si possono identificare tre regioni diverse: 1) la regione del FilD,
in cui la curva E − r indica un plasma in equilibrio di pressione ed a verie temperature; 2) la regione a
Nord Est, che mostra una relazione E − r molto meno ripida e spostata nel grafico rispetto a quella del
FilD, suggerendo che la regione NE sia caratterizzata da un volume di plasma emittente più grande; 3) la
regione a Sud du FilD che mostra caratteristiche intermedie fra FilD e region a Nord Est.
Questo approccio, pur sfruttando contemporaneamente la risoluzione spaziale e spettrale dello strumento, nonchè la sua grande area efficace, è un approccio spettralmente integrato e dunque non consente di
ricavare informazioni più dettagliate riguardo lo stato termodinamico del plasma nella regione. Per questo
INAF – OAPA: Rapporto 2002
56
1000
T=107 K
800
V0
energia media (eV)
V0/2
600
T=106 K
400
200
Temperatura
crescente
0
0.0000
0.0002
Volume
crescente
errore massimo nei
conteggi al secondo
0.0004
0.0006
0.0008
conteggi al secondo
0.0010
0.0012
Figura 46: Andamento atteso dell’energia media in funzione del tasso di conteggi MOS nella banda 0.3−2
keV, in equilibrio di pressione. I 10 valori di temperatura in ogni curva sono equispaziati, in scala logaritmica, fra 106 K e 107 K. Le quattro curve, da sinistra verso destra, corrispondono a volumi crescenti del
plasma (V0 = 8 × 1054 cm3 ). Sono stati sovrapposti i valori di < E > ed r osservati in bin di 1000 . I colori
indicano le tre regioni individuate nel testo.
motivo, è nostra intenzione continuare l’analisi dei dati effettuanto un insieme completo di fit spettrali per
misurare direttamente la temperature, densità ed abbondanza chiomica del plasma.
Ricerca Astronomica
57
6 Survey in raggi X e struttura galattica
Negli ultimi decenni c’è stato un grande progresso nello studio delle popolazioni di stelle giovani, a cui
hanno contribuito in modo sostanziale le osservazioni in raggi X. Infatti, sin dalle prime osservazioni di
Einstein, si evidenziò che l’emissione X è strettamente legata all’età stellare (Stern et al. 1981, ApJ 249,
647; Caillault & Helfand 1985, ApJ 289, 279; Micela et al. 1985, ApJ 292, 172; Micela et al. 1988, ApJ
325, 798; Micela et al. 1990, ApJ 348, 557). Stelle molto giovani, in fase di pre sequenza (PMS) sono
facilmente identificabili nei raggi X, come mostrato originariamente da Walter et al. (198a,8 AJ 96, 297):
una grande quantità di stelle, giovani come le T Tauri classiche (CTTS), che non presentano l’estrema
attività cromosferica e i grandi eccessi infrarossi delle T Tauri classiche, possono essere identificate dalla
loro emissione X. Queste stelle, chiamate Weak T Tauri (WTTS) sono coeve con le classiche T Tauri.
Molte di esse sono state scoperte da ROSAT
Le osservazioni in raggi X e in EUV hanno anche identificato per la prima volta una popolazione
più vecchia delle T Tauri, ma ancora giovane (con età minore di 109 anni) di stelle di sequenza principale, attive, con fotosfere indistinguibili dalle stelle più vecchie e meno attive. Questa popolazione risulta
spazialmente concentrata vicino al Piano Galattico (Favata et al. 1988, ApJ 324, 1010; Micela et al. 1993,
ApJ 618, 412; Tagliaferri et al. 1994, A&A 285, 272; Jeffries 1995, MNRAS 273, 559; Sciortino et al.
1995, A&A 296, 370) ed è luminosa in raggi X grazie alla grande efficienza della dinamo in stelle giovani,
probabilmente causata dalla maggiore rotazione. Mentre si può prevedere che queste stelle esistano, la loro
identificazione da dati ottici è estremamente difficile.
In prima approssimazione ci si aspetta che la distribuzione spaziale delle stelle giovani, appena giunte
sulla sequenza principale, segua il Disco galattico, con una concentrazione sul Piano e una rapida caduta
della densità ad alte latitudini. Per piccole distanze dal Sole (poche centinaia di parsec) la distribuzione sarà
indipendente dalla longitudine, mentre a distanze maggiori la densità di queste stelle sarà maggiore verso
il Centro Galattico e minore verso l’anticentro. A distanze ancora maggiori, parte di questa popolazione,
dovrebbe seguire il pattern delle braccia a spirale.
Per studiare le proprietà delle popolazioni stellari giovani, il gruppo dell’Osservatorio Astronomico di
Palermo, insieme con ricercatori di ESA/ESTEC, ha sviluppato un modello di Galassia (XCOUNT, Favata
et al. 1992, A&A 256, 86) in grado di predire il numero di sorgenti stellari X a un certo flusso limite e
le loro proprietà (colore, magnitudine, fx /fv , etc.). Questo modello, costruito originariamente per essere
confrontato con i dati di Einstein e di ROSAT, ha consentito di ottenere dei risultati importanti fra cui
l’identificazione di un’eccesso di stelle dG e dK nelle osservazioni, rispetto alle predizioni (Sciortino et
al. 1995, A&A 296, 370). Osservazioni spettroscopiche di follow up hanno mostrato che si tratta di una
popolazione giovane, come confermato dallo studio delle loro abbondanze di Litio (Favata et al. 1993,
A&A 277, 428). La limitata dimensione del campione non permette comunque di ricavare la densità e
l’altezza di scala di questa popolazione.
Il confronto fra le predizioni e le osservazioni è basato sul confronto fra distribuzioni (colore, magnitudine, fx /fv ) o sulla forma dei log(N)-log(S). La mancanza delle distanze individuali delle controparti
delle sorgenti X, impedisce l’analisi diretta della loro distribuzione spaziale tridimensionale cosı̀ come
l’esatta determinazione del loro stato evoluzionario. Comunque l’analisi del sottocampione osservate da
Hipparcos ha permesso di determinare che la maggior parte di queste stelle si trovano molto vicino alla
sequenza principale di età zero (Micela et al. 1997, A&A 326, 221), ma la piccola dimensione del campione (84 stelle) e i possibili effetti di selezione presenti non permettono di inferire la distribuzione spaziale
della popolazione parente, nè la distribuzione alle masse più piccole.
I campioni di stelle giovani, selezionati per la loro attività, possono essere usati per determinare il
tasso di nascita stellare nell’intorno solare nell’ultimo miliardo di anni, come è stato fatto per esempio
da Soderblom et al. (1991, ApJ 375, 722), usando i dati cromosferici del Ca II. In raggi X questo è stato
58
INAF – OAPA: Rapporto 2002
fatto, confrontando il numero delle stelle rivelate in raggi X con le predizioni da modello (Micela et al.
1993, ApJ 618, 412, Guillout et al. 1996, A&A 316, 89). Gli ingredienti cruciali includono la distribuzione
spaziale delle stelle di diverse masse e possibilmente età, un modello di gas interstellare, necessario per
tenere conto dell’assorbimento interstellare dei raggi X soffici, e una funzione che descriva l’evoluzione
del tasso di nascita stellare, in particolare nell’ultimo miliardo di anni. Il risultato principale di quest’analisi
suggerisce che il tasso di nascita stellare nell’ultimo miliardo di anni è rimasto costante o è cresciuto entro
un fattore due (Micela et al. 1993, ApJ 618, 412).
L’attività del gruppo dell’Osservatorio di Palermo nel 2001 si è svolta in diverse aree complementari
fra di loro che si avvantaggiano dei nuovi dati ottenuti da Chandra e XMM/Newton, adesso disponibili,
e che permettono di affrontare il problema dello studio della struttura galattica nelle vicinanze del Sole
attraverso le osservazioni in raggi X. In particolare, abbiamo usato sia dati di archivio che dati proprietari
confrontandoli con le predizioni ottenute dal nostro modello XCOUNT allo scopo di determinare alcune
proprietà della distribuzione spaziale delle stelle nell’intorno solare e della storia della formazione stellare
negli ultimi miliardi di anni.
6.1 Analisi del contenuto stellare del “Chandra Deep Field North”
Il “Chandra Deep Field North” (CDFN) è la più lunga esposizione ottenuta con Chandra per un tempo
totale di esposizione di 2 Milioni di secondi e offre un’opportunità unica per verificare i modelli stellari
della nostra Galassia in raggi X a flussi molto deboli ad alte latitudini galattiche. L’analisi dell’immagine X
è stata fatta dal gruppo di Penn State University che è il proprietario dell’osservazione (Brandt et al. 2001,
AJ 122, 2810), mentre la identificazione con le controparti stellari e la loro caratterizzazione è il soggetto
di un lavoro molto dettagliato del gruppo stellare di Penn State University in stretta collaborazione con la
nostrà unità di ricerca che ha la responsabilità delle predizioni da modello, e sarà il soggetto di un articolo,
attualmente in preparazione, che sarà sottomesso ad Astrophysical Journal nei prossimi mesi (Feigelson et
al. in preparazione).
Attualmente il programma di identificazione è completo per il primo Msec di osservazione per V
≤ 22. In totale il campione ottenuto è costituito da 12 stelle: 8 dM, 2dK e 2dG. Il confronto di questi
numeri con le predizioni ottenute dal nostro modello dà, nonostante i piccoli numeri coinvolti, risultati
molto interessanti. In particolare, il numero delle stelle dM osservate (8) si accorda molto bene con il
numero predetto (7.42), mentre mancano stelle dF, dG, e dK che il nostro modello predice e che invece
non osserviamo (rispettivamente 2.3, 3.4, 6.7 stelle predette, da confrontare con 0, 2, 2, osservate). Questa
deficienza di stelle gialle è nella direzione opposta della discrepanza osservata nelle survey precedenti in
cui veniva osservato un eccesso di stelle gialle rispetto alle predizioni. Il motivo di questa differenza è da
ricercarsi nella elevata sensibilità di Chandra che fa sı̀ che il contenuto stellare della CDFN sia dominato
della popolazione di stelle vecchie, più deboli e con grande altezza di scala, mentre le survey precedenti
lavoravano a flussi intermedi ed erano dominati dalle popolazioni giovani. Infatti le stelle giovani, essendo
molto luminose, sono visibili a distanze molto grandi e, fino a quando si può assumere simmetria sferica,
dominano la popolazione stellare osservata in raggi X. Nelle osservazioni molto profonde ad alta latitudine
galattica, si raggiunge rapidamente una distanza confrontabile o maggiore dell’altezza di scala delle stelle
giovani, per cui a un flusso relativamente alto, queste sono rivelate completamente, e anche se il flusso
limite diminuisce sempre di più non ne possiamo aggiungere altre, mentre continuiamo a rivelare stelle
vecchie che a questi flussi dominano la popolazione stellare rivelata in raggi X.
La discrepanza fra osservazioni e modelli presente nel CDFN riguarda quindi le stelle vecchie e la
ragione può essere legata a una storia della formazione stellare non uniforme, o a errori nelle assunzioni
fatte sulla distribuzione spaziale o sulla dipendenza della luminosità X dall’età. La determinazione della
causa di questa differenza fra osservazioni e predizioni permetterà di determinare queste cause.
Ricerca Astronomica
6
4
0
2
Expected Detections
8
10
59
dA Stars
dF Stars
dG Stars
dK Stars
dM stars
Figura 47: Distribuzione spettrale attesa nel Chandra Deep Field North. I segmenti orizzontali
corrispondano alle stelle realmente osservate
6.2
Contenuto stellare nel survey HELLAS2XMM
Contemporaneamente abbiamo avviato lo studio delle proprietà della popolazione stellare attesa sulla base
dei modelli galattici, che ci si aspetta sia rivelata con l’HELLAS2XMM survey. Si tratta di una survey ottenuta da dati di archivio di XMM su campi in un ampio intervallo di latitudine galattica, fra 27 e 90 gradi.
Rispetto al CDFN questa survey è meno profonda, ma ha il vantaggio di coprire una zona di cielo maggiore e di permettere lo studio delle altezze di scala delle popolazioni stellari proprio grazie all’intervallo
di latitudine esplorato. L’analisi delle immagini X di 12 campi (Fiore et al. 2003, in press, proceeding del
meeting “X-ray surveys in the light of the new observatories” Sept. 2002, Baldi et al. 2002, ApJ 564, 190)
è stata completata, mentre l’identificazione delle sorgenti rivelate è ancora in una fase preliminare. In particolare, data la natura stellare del nostro studio ci stiamo concentrando sui risultati dell’analisi nella banda
più soffice fra 0.5 e 2 keV, e stiamo lavorando alla prima fase del processo di identificazione, utilizzando
cataloghi pubblicati e per un sottoinsieme dei campi anche di alcune immagini nella banda R ottenute al
TNG (Telescopio Nazionale Galileo) nel corso dello studio della componente estragalattica della survey. Il
processo di identificazione delle sorgenti XMM risulta più complesso e incerto rispetto al caso di Chandra
perchè la risoluzione spaziale dello strumento è significativamente peggiore.
Le predizioni del nostro modello prevedono che circa il 10-25% delle stelle rivelate in raggi X siano
più giovani di 109 anni, dove la percentuale più piccola si riferisce ai campi a più alta latitudine galattica.
Risultati preliminari di un campo indicano che anche nel caso dei campi della HELLAS2XMM survey,
il numero delle stelle rivelate è minore di quello atteso (circa 40%). Sarà necessario completare le osservazioni ottiche e l’intero processo di identificazione per verificare se la discrepanza osservata è concentrata
nelle stelle gialle come nel CDFN, o se è presente in stelle di tutte le masse.
Possibili spiegazioni di queste discrepanze che sembrano presenti sia nel CDFN che nell’HELLAS2XMM
survey includono 1) la possibilità che la distribuzione spaziale delle stelle inclusa in XCOUNT sia sbagli-
60
INAF – OAPA: Rapporto 2002
ata e in particolare la densità stellare diminuisca con la distanza dal Piano Galattico più rapidamente di
quanto assunto nel modello galattico. In questo caso l’analisi completa dell’HELLAS2XMM survey sarà
di grande aiuto perchè permetterà di studiare la discrepanza osservata in funzione della latitudine galattica,
funzione che dipende dalle altezze di scala delle varie popolazioni stellari. Un’altra possibilità è che la
densità stellare nel Piano galattico sia sovrastimata. Quest’ultima ipotesi sembra esclusa dall’analisi del
ROSAT Pointed Galactic Plane Survey (Morley, J.E., et al.: 2001, MNRAS 326, 116), che però era dominato da stelle giovani. Un’ultima possibilità è che le funzioni di luminosità in raggi X delle stelle G e K
siano sbagliate e sovrastimino i contributi delle stelle ad alta luminosità, che dominano i conteggi stellari in
raggi X. In particolare bisogna ricordare che le funzioni di luminosità X delle stelle vecchie sono derivate
dalle stelle di campo di popolazione vecchia nell’intorno solare, la cui età è determinata solo dalla cinematica. Poichè la cinematica può essere utilizzata solo come indicatore statistico di età, il campione può
essere contaminato da stelle giovani, che essendo più luminose in raggi X, possono determinare proprio le
code ad alta luminosità delle funzioni di luminosità X. Osservazioni profonde in raggi X di ammassi aperti
vecchi, o di stelle di campo vecchie con una determinazione accurata dell’età dovrebbero contribuire a
chiarire questo aspetto.
Il lavoro sulla survey Hellas2XMM è svolto in collaborazione con ricercatori e con un dottorando
dell’Osservatorio Astronomico di Roma.
I risultati e il lavoro descritto nel punto 1) e 2) sono stati presentati al meeting “X-ray surveys in the
light of the new observatories” tenuto a Santander (Spagna) 4-6 Settembre 2002.
6.3 Survey del Piano Galattico con XMM
Contemporaneamente all’attività descritta sopra abbiamo avviato l’analisi dei campi osservati in raggi
X dedicati alla survey moderatamente profonda del Piano galattico ottenuta con XMM (PI: A. Parmar) Si
tratta di 10 campi a longitudine 311 gradi e latitudine galattica compresa fra 0 e +3 gradi. Lo scopo è quello
di studiare la densità delle sorgenti stellari sul piano senza dovere tenere conto degli effetti dell’altezza di
scala. Il risultato sarà fondamentale per interpretare i risultati che otterremo a più alte latitudini galattiche
che dipendono sia dalla densità delle stelle sul Piano che dalle altezze di scala. Inoltre i risultati saranno
potenzialmente diversi da quelli ottenuti dalla survey sul piano galattico di Rosat di Morley et al. (2001)
perchè le regioni esplorate dalla survey sono molto diverse, lontano dalle braccia a spirale la survey di
Rosat e vicino a un braccio quella di XMM. Il confronto delle due survey darà quindi anche una misura
delle fluttuazioni spaziali della densità delle sorgenti in raggi X presenti nel Piano.
L’analisi è ancora a uno stadio preliminare, abbiamo ottenuto le liste di sorgenti e il prossimo passo
sarà la determinazione dei log(N)-log(S), per poi passare al processo di identificazione delle sorgenti che
nel Piano Galattico, data l’alta densità delle possibili controparti, è molto complesso.
Questo lavoro è svolto in collaborazione con ricercatori di ESA/Estec
Ricerca Astronomica
61
7 Astrofisica Extragalattica
È noto, sin dalle osservazioni del telescopio X Einstein, che le galassie normali sono, in gran parte, sorgenti
X estese che emettono con una luminosità X fra 1038 e 1042 erg/sec; inoltre le proprietà X di ogni galassia
dipendono dalla sua classe morfologica e nelle galassie a spirale (late type) i meccanismi di emissione
dei raggi X sono differenti che nelle galassie ellittiche (early type). Utilizzando le informazioni spettrali
degli strumenti di Einstein e confrontando l’emissione delle galassie in diverse bande (X, ottica, infrarossa
ecc.) con quella di diverse classi di sorgenti galattiche quali resti di supernove, sorgenti stellari, nubi di
formazione stellare, nubi di gas interstellare caldo ecc., fu chiaro (Fabbiano, 1989, Ann. Rev. Astron. Astroph., 27, 87) che nelle galassie late type una frazione considerevole dell’emissione X origina da sorgenti
brillanti: sistemi binari in accrescimento, resti di supernovae e, talvolta, il nucleo. Nelle galassie early type
la radiazione origina soprattutto da gas interstellare a decine di milioni di gradi. Le successive missioni per
astronomia X (ROSAT, BeppoSAX, ASCA, e le più recenti Chandra e XMM-Newton) hanno sostanzialmente confermato questo quadro, aggiungendo importanti informazioni sia sulla distribuzione spaziale
delle sorgenti X nelle galassie che sul loro spettro e, quindi, sulla fisica dell’emissione.
L’attività di ricerca svolta presso l’OAPa comprende sia lo studio dettagliato di singole galassie (non attive
o a basso livello di attivitá) sia lo studio delle proprietà globali dell’emissione X di campioni estesi di
galassie.
7.1 Popolazione di galassie late-type: M81 e M33
La galassia a spirale M81 è stata studiata sulla base delle osservazioni di ROSAT. Oggetto principale della
ricerca è il nucleo di M81, una sorgente che combina le caratteristiche di un LINER a quelle di una Seyfert
a bassa luminosità. L’emissione di queste ultime viene in genere spiegata con modelli di accrescimento di
tipo ADAF. Tali modelli assumono la presenza di un buco nero centrale supermassivo circondato da un
disco di accrescimento, il cui raggio interno è tanto più vicino all’oggetto centrale quanto più alto è il tasso
di accrescimento. In presenza di tassi molto bassi, l’accrescimento assume una gometria sferica, a bassa
efficienza radiativa. Per questa ragione questi oggetti sono molto meno luminosi delle Seyfert “classiche”.
Inoltre, la morfologia di questi sistemi implica variabilità su tempi caratteristici piuttosto lunghi. ROSAT
ha osservato M81 con il PSPC e con l’HRI piu’ di venti volte nel corso dei suoi otto anni di attività (La
Parola et al. 2001a). Questo ha permesso di costruire una curva di luce a lungo termine, che ha evidenziato fenomeni di variabilità piuttosto insoliti per questo genere di sorgenti (Figura 48). In particolare si è
osservato che il flusso può subire variazioni fino ad un fattore due nell’arco pochi giorni e del 30% circa
nell’arco di poche ore. Questo comportamento non è stato fino ad ora osservato in altre sorgenti di questo
tipo, ma può essere spiegato ipotizzando perturbazioni di densità nel flusso di materia che accresce sull’oggetto compatto. Nel caso delle variazioni più rapide i tempi osservati implicano che la perturbazione
sia avvenuta a distanze minori di 103 raggi di Schwartschild. La variabilità a lungo termine, se dovuta ad
una variazione nel regime di accrescimento, suggerisce un incremento di un fattore 2 del rate di accrescimento. Un altro risultato riguarda lo spettro in energia nella banda di ROSAT/PSPC (tra 0.2 e 2.4 keV).
Risulta evidente, dai dati di ROSAT, la presenza, nello spettro, di una significativa componente soffice, ad
una temperatura compresa tra 0.2 e 0.6 keV circa. Tale componente può essere descritta con modelli spettrali termici (Raymond-Smith oppure disco di accrescimento). Un modello alternativo che descrive bene i
residui dello spettro rispetto ad un fit con una legge di potenza possono è un bordo di assorbimento a 0.3
keV. Un comportamento simile si osserva anche negli spettri di SAX/LECS e chandra/ACIS, dove però
il bordo appare ad energie piú basse. Se questo modello fosse corretto, l’assorbimento sarebbe dovuto ad
una o più nubi in movimento a velocità relativistiche davanti alla sorgente centrale.
M33 è una galassia Sc vicina (795 kpc) il cui nucleo è la sorgente X più brillante del Gruppo Locale,
62
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 48: Curva di luce a lungo termine (1991-2000) del nucleo di M81. Ogni punto corrisponde ad
una singola osservazione. I numeri accanto ai punti di ROSAT ne evidenziano la sequenza temporale. La
luminosità è calcolata assumendo una distanza di 3.6 Mpc (tratta da La Parola et al., in preparazione).
con LX ∼ 1039 erg/sec. La natura di questa sorgente (denominata M33-X8 in Trinchieri et al. 1991)
é stata oggetto di dibattito: la coincidenza con il centro ottico della galassia ha inizialmente suggerito
che si potesse trattare di un AGN a bassa luminosità, ma l’assenza di attività in altre bande di energia
e il limite superiore di sole 1500M per la massa dell’oggetto centrale hanno reso poco convincente
questa interpretazione. Studi recenti da dati di ASCA e BeppoSAX (Takano et al. 1994, Parmar et al.
2001) mostrano uno spettro in energia simile a quelli dei candidati buchi neri Galattici e delle sorgenti X
ultraluminose e favoriscono dunque l’ipotesi di un buco nero di massa stellare o intermedia.
La Parola et al. (2003) hanno studiato questa sorgente utilizzando un’osservazione di Chandra/ACIS in
cui essa appare ∼ 120 fuori asse. La forte degradazione dell’immagine dovuta alla distanza dall’asse focale
si é rivelata un vantaggio in termini di studio spettrale e temporale, in quanto i dati ottenuti non risentono
del problema del pile-up. Questo lavoro ha evidenziato la forte variabilità di M33-X8. Tale variabilità è
evidente non solo nella curva di luce (Figura 49), in cui osserviamo una variazione molto significativa
del 10% circa su tempi scala di ∼ 5000 sec, ma anche nello spettro, in cui possiamo mettere in evidenza
tre fasi distinte , selezionate secondo il valore dell’hardness ratio HR (Figura 49, Pannello E): abbiamo
definito stato “HR-low” quello in cui HR< -0.22, stato “HR-medium” quello in cui -0.22<HR<-0.18
e stato “HR-high” quello in cui HR>-0.18. L’analisi spettrale dei dati in queste tre fasi (Figura 50) ha
mostrato che il contributo relativo delle componenti di legge di potenza e di disco (modellato con un
corpo nero multitemperatura) è significativamente variabile. Questo comportamento avvicina M33-X8 ai
candidati buchi neri Galattici, in cui si osserva un alternanza tra uno stato “alto”, dominato dal disco di
accrescimento caldo, e un stato “basso” dominato invece da una legge di potenza. Dalla componente di
disco possiamo inoltre derivare una stima della massa dell’oggetto centrale, il cui limite inferiore risulta
∼ 5M . In conclusione, la elevata luminosità X di M33-X8 non sarebbe dovuta a fenomeni di attività
del nucleo galattico, né a buchi neri di massa intermedia, ma piuttosto ad un buco nero, probabilmente di
origine stellare, la cui fenomenologia è simile a quella della piú studiata LMC X-3.
Emissione X in galassie normali: un catalogo dall’archivio di ROSAT Nel campo dell’astrofisica extragalattica, gli studi statistici costituiscono uno strumento fondamentale di conoscenza, soprattutto per lo
studio degli oggetti piu’ lontani. Risulta quindi evidente l’importanza di poter disporre di un’ampia base
di dati, che siano il più possibile completi e omogenei, e che: 1. permettano di costruire ampi campioni
Ricerca Astronomica
63
Figura 49: Curva di luce di M33-X8. Il tempo è misurato in secondi dall’inizio dell’osservazione. Ogni
bin è lungo 2250 sec. Pannello A: curva di luce nella banda 0.2-8.0 keV; Pannello B: banda 0.2-1.0 keV;
Pannello C: banda 1.0-4.5 keV; Pannello D: banda 4.5-8.0 keV; Pannello E: hardness ratio calcolato nelle
bande 1.5-8.0 keV e 0.2-1.5 keV (tratta da La Parola et al., 2003)
statistici, 2. servano da base per successive, più dettagliate osservazioni.
L’archivio di ROSAT, che raccoglie tutte le osservazioni effettuate dal satellite tra il 1990 e il 1999, per
un totale di più di 4000 puntamenti, è l’oggetto ideale per costruire questa base di dati. La maggior parte
delle osservazioni puntate è stata processata attraverso il sistema di analisi automatico Galpipe, sviluppato da una collaborazione tra l’Osservatorio Astronomico di Palermo e l’Harvard Smithsonian Center for
Astrophysics. I risultati di questa operazione verranno organizzati in un catalogo, i cui prodotti principali
saranno: catalogo delle sorgenti puntiformi ed estese rivelate dal PSPC, count rate, colori e informazioni
spettrali di base per ogni sorgente, identificazione di possibili controparti. Il nostro progetto di ricerca
prevede inoltre l’identificazione, sulla base di cataloghi ottici, degli oggetti X associati a galassie, con
le loro caratteristiche spettrali e, dove appropriato, temporali. Il catalogo verrà completato da immagini
a tutta banda e in colori X. Durante la stesura del catalogo verranno inoltre selezionati dei piccoli campioni significativi che saranno oggetto di analisi scientifica. Un primo campione (galassie ellittiche con
estensione angolare maggiore di 4’) è stato già selezionato e i dati ad esso relativi verranno analizzati nei
prossimi mesi. A conclusione del lavoro, è prevista infine la pubblicazione on-line del catalogo.
64
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 50: Dati e modello di best fit per ciascuna delle tre fasi spettrali. I dati sono deconvoluti per la
risposta dello strumento. Leggenda: PL=Legge di Potenza; MCD=Disco con emissione di corpo nero
multi temperatura; RS=Spettro di Raymond-Smith; G= Componente Gaussiana (tratta da La Parola et al.,
2003)
65
Parte II
Ricerca Tecnologica e Sviluppo di Strumentazione
Le attività tecnologiche qui di seguito descritte trovano il loro naturale fondamento negli interessi scientifici dei ricercatori dell’Osservatorio in alcuni specifici campi di indagine astronomica, come quello delle
osservazione nei raggi X, sia ad immagine che spettroscopiche, e quello della spettroscopia ottica ad elevata risoluzione. Al settore delle attività tecnologiche dell’Osservatorio è stato dato e si continua a dare
un forte impulso, nella convinzione che il coinvolgimento nella progettazione e realizzazione di strumentazione innovativa ci consente di partecipare in prima linea allo sviluppo dell’astronomia e rende possibile
l’ottimizzazione delle caratteristiche di tale strumentazione in relazione ai progetti scientifici che si intende
perseguire. D’altra parte, la nostra partecipazione ad attività di sviluppo tecnologico costituisce – in special
modo all’interno della realtà siciliana – un importante momento di aggregazione di competenze ad elevato
contenuto tecnico; queste ultime costituiscono un punto di riferimento per la formazione di personale altamente specializzato in tecnologie di punta (ottiche, meccaniche, elettroniche, informatiche, etc.) ed una
valida occasione di interazione con la piccola e media industria, per lo sviluppo di programmi di comune
interesse. Tale convinzione è in linea con gli indirizzi della politica scientifica nazionale, e dell’INAF in
particolare, e verrà perseguita in un’ottica di collaborazione con altre strutture e laboratori, sia dentro che
fuori l’INAF, attivi da tempo nei vari settori tecnologici di interesse.
8 Laboratorio per Astronomia X
Una delle attività di punta in campo strumentale dell’OAPA è costituita dalla X-ray Astronomy Calibration
and Testing (XACT) facility, un laboratorio mirato allo sviluppo e calibrazione di strumentazione per
astronomia X/UV. La XACT facility è operativa dalla prima metà del 1993 e diversi ampliamenti sono
stati apportati nel corso degli anni. Una parte sostanziale delle attrezzature (circa il 70%) è stata finanziata
dalla Regione Siciliana per circa 600.000 Euro. L’ASI ha finanziato l’acquisto dei sistemi di elaborazione
di immagini, le attrezzature per i test e le calibrazioni dei filtri necessari specificatamente per il programma
Chandra-HRC, il sistema di stoccaggio dei filtri di back-up della camera EPIC di XMM-Newton, e la
realizzazione del sistema di controllo del vuoto. La sezione di criogenia e’ stata realizzata con fondi della
Regione Siciliana, dell’ASI e con un cofinanziamento del MIUR. In risposta ad un bando pubblico del
MIUR N. 68 del 23.01.2002 l’OAPA ha presentato un progetto per il potenziamento delle attrezzature della
XACT facility nell’ambito del Programma Operativo Nazionale 2000-2006 Ricerca Scientifica, Sviluppo
Tecnologico ed Alta Formazione, Asse II, Misura II.1 - azione a Interventi mirati al potenziamento della
dotazione di attrezzature scientifico tecnologiche. Tale progetto che prevede investimenti per 768.000 Euro
(di cui 140.000 da parte dell’OAPA) e’ stato approvato dal MIUR con Decreto Direttoriale dell’11 Ottobre
2002, e pertanto verra’ realizzato e completato entro il 2005.
La XACT facility é stata ampiamente utilizzata nello sviluppo e calibrazione degli strumenti HRC di
Chandra, ed EPIC di XMM-Newton, entrambi operativi nello spazio dalla fine del 1999, e continua ad essere utilizzata per la calibrazione ed il monitoraggio di componenti di back-up di questi due strumenti. La
facility viene, inoltre, utilizzata nello sviluppo e calibrazione di strumentazione per altre missioni attualmente in fase di realizzazione quali lo X-Ray Telescope (XRT: PI L. Golub dello Smithsonian Astrophysical Observatory, proposta selezionata dalla NASA come mission of opportunity nel bando A098-OSS-05)
del satellite giapponese SOLAR-B, o in fase di studio quali il Soft X-ray Telescope (SXT: PI D. Burrows, della Penn State University), proposta sottomessa come mission of opportunity in risposta al bando
NASA SMEX AO-03-OSS-02 a bordo del satellite indiano ASTROSAT, il Balloon-borne MIcrocalorimeter Nuclear Line Explorer (B-MINE: PI E. Silver dello Smithsonian Astrophysical Observatory, progetto
66
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 51: Fotografia della beam-line X, che include la sorgente X (destra), il tubo a vuoto, e la sezione di test
(sinistra). Si notino le svariate aperture poste in ciascuna sezione del tubo a vuoto.
selezionato per uno studio di fattibilità su fondi del SAO), ed in altri programmi non strettamente legati
ad una specifica missione, ad esempio: lo studio di microrivelatori criogenici per raggi X, lo studio di
telescopi X a incidenza radente di nuova concezione, lo studio delle proprietà ottiche di filtri. Nel seguito
viene descritta l’attuale configurazione strumentale ed i principali progetti in corso.
8.1 Descrizione della XACT facility
La camera a vuoto, mostrata in Figura 51, è stata realizzata dalla CINEL di Padova. Essa include un tubo
di 16 metri di lunghezza alle cui estremità sono poste la sorgente di raggi X (tipo microfocus multianodo)
ed una sezione di test. Il tubo consiste di 11 pezzi di 1 o 2 metri di lunghezza a sezione circolare, il
cui diametro varia seguendo la divergenza del fascio di raggi X da un minimo di 150 mm, dal lato della
sorgente X, a un massimo di 630 mm, all’estremità della sezione di test. Il lungo tubo che connette le due
teste serve a collimare il fascio e rendere puntiforme la sorgente ai fini degli esperimenti.
Il sistema di pompaggio è interamente basato su pompe criogeniche, turbomolecolari e rotative a secco
che garantiscono un vuoto molto pulito e privo di contaminazioni di carbonio. Tutte le apparecchiature per
la gestione del vuoto (es: pompe, valvole, misuratori di pressione e temperatura, etc.) vengono controllate
remotamente da uno dei computer della LAN del laboratorio. Il software di controllo sviluppato per questa
specifica applicazione, è dotato di una intuitiva interfaccia grafica, esegue una serie di controlli di sicurezza
su ciascuna delle azioni richieste dall’operatore ed inoltre esegue continuamente delle verifiche su alcuni
parametri critici del sistema, evidenziando la presenza di eventuali anomalie. Figura 52 mostra una delle
interfacce grafiche del software di controllo.
La camera di test (figura 53) è un cilindro in acciaio di 1 metro di diametro per 1 metro di lunghezza
con diverse porte per ispezioni, strumentazione e flangie passa cavi. Il portellone principale del diametro
di un metro si apre all’interno di una camera pulita classe 1000 (figura 53).
Per la movimentazione di filtri, rivelatori, fenditure o pin-holes, è disponibile, all’interno della camera di test, un sistema di micromovimentazione da vuoto controllato da computer composto da due stadi
lineari con una corsa di 8 pollici ciascuno, uno stadio X-Y con una corsa di 6 pollici su ciascun asse e un
tavolo girevole con corsa di 360 gradi su cui è montato il piano di lavoro con la strumentazione di misura.
Ruotando il piano di lavoro posto all’interno della camera di test attorno all’asse verticale è possibile ori-
Tecnologia e Strumentazione
67
Figura 52: Una delle interfacce grafiche del software di controllo del sistema da vuoto della XACT facility.
entare l’intero apparato di misura verso la sorgente di raggi X (tubo a vuoto principale), o alternativamente
verso la beam-line UV/visibile montata su una porta laterale della camera di test (Figura 54).
La beam-line UV/Visibile consiste di un monocromatore con reticolo a incidenza radente che copre il
range 10-3000 Å, e un monocromatore ad incidenza normale che copre il range 2700-7500 Å. Una sorgente
di raggi X a impatto di elettroni a singolo anodo, una sorgente UV di tipo Penning a gas intercambiabili e
una sorgente UV del tipo a catodo cavo a gas intercambiabili, in grado di fornire intense righe di emissione,
possono essere utilizzate alternativamente. Sono anche disponibili Diverse lampade visibili.
Per la rivelazione dei raggi X sono disponibili due contatori proporzionali a circolazione di gas di
tipo commerciale, con una risoluzione energetica di ∼ 34% a 1.5 keV, un contatore proporzionale a gas
scintillante, sviluppato presso il nostro laboratorio, con una risoluzione energetica di ∼ 20% a 1.5 keV, e
un rivelatore a piastre di microcanali di 40 mm di diametro con una risoluzione spaziale di ∼ 100 µm.
É inoltre disponibile un monocromatore di raggi X a reticolo di trasmissione (1000 linee/mm) che lavora
nell’intervallo di energie (∼ 0.1 − 2 keV ) con una efficienza del 10% al primo ordine. Tabella 1 riassume
le diverse possibili configurazioni di sorgenti, monocromatori, e rivelatori utilizzabili presso la XACT
facility in diversi intervalli di lunghezze d’onda.
68
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 53: Il pannello di sinistra mostra la camera di test. Il pannello di destra mostra l’interno della camera pulita
entro cui si apre il portellone della camera di test.
Figura 54: Fotografia della beam-line UV/Visibile allocata su una porta laterale della camera di test.
Tecnologia e Strumentazione
Tabella 1: Sorgenti, monocromatori, e rivelatori disponibili presso la XACT facility
λ[Å]
1 − 100
Sorgente
Sorgente di raggi X
a impatto di elettroni
Monocromatore
Rivelatore
Reticolo di trasmissione, GFPC, GSPC
Reticolo di riflessione
MCP
a incidenza radente
50 − 350 Sorgente Penning
Reticolo di riflessione
MCP, Fotodiodo
a gas intercambiabili
a incidenza radente
senza finestra
300 − 1200 Sorgente a catodo cavo Reticolo di riflessione
MCP, Fotodiodo
a gas intercambiabili
a incidenza radente
al silicio
1100 − 3000 Sorgente a catodo cavo Reticolo di riflessione
FUV PMT,Fotodiodo
a gas intercambiabili
a incidenza radente
al silicio
2537 Lampada al mercurio
Reticolo di riflessione
FUV PMT, Fotodiodo
a incidenza radente
al silicio
2700 − 7500 Lampada alogena
Reticolo di riflessione
Fotodiodo
a incidenza normale
al silicio, PMT
GFPC = Contatore Proporzionale a Flusso di Gas, GSPC = Contatore Proporzionale a Gas Scintillante,
MCP = Piastra a Microcanali, PMT = Tubo Fotomoltiplicatore.
69
70
INAF – OAPA: Rapporto 2002
8.2 Progettazione e Calibrazione di Filtri
Per sfruttare a pieno le potenzialità dei rivelatori di raggi X utilizzati in astronomia, quali i CCD, le piastre
a microcanali, ed i rivelatori criogenici, è necessario utilizzare filtri accuratamente progettati e calibrati.
Il gruppo di ricerca della XACT/OAPA ha partecipato attivamente alla progettazione e calibrazione dei
filtri del rivelatore HRC di Chandra, della camera EPIC di Newton-XMM, della camera CCD di JET-X,
e nelle misure di trasmissività UV/Visibile di filtri di back-up del rivelatore HRI di ROSAT (figura 56).
La XACT facility è attualmente utilizzata nel programma di calibrazione dei filtri dello X-Ray Telescope
(XRT) del satellite giapponese SOLAR-B. Nel seguito vengono brevemente descritte alcune delle misure
di calibrazione condotte nell’ambito dei suddetti programmi, le quali rappresentano validi esempi delle
potenzialità della XACT facility nel test e calibrazione di filtri.
Figura 55: Le due figure in alto a sinistra e a destra mostrano rispettivamente una mappa di trasmissività a 1.49
keV di uno dei filtri di EPIC (70 mm di diametro) e una mappa di trasmissività a 0.277 keV di uno dei filtri di XRTSOLARB (50 mm di diametro) condotte presso la XACT facility. Il pannello in basso a sinistra mostra una curva
di trasmissività misurata al sincrotrone BESSY su un filtro medio di XMM. Il pannello in basso a destra mostra il
dettaglio delle strutture fini di assorbimento in prossimità dell’edge di assorbimento dell’ossigeno.
Tecnologia e Strumentazione
71
Mappature spaziali nei raggi X a varie energie ( 183 eV, 277 eV, 930 eV, 1250 eV, 1490 eV, etc.) sono
state condotte su filtri di grande area per misurare l’uniformità spaziale. Le mappature dei filtri medio e
sottile della camera EPIC di Newton-XMM hanno permesso di verificare la uniformità di trasmissività nei
raggi X entro il 2 % in accordo con le specifiche dettate al costruttore. Mappature spaziali sono state anche
recentemente condotte sui nove filtri da volo di piano focale dell’esperimento XRT a bordo del satellite
giapponese SOLAR-B (lancio previsto nel 2005) con risoluzione del mm2 .
Misure di trasmissività X ad alta risoluzione energetica sono state condotte dal nostro gruppo presso
il sincrotrone BESSY di Berlino per definire un modello delle strutture fini di assorbimento in prossimità
degli edge (figura 55). La conoscenza di queste strutture fini di assorbimento è particolarmente critica per
i filtri usati nei rivelatori con elevata risoluzione energetica.
Misure di trasmissività UV/Visibile sono state condotte per valutare il livello di opacità fuori banda e
per cercare eventuali microdifetti dei filtri in studio (vedi figura 56).
Figura 56: Il pannello di sinistra mostra una mappatura spaziale della trasmissività a 919 Å condotta su un filtro
valutato per JET-X. La misura ha permesso di localizzare un significativo numero di pinholes. Il pannello di destra
riporta la trasmissività totale misurata dell’UV/Ion shield di scorta dell’HRI di ROSAT. Questo consisteva di due
filtri distinti usati insieme: il primo di 5000 Å di polipropilene con 300 Å di alluminio, e il secondo di 6100 Å di
Lexan con 350 Å di alluminio per lato.
Le misure di trasmissività condotte presso la XACT facility nell’ambito del programma di sviluppo
dell’HRC di Chandra hanno permesso di evidenziare degli effetti (ossidazione degli strati di alluminio
e interferenze del multistrato) che causano una significativa riduzione dell’opacità UV/Visibile. Questi
risultati hanno avuto un significativo impatto nella comunità scientifica determinando la riprogettazione
dei filtri del rivelatore HRC di Chandra, del CCD ACIS di Chandra (Powell et al., 1997, SPIE Proc., 3113,
432), del CCD EPIC di XMM, e del CCD di JET-X.
Durante la fase di calibrazioni in volo della strumentazione di Chandra, è stata osservata la stella Vega
(A0V, V=0.03) con entrambi gli strumenti HRC-I ed HRC-S allo scopo di verificare l’efficienza dei filtri
nell’assorbimento della radiazione UV/visibile. I tassi di conteggio misurati ed attesi sono in buon accordo.
La contaminazione UV è stata ridotta di circa un fattore 100 rispetto al rivelatore HRI di ROSAT grazie
alla suddetta riprogettazione dei filtri.
Avendo riscontrato, durante il programma di calibrazione dei filtri, un significativo effetto dell’ossidazione degli strati di alluminio sull’opacità UV/Visibile dei filtri, abbiamo iniziato un programma di
misura di alcuni filtri di scorta di EPIC XMM, allo scopo di monitorare la stabilità della trasmissività
72
INAF – OAPA: Rapporto 2002
UV/Visibile. Un filtro medio ed uno sottile sono stati conservati sin dal 1997 in un ambiente simile a quello dei filtri da volo (azoto secco prima del lancio, vuoto dopo il lancio). Con una periodicità di circa 6 mesi
la trasmissività dei due filtri è stata misurata nella banda 2000-10000 Å dove gli effetti d’invecchiamento
sarebbero chiaramente visibili (Figura 57). Un piccolo aumento della trasmissività è stato riscontrato durante il primo anno di monitoraggio, mentre i filtri venivano mantenuti in azoto secco. A partire dal 1999 la
trasmissività dei filtri è stabile e consistente con uno strato di ossidazione dell’alluminio di circa 60 Å su
un totale di 350 Å per il filtro sottile, e di circa 130 Å su un totale di 800 Å per il filtro medio.
Figura 57: Il pannello di sinistra mostra alcune curve di trasmissività UV/Visibile di un filtro sottile della camera
EPIC di XMM-Newton misurate a intervalli di alcuni mesi. Il pannello di destra mostra l’apparato utilizzato per
mantenere in vuoto alcuni filtri di scorta di EPIC dopo il lancio.
La conoscenza dell’indice di rifrazione di vari materiali è necessaria per modellare la trasmissività
di filtri multistrato. Presso la XACT facility abbiamo intrapreso un programma di misure dell’indice di
rifrazione, nell’UV/Visibile/IR, di vari materiali di interesse nella realizzazione di filtri. Misure di trasmissività vengono condotte su filtri monostrato di diversi spessori. Tali misure sono quindi modellate in accordo con le equazioni classiche dell’ottica dove le espressioni del coefficiente di estinzione k è derivato
da un modello parametrico quanto-meccanico (Forohui and Bloomer, 1986, Phys. Rev., 34, 7018; 1988,
Phys. Rev., 38, 1865). I parametri del modello per k sono stati quindi valutati con un’analisi di best fit
alle curve di trasmissività, mentre l’indice di rifrazione n è stato successivamente derivato da k usando le
relazioni di Kramers Kronig. Questo programma di misure ci ha permesso di derivare le costanti ottiche
del Lexan e del Polyimide nell’intervallo di lunghezze d’onda 1200-8000 Å(vedi figura 58).
Tecnologia e Strumentazione
73
Figura 58: Il pannello di sinistra mostra la misura di trasmissività condotta su un campione di polyimide con su
sovrapposto il modello di best fit. I pannelli di destra mostrano i valori derivati del coefficiente di estinzione k e
dell’indice di rifrazione n del polyimide.
74
INAF – OAPA: Rapporto 2002
8.3 Sviluppo ed applicazione di microcalorimetri per raggi X
Il gruppo dello XACT/OAPA collabora con lo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics in un programma di ricerca mirato allo sviluppo di rivelatori di raggi X ad alta risoluzione energetica basati su
microcalorimetri al Ge NTD ed assorbitore superconduttore per applicazioni di astronomia e laboratorio.
Nonostante l’eccellente risoluzione energetica fino ad ora ottenuta con questa classe di microcalorimetri
a raggi X, circa 5 eV FWHM a 6 keV (Alessandrello et al. 1999, Phys. Rev. Lett., Vol. 82, Issue 3,
pp.513-515), questi risultati sono ancora circa un fattore tre peggiori delle previsioni teoriche basate sui
contributi noti di rumore termico ed elettronico. Recentemente abbiamo iniziato uno studio mirato all’identificazione di possibili sorgenti di rumore, fino ad ora trascurate, che possano essere responsabili della
risoluzione energetica misurata. A questo scopo, abbiamo realizzato un modello del funzionamento di
un microcalorimetro al Ge NTD con assorbitore superconduttore attraverso una descrizione dei processi microscopici responsabili della termalizzazione dell’energia del fotone assorbito. Al momento stiamo
investigando due effetti che potrebbero essere responsabili di un degradamento della risoluzione energetica, ed in particolare, i tempi lunghi di rilassamento delle quasiparticelle in un superconduttore puro, e la
posizione di arrivo dei fotoni sull’assorbitore. I risultati delle simulazioni numeriche ci hanno permesso
di identificare alcuni nuovi materiali potenzialmente interessanti come assorbitori per microcalorimetri.
Al momento stiamo progettando in collaborazione con il SAO nuovi rivelatori basati su alcuni di questi
materiali e prevediamo di effettuare in tempi brevi test di funzionamento. Inoltre, stiamo anche progettando specifici esperimenti per investigare la sensibilita’ alla posizione di arrivo dei fotoni ed eventualmente
modificare la geometria dei rivelatori in modo da minizzare l’effetto sulla risoluzione spettrale.
Per potere effettuare test sperimentali su microcalorimetri e’ stato realizzato presso la XACT facility
un criostato a demagnetizzazione adiabatica in grado di raffreddare microrivelatori fino a temperature di
circa 40 mk mantenendoli a basse temperature per diverse ore (circa 25 ore a 60 mK) (figura 59). Al
momento stiamo lavorando al cablaggio dell’elettronica dei microcalorimetri all’interno del criostato.
Figura 59: Il pannello di sinistra mostra il criostato a demagnetizzazione adiabatica della XACT facility. Il pannello
centrale mostra il pannello di controllo del vuoto nei contenitori di azoto ed elio liquidi del criostato, il pannello di
destra mostra uno dei cristalli di sale paramagnetico realizzati per il criostato.
L’accuratezza dei modelli di emissione di plasmi astrofisici non e’ al momento confrontabile con la
qualita’ degli spettri di sorgenti brillanti extrasolari misurati da Chandra e Newton-XMM, o di osservazioni
spettroscopiche della corona solare. Per potere correttamente interpretare gli spettri osservati di sorgenti
astrofisiche e’ dunque necessario verificare le predizioni dei modelli con misure di laboratorio. Un metodo
molto efficace per lo studio di plasmi in laboratorio si basa sull’utilizzo di una Electron Beam Ion Trap
Tecnologia e Strumentazione
75
(EBIT). L’EBIT consente di produrre e confinare plasmi monoatomici con un elevato grado di controllo
sulle caratteristiche del plasma stesso. Il gruppo dell’OAPA é direttamente coinvolto in un programma
di misure di emissione X di plasmi di laboratorio presso l’Electron Beam Ion Trap (EBIT) del National
Institute of Standards and Technology (Gaithersburg, MD) facendo uso di microcalorimetri al germanio
NTD sviluppati al SAO. Recentemente, sono stati acquisiti ed analizzati dal gruppo dell’OAPA spettri X
del Neon altamente ionizzato (Ne IX e Ne X) per lo studio di alcune diagnostiche di plasma di interesse
astrofisico, fino ad oggi basate solo su modelli teorici, ed allo scopo di studiare le caratteristiche dell’apparato sperimentale. Per quest’analisi sono stati utilizzati diversi spettri ottenuti in varie condizioni operative
dell’EBIT studiando gli effetti sull’intensita‘ totale delle righe di uno stesso ione, sui rapporti tra il flusso
emesso nelle righe del Ne IX e del Ne X, e sui valori di densita‘ elettronica stimate dai rapporti tra le righe
del tripletto del Ne IX. Uno dei risultati di quest’analisi mette in evidenza che lo studio e la comprensione
della dinamica degli ioni all’interno della trappola e‘ fondamentale per una corretta interpretazione degli
spettri X emessi dal plasma confinato nell’EBIT, al fine di consentire verifiche sperimentali accurate di
diagnostiche di plasma di interesse astrofisico.
INAF – OAPA: Rapporto 2002
76
8.4 Sviluppo e Calibrazione di Ottiche per Raggi X
Il gruppo della XACT/OAPA collabora con il SAO in un programma di sviluppo di ottiche per raggi X
ad incidenza radente, di tecnologia innovativa, ad alta area di raccolta adatte per missioni spettroscopiche
di Astronomia a raggi X e per applicazioni di laboratorio. In questo programma, la XACT facility viene
utilizzata per ottenere immagini di una sorgente di raggi X puntiforme prodotte da queste ottiche. Lo studio
di queste immagini consente di valutare contributi alla PSF derivanti ad esempio dalla qualità dei materiali
utilizzati, e dalla struttura meccanica di montaggio dei gusci concentrici.
La sorgente di raggi X non é una sorgente puntiforme ideale e le sue dimensioni finite possono contribuire all’immagine prodotta al piano focale dalle ottiche in studio. Per potere sottrarre questo eventuale
contributo, abbiamo ottenuto delle immagini nei raggi X della sorgente utilizzando come strumento di
focalizzazione ed ingrandimento un microforo da 0.3 mm di diametro posto a 790 mm dalla sorgente e
15490 mm dal rivelatore MCP (figura 60). Questa configurazione strumentale ci ha permesso di ottenere
immagini della sorgente di raggi X con un fattore d’ingrandimento circa 20 (figura 60).
790 mm
15490 mm
X-RAY
SOURCE
PINHOLE
X-RAY SOURCE IMAGE
AT THE DETECTOR
Figura 60: In alto e’ mostrato lo schema della configurazione strumentale utilizzata per ottenere immagini
nei raggi X della sorgente. In basso a é mostrata, con due diverse rappresentazioni grafiche, un’immagine
della sorgente X con anodo di ferro ottenuta con questa configurazione strumentale.
Tecnologia e Strumentazione
77
L’immagine della sorgente X e’ stata poi analizzata per determinarne forma e dimensioni. Una buona
descrizione della forma della sorgente e’ data da una gaussiana con σ ≈ 0.1 mm sovrapposta ad una
piccola componente costante che si estende fino ad un raggio di circa 2.5 mm. La tabella che segue
mostra i parametri di best-fit di questo modello (σ della gaussiana e percentuale dei conteggi totali nella
componente costante) della sorgente X per diversi anodi e parametri strumentali della sorgente X.
Anode
C
Cu
Al
Ti
Cr
Fe
Cu
Elec. Accel.
Voltage [kV]
2.5
2.5
3.5
6.0
7.0
8.0
10.0
Elec. Beam
Current [mA]
0.01
0.04
0.06
0.10
0.06
0.09
0.04
Excited Line
[Kev]
0.28
0.93
1.49
4.51
5.41
6.40
8.04
σG
[mm]
0.075
0.085
0.080
0.110
0.060
0.075
0.045
Plateau
[%]
16
28
16
16
16
16
25
Sono state effettuate misure delle immagini prodotte nei raggi X da diverse ottiche ad incidenza radente
a geometria cilindrica, utilizzate per verificare alcune delle idee fondamentali della tecnologia proposta.
Le ottiche studiate sono state montate all’interno della beam-line X della XACT facility, nel punto medio
tra la sorgente di raggi X e il rivelatore MCP (figura 61). Sono stati utilizzati manipolatori meccanici da
vuoto per aggiustare gli angoli di puntamento.
Figura 61: Una delle ottiche cilindriche studiate presso la XACT facility, montata all’interno della beamline X a circa 8.5 m dalla sorgente X e dal rivelatore posto nella camera di test.
78
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 62 mostra un esempio di immagine prodotta dalla focalizzazione di una sorgente puntiforme di
energia circa 6.5 keV con un’ottica cilindrica con 14 gusci concentrici e diametro esterno di 20 cm.
Figura 62: Immagine di una sorgente X puntiforme di energia circa 6.5 keV prodotta da un’ottica cilindrica
con 14 gusci concentrici.
Il profilo radiale di questa immagine viene ben modellato assumendo una fluttuazione random normalmente distribuita con σ = 18000 dell’angolo di riflessione dei fotoni sui gusci delle ottiche ed un
disallineamento random uniformemente distribuito tra 0 e 10 dei 14 gusci (figura 63).
Figura 63: Profilo radiale della densità di conteggi (pannello di sinistra) e profilo radiale dell’integrale
dei conteggi, normalizzato al totale, (pannello di destra) per l’immagine di una sorgente X puntiforme di
energia circa 6.5 keV messa a fuoco dall’ottica cilindrica (linea continua). Le curve a tratteggio rappresentano le curve di best-fit ottenute utilizzando il raytracing che include la dimensione finita della sorgente.
Nel pannello di destra e’ anche mostrata a tratto-punto la curva che si dovrebbe ottenere con un’ottica
cilindrica ideale.
Tecnologia e Strumentazione
79
L’immagine della sorgente puntiforme prodotta dall’ottica cilindrica studiata presenta una forma molto
piccata e simmetrica (FWHM < 0.5 arcominuti) a conferma della validità generale del concetto utilizzato
per montare un numero elevato di gusci e garantirne la loro concentricità. Tuttavia l’immagine mostra
larghe ali che determinano un Half Power Diameter (HPD) di circa 4 arcominuti. Una delle cause di queste
larghe ali potrebbe essere la presenza di piccole distorsioni dei gusci introdotte nei punti di sostegno dalla
gravità.
Un’ottica cilindrica a singolo guscio e’ stata realizzata utilizzando una tecnica diversa e cioé riducendo
il numero di punti di sostegno del singolo guscio da 16 a 8 e utilizzando una guida circolare in cui il singolo
guscio e’ ancorato negli otto punti da una resina epossidica. Tale ottica e’ stata studiata presso la XACT
facility e le immagini prodotte sono state confrontate con quelle ottenute da un modello di raytracing
che tiene conto di possibili distorsioni della figura indotte da dilatazioni termiche della resina epossidica
utilizzata. Figura 64 mostra l’immagine misurata e quella modellata con il raytracing.
Figura 64: Immagine di una sorgente X puntiforme messa a fuoco da un ottica cilindrica a singolo guscio
realizzata per studi ingegneristici (pannello di sinistra) e immagine ottenuta con un programma di raytracing che simula la presenza di distorsioni meccaniche del guscio introdotte negli otto punti di ancoraggio
dello stesso.
Lo studio accurato di queste misure ha permesso di progettare una nuova struttura di sostegno dei fogli
con 32 punti di ancoraggio e di mettere a punto una tecnica di montaggio che mantiene i fogli in forma
durante la catalizzazione della resina epossidica.
80
INAF – OAPA: Rapporto 2002
9 Strumentazione per Spettroscopia Ottica
Le attività tecnologiche nel campo della strumentazione ottica sono le ultime arrivate tra le attività di
ricerca svolte presso l’Osservatorio Astronomico di Palermo e sono la naturale conseguenza del forte
interesse dei ricercatori di OAPA nel campo della spettroscopia stellare ottica ad alta risoluzione (vedi
quanto già detto a questo proposito nelle sezioni precedenti).
Una prima attività in questa direzione è stata la partecipazione di OAPA alla realizzazione dello spettrografo ad alta risoluzione SARG per il Telescopio Nazionale Galileo (TNG) alle Canarie, partecipazione
che non è avvenuta solo a livello di consulenza e programmi scientifici, ma anche attraverso la fornitura,
su finanziamenti CNR, di componenti hardware quali i CCD controllers, il CCD slit viewer, i motor controllers e la struttura meccanica della cella Peltier. Il SARG, che è uno spettrografo echelle a dispersione
incrociata che opera nell’intervallo spettrale 3700−9000 Å con un potere risolutivo spettrale variabile da
20.000 a 140.000, è stato installato al TNG a metà del 2000 ed è stato offerto alla comunità nazionale
ed internazionale dagli inizi del 2001. Da tale data esso è regolarmente utilizzato dai ricercatori di OAPA per studi spettroscopici stellari, particolarmente nel campo dell’abbondanza del litio e dei prodotti
della nucleosintesi stellare in stelle di tipo spettrale avanzato appartenenti ad ammassi aperti (cf. sezione
relativa).
Le attività tecnologiche nel campo della spettroscopia ottica ad alta risoluzione sono poi proseguite
con la partecipazione di OAPA allo studio di fattibilità del progetto AVES e alla realizzazione dello strumento FLAMES, entrambi per il VLT dell’ESO. Attualmente i progetti in cui è impegnato attivamente
l’Osservatorio di Palermo sono X-SHOOTER per il VLT e PEPSI per l’LBT. Contemporaneamente è iniziata la messa in funzione all’Osservatorio di Palermo, su fondi in gran parte regionali, di un Laboratorio
di Astronomia Ottica e Spettroscopia (LAOS) per la progettazione, integrazione e test di strumentazione
spettroscopica ottica. Di queste attività viene presentata una sintesi nei paragrafi che seguono.
9.1 Lo spettrografo per ottica adattiva AVES per il VLT
L’Osservatorio di Palermo ha collaborato con gli Osservatori di Brera, Trieste e Catania, e con ricercatori
di ESO e del Laboratoire d’Astrophysique di Grenoble, alla realizzazione di uno spettrografo echelle per
ottica adattiva (AVES = Adaptive Optics Visual Echelle Spectrograph) da utilizzare al fuoco secondario
del modulo di ottica adattiva NAOS sull’unità UT4 (Yepun) del VLT, al Paranal sulle Ande cilene. Lo
spettrografo, che ha un’efficienza circa doppia a quella di UVES e simile a quella dello spettrografo ESI al
Keck II, offre una risoluzione intermedia (R∼15.000) nell’intervallo spettrale tra 5000 e 10.000 Å, permettendo una copertura completa di questo intervallo spettrale in ogni singola esposizione. Utilizzando l’ottica
adattiva per concentrare la luce della sorgente entro un diametro molto piccolo (< 0.3 arcsec), AVES può
raggiungere una magnitudine V=22.5 con S/N>10 in esposizioni di 2 ore, quasi due magnitudine più profonda di quanto raggiungibile con la stessa risoluzione spettrale con lo spettrografo FLAMES/GIRAFFE
e quasi tre magnitudini più profonda di quanto possibile, a più alta risoluzione, con UVES. Lo strumento
possiede anche una funzione di imaging e coronografia per osservazioni al limite di diffrazione nel visibile,
risultando in ciò altamente complementare allo strumento infrarosso CONICA che usa il fuoco principale
dello stesso modulo di ottica adattiva NAOS. Su finanziamenti CNAA è stato portato a termine uno studio
dettagliato dello strumento, che è stato sottoposto con successo alla Preliminary Design Review (Fig 65).
I ricercatori di OAPA e i loro collaboratori nel Consorzio italiano intenderebbero utilizzare questo
strumento principalmente per lo studio dell’evoluzione chimica della Galassia (stelle di alone e del Bulge)
e di galassie del gruppo Locale (la Grande e Piccola Nube di Magellano e la galassia nana del Sagittario).
La funzione di imaging permette inoltre lo studio degli oggetti giovani e delle regioni circumstellari. E‘
interessante notare che il disegno innovativo di AVES, che comporta un’alta efficienza intrinseca anche
Tecnologia e Strumentazione
81
senza uso dell’ottica adattiva, è stato ripreso successivamente in proposte concettuali per strumenti di
seconda generazione, sia per il TNG che per il VLT, dimostrando cosı̀ la validità del concetto proposto.
E‘ stata presentata una proposta formale ad ESO per l’installazione di AVES al VLT come Visitor
Instrument che è stata valutata positivamente dal Science Technical Committee (STC) di ESO. Nel corso
del 2002 si è però venuta maturando in ambito ESO la convinzione che sia necessario sviluppare come
strumento di seconda generazione per il VLT uno spettrografo ad ampia banda spettrale (dall’UV all’IR
vicino) con alta efficienza, da montare ad uno dei fuochi Cassegrain del VLT, al posto di uno degli attuali
strumenti FEROS. Con un tale strumento, denominato X-SHOOTER, si potranno raggiungere molti degli
obiettivi scientifici di AVES, oltre ad altri non raggiungibili con AVES. Per questa ragione, il team AVES
è stato invitato da ESO a partecipare ad uno studio di fattibilità di X-SHOOTER che è stato portato avanti
nel corso del 2002 e che di fatto ha portato all’abbandono del progetto AVES a favore del più ambizioso
progetto X-SHOOTER, più sotto descritto.
9.2 Lo spettrografo multi-oggetto FLAMES per il VLT
L’Osservatorio di Palermo ha partecipato con gli Osservatori di Trieste, Bologna e Cagliari, alla realizzazione del progetto FLAMES per l’unità UT2 (Kueyen) del VLT. E‘ questo un posizionatore di fibre
ottiche che alimenta sia uno spettrografo multi-object a media dispersione (GIRAFFE) che lo spettrografo
ad alta dispersione UVES. Con questo strumento è possibile fare spettroscopia a più oggetti con UVES
(fino a 7 simultaneamente più il cielo) ad alta risoluzione (R=40,000), aumentando cosı̀ notevolmente
l’efficienza di tale spettrografo nella osservazione di campi affollati quali gli ammassi stellari. Contemporaneamente sarà possibile ottenere con GIRAFFE spettri a media dispersione (R∼15.000) di un massimo
di 130 oggetti simultaneamente. Lo strumento è stato collaudato con successo al Paranal nel corso del
2002 ed è offerto alla comunità dall’aprile del 2003. Il Consorzio Italiano che ha partecipato alla realizzazione di FLAMES, e che è coordinato dall’Osservatorio Astronomico di Bologna (P.I. Carla Cacciari),
ha contribuito al progetto con personale e risorse, particolarmente nell’area del software di controllo, della
gestione automatica delle osservazione e della riduzione dati. La partecipazione di OAPA a questo progetto ha riguardato la realizzazione (in collaborazione con l’Osservatorio di Cagliari) del Data Reduction
Software (DRS) di UVES nel modo a fibre. In particolare si è evidenziato che la grande mole di spettri
immagazzinati in una singola osservazione di UVES/FLAMES richiede dati di calibrazione estremamente
accurati per un’estrazione ottimale. ESO ha riconosciuto la necessità di queste calibrazioni, che sono state
quindi incluse nella sequenza di calibrazioni standard per FLAMES. Ciò permetterà una riduzione ottimale dei dati, sfruttando l’informazione contenuta in tutte le fibre senza risentire di contaminazione tra
fibre adiacenti, permettendo cosı̀ di raggiungere il massimo rapporto segnale/rumore negli spettri estratti.
In cambio di queste attività, il Consorzio italiano ha ricevuto da ESO tempo garantito che l’Osservatorio di Palermo dedicherà, per la sua parte, alla spettroscopia multioggetto di ammassi aperti e regioni di
formazione stellare (vedi quanto già detto a questo proposito nella sezione di Fisica Stellare Ottica).
9.3 Lo spettrografo ad ampia banda X-SHOOTER per il VLT
Come già detto sopra, in questo progetto allo studio come strumento di seconda generazione per il VLT
è confluito il precedente progetto AVES e l’intero team AVES, che comprende gli Osservatori di Brera,
Catania, Palermo e Trieste. X-SHOOTER ed AVES sono tecnicamente strumenti diversi (anche se alcune
soluzioni ottiche previste per AVES potrebbero essere adottate anche per X-SHOOTER). Una parte degli
obiettivi scientifici, legati in particolare all’alta efficienza comparabile nell’ottico a quella di ESI al Keck
II, sono però comuni, il che spiega perchè il progetto AVES abbia finito per confluire nel più ambizioso
progetto X-SHOOTER.
82
INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 65: Disegno dello spettrografo AVES proposto per il VLT (da Pallavicini et al. 2003, Proceedings
SPIE 4841, p. 715).
Tecnologia e Strumentazione
83
X-SHOOTER è uno spettrografo ad alta efficienza e media risoluzione che permetterà di coprire simultaneamente l’intero intervallo spettrale dal cutoff atmosferico nell’ultravioletto (300 nm) fino al vicino
infrarosso (1.9 µ). Al fine di garantire un’alta efficienza su un intervallo cosı̀ ampio lo strumento consiste
di tre spettrografi separati, uno per la banda UV e blu, uno per la banda visibile e rossa, e uno per la
parte infrarossa, quest’ultimo totalmente criogenico. La risoluzione spettrale è dell’ordine di 10.000 per
una fenditura di 0.6 secondi d’arco, sufficientemente alta per gli scopi scientifici primari di X-SHOOTER
(cioè spettroscopia simultanea dall’UV al vicino IR delle sorgenti più deboli raggiungibili con un telescopio di 8m di diametro). X-SHOOTER sarà montato al fuoco Cassegrain, un fuoco altamente efficiente che
in parte compensa il mancato uso dell’ottica adattiva che era invece prevista per AVES.
E‘ stato portato a termine uno studio di fattibilità per X-SHOOTER da parte di un Consorzio europeo
guidato da ESO, comprendente i quattro Osservatori italiani del team AVES, oltre ad Istituti in Olanda e
Danimarca. Il Consorzio italiano, guidato dall’Osservatorio di Palermo (P.I.: R. Pallavicini), ha la responsabilità primaria di uno dei tre spettrografi, quello visibile, dell’ottica dell’unità di pre-slit, dello sviluppo
del software di controllo di tutti e tre i bracci, e della caratterizzazione dei rivelatori ottici. L’Olanda
(Università di Amsterdam e ASTRON di Dwingeloo) si occuperà del braccio infrarosso e della struttura
meccanica di supporto ai tre spettrografi. Il braccio UV e parte dell’elettronica sarà invece responsabilità
della Danimarca (Copenhagen University Observatory). ESO fornirà i rivelatori e sovrintenderà all’intero
progetto. Lo studio di fattibilità, completato a marzo del 2003, è stato presentato all’STC di ESO che
ha valutato positivamente gli obiettivi scientifici dello strumento ed ha raccomandato la prosecuzione del
progetto che è previsto possa diventare operativo al VLT ad inizio del 2007.
Le motivazioni scientifiche di X-SHOOTER sono state elaborate nel corso dello studio di fattibilità
con il coinvolgimento di una comunità molto vasta, anche al di fuori dei gruppi che hanno proposto lo
strumento. In Italia, hanno partecipato alla formulazione del caso scientifico di X-SHOOTER ricercatori
degli Osservatori di Brera, Padova, Trieste, Bologna, Arcetri, Roma, Napoli, Catania e Palermo. Tra gli
obiettivi scientifici prioritari citiamo la comprensione dell’origine e della natura dei Gamma Ray Bursts, lo
studio delle nane brune, l’identificazione dei progenitori delle supernovae di tipo Ia e lo studio della fisica
dell’esplosione, l’evoluzione chimica delle stelle risolte in galassie del Gruppo Locale, le proprietà delle
galassie ad alto redshif, la tomografia del mezzo intergalattico. Oltre a partecipare all’elaborazione del
caso scientifico, l’Osservatorio di Palermo ha eseguito, in collaborazione con ricercatori dell’osservatorio
di Brera, lo studio ottico dello spettrografo visibile e dell’unità di pre-slit.
9.4 Lo spettrografo ICE per lo spettropolarimetro PEPSI per l’LBT
L’Osservatorio Astronomico di Palermo collabora con gli Osservatori di Brera e di Catania e con l’Astrophysical Institute di Potsdam (AIP) alla realizzazione di uno spettropolarimetro ad alta risoluzione (PEPSI)
per il Large Binocular Telescope (LBT) a Mt. Graham in Arizona. Lo spettropolarimetro PEPSI sarà alimentato a fibre ai due fuochi Gregoriani diretti dei due specchi primari dell’LBT (gli stessi usati dallo
spettrografo a bassa dispersione MODS), con lo strumento collocato su una base fissa nel pilastro centrale dell’edificio per assicurare massima stabilità. Le unità polarimetriche (realizzate dall’AIP) possono
essere inserite o rimosse. Per ciascuna delle due unità, due fibre portano la luce allo spettrografo, dando
cosı̀ luogo ad un formato spettrale con quattro spettri per ordine. Nel modo polarimetrico (a più bassa
risoluzione, R∼100.000), i quattro spettri per ordine si riferiscono a 4 diversi stati di polarizzazione (per
esempio due lineari da uno degli specchi e due circolari dall’altro). Nel modo non polarimetrico, i quattro
spettri per ordine forniscono due immagini identiche dello stesso oggetto (una per ciascuno specchio) più
lo spettro del cielo e quello di una lampada di confronto per misure precise di velocità radiali. Nel modo non polarimetrico inoltre è possibile scegliere se lavorare ad alta risoluzione (R∼100.000) oppure ad
altissima risoluzione (R∼300.000) sfruttando l’ottica adattiva dell’LBT. Un mosaico di rivelatori CCD di
INAF – OAPA: Rapporto 2002
84
M3
M1
M2
Slit
Echelle 1
Echelle 2
4Kx4K CCD
Short Camera
VPH
Cross-disperser
Long Camera
8Kx4K CCD
M4
Figura 66: Disegno a 2 echelle per lo spettrografo ICE per PEPSI all’LBT. (da Zerbi et al. 2002, Astron.
Nachr. 323, 499).
grande formato permetterà la copertura completa dell’intervallo spettrale tra 4.500−11.000 Å in due o tre
esposizioni. La responsabilità del Consorzio Italiano all’interno del Progetto PEPSI (Potsdam Echelle Polarimetric and Spectrographic Instrument) consiste nella progettazione e realizzazione dello spettrografo
ICE (Italian Consortium Echelle Spectrograph). Varie opzioni sono state prese in considerazione (con uno
o due reticoli echelle, con o senza ottica adattiva (Fig 66 e Fig 67) in uno studio ottico e meccanico condotto dall’Osservatorio Astronomico di Palermo in collaborazione con gruppo GOLEM dell’Osservatorio
Astronomico di Brera. Il gruppo dell’Osservatorio di Catania di occuperà invece dell’elettronica e del software di controllo dello spettrografo. Il progetto PEPSI è stato approvato dal Science Advisory Committee
dell’LBT e dovrebbe portare all’installazione dello strumento all’LBT nel 2006. La partecipazione italiana
al progetto, che è prevista al livello del 40% del budget totale, è subordinata al finanziamento del progetto
da parte dell’INAF nell’ambito dello sviluppo di strumentazione per LBT. Nel panorama mondiale degli
spettrografi ad alta risoluzione su telescopi di 8-10m lo strumento sarà unico per due caratteristiche principali, la polarimetria e l’altissima risoluzione spettrale (≈300.000 con ottica adattiva), ma permetterà anche
di svolgere una grande varietà di altri progetti scientifici con un’efficienza nel rosso un fattore 2 maggiore
di UVES.
9.5 Il laboratorio di spettroscopia astronomica ottica LAOS
Al fine di poter portare a termine con successo i progetti tecnologici di cui sopra, l’Osservatorio Astronomico di Palermo ha iniziato la messa in opera di un Laboratorio di Astronomia Ottica e Spettroscopia
(LAOS) con finanziamenti in gran parte regionali e che si intende potenziare nel prossimo futuro, dipendentemente dai finanziamenti che saranno reperiti allo scopo. A tal fine è stato acquistato un banco ottico
IDE Master di 2.4x×1.2m ed un interferometro di Fizeau della ZYGO per il test di superfici ottiche. Gli
sviluppi futuri prevedono l’acquisto di un monocromatore e di un rivelatore e la realizzazione di una camera pulita, oltre all’acquisto di componentistica ottica e meccanica. Questo primo investimento in hardware
si affianca all’acquisto di licenze software per il disegno ottico (codice ZEMAX) e di una stazione grafica
per la progettazione e visualizzazione di disegni ottici e meccanici. Il Laboratorio LAOS è stato installato
Tecnologia e Strumentazione
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Figura 67: Disegno a 1 echelle per lo spettrografo ICE per PEPSI all’LBT (da Pallavicini et al. 2003,
Proceedings SPIE 4841, p. 715).
negli stessi locali del Laboratorio per l’Astronomia X (XACT) cosı̀ da utilizzare in comune le officine
meccaniche ed elettroniche ed il relativo personale, nel quadro più generale di un potenziamento delle
attività sperimentali di OAPA.
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INAF – OAPA: Rapporto 2002
Figura 68: Destra: La pagina di ricerca delle sorgenti al sito di DIANA di OAPA. Sinistra: La pagina del
portale di accesso a tutte le risorse di DIANA al sito del Centro Dati di ASI.
10 Algoritmi e Banche Dati per Astronomia nei raggi X
Si tratta di una attività condotta da svariati anni da un gruppo di ricercatori di OAPA sulla base di finanziamenti da parte del CNAA (sin dal 1997), in misura modesta da parte dell’ASI e, parzialmente attraverso
un programma di COFIN conclusosi nel Dicembre 2001.
Nell’ambito di questa attività i risultati principali conseguiti fino ad oggi sono:
• Realizzazione della banca dati dei risultati della rianalisi dei dati del PSPC di ROSAT utilizzando
un innovativo algoritmo di rivelazione basato su trasformate a Wavelet realizzato dai ricercatori di
OAPA. A partire dall’estate del 2001 il database contiene i dati di circa 3700 dei circa 4000 campi
PSPC in archivio che contengono informazione scientifica rilevante (i.e. che hanno un tempo di
esposizione che superi il centinaio di secondi). Il catalogo nel suo complesso contiene oltre 140000
sorgenti.
• Realizzazione di una interfaccia di ricerca che permette di accedere a detta banca dati (cf. Fig. 68)
come parte del progetto DIANA (Distributed Interactive Astronomical Network Archive), accessibile alla pagina WEB http://dbms.astropa.unipa.it.
DIANA e‘ un progetto che oltre al gruppo di OAPA vede impegnati gruppi operanti presso l’osservatorio di Brera e pres
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RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA Rapporto 2002