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penseranno gli americani ed i giapponesi. La tecnologia,
gli standard, i satelliti, i televisori, tutto sarà loro, ed anche
i programmi. E non soltanto quelli.
D. Che cosa ancora?
R. L'informazione. Sin d'oggi il telegiornale permanente, 24 ore su 24, diffuso dalla CNN di Atlanta, negli Stati
Uniti, comincia ad essere visto in Europa, negli alberghi,
nelle scuole linguistiche; ed in Spagna l'ho visto in certe discoteche. Durante la crisi libica, che si svolgeva a poche decine di chilometri dalle nostre coste, chi voleva informazioni continue e complete doveva sintonizzarsi sul programma
CNN, negli alberghi; e fra breve, con i nuovi satelliti,
chiunque potrà riceverlo in casa propria; in inglese naturalmente.
D. Ma unendo ed uniformando i programmi a livello
europeo non si rischia di distruggere l'enorme ricchezza
rappresentata dalla diversità delle lingue e delle culture
del nostro Continente?
R. Io sono sempre stato - l'ho dimostrato nella mia
attività di parlamentare europeo - e resto tuttora un difensore delle lingue e delle culture minoritarie. Ma stiamo
attenti a non trasformare questa giustificata esigenza in un
lusso che non possiamo assolutamente permetterei. Siamo
diversi, siamo antichi, ma questa autentica ricchezza che è
la diversità non deve essere utilizzata in modo grigio e pretestuoso per escludere l'indispensabile sforzo d'unione.
Anche negli Stati Uniti le distanze culturali tra Boston ed
il Texas tra New-York e San Francisco, sono notevolissime,
ma non impediscono una ''presenza americana'' riconoscibile in tutto il mondo, ed oggi vincente. Mi fanno sorridere
quegli "intellettuali" che tempestano contro l'invasione
culturale americana vestendosi in jeans e bevendo cocacola. E in Giappone, la salvaguardia gelosa delle antiche
tradizioni, di Kyoto e dei suoi templi e giardini, non impedisce "Mazinga", che i nostri ragazzi trangugiano. Se gli
europei non si uniscono, non avranno il loro Mazinga e
neppure potranno salvare i loro Kyoto.
D. Ma i piccoli paesi temono per la loro autonomia culturale...
R. Nessuno pensa di comprometterla. Anzi noi sosteniamo direttamente progetti e programmi multilingue, cioè
diffusi parallelamente in diverse lingue, che ognuno può ricevere nella propria. Già aiutiamo concretamente, con un
milione di Ecu (quasi un miliardo e mezzo di lire n.d.r.) il
progetto ''EUROPA TV'' di programma multilingue, ed
altro faremo per evitare l'impoverimento delle lingue più
fragili o chiuse in spazi geografici angusti; siamo contro la
semplificazione dei programmi per ragioni puramente diffusionali; siamo contro il livellamento che deriverebbe da
un gergo puramente funzionale. Siamo pronti a sostenere
il progetto di programma culturale di Pierre Desgraupes il
cui obiettivo è di diffondere in tutta Europa i grandi avvenimenti culturali: una prima alla Scala come l'inaugurazione del nuovo Museo Picasso, un nuovo spettacolo di Bejart
come il Festival di Taormina.
D. Ma tutto questo costa...
R. E l'industria è sempre più disposta a pagare, perché
ormai comprende l'interesse eccezionale della cultura come
elemento promozionale. Non avete visto ad esempio che in
Francia, nell'ultima campagna elettorale, il tema culturale/ televisivo ha fatto irruzione come uno degli elementi
centrali? Gli industriali l'hanno visto come noi tutti ... Ci
sono voluti 15 anni affinchè si disponesse in Europa di denaro imprenditoriale per la cultura. Prima, era Bel1:eb~,
sporcava; gli sponsors non dovevano neppure essere Citati,
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A cura di FERDINANDO RICCARDI
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La cultura fra gli euro crati? Quando la Commissione
aveva deciso di affidare ad uno dei suoi componenti, Carlo
Ripa di Meana, una responsabilità specifica per le questioni culturali, qualcuno aveva sorriso: che ci viene a fare l'arte fra la misura del diametro dei piselli e la definizione del
livello sonoro aereo massimale degli elettrodomestici? Ma
gli scettici hanno dovuto ben presto ricredersi: non può esistere Europa unita senza un posto importante, addirittura
prioritario, per l'elemento culturale, che è diventato oggi
uno degli aspetti qualificanti dell'attività comunitaria, da
un duplice punto di vista: la sua importanza intrinseca ed
il legame diretto con le tecnologie di punta da cui dipende
il mondo del futuro. Tutto questo è particolarmente evidente in un settore, quello della televisione. Lo stesso Ripa
di Meana ne parla per i lettori di "Comunità Europee".
D. Perchè la Commissione si occupa di televisione, un
settore che secondo alcuni non rientrerebbe neppure nel
campo d'attività delle Istituzioni europee?
R. Anzitutto perchè soltanto a livello europeo si può
agire in modo da evitare che il nostro diventi un continente
culturalmente colonizzato. La rivoluzione televisiva, con
l'arrivo dei satelliti che trasmettono direttamente nelle case
e con i sistemi via cavo, impone la disponibilità di un certo
volume di programmi nostri se non vogliamo diffondere
soltanto l'ideologia ed il modo di vivere altrui, ed un minimo di regole comuni. Nessuno dei nostri paesi individualmente può fronteggiare la duplice sfida dei programmi da
produrre e della distribuzione, nonchè la sfida industriale
che sta sullo sfondo: o l'Europa agisce unita, oppure ci
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Carlo Ripa di Meana •
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''O l'Europa agisce unita o diventerà terra di
conquista''
se c'erano. Esisteva un'incredibile arcaica e pudibonda diffidenza nei confronti del volano finanziario dei fatti culturali; il risultato è stato di gonfiare l'intervento pubblico,
che rimane comunque insufficiente ma provoca una superfetazione burocratico-amministrativa ed enormi lentezze e
ritardi nelle azioni auspicabili. Aria, libertà, iniziative...
D. Allora, una totale deregulation?
R. Non esageriamo. Le televisioni "nazionali" devono
sussistere accanto a quelle private, con le loro responsabilità e prerogative specifiche. Abbiamo proposto una certa
normativa che permetta l'accettabilità per t\ltti dei programmi del vicino: limiti di du~ata per l_a pub~licità, protezione della gioventù contro la viOlenza, Il razzismo e la pornografia, proibizione di far propaganda per il fumo o di
eccedere con quella per gli alcolici. La pubblicità, motore
indispensabile dell'avventura, non deve essere un motore
che vada "fuori giri" e raggiunga eccessi inaccettabili.
Qualche regola ci vuole. Ma rispettando certe condizioni,
la libertà delle onde, che per ora è nazionale (e neppure
dappertutto), deve diventare europea. E non soltanto per
ragioni di principio o per idee astratte.
D. Cioé?
R. Mi riallaccio a quello che dicevo inizialmente: o ci
uniamo, oppure la cultura europea finisce. Una certa concezione riservata e solitaria della cultura, maturata in questi ultimi secoli, è completamente superata di fronte alle
nuove tecnologie che fanno anche degli avvenimenti culturali un evento di massa, introducendo possibilità di partecipazione fino a ieri insospettate. Di fronte a questa rivoluzione, se non si è competitivi si scompare: a che serve salvaguardare minoranze che non potessero esprimersi e che sarebbero comunque esse pure invase dal prodotto culturale
che viene da fuori, da lontano? Non dobbiamo intervenire
direttamente nella produzione europea, ma creare le condizioni affinché essa possa esistere: oggi, il nostro tanto vantato e splendido mercato unificato di 320 mili~mi di co~su:
matori in questo campo esiste soltanto negli opuscoli di
propaganda. Non pensiamo assolutamente di "centralizzare'' la produzione dei programmi, ma dobbiamo organizzare e stimolare questa produzione (insidiata oltretutto dalla pirateria) organizzando a livello continentale il credito e
la distribuzione e naturalmente organizzando gli sbocchi
adeguati. Altrimenti, questo nostro grande mercato continentale che si sta creando esisterà sì, ma non per noi: per
gli americani, che già oggi dimostrano di saperlo sfruttare.
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Intervista con Carlo Ripa di Meana
Francia
Privatizzazione
commerciali. L'avventura è cominciata male, quando i socialisti alla fine del loro regno, hanno avviato precipitosamente 'due operazioni discutibili: cioè la creazione della V
rete concessa al tandem Seydoux-Berlusconi (la cosidetta
"TV Coca Cola e spaghetti", specializzata nella diffusione
di telefilm americani e shows ''made in Itilly' ') e quella della VI rete, le cui prestazioni sono ancora più medi~cri.
Continua male, nella stessa atmosfera di controversie e
confusione, col nuovo governo Chirac. La ''privatizzazione" di un largo settore dell'audiovisivo figurava fra _gli impegni programmatici della destra classica, e ora Chirac ha
fretta di realizzarla poichè, con un Mitterrand che da un
momento all'altro può porre termine a un'ambigua "coabitazione", i suoi giorni potrebbero essere contati.
.
Da tre mesi, proposte contraddittorie sono state ventila- ·
te. In definitiva il governo ha adottato 1'11 giugno- nonostante le ''estreme riserve'' espresse dal presidente della Repubblica- un progetto di riforma, edulcorato rispetto alle
intenzioni primitive, che reca la firma del ministro della
cultura e della comunicazione Françoise Léotard. Eccone i
punti principali. La chiave di volta del sistema sar~ co~ti­
tuita da una "Commissione nazionale della comumcaziOne e delle libertà'', composta di nove membri (tre designati
rispettivamente dai presidenti della Repubblica, del Senato
e dell'Assemblea nazionale; tre dal Consiglio di Stato, la
Corte di cassazione e la Corte dei conti, e i rimanenti cooptati dagli altri sei per le loro competenze professionali).
Questa Commissione indipendente avrà poteri ampissimi.
In particolare dovrà far rispettare il pluralismo nei programmi del servizio pubblico, comprendente la II e III rete
TV radio France, radio Francia d'oltremare, radio Francia
int~rnazionale e l'Istituto nazionale dell'audiovisivo
(INA); concedere l'autorizzazione per l'uso delle frequenze
radio e TV e lo sfruttamento dei sistemi di comunicazione
via cavo e satellite, controllarne l'utilizzazione ed eventualmente revocarla; infine - e sarà il compito più impegnativo - dovrà organizzare la cessione di TFl.
Limiti alla partecipazione straniera
La scelta di privatizzare la prima e più antica rete TV del
servizio pubblico, a preferenza delle altre due, è stata dettata da controverse considerazioni finanziarie e di gestione.
Il progetto Léotard autorizza lo Stato a cedere al settore
privato il capitale di TFl, in base alla seguente ripar_tizi~ne:
lOO?o ai salariati dell'azienda; 40% sotto forma di aziOm
messe sul mercato; 5007o a un consorzio, scelto dalla Commissione in funzione non solo delle offerte fi!lanziarie, ma
di precisi impegni in fatto di p_roduzio!le di prog~ammi ~u~­
turali ed educativi. Nell'ambito degli operaton associati,
nessun partner potrà detenere più del 25% del capitale e la
partecipazione straniera non potrà eccedere il 20%. Garanzia anti-trust, che vale anche per la V rete, il cui contratto
sarà revocato, ma potrà essere rinegoziato con gli attuali
proprietari (Berlusconi, che deteneva il 40% del capitale,
sarebbe comunque in posizione ultra minoritaria). Quanto
alla VI rete, verrebbe semplicemente soppressa.
Le difficoltà non fanno che cominciare. Sul piano legislativo, ci si attende una valanga di emendamenti quando
la riforma sarà discussa in Parlamento. Non è escluso che
Chirac ricorra a un "forcing", impegnando la responsabilità del governo sul progetto per troncare il dibattito, nel
La Francia, che fra i paesi europei è quello che ha più
gelosamente difeso il monopolio di Stato dell'audiovisivo,
abborda fra lotte e polemiche l'era delle inevitabili TV
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Durissima concorrenza
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MILA MALVESTITI
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Chi arriva per la prima volta in Belgio ha l'impressione
di fare un salto indietro nel tempo e di capitare in uno Stato appena all'abc della televisione: i tetti delle case sono
spogli e rarissime sono le antiestetiche antenne metalliche
accanto ai camini. Invece, si è già proiettati nel futuro. Il
Belgio infatti è la nazione al mondo che ha la più importante rete cavo: un cavetto di sei millimetri foderato in plastica entra discretamente in tutte le case assicurando 1'80o/o
delle trasmissioni. Inoltre i sudditi di Re Baldovino sono
dei privilegiati: rappresentano il prototipo.dell'Europeo del
2000. Standosene tranquillamente in pantofole dinnanzi al
piccolo schermo, possono fare incursioni nei programmi
televisivi dei paési membri della CEE.
Vi è solo l'imbarazzo della scelta: la televisione belga,
che appartiene allo Stato anche se il Governo Martens di
centro-destra intende rompere il monopolio ed ha progetti
di privatizzaziane, propone quattro reti nazionali, due in
lingua francese e due in fiammingo; piccole TV locali sono
a Liegi, Charleroi, Namur e Vervier. Vi è poi la cosidetta
TV5, che è francofona e nasce dalla cooperazione di Belgio, Svizzera e Francia, e manda in onda uno stesso programma per i tre paesi. Ma si possono captare anche Rai
l, 3 reti francesi, 4 tedesche, 2 olandesi, 5 inglesi, più una
lussemburghese in lingua francese. E si guarda lontano: i
nuovi apparecchi sono già attrezzati a recepire sino a 90 reti diverse.
EU
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L Europa 1n casa
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Belgio
La prima rete ha programmi molto più vari, che vanno
dalle emissioni politiche, scientifiche e scolastiche ai giochi, agli spettacoli di varietà e teatrali, ai film. Le emissioni
sono ben equilibrate: le informazioni, lo svago, la cultura
assorbono rispettivamente il 30o/o dei tempi di emissione,
mentre l'ultimo lOo/o è riservato a programmi educativi.
Solo l'informazione è "made in Belgium"; il resto proviene dai vari paesi europei, con pochissimo spazio per le
emissioni americane.
Sondaggi sull'indice di ascolto vedono in testa i telegiornali, seguiti da oltre un milione di persone. In seconda posizione vengono i film. In questo settore la RTBFl subisce
la durissima concorrenza della TV Iussemburghese (che è
privata con un apporto di capitali belgi della Banque Bruxelles Lambert): a suon di miliardi la RTL si è assicurata
famosi teleromanzi USA a puntate come Dallas, Dinasty e
Falcon Crest. Il duello è impari, però la RTBFl è partita
al contrattacco trasmettendo dal primo maggio il nuovo
grande "seria!" americano, "I Colby" messo in onda ogni
venerdì contemporaneamente alla saga di Falcon Crest sulla televisione lussemburghese.
È ancora troppo presto per dire quale dei due teleromanzi prevarrà nel favore del pubblico.
Mentre le due televisioni francofone sono regolate da un
decreto del Governo regionale vallone e sono decentralizzate, le due fiamminghe sono parastatali e centralizzate, con
programmi emessi integralmente da Bruxelles: La prima
TV delle Fiandre funziona naturalmente sette giorni su sette, mentre la seconda va anche lei in vacanza durante il fine
settimana. I programmi sono però simili: per il 50o/o "mirati" al divertimento, per il 25o/o all'informazione e per
l'ultimo 25o/o all'educazione. Le TV fiamminghe assicurano anche il servizio di télétex, che permette agli utenti,
semplicemente premendo un bottone, di avere sul video informazioni politiche, agricole, metereologiche, statistiche, i
listini di Borsa, etc.
I fiamminghi si differenziano dai loro colleghi e concor-
..
~-~-""- "
renti francofoni anche ~erché p:oducono in prot:rio il64o/o
dei rogrammi, mentre Il resto e compr~to o a~f1t.t~to dall.e
tele~isioni estere (il 13 o/o degli. spettato n ~tr~men .e a~er~) La maggioranza degli spettacoli f1ammmgh1 (Il
cano
· · d ramm~t 1c
" h e che.
60o/o) . dà la sua preferenza a produz10m
adattano a puntate per il piccolo schermo celebn romanzi
di autori locali.
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Le quattro reti belghe hanno un solo punto. m com.u~e.
"anno pubblicità per le singole marche d1 deters1v1 o
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elettrodomestici, hensì per cer~1. pro ott1 m g~nera e com
ffé 0 burro o per Enti pubblici come Il Credito Comur~a­
e la Cassa' di Risparmio e di ~ensione. Le c?s~ ca?1,bledl. certo per i telespettaton se Berluscom nuscua ad
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ottenere in Belgio, magari con partec1paz~one, 1 mmoranza, due reti ''private'', la prima delle quali sara certamente
in francese.
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ELENA GUICCIARDI
Fin da ora i membri di una famiglia belga poliglotta che
dispongano di vari apparecchi e non abbiano altro da fare
tutto il giorno, possono vedere dai 60 agli 80 film alla settimana, di cui un terzo circa in francese. Periodici specializzati aiutano nella selezione: uno spettacolo a tre stelle è
"da non mancare", a due è "da vedere", a urio "perchè
no?".
La prima televisione belga è stata la RTBFl in francese,
che ha esordito nel 1953 col telegiornale ed una commedia
musicale. Télé 2, pure francona, ha visto la luce solo nel
1977. Non si fanno tra loro concorrenza come quelle italiane. La seconda infatti è concentrata sugli avvenimenti internazionali di rilievo e su programmi specializzati soprattutto sportivi, ma l'indice di ascolto essendo in genere non
molto alto, sarà probabilmente la prima ad essere privatizzata. La sua epoca d'oro ha coinciso l'anno scorso con la
visita di cinque giorni di Papa Giovanni Paolo II in Belgio:
ha captato l'attenzione di milioni di spettatori trasmettendo integralmente in diretta dalla mattina alla sera le varie
cerimonie. Altra stagione felice, quella dei "mondiali" di
calcio a Città del Messico, che ha permesso ai tifosi di seguire indistintamente tutte le partite.
AH
qual caso i socialisti depositeranno una nuova mozione di
censura. Sul piano sindacale, la cessione di TFl suscita vive
proteste. D'altra parte i proprietari della V rete esigono
"miliardi" di risarcimento per la rottura del contratto che
avevano sottoscritto col governo socialista. Molte incertezze sussistono sull'ammontare che Io Stato potrà riCavare
dalla vendita di TFl (4 o 5 miliardi di franchi, secondo le
voci più attendibili, ma le valutazioni oscillano da 2 ad addirittura 20 miliardi), come sull'identità dei possibili acquirenti (per TFl i nomi più citati sono quelli di Robert Hersant, il magnate della stampa, e di Jean-Luc Lagardère,
presidente del gruppo Matra-Hachette-radio Europa l; per
il riacquisto della V è in lizza anche Jimmy Goldsmith,
proprietario del settimanale "Express"). Passeranno comunque almeno sei mesi prima di vederci chiaro nel nuovo
panorama francese dell'audiovisivo.
Grecia
Cassetta contro video
Le video-cassette, in Grecia, vanno a ruba. In gene:e ~ i
tratta di copie registrate clandestinamente, in barba a1 diritti d'autore, da piccole società private che non solo ~atu­
rano il mercato interno, ma esportano questa mercanz~a in parte pornografica - nei ~aesi del terzo m?n~o. ~ un
fenomeno di pirateria che ovviamente danneg~m. m P!Imo
luogo gli esercenti cinematografici, ma crea diff1colta anche per la televisione.
.
.
Qui, la TV via etere è m.o?opo~IO .esclusivo ~eli~ stato.
Buona parte dei programmi e cost1tmta da telef1lm I.mportati dagli USA o dalla Comunità Europea e anche, m una
certa misura, dai paesi dell'Est. ERT l e ERT. 2 - . que~te
le denominazioni dei due canali nazionali ~em1ttent1 regionali non ne esistono) - trasmettono nel sistema .SEC.~.M
secondo la variante tecnica adottata nella Germama Onen:
tale e diffondono, per autofinanziarsi, un. gran nume:o d1
"spot" pubblicitari. In realt~ il ~o~op.olio non ha d1 eh~
preoccuparsi, poiché il suo b1~anc10 e alimentato no~ dagli
abbonamenti cioè non da ch1 vuole, anche se a malmcuore, contribuir~i acquistando un t.elevisore, ma da. ~n'entrata
massima assicurata. Questa denva da una spec~f1ca t~~s ~­
zione imposta a ciascun utente s';llla .bo~l~tta dell elettnc1ta,
quasi a ribadire una question~ ~~ pnnc~p10, la assoluta prevalenza dello stato n:ell'eserclZlo telev1svo. La gelosa p;esenza dei pubblici poteri viene ribadita anche nella redazw-
ne del palinsesto dei programmi. Ma dall'~ltra P.arte ~ella
barricata c'è un pubblico formato, almeno m c~rt1 s~r~tl sociali (professionisti che ha.n~o freq.u~ntato .umvers1ta s~ra~
niere, lavoratori qualificati nentrat1 m patna dopo ~nm d1
emigrazione, intellettu~li) , da. persone non amanti ~elle
scelte obbligate: le quali prefenscono. le ~a~s et~e della ho ~
me video'' alla talvolta evidente medwcnta de1 programmi
via etere.
Boom del videoregistratore
Un videoregistratore da mezzo pollice, eh~ i~ altri paes~,
ad esempio in Italia dove esist~no n~m~,ro~1ss1me .TV pnvate, è considerato in casa quasi un d1 pm, m Grecia lo acquista chiunque se lo può ~ermett~r~. Questa tendenza ave~
va indotto numerosi locali pubblici a provvedere. per ch1
non ha questa possibilità: st:>e~ie i caffè e le "ou~enes", dove molti trascorrono volent1en anche delle ~re mtrattene~,­
dosi con gli amici per giocare una partita e d1scute~e del p1~
e del meno si erano provvisti di uno o anche due vi.deoreg~­
stratori, che consentivano ai clienti, per il p~ezzo d1 una bibita, di assistere a uno spettacolo talvolta pr~ma. ancor~ che
i cinema o la TV di stato lo avessero messo m CircolaziOne.
Da poche settimane, questo. è stat~ vietato pe: ~egge.
I pochi tentativi di creare m Grecia una tel~visione c?m:
merciale, condotti con inutile segretezza - qm tut.t?, ch1ssa
come, si viene assai presto a sapere - s?no abortiti sul nascere. C'è qualche "interferen~a~', spec1~ nel nor~ del pa~­
se, dove si ricevono programmi JUgoslavi, bu~gan e ~urch1,
e lungo la costa dello Jonio, dove giungono 1 segnali de~I~
televisione italiana. Ma ovunque prevale, anche per mot1v1
linguistici, la necessitata assuefazione a ciò c?e. trasmet~o:
no ERT uno e due. II quadro generale che s1 ncava qm e
dunque quello di una television~ sup.erco~tro~Iata, ~o~
qualche interessante diretta.e.moltl t~lef1l~ d1 cm alcu~1 d1
buona fattura confezionati m Grecia o m coproduziOne
con TV straniere, e parecchia informazione presentata con
rispettabile professionalità.
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Ma cosa prevedere per il n:?mento no~ I,ontan? m cm entreranno in funzione 1 satelliti? Questo e l amletico pr?blema del momento, visto che la diffu~io_n~ d.iretta sta diventando un fatto europeo. Ad Atene c1 s1 limita ad argomentare su ciò che potrebbe accadere quando questa dannat.a
questione scombussolerà tutto il pacif~co isolament? televisivo della Grecia, che dura da parecchio ma non puo essere
eterno.
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Da qualunque parte si cominci, per la TV, SI t~rna sempre a ragionare di politica. C'è da sperare che ch1 gove:na
acquisti sempre maggior fiducia nella gente ~h,e ~a ~ar,u~e­
stato, in tante occasioni, una notevole matu~1t.a d1 gm.dlZlo:
Di crisi ne sono state superate: la guerra c1v1~e degli anm
quaranta, la dittatura fascista, il regime censono e paternalistico di Caramanlis. II governo Papandreu a~v~rte la necessità di una maggior liberalizzazio1_1e, ~ome e d1mostr~to
dalla recente legge anticensura per Il cmema. La Gr~c1a,
ogni giorno che passa diventa un po: più, e.u ropea ed e un
po' meno isolata. E il pubblico non .~ cos~ Impreparato ~a
non saper scegliere il programma pm ~alido ~ accett~blle
nell'ampio ventaglio di possibilità che 1l satelli~~ .potra offrire, in provenienza da ogni p~rte del mondo. Pm mformazione vuoi dire più democrazia.
CLINIO FERRUCCI
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~"-""_""_"~
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Irlanda
In inglese e gaelico
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La RTE (Radio Telefis Eireann, Radiotelevisione irlandese) ha iniziato le trasmissioni televisive il l o dicembre 1961;
nel 1978 si è affiancato al primo canale il secondo. La RTE
è una ditta parastatale, opera con sistema di trasmissione
centralizzato, è regolamentata dai pubblici poteri secondo
le norme stabilite per legge dal Broadcasting Authority Act
del 1960, un emendamento al quale (Section 31, 1976) ha
ulteriormente precisato che, qualora il competente ministro
sia dell'opinione che certe questioni possano "promuovere
atti delittuosi, o ad essi incitare, o minacciare l'autorità dello Stato, egli avrà il potere di vietarne la trasmissione televisiva'', il che è effettivamente avvenuto in varie occasioni.
Possiede un televisore il 92 per cento delle famiglie irlandesi; il 42 per cento riceve solo le reti televisive RTE; il rimanente 58 per cento è collegato, oltre a queste, ai canali
della televisione britannica, con percentuale più alta nelle
zone urbane (soprattutto Dublino), via antenna, o, sempre
più diffusamente, via cavo: attuano l'installazione della rete cavo ditte con partecipazione RTE, come la Dublin Cable System. Forse anche a causa della varietà di programmi
resasi così disponibile, non si parla ancora ufficialmente di
una legislazione inerente a canali televisivi privati - al
contrario di quanto è accaduto per la radio, le cui reti private si affiancano oggi a quelle pubbliche. Alcune finanziarie, e soprattutto il gruppo Allied Irish Bank, hanno cominciato a manifestare interesse per le trasmissioni via satellite, di prossima attuazione in tutta Europa.
I programmi sono prevalentemente stranieri (il 70 per
cento del totale), in maggioranza inglesi e americani, per
via dei costi competitivi, della facile diffusione (senza necessità di doppiaggio) e della popolarità: tra questi prevalgono film, serial, telenovele (da Dallas, a Dinasty, ai polizieschi).
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Privati in rosso
E
Quindi si parla già di milioni di deficit delle TV private,
che non riescono ad autofinanziarsi con la pubblicità e insistono naturalmente perchè gli enti pubblici rinuncino al
loro spazio pubblicitario. Due parole sulla pubblicità: che
alla TV tedesca è limitata a una ventina di minuti al giorno,
rispettivamente su primo e secondo canale. È vietata dopo
le ore venti, la domenica e i giorni festivi, mentre sui terzi
programmi è vietata del tutto, così come è interdetta qualsiasi pubblicità di sigarette e prodotti alcolici.
Poche settimane fa comunque i lea~ers delle giunte di
Baviera, Renania-Palatinato e Baden-Wuerttemberg, tutte e
tre democristiani, hanno firmato un accordo per destinare
in comune un canale ai privati. La novità consiste nel fatto
che il nuovo satellite TV "Sat 1", che verrà lanciato nello
spazio in settembre e incomincerà a trasmettere l'anno
prossimo, sarà così potente da non aver più bisogno della
rete cavo per diffondere le sue trasmissioni. Basterà un'antenna da 60 o 90 centimetri e l'utente risparmierà sia le spese dell'allacciamento alla rete cavo che il canone mensile.
Ma gli enti pubblici si sono già preparati alla sfida dei privati attuando una serie di modifiche, aumentando per
esempio il numero dei programmi di intrattenimento, le
trasmissioni di rock-pop per i giovanissimi o trasmettendo
semplicemente più film . Anche in Germania vanno di gran
moda film e serie americane come "Dinasty" e "Dallas".
Ma negli ultimi anni la TV tedesca ha provveduto a finanziare a sua volta film e serie televisive, che, dopo aver avuto
molto successo in Germania stanno conquistando ora anche gli americani.
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Una cosa è sempre stata chiara nella Repubblica federale
tedesca e cioè che, superato il fascino iniziale dell' «esempio Italia», la Germania non sarebbe mai diventata una selva di radio e TV private.
Oggi la scena tedesca è saldamente in mano agli enti rad.iotelevisivi pubblici. I privati, finora pochini, ci sono da
circa due anni, ma soltanto per chi è abbonato alla rete cavo, anche se ciò non vale dappertutto, per esempio non per
gli utenti in Assia e a Brema, poiché lo vieta la legge in
quelle regioni. L'ostacolo principale per radio e TV private
dunque è da una parte di tipo legale legato alle singole regioni, dall'altra è politico, come vedremo in seguito. Ma incominciamo con la radio perchè è più semplice da spiegare.
Le trasmissioni radiofoniche con diversi programmi (da
due a cinque) non dipendono da un sistema centrale, ma
regionale, anche se alcuni enti più piccoli hanno per diverse
ore al giorno dei programmi in comune. L'unico programn:a radiofonico "nazionale" è il notturno, tra l'una e le
·
cmque di mattina, di sola musica.
Più complicato il sistema televisivo. Le reti principali sono tre: I ARD e II ZDF che sono nazionali e III rete con
i singoli programmi regionali. Il primo programma ARD
viene prodotto a turno da nove enti (il più grande è il
WRD, Westdeutscher Rundfunk, con sede a Colonia). Lavorano insieme dal 1959 e producono anche i programmi
radio fonici.
Lo ZDF, secondo programma, invece fa soltanto televisione ed ha sede a Magonza/ Wiesbaden. Ha una varietà di
programmi paragonabili a quelli della prima rete, con la
quale ci sono rapporti di concorrenza, ma con intese di
massima su alcuni punti a favore dell'utente. Per esempio
i mondiali di calcio dal Messico sono stati trasmessi a turno: mentre su una rete si accentrava l'interesse dei tifosi di
calcio, l'altra offriva un film, un programma di intrattenimento o altro e il giorno dopo viceversa. La II rete ZDF,
è sempre stata politicamente legata ai democristiani che sono invece in continuo contrasto con la prima rete. L'influenza politica si fa più sentire da quando democristiani
e liberali al governo puntano ad aprire le porte ai privati,
mentre i socialdemocratici, nelle regioni dove governano,
tendono a privilegiare il sistema pubblico. Da circa due anni dunque, chi è allacciato alla rete cavo e dispone di apparecchi moderni (la vecchia televisione non basta) può ricevere da 11 a 18 programmi televisivi, a seconda delle leggi
in vigore e delle disponibilità tecniche. E cioè: prima e seconda rete, 4 o 5 programmi regionali, due programmi privati in tedesco, che sono " Sat l" e "RTL plus" dal Lus-
EU
Il cavo non sfonda
HA
Germania
semburgo. "Sat l" è prodotto e finanziato da un gruppo
di editori tedeschi, tra cui Springer, Bauer, Burda, la DGBank di Francoforte, mentre il lussemburghese ''RTL
plus", suo acerrimo concorrente, è in mano per il 4007o ad
un altro gigante dell'editoria tedesca, Bertelsmann. Gli altri programmi sono: "3 Sat" una coproduzione tra ZDF e
TV Svizzera e Austriaca. "Eins plus", nuovo di zecca, un
programma culturale dell'ARI), contrastato fino all'ultimo
dai democristiani, perchè vedono così ridotte le possibilità
di inserimento di privati. ''Europa Tv'' in diverse lingue europee con sede a Hilversum, (Olanda), cui partecipa l'ARD
con il 200Jo. "Sky Channel", in inglese, dell'editore britannico Murdoch, "TV 5 Satellimages" in francese, al quale
collaborano diversi enti televisivi di Francia, Belgio e
Svizzera.
Chi abita vicino a qualche confine riceve inoltre, due
programmi della Germania est oppure programmi francesi,
belgi, olandesi, svizzeri, austriaci, ecc. Circa cinque milioni
di allacciamenti alla rete cavo sarebbero disponibili, secondo gli annunci del ministero delle poste. In pratica però soltanto un terzo è stato usato finora e la metà di questi lo ha
fatto per migliorare la ricezione tecnica dei programmi tradizionali e non tanto perchè invogliati dalla TV privata.
Il motivo principale del basso numero di utenti sono gli
alti costi. Intanto bisogna sborsare una somma di circa
300.000, versamento unico, per l'allacciamento, poi circa
7.000 lire al mese di canone mensile solo per il cavo e infine
il conto salato dell'elettricista per il collegamento stradaappartamento.
MARIOLINA STEVANIN KLUNKERT
•
to di un notiziario quotidiano (Nuacht) e di una rubrica
settimanale di commento ai fatti salienti (Iris 86), quaranta
minuti il lunedì; e, occasionalmente, di intrattenimento, arti varie e musica, la quale ultima, avendo un ruolo fondamentale nella cultura gaelica, copre un tempo di trasmissione più alto. Le associazioni gaeliche lamentano la scarsità di tali programmi e auspicano una più intensa presenza
della lingua irlandese.
Tra i programmi prodotti in Irlanda in lingua inglese il
più noto (e forse il più seguito tra tutti quelli disponibili
sulle varie reti) è il Late Late Show, in onda da 25 anni il
venerdì sera, fatto di dibattito, interviste a personaggi noti,
casi di gente comune ed intrattenimento. L'alto indice di
gradimento è dovuto sia alla notorietà del presentatore,
Gay Byrne, il quale conduce anche uno show quotidiano
alla radio, sia al collage di argomenti e al tono colloquiale
amato dagli irlandesi. Di grande popolarità altri programmi irlandesi di intrattenimento, soprattutto i serial, tra i
quali, al primo posto, Glenroe, che, ambientato anni fa nel
cuore agricolo del paese, riflette oggi, in parte, la mutata
situazione sociale, con protagonisti residenti in una zona
geografica tra la città e la campagna. Assai seguiti gli eventi sportivi. I programmi di informazione, benché non prioritari quantitativamente, vengono seguiti con attenzione,
ed anzi costituiscono, come altrove, la più abituale fonte di
accesso alla cronaca per larghi strati della popolazione. Tra
le rubriche settimanali si segnala The Women's Programme (Il programma delle donne), prodotto e diretto da giornaliste, sui problemi e l'identità della donna irlandese di
oggi: di recente programmazione, ha avuto molto successo.
Per i più giovani, nonostante il non alto numero di ore di
trasmissione, ci sono programmi educativi e di divertimento, e soprattutto quello del sabato mattina (3 ore). I programmi religiosi coprono il 2 per cento dell'intera produzione (l'Angelus alle 18, programmi liturgici e di discussione): sono in larga misura cattolici, ma il 25 per cento è dedicato ad altre confessioni religiose, ossia in primo luogo
quelle protestanti, poi altre, di quando in quando. Non frequenti i programmi letterali e artistici. La pubblicità occupa il 10 per cento del tempo di trasmissione serale (circa 7
minuti all'ora). I programmi terminano verso le 23 ,30 (più
tardi durante il weekend) con l'inno nazionale.
ROBERTO BERTONI
•
Produzione nazionale
La limitatezza della produzione nazionale è dovuta principalmente a problemi finanziari: costi di produzione, reperimento e finanziamento di personale specializzato. La
sproporzione tra programmi stranieri e nazionali era più
bassa fino a pochi anni fa: ·ad RTE dichiarano esserci la
ferma intenzione di incrementare entro i prossimi tre anni
l'attuale 30 per cento di programmi irlandesi (normalmente trasmessi tra settembre e giugno). Il problema è tanto più
serio in quanto nell~ Repubblica esiste una situazione non
solo culturale, ma anche linguistica, complessa, di compresenza di gaelico (in minoranza) e inglese, di società urbana
e rurale, di intreccio tra cultura tradizionale e no. I programmi in lingua gaelica costituiscono il lO per cento (percentuale inferiore a quella radiofonica): si tratta soprattut-
Portogallo
Conc<
orrenza in vista
La "RTP" - radiotelevisione portoghese - è stata
.creata nel 1955 su iniziativa del governo di allora (Antonio
Oliveira Salazar), con lo statuto di società anonima a responsabilità limitata e con il capitale ripartito tra Stato,
21
Indici di ascolto
Gli indici più alti d'ascolto, forniti dalla RTP, dicono che
cinque milioni di spettatori- tra gli otto milioni di abitanti con età uguale o superiore ai 12 anni - mostrano preferenze per le "telenovelas" brasiliane (68,6%), per il telegiornale (57,1) e per un concorso (Un due tre) che settimanalmente mette in palio grossi premi (54,4). Le percentuali
di produzione nazionale si sono aggirate, nel 1985, attorno
al 50% per il primo canale e a 45 per il secondo. Il resto
della programmazione è coperto da programmi statunitensi e in modeste proporzioni da quelli europei, Italia
compresa.
Ve~ti centri trasmettitori diffondono attualmente il primo e Il secondo programma della RTP. I ritrasmettitori sono 37 per il primo e otto per il secondo canale. Una tale
distribuzione del segnale TV, riferita alla popolazione fornisce una copertura del 94,9% del primo canale ~ del
72,7% del secondo.
Per quanto riguarda la concorrenza, la RTP non ha ancora rivali. Un progetto di legge di iniziativa governativa
tuttavia è già stato presentato in questa legislatura in Parlamento per regolamentare la cosidetta ''libertà di antenna''
e tutto indica, allo stato attuale, che il monopolio della
RTP abbia i giorni contati.
•
gli acquisti dominano i programmi in lingua inglese, compresa da buona parte della popolazione. Come al cinema,
la televisione non doppia i programmi stranieri, limitandosi ad applicare dei sottotitoli.
.
Serie americane di successo quali "Dallas" e " Dinasty"
hanno raggiunto altissimi indici di gradimento, peraltro
largamente superati dal "capocannoniere" , "Matador",
una serie di produzione ed ambiente danese, ben veduta all'estero sotto il titolo di "Monopoli" . Tra gli acquirenti fi gura la "Rai 2".
Gli insoddisfatti non sono pochi: c'è chi ritiene di non
sentire più il bisogno di tornare sui banchi di scuola, ma
poter godere una serata divertente e rilassante. C' è chi critica la qualità dell'informazione televisiva danese considerata troppo a sensq unico. In comune i critici hanno l'avversione al monopolio radiofonico e televisivo dell'ente pub blico che una maggioranza politica ha voluto finanziato
esclusivamente dai canoni d'abbonamento.
Della televisione per cavo si è parlato a lungo, ma senza
risultati. Alcuni telespettatori abitanti nell' isola di Selandia o in alcune zone della penisola di Jutlandia possono
premere i tasti del canale l o 2 della televisione svedese. La
lingua è, grosso modo, comprensibile, ma la televisione svedese non gode certo fama di essere più "frivola" di quella
danese. Gli abitanti delle zone meridionali della Danimarca possono scegliere, a seconda delle preferenze politiche e
culturali, i programmi televisivi della Germania Occidentale o Orientale.
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AH
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ADOLFO D'AMICO
Due voti di maggioranza
Danimarca
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Aspettando il 1988
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Alle ore 19.30 esatte la famiglia danese tipica e ben ordinata è seduta comodamente sulle poltrone ed il sofà del
soggiorno, davanti al televisore, con l'immancabile bricco
di caffé fumante sul tavolo basso. La cena è già stata servita e la cucina rimessa in ordine. Mentre i genitori · tornati
dal lavoro si sono dedicati alla preparazione del pasto giornaliero, i bambini sono stati intrattenuti dallo schermo televisivo con programmi per l'infanzia. Ma alle 19.30 inizia
il programma della serata con il telegiornale. Nessuno si
pone il problema della scelta: fin dall'inizio delle trasmissioni televisive, 35 anni fa, la Danimarca ha avuto il solo
canale della television~ ufficiale, "Danmarks radio", un
ente autonomo guidato da un direttore generale, ma con
due sezioni separate per radio e televisione. Il supremo organo direttivo è "Radioraadet" (consiglio radiofonico)
composto da 24 membri, nominati per buona parte dai
partiti politici, con presidente e vicepresidente nominati
dal ministro della cultura.
Non sempre la famiglia danese può attendersi dalla serata svago o distensione. Secondo i dati forniti dalla stessa
TV danese i "programmi di intrattenimento" coprono circa 410 ore di trasmissione l'anno su un totale di circa 3.000
(naturalmente con la difficoltà di indicare un confine valido tra informazione e svago).
La proporzione tra i programmi di produzione nazionale
ed i programmi di provenienza estera è di circa 50-50%. Tra
HA
emittenti radiofoniche, banche e privati. Tale situazione si
è mantenuta sino alla statizzazione dell'ente avvenuta nel
1975, all ' indomani cioè della cosidetta "rivoluzione dei garofani" che ha rovesciato il regime fascista e corporativo
durato circa mezzo secolo.
Alla fine del 1979 è stata peraltro approvata la legge che
ha regolato lo statuto dell'impresa pubblica e l'attività della RTP che è stata a sua volta completata da un decreto del
1980 nel quale l'azienda è stata definita persona giuridica
di diritto pubblico e le è stata attribuita autonomia dal
punto di vista amministrativo, finanziario e patrimoniale.
Le finalità della RTP: promuovere la formazione e l'informazione del popolo portoghese, difendendo e sostenendo i valori culturali del paese, contribuire al progresso sociale attraverso programmi ricreativi, nel rispetto dei diritti
e delle libertà fondamentali sanciti dalla costituzione e rinforzare, infine, la proiezione dell'immagine del Portogallo
nel mondo.
Per realizzare tali obiettivi, la RTP manda i~ onda quotidianamente programmi caratterizzati soprattutto da buone
aperture ai temi più attuali. Con due canali - il secondo
è stato inaugurato nel dicembre del 1968 - la RTP dall'aprile di quest'anno trasmette dal lunedì al venerdì otto ore
di programmi (sul primo canale) e tre ore e mezza (sul secondo). Al sabato e alla domenica questi periodi si elevano
a undici ore e mezza nel primo e a otto nel secondo canale.
Fatti i conti le ore di trasmissione si aggirano attorno alle
63 ore per il primo e a 35 per il secondo canale. Questi dati
- che si riferiscono al Pòrtogallo continentale - e che
non includono la telescuola, sotto la responsabilità del ministero della pubblica istruzione con circa 4 ore di trasmissione per settimana - riflettono equilibri dai quali sono
esclusi ancora gli arcipelaghi delle Azzorre e di Madeira
che - come regioni completamente autonome - si regolano secondo le loro peculiari esigenze.
Il finanziamento della RTP è assicurato da un doppio
gettito: le tasse erariali (attualmente equivalenti a 45.200 lire per ogni apparecchio TV a colori e a 23.400 per il bianco
e nero) e la pubblicità che è stata concessa alla "RTC" (radiotelevisione commerciale) - azienda al 900Jo della RTP
- che nel 1985 ha fatturato complessivamente l'equivalente di 37 miliardi di lire. Cifre attualizzate al marzo del1986,
indicano che gli apparecchi televisivi sono complessivamente 1.578.750 dei quali 1.406.290 in bianco e nero e
172.460 a colori. A questo proposito va ricordato che le trasmissioni a colori (PAL) sono cominciate nel1980. La realtà, tuttavia, è ben differente, perchè secondo fonti statistiche ufficiali, esistono in Portogallo circa 900.000 apparecchi televisivi "clandestini" (cioè non registrati) che elevano
il numero globale a due milioni e mezzo di televisori con
una percentuale dell'82% di case con la TV.
'
Da oltre un decennio il dibattito su radio e televisione è
stato un argomento "caldo": informazione e svago liberi
da condizionamenti esterni per i socialdemocratici, informazione e svago in regime di aperta concorrenza per il centro destra. Soltanto a fine maggio di quest'anno il governo
minoritario di centro-destra è riuscito a far approvare al
Parlamento la decisione di istituire un secondo canale finanziato da pubblicità e canone d'abbonamento. La decisione è passata con due soli voti di maggioranza, contro la
decisa opposizione delle sinistre e del partito radicale, di
posizione centrista. I due voti sono venuti da un indipendente fuoruscito dal ''partito del progresso' ' e da un rappresentante delle isole Faeroe, a cui la tradizione impone di
astenersi quando si tratta di problemi di esclusiva competenza del territorio metropolitano. La nuova rete dovrebbe
entrare in funzione nel 1988.
Il successo, seppur di strettissima misura, limitato del
governo è probabilmente dovuto ad una mossa tattica che
risale ad oltre due anni fa. Il ministro della cultura concesse alcune ore di trasmissione settimanali a società private,
ma solo a titolo sperimentale per un triennio ed a condizione che i finanziamenti non avvenissero attraverso la pubblicità. Le soluzioni sono state diverse: una concessionaria,
"Canale 2", ha fatto ricorso alla vendita di decodificatori
più canone d'abbonamento, ma si è trovata più volte in difficoltà finanziarie. In diversi casi si sono registrati casi d'elusione del divieto pubblicitario. Comunque venga valutato l'esito dell'esperimento, esso ha costituito un primo elemento concorrenziale rispetto alla TV ufficiale, attirando
tra l'altro, .giornalisti ed operatori televisivi alla ricerca di
nuove esperienze.
TV 2 nel 1988? L'amletico dubbio sembra risolto. Sempre che un'eventuale nuova maggioranza non rimetta in
ballo una decisione dovuta a due "franchi tiratori".
ETTORE LOLLI
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Spagna
Trionfo dello spot
La Televisione spagnola (TVE) cominciò a cambiar volto
nel 1982 in occasione dei Mondiali di calcio. Le vecchie
strutture di Prado del Rey, alla periferia di Madrid, erano
ormai divenute insufficienti; da tempo si parlava di costruire un nuovo centro di produzione televisiva, e il grande
avvenimento sportivo accelerò la decisione. Nacque così il
complesso di Torre Espaiia: moderno, funzionale, dotato
di un'alta e potente antenna. Per tutto il campionato vi fu
un formicolare di tecnici e giornalisti stranieri, un incrocio
di lingue e di esperienze. Tutto andò bene; la TVE superò
la prova brillantemente e, dal punto di vista tecnico, non rimasero più confronti a suo sfavore. Bisognava però svecchiare lo stile e cambiare programmazione, dando impulso
a una maggiore produzione propria. Fu questo, infatti, l'obiettivo fondamentale che si proposero di raggiungere i
nuovi dirigenti della TVE, nominati dopo le elezioni politiche del28 ottobre 1982, che portarono i socialisti al potere.
In questi ultimi quattro anni si è cercato quindi di arginare la ''colonizzazione'' dei programmi nord-americani,
di produrre molto di più in proprio e di favorire la collaborazione con le televisioni pubbliche dei paesi europei vicini
alla Spagna per affinità culturali e linguistiche, come la
RAI. Tuttavia il raggiungimento di -questi obiettivi presupponeva mezzi finanziari abbastanza ampi, di cui non vi era
la disponibilità.
La Radiotelevisione spagnola (RTVE) è un ente pubblico
che si articola in tre società distinte: ' 'Television Espaiiola''
(TVE), "Radio Nacional de Espaiia" (RNE) e "Radiocadena Espaiiola" (RCE). Le entrate sono rappresentate dalla pubblicità, dalla vendita dei programmi e dall 'assistenza
tecnica a enti pubblici e privati di altri paesi. Non vi è canone di abbonamento nè per la radio; nè per la televisione,
e non vi sono sovvenzioni statali per sanare eventuali deficit di bilancio o per integrare le spese dell'Istituto di formazione professionale radio-televisiva, dell'orchestra sinfonica e delle trasmissioni radio per l'estero. Non vi è nemmeno
un aiuto da parte delle autonomie locali, nonostante che
negli ultimi tempi si sia fatto uno sforzo notevole per potenziare i centri di produzione regionali. Per di più tutte le
spese ricadono sulla Televisione che, oltre a mantenere se
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•
Lussemburgo
Privato e internazionale
Anche nei tempi in cui nella maggior parte dei paesi europei il regime radiotelevisivo più diffuso era il servizio
pubblico, il Granducato di Lussemburgo ha sempre fatto
24
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UE
sconfitta recentemente subita in Francia ad opera del grup. po Seydoux-Berlusconi è stata accolta con viva contrarietà:
la CLT ha assolutamente bisogno di allargare la sua base
di ascolto sui suoi due mercati più significativi e cioè la
Francia e Germania federale.
In queste grandi manovre il pubblico lussemburghese fa
un po' la figura del parente povero. Pur essendo concessionaria monopolista del governo lussemburghese, la CLT
non dedica il meglio dei suoi sforzi al Granducato che deve
contentarsi di un programma embrionale sia per quanto riguarda la televisione (un programma di un'ora e mezza la
domenica) che la radio.
Del resto il Lussemburgo che è uno dei paesi europei dove la rete cavo è più densa - oltre il 60% delle famiglie vi
è allacciato - ha solo l'imbarazzo della scelta in materia
d'offerta televisiva. Le reti cavo offrono fino a 16 programmi e la preferenza va di gran lunga ai programmi tedeschi,
il che spiega anche il grande successo del programma RTL
plus, il solo programma '' made in Luxembourg'' a riscuotere i favori dei telespettatori lussemburghesi.
MARIO HIRSCH
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Giochi, serie e film
La RTL Televisione è riuscita a conquistarsi un certo
pubblico lorenese, vallone e tedesco puntando sull'intrattenimento nelle sue forme più semplici. La ricetta consiste in
una profusione di giochi, serie americane e almeno un film
per sera. Lo spazio consacrato all'informazione, alla cultura e al dibattito ha una funzione del tutto subalterna. Stando alle dichiarazioni dei responsabili della CLT, questo
cocktail è composto per oltre il 50% di autoproduzioni.
Questa percentuale di tutto rispetto trova la sua spiegazione nello spazio prevalente riservç~.to ai giochi televisivi e
"talk-shows" (spettacoli-conversazione) di facile presa.
Per contro in materia di "fiction" la parte dell'autoproduzione resta trascurabile e il ricorso a programmi acquistati
altrove è la regola prevalente.
Nei quattro paesi in cui i programmi di RTL Television
possono attualmente essere captati (Lussemburgo, Belgio,
Francia, Germania federale), la CLT beneficia di un'udienza cumulativa che non supera i 5 milioni, un livello che non
garantisce la redditività economica. È per questo che la
HA
ANNIBALE VASILE
E
L'esempio più chiaro è recentissimo. Il 27 giugno, dopo
un massiccio lancio pubblicitario, è stato trasmesso sulla
prima rete dalle 21,15 in poi "Via col vento", il film dei dieci Oscar, uno dei più lunghi finora mai prodotti. La proiezione è stata spezzata da ben 127 annunci pubblicitari, per
una durata complessiva di 52 minuti e 45 secondi. Da questa ''barbarie pubblicitaria'', la TVE ha tratto un utile di
quasi 429 milioni di pesetas, pari a circa quattro miliardi
e mezzo di lire. Molti l'hanno visto e registrato, seguendo
l'invito di un giornale che ha definito il film "una produzione cinematografica degna di essere conservata nella videoteca di casa''.
La video-cassetta in Spagna è un bene di consumo di
grande diffusione. Madrid è piena di "video clubs", che
vendono e soprattutto affittano (alcuni fino alle tre di notte) pellicole di qualsiasi genere, ovviamente non interrotte
dalla pubblicità. La spiegazione e data dal fatto che in Spagna esistono soltanto due canali a diffusione nazionale:
quelli della televisione pubblica. Accanto a questi vi sono ·
alcune reti in Catalogna (TV3, Televisio de Catalunya), nel
Paese Basco (EITB, Euskal Irrati-Telebista) e in Galizia
(TVG, Television de Galicia), che trasmettono programmi
e telegiornali in lingua catalana, basca e galiziana, e che sono sovvenzionate dai rispettivi governi regionali. Da appena un anno si possono captare, via satellite, emissioni provenienti da altri paesi europei e dagli Stati Uniti. Si tratta
però di un privilegio ancora per pochi, dato che è necessario installare_ una costosa antenna ricevente, il cui raggio di
servizio è alquanto limitato.
Le televisioni private non esistono. Prima delle recenti
elezioni politiche, il Governo aveva presentato un disegno
di legge per la concessione di tre canali. Ma il Parlamento
non ha fatto in tempo a discuterlo, e dovrà ora essere presentato di nuovo. Le previsioni sono quelle di un complesso
iter legislativo e di tempi abbastanza lunghi per l'entrata in
funzione delle "private". I dirigenti della RTVE si stanno
già preparando al ''confronto'', che - dicono - sarà positivo e stimolante per tutti.
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127 spot
eccezione alla regola anticipando il sistema che sembra oggi destinato a diventare anche in altri paesi il modello prevalente d'organizzazione dell'audiovisivo. Fin dall'origine
infatti il servizio pubblico di radiodiffusione è stato concesso a un'impresa privata a carattere commerciale: le origini della ''Compagnia lussemburghese di telediffusione
(CLT)" risalgono infatti agli anni '30.
La CLT, società di diritto lussemburghese, è concessionaria del servizio pubblico dell'audiovisivo nel Granducato
e i legami contrattuali con lo Stato lussemburghese le hanno anzi assicurato un invidiabile monopolio.
In contropartita il governo lussemburghese conserva incisivi poteri di controllo sul funzionamento del suo concessionario che è soggetto a taluni obblighi di servizio pubblico, così come esercita uno stretto controllo sulla composizione dell'azionariato della CLT (7007o delle parti sociali
sono nominative e non possono essere cedute senza l'accordo governativo).
Contemporaneamente la CLT, che è uno dei primi gruppi multimedia europei, ha un carattere molto internazionale sia in ragione del suo azionariato (composto per oltre il
90% di interessi stranieri essenzialmente belgi e francesi)
sia in ragione delle sue attività. Il suo giro d'affari è realizzato per il 980Jo fuori dalle frontiere lussemburghesi, principalmente in Francia, Belgio e Germania federale. D'altra
parte il regime della concessione fa sì che oltre il 60% dei
profitti riaffluisca all'erario del granducato sotto forma di
canoni e imposte.
Internazionale la CLT lo è anche per l'importante funzione svolta dalle sue filiali nell'industria europea dei programmi: nel corso degli anni si è dotata infatti di un impressionante potenziale di produzione dove sono presenti
alcuni dei principali produttori europei.
La programmazione-tipo che ha fatto il successo della
RTL Television in Belgio, Francia e Germania (le tre aree
che corrispondono ai tre programmi televisivi diffusi dalla
RTL) è dettata da una rigorosa logica commerciale: i programmi e la loro programmazione determinano il livello
dell' "audience" che determina l'entità del gettito pubblicitario il quale, a sua volta, finanzia i programmi.
EU
stessa, è tenuta ad alimentare completamente anche la Radio (che non trasmette pubblicità) e a colmare il disavanzo
di Radiocadena.
Nonostante l'aumento progressivo dei costi di gestione e
uno spettacolare incremento della produzione propria (settemila ore annuali in più), il bilancio della RTVE per il
1985 si è chiuso però con un attivo di 1.423 milioni di pesetas, quasi 15 miliardi di lire. Ma a quale costo?
Gran Bretagna
Le regole del gioco
La televisione è considerata in Gran Bretagna come un
servizio pubblico indipendente, nel rispetto degli obiettivi
fissati dal Parlamento. Due enti pubblici - la British
Broadcasting Corporation (BBC) e la Independent Broadcasting Authority (IBA) - sovrintendono ai programmi
suddivisi su quattro canali, due dei quali fanno capo alla
BBC e gli altri alle organizzazioni commerciali che alimentano i loro introiti con gli spots pubblicitari.
In via preliminare lo spettatore è quindi libero di scegliere tra un film proiettato ininterrottamente e un film intercalato ogni quarto d'ora da immagini di lavatrici automatiche o di sfavillanti dentifrici.
L'indipendenza elargita ai curatori dei programmi comporta obblighi sul loro contenuto: imparzialità e accuratezza nei notiziari, rispetto del buongusto e della moralità di
un normale telespettatore, omissione di scene particolarmente violente prima che i bambini siano andati a letto, vasta gamma di argomenti affinchè siano tenuti in considerazione gli interessi delle varie categorie di cittadini.
Un codice di comportamento è fissato anche per gli inserzionisti della TV commerciille, e una speciale commissione si tiene pronta ad esaminare tutti i reclami che vengano presentati dai telespettatori per violazione della "privacy" o -dei criteri di equità da parte di un determinato programma.
Il ministro dell'interno può impartire direttive di carattere generale sull'orientamento dei programmi e ne risponde
al Parlamento; non gli competono però prerogative di carattere censorio. Invano l'Arabia Saudita e altri paesi arabi
tentarono d'impedire la programmazione di un documentario sulle pene di morte inflitte a una coppia di adulteri
in base ai dettami coranici; in quella circostanza il ministro
degli esteri di Londra deplorò pubblicamente la trasmissione ma aggiunse che la libertà televisiva sarebbe stata salvaguardata anche se avesse leso gli interessi governativi sul
piano internazionale.
La BBC è retta da una commissione costituita da dodici
governatori di nomina reale, su designazione del governo.
Ne fanno istituzionalmente parte anche tre governatori regionali per la Scozia, il Galles e l'Irlanda del Nord, assistiti
a loro volta da consigli locali. I programmi della BBC sono
finanziati dai canoni di abbonamento: 18 sterline annue
per un televisore in bianco e nero, 58 per la TV a colori.
Il passatempo più diffuso
Le più recenti statistiche fanno ascendere gli abbonamenti a quasi 19 milioni, dei quali circa 15 milioni e mezzo
sono per il colore. In media ogni cittadino britannico trascorre ventuno ore a settimana dinanzi al video, che è diventato così il passatempo più diffuso anche in questa
nazione.
La Independent Broadcasting Authority è retta da un
consiglio i cui dodici membri sono nominati dal ministro
dell'interno. Essa non produce i programmi direttamente
ma attraverso società indipendenti, appositamente costituite. Un notiziario comune è prodotto da tutte queste società
mediante una società di cui sono azioniste, la Independent
Television News Ltd., che non si propone fini di lucro.
La BBC iniziò i suoi"programnii televisivi nell'immediato dopoguerra mentre i programmi della cosiddetta televisione "indipendente" (o commerciale) risalgono al1955. Il
quarto canale è nato soltanto nel 1982 e finora gli utenti
non ricevono automaticamente i programmi europei di oltre Manica. Ma la presenza straniera si fa sentire soprattutto attraverso le saghe americane del tipo "Dallas", "Dinasty" e "Colby", le detective-stories intessute di emozionanti inseguimenti automobilistici e alcuni talk-shows hollywoodiani.
I due canali della BBC tentano di diversificarsi in modo
da fronteggiare si dedica la concorrenza dei programmi
commerciali. Il primo canale efficacemente in prevalenza
agli affari correnti con puntuali notiziari e documentari
senza trascurare lo sport, l'arte varia e i programmi per
bambini.
Il secondo canale offre una maggiore enfasi agli interessi
delle minoranze, con commedie, concerti, opera lirica, film
in lingue straniere con sottotitoli in inglese.
Anche la televisione inglese ha prodotto saghe interminabili come "Coronation Street" e "Eastenders", nelle
quali i problemi di piccoli nuclei familiari rispecchiano le
caratteristiche nazionali.
Sette operatori televisivi via cavo diffondono programmi
in tredici aree provinciali ai rispettivi" sottoscrittori in via
sperimentale fin dal1981, su licenza rilasciata dal ministero
degli interni e dalla British Telecom. Una nuova istituzione,
la "Cable Authority", è stata incaricata di sorvegliare i
programmi via cavo e di promuoverne la diffusione nel
futuro.
LUIGI FORNI
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Emittenti regionali
Esistono in Olanda solo due emittenti regionali (una nel
Nord e l'altra nel Sud, nel Limburgo), ma più diffuso è il
fenomeno dei programmi televisivi cittadini (dedicati agli
avvenimenti locali e alla cultura), di diffusione assai limitata e sostenuta dalla amministrazione comunale. Anche in
questo campo la varietà è la più grande, come d'altronde
è grande nella programmazione delle Stichtingen di cui abbiamo parlato: ognuna ha la sua politica culturale (la ''Veranica'' è la più aperta ai prodotti americani, per esempio,
mentre l'emittente protestante è più interessata alla produzione locale). Il "liberalismo" del sistema olandese non arriva tuttavia a permettere il moltiplicarsi di società private
e commerciali. Più tolleranti sono le autorità solo nei riguardi di qualche sporadica iniziativa locale delle minoranze: alcune associazioni di stranieri, nel quadro di varie
emittenti cittadine, possono diffondere brevi trasmissioni
in diverse lingue, a fini puramente sociali e senza lucro.
Niente pubblicità, dunque, nemmeno qui perché in questo
campo gli olandesi sono severissimi. Un anno fa il ministro
della cultura ha lanciato una campagna antipubblicità
multando delle Fondazioni che in qualche trasmissione
avevano senza volere ''sponsorizzato'' dei prodotti che apparivano in scena. La satira è subito scattata (essa sì, tollerata), ed un popolare presentatore ha tenuto una rubrica di
recensioni librarie senza mai nominare titoli, nè autori, nè
tanto meno case editrici ...
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Il servizio televisivo in Olanda è organizzato secondo criteri molto particolari, probabilmente unici nel mondo, che
sembrano rispondere a due principi: quello della ''democraticità'' della gestione e del compromesso tra il sistema
pubblico e il privato. Esiste anzitutto un ente pubblico,
NOS, che provvede alle attrezzature tecniche ed al coordinamento dei programmi, ma che gestisce in proprio solo
una piccola parte delle trasmissioni: i telegiornali, qualche
rubrica culturale ed i servizi dedicati alle minoranze
etniche.
Il resto del tempo di trasmissione viene diviso tra numerose fondazioni private (Stichtingen), che si distinguono
per una dichiarata impostazione ideologica, religiosa oppure per una scelta, diciamo così, "apolitica". Quest'ultimo è il caso della fondazione ''Veronica'' che nei suoi programmi comprende spettacoli di puro intrattenimento del
tutto privi di ambizioni culturali. Le altre fondazioni si presentano qualificate da un'etichetta precisa: la fondazione
protestante quella cattolica, quella socialista ... Ognuna di
esse riceve un tempo di trasmissione (ed un finanziamento
corrispondente) proporzionale al numero dei membri
iscritti ad essa. Quasi tutti i telespettatori in Olanda, dietro
pagamento di una somma poco più che simbolica, sono
iscritti ad una delle "Stichtingen", e l'iscrizione dà loro diritto a ricevere settimanalmente un giornale con i programmi, naturalmente anche delle Stichtingen concorrenti.
Questa situazione di concorrenza spiega il fatto curioso di
un ottimo servizio (quello del giornale) prestato ad un
prezzo bassissimo. Purtroppo, non sempre si può dire lo
stesso per quanto riguarda la qualità dei programmi. Le cose migliori, comunque, alla televisione .olandese sono i servizi giornalistici: incisivi, efficaci, caratterizzati dall'uso di
un linguaggio diretto e chiaro.
Le Stichtingen sono divise in tre categorie, e la lotta è
sempre aperta per passare alla categoria superiore o per rimanervi: la prima comprende le fondazioni con più di
400.000 iscritti, la seconda con più di 250 mila, la terza con
100-150 mila iscritti: tutte insieme, esse ricevono un finanziamento annuo di 800 milioni di fiorini (480 miliardi di
lire).
Attualmente, funzionano due canali ma da tempo è in
discussione l'istituzione di un terzo canale in cui confluiranno tra l'altro i programmi per le minoranze; non si sa
ancora come esso verrà organizzato ed uno dei punti discussi riguarda la pubblicità, la quale nei primi due canali
è ancora abbastanza limitata (fino a poco tempo fa il limite
massimo era fissato a 15 minuti al giorno; oggi gh spot sono un po' più numerosi).
EU
Un telespettatore
poliglotta
HA
Olanda
In quasi tutte le città olandesi funziona la diffusione dei
programmi via cavo: la gestione degli impianti relativi è demandata ai comuni e questo spiega le differenze che si registrano nelle varie zone del paese. Attraverso il cavo si ricevono i programmi francesi, tedeschi, inglesi, belgi (via antenna, questi programmi sono captati in modi diversi nelle
varie zone dell'Olanda); inoltre, pagando un apposito abbonamento, ci si può collegare alla ' ' rete film'' che trasmette ogni sera film, per lo più recenti. Ancora via cavo,
si possono vedere le trasmissioni, diffuse per satellite, dello
"Sky Channel" e del "Music Box", queste ultime ded-icate
alla musica leggera di maggior successo. La ''rete film''
funziona ora in via sperimentale e viene vista come il primo tentativo di introdurre in Olanda la televisione commerciale e privata.
La qualità dei programmi, abbiamo detto, non è del livello più alto, con eccezione per i servizi giornalistici: ciò
si deve forse anche al fatto che quasi tutti gli olandesi possono passare, senza gravi problemi di lingua, alle trasmissioni tedesche o inglesi.
E d'altra parte i telespettatori qui sono abituati alle lingue straniere: con eccezione per i cartoni animati per i
bambini più piccoli, nessun programma viene mai doppiato, e tutti vanno in onda in lingua originale con sottotitoli.
Come dappertutto, anche qui l'America è la dominatrice
del mercato: gli spettacoli di maggior successo sono gli sceneggiati d'oltre oceano, i "Dallas" e i "Miami Vice", i
"Sesam Street" per i bambini e i "Bill Cosby show" (noto
in Italia, non si sa perché, come "Famiglia Robinson").
Quest'ultimo ha avuto il suo imitatore olandese in uno sceneggiata ("Zeg eens AA''), di cui è pure protagonista la famiglìa di un medico e che ha avuto per alcuni mesi l'indice
di ascolto più alto.
CLAUDIA DAL MAISTRO •
Altiero Spinelli ai tempi del manifesto di Ventotene
•
Ricordo di Altiero Spine/li
Dalla balena b.ianca alla lisca del grande pesce
Si è spento a Roma, il 23 maggio, Altiero Spinelli. Dal manifesto di Ventotene, scritto
al confino negli anni bui della guerra, alla recentissima battaglia per il Trattato d'Unione europea, l'intera vita di Spinelli è stata dominata da un unico ideale che era insieme
proposta projetica e impegno militante: l'unità dell'Europa.
Ricordare compiutamente Altiero Spinelli non è impresa
facile, com'è ovvio trattandosi di un personaggio dalla lunga vita piena di vicende ideali, politiche ed umane, di lunghe solitudini e di brevi successi, e soprattutto di un italiano la cui ''diversità'' meriterebbe ben altro spazio e più autorevole cura.
È comunque doveroso, in questa rivista, accennare ad un
periodo della vita di Spinelli che forse è stato troppo sotteso, nelle celebrazioni seguite al suo decesso. Si è infatti, e
giustamente, posto l'enfasi e l'accento sull'azione di Spinelli parlamentare europeo, sull'ultimo decennio della sua vita in cui sembrava che il profeta disarmato avesse trovato
la via della conquista; altrettanto giusta l'emozione del ricordo di Altiero Spinelli resistente nelle prigioni del nazismo e nel confino di Ventotene, il suo "annuncio" federalista, il ricordo di Spinelli "Ulisse", come dice il. titolo del
primo libro delle sue memorie.
Vorremmo qui invece richiamare alla memoria un periodo della sua vita, tra i primi anni sessanta e la seconda metà degli anni settanta, che inizia con una vivace riflessione
sulle battaglie e le delusioni federaliste degli anni cinquanta, dopo la reazione al fallimento della Comunità europea
di difesa e al conseguente pessimismo sulle ''virtualità federative' ' delle istituzioni europee nate prima e dopo il
dramma della CED.
Nuova riflessione
"In vent'anni di lotta noi federalisti abbiamo inseguito
la nostra balena bianca, attraverso la storia d'Europa, il
sorgere ed il morire delle speranze, il ripetersi di delusioni.
Forse non ci sarà nemmeno riserbata la sorte di Achab, dell'ultima lotta".
Così diceva Spinelli pel giugno del 1963, quando si stava
spegnendo la lotta dei federalisti europei per la "Costituente europea". Ed è dello stesso anno una sua "lettera
aperta a Walter Hallstein' ', in cui, senza rinnegare le idee
propugnate dai federalisti a proposito del "potere popolare'' europeo, egli riconosce ed afferma le nuove opportunità politiche che si stanno aprendo agli europei nel nuovo
assetto istituzionale creato dai Trattati di Roma, e consoli. dato dal successo dei primi cinque anni di attuazione del
mercato comune. È soprattutto il successo della Commissio'ne della CEE di cui Hallstein è il presidente, al quale appunto Spinelli si rivolge per incoraggiarlo a dare un programma politico alla Commissione e ai suoi membri.
Non si trattava di una "conversione" di Spinelli, ma, come già si è detto sopra, dell'inizio di una nuova riflessione
che guiderà la sua azione per la ricerca del nuovo ''potere
politico" europeo, non più all'infuori delle istituzioni europee, ma cercando di utilizzarne le potenzialità mano a
mano più evidenti. D_i qui comincia il viaggio di Spinelli at27
''Ancora e presto
in mare aperto"
I.:ultima grande battaglia politica combattuta da Altiero
Spine/li fu quella per il Trattato d'Unione europea. All'indomani dell'approvazione dell~tto unico - il testo di riforma
dei Trattati - da parte della Conferenza intergovernativa,
Spine/li pronunciò, il 16 gennaio scorso, dai banchi del Parlamento europeo, una vera e propria requisitoria contro il
compromesso voluto dalle cancellerie. Ecco la chiusa del suo
discorso.
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I.:ultimo scritto di impegno politico che porta la firma di Altiero Spine/li è una lettera datata 30 aprile e spedita a vari
intellettuali e personalità politiche europee con la quale l'autore del manifesto di Ventotene si apprestava a riprendere la
lotta dopo il deludente esito del disegno di riforma costituzionale della Comunità di cui era stato uno dei protagonisti.
Ecco il testo della lettera firmata anche da Carlo Ripa di
Meana, Werner Mathofer, Emanuele Gazzo, Jean-Paul Jacque, Jean-Victor Louis.
"Dall'inizio della crisi economica che ha colpito i Paesi
dell'Europa occidentale negli anni Settanta, la questione
della trasformazione della Comunità europea in vera entità
politica è divenuta sempre più urgente e concreta.
Da allora si tratta di dare ai nostri Paesi e ai nostri cittadini un'identità politica, economica e culturale comune, attraverso la creazione di una Unione europea capace di rispondere con efficacia e secondo un metodo democratico alle sfide del mondo contemporaneo. Di fronte a queste sfide, gli
Stati nazionali hanno dimostrato la loro incapacità di trova. re, presi ciascuno singolarmente, soluzioni adeguate.
Messa dinanzi alle nuove situazioni derivanti dall'allargamento a Nove, poi a Dieci e infine a Dodici, la Comunità europea non è riuscita a realizzare giJ obiettivi fissati nei 'Iì'attati di Parigi e di Roma, né a sviluppare nuove competenze
nel campo della tecnologia, dell'occupazione, dello spazio
sociale, della cultura e ~ella sicurezza dell'Europa occidentale. L'allargamento della Comunità europea ha reso questa
realizzazione e questo sviluppo urgenti e indispensabili.
I capi di Stato e di governo hanno riaffermato solennemente in Qtolte occasioni il loro impegno per la riforma della
Comunità europea e per la sua trasformazione in unione politica: ogni volta a queste affermazioni hanno fatto seguito
rituali soluzioni minimali (e, perciò, inadeguate e ingannevoli), elaborate da istanze subordinate: Consigli di ministri,
Comitato degli ambasciatori, Amministrazioni nazionali.
D Parlamento europeo, rafforzato dalla legittimità democratica che gli deriva dalle elezioni dirette, ha dimostrato
che è possibile elaborare una soluzione coerente e globale
per i problemi di consolidamento della costruzione comunitaria, de' suo sviluppo nei nuovi campi d'azione cosi come
dell'efficacia e del carattere democratico delle istituzioni
comuni.
In breve - adottando a larghissima maggioranza il progetto di 'Iì'attato istitutivo dell'Unione europea - il Parlamento ha trasformato il .mito dell'Unione in un progetto
concreto di azione politica. La risposta dei governi è rimasta, ancora una volta, «al di sotto del minimo vitale per la
Comunità» (per usare le parole di un protagonista dell'iniziativa intergovemativa): nessuno potrebbe affermare che
H<Atto unico», uscito dalla Conferenza di Lussemburgo, è la
soluzione al problema della trasformazione della Comunità
europea in reale entità politica.
D fallimento del tentativo di rilanciare, solo per via intergovernativa e nel quadro delle istituzioni e delle regole comunitarie attuali, lo sviluppo della costruzione europea non
modifica affatto la necessità di una trasformazione profonda dei compiti, delle compçtenze e dei poteri della Comunità
europea.
D problema sta ora nel sapere come continuare l'azione
per la riforma della Comunità avendone ben presente l'urgenza e la necessità e pure il largo consenso ottenuto dal
Parlamento europeo sul progetto di un 'Iì'attato d'Unione
europea.
L'esperienza maturata finora dimostra, in primo luogo,
che ogni tentativo serio di realizzare l'unità politica dell'Europa non può svilupparsi se non facendo perno sull'iniziativa e il lavoro di ideazione del Parlamento europeo. La riflessione che è in corso nella commissione istituzionale del Parlamento europeo sulla strategia da seguire per realizzare l'Unione europea e la soluzione che sarà proposta all'Assemblea rappresentano un elemento fondamentale per continuare l'azione lanciata col progetto di 'Iì'attato d'Unione
europea.
Sia nell'ipotesi di un impegno a breve scadenza del Parlamento europeo in quanto tale, purché gli sia riconosciuto un
vero ruolo costituente in occasione delle elezioni dirette del
1989, sia nell'ipotesi di una nuova iniziativa tipo Club Coccodrillo volta a far scaturire a medio termine il consenso
maggioritario dell'Assemblea in tempo utile per le elezioni
del 1989, il contributo delle donne e degli uomini che, soli,
rappresentano la legittimità democratica al livello europeo,
è senza dubbio indispensabile indipendentemente dall'appartenenza ideologica di.:ciascuno.
L'esperienza fatta finora prova, tuttavia, che ogni tentativo di riforma lanciato dal Parlamento europeo non può aver
successo senza una larga mobilitazione dell'opinione pubblica: per arrivare a questa mobilitazione occorre intraprendere
un'intensa opera di c«mvincimento sulle ragioni e sugli interessi che consigliano di accelerare la costruzione europea e
occorre rendere più efficace il coinvolgimento delle istanze
democratiche nazionali e, in particolare, dei parlamenti nazionali.
In questo quadro riteniamo necessario sviluppare una riflessione su tutti gli elementi sopra indicati, associandovi
personalità del mondo politico, economico e culturale provenienti da diversi Paesi della Comunità europea ...".
HA
''Non c'è riforma senza la
mobilitazione dell'opinione
pubblica''
•
Altiero Spinelli parlamentare europeo •
traverso le istituzioni europee, che lo condurrà nel 1970 addirittura alla nomina a membro della Commissione europea, di cui eserciterà le funzioni sino alla metà del 1976,
quando si dimetterà per presentarsi candidato alle elezioni
della Camera dei deputati italiana e per accingersi ad entrare nel Parlamento europeo di allora.
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Nel 1970 Altiero Spinelli è nominato commissario europeo (nella foto assieme a Bino Olivi autore dell 'artic;:olo)
Sorpresa
La nomina a commissario europeo fu all 'epoca ragione
di sorpresa ed anche di qualche ironia: per quanto riconosciuto esperto e studioso di affari internazionali ed europei
in part1colare, nuoceva a Spinelli la fama di predicatore inveterato pronto fi nanche all'invettiva, apparentemente non
rispettoso delle " buone maniere" della diplomazia intergovernativa e comunitaria.
I testimoni degli anni di Spinelli commissario europeo
possono far fede della ulteriore ''sorpresa' ' che egli provocò nel mondo comunitario. A definitiva smentita della tradizionale "silhouette" del commissario europeo- da preferirsi con vocazione di grande ''amministratore'' ve nata di
ambizioni politiche - l'outsider Spinelli si rivelò all 'altezza del compito e senza rinunciare alla coerenza delle idee
seppe essere persino un buon capo di amministrazione.. . In
ogni caso conquistò subito il rispetto e l'interesse dei colleghi, seppe utilizzare al meglio i mezzi e le occasioni che la
sua funzione gli forniva. Si ricordi che Altiero Spinelli fu
membro della Commissione presieduta da Franco Maria
Malfatti, da Sicco Mansholt e da François Xavier Ortoli,
nel periodo dei negoziati per l'adesione di Gran Bretagna,
Danimarca ed Irlanda e nei primi anni della Comunità a
Nove; che dette i primi impulsi alla politica industriale corimnitaria; che fu protagonista di primo piano durante i
mesi della crisi Italia-Comunità del 1974, che seppe anche
dissociarsi dalle decisioni della Commissione, come nel caso del parere per l'adesione della Grecia nel 1975; che in parecchie occasioni - ''profeta disarmato'' - seppe abilmente convincere i suoi colleghi a migliore incisività politica.
uonorevoli colleghi, quando votammo il progetto di Trattato per ·
runione, vi ho ricordato rapo/ogo hemingwayano del vecchio pescatore che cattura il più gran pesce della sua vita, lo vede divorare
dai pescecani e arriva al porto con
la sola lisca del pesce. Anche noi,
siamo ormai arrivati al porto ed
anche a noi, del gran pesce, resta
solo la lisca. Il Parlamento non
deve per questo motivo né rassegnarsi, né rinunziare. Dobbiamo
prepararci ad uscire ancora una
volta e presto in mare aperto, predisponendo i migliori mezzi per
catturare il pesce e per protegger/o
dai pescecanr~
Questo richiamo alla memoria non induce a rievocazioni
episodiche, bensì all'affermazione dell 'importanza che ebbe per Spinelli la non breve permanenza nell'esecutivo comunitario. La sua battaglia nel Parlamento europeo per il
Trattato sull 'Unione europea fu da lui condotta con profonda conoscenza di metodi, meccanismi e persone: in breve, con un'autorità non più discutibile.
Il vecchio e il mare
Dopo la lotta contro la "balena bianca", l'imprendibile
Europa degli anni cinquanta e sessanta, Altiero Spinelli si
preparava ad una nuova lotta nel mare aperto delle diversità e dell 'indifferenza degli europei per l'Unione da lui auspicata. Con malinconia ma con uguale volontà di riprendere la battaglia, egli evocava nel gennaio 1986 l'apologo
hemingwayano del "Vecchio e il mare". Del "grande pesce'' catturato dal formidabile vecchio, rimaneva soltanto
la lisca: i pescecani (governi e forze politiche) l'avevano divorato.
Ma non c'è tempo per la rassegnazione, diceva Alti ero
Spinelli. C'è da sperare che la scomparsa di lui, così diverso e irripetibile, non comprometta l'avvio di nuove battaglie.
BINO OLIVI
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"Donne d'Europa" è un bimestrale edito dal servizio "Informazione della stampa e delle associazioni femminili"
della Commissione delle Comunità europee (Rue de la
Loi 200 B-1049 Bruxelles). "Donne d'Europa" viene inviato gratuitamente a tutte le persone che ne fanno richiesta all'indirizzo sopracitato specificando il loro centro di
interesse: responsabili di associazioni femminili, sindacaliste, giornaliste, biblioteche, centri di ricerca, servizi ministeriali, ecc. "Donne d'Europa" pubblica anche dei supplementi a carattere monografico. Sono attualmente disponibili i seguenti titoli: Donne e sviluppo; Donne e ricerca; Il diritto comunitario e le donne; Le lavoratrici dipendenti in Europa; Celezione del Parlamento europeo: il voto
delle donne; Donne e musica.
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Bisanzio, si interessò alla vita delle etère greche, le cortigia- ·
ne dell'epoca. Dai suoi libri apprendiamo che nell'antica
Grecia banchetti e simposi erano allietati da donne orchestrali: per lo più schiave, che però, in qualità di "etère musiciste", avevano uno status economico di rilievo. Gli strumenti preferiti dalle donne erano la lira e l'oboe, come testimonia Platone: nel suo "Convivio", parlando di Alcibiade, lo descrive malfermo sulle gambe, sorretto da una
suonatrice di oboe.
Se la Grecia ha lasciato qualche frammento di memoria
storica sul ruolo femminile della musica, Roma è stata avara di notizie in proposito. L'avvento del Cristianesimo, poi,
esclude - almeno ufficialmente - le donne dall'attività
musicale. La Chiesa, infatti, riservava agli uomini la partecipazione -alla liturgia, quindi il cantd. Nonostante questo
divieto, le donne continuarono a ''frequentare'' la musica,
vuoi nell'isolamento dei conventi di suore, vuoi grazie alla
protezione di sovrane e imperatrici. Nel XII secolo la musica religiosa ebbe due rappresentanti di rilievo nella badessa
di Gandersheim, Hrotwitha (''forse la scrittrice più originale della Germania ai tempi di Ottone") e in Hildegarde
von Bingen, che ha lasciato ben 74 composizioni. Quasi
contemporaneamente, in Francia si affermava la figura della "trobairitz". Se ne trovano tracce nelle Vidas dei trovatori, in cui vengono descritte gare poetiche a cui partecipavano anche le donne. La prima monografia sulle ''trobairitz" è opera di un autore tedesco, Oscar Schultz-Gora, alla fine dell'Ottocento. Per quanto interessante, il fenomeno
delle "trovatrici" rimane esclusivamente francese, e comunque la censura sulla musica composta e suonata dalle
donne fa sentire i suoi effetti anche in quel paese.
Il pianoforte di Beethoven
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Musiciste dell'Orchestra giovanile della Comunità europea •
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La presenza femminile nell'universo musicale
Donne in musica
La storia ufficiale, quella che si insegna nelle scuole, è
popolata di statisti, guerrieri, eroi. Anche di artisti, talvolta. Più raramente, molto più raramente, di artiste al femminile. Scritta da uomini, la storia dei libri di testo è troppo
spesso distratta e sbadata nel registrare le tracce lasciate da
personalità femminili. Quanti lettori sanno citare in un
istante il nome di una donna musicista (che non sia una
moderna folk-singer o cantante rock)? Sicuramente pochissimi, forse nessuno. Eppure gli autori contemporanei,
sulla scia di Otto Ebel, che nel 1910 pubblicò un Dizionario
biografico delle donne compositrici, hanno contato non
meno di tremila musiciste, ripartite in 66 paesi.
Raccogliendo lo stimolo lanciato dai congressi di donne
musiciste organizzati negli ultimi sei anni a New York, Los
Angeles, Città del Messico e Parigi, Yves Bessières e Patri-
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Qual'è il contributo delle donne alla musica? Le più recenti ricerche hanno dimostrato
che, nonostante le molte costrizioni e esclusioni, le donne hanno prodotto in musica, nel
corso dei secoli, mo{to·di più di quanto comunemente si ritiene e si conosce. Un recente
studio edito da 'Vonne d'Europa" fa il punto sulla presenza femminile nella storia della
musica.
eia Niedzwiecki hanno elaborato uno studio su ''Donne e
musica'' per il Servizio Informazione Donne della Commissione delle Comunità europee, che sintetizza in maniera
divulgativa la riscoperta del ruolo delle donne nella storia
della musica. La ricerca è corredata da una novantina di
schede biografiche di musiciste.
Etere musiciste
Le prime testimonianze di una musica al femminile vengono da steli, vasi e pitture ritrovati nell 'Alto Egitto. Raccontano di suonatrici d 'arpa, cantanti e musiciste vissute
duemila anni prima di Cristo. Se facciamo un salto di oltre
un millennio e ci affacciamo alla civiltà greca troviamo nel
"De Musica", attribuito a Plutarco, il nome di Saffo. Il sovrintendente della biblioteca alessandrina, Aristofane di
Una certa emancipazione si manifesterà più tardi, in
epoca rinascimentale, grazie anche alla diffusione di strumenti solisti come il violino, il clavicembalo, la spinetta, e
all'affermazione del canto non religioso. Francesca Caccini, toscana vissuta alla corte dei Medici, è la prima donna
a comporre un'opera: "La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina", il cui libretto è tratto dall'Orlando Furioso.
La Caccini è l'esempio di una donna colta che, incoraggiata dalla sua stessa famiglia (il padre era un famoso cantante), è riuscita ad affermarsi con successo in un'epoca non
particolarmente aperta verso le donne artiste.
Comunque anche quando non riuscirono ad esibirsi in
pubblico o a comporre musica, le donne ebbero funzioni
importanti come insegnanti, come mecenati, come editrici
di opere femminili, o infine come fabbricanti di strumenti.
Pochi sanno che i pianoforti di Beethoven venivano messi
a punto e accordati da una donna, Nanette Stein.
Una volta conquistato il diritto allo studio della musica e
al conseguimento dei relativi diplomi - il primo dottorato
in musica ad una donna venne conferito alla fine dell'Ottocento da una università irlandese - le donne si rendono
conto che il loro spazio è marginale, i traguardi da raggiungere difficili e lontani. Nascono perciò delle vere e proprie
associazioni mutualistiche per donne musiciste per aiutare
le associate a trovare un lavoro, o soccorrerle nell'indigenza.
È a Vienna che si possono ascoltare i primi concerti di sole
donne, ma sarà un'americana, Antonia Brico, a fondare,
nel 1937, la prima orchestra sinfonica dirigendo 90 musiciste. Una decina di anni dopo, nel1948 la musicologa statunitense S. Drinker pubblica ''Music and Women: The Story
of Women in their Relation to Musi c'', ancora oggi una
delle opere più importanti sull'argomento.
Se in passato l'ostracismo nei confronti delle donne musiciste si era manifestato attraverso editti e scomuniche, relegandone l'attività nel segreto dei conventi, in epoca recente
la discriminazione era diventata più sottile. Il senso comune voleva infatti che la fisiologia femminili non sopportasse gli sforzi fisici richiesti da alcuni strumenti, e che comunque alcuni di essi, per le loro dimensioni, mal si addicessero alla grazia femminile. Oggi questi pregiudizi sono
stati superati, almeno in parte. C'è ancora una certa riluttanza ad affidare la direzione d'orchestra ad una donna.
Ma altri generi di musica vantano fra i loro massimi rappresentanti proprio delle donne. Anzitutto la musica popolare, la cui derivazione più recente è la canzone francese del
Novecento, dominata da personaggi femminili come Mistinguett, Joséphine Baker, Edith Piaf, Juliette Gréco,
Barbara.
Dal gospel al rock
L'altro grande filone di musica contemporanea che ha
esaltato il ruolo femminile è quello di origine africana approdato negli Stati Uniti e fusosi in un crogiuolo di influenze fino a dar vita a gospel, spirituals, blues, jazz, dixieland, rock. Da Bessie Smith ad Aretha Franklin, da Mahalia Jackson a Miriam Makeba, è sin troppo facile identificare la musica negra con dei personaggi femminili. Ma
l'influenza delle cantanti di colore ha contagiato tutta la
musica di largo consumo, ed oggi nessuno si stupisce che
le dive bianche del rock- come l'americana Madonnasiano glorificate dai fans alla pari dei loro colleghi maschi,
o che in Inghilterra ed in Germania nascano orchestre rock
di sole ragazze.
A parte questa vistosa emancipazione nella musica elettronica per teen-agers, resta da ricordare il ruolo sempre più
importante delle donne dal punto di vista pedagogico. Basta citare il nome di Nadia Boulanger, una insegnante che
ha formato generazioni di pianisti e violinisti, e quello di
Wanda Landowska, che domina la musica del nostro secolo per avere saputo con tenacia e caparbietà riesumare dall'oblìo uno strumento quasi scomparso: il clavicembalo. A
proposito: dei 50 principali clavicembalisti che oggi vantano una presenza internazionale, 36 sono donne.
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STEFANIA SCOTTI
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dal quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 · 00187 Roma
ANNO XXXIV· N. 6 ·GIUGNO 1986
Spedizione in abbonamento postale· Gruppo 111/70
l
DELL'AICCRE,
ASSOCIAZIONE
UNITARIA
DI
COMUNI,
PROVINCE ,
REOIONI
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AH
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MENSILE
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ORGANO
Altiero
Spinelli
2
COMUNI D'EUROPA
giugno 1986
Alti ero
di Umberto Serafini
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Ventotene.
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tenuti, provavano per i nuovi arrivati in galera,
i borghesi di «Giustizia e Libertà»: i quali parlavano dei loro processi con un romantico abbandono risorgimentale, patetico e pieno di riferimenti familiari. Debbo confessare che durante questi racconti di Altiero io mi sono
mentalmente sentito dalla sua parte, non
perché io sia mai stato comunista, avendo scartato a priori questa disciplina, in quanto legata
alla ragion di Stato, uno Stato che non mi interessava se fosse socialista o meno, ma che certamente aveva la logica miope e repressiva di uno
Stato: ma perché non mi hanno mai convinto i
gruppuscoli intellettuali antifascisti, a cominciare dal liberalsocialista, che mi lasciava perplesso già dalla sua stessa fase di incubazione pisana nel 1937 - forse sarebbe stato diverso se
avessi conosciuto Carlo Rosselli, con le sue divinazioni politiche e la sua proposta di una Costituente europea antifascista - ; il mio interesse era tutto per la sinistra laburista inglese, legata alla classe lavoratrice di uno dei Paesi di più
avanzata industrializzazione (anche se già cominciavo a imbestialirmi per la sua scarsa sensibilità circa un <<nuovo ordine» internazionale,
verso il quale erano più aperti alcuni liberali).
Comunque il mio confronto con il carcere «rivoluzionario» di Altiero non era qui, nel senso
che fino allo scoppio della guerra io sono stato
fedele - certamente con molta fatica e amarezze - alla missione, che ritenevo doverosa per
un intellettuale - futuro insegnante - non trasformista, non partecipando ai littoriali della
cultura né ad alcuna manifestazione culturale
del seduttore Bottai o ad altra ambigua fronda
- come facevano viceversa tutti i miei coetanei, che sono diventati in questo dopoguerra,
cattolici e laici, di destra, di centro e di sinistra,
personaggi centrali delle istituzioni e dei partiti
{taluni anche miei amici, da cui dissentivo acerbamente, restando solo come un cane) - : il
confronto con Altiero non era qui, no. La mia
«rivoluzione», con una autodisciplina assai cattiva, me la sono imposta con lo scoppio della
guerra, e ricordo di averne analizzato le premesse in un incontro casuale con ~ue compagni di liceo, Manlio Cancogni e Carlo Cassola,
il giorno stesso in cui Mussolini dichiarò che
eravamo in guerra (faceva tutto lui) dal balcone
di Palazzo Venezia. Entriamo in una guerra
terribile, dissi; che sarà sicuramente perduta,
perché si rivolgeranno contro la Germania
l'URSS (su cui per altro avevo idee meno chiare) e, senza dubbio, gli Stati Uniti d'America.
L'Italia sarà a suo tempo bombardata, semidistrutta e invasa dalle forze militari delle democrazie alleate. Gli italiani, che corrono sempre
in soccorso del vincitore, diverranno in quel
momento (ma già forse sotto i bombardamenti) tutti democratici (o comunisti): occorre precedere i tempi e le conversioni per opportunismo, e abbattere il regime ai primi rovesci militari, e quindi già da ora non servono le conventicole chiacchierone antifasciste, ma occorre
penetrare nelle fabbriche (chi lo può e lo sa fare: è per questo che io ho successivamente giustificato solo, fra gli intellettuali, l' «ambiguo»
Curiel; comunque ora prevedevo in qualche
modo gli scioperi a Torino del marzo'43) e «fare la guerra». Fare la guerra? Sì, affiancarsi coraggiosamente agli operai, ai contadini, al ceto
medio - pensavo - che saranno sacrificati nei
vari fronti, imparare a maneggiare le armi l'idea dell'affinamento per un attentato a Mussolini, obiettivo di tutt'altra strategia, debbo
confessare che non sono mai riuscito ad abbandonarla interamente e mi ci cullavo, più tardi,
la fantasia in trincea - e prepararsi a diventare
guerriglieri, non muoversi con impazienza
puerile prima del tempo, guadagnarsi il rispetto umano (non politico) dei propri reparti e
scattare all'inizio della reale inversione - e solo allora - delle sorti della guerra. La realizzazione di questa logica rivoluzionaria per me è
stata una prova suprema e di assoluto rigore
(chi può scordare quando, in un giorno di licenza premio, uscii dalle infernali buchette di
T obruk e nelle retrovie incontrai il medico di
famiglia - ormai generale comandante della sanità di tutta la Cirenaica - , che mi disse:
«Chiedi visita, sei sciupato: fra tre-quattro giorni parte la nave ospedale per l'Italia; provvedo
io»; ed io dissi di no, che non volevo abbandonare i miei soldati; e la sera dopo mi ritrovai
AH
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Agli Stati generali di Vienna del1975 Altiero
venne in rappresentanza della Commissione
Esecutiva di Bruxelles. Arrivò, mi pare, la sera
prima della seduta solenne di chiusura - a cui
avrebbe partecipato il Presidente della Repubblica austriaca - e mi cercò nell'albergo, o ve
risiedevo vicino al Palazzo dei Congressi, nella
periferia di Vienna. «Ceniamo insieme?» «Si,
Altiero, qui al ristorante dell'albergo, sono
stanchissimo» (avevo avuto una giornata emozionante e terribile, riuscendo a tirare dalla mia
in extremis Gaston Defferre, presidente della
Commissione delle risoluzioni: il CCRE - allora CCE- non solo esigeva- ecco l'accordo
raggiunto - le elezioni europee, ma le voleva
con lo scopo di creare una assemblea cui sarebbero spettati poteri costituenti; quando Altiero
vide la mattina appresso l'immensa sala congressuale approvare la prospettiva costituente:
ebbe un soprassalto e mi diede- incredibileil famoso pubblico abbraccio, che fece sorridere tutti quelli che conoscevano il nostro bufalo,
mentre lui mi sussurava: «Bene, bene, Umberto: una posizione così chiara non sono mai riu
scito a farla prendere a quei coglioni dell' Union européenne des fédéralistes»). Ma Altiero
quella sera era allegro e sfottente, non ammetteva la stanchezza: «No, no: prendiamo una
macchina e ce ne andiamo a cenare in una osteria della vecchia Vienna». Fu una cena che non
scorderò e che mi costrinse, nella comparazione con Altiero, a rivedere e soppesare anche
tutta la mia storia personale. Altiero - un Altiero, almeno in quei tempi, raro, di solito così
poco portato all'intimismo e alle memorie mi raccontava non tanto del confino quanto
del periodo precedente del carcere e del senso
di compatimento che lui comunista e i suoi
compagni «rivoluzionari professionali», già de-
giugno 1986
COMUNI D'EUROPA
fia di liceo, Aldo Ferrari, socialista riformista);
avevo poi studiato accanitamente, intorno al
1936-37, il Commonwealth britannico, subendo
una grande delusione ma anche iniziaPdo la
scoperta del minoritario e lucido federalismo
inglese. Ma il mio dramma era sempre stato
quello di cercare l'occasione o lo strumento di
una iniziativa politica che incarnasse il mio federalismo: durante la guerra ho tentato di legare la prospettiva della mia «rivoluzione» - di
cui ho fatto un cenno sopra - al rovesciamento, di fronte al fallimento di Hitler, dell'Asse
Roma-Berlino per l'alternativa dell'Europa degli eguali, cioè della Federazione europea. Tuttavia ero tornato a casa nel1946 dalla lunga prigionia indiana (quattro anni fuori della mischia) vagamente sperando che i ricostituiti
partiti socialisti assumessero, dopo tanto socialismo nazionale, una seria iniziativa europea,
accorgendomi immediatamente che era una
speranza mal riposta (potrei fare un altro discorso sulla mia attenzione ai movimenti cristiani e cattolici, non incoraggiati alla ribellione antihitleriana, durante la guerra, dalla Chiesa istituzionale o almeno dal Papa: il quale, viceversa, stava assumendo nell'immediato dopoguerra posizioni assai più chiare e razionali sul
nuovo ordine internazionale che non i partiti
nazionali). Nello stesso tempo avevo un problema personale: ero un disoccupato, che non
voleva fare la politica a tempo pieno, legandosi
a burocrazie partitiche, che non amava, e ad
antifascisti spocchiosi e «severi» di fresca conversione. Fu a questo punto - dopo un attimo
di esitazione: egli veniva dal rispettabile ma
astratto partito d'azione - che scopersi Altiero: un animale politico al servizio del federali-
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Mi scuso se continuerò, volutamente, con un
ricordo molto soggettivo di Altiero: o, meglio,
con un ricordo del «mio» Altiero, necessariamente costruito nel rapporto fra lui e me, e
quindi inevitabilmente con l'intrusione di me e
delle mie preoccupazioni, dalle quali ricavavo
- accanto ad alcune distinzioni - un mio appoggio a lui e alle sue iniziative, appoggio che
credo di aver dato talvolta al limite delle mie
possibilità (forse soprattutto in due casi: quando, uscito di scena quasi interamente e in rotta
con gli stessi federalisti, lo aiutai a creare l'Istituto per gli Affari Internazionali, lo IAI - allora avevo la responsabilità della presidenza della
Fondazione Adriano Olivetti e mi dovetti impegnare a tutto tondo, anche se poi gli oppositori diventarono o ridiventarono «spinelliani»
-; e quando, lasciando per molte settimane
quasi ogni altra attività, credo di avergli «COstruito», con l'aiuto di Anna, la mia collaboratrice di ogni giorno, il posto di Commissario a
Bruxelles). Perché dico questo?
Credo di essere uno dei pochi (o il solo?) dei
vecchi federalisti italiani, finiti in funzione dirigente, di formazione non spinelliana - lascio
fuori naturalmente quei pochi statisti italiani
non federalisti «di mestiere», che tuttavia accolsero di Altiero suggerimenti essenziali, che
hanno ben pesato negli avvenimenti successivi
dell'integrazione europea - . La formazione
federalista di Altiero e quella mia avevano alcune fonti comuni - Einaudi, per esempio - ,
ma anche fonti diverse: io mi ero formato alquanto prima, avevo subÌto l'influenza del
Kant della «Pace perpetua» (anche nella versione neo-kantiana della II Internazionale, trasmessami dal mio professore di storia e filoso-
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nella mia buchetta dell'uadi Belgasem, sotto il
tiro dei cannoni, delle mitragliatrici, dei cecchini, tra i pidocchi e le pulci, con la sensazione
che io e i miei soldati eravamo abbandonati da
Dio e dagli uomini: bisognava stringere molto i
denti per far rientrare quella desolazione «locale» e «personale» nella razionalità dell'attesa decisa in funzione di una ipotizzata evoluzione
della guerra). Facevo il paragone col carcere di
Altiero e coi suoi collegamenti di «rivoluzionario professionale» all'obiettiv~ muoversi della
storia, che non bada ai casi umani singoli, e
non provavo alcun complesso di inferiorità
(solo, se mai, il fastidio di non essere sicuramente capito fino in fondo, essendo la mia una
posizione inconsueta, troppo «lungimirante»,
quasi incredibile, certo anomala).
Ma l'altro giorno Renato mi ha raccontato
un episodio, che più che farmi piangere mi ha
prima gelato e poi mi ha dato la misura esatta e
definitiva di Ulisse. Renato, il nostro bravo Renato, è il giovane che lavora all' AICCRE e porta il nostro prezioso materiale ai quattro angoli
di Roma, ma che dava anche, all'occasione, una
mano ad Altiero. Renato mi ha raccontato l'ultima volta che,è stato con Altiero: lo ha accompagnato all'aeroporto, andava ad una seduta
del Parlamento Europeo, viaggiava solo. Altiero, col cancro in fase avanzata, aveva il catetere
e due sacchetti di urina ai fianchi; si muoveva a
disagio, soffriva, sedeva scomodamente sulla
macchina. «Che vuoi, Renato, bisogna fare il
proprio dovere, battersi per le idee in cui si crede, finché si ha anche un solo briciolo di energia. Stammi bene, arrivederci, Renato». Poi Altiero, che si avviava maldestramente all'aereo,
si è voltato ancora: «Anzi addio, Renato, non
credo che ci rivedremo». Lo ha rivisto un attimo, in realtà, mi ha detto Renato, nella clinica
dove stava morendo: «Era circondato da parenti, mi sono appena fatto sulla soglia: l' onorevole Spinelli mi ha intravisto, mi ha fatto un sorriso e un cenno con la mano».
Forte, incrollabile, e buono: buono perché si
vive per gli uomini, non per martirizzare gli
uomini al letto di Procuste dei propri schemi
ideologici. Del resto il rapporto di Altiero con
U rsula è stato un capitolo della storia universale dell'amore gentile fra un uomo e una donna,
che ha avuto un intreccio con l'attività pratica
di Altiero, tutto sommato un «politico dal volto umano»: un federalista, appunto. I miei rapporti erano alternativi con Altiero e con Ursula, questa incantevole ebrea berlinese, moderna
e antica - anzi, direi, nella sua costante discrezione di quasi casalinga, malgrado una intelligenza straordinaria, più antica che moderna-.
Ricordo che una sera, al termine degli Stati generali di Venezia, nell'ottobre 1954, quando
con una lotta disperata, a poche settimane dalla
caduta della CED, riuscimmo a far passare la
richiesta, da parte di mille sindaci europei, di
elezioni europee a suffragio universale e di una
Comunità politica europea sovranazionale, dai
poteri limitati, ma reali - iniziando, primi fra
tutti, il rilancio europeo - , mi aggiravo affranto in una calle e incontrai Alti ero e U rsula: U rsula guardò Altiero come per incoraggiarlo e
Altiero mi disse: «Bravo! Avete ottenuto un risultato straordinario». Debbo dire sorridendo
che io replicai secco: «Ma tu, Altiero, credevi
proprio che io fossi un cretino?».
3
Altiero Spinelli all'inizio della battaglia federalista.
4
giugno 1986
COMUNI D'EUROPA
Una lettera di Spinelli al nostro
Direttore
Il 13 aprile 1979 su carta intestata della
Camera dei Deputati, Altiero Spinelli
scriveva al nostro Direttore:
Caro Umberto, sì, effettivamente nel
Palazzo si legge poco (oltre le lettere di raccomandazione che arrivano a iosa) e, per
di più, io sono stato sempre un mediocre
lettore, avendo sempre spilluizicato qua e
là nell'immensa vigna di quel che gli uomini da millenni scrivono, ed avendo
sempre avuto l'immodesta tendenza più a
dare che a prendere.
Però per il tuo ecCome divenni federalista" il tempo e la voglia li ho trovati, sicuro che in questa meditazione autobiografica avresti anche parlato quasi de omnisci-
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dello Cavour, io Mazzini (tra l'altro il libretto
di Salvemini - altro mio autore - su Mazzini
mi aveva tenuto compagnia nella seconda metà
degli anni trenta): senonché Altiero era geniale
corrie Cavour, ma non aveva a sua disposizione
né un club influente, né una maggioranza parlamentare, né un re. Individuava le grandi occasioni, inventava dei mirabili marchingegni politici, ma non aveva potere: però aveva fretta,
era impaziente, si irritava per le occasioni che
«passavano». Pertanto la crescita del Movimento Federalista Europeo e della stessa Union Européenne des Fédéralistes o di iniziative «popolari» destinate a svilupparsi con la lentezza e i limiti dei movimenti di base lo interessava, in
fondo, relativamente: questi movimenti in sostanza erano per lui il biglietto da visita senza il
Spinelli alla tribuna degli Stati generali di quale non poteva essere accreditato come conRoma (1964).
-·
sigliere del Principe. Così stranamente, per
quasi tutta la sua vita post-bellica, questo
smo! lo ero costretto invece a fare politica per straordinario realista è stato costretto a servirsi
imperativo categorico, senza passione per i dei metodi degli intellettuali illuministi (e non
suoi risvolti: il successo mi ha sempre suscitato a caso Altiero è diventato subito un grande
noia; si deve cambiare il mondo, certamente, estimatore di Jean Monnet). Direi che perfino
ma la mia predilezione è sempre stata per b. nell'operazione del Coccodrillo e del progetto
meditazione filosofica o, al massimo, per il dia- di Trattato di Unione europea - che senza
logo, ma prescindendo dal fare i conti con l' ar~ dubbio rimarrà nella storia - egli sia stato il
te così bene individuata da Machiavelli. Altiero persuasore di un Principe, che in questo caso
invece non solo era un esubernate animale po- era il Parlamento Europeo: ma era rimasta al di
litico, ma mi dette subito una-grande .lezione, . fuori della sua orbita .la premessa, cioè l' elezioche poi è stata la sua costante lezione: indivi- ne a suffragio universale del Parlamento Euroduare le occasioni politiche da trasformare in peo stesso, dovuta in parte a quei ~ue ceppi ferealistiche battaglie federaliste. I giovanissimi deralisti che avevano, malgrado Altiero, lavofederalisti non conoscono i memorabili articoli rato «mazzinianamente» alla base, il CCE (soscritti da Altiero su un giornale, che è durato lo pra ho ricordato gli Stati generali di Vienna del
spazio d'un mattino - «L'Italia Socialista» di 1975) e «autonomia federalista» di Mario AlAldo Garosci - ma ha avuto grande influenza bertini, uno spinelliano più ortodosso di me in Italia ed è stato letto da tutti i leaders politici anzi, a lungo, il delfino di Altiero - , ma poi
tra la fine del '4 7 e l'inizio del '49 (un grande dissenziente dall'impazienza del Nostro, che
giornalista conservatore e nemico giurato di non riusciva mai, in perfetta buona fede, a scinGarosci mi diceva tuttavia: «mio caro, quel dere le azioni in cui era coinvolto (l'utilizzaziogiornale io me lo bevo quotidianamente come ne delle «occasioni storiche», di cui ho parlato)
un ovetto fresco»): su «Italia Socialista» Altiero e le sorti dell'unità europea, essendo così cosi battè per legare il Piano Marshall (del resto stretto più di una volta a parlare poi di «ultima
interpretando l'idea originaria degli americani, spiaggia)). Evidentemente diverso era in questi
allora favorevoli all'unità europea) alla ricosti- casi il metro di Albertini e il mio: Mario ha
tuzione in senso unitario della distrutta econo- svolto soprattutto una formidabile opera di stimia europea occidentale, premessa a un salto di molo e di coordinamento culturale - premessa
qualità verso la Federazione (ma Altiero scrisse necessaria a qualsiasi movimento che voglia
poi su «Italia Socialista» antiveggenti appunti crescere e durare nella società - ; io mi sono
sul Patto Atlantico, già delineando quella che preoccupato costantemente, dalla fine degli antanti anni dopo - ai tempi di Kennedy - si sa- ni quaranta, di fare del federalismo non un
rebbe chiamata equa/ partnership, la quale a sua semplice movimento d'opinione, ma un movimento appoggiato a strutture sociali, esigenze
volta esigeva un «polo» europeo federato).
emergenti
della società (fronte democratico euL'animale politico Altiero si rivelò poi, più
ropeo),
istituzioni
aperte natura/iter al coinvolin là, un geniale inventore di originali iniziatigimento
europeo
e
sovranazionale (in questo
ve politiche: dal Congresso del Popolo Euroil
1950
e
il
'53 ho indirizzato il CCE
senso
tra
peo di metà degli anni cinquanta al Club del
verso
la
«Storica
alleanza))
o «blocco storico))
Coccodrillo ha avuto a ripetizione delle straordinarie «trovate» politiche, che per altro - al- delle autonomie locali - soffocate dallo Stato
tro punto da considerare - hanno démarré in nazionale accentratore e corporativo - col fefunzione del suo carisma (e chi non è animale deralismo politico sovranazionale).
E ora? Cavour è morto e chi o quale élite ne
politico clifficilmente ha un suo carisma, eccezion fatta per grandi leaders etico-religiosi, co- prenderà il posto? È un problema gravissimo,
me Gandhi). Ecco dunque come dai nostri pri- che soggettivamente mi riporta ai dubbi e alle
mi incontri io abbia sentito il dovere di orien- incertezze del 1946-47. Ma il vuoto che lascia
tare tutti i miei sforzi per esaltare il carisma di Altiero non è solo qui. Diciamolo con franAltiero e appoggiare il suo federalismo politica- chezza: ho scomodato Mazzini (e avrei potuto
mente fondato.
scomodare Carlo Marx, alcuni leaders cattolici
Tuttavia - anche qui sin dagli inizi - ho o altri), ma molto del federalismo che facciamo
avuto motivo di mantenere una mia autono- in Italia (e vi associo una pesante autocritica,
mia da Altiero. Lui aveva, per così dire, amomalgrado la formula CCE, ora CCRE, non la
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AH
bili et quibusdam aliis.
Mi sei piaciuto soprattutto nel momento
in cui, piccolo prigioniero in India, sei andato ad assicurare a un ufficiale inglese che
scindevi le tue responsabilità da quelle degli alleati!!!
Però ... dici: crConvintomi al Tasso della
ragionevolezza della Federazione europea,
ma anche, in sé, dell'importanza del federalismo - democratico... " Diavolo, avevi
17-18 ann~ e Federazione e federalismo
non erano poi idee correnti in quegli anni
in Italia. Ti sei dimenticato di dire come le
avevi incontrate.
Affettuosamente,
Altiero
Le responsabilità che Serafini scindeva
da quelle degli alleati erano relative alla
bomba di Hiroschima, che egli riteneva
un atto cinico contrario a tutti i valori di
una democrazia che si voleva restaurare
nel mondo. Spinelli poi aveva letto solo
la prima metà dello scritto di Serafini,
che aveva un seguito intitolato «Il professar Aldo Ferrari))' dove appunto egli
raccontava come si erano formate le sue
idee federaliste e quali influenze aveva
subito (il T asso era il liceo classico di Roma dove insegnava l'antifascista Aldo
Ferrari).
comporterebbe) ha matrici culturali nobilmente internazionali, ma è poi sfornato con linguaggio e psicologia casalinghi, italiani, paesani. Altiero, questo stupendo «cafone))' era invece un autentico europeo (e qui parlare dei meriti di Ursula non sarà mai bastevole: ma occorre
aggiungere che Altiero aveva sempre «Studiato))' anche da comunista, per agire da europeo).
L'Europa, è ovvio, si fa con gli europei: cosa sapremo fare noi, che dialogo non effimero tenere aperto coi francesi, coi tedeschi, eccetera?
(l'Eurobarometro e non solo esso ci dicono che
la disponibilità c'è: ma chi di noi saprà incidere
profondamente «alla base)) in questi Paesi fratelli?).
Caro Altiero, quante volte ho polemizzato
con te: ma la tua statura la misuro dal vuoto
terribile che ora provo, da come sento la tua
mancanza, o mio fratello maggiore, disperatamente.
5
COMUNI D'EUROPA
giugno 1986
Per continuare_una battaglia difficile
ma indispensabile
di Gianfranco Martini
UE
porto tra ente locale e battaglia europea, tra le
responsabilità che un eletto comunale assume
nei confronti dei problemi specifici della comunità territoriale che gli ha conferito il mandato e le responsabilità più ampie che egli ha
come portavoce dell'interesse, altrettanto reale, che i suoi concittadini hanno per la soluzione dei grandi problemi della pace, dello sviluppo, della democrazia in una dimensione che
travalica non soltanto i confini di un Comune
o di una Provincia ma persino quelli dello Stato nazionale di appartenenza.
Fu proprio in occasione del Congresso del
popolo europeo e della riunione di Lione che
ebbi modo di verificare, a contatto con altri
eletti al Congresso predetto, appartenenti a
Paesi diversi, il fondamento dell'intuizione che
aveva mosso Altiero Spinelli e i federalisti a
lanciare questa iniziativa. Pur condividendo
già da alcuni anni l'esperienza di militante del
MFE, rimasi particolarmente colpito dall'intervento di Altiero Spinelli nella Salle Mozart
(se ben ricordo) di Lione. Erano idee e programmi diversi e inconsueti anche per chi, come me, aveva iniziato assai presto l'impegno
politico e amministrativo e aveva quindi maturato una certa consuetudine con i terni generali
della crescita della democrazia, della riforma
delle istituzioni, dello sviluppo della società,
del quadro internazionale, già così teso, degli
anni '50. Spinelli spostava l'asse dell'interesse e
dell'impegno politico: l'azione politica assumeva una diversa dimensione, muovendosi su
piste ancora inesplorate, prive di precedenti,
almeno nel nostro continente, investendola di
un respiro inusitato per chi era abituato alla
politica «nazionale», pur senza divenire per
questo un esercizio astratto o un sogno intellettuale.
Sono andato a rileggerrni quanto scriveva
Altiero Spinelli nelle «Lettere federaliste» del
1955 circa il <<nuovo corso federalista». L'obiet-
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tivo era quello di «sollevare, organizzare metodicamente, sviluppare senza sosta una forza
popolare di opposizione e di sostegno, dandogli una veste e un contenuto federalista», attivando una serie di riunioni simultanee in tutti
i paesi della Comunità, allo scopo di «facilitare
in ogni europeo una presa di coscienza che gli
permetta di riconoscere che i suoi interessi, il
suo avvenire, il suo destino sono legati all' avvenire della causa federalista: ne deriva quindi
la necessità di uno sforzo ascendente che parta
dalla base, e al quale vengano associate tutte le
forze progressiste capaci di affermarsi come tali: comuni e fabbriche, associazioni familiari e
corpi amministrativi, regioni e imprese, sindacati e cooperative, ex combattenti e leghe di
varia natura, società di pensiero, università,
chiese, in una parola tutti i raggruppamenti in
seno ai quali si manifestano la diversità e la
ricchezza delle attività umane. In questo modo, invece di essere lasciata alle trattative di
parte, parlamentari, diplomatiche, governative, la causa federalista diverrebbe una idea-forza radicata nel più profondo della realtà e delle
aspirazioni popolari ... È in questo spirito che
le assemblee locali o professionali sarebbero
chiamate ad esporre le loro rivendicazioni, tendenti ad inserire le loro particolari richieste nel
contesto dell'istanza federalista: ed è sempre in
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Quando si vuole ricordare una persona
scomparsa, soprattutto se ad essa ci uniscono
rapporti non episodici e .marginali ma una profonda e collaudata consonanza di obiettivi e di
impegno, si è indotti a scavare non solo nella
sua vita ma anche, inevitabilmente, nella propna.
Ma se poi questa persona ha svolto, come è
il caso di Altiero Spinelli, una incisiva e, per
molti aspetti, originale azione politica, allora
non ci si può limitare ai ricordi puramente personali; la sua vita e fa sua esperienza divengono
bensì oggetto di una riflessione riguardante il
passato, ma anche l'indicazione di 'piste da
esplorare per il futuro e di stimoli che vanno
raccolti da chi vuole continuarne l'azione.
Alla luce di questa premessa, la scomparsa di
Altiero Spinelli mi suggerisce, tra tante altre
possibili, le seguenti considerazioni.
La prima riguarda un'esperienza lontana ma
non dimenticata, quella del Congresso del popo·
lo europeo. Con la Conferenza di Messina, preludio alla creazione della Comunità economica
europea e dell'EURATOM, i federalisti avevano percepito che qualcosa stava cambiando nel
loro contatto con le Istituzioni e coi governi
nazionali dotati di poteri decisionali e quindi
nel dialogo che essi avevano precedentemente
tentato di intrattenere con i governi stessi. In
quel periodo, l'obiettivo prioritario diventa
perciò quello di ricercare piuttosto un dialogo
con i popoli: di qui nasce a Stresa, nel luglio
1956, la decisione dei federalisti di tutta Europa di creare il Congresso del popolo europeo
(CPE) col proposito di organizzare periodicamente nei vari Paesi elezioni primarie (sul tipo
americano) per la designazione di delegati, autentici rappresentanti del popolo europeo e di
premere sui governi nazionali affinché si giunga alla convocazione di una Assemblea costituente europea. Nei due anni successivi, in
molte città e comuni europei, vengono organizzate dette elezioni «primarie» e nel gennaio
1959 il Congresso, formato dai delegati eletti,
torna a riunirsi per la seconda sessione a Lione.
In tale occasione viene approvato un progetto
di Trattato per la convocazione della Costituente europea elaborato da una Commissione
di giuristi e di federalisti sotto la guida del
Prof. Guy Héraud.
Fu in occasione della seconda Sessione di
Lione che ebbi per la prima volta (pur avendolo incontrato anche in precedenza, ma in modo troppo rapido), l'occasione di creare con
Altiero Spinelli un rapporto più approfondito
e più politico e di valutare direttamente non
solo le sue idee ma anche la sua forte personalità e la sua indiscussa tenacia.
La mia candidatura a dette elezioni primarie
nel Comune del Veneto ove allora abitavo e di
cui ero Sindaco, Lendinara, era certamente una
esperienza totalmente nuova, che mi coinvolgeva al tempo stesso come federalista e come
amministratore locale. Essa mi faceva misurare, per la prima yolta, in modo più concreto (il
Comune di Lendinara era già aderente al Consiglio dei Comuni d'Europa dal 1953), il rap-
Spinelli tra Giulio Andreotti e Aurelio Dozio nella sede dell' AICCRE per la celebrazione del
trentennale di «Comuni d'Europa» {1983} ...
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