Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
3
XII COMMISSIONE
La seduta comincia alle 10.15.
(La Commissione approva il processo
verbale della seduta precedente).
Audizione dei rappresentanti
delle comunità terapeutiche.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno
reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva
sull’attuazione della legge n. 45 del 1999
sulla tossicodipendenza, l’audizione dei
rappresentanti delle comunità terapeutiche. Saluto innanzitutto i nostri ospiti,
anche a nome della presidente della Commissione, che potrà essere presente solo
più tardi. L’audizione odierna si inquadra
in una serie di audizioni che sono state
previste dalla Commissione nell’ambito di
un’indagine conoscitiva volta a verificare
l’attuazione della legge n. 45 del 1999, che
voi tutti ben conoscete. La nostra verifica
concerne in modo particolare gli elementi
di novità che questa legge ha introdotto
rispetto alla precedente normativa sulle
tossicodipendenze. Le modifiche riguardano soprattutto i finanziamenti, che vengono sostanzialmente regionalizzati, il
rapporto tra i soggetti del terzo settore e
le autonomie locali nonché gli altri soggetti istituzionali che, come previsto dalla
legge, hanno presentato o intendono presentare progetti, i criteri per il finanziamento dei progetti di competenza delle
amministrazioni centrali nonché i principi
che devono ispirare i criteri individuati
dalle regioni per il finanziamento dei
progetti presentati dai soggetti delle autonomie locali e dal terzo settore, le
problematiche relative ai SERT, con particolare riferimento alle procedure concorsuali riservate e cosı̀ via. In sostanza, si
tratta di valutare se il quadro normativo
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
in questione sia stato tempestivamente
definito ed attuato, qual è la situazione
nelle singole regioni e soprattutto se questa nuova normativa risulti efficace rispetto alle attese e alle aspettative che si
registrano nel mondo che si occupa di
questi problemi, anche alla luce dell’esperienza sul campo degli operatori.
Nel corso delle audizioni verranno
ascoltati il ministro per la solidarietà
sociale ed il ministro per la funzione
pubblica, i rappresentanti dell’Osservatorio permanente istituito presso la Presidenza del Consiglio, i rappresentanti delle
regioni, i rappresentanti dell’UPI e dell’ANCI, i rappresentanti dei SERT, nonché
(è il caso dell’audizione odierna) i rappresentanti degli enti ausiliari, delle associazioni di volontariato e delle cooperative
sociali operanti nel settore.
Sono previste infine missioni presso
alcune selezionate realtà del terzo settore
e dei SERT. L’indagine dovrebbe concludersi entro il 30 aprile del prossimo anno.
L’elenco dei partecipanti all’audizione
odierna è molto lungo: sono qui con noi
i rappresentati degli enti che operano nel
settore attraverso comunità terapeutiche e
in alcuni casi attraverso il coordinamento
di tali comunità.
Qualcuno dei presenti forse ha già
partecipato ad altre audizioni. Normalmente, noi procediamo ascoltando innanzitutto i nostri ospiti; successivamente,
intervengono i parlamentari che intendano rivolgere domande e interloquire
con i presenti, dopo di che vengono svolte
le eventuali repliche. Tenuto conto che gli
ospiti sono oggi molto numerosi, invito
tutti ad essere abbastanza sintetici, per
concludere l’audizione entro la mattinata,
anche se mi rendo conto che l’argomento
è piuttosto vasto e molto importante.
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
4
XII COMMISSIONE
Per quanto riguarda l’ordine degli interventi, se non avete obiezioni riterrei
opportuno seguire l’ordine dell’elenco dei
partecipanti che è stato distribuito.
ALESSANDRO DIOTTASI, Rappresentante della Comunità mondo nuovo. Se mi
consente, presidente, vorrei fare una domanda. Poiché lei ha parlato di coordinamento delle comunità, vorrei sapere se
siano stati invitati a partecipare all’audizione i rappresentanti dell’associazione
Rainbow, che rappresenta moltissime
realtà del nostro paese.
PRESIDENTE. L’associazione cui lei fa
riferimento non è oggi rappresentata in
questa sede. Devo però precisare che
l’elenco dei partecipanti all’audizione che
è in distribuzione riguarda solo i soggetti
che hanno aderito alla richiesta; gli invitati erano molti di più.
Do ora la parola a monsignor Angelo
Pittau, rappresentante del Coordinamento
delle comunità operanti in Sardegna.
ANGELO PITTAU, Rappresentante del
Coordinamento delle comunità operanti in
Sardegna. Signor presidente, sotto il profilo dell’attuazione devo dire che in Sardegna la legge n. 45 (la cosiddetta Lumia)
praticamente non è stata recepita; lo
stesso vale per il nuovo atto di intesa,
anche se le risorse del fondo nazionale
previsto dal decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990 sono già state
assegnate alla regione. Quest’ultima non
ha emanato alcun atto per emanare il
bando che consentirebbe agli enti pubblici
e privati di partecipare ai progetti. Siamo
quindi fermi alla situazione precedente:
anzi, rischiamo di perdere i fondi – 16
miliardi di lire – se entro il 31 dicembre
la giunta regionale non approverà un atto
di spesa. Occorre quindi una sollecitazione nei confronti della giunta, perché
non farà in tempo né a emanare il bando
per la presentazione dei progetti né –
tanto meno – ad esaminare i progetti
stessi. È necessario che in qualche modo
queste somme vengano bloccate.
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
Altro problema è che non abbiamo gli
accreditamenti definitivi: parecchie comunità stanno lavorando senza convenzione
e quindi senza alcuna retta.
In assenza del recepimento della legge
non possono trovare risposta nemmeno le
esigenze delle nuove comunità sperimentali. In sintesi, siamo ancora all’anno zero.
In realtà i funzionari si sono attivati, ma
il blocco è tutto politico e dipende dalla
giunta.
In Sardegna la legge Lumia è stata
accolta molto favorevolmente dalle comunità. Tuttavia nella disciplina non è stata
affrontata la questione edilizia, cioè non si
è tenuto conto dei problemi riguardanti la
ristrutturazione delle comunità, l’edificabilità e cosı̀ via. Oggi sappiamo che il
Comitato per l’edilizia residenziale (CER)
dispone di 150 miliardi non spesi: vorremmo si determinasse al più presto la
possibilità di accedere nuovamente ai
bandi. Mi sembra che l’onorevole Mattioli
si fosse impegnato in tal senso. In Sardegna molti comuni si sono affrettati a
costruire le strutture per le comunità
terapeutiche ed alcuni le hanno anche
consegnate, ma senza gli allacciamenti di
acqua e luce. In pratica esse sono sprovviste di qualunque agibilità ed abitabilità.
Oggi è necessario mettere in circolazione
questi miliardi, perché le spese ancora da
effettuare sono notevoli.
Vorrei sottoporre alla vostra attenzione
anche il problema dell’IVA. Non so cosa si
verifichi nelle comunità dell’Italia settentrionale, che raccolgono anche cospicui
aiuti privati, ma nel nostro caso il mancato recupero dell’IVA penalizza fortemente il volontariato. Paghiamo un’imposta del 20 per cento su tutto, il che
significa che su un bilancio di 2 miliardi
dobbiamo versare 400 milioni. Per lo
stesso meccanismo ci viene dato il 20 per
cento di meno anche sui progetti: dal
finanziamento viene detratta l’IVA. È una
questione che non riguarda la legge Lumia, ma coinvolge sicuramente la funzionalità del nostro lavoro.
Riteniamo inoltre necessario che all’interno del piano sanitario regionale siano
chiarite le dimensioni del budget, per
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
5
XII COMMISSIONE
conoscere con certezza l’entità delle
somme destinate agli interventi contro la
tossicodipendenza. Oggi gli ingressi dipendono dal SERT ed a noi vengono richiesti
determinati parametri in termini sia di
strutture sia di personale, il che ci obbliga
a mantenere le strutture ed a pagare il
personale anche quando mancano i ragazzi. Basta che il SERT impedisca l’ingresso di cinque o dieci ragazzi per
provocare il fallimento delle comunità.
Credo quindi che il discorso del budget
debba essere ripreso. Lo stesso vale per le
tariffe: se vogliamo pagare equamente i
nostri dipendenti, non possiamo continuare con una tariffa di 62 mila lire al
giorno. È un altro aspetto che non è stato
ancora determinato.
Per quanto concerne la formazione, i
tempi di alcune regioni sono lunghissimi.
Abbiamo bisogno che l’aggiornamento e la
formazione degli operatori delle comunità
non dipenda solo dalle ASL o dall’università. Per esempio, in Sardegna è stato
organizzato un unico corso, cosı̀ noi siamo
ricattati dagli operatori di quel corso. Le
soluzioni ipotizzabili sono due: deve affermarsi un mercato anche nell’ambito
degli operatori oppure dobbiamo avere la
possibilità di svolgere i corsi, sia pure –
evidentemente – con un controllo di
conformità alla legge ed ai parametri
dell’Unione europea. Ma è necessario che
ciò avvenga celermente, perché non possiamo procedere con i tempi della burocrazia.
Va poi affrontato il problema dell’inserimento (più che « reinserimento ») lavorativo. I giovani che finiscono un programma in Sardegna devono fronteggiare
una grave situazione di disoccupazione
giovanile (56 per cento) e di disoccupazione generale (24 per cento). Ciò significa
che mandiamo i ragazzi allo sbaraglio.
Sarebbe il caso che per un certo periodo
il ragazzo fosse accompagnato nel rientro
per l’inserimento lavorativo; la legge Lumia e il nuovo atto di intesa lo prevedono,
ma servono i fondi adeguati. Mi sembra
sia prevista una disciplina per il finanziamento degli interventi socio-pedagogici
al di là del piano sanitario. Inoltre gli enti
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
locali – dai quali il meccanismo dipenderà – dovrebbero essere sollecitati ad
operare per questa fascia di emarginati.
In realtà il reinserimento lavorativo e
sociale sta diventando il problema centrale di tutte le comunità italiane. Noi
chiediamo che vi sia certezza nei corsi di
formazione: non possono assegnarci nel
2000 corsi del 1996, per di più finanziati
in maniera inadeguata e con docenti
talvolta non verificati dagli enti.
Signor presidente, le questioni che ho
illustrato in questa sede riguardano non
soltanto il Coordinamento delle comunità
operanti in Sardegna ma anche l’Intercear
(Coordinamento degli enti ausiliari regionali che si occupano di tossicodipendenze
in Italia); bisognerebbe tener conto di
questo organismo, al quale partecipano
quasi tutte le comunità terapeutiche d’Italia.
FRANCESCO VISMARA, Rappresentante della comunità San Patrignano. Signor presidente, nello scorso mese si è
scoperto che in Italia si muore di droga
non soltanto con una siringa nel braccio.
È un dramma che lascia continuamente
sul campo morti e feriti, per esempio sulle
strade. Attraverso una ricerca svolta tra il
1995 ed il 1998 in collaborazione con la
polizia stradale l’Università di Padova ha
dimostrato che il 33 per cento degli
automobilisti sottoposti sperimentalmente
ad accertamento tossicologico guida in
stato di intossicazione acuta da alcoolici
ed il 14 per cento sotto l’influenza di
stupefacenti. Un’altra ricerca, svolta in
Umbria, fa salire al 18,2 per cento quest’ultima quota di automobilisti sottoposti
a controllo. Si calcola che il 4 per cento
degli autoveicoli circolanti nelle notti del
fine settimana sia condotto da persone
sotto l’influsso devastante dell’alcool, il 2
per cento sotto l’influsso di droghe. L’ecstasy, la nuova droga che nuova non è,
dilaga tra i teenager italiani ed europei da
quasi quindici anni, surrogato della paura
di vivere dell’adolescenza e sballo normale
per i giovani che crediamo (e per questo
si credono) normali. I dati parlano chiaro:
a cavallo tra il 1998 ed il 1999 sono state
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
6
XII COMMISSIONE
intercettate dalle forze di polizia del
vecchio continente quattro tonnellate di
anfetamina ed oltre quattro milioni di
pillole varie. In Italia, secondo l’Osservatorio permanente del Ministero dell’interno, si è assistito nell’ultimo anno ad un
incremento nei sequestri di questo tipo di
droga pari al 12,99 per cento; in aumento
sono anche l’eroina (16,2 per cento), la
cocaina (41,76 per cento) e l’LSD (50,57
per cento).
Secondo un sondaggio del CIRM condotto su un campione di oltre 600 persone
tra i 15 ed i 40 anni, il consumo di droghe
riguarda il 38 per cento della popolazione
maschile ed il 17 per cento di quella
femminile. Per affrontare questa emergenza, nel 1998 il Governo italiano aveva
speso circa 9 miliardi per opuscoli e per
un sito internet. Parole d’ordine: « Fatti
furbo, non farti male »; « No excess » (no
agli eccessi). Immagine: una bocca aperta
e tre pillole, l’ultima delle quali accesa
come una bomba. Obiettivo: convincere i
ragazzi ad un uso « ragionevole » della
droga.
L’obiettivo di insegnare ai consumatori
un modo « furbo » di convivere con la
droga ha influenzato la metodologia impiegata nella realizzazione di innumerevoli progetti finanziati con il fondo nazionale per la lotta alla droga. L’opuscolo
della Lega italiana lotta all’AIDS (LILA),
che tanto scalpore ha provocato sui quotidiani per le sue « istruzioni per l’uso », è
solo uno dei tanti esempi: simili progetti
sono in corso da tempo – almeno da due
o tre anni – in molte regioni italiane,
ovviamente sempre a carico di quote
estremamente significative del fondo nazionale per la lotta alla droga (cioè con
soldi dei contribuenti).
Nei giorni dell’emergenza è stato convocato un vertice governativo: linea dura
per l’ecstasy, al bando tre nuove sostanze,
controlli di polizia fuori delle discoteche.
Si tratta di misure di propaganda, se non
supportate da atti concreti. Il ministro
dell’interno dichiara che il Governo si è
trovato impreparato di fronte ad un fenomeno di tale portata; il Capo del
Governo, in visita in Olanda, ribadisce di
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
essere favorevole ad un’ipotesi di depenalizzazione del consumo di droghe leggere.
Cosa hanno fatto e cosa stanno facendo le
istituzioni ? Qual è il piano antidroga del
dipartimento per gli affari sociali ? Per il
momento il Governo si è limitato a siglare
un accordo con il sindacato dei gestori dei
locali da ballo (SILB), che ha i medesimi
contenuti (sembrano fotocopiati) dei progetti già avviati da due anni senza risultati
in Emilia Romagna ed in Veneto. Restiamo in attesa di conoscere i contenuti
(l’abbiamo chiesto anche al ministro) e la
parola d’ordine della prossima campagna
ministeriale antidroga, coscienti del fatto
che è giunta l’ora di avviare un serio
progetto pedagogico-educativo nel quale le
istituzioni assumano il ruolo che gli adulti
in una società civile devono avere nei
confronti dei giovani: un ruolo educativo,
fondato sull’esempio e sull’incoraggiamento alla responsabilizzazione. Tutto
questo – è noto – può causare impopolarità, almeno ad un primo impatto; ma la
lotta alla droga non può essere una torta
da spartire per mercanteggiare consensi
politici.
Per quanto riguarda gli interventi di
recupero si evince che la stragrande maggioranza dei tossicodipendenti in trattamento presso le strutture pubbliche (circa
137 mila persone: il 63,8 per cento) è
soggetta a terapia farmacologica. Si registra un costante calo degli interventi di
carattere psico-sociale e riabilitativo, che
sono passati dal 40 per cento del 1994 al
36 per cento del 1998. Nell’ambito dei
trattamenti farmacologici, si registra un
incremento dei soggetti trattati con metadone, passati dal 36,7 per cento del 1994
al 48 per cento del 1998; aumentano,
inoltre, i trattamenti a medio termine (da
30 giorni a sei mesi) ed a lungo termine
(oltre i sei mesi).
Il numero dei tossicodipendenti inviati
dal servizio pubblico alle strutture socioriabilitative evidenzia un decremento pari
al 14,87 per cento dal 1994 al 31 dicembre
1998. Inoltre nelle strutture socio-riabilitative, dove alla fine del 1998 sono rimasti
soltanto 14 mila ospiti, è in costante
diminuzione il numero dei soggetti trattati
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
7
XII COMMISSIONE
con programmi residenziali, perché sono
troppo difficili e duri da portare avanti, a
vantaggio dei programmi semi-residenziali
ed ambulatoriali che sempre più spesso
utilizzano il trattamento con farmaci sostitutivi sotto l’influenza ed il potere
contrattuale dei servizi pubblici, che controllano il privato attraverso il delicato
meccanismo delle convenzioni (fra un
paio di anni arriveremo all’accreditamento, e sarà una strage).
Risulta inoltre una forte diminuzione
delle persone che accedono dal carcere a
percorsi di recupero alternativi alla detenzione.
Si riconferma quanto già denunciato
dalla Corte dei conti in un rapporto sul
triennio 1994-96: a fronte di 20 miliardi
previsti per finanziare percorsi alternativi
alla detenzione, ne sono stati utilizzati
soltanto 8; le strutture che hanno accolto
la maggioranza dei detenuti tossicodipendenti sono due (San Patrignano e Comunità incontro). Ovviamente la denuncia
della Corte dei conti, resa nota sulla
stampa, è stata prontamente dimenticata
– se non ignorata – dal Governo e la
situazione non ha subito alcun cambiamento. Vergogna !
Risulta quindi fallito l’obiettivo, prospettato durante la Conferenza di Napoli,
di garantire ai tossicodipendenti detenuti
il diritto di accedere a misure alternative.
Tutte le successive campagne politiche,
prive di buon senso e colme di demagogia,
hanno propagandato lo svuotamento delle
carceri dai detenuti tossicodipendenti.
In relazione al fondo nazionale per la
lotta alla droga segnaliamo il pericolo che
la maggioranza delle risorse destinate alle
regioni ed alle province autonome sia
utilizzata esclusivamente per progetti di
riduzione del danno, sottraendo cosı̀ le già
scarse risorse destinate fino ad oggi agli
interventi delle comunità. Citiamo per
esempio la situazione della regione Emilia
Romagna, che conosciamo molto bene. I
31 miliardi destinati dal Governo alla
regione sono stati distribuiti alle province
in base a due criteri (peraltro non previsti
dalle linee guida del ministero): l’entità
della popolazione compresa fra i 14 ed i
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
44 anni di età; il numero di tossicodipendenti in carico al servizio pubblico. Nella
provincia di Rimini operano San Patrignano, la comunità di don Oreste Benzi e
la cooperativa Cento fiori: gli utenti rappresentano complessivamente il 44,66 per
cento del totale in carico all’intero territorio regionale. Il risultato dell’applicazione dei due parametri che ho richiamato è che alla provincia di Rimini sono
stati destinati 2 miliardi 400 milioni per il
triennio (su 31 miliardi !). Tenendo conto
che questa cifra sarà utilizzata anche dai
comuni, dai SERT, per gli interventi di
prevenzione, di riduzione del danno e di
reinserimento, alle comunità resteranno
gli spiccioli, che non serviranno ad avviare
alcun progetto significativo. Dobbiamo andare avanti con le nostre forze e lo stiamo
facendo dal 1979 ! È ovvio che i rimanenti
29 miliardi 500 milioni che restano alla
regione Emilia-Romagna saranno per la
maggior parte impiegati per progetti di
prevenzione e riduzione del danno, perché
nelle altre province vi sono pochissimi
utenti e poche strutture. Quindi i comuni
ed i SERT utilizzeranno quelle somme per
fare le solite cose; le cooperative distribuiscono nel centro di Bologna il metadone. A noi, con 1.300 ospiti in comunità,
daranno 200-300 milioni. Ecco l’applicazione della legge n. 45 !
Per quanto riguarda le restanti fasi
attuative della legge n. 45, possiamo soltanto dire che anche la regione Emilia
Romagna (che è venuta a vantarsi in tutti
i tavoli romani, ministeriali ed internazionali, di essere all’avanguardia) non ha
ancora avviato alcun corso di formazione.
La legge prevedeva che i corsi dovessero
essere avviati entro 3 mesi: da febbraio ad
oggi quanti mesi sono passati ? Non è
stato avviato ancora nulla. Abbiamo dovuto farci vivi noi; e a partire da gennaio
vedremo.
Riteniamo che questa politica regionale
sia in stridente contrasto con la pari
dignità riconosciuta dalla legge n. 45 alle
diverse metodologie di intervento. La disciplina è stata il frutto del lavoro del
Parlamento e di questa Commissione, che
a questo punto la devono far rispettare: la
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
8
XII COMMISSIONE
regione Emilia-Romagna deve tornare indietro ed i soldi del triennio devono essere
utilizzati in altro modo. Altrimenti faremo
un ricorso al TAR e lo vinceremo; ma
tutte le altre strutture per poter andare
avanti dovranno aspettare il nuovo
sblocco dei finanziamenti. Meglio, allora,
che lo facciate voi.
BARTOLOMEO BARBERIS, Rappresentante della comunità Papa Giovanni
XXIII di Rimini. Riguardo all’applicazione
della cosiddetta legge Lumia volevamo
sottolineare alcuni aspetti che l’amico
Vismara ha già illustrato. La lettura del
quadro globale della situazione delle tossicodipendenze preoccupa notevolmente
anche noi, in particolare per il forte
incremento dell’utilizzo dei farmaci sostitutivi, a cui si unisce l’intenzione –
proclamata dal Ministero della sanità nell’ultima bozza delle linee guida sull’uso
dei farmaci sostitutivi – di ampliare (attraverso l’uso della buprenorfina e del
cosiddetto LAM) il tipo ed il numero di
sostanze utilizzabili senza aver fatto
prima una seria indagine conoscitiva sull’uso e – lasciatemi usare il termine –
sull’abuso nel nostro paese del farmaco
sostitutivo principale, cioè del metadone.
È ben noto agli addetti che ancora oggi in
Italia non esiste una normativa che impedisca il fenomeno della doppia prescrizione: qualunque persona tossicodipendente può farsi prescrivere dal proprio
SERT un dosaggio di farmaco sostitutivo
anche elevato e può ottenere contemporaneamente un’altra prescrizione dal medico di base.
Evidentemente situazioni del genere
rappresentano la base di partenza per il
forte sviluppo del cosiddetto mercato grigio. Chi, come noi e come gli addetti
presenti in quest’aula, ha a che fare tutti
i giorni con i ragazzi che hanno problemi
di tossicodipendenza e con persone che
vivono questo grave disagio, può facilmente testimoniare che spesso i farmaci
sostitutivi ottenuti per vie legali vengono
rivenduti all’interno o nelle immediate
adiacenze dei luoghi in cui erano stati,
spesso incautamente, distribuiti: è un fe-
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
nomeno quotidiano. Dalla rivendita si
ottengono i soldi per acquistare altre
sostanze come l’eroina.
Uno dei punti cruciali sui quali il
Parlamento e la vostra Commissione dovrebbero assumere un’iniziativa specifica
è la realizzazione di una seria indagine
conoscitiva sullo stato di questo fenomeno.
Sempre nella bozza di linee guida
proposte dal Ministero della sanità il
capitolo intitolato « Ragionamenti preliminari » si sofferma sull’utilizzo medico dell’eroina. Ci sembra una china molto pericolosa; a nostro avviso bisogna stare
molto attenti prima di imboccare una
direzione del genere.
Anche noi abbiamo rilevato la contraddizione derivante dal fatto che i criteri
per l’assegnazione dei fondi a livello regionale, provinciale ed aziendale hanno
tenuto conto soltanto degli utenti seguiti
nei servizi pubblici, cioè nei SERT: è in
stridente contrasto con l’ottica della pari
dignità, che va riconosciuta alle strutture
del privato sociale che operano nel campo
della tossicodipendenza (ovviamente a
quelle di cui sia nota la serietà professionale e la lunga esperienza). I parametri
della popolazione residente e del numero
di utenti seguiti nelle strutture pubbliche
dovrebbero essere integrati dai dati sulla
presenza nel territorio regionale e provinciale di esperienze consolidate di recupero
della tossicodipendenza, che hanno bisogno di essere sostenute, incrementate e
valorizzate: quest’ultimo parametro dovrebbe quindi rientrare nell’ambito dei
criteri di ripartizione dei fondi.
Per quanto riguarda i corsi di formazione, la regione Marche ha già cominciato (si è mossa da tre mesi) e mi risulta
sia stata la prima in Italia. In proposito
credo vi sia il rischio di lasciare all’iniziativa delle regioni un margine eccessivo
per l’attuazione delle misure previste dalla
legge. Sappiamo molto bene che in Italia
la situazione locale è assolutamente diversa tra nord e sud ed all’interno delle
varie aree territoriali. Al riguardo sarebbe
quindi indispensabile una seria azione di
vigilanza.
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
9
XII COMMISSIONE
Nel settore di cui ci stiamo occupando
vi è inoltre il rischio di muoversi in base
a posizioni ideologicamente preconcette.
Qualche giorno fa, nell’ultimo incontro
della commissione dei settanta esperti, mi
ha assai preoccupato il fatto che vengano
proposte indagini su sperimentazioni in
corso con eroina in alcuni paesi europei
mentre non viene prevista alcuna valutazione (sempre in un’ottica di allargamento
delle conoscenze al di là dei nostri confini
e nell’ambito dell’Unione europea) di altre
esperienze che certamente non si sono
mosse nella direzione dell’aumento del
numero, della quantità e dell’utilizzo
come farmaco di sostanze sostitutive o di
sostanze stupefacenti come l’eroina. Mi
sembra un atteggiamento pericoloso. Giustamente dobbiamo alzare lo sguardo al di
là del nostro cancello di casa per valutare
esperienze anche diverse, ma ciò va fatto
senza pregiudizi di carattere ideologico,
cioè a 360 gradi, con il coraggio di
guardare anche all’esperienza di paesi
europei che ci hanno preceduto sulla
strada dell’abbondante utilizzo di farmaci
sostitutivi o di sostanze stupefacenti utilizzate come farmaco e che poi hanno
dovuto constatare il sostanziale fallimento
di questa politica.
Il rischio di fondo è di determinare
con troppa facilità l’incremento della cronicità del problema: riteniamo che nessuno abbia il diritto di dichiarare l’irrecuperabilità di una persona e crediamo
che lo sforzo del recupero debba essere
continuato con testardaggine, come previsto dalla stessa legge n. 45. Altrimenti
l’ottica del recupero della persona rischia
di essere messa un po’ in secondo piano.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola
ai successivi ospiti, vorrei comunicare che
il collega Massidda – che teneva molto ad
essere presente a questo incontro – si
scusa per non aver potuto partecipare a
causa di un grave problema di famiglia.
Proseguiamo con gli interventi introduttivi.
ANNIBALE COIS, Rappresentante della
comunità Mondo X Sardegna. Signor pre-
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
sidente, poiché la nostra associazione fa
parte del Coordinamento delle comunità
operanti in Sardegna mi associo alle
considerazioni già svolte in questa sede da
monsignor Angelo Pittau. In proposito
vorrei ulteriormente sottolineare un
aspetto legato al recepimento delle norme
da parte della regione Sardegna.
In passato, in occasione del precedente
atto di intesa, il recepimento era avvenuto
in modo assolutamente passivo, nel senso
che la legge regionale aveva riprodotto
pedissequamente l’atto di intesa senza
alcun tentativo di adattamento. Credo si
tratti di un problema centrale per la
nostra realtà; infatti tutte le regioni hanno
peculiarità specifiche e nel nostro caso
proporre norme senza adattarle al contesto di riferimento – come previsto dalla
legge – finisce per svilire totalmente la
disciplina.
In particolare, credo che in Sardegna
dovremmo insistere – oltre che sugli
aspetti già ricordati da monsignor Pittau
– sul fatto che nel recepimento dell’atto
di intesa siano previsti meccanismi e
modalità per garantire veramente il rispetto della pari dignità nella strutturazione delle modalità di accesso e di
verifica. Al di là dei soggetti titolari di
queste funzioni (secondo la legge gli organi chiamati alla verifica dei requisiti
non possono essere gli stessi che si occupano delle valutazioni cliniche), è necessario stabilire precise modalità di accesso
per evitare che l’invio alle varie strutture
sia soggetto all’arbitrarietà del singolo
operatore del servizio pubblico. La nostra
comunità, pur essendo iscritta all’albo,
non ha attivato convenzioni; quindi non
sto ponendo esclusivamente un problema
di tariffe. Si tratta di evitare « lotte »
finalizzate a garantire ai servizi pubblici
(e, d’altra parte, ai servizi privati) una
certa utenza: problemi del genere certamente non sono legati all’interesse dei
singoli utenti. Uno dei problemi di applicazione della legge n. 45 è quindi quello
di stabilire criteri precisi e modalità che
consentano la pari dignità anche rispetto
alla valutazione dell’accesso nelle varie
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
10
XII COMMISSIONE
strutture. Per quanto ci riguarda il problema non è assolutamente risolto e le
premesse non sono molto rosee.
Un’ultima considerazione sulle problematiche legate al carcere. Si tratta di una
fenomenologia alla quale siamo sensibili
perché normalmente accogliamo, cosı̀
come altre realtà della nostra regione,
utenti che provengono dalle strutture carcerarie; gran parte dei detenuti – come è
noto – sono tossicodipendenti. In realtà
l’introduzione di un terzo soggetto, cioè il
Ministero di grazia e giustizia, rende
ancora più complesso e farraginoso il
meccanismo: frequentemente si arriva alla
scarcerazione ed all’inserimento in un
programma terapeutico in tempi che
vanno anche al di là del periodo di
detenzione.
ETTORE ROSSI, Rappresentante della
fondazione Villa Maraini. Signor presidente, la fondazione Villa Maraini si
occupa di tossicodipendenza a Roma dal
1975; obiettivo primario è il recupero
delle persone usando tutti i mezzi a
disposizione ed avvalendosi di qualunque
terapia: dagli strumenti di bassa soglia
(camper ed unità di strada) ai contesti più
elaborati (comunità terapeutica diurna).
Abbiamo in carico circa 1.500 utenti e
rappresentiamo un po’ la realtà di Roma.
Nel 1995 nell’ambito del programma di
riduzione del danno della regione Lazio
abbiamo avviato il nostro ultimo servizio:
l’unità di emergenza. Si tratta di una
équipe composta da un medico, da un
operatore sociale (generalmente un ex
tossicodipendente) e da un volontario in
servizio presso la sala operativa. L’unità di
emergenza è nata per fronteggiare i casi
di overdose, di astinenza, di liti familiari
dovute all’uso di sostanze. Recentemente
ci siamo specializzati negli interventi con
il metadone per casi di astinenza; siamo
attivi presso le caserme dei carabinieri e
della polizia, nonché presso la pretura
(dove si svolgono i processi per direttissima). Mi limiterò a citare alcuni dati su
questo servizio. Nel mese di gennaio 1999
siamo intervenuti in 18 casi di astinenza
presso i carabinieri, in 19 casi presso la
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
polizia ed in 38 casi presso il tribunale;
nel corso dell’anno, fino ad oggi, abbiamo
svolto in totale 350 interventi presso i
carabinieri, 170 presso le caserme di
polizia e 330 presso il tribunale di Roma.
Se queste persone avessero avuto la possibilità di un adeguato trattamento medico
prima di compiere il reato, sicuramente
non le avremmo soccorse noi. È il nostro
contributo nei confronti dei fenomeni di
microcriminalità.
Per simili esigenze immediate ogni città
dovrebbe avere secondo noi almeno un
servizio aperto ventiquattro ore su ventiquattro. In questa sede ho sentito parlare
malissimo del metadone, ma devo dire che
nel recente convegno di Pietrasanta è
stato evidenziato che secondo gli accertamenti scientifici il metadone è il migliore
farmaco per la terapia delle tossicodipendenze. Non siamo a favore soltanto del
metadone, ma abbiamo dimostrato di
voler garantire tutta una serie di servizi,
dall’unità di strada di Termini fino alla
comunità terapeutica diurna. Però quando
la persona sta male secondo noi c’è
bisogno del farmaco; per contribuire alla
diminuzione della microcriminalità basterebbe che questi soggetti avessero una
dose di metadone: sicuramente molti reati
non sarebbero commessi.
DANIELE MASCIANGELO, Rappresentante della Comunità mondo nuovo. La
nostra comunità può essere definita di
piccole dimensioni per il numero di residenti, ma in realtà conta nel Lazio 5
centri accreditati ed in Abruzzo e Lombardia altri 2 centri accreditati. La comunità si occupa prevalentemente del
recupero della persona. Mi rendo conto
che il problema della tossicodipendenza è
complesso e richiede diverse risposte, ma
la nostra comunità ha scelto il compito di
recuperare la persona caduta nel problema della droga o dell’alcool.
Una piccola premessa per rispondere
al precedente oratore. Sono un ex tossicodipendente che ha preso il metadone
per 4 anni; sono stato per 4 anni in
carcere ed ho partecipato ad un programma di recupero in una comunità.
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
11
XII COMMISSIONE
Prendevo il metadone per andare a rubare
e non per astinenza. Effettivamente il
metadone serve a togliere il dolore fisico,
ma è anche vero che il tossicodipendente
lo utilizza per continuare a delinquere ed
a fare uso di droghe. D’altra parte è stato
dimostrato scientificamente che di metadone si muore: alcuni ragazzi tossicodipendenti hanno abusato di metadone e
purtroppo non ci sono più.
ETTORE ROSSI, Rappresentante della
fondazione Villa Maraini. Potrei rispondere con altri dati scientifici, ma non mi
pare la sede adatta.
DANIELE MASCIANGELO, Rappresentante della comunità mondo nuovo. Non è
il caso, anche perché non si tratta di fare
polemica.
Le piccole comunità come la nostra si
sono sempre adeguate, negli ultimi
vent’anni, a tutte le norme che hanno
disciplinato la materia: abbiamo sempre
dato risposta alle richieste dello Stato (e
di conseguenza delle regioni), per esempio
utilizzando professionisti psicologi, psichiatri, assistenti sociali e cosı̀ via. Oggi
dobbiamo affrontare un problema nuovo.
Il principio del nostro progetto è quello di
dare un esempio educativo ai ragazzi che
chiedono una mano alla nostra comunità;
il principio educativo passa attraverso
l’esempio che persone come me possono
dare a questi ragazzi. Nel momento in cui
lo Stato ci chiede di dare ai nostri
operatori – al di là del personale normalmente retribuito che ho citato in
precedenza – una professionalità specifica, ci troviamo di fronte ad un grosso
problema. La legge prevede una sanatoria
per consentire agli operatori attivi nelle
comunità di continuare a svolgere la loro
attività anche se non in possesso dei titoli
professionali; si tratta di seguire un corso
regionale. A quanto mi risulta, la regione
Lazio non ha ancora attivato il corso,
mentre la regione Abruzzo lo ha avviato.
Dalla regione Lazio ci è pervenuta una
richiesta da parte di un’altra comunità
qui rappresentata (non faccio nomi) per
un ammontare di 2 milioni 400 mila lire
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
per ogni operatore chiamato a svolgere il
corso di aggiornamento; non so nemmeno
se la regione riconoscerebbe il corso
effettuato da questa comunità. Ecco la
realtà in cui vivono piccole comunità
come la nostra, che sono iscritte e accreditate ma dicono di no al metadone.
Quali sono le nostre prospettive per il
futuro ? Oltre al programma di 30 mesi,
dovremmo costringere i nostri ragazzi ad
andare a scuola, perché la maggior parte
di essi, quando va bene, hanno la licenza
di scuola media superiore: non hanno un
diploma e non possono accedere ai corsi
universitari per ottenere il requisito professionale che lo Stato ci richiede. È un
problema. Per noi, che siamo presenti in
tre regioni, vuol dire chiudere oppure
cambiare completamente il progetto non
intervenendo più attraverso l’esempio
educativo. Si tratta peraltro delle persone
che svolgono il lavoro più ampio e più
faticoso all’interno delle comunità di recupero: i professionisti sono impegnati per
36 ore settimanali, ma ad una certa ora
vanno comunque a casa; invece se un
ragazzo sta male l’operatore gli rimane
vicino e cerca di aiutarlo in quel momento
di difficoltà. Non potremo più farlo.
Vi è poi un secondo problema in
relazione ai finanziamenti. Dal 1978 abbiamo attivato una cooperativa sociale e
laboratori artigianali per la preparazione
professionale dei nostri ragazzi (non solo
dei residenti, ma anche di altri che non
vivono in comunità e che hanno lo stesso
problema). I nostri progetti – proposti in
collaborazione con la ASL competente –
non sono accolti: vengono preferiti nuovi
progetti, che non seguono le indicazioni
della legge n. 45. Siamo stati allora costretti a presentare un nostro progetto su
qualcosa che già facciamo da anni senza
avere soldi dallo Stato.
I corsi di formazione per i ragazzi che
devono svolgere un’attività di reinserimento avvengono il più delle volte all’interno dei nostri centri, con personale da
noi stipendiato; ma la legge non ce lo
riconosce.
Un’altra segnalazione. Nella regione
Toscana abbiamo un centro in grado di
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
12
XII COMMISSIONE
accogliere circa 30 ragazzi che è in
possesso di tutti i requisiti strutturali,
verificati dagli ufficiali della ASL. Poiché
si tratta di un ente nuovo non possiamo
utilizzare gli operatori che abbiamo in
altre regioni. Ebbene, nessun operatore
professionista è disposto a recarsi sul
posto (il centro si trova in un vecchio
eremo ristrutturato del XII secolo) e cosı̀
disponiamo di una struttura adatta a
fronteggiare i problemi della tossicodipendenza che non può essere ufficialmente
riconosciuta perché non troviamo il personale richiesto dallo Stato.
Un altro problema riguarda i soggetti
detenuti. Attualmente la situazione è
molto grave, perché non esiste all’interno
del carcere alcuna preparazione per i
ragazzi che chiedono di entrare in comunità. All’interno del carcere di Rebibbia è
stato attivato un programma di volontariato da un ragazzo che precedentemente
aveva vissuto in comunità per un periodo
di 3 mesi e che poi purtroppo era andato
via. I risultati ottenuti dalla comunità di
Rebibbia sono stati incredibili: sono numerosissime le lettere dei ragazzi che
partecipano a questo programma e che
chiedono di entrare in comunità nel momento in cui saranno scarcerati. Per
queste piccole comunità che operano quotidianamente chiediamo la possibilità di
attivare all’interno delle carceri corsi di
preparazione all’eventuale ingresso di un
ragazzo tossicodipendente detenuto. Oggi
ciò non accade.
RICCARDO DE FACCI, Rappresentante
del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Signor presidente,
poiché il nostro Coordinamento rappresenta 170 gruppi che si occupano di
tossicodipendenza e 250 gruppi totali in
Italia ho preparato qualche rilevazione sui
tempi di applicazione della legge. Un
aspetto al quale ha fatto riferimento
monsignor Pittau nella parte conclusiva
del suo intervento riguarda inoltre gli enti
ausiliari regionali: molte realtà si stanno
organizzando per costruire coordinamenti
a livello regionale che credo dovrebbero
trovare una loro visibilità in sedi come
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
quella in cui ci troviamo oggi o in altri
ambiti. Di queste realtà fanno parte sia il
nostro Coordinamento (CNCA) sia anche il
CEIS, la FICT e cosı̀ via. Probabilmente,
in una prossima occasione sarà importante avere qualche attenzione nei confronti di questi coordinamenti regionali,
che sono enti elettivi e possono rappresentare anche le piccole strutture che non
sempre hanno l’occasione di arrivare ad
un incontro come quello odierno. Anche
rispetto ai coordinamenti ausiliari regionali ho preparato qualche rilevazione, per
capire i problemi esistenti. A titolo di
informazione, al momento vi sono dieci
coordinamenti degli enti ausiliari regionali
e cinque sono in preparazione; a poco a
poco, quindi, quasi tutte le regioni italiane
si stanno attrezzando per trovare (lo dico
in maniera molto chiara, anche alla luce
di alcuni interventi precedenti) forme
chiare di rappresentanza. Lo dico con
molta trasparenza (e il Coordinamento
nazionale delle comunità di accoglienza
non può essere certo accusato di non
avere rappresentanza): è importante trovare forme lineari di rappresentanza per
tutte quelle realtà che non sempre riescono ad essere rappresentate a livello
regionale e a livello nazionale. Noi quindi,
come molte altre strutture nazionali, abbiamo spinto perché vi fosse una rappresentanza di tipo regionale.
Devo dare rapidamente alcune risposte,
anche se sarei voluto entrare subito nel
merito della legge, ma quando si citano
dei dati credo occorra essere molto precisi.
Io credo che la campagna nazionale di
prevenzione dell’anno scorso sia stata una
delle campagne che ha maggiormente
coinvolto le realtà del privato sociale.
Almeno cento realtà del privato sociale
sono state direttamente coinvolte nella
gestione di interventi sul territorio in tutto
il paese. Non a caso, a differenza di molte
altre campagne, si è cercato, nei luoghi
dove veniva presentato il materiale, di
coinvolgere direttamente gli enti interessati, e questa mi sembra una modalità
assolutamente nuova. La campagna effettuata va a mio avviso difesa, anche perché
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
13
XII COMMISSIONE
ha ottenuto un risultato importantissimo:
non è stata una campagna solo di tipo
informativo; essa ha avuto invece un forte
impatto relazionale. Qualcuno mi ha detto
(i dati saranno pubblicati fra poco) che
dei materiali della campagna sono stati
distribuiti otto milioni di pezzi. Probabilmente, molti saranno andati persi ma,
secondo quanto ci risulta, i contatti sono
stati molti.
FRANCESCO VISMARA, Rappresentante della comunità San Patrignano. Il
modo con cui è stata fatta non c’entra con
i contenuti !
RICCARDO DE FACCI, Rappresentante
del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Per favore ! Io ti ho
fatto parlare.
PRESIDENTE. Vi prego ! Il dialogo è
tra i convenuti e la Commissione.
RICCARDO DE FACCI, Rappresentante
del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Poiché non voglio fare
battaglie ideologiche, voglio darvi dei dati
di cui io sono in possesso. Gli interventi
realizzati hanno avuto un obiettivo molto
chiaro. Sono stati compilati anche dei
questionari di gradimento con riferimento
ai materiali, all’efficacia della campagna
ed al giovamento che ne hanno tratto le
persone attraverso i materiali distribuiti,
attraverso la relazione attivata e attraverso i contatti successivi all’iniziativa. In
molti casi è stato possibile segnalare
luoghi cui fare riferimento ed attivare
delle relazioni. Possiamo anche discutere
su alcuni elementi di contenuto (il confronto è assolutamente aperto), ma credo
che i questionari, i contatti stabiliti, il
materiale distribuito e le modalità seguite
abbiano dato risultati molto precisi. Ritengo quindi sia stata una campagna da
difendere, anche se l’intervento in tal
senso va sviluppato ulteriormente.
Vi è un altro elemento importante. La
nostra struttura era presente a Brescia,
insieme con il Gruppo Abele, nei giorni in
cui è morto il giovane Yannick. In quel
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
sabato notte erano presenti nostri operatori nelle discoteche. Occorre infatti
aprire un confronto serio con le realtà dei
locali pubblici al fine di definire un
accordo, perché vi sono locali pubblici in
cui non sempre si rispettano le leggi dello
Stato. Credo che un accordo di autotutela
e di autoregolamentazione dei gestori
delle discoteche sia importantissimo.
Quella notte erano presenti nella discoteca, tra l’interno e l’esterno, quasi il
doppio delle persone che il locale poteva
contenere. Molti malori non erano legati a
sostanze ingerite ma a piccoli collassi
dovuti all’enormità delle presenze, all’assenza dell’acqua nei bagni, al fatto che le
bevande distribuite erano essenzialmente
alcooliche. In questo quadro ritengo dunque sia molto importante un accordo con
i gestori dei locali da ballo, dei locali
pubblici. Le sostanze a rischio che vengono consumate sono ormai estremamente diversificate: non vi è solo l’ecstasy.
Non so se a voi siano arrivati, ma ci sono
documenti della Consulta che parlano di
una serie di proposte articolate di intervento. Non vorrei puntare il riflettore solo
su alcune situazioni: se i fenomeni sono
complessi, occorrono risposte complesse.
Non possiamo fare l’errore che abbiamo
commesso negli anni precedenti, quello di
impiegare i nostri servizi ed i nostri
interventi per contrastare il consumo soprattutto di alcune sostanze. Dobbiamo
iniziare a parlare di modalità di consumo,
di stili di consumo, di complessità dei
fenomeni. Lo ripeto: non esiste più il
consumatore puro ! Se mi imbatto in una
persona che consuma esclusivamente
eroina e non assume anche alcool, psicofarmaci o altro, lo metto in bacheca ! Nel
senso che ormai parliamo di policonsumi,
di consumi molto misti. Non credo,
quindi, che si possano più fare battaglie,
campagne o servizi riferiti esclusivamente
ad una sostanza.
Vi è un altro elemento altrettanto
importante collegato alla complessità e
diversificazione del fenomeno. È stata
sottolineata l’importanza di una riflessione seria sui farmaci sostitutivi, che
vada ad analizzare le prestazioni erogate
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
14
XII COMMISSIONE
ed i risultati ottenuti per uscire da una
lettura ideologica di alcuni dati. C’è un
riscontro scientifico, vi sono indicatori di
efficacia che si adottano per i farmaci.
Ebbene, chiediamo con forza (non solo il
CNCA, ma la maggior parte delle realtà
che lavorano in questo campo) che venga
costituito un gruppo di lavoro al fine di
stabilire dei parametri e degli indicatori e
di verificare i risultati. Altrimenti, è
chiaro che l’utilizzo di farmaci sostitutivi
ulteriori o il ricorso ad una serie di altre
sperimentazioni rischia soltanto di essere
oggetto di una battaglia ideologica, senza
che si dia invece importanza alla reale
efficacia di simili interventi. Ciò va detto
perché vi sono buone pratiche sperimentate: sono ormai quasi 70 mila all’anno le
persone che si rivolgono ai servizi e che
vengono agganciate anche grazie ai farmaci sostitutivi. Dobbiamo renderci conto
che molti servizi pubblici hanno una
grande utenza ed un contatto quotidiano
con quasi 50 mila persone. Si tratta
comunque di contatti. Sicuramente esiste
un problema di gestione educativa, relazionale, di eventuale accompagnamento
alla somministrazione del farmaco, ma
tutto ciò è disciplinato direttamente dalla
legge n. 45 del 1999. Attualmente vi sono
SERT che non hanno beneficiato in maniera evidente della legge in questione. I
concorsi indetti sono stati pochissimi, i
servizi pubblici non sono riusciti ad integrare realmente le professionalità mancanti. Vi do un dato significativo: a
Milano, su 150 o 180 operatori (a seconda
delle interpretazioni) che dovrebbero essere presenti nei servizi pubblici, ce ne
sono meno di un centinaio, cioè circa il 50
per cento ! È chiaro, allora, che con un
servizio pubblico di questo tipo la somministrazione rischia di sacrificare una
serie di altri interventi che il servizio
pubblico ed il privato sociale possono
porre in essere.
L’altro aspetto importante, oggetto di
sperimentazioni, è infatti la possibilità
delle cogestioni di percorsi da parte del
pubblico e del privato. Il ruolo educativo,
pedagogico, di accompagnamento sociale
legato alla somministrazione del farmaco
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
può essere anche cogestito, solo in presenza, però, di progettazioni condivise.
Attualmente, vi sono ancora situazioni ad
altissima discrezionalità per quanto riguarda l’applicazione della legge. Ciò vale
sicuramente per gli operatori pubblici:
soltanto in alcuni casi sono stati indetti i
bandi per i concorsi. Tra l’altro sono stati
indetti i concorsi soprattutto per le figure
di alta professionalità; per quanto riguarda i dirigenti, la legge si sta applicando, e ciò è positivo perché è importante nominare i responsabili dei servizi,
ma è necessario che vengano indetti i
concorsi anche per le figure di tipo
educativo, come ad esempio gli assistenti
sociali. Nei SERT si registrano gravi carenze per quanto riguarda gli educatori ed
il personale infermieristico. Uno degli
obiettivi della legge era quello della parificazione delle varie figure professionali
presenti nei SERT: da questo punto di
vista non si sono ottenuti grandi risultati.
Al riguardo, credo occorra un’azione di
monitoraggio. Ci siamo confrontati con la
Federsert, ed i servizi pubblici si sono
dichiarati disponibili, perché anche i
SERT chiedono che la legge sia applicata
per quanto concerne questo punto. Purtroppo, l’applicazione della legge si è
scontrata con l’organizzazione delle ASL,
con l’erogazione dei finanziamenti e con
l’orientamento dei medesimi, che in alcune regioni è molto difficile.
Vi è un altro elemento importante. La
legge non ha facilitato la progettazione
condivisa, anche se in essa si parla di
parità tra servizio pubblico e privato.
Dopo la legge è stato adottato l’atto di
intesa, in cui si parla di cogestione, di pari
titolarità, ma esistono pochi luoghi strutturati che danno corpo a tale parità. Il
privato sociale a volte ha un ruolo eccessivamente egemone perché è molto forte,
altre volte ha un ruolo assolutamente
succube. Se vogliamo la parità, occorre
applicare seriamente il dipartimento per
le dipendenze, un dipartimento che è
stato previsto nell’atto di intesa successivo
alla legge ma che è decollato soltanto in
alcune situazioni. Anche quello del dipartimento per le dipendenze è un elemento
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
15
XII COMMISSIONE
importante, anzi decisivo, del sistema.
Anche da questo punto di vista, vi è una
situazione di assoluta discrepanza. Faccio
degli esempi concreti, per capire meglio.
Abbiamo dipartimenti, in alcune regioni,
che non hanno neanche diritto ad orientare la spesa, mentre in altre regioni vi
sono dipartimenti che possono fare un
piano territoriale e quindi orientare la
spesa in modo piuttosto consistente. È
chiaro che un dipartimento per le dipendenze che non può nemmeno orientare la
spesa è assolutamente privo di efficacia. E
se l’orientamento della spesa viene effettuato dal dirigente di un’azienda sanitaria
locale, sicuramente le dipendenze non
saranno inserite tra le priorità.
Vi è un altro elemento determinante
con riferimento al fondo nazionale per la
lotta alla droga. Credo che la legge sia
decisiva per quanto riguarda la possibilità
di un’erogazione puntuale dei fondi. Il
problema, però, è che anche da questo
punto di vista vi sono forti discrepanze tra
le regioni. Vi sono regioni che stanno già
erogando i finanziamenti e ve ne sono
altre che non hanno ancora preparato il
bando. Il rischio, ancora una volta, è
quello di avere, se tutto va bene, uno o
due anni di differenza tra una regione e
l’altra per quanto riguarda l’erogazione
dei finanziamenti. In una regione i progetti finanziati nel 1997 partiranno a
gennaio del 2000, in qualche altra regione
si riuscirà a far partire i progetti, forse,
sola alla fine del 2000. È un elemento
preoccupante, che rischia di aggravare
situazioni già gravi, perché le regioni più
in difficoltà sono quelle che hanno un
sistema dei servizi non particolarmente
sviluppato. Nella regione Sicilia, per esempio (poi ne parlerà padre Lo Bue), devono
ancora essere erogati i finanziamenti del
1996. Credo che questo sia un elemento
significativo su cui occorre intervenire in
maniera precisa.
Vi sono altri elementi importanti sempre con riferimento al fondo. Al riguardo,
sia la legge che la Consulta per le tossicodipendenze hanno individuato delle linee di indirizzo, che però sono state
utilizzate nelle varie regioni in maniera
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
estremamente diversificata. Noi rischiamo
di avere sistemi di riferimento e unità di
offerta profondamente diversi. In alcune
regioni si è investito molto sulla riduzione
del danno ed in altre la riduzione del
danno è quasi sparita dai finanziamenti.
Non vorrei fare una battaglia ideologica,
ma credo che gli interventi di riduzione
del danno abbiano dimostrato l’efficacia
di questa filosofia: non è possibile che due
regioni la interpretino in maniera cosı̀
ideologizzata, senza prestare attenzione ai
bisogni reali. Credo che ciò sia molto
grave.
Un altro dato importante rispetto all’utilizzazione del fondo è che non sono
stati ancora attivati quei luoghi della
progettazione condivisa regionale necessari per orientare la spesa. In molte
regioni, infatti, non vi sono ancora momenti di coordinamento, indispensabili
per l’elaborazione dei bandi nonché per la
scelta delle modalità dell’aggiudicazione,
con il rischio che tutto finisca nelle mani
più o meno buone di qualche funzionario
cui questo compito viene delegato e che
non sempre è in grado di orientare la
spesa in base ai reali bisogni; e parliamo
di cifre notevoli: di decine di miliardi
nelle varie regioni !
Anche per quanto riguarda la quota
del 25 per cento del fondo da destinare al
finanziamento dei progetti promossi e
coordinati dal dipartimento per gli affari
sociali della Presidenza del Consiglio dei
ministri, d’intesa con gli altri ministeri, è
necessario intervenire rapidamente. Il
fondo è stato erogato, i progetti dei vari
ministeri sono stati approvati, ma l’erogazione dei finanziamenti rischia di slittare di mesi. Per alcuni progetti, infatti, la
normativa, correttamente, prevede per
l’assegnazione dei fondi il ricorso a bandi
europei. O troviamo una procedura più
semplice oppure si rischia di avere un
notevole ritardo. Se viene data delega ad
un funzionario per decidere l’erogazione,
evidentemente il funzionario dovrà applicare le leggi vigenti, comprese le normative europee. Poiché si tratta di un fondo
ad altissima valenza politica, destinato a
progetti che le varie amministrazioni
Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA
—
—
16
XII COMMISSIONE
hanno spesso elaborato d’intesa con gli
enti del privato sociale operanti sul territorio, credo che si debba trovare il modo
di accelerare i tempi dell’erogazione.
Certo, le procedure devono essere corrette, ma ricordiamoci che il rischio è di
avere un’erogazione in tempi eccessivamente lunghi.
Un altro aspetto importante, cui ho già
accennato, è il personale. Per quanto
riguarda il servizio pubblico, abbiamo
visto come non dappertutto siano stati
emanati i bandi e come in molte situazioni manchino le professionalità necessarie perché gli stessi servizi possano
essere realmente efficaci. Per quanto concerne il privato sociale, vi sono aspetti
molto delicati. La legge parla di corsi per
l’accreditamento e per il riconoscimento
di un titolo. Ebbene, in alcune regioni
vengono effettuati dei corsi che funzionano un po’ come sanatoria: consentono
agli enti (lo dico anche come rappresentante degli enti) di avere il riconoscimento
di ente ausiliario, senza però procurare
agli operatori una professionalità spendibile in altre situazioni. Si va a fare
formazione per gli operatori di comunità
che siano in possesso di un diploma di
scuola media superiore o di scuola media
inferiore, con il rischio che il titolo
ottenuto a riconoscimento della loro professionalità non sia poi spendibile in un
sistema più allargato. In altre regioni,
sono stati invece istituiti dei corsi di
diploma di laurea, che prevedono tirocini
e percorsi ben precisi, ciò per offrire agli
operatori un titolo spendibile sul mercato,
che valga anche come elemento di riferimento per le comunità. Anche da questo
punto di vista vi è dunque una discrepanza enorme. Al riguardo, andrebbe al
più presto emanato da parte del Ministero
della sanità il decreto concernente la
riorganizzazione delle professionalità. La
mia proposta, su cui si sta discutendo
anche a livello di coordinamenti regionali
degli enti ausiliari, è quella di definire, da
un lato, la figura dell’operatore socioassistenziale, all’interno della quale possa
trovare riconoscimento l’operatore di comunità in possesso del diploma di scuola
Indagine conoscitiva – 2
—
—
SEDUTA DEL
9
DICEMBRE
1999
media inferiore e con un certo numero di
ore di servizio prestate e, dall’altro, una
diversa figura di operatore per persone in
possesso di un diploma di scuola media
superiore e magari con un certo percorso
di professionalità, prevedendo per costoro
la possibilità di arrivare a conseguire una
laurea breve, un diploma di laurea. Non
vorrei distinguere, nell’ambito della comunità, tra operatività e professionalità: ma
ritengo che vada riconosciuto alle figure
che operano nella comunità un titolo per
quello che stanno facendo sia in termini
di esperienza sia in termini di professionalità.
Mi avvio alla conclusione: scusate se mi
sono dilungato, ma le cose che volevo dire
erano molte. Un altro elemento importante riguarda l’atto di intesa. Dopo due
anni di lavoro, l’atto di intesa finalmente
è stato pubblicato e, a differenza di
qualcun altro, io credo sia importante. In
esso vi sono due elementi rilevanti. Innanzitutto, vengono tutelati gli enti del
privato sociale, cioè gli enti ausiliari.
Poiché per poter lavorare nel campo delle
tossicodipendenze non ci si improvvisa,
viene prevista l’iscrizione in appositi albi
regionali per dare un riconoscimento formale a chi opera realmente in questo
campo; si tende cosı̀ ad evitare che del
fondo per la lotta alla droga si faccia,
come a volte succede, un vero e proprio
saccheggio. Vi sono associazioni, cooperative, realtà che nascono dall’oggi al domani con l’erogazione dei fondi. Credo sia
quindi importante che l’atto di intesa
preveda l’obbligo per gli enti che intendono lavorare in questo campo di iscriversi in appositi albi regionali. In questo
modo si ha quindi una certificazione degli
enti abilitati a svolgere questo lavoro. Vi
è poi la questione dell’accreditamento, che
è collegato al fondo sanitario nazionale. A
mio avviso è giusto che l’accesso al fondo
sanitario nazionale, come per qualsiasi
altro intervento, sia disciplinato da regole
chiare, volte a tutelare non l’appartenenza
a questa o a quella forza politica, ma il
possesso di una determinata professionalità o di un determinato titolo, tenuto
conto anche dei servizi offerti. Credo che
Scarica

pag. 3-16 - Legislature precedenti