Editoriale
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
In Oman, affascinante angolo di terra della penisola arabica, è
ancora frequente incontrare persone con un falco sulla spalla e
una scimitarra alla cintura; così diversa dalla nostra quotidianità,
questa immagine ci colpisce, così come ogni immagine diversa
dal nostro comune e consolidato modo di vedere la vita. Tuttavia, è la biodiversità umana e comportamentale che ci colpisce,
sempre meno la biodiversità naturale, anche perché quest’ultima è spesso invisibile, costituita da milioni di esseri viventi
sostanzialmente a noi sconosciuti e, quindi, non in grado di
suscitare le nostre emozioni.
Per quale motivo dovremmo dedicare risorse, tempo ed energia
per tutelare il falco della Regina, splendido rapace a rischio
estinzione?
La biodiversità è un concetto che nella nostra epoca fatica a trovare una sua legittimazione.
La nostra è un’epoca in cui si tende all’omogeneizzazione sia
nei pensieri, sia nell’estetica, ma è sempre più difficile trovare
un equilibrio in grado di mantenerci in linea. Una linea che
richiede fatica, che genera ansia e che ci porta a frequentare
palestre per la linea del corpo e analisti per la linea della mente.
“Vai dall’analista” è una esortazione che ho sentito da un centauro infuriato con una giovane automobilista; un “insulto” di
questo tipo è sintomatico dell’era che stiamo vivendo; forse è
solo un trasferimento del bisogno di ascolto dal confessionale
della chiesa al lettino di uno studio, con la differenza dell’aggiunta della parcella. Ma studi di analisti, centri yoga e ormai
tradizionali palestre caratterizzano le nostre città ben più dei
lustrascarpe del novecento delle città americane, dove – rilassati
nella lettura di un giornale – ci si concedevano pochi minuti di
pausa “estetica”, pausa che oggi è sempre più difficile concedersi. Si deve sempre essere al massimo della forma, nonostante, o anche perché, ci si trova in un contesto sempre più
regolamentato, disciplinato, che non ammette diversità.
Già, le diversità! Oggi diversità assume un duplice significato;
per essere politically correct ci si riempie la bocca sull’esigenza di
tutelare le diversità culturali, religiose, sessuali, etniche, si preparano menu tradotti in cinque lingue negli ospedali. Ma non ci
si accorge che per tutelare le diversità le stiamo eliminando, le
stiamo normalizzando, le stiamo integrando con l’unico scopo di
trasformare il mondo in un unico, enorme mercato, con le stesse
logiche economiche, gli stessi prodotti, gli stessi sogni.
La diversità fa paura, non quella che falsamente pensiamo di
tutelare, ma quella vera, di persone che vedono la vita in
maniera diversa, che non hanno come obiettivo l’arricchimento,
atteggiamento che non è mai stato naturale per l’uomo che, da
sempre, aveva posto i mercanti in fondo alla piramide sociale, al
cui vertice c’erano poeti, musicisti e buffoni di corte, gente
diversa, ma in grado di accendere le emozioni.
Il nostro modello non può consentirsi i buffoni, sono difetti di
fabbrica, così come tutto ciò che non può essere ottimizzato;
viviamo in un mondo ossessionato dalla ricerca della perfezione,
garanzia sicura dell’infelicità. Abbiamo trasferito l’approccio
tecnocratico anche alle nostre vite e ai nostri corpi; dobbiamo
essere perfetti, sempre, non possiamo più concederci emozioni
che possano danneggiare la nostra immagine. Siamo in preda a
una ossessione e, come spesso succede quando si è in preda a
FOTO F. DALL’AQUILA, REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Il falco della regina e la biodiversità
1
un’ossessione, siamo ormai incapaci di vedere la realtà in modo
razionale; aspetto, questo, paradossale in una società che ha fatto
della razionalità l’unico elemento nei confronti del quale non
dubitare. Ma come può definirsi razionale un modello di sviluppo che appare a tutti insostenibile, sia a chi ne è vittima, sia
a chi ne è responsabile? L’immaginario collettivo è purtroppo
ancora in preda al mito dell’innovazione, vista come unica
strada per risolvere i problemi dell’ambiente, della salute, della
sicurezza ecc.; sembra impossibile modificare l’immaginario collettivo, ma così come se ne è creato uno centrato sulla tecnologia e l’innovazione, non si capisce perché dovrebbe essere
impossibile crearne uno alternativo, fondato sul valore delle
diversità, di ciò che oggi definiamo imperfezione, quando in
realtà la bellezza del nostro mondo è fondata sull’irregolarità, sia
della natura, sia del genere umano, con infiniti volti e lineamenti che, a seconda delle diverse epoche e culture, hanno rappresentato la bellezza.
Il contrasto e le differenze, non la perfezione e l’omogeneizzazione hanno da sempre caratterizzato la vita sul nostro pianeta;
cercare di eliminarli significa creare le condizioni per eliminare
la bellezza, fatta di luci e ombre. E anche la biodiversità assume
un significato e un valore diverso a seconda del contesto di riferimento; un albero può essere fondamentale per la sussistenza
di una comunità e può essere assolutamente indifferente a
un’altra. Ma solo capendo l’interrelazione sistemica in cui
viviamo potremo tentare di salvare il pianeta.
In Italia è presente il 45% del patrimonio artistico mondiale, e
una straordinaria biodivesità naturalistica, che si sviluppa dalla
Sicilia alla Valle d’Aosta.
Eppure, anche nel nostro straordinario paese, si continua a consumare il suolo a ritmi che ormai rischiano di portarci a un punto
di non ritorno per quanto concerne la capacità di rigenerazione;
consumare il territorio significa diminuire la biodiversità; continuare a cementificarlo significa ridurne le differenze – di
costumi, di comportamenti, di tradizioni – con conseguente perdita complessiva di qualità della vita. È per questo che solo se
saremo in grado di salvare il falco della regina, saremo in grado
di salvare noi stessi.
Francesco Bertolini
Università Bocconi
Milano
numero 4 • anno X
luglio-agosto 2007
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Vanna Polacchini, Raffaella Raffaelli, Massimiliana Razzaboni,
Attilio Rinaldi, Leonardo Riveruzzi, Licia Rubbi, Franco Scarponi, Mauro Stambazzi, Stefano Tibaldi.
1
ISSN-1129-4922
RIVISTA
Rivista di Arpa
Agenzia regionale
prevenzione e ambiente
dell’Emilia-Romagna
Editoriale
Il falco della regina e la biodiversità
Francesco Bertolini
4
Agrobiodiversità
Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura
Toby Hodgkin
6
Per la biodiversità politiche e mercato
intervista a Guido Tampieri
7
Qualcuno perde la diversità dei gusti,
molti perdono il cibo
8
Cos’è la biodiversità?
Concetti e tesi a confronto
Carlo Petrini
Giovanni Burgio, Stefano Maini
10 Campo, azienda e paesaggio
le diverse scale d’intervento
Stefano Maini
12 Quali insetti bioindicatori utilizzare
in campo agrario?
Giovanni Burgio
15 Difendere le diversità
per valorizzare le tipicità
Tiberio Rabboni
16 Le Reti europee per le sementi
contadine: un futuro possibile
per coltivare la biodiversità
Riccardo Bocci
COMITATO EDITORIALE
Coordinatore:
Leonardo Riveruzzi
Marco Biocca, Lea Boschetti,
Giuseppe Caia, Giorgio Celli,
Giorgio Corazza, Giorgio Freddi, Cesare Maioli, Giorgio Merli, Carlo Pellacani, Giordano
Righini, Stefano Zan, Gianni
Zapponi, Adriano Zavatti, Carlo
Zoli.
18 Tutela delle razze e delle varietà locali,
il progetto di legge della Regione
Emilia-Romagna
Valtiero Mazzotti, Francesco Perri
20 Biodiversità e zootecnia
in Emilia-Romagna
Alberto Sabbioni, Valentino Beretti
22 I frutti della memoria,
varietà adattabili e meno energivore
Sergio Guidi
24 Valli ferraresi e produzioni d’eccellenza
Chiuso in redazione il:
14-12-2007
Redattore:
Daniela Raffaelli
Segretaria di redazione:
Claudia Pizzirani
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ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Sommario
Claudia Milan
26 Il recupero del suino nero,
un esempio di tutela della biodiversità
Enrico Mozzanica
28 Biodiversità rurale in Romagna
a cura di Sergio Guidi
30 Le normative regionali
e l’esperienza marchigiana
Oriana Porfiri
36 L’impegno dell’Europa
Rosanna Bissoli, Emanuele Cimatti, Katia Raffaelli
38 Misure straordinarie e sinergie efficaci
contro la grande sete della Romagna
Edolo Minarelli, Pierangelo Pratelli
40 Con la siccità migliora lo stato
dell’Adriatico
Attilio Rinaldi
42 Qualità dell’aria e salute
L’aria inquinata delle città fa male,
sulle ultrafini resta il bisogno
di saperne di più
Francesco Forastiere, Annunziata Faustini
44 Ripensare le città per una società
che vada oltre la cultura del fossile
Karl-Ludwig Schibel
46 Piani di risanamento,
il quadro nazionale delle misure adottate
Patrizia Bonanni, Maria Carmela Cusano,
Roberto Daffinà, Cristina Sarti
48 Accordo di programma 2006-2009,
oltre gli interventi di breve termine
Sergio Garagnani
50 Arpa, l’attività di supporto alla Regione
per la gestione della qualità dell’aria
Eriberto de’ Munari
51 La rete regionale di monitoraggio
verso la configurazione definitiva
Carla Nizzoli
53 Gli scenari futuri,
quali obiettivi minimi di riduzione?
Marco Deserti, Michele Stortini,
Giovanni Bonafé, Enrico Minguzzi
54 I fattori di pressione sulla qualità dell’aria,
le emissioni da traffico veicolare
Cristina Regazzi, Simonetta Tugnoli
56 I “veleni” dell’aria,
morbilità e mortalità allo studio
Alessandro Zanasi
58 Qualità dell’aria in ambiente confinato,
più regole e più controllo
Paolo Lauriola, Stefano Zauli
59 La tesi
Sviluppo urbano e competitività
sostenibile, l’esperienza di Rho
Giuliana Cirrincione
60 Il tempo e il clima
62 Legislazione news
63 Libri
32 Fauna minore in Emilia-Romagna, la
nuova stagione delle azioni di salvaguardia
Gianluca Borghi
34 Scarsità idrica e siccità
Scarsità idrica e siccità,
verso Expo Saragozza 2008
Lino Zanichelli
La gestione dei rifiuti in Emilia-Romagna
Annuario dei dati ambientali 2007
Esposizione delle acque superficiali
agli agrofarmaci
64 Memo/Eventi
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura
Decisione 2004/869/Ce (Conclusione del trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura)
Consiglio Ue, Decisione 24 febbraio 2004, n. 2004/869/Ce,
(Guue 23 dicembre 2004 n. L 378). Decisione del Consiglio
del 24 febbraio 2004 concernente la conclusione, a nome
della Comunità europea, del trattato internazionale sulle
risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura.
Il Consiglio dell'Unione europea
- visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 37 e l'articolo 175, paragrafo 1, in combinato disposto con l'articolo 300, paragrafo 2, primo
comma, e paragrafo 3, primo comma,
- vista la proposta della Commissione
- visto il parere del Parlamento europeo1
- considerando quanto segue:
(1) La sicurezza alimentare a livello mondiale e l'agricoltura
sostenibile dipendono dalla conservazione e dall'uso
sostenibile delle risorse fitogenetiche per la ricerca e la
selezione agricole.
(2) La Comunità è membro dell'Organizzazione delle
Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao).
(3) Il trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per
l'alimentazione e l'agricoltura (in proseguo: "il trattato
internazionale") è stato adottato dalla conferenza Fao di
Roma il 3 novembre 2001.
(4) La Comunità europea e gli Stati membri hanno firmato
il trattato internazionale il 6 giugno 2002.
(5) Il trattato internazionale istituisce un quadro globale
giuridicamente vincolante in materia di conservazione
sostenibile delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e
l'agricoltura e un sistema multilaterale nell'ambito del
quale tutte le Parti contraenti non solo hanno accesso a tali
risorse, ma condividono anche i benefici commerciali e di
altra natura derivanti dal loro impiego.
(6) La conservazione e l'uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per la ricerca e la selezione agricole sono essenziali
per lo sviluppo della produzione e la preservazione della
biodiversità in agricoltura.
(7) Facilitando l'accesso alle risorse fitogenetiche nell'ambito di un sistema multilaterale, il suddetto trattato internazionale dovrebbe promuovere il progresso tecnico in agricoltura, in conformità con l'articolo 33 del trattato che istituisce la Comunità europea.
(8) A norma dell'articolo 174 del trattato che istituisce la
Comunità europea, la politica della Comunità in materia
ambientale contribuisce alla salvaguardia e alla tutela della
qualità dell'ambiente.
(9) Con la decisione 93/626/CEE2 la Comunità ha concluso la
convenzione sulla diversità biologica sotto gli auspici del
programma delle Nazioni Unite sull'ambiente. Le misure
intese alla preservazione della biodiversità agricola contemplate dal trattato internazionale promuoveranno gli
obiettivi della convenzione.
(10) L'articolo 26 del trattato internazionale stipula che il
trattato è oggetto di ratifica, accettazione o approvazione.
Gli strumenti di ratifica, accettazione o approvazione sono
depositati presso il direttore generale della Fao.
(11) La competenza mista della Comunità e degli Stati
membri, unitamente al principio di unità della rappresentanza internazionale della Comunità, inducono a un'azione
comune per il deposito contestuale degli strumenti di
approvazione del trattato internazionale da parte della
Comunità e degli Stati membri.
(12) Per consentire la partecipazione della Comunità e degli
Stati membri all'organo direttivo del trattato internazionale
il più rapidamente possibile dopo la sua entrata in vigore,
gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di completare senza
indugio le procedure interne di approvazione.
(13) È pertanto opportuno approvare il trattato internazionale oggetto della presente decisione,
Decide:
Articolo 1
Il trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura (in proseguo: "trattato internazionale"), adottato dalla conferenza Fao nella XXXI sessione del novembre 2001, è approvato in nome della
Comunità. Il testo del trattato internazionale figura nell'allegato A della presente decisione.
Articolo 2
1. Il presidente del Consiglio è autorizzato a designare la
persona o le persone abilitate a depositare, in nome della
Comunità, lo strumento di approvazione e le dichiarazioni
di cui agli allegati B e C della presente decisione presso il
direttore generale della Fao, in conformità degli articoli 26
e 34 del trattato internazionale.
2. Gli Stati membri si adoperano per intraprendere le
necessarie iniziative in vista del deposito dei loro strumenti
di ratifica o di approvazione simultaneamente a quelli della
Comunità europea e degli altri Stati membri e, per quanto
possibile, entro il 31 marzo 2004.
3. Se a tale data uno o più Stati membri non possono depositare i propri strumenti di ratifica, la Comunità e gli altri
Stati membri possono procedere al deposito.
Articolo 3
1. Nella procedura contenziosa prevista all'articolo 22 del
trattato internazionale la Comunità è rappresentata dalla
Commissione.
2. Se la Comunità e uno o più Stati membri sono parti in
causa nella stessa controversia o sono coinvolti in più controversie nelle quali vengono sollevate le stesse o simili
questioni giuridiche, la Commissione e gli Stati membri
interessati difendono congiuntamente i loro interessi presentando un'argomentazione fattuale e giuridica coerente,
nel rispetto delle competenze comunitarie e nazionali.
Fatto a Bruxelles, 24 febbraio 2004.
Note
(1) Parere reso il 29 gennaio 2004 (non ancora pubblicato nella
Gazzetta ufficiale).
(2) Gu L 309 del 13.12.1993, pag. 1.
Il testo integrale del trattato è consultabile all’indirizzo:
ftp://ftp.fao.org/ag/agp/planttreaty/texts/treaty_italian.pdf
3
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Il Trattato internazionale sulle risorse
fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura
4
PERCHÉ UN TRATTATO
- per garantire il libero scambio
delle risorse fitogenetiche
- per garantire il multilateralismo
- per il riconoscimento delle
risorse come prodotto dei contadini
- per favorire la conservazione e
l’uso sostenibile delle risorse
fitogenetiche.
Il Trattato è uno strumento
molto importante per la conservazione e l’uso della diversità
delle coltivazioni. È essenziale
comprendere quali siano i provvedimenti più importanti e,
soprattutto, le possibilità di
implementazione.
Il Trattato riguarda, prima di
tutto, i cereali, i legumi, gli
ortaggi, la frutta. Non dobbiamo,
però, dimenticare coltivazioni
minori come i cereali minori oltre
a moltissime altre colture. Le
risorse fitogenetiche di cui parliamo nell’ambito del Trattato
comprendono le varietà moderne
e tradizionali di queste coltivazioni, nonché foraggio e progenitori selvatici, riserve di germoplasma e linee riproduttive.
Prima del Trattato, l’impegno
http://news.bioversityinternational.org
FOTO F. DALL’AQUILA, REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Da una breve presentazione di Toby Hodgkin, direttore del Global Partnerships Programme, Bioversity International
internazionale per le risorse
vegetali era volto a garantire il
libero scambio delle risorse fitogenetiche in ambito alimentare e
agricolo. La Convenzione sulla
diversità biologica (CBD) stabilisce la conservazione e l’uso
sostenibile delle risorse genetiche in generale e la giusta ed
equa distribuzione dei benefici
derivanti dal loro impiego.
Più di centottanta paesi sono
membri firmatari del CBD.
L’IMPORTANZA
DELLA
DIMENSIONE
INTERNAZIONALE DEL
TRATTATO,
I FLUSSI DELLE
RISORSE FITOGENETICHE, IL
MULTILATERALISMO
Quando si è firmata la Convenzione sulla biodiversità, è stato
riconosciuto che la biodiversità
agricola non è come le altre, che
era necessario un altro tipo di
Trattato. Perché? Perché tutti i
Paesi hanno bisogno di numerose
risorse fitogenetiche per potere
creare nuove varietà e migliorare
la produzione.
Perché in materia di risorse fitogenetiche nessun Paese è auto-
sufficiente. Secondo le stime
della Fao, l’interdipendenza dei
Paesi raggiunge il 70%.
Perché per affrontare i nuovi problemi, come i cambiamenti climatici, servono nuove caratteristiche delle colture, e per poter
trovare queste caratteristiche
dobbiamo scambiarci materiale.
COME SIAMO ARRIVATI AL
TRATTATO
Il Trattato è stato negoziato dalla
Commissione intergovernativa
della Fao.
La Commissione intergoverna-
tiva era composta dai 165 Paesi
membri (più la Comunità europea) ed è il foro intergovernativo
permanente per la discussione e
la negoziazione delle questioni
relative alle risorse genetiche per
l’agricoltura e l’alimentazione.
Il Trattato si occupa prettamente
della natura speciale e dei requisiti delle risorse fitogenetiche per
l’alimentazione e l’agricoltura.
Il Trattato è in armonia con il
CBD.
OBIETTIVI DEL TRATTATO
Il fine generale del Trattato è di
perseguire un’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare
attraverso
• la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche
• un’equa e giusta condivisione
dei vantaggi derivanti dalla loro
utilizzazione.
Il Trattato riguarda tutte le
risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e crea
un sistema multilaterale che, per
il momento, riguarda soltanto
una lista ristretta delle risorse
fitogenetiche per l’alimentazione
e l’agricoltura.
Molto importante l’articolo 5 per
la conservazione delle risorse
fitogenetiche, in particolare questo articolo si propone di:
- censire e inventariare le risorse
- promuovere la raccolta e l’informazione
- incoraggiare e sostenere gli
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
5
sforzi degli agricoltori e delle
comunità locali
- promuovere la conservazione in
situ
- cooperare sulla realizzazione di
un sistema globale di conservazione ex situ.
L’articolo 6 propone di sviluppare un uso sostenibile delle
risorse fitogenetiche, in particolare attraverso:
- elaborazione di politiche leali
- intensificazione delle ricerche
- promozione della selezione per
le varietà adatte
- allargare le basi genetiche
- promuovere un maggiore uso
delle specie e varietà sotto-utilizzate, locali o adatte
- incoraggiare un maggior uso di
diverse varietà e specie
- sorvegliare le strategie di selezione e la regolamentazione della
messa in vendita delle varietà e
della distribuzione delle sementi
L’articolo 9 è dedicato ai diritti
degli agricoltori attraverso:
- il riconoscimento del contributo
delle comunità locali e degli agricoltori
- i provvedimenti per promuovere i diritti degli agricoltori
attraverso:
- la tutela delle conoscenze tradizionali
- il diritto di partecipare nella
ripartizione dei vantaggi
- il diritto di partecipare al processo decisionale.
Si riconosce, in questo caso, l’enorme contributo che le comunità locali e autoctone, nonché
gli agricoltori di tutte le regioni
del mondo hanno fornito e continueranno a fornire per la conservazione e la valorizzazione delle
risorse fitogenetiche.
Spetta ai governi la responsabilità di tutelare i diritti degli agricoltori.
Una parte molto importante del
Trattato, crea un sistema multilaterale di accesso e ripartizione dei
vantaggi.
Toby Hodgkin è Principal Scientist e direttore
del Global partnership Programme presso Bioversity International, a Roma. È membro di
Bioversity dal 1989 e si occupa dei differenti
aspetti inerenti la conservazione e l’uso della
diversità genetica nelle piante utili. Toby
vanta un ampio numero di pubblicazioni comprensive di argomenti quali: conservazione e
uso di piante da coltura sotto-utilizzate,
miglioramenti nella conservazione “ex situ”
del germoplasma, e salvaguardia e impiego
della diversità genetica nei sistemi di produzione agricola. Prima di entrare a far parte dell’Ipgri ha lavorato come genetista/ibridatore
delle piante nelle colture vegetali di Brassica. Tra i suoi articoli, recentemente pubblicati The use of wild relatives in crop improvement: a survey of developments over the last 20 years”, luglio 2007, rivista Euphytica. Ha partecipato
alla stesura del manuale: A training guide for in situ conservation on-farm, pubblicato nel 2000 e dedicato al concetto portante della conservazione in situ.
Tale concetto viene ampiamente approfondito nel testo Genes in the field. OnLe foto pubblicate in questo articolo sono di Bioversity International
Il sistema multilaterale è stato
creato per riflettere l’interdipendenza globale. Per 64 specie è
stato istituito un sistema di scambio ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti da esse fra tutte le
parti contraenti con gli stessi
diritti.
La ripartizione dei vantaggi
dovrebbe realizzarsi attraverso
l’applicazione di diversi princìpi
e misure, in particolare:
- le risorse genetiche non sono la
proprietà di un’unica persona con
la quale si deve negoziare l’accesso e ripartire i vantaggi
- i costi di transazione sono bassi
a vantaggio dei contadini, agricoltori, ricercatori e dei consumatori
- i vantaggi devono essere divisi
in modo multilaterale.
Altre componenti del Trattato
sono:
- il piano di azione mondiale per
la conservazione e uso sosteni-
bile delle risorse fitogenitiche
per l’alimentazione e l’agricoltura adottato nel 1996
- le raccolte ex situ di risorse fitogenitiche detenute dai Centri
internazionali di ricerca agronomica del gruppo consultivo per la
ricerca agricola, il cosidetto Cgiar
- le reti internazionali di risorse
fitogenetiche
- un sistema mondiale d’informazione.
L’Italia ha ratificato il Trattato il 6
aprile 2004.
Come dice l’articolo 7 “impegni
nazionali e cooperazione internazionale” deve incorporare nelle sue
politiche e nei suoi programmi
agricoli le attività di cui agli articoli 5 e 6 e anche all’articolo 9.
Toby Hodgkin
Bioversity International
farm conservation of crop diversity di cui presentiamo una succinta recensione.
Il libro, a cura di Stephen B. Brush, nasce dal contributo di vari autori, tra cui
lo stesso Hodgkin, provenienti da una vasta gamma di diverse discipline:
agronomi, antropologi, biologi, economisti, avvocati, specialisti dello sviluppo agricolo.
Il carattere multidisciplinare dello scritto ci fornisce una visione globale
della conservazione in situ, necessaria per poter sviluppare approcci realistici
nelle aziende agricole.
Un’importante fonte di geni per la salvaguardia dell’agrobiodiversità risiede
nei campi dove, a opera dei contadini, si è verificata la domesticazione o più
in generale l’evoluzione delle colture.
Purtroppo incombe una minaccia su questi preziosi frammenti di Dna, che
assume il volto ora della crescita della popolazione umana, ora dello sviluppo
e uso di nuove tecnologie agricole e varietà vegetali, ora della commercializzazione dell’agricoltura.
E allora si corre al riparo, cercando di catturare quanto più possibile della
diversità genetica delle specie vegetali nelle banche di geni.
Lo scrigno sembra sicuro, ma perde di valore se al contempo non si conservano i sistemi ambientali in cui i geni delle colture si sono evoluti. La carta
da giocare si chiama, in tal caso, “conservazione in situ”.
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Per la biodiversità politiche e mercato
Strategie nazionali, ruolo centrale delle Regioni e, inevitabilmente, il mercato per
preservare e valorizzare la biodiversità. Sull’argomento abbiamo intervistato Guido
Tampieri, sottosegretario di Stato alle Politiche agricole, alimentari e forestali.
Giancarlo Naldi
L’impoverimento della biodiversità – in
particolare di quella più strettamente
legata all’agricoltura e all’alimentazione – con la perdita di varietà e razze
è un dato di fatto; a suo parere è un
fenomeno che riguarda solo l’agricoltura o va oltre il settore?
6
Guido Tampieri
Il fenomeno è generale, legato
com’è alla perdita di identità
indotta dai processi omologanti che
la globalizzazione determina nei
modi di produzione e nei comportamenti, individuali e sociali.
Potremmo parlare delle lingue e,
forse, dell’intero universo che classifichiamo come biodiversità culturale. La mia generazione ha vissuto
questo problema con una sensibilità
attutita dall’urgenza dei bisogni.
La perdita è stata progressiva, era
considerata un effetto collaterale,
un prezzo da pagare tutto sommato
accettabile al grande processo di
industrializzazione che traeva fuori
l’umanità da una costrizione materiale secolare. I contadini per primi
lo pensavano. La vita in campagna
era dura, altroché. Tutto ciò che produceva di più, sementi o animali era
il benvenuto.
È quindi una questione legata alla
industrializzazione dell’agricoltura e
al cambiamento nella scala dei bisogni?
Sì, l’erosione della biodiversità procede con l’evoluzione della tecnica,
il carattere dominante della modernità, che scompone lo spazio,
annulla il tempo, allunga la vita,
sfama cinque miliardi di persone,
riscalda, raffredda, illumina. Oggi si
produce in un giorno quello che
all’inizio del secolo scorso si produceva in un anno.
Via via che cresce l’esponenziale
potenza della tecnica – giunta, oggi,
alle sorgenti della vita stessa – si
dilatano e si stratificano le contraddizioni, si alza la soglia dei rischi, si
cominciano a fare i conti.
Lo sviluppo di ogni società attraversa vari stadi, ciascuno dei quali
produce esperienze, bisogni e culture indissolubilmente intrecciate a
essi.
La nostra società ha soddisfatto, in
termini quantitativi – non certo
redistributivi, perché resta una
società ingiusta nella quale, anzi,
negli ultimi anni si è insopportabilmente allargata la forbice dei redditi
– i suoi bisogni primari e avverte più
nitidamente i rischi di uno sviluppo
insostenibile, la deprivazione di
beni e valori cui attribuiamo importanza crescente proprio in quanto ci
mancano.
Anche l’Italia ha ratificato il Trattato
internazionale sulle risorse fitogeniche
per l’alimentazione e l’agricoltura. Oggi
diverse Regioni stanno elaborando leggi
regionali per la tutela del proprio patrimonio fitogenico. Si avverte il bisogno
di una strategia nazionale?
Penso di sì, anche se devo precisare
che il Governo può esprimere un
indirizzo di carattere politico in
quanto, costituzionalmente, la competenza è delle Regioni. Lo strumento di intervento più appropriato
sono i Piani di sviluppo rurale.
Abbiamo trattenuto a livello nazionale solo lo 0,3% delle risorse, il
resto è stato trasferito alle Regioni,
convinti che la biodiversità non
nasca in piazza Colonna, ma si pratichi in campagna.
Nel piano strategico nazionale
sono fissati obiettivi importanti. La
preservazione della biodiversità è
tra questi. Ci sono poi misure sulla
qualità della vita e dell’ambiente
che interessano direttamente quest’aspetto. E, più in generale, un
approccio innovativo relativo al rapporto città-campagna, al paesaggio,
all’agricoltura periurbana, ad aree
che non devono più essere considerate entità anonime in attesa di
urbanizzazione, ma un bene per la
comunità metropolitana, che fornisce beni e servizi, anche per ciò che
attiene la qualità dell’aria.
A quali criteri ci si dovrebbe attenere per
risolvere un problema che appare, a
tutti gli effetti, legato ai modi di essere,
di produrre, di consumare delle società
moderne?
Non bisogna mai essere ingiusti con
la propria storia. Non siamo più sensibili o più intelligenti delle vecchie
generazioni. Ci sono cose possibili e
anche solo pensabili in alcuni
momenti e non in altri. Importante
è non andare oltre il punto di non
ritorno. Per questo va fatto valere il
principio di precauzione, che non è
un intralcio sulla via del progresso,
ma uno dei paletti che ne indicano
il percorso.
Dall’altro verso occorre contrastare
chi, per risolvere le contraddizioni
della modernità, vorrebbe sbarazzarsi dell’intero progetto.
La società industriale che abbiamo
conosciuto, direbbe Ulrich Beck,
non coincide con la modernità, ne è
un’espressione storicizzata e imperfetta. Dobbiamo rimuovere le contraddizioni attraverso il compimento della modernità, cercando di
ricongiungere tecnica e umanesimo.
Quindi un indirizzo forte di carattere
nazionale e poi una competenza solida
per le regioni. E altri attori? I comportamenti individuali e l’economia
entrano in questo processo?
Ho maturato, con gli anni, un’accortezza metodologica, che esprimo col
linguaggio di Chance Giardiniere
nel film Oltre il giardino: guardare la
pianta sia dal lato delle radici, sia
della chioma.
C’è una linfa di carattere culturale
che percorre tutta la pianta, che noi
dobbiamo far fluire dal lato dell’offerta – con politiche territoriali di
tutela delle condizioni di riproducibilità della biodiversità – a quello
della domanda, che va resa ricettiva, ospitale a queste proposte,
attraverso la cultura.
Posso cercare di tutelare la biodiversità in spazi pubblici, ma se
voglio che viva, se non voglio
creare una riserva indiana, dove
deperisce e muore, devo fare in
modo che rappresenti un valore per
la società moderna; non deve essere
qualcosa che io custodisco, ma che
entra nel circolo vitale della nostra
società. Se non c’è l’apprezzamento
sociale della comunità dei cittadini,
se non c’è domanda da parte dei
consumatori sarà difficile vincere
questa battaglia. Si possono anche
fare centri come quelli del Corpo
forestale dello Stato, dove, per evitare l’estinzione, tengo caprette,
asini e varietà vegetali, ma la pre-
servazione della biodiversità è
un’altra cosa. Il mio obiettivo è
mantenerla conferendole una funzione, che non può essere solo
quella della testimonianza di un’identità perduta, bensì quella del
riconoscimento di un’utilità presente. Bisogna preservare per valorizzare, ma anche valorizzare per
preservare. Se il consumatore ne
apprezza il formaggio e lo compra,
le capre non si estingueranno, ma
ciò accadrà più facilmente se svolgeremo tutte le azioni necessarie
per valorizzarle; gli esempi non
mancano dal lardo ai formaggi e via
diversificando.
Esemplare il bovino di razza romagnola, che era a rischio di estinzione:
con politiche attive di sostegno il rischio
è scampato. Gli allevatori hanno utilizzato le risorse, hanno allevato fattrici
ricavandone un reddito non trascurabile. Oggi il pericolo di estinzione non
c’è più, tant’è che la Ue non dà più
risorse a tal fine. Però ci si lamenta più
delle mancate risorse che dei risultati
positivi raggiunti. Forse passare alla
logica dello sviluppo e della valorizzazione non è così semplice?
Non è mai semplice. Occorre essere
organizzati e mentalmente predisposti a farlo. Il resto dipende da chi
acquista il prodotto.
Io sono un sostenitore del benessere degli animali, ho una considerazione quasi umana per i miei cani,
ma sono creature d’affezione, li
posso far vivere in casa. Ma se
penso di allevare un maiale, la mora
romagnola, per esempio come un
bene d’affezione, quella razza può
già essere considerata estinta. Chi la
alleva e perché? È il mercato che,
alla lunga, deve tenerla viva, come
sta succedendo per la razza romagnola, bovina e suina. Bisogna
abbandonare per un attimo la poesia per entrare nella prosa, che non
è meno nobile. Se scritta con intelligenza e passione.
Intervista a cura di
Giancarlo Naldi
Arpa Emilia-Romagna
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Qualcuno perde la diversità dei gusti,
molti perdono il cibo
Con l’impoverimento della biodiversità, ai ritmi imposti dall’agricoltura industriale, non perdiamo solo il piacere
dei gusti che si rifanno ai prodotti e ai cibi delle tradizioni locali. Per molte popolazioni il fenomeno determina una
vera e propria perdita di identità, di sovranità e di sicurezza alimentare. L’omologazione dell’agricoltura e
dell’alimentazione su scala planetaria è pericolosa soprattutto per le popolazioni più povere perché le costringe in un
contesto commerciale che non possono sostenere fino ad ampliare le aree di povertà e di vera e propria fame.
Nei soli Stati Uniti, i capofila
mondiali del modello agricolo
industriale, l’80,6% delle varietà
di pomodori si è estinto dal 1903
al 1983; e così il 92,8% delle
varietà di insalata, l’86,2% delle
varietà di mele e, sempre nello
stesso periodo, il 90,8% dei mais
e il 96,1% dei mais dolci.
Delle 5.000 varietà di patate esistenti, soltanto quattro costituiscono la stragrande maggioranza
di quelle coltivate a fini commerciali negli Usa; due tipi di piselli
occupano il 96% delle coltivazioni americane e sei tipi di mais
il 71% del totale.
In un saggio sulla contrapposizione tra agricoltura “industriale”
e quella “ecologica”, l’indiano
Debal Deb scrive: “La scienza
agricola e forestale moderna ha
creato una semplificazione e una
omogeneizzazione della natura per
http://www.fondazioneslowfood.it/
minimizzare i processi incerti e assicurare una produzione efficiente di
merci commerciabili… l’agricoltura
oggi consiste in un’intensificazione di
poche coltivazioni, il tutto al costo
della perdita di una magnificente
diversità genetica che era la risultante
di millenni di esperimenti. Le monocolture di varietà valide dal punto di
vista commerciale hanno modellato
la moderna agricoltura, che funziona
come un mezzo per eliminare rapidamente forme di vita, impoverire i
suoli, e distruggere i sistemi di supporto alla vita della Terra”. E, cosa
ancora più grave, questo modello
si sta rapidamente diffondendo su
scala planetaria: “A dispetto della
pletora di evidenze empiriche sulle
conseguenze avverse dell’agricoltura
industriale su larga scala, questa è
diventata la norma da seguire per lo
sviluppo agricolo in tutte le nazioni
che cercano di emulare il modello di
crescita occidentale.”
L’evidenza empirica principale è
che il modello di agricoltura
industriale
imperante
ha
distrutto e continua a distruggere
inesorabilmente consistenti porzioni della biodiversità planetaria, mettendo a rischio non soltanto il piacere della diversità alimentare e le identità culturali
legate al cibo del pianeta, ma gli
stessi concetti di sovranità e sicurezza alimentare.
Se sparisce una varietà vegetale o
una razza animale, sparisce un
alimento e di conseguenza si
estinguono il modo specifico di
coltivarlo/allevarlo, le tecniche
artigianali per trasformarlo in
cibo, gli strumenti utili a questa
trasformazione, i modi di cucinarlo, le tradizioni legate a questo consumo, spesso i luoghi e i
riti; non senza influire in maniera
disastrosa sulla piacevolezza dei
paesaggi e dei territori. Da un
punto di vista gastronomico-culturale la perdita di biodiversità è
l’inizio del disastro peggiore che
possa capitare.
Questo appiattimento genera
un’omologazione alimentare su
scala planetaria pericolosa soprattutto per le popolazioni più
povere perché le introduce in un
contesto commerciale che non
possono sostenere e, più in generale, rischia anche di diventare
un boomerang in termini di
salute pubblica: i dati sull’obesità
come nuova pandemia di questo
secolo e sulla malnutrizione
anche in Occidente sono più che
allarmanti e le cause sono presto
riconducibili al sistema agro-alimentare di stampo industriale.
Ridurre la varietà delle coltivazioni è pericoloso perché le mette
a rischio di epidemie che, senza il
serbatoio di ricchezza genetica
che offre la biodiversità, potreb-
7
bero rivelarsi letali e senza soluzioni. Si immaginino i disastri dal
punto di vista della sicurezza alimentare per molte popolazioni se
uno scenario come questo
dovesse diventare realtà. E, certo,
in questo modo non si aiuta la
Terra a ristabilire un equilibrio
ecologico che è sempre più a
rischio a causa dei nostri stili di
vita e di consumo.
Il modo migliore per difendere la
biodiversità è quello di salvaguardare, non soltanto i semi e le
risorse genetiche, ma tutto il contesto agricolo e culturale a cui
sono legati.
Bisogna agire su più fronti,
andando a implementare o difendere piccole economie locali, di
territorio che, con le possibilità
offerte dalla globalizzazione,
potrebbero restare connesse e
collaborare in una rete mondiale
virtuosa.
È a livello locale che si vince
questa sfida: diversificando colture e culture. La diversità è l’unica grande forza creatrice che
abbiamo a disposizione, e la
stiamo compromettendo in
maniera irreparabile.
Carlo Petrini
Presidente di Slow Food
Internazionale
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Cos’è la biodiversità?
Concetti e tesi a confronto
8
La biodiversità è in definitiva un
«grappolo di concetti», più che
un unico concetto (Contoli,
1994) e assume diversi significati
in funzione della disciplina
scientifica di riferimento. Molte
difficoltà in questa discussione
risiedono nel fatto che il termine
biodiversità richiama, oltre ad
argomentazioni tecniche e scientifiche, anche aspetti di natura
etica e sociale. Nelle definizioni
recenti di agricolture sostenibili,
a fianco della sostenibilità economica ed ecologica del sistema, si
tiene infatti in considerazione
anche quella sociale.
Parleremo di quello che forse è
l’aspetto più pragmatico della
biodiversità in campo agrario,
cioè la biodiversità funzionale, termine usato in riferimento ai
risvolti pratici e ai vantaggi che la
biodiversità permette di conseguire nel campo coltivato.
La lotta agli artropodi nocivi
all’interno delle agricolture
sostenibili ha, infatti, come
punto di forza la valorizzazione e
conservazione della biodiversità
funzionale, intesa come l’insieme delle relazioni multitrofiche che si instaurano fra piante
coltivate e non coltivate, fitofagi
ed entomofagi (Rossing et al.,
2003) e che hanno il fine di contribuire a contenere le popolazioni di specie dannose al di sotto
della soglia di danno. In questo
ambito, come approfondiremo in
seguito, la gestione delle aree
non coltivate per potenziare l’azione e la moltiplicazione degli
artropodi utili è considerata una
vera e propria “tecnica” di lotta
biologica conservativa (secondo il
concetto di conservation biological
control anglosassone), e ha sempre fatto parte, come filosofia di
base, anche della “nostra” lotta
naturale contro gli artropodi dannosi.
La lotta agli artropodi nocivi
nelle agricolture sostenibili rientra pienamente, quindi, nei concetti di valorizzazione e conservazione della biodiversità funzionale, ed è associata ai servizi ecologici svolti dagli organismi utili
che, opportunamente gestiti dall’agricoltore evoluto, possono
apportare benefici nella lotta
contro i fitofagi o nell’impollinazione.
Organizzando la biodiversità
secondo un criterio funzionale è
possibile avviare sinergie che
favoriscano i processi che hanno
luogo nell’agroecosistema, for-
COLTURE
Fitofagi
ERBACEE
annuali
e perenni
Entomofagi
SIEPI
arbustive e
arboree
perenni
PIANTE
TRAPPOLA
trap crop
BORDURE
NETTARIFERE
INERBIMENTO
COVER
CROPS
SEMINATE
IMPIANTATE
SPONTANEE
PIANTE NON
COLTIVATE
Tab.1 Gestione della biodiversità nel campo coltivato, con lo scopo di aumentare la lotta biologica conservativa e prevenire le
infestazioni degli insetti dannosi. Le relazioni trofiche tra colture-piante non coltivate- insetti, rappresentate dalle frecce, possono
essere molto complesse. Frecce verdi = movimenti degli insetti utili, frecce rosse = movimenti insetti dannosi. Nel caso delle piante
trappola, si cerca di attrarre il fitofago e di sottrarlo alla coltura: per tale motivo la freccia è unidirezionale.
FOTO G. BURGIO
La diversità biologica, compresa quella del campo coltivato, è solo apparentemente una definizione semplice e
inequivocabile. Recentemente molti autori parlano, infatti, di biodiversità intra-specifica, inter-specifica ed
ecosistemica, includendo tutti i diversi aspetti di variabilità biologica ed ecologica. Nelle definizioni più recenti
inoltre, molti scienziati contemplano non solo gli organismi viventi e le loro complesse interazioni, ma anche i
rapporti con la componente abiotica dell’ambiente.
nendo vari “servizi ecologici”
come ad es. attivazione componente biotica del suolo, riciclo
dei nutritivi, incremento artropodi utili (predatori, parassitoidi,
impollinatori), aspetto quest’ultimo di cui ci occuperemo approfonditamente (Altieri, 1999).
La lotta biologica conservativa,
nella sua più moderna definizione, comprende tecniche e
strategie di gestione ambientale
che hanno lo scopo di:
1) aumentare la performance dei
nemici naturali (es. aumentando
la loro fecondità o longevità)
2) modificare il loro comportamento e la loro capacità di ricerca
3) fornire protezione da condizioni ambientali avverse, o sopperire rifugio in periodi in cui le
colture annuali sono raccolte
(Landis et al., 2000).
Tali aree andrebbero distinte
dagli incolti in senso stretto (fallows), per sottolineare come le
ECA (aree di compensazione
ecologica) non dovrebbero mai
diventare terreni abbandonati,
ma essere strutture gestite dall’a-
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
al., 1991). Buoni risultati sono
stati ottenuti all’estero ad es. con
fasce vegetate a base di Dactylis
glomerata (erba mazzolina), che
hanno fatto registrare densità di
circa 1100 individui di carabidi
svernanti per metro quadrato.
Sono spesso considerate fra le
strutture non coltivate, le cosiddette buffer zones, che consistono
in aree che possiamo definire
“cuscinetto” tra campi trattati
con pesticidi e aree non trattate
(Boller et al., 2004).
Le funzioni delle ECA nei confronti dell’entomofauna utile (o
meglio dell’artropodofauna) possono essere sintetizzate in diversi
punti (Landis et al., 2000):
- funzione di rifugio faunistico (o
serbatoio faunistico); tale azione
di “riparo fisico” comprende
1
2
3
4
5
6
anche le piante e gli ambienti
che offrono siti di svernamento o
di estivazione
- funzione di approvvigionamento di alimento vegetale (es.
nettare e polline) per adulti di
entomofagi parassitoidi o per
adulti glicifagi di alcuni predatori
(es. ditteri sirfidi)
- funzione di approvvigionamento di alimento animale
(prede o ospiti alternativi) per
entomofagi.
Esiste un’abbondante bibliografia che riporta esempi pratici di
come molte piante non coltivate
siano cruciali per l’alimentazione
e il ciclo di entomofauna utile,
compresi casi in cui la presenza
di piante «chiave» non coltivate
abbia comportato un beneficio
pratico nel controllo di un fito-
Fig. 1 Esempi di aree di compensazione ecologica (ECA) in azienda. 1: Piantata bolognese in campo di frumento, una storica
associazione fra colture e strutture non coltivate; 2: margine erboso fiorito; 3 e 4: siepi miste con diverso rapporto fra alberi,
arbusti e vegetazione erbacea; 5: striscia di piante nettarifere consociata a colture orticole in azienda biologica; 6: trap-crop di
medica associata a coltura di lattuga, per la protezione dagli attacchi da Lygus rugulipennis.
FOTO G. BURGIO
gricoltore al fine del conseguimento di un beneficio pratico.
Un ricco repertorio di ECA
(oppure EI) è fornito appunto da
Boller et al. (2004), che nel suo
testo riporta numerosi esempi
applicativi (tabella 1 e figura 1).
Per completare il quadro delle
piante non produttive o non coltivate, sono da aggiungere le
cover crops (o colture intercalari o
di copertura), e le piante-trappola (Maini e Burgio, 2005),
ambiti ancora poco studiati in
Italia.
Le fasce erbose vegetate, infine,
vengono chiamate anche beetlebank o island habitats dagli anglossassoni per il loro ruolo nel favorire siti di rifugio e svernamento
per l’entomofauna, in particolare
i coleotteri carabidi (Thomas et
fago (Landis et al., 2000; Rossing
et al., 2003; Maini e Burgio,
2005).
Ribadiamo inoltre come le aree
di compensazione ecologica
siano fondamentali per la conservazione di specie animali (e
vegetali) rare e minacciate di
estinzione (Samway, 1994; Rossing et al., 2003; Boller et al.,
2004). Come risulta dalle recenti
normative comunitarie, infatti,
fra i diversi ruoli del paesaggio
agrario nelle agricolture multifunzionali, viene contemplata
anche l’importante funzione conservazionistica.
Dal punto di vista pratico, al di là
di un contributo migliorativo di
tipo generico sul livello di biodiversità, in alcuni contesti la componente non coltivata svolge un
ruolo chiave nel potenziamento
della lotta biologica conservativa.
Considerando ad es. i sistemi colturali annuali, solitamente fra i
più instabili, l’azione regolatrice
svolta dalla lotta biologica può
spesso fallire proprio a causa di
una colonizzazione non tempestiva della coltura da parte degli
insetti utili, che raggiungono le
colture a danno avvenuto o in
coincidenza di una popolazione
del fitofago prossima alla soglia
di danno.
Un’adeguata sincronizzazione fra
nemici naturali e fitofagi può
prevenire tale fenomeno, ottimizzando il controllo biologico;
le pratiche per ottenere questa
sincronizzazione coincidono proprio con la gestione delle ECA.
Un altro esempio è quello che
riguarda il ruolo di certe ECA nel
regolarizzare i movimenti dei
colonizzatori ciclici nell’agroecosistema (Landis et al., 2000),
primi fra tutti molti predatori
polifagi come i carabidi. In tale
direzione, la gestione degli
ambienti rurali deve tenere conto
della biogeografia regionale delle
specie, e delle caratteristiche
locali del paesaggio. La connettività fra i diversi habitat all’interno di un paesaggio mantiene
le popolazioni di insetti utili, e le
relative reti trofiche, a livello di
meta-popolazione.
Giovanni Burgio
Stefano Maini
Università di Bologna
9
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Campo, azienda e paesaggio
le diverse scale d’intervento
INTERVENTI A LIVELLO DI
CAMPO
conseguente aumento della lotta
biologica (Kromp, 1999).
INTERVENTI A LIVELLO
AZIENDALE
Questi interventi riguardano la
conservazione e la gestione delle
infrastrutture non coltivate in
azienda, le rotazioni e gli avvicendamenti colturali, fino ad arrivare alle vere e proprie consociazioni colturali (intercropping), pratica che ha avuto poco successo
in Italia (Gliessmann, 1998;
Maini e Burgio, 2005). Altri
esempi, molto conosciuti sia in
Europa che in USA, riguardano il
ruolo del rovo (Rubus spp.) nel
favorire la moltiplicazione degli
imenotteri mimaridi, parassitoidi
delle cicaline, rendendo possibile un’efficace lotta biologica
contro questi fitomizi della vite
(Landis et al., 2000; Rossing et
al., 2003). Ricordiamo anche che
la tradizionale “piantata bolognese”, sistemazione a cavalletto
costituita da filari di vite maritata
ad acero od olmo ai margini di
campi di frumento o altre erbacee, può essere considerata come
un’arcaica associazione fra una
coltura e una struttura non coltivata in grado di fornire alcuni
benefici agronomici.
Per quanto riguarda i carabidi, la
Striscia di nettarifere consociate a lattuga, in un’azienda biodinamica della
provincia di Bologna
concimazione organica e i sovesci
sembrano mostrare effetti positivi su questi bioindicatori, mentre le rotazioni hanno evidenziato
risultati controversi; l’intercropping, i bordi inerbiti e le infrastrutture biodiversità-incentivanti determinano incrementi
delle popolazioni dei carabidi,
anche se non è stato ancora
dimostrato in modo inequivocabile un conseguente aumento di
lotta biologica contro fitofagi specifici (Kromp, 1999). Fra gli
FOTO SANTI
10
Riguardano ad esempio la riduzione dell’intensità e frequenza
delle lavorazioni (minimum tillage-no tillage), tecniche che favoriscono maggiormente gli organismi utili rispetto alle lavorazioni
convenzionali. Tali accorgimenti,
in particolare, possono avere un
impatto positivo su insetti utili
del terreno, come coleotteri carabidi e stafilinidi, nonché su altri
artropodi come ragni e opilionidi,
e altri invertebrati come i lombrichi (Maini e Burgio, 2005). I
coleotteri carabidi in tale ambito
sono stati molto studiati negli
agroecosistemi e alcuni lavori
hanno sintetizzato la vastissima
bibliografia esistente (Kromp,
1999; Holland, 2002). È stato
infatti visto come in generale le
lavorazioni profonde mostrino un
effetto negativo sui carabidi; i
dati sembrano dimostrare invece
che le lavorazioni ridotte (minimum e no tillage) comportino un
effetto positivo su questi insetti.
Uno studio sull’incidenza dell’impatto della riduzione delle
lavorazioni sui fitofagi ha rilevato
che il 28% dei fitofagi mostra un
incremento, il 29% dei fitofagi
non mostra differenze significative, mentre il 43% dei fitofagi
mostra una diminuzione, per il
FOTO G. BURGIO
La gestione delle ECA può avvenire a diverse scale spaziali d’intervento: livello di campo, azienda e paesaggio
(comprensorio). Per quest’ultima, in particolare, viene adottata sempre di più la dizione di landscape management,
anche se quest’ultimo termine è spesso utilizzato in modo generico per indicare le strategie ecologiche di gestione del
campo coltivato.
interventi, su scala aziendale, esiste un’ampia casistica di tentativi
di valorizzare e implementare
l’attività
degli
entomofagi
mediante la semina di miscugli
di nettarifere, tecnica utilizzata –
forse troppo empiricamente e
non accompagnata da raccolte
sistematiche di dati – anche in
molte aziende biologiche e integrate. Tale strategia, in particolare con miscugli basati su facelia
(Phacelia tanacetifolia), ha avuto
risultati alterni e molto variabili
in funzione dell’areale di applicazione (Landis et al., 2000; Wackers, 2005). Molti studi di
campo, in particolare, hanno
preso in considerazione dei predatori come i sirfidi (Sommaggio
e Burgio, 2004, per una review) e
molte specie di parassitoidi
(Wackers, 2005).
INTERVENTI A LIVELLO DI
PAESAGGIO
Adulti di Sirfidi su fiori
(livello comprensoriale o macroscala)
Questi interventi riguardano la
struttura territoriale globale dei
sistemi produttivi e delle aree
non coltivate, in un contesto di
La bassa complessità
ecologica del
paesaggio è causa
della frammentazione
degli habitat e
determina un elevato
isolamento delle
popolazioni animali
FOTO FABBRI
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
L’elevata complessità
ecologica del
paesaggio riduce la
frammentazione e
comporta un basso
isolamento delle
popolazioni animali
High isolation
Low isolation
Fig. 1 Esemplificazione dell’effetto della frammentazione sulle popolazioni animali. Da Sharov (1996), modificato
Adulto del carabide Anchomenus dorsalis
macro-scala. Le specie animali,
nemici naturali compresi, beneficerebbero dei paesaggi maggiormente diversificati (a “mosaico”),
rispetto a quelli semplificati
(monocoltura), per la presenza
appunto di “corridoi ecologici”,
cioè vie preferenziali di diffusione e spostamento di fauna
(ecological networks). Tale circostanza si ripercuoterebbe positivamente sulla biodiversità locale
degli artropodi utili, con benefici
nella lotta naturale contro i fitofagi e nella conservazione della
fauna. La gestione e progettazione del paesaggio rurale su
scala territoriale viene chiamata
sensu strictu landscape management, un argomento interdisciplinare che ha lo scopo di valutare in che modo la complessità
ecologica del paesaggio influenza
le reti alimentari e la biodiversità.
La complessità strutturale del
paesaggio
agrario,
inoltre,
sarebbe un metodo per attenuare
della struttura del paesaggio sul
fenomeno del parassitismo
necessita studi nel lungo
periodo, poiché la parassitizzazione può subire notevoli variazioni temporali (Menalled et al.,
2003).
In uno studio eseguito in EmiliaRomagna (province di Reggio e
Modena) è stato dimostrato come
un incremento della complessità
ecologica del paesaggio agrario si
traduca in un aumento del
numero di specie di alcuni insetti
indicatori, come i carabidi e i sirfidi (Genghini e Nardelli, 2005;
Burgio, 2007) (figura 2); altri
insetti, come i lepidotteri diurni
e gli imenotteri sinfiti, sempre
nello stesso contesto territoriale,
non sono stati invece influenzati
dalla complessità del paesaggio,
ma dal tipo di vegetazione.
e risolvere la frammentazione
degli habitat, che è considerata
unanimemente come una delle
cause maggiori di perdita di biodiversità sul pianeta (figura 1).
La struttura delle reti trofiche è
molto vulnerabile alla frammentazione degli habitat, fenomeno che
può causare su scala locale la precarietà nel controllo naturale (a
causa della destabilizzazione o
distruzione delle relazioni multitrofiche) e relativi outbreaks dei
fitofagi; sembra inoltre che i paesaggi agrari più eterogenei e
diversificati possano rallentare la
comparsa e l’evoluzione dei fenomeni di resistenza a insetticidi.
Il buon funzionamento delle reti
ecologiche locali, come indicato
in precedenza, dipende dall’adeguata strutturazione e organizzazione della biodiversità regionale
(Tscharntke e Brandl, 2004),
quindi dalla complessità delle reti
ecologiche su scala territoriale.
Dimostrare e quantificare come
Fig. 2 Analisi di un paesaggio agrario compreso fra le province di Modena e Reggio,
mediante GIS. Nella foto sono evidenziate le infrastrutture ecologiche del paesaggio,
il cui diverso sviluppo lineare (LDHN, in metri) definisce 3 macro-ambienti a
diversa complessità ecologica; da notare come l’ambiente centrale risulti quello
caratterizzato da una maggior complessità ecologica (Da Genghini e Nardelli,
2005). Le aziende campionate sono rappresentate con un cerchio bianco
la struttura del paesaggio coltivato influenzi l’attività degli
insetti entomofagi non è semplice.
Mentre all’estero sono stati
dimostrati effetti positivi della
diversificazione del territorio
agrario sulla biodiversità globale
su alcuni artropodi bioindicatori
come i carabidi (Kromp, 1999;
Paoletti, 1999), su macro-scala
sono disponibili pochi dati, in
particolare in Italia, anche se esistono tentativi di approccio e di
progettazione delle reti ecologiche su base territoriale. Per i
carabidi in particolare sono stati
dimostrati effetti negativi della
frammentazione degli habitat su
specie a basso potere di dispersione e maggiormente specializzate nell’habitat (Holland, 2002).
Sempre all’estero alcuni lavori
hanno messo in relazione l’ecologia del paesaggio agrario sull’attività dei parassitoidi (Marino e
Landis, 1996), anche se l’effetto
Stefano Maini
Università di Bologna
Relazione tra complessità ecologica del paesaggio agrario e numero di specie di due
bioindicatori. Il maggior numero di specie appartiene all’ambiente a maggior
complessità ecologica. Da Burgio (2007)
11
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Quali insetti bioindicatori utilizzare
in campo agrario?
usato per questi insetti. È molto
difficile sintetizzare l’enorme
informazione esistente su questo
gruppo; da considerare che,
finora, questo gruppo in Italia è
stato studiato in campo agrario
meno intensamente rispetto al
nord e centro Europa (Daccordi e
Zanetti, 1989: Molinari et al.,
1990; Sciaky e Trematerra, 1991;
Paoletti et al., 1996; Lozzia,
1999). Anche i collemboli, tradizionali bioindicatori del suolo,
sono stati utilizzati in Italia in
campo agrario, per valutare l’impatto delle pratiche agricole, l’effetto degli erbicidi (Sabatini et
al., 1997; 1998), o l’impatto di
piante geneticamente modificate.
Gli studi sui collemboli nel settore agrario sono comunque
ancora sporadici e i maggiori
ostacoli riguardano la difficoltà
nella determinazione e i costi nel
campionamento e nella separazione del materiale.
Secondo alcuni autori (Andersen
et al., 2002), molti artropodi
bioindicatori del terreno, nonostante possiedano qualità molto
interessanti, non sono ancora
entrati in molti Paesi nella valutazione di routine della qualità
dei suoli agrari, per alcuni problemi tecnici.
I sinfiti sono stati poco studiati in
campo agrario (Pesarini, comuni-
cazione personale) e uno studio
recente ha mostrato come essi
siano in grado di discriminare i
vari ambienti, mostrando risposte
diversificate in funzione delle
caratteristiche vegetazionali dell’habitat (Burgio, 2007); per contro questo gruppo mostra notevoli fluttuazioni delle popolazioni nel tempo (Sommaggio,
comunicazione personale), e
manifesta una forte sensibilità
alla presenza di piante ospiti, fattori che rendono relativamente
problematico il loro uso.
Un interessante utilizzo degli
ortotteri come bioindicatori di
paesaggio nella provincia di Belluno è fornito da Fontana et al.
(2004), mediante un sistema
molto pratico e agevole; sarebbe
interessante validare questo
approccio anche negli ambienti
agrari.
I Sirfidi sono considerati efficaci
bioindicatori del paesaggio agrario (Sommaggio et al., 2005),
dove svolgono anche l’importante ruolo di predatori di afidi e
di impollinatori, e sono stati utilizzati anche negli agroecosistemi
italiani (Sommaggio e Burgio,
2004). Un vantaggio dell’utilizzo
di questi ditteri è la disponibilità
di un sistema informatizzato
chiamato SYRPH THE NET, che
permette un utilizzo standardizzato di questi bioindicatori
Trappola a caduta, utilizzata per
campionare insetti terricoli, fra cui i
carabidi
Trappole Malaise, utilizzate per
campionare insetti volatori. Questa
tecnica di campionamento è considerata
un metodo standard per alcuni insetti,
fra cui i Sirfidi
(Speight, 2004). Questo approccio, inizialmente impostato per
l’Europa settentrionale, è stato
validato, dopo opportune tarature, anche per gli ambienti
agrari dell’Italia settentrionale,
mostrando una buona versatilità
e praticità di utilizzo (Burgio e
Sommaggio, 2007). SYRPH THE
NET è in grado di fornire interpretazioni sulla qualità di un
habitat studiato, fornendo paralFOTO G. BURGIO, GENGHINI, BERTI
12
Alcuni autori considerano, come
gruppi fondamentali, i coleotteri
carabidi, i ditteri sirfidi e gli imenotteri sinfiti (Speight,1986). Lo
stesso autore considera, come
gruppi complementari, dolicopodidi, sciomizidi, straziomidi,
tabanidi, odonati, cerambicidi,
elateridi.
Le riflessioni di Speight sono di
carattere generale, e sono riferite
soprattutto per gli ambienti forestali, fermo restando che molti
dei gruppi che l’autore indica
possano dare risposte soddisfacenti anche in campo agrario.
Qualche autore considera anche i
coleotteri scolitidi, anche se questo gruppo sembrerebbe più propenso per ambienti forestali
(Paoletti et al., 1996).
È noto come i carabidi siano gli
insetti che hanno avuto il maggior utilizzo in capo agrario,
soprattutto nel nord e centro
Europa (Kromp, 1999; Holland,
2002) e non mancano esempi e
proposte di utilizzo anche in Italia (Vigna, Taglianti, 1993 e 2001;
Brandmayr et al., 2005). Il
motivo è legato, oltre alle caratteristiche intrinseche del gruppo,
alla standardizzazione del campionamento e alla disponibilità di
numerosi specialisti. Le trappole
a caduta, pur non esenti da alcuni
limiti e problemi, rappresentano
il metodo di campionamento più
FOTO G. BURGIO
Una risposta univoca e semplice a questa domanda non esiste. Tra i diversi parametri da considerare si ricordano:
una sufficiente differenziazione nelle esigenze ecologiche delle specie, la presenza dell’organismo o del gruppo di
organismi in ambienti differenti per poter comparare ecosistemi diversi, la disponibilità di elenchi dettagliati e
aggiornati e di chiavi facilmente accessibili anche a non specialisti con compiti di gestione delle politiche ambientali,
la disponibilità di tecniche standardizzate di campionamento.
La scala di studio rappresenta una variabile che influenza da vicino la scelta di un bioindicatore
FOTO G. BURGIO (LARVA), BORIANI (ADULTO)
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
13
lelamente una valutazione sulla
qualità del paesaggio circostante
lo stesso habitat. Nonostante il
metodo fornisca risultati incoraggianti, sono necessari ulteriori
studi per valutare il sistema
anche in altri ambienti.
Anche i lepidotteri diurni sono
utilizzati come bioindicatori
(Fiumi e Camporesi, 1991;
Marini, 1998; Boriani et al.,
2005), e molte specie sono inserite nelle liste della fauna da proteggere, anche se il loro uso negli
ambienti agrari è sicuramente
inferiore rispetto agli studi più
prettamente naturalistici.
L’efficacia delle api come bioindicatori ambientali in campo
agrario è stata ampiamente
dimostrata da tempo (Porrini,
1999). Questi insetti mostrano
una grande versatilità per il biomonitoraggio da pesticidi e sono
disponibili protocolli standardizzati per un loro utilizzo (Porrini,
2007) e per il calcolo di un indice
di pericolosità ambientale (IPA)
(Porrini, 1999). Una proposta di
utilizzo degli apoidei selvatici
come
bioindicatori
degli
ambienti agrari è stata sintetizzata da Quaranta et al. (2004), in
uno studio che comprende una
dettagliata indagine faunistica di
www.dista.agrsci.unibo.it
questi insetti nel territorio italiano.
Un aspetto che influenza moltissimo la scelta di un insetto bioindicatore è sicuramente la scala di
osservazione, fattore che deve
essere tenuto in considerazione
per valutare l’efficienza di un
gruppo di insetti. È molto diverso,
infatti, monitorare un ambiente
agrario a livello di campo, azienda,
territorio; uno stesso gruppo di
insetti può rispondere in modo
molto diverso a seconda della
scala d’indagine.
In campo agrario, in uno studio
svolto in Emilia-Romagna, è
stato dimostrato, ad esempio,
come sirfidi e carabidi rispondano chiaramente alla complessità ecologica del paesaggio,
mentre altri gruppi come lepidotteri diurni e sinfiti siano maggiormente influenzati dalle caratteristiche della vegetazione del
micro-habitat (Burgio, 2007).
Da queste considerazioni, la
scelta dovrebbe ricadere probabilmente su un set di insetti indicatori, che potrebbe mostrare
maggiore versatilità per la complementarietà dei vari gruppi e le
loro risposte differenziate. È
chiaro che una siffatta scelta
necessita un certo investimento
(anche economico) e di un
approccio interdisciplinare, fattori che spesso vanno contro corrente con la praticità e con le
risorse di un programma di monitoraggio, che spesso richiede
risposte rapide e semplici.
Le
esperienze
sembrano
mostrarci come insetti bioindicatori “universali” non esistano e
come la scelta debba essere accuratamente valutata tenendo sempre in riferimento lo scopo dello
studio, le risorse economiche, la
disponibilità di specialisti e la
standardizzazione dei metodi,
tenendo ovviamente in considerazione le caratteristiche ecologiche di ogni gruppo che possono
meglio adattarsi a certe situazioni
specifiche.
CONCLUSIONI
Le recenti politiche comunitarie
che hanno posto le basi dell’agricoltura multifunzionale hanno
codificato e sancito importanti
principi ecologici nelle discipline
applicate alla lotta agli insetti,
che storicamente la filosofia della
lotta biologica e della lotta integrata avevano già intuito e proposto. Oltre a questo aspetto pratico, che si identifica fondamentalmente nella valorizzazione
della biodiversità funzionale per
il potenziamento dei servizi ecologici in seno all’azienda, le politiche eco-compatibili prevedono
un ulteriore aspetto molto importante, che consiste nella conservazione delle specie animali
(inclusi insetti) rare o minacciate
di estinzione.
È stato fondato un gruppo di
lavoro internazionale all’interno
FOTO RAMILLI
Larva e adulto di macaone, un lepidottero di interesse faunistico che utilizza la carota selvatica e altre ombrellifere come piante nutrici
Apparato Berlese-Tullgren, usato in
laboratorio per separare i campioni del
terreno
di IOBC chiamato Landscape
management for functional biodiversity, istituitosi durante il convegno svoltosi a Bologna (Rossing
et al., 2003). In tale gruppo sono
contemplati casi pratici che prevedono la valorizzazione e la
gestione delle ECA all’interno
dell’azienda agraria. Questo
esempio stimolante è un trampolino importantissimo per proiettare il concetto di conservazione
e valorizzazione della biodiversità su una scala operativa superiore all’azienda, cioè l’intero
paesaggio agrario, che diventa
così un vero e proprio patrimonio
su cui investire non solo dal
punto di vista della produzione
agraria, ma che si fonda anche
sulla multifunzionalità e sulla
sostenibilità sociale, un aspetto
che occorrerà rivalutare sempre
di più in discipline come l’entomologia agraria.
Giovanni Burgio
Università di Bologna
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
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Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Difendere le diversità per valorizzare le tipicità
Dall’inizio del ventesimo secolo
circa 3/4 della diversità genetica
delle principali colture agrarie è
scomparsa. Migliaia di varietà di
piante coltivate, selezionate naturalmente nei diversi ambienti di
coltivazione dalle condizioni climatiche e dalla sapienza di infinite generazioni di agricoltori,
sono state sostituite da un
numero ridottissimo di varietà
commerciali che, nonostante l’elevata capacità produttiva, presentano una serie di limiti. Infatti
queste varietà hanno perso una
quota consistente della capacità
di resistere alla malattie, ai parassiti e alle avversità atmosferiche;
si sono dimostrate particolarmente esigenti dal punto di vista
della concimazione e dell’irrigazione. In molti casi producono alimenti di qualità inferiore rispetto
alle varietà “tradizionali”.
La perdita di biodiversità e la
semplificazione estrema degli
ecosistemi agricoli hanno provocato un aumento esponenziale dei
fabbisogni energetici dell’agricoltura, con enormi riflessi negativi
sull’economia di aree fondamentali – quelle in via di sviluppo –
del nostro pianeta; nel contempo
sono aumentati in modo sensibile
i problemi di inquinamento di
acqua, suolo e aria causati dal settore primario.
Anche numerose razze animali,
frutto dell’interazione secolare tra
animale, ambiente, forme di allevamento e destinazione delle produzioni zootecniche, hanno raggiunto numeri ridottissimi, con
serie probabilità di scomparsa.
Nel 1954 la razza bovina Reggiana
aveva una consistenza numerica di
circa 140.000 capi. Nel 1995 era
scesa a 600, soppiantata, come la
Bianca della Val Padana o Modenese, dalla Frisona, più produttiva
e più adatta alla mungitura meccanica ma con un latte di qualità
inferiore. In realtà il latte di Reggiana presenta un particolare
“polimorfismo” delle caseine
(ovvero presenza di diversi tipi di
proteine) che si traduce in una
elevata resa in Parmigiano-Reggiano. Per ottenere una forma
occorrono circa 500 litri di latte di
Frisona contro i 450 di Reggiana;
inoltre il formaggio prodotto dalla
razza autoctona si presta in modo
particolare all’invecchiamento e
raggiunge traguardi qualitativi di
grande rilievo. Oggi, grazie alla
lungimiranza e all’attaccamento
alla tradizioni di alcuni agricoltori,
alla grande professionalità di qualche casaro e agli aiuti previsti da
strumenti di intervento pubblico,
tra i quali i Programmi di sviluppo
rurale, la Reggiana è in lenta crescita.
L’industrializzazione dell’agricoltura, la costante ricerca di nuovi
traguardi produttivi ottenuti a
scapito della qualità, le esigenze
di standardizzazione proprie della
distribuzione moderna, hanno
tolto la molla dell’interesse economico nei confronti di una parte
rilevante della nostra biodiversità
che, di conseguenza, è stata
abbandonata a sé stessa e destinata all’oblio e alla successiva
scomparsa. Il danno che ne sta
derivando è incalcolabile.
La diversità è il carattere distintivo della natura e il fondamento
della stabilità ecologica e dunque
ridurre la biodiversità negli agroecosistemi significa indebolirli e
renderli vulnerabili, alterare profondamente la configurazione dei
luoghi e del paesaggio, l’identità
culturale delle comunità, saperi e
abilità contadine tramandate da
una generazione all’altra.
Ed è un danno anche economico,
soprattutto per una regione come
l’Emilia-Romagna che fonda la
reputazione delle proprie produzioni agricole e alimentari di altissima qualità nel rapporto con le
tradizioni, con le culture e i
diversi territori e quindi, oggettivamente, con il valore della biodiversità agricola.
Nel mondo della globalizzazione
la nostra unica chiave per accedere ai mercati si chiama distintività o se si preferisce “made in
FOTO S. GUIDI
Circa tre quarti della diversità genetica delle principali culture agrarie è scomparsa dall’inizio del ventesimo secolo.
Nel mondo della globalizzazione occorre contrapporre alle coltivazioni completamente omologate sull’intero pianeta
il “made in Italy” del cibo. Ovviamente le tipicità affondano le radici nell’agrobiodiversità.
15
Pesca buco incavato
Italy” che, in ogni caso, presuppone il valore della biodiversità.
Anche per questo, non crediamo
in un futuro agricolo fondato sugli
organismi geneticamente modificati, su coltivazioni standardizzate
e completamente omologate sull’intero pianeta. Una parte non
secondaria del futuro del nostro
sistema agroindustriale è nella
genetica tradizionale finalizzata
all’aumento della qualità e alla
riduzione dei fabbisogni energetici delle colture, nella tutela e
valorizzazione delle risorse genetiche, sia animali che vegetali, a
rischio di scomparsa, che possono
consentire al nostro sistema produttivo di stare sul mercato con
prodotti unici, non replicabili in
altre realtà perché frutto dell’interazione tra territorio, cultura
materiale e grande capacità
imprenditoriale.
La Regione Emilia-Romagna ha
avviato, nel corso degli anni,
diverse iniziative per la salvaguardia di importanti risorse genetiche autoctone, in particolare nel
settore frutticolo, viticolo e zootecnico. Il loro valore sta soprattutto nel fatto che la salvaguardia
si è incontrata con la valorizzazione economica, fattore determinante se vogliamo dare basi durevoli alla conservazione delle biodiversità agricole.
Se il latte per Parmigiano-Reggiano continuerà a essere pagato,
in modo indifferenziato, con un
unico prezzo per litro conferito, le
razze autoctone continueranno a
essere penalizzate. Se, al contrario, saranno introdotti meccanismi
in grado di premiare anche sul
piano economico la maggior resa
in formaggio, la migliore attitudine alla stagionatura, le migliori
caratteristiche organolettiche, si
potranno determinare le condizioni per una inversione di tendenza.
In ogni caso è necessario avviare
un processo lungo, che richiede
ampia condivisione degli obiettivi
e degli strumenti da parte degli
operatori del settore, risorse economiche e adeguati supporti di
carattere istituzionale, in particolare sul versante della ricerca,
della sperimentazione e della
valorizzazione.
Il progetto di legge Tutela del
patrimonio di razze e varietà locali
di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo rappresenta un
ulteriore contributo alla costruzione di questo processo, essenziale per garantire, ancor prima
del futuro della nostra agricoltura,
quello della nostra cultura materiale e del nostro territorio che
hanno dato vita ai tanti capolavori
enogastronomici che caratterizzano la Regione Emilia-Romagna
e contribuito a promuoverne l’immagine in tutto il mondo.
Tiberio Rabboni
Assessore all’Agricoltura
Regione Emilia-Romagna
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Le Reti europee per le sementi contadine:
un futuro possibile per coltivare la biodiversità
In Europa il mercato delle sementi certificate si attesta in media sul 50% del seme; parallelamente è presente quello
che si potrebbe chiamare “sistema sementiero informale” e che l’industria sementiera definisce “illegale”. In un
quadro normativo europeo ancora in evoluzione, dal 2001 si sono sviluppate le Reti sementi contadine in Francia,
in Spagna e in Italia; si tratta di gruppi di agricoltori – spesso biologici – che insieme cercano di riappropriarsi
per il futuro delle sementi che danno origine a varietà locali e tradizionali.
16
Il mercato sementiero è molto
regolamentato in Europa, le esigenze in materia di qualità delle
sementi e di proprietà intellettuale fanno sì che i semi sempre
più siano dei prodotti commerciali standardizzati. In effetti, la
biodiversità non abita più le campagne, quantomeno quelle inserite nella filiera agro-industriale
(Velvée, 1993). Anche in questo
ambito, però, continuano a
esserci conflitti tra agricoltori e
industria sementiera, con i primi
che rivendicano il loro diritto a
approvvigionamento di seme da
parte degli agricoltori sia esclusivamente legato alla vendita da
parte dell’industria sementiera,
ci si sbaglia di grosso. Come si
vede nella tabella seguente, elaborata a partire da dati della
Federazione internazionale dell’industria sementiera, il mercato
delle sementi certificate si attesta in media sul 50% del seme e
parallelamente troviamo ancora
la presenza di quello che si
potrebbe chiamare sistema
sementiero informale e che l’in-
riprodurre e vendere in azienda
sementi protette iscritte al catalogo ufficiale e i secondi che cercano di limitare il più possibile
quello che ai loro occhi non è un
diritto, ma un “privilegio” e
quindi revocabile se non più
necessario (Grain, 2007). È intervenuta in proposito anche l’Unione europea che ha definito i
parametri entro cui gli agricoltori
possono legittimamente riprodurre in azienda le varietà
(Benozzo, 2004). Se si pensa,
però, che in Europa il sistema di
Origine delle varietà di cereali, leguminose e patate in alcuni Paesi europei
(Le Buanec, 2005, modificato)
PROVENIENZA SEMENTI
PAESE
COLTURA
Certificate
Riprodotte
in azienda
“Illegali”
Francia
frumento
58
42
Germania
cereali
54
40
patata
44
56
frumento
7
93
avena
5
95
frumento
51
31
18
orzo di inverno
55
15
30
orzo di primavera
66
14
20
fagiolo
37
18
45
frumento duro
90
10
frumento tenero
70
30
erba medica
75
5
orzo
80
20
patata
61
39
cereali
65
35
Finlandia
cereali e leguminose
30
47
Svezia
cereali
72
28
patata
35
65
Polonia
Inghilterra
Italia
Olanda
6
20
23
dustria sementiera definisce
“illegale”. Si tratta di sementi
non iscritte al catalogo ufficiale e
spesso definibili come varietà
locali o tradizionali (v. tabella).
Va, inoltre, aggiunto che altri fattori, come la politica agricola
europea (PAC) e la modernizzazione delle campagne, hanno
spinto per allontanare sempre di
più gli agricoltori dai semi.
Ricerca, legislazione, politiche,
sistemi economici, integrazioni
di filiera: tutti hanno lavorato in
una sola direzione finalizzata a
far assomigliare sempre più l’agricoltura a una qualsiasi altra
attività economica del sistema
capitalistico. In questo passaggio
l’agricoltore, non più contadino,
ma ridefinito “imprenditore agricolo”, diventa acquirente di beni
e tecnologia prodotte altrove,
perdendo la capacità di saper leggere e interpretare il proprio
ambiente. Gli esperti, i tecnici
avranno tutte le risposte alle sue
domande.
In tale quadro legislativo e culturale, dal 2001 sono nate e si
stanno sviluppando le Reti
sementi contadine in Francia
(Réseau Semences Paysannes,
www.semencespaysannes.org),
Spagna (Red de Semillas,
www.redsemillas.info) e Italia
(Rete semi rurali, www.semirurali.net). Si tratta di gruppi di
agricoltori – spesso biologici o
comunque non legati alla filiera
agro-industriale – che cercano di
riappropriarsi del futuro delle
sementi, prendendo atto che
quelle attualmente disponibili
sul mercato non soddisfano le
loro esigenze (Deléage, 2004).
La loro critica si fonda essenzialmente su tre aspetti:
1. tecnico; sottolineano come le
caratteristiche di distinzione,
uniformità e stabilità e il concetto di valore agronomico siano
incompatibili con le varietà
adatte a un’agricoltura non industriale
2. politico-giuridico; si chiedono
quale sistema legislativo sia il più
adatto per riavvicinare gli agricoltori alle sementi e quali regimi di
proprietà intellettuale sia possibile applicare alle sementi per
favorire lo sviluppo delle sementi
da parte degli agricoltori stessi
3. scientifico; rivendicano la centralità degli agricoltori e dei loro
saperi all’interno della ricerca
agricola (Almekinders e Hardon,
2007).
È interessante notare che queste
associazioni hanno la capacità di
mettere insieme soggetti diversi,
ben aldilà delle tradizionali forze
sindacali agricole, e mostrano
una crescita molto elevata sia in
termini di attività svolte, sia di
persone coinvolte. Inoltre, si
caratterizzano per riuscire a
comunicare le loro preoccupazioni al grande pubblico, cominciando così a costruire un nuovo
legame tra città e campagna e tra
agricoltore e cittadino, basato
sulla condivisione di comuni
obiettivi e punti di vista.
In Francia il fenomeno si è
http://www.aiab.it
esteso anche alla ricerca agricola,
dando vita a diversi progetti di
selezione partecipativa, dove la
ricerca lascia il “laboratorio” per
tornare nei “campi” in uno spirito di scambio reciproco con gli
agricoltori (Chable e Berthellot,
2005).
Il dinamismo delle Reti europee
si è concretizzato nel gennaio
2007 in un progetto europeo
triennale all’interno del VI° Programma Quadro dal titolo Farm
seed opportunities (www.farmseed.net), che vede insieme in
partnership associazioni di produttori biologici, reti sementi e
centri di ricerca di sei paesi europei (Italia, Francia, Spagna,
Olanda, Svizzera e Inghilterra).
Si tratta di un progetto di ricerca
finalizzato alle politiche che
dovrà dare consigli, indicazioni e
pareri al fine di costruire una
legislazione sementiera europea
più aperta alla biodiversità.
Infatti, l’Unione europea nel
1998 aveva cercato di proporre
una
regolamentazione
per
rispondere all’esigenza di conservare la biodiversità nei campi,
creando il concetto di “varietà da
conservazione” e “varietà amatoriali” all’interno della direttiva
98/95. Purtroppo, tale possibilità
FOTO G. NALDI
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
17
non si è ancora concretizzata,
visto che le norme attuative non
sono mai state elaborate dal
legislatore europeo.
È evidente che la posta in gioco è
molto alta: si tratta di affermare
che esiste un altro modo di considerare l’agricoltura all’interno
delle nostre società, rovesciando
un sistema di valori e di pregiudizi fortemente radicati nella
nostra cultura (Bocci e Ricoveri,
2006). Rilocalizzare l’agricoltura
e la ricerca è la chiave per
costruire sistemi agricoli sostenibili, al cui interno l’agricoltore
deve riacquistare la centralità
perduta (sociale, culturale e tecnica). Le Reti sementi contadine
sono consapevoli di tale sfida e
per questo mettono in evidenza
che senza agricoltori non si può
conservare, coltivare e sviluppare
la biodiversità agricola.
Riccardo Bocci
Associazione italiana
agricoltura biologica (Aiab)
BIBLIOGRAFIA
- Almekinders C, Hardon J. (eds.), Bringing farmers back into breeding,
Agromisa Special 5, Wageningen: Agromisa, 2007.
- Benozzo M., Attività agricola e privativa vegetale. Agricoltura Istituzioni Mercati, rivista di diritto agroalimentare e dell’ambiente 2004;
2: 197-217.
- Bocci R, Ricoveri G. (a cura di), Agricultura Terra Lavoro Ecosistemi,
EMI, 2006.
- Brush S., Farmers’ Bounty, locating crop diversity in the contemporary
world. New Haven and London: Yale University Press, 2004.
- Cleveland DA, Soleri D., Farmers, scientists and plant breeding: integrating knowledge and practice. New York: CABI Publishing, 2002.
- Chable V, Berthellot JF., La sélection participative en France: présentation des expériences en cours pour les agricultures biologiques et paysannes.
«Quelles variétés et semences pour des agricultures paysanne durables?». Les
dossiers de l’Environnement de l’INRA 2005; 30: 129-138.
- Deléage E., Paysans de la parcelle à la planète. Paris: Edition Syllepse,
2004.
- Grain, The end of farm-saved seed? Industry’s wish list for the next revision of UPOV. Grain Briefing 2007 ; February.
- Le Buanec B., Enforcement of Plant Breeders’ Rights. Meeting on Enforcement of Plant Breeders’ Rights, UPOV/Enforcement/05/3, Geneva. 25
October 2005. Not published on UPOV website, but available on
http://www.grain.org/blr_files/ueisf.pdf.
- Pistorius R, van Wijk J., The Exploitation of Plant Genetic Information.
London: Oxford University Press, 2000.
- Velvée R., The decline of diversity in European agriculture. The Ecologist 1993.
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Tutela delle razze e delle varietà locali,
il progetto di legge della Regione Emilia-Romagna
18
La biodiversità agricola non è solo
il risultato dell’adattamento e
della pressione ambientale, è
anche il prodotto del lavoro delle
donne e degli uomini che curano
la terra e la mantengono viva.
Le varietà tradizionali di ortaggi,
frutta e cereali esistono soprattutto perché nel tempo lento
delle generazioni sono state selezionate, conservate e tramandate.
Formano un patrimonio collettivo
di saperi, tecniche e consuetudini,
del quale sono titolari le comunità
rurali.
Perdere biodiversità, quindi,
equivale a perdita di identità culturale e abilità contadine che si
sono tramandate da una generazione all’altra.
Purtroppo, l’erosione della diversità è molto avanzata negli ecosistemi agricoli.
La varietà dei raccolti è quasi
scomparsa: nel periodo della Rivoluzione verde la coltivazione di
centinaia di migliaia di specie si è
ridotta a un numero esiguo
(grano, riso, mais, patata), tratti da
una ristretta base genetica.
Il 95% del nostro fabbisogno alimentare complessivo è assicurato
da 30 specie di piante e almeno i
tre quarti della nostra dieta è
costituito da solo 10 colture.
Nell’ultimo secolo oltre il 75%
della diversità genetica delle principali colture agrarie è scomparsa.
Migliaia di varietà eterogenee di
piante coltivate per generazioni
sono state sostituite da un numero
ridotto di varietà commerciali
notevolmente uniformi.
In Italia sono a rischio di estinzione ben 1500 varietà di frutta.
La stessa sorte è riservata agli animali domestici: negli ultimi cinquanta anni abbiamo perso
almeno cinque razze di bovini, tre
di caprini, oltre dieci tra ovini e
suini, sette di equini e quattro di
asini.
Per porre rimedio a questo processo di erosione genetica e promuovere un organico sistema di
tutela e salvaguardia della biodiversità la Giunta regionale ha
approvato nel mese di luglio 2007
il progetto di legge “Tutela del
patrimonio di razze e varietà locali
di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo”. Il progetto di
legge ha lo scopo di salvaguardare
il patrimonio di risorse genetiche
autoctone a rischio di erosione
genetica e la titolarità delle comunità rurali sulle razze e varietà
espressione del territorio e della
cultura locale; l'impianto del testo
è funzionale alla conservazione
tutela e valorizzazione del patrimonio genetico agrario locale.
Con questa proposta di legge la
Regione intende inoltre dare
attuazione al Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, in
coerenza all’articolo 3 (Politiche
ambientali) del nuovo Statuto
regionale.
Per raggiungere gli obiettivi
sopracitati, sono preordinati più
strumenti funzionalmente legati
tra loro:
- il repertorio regionale in cui, previo parere favorevole di un’apposita commissione tecnico-scientifica, vengono iscritte e catalogate
le risorse genetiche tutelate
- la conservazione ex situ delle
risorse genetiche (banca del germoplasma) in cui confluiscono le
accessioni iscritte nel repertorio
regionale e che risulta preordinata
allo svolgimento di tutte le operazioni necessarie alla conservazione ex situ
- gli agricoltori custodi, persone fisiche che svolgono una funzione di
pubblico interesse, che provvedono alla conservazione in situ del
FOTO M. FONTANA
Le varietà tradizionali di ortaggi, frutta e cereali formano un patrimonio collettivo di saperi, tecniche e consuetudini,
del quale sono titolari le comunità rurali. L’obiettivo del progetto di legge regionale dell’Emilia-Romagna è
salvaguardare questo patrimonio di risorse genetiche autoctone, oggi a rischio di erosione, e la titolarità delle
comunità rurali sulle stesse risorse. Il repertorio regionale delle risorse genetiche tutelate, la banca del germoplasma,
gli agricoltori custodi, la rete di conservazione e sicurezza sono tra gli strumenti previsti.
Pomodoro costoluto di Parma (azienda Stuard)
germoplasma a rischio di estinzione iscritto nel repertorio
- la rete di conservazione e sicurezza,
che comprende gli agricoltori
custodi e i soggetti affidatari della
conservazione ex situ delle risorse
genetiche (banca del germosplasma); rappresenta una struttura di
collegamento tra più soggetti
accomunati dal compito di mantenere in vita il patrimonio naturale
di interesse agrario emilianoromagnolo e a garantire l’uso
durevole del germoplasma.
Una disamina puntuale del testo
del progetto di legge evidenzia
quanto segue:
L’articolo 1 enuncia le finalità
generali che la Regione EmiliaRomagna intende perseguire:
preservare e tutelare il patrimonio
di razze e varietà locali. L’obiettivo di conservazione è collegato a
ragioni economiche, scientifiche e
culturali.
L’opportunità di proteggere le
risorse genetiche locali dal rischio
di erosione assume un significato
che trascende le esigenze della
ricerca scientifica per caricarsi di
connotazioni sociali ed economi-
che. Sono inoltre enunciate le
tipologie di attività che la
Regione intende svolgere per
tutelare e valorizzare il patrimonio
di razze e varietà locali.
A tal fine, la Regione svolge direttamente e indirettamente iniziative volte alla conservazione diffusione, conoscenza e promozione
del patrimonio di razze e varietà
del proprio territorio.
Per fornire un orientamento in
ordine alle attività e alle iniziative
che di volta in volta si ritiene
necessario promuovere, sono previsti appositi programmi d’intervento, volti alla conservazione
tutela e valorizzazione delle
varietà e razze locali d’interesse
agrario, con particolare riguardo a
quelle a rischio di erosione genetica.
L’articolo 2 definisce quelle che,
ai fini della legge, possono considerarsi “risorse genetiche indigene”. Si enumerano, dunque,
non solo specie, razze, varietà,
popolazioni, ecotipi e cloni originari del territorio emiliano-romagnolo, cioè autoctoni, ma anche
quelli di origine esterna (alloc-
FOTO M. FONTANA
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
toni), purché presenti nel territorio regionale da un periodo di
tempo definito semplicemente
“lungo”, ma sufficiente all’integrazione nell’agricoltura e nell’allevamento della regione.
Vengono prese in considerazione,
infine, quelle originarie dell'Emilia-Romagna, ma attualmente
scomparse dal territorio regionale
e presenti in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca di altre
regioni o paesi.
Vengono altresì richiamate le definizioni contenute nell'art. 2 del
Trattato internazionale sulle
risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura. Viene
infine definito "l'ambito locale" di
una risorsa genetica.
L’articolo 3 attiene al patrimonio
delle risorse genetiche, di cui
sono titolari le comunità locali al
cui interno debbono essere equamente distribuiti i benefici, cosi
come previsto dall'art. 8j della
Convenzione di Rio de Janeiro sulla
biodiversità (1992), ratificata con
legge 14 febbraio 1994, n.124 e
dall'art.9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche
per l'alimentazione e l'agricoltura.
L’articolo 4 riguarda l'approvazione, ogni triennio, di un piano
settoriale di intervento nel quale
sono stabilite le linee guida per le
attività inerenti la tutela delle
risorse genetiche di interesse
agrario.
L’articolo 5 disciplina l'istituzione
del repertorio volontario regionale
delle risorse genetiche, suddiviso
in una sezione animale e in una
vegetale, evidenziando in particolare l’esigenza di organizzarlo
secondo criteri che consentano la
confrontabilità con analoghi strumenti esistenti a livello nazionale
e internazionale.
L’articolo 6 descrive la procedura
da seguire per giungere – in base
al parere di apposita commissione
tecnico-scientifica – all’iscrizione
di una razza o varietà locale nel
repertorio regionale e contiene un
rinvio, nel comma 4, al regolamento di attuazione che avrà il
compito di dettagliare modalità e
procedure per l'iscrizione medesima.
19
Vigneto di Centesimino in zona Torre di Oriolo - Faenza
L'articolo 7 definisce le funzioni e
i compiti della Commissione tecnico-scientifica in merito alle
risorse genetiche locali.
L’articolo 8 riguarda la conservazione ex situ delle risorse genetiche e ne prevede l’affidamento a
soggetti pubblici e privati di comprovata esperienza. Tale conservazione sul territorio assume la
configurazione di una “banca
locale del germoplasma”, finalizzata a garantire la sopravvivenza
delle razze e varietà locali attraverso il metodo della “conservazione delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura al di
fuori del loro ambiente naturale".
Il comma 4 dell'art. 8 istituisce un
collegamento tra le strutture per
la conservazione ex situ e il repertorio, stabilendo che tutte le
accessioni iscritte nel Repertorio
confluiscono in queste ultime,
quindi di tutto il materiale catalogato nelle due sezioni del repertorio, e per tale ragione certamente
“locale”, esisterà un “campione”
concreto nella Banca che opererà
affinché lo stesso si conservi puro
e inalterato.
Le modalità di funzionamento e
gestione delle strutture per la
conservazione ex situ saranno
definite dal relativo regolamento
di attuazione della legge previsto
all'art. 12.
L’articolo 9 contiene la definizione di “agricoltore custode”.
Questa figura è definita come
colui che provvede alla conservazione in situ e/o "on farm" delle
varietà e razze locali in via d'estinzione.
I commi 2 e 3 demandano al regolamento di attuazione la definizione dei criteri per il conferimento dell'incarico di agricoltore
custode e dei compiti a esso affidati, l'iscrizione in apposito
elenco regionale, le modalità di
riconoscimento di eventuali corrispettivi per attività prestate dal
coltivatore medesimo.
L'articolo 10 istituisce la “rete di
conservazione tutela e salvaguardia”. Essa è concepita prima di
tutto come un “luogo” dove si
sostanzia la garanzia dell'uso
durevole delle risorse genetiche
agrarie.
I soggetti partecipanti alla Rete
sono le strutture per la conservazione ex situ (Banca regionale del
germoplasma), di cui all’articolo 8,
gli agricoltori custodi, di cui all’articolo 9, e altri soggetti pubblici e
privati interessati alla valorizzazione delle risorse genetiche
legate a specifici ambiti territoriali. Questi soggetti svolgono l'attività di conservazione delle
varietà locali a rischio di estinzione sia ex situ (Banca regionale
del germoplasma), sia in campo
(in situ) e rimettono in circolazione, nell'ambito della Rete, le
sementi e il materiale di moltiplicazione di tali varietà.
Le modalità di adesione alla Rete
saranno disciplinate dal regolamento di attuazione della legge.
Inoltre, poiché chi svolge attività
nella Rete compie inevitabilmente attività di selezione genetica, si potrebbero verificare casi
di deposito di domande di brevetto o di privativa varietale. In
questi casi la Regione dovrà dare
preventiva autorizzazione, in base
a quanto previsto al comma 4.
L’articolo 11 disciplina la moltiplicazione e la diffusione del materiale genetico in conformità alla
normativa fitosanitaria regionale e
a quanto stabilito dall’art.2 della
legge regionale 20 gennaio 2004
n. 3. Inoltre, autorizza la circolazione e diffusione delle risorse
genetiche autoctone all’interno
della Rete in modica quantità,
secondo le modalità definite con
l’atto deliberativo di cui all’art.12.
L’articolo 12 dispone che l’atto
deliberativo della Giunta regionale di attuazione venga approvato entro 6 mesi dall’entrata in
vigore della legge.
Gli art.13 e 14 contengono rispettivamente la norma di trattamento
dei dati personali e la norma
finanziaria.
Valtiero Mazzotti
Francesco Perri
Assessorato all’Agricoltura
Regione Emilia-Romagna
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Biodiversità e zootecnia in Emilia-Romagna
La tutela della biodiversità nella produzione zootecnica dovrebbe essere un obiettivo primario, sia per combattere
la progressiva riduzione della variabilità genetica all'interno delle razze a più elevata diffusione, sia per recuperare
la qualità nelle produzioni alimentari tipiche di un territorio. Una recente ricognizione, svolta per conto della
Regione da unità operative delle Università di Parma e Bologna, mostra che in Emilia-Romagna la varietà delle
razze e dei tipi genetici locali è soddisfacente: si è in parte invertita una tendenza pericolosa, soprattutto nelle aree
più svantaggiate e, oggi più che mai, è necessario puntare con forza al mercato.
20
La produzione zootecnica nazionale – almeno nei settori economicamente trainanti quali quello
bovino, suino e avicolo – è per la
maggior parte sostenuta da razze
cosmopolite (per i bovini le razze
Frisona o Bruna, per i suini le
razze Large White o Landrace,
per i polli soprattutto incroci leggeri e pesanti). Esse sono in
grado di fornire elevate produzioni e sono sostenute da piani
selettivi orientati al miglioramento delle performance in
senso quantitativo e qualitativo.
In tale contesto la tutela della
biodiversità non sembra trovare
spazio; invece dovrebbe apparire
oggi un obiettivo primario, non
solo per motivi di ordine scientifico – legati alla progressiva riduzione della variabilità genetica
all'interno delle razze a più elevata diffusione –, ma anche di
ordine sociale e culturale
(aumento della sensibilità nell'opinione pubblica verso problematiche di salvaguardia delle
razze animali e di recupero delle
qualità delle produzioni alimentari tipiche di un territorio).
Circa il primo punto, è noto che la
perdita di variabilità genetica, cui
si sta assistendo nelle popolazioni
animali cosmopolite, deve seriamente preoccupare, dal momento
che potrebbe rendere gli animali
meno flessibili nelle loro risposte
a improvvise variazioni ambientali o a patologie poco note o
emergenti, espone le produzioni
animali a un appiattimento
quanti-qualitativo, con ripercussioni negative per il consumatore,
e infine contribuisce alla riduzione dell’attività zootecnica nei
comprensori in possesso di minori
potenzialità economiche, contribuendo al loro degrado sociale e
ambientale.
Le razze cosiddette “autoctone”
ancora presenti, escluse da
Bovina romagnola
tempo dal circuito produttivo,
rappresentano invece un serbatoio di variabilità molto importante; la loro scomparsa potrebbe
portare alla perdita di geni potenzialmente utili, in relazione all'adattamento dei soggetti, alla qualità dei prodotti o alla resistenza
ad agenti patogeni.
In Emilia-Romagna la varietà
delle razze e dei tipi genetici
locali nell’ambito della produzione animale è soddisfacente;
una recente ricognizione, svolta
per conto della Regione da unità
operative delle Università di
Parma
e
Bologna
(http://bizer.unipr.it/), ha individuato
- quattro razze bovine: romagnola, reggiana, modenese e
ottonese
- due tipi genetici suini: Mora
romagnola, Nero di Parma
- due razze ovine: cornigliese e
Cornella
- quattro razze equine: bardigiano, Caitpr, cavallo del Ventasso, asino romagnolo)
Sono state individuate, inoltre,
numerose razze o varietà in
campo avicolo:
- polli modenese e romagnolo
- tacchini romagnolo e di Parma e
Piacenza
- oche e anatre romagnole
- numerose razze di piccioni
- i cani Lagotto romagnolo e
bolognese
A questo elenco di razze di origine regionale vanno poi
aggiunte quelle cosiddette “di
crinale”, cioè soggetti originari
dei territori confinanti, che
hanno trovato nella nostra
Regione le condizioni adatte a un
impiego economicamente van-
taggioso. Rientrano in questo
elenco alcune razze ovine, quali
la massese, la garfagnina, l’appenninica, la zerasca e la capra
Garfagnana. Per continuare l’elenco delle diversità regionali, si
può infine citare il cavallo del
delta, che ha trovato nel territorio
del delta del Po un ambiente
simile a quello di origine, potendosi oggi considerare naturalizzato.
L’elenco proposto è sicuramente
suscettibile di aggiornamenti
(nei limiti di quanto ragionevolmente ci possa essere oggi di non
conosciuto), sulla base delle indicazioni bibliografiche storiche. In
tali casi si tratta, in genere, di
recuperare in purezza animali
presenti sul territorio sotto forma
di incroci (ad es. le pecore valtarese, Zucca modenese, reggiana,
pavullese, Cornetta), ma dei
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
quali non si hanno notizie certe
circa la loro presenza in purezza
negli ultimi anni.
In zootecnia, l’interesse per una
determinata razza non si deve
però esaurire nel semplice
riscontro della sua presenza sul
territorio. Infatti, la razza è solo
uno dei tanti strumenti della produzione animale; alla scelta si
devono affiancare altri fattori
produttivi, quali un’alimentazione rispettosa dei fabbisogni
degli animali, in termini di quantità e qualità degli alimenti, l’adozione di ricoveri in grado di
garantire il benessere animale e
la produttività; la razza, poi, deve
essere gestita dal punto di vista
numerico, assicurandole condizioni ottimali per lo sviluppo, per
evitare il rischio di un eccessivo
aumento della consanguineità
nella popolazione.
A tale proposito, la consistenza
delle razze regionali prima citate,
vede situazioni differenti: alcune
razze, pur nei limiti della appartenenza a popolazioni di interesse locale, stanno mostrando i
segni di una tendenza all’espansione numerica (suino Nero di
Parma, vacca reggiana); altre,
invece, di una certa stasi se non
di un’involuzione numerica,
legata essenzialmente alla difficoltà di trovare una giustifica-
zione economica al loro allevamento, alternativo a quello delle
razze cosmopolite a maggiore
produttività.
Questo aspetto, a nostro avviso,
contiene la maggior parte delle
problematiche della biodiversità
in zootecnia: la produzione animale è un’attività economica e,
come tale, deve fornire un reddito. La razza locale può contribuire a questo, se viene inserita
in un percorso virtuoso, che collega la razza al territorio e ai suoi
prodotti. Basti vedere quanto sta
accadendo con il formaggio Parmigiano-Reggiano prodotto dalle
bovine di razza reggiana o modenese. Aver ricostruito un’identità
razza-prodotto e la sua tracciabilità, ha permesso il recupero di
una valenza economica che sta
alla base dello sviluppo numerico
delle due razze.
Diventano quindi strumentali
all’obiettivo di incrementare la
biodiversità in zootecnia, tutte le
azioni rivolte alla valorizzazione
delle produzioni, attraverso la
nascita di consorzi fra allevatori,
macellatori, trasformatori, ristoratori, titolari di agriturismi, commercianti, attori della filiera in
grado convogliare l’interesse
verso un unico obiettivo; un
esempio di questa strategia e il
Consorzio di tutela del suino
Nero di Parma, che garantisce
Cavallo bardigiano
Le foto pubblicate in questo articolo sono di Valentino Beretti.
Bovina reggiana
Lagotto romagnolo
21
Pecora cornigliese
tutti i passaggi di filiera, dall’alimentazione, alla macellazione e
alla trasformazione sia in carne
fresca, sia in salumi, attraverso il
marchio “Suino Nero di Parma”.
Particolare attenzione va rivolta
alle denominazioni IGP (es. il
vitellone bianco dell’Appennino
centrale, che vede coinvolta la
razza bovina romagnola) e alle
azioni che possono intraprendere
i parchi nazionali e/o regionali
nei confronti di prodotti animali
del loro territorio di competenza
(ad es. pecorino reggiano e della
Garfagnana, nel Parco nazionale
dell’Appennino
Tosco-Emiliano).
A questo proposito gli esempi
che vengono da altre regioni sono
significativi – in Lombardia il
Parco delle Groane si è impegnato nella salvaguardia della
pecora Brianzola – e indicano
come i parchi possano rappresentare una concreta risorsa anche a
tutela della biodiversità zootecnica.
In conclusione si può affermare
che in Emilia-Romagna si sta
creando una forte attenzione alla
salvaguardia della biodiversità
zootecnica, a favore della quale
sta per essere emanata una specifica legge regionale (Tutela del
patrimonio di razze e varietà locali
di interesse agrario del territorio
emiliano-romagnolo).
La già ben documentata varietà
delle razze e dei tipi genetici presenti sul territorio può diventare
un mezzo a sostegno dell’attività
zootecnica, soprattutto nelle aree
più svantaggiate, purché riesca a
interfacciarsi con il mercato.
In tal senso bisogna essere convinti che la biodiversità non può
essere fine a se stessa, ma rappresentare un valore aggiunto a una
determinata produzione.
Qualsiasi intervento al di fuori di
un contesto economicamente
premiante, non può che essere
un palliativo, che nell’immediato
potrebbe anche risollevare le
sorti di una razza in pericolo di
estinzione, ma che a lungo termine non riuscirebbe certo a
sostenerla.
Alberto Sabbioni
Valentino Beretti
Facoltà di Medicina veterinaria
Università di Parma
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
I frutti della memoria,
varietà adattabili e meno energivore
I frutti della memoria, con i loro profumi e sapori, ritorneranno protagonisti? La Sezione Arpa di Forlì-Cesena
è impegnata da anni in un’indagine per l’individuazione di antiche varietà fruttifere presenti nel territorio
romagnolo. Il lavoro svolto è coerente con le finalità della legge regionale in corso di elaborazione sulla tutela del
patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario. Pera cocomerina, mela ruggine e pesca carota sono esempi
di vecchie cultivar, probabilmente poco regolari nella forma, ma sicuramente dotate di grande adattabilità e meno
energivore.
22
La biodiversità in ambiente naturale è tutelata dal progetto europeo Ribes. Per quanto riguarda,
invece, la tutela del germoplasma
di interesse agrario, la Regione
Emilia-Romagna, in attuazione al
trattato internazionale sulle
risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, sta elaborando un progetto di legge.
I frutti della memoria, con i loro
profumi e sapori, ritornano protagonisti? Arpa è già impegnata in
questa direzione.
La bibliografia scientifica concorda nel prevedere che entro il
2050 il 25% delle specie animali e
vegetali scomparirà al ritmo di
circa 40-100 specie al giorno (sesta
grande estinzione, la prima a
opera dell’uomo). Le specie
minacciate sono oggi 12.259, di
cui 3500 animali e 6700 vegetali,
2000 in più rispetto al 2002, mentre sono sempre più presenti gli
organismi alieni (specie esotiche)
che creano ogni anno, nel mondo,
perdite di reddito per 315 milioni
di euro.
In passato l’uomo è stato raccoglitore (70% del cibo) e cacciatore
(30%); solo 12.000 anni fa ha
inventato l’agricoltura, una rivoluzione che ha cambiato la faccia
del pianeta. Ma perché inventare
l’agricoltura quando il cibo era
disponibile per le poche persone
che vivevano? Sembra che la
causa non sia quella alimentare,
ma quella di coltivare piante
apprezzate e scarsamente disponibili come le piante coloranti,
medicinali, per riti e magia, o
velenose per la caccia (es. l’amaranto forniva il pigmento rosso
usato nelle varie cerimonie da più
popoli). Solo in seguito la vita
sedentaria e la crescita demografica hanno favorito una maggiore
sperimentazione in agricoltura e
la riduzione della caccia.
La disgregazione di habitat che
hanno decine di migliaia di anni
porta con sé tutte le forme di vita
collegate; così, insieme agli alberi
delle foreste, scompaiono associazioni uniche ed esperienze evolutive mai più ripetibili, anche animali superiori, insetti, fiori, molti
dei quali ancora da classificare e
forse dalle proprietà medicinali
importantissime.
Biodiversità è equivalente a ricchezza, creatività, capacità di
adattamento alle diverse condizioni ambientali. La diversità è la
materia prima dell’evoluzione e
l’evoluzione è il presupposto della
sopravvivenza. Perdendo biodiversità perdiamo anche capacità
di reagire ai cambiamenti climatici; puntare sulla biodiversità
significa gestire al meglio il territorio e favorire la biodiversità in
agricoltura significa rendere sostenibile lo sviluppo del sistema agricolo.
La biodiversità può essere considerata anche come una sorta di
polizza assicurativa per il futuro:
infatti più è alta la variabilità degli
organismi viventi, più alta è la
capacità di questi di adattarsi e
sfruttare l’energia disponibile.
Ridurre la biodiversità, significa
diminuire le nostre scelte per il
futuro e rendere più precaria la
nostra stessa esistenza.
I selezionatori non producono
nuove varietà per portare le vecchie all’estinzione, ma in assenza
di efficaci programmi di conservazione le nuove varietà, più produttive e commerciabili, condannano le vecchie all’estinzione.
Si può ridurre questa tendenza
con l’educazione e la sensibilizzazione del consumatore, in quanto
solo se un prodotto è richiesto ci
sarà sempre chi lo coltiva.
I nostri nonni avevano selezionato
con cura una serie di vecchie cultivar di meli, peri, ciliegi, sorbi,
nespoli che avevano buone caratteristiche organolettiche, ma non si
prestavano alla coltivazione intensiva. Le moderne tecniche agronomiche esigono piante tutte uguali,
molto produttive e che maturano i
frutti nello stesso momento; per
questo abbiamo perso gran parte
del patrimonio genetico e della
biodiversità fruttifera del nostro
territorio che è anche la nostra cultura. La riduzione del consumo di
frutta e verdura, che invece
andrebbero consumate anche cinque volte al giorno, come segnala
anche la campagna lungimirante
lanciata dalla Regione EmiliaRomagna, ha portato a una serie di
squilibri alimentari che sono una
delle cause dell’alta percentuale di
persone obese in Italia. Altro problema da ricordare è che abbiamo
perso il senso della stagionalità e
tendiamo a consumare quasi tutto
l’anno sempre le stesse cose,
dimenticando che ogni frutto ha la
sua stagione.
Oggi, grazie anche ai marchi di
qualità Dop e Igp, stiamo assistendo a un nuovo interesse per i
prodotti garantiti, per gli antichi
sapori e anche per l’agricoltura
biologica, fortemente orientata al
recupero e alla coltivazione di
queste vecchie varietà, ancora
presenti in Emilia-Romagna.
Le antiche varietà sono spesso le
più rustiche, le meno energivore e
quindi le più adatte per un’agricoltura a basso impatto ambientale, per cui salvarle dall’estinzione sarà molto utile per il
futuro, visto che con i cambiamenti climatici in atto occorrono
piante dotate di grande adattabi-
lità. Frenare l’erosione genetica
dei prodotti agricoli e cioè la perdita di biodiversità rurale, che è
un patrimonio della collettività,
patrimonio ambientale, di storia,
cultura, saperi e sapori tradizionali, significa anche garantire una
integrazione al reddito degli agricoltori, soprattutto quelli che operano in aree di pregio ambientale
o svantaggiate, e con ciò ridurre la
tendenza all’abbandono delle coltivazioni e scongiurare il conseguente degrado territoriale, l’erosione e il dissesto ambientale.
La Sezione Arpa di Forlì-Cesena,
attraverso l’Unità operativa
Natura e Biodiversità, ha da anni
avviato un’indagine per la individuazione di antiche varietà fruttifere presenti nel territorio romagnolo, meritevoli di tutela e valorizzazione. Per alcune di queste
varietà è già stato scongiurato il
rischio di erosione genetica attraverso la conservazione dei loro
semi nella banca genetica del Cnr,
presso l’Istituto del germoplasma
di Bari. La legge regionale sulla
tutela del patrimonio di razze e
varietà locali di interesse agrario
troverà in Arpa un partner che
può elaborare, attraverso la conoscenza del territorio, gli opportuni
indicatori finalizzati a individuare
le aree maggiormente vocate all’agrobiodiversità. Arpa può supportare le attività della Regione attraverso la predisposizione di reportistica mirata a questa tematica,
elaborare progetti specifici e partecipare all’attività della Commissione tecnico-scientifica di cui
all’art. 7 della proposta di legge
sulla tutela del patrimonio di
razze e varietà locali.
Sergio Guidi
Arpa Emilia-Romagna
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Antiche varietà fruttifere della Romagna:
pera cocomerina, pera e mela ruggine, pera campanella
Pera cocomerina
Descrizione. Albero dotato di
grande rusticità, se lasciato crescere spontaneamente assume
un portamento espanso con
rami lunghi ed elastici che resistono bene alle sollecitazioni
nevose. È una pera d’alta quota
che ha la sua culla d’origine nei
comuni di Veghereto e Bagno di
Romagna; il suo habitat naturale è oltre i 1000 metri di
quota, dove fiorendo a maggio
riesce a sfuggire ai ritorni di
freddo. La pianta vegeta anche
a quote minori, ma produce
meno; nell’area dell’Altosavio
produce ottimi frutti. Il termine
cocomerina deriva dalla sua
polpa rosso vinosa, mentre in
Toscana viene chiamata pera
briaca. Fino a pochi anni fa questo frutto era destinato all’alimentazione degli animali, oggi
invece è diventato un Presidio
Slow Food ed è stato l’elemento attorno al quale si è
aggregata una intera comunità,
rappresentata dall’Associazione
Pro Ville di Montecoronaro.
23
Frutti romagnoli
Proprietà. Il frutto matura a fine agosto e presenta una polpa granulosa, ma di sapore molto gradevole (pera cocomera precoce).
Purtroppo è poco serbevole per cui il consumo fresco è limitato
all’area dell’Altosavio. Nell’area di Verghereto si trova anche un’altra varietà (pera cocomera tardiva) che matura a ottobre e ha la
polpa completamente rossa, ciò è dato dalla presenza di antociani,
provitamine molto importanti nei confronti del sistema cardiocircolatorio.
Pera ruggine
Descrizione. Questa varietà di pero è dotato di grande rusticità e
riesce a vivere in ambienti dove il freddo e la neve possono protrarsi
fino a primavera inoltrata. Anche questa è una pera d’alta quota, che
vegeta oltre i 1000 metri e fiorisce a maggio. Il suo nome deriva
dalla buccia dei frutti che si presenta rugginosa. Una varietà ormai
dimenticata, ma la troviamo anche nel nord Italia e si presta molto
bene per coltivazioni in aziende biologiche in quanto nel suo habitat
naturale non ha bisogno di trattamenti antiparassitari.
Proprietà. La mela, frutto antichissimo, simbolo della femminilità e
archetipo del peccato originale, ha proprietà medicinali interessanti. In passato la polpa della mela serviva per preparare medicine, il termine “pomata” deriva proprio dalla polpa di questo
pomo.
Pesca carota
Descrizione. Vecchia varietà strettamente legata alla Romagna, è
caratterizzata dalla sua forma sferica irregolare che era considerata
un difetto per la commercializzazione a livello di grande distribuzione e ciò probabilmente ne ha provocato l’abbandono, pur
avendo caratteristiche organolettiche interessanti.
Proprietà. La polpa è di un colore giallo intenso che ricorda la
carota, da cui ne deriva il nome e ciò è dovuto alla forte presenza
di flavonoidi
Proprietà. Come tutte le pere è ricca di zuccheri e sali minerali che
la rendono molto digeribile. Il suo aroma è particolare: quando il
frutto è ben maturo, ha un leggero gusto di moscato.
Pera campanella
Descrizione. Il nome di questo frutto deriva dalla sua forma simile
a una piccola campana. Varietà dotata di grande rusticità, la pera
campanella predilige le altitudini superiori ai 1000 metri, dove
riesce a sfuggire alle gelate e agli attacchi di insetti fitofagi come la
carpocapsa.
Proprietà. Come tutte le pere di elevata rusticità, anche la campanella si presta alla coltivazione biologica. Il frutto, che matura a
ottobre, ha una polpa molto consistente ma dal gradevole aroma
ed è una delle migliori pere da abbinare a un buon formaggio
pecorino, magari fatto con latte della razza appenninica.
Mela ruggine
Descrizione. Pianta caratterizzata da una elevata rusticità, predilige i
terreni profondi delle aree collinari montane e gli ambienti ventilati.
Le foto pubblicate in questo articolo sono di Sergio Guidi.
Pesca carota
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Valli ferraresi e produzioni d’eccellenza
24
La pianura ferrarese, osservata
dall’alto, appare come una tavola
piatta, disseminata di nuclei abitativi e di aree produttive, attraversata da una fitta rete di strade
e di canali. A nord scorre il Po
che alimenta questo territorio
principalmente coltivato a seminativi. Scendendo di scala è possibile riconoscenere i maceri –
testimonianza di un mondo agricolo in cui si lavorava la canapa –,
le siepi che segnano all’orizzonte
linee di confine, le alberature
(salici e pioppeti) che delimitano
strade e corsi d’acqua, e altri elementi che segnano la vocazione
agricola di questa provincia.
È un territorio di delta, in cui le
zone umide naturali hanno
subito una forte contrazione per
le trasformazioni del periodo
della “grande bonifica”, avvenuta grazie all’impianto di sollevamento a vapore di Codigoro
(1873).
È un territorio che può continuare
a espletare una funzione produttiva, ma richiede “una rivalutazione dell’esistente in quanto ancora
individuabile nel territorio vasto (per
quanto alterato e frammentato)”,
concetto chiave della proposta di
rete ecologica provinciale che è
in corso di discussione in questi
mesi.
LA COLTIVAZIONE DEL RISO
Una particolarità di questa provincia è l’essere la principale produttrice di riso nella regione; le
varietà Arborio, Carnaroli, Baldo
e Volano, sono attualmente in
attesa del riconoscimento comunitario come prodotti tipici IGP
(indicazione geografica protetta).
Le zone risicole – che si trovano
nella parte orientale della provincia – sono importanti nella conservazione degli equilibri ecologici (azione mitigatrice del clima,
diversità biologica ecc.) perché
sostituiscono in parte le funzioni
svolte dalle zone umide naturali.
Il paesaggio delle aree bonificate
FOTO D. RAFFAELLI
Il riso nelle varietà Arborio, Carnaroli, Baldo,Volano e l’anguilla delle valli di Comacchio sono prodotti tipici
dell’economia locale ferrarese. La presenza di zone umide, un tempo ampiamente diffuse in questo territorio, è il
presupposto indispensabile alla produzione. La riqualificazione ambientale di quelle attualmente esistenti è
essenziale per la conservazione degli equilibri ecologici (azione mitigatrice del clima, diversità biologica ecc.).
varia a seconda del periodo in cui
sono avvenuti gli interventi e a
seconda dello sviluppo locale,
sono tuttavia riconoscibili alcuni
tratti comuni come la monotona
uniformità di grandi spazi e la
carenza di alberature e centri abitati. Caratteristica è anche la geometria dei canali di scolo e della
viabilità rurale, in contrasto con
l’andamento sinuoso di corsi
d’acqua naturali e di vecchie
strade rurali.
La risicoltura è una tecnica definita “miglioratrice” perché
riduce l’acidità del terreno determinata dalla torba; nella pianura
Padana questa coltura ha assunto
una certa importanza nel XV
secolo estendendosi, grazie all’irrigazione, alle zone paludose.
Nella provincia di Ferrara la coltivazione del riso è al terzo posto
tra le colture cerealicole. Le
superfici risicole sono in contrazione, mentre le rese (q/ha) sono
comunque abbastanza stabili e il
prezzo medio (euro/q) è stato
superiore nel 2005 rispetto al
2004 grazie all’entrata dei Paesi
dell’Est nella Comunità europea.
Tre furono i capostipiti del riso
italiano e ciascuno caratterizzò
un’epoca: il Nostrale, di origine
nota da lontani incroci con semi
giapponesi e asiatici, il Chinese
originario, dalle selezioni dei
semi giapponesi, il Lady Wright,
importato dagli Stati Uniti nel
1925.
L’Originario è stato così chiamato
all’inizio del secolo scorso per
distinguere i risi puri (originali
del Giappone) da quelli locali
caratterizzati da forte ibridazione; le sue caratteristiche sono
grana corta e tonda, e aspetto
perlaceo.
L’Arborio, il Baldo, il Carnaroli
sono classificati come “risi superfini”. Tale categoria comprende
varietà a granella lunga e con
caratteristiche molto pregiate e
particolari.
Nella tecnica colturale il diserbo
è un’operazione attualmente
compiuta con fitofarmaci, mentre
in passato era effettuato manualmente (le prime notizie sulla
mondatura risalgono al 1751).
La diffusione nell’ambiente di
fertilizzanti, di fitofarmaci e loro
metaboliti comporta un impatto
negativo per l’ambiente, aggra-
vato dalla richiesta di notevoli
volumi idrici i quali, per le zone
bonificate, determinano effetti
positivi perché consentono:
- il dilavamento del terreno dalla
salinità
- la correzione del pH
- l’umettamento delle torbe, che
riduce il fenomeno dell’ossidazione e la subsidenza dovuta a
costipazione.
Le zone risicole del ferrarese
sono collegate alle zone umide
del Parco regionale del delta del
Po mediante il reticolo idrografico; per questo motivo nel 99 il
Parco regionale del delta del Po
incaricò Arpa di condurre, in collaborazione con il Consorzio di
bonifica I Circondario di Ferrara,
un’azione di monitoraggio per
conoscere l’impatto dei diserbanti immessi nell’ambiente dall’attività di risicoltura.
Per la complessità del reticolo
idrografico e del governo delle
acque, il controllo ambientale si
svolse in comune di Codigoro su
un bacino risicolo di 6000 ha le
cui caratteristiche lo rendevano
simile a un’unica grande risaia
L’importanza di salvaguardare la
risicoltura nel ferrarese è legata
alla funzione di mantenimento
della biodiversità, al paesaggio,
agli equilibri idrologici. La risaia
è un habitat importante per specie come: il topolino delle risaie
(Micromys minutus), l’airone cenerino, la garzetta, alcuni anfibi
(rana verde) e insetti acquatici
(libellule, coleotteri acquatici).
nione europea – un progetto che
coniuga la qualità dei prodotti
agricoli, acquacolturali e saliferi,
con il territorio; tra questi è inclusa
l’anguilla marinata tradizionale
delle valli di Comacchio (presidio
di Slow food) che si avvale dell’Emblema dei prodotti di qualità
Parco delta del Po dell’EmiliaRomagna.
Le aziende aderenti all’iniziativa
dovranno impegnarsi a praticare
esclusivamente l’acquacoltura
estensiva, per esempio con un
allevamento di tipo tradizionale in
bacini naturali e con alimentazione dei prodotti ittici derivata
completamente dalla rete trofica
dell’ambiente naturale (senza
alcuna integrazione alimentare).
È previsto che l’uso dell’Emblema sia disciplinato da un regolamento d’uso e da specifici disciplinari aziendali. Inoltre, un’apposita commissione – formata da
rappresentanti del Parco e dei
produttori – valuterà le richieste
di adesione delle aziende e vigilerà sulla corretta applicazione
delle disposizioni previste.
Altre produzioni tipiche quali
- asparago
- carota
- radicchio
- melone
- cocomero
- patata
- vino del Bosco Eliceo
FOTO D. RAFFAELLI
L’areale delle risaie attorno a
Iolanda di Savoia è individuato
dalla Provincia di Ferrara come un
contesto territoriale meritevole di
essere tutelato e riqualificato per
“ripristinare l’equilibrio di un agroecosistema che potenzialmente rappresenta una grande risorsa per la conservazione della natura” (Progetto
di rete ecologica della Provincia di
Ferrara, Documento preliminare,
aprile 2007).
L’ALLEVAMENTO
DELL’ANGUILLA
Un altro prodotto che ha rappresentato la principale voce dell’economia locale, ed è in attesa di
riconoscimento del marchio IGP,
è l’anguilla delle valli di Comacchio la quale ha fatto la storia della
cittadina lagunare.
Il “lavoriero”, il più antico strumento da pesca per l’anguilla
(inventato dai comacchiesi nel
1600), permetteva di catturare il
pesce che rimaneva bloccato in
una delle varie sezioni, secondo le
sue dimensioni, durante la risalita
nei canali.
La filiera di lavorazione dell’anguilla consisteva nel depositare i
pesci catturati in contenitori,
denominati “bolaghe”, costruiti
con fusti di salici e vimini intrecciati.
Il pescato era trasferito successivamente allo stabilimento di
Comacchio che era collegato alle
valli mediante canali. Le anguille
venivano cotte in grandi spiedi
fatti ruotare manualmente, da
manodopera femminile, ed erano
poi messe in salamoia (fase di
conservazione) e vendute in barili
o lattine metalliche.
La storia della vallicoltura a
Comacchio è fatta rivivere grazie
al Museo delle valli e alla Sala dei
fuochi del vecchio stabilimento.
Il Parco del delta del Po ha realizzato – nell’ambito dei programmi
Leader Plus finanziati dall’U-
Nelle foto: Museo delle valli di Comacchio (www.vallidicomacchio.it); un casone e l’interno di uno stabilimento per la lavorazione dell’anguilla (cottura e confezionamento)
potranno fregiarsi dell’emblema
del Parco, ma le aziende che vorranno avvalersene dovranno
migliorare le caratteristiche del
paesaggio favorendo il mantenimento e la creazione di aree
naturali, o effettuando interventi
di rinaturalizzazione con siepi e
filari ai margini dei campi e nelle
zone aziendali non vocate a fini
produttivi.
Tra i prodotti elencati i vini del
Bosco Eliceo, prodotti dalle uve
del vitigno Fortana di antiche
tradizioni, hanno avuto il riconoscimento di marchio DOC
(denominazione di origine controllata). La denominazione
“Bosco Eliceo” afferisce ai
boschi di leccio, un tempo comunissimi in queste zone dove crescevano su suoli sabbiosi.
25
Claudia Milan
Arpa Emilia-Romagna
FOTO S. GUIDI
con acque di alimentazione separate da quelle di scarico. I risultati del monitoraggio furono
interpretati in relazione:
- agli stadi fenologici della coltivazione del riso con le pratiche
agronomiche di asciutta e immersione dei terreni
- ai periodi di trattamento per il
diserbo
- ai principi attivi consentiti dai
disciplinari 2078 e ammessi nei
prodotti al consumo dalle normative vigenti.
FOTO D. RAFFAELLI
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Risaie nel ferrarese
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Il recupero del suino nero,
un esempio di tutela della biodiversità
26
La lettura delle statistiche territoriali indica una rilevante diminuzione del numero di aziende agrarie registrata nel territorio provinciale parmense, ma più in generale nell’intero comprensorio produttivo padano. Questo, unito alla
forte urbanizzazione di vaste aree
della pianura, rende particolarmente percepibile il cambiamento in essere del paesaggio,
concorrendo ad aumentare il distacco tra territorio, inteso come
processo materiale in evoluzione,
e paesaggio, inteso come produzione mentale.
Se consideriamo come prodotto
della nostra storia l’unione tra
ambiente territorio e paesaggio, il
distacco creato nel volgere di un
lasso temporale brevissimo (meno
di una generazione) tra le varie
componenti di sistemi apparentemente consolidati, è definibile
come “traumatico”.
La lettura di dati e informazioni
disponibili indicano – in comprensori sempre più vasti – la predominanza di superfici urbanizzate rispetto alle aree destinate
alle attività agricole o di conservazione, fatto testimoniato anche
dalla crescente marginalità economica del settore primario.
Di particolare insidia, specie nelle
aree di pianura e prospicienti la
via Emilia, è la dispersione delle
aree urbanizzate (urban sprawl)
che spesso riguarda i terreni più
produttivi.
Nel Comune capoluogo è stato
calcolato che, proseguendo l’attuale incremento di urbanizzazione con il ritmo dell’ultimo
decennio, entro un periodo variabile tra il 2040 e il 2080, tutta l’area disponibile sarà stata urbanizzata.
Da un altro versante, quello
irreale creato dalla pubblicità,
sono particolarmente forti i
richiami verso situazioni e modi
di vita assolutamente sconosciuti,
e improponibili, per la quasi totalità della popolazione.
In seguito all’aumentata sensibilità al problema diversi soggetti
(singoli cittadini, enti pubblici,
mondo della ricerca) hanno ritenuto indispensabile ricorrere a
operazioni di salvaguardia, recupero, rivalutazione di una serie di
entità, vegetali e animali, avviate
irrimediabilmente verso scomparsa per estinzione.
Se consideriamo la biodiversità
non solo come sommatoria del
patrimonio genetico delle diverse
popolazioni colonizzanti un determinato areale, ma anche come
unione tra aspetti ecologici e culturali, prende consistenza l’enorme importanza della preservazione in situ, non più mera conservazione di tutte quelle realtà –
animali, vegetali ma anche geo-
Tab. 1 Varietà vegetale e razze animali da salvaguardare
Frutta
Mele, pere, susine,
pesche, fichi,
castagne, uva, ciliege
Ortaggi
Cipolla
varietà Dorata di
Parma e borettana
Pomodoro
varietà Rosso grosso
Ecosistemi
Prati
stabili
Animali
Tacchino
razza di Parma
e Piacenza
Suino
razza Nera
Parmigiana
Cavallo
razza Bardigiano
Pecora
razza Cornigliese
FOTO E. MOZZANICA
Si inserisce nel filone della “preservazione in situ” il progetto triennale “Conservatorio provinciale della
biodiversità agrozootecnica parmense”, promosso dalla Provincia di Parma. Tra gli ecosistemi di interesse i prati
stabili che costituiscono “anello di collegamento” tra aree naturali e agricoltura. Un caso di successo la
reintroduzione di una razza molto simile a quella storica di suino nero.
Il prato stabile è uno dei maggiori punti di biodiversità negli agro ecosistemi
pedologiche – che caratterizzano
gli areali dei nostri territori.
In tale modo è rilevante la preservazione di tutte quelle entità che
si sono evolute sia in modo naturale, sia di tutte quelle la cui evoluzione è stata guidata e accompagnata dall’evolversi dell’agricoltura stanziale in questi ultimi
10.000 anni.
La tutela, o meglio la preservazione, del patrimonio di biodiversità degli agro-ecosistemi deve
portare alla valorizzazione di tutte
le peculiarità locali, fatto assolutamente antitetico nei confronti
della “omologazione” che caratterizza questo periodo culturale.
Anche in Emilia-Romagna, unitamente alla promulgazione di
norme territoriali che non sempre
hanno raggiunto gli obbiettivi
sperati, sono state intraprese
azioni (presenti nel Piano regionale di sviluppo rurale) che hanno
portato alla realizzazione di una
Rete di conservazione con la quale
si sono ottenuti importanti successi.
I punti di snodo fanno perno sulla
realizzazione della Banca per il
germoplasma per la conservazione
delle specie vegetali rare e minacciate e il diretto coinvolgimento
di agricoltori indicati come “agricoltori custodi” con il compito di
allevare in situ e di tramandare i
“saperi-sapori locali” nel confronto di vegetali e animali tipici
di determinati areali e in via di
scomparsa.
A Parma sul tema della agro-biodiversità si sono coalizzate forze e
intraprese importanti azioni sotto
l’egida dell’assessorato Agricoltura, coinvolgendo il mondo della
ricerca e singoli agricoltori volontari. La visibilità di tutte queste
azioni – facilitata dai moderni
supporti informatici – è confluita
in un portale internet posto all’interno del sito dell’azienda agraria
sperimentale Stuard della Provincia di Parma (www.stuard.it).
Dal 2005 è in corso uno specifico
progetto denominato Conservatorio provinciale della biodiversità
agrozootecnica parmense, di durata
triennale, che si prefigge:
- il censiemento del patrimonio
agro-zootecnico esistente
- l’individuazione degli agricoltori
custodi
- la divulgazione
Nello specifico sono state individuate una serie di varietà vegetali
e razze animali da salvaguardare
di cui si fornisce un parziale
elenco.
Di particolare rilievo l’aver sottoposto a preservazione agroecosistemi come i prati stabili, in fortissima restrizione e in reale
rischio di scomparsa. È stata riconosciuta la loro complessità, la
loro importanza per la sopravvivenza di un’infinità di specie ani-
FOTO ARCH. PROVINCIA DI PARMA
FOTO E. MOZZANICA
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Suinetti di nera
mali e vegetali e il loro stato di
“anello di collegamento” tra aree
naturali – scomparse definitivamente o del tutto residuali – e
agricoltura. Alcune limitate aree a
prato stabile sono coltivate da
oltre 250 anni e ben meriterebbero l’appellativo rivolto ad
alcune specificità territoriali di
“emergenze naturali”.
Si vuole, brevemente, ripercorrere il caso del suino come esempio di recupero di una razza quasi
definitivamente scomparsa e per
la quale si è ottenuto un indubbio
successo locale.
Il suino nero, o nero parmigiano,
era una realtà locale ben diffusa
fino agli anni 50, soprattutto negli
areali di collina e montagna.
Si caratterizzava per una cute
color ardesia e un mantello con
setole molto scure, orecchie
dirette in avanti, possibile presenza di tettole nella regione della
guancia, tronco di media lunghezza e muscolosità con coscia
larga e profilo posteriore convesso,
arti di media lunghezza con
unghielli neri. Questa razza di
suino ha subito la sorte di “deriva”
di molte altre, ed è stata progressivamente sostituita dalle bianche
inglesi, prima, e olandesi poi.
I nuovi suini introdotti sono stati
considerati più produttivi, più
prolifici, con meno grasso e più
idonei a vivere in ambienti stallini, come entità connesse con la
produzione di siero di latte derivante dalla lavorazione del latte
per Grana Parmigiano-Reggiano
o, più recentemente, come entità
a sè stanti.
A fine anni 90 sono state rintracciate alcune scrofe con mantello
scuro e riconducibili, almeno parzialmente, alle vecchie tipologie
di suino allevate fino a pochi
decenni addietro.
Dall’incrocio di questi suini con
capi dalla cute chiara nascevano
suini con cute mista, indicati
come “borghigiana” o “fidentina”
caratterizzati, rispetto alle razze
bianche, da una diversa conformazione morfo-strutturale e una
diversa e più elevata capacità di
accumulare il grasso.
Spesso si è assistito a incroci con
diverse razze, ottenendo suini di
difficile identificazione e classificazione.
L’intervento di tecnici dell’Università di veterinaria di Parma e
azioni coordinate dalla Provincia
hanno permesso di ottenere significativi miglioramenti verso un
morfotipo maggiormente definito
e stabile. Nel 2005 l’Associazione
nazionale allevatori suini (Anas)
ha approvato la richiesta presentata dalla locale Associazione provinciale allevatori (Apa) dell’istituzione del registro riproduttori
ibridi del suino Nero di Parma,
introducendolo nel Registro di
selezione-moltiplicazione.
I numeri del suino nero di Parma (agosto 2007)
Allevatori
Suini
complessivi
27
Eterogeneità delle razze
16
841
Pianura 1
Collina 15
21 Verri
120 Scrofe
330 Castrati ingrasso
370 Scrofe ingrasso
La Provincia di Parma, con uno
specifico
atto
deliberativo
(530/2006), ha approvato il disciplinare del suino nero in cui:
- è identificato il comprensorio
nel quale si deve integralmente
svolgere la filiera allevamentolavorazione-stagionatura
- si autorizza il solo allevamento
di suini iscritti al registro “Nero di
Parma”
- si stabilisce una sezione per l’allevamento stallino e una per allevamento allo stato brado o semi
brado
- si definisce il marchio di filiera.
Successivamente si è formato, e
ha recentemente iniziato a lavorare, il Consorzio di tutela del suino
nero di Parma che riunisce gli allevatori partecipanti.
L’esempio del suino nero di Parma
può essere presentato come caso
di successo, pur se con numerose
problematiche ancora non risolte,
in cui la cooperazione di privati,
enti pubblici e mondo della ricerca
ha permesso di reintrodurre una
razza molto simile a quella storica
recuperando aspetti e modalità di
allevamento ormai scomparsi.
Tra le principali possibilità di svi-
luppo di questa forma di allevamento possiamo ipotizzare due
casi:
- realizzazione di allevamenti
“semi-familiari”, con potenzialità
individuali di decine o poche centinaia di capi complessivi di tipo
stallino, e con possibilità di stazionamento all’aperto in alcune ben
determinate aree della pianura in
cui valorizzare la peculiarità delle
carni di questi suini; i territori
considerabili come “elitari”
potrebbero essere i Comuni rientranti nel Comprensorio del Culatello (Busseto, Colorno, Polesine
Parmense, Roccabianca, San
Secondo Sissa, Soragna e Zibello)
- realizzazione di allevamenti allo
stato semi-brado di limitate
dimensioni (difficile ipotizzare lo
stato completamente brado) in
aree di collina e montagna, per
offrire ulteriori possibilità economiche alle popolazioni locali e
contenere, per quanto possibile,
l’incessante diaspora della popolazione verso le aree del piano.
Enrico Mozzanica
Arpa Emilia-Romagna
BIBLIOGRAFIA
- Provincia di Parma, 2006, Frutta e buoi… quaderno della biodiversità agricola
parmense, Assessorato Agricoltura Provincia di Parma
- Podere sperimentale Stuard della Provincia di Parma, sito internet:
www.stuard.it
- Ballerini G., 2002, Storia sociale del maiale, Camera di Commercio di
Parma
- Giannone M., 2002, L’allevamento biologico del suino, Ed agricole
- Ferrari P., 2001, Allevare suini all’aperto, Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia
- Gardi C., 2006, Urbanizzazione dei suoli, un problema dimenticato, Agricoltura, aprile 2006, 108-109
- Consorzio di tutela suino nero di Parma, sito internet: http://www.nerodiparma.it
Agrobiodiversità
B
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
iodiversità
rurale in
Romagna
Pecora appenninica
Asino romagnolo
Colombo romagnolo
Pera angelica
Cipolla bonda
di Santarcangelo
Ciliegia duroncino
di Cesena
28
Bovino romagnolo
Pera cocomerina
Suino mora romagnola
Pollo romagnolo
Mela decio
Mela tellina
1 - Cos’è la biodiversità
2 - Suggerimenti per favorire la biodiversità
3 - Contribuire alla conservazione
La diversità biologica, o biodiversità, è il risultato del
processo evolutivo che ha generato attraverso la selezione naturale, nel corso dei millenni, la grande
varietà delle specie viventi animali e vegetali.
Nella scelta dei cibi sono da preferire quelli locali,
di stagione, di qualità e quelli che derivano da
varietà o razze autoctone; così favoriremo la biodiversità locale e la nostra salute.
Si può contribuire alla conservazione della biodiversità rurale cercando, scambiando semi e piante
di antiche varietà ortive e fruttifere.
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Oliva nostrana
di Brisighella
Uva centesimino
Albicocca reale d’Imola
Cardo gigante
Pera volpina
Bologna
29
Grano gentil rosso
Pesca buco incavato
Uva burson
Pera mora
Ciliegia durone di Cesena
Ciliegia corniola
Carciofo violetto
Pesca bella di Cesena
Pesca carota
4 - Riscoprire usi e costumi
5 - Partecipare alle iniziative
6 - La biodiversità in Romagna
È importante riscoprire gli usi e i costumi locali:
conoscere il nostro passato è utile per le scelte del
nostro futuro.
Partecipate a iniziative di Arpa e della Regione
Emilia Romagna sul tema della biodiversità, consultando i siti: www.arpa.emr.it, www.ermesagricoltura.it.
La biodiversità rurale presente in Romagna è assai
rilevante: nella presente mappa viene presa in
considerazione solo quella principale e storicamente legata al nostro territorio
ideazioni e immagini: Sergio Guidi, Arpa Emilia-Romagna; in collaborazione con Regione Emilia-Romagna
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Le normative regionali e l’esperienza marchigiana
30
Le iniziative regionali italiane
(tabella 1) sono oggi l’unico esempio operativo in Europa (e forse
nel mondo) in ambito di tutela
delle risorse genetiche di interesse
agrario e sono certamente anticipatrici
di
quella
che
dovrebbe/potrebbe essere una
norma nazionale ed europea.
Alcune (vedi Toscana) sono state
emanate ancora prima della direttiva CE 98/95.
La direttiva europea 98/95 introduce esplicitamente la necessità di
interventi di salvaguardia delle
specie minacciate da erosione
genetica, mediante sistemi di conservazione in situ1. Questo principio è stato recepito in Italia con il
decreto legislativo n. 212 del 2001,
che prevede l’istituzione di una
sezione del Registro nazionale che
comprenda le “varietà da conservazione” individuate “tenendo anche
conto di valutazioni non ufficiali, delle
conoscenze acquisite con l’esperienza
pratica durante la coltivazione, la
riproduzione e l’impiego e delle descrizioni dettagliate delle varietà e delle
loro rispettive denominazioni, così
come notificate: questi elementi se sufficienti danno luogo all’esenzione dell’obbligo dell’esame ufficiale”. L’emanazione del successivo Dpr
322/2001 aveva lo scopo di fare
maggiore chiarezza a livello pratico
e operativo, in particolare sotto il
profilo dello scambio fra agricoltori
della semente di varietà da conservazione. Solo l’emendamento alla
legge 1096/71, approvato dal
Senato il 14 marzo 2007, rappresenta il primo passo verso l’attuazione delle norme di cui sopra.
La Commissione europea sta lavorando al testo di una direttiva “providing for certain derogations for
acceptance of agricultural landraces
and varieties which are naturally
adapted to the local and regional conditions and threatened by genetic erosion and for marketing of seed and
seed potatoes of those landraces and
varieties”. Si tratta di una norma
complessa, con un lungo iter, sog-
getta a numerose modifiche da
parte dei diversi soggetti preposti
alla sua valutazione; il fatto che il
testo sia alla versione n. 12 fa pensare che i tempi saranno ancora
molto lunghi!
Pur nel quadro positivo del riconoscimento “formale” nelle normative comunitarie e nazionali, sia
della conservazione in situ, sia del
concetto di “varietà da conservazione”, l’attivazione delle leggi in
alcune regioni (in particolare
Toscana, Lazio e Marche) ha
messo in luce numerosi limiti
degli attuali impianti normativi:
- mancanza e/o confusione su una
definizione univoca di varietà da
conservazione e/o varietà tradizionale
- scarsa omogeneità delle schede
di catalogazione del materiale collezionato e repertoriato, che debbono rispondere a esigenze di
semplicità e praticità pur rispettando criteri scientifici minimi
- necessità o meno della traduzione in norme legali di consuetudini rurali (come lo scambio informale di semi) che, oltre a caratterizzare il mondo agricolo, hanno
permesso l’esistenza di una grande
variabilità genetica agricola; il
rischio è che la norma legale porti
all’instaurarsi di barriere nello
scambio di materiale genetico e di
informazioni, e quindi si inneschino meccanismi di erosione
genetica
- necessità di aprire un dibattito su
come dovrebbero essere tutelati i
diritti degli agricoltori: quali sono
gli elementi di diritto, a chi si rivolgono e soprattutto quali sono gli
strumenti di applicazione di tali
diritti (già enunciati nell’art. 9 del
Trattato internazionale sulle
risorse fitogenetiche, che lascia ai
governi locali le indicazioni esecutive)
- individuazione di strumenti e
responsabili per la “protezione”
dei diritti delle comunità locali.
Sulla scorta delle esperienze già
FOTO O. PORFIRI
Nell’ambito della tutela delle risorse genetiche di interesse agrario alcune leggi regionali italiane risultano anticipare
una possibile norma a livello nazionale ed europeo. L’esperienza della Regione Marche con la legge “Tutela delle
risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano”, approvata nel 2003, ha portato allo svolgimento
di una duplice funzione di conservazione e di qualificazione del patrimonio agricolo regionale. L’azione di tutela
prevede un approccio di sistema alla biodiversità, rivolgendosi anche agli agro-ecosistemi.
Treccia di mais da polenta; i tipi “otto file” e “dodici file”, sono ancora coltivati in
ridotte superfici in alcune aree delle Marche, in particolare nelle zone alto-collinari
interne. Sono utilizzati per autoconsumo e per piccole, ma apprezzate, nicchie di mercato
avviate, almeno due strumenti
appaiono particolarmente utili al
raggiungimento pieno degli obiettivi delle leggi regionali:
• il repertorio delle varietà/razze
locali: è fondamentale per identificare i materiali genetici presenti
nel territorio regionale e dare loro
una precisa e inconfutabile identità, elementi basilari a una loro
solida tutela giuridica e per una
conoscenza esatta del livello di
erosione genetica
• la rete di conservazione e sicurezza
fra agricoltori, enti locali, organizzazioni pubbliche e private, cittadini: una delle funzioni principali
della rete è quella di moltiplicare e
diffondere il materiale genetico
iscritto al repertorio, garantendo
anche il pieno rispetto delle
norme.
Infine, appare indispensabile una
fattiva azione di coordinamento fra
le diverse regioni per consentire
un’efficace attuazione delle leggi,
anche in funzione di un recepimento armonico degli strumenti
normativi nazionali e comunitari.
L’ESPERIENZA DELLE MARCHE
La Regione Marche aveva già attivato in passato progetti di recupero, conservazione e valorizzazione del germoplasma del proprio
territorio che hanno consentito di
individuare e collezionare numerosi materiali genetici di specie
erbacee (fagiolo, pomodoro, mais
ecc.). La Regione ha affidato
all’Assam (Agenzia servizi settore
agroalimentare delle Marche) questo compito, che ha attivato una
serie di iniziative a partire dalla
fine degli anni Novanta, utilizzando strumenti finanziari regionali allora disponibili (esempio
Obiettivo 5B) e attivando la collaborazione scientifica con l’Università politecnica delle Marche.
Nel 2003 la Regione Marche, nella
stessa ottica di molte regioni italiane – in seguito ai sempre crescenti e molteplici interessi emersi
negli anni recenti intorno alle
risorse genetiche di interesse agrario, alla necessità di dare maggiore
forza alla conservazione svolta
dagli agricoltori, all’urgenza di
coordinare numerose iniziative
avviate sul territorio regionale e
all’impellenza di individuare
quanto effettivamente presente
per poterlo tutelare – ha approvato
la Lr 12/03 “Tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio
marchigiano”. La legge è stata resa
operativa nel 2004 con il regolamento regionale n. 21/2004. La
finalità della legge è quella di tutelare le risorse genetiche animali e
vegetali del territorio marchigiano,
in particolare quelle minacciate da
erosione genetica, e gli agroecosistemi locali, anche per favorire lo
sviluppo di produzioni di qualità
(art. 1). Pertanto, questo atto normativo non ha solo una funzione di
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
conservazione, ma anche di valorizzazione in funzione di un
miglioramento e di una qualificazione dell’agricoltura regionale.
Inoltre, l’azione di tutela non è
rivolta soltanto alle risorse genetiche come sopra definite, ma anche
agli agro-ecosistemi, quindi l’approccio alla biodiversità è un
approccio di sistema, sicuramente
il più efficace, che ben si integra
con alcuni strumenti già in atto in
regione.
La legge ha attivato i seguenti
strumenti operativi:
- regolamento attuativo
- commissioni tecnico-scientifiche
per il settore animale e per quello
vegetale
- repertorio regionale del patrimonio genetico, suddiviso in “sezione
animale” e “sezione vegetale”, al
quale sono iscritte varietà vegetali
e razze animali su proposta di soggetti pubblici e privati, singoli o
associati, e dietro valutazione delle
commissioni preposte
- rete di conservazione e sicurezza,
alla quale possono aderire soggetti
diversi, sia pubblici sia privati.
A oggi l’Assam (www.assam.marche.it), individuata dalla Regione
come ente gestore della legge, ha
avviato un’ulteriore attività di
indagine sul territorio, tuttora in
corso, avvalendosi di istituzioni
scientifiche regionali (Università
politecnica delle Marche, Dipartimento di scienze degli alimenti e
Cra-Istituto sperimentale per l’orticoltura di Monsampolo del
Tronto).
Inoltre, nella razionale ottica di
non creare sovrastrutture o doppioni, ha individuato nell’Istituto
di Monsampolo l’istituzione deputata alla creazione e gestione della
banca regionale dei semi delle
specie erbacee di tutta la regione.
Per le specie arboree (frutticole,
olivo e vite) la conservazione è
effettuata dall’Assam presso i
campi catalogo già impostati.
Per le specie animali la conservazione continua a essere svolta dalle
associazioni degli allevatori che
gestiscono, altresì, i libri genealogici delle diverse razze, con la
supervisione tecnico scientifica
delle facoltà universitarie presenti
in regione (Università di Camerino
e Università politecnica delle Marche).
Dai primi risultati emerge che sol-
tanto in poche delle specie coltivate oggi nelle Marche è possibile
ritrovare ancora in coltivazione
varietà locali o vecchie varietà, ad
esempio mais (mais nostrani da
polenta), fagiolo (sia fagiolo
comune sia fagiolo di Spagna),
pomodoro. Nelle specie più
ampiamente coltivate – come
cereali, pisello, favino ecc. – di
fatto in Regione non esistono più
varietà locali ancora in coltivazione. È possibile rintracciare in
coltura materiali genetici introdotti da altre regioni o addirittura
recuperati da collezionisti o banche del germoplasma.
Nel settore delle specie frutticole
e dell’olivo la situazione appare
migliore rispetto alle erbacee, trattandosi di colture poliennali che
hanno avuto maggiori possibilità di
sopravvivenza (alberi sparsi sono
rimasti in numerosi contesti aziendali, bordi di campi, siepi e scarpate, presso orti familiari, monasteri ecc.).
Nella vite l’avvento dei vigneti
specializzati ha comportato la
scomparsa della coltivazione di
vecchi vitigni locali; tuttavia, l’Assam è riuscita a recuperarne circa
Quadro sintetico di riferimento delle leggi regionali finalizzate alla tutela delle varietà/razze locali
Regione
Legge/pubblicazione
Titolo
Ente deputato
all’attuazione
Stato attuale
Toscana
n. 50 del 16/7/1997
(BURT 26/7/1997, n. 30)
sostituita da Lr n. 64
del 16/11/2004
tutela delle risorse
genetiche autoctone
Arsia (Agenzia
regionale per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura)
operativa
Lazio
n. 15 del 1/3/2000
(BURL 30/3/2000, n. 9)
tutela delle risorse
genetiche autoctone
di interesse agrario
Arsial (Agenzia
regionale per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura
del Lazio)
operativa
Umbria
n. 25 del 4/9/2001
(BURU 14/9/2001, n. 45)
tutela delle risorse
genetiche autoctone
di interesse agrario
Non identificato, è
compito della
Giunta regionale
individuarlo
non ancora
operativa
Friuli-Venezia Giulia
n. 11 del 22/4/2002
(BURFVG 26/4/2002, n. 7)
tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse
agrario e forestale
Ersa (Ente regionale
per la promozione e
lo sviluppo dell’agricoltura)
parzialmente
operativa
Marche
n. 12 del 3/6/2003
(BURM 12/6/2003, n. 51)
tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del
territorio marchigiano
Assam (Agenzia per
i servizi nel settore
agroalimentare
delle Marche)
operativa
Campania
Disegno di legge
regionale
(presentato nel 2004)
tutela delle risorse
genetiche autoctone
di interesse agrario
-
disegno mai
convertito in
legge
Emilia-Romagna
testo di legge approvato dalla Giunta regionale il 27 luglio 2007
Sicilia
avvio della fase istruttoria per la redazione di una bozza di legge ad oggi non ancora formalizzata da nessun gruppo politico o dagli organi istituzionali
Abruzzo
bozza di legge presentata dal gruppo consiliare del Prc
una trentina, prima che scomparissero definitivamente, e a conservarli in un campo catalogo.
Oltre al lavoro di indagine sul territorio e al censimento delle risorse
genetiche ancora presenti, è stato
avviato anche un lavoro di caratterizzazione e valutazione di alcuni
dei materiali genetici rinvenuti e
organizzate attività di conservazione mirate.
Una parte ulteriore di valutazione
dei materiali genetici di specie
erbacee è stata condotta ed è tuttora in corso presso il gruppo di
ricerca di genetica agraria del
Dipartimento di scienze degli alimenti (Disa) dell’Università politecnica delle Marche
(http://www.phita.net/marche.htlm).
Per il settore animale i numeri
sono ancora più ridotti: malgrado
le Marche siano sempre state una
regione prevalentemente agricolo/zootecnica, nel suo territorio
non si sono creati, nel tempo, “tipi
genetici” differenti. Oggi esistono
solo 4 razze regionali appartenenti
a 3 specie diverse: la razza bovina
marchigiana, le razze ovine sopravvissana e fabrianese e la razza
equina cavallo del Catria. Tuttavia,
di queste soltanto la bovina marchigiana e la sopravvissana hanno
una storia relativamente lunga
(prima metà del XX secolo), mentre le altre due sono di recentissima costituzione (1973, primo
libro genealogico per la pecora
fabrianese e addirittura 1980 per il
cavallo del Catria).
Oriana Porfiri
Presidente della Commissione tecnicoscientifica settore vegetale, legge regionale 12/2003 Regione Marche
1
Direttiva 98/95/CE che modifica per quanto riguarda il consolidamento
del mercato interno, le varietà geneticamente modificate e le risorse genetiche delle piante - le direttive
66/400/CEE, 66/401/CEE, 66/402/CEE,
66/403/CEE, 69/208/CEE, 70/457/CEE
e 70/458/CEE, concernenti la commercializzazione delle sementi di
cereali, dei tuberi-seme di patate,
delle sementi di piante oleaginose e
da fibra e delle sementi di ortaggi e il
catalogo comune delle varietà delle
specie di piante agricole (Gazzetta
ufficiale delle Comunità europee L25
del 1/2/1999).
31
Agrobiodiversità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Fauna minore in Emilia-Romagna,
la nuova stagione delle azioni di salvaguardia
Non solo divieti e sanzioni sono previsti nella nuova legge approvata dall’Assemblea legislativa regionale il 26
luglio scorso: il cuore del provvedimento prevede studi, ricerche e interventi mirati di protezione proprio laddove
se ne intraveda la necessità. Saranno Regione, Province, Comunità montane, Comuni ed enti di gestione delle aree
protette i motori delle azioni di salvaguardia delle specie protette nonché degli habitat dove ancora vivono.
In collaborazione con le università e le associazioni di protezione ambientale, saranno attivate le opportune ricerche
e realizzato il costante monitoraggio della situazione per sondare l’effettivo stato di salute e la reale consistenza
delle popolazioni di fauna minore. La legge è illustrata dal consigliere regionale Gianluca Borghi.
32
Innumerevoli sono le cause che
incidono negativamente sulle
specie della fauna minore e fra
queste risaltano:
- la distruzione e l’alterazione
degli habitat e dei siti riproduttivi
- l’impiego di pesticidi in agricoltura
- l’inquinamento chimico e organico delle acque superficiali
- le catture a scopo commerciale
- la distruzione intenzionale della
fauna minore a causa di atavici e
infondati pregiudizi.
A tutte queste cause si aggiungono le trasformazioni e le alterazioni di cicli biologici a scala planetaria – buco nella ozonosfera,
effetto serra, piogge acide, alterazioni climatiche, con effetti
diretti sulle temperature, la piovosità è in grado di determinare
la scomparsa di habitat e la diffusione di patologie – che manifestano inevitabilmente i loro
negativi effetti anche su scala
locale.
Una legge a tutela della biodiversità è una legge a tutela della vita
sotto qualsiasi forma essa si presenti. È una legge che vuole
ricondurre l’uomo a stretto contatto con la natura che lo circonda
in una dimensione di rispetto e
salvaguardia degli esseri viventi
più deboli. È una assunzione di
responsabilità nei confronti di
quelle forme di vita che troppo
spesso calpestiamo nel nome di
uno sviluppo forsennato, incuranti della complessità del
mondo attorno a noi.
Sono convinto che si tratti di un
provvedimento necessario che
potrà consentire all’EmiliaRomagna di fare un salto di qualità nella tutela della fauna
minore. Oggi la legge c’è, ci dà la
possibilità di intervenire e dovrà
produrre immediatamente effetti
positivi per la salvaguardia delle
specie protette.
Per fauna minore vengono intese
tutte le specie animali presenti
sul territorio emiliano-romagnolo
di cui esistano popolazioni
viventi stabilmente o temporaneamente, compresi i micromammiferi e i chirotteri, con
esclusione degli altri vertebrati
omeotermi.
La legge pone sotto tutela tutte
le specie (e i loro habitat trofici,
di riproduzione e di svernamento) di anfibi, rettili e chirotteri presenti sul territorio emiliano-romagnolo nonché le specie che vengono considerate particolarmente protette quali
quelle incluse negli Allegati II) e
IV) della direttiva 92/43/CEE,
quelle appartenenti all’Elenco
regionale delle specie rare e/o
minacciate (che sarà redatto e
aggiornato dalla Giunta regionale) e le specie indicate come
rare o minacciate da direttive
comunitarie o norme nazionali.
I compiti previsti, sui quali sarà
concentrato
l’impegno
di
Regione, Province, Enti di
gestione delle Aree protette,
Comuni e Comunità montane,
vanno dalla salvaguardia diretta
della fauna minore tutelandone
le specie, le popolazioni e i singoli esemplari, alla protezione
degli habitat naturali e seminaturali promuovendo anche la ricostituzione degli stessi con la promozione di interventi funzionali
al recupero delle condizioni idonee alla sopravvivenza di queste
Tartaruga di Hermann Testudo hermanni, la cui presenza è ormai esclusiva del
Bosco della Mesola (FE) ed è rarissima nella Pineta San Vitale (RA)
Rana verde
specie, anche mediante azioni di
conservazione in situ ed ex-situ.
Altro importante campo di intervento previsto riguarda l’eliminazione o la riduzione dei fattori
limitanti, di squilibrio e di
degrado ambientale nei terreni
agricoli e forestali, negli alvei dei
corsi d’acqua e canali, nei bacini
lacustri naturali e artificiali, nei
maceri, nelle pozze e negli acquitrini anche a carattere temporaneo e nelle raccolte d’acqua artificiali o semi artificiali quali
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
vasche, lavatoi e abbeveratoi e in
corrispondenza di infrastrutture e
insediamenti.
Il tutto si svolgerà assieme alla
promozione di studi e ricerche
sulla fauna minore, oltre all’incentivazione di iniziative didattiche e divulgative volte a diffondere la conoscenza e il rispetto
verso questi animali.
È infatti previsto che, in forma
coordinata con le misure e le
azioni di tutela della biodiversità,
di cui all'articolo 11 della legge
regionale n. 6 del 2005, i soggetti
pubblici interessati, con l'eventuale supporto tecnico di Arpa o
di altri istituti di ricerca, nell'ambito dei loro strumenti regolamentari di pianificazione territoriale e urbanistica e della loro
attività di programmazione e
gestione operino per:
• individuare e adottare misure
di tutela e conservazione, anche
temporanee e limitate a particolari fasi del ciclo biologico, della
fauna minore
• promuovere, anche mediante il
coinvolgimento dei soggetti
gestori del reticolo idrografico e
della rete infrastrutturale, una
gestione coerente degli elementi
del paesaggio che per la loro
struttura e ruolo di collegamento
sono essenziali per la migrazione,
la distribuzione geografica e lo
scambio genetico delle specie
della fauna minore, quali i corsi
d'acqua e i canali con relative
sponde e arginature, le siepi cam-
pestri, le scarpate stradali e ferroviarie, le aree intercluse degli
svincoli stradali.
Entro sei mesi dall’entrata in
vigore della legge, la Giunta
regionale emanerà, sentito il
parere del Comitato consultivo
regionale per l'ambiente naturale, le direttive per la predisposizione delle misure di tutela e
conservazione e in generale per
le azioni di cui sopra.
È poi previsto un sistema di
monitoraggio integrato a livello
regionale, provinciale e delle
aree protette, con il coinvolgimento di Arpa, degli istituti universitari, delle associazioni e
organismi scientifici riconosciuti,
delle associazioni ambientaliste,
delle associazioni di volontariato
aventi finalità di tutela ambientale e di protezione animale,
iscritte nei registri regionali. Gli
esiti del monitoraggio sono finalizzati anche alla stesura del rapporto sullo stato di conservazione
del patrimonio naturale regionale, facente parte del Programma regionale di cui all’articolo 12 della legge regionale n. 6
del 2005, e alla predisposizione e
aggiornamento dell’elenco regionale delle specie rare e/o minacciate che sarà approvato dalla
Giunta regionale entro sei mesi.
L’aggiornamento avrà cadenza
almeno triennale e sarà deciso
sentite le Province, gli Enti di
33
Libellule
gestione delle aree protette, gli
istituti universitari, le associazioni e organismi scientifici riconosciuti, le associazioni ambientaliste riconosciute con decreto
del ministero dell’Ambiente e le
associazioni che perseguono finalità di tutela ambientale e di protezione animale riconosciute.
La vigilanza sull’applicazione
della legge è affidata ai corpi e servizi di polizia locale, al Corpo forestale dello Stato, agli ufficiali e
agenti di Polizia giudiziaria e ai
guardaparco, oltre che alle guardie
ecologiche volontarie, agli agenti
giurati delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal
ministero dell’Ambiente, ai sensi
dell’articolo 13 della legge n. 349
del 1986, alle guardie volontarie
delle associazioni venatorie e delle
associazioni di protezione degli
animali e altre associazioni o corpi
riconosciuti da leggi nazionali e
regionali.
Le sanzioni per chi trasgredisce
questa legge vanno da un
minimo di 10 a un massimo di
5.000 euro.
Gianluca Borghi
Consigliere regionale
Regione Emilia-Romagna
Il testo della legge è disponibile sul
sito http://demetra.regione.emiliaromagna.it/
FAUNA MINORE DELL'EMILIA-ROMAGNA
Presentato in novembre un opuscolo informativo
Cos'è questa "fauna minore"? Perché le si dà questo nome? Per
quali motivi è tanto importante? Quali sono le minacce che la
riguardano? Cosa si può fare per evitare la perdita irreversibile di
tanti organismi?
A queste domande, il Servizio Parchi e risorse forestali della
Regione Emilia-Romagna e il Museo di storia naturale di Ferrara
hanno cercato di dare risposte semplici, ma esaurienti e scientificamente rigorose attraverso un opuscolo scritto da Carla Corazza e
Stefano Mazzotti del Museo e curata da Monica Palazzini e Maria
Vittoria Biondi della Regione Emilia-Romagna. Il volumetto è
stato presentato il 17 novembre 2007, in concomitanza con l'inaugurazione della mostra sui maceri del ferrarese; i maceri, infatti,
sono habitat molto interessanti per la protezione di tante specie di
anfibi, rettili, piccoli mammiferi, insetti, crostacei, ovvero una parte
importante delle specie tutelate dalla legge.
È possibile scaricare la versione pdf dell’opuscolo al sito
http://ww2.comune.fe.it/storianaturale/, Eventi, Archivio notizie.
Le foto pubblicate in questo articolo sono di Federico Montanari
Farfalla appartenente al genere
Licaena. La specie Licaena dispar è
tutelata dalla Direttiva Habitat
Scarsità idrica e siccità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Scarsità idrica e siccità, verso Expo Saragozza 2008
Il climate change sta portando fenomeni inediti, anche drammatici, come l’intensificazione di uragani e inondazioni che
distruggono coltivazioni, contaminano le falde e danneggiano le strutture di conservazione e trasporto dell’acqua. Il
riscaldamento globale è il principale responsabile di periodi di siccità sempre più frequenti. A partire da questo scenario,
tre regioni europee – Emilia-Romagna, Assia e Aragona – si sono confrontate nell’ottobre scorso a Bologna, nell’ambito
del convegno “Water scarcity and drought”, per mettere a punto politiche e azioni integrate finalizzate alla conservazione
e alla protezione delle risorse idriche. Il prossimo appuntamento a Saragozza nel 2008, per proseguire un dialogo all’insegna
della concretezza.
34
“Il riscaldamento globale è effettivo,
sta peggiorando assai rapidamente, è
causato in buona parte dalle attività
umane… dobbiamo intervenire subito
per evitare conseguenze peggiori…
Non è troppo tardi”. Queste parole
scandiscono l’incipit della relazione della VIII Commissione
della Camera, approvata dall’assemblea di Montecitorio il 18 settembre scorso. Il climate change sta
portando drammi e problemi inediti, come l’intensificazione di
uragani e inondazioni che distruggono coltivazioni, contaminano le
falde acquifere e danneggiano le
strutture dove si conserva e si trasporta l’acqua. Inoltre, il riscaldamento globale è il principale
responsabile di periodi di siccità
sempre più frequenti. Se la popolazione mondiale – attestata a 6
miliardi alla fine del secolo scorso
– arriverà a 9 miliardi di esseri
umani, come stimato dalle
Nazioni Unite, si proporrà un
enorme problema per l’alimentazione e l’energia.
Si immagina un aumento del 15%
di consumo d’acqua nel prossimo
trentennio. Dunque, o il sistema è
sostenibile, oppure è destinato a
spegnersi.
Una classe dirigente che voglia
guardarsi allo specchio e vedere il
proprio volto riflesso, non può
tenere la testa sotto la sabbia, ma
deve affrontare i problemi del pianeta malato, sapendo che occorre
passione e ragione, utopia e concretezza per ottenere risultati.
Occorre evitare ogni forma di rassegnazione e di fatalismo e creare
invece consapevolezza assumendosi, ognuno per la propria parte,
responsabilità precise.
È quanto si sta facendo in Europa
dove l’Unione elabora strategie e
direttive sempre più avanzate in
ogni settore ambientale impegnando gli Stati membri a decli-
nare le proprie politiche su obiettivi cogenti. Appare evidente però
che, senza un pieno coinvolgimento di tutte le istituzioni, a partire dalle Regioni e dalle autonomie locali che hanno competenze
importanti nel governo del territorio, si rischia di non raggiungere
questi obiettivi: perché molte
esperienze locali virtuose rimarrebbero isolate e le politiche
nazionali senza il protagonismo
locale perdono di incisività ed efficacia.
Water scarcity and drought è il titolo
che abbiamo dato a un convegno
di livello europeo e che, lo scorso
ottobre, ha fatto il punto sulle
azioni nel settore idrico.
È lo stesso tema scelto per la giornata mondiale dell’acqua 2007, a
sottolineare la sua crescente rilevanza e la necessità di una maggior integrazione e cooperazione,
locale e internazionale, per assicurare una gestione sostenibile, efficiente ed equa delle risorse idriche.
Tre importanti Regioni europee –
Emilia-Romagna, Assia e Aragona
– hanno lavorato insieme per molti
mesi, hanno portato e confrontato
dati ed esperienze e hanno dimostrato che le politiche di conservazione rappresentano un’opportunità strategica e un’azione prioritaria per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e della siccità
e, in una visione più ampia, della
scarsità di acqua. L’intero territorio
europeo è investito da questi problemi e simili sono ovunque le
ripercussioni ambientali, sociali ed
economiche.
Soltanto la siccità del 2003 ha interessato più di 100 milioni di persone, con un costo per l’economia
comunitaria di almeno 8,7 miliardi
di euro. Nel corso del convegno
Stephanie Croguennec, della direzione generale Ambiente della
Commissione Europea, ha sottoli-
neato due aspetti: da una parte un
fabbisogno idrico in crescita,
soprattutto per le prospettive di
sviluppo di diversi Paesi nell’Europa centro-orientale, dall’altra la
necessità che gli Stati membri
adottino misure incisive sulla tariffazione, per un corretto uso del
suolo e della pianificazione territoriale e per promuovere la cultura
del risparmio idrico.
Tutti gli studi e gli atti più recenti
approvati in ambito europeo pongono dunque l’accento su un
approccio interdisciplinare e integrato delle politiche, così come su
una strategia mirata a un minore e
più efficiente uso delle risorse
naturali rispetto a un incremento
dell’offerta. Vale per l’acqua al pari
dell’energia e, del resto, risparmiare la prima significa anche
risparmiare la seconda, in quanto
l'estrazione, il trasporto e il trattamento dell'acqua comportano
costi energetici elevati. Ed è evidente che senza la conservazione
e il risparmio delle risorse idriche
non c’è integrazione con le altre
politiche territoriali e urbanistiche, energetiche e geomorfologiche.
La carenza d’acqua di cui soffre il
nostro territorio romagnolo conferma la limitatezza di un approccio che punti sulle grandi infra-
strutture senza un adeguato e contestuale investimento sull’efficienza delle reti distributive, sulle
connessioni e sul contenimento
dei consumi. Lo stesso confronto
con le altre Regioni europee ci
dice che una gestione sostenibile
della domanda, lo sviluppo di
azioni tecnologiche ed educative,
una buona informazione, consentono di ottenere risultati concreti
che si consolidano nel tempo e a
lungo termine.
In ogni caso, il cambiamento climatico richiede un approccio no
regret, ovvero l’applicazione di
misure il cui tasso di ritorno economico le giustifica senza preoccuparsi dei futuri cambiamenti del
clima. European environmental
agency (Eea) e Unep hanno stabilito che in Europa il risparmio e
l’uso efficiente dell’acqua sono
più economici delle nuove forniture. La relazione tra governo
della domanda e sviluppo dell’offerta è però ancora da definire
nella sua interezza. Se alcune
importanti risposte dovrebbero
giungere dall’analisi economica
della Direttiva quadro sulle acque
(WFD), è nel frattempo fondamentale trovare il giusto equilibrio
tra sviluppi nuovi e misure di
risparmio, continuando a investire
su opere sostenibili finalizzate, ad
esempio, alla ricarica degli acquiferi, al riuso dei reflui, alla desalinizzazione, alla raccolta di acque
piovane.
Questo importante momento di
confronto con le Regioni europee
ha dimostrato che l’Emilia-Romagna ha imboccato per tempo la
strada giusta, con il Piano di tutela
delle acque e con il varo di una
nuova tariffa idrica che rappresenta lo strumento più forte per
incentivare i gestori al risparmio e
alla conservazione della risorsa.
Un semplice meccanismo di conguaglio e l’introduzione nel calcolo di standard qualitativi legati
al risparmio e alla riduzione delle
perdite rende non solo ininfluente
la quantità di acqua erogata, ma
conveniente per il gestore il suo
migliore e minor consumo.
In sintesi, tecnologie, investimenti adeguati, una gestione
industriale orientata all’efficienza
e alla tutela, il radicamento sul ter-
FOTO ARCH. REGIONE EMILIA-ROMAGNA
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Dal convegno “Water scarcity and drought”, Bologna 25-26 ottobre 2007; da
sinistra il ministro all'Europa della Regione Assia Volker Hoff, il direttore generale
di Arpa Emilia-Romagna Alessandoro Bratti, l’assessore all’Ambiente della Regione
Emilia-Romagna Lino Zanichelli e il ministro all'ambiente della Regione Aragona
Alfredo Boné Pueyo.
ritorio, un’informazione capillare
agli utenti supportata da forti campagne comunicative.
“L'acqua è la vita ed è una risorsa
condivisa fra i Paesi della conca idrografica del Mediterraneo, per cui è
necessario gestirla congiuntamente al
di là delle frontiere politiche e amministrative”. Sono le parole del presidente di Expo Saragozza 2008,
una grande manifestazione mondiale sull’acqua in programma dal
prossimo giugno. Proprio in quell’occasione ci ritroveremo nella
capitale dell’Aragona per proseguire un dialogo all’insegna della
concretezza.
Lino Zanichelli
Assessore all’Ambiente e sviluppo
sostenibile
Regione Emilia-Romagna
Premio nazionale Pianeta Acqua
Promosso dal Forum nazionale per il risparmio e la conservazione della risorsa idrica,
il Premio nasce con l'obiettivo
di valorizzare le buone pratiche
nel campo del risparmio e della
conservazione dell'acqua. La
conservazione e l’uso razionale
di questa risorsa esauribile è
una priorità e le tante esperienze realizzate – in Italia e in
altri paesi nel campo civile,
agricolo e industriale – dimostrano che risparmiare acqua
ed energia è possibile, grazie
alle nuove tecnologie e a comportamenti più consapevoli.
Tra i fattori che rallentano la
diffusione delle esperienze
positive c’è sicuramente una
carenza comunicativa. Per questo tra gli obiettivi primari del
Forum c’è la valorizzazione http://www.forumrisparmioacqua.it/
delle esperienze virtuose, anche
tramite una comunicazione più efficace. L’istituzione di un Premio si muove proprio in questa direzione.
Il Premio si suddivide in 4 ambiti:
1. Esperienze in campo agricolo, industriale, civile e di governance. Esperienze concrete finalizzate a risparmiare, riutilizzare
o conservare la risorsa idrica nei tre campi di utilizzo o esperienze che tramite innovazioni della governance della risorsa
consentano di conseguire risparmi idrici significativi.
2. Esperienze educative. Progetti per l’infanzia e i giovani
tesi a sensibilizzare le nuove
generazioni sull’importanza e
la scarsità della risorsa idrica e
a educarle a un suo uso razionale.
3. Campagne di comunicazione.
Iniziative e campagne di comunicazione rivolte a tutti i cittadini
o a categorie particolari per
informarli sulle criticità relative
alla risorsa idrica e per invitarli
a un suo corretto utilizzo.
4. Esperienze di solidarietà
Esperienze
internazionale.
volte ad affrontare il tema della
quantità e qualità della risorsa
idrica in realtà estere che presentano particolari criticità.
Il Premio è rivolto alle istituzioni, public utility, aziende,
associazioni, centri di educazione ambientale, scuole, agenzie di pubblicità e altri soggetti che hanno realizzato azioni finalizzate al risparmio e alla conservazione della risorsa idrica.
Per partecipare è sufficiente compilare il modulo di partecipazione scaricabile dal sito www.forumrisparmioacqua.it e
inviarlo seguendo le istruzioni contenute nel bando scaricabile
dallo stesso sito entro il 31 gennaio 2008. I premi saranno assegnati durante una manifestazione pubblica dedicata da tenersi
nell’ambito della Giornata mondiale dell’acqua 2008.
35
Scarsità idrica e siccità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
L’impegno dell’Europa
Almeno l’11% della popolazione e il 17% del territorio europeo sono stati interessati da carenza idrica. Negli ultimi
trent’anni i fenomeni di siccità nella Ue sono aumentati drasticamente in frequenza e intensità: tra il 1976 e il 2006
il numero di zone e persone colpite da siccità è aumentato di quasi il 20%, con un costo totale pari a circa 100 miliardi
di euro. Nell’articolo una sintesi delle opzioni strategiche proposte di recente dalla Commissione europea e le azioni
messe in campo dalla Regione Emilia-Romagna per un utilizzo più efficiente delle risorse idriche e per il risparmio.
36
“Fronteggiare la scarsità d’acqua” è
il tema della Giornata mondiale
dell’acqua per il 2007, che sottolinea la crescente rilevanza mondiale della scarsità d’acqua e la
necessità di una maggior integrazione e cooperazione locale e
internazionale per assicurare una
gestione sostenibile, efficiente ed
equa delle già scarse risorse idriche.
La Commissione europea ha
recentemente fatto il punto su
come affrontare il problema della
carenza idrica e della siccità nell’Unione europea, con una comunicazione del 18 luglio 2007
(COM 2007/414, definitiva) che
delinea il percorso verso l’adozione di un Piano d’azione europeo, previsto per settembre 2008.
Mentre il termine siccità indica
una diminuzione temporanea
della disponibilità di acqua
dovuta, ad esempio, a minori precipitazioni, si parla di carenza
idrica quando la domanda di
acqua è superiore alle risorse idriche utilizzabili in condizioni
sostenibili. A tutt’oggi almeno
l’11% della popolazione e il 17%
del territorio europeo sono stati
interessati da fenomeni di carenza
idrica che, secondo le tendenze in
atto, tendono a diffondersi in tutta
Europa (figura 1).
Negli ultimi trent’anni i fenomeni di siccità nella Ue sono
aumentati drasticamente in frequenza e intensità, tanto che tra il
1976 e il 2006 il numero di zone e
persone colpite da siccità è
aumentato di quasi il 20%, con un
costo totale pari a circa 100
miliardi di euro. Uno dei fenomeni di siccità di maggiore portata si è verificato nel 2003 e ha
interessato più di 100 milioni di
persone e un terzo del territorio
della Ue, con un costo per l’economia Ue di almeno 8,7 miliardi
di euro.
La carenza idrica e la siccità, oltre
fig. 1 Scarsità idrica in Europa, scenario al 2030. Fonte: EEA Technical report n. 2/2007 “Climate change and water
adaptation issues” (http://reports.eea.europa.eu/technical_report_2007_2/en/eea_technical_report_2_2007.pdf)
a esercitare un impatto diretto sui
cittadini e i settori economici che
utilizzano l’acqua (agricoltura,
turismo, industria, energia e trasporti), hanno anche un forte
impatto sulle risorse naturali in
generale, in quanto esercitano
effetti collaterali negativi sulla
biodiversità e sulla qualità dell’acqua e aumentano i rischi di
incendi boschivi e di impoverimento del suolo (v. foto).
In queste circostanze la definizione di strategie efficaci di
gestione del rischio siccità è
diventato un obiettivo prioritario
per la Commissione. Il 10 gennaio 2007 la Commissione ha
adottato un pacchetto integrato
sull’energia e il clima per guidare
l’UE verso una politica energetica sostenibile, competitiva e
sicura. Uno dei temi centrali è la
capacità di affrontare la sfida
energetica cercando di utilizzare
l’energia in modo più efficiente,
prima ancora di cercare alternative. Questo approccio vale anche
nei casi di carenza idrica e siccità.
Per affrontare i problemi di
carenza idrica e siccità è prioritario virare verso un’economia che
consenta il risparmio di risorse
idriche e un loro utilizzo più efficiente. Risparmiare acqua significa anche risparmiare energia in
quanto l’estrazione, il trasporto e
il trattamento dell'acqua comportano costi energetici elevati. In
questo ambito è essenziale
migliorare la gestione della
domanda di acqua. Sarà necessario pertanto prendere in considerazione una pluralità di opzioni
strategiche.
Alla luce di quanto precede, la
Commissione ha presentato una
prima serie di opzioni strategiche
a livello europeo, nazionale e
regionale per affrontare e ridurre i
problemi di carenza idrica e siccità all'interno dell'Unione europea. La Commissione continuerà
ad affrontare la questione nelle
sedi internazionali, in particolare
nell'ambito della convenzione
delle Nazioni Unite sulla lotta
contro la desertificazione e della
convenzione
quadro
delle
Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici. La Comunicazione
della Commissione risponde
anche all’invito ad adottare interventi contro la carenza idrica e la
siccità formulato dal Consiglio
“Ambiente” del giugno 2006.
I focal point individuati (e sviluppati nella Comunicazione) sono:
- procedere verso la piena attua-
FOTO ARCH. REGIONE EMILIA-ROMAGNA
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
zione della Direttiva quadro sulle
acque
- analizzare criticamente e modificare le politiche tariffarie ritenute inefficaci: il principio
secondo cui “l’utente paga” è
raramente attuato al di fuori degli
ambiti della fornitura di acqua
potabile e del trattamento delle
acque reflue; introdurre questo
principio consentirebbe di mettere fine agli sprechi e alle perdite inutili, garantendo la disponibilità di acqua per gli usi essenziali in tutta Europa e in particolare nei bacini idrografici transfrontalieri
- pianificare correttamente l'uso
del suolo è uno dei fattori che
maggiormente incidono sull’uso
dell’acqua; una ripartizione inadeguata delle risorse idriche tra
settori economici si traduce in
situazioni di squilibrio tra fabbisogno di acqua e risorse idriche
esistenti; è necessaria una svolta
pragmatica per modificare gli
approcci strategici e passare a una
pianificazione più efficace dell’uso del suolo ai livelli opportuni
- incentivare e promuovere il
risparmio idrico offre enormi
potenzialità: esso deve diventare
una priorità e, pertanto, devono
essere esplorate tutte le possibilità per migliorare l’efficienza in
questo ambito; le scelte strategiche nel settore idrico dovrebbero
essere basate su una chiara
“gerarchizzazione”: la costruzione di ulteriori infrastrutture
per l’approvvigionamento idrico
dovrebbe essere presa in considerazione solo dopo avere esplorato
tutte le altre opzioni (tra cui
un’efficace politica tariffaria e
alternative con un buon rapporto
costi-benefici)
- promuovere una cultura del
risparmio idrico attraverso l'integrazione delle problematiche
idriche nelle politiche settoriali
attinenti
- approfondire e ampliare conoscenze e informazioni di alto
livello sull'entità dei problemi e
sulle evoluzioni previste; i programmi di valutazione e monitoraggio europei non sono né integrati né completi; è pertanto
essenziale porre rimedio alle
lacune conoscitive e garantire la
comparabilità dei dati a livello
della Ue; in questo ambito la
ricerca può svolgere un ruolo
significativo nel fornire informazioni e sostegno al processo decisionale.
LE
POLITICHE DI CONSERVA-
EMILIA-ROMAGNA
Sviluppare e applicare politiche
di conservazione appare essere
una strategia di base per affrontare la scarsità d’acqua, soprattutto attraverso un approccio
twin-track (“doppio binario”:
governo della domanda e sviluppo dell’offerta): interventi
mirati in tutti i settori idroesigenti, associati a un “pacchetto”
di misure istituzionali che promuovano una maggiore efficienza
e conservazione della risorsa, possono ridurre sensibilmente i problemi derivanti dalla water scarcity
e assicurare una migliore sostenibilità ambientale.
Più in dettaglio:
- misure per una maggiore effiZIONE IN
cienza e conservazione della
risorsa: riduzione delle perdite,
riuso delle acque, programmi
speciali di mitigazione degli
effetti derivanti dagli “eventi
estremi” collegati all’acqua, diffusione di nuove tecnologie e utilizzo di risorse idriche non-convenzionali, educazione e informazione (campagne) ecc.
- azioni di governo della
domanda: riduzione delle connessioni, miglioramento delle tecnologie irrigue, miglioramento delle
tecnologie di riuso, valutazione
della water bank e del sistema
delle quote, sistema tariffario
incentivante il risparmio ecc.
- sviluppo dell’offerta: tutela dei
serbatoi naturali e recupero di
quelli
perduti/compromessi,
miglioramento dell’uso efficiente
delle infrastrutture (invasi, trasferimento
inter-bacino
ecc.),
obbligo di un’analisi costi/benefici di soluzioni alternative per i
progetti inerenti l’uso di nuove
fonti idriche ecc.
Nel Piano di tutela delle acque
dell’Emilia-Romagna, approvato
dall’Assemblea legislativa con
Deliberazione 40/2005, sono sviluppate ed espresse le strategie di
risparmio e conservazione della
risorsa acqua che la Regione
intende applicare sul proprio territorio; tali strategie si basano
principalmente su un approccio
integrato, che concilia misure tipicamente infrastrutturali e misure
di risparmio e conservazione.
Inoltre, il legame tra risparmio
dell’acqua e risparmio dell’energia è già stato affrontato e sviluppato dalla Regione Emilia-Romagna, non solo nel Piano di tutela
delle acque che, attraverso le
misure in esso previste, dovrebbe
consentire un risparmio energetico di circa 90.000 tep, ma anche
LINK
in progetti pilota e dimostrativi
(ad esempio Bagnacavallo).
In Italia, lo sviluppo e l’applicazione di politiche di conservazione e risparmio presentano
maggiori difficoltà rispetto ad altri
paesi. Le principali ragioni sono:
- una “consueta” disponibilità
d’acqua (almeno al nord e centro), che ha attenuato la consapevolezza del problema
- una maggiore difficoltà a sviluppare politiche integrate
- una forte propensione alla realizzazione di opere infrastrutturali
ed edili come volano anche per la
ripresa e l’occupazione
- una politica di risparmio che
risulta “orfana” di interessi concentrati e organizzati.
La diffusione delle esperienze
positive e significative viene solitamente rallentata dall’elevata
frammentazione territoriale delle
stesse e dalla grave carenza comunicativa. In questo contesto, l’istituzione di un Forum nazionale sul
risparmio e la conservazione
potrebbe portare a un importante
contributo, sostenendo meglio le
iniziative condotte e in atto, e
riducendo sensibilmente i tempi
di adozione e diffusione delle
stesse in altre realtà territoriali.
L’Emilia-Romagna ha di recente
promosso il Forum nazionale sul
risparmio e sulla conservazione
della risorsa acqua, basandosi su:
validità, efficacia e forza delle
politiche di risparmio e conservazione (esempi internazionali e
locali), necessità di dialogo e confronto, diffusione di notizie ed
esperienze (“vetrina telematica”).
Rosanna Bissoli
Emanuele Cimatti
Katia Raffaelli
Regione Emilia-Romagna
UTILI:
- Water policy in European Union - Communication on Water Scarcity and Droughts
ec.europa.eu/environment/water/quantity/scarcity_en.htm
- L’acqua in Emilia-Romagna
www.ermesambiente.it/ermesambiente/acque/servizio_acqua/
- Forum nazionale sul risparmio e la conservazione della risorsa
acqua: www.forumrisparmioacqua.it
- La campagna regionale “Acqua, risparmio vitale”
www.acquarisparmiovitale.it
37
Scarsità idrica e siccità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Misure straordinarie e sinergie efficaci
contro la grande sete della Romagna
Negli ultimi dodici mesi si è registrata una riduzione di precipitazioni sul bacino imbrifero di Ridracoli di oltre
il 30% e una riduzione degli afflussi all'invaso di circa il 50%. Si tratta di una situazione anomala e
particolarmente critica che ha richiesto interventi straordinari per garantire l’approvvigionamento in Romagna.
Romagna Acque ed Hera, con il supporto di Arpa, hanno programmato e realizzato azioni di massimizzazione
delle produzioni idriche dai campi pozzi e importanti interventi infrastrutturali.
38
Per monitorare la difficile situazione idrica il Servizio IdroMeteo
regionale (ArpaSim) ha istituito un
osservatorio sulla siccità dal quale
emerge la criticità della situazione.
Le condizioni meteo sono risultate
fra le peggiori degli ultimi decenni:
infatti rispetto ai valori medi storici,
negli ultimi dodici mesi si è registrata una riduzione di precipitazioni su tutto il territorio regionale
(figura 1); sul bacino imbrifero di
Ridracoli la riduzione delle precipitazioni è di oltre il 30% e la riduzione degli afflussi all’invaso è di
circa il 50%. L'invaso non è riuscito
a completare il proprio ciclo risultando all'inizio della stagione estiva
non completamente pieno (circa 27
Mmc - milioni di metri cubi rispetto ai 33 Mmc di massimo
invaso, figura 2).
L’importanza dell’invaso per l’approvvigionamento dell’area romagnola è evidenziata dalla seguente
tabella 1 che mostra la percentuale
dell’acqua acquistata da Romagna
Acque sul totale di quella immessa
in rete.
L’azione immediata messa in
campo fin dall’ottobre 2006 è stata
la riduzione dei prelievi dall’Acquedotto della Romagna; in particolare per la Provincia di Rimini si
è aumentata la produzione locale
da pozzo.
Negli anni 2004 e 2005 (che possono essere assunti come anni
medi) il prelievo da falda si attestava nei primi dieci mesi attorno ai
23 Mmc; nel 2006 esso è stato pari
a 25 Mmc (+9% circa) e nel 2007 a
26 Mmc (+13% circa). In ottobre il
prelievo si attestava attorno a 1,9
Mmc; quest’anno è stato pari a 2,7
Mmc (+44%).
Un’altra considerazione che scaturisce dall’analisi dei prelievi da
falda è che negli ultimi 12 mesi l’emungimento è stato pari a 31 Mmc,
mentre il prelievo da Romagna
Acque solo 10 Mmc.
Quest’azione di contenimento dei
consumi è stata poi estesa alle altre
province romagnole e programmata
in vista dell’estate: alla fine dell'aprile scorso infatti, tenuto conto
delle condizioni dell'invaso di
Ridracoli, Romagna Acque ed Hera
hanno definito un programma di
prelievi estivi dall'acquedotto della
Romagna basato sulle seguenti ipotesi cautelative:
- che gli apporti naturali all'invaso
fossero uguali a quelli minimi registrati nell'estate 2003
- che i fabbisogni fossero in linea
con quelli registrati negli ultimi
anni
- che le produzioni dalle fonti
gestite da Hera fossero mantenute
al più alto livello possibile, per
ridurre al minimo i prelievi dall’Acquedotto della Romagna.
I volumi programmati per il
periodo considerato sono molto al
di sotto dei valori mediamente forniti dall'Acquedotto della Romagna:
- inferiori di oltre 3,4 Mmc (-12%)
rispetto all'anno siccitoso 2003
(27.7 Mmc)
- inferiori di oltre 4,0 Mmc (-20%)
rispetto al 2006 (30,4 Mmc).
Fig 1 Anomalie di precipitazione in Emilia-Romagna, periodo 1/9/2006-8/10/2007,
clima di riferimento 1991-2005.
Il programma dei prelievi è stato
sostanzialmente rispettato, malgrado ciò apparisse arduo.
Le condizioni meteorologiche
favorevoli hanno mantenuto elevati
i fabbisogni di rete per effetto di:
- temperature e umidità elevate
che hanno sostenuto gli usi domestici e per il mantenimento del
verde
- elevate richieste del settore turistico della riviera.
Non essendo stata decisa e attuata
alcuna azione di limitazione dei
consumi d’utenza, il rispetto di tale
programma è stato reso possibile:
- dalla massimizzazione delle produzioni idriche dalle altre fonti, con
particolare riferimento ai campi
pozzi
- dall'attuazione di alcuni interventi infrastrutturali finalizzati a
garantire tali livelli di produzione e
Tab.1 - Acqua acquistata da Romagna Acque sul totale di quella immessa in rete
2004
SOT
Immessa
in rete
2005
Romagna
Acque
Immessa
in rete
2006
Romagna
Acque
Immessa
in rete
Romagna
Acque
Imola
22.793.288
3.164.892
13,89%
22.697.890
3.164.892
13,94%
22.500.551
3.172.792
14,10%
Ravenna
31.882.808
18.294.632
57,38%
31.884.617
19.541.287
61,29%
31.486.427
17.895.995
56,84%
Forlì-Cesena
34.124.281
22.765.360
66,71%
33.223.379
23.871.288
71,85%
33.700.868
22.439.646
66,58%
Rimini
42.103.354
12.742.366
30,26%
42.366.880
12.732.956
30,05%
43.191.973
11.047.128
25,58%
ottimizzare il sistema di adduzione/distribuzione, attivando dove
necessario nuove interconnessioni
di rete che verranno illustrate nel
seguito (questi lavori hanno consentito di ridurre progressivamente
il prelievo da Romagna Acque).
Già a fine 2006 era chiaro che i
segnali di un “cambiamento climatico” rispetto alle medie degli
ultimi anni avrebbero potuto portare a situazioni critiche nei mesi
estivi e soprattutto nei mesi autunnali del 2007. Poichè era altrettanto
chiaro che sarebbe stato necessario
continuare l’azione di contenimento dei prelievi da Romagna
Acque e che le falde, a causa del
notevole utilizzo, sarebbero calate,
Hera Rimini ha pensato di programmare interventi ad hoc per la
stagione estiva e per l’autunno
2007. In particolare si è prioritariamente voluto assicurare lo stesso
emungimento dai pozzi in corrispondenza del prevedibile calo di
piezometrica. Si doveva quindi ipotizzare – in uno scenario sfavorevole di bassi apporti meteorici e di
alti consumi – quali fossero i pozzi
più stressati e bisognosi di interventi di manutenzione straordinaria.
Nell’ambito del progetto denominato Studio della conoide alluvionale
del fiume Marecchia: analisi qualiquantitativa a supporto della gestione
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Tab.2 - Opere realizzate nel 2007
Intervento
Mantenimento e potenziamento della portata
emungibile da pozzi (fornitura e posa di
elettropompe, inverter e potenziamento di
sollevamento per trasferimenti portata)
Portata
aggiuntiva
(l/s)
Costo
totale
(€)
90
510.000
Collegamenti fra reti di acquedotto nei comuni
di Montescudio e San Clemente (realizzazione
tratti di condotte per il collegamento di zone a
rischio nei due comuni finalizzato
all’approvvigionamento idrico)
37.000
Potenziamento della centrale di Miramare per
trasferimento portata verso la zona sud della
Provincia (vettoriamento della portata emunta
dai pozzi della falda di Rimini in sostituzione
dei prelievi da Romagna Acque)
40
60.000
Filtri a carboni attivi presso il potabilizzatore
della diga sul Conca per il raddoppio della
portata trattabile
60
50.000
Connessione della rete di Verucchio alla rete di
Rimini (posa in opera di pompaggio governato
da inverter e realizzazione di un tratto di
condotta di collegamento alla rete di
Verucchio)
10
366.000
Rifacimento di condotta di adduzione dai pozzi
di Bellaria (sostituzione per obsolescenza della
condotta e contestuale potenziamento della
stessa per circa 1,8 km)
5
550.000
Attivazione pozzo Brancona nuovo (messa in
funzione di un nuovo pozzo mediante
realizzazione di clorazione e condotta di
trasporto)
30
231.000
Totale
1.804.000
Diga di Ridracoli
Curva volumi invaso
Acqua potabilizzata
Fig 2
m.s.l.m.
negli eventuali lavori di manutenzione straordinaria sui pozzi volti al
mantenimento della stessa portata
in corrispondenza degli abbassamenti della tavola liquida (inserimenti di inverter, sostituzione
pompe ecc.). Le attività dell’incarico sono state organizzate sostanzialmente in due fasi:
1. attualizzazione e aggiornamento
del modello portandolo dal 2003
(fine periodo di taratura dello studio originale) al 2007, ciò al fine di
creare una valida configurazione
del sistema da utilizzare come stato
iniziale per il successivo sviluppo
degli scenari.
2. definizione delle ipotesi di scenario e delle specifiche necessità di
restituzione delle informazioni da
parte del modello numerico (dove,
quando ecc.)
Sono stati ipotizzati tre scenari (dal
più pessimistico a quello più ottimistico):
1 - prelievi + nessuna ricarica
2 - prelievi + ricarica fluviale
3 - prelievi + ricarica fluviale + ricarica meteorica
milioni m3
sostenibile della risorsa idrica, ArpaIngegneria ambientale ha curato la
modellistica numerica per la simulazione del flusso dell’acqua e del
trasporto di nitrati. Il progetto ha
visto coinvolti, quali firmatari del
protocollo di intesa per la sua realizzazione, oltre alla Regione Emilia-Romagna (Servizio tutela e risanamento risorsa acqua e Servizio
geologico, sismico e dei suoli), la
Provincia di Rimini, l’Autorità di
bacino interregionale del Marecchia-Conca, Hera e Romagna
Acque.
Tra i risultati del lavoro risultava
disponibile un modello numerico
per la simulazione del flusso delle
acque utilizzabile che ha orientato
la scelta sugli interventi da attuare.
Hera Rimini ha quindi affidato un
nuovo incarico ad Arpa-Ingegneria
ambientale per la simulazione del
flusso delle acque sotterranee della
Conoide del Marecchia, inserendo
diversi scenari meteo con proiezioni per la primavera-estate 2007,
allo scopo di verificare i livelli di
falda e quindi orientare i tecnici
2006
Sono state fatte alcune simulazioni
che hanno permesso di confrontare
i risultati relativi ai diversi scenari
(quali il confronto del carico idraulico nello scenario 1 con il carico
idraulico minimo misurato nella
serie storica).
Si sono così individuati i pozzi con i
maggiori abbassamenti di falda e su
questi si è intervenuti con la sostituzione delle elettropompe e l’inserimento di inverter.
Sempre a marzo 2007, sono stati
approvati dal Consiglio di amministrazione una serie di lavori individuati come strategici per superare
per quanto possibile lo stato di
emergenza, avvalendosi degli artt.
75 e 84 del Disciplinare tecnico
allegato alla convenzione del servizio idrico integrato Ato 9 che danno
la possibilità al Gestore (informato
l’Ato stesso) di eseguire per motivi
urgenti lavori non previsti dal Piano
d’ambito. Queste opere – per un
totale di 1.804.000 euro – sono state
realizzate prima e durante la stagione estiva (tabella 2).
Meritano menzione gli interventi
che hanno consentito il trasferimento di risorsa autoprodotta dai
pozzi della conoide del Marecchia
verso altre aree altrimenti alimentate per la gran parte o quasi totalmente da Romagna Acque (Verucchio, zona sud della provincia: Riccione, Misano, Cattolica). Con questi lavori il territorio della Provincia
di Rimini gestito da Hera è riuscito
a essere praticamente autonomo da
Romagna Acque per quasi tutti i
suoi comuni (a eccezione di Torriana, Poggio Berni e parte di
Verucchio).
All’acuirsi della crisi nei mesi
autunnali di quest’anno Hera
Rimini è riuscita, grazie alle opere
sommariamente richiamate, a limitare i prelievi da Ridracoli agli
attuali 60 l/s (80 l/s, ottobre) contro
2007
i 250 l/s dell’ottobre 2006 e i 330 l/s
dell’ottobre 2005.
Questi prelievi così bassi nel territorio riminese stanno consentendo
di limitare a circa 55.000 mc/giorno
(per la SOT, società operativa territoriale Hera di Rimini, circa 5.000
mc/giorno) il prelievo complessivo
delle SOT di Hera permettendo, in
alcune delle altre province fornite
in maniera quasi esclusiva da
Romagna Acque, di evitare drastiche azioni di contenimento dei
consumi alle utenze (razionamenti
a fasce orarie ecc.).
Non sono mancati gli incontri con
le istituzioni per coordinare le
diverse azioni di intervento illustrate in precedenza sia a livello
regionale, sia a livello locale.
In particolare nell’ultimo incontro
tenuto in Provincia, il presidente
della Giunta ci ha comunicato di
aver contattato il Vescovo di Rimini
affinché anche la Chiesa, con le
capacità di penetrazione nei confronti dei propri fedeli, facesse propria la campagna di sensibilizzazione/informazione sul grave stato
di crisi idrica.
La risposta del Vescovo non si è
fatta attendere, tanto che ha organizzato una preghiera per il 22 ottobre alla Madonna dell’acqua
(insieme a San Gaudenzo, protettrice di Rimini) nella Basilica Cattedrale.
Beh, proprio in quei giorni ci sono
state piogge abbondanti come non
si vedevano da tempo (in un solo
giorno a Rimini 40 mm di pioggia)
e nell’invaso di Ridracoli il volume
è aumentato in pochi giorni di
alcuni milioni di mc!
Edolo Minarelli
Pierangelo Pratelli
Società operativa territoriale Rimini,
Gruppo Hera
39
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Con la siccità migliora lo stato dell’Adriatico
40
È noto che l’apporto di acque
fluviali rappresenta un fattore
molto importante nell’innesco
dei fenomeni che possono incidere sullo stato qualitativo dell’ecosistema marino-costiero.
In tale contesto assume un ruolo
importante l’innesco dei processi
di eutrofizzazione indotti dai
carichi di sostanze a effetto
eutrofizzante quali l’azoto e il
fosforo (si aggiungano microelementi e composti organici di
diversa origine e composizione).
Le portate del fiume Po, e in
maniera proporzionata tutti gli
altri fiumi minori, nel 2007
hanno registrato un andamento
caratterizzato da modeste portate. A tal riguardo va evidenziato che il valore medio annuale
di portata del Po (dati all’11
novembre) è stato straordinariamente basso con soli 709 m3/sec;
la metà rispetto al valore medio
annuale di 1472 m3/sec calcolato
sul periodo 1917-2006. Un’evidente anomalia che da alcuni
anni si sta riproponendo e che,
pertanto, si sta affermando come
tendenza. Forse un segnale di
quel processo che viene da molti
definito come sintomo di desertificazione le cui ricadute già si
misurano in termini di carenza
idrica nei settori connessi alle
necessità civili e produttive.
EUTROFIZZAZIONE
Dal punto di vista dei fenomeni
di eutrofizzazione, il 2007 è stato,
per quanto riguarda la qualità
ambientale delle acque costiere,
un anno straordinario. Si riconferma anche una condizione che
da tempo si sta riproponendo e
che evidenzia un significativo e
progressivo
miglioramento
rispetto alle critiche condizioni
che hanno caratterizzato gli anni
70 e 80.
Tra fine febbraio e la metà del
mese di aprile si sono manifestate fioriture algali sostenute da
Diatomee in vaste aree di mare
prospicienti la nostra Regione.
È importante ricordare che tali
fioriture non hanno mai provocato, nel periodo invernale e primaverile, ricadute sull'ambiente
(anossie nelle acque di fondo,
morie di pesce di fondo ecc.),
sono al contrario necessarie all'innesco di quella catena alimentare
che rende particolarmente
pescoso l'alto e il medio Adriatico. Segue un periodo che si protrae fino all’autunno in cui la
scarsità degli apporti fluviali si
ripropone con riflessi positivi
sulla trasparenza delle acque.
Fanno eccezione brevi tratti di
mare davanti a Riccione e a Cervia dove si sono manifestate
locali fioriture microalgali di
Fibrocapsa japonica. A Riccione
nelle giornate del 2 e del 18 e 20
luglio e a Cervia il 14 e 17 agosto.
Questi eventi negli anni precedenti, laddove si sono presentati,
hanno avuto persistenze di 2-3
settimane con pesanti ricadute
nei confronti del turismo balneare. Si ricorda che questo tipo
di fioritura non genera anossie
nelle acque di fondo ma solo
alterazione del colore, le acque
appaiono brune e torbide. Anche
i fenomeni di ipossia e anossia
(carenza o mancanza di ossigeno)
nelle acque di fondo sono stati di
scarso rilievo e in tutti i casi inferiori per durata ed estensione a
distrofie analoghe verificatesi nel
passato.
Nel merito della questione legata
alla parola chiave “trasparenza”,
termine che viene normalmente
associato a un buon stato di qualità ambientale, penso sia necessario riflettere sul fatto che l’Adriatico non può e non potrà mai
avere le stesse caratteristiche del
mare di Sardegna. La sua conformazione geomorfologica e la
quantità di apporti fluviali che
riceve, conferiscono a questo
mare uno stato idrologico che,
FOTO A. RINALDI
Le evidenze più rilevanti che caratterizzano lo stato ambientale delle acque marino-costiere in Emilia-Romagna
nel 2007 sono la diminuzione degli apporti fluviali dal Po, la modesta entità dei fenomeni di eutrofizzazione e
dei casi di anossia e ipossia delle acque di fondo, la presenza di mucillagini solo nel periodo invernale, le fioriture
di Fibrocapsa japonica con estensioni e tempi di permanenza minori rispetto al 2005 e al 2006, un innalzamento
termico delle acque che favorisce fenomeni di “tropicalizzazione” e “meridionalizzazione”.
Bussatella leachi
anche in condizioni di massima
naturalità, non potrà mai avere
acque incolori e dalla straordinaria trasparenza. L’Adriatico
“mare verde” veniva così
descritto da Gabriele Dannunzio
oltre un secolo fa; credo si possa
affermare che la sua fertile opacità sia da considerare una sua
fisiologica peculiarità.
MUCILLAGINI
Nel 2007 non si sono avute presenze massive di aggregati mucillaginosi nel periodo estivo. In
maniera del tutto anomala e
nuova la loro presenza ha interessato il periodo invernale, dal
novembre 2006 all’aprile 2007.
Il primo evento invernale nella
sequenza dei casi che si sono
verificati negli ultimi 20 anni. Lo
stato di aggregazione del materiale mucillaginoso a forma di
reticoli, filamenti e masse di più
grandi dimensioni ha interessato
soprattutto la colonna d’acqua
mentre gli affioramenti sono stati
limitati e del tutto sporadici.
L’impatto conseguente al manifestarsi del fenomeno ha generato ricadute soprattutto nel settore della pesca, particolarmente
nelle zone centrali e meridionali
dell’Adriatico occidentale.
Diverse marinerie di quei terri-
tori hanno avuto difficoltà oggettive nello svolgimento delle loro
attività. Le reti si intasavano, si
appesantivano fino a rompersi.
Lo stesso ministero alle Politiche
agricole e forestali istituì un
Gruppo di crisi per seguire l’evolversi del fenomeno e assistere
il settore. Da comunicazioni provenienti da alcuni Istituti di
ricerca collocati sulle sponde del
Tirreno (e dai canali mediatici),
pare che il fenomeno si sia ripresentato nei mesi di agosto e settembre nel medio e basso Tirreno, Sicilia compresa.
Tornando al caso Adriatico è
parere diffuso, tra l’altro da noi
condiviso, che l’evento invernale
sia stato favorito dalla stabilità
meteo-marina e dalla rilevante
anomalia termica delle acque
(temperature superiori alla media
del periodo di 3-4 °C). Come
negli eventi che si sono verificati
in epoca recente (9 casi dal 1988
a oggi) è stata riscontrata la presenza di flagellate del genere
Gonyaulax spp. Un organismo
unicellulare capace di generare
massive quantità di essudati
mucillaginosi.
ALTRE CONDIZIONI
Ricompare la medusa Carybdea
marsupialis nel periodo luglio-
settembre, anche se in quantità
inferiori rispetto all’estate 2006.
Si tratta di una specie con potere
urticante medio che predilige le
acque strettamente costiere. Nel
2007 sono state registrate nuove
specie animali provenienti da
mari extramediterranei. Tra queste merita d’essere segnalata la
Bursatella leachi, un mollusco originario del mar Rosso sino a ora
non segnalato nelle acque dell’Adriatico nord-occidentale. Significativa la presenza di specie ittiche
(lampuga, pesce serra) provenienti dal Mediterraneo meridionale. Sono soprattutto i pescatori
sportivi a segnalare tali catture.
Anche in questo caso pare prendere consistenza l’ipotesi che l’innalzamento termico delle acque
nei periodi estivi e autunnali
favorisca quel fenomeno conosciuto con il termine di “meridionalizzazione”, vale a dire lo spostamento di specie termofile
verso aree più settentrionali.
FOTO ARCH. DAPHNE
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
In sintesi si può affermare che:
- si riconferma la diminuzione
degli apporti fluviali, del Po in
particolare. La sua portata nel
2007 corrisponde alla metà di
quella calcolata sul lungo periodo
- i fenomeni di eutrofizzazione
sono stati in genere di modesta
entità con indici di trofia inferiori
a quelli, già bassi, registrati nel
2006
- limitati i casi di anossia e ipossia
delle acque di fondo, nessun
riflesso negativo sugli organismi
bentonici (morie di pesce di
fondo, molluschi, crostacei)
- le mucillagini, per quanto concerne l’Adriatico, si sono avute
nel solo periodo invernale
(novembre 2006- aprile 2007). La
loro presenza ha interessato
soprattutto il versante italiano
dell’Adriatico centro-meridionale
- permane il problema delle fioriture costiere di Fibrocapsa japo-
41
nica che, anche se con estensioni
e tempi di permanenza minori
rispetto al 2005 e 2006, hanno
interessato aree di mare prospicienti il riccionese e nel cervese
- si riconferma l’importanza dell’innalzamento termico delle
acque nel favorire i fenomeni di
“tropicalizzazione” e “meridionalizzazione”.
Attilio Rinaldi
Arpa Emilia-Romagna
Struttura oceanografica Daphne
2007, trentesimo anno di attività
La Struttura oceanografica Daphne dell'Arpa Emilia-Romagna
svolge da trent’anni programmi di monitoraggio e di studio nell'area
di mare prospiciente l'Emilia-Romagna.
Daphne, da sempre parte costituente del Centro ricerche marine di
Cesenatico, si avvale di 11 ricercatori con formazione
multidisciplinare. Nel 2007 l’attività è incentrata su 18 programmi,
gran parte dei quali sono dedicati allo studio dell'ecosistema
marino-costiero.
Oltre alla parte oceanografica, stimabile in 140-150 giorni nave/anno,
viene sviluppata una rilevante attività analitica in laboratori
specialistici.
Nell'ambito del monitoraggio dell'eutrofizzazione, a frequenza
settimanale, vengono controllate 41 stazioni, sia attraverso prelievi
di campioni da analizzare nei laboratori specialistici.
Solo i dati chimico-fisici (temperatura, salinità, ossigeno disciolto,
pH, clorofilla "a" e trasparenza) di 14 stazioni poste a 500 m di
distanza da riva vengono utilizzati per la stesura di un bollettino, che
viene organizzato immediatamente a fine monitoraggio. I dati
vengono mediati per 3 subaree denominate A, B e C. Tale
suddivisione non è artificiale, ma scaturisce dall'individuazione nella
fascia costiera (nel corso di 20 anni di elaborazioni dati) di tre zone
omogenee che si diversificano tra loro per condizioni chimicofisiche.
Il bollettino rappresenta una sintesi dei dati settimanali rilevati,
corredata da breve commento. A integrazione dello stesso bollettino
tutti i dati di temperatura, salinità, clorofilla "a" e ossigeno sul fondo
rilevati durante il monitoraggio vengono elaborati per la produzione
di mappe tematiche.
Alcune mappe dal Bollettino settimanale del 19-20 novembre 2007 - www.arpa.emr.it/daphne
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
L’aria inquinata delle città fa male,
sulle ultrafini resta il bisogno di saperne di più
42
Gli effetti dell’inquinamento
atmosferico sulla salute sono di
tipo acuto e cronico. Gli effetti
acuti sono associati all’aumento
degli inquinanti atmosferici con
un breve intervallo (ore o pochi
giorni) tra l’esposizione e l’insorgenza del danno. Numerosi studi
epidemiologici riportano un
aumento della mortalità generale
e per cause cardio-vascolari e
respiratorie, l’insorgenza di patologie acute quali l’infarto del
miocardio, l’ictus cerebrale, le
infezioni delle vie respiratorie
(polmoniti e bronchiti), l’esacerbazione di patologie croniche
quali la broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) e l’asma
bronchiale [1]. Gli aumenti della
mortalità generale e specifica e
l’aumento della ospedalizzazione
per patologie respiratorie e cardiovascolari sono stati riportati
negli Stati Uniti [2-4] e in
Europa [5, 6]. In Italia, è stato
documentato l’aumento della
mortalità per cause naturali e
delle ospedalizzazioni per malattie cardiache e respiratorie in
seguito all’aumento degli inquinanti atmosferici [7]. Infarto del
miocardio e patologie coronariche sono direttamente influenzate dall’aumento degli inquinanti [8, 9].
Gli effetti cronici sono dovuti a
esposizioni prolungate agli inquinanti atmosferici: sono stati
riportati sintomi respiratori, quali
la tosse e il catarro, riduzione
della funzionalità polmonare,
bronchite cronica e tumore polmonare [10]. Studi recenti su animali da esperimento suggeriscono che i processi di arteriosclerosi possono essere facilitati
dalla esposizione a inquinanti
ambientali. I disturbi respiratori
cronici dell’infanzia si sono confermati come importanti conseguenze dell’inquinamento [11].
FOTO ARCH. ARPA EMILIA-ROMAGNA
L’inquinamento atmosferico rappresenta un rischio per la salute umana, con un impatto di sanità pubblica elevato
per il grande numero di persone esposte soprattutto in ambiente urbano. Numerosi studi hanno dimostrato aumenti
della mortalità generale e specifica e l’aumento dell’ospedalizzazione per patologie respiratorie e cardiovascolari.
Servono ulteriori indagini per affinare la conoscenza, in particolare sulla frazione ultrafine del particolato atmosferico.
Nel complesso si è osservata una
riduzione della speranza di vita
in chi vive in città più inquinate
[1].
Tra i vari inquinanti ambientali,
il materiale particolato di dimensione inferiore ai 10 micron
(PM10) e il particolato fine
(dimensione inferiore 2,5 micron,
PM2,5) sono ritenuti responsabili
dei danni osservati nei diversi
studi. L’attenzione è anche
rivolta alla frazione di particolato
con diametro inferiore a 0.1
micron, le polveri ultrafini. Altri
importanti inquinanti sono quelli
di natura gassosa, quali il biossido di azoto (NO2), l’anidride
solforosa (SO2), l’ossido di carbonio (CO) e l’ozono (O3) [1, 12].
Meccanismo principale del
danno attribuibile al particolato
atmosferico è l’induzione e il
successivo mantenimento dell’infiammazione. Tale meccanismo è stato dimostrato nell’uomo, negli animali da esperimento e in cellule di coltura [13].
L’attività cancerogena dell’inquinamento atmosferico è attribuita
soprattutto ai composti chimici
aromatici, i più importanti dei
quali sono gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) [14].
L’intensità degli effetti sulla
salute umana è direttamente proporzionale alla concentrazione
degli inquinanti, e la relazione è
di tipo lineare senza soglia. L’Organizzazione mondiale della
sanità ha recentemente indicato
dei “valori guida” per gli inquinanti ambientali [15] al fine della
protezione della popolazione.
Per il PM10 e il PM2,5 sono stati
raccomandati i seguenti valori
medi annuali: 20 µg/m3 per il
PM10 e 10 µg/m3 per il PM2,5.
Anche se le conoscenze acquisite
sugli effetti dell’inquinamento
sono molteplici, diversi aspetti
devono essere approfonditi.
Maggiori conoscenze sono necessarie sulla frazione del PM
responsabile degli effetti sulla
salute. La frazione ultrafine (UF)
(PM0,1) presenta un interesse
particolare per la capacità di queste particelle di indurre un danno
ossidativo e per la loro maggiore
probabilità di traslocare dai polmoni al sangue e agli organi
interni [1, 13]. Di particolare
importanza è l’effetto cardiovascolare delle polveri ultrafini
[16].
La composizione chimica del particolato, oltre alla dimensione delle
particelle, sembra avere un ruolo
importante nella determinazione
del danno all’organismo umano.
Crescente è l’interesse per i
metalli di transizione (nickel,
zinco, cadmio e mercurio) per la
loro capacità di indurre uno stress
ossidativo [17].
Alcuni autori hanno sottolineato
l’opportunità di approfondire gli
effetti dei metalli, delle frazioni
volatili e semi-volatili anche in
termini di potere mutageno e
cancerogeno [14].
L’ozono è un irritante delle vie
respiratorie superiori; sono stati
riportati effetti più importanti
sull’apparato respiratorio, quali
l’aumento della ospedalizzazione
per polmoniti e BPCO [18] e
l’aumentato ricorso al pronto soccorso per episodi di asma pediatrica [19]. Non è chiaro l’effetto
dell’ozono su altri sistemi dell’organismo oltre l’apparato respiratorio. Si è osservato anche un
aumento della mortalità totale
[20] in rapporto alle concentrazioni ambientali di ozono.
Occorre un’attenta valutazione
del ruolo delle condizioni climatiche
durante il periodo primaverileestivo. Studi epidemiologici in
Italia [7] hanno segnalato un
maggiore effetto del PM10
durante il periodo aprile- settembre.
Le ragioni di questo maggiore
effetto vanno approfondite in
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
rapporto alle diverse caratteristiche degli inquinanti e anche
della possibile combinazione di
PM10, ozono e alta temperatura.
Per ragioni di sanità pubblica è
estremamente importante caratterizzare il rischio sanitario e individuare le persone particolarmente
vulnerabili agli effetti dell’inquinamento [21]. Oltre alla suscettibilità innata, legata a fattori genetici, la suscettibilità agli effetti
dell’inquinamento atmosferico è
caratteristica di alcune fasce
d’età. Nei neonati, gli effetti si
manifestano con l’aumento della
mortalità perinatale e della frequenza del basso peso alla
nascita [22]; in età pediatrica, l’esposizione a inquinanti peggiora
lo stato di malattia in bambini
affetti da compromissione cronica delle vie aeree e provoca un
incremento dei ricoveri per asma
e bronchiti [23].
Negli anziani sono stati riportati
aumenti di mortalità [3,24] e di
ricoveri per patologie cardiovascolari [25]. Una maggiore vulnerabilità agli effetti dell’inquinamento atmosferico si manifesta in condizioni di deprivazione
socio-economica [26] e per la
presenza di patologie pregresse,
quali il diabete [27], la BPCO
[28-30], lo scompenso cardiaco
congestizio [31], l’infarto pregresso [32], le aritmie cardiache
[33]. Le conoscenze su questi
aspetti sono ancora molto limitate.
Dev’essere potenziata la ricerca
sui meccanismi biologici e tossicologici che possono spiegare gli
effetti riscontrati in studi epidemiologici. I possibili meccanismi
molecolari della infiammazione
sono riconducibili allo stress ossidativo indotto dai radicali liberi e
responsabile della infiammazione. Oltre alla infiammazione,
si è ipotizzato che le alterazioni
del processo di coagulazione del
sangue siano i meccanismi d’azione responsabili degli effetti
cardio-vascolari, ma sono ancora
poco chiari i meccanismi a livello
molecolare [34].
Francesco Forastiere
Annunziata Faustini
Azienda sanitaria locale Roma E
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43
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Ripensare le città per una società
che vada oltre la cultura del fossile
Le conoscenze che la scienza ci fornisce sono sufficienti per comprendere l’entità dei danni alla salute e anche per
mettere a punto strategie di uscita dalla cultura del fossile. Deve affermarsi una cultura dell’agire che parta dalla
consapevolezza che la spinta propulsiva delle fonti fossili è davvero esaurita.
44
I prezzi sono troppo alti,
i rischi troppo grandi
Potrebbe non essere ancora trascorsa la sua metà quando la
gente si guarderà indietro chiedendosi come si faceva, all’inizio
di questo secolo, a sopravvivere
nelle nostre città. Ogni 3 persone
c’erano 2 automobili, 23 ore al
giorno immobili sotto casa,
pronte per portare quasi sempre
una sola persona nella maggior
parte dei casi per un chilometro o
due a prendere le sigarette o fare
la spesa bruciando nei motori a
scoppio petrolio o nel caso
migliore metano.
Le case erano riscaldate con mini
caldaie da 15/20 o 25 kW alimentate da carburanti fossili con controlli solo nominali sulle emissioni di sostanze inquinanti, i
rifiuti finivano, salvo qualche
giornale, cartone o bottiglia, in
cassonetti all’angolo dove i cittadini potevano liberarsi di tutto
quello di cui non avevano bisogno, che era “da buttare”,
pagando una modica cifra
annuale.
I 41.500 morti dal traffico motorizzato nell’Unione europea, di
cui 5.000 in Italia, i 46.000 morti
dall’inquinamento atmosferico in
Europa, di cui 8.000 in Italia,
erano un prezzo da pagare al progresso, al benessere, ai posti di
lavoro.
Guardando indietro sarà difficile
dire quale era la causa principale
per la svolta verso una società
sostenibile: gli sconvolgenti scenari economici del rapporto di
Nicolas Stern sui costi dell’ignorare i cambiamenti climatici? la
resistenza diffusa contro l’aria
irrespirabile nelle città? il quarto
rapporto dell’Ipcc?
Certo le conoscenze non mancano. Sappiamo tutto. Conosciamo i problemi e conosciamo
le soluzioni.
Il quarto rapporto dell’Ipcc non
lascia dubbi: i cambiamenti climatici sono in atto e le conseguenze di uno scenario business as
usual sono inaccettabili in Italia e
ancora di più nel sud del mondo.
È vero che si tratta di affermazioni probabilistiche, ma è anche
vero che le probabilità di conseguenze gravi causa lo spostamento delle zone vegetazionali,
l’aumento degli eventi meteorologici estremi, dei periodi di siccità, delle inondazioni sono così
alte che le rimanenti insicurezze
non possono servire come pretesto per non fare.
Sull’ordine del giorno è l’uscita
dal fossile, meno non basterà
Si comprende facilmente l’esitazione, se non la resistenza, di
imboccare in modo deciso una
politica del clima, perché mentre
qualche associazione ambientalista, ma anche qualche programma dell’Unione europea,
fanno credere che si tratti di
modifiche abbastanza contenute
nello stile di vita, nel nostro
modo di fare – usare un po’ meno
la macchina e gonfiare un po’ di
più le gomme, spegnere la luce e
lo stand-by quando si esce,
abbassare la temperatura di un
grado in casa – diventa sempre
più chiaro che per affrontare con
successo la minaccia dei cambiamenti climatici ci vuole di più.
Molto di più. Gli addetti ai lavori
preferiscono usare il gergo
inglese e parlare di una società
low carbon, che è un altro modo
per dire che dobbiamo uscire dal
fossile.
Impossibile dire oggi fino a che
punto si arriverà entro la metà di
questo secolo in un tale percorso.
La Svizzera punta sulla società a
2.000W, cioè ridurre il consumo
di fonti fossili di due terzi entro il
2050, lo scenario di Greenpeace
prevede di dimezzare globalmente l’uso del fossile. Obiettivi
ambiziosi che giustamente fanno
sorgere dei dubbi se la minaccia
dei
cambiamenti
climatici
potrebbe non bastare come forza
propulsiva per una trasformazione così drammatica della
nostra cultura fossile.
I cambiamenti climatici, infatti,
sono solo una ragione per uscire
dal fossile e sarebbe da discutere
se è quella più imminente o se
non ci sarebbe da preoccuparsi
più dell’insicurezza dell’approvvigionamento, delle vicissitudini
dei prezzi o degli effetti sulla
salute, nel territorio d’estrazione
e nei territori di combustione del
petrolio, del carbone e del
metano.
L’insicurezza dell’approvvigionamento e la crescente dipendenza
dell’Unione europea dall’importazione di fonti fossili da paesi
geopoliticamente instabili era il
leitmotiv del libro verde del
commissario Layola nel novembre 2000. Sette anni dopo questa
preoccupazione non ha perso
minimamente di attualità. Anzi.
È falsa la naturalezza con la quale
si presume che i metanodotti
dalla Russia e dall’Algeria ci porteranno anno dopo anno il
metano di cui abbiamo bisogno
in Italia. Può essere, anzi ce lo
auguriamo, ma fidarsene ciecamente è leggero e irresponsabile.
O viceversa, una responsabile
politica energetica territoriale
oggi promuove la produzione di
energia sul luogo anche in una
prospettiva di possibili restrizioni
nel flusso per esempio del
metano.
Lo scenario dell’Autonomia
energetica Altotevere del 2006
era un tentativo di dare consistenza e plausibilità a una prospettiva di crescente indipendenza in un determinato territorio dall’arrivo di energia da lontano. Più vicino al principio di
realtà è per esempio un progetto
come quello di costruire a Città
di Castello una centrale a biomassa legnosa proveniente dai
38.000 ettari di boschi del territorio per procurare caldo, freddo ed
elettricità all’ospedale. Un’idea
rassicurante per i cittadini sapere
che il proprio ospedale rimarrà
funzionante anche nell’eventualità che l’arrivo di metano in Italia dovesse subire qualche oscillazione.
Lontani dalle visioni catastrofiche
Vanno ripensate le nostre città in
una prospettiva di uscita dal fossile, dell’efficienza energetica,
delle energie rinnovabili e di
rifiuti zero. Non in chiave catastrofica – le catastrofi non sono
da escludere, ma sono un pessimo punto di partenza per uno
sviluppo capace di futuro –, ma
nella consapevolezza che il pro-
gresso tecnologico permette di
garantire forme di trasporto di
beni e merci, di servizi energetici
per le case e le industrie ad alta
efficienza energetica rinunciando
progressivamente alle energie
fossili per evitare i danni che causano al clima, alla salute e all’economia. Potrebbe rivelarsi un
importante punto di svolta la
sentenza del Tar della Baviera
del giugno di quest’anno che ha
dato ragione a un cittadino che
aveva fatto causa al Comune di
Monaco e al Land della Baviera
per l’elevato carico di polveri sottili sotto casa sua nella “Landshuter Allee”, parte del raccordo
anulare di Monaco.
I giudici hanno sottolineato che
l’interesse alla salute di questo e
di altri cittadini ha la precedenza
sulla libera circolazione di automobili e camion e che non è sufficiente che il Comune e il Land
abbiano elaborato dei piani per
abbassare le polveri sottili. Il cittadino ha il diritto alla protezione
della sua salute con delle azioni
immediate e non con dei piani
che potrebbero avere effetto
chissà quando.
Con piccoli passi in avanti e frequenti passi indietro è partito un
processo probabilmente irreversibile: l’eliminazione del tra-
http://www.utopieconcrete.it
sporto motorizzato individuale
dai territori urbani, se non con
qualche eccezione per i veicoli a
emissione zero.
Potrebbe sorprendere che un’esperienza d’avanguardia della
prima città senz’auto sta per
nascere in un paese arabo dove il
petrolio non manca: Abu Dhabi.
L’ecocity di Masdar, progettata
da Norman Foster e Partners sarà
la prima città a emissioni e rifiuti
zero; nascerà su 600 ettari nello
stile delle antiche città murate e
con le moderne tecnologie disponibili per garantire un rapido spostamento con il trasporto pubblico a energie rinnovabili, con
fermate mai a più di 200 metri di
distanza, con strade strette e
ombreggiate. Si svilupperà in
questo emirato arabo, con i soldi
ricavati dalla vendita del petrolio,
quello che si potrebbe fare in
tante “antiche città murate” dell’Italia.
Per concludere
Sono reali i segnali di crisi del
fossile che ci impongono le
nostre città, il modo di produrre e
distribuire, i nostri stili di vita.
Ma è anche vero che i danni alla
salute e all’ambiente della cultura fossile, le minacce dei cambiamenti climatici, della volati-
FOTO G. NALDI
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
45
lità del prezzo del petrolio, delle
insicurezze geopolitiche di
approvvigionamento sono solo
un lato della medaglia. L’altro è
che tutte le conoscenze, le politiche e le misure per uscire dal fossile esistono. Il nuovo va verso il
no carbon anche se nel pacchetto
potrebbero trovarsi alcune soluzioni low carbon come quella del
sequestro del carbonio.
Negli ultimi 150 anni il fossile
era il carburante dell’innovazione, oggi le soluzioni innova-
http://www.climatealliance.it/
tive puntano sul fare meglio con
meno e con il solare.
Karl-Ludwig Schibel
Alleanza per il clima
Alleanza per il Clima è la rete più
grande di enti locali e territoriali
impegnati nella salvaguardia del
clima. Hanno aderito 1500 enti in
Europa, 170 in Italia. I partner dell’Alleanza sono i popoli indigeni
delle foreste pluviali del bacino
amazzonico.
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Piani di risanamento,
il quadro nazionale delle misure adottate
L’analisi delle misure di risanamento, individuate dalle autorità competenti per il 2004, rivela che la maggior
parte degli interventi previsti o realizzati riguarda il settore dei trasporti (54%) e che il livello amministrativo è
quello regionale (47%). La scala temporale di riduzione degli inquinanti prevista in seguito all’adozione di tali
misure è la combinazione dei tre parametri “breve - medio - lungo termine”.
46
La Direttiva 96/62/CE1, recepita in
Italia tramite il Dlgs 351/992, definisce i criteri per la valutazione e la
gestione della qualità dell’aria
ambiente. Essi si basano su una
serie di passaggi che vanno dalla
valutazione della qualità dell’aria
all’elaborazione di piani e programmi di tutela (piani d’azione,
piani di risanamento, piani di mantenimento), i cui contenuti riguar-
dano, tra gli altri aspetti, i provvedimenti volti alla tutela della qualità
dell’aria e al rispetto dei valori
limite imposti per gli inquinanti
alla luce delle caratteristiche del
territorio e delle sorgenti emissive.
L’elaborazione di un piano o programma di risanamento avviene
attraverso le seguenti fasi:
- fase conoscitiva, che comprende l’analisi del quadro normativo, delle
Tab. 1 - Trasmissione dei questionari sui Piani o Programmi di
risanamento. Anni 2001-2005. Fonte: elaborazione Apat su
dati forniti dalle Regioni/Province autonome
Anno di riferimento
del piano
2001
2002
2003
2004
2005a
Anno trasmissione
questionario
2003
2004
2005
2006
2007
Piemonte
SI
SI
SI
SI
SI
Valle d’Aosta
*
*
*
*
NO
Lombardia
SI
SI
SI
SI
SI
Bolzano
*
*
*
SI
NO
Trento
*
*
*
SI
SI
Veneto
SI
SI
SI
SI
NO
Friuli Venezia Giulia
*
SI
SI
SI
SI
Liguria
SI
SI
SI
SI
SI
Emilia-Romagna
SI
SI
SI
SI
SI
Toscana
SI
SI
SI
SI
SI
Umbria
SI
SI
SI
SI
NO
Marche
SI
SI
SI
SI
SI
Lazio
SI
SI
SI
SI
SI
Abruzzo
SI
SI
SI
SI
NO
Molise
*
*
NO
**
**
Campania
SI
SI
SI
SI
SI
Puglia
SI
SI
SI
SI
NO
Basilicata
*
*
*
*
NO
Calabria
*
*
*
NO
*
Sicilia
SI
SI
NO
NO
NO
Sardegna
SI
SI
SI
SI
NO
Legenda:
a Dati provvisori: l’invio da parte delle regioni è ancora in corso
* Assenza di superamenti, nessun obbligo di piano
** Mancata comunicazione di informazioni
caratteristiche del territorio, delle
fonti di emissione degli inquinanti
in aria (inventari delle emissioni),
delle condizioni climatiche e
meteorologiche tipiche del territorio
- fase valutativa, che consiste nella
valutazione della qualità dell’aria
effettuata mediante misure puntuali di concentrazione fornite dalla
rete di rilevamento e mediante tecniche di modellazione
- fase propositiva, che comprende
l’analisi degli scenari e i provvedimenti o “misure” di risanamento
che la regione ha individuato e
adottato.
Secondo quanto contenuto nel
Dlgs 351/1999 (art. 12, comma 3) le
regioni e le province autonome
devono trasmettere, per il tramite
Apat, i piani e/o i programmi di risanamento della qualità dell’aria al
ministero della Salute (MINSAL) e
al ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio e del mare
(MATTM) entro diciotto mesi
dalla fine dell’anno durante il quale
è stato registrato il superamento del
VL + MDT3; il MATTM a sua
volta, trasmette i piani e i programmi di risanamento alla Commissione europea entro due anni
dalla fine di ciascun anno in cui si è
registrato il superamento del VL +
MDT.
Le informazioni sui piani o programmi
vengono
trasmesse
secondo le modalità stabilite dalla
Decisione 2004/224/CE, attraverso
un questionario, indicato come
questionario sui piani e programmi
di risanamento o questionario PPs,
costituito da sette moduli in cui
vengono riportate in modo sintetico
tutte le informazioni contenute nei
piani: “il modulo 1 fornisce informazioni generali sul piano o sul programma in questione; nei moduli da 2
a 6 ogni colonna descrive una situazione di superamento presa in considerazione dal piano o dal programma,
mentre ogni riga contiene un elemento
descrittivo della situazione di superamento; nei moduli 5, 6 e 7 sono descritte
sinteticamente le singole misure”
[Decisione 2004/224/CE].
In tabella 1 è stata rappresentata la
situazione relativa alla trasmissione
delle informazioni (questionari) sui
piani di risanamento dall’anno 2001
al 2005 (per quest’ultimo anno la
trasmissione da parte delle Regioni
è ancora in corso).
Il Dlgs 351/1999 impone a Regioni
e Province autonome di prevedere
e adottare misure di risanamento
atte a garantire il miglioramento
della qualità dell’aria nelle zone in
cui i livelli di uno o più inquinanti
superano i valori limite fissati dalla
normativa.
Il formato stabilito dalla Decisione
2004/224/CE richiede che ogni
provvedimento adottato venga
identificato, in base alla sua tipologia, secondo la seguente classificazione:
A - economico/fiscale
B - tecnico
C - educazione/informazione
D - altro
Dall’analisi (figura 1) è risultato che
per il 2004 su un totale di 221
misure il 27% è di tipo tecnico,
mentre il 23% dei provvedimenti
non è stato classificato secondo una
delle quattro tipologie sopra indicate, ma con una “combinazione”
di queste (es: A-B-C, A-B, B-D,
ecc.) e infine il 32% è classificato
sotto la voce altro.
All’interno del questionario per
ogni provvedimento è riportato il
livello amministrativo al quale è
possibile adottarlo. Dalla figura 2 si
osserva che, sempre per il 2004, il
47% delle misure è stato attuato a
livello regionale (B), il 39% a livello
locale (A) e solo l’1% a livello nazionale (C). Da notare che nel 12% dei
casi le misure sono state adottate da
più amministrazioni a diversi livelli.
Un altro dato interessante ai fini
della descrizione delle misure di
risanamento adottate è la scala temporale di riduzione degli inquinanti, ossia il periodo di tempo previsto affinché quel dato provvedimento determini una riduzione
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
all’interno delle singole regioni:
l’Emilia-Romagna, risulta la
regione che ha realizzato il maggior
numero di interventi a favore della
mobilità sostenibile (22), seguita
dalla Lombardia (21).
Fig. 1 Tipologia di misure adottate
Fig. 2 Livello amministrativo della
misura adottata
Fig. 3 Scala temporale delle riduzioni
delle concentrazioni di inquinanti
in aria.
La scala temporale può essere a
breve termine (A), medio termine
(circa un anno) (B) o lungo termine
(C).
Dall’analisi effettuata è risultato
che nel 35% dei casi non è stata
indicata un’unica scala temporale
ma una combinazione di “scale”;
gli interventi a lungo termine (C)
rappresentano il 30% dei casi, mentre quelli a medio e a breve termine
rispettivamente il 17% e il 15%
(figura 3).
Per ogni provvedimento deve poi
essere individuato il settore in cui
esso ricade: Trasporti, Industria,
Agricoltura, Attività commerciali e
domestiche, Altro; si è rilevato che
il 54% dei provvedimenti riguarda
il settore dei Trasporti.
Disaggregando i dati al livello
regionale dal 2001 al 2005 risulta
che la Lombardia è la regione che
ha adottato il numero maggiore di
provvedimenti (62 nel 2005),
seguita da Emilia-Romagna (36),
Piemonte (32) e Lazio (19).
9. Utilizzo di sistemi telematici di
supporto per la mobilità sostenibile
10. Redazione Piano urbano del
traffico (PUT)
11. Redazione del Piano urbano
della mobilità (PUM)
12. Regolamentazione della distribuzione delle merci nei centri
urbani.
Un approfondimento è stato dedicato alle misure che riguardano il
settore Trasporti (le più adottate
dalle regioni), e in particolare
quelle che promuovono la mobilità
sostenibile4 e cioè:
1. Il controllo dei parametri emissivi dei gas di scarico di tutti gli
autoveicoli - Bollino blu
2. Interventi a favore della mobilità
alternativa5
3. Provvedimenti di limitazione del
traffico
4. Misure di carattere strutturale
per la mobilità
5. Incentivi per l’utilizzo del trasporto pubblico locale (TPL)
6. Promozione e diffusione di
mezzi di trasporto merci a Basso
Impatto Ambientale (BIA)
7. Promozione e diffusione di
mezzi di trasporto privato a BIA
8. Promozione e diffusione di
mezzi di trasporto pubblico a BIA
Dal quadro complessivo (anno
2004) delle misure attuate nell’ambito della mobilità sostenibile a
livello nazionale – suddivise per le
12 tipologie individuate – emerge
che le iniziative più adottate dalle
regioni (16%) sono risultate quelle
a favore della mobilità alternativa,
seguite dai provvedimenti di promozione e diffusione di mezzi di
trasporto privato a basso impatto
ambientale (15%) e da quelli di
limitazione del traffico e di promozione e diffusione di mezzi di trasporto pubblico a BIA (14%).
La figura 4 mostra la ripartizione
delle misure di mobilità sostenibile
Legenda
Numero di misure adottate
25
Regolamentazione della distribuzione
delle merci
Redazione del piano urbano
della mobilità
20
Redazione del piano urbano del traffico
(PUT)
15
Realizzazione di sistemi telematici
di supporto per la mobilità sostenibile
Promozione e diffusione di mezzi
di trasporto pubblico a BIA
10
Promozione e diffusione di mezzi
di trasporto privato a BIA
Promozione e diffusione di mezzi
di trasporto merci a BIA
5
Misure di carattere strutturale
per la mobilità
Fig. 4 Misure di risanamento nell’ambito della mobilità sostenibile per regione
Puglia
Campania
Abruzzo
Lazio
Marche
Umbria
Toscana
Emilia Romagna
Liguria
Friuli Venezia Giulia
Veneto
Provincia di Trento
Provincia di Bolzano
Piemonte
Lombardia
0
Limitazione del traffico
Interventi a favore della mobilità
alternativa
Incentivi per l’utilizzo del TPL
Bollino blu
Concludendo dall’analisi delle
misure di risanamento, che le autorità locali competenti hanno individuato per il 2004, è emerso che la
maggior parte degli interventi
riportati nei questionari riguarda il
settore Trasporti (54%); il livello
amministrativo a cui è possibile
ricondurli è in genere di tipo regionale (47%); inoltre, la scala temporale di riduzione degli inquinanti,
prevista in seguito all’adozione di
tali misure è da ricondursi, soprattutto (35%), a una combinazione
dei tre parametri “breve - medio lungo termine”. Analizzando in
particolare i provvedimenti che
promuovono la mobilità sostenibile, le iniziative più adottate dalle
regioni (16%) sono risultate quelle
a favore della mobilità alternativa
(car sharing, car pooling, taxi collettivo, servizi a chiamata, ciclomobilità), seguite dai provvedimenti di
promozione e diffusione di trasporto privato a basso impatto
ambientale. In questo caso l’Emilia-Romagna, si è dimostrata, la
regione più sensibile a tali interventi, seguita dalla Lombardia.
Patrizia Bonanni
Maria Carmela Cusano
Roberto Daffinà
Cristina Sarti
Settore Piani di risanamento
e impatti, Apat
NOTE
1 Direttiva 1996/62/CE del Consiglio
del 27 settembre 1996 in materia di
valutazione e di gestione della qualità
dell'aria ambiente - Gazzetta ufficiale
L 296 del 21/11/1996
2 Attuazione della direttiva 96/62/CE
in materia di valutazione e di gestione
della qualità dell'aria ambiente - G.U.
13 Ottobre 1999, n.241
3 VL + MDT: valore limite di concentrazione di inquinante aumentato del
margine di tolleranza
4 Con l’espressione mobilità sostenibile si intende “un sistema di trasporto e
movimentazione di merci e persone che sia
capace di assicurare a ciascuno l'esercizio
del proprio diritto alla mobilità e che tenga
conto degli aspetti economici e sociali, del
consumo delle risorse e dell’impatto sull’ambiente”.
5 Esempi di interventi a favore della
mobilità alternativa: iniziative per la
ciclomobilità, sistemi di trasporto collettivo, car sharing, car pooling, servizi
a chiamata, taxi collettivo.
47
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Accordo di programma 2006-2009,
oltre gli interventi di breve termine
48
L’Accordo di programma sulla
qualità dell’aria per il triennio
2006-2009 – il cui aggiornamento
2007-2008 è stato sottoscritto il
31 luglio 2007 – costituisce il proseguimento di un percorso
avviato dal sistema Regione-Enti
locali fin dal 2002 e che si esaurirà, presumibilmente, alla fine
del 2009.
Gli Accordi di programma, sottoforma di strumenti volontari,
nascono dall’esigenza di dare
concreta attuazione all’art. 7 del
Dlgs 351/99 (Piani d’azione), in
attesa della definizione dei Piani
provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria (art.
8) che, proprio in questi giorni,
hanno completato il processo di
approvazione. Si fa riferimento,
in particolare, ai commi 2 e 3 in
cui si prevede “l’adozione di
misure da attuare nel breve periodo,
affinché sia ridotto il rischio di superamento dei valori limite e delle
soglie di allarme e, se del caso, prevedere misure di controllo e di
sospensione delle attività, ivi compreso il traffico veicolare”.
In verità lo strumento messo in
campo dalla Regione EmiliaRomagna, in accordo con gli Enti
locali, è molto più di un piano
d’azione vero e proprio, avendo
stanziato anche cospicue risorse
per interventi strutturali di medio e
lungo periodo, che hanno, successivamente, trovato coerenza e
sinergia con quelli previsti nei
piani provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria.
Infatti, nel triennio 2003- 2005 la
Regione Emilia-Romagna ha
stanziato risorse proprie per oltre
94 milioni di euro per la realizzazione di oltre 215,5 milioni di
euro di investimenti.
Gli Accordi più recenti infatti
sono stati redatti anche sulla base
delle linee indicate dalla Commissione europea in tema di
ambiente urbano, sintetizzati
nella Comunicazione Verso una
strategia tematica sull'ambiente
urbano. In tale Comunicazione si
afferma che l'ambiente urbano
costituisce una priorità le cui
strategie di intervento vanno
integrate con tutte le altre azioni
che riguardano, più in generale,
l’intero territorio regionale. I settori prioritari nei quali è possibile
ottenere i progressi più significativi sono rappresentati da:
• trasporto urbano sostenibile e
logistica urbana
• edilizia sostenibile ed energia
• produzione sostenibile.
Sul primo
punto, anche il
recente Accordo, sottoscritto il
31/07/2007, ha confermato e
implementato importanti iniziative alcune delle quali vengono
di seguito elencate:
1. il consolidamento del controllo
annuale dei gas di scarico (bollino blu) dei veicoli dei cittadini
regionali
2. la promozione e il sostegno
all’uso del Trasporto pubblico
locale (TPL), in coerenza con l’
Atto di indirizzo triennale 20072009 in materia di programmazione e amministrazione del trasporto
pubblico
regionale,
mediante:
a) un aumento del 20% dei servizi ferroviari e un incremento
delle risorse per il TPL di
almeno il 5% da raggiungere nel
triennio
b) il potenziamento e ammodernamento dei veicoli del Trasporto pubblico, anche mediante
la riqualificazione del parco esistente, per il miglioramento dell’accessibilità e l’utilizzazione di
mezzi a basso impatto ambientale
FOTO: WWW.SFM.PROVINCIA.BOLOGNA.IT
L’Accordo di programma sulla qualità dell’aria per il triennio 2006-2009 prosegue un percorso avviato dalla
Regione Emilia-Romagna e dagli enti locali fin dal 2002. Oltre alle azioni a breve termine è previsto lo
stanziamento di cospicue risorse per interventi strutturali di medio e lungo periodo nei settori prioritari: trasporto
urbano sostenibile e logistica urbana, edilizia sostenibile ed energia, produzione sostenibile. Per il raggiungimento
degli obiettivi fissati dalla Ue è necessaria un’azione concertata tra tutte le Regioni coinvolte. L’Accordo stipulato
tra tutte le Regioni padane e le Province autonome di Trento e Bolzano è un passo importante in questa direzione.
c) la realizzazione di infrastrutture che favoriscano l'uso del
mezzo pubblico, come le corsie
riservate e controllate, i sistemi
di preferenziamento semaforico
e di gestione delle flotte del Trasporto pubblico.
3. interventi negli ambiti territoriali interessati con misure, finalizzate:
- al governo degli accessi e dei
percorsi, per regolare nel modo
migliore l’uso delle infrastrutture
viarie, mediante definizione di
finestre orarie, realizzazione e
riserva di corsie e piazzole dedicate, definizione di percorsi ottimizzati da consigliare o imporre a
determinate categorie di veicoli
- alla riduzione delle emissioni
prodotte dai veicoli commerciali,
mediante azioni di stimolo alla
sostituzione o alla trasformazione
del parco mezzi, verso veicoli a
basso impatto.
Sul versante dell’edilizia sostenibile e del risparmio energetico si
richiama:
a) il miglioramento del rendimento energetico in campo residenziale anche proseguendo la
campagna “calore pulito” avviata
dalla Regione per il controllo
degli impianti di riscaldamento
domestico
b) l’introduzione nei regolamenti
edilizi comunali, di rigorosi standard di prestazione di rendimento energetico
c) la previsione per i nuovi insediamenti abitativi, accanto alle
tradizionali opere di urbanizzazione, di nuove "reti energetiche"
per il teleriscaldamento e la
cogenerazione.
Queste sono solo alcune delle
azioni previste negli Accordi che
hanno trovato una maggiore
declinazione nei Piani provinciali
di tutela e risanamento della qualità dell’aria e in coerenza con la
pianificazione
sovraordinata
(Piano energetico regionale e
Piano regionale integrato dei trasporti).
Non va sottovalutato il fatto che
pur operando in settori prioritari,
anche attraverso una sinergia di
intervento dei vari Piani regionali
e provinciali, la problematicità
meteoclimatica
dell’intero
bacino padano non consente il
raggiungimento degli obiettivi
fissati dalla Ue senza un’azione
concertata e resa sistemica da
parte di tutte le Regioni del
bacino.
Da qui la stipula dell’Accordo tra
tutte le Regioni padane e le Pro-
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
vince autonome di Trento e Bolzano per sviluppare alcune tematiche di primario interesse quali:
a) condivisione dell’inventario
delle emissioni, con l’utilizzo del
modello INEMAR e in successione il confronto dei risultati
della modellazione mediante
l’ottimizzazione delle catene di
modelli, la valutazione di scenari
per piani/programmi
b) definizione dei contenuti dell’autorizzazione in via generale
per impianti termici civili da
adottare entro il 29 luglio 2007,
come disposto dall’art. 281, c. 3
del Dlgs 152/2006
c) definizione di standard emissivi
comuni per le sorgenti puntuali,
con particolare riferimento ai
grandi impianti tesi alla riduzione
delle emissioni di ossidi di azoto
d) definizione di una regolamentazione per l’utilizzo a fini energetici della “risorsa” legna da
ardere e biomassa
e) individuazioni di criteri comuni
sulla certificazione energetica
degli edifici a partire dalle esperienze già consolidate sui vari territori.
Il tavolo di bacino, inoltre,
intende formalizzare al Governo
la richiesta di avviare un tavolo di
concertazione per affrontare
organicamente il problema del-
l’inquinamento originato dal traffico autostradale sia nell’immediato, con misure di riduzione
della velocità massima, sia in prospettiva, con interventi fiscali sui
mezzi più inquinanti.
Sul versante delle azioni a breve
termine, anche sulla base della
positiva esperienza dell’Accordo
2006-2007, sono state confermate
le limitazioni dei veicoli Euro 0 e
diesel Euro 1 dal lunedì al
venerdì in tutto il semestre che
va da ottobre a marzo e la limitazione della circolazione il giovedì
nel periodo gennaio-marzo.
In particolare il blocco program-
Quadro della pianificazione regionale in materia di qualità dell’aria
Affidamento alle Province delle competenze in materia di qualità dell’aria.
La Regione mantiene il coordinamento e le linee di indirizzo in materia. Artt. 121 e 122 - LR 3 del 21/04/’99
“Valutazione preliminare della qualità dell’aria” a livello provinciale e “zonizzazione” del territorio di ogni Provincia
Accordo
di programma
sulla qualità dell’aria
“Per la gestione delle emergenze da PM10 e per il progressivo allineamento ai
valori fissati dalla UE al 2005
di cui al DM 02/04/2002, n.60”
Piano di azione
Nel periodo invernale.
1. Fermo auto inquinanti
2. Fermo scooter
inquinanti
3- Blocco totale del traffico programmato
almeno un giorno a
settimana
Azioni strutturali
per il risanamento
della qualità dell’aria
- Mobilità sostenibile e logistica della distribuzione
merci (11 linee di indirizzo)
- edilizia sostenibile e risparmio energetico
(6 linee di indirizzo)
- attività produttive e aziende
di servizi
(7 linee di indirizzo)
Definizione degli obiettivi
regionali di miglioramento e
individuazione degli scenari
tra cui quello di riduzione
minima degli inquinanti per
raggiungere gli obiettivi fissati
nella normativa
Accordo
di Bacino Padano
Le azioni già attuate o
in fase di sviluppo si
inseriscono tra quelle
dei piani di azione e
quelle strutturali
L’efficacia delle azioni
individuate nei piani
provinciali e di quelle
individuate in ambito
regionale, classificate
per macroaree, viene
valutata all’interno dell’intero bacino.
Avvio del processo di realizzazione dei piani provinciali
per il risanamento della qualità dell’aria da parte della
Regione
Nove piani provinciali
adottati
È stato seguito un percorso
che prevede il coinvolgimento della società civile e
la verifica da parte della
Regione degli obiettivi previsti
Le azioni individuate
- previste nelle linee di
indirizzo e negli accordi di
programma
- relative a specifiche criticità presenti nell’area
(es. comparto ceramiche,
petrolchimico e altro)
Scenari qualità aria
Scenario
di piano regionale
Costi
mato della circolazione il giovedì,
revocato solo in particolari situazioni meteo (neve ecc.) è risultato maggiormente incisivo, così
come confermato dalle analisi
statistiche effettuate da Arpa a
fine campagna, per cui si è ritenuto opportuno confermarne la
validità anche per la stagione
2007-2008. Inoltre, a partire dal 7
gennaio e fino a fine marzo, è
stata introdotta una ulteriore
limitazione della circolazione dal
lunedì al venerdì dei veicoli diesel Euro 2.
I sottoscrittori dell’Accordo
hanno voluto, infine, ribadire che
fino al termine di validità del
medesimo – e fino alla fine della
legislatura – non verranno introdotti ulteriori provvedimenti di
limitazione della circolazione.
Sul versante degli incentivi,
occorre ricordare che anche nel
bilancio 2008 saranno stanziati gli
ultimi 5 milioni di euro dei 15
previsti per le conversioni dei
veicoli a benzina, fino a Euro 3,
con metano e gpl, per raggiungere così l’obiettivo previsto di
oltre 30.000 trasformazioni.
Il processo di adeguamento della
rete di rilevamento della qualità
dell’aria, che vede un investimento regionale di 3 milioni di
euro, è in fase di avanzata attuazione così che, a partire dal 2008,
si potrà cominciare a monitorare
anche il PM2,5.
Occorre ricordare, in conclusione, che è in corso di perfezionamento
l’Accordo di programma tra ministero dell’Ambiente e Regione Emilia-Romagna, ai sensi del Dm 16/10/2006
Programma di finanziamenti per
le esigenze di tutela ambientale
connesse con il miglioramento
della qualità dell'aria e la riduzione di materiale particolato in
atmosfera nei centri urbani” che
prevede il cofinanaziamento da
parte del ministero dell’Ambiente di interventi previsti nei
Piani provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria,
per un importo di 15 milioni di
euro.
Sergio Garagnani
Regione Emilia-Romagna
49
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Arpa, l’attività di supporto alla Regione
per la gestione della qualità dell’aria
Parlare di qualità dell’aria oggigiorno significa sicuramente parlare di qualcosa di differente
rispetto a solo qualche anno fa: le
competenze, le conoscenze e gli
strumenti di valutazione sono sicuramente cambiati e migliorati,
come differente è l’inquinamento
che misuriamo.
Nel discorrere comune siamo
infatti sempre portati a considerare
l’inquinamento come un’entità
unica che soggiace sempre alle
medesime regole più che alla
somma di inquinanti che, oltre a
interagire tra di loro, rispondono a
leggi differenti. Questo porta inevitabilmente, per giungere alla
comprensione delle regole che
governano la sua produzione e diffusione, a valutare con attenzione
le caratteristiche chimico-fisiche e
le interazioni in atmosfera di ciascun inquinante.
L’elemento determinante che ci
consente di governare i fenomeni
che cerchiamo di contrastare è inevitabilmente il fattore di scala
inteso come la corretta comprensione dell’estensione del fenomeno e dell’entità delle azioni
necessarie per contrastarlo.
Gli inquinanti che oggi sono predominanti nell’aria che respiriamo
risultano avere grosse componenti
secondarie e quindi interagire su
ampie aree del territorio. Se la
maggior parte degli inquinanti primari risulta sotto controllo – grazie
al lavoro di riduzione delle emissioni, attuato con le varie politiche
per la qualità dell’aria adottate nel
corso degli anni – relativamente a
questa forma di inquinamento non
possiamo utilizzare l’ambito locale,
ma dobbiamo necessariamente
ragionare su aree di territorio che,
sostanzialmente, includono l’intero bacino padano.
I piani di risanamento della qualità
dell’aria sviluppati a livello locale
non possono che vedere il successo nella loro integrazione
mediante l’applicazione di azioni
comuni su scale più grandi come
quelle regionali o, nel caso della
pianura padana, di bacino.
Insediamenti di grossi impianti di
combustione – siano essi volti alla
produzione di energia o d’altro –
possono avere ripercussioni su
aree più vaste del territorio di
quelle semplicemente previste
nella loro insediazione.
Azioni con finalità differenti, se
non governate nella loro complessità, possono indurre risultati differenti. La combustione di biomasse
– sebbene produca effetti positivi
per la riduzione dell’anidride carbonica, come previsto dal protocollo di Kyoto – se non è completamente governata, imbocca una
strada sicuramente contraria alla
risoluzione del problema delle
emissioni di PM10, a causa dell’elevato fattore di emissione specifico dell’attività di combustione
della legna. Coerenza deve diventare la parola chiave di tutto il processo: coerenza spaziale, ovvero
azioni integrate su ampie aree di
territorio, e coerenza gerarchica delle
azioni previste come integrazione
dei vari gradi di responsabilità
necessari al governo del processo,
dal livello nazionale al comunale.
Servono nuovi strumenti tecnici
che ci consentano di capire e
governare una materia così complessa: questa è la sfida che Arpa
Emilia-Romagna si trova a dover
affrontare. Riuscire ad avere strumenti di valutazione efficaci per
l’individuazione e la valutazione
delle politiche necessarie al risanamento della qualità dell’aria è
ormai indispensabile.
Le attività di Arpa diventano,
quindi, fondamentali per cercare la
massima integrazione delle azioni
ai vari livelli e sulle differenti scale
su cui si articola il fenomeno.
Un’agenzia quindi non più esclusivamente impegnata nella misurazione dello stato – area in cui il
supporto continua comunque a
essere fondamentale, come testimonia il progetto di ristrutturazione della rete di misura regionale attualmente in corso – ma
anche in prima linea nella messa a
punto di strumenti di valutazione
delle proposte e delle azioni decisive per il risanamento dell’aria.
Arpa diventa sempre più importante nel supporto alle Province
nella definizione dei Piani di risanamento della qualità dell’aria, alla
Regione nella definizione del
Piano regionale derivante dall’intersezione dei nove piani provinciali, partecipando nel contempo
alle attività del Tavolo di bacino
padano, al Tavolo tecnico del
ministero dell’Ambiente sulla qualità dell’aria e collaborando con
Apat per individuare una lettura
del territorio nazionale, con l’obiettivo di creare scenari di risanamento congrui e integrati.
Le attività finora svolte hanno permesso ad Arpa, grazie alle competenze dei tecnici delle varie
Sezioni provinciali, di essere presente in ciascuna provincia e di
fornire il necessario supporto in
fase di realizzazione del quadro
conoscitivo sulla qualità dell’aria,
ma anche di mettere a punto strumenti di valutazione delle singole
azioni locali più significative. Sono
state sviluppate metodologie d’analisi per la stima del risparmio in
termini di “inquinanti non
emessi”, valutando sia i determinanti più significativi in ciascuna
area del territorio, sia gli effetti di
strutture di valenza sovra provin-
ciale quali le autostrade o gli
impianti di produzione di energia.
Nel contempo è stato attivato a
livello regionale un gruppo di
lavoro – formato dall’Eccellenza
Valutazione e gestione della qualità dell’aria, dall’Area Modellistica
ambientale del Servizio IdroMeteo, che ha messo a punto la
modellistica regionale per la qualità dell’aria, e dall’Area Atmosfera
e rumore di Ingegneria ambientale, che si occupa degli inventari
regionali delle emissioni in atmosfera – per mettere a punto un’analisi integrata dei piani di risanamento provinciali. Questo contributo è stato ritenuto necessario
per elaborare un piano regionale
delle azioni previste per il risanamento della qualità dell’aria che
illustrasse, oltre che i finanziamenti necessari alla realizzazione
delle attività, anche una stima dei
benefici ottenibili.
Lo sviluppo tecnico raggiunto ha
posto Arpa Emilia-Romagna tra le
più avanzate realtà nel campo
della valutazione e stima degli scenari sulla qualità dell’aria, al punto
da essere individuata come capofila nell’ambito dei progetti interagenziali di Apat per la parte di
modellazione della qualità dell’aria nell’area del nord Italia.
La competenza sviluppata si è
t
50
FOTO ARCH. ARPA EMILIA-ROMAGNA
Le conoscenze e gli strumenti di valutazione della qualità dell'aria sono migliorati sensibilmente nel giro di pochi anni.
Questo ha portato alla necessità di valutare un elemento essenziale per la comprensione dell'inquinamento: l'ampiezza
di scala dei fenomeni osservati. Gli inquinanti predominanti nell’aria che respiriamo risultano avere significative
quantità di componenti secondarie che ci obbligano a ragionare considerando l’intero bacino padano. Servono nuovi
strumenti tecnici per capire e governare una materia così complessa: questa è la sfida che Arpa Emilia-Romagna sta
affrontando. Fornire uno strumento unico di analisi della matrice che comprenda i modelli, gli inventari e le azioni è
l’obiettivo di un progetto presentato di recente al ministero dell’Ambiente.
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
La rete regionale di monitoraggio
verso la configurazione definitiva
degli interventi di tutela, risanamento e miglioramento della qualità dell’aria.
Perseguendo quindi tali obiettivi
e nel contempo volendo fornire ai
cittadini il massimo delle informazioni possibili in materia, la
Regione Emilia-Romagna, in
accordo con i Comuni e le Province del territorio, e con il supporto tecnico di Arpa, ha predisposto quella che sarà la nuova
rete di monitoraggio della qualità
dell’aria per gli anni futuri.
L’evoluzione necessaria è stata
progettata individuando i punti di
misura più significativi all’interno
delle stazioni esistenti sul territorio e individuando nuovi siti ad
hoc che consentano una lettura
uniforme dell’inquinamento dell’aria sul territorio sia per la protezione della salute, sia per la protezione degli ecosistemi naturali.
Questo è stato possibile grazie alla
consapevolezza maturata, anche a
livello normativo, che un approccio troppo localistico al problema –
e nel nostro caso prioritariamente
provinciale e comunale – crea reti
con punti di misura ridondanti e
poco distribuiti sul territorio. Ciò
determina maggiori costi operativi
e valutazioni non omogenee sul
territorio. La rete deve essere rappresentativa delle singole realtà,
che devono poter essere confrontate e lette sull’intero territorio;
non può essere la semplice somma
di stazioni comunali e provinciali,
ma deve essere una rete omogenea e integrata.
t
(segue a pag. successiva)
quindi dimostrata utile anche per
supportare la Regione EmiliaRomagna nel Tavolo tecnico del
bacino padano sulla qualità dell’aria. Il Tavolo, creato a supporto
dell’accordo siglato agli inizi del
2007, ha definito una serie di attività – quali l’individuazione di
modalità di autorizzazione comparabili, relativamente a determinati
impianti produttivi – e la valutazione di una serie di azioni di risanamento della qualità dell’aria,
definite in modo comune, in cui
Arpa Emilia-Romagna ha potuto
garantire la competenza e la capacità di elaborare strumenti che,
oltre che essere significativi dal
punto di vista tecnico, hanno permesso d’individuare alcune indicazioni sull’entità degli interventi da
porre in atto fruibili a tutte le scale.
Le attività di Arpa a supporto della
Regione proseguono anche nella
definizione di un progetto di
bilancio ambientale degli Accordi
di programma sulla qualità dell’aria siglati tra Regione, Province,
Comuni capoluogo e con più di
50.000 abitanti.
La novità è costituita dalla consapevolezza di quanto sia fondamentale il processo di rendicontazione,
cioè la capacità di verificare se le
azioni messe in atto abbiano
migliorato l’ambiente, e di misurare tali eventuali miglioramenti.
La “rendicontazione ambientale”
è applicabile anche a piani e programmi di attività e, insieme alla
conoscenza dei dati e all’applicazione modellistica per la costruzione di scenari, costituisce un formidabile strumento di controllo
dell’efficacia delle azioni proposte.
Tali strumenti diventano assolutamente necessari in un contesto
pubblico caratterizzato da limitate
risorse da investire, nel quale dunque è necessario scegliere – fra
tutte le attività possibili – quelle in
grado di fornire i risultati più significativi di miglioramento ambientale.
Il ruolo svolto da Arpa è essenziale, in questa prospettiva di focalizzazione su metodi, dati e scenari, e l’Agenzia potrà svolgere con
sempre più efficacia il proprio
ruolo di supporto per consentire ai
decisori politici scelte sempre più
coerenti con i criteri della sostenibilità.
In conclusione, la sfida più complessa al momento progettata è
quella di mettere a regime, in un
contesto fruibile e integrato, tutte
le attività finora realizzate su
modelli, inventari, azioni, in modo
da fornire uno strumento unico di
analisi della matrice che consenta
un utilizzo dello schema DPSIR
(Determinanti, Pressioni, Stato,
Impatti, Risposte) non tanto a
scopo esclusivamente accademico,
quanto operativo e incisivo nell’in-
51
dividuazione di politiche che consentano a tutti i cittadini di vivere
meglio, in un territorio in cui l’attenzione per la qualità dell’aria
non sia limitata al dato misurato,
ma si sposti sempre più sugli interventi da realizzare e sulla loro efficacia.
Questo, in sostanza, il contenuto
di un progetto integrato messo a
punto da Arpa recentemente presentato dalla Regione EmiliaRomagna al ministero dell’Ambiente, ai sensi del decreto ministeriale del 16/10/2006 “Programma di finanziamenti per le esigenze di tutela ambientale connesse al
miglioramento della qualità dell'aria
e alla riduzione delle emissioni di
materiale particolato in atmosfera nei
centri urbani”.
Eriberto de’ Munari
Arpa Emilia-Romagna
t
L’evoluzione degli strumenti atti
a monitorare lo stato dell’ambiente ha seguito un percorso
parallelo al mutamento delle
caratteristiche dell’inquinamento
atmosferico e della normativa a
esso associata (tabella 1).
Punti chiave dell’attuale impianto
normativo sono:
• la suddivisione del territorio regionale in Zone, aree omogenee per
caratteristiche di qualità dell’aria
• la valutazione della qualità dell’aria, intesa come un processo che –
attraverso metodologie di misura,
calcolo e stima – è in grado di stimare il livello di un inquinante
nell’aria ambiente
• la gestione della qualità dell’aria,
l’insieme delle azioni intraprese
alle diverse scale istituzionali
finalizzate ad affrontare in modo
sistematico e dinamico la programmazione e la pianificazione
FOTO ARCH. ARPA EMILIA-ROMAGNA
Definito lo schema di configurazione definitiva della rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria, il 29
maggio è stato firmato il contratto per la realizzazione della prima fase di ristrutturazione, che corrisponde a un
finanziamento di 1.549.000 euro; rispetto al progetto originale, resta invariato il numero delle stazioni di misura
(63). I 207 analizzatori previsti sono individuati secondo criteri volti a ottenere informazioni più rappresentative
di realtà territoriali omogenee e meglio confrontabili.
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Tab. 1 - Sintesi dell’evoluzione degli strumenti di monitoraggio, della conoscenza
sulle caratteristiche dell’inquinamento atmosferico e della normativa associata
Periodo
Normativa
Monitoraggio
Prodotto dai grandi
impianti industriali
e in particolare dai
grandi impianti di
combustione e
dalle raffinerie,
PTS, SO2
Legge 615/1966, la cosiddetta legge
antismog e successivo decreto di
attuazione Dpr 322/1971.
L’esigenza primaria era
il controllo del rispetto
dei limiti dell’inquinamento prodotto dal singolo impianto in determinate aree del territorio nazionale
Fine anni 70-80
PTS, SO2, CO
Dpcm del 28 marzo 1983: concetto di
SQA, non limiti dovuti al contributo
del singolo impianto, ma limiti e
valori guida derivanti dal contributo
globale delle diverse sorgenti, validi
su tutto il territorio nazionale.
Nascita delle prime reti
locali
Anni 90
miglioramento della qualità
dei combustibili e, limitazioni alle emissioni,crescita
incontrollata del numero di
veicoli circolanti
PTS, NO2, CO, O3,
microinquinanti
Nascita del ministero dell’Ambiente
nel 1986: Dpcm 1991 + numero
incontrollato di decreti e ordinanze
ministeriali
Creazione di tutte le reti
provinciali in regione
Fine anni 90 a oggi
NO2, PM10, PM2,5,
O3, IPA, metalli
pesanti
Anni 60-70
52
Inquinamento
Non solo, rispetto alla configurazione attuale – in cui sono sostanzialmente analizzate esclusivamente le criticità dei sistemi
urbani più grandi, tipicamente i
capoluoghi di provincia – si è passati a misure più diffuse per ottenere informazioni anche sulle
Zone A e Zone B del territorio.
Nella progettazione del nuovo
assetto regionale è prevista una
configurazione di base, che vede
una struttura della rete analoga
per ciascuna provincia rispondente alle precise necessità del
territorio indagato; a tal fine sono
state individuate almeno 3 stazioni (Fondo urbano, Fondo residenziale e Traffico) per ciascun
Agglomerato, almeno 2 stazioni
(Fondo suburbano e Fondo
rurale) per le Zone A e almeno
una stazione di Fondo remoto
ogni due province, situate nelle
aree appenniniche o nelle aree
verdi del delta del Po.
Dalla prima ipotesi si è proceduto
a un ulteriore adattamento della
rete mediante confronti a livello
provinciale e comunale che hanno
portato alla configurazione definitiva proposta.
Il 29 maggio 2007 è stato firmato il
contratto per la realizzazione della
prima fase relativa alla ristrutturazione della rete regionale di moni-
Zonizzazione del territorio, redazione di un progetto regionale per la
costituzione di un
sistema integrato di
monitoraggio
Dlgs 351/1999
Dm 60/2002
Dlgs 183/2004
richieste per le centraline (si va dai
parchi naturali ai centri storici).
Nonostante il forte impegno
finanziario
sostenuto
della
Regione per l’attuazione di tale
progetto, una fonte importante di
preoccupazione risulta essere
l’anzianità strumentale della rete
regionale. Il processo di gestione
della rete attualmente in essere
non ha mai visto infatti attivare
processi di revamping e aggiornamento della strumentazione presente, se non in caso di rotture
manifeste e palesi degli strumenti. Questo ha portato nel
tempo sostanzialmente a un
aumento delle stazioni presenti,
ma non a un rinnovo delle esistenti cosicché attualmente sulla
toraggio della qualità dell’aria,
corrispondente a un finanziamento di 1.549.000 euro; per la
seconda fase (fondi previsti pari a
2.032.400 euro) in accordo con la
Regione, si è ipotizzato un avvio
nel 2008, al termine della realizzazione della prima tranche, che
dovrebbe attuarsi entro il
31.12.2007 o al più tardi nel primo
trimestre 2008.
La principale criticità riscontrata in
questa prima fase è stata l’allungamento dei tempi e le differenti
modalità nell’espletamento delle
procedure autorizzatorie da parte
dei soggetti istituzionali; sono
infatti diverse le procedure adottate dai Comuni, anche in funzione delle differenti collocazioni
rete sono attualmente presenti
circa l’80% di strumenti con più di
10 anni di funzionamento e ciò si
ripercuote sulla frequenza della
manutenzione e conseguentemente sulla percentuale di dati
validi. Si è così giunti alla conclusione di rivedere l’assetto strumentale delle stazioni giungendo
alla proposta seguente (v. anche
tabella 2), valutando costantemente varie economie di scala e
considerando che inquinanti
come monossido di carbonio e
biossido di zolfo sono talmente
diminuiti da rasentare la non rilevabilità da parte degli strumenti:
• misura del monossido di carbonio
e del benzene solo nelle stazioni
Traffico della rete: 1 per ciascun
Agglomerato + Bologna Zona A
(14 stazioni contro le 38 del progetto originario)
• mantenimento della misura di
biossido di zolfo su tutti i mezzi
mobili e in due siti significativi per
ciascuna delle Zone di Ravenna e
Ferrara (4 stazioni fisse contro le
14 del progetto originario)
• misure di PM10 relativamente
alle stazioni Fondo rurale esclusivamente nelle stazioni della Zona
A relative a Parma-Badia Torrechiara, Bologna-S. Pietro Capofiume, Ferrara - Iolanda di Savoia,
Forlì-Cesena-Santa Sofia (4 stazioni contro 9 previste)
• misura di PM10 orario nelle stazioni di S. Pietro Capofiume e
Iolanda di Savoia, a soli fini
modellistici
• misure di PM2,5 in tutte le stazioni Fondo rurale e Fondo
urbano (nessuna variazione di
progetto)
Carla Nizzoli
Arpa Emilia-Romagna
Tab. 2 - Ipotesi di configurazione definitiva della rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria in
Emilia-Romagna
Provincia
Stazioni
Pm10
Pm2.5
NOx
CO
BTX
SO2
O3
Piacenza
6
4
2
6
1
1
-
4
18
Parma
5
4
2
5
1
1
-
3
16
Reggio Emilia
7
5
2
7
2
2
-
4
22
Modena
9
7
4
9
2
2
-
5
29
Bologna
11
10
4
11
3
3
-
6
37
Forlì-Cesena
6
5
2
6
1
1
-
4
19
Ferrara
6
5
3
6
1
1
2
4
22
Ravenna
7
6
3
7
2
2
2
4
26
Rimini
6
4
2
6
1
1
-
4
18
Totale
63
50
24
63
14
14
4
38
207
Totale
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Gli scenari futuri, quali obiettivi minimi di riduzione?
Quali azioni sono necessarie per raggiungere il rispetto degli standard di qualità dell’aria in Emilia-Romagna?
Per rispondere a questa domanda sono stati analizzati gli impatti sull’inquinamento atmosferico di 4 scenari di
riduzione delle emissioni simulati utilizzando il sistema modellistico Ninfa (network dell´Italia del Nord per
previsioni di smog fotochimico e aerosol), gestito da Arpa Emilia-Romagna. L’azzeramento ipotetico di tutte le
emissioni in regione porterebbe a una riduzione della media annuale del PM10 del 40-50% nella zona centrale
della regione, mentre in prossimità dei confini, a causa del trasporto di inquinanti dalle regioni vicine, la riduzione
sarebbe compresa tra il 20% e 30%.
ritorio regionale possono ottenere risultati significativi.
Scenari emissivi realistici sono
stati costruiti sulla base delle
indicazioni fornite nell’ambito
del programma Clean Air For
Europe dell’Ue.
Lo scenario CLE2010 – nell’ipotesi di un’applicazione rigorosa di
tutte le norme che si presumono
essere in vigore al 2010 – prevede riduzioni delle emissioni
del 30%-40%. Se applicate su
tutto il Nord Italia, consentirebbero di ottenere il rispetto dei
limiti di qualità dell’aria (QA) per
NO2 e PM10 in quasi in tutta l’Emilia-Romagna, mentre l’ozono
continuerà ad avere un numero
di superamenti ampiamente oltre
il valore obiettivo per la protezione della salute. Tuttavia in
questo scenario si otterrebbe il
rispetto dei limiti di QA con uno
scarso margine di sicurezza: le
zone immediatamente a nord
dell’Emilia-Romagna e parte
della provincia di Piacenza verrebbero a trovarsi in condizioni
ancora critiche.
Lo scenario CLE2020, relativo a
un orizzonte temporale più
lungo, prevede riduzioni delle
Fig. 2 Rispetto dei limiti di legge sulla media giornaliera del PM10 in alcune città
ed in località rurali nello scenario base, CLE2010 e CLE2020. Le stime tengono
conto del bias del modello.
PM10, Long 4 UB, apr 2003 - mar 2004
Number of days with daily average exceeding 50 µg/m3
53
5160
5130
5100
5070
5040
5010
4980
4950
4920
4890
4860
4830
4800
300
360
420
5
480
10
540
20
35
600
50
660
65
720
80
780
840
95
Fig. 1 Rispetto dei limiti di legge sulla media giornaliera del PM10 caso base. La
linea rossa delimita le aree in cui i limiti non sono rispettati. Le stime tengono conto
del bias del modello.
emissioni del 50%-60%. In questo caso si otterrebbe il rispetto
dei limiti di QA in tutto il territorio regionale, con un buon margine di sicurezza, per tutti gli
inquinanti, a esclusione dell’ozono, che presenterebbe comunque riduzioni apprezzabili. Solamente alcuni grandi agglomerati
urbani a nord del Po resterebbero
prossimi al limite relativo alla
media giornaliera di PM10.
Infine è stato definito uno scenario (EMR1) risultante dall’adozione di ulteriori azioni, rispetto
al CLE2010, nel solo territorio
dell’Emilia-Romagna, tecnicamente fattibili, ma molto impegnative dal punto di vista dell’attuazione pratica quali:
Fig. 3 Rispetto dei limiti di legge sulla media giornaliera del PM10 nei capoluoghi
dell’Emilia - Romagna, nello scenario base ed EMR1 Le stime tengono conto del
bias del modello.
(segue a pag. successiva)
t
Per stimare il massimo grado di
riduzione della concentrazione di
inquinanti ottenibile in EmiliaRomagna attraverso l’applicazione di misure limitate al solo
territorio regionale, è stato studiato uno scenario puramente
ipotetico (EmrZero) corrispondente all’azzeramento di tutte le
emissioni in regione. In questo
caso la riduzione della concentrazione della media annuale del
PM10 sarebbe approssimativamente del 40-50% nella zona
centrale della regione, mentre in
prossimità dei confini regionali, a
causa del trasporto di inquinanti
dalle regioni vicine, la riduzione
sarebbe compresa tra il 20% e
30%. Meno marcato invece l’impatto sulle concentrazioni di
ozono: il numero di superamenti
del livello di protezione della
salute subirebbe una riduzione
massima del 20%, rimanendo
ben al di sopra dei 25 superamenti consentiti. Ciò suggerisce
che per l’O3 occorrono politiche
a scala almeno di bacino padano,
mentre per NO2 e PM10 azioni
incisive di riduzione delle emissioni che interessino l’intero ter-
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
I fattori di pressione sulla qualità dell’aria,
le emissioni da traffico veicolare
L’Italia è il secondo Paese europeo per numero di autovetture per abitante e nelle aree urbane più dell’80 % degli spostamenti
avviene attraverso l’uso del mezzo privato. Il peso dei trasporti, in termini di consumi finali d’energia, è passato dal
16% del 1971 a valori superiori al 30% dal 2000 in poi. Un altro elemento di criticità è il progressivo incremento delle
auto di grossa cilindrata. Dal Bilancio ambientale dell’Accordo di programma alcune valutazioni sugli interventi di
mitigazione dell’inquinamento atmosferico in Emilia-Romagna.
viene soddisfatta attraverso l’uso
del mezzo privato (più dell’80 %
degli spostamenti).
Il peso dei trasporti in termini di
consumi finali di energia in Italia
è passato dal 16% del 1971 a
valori sempre superiori al 30%
dopo il 2000 e questo si riflette
anche nel suo rilevante contributo alle emissioni in atmosfera
dei diversi inquinanti.
Un'altra fonte di preoccupazione
è rappresentata dal progressivo
incremento della consistenza del
parco auto di grossa cilindrata,
caratterizzato da maggiori con-
Fig. 1 PM10, fattori di emissione medi delle autovetture
sumi ed emissioni e più elevato
ingombro rispetto alle auto di
cilindrata inferiore a 1400 cc.
In molte città del Nord Italia tra
il 2000 e il 2005 tale incremento
è stato superiore al 40%, mentre
le auto di cilindrata intermedia
sono cresciute da pochi punti
percentuali a più del 30%
(G.Cattani, L. Di Matteo in La
qualità dell’aria in Italia: dati, problemi, prospettive, Apat, 2006).
Il disaccoppiamento fra crescita
economica e incremento del traffico è diventato quindi un obiettivo ambizioso, ma irrinunciabile.
Sul fronte degli interventi risulta
essenziale integrare strategie
ambientali e politiche per il trasporto con spostamento di quote
significative di mobilità dal trasporto stradale al trasporto su
rotaia e dal trasporto privato al
trasporto collettivo. A questi
interventi si associano quelli relativi al miglioramento delle prestazioni ambientali del parco circolante con riduzione dei fattori
di emissione sia per gli inquinanti primari (cioè emessi direttamente), sia per i precursori
d’inquinanti secondari (che si
formano in atmosfera per reazione degli inquinanti primari)
- passaggio a Euro5 di tutto il
parco circolante, promozione e
sostegno del trasporto pubblico
urbano (azioni previste nell’ambito dell’accordo regionale sulla
qualità dell’aria) ed extraurbano
- completa trasformazione a
metano delle centrali esistenti e
nessuna nuova centrale
- interventi di riqualificazione
energetica degli edifici e riduzione dell’uso della legna per il
riscaldamento.
In questo caso, a fronte di una
riduzione delle emissioni nel ter-
Nel caso base risultano oltre il
limite tutti i capoluoghi dell’Emilia e anche diverse aree industriali (il distretto delle ceramiche di Sassuolo, i poli industriali
di Ferrara e Ravenna). In tutti gli
scenari le concentrazioni medie
annuali in regione sono inferiori
al limite.
La metodologia e l’analisi approfondita dei risultati sono descritti
nel rapporto tecnico “Individuazione degli obiettivi minimi di riduzione delle emissioni regionali per il
rispetto dei limiti di qualità dell’a-
PM10 - Fattori di emissione medi (autovetture)
Usura freni e pneumatici + abrasione
strade
Combustione
ritorio regionale del 40%-50%, si
otterrebbe un rispetto generalizzato dei limiti per il PM10, mentre rimane la possibilità che il
limite sulla media annuale di
NO2 sia superato in aree circoscritte in prossimità dei grandi
impianti industriali. Anche in
questo caso i valori obiettivo per
l’ozono non sarebbero rispettati.
Per completare il quadro è stato
esaminato anche il PM2.5, considerando la soglia di 25 µg/m3 per
la media annuale, come proposto
nella bozza di direttiva europea.
Considerato che il grado medio di
riempimento di un’autovettura è pari a
circa 1,2 persone (in auto viaggiamo
quasi sempre soli), per lo spostamento
di una persona del peso medio di 60-90
kg usiamo l’energia necessaria a
spostare un’automobile il cui peso va
da 0.8 a 2.5 tonnellate!
quali O3 e PM secondario e i gas
a effetto serra (CO2).
Va anche sottolineata l’importanza della sensibilizzazione e
della responsabilizzazione individuale: ogni singola azione che
porta alla riduzione delle emissioni è da ritenersi corretta. Tutti
i motori che utilizziamo sono
fonte di emissione, indipendentemente dal combustibile utilizzato (e una parte delle emissioni
di particolato deriva dall’usura
dei freni e dei pneumatici e dall’abrasione della strada: la componente definita non exhaust).
La Regione Emilia-Romagna –
ria per gli inquinanti ozono, biossido di azoto, PM10 nella regione
Emilia– Romagna” disponibile in
Arpaweb all’indirizzo:
http://www.arpa.emr.it/sim/,
sezione Qualità dell’aria, pagina
Scenari futuri di qualità dell’aria.
Marco Deserti
Michele Stortini
Giovanni Bonafé
Enrico Minguzzi
Arpa Emilia-Romagna
t
54
Nei paesi industrializzati il
sistema dei trasporti risulta strettamente legato allo sviluppo economico; all’incremento della
domanda di mobilità è corrisposto in generale un aumento del
numero di mezzi circolanti e
delle percorrenze con conseguente crescita dell’importanza
del settore dei trasporti come
fonte di inquinamento atmosferico. Attualmente l’Italia è il
secondo Paese europeo per
numero di autovetture per abitante e nelle aree urbane gran
parte della domanda di mobilità
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Autovetture diesel - caratterizzazione del PM
5,50 E+10
EuroIll DPF 6,71 E+10
7,90 E+13
EurollI
1,64E+14
<50 nm
Total PM
Euroll
7,60 E+13
2,12 E+14
8,50 E+13
Eurol
4,04 E+14
(n° particelle/km)
t
Fig. 2 Caratterizzazione del particolato emesso (autovetture diesel)
DPF= filtro anti particolato
attraverso gli accordi di programma sulla qualità dell’aria firmati a partire dal 2002 da
Regione, Province e Comuni
capoluogo e con più di 50.000
abitanti – ha previsto diversi
interventi rivolti alla riduzione
dell’impatto del settore dei trasporti.
Dal 2006 l’Accordo di Programma è stato accompagnato da
un importante strumento di rendicontazione, il Bilancio ambientale, che ha consentito di effettuare una valutazione quantitativa degli effetti di alcuni interventi per la riduzione delle emissioni da traffico.
Nell’ambito del Bilancio è stato
valutato, ad esempio, l’intervento di blocco della circolazione
privata nella giornata del giovedì
(Comune di Bologna). Sulle arterie cittadine, nelle fasce orarie di
validità del provvedimento, è
stata registrata una riduzione
media dei flussi di traffico pari a
circa il 40% e la stima delle emissioni “risparmiate” risulta di circa
50 kg/g di PM10, 610 kg/g di
NOx, 1190 kg/g di NMVOC.
Un altro intervento oggetto di
valutazione è stato quello relativo alla conversione dei veicoli
da benzina a Gpl/metano. La
conversione risulta avere un
effetto positivo nella riduzione
delle emissioni di composti organici volatili (che sono fra i precursori del PM secondario) e di
CO2, grazie al minor contenuto
di carbonio di Gpl e metano
Regione Emilia-Romagna
Emissioni % per categorie di veicoli e alimentazione
mc-pes-diesel
mc-pes-benzina
mc-legg-diesel
mc-legg-benzina
auto-metano
auto-GPL
auto-diesel
auto-benzina
Fig. 3 Emissioni per categoria di veicoli e alimentazione. Fonte Inventario regionale
delle emissioni in atmosfera, Regione Emilia-Romagna e Arpa, 2003.
rispetto alla benzina, mentre non
apportano miglioramenti rispetto
alle emissioni di PM10 primario e
NOx.
Per il PM10 le informazioni sui
fattori di emissione (FE) da combustione di veicoli a benzina convertiti a gas sono scarse. I pochi
dati sperimentali disponibili
(Grechi, 2006) mostrano come le
emissioni risultino dello stesso
ordine di grandezza dei veicoli a
benzina di partenza. In particolare le emissioni di PM10 dei veicoli Euro risultano in entrambi i
casi (benzina o gas) molto basse
e rappresentate prevalentemente
(98%) dalle emissioni da usura e
abrasione.
La sostituzione del parco diesel
con veicoli nuovi a gas risulta
invece efficace anche per la riduzione delle emissioni di PM10
primario e NOx.
Il trend in crescita del parco veicolare diesel (in Emilia-Romagna
dal 2000 al 2004 le autovetture
immatricolate alimentate a gasolio sono passate da circa 300.000 a
600.000 unità) rappresenta, da
questo punto di vista, un problema, in quanto i veicoli diesel
sono caratterizzati da fattori di
emissione mediamente più elevati per NOx e PM10.
In particolare per quest’ultimo
inquinante, come evidenziato in
figura 1, gli autoveicoli diesel
Euro 3 ed Euro 4 hanno FE medi
simili a quelli dei benzina pre
Euro, mentre i benzina Euro
hanno FE estremamente bassi e
composti quasi esclusivamente
dalla componente non exhaust.
Va detto che l’avanzare della tecnologia ha portato nei diesel una
forte riduzione del numero di
particelle emesse, in particolare
di quelle con diametro maggiore
di 50 nm (figura 2). Inoltre il filtro antiparticolato (FAP) riduce
in modo significativo le emissioni
di polveri, soprattutto quelli
montati di serie sulle autovetture
di nuova costruzione. Il peso
delle particelle emesse viene
ridotto di circa 42 volte, mentre il
numero di particelle di circa
10.000 volte. I sistemi di filtrazione installati su veicoli già in
circolazione presentano rendimenti inferiori (dal 30% al 60% e
oltre con riferimento alla massa
del particolato).
I fattori di emissione specifici e
le elevate percorrenze dei veicoli
alimentati a gasolio determinano,
secondo le elaborazioni condotte
nell’ambito dell’inventario regionale delle emissioni dell’EmiliaRomagna, la distribuzione delle
emissioni per tipologia di veicolo
riportate in figura 3, da cui si evidenzia come i mezzi alimentati a
gasolio abbiano un ruolo determinante nelle emissioni di PM10,
NOx e SOx.
Cristina Regazzi
Simonetta Tugnoli
Arpa Emilia-Romagna
55
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
I “veleni” dell’aria,
morbilità e mortalità allo studio
L’apparato respiratorio rappresenta la più importante interfaccia dell’uomo con l’ambiente e il polmone è bersaglio
privilegiato dei tossici atmosferici. Ogni giorno nelle nostre città respiriamo un aerosol composto da 0,7 a 1 gr di
“veleni” per m3 di aria inspirata; nelle 24 ore inaliamo mediamente da 7 a 12 gr di sostanze pericolose. Un bolognese
su 5 soffre di tosse persistente per circa tre mesi l’anno. La stretta correlazione tra aerocontaminanti, morbilità e
mortalità – sia per patologie respiratorie, sia cardiovascolari – è un fatto dimostrato da numerosi studi.
56
È noto come il polmone sia il
“bersaglio privilegiato” dell’inquinamento e una serie di episodi
ambientali – Valle della Mosa
(Belgio-1930), Londra ( Inghilterra-1952), Los Angeles (Usa1960), Indonesia, Malesia, Borneo, Filippine (settembre-ottobre
1997) – hanno messo in luce gli
effetti nocivi dei tossici atmosferici, stimolando la ricerca scientifica in questo campo.
È indubbio che i processi di industrializzazione, urbanizzazione e
soprattutto l’aumento del traffico
veicolare, abbiano alterato in
maniera progressiva e profonda
l’aria che si respira e la qualità
della nostra vita, soprattutto nelle
città.
I dati che emergono dai più
recenti studi epidemiologici relativi agli effetti nocivi degli inquinanti, concordano nell’esistenza
di una stretta correlazione tra
aerocontaminanti e morbilità e
mortalità, non solo per patologie
respiratorie, ma anche cardiovascolari.
INQUINANTI ATMOSFERICI
Il tipo e l’entità di effetto prodotto degli inquinanti atmosferici
sulla salute umana è multifatto-
riale e dipende dalla loro natura
chimica, dalla loro concentrazione, dalle condizioni climatiche,
e da fattori costituzionali. Gli
inquinanti più frequentemente
coinvolti nel causare i danni alla
salute dell’uomo, in particolar
modo all'apparato respiratorio
(ogni giorno inaliamo da 10 a
20.000 litri di aria) sono:
- anidride solforosa o biossido di
zolfo (S02)
- il particolato totale sospeso
(PTS): PM10 e PM2.5
- il biossido di azoto (NO2)
- l’ozono (O3)
Fino a qualche anno fa il ruolo
predominante nell'inquinamento
outdoor veniva svolto dalle particelle aerosolizzate di acido e dai
prodotti della combustione del
carbone. Attualmente prevalgono
gli inquinanti prodotti dal traffico
stradale, quelli fotochimici e l'ozono. Nelle aree urbane si possono distinguere due diversi tipi
di inquinamento:
• da smog di tipo invernale, caratterizzato prevalentemente da un
aumento dei livelli di SO2 e PTS;
• da smog di tipo estivo, caratterizzato soprattutto da un aumento
dei livelli di O3 e NO2.
Tab. 1 - Meccanismo di azione degli inquinanti atmosferici
1. Alterano la frequenza del battito ciliare aumentando il danno epiteliale e la permeabilità; questo comporta:
• Una ridotta clearance muco-ciliare.
• Una facilitazione per gli agenti irritanti aerodispersi di interagire
a livello mucosale con cellule infiammatorie attivate quali
mastociti, macrofagi, cellule dendritiche.
2. Riducono i livelli antiossidanti fisiologici quali la glutatione, che
rivestono particolare importanza nel mantenere l’integrità di membrana della cellula epiteliale.
3. Favoriscono il rilascio dalle cellule epiteliali di citochine proinfiammatorie e l’espressività di molecole di adesione cellulare che
mediano il danno tissutale prodotto dalla attivazione di cellule
infiammatorie quali eosinofili , mastociti e linfociti.
Molti altri inquinanti (metalli,
idrocarburi ecc.) possono poi
essere presenti e causare effetti a
lungo termine, tra questi, di particolare interesse è l’ossido di carbonio (CO) per i possibili effetti
sull’apparato cardiovascolare.
Il problema dell’inquinamento
ambientale, con il conseguente
rischio di danno respiratorio prevede il coinvolgimento non solo
di aerocontaminanti esterni ma
anche di agenti irritanti presenti
indoor e di molteplici sostanze
presenti in ambito lavorativo.
LE POLVERI
Tra i molteplici inquinanti che
interessano i centri urbani, una
particolare e crescente attenzione
viene rivolta alle cosiddette “polveri sottili”. Studi epidemiologici
condotti in numerose città americane ed europee, nel corso degli
ultimi 20 anni, documentano una
stretta relazione fra concentrazione ambientale di polveri sottili
e problematiche respiratorie.
Le polveri atmosferiche definite
come PTS (polveri totali sospese)
o PM (materiale particolato),
sono un’insieme molto eterogeneo di particelle solide o liquide
che, a causa delle ridotte dimensioni, restano in sospensione nell’aria. Il diametro delle particelle
può variare da 0.005 µm a un massimo di 100 µm. Si definiscono
PM10 quelle polveri con un diametro inferiore a 10 µ; queste
comprendono un sottogruppo
PM2.5 avente un diametro inferiore a 2.5 µ. Tanto più piccola è la
dimensione della particella, tanto
maggiore è la capacità di penetrare nei polmoni e produrre
effetti dannosi per la salute. Per
questo le PM10 e soprattutto le
PM2.5 presentano un interesse
sanitario superiore rispetto alle
PTS nel loro complesso. Le polveri PM10 sono dette anche “ina-
labili”, in quanto sono in grado di
giungere nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (nasolaringe).
Le polveri PM2.5 sono definite
“respirabili” in quanto sono in
grado di penetrare in profondità
fino agli alveoli. Una volta prodotte, le polveri PM10, possono
rimanere in sospensione nell’aria
fino a 12 ore, mentre le PM2.5
anche settimane e questo le rende
particolarmente insidiose.
Le sorgenti di PM10 nei centri
urbani, sono essenzialmente i veicoli con motore a combustione
interna, alcuni insediamenti produttivi e gli impianti di riscaldamento a gasolio.
Tra i motori attualmente in uso, il
motore diesel è il maggior responsabile della produzione di materiale particolato. Le auto con
motori diesel vengono generalmente pubblicizzate come “ecologiche”, dal momento che producono fino al 25% in meno di
CO2, che contribuisce in maniera
considerevole all’effetto serra.
Rispetto ai motori a benzina senza
piombo producono però da 10 a
100 volte più NO2, aldeidi e PM
respirabili.
EFFETTI SULLA SALUTE
L’apparato respiratorio rappresenta la più importante interfaccia
dell’uomo con l’ambiente, dunque è quello che maggiormente
risente dei fattori ambientali di
usura e invecchiamento (superficie respiratoria 60 m2 + albero
broncopolmonare 70 m2 =130 m2).
Ogni giorno nelle nostre città
siamo sottoposti a un aerosol di
agenti inquinanti da 0,7 a 1 gr di
“veleni” per m3 di aria inspirata,
nelle 24 ore inaliamo mediamente
da 7 a 12 gr di sostanze pericolose.
La quantità (concentrazione) di
particolato aereo disperso è l'indicatore di inquinamento atmosfe-
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Tab. 2 - Effetti principali dell’esposizione a inquinanti ambientali
sulle vie respiratorie
-
irritazione e infiammazione delle vie aeree intra ed extra toraciche
riduzione della funzione polmonare
riacutizzazioni asmatiche o bronchitiche in pazienti cronici
aumento delle infezioni delle vie aeree inferiori
aumento della frequenza di crisi asmatiche
aumento delle visite e dei ricoveri ospedalieri
aumento della mortalità
aumento della prevalenza di tumori polmonari
rico maggiormente associato agli
effetti dannosi per la salute.
Numerosi studi epidemiologici
condotti sia in Italia, sia a livello
internazionale ne hanno dimostrato gli effetti a breve (acuti) e a
lungo termine (cronici). Un
agente atmosferico viene considerato inquinante quando è in grado
di danneggiare una funzione dell’organismo umano, innescando
una catena di eventi che conducono a una alterazione funzionale.
Per il PM10, le conoscenze attuali
indicano che non esiste un valore
di concentrazione al di sotto del
quale non siano attesi effetti per
la salute; si tratta cioè di un inquinante caratterizzato da un andamento “dose-risposta senza
soglia”. In altre parole, gli effetti
nocivi aumentano per frequenza e
gravità con l'aumentare delle concentrazioni di polveri fini e non è
dimostrabile, comunque, un
livello di concentrazione al di
sotto del quale non si manifestino
effetti sulla salute.
Il meccanismo d’azione del particolato si svolge sia mediante una
compromissione della clearance
mucociliare, sia attraverso un’azione ossidante (tabella 1).
Le principali cellule coinvolte
nelle risposte proinfiammatorie
iniziali al particolato sono i macrofagi e le cellule epiteliali.
L’ipotesi centrale per l’induzione
dell’infiammazione da PM10 si
basa sull’induzione di uno stress
ossidativo causato dalle interazioni con gli ossidanti derivanti
dai metalli di transizione e l’ampia superfice del particolato ultrafine proveniente dalla combustione. Tuttavia possono avvenire
anche interazioni con altri componenti di PM10 soprattutto l’endotossina (costituente della parete
dei Gram-negativi, molto potenti
nel causare infiammazione). Il
PM10 può semplicemente provocare, soprattutto se associato al
fumo di sigaretta, disturbi di tipo
irritativo al sistema respiratorio.
Può però causare problemi di
salute più gravi in “persone particolarmente sensibili” quali bambini e anziani, nonché in sottogruppi di popolazione cosiddetti a
rischio (broncopneumopatici, cardiopatici, diabetici); ben documentata è l’associazione fra
aumento di PM10 e attacchi di
asma e BPCO.
I dati raccolti su numerosi inquinanti (monossido di carbonio,
biossido di azoto, ozono, benzene
e polveri sospese) sono stati
impiegati per misurare il trend
dell'inquinamento negli anni,
mentre la stima dell'impatto sulla
salute dei vari studi epidemiologici si è avvalsa delle concentrazioni di PM10, che viene utilizzato
come indicatore/tracciante affidabile per lo studio degli effetti sulla
salute dell'inquinamento atmosferico.
Va evidenziato come l'inquinamento funga non solo da fattore
scatenante in soggetti già affetti
da problematiche respiratorie, ma
favorisca la slatentizzazione, in
soggetti predisposti, di risposte
infiammatorie e ostruttive delle
vie aeree che non si sarebbero
espresse in un contesto ambientale diverso (tabella 2). Le evidenze che correlano gli effetti
negativi dell’inquinamento atmosferico sull’apparato respiratorio
sono sempre più numerose e
attendibili.
Gli studi attualmente disponibili
suggeriscono chiaramente che la
salute pubblica beneficia considerevolmente da una migliore qualità dell’aria. È fondamentale
quindi che, in questo contesto, i
professionisti della salute siano
coinvolti nei processi di “decisioni politiche” per supportare
attivamente provvedimenti mirati
a un miglioramento della qualità
dell’aria.
UN
BOLOGNESE SU CINQUE
SOFFRE DI TOSSE
Da un recente studio policentrico
condotto dall’Associazione italiana per lo studio della tosse
(Aist) è emerso come circa il 20%
della popolazione soffra di tosse
persistente (per almeno 3 mesi
all’anno), è singolare come una
buona percentuale di questi soggetti siano persone sane, non
fumatori, in attività lavorativa. La
percentuale sale al 30% se vengono considerate le forme
acute/occasionali di breve durata.
La ricerca (Studio Iceberg) condotta in collaborazione con l’Api
e il Cnr su un campione di circa
10.000 lavoratori della provincia di
Bologna ha fornito dati molto
interessanti che confermano il
costante aumento di sintomi e
malattie respiratorie.
Questi possono essere così sintetizzati:
- le donne rispetto agli uomini
1) hanno una percezione più
negativa del loro stato di salute
2) riferiscono una percentuale
maggiore di sintomi respiratori,
gastrici e fanno maggior uso di
farmaci
3) mostrano una prevalenza significativa di asma, rinite e sinusite.
- I valori di prevalenza di tosse
emersi dallo studio sono sostanzialmente simili nei due sessi e in
linea con quanto registrato in altre
indagini epidemiologiche.
- Chiara è l’associazione fra fumo
attivo e sintomatologia respiratoria (tosse, catarro e dispnea), così
come ha rilevanza statistica la
distribuzione della diagnosi di
bronchite cronica e BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) nel gruppo di fumatori.
- Un’importante quota di tosse
non è in rapporto ad alcuna patologia, si manifesta come un senso
di prurito, un vellichio alla gola e
viene scatenata da stimoli aspecifici climatico/ambientali quali:
nebbia, smog, odori intensi o sgradevoli, ambienti fumosi, ambienti
lavorativi insalubri, variazioni climatiche (caldo/freddo) oppure dal
ridere o dal parlare intensamente,
ma anche da sforzi fisici anche
modesti. Questo tipo di tosse è da
ricondurre a una “iper-attività
aspecifica” dei recettori delle alte
vie aeree: sono sempre più numerose le evidenze scientifiche che
indicano
nell’inquinamento
atmosferico una delle cause principali di questo fenomeno.
Alessandro Zanasi
Presidente Associazione italiana
per lo studio della tosse (Aist)
Azienda ospedaliera S. OrsolaMalpighi, Bologna
Tab. 3 - Prevalenza dei sintomi respiratori stratificati per sesso
Soggetti (n)
Tosse
cronica
occasionale
Maschi %
Femmine%
Tot % (505)
(242)
(261)
(503)
19,8
23,8
21,9
7,4
9,2
8,3
(211)
(227)
(438)
cronico
6,6
10,1
8,4
occasionale
3,8
1,3
2,5
(216)
(238)
(454)
14,4
19,7
17,2
Espettorato
Sibili
persistenti
occasionali
Attacchi
2,8
2,1
2,4
(241)
(264)
(505)
attuali
0,8
1,5
1,2
pregressi
7,1
11,4
9,3
Rinite
(237)
(254)
(491)
persistente
14,3
18,5
16,5
pregressa
2,5
3,1
2,9
Fonte: Studio Iceberg, condotto dall’Associazione italiana per lo studio della tosse, in
collaborazione con Cnr e Associazione piccole e medie imprese (Api)
57
Qualità dell’aria e salute
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Qualità dell’aria in ambiente confinato,
più regole e più controllo
In Europa, la popolazione impiega circa il 90% del proprio tempo in ambienti confinati o “indoor” e tra questi
l’abitacolo dell’auto. Tra gli inquinanti dell’aria indoor di maggiore interesse il particolato, le sostanze chimiche
che si liberano dai prodotti per la pulizia e dagli arredi, la componente biologica costituita da batteri, virus, acari,
allergeni. Arpa Emilia-Romagna sarà impegnata nel controllo delle condizioni ambientali all’interno di una scuola
media, nell’ambito di un progetto internazionale.
58
Gli aspetti fondamentali da
tenere in considerazione per
quanto riguarda la relazione tra
salute e qualità dell’aria in
ambienti confinati o “indoor”
sono due. Il primo è legato
all’importanza
dell’ambiente
indoor rispetto alla quantificazione dell’esposizione personale
agli inquinanti tipici dell’inquinamento outdoor. In questo contesto il discorso diventa molto
specifico in rapporto all’inquinante considerato. In generale è
però possibile dire che l’ambiente confinato è “protettivo”,
nel senso che è contrassegnato da
livelli di concentrazione inferiori
rispetto all’ambiente outdoor.
Esistono tuttavia una serie di
ambienti e di attività dove i contributi delle sorgenti indoor sono
significativi o addirittura preponderanti. È questo il caso del contributo dell’accensione di una
sigaretta che, in un ambiente di
piccole dimensioni, induce un
aumento immediato di concentrazione di PM10 e PM2,5 di circa
2 ordini di grandezza (fino a 5000
µg/m3 sia per il PM10 che per il
PM2,5). È questo anche il caso
dell’accensione di candele che
provoca un aumento del numero
di particelle ultrafini (quelle di
diametro inferiore a 0.1µm) pari a
6-7 volte al valore di fondo abituale. Sempre in questo contesto,
significativo ma non macroscopico come i due precedenti, è il
caso del contributo della cottura
dei cibi che comporta l’emissione
di ossidi di azoto e particolato.
Oggetto di attenzioni crescenti è
un ambiente confinato molto
particolare: l’automobile. Sulla
base di numerosi studi è infatti
ormai assodato che spesso all’interno dell’abitacolo si raggiungono concentrazioni elevate di
particelle ultrafini e altri inquinanti primari da traffico. Considerato che in media, nelle grandi
città europee, il tempo impiegato
in spostamenti è pari a circa 2 ore
al giorno (altre indagini riportano
valori inferiori, ma comunque
analoghi, per città di medio-piccole dimensioni), si può intuire
Progetto SEARCH
Che aria si respira a scuola?
Il ministero dell’Ambiente, in collaborazione con il REC (Regional
Environmental Center for Central and Eastern Europe), ha promosso uno studio internazionale chiamato SEARCH (School Environment And Respiratory health of CHildren) con lo scopo di valutare l’esposizione ai principali inquinanti atmosferici all’interno
degli edifici scolastici. Oggetto dell’indagine sarà un campione di
scuole in Albania, Austria, Bosnia-Erzegovina, Norvegia, Ungheria,
Italia, Serbia e Slovacchia. Arpa Emilia-Romagna è partner di questo progetto che a livello italiano prevede anche il coinvolgimento
delle Agenzie regionali di protezione ambientale di Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania e Sardegna.
Il progetto prevede il monitoraggio, oltre che della temperatura e
dell’umidità relativa, del biossido di azoto, della formaldeide, del
benzene, del toluene, dello xilene, del monossido di carbonio, e del
PM10. Al monitoraggio ambientale si affiancherà una valutazione
della condizione di salute dei bambini tramite questionari e prove
di funzionalità respiratoria.
l’importanza di questa particolare
tipologia di esposizione.
Il secondo aspetto da tenere in
considerazione è rappresentato
dall’esposizione agli inquinanti
tipici dell’ambiente indoor.
L’ambiente indoor contiene
infatti centinaia di agenti di
natura chimica e biologica potenzialmente irritanti e/o sensitivizzanti. L’inquinamento di origine
indoor è quindi complesso da
definire e da caratterizzare.
Quello di tipo chimico – per
esempio diversi composti organici e la formaldeide – origina da
prodotti utilizzati per le pulizie,
per la costruzione degli edifici o
degli arredi, dalle già citate attività di cottura e dal riscaldamento
degli ambienti. L’inquinamento
di natura biologica è invece associato al proliferare di batteri e
virus, muffe, acari e allergeni in
condizioni che ne favoriscono lo
sviluppo (sovraffollamento, alta
umidità, scarsa igiene, presenza
di moquettes, mobili imbottiti,
carte da parati ecc.).
Risulta quindi evidente quanto
la salvaguardia della salute pubblica, rispetto agli effetti dell’inquinamento atmosferico, si giochi in modo detrminante sull’analisi e gli interventi in qusto
ambito. Nel 2003 la Commissione europea ha adottato una
nuova strategia su ambiente e
salute in cui la qualità dell’aria
viene indicata come una delle
maggiori cause dei problemi
sanitari legati all’ambiente. Alla
definizione di questa strategia ha
fatto seguito un Piano d’azione
comunitario nel quale (azione 12)
il problema dell’inquinamento
indoor viene riconosciuto come
prioritario.
A causa del carattere privato
della maggior parte degli
ambienti confinati, risulta tuttavia evidente come, al riconoscimento dell’importanza della
tematica, non possano automaticamente fare seguito provvedimenti di fissazione di limiti di
concentrazioni o azioni di abbattimento delle stesse. Cionostante, la consapevolezza dell’importanza della salubrità dell’ambiente indoor sta portando a
una maggior regolamentazione
nell’uso dei materiali (sia per la
costruzione degli edifici, sia per
l’arredo) e del controllo delle
scuole e degli edifici pubblici.
A questo proposito, nell’ambito
di un progetto internazionale, la
struttura Epidemiologia ambientale di Arpa Emilia-Romagna,
con il supporto della Sezione di
Modena, sarà presto impegnata
nel controllo delle condizioni
ambientali in una scuola media
(vedi box).
Paolo Lauriola
Stefano Zauli
Arpa Emilia-Romagna
LA TESI
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Sviluppo urbano e competitività sostenibile,
l’esperienza di Rho
A due anni dall’inaugurazione del Nuovo polo fieristico di Rho, la tesi di laurea qui presentata è stata un’occasione
per analizzare se e in che misura le nuove pressioni sulla città si siano rivelate compatibili con le dimensioni sociale
e ambientale della sostenibilità.
L’esperienza della città di Rho, a
seguito dell’insediamento del
Nuovo polo fieristico (NPF) entro i
suoi confini, offre un esempio significativo di un percorso di sviluppo
urbano tracciato in corrispondenza
di una radicale trasformazione del
territorio: il recupero e la riqualificazione di vaste aree dismesse, l’arrivo
di funzioni rilevanti su scala territoriale, i flussi di nuove merci e di
nuove popolazioni. L’apertura del
polo esterno di Fieramilano ha rappresentato insomma un’occasione
per la ridefinizione di alcuni grandi
sistemi: industriale, infrastrutturale,
ambientale, culturale, commerciale,
della formazione professionale, del
mercato immobiliare; le strategie
che la città deciderà di assumere
rispetto a queste differenti dimensioni costituiscono gli scenari del
suo sviluppo futuro. La sfida per la
città di Rho – e, in generale, per
tutte le realtà urbane interessate da
trasformazioni territoriali di grande
portata – è quella di riuscire a governare tali trasformazioni in modo da
bilanciare gli obiettivi legati all’esclusiva massimizzazione del
ritorno economico con il perseguimento dei principi di uno sviluppo
più sostenibile.
Il concetto di sostenibilità è accolto
in questo caso nella sua accezione
più ampia e complessa, in virtù
della quale un percorso di sviluppo
viene definito sostenibile rispetto
alle dimensioni ambientale, economica e sociale (Fusco Girard e
Nijkamp, 2004).
Di fronte alla significatività della
realtà rhodense ci si è chiesti in che
modo il territorio urbano si stia
attrezzando in risposta al processo
di trasformazione perché esso
possa innescare un percorso di sviluppo effettivamente sostenibile.
A poco più di due anni di distanza
dall’inaugurazione del NPF, valutare la capacità di risposta di Rho
rispetto alle opportunità e minacce
veicolate dall’arrivo della Fiera ha
significato partire dall’analisi di
dinamiche ancora in corso di formazione: allo stato attuale molte
sono le variabili incognite rispetto
a cui giudicare se e in che misura le
nuove pressioni sulla città si siano
rivelate compatibili con una qualità
della vita sostenibile anche dal
punto di vista sociale e della qualità dell’ambiente. Per questo, è
apparso significativo affiancare alla
descrizione dello status quo tre possibili scenari di sviluppo urbano in
accordo con diverse ipotesi circa la
capacità degli attori locali e sovralocali di gestire il cambiamento:
• percorso equilibrato
• la Fiera come “cattedrale nel
deserto”
• competitività “a tutti i costi”
e, in seconda battuta, proporre un
modello di misurazione del livello
di sostenibilità dello sviluppo in
corso e di quelli delineati in corrispondenza di ogni scenario, per
evidenziare le variabili critiche da
monitorare.
Per il livello di sostenibilità si è
fatto riferimento a un modello pro-
Tab. 1 - Ipotesi del modello: peso relativo dei macroindicatori
e massimo punteggio teorico corrispondente
Macrocategorie
Peso
(%)
Ranking
# sottoindicatori
Massimo
punteggio
categoria
Massimo
punteggio
ponderato
Economia e lavoro
21.5
(2)
5
50
1075
Utilizzo delle risorse
17.5
(5)
5
50
875
Qualità urbana
e uso del suolo
18.9
(4)
5
50
945
Trasporti e mobilità
22.1
(1)
5
50
1105
Benefici per la
comunità
20.0
(3)
7
70
1400
Massimo punteggio
complessivo
conseguibile
100
27
250
5400
LO
SVILUPPO URBANO TRA COMPETITIVITÀ E SOSTENIBILITÀ:
L'ESPERIENZA DI RHO ALLA LUCE DEL NUOVO POLO FIERISTICO
Tesi di laurea anno accademico 2006/2007
Università commerciale Luigi Bocconi (Milano), Facoltà di economia
Corso di laurea in Economia e management delle amministrazioni
pubbliche e delle istituzioni internazionali
Autore: Giuliana Cirrincione
Relatore: Lanfranco Senn
Controrelatore: Marco Percoco
posto da Hemphill, Berry e
McGreal (“An indicator-based
approach to measuring sustainable
urban regeneration performance: conceptual foundations and methodological framework”, Urban Studies, Vol.
41, N. 4, 725-755, April 2004), in
cui la sostenibilità viene misurata
attraverso un set di indicatori
riconducibili a cinque macro-aree
tematiche:
- economia e lavoro
- utilizzo delle risorse
- qualità urbana e uso del suolo
- trasporti e mobilità
- benefici per la comunità locale.
Le ipotesi alla base dello schema
di misurazione – il peso attribuito
alle aree tematiche, il numero di
indicatori, il massimo punteggio
conseguibile da ciascuna macroclasse di indicatori (da 2 a 10 punti
per ogni singolo indicatore) sono
sintetizzate nella tabella 1. Il punteggio viene attribuito a ciascun
indicatore secondo criteri di volta
in volta specificamente individuati
da un panel di esperti attraverso
tecniche Delphi (o riadattati) e la
somma dei punteggi conseguiti per
ogni macrocategoria sintetizza con
un valore numerico la performance
registrata. Infine è stato necessario
esprimere il valore di sintesi come
percentuale del massimo punteggio teoricamente conseguibile e
confrontarlo con la seguente griglia
di valutazione (tabella 2).
Nel caso di Rho il percorso di sviluppo intrapreso è risultato sufficientemente sostenibile, con un punteggio
complessivo pari al 57% del massimo punteggio ottenibile. Anche
dal confronto con i risultati sintetici
dei tre scenari ipotizzati, emerge
una situazione attuale di sostenibi-
Tab. 2 - Griglia di valutazione
sintetica
Intervallo %
max punteggio
raggiungibile
(% di 5400)
Livello
di sostenibilità
< 40%
Basso
40 – 49%
Medio
50 – 59%
Medio-buono
60 – 69%
Buono
70 – 79%
Ottimo
> 80%
Eccellente
lità che si colloca quasi a metà strada
tra lo scenario più ottimistico (sviluppo equilibrato) e quello della competitività come obiettivo prioritario
a tutti i costi – a suggerire quanto
possa essere vicina, proprio in questo stadio iniziale di trasformazione
urbana, la deriva verso percorsi di
sviluppo meno sostenibili.
Questo caso di analisi suggerisce,
su un piano più generale, i presupposti indispensabili perchè le
nostre città siano in grado di perseguire una competitività davvero
sostenibile:
• l’assunzione – da parte di amministrazioni pubbliche locali e sovralocali, privati cittadini e operatori
economici – di un atteggiamento
proattivo e consapevole di fronte ai
vantaggi e alle minacce potenziali
che una certa scelta (o non scelta)
comporta sul percorso di sviluppo
di una città
• una maggiore centralità della
gestione ambientale, in grado di
promuovere modelli di produzione
e di consumo più puliti.
Giuliana Cirrincione
Greenmanagement.org
59
Il tempo e il clima
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
Luglio
60
Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam.
La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT
realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La
mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
assenti, con valori vicino alla
norma solo sulle Alpi nord occidentali.
25
25
25
25
Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata
SITUAZIONE
METEOROLOGICA
A GRANDE SCALA
La mappa del geopotenziale
medio nella figura in questa
pagina non riesce a mostrare il
doppio volto che questo mese ha
mostrato: durante la prima metà
delle giornate, infatti, ha visto la
predominanza di correnti nord
occidentali, fresche e asciutte, che
hanno mantenuto le temperature
su valori inferiori alla media. I
temporali sono stati poco frequenti anche sull’Italia settentrionale, salvo che sulle Alpi. A parte
sporadici episodi sul resto della
penisola, il Centro e il Sud sono
rimasti in pratica all’asciutto e non
solo durante i primi quindici
giorni. E questo perché la
seconda metà del mese ha visto la
rimonta dell’anticiclone subtropicale, con una persistente ondata
di caldo, che è stata meno accentuata al Nord, soprattutto nel suo
settore alpino. Al Sud, la fase più
acuta del caldo è stata rimarchevole, con temperature che hanno
superato i 40 gradi in molte zone.
Le punte più alte (45°), come già
era successo in giugno, si sono
avute in Puglia, probabilmente
perché più vicina all’Europa balcanico-danubiana, che ha registrato le anomalie più consistenti
a livello europeo. Giorno 30, un
fronte freddo irrompe con la Bora
sull’Adriatico, portando, oltre a
una diminuzione sensibile delle
temperature, anche alcuni temporali sulla riviera romagnola e
quindi sulle Marche. Le temperature medie mensili, nel complesso, non si sono discostate
molto dalla norma, con valori più
bassi sul lato tirrenico e più alti su
quello Adriatico; la Puglia è stata,
invece, la zona che ha visto un’anomalia positiva accentuata fino a
+ 3°. Precipitazioni virtualmente
IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA
Anche in regione le condizioni
meteorologiche hanno seguito
l’andamento del resto d’Italia:
giornate fresche nella prima quindicina del mese, calde o molto
calde nella seconda parte. Le
giornate più calde sono state
quelle del 20 e 21 luglio con massime di 37° a Piacenza e 38,8° a
Bologna e del 22 e 23 su Rimini,
per via del vento di caduta dai
rilievi verso il mare (garbino), con
37°; si sono avute tredici giornate
con temperature pari o sopra i 35°
a Bologna, quattro a Piacenza e
tre a Rimini. Caratteristica del
caldo di questo luglio, però, è
stata la secchezza dell’aria. Ciò ha
provocato una forte escursione
termica, con valori alti di giorno,
ma ha permesso al calore dovuto
Comune
PC
PR
RE
MO
BO
FE
RA
FC
RN
Pioggia Pioggia Anom. Tmax
osserv. clima pioggia mese
1
10
4
0
1
2
15
7
7
37
39
41
41
40
41
49
52
53
-36
-29
-37
-41
-39
-39
-34
-45
-46
31.8
32.9
33
33.3
33.3
32.6
31.3
31.4
30.6
al riscaldamento solare di disperdersi rapidamente durante la
notte. La tabella con i valori medi
mostra, infatti, che, se da una
parte i valori massimi delle temperature sono stati superiori alla
norma di circa 2,5°, i valori minimi
sono stati più freddi del normale
sulla pianura interna. Tale situazione d’aria secca e notti relativamente fresche ha così provocato
poche situazioni con disagio bioclimatico. L’aria secca, inoltre,
non ha certamente favorito lo sviluppo dei temporali, tanto che le
precipitazioni sono mancate del
tutto in buona parte della regione.
Gli unici eventi degni di nota
riguardano i temporali del 30
luglio che hanno interessato con
quantitativi anche superiori ai 25
mm la costa ferrarese e parte della
pianura romagnola. Molto scarsi
in genere durante il mese gli
apporti pluviometrici anche sul
crinale appenninico.
Tmax
clima
29
30.9
30.9
31.3
30
30.1
28.6
29.1
27.9
Anom.
Tmax
2.8
2
2.1
2
3.3
2.5
2.7
2.3
2.7
Tmin
mese
16.5
17.7
14.8
15.4
19
19.7
17.2
16
18.8
Tmin
clima
16.8
18.9
16
16.4
18.6
20.3
17
16
17.9
Anom.
Tmin
-0.3
-1.2
-1.2
-1
0.4
-0.6
0.2
0
0.9
Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di
precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e
anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
A cura di: Area previsionale e Sala operativa, Arpa-Servizio IdroMeteo
Agosto
61
Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam.
La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT
realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
Roma con Pescara, con le significative eccezioni di Emilia-Romagna e zone al confine tra Lombardia e Veneto; completamente
secco rimane il Sud. Le temperature saranno inferiori alla media al
Centro Nord e superiori al Sud e
sull’Abruzzo.
75
50
50
75
25
75
25
25
75
25
50
50
50
75
50
50
50
75
75
Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata
SITUAZIONE
METEOROLOGICA
A GRANDE SCALA
La mappa del geopotenziale
medio mostra come le correnti
atlantiche, per buona parte del
mese, abbiano interessato in profondità l’Europa occidentale e
anche l’Italia, con numerosi
impulsi d’aria fredda e instabile
che già dal giorno 2 portano temporali sul Nord Ovest e il 3 sul
Nord Est. Un altro nucleo freddo
il 7 genera temporali sulle Alpi e il
Piemonte e l’8 sulla Lombardia;
temporali forti interessano anche
La Spezia, Firenze e la zona
prealpina; temperature in sensibile calo. Il 10 i temporali presenti
sulle regioni centrali adriatiche si
spostano verso nord, andando a
interessare il Nord Est. Quindi
venti freschi e temporali più localizzati si susseguono al Nord e
parte del Centro fino al 14. Nel
frattempo al Sud tempo stabile
Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La
mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF)
ma fresco. Giorno 19 un sistema
nuvoloso atlantico porta temporali
anche forti al Nord (deboli sull’Emilia Romagna) e sulla Toscana
settentrionale. Giorno 21, mentre
un nuovo impulso freddo porta
piogge moderate al Nord, al Meridione inizia la terza invasione
calda della stagione, che raggiungerà il suo culmine sulla Sicilia tirrenica dove i forti venti di caduta
alimenteranno numerosi incendi.
Sul resto d’Italia, invece, il contrasto tra le masse d’arie genera
ancora piogge che interesseranno
anche la Sardegna. Solo nell’ultima settimana il caldo si spinge
più a nord: Roma, complici i venti
dall’interno, raggiunge i 40°. Alla
fine del mese numerosi temporali
interessano il Nord, alcuni intensi
tra Milano e Venezia, e il 31 sommergono Ravenna. Nel complesso il mese si presenta piovoso
a nord di una linea che congiunge
IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA
Il mese di agosto in Emilia
Romagna è stato instabile e con
temperature inferiori alla media.
Le piogge e i temporali che
hanno interessato in maniera
estensiva le regioni settentrionali
e la Toscana, però, non si sono
concretizzati in egual misura
anche in regione. La mappa con
la precipitazione cumulata nel
mese mostra, infatti, come soltanto le due parti estreme del territorio, cioè costa adriatica e piacentino occidentale, hanno ricevuto piogge abbondanti. Nel
resto della regione le precipitaComune
PC
PR
RE
MO
BO
FE
RA
FC
RN
Pioggia Pioggia Anom. Tmax
osserv. clima pioggia mese
43
15
22
14
19
16
140
59
84
66
69
57
54
53
56
59
62
58
-23
-54
-35
-40
-34
-40
81
-3
26
29.2
29.6
30.3
30.5
30
29.5
27.8
28.8
28.1
zioni sono state o normali (la
Romagna) o addirittura scarse (il
resto dell’Emilia e il ferrarese
interno). Rilevante l’evento temporalesco del 31 agosto che ha
interessato con temporali intensi
e stazionari la fascia a ridosso
della costa, in particolare l’area
urbana di Ravenna dove in poche
ore sono caduti 107 mm di pioggia, di cui la metà in poco più di
un’ora. In quella stessa giornata a
Rimini sono stati misurati 33 mm,
mentre, all’altro estremo della
regione, forti temporali hanno
colpito anche la Val Tidone. Le
temperature medie sono state
intorno ai valori stagionali per
quanto riguarda le massime, prevalentemente inferiori al valor
medio nei valori minimi. Poco
numerose sono state le giornate,
durante l’ultima settimana, in cui
le condizioni di umidità e temperatura hanno provocato condizioni di disagio bioclimatico.
Tmax
clima
28.3
30.1
30.4
30.8
29.6
29.8
28.4
29.1
27.7
Anom.
Tmax
0.9
-0.5
-0.1
-0.3
0.4
-0.3
-0.6
-0.3
0.4
Tmin
mese
17.3
17.1
14.9
15.2
17.9
18.9
16.6
15.9
18.5
Tmin
clima
16.8
18.6
16.1
16.5
18.5
20.3
17.1
16.1
17.8
Anom.
Tmin
0.5
-1.5
-1.2
-1.3
-0.6
-1.4
-0.5
-0.2
0.7
Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di
precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e
anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna
ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007
UNA
NUOVA LEGGE
ARPA?
Camera dei Deputati, proposta di
legge 1561
www.parlamento.it
Dopo tredici anni dall’approvazione della prima legge istitutiva
dell’Agenzia nazionale per la
protezione
dell’ambiente
(Anpa), istituita con Decreto
legge 496/1993 convertito con
modificazioni
dalla
legge
61/1994, e dopo il completamento da parte di Regioni e Province autonome del quadro istitutivo delle relative agenzie
regionali, il sistema agenziale
conclude la fase costitutiva
avviandosi verso quella di consolidamento.
La proposta di legge 1561, di iniziativa dei deputati Realacci e
Franceschini, presentata il 2
agosto scorso, ha formalmente
iniziato a settembre il proprio
iter parlamentare, con l’esame in
sede referente presso la Commissione
Ambiente
della
Camera.
Lo scorso 4 dicembre si è svolta,
presso il Comitato ristretto della
Commissione Ambiente della
Camera, l’udienza delle Agenzie
ambientali, con l’obiettivo di
fornire al Comitato una prima
base di valutazioni e proposte in
merito al provvedimento.
L’obiettivo principale della proposta di legge è quello di divenire la nuova legge quadro per il
sistema agenziale, dando maggiore corpo a strumenti e logiche
di rete, formalizzando l’esistenza di un sistema di soggetti
istituzionali autorevole dal
punto di vista scientifico. In particolare tale provvedimento
attribuisce al sistema l’obiettivo
di assicurare omogeneità ed efficacia all’esercizio dell’azione
conoscitiva e di controllo a supporto delle politiche di sostenibilità. Altro elemento di grande
rilievo è la previsione dei livelli
essenziali di tutela ambientale
(LETA) che le Agenzie saranno
tenute a garantire, a livello
nazionale, per assicurare su tutto
il territorio un’omogenea azione
di prevenzione, controllo e
monitoraggio dell’inquinamento
ambientale, in analogia a quanto
avviene per i LEA in ambito
sanitario. Nell’ambito invece di
PER LE
62
una maggiore ridefinizione e di
un rafforzamento delle attività
delle Arpa, la proposta di legge
rimarca come l’efficacia e l’efficienza dell’attività di controllo
delle Agenzie sia strettamente
connessa a un pieno e costante
coinvolgimento delle stesse
nelle attività istruttorie propedeutiche al rilascio delle autorizzazioni. Non meno significativo,
infine, il riconoscimento del
carattere di ufficialità, quasi di
certificazione, degli elementi
conoscitivi prodotti dalle Agenzie tramite le attività di monitoraggio e controllo. È quest’ultima una forte valorizzazione del
patrimonio informativo elaborato in continuo dalle Agenzie,
le quali potranno tra l’altro divenire soggetti protagonisti nell’applicazione del Dlgs 195/2005
sull’accesso al pubblico dell’informazione ambientale.
UNIFICATO
CORRETTIVO
DLGS 152/2006 APPROVATO
DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI
www.reteambiente.it
Approvato lo scorso 23 novembre dal Consiglio dei ministri in
seconda lettura lo schema di
Dlgs recante modifiche sulle
norme in materia di acque,
rifiuti e VIA del Dlgs 152/2006
(cd. Codice ambientale). Lo
schema di decreto – nel quale
sono confluiti i precedenti
schemi di decreto di modifica al
medesimo Dlgs 152/2006 caducati dal mancato rispetto dei termini sanciti dalla legge delega
308/2004 – torna ora alle competenti Commissioni parlamentari
per il parere definitivo, per poi
essere trasmesso nuovamente al
Governo per l'approvazione
finale.
AIA:
DIFFERIMENTO
TER -
MINI
Decreto legge 30 ottobre 2007, n.
180 GU 254 del 31 ottobre 2007
È differito al 31 marzo 2008 il
termine massimo di legge che le
amministrazioni
competenti
devono assegnare per l’attuazione delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) negli impianti esistenti, per i quali tale autorizza-
zione è concessa. Nelle more del
rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, gli impianti
già in esercizio per i quali sia
stata presentata nei termini previsti la relativa domanda, possono proseguire la propria attività nel rispetto della normativa
vigente o delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni ambientali di settore già rilasciate. Tali
autorizzazioni si ritengono
implicitamente prorogate sino
alla scadenza del termine fissato
dal provvedimento di autorizzazione integrata ambientale per
l’attuazione delle relative condizioni.
IL TAR
DI
BOLOGNA
SI PRO-
NUNCIA SUI RAPPORTI TRA
VIA E AIA
Sentenza Tar Bologna, Sezione I n.
3365 del 26 novembre 2007
Solleva diverse e rilevanti problematiche giuridiche questa
decisione del giudice amministrativo che ha annullato l’Autorizzazione integrata ambientale
(AIA) rilasciata dalla Provincia di
Modena a un impianto di termovalorizzazione di rifiuti.
Innanzitutto il Tar ha riconosciuto la legittimazione processuale non soltanto delle associazioni ambientaliste nazionali formalmente riconosciute, ma
anche – e questo è un elemento
di differenziazione rispetto a
recenti Sentenze dello stesso
Tribunale (ad esempio la n.
692/2006 e la 3216/2006 – di un
Comitato costituito a livello
locale e di una parte dei privati
cittadini che si sono qualificati
come proprietari di immobili
nelle vicinanze dell’impianto.
Secondo aspetto significativo
della pronuncia è quello di aver
affrontato il rapporto tra Valutazione di impatto ambientale e
AIA. Per il giudice, mentre la
VIA investe i profili localizzativi
e strutturali, l’AIA incide specificatamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, pertanto quest’ultima non può configurarsi
come atto strettamente consequenziale rispetto alla prima, ma
anzi, in quanto produttiva di
specifici effetti, può essere
impugnata
autonomamente
anche in caso di precedente VIA
positiva.
Infine per il Tar – ed è questo il
punto di merito sul quale è stata
decisa la causa – la procedura di
AIA avrebbe dovuto riguardare
non solo il termovalorizzatore
vero e proprio, ma anche gli altri
impianti, come quello di trattamento chimico-fisico dei rifiuti,
presenti sul sito e strettamente
connessi a quello principale, una
scelta diversa contrasterebbe
quindi con la vigente normativa
Ippc. È molto probabile che ora
la parola passi al Consiglio di
Stato.
OPERATIVO IL SISTEMA RAEE
Decreto del ministero dell'Ambiente
e della tutela del territorio e del
mare n. 185 del 25 settembre 2007
GU 5 novembre 2007, n. 257
È stato istituito presso il ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio e del mare il Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi
di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, previsto dal Decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, attuazione della direttive 2002/95/CE,
2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell’uso di
sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento
dei rifiuti. Il registro è predisposto, gestito e aggiornato dal
Comitato di vigilanza e di controllo, che si avvale dell’Agenzia
per la protezione dell’ambiente e
per i servizi tecnici (Apat). I dati
del registro sono raccolti dalle
Camere di Commercio, che
garantiscono la trasmissione delle
informazioni raccolte attraverso
l’interconnessione telematica
diretta ai sistemi informativi del
Comitato di vigilanza e controllo
e dell’Apat. L’iscrizione al Registro è effettuata dal produttore
presso la Camera di Commercio
nella cui circoscrizione si trova il
legale rappresentante dell’impresa.
A cura di
Giovanni Fantini
Laura Campanini
Arpa Emilia-Romagna
Libri
LA GESTIONE DEI RIFIUTI
EMILIA-ROMAGNA
REPORT 07
Regione e Arpa Emilia-Romagna
Scaricabile agli indirizzi
www.regione.emilia-romagna.it
www.arpa.emr.it, Ingegneria ambientale
A cura di
Laura Padovani ed Ettore Capri
ESPOSIZIONE DELLE ACQUE SUPER-
IN
I dati presentati nel report provengono sia dagli archivi che costituiscono il sistema informativo regionale sui rifiuti (Allegato 1, Dgr
1620/2001), sia da altre fonti quali
Istat, Apat, Conai e Consorzi di
filiera, Gestori degli impianti,
Autorità regionale per la vigilianza
dei servizi idrici e di gestione dei
rifiuti, Università di Bologna.
Nel campo della raccolta differenziata, determinante per il recupero e
il riciclaggio, l’Emilia-Romagna si conferma tra le regioni più virtuose
a livello nazionale, con un dato medio del 36,3%. Diminuisce progressivamente anche l’indifferenziato smaltito in discarica (dal 77% al 59%
in dieci anni). Per contro, sale la produzione di rifiuti (+2,6% rifiuti
urbani, +7% rifiuti speciali). Le linee di azione e gli investimenti della
Regione tengono conto delle diverse performance e del percorso tracciato dall’Unione europea per una corretta gestione dei rifiuti secondo
una precisa gerarchia: prevenzione, riduzione, riciclaggio e smaltimento in sicurezza con recupero energetico. Un’accelerazione verso
trend positivi sarà determinata a partire dalla concreta applicazione
degli strumenti di contabilità che affiancano gli indicatori sociali e
ambientali a quelli economici.
Apat - Agenzia per la protezione
dell’ambiente e per i servizi tecnici
ANNUARIO DEI DATI AMBIENTALI
2007 Scaricabile all’indirizzo
www.apat.gov.it
Giunto alla sua sesta edizione, l'Annuario Apat si presenta con una veste
nuova. L'edizione integrale, con l'intera base conoscitiva, sarà predisposta solo in formato elettronico fruibile
sul sito www.apat.gov.it.
A stampa sono presentati due
nuovi prodotti, con i quali Apat
intende analizzare le situazioni di
contesto ambientale relative alle
tematiche prioritarie di intervento:
il volumetto Tematiche in primo
piano e il Vademecum, in versione
tascabile.
Altra novità introdotta con l’edizione 2007 dell’Annuario è costituita dall’istituzione di un premio
ai comportamenti più virtuosi nella
gestione di una specifica area di
intervento ambientale. La performance sarà valutata in base a opportuni indicatori di prestazione.
Quest’anno la scelta dell’area tematica è ricaduta sulla gestione della
qualità dell’aria. L’Annuario è presentato ufficialmente il 18 dicembre
a Roma e l’evento è trasmesso in diretta streaming sul sito di Apat.
FICIALI AGLI AGROFARMACI
Editore Pitagora, 2006
190 pagine, 30,00 euro
Nel volume – una qualificata e autorevole monografia che si colloca
all’interno della collana Quaderni di
tecniche di protezione ambientale – gli
autori prendono in esame gli effetti
di contaminazione ambientale prodotta, così come definito dal Dpr
290/01 art. 2, dai prodotti fitosanitari. Si tratta di sostanze chimiche
impiegate in agricoltura per la difesa
delle piante, delle derrate alimentari, per il diserbo delle coltivazioni o che favoriscono o regolano le produzioni vegetali. I prodotti fitosanitari sono molecole importanti e di
rilevante impiego, che con il loro utilizzo consentono la presenza sul
mercato di prodotti ortofrutticoli di buona qualità a prezzo ridotto. In
altre parole, l’impiego di queste sostanze in agricoltura garantisce, ogni
anno, forniture affidabili di prodotti agricoli, in quanto contribuiscono a
evitare fluttuazioni nelle rese produttive. I prodotti fitosanitari, attraverso processi dettagliatamente descritti nel volume, possono interessare il comparto ambientale e nel caso specifico le acque superficiali. I
monitoraggi effettuati, previsti da norme di settore, servono per studiare
l’eventuale presenza dei residui delle sostanze attive e dei loro metaboliti nelle acque, e per valutare l’ impatto ambientale nel breve e lungo
termine. La Regione Emilia-Romagna conduce da anni monitoraggi
delle acque superficiali e sotterranee, ricercando le sostanze attive prioritarie e quelle più utilizzate nel territorio.
I risultati contribuiscono alla realizzazione del Piano nazionale di controllo degli effetti ambientali dei prodotti fitosanitari previsto dal Dlgs
194/1995. I dati emersi dai monitoraggi degli ultimi anni evidenziano
una presenza rilevante di residui appartenenti alle classi degli erbicidi,
in misura minore per gli insetticidi e i fungicidi (tra questi terbutilazina
e desetil terbutilazina, metolaclor, oxadiazon, procimidone, atrazina, etofumesate ecc.). Sembra delinearsi, inoltre, un inquinamento di tipo diffuso dovuto all’utilizzo di prodotti fitosanitari in agricoltura (grandi
superfici con dosaggi generalmente ridotti). L’inquinamento di tipo
puntiforme (sversamenti, utilizzo non corretto, inadeguate condizioni di
conservazione dei prodotti), dove ci si aspetta che la sostanza percoli più
rapidamente, e arrivi in falda a concentrazioni più elevate – riportato
dagli autori come possibile fonte di inquinamento – dai dati a disposizione in Emilia-Romagna sembra non costituire il problema prioritario.
Apat, nel rapporto annuale 2005, riconosce la discordanza di opinioni fra
i diversi autori su quale possa essere il peso della contaminazione puntiforme nel complesso della contaminazione derivante dalle pratiche agronomiche (diffusa). Considerando quale esempio la sostanza attiva terbutilazina e il metabolita desetil-terbutilazina, si evidenzia che nella maggioranza dei casi sembra attuarsi un inquinamento di tipo diffuso. Pertanto, prendendo spunto anche dalle indicazioni degli autori, a livello
regionale si dovranno eventualmente effettuare approfondimenti per
dimensionare il “problema” dell’inquinamento puntiforme.
Gli autori riportano anche un intero capitolo su come realizzare un programma di monitoraggio per la tutela delle acque superficiali; ritroviamo
in esso molte delle azioni da tempo adottate in Emilia-Romagna per il
monitoraggio delle acque superficiali.
Marco Morelli, Arpa Emilia-Romagna
63
Memo/Eventi
18 novembre 2007-27 gennaio 2008
Ferrara
Mostra temporanea Le stagioni dei
maceri: passato, presente e futuro delle
nostre "isole d'acqua", presso il
Museo civico di storia naturale. I
maceri, con il loro attuale elevato
valore nella protezione della biodiversità, sono il soggetto del percorso espositivo che si avvale di
immagini, mappe, reperti e ricostruzioni tridimensionali.
Per informazioni:
http://www.comune.fe.it/storianaturale
http://ww2.comune.fe.it/
64
date a “case clima” e impianti di
teleriscaldamento.
Per informazioni:
[email protected]
http://www.fierabolzano.it
18-20 gennaio
Gonzaga (Mantova)
Quinta edizione di FORAGRI
EXPO, la fiera dedicata alle
aziende del settore della produzione di energia da fonti rinnovabili che guardano al mondo dell’agricoltura e della zootecnia.
Per informazioni:
http://www.foragriexpo.it/
10 dicembre 2007-29 febbraio 2008
Bologna
Appuntamento al Museo dell’Evoluzione dell’Università di Bologna per la mostra di fotografia e
disegno naturalistico Volti di
Natura: 50 tracce di biodiversità,
realizzata in collaborazione con
Sma (Sistema museale d’Ateneo),
Wwf e Unione bolognese naturalisti. Si tratta di un percorso espositivo che partendo dal tema "geologia" e passando per il "paesaggio"
arriva a descrivere la "vita naturale" e il rapporto "uomo-natura",
conducendo così attraverso i vari
aspetti della biodiversità.
Per informazioni:
http://www.ermesambiente.it
29 gennaio
Roma
Workshop Sindrome dello spopolamento degli alveari in Italia: approccio multidisciplinare alla individuazione delle cause e delle strategie di
contenimento, organizzato dal
Dipartimento Difesa della naturaServizio Uso sostenibile delle
risorse naturali di Apat. Da diversi
anni sono stati segnalati fenomeni
di mortalità, disorientamento e
spopolamento di famiglie di api in
numerosi Paesi, tra cui l’Italia.
L’incontro sarà l’occasione per una
verifica dello stato dell’arte in
materia e per individuare possibili
strategie di intervento.
Per informazioni:
http://www.apat.gov.it
16-17 gennaio 2008
Roma
Workshop Bioindicatori ed ecotossicologia del suolo e delle altre matrici:
ricerca e applicazione, organizzato
da Apat. Una finestra di discussione e confronto sul mondo degli
indicatori biologici e dell’ecotossicologia, quali cardini fondamentali
dell’analisi e della tutela degli ecosistemi.
Per informazioni:
http://www.apat.gov.it
11-15 marzo
Milano
NEXT ENERGY, il salone biennale
dedicato all’efficienza energetica e
alle fonti rinnovabili. Tra gli
eventi, un appuntamento-chiave:
la mostra Verso la classe A, un percorso interattivo che permetterà di
avvicinarsi ai temi del risparmio
energetico in modo concreto, per
‘toccare con mano’ prodotti,
sistemi e soluzioni capaci di massimizzare l’efficienza energetica di
un edificio.
Per informazioni:
http://www.nextenergy.biz/
17-20 gennaio
Bolzano
KLIMAHOUSE 08, fiera internazionale specializzata per l'efficienza
energetica e l'edilizia sostenibile.
CasaClima propone una nuova cultura edile, quale alternativa alle
moderne abitazioni estremamente
energivore. Il modello di casa proposto da CasaClima unisce sostenibilitá, drastica riduzione dei
costi energetici e una perfetta climatizzazione dell´ambiente. Previsto un nutrito programma di
congressi, workshop e visite gui-
1-4 aprile
Corvara
14° convegno di igiene industriale
Le giornate di Corvara. Già negli
incontri degli anni precedenti era
stata data particolare rilevanza ai
lavori tecnico- scientifici del
sistema delle Agenzie ambientali,
dedicando sessioni specifiche alle
tematiche ambientali e al complesso rapporto ambiente-salute.
Quest´anno, per la prima volta,
Dicembre-gennaio 2008
Cambiamenti climatici: una prima valutazione economica
L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) realizza uno studio sulla valutazione economica degli impatti
dei cambiamenti climatici e relative misure di adattamento in Italia.
Allo scopo rivolge un invito alla comunità scientifica di riferimento a
proporre suggerimenti e commenti da integrare nella versione di prossima pubblicazione. Eventuali osservazioni dovranno essere inviate
entro la fine di gennaio 2008 all’indirizzo [email protected]. Nel sito
dell’Agenzia ulteriori informazioni e rapporti scientifici di sintesi.
http://www.apat.gov.it
sono previste due giornate (articolate in quattro sessioni), esplicitamente dedicate al lavoro delle
Agenzie per l´ambiente, su argomenti di particolare rilevanza e
attualità:
- il Regolamento Reach (ricerca,
controlli, metodi, applicazioni)
- strumenti integrati di sostenibilità (Via, Vas, Ippc, Emas, Ecolabel, Epd, Gpp, Bilancio ambientale)
- monitoraggio e metodi analitici
per l´ambiente.
Ulteriori dettagli e le modalità /
argomenti per eventuali contributi
scientifici sono riportati nel
“primo annuncio”.
Per informazioni: tel. 02/20240956
[email protected], http://www.aidii.it/
13 aprile
Lombardia
17a edizione della Giornata del
verde pulito, promossa dalla
Regione Lombardia. La manifestazione rappresenta un appuntamento significativo durante il
quale le amministrazioni pubbliche e i cittadini organizzano iniziative concrete all'insegna del
rispetto e della tutela del verde
pubblico.
Per informazioni:
http://www.ambiente.regione.lom
bardia.it
18-20 giugno
Modena
Congresso mondiale Ifoam dell’Agricoltura biologica, organizzato dal
Consorzio ModenaBio 2008. Sarà
accompagnato da tre conferenze
tematiche che lo anticiperanno
nelle giornate del 16 e 17 giugno:
conferenza sul vino e viticoltura biologica, coordinata da Aiab e prevista a Vignola (nelle colline modenesi); conferenza sul tessile biologico, coordinata da Icea e prevista a
Carpi (in provincia di Modena);
conferenza sulla frutta biologica,
coordinata da Ishs (International
Society for Horticultural Science) a
Vignola. Altre conferenze si svolgeranno durante il congresso,
organizzato in due filoni principali: presentazione e scambio di
esperienze pratiche, esposizione e
discussione di importanti ricerche
accademiche.
Per informazioni:
http://www.modenabio2008.org/
Pagine a cura di Daniela Raffaelli
e-mail: [email protected]
altri eventi alla pagina
www.arpa.emr.it/eventi
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Il falco della regina e la biodiversità - Arpae Emilia