volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 1 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 2 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 3 ANNALI DELL’ACCADEMIA DI AGRICOLTURA DI TORINO VOLUME CLIII 2011 Arti Grafiche San Rocco Via Del Prete, 13 - Grugliasco (TO) volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 4 Stampato con il contributo de • La Piemontese Assicurazioni S.p.A. • Ministero per i Beni e le Attività Culturali La responsabilità dei lavori pubblicati è degli Autori volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 5 V CONSIGLIO DIRETTIVO PICCAROLO DOTT. PROF. PIETRO - PRESIDENTE VIORA DI BASTIDE CONTE DOTT. VITTORIO - VICE PRESIDENTE FINASSI DOTT. ANTONIO - SEGRETARIO SCAPIN DOTT. IVANO - TESORIERE-ECONOMO CANTINI CORTELLEZZI DOTT. PROF. GIULIO - CONSIGLIERE CIOTTI DOTT. PROF. ANGELO - CONSIGLIERE MASOERO DOTT. GIORGIO - CONSIGLIERE VALFRÈ DOTT. PROF. FRANCO - CONSIGLIERE ZOCCARATO DOTT. PROF. IVO - CONSIGLIERE REVISORI DEI CONTI SEBASTIANI DOTT. MARIA LETIZIA, DIRETTORE BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE DI FIRENZE NOMINATO DAL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI CASTELLANI DOTT. PROF. LUIGI CROSETTI PROF. AVV. ALESSANDRO CONTI DOTT. PROF. MAURIZIO - SUPPLENTE FASSI DOTT. PROF. BRUNO - SUPPLENTE volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 6 VI COMITATO DI REDAZIONE EDITING COMMITTEE Direttore: PICCAROLO DOTT. PROF. PIETRO Director Direttore Responsabile: MAINARDI DOTT. PROF. GIUSI Executive Director Componenti il Consiglio Editoriale: Members of Editorial Board CANTINI CORTELLEZZI DOTT. PROF. GIULIO CIOTTI DOTT. PROF. ANGELO FINASSI DOTT. ANTONIO MASOERO DOTT. GIORGIO SCAPIN DOTT. IVANO VALFRÈ DOTT. PROF. FRANCO VIORA DI BASTIDE CONTE DOTT. VITTORIO ZOCCARATO DOTT. PROF. IVO Redattore Capo: FINASSI DOTT. ANTONIO Editor in Chief Segretaria di redazione: GAY EYNARD DOTT. GIULIANA Editor Secretary volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 7 VII ELENCO DEGLI ACCADEMICI ACCADEMICI ONORARI Data di nomina a corrispondente ad onorario BARBERO DOTT. GIUSEPPE 14.12.2011 già Ordinario di Sociologia nell’Università La Sapienza, Roma DIANA CAV. DEL LAVORO M.SE DOTT. SEN. ALFREDO 27.11.1981 26.06.1998 16.06.1989 14.12.2011 16.12.1988 26.06.1998 19.06.1987 26.06.1998 Agricoltore; già Ministro delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali; già Presidente della Confagricoltura FRANZO DOTT. ON. RENZO già Presidente Nazionale dell’Ente Utenti Motori Agricoli; già Presidente dell’Ente Nazionale Risi MANCINI DOTT. PROF. FIORENZO Emerito nell’Università di Firenze; già Ordinario di Geologia Applicata; Presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali di Firenze SCARAMUZZI DOTT. PROF. FRANCO Emerito nell’Università di Firenze; già Ordinario di Coltivazioni Arboree; Presidente dell’Accademia dei Georgofili di Firenze volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 8 VIII ACCADEMICI EMERITI Data di nomina a corrispondente ad emerito ARZONE DOTT. PROF. ALESSANDRA 26.06.1981 già Ordinario di Entomologia Agraria nell’Università di Torino 16.06.2006 AUXILIA DOTT. PROF. MARIA TERESA già Direttore della Sezione Operativa di Torino dell’Istituto Sperimentale per la Zootecnia di Roma 11.02.1971 19.03.2006 BARATTI PROF. ING. SERGIO già Direttore Generale dell’Associazione Irrigazione Est Sesia; già Incaricato di Bonifica e Irrigazione nell’Università di Pavia 22.06.1979 19.07.2009 DIANZANI DOTT. PROF. MARIO UMBERTO Emerito nell’Università di Torino; già Ordinario di Patologia Generale; già Rettore dell’Università di Torino 27.11.1981 13.06.2005 DURANDI DOTT. LUCA Agricoltore 19.06.1987 27.04.2009 FASSI DOTT. PROF. BRUNO già Direttore dell’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente di Torino della Regione Piemonte 3.07.1969 3.08.2005 FINASSI DOTT. ANTONIO 13.06.1980 Agronomo; già Primo Ricercatore nell’Istituto per la Meccanizzazione Agricola del Consiglio Nazionale delle Ricerche 6.10.2011 FONTANA DOTT. PROF. ANNA già Direttore del Centro di Studio sulla Micologia del Terreno del Consiglio Nazionale delle Ricerche 19.12.1986 2.10.2010 GHISLENI DOTT. PROF. PIER LUIGI già Ordinario di Miglioramento Genetico delle Piante Agrarie nell’Università di Milano 6.07.1958 1.11.1995 GIOIA CAV. DEL LAVORO DOTT. GIUSEPPE Agricoltore; già Presidente della Confagricoltura 24.11.1978 22.12.2008 GIULIO DOTT. PROF. LUDOVICO 19.11.1976 già Ordinario di Fisiologia e Chimica Biologica nell’Università di Torino 29.09.2006 GUIDOBONO CAVALCHINI BARONE DOTT. PROF. ALESSANDRO 2.12.1977 Agricoltore; già Incaricato di Ecologia Agraria nell’Università di Torino LISA DOTT. LUIGI già Direttore dell’Istituto per la Meccanizzazione Agricola del Consiglio Nazionale delle Ricerche 7.12.1977 8.08.2003 10.04.2010. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 9 IX Data di nomina a corrispondente ad emerito LOVISOLO DOTT. PROF. OSVALDO già Direttore dell’Istituto di Fitovirologia Applicata di Torino del Consiglio Nazionale delle Ricerche 5.07.1964 20.02.2003 LUPPI MOSCA DOTT. PROF. ANNA MARIA già Ordinario di Micologia nell’Università di Torino 11.02.1971 21.12.2009 MAGGI PROF. ING. FRANCO 14.12.1984 già Associato di Topografia e Costruzioni Rurali nell’Università di Torino 24.12.2005 MANFREDI PROF. ING. ENZO Emerito nell’Università di Bologna; già Ordinario di Meccanica Agraria 18.06.1982 30.07.2004 MORGANDO DOTT. ALDO già Direttore Generale dell’Istituto di Credito Agrario per il Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta 4.07.1965 26.01.1996 ODDERO COMM. DOTT. GIACOMO 23.11.1979 Agricoltore; Vice Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo 16.09.2009 PAGELLA DOTT. PROF. MARIO già Ordinario di Economia Agraria nell’Università di Torino 18.01.1974 2.11.2010 POTECCHI PROF. ING. SANDRO già Direttore dell’Istituto per la Meccanizzazione Agricola del Consiglio Nazionale delle Ricerche 19.12.1986 1.11.2008 RICOSSA DOTT. PROF. SERGIO Emerito nell’Università di Torino; già Ordinario di Politica Economica e Finanziaria; Socio Nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei 18.01.1974 6.06.2007 SAPPA DOTT. ORAZIO già Segretario Generale della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Imperia SA 23.07.1999 16.12.2002 † SCARASCIA MUGNOZZA DOTT. PROF. GIAN TOMMASO 23.11.1979 Emerito nell’Università della Tuscia; già Ordinario di Genetica Agraria; Socio Nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei; Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL di Roma 27.05.2005 TOURNON PROF. ING. GIOVANNI Emerito nell’Università di Torino; già Ordinario di Idraulica Agraria 17.07.2003 4.07.1965 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 10 X ACCADEMICI ORDINARI · Data di nomina a corrispondente ad ordinario (*) (**) 1- 9- ACCATI GARIBALDI DOTT. PROF. ELENA 14.12.1984 Straordinario di Floricoltura nell’Università di Torino 28.05.1993 2- 7- ALLIO DOTT. PROF. RENATA Ordinario di Storia Economica dell’Europa nell’Università di Torino 13.06.1986 13.12.1991 3 - 36 - ALMA DOTT. PROF. ALBERTO Ordinario di Entomologia generale ed applicata nell’Università di Torino 15.12.2006 12.11.2010 4 - 30 - BARBERIS DOTT. PROF. ELISABETTA Ordinario di Fertilità del Suolo e Nutrizione delle Piante nell’Università di Torino 19.12.2003 27.11.2009 5 - 41 - BODO di ALBARETTO DOTT. EDOARDO 19.12.2003 Presidente dell’Associazione della Proprietà Fondiaria della Provincia di Torino 14.12.2011 6 - 27 - BONFANTE DOTT. PROF. PAOLA 23.07.1999 Ordinario di Botanica nell’Università di Torino; Responsabile della Sezione di Torino dell’Istituto per la Protezione delle Piante del Consiglio Nazionale delle Ricerche 23.01.2009 7 - 21 - BOYAZOGLU DOTT. PROF. JEAN 23.07.1999 Vice Presidente Esecutivo dell’Associazione Europea di Produzione Animale 16.12.2002 8 - 31 - BUTERA PROF. ING. LUIGI Ordinario di Idraulica nel Politecnico di Torino 14.12.2001 27.11.2009 9 - 24 - CANTINI CORTELLEZZI DOTT. PROF. GIULIO 18.12.1987 già Direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta 27.05.2005 10 - 15 - CASTELLANI DOTT. PROF. LUIGI Ordinario di Economia e Politica Agraria nell’Università di Torino 16.12.1983 26.06.1998 11 - 5 - CAVALLERO DOTT. PROF. ANDREA 26.06.1981 già Ordinario di Alpicoltura nell’Università di Torino 16.12.1988 12 - 2 - CERETI DOTT. PROF. CARLO FAUSTO 19.01.1973 Ordinario di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee nell’Università della Tuscia 24.11.1978 · (*) Numero d’ordine alfabetico (**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 11 XI Data di nomina a corrispondente ad ordinario · (*) (**) 13 - 6 - CIOTTI DOTT. PROF. ANGELO 26.06.1981 già Ordinario di Produzione e Conservazione dei Foraggi nell’Università di Torino 15.12.1989 14 - 10 - CONTI DOTT. PROF. MAURIZIO già Direttore dell’Istituto di Virologia Vegetale del Consiglio Nazionale delle Ricerche 13.12.1985 28.05.1993 15 - 12 - CROSETTI PROF. AVV. ALESSANDRO Ordinario di Diritto Amministrativo nell’Università di Torino 14.12.1990 26.06.1997 16 - 18 - DOLCI DOTT. PROF. MARCELLO Associato di Chimica degli Antiparassitari nell’Università di Torino 16.06.1989 23.07.1999 17 - 37 - FERRERO DOTT. PROF. ALDO Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee nell’Università di Torino 15.12.2006 12.11.2010 18 - 1 - GANDINI DOTT. PROF. ANNIBALE già Ordinario di Microbiologia Enologica nell’Università di Torino 7.07.1972 2.12.1977 19 - 8 - GARIBALDI DOTT. PROF. ANGELO Ordinario di Fitoiatria nell’Università di Torino 16.12.1983 13.12.1991 20 - 19 - GAY EYNARD DOTT. GIULIANA 28.04.1995 già Direttore del Centro di Studio per il Miglioramento Genetico e la Biologia della Vite del Consiglio Nazionale delle Ricerche 28.01.2000 21 - 42 - GENNARO DOTT. ENRICO Presidente dell’Associazione Laureati in Economia 25.02.2008 14.12.2011 22 - 16 - GIAU DOTT. PROF. BRUNO Ordinario di Economia e Politica Forestale nell’Università di Torino 16.12.1988 26.06.1998 23 - 32 - GRIGNANI DOTT. PROF. CARLO Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee nell’Università di Torino 14.12.2001 27.11.2009 24 - 20 - GULLINO DOTT. PROF. MARIA LODOVICA 28.05.1993 Ordinario di Patologia Vegetale nell’Università di Torino 14.12.2001 · (*) Numero d’ordine alfabetico (**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 12 XII · Data di nomina a corrispondente ad ordinario (*) (**) 25 - 28 - LEPORI DOTT. PROF. GIACOMO Associato di Miglioramento Genetico delle Piante Agrarie nell’Università di Torino 18.12.1987 23.01.2009 26 - 26 - MAINARDI DOTT. PROF. GIUSI Giornalista e Studioso di Storia della Vite e del Vino 28.06.1996 25.02.2008 27 - 17 - MARCHESINI DOTT. PROF. AUGUSTO 13.06.1980 già Direttore della Sezione Operativa di Torino dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante del CRA 26.06.1998 28 - 23 - MASOERO DOTT. GIORGIO già Direttore della Sezione Operativa di Torino dell’Istituto Sperimentale per la Zootecnia del CRA 13.12.1985 3.02.2005 MATTA DOTT. PROF. ALBERTO 2.12.1977 già Ordinario di Patologia Vegetale nell’Università di Torino 19.12.1986 29 - 4 - 30 - 25 - NOVELLO DOTT. PROF. VITTORINO Ordinario di Viticoltura nell’Università di Torino 14.12.1990 15.12.2006 31 - 33 - ODONE DOTT. PAOLO 28.05.1993 già Dirigente del Settore Verde Pubblico del Comune di Torino 27.11.2009 32 - 34 - PAGLIETTA DOTT. PROF. ROBERTO già Ordinario di Coltivazioni Arboree nell’Università di Torino 16.12.1983 27.11.2009 33 - 11 - PICCAROLO DOTT. PROF. PIETRO 14.12.1984 già Ordinario di Meccanica e Meccanizzazione Agricola nell’Università di Torino 28.05.1993 34 - 43 - QUAGLINO DOTT. PROF. ALBERTO Associato di Ecologia applicata all’Ingegneria nel Politecnico di Torino 14.12.2011 35 - 3 - 19.12.1986 QUAGLIOTTI AUXILIA DOTT. PROF. LUCIANA 6.07.1967 già Ordinario di Genetica Agraria nell’Università di Torino 24.06.1983 36 - 38 - REYNERI di LAGNASCO DOTT. PROF. AMEDEO 16.12.2002 Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee nell’Università di Torino 12.11.2010 37 - 35 - SARASSO DOTT. GIUSEPPE Agricoltore 27.11.2009 · (*) Numero d’ordine alfabetico 27.05.2005 (**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 13 XIII Data di nomina a corrispondente ad ordinario · (*) (**) 38 - 39 - SCAPIN DOTT. IVANO già Dirigente Responsabile del Settore Fitosanitario della Regione Piemonte 3.02.2005 12.11.2010 39 - 22 - STORNELLO DOTT. GIANNI Giornalista 10.12.1993 16.12.2002 40 - 29 - UBIGLI DOTT. MARIO già Direttore incaricato del CRA Centro di Ricerca per l’Enologia 14.12.1992 23.01.2009 41 - 13 - VALFRÈ DOTT. PROF. FRANCO 19.11.1976 già Ordinario di Approvvigionamenti Annonari, Mercati ed Industrie dei Prodotti di Origine Animale nell’Università di Milano 26.06.1997 42 - 14 - VIORA DI BASTIDE CONTE DOTT. VITTORIO 11.12.1992 Agricoltore; Membro della Giunta Esecutiva della Confagricoltura 26.06.1997 43 - 40 - ZOCCARATO DOTT. PROF. IVO Ordinario di Zooculture nell’Università di Torino 12.11.2010 · (*) Numero d’ordine alfabetico 27.05.2005 (**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 14 XIV ACCADEMICI CORRISPONDENTI Data di nomina 1- ACTIS CAPORALE DOTT. ALDO Studioso di Storia Agronomica del Piemonte 3.02.2005 2- ALLAVENA PROF. ING. LORENZO già Ordinario di Idraulica Agraria nell’Università di Torino 19.06.1987 3- ANSELMI DOTT. PROF. NALDO Ordinario di Patologia Vegetale Forestale nell’Università della Tuscia 16.06.1989 4- APPENDINO DOTT. PROF. GIOVANNI BATTISTA Ordinario di Chimica Organica nell’Università di Torino 28.01.2000 5- BALLAURI DOTT. GIUSEPPE Presidente G.A.L. Mongioie di Mombasiglio (Cuneo); Vice Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo 27.05.2005 6- BALSARI DOTT. PROF. PAOLO Ordinario di Meccanizzazione Agricolo-forestale nell’Università di Torino 28.06.1996 7- BARBIERI DOTT. PAOLO della Provincia di Alessandria 19.06.1987 8- BATTAGLINI DOTT. PROF. LUCA MARIA Ordinario di Zootecnica Speciale nell’Università di Torino 27.05.2005 9- BERTA DOTT. PIERSTEFANO Direttore delle Distillerie Fratelli Ramazzotti 25.02.2008 10 - BERTOLINO DOTT. PROF. RINALDO Ordinario di Diritto Ecclesiastico e Diritto Canonico nell’Università di Torino; già Rettore dell’Università di Torino 23.07.1999 11 - BIANCHI DOTT. PROF. MARCELLO già Ordinario di Alpicoltura II nell’Università di Torino 28.05.1993 12 - BOFFA PROF. ING. CESARE Ordinario di Fisica Tecnica nel Politecnico di Torino 24.11.2000 13 - BOLOGNINO ING. PROF. BRUNO Direttore Generale e Ingegnere Capo dell’Associazione Irrigazione Est Sesia 21.11.2008 14 - BORREANI DOTT. PROF. GIORGIO Associato di Agronomia e Coltivazioni erbacee nell’Università di Torino 27.11.2009 15 - BOSIO DOTT. GIUSEPPE Agricoltore 15.12.1989 16 - BOVIO DOTT. PROF. GIOVANNI Ordinario di Assestamento Forestale nell’Università di Torino 26.06.1998 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 15 XV Data di nomina 17 - BRUNO DOTT. PROF. RENATO 24.11.2000 già Ordinario di Biochimica Sistematica e Comparata nell’Università di Torino 18 - BUSSANDRI DOTT. ING. LUCA Direttore dell’Associazione Irrigazione Ovest Sesia 23.01.2009 19 - CACIAGLI DOTT. PIERO CARLO Ricercatore all’Istituto di Fitovirologia applicata del CNR 12.11.2010 20 - CALZONI DOTT. MARIA GRAZIA già Direttore del Laboratorio Chimico della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Torino 10.12.1993 21 - CAMILLA DOTT. VITTORIO già Segretario del Comitato Nazionale per la Tutela delle Denominazioni di Origine dei Vini 16.12.2002 22 - CANALE DOTT. PROF. ANDREA 13.12.1991 già Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel Centro di Studio per l’Alimentazione degli Animali in Produzione Zootecnica 23 - CARAMIELLO DOTT. PROF. ROSANNA già Ordinario di Botanica forestale nell’Università di Torino 12.11.2010 24 - CELLERINO DOTT. PROF. GIAN PIETRO già Ordinario di Patologia Vegetale Forestale nell’Università di Torino 14.06.1985 25 - CERÈ DOTT. PROF. LUCIANO già Ordinario di Tecnologia della Produzione nell’Università di Torino 19.12.1986 26 - CHIABRANDO PROF. ING. ROBERTO Ordinario di Topografia e Tecniche Cartografiche nell’Università di Torino 26.06.1997 † CHIRIOTTI SIG. GIOVANNI Presidente della Chiriotti Editori S.p.A. 23.07.1999 † CICOGNA MOZZONI di TERDOBBIATE ALESSANDRO Agricoltore 19.05.1977 CAV. DEL LAVORO CONTE DOTT. 27 - COMBA DOTT. PROF. RINALDO Ordinario di Storia medievale nell’Università di Milano 14.12.2011 28 - DANIELE CAV. CARLO Agricoltore 5.07.1974 29 - D’AUTRICHE-ESTE ARCIDUCA DOTT. MARTIN Agricoltore 14.12.2001 30 - DELMASTRO GEOM. RENATO Collaboratore Tecnico dell’Imamoter del Consiglio Nazionale delle Ricerche 25.02.2008 31 - DONNA D’OLDENICO SIG. MAURIZIO Agricoltore 25.11.2005 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 16 XVI Data di nomina 32 - ECCHER DOTT. PROF. TOMMASO già Ordinario di Arboricoltura Generale nell’Università di Milano 28.04.1995 33 - FERRERO DOTT. ALDO Primo Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’Unità Staccata di Torino dell’Istituto per le Macchine Agricole e Movimento Terra di Cassana 13.12.1991 34 - GALLIANO DOTT. PROF. ALDO Responsabile del Servizio Sperimentale Tecnica Colturale dell’Associazione Produttori Ortofrutticoli Piemontesi 24.11.2000 35 - GARRIONE DOTT. PIERO Presidente dell’Ente Nazionale Risi 26.06.1998 36 - GERBI DOTT. PROF. VINCENZO Ordinario di Scienza e Tecnologie alimentari nell’Università di Torino 27.11.2009 37 - GIRARDI DOTT. PROF. CARLO Ordinario di Farmacologia, Farmacodinamica e Farmacia Veterinaria nell’Università di Torino 24.11.2000 38 - GIULIANO SIG. WALTER Giornalista; Membro della Consulta Stato-Regioni per l’Arco Alpino 25.02.2008 39 - GOIO GEOM. CARLO Presidente del Consorzio Tutela del riso DOP della Barraggia biellese e vercellese 23.01.2009 40 - JONA DOTT. PROF. ROBERTO già Associato di Tecnica Vivaistica nell’Università di Torino 26.06.1997 41 - LADETTO DOTT. PROF. GIUSEPPE 13.12.1991 già Ordinario di Alimentazione e Nutrizione Animale nell’Università di Torino 42 - LANTERI PROF. SERGIO Ordinario di Genetica Agraria nell’Università di Torino 21.11.2008 43 - LAZZARONI DOTT. PROF. CARLA Associato di Zootecnia Speciale nell’Università di Torino 12.11.2010 44 - LISA DOTT. VITTORIA già Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’Istituto di Fitovirologia Applicata 25.06.1994 45 - LORETI DOTT. PROF. FILIBERTO Ordinario di Arboricoltura Generale nell’Università di Pisa 19.12.2003 46 - LUISONI DOTT. PROF. ENRICO già Associato di Virologia Vegetale nell’Università di Torino 13.12.1991 47 - MAFFEI DOTT. PROF. MASSIMO Ordinario di Morfologia e Fisiologia Vegetale nell’Università di Torino 26.06.1997 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 17 XVII Data di nomina 48 - MAGGIORA DOTT. MICHELE Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti 27.11.2009 49 - MANACHINI DOTT. PROF. PIER LUIGI già Ordinario di Microbiologia e Immunologia Generale nell’Università di Milano 16.06.1989 50 - MANCINI DOTT. GENNARO già dirigente del Ministero Agricoltura e Foreste 12.11.2010 51 - MANNINI DOTT. FRANCO Primo Ricercatore dell’Istituto di Virologia Vegetale del Consiglio Nazionale delle Ricerche 28.01.2000 52 - MARCHETTI DOTT. BRUNO Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti 28.06.1996 53 - MARELLO DOTT. ARMANDO Direttore dell’Associazione Provinciale Allevatori di Torino 26.06.1998 54 - MARTELLI DOTT. PROF. GIOVANNI PAOLO già Ordinario di Patologia Vegetale nell’Università di Bari 26.06.1998 55 - MELLANO PER. AGR. DINO Agricoltore 26.05.2006 56 - MINETTI DOTT. GIOVANNI Direttore dell’Azienda Fontanafredda di Serralunga d’Alba 27.11.2009 57 - MONDINO DOTT. PROF. GIAN PAOLO già Associato di Botanica Forestale nell’Università di Torino 25.06.1994 58 - MORETTI DOTT. PROF. VITTORIO MARIA Ordinario di Zootecnica Speciale nell’Università di Milano 25.11.2005 59 - MOSCHETTI DOTT. ISABELLA Vicepresidente dell’Unione regionale per le Bonifiche del Piemonte 27.11.2009 60 - ONORE DOTT. PROF. GIOVANNI Docente di Zoologia degli Invertebrati nella Pontificia Università Cattolica di Quito (Ecuador) 19.12.2003 61 - PALENZONA DOTT. MARIO Direttore dell’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente della Regione Piemonte 26.06.1998 62 - PEJRONE DOTT. ARCH. PAOLO Presidente dell’Accademia Piemontese del Giardino di Torino 23.07.1999 63 - PELIZZETTI DOTT. PROF. EZIO Ordinario di Chimica Analitica; Rettore dell’Università di Torino 15.12.2006 64 - PENNAZIO DOTT. SERGIO già Primo Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’Istituto di Fitovirologia Applicata 14.12.1990 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 18 XVIII Data di nomina 65 - PERCIVALE PROF. FRANCO Ordinario di Scienze Merceologiche nell’Università di Torino 23.01.2009 66 - PERRUCCHIETTI DOTT. PROF. PASQUALE già Direttore del Settore Verde Pubblico del Comune di Torino 14.12.1984 67 - PIRRA AVV. PIER GIORGIO Libero Professionista 19.12.2003 68 - QUAGLINO DOTT. ANDREA 21.11.2008 Direttore dell’Associazione Nazionale Allevatori Bovini di Razza Piemontese 69 - REMMERT DOTT. LUCA Agricoltore; vicepresidente della Compagnia di San Paolo 14.12.2011 70 - SANDRONE PROF. ING. RICCARDO Associato di Petrografia nel Politecnico di Torino 26.05.2006 71 - SARACCO DOTT. ANNA MARIA Libero Professionista, Direttore Eurolab 12.11.2010 72 - SCALFARI DOTT. FRANCESCO Direttore di Asti Studi Superiori Consortile 25.02.2008 73 - SCHIVA DOTT. TITO Direttore della Sezione di Miglioramento Genetico dell’Istituto Sperimentale per la Floricoltura di Sanremo (Imperia) 16.12.2002 74 - SILENGO DOTT. PROF. LORENZO Ordinario di Biologia Molecolare nell’Università di Torino 27.05.2005 75 - SILVESTRELLI DOTT. PROF. MAURIZIO Ordinario di Zootecnia Generale e Miglioramento Genetico nell’Università di Perugia 23.07.1999 76 - SORDO PROF. ING. SEBASTIANO TERESIO Ordinario di Idraulica nel Politecnico di Torino 25.11.2005 77 - SPANNA DOTT. FEDERICO Assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte; presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia 14.12.2011 78 - TAVELLA DOTT. PROF. LUCIANA Ricercatore in Entomologia Agraria nell’Università di Torino 12.11.2010 79 - VACCANEO DOTT. GUSTAVO Agronomo 13.12.1991 80 - VANZETTI GEOM. CARLO Agricoltore 14.12.2011 81 - VANZETTI DOTT. PROF. DOMENICO Direttore dell’Istituto Professionale Agroambientale “C. Ubertini” di Carmagnola (Torino) 10.12.1993 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 19 XIX Data di nomina 82 - VARETTO DOTT. LUCA Agronomo; vice-direttore dell’Associazione Provinciale Allevatori di Torino 14.12.2001 83 - VIVIANO DOTT. VITO Direttore della Programmazione e Valorizzazione dell’Agricoltura della Regione Piemonte 19.12.2003 84 - VOLA DOTT. GIORGIO già Direttore del Servizio Assistenza Tecnico-Economica e Sociale dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Autonoma Valle d’Aosta 26.06.1981 85 - ZANINI DOTT. PROF. ERMANNO Ordinario di Pedologia nell’Università di Torino 27.11.2009 86 - ZICARELLI DOTT. PROF. LUIGI Ordinario di Allevamento del Bufalo nell’Università di Napoli 26.06.1998 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 20 XX ACCADEMICI IN SOPRANNUMERO Data di nomina a corrispondente 1 - ALLIEVI DOTT. PROF. LUIGI 16.12.2002 2 - BALDI DOTT. GIORGIO 25.06.1976 3 - BIANCHI DOTT. PROF. ANGELO 13.06.1986 4 - BONA DOTT. LORENZO 19.01.1973 5 - BRONDELLI DI BRONDELLO CONTE GUIDO 19.12.1986 6 - CALCAGNO DOTT. LUCIANO 16.06.1989 7 - CECCONI DOTT. PROF. SERGIO 16.01.1969 8 - CRISTOFORI DOTT. PROF. FRANCESCO 26.06.1997 9 - DE DONATO DOTT. PROF. MARIANO 16.06.1978 10 - DELL’ANGELO DOTT. PROF. GIAN GIACOMO 13.12.1985 11 - FIORUZZI NOB. DOTT. AGOSTINO 18.01.1974 12 - GIANOTTI BARONE ROMANO 19.12.1986 13 - GIORDANO DOTT. PROF. ERVEDO 19.06.1987 14 - LACIRIGNOLA DOTT. PROF. COSIMO 26.06.1997 15 - MASPOLI DOTT. PROF. GIUSEPPE 15.06.1984 16 - MONTACCHINI DOTT. PROF. FRANCO 15 .06.1984 17 - MORANDO DOTT. PROF. ALBINO 22.06.1990 18 - NOTTOLA COMM. BRUNO 19.12.1986 19 - ORSI DOTT. PROF. SERGIO 16.06.1978 20 - PARETO RAG. GIACOMO 13.12.1985 21 - SARASSO PROF. AVV. CARLO 19.12.1986 22 - TANO DOTT. PROF. FRANCESCO 28.06.1996 23 - TINARELLI DOTT. ANTONIO 16.06.1989 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 21 ASSEMBLEA SOLENNE PER L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO DELL’ACCADEMIA DI AGRICOLTURA DI TORINO RELAZIONE DEL PRESIDENTE PIETRO PICCAROLO* Torino, Palazzo Lascaris - Sala Viglione 26 febbraio 2011 1 - PREMESSA Con un grato saluto a tutti gli illustri ospiti, ai tanti accademici qui convenuti e a quanti impossibilitati a intervenire hanno aderito alla cerimonia, desidero anche a nome del Consiglio Direttivo dare il benvenuto a tutti voi Signore e Signori, che con la Vostra presenza onorate l’inaugurazione ufficiale del nostro 226° Anno Accademico. Un vivo ringraziamento al Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo, che cortesemente ci ha concesso di tenere l’inaugurazione in questa storica ed autorevole sede, di cui per 40 anni la famiglia Cavour ha avuto la proprietà e nella quale, 26 anni or sono, l’Accademia celebrò i suoi 200 anni di vita. Un sentito ringraziamento al Consigliere Franco Maria Botta che, su delega del Presidente, rappresenta il Consiglio Regionale e alla dott.ssa Rita Marchiori per il supporto dato nell’organizzazione dell’evento. Un ringraziamento particolare va al dott. Orazio Sappa, Presidente dell’Accademia sino al novembre scorso, e al Consiglio Direttivo che lo ha affiancato, per il lavoro svolto con grande passione e competenza. Ad essi si deve l’attività inerente il 2010. In apertura dei lavori ho il purtroppo rituale e triste compito di ricordare i soci che nel corso del 2010 ci hanno lasciati: i soci emeriti Attilio Bosticco e Mario Lucifero e i soci corrispondenti Carlo Luda, Orlando Montemurro, Giovanni Nicolotti e Paolo Talamucci. Ad essi va il nostro più vivo cordoglio. Sempre nel 2010 vi è stata la nomina di nuovi soci corrispondenti, Piero Carlo Caciagli, Rosanna Caramiello, Carla Lazzaroni, Gennaro Mancini, Anna Maria Saracco, Luciana Tavella), cui dopo la prolusione verrà consegnato il *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 22 XXII PIETRO PICCAROLO diploma, come pure ai nuovi soci ordinari: Alberto Alma, Aldo Ferrero, Amedeo Reyneri, Ivano Scapin e Ivo Zoccarato. Un sentito benvenuto a questi soci che certamente non mancheranno di dare il loro contributo all’attività dell’Accademia. La relazione annuale del Presidente deve anzitutto fornire una sintesi delle attività svolte nel corso dell’anno precedente, inquadrandole in un’analisi più generale delle tematiche agricole più attuali, con la speranza di fornire indicazioni utili soprattutto alle Istituzioni e a quanti compete la responsabilità delle scelte e degli indirizzi politici. Mi soffermerò pertanto sulle linee di lavoro dell’Accademia relative alle attività di: - comunicazione e divulgazione, - ricerca e sperimentazione, - conservazione del patrimonio storico, per poi fare alcune considerazioni sul ruolo dell’agricoltura nel mercato globalizzato. 2 - CONFERENZE E ATTIVITÀ DI COMUNICAZIONE E DIVULGAZIONE 2.1 - Attività Assembleari L’elenco delle Assemblee (tab. 1) comprende l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2010, con la prolusione del dott. Ferruccio Dardanello, Presidente di Unioncamere Piemonte, le Assemblee tenute in collaborazione con altre Accademie e quelle extra-moenia, che sono state tenute l’una presso l’azienda di Vezzolano e l’altra durante una visita nella Baraggia vercellese. Tab. 1 - Assemblee di inaugurazione Anno Accademico, extra-moenia e in collaborazione con altre Accademie volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 23 L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO XXIII Altre dodici Assemblee sono state tenute presso la sede dell’Accademia (tab. 2). Tab. 2 - Assemblee nella Sede dell’Accademia. Le relazioni saranno pubblicate negli Annali dell’Accademia; proprio per questo mi limiterò ad alcune considerazioni volte a sottolineare tematiche di sicuro interesse per il mondo agricolo e non solo, tematiche di attualità sempre più affrontate a livello nazionale e nei vari summit mondiali. In particolare voglio soffermarmi sul filone delle letture dedicate a “Territorio, ambiente ed energia”. Nella lettura su “Interazione fra uomo e ambiente: il punto di vista del pedologo”, il Relatore ha evidenziato anzitutto i problemi legati al suolo e alla gestione delle acque per poi prendere in esame i complessi rapporti che dominano l’uso del suolo e dell’acqua, una risorsa che diviene sempre meno disponibile e che innesca attriti e anche guerre armate tra Paesi. Questi problemi a loro volta sono fonte di conflitti, migrazioni e distruzione ambientale. Nella relazione su “Agricoltura, paesaggio e governo del territorio”, l’Autore ha esaminato le concause che interferiscono sul degrado del suolo e sull’uso del territorio, quali l’espansione insediativa a carattere discontinuo e lo sfruttamento della fertilità residua. A queste si aggiunge la debolezza degli volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 24 XXIV PIETRO PICCAROLO strumenti di pianificazione, che spesso è la causa della perdita della vocazione agricola delle aree periurbane. Per contenere il fenomeno occorre avere una programmazione territoriale sostenuta da strumenti legislativi applicati rigidamente, nel contemperare la preservazione dell’ambiente con la produzione di alimenti nel quadro della crescita dei fabbisogni alimentari da parte di una popolazione in continuo aumento. Nell’ottica di incrementare la produttività e di ridurre gli sprechi di fertilizzanti e antiparassitari, nonché di tutelare l’ambiente, il supporto dato dalla sensoristica e dalla visione satellitare è in continua crescita. Il tema è stato affrontato nella relazione “L’agricoltura di precisione nella gestione dell’azienda agricola”, in cui sono state illustrate le componenti basilari su cui essa si fonda, soffermandosi in particolare sui sistemi GPS, sulla guida assistita e automatica delle macchine agricole, sui diversi tipi di sensori di campo e sull’acquisizione e gestione automatica dei dati. Il tema delle energie rinnovabili in agricoltura è stato sviluppato nella lettura “Energie rinnovabili e agroecosistema”. Rispetto a Germania e nord Europa, l’Italia è in ritardo anche se, specie per solare e biomassa si è registrato negli ultimi anni un forte incremento, sia pure con tecnologie spesso di importazione. Le agroenergie possono essere un’opportunità per il settore primario, per cui vanno considerate con grande interesse. L’importante però è evitare che questa opportunità, anziché avvantaggiare le imprese agricole, sia fonte di speculazione. Nella celebrazione dei duecento anni dalla nascita di Cavour, l’Accademia non poteva non ricordare il Cavour accademico. Allo statista è stata dedicata una assemblea con una relazione su “Cavour: Accademico e Ministro dell’Agricoltura”. Mi limiterò a ricordare che Cavour divenne socio ordinario dell’Accademia nel 1849, dopo pochi mesi dal suo ingresso in Parlamento e prima di assumere l’incarico di Ministro dell’Agricoltura. L’interesse di Cavour in agricoltura è stato intenso e fattivo. Introdusse per primo il guano in Piemonte, si adoperò per la diffusione dei concimi chimici, sperimentò e promosse il drenaggio, introdusse nuove macchine agricole prodotte in Gran Bretagna ed avviò molte iniziative, alcune delle quali vennero portate a termine dopo la sua morte. Proprio per celebrare la figura di Cavour imprenditore e riformatore agrario, il Consiglio Regionale del Piemonte, in collaborazione con il Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, in occasione del bicentenario della nascita e della ricorrenza del 150° anno dell’unità d’Italia, ha assegnato cinque borse di studio tese a valorizzare l’impegno dello statista in campo agrario. In questa occasione voglio però soprattutto sottolineare il fatto che il rapporto di Cavour con l’Accademia fu continuo e si esplicò affidando alla stessa numerosi incarichi di analisi, di studio e di ricerca sulle principali tematiche del momento. Ruolo, questo, che ancora oggi la nostra Accademia vorrebbe svolgere, grazie alle diversificate competenze dei suoi soci. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 25 L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO XXV 2.2 - Attività di ricerca e sperimentale Voglio ricordare che, grazie alla strumentazione del CNR, viene sviluppata un’intensa attività di certificazione di macchine agricole con particolare attenzione ai requisiti di sicurezza e di stabilità. Si tratta di valutazioni importanti, in quanto non va dimenticato che gli infortuni mortali che si verificano in agricoltura sono ancora troppo elevati e il ribaltamento del trattore ha purtroppo un’incidenza molto forte. Nell’azienda di Vezzolano e nel Centro Sperimentale vitivinicolo Regionale Tenuta Cannona a Carpeneto (AL), da anni si conducono ricerche sulla viticoltura collinare valutando l’effetto di diverse tecniche colturali e delle condizioni climatiche sui risultati produttivi e sulle fasi fenologiche della vite. La notevole massa di dati accumulati ha consentito di mettere a punto un modello in grado di prevedere, già a metà anno, la data delle diverse fasi fenologiche e delle principali caratteristiche produttive del vigneto: produzione d’uva e di sarmenti e tenore zuccherino dell’uva. Nell’areale vercellese infine è in atto la sperimentazione sulla risicoltura di precisione. In particolare essa è mirata a regolare la concimazione azotata in fase di formazione della pannocchia in funzione del vigore vegetativo automaticamente rilevato attraverso sensori che operano nell’infrarosso, al fine di limitare gli sprechi, evitare l’insorgere di malattie (brusone), incrementare la produzione e tutelare la qualità del prodotto. Sul miglioramento genetico del riso molto può essere ancora fatto, però non va dimenticato che oggi le nostre cultivar non sono utilizzate al massimo della loro potenzialità produttiva e che molto si può ottenere con una gestione razionale di tutti i fattori della produzione, a partire dalla fertilizzazione. 2.3 - Attività di biblioteca, di archivio e di valorizzazione del patrimonio museale Va anzitutto sottolineato che queste attività consentono la gestione di un prezioso patrimonio storico di grande rilievo, a livello nazionale e internazionale. Oltre a ricordare che la biblioteca è aperta al pubblico e alle consultazioni, si vuole evidenziare la continua attività di schedatura delle nuove accessioni e degli estratti storici di cui l’Accademia dispone. Il ricco archivio, grazie al suo inserimento on-line con il Sistema Guarini, ha avuto un forte incremento delle consultazioni e anche il percorso museale ha registrato una crescita delle visite. È proseguita la catalogazione della collezione Garnier Valletti finalizzata all’inserimento in formato digitale per consentirne la consultazione on-line. L’Accademia inoltre ha fornito supporto a ricerche per tesi di laurea, di dottorato e per saggi di carattere storico. Proprio in questa settimana, l’Accademia è stata frequentata dal Prof. Laurent Brassart dell’Università Charles de Gaulle di Lille, per una sua ricerca sulle Sociétés Centrales d’Agriculture nel periodo napoleonico, durante il quale anche la nostra Accademia cambiò nome, da Reale Accademia di Agricoltura a Société Centrale d’Agriculture. Il volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 26 XXVI PIETRO PICCAROLO Prof. Brassart, che è qui presente, si è complimentato, sia per il grande valore del nostro archivio storico decisamente superiore a quello delle altre accademie visitate, sia per la precisa catalogazione e conservazione dello stesso. 3 - AGRICOLTURA E CRISI GLOBALE Riprendendo temi trattati nelle citate letture, desidero fare alcune considerazioni generali sulla crisi globale che investe tutti i settori produttivi evidenziandone le ricadute sull’agricoltura, a partire dalla situazione a livello mondiale per scendere poi a quella nazionale e regionale. 3.1 - La situazione a livello mondiale La crisi globale che stiamo attraversando è soprattutto una crisi del mondo occidentale in quanto i paesi emergenti, quali Cina, India e Brasile, non hanno subìto che parzialmente i fenomeni recessivi. Sono cioè i Paesi nei quali l’agricoltura ha un peso rilevante sul piano economico e sociale a godere, nonostante la crisi, di incrementi di reddito significativi. Del resto sono molti gli indicatori che segnalano l’importanza di non trascurare la produzione di materie prime; l’esigenza cioè di non trascurare il settore primario, come purtroppo è avvenuto in alcuni paesi occidentali. Recentemente la FAO ha lanciato l’allarme sull’innalzamento dei prezzi dei prodotti alimentari, prezzi che hanno raggiunto il massimo storico. Questa fiammata dei prezzi è iniziata la scorsa estate con quelli del grano ed è proseguita con le altre derrate alimentari. Le ragioni sono diverse. Fra queste certamente: - l’andamento negativo dei raccolti nel corso del 2010 a causa di avversità climatiche. In particolare la forte siccità che ha interessato la Russia, gli altri Paesi dell’Asia centrale e l’Argentina. Per contro vi sono state inondazioni in Australia e forti piogge primaverili negli Stati Uniti e nell’Europa centrale; - l’aumento della domanda di prodotti alimentari dovuto al miglioramento delle condizioni di vita e delle abitudini alimentari nei paesi emergenti, nonché alla crescita della popolazione mondiale che, nel 2050, supererà i 9 miliardi di abitanti; - l’aumento dei prezzi delle materie prime essenziali per la produzione agricola, in particolare dei fertilizzanti e del petrolio che, per molti Paesi tra cui l’Italia, rappresenta la principale fonte di approvvigionamento energetico. Va detto però che sulla forte volatilità dei prezzi delle derrate alimentari un ruolo non trascurabile è svolto dalla speculazione. Oggi essa agisce con sofisticati meccanismi del campo finanziario rappresentati dai futures. In passato i futures erano strumenti di copertura dal rischio utilizzati sostanzialmente dai produttori e dai consumatori. Oggi invece vengono ad essere interessati soggetti finanziari che comprano contratti solo per speculare, cioè per rivenderli a prezzi più alti. Basta quindi un’anomalia climatica per dare il via alla speculazione e all’impennata dei prezzi, a cui si cerca di opporsi ricorrendo alle scorte, ma con risultati spesso deludenti. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 27 L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO XXVII Altro fatto negativo è la riduzione della superficie a produzione agricola, per depauperamento della fertilità del suolo e per uso improprio dello stesso. Questo fenomeno è molto preoccupante perché contrasta col fatto che per potere assolvere ai fabbisogni alimentari degli oltre 9 miliardi di abitanti previsti per il 2050, la produzione agricola mondiale dovrà crescere del 70 %. Questa crescita, secondo la FAO, richiederà investimenti di 83 miliardi di dollari l’anno. La scarsa disponibilità di superficie agricola spinge ad un vero e proprio accaparramento della stessa da parte dei Paesi che dispongono di forti capacità finanziarie. Questo fenomeno ha ormai assunto grandi proporzioni e viene definito come il “neocolonialismo”; fenomeno che si stima possa arrivare a coprire circa un quinto della produzione mondiale delle derrate alimentari. Per rendersene conto basta pensare alle terre che la Cina sta acquisendo a vario titolo in Africa e in almeno una decina di altri Paesi. Ed ancora, il Kuwait ha rivolto i suoi interessi verso la Cambogia e lo Yemen. Strettamente legati al tema della produzione agricola sono i problemi connessi alla risorsa idrica. L’acqua è la dimostrazione visibile dei cambiamenti climatici. L’alterazione del regime, dell’intensità e della frequenza delle precipitazioni provoca alluvioni in alcune regioni e aridità in altre, con effetti comunque dannosi per la popolazione e per il territorio. Quando si pensava che i corsi d’acqua rappresentassero una fonte illimitata, si sono deviati i fiumi e sfruttate senza criterio le falde acquifere. Anche se durante le piogge torrenziali l’acqua che arriva dal cielo è troppa, quella effettivamente disponibile per usi civili, alimentari, industriali e agricoli, è sempre meno. Oggi, nei Paesi dove vive metà della popolazione mondiale, il livello freatico è calato paurosamente. Nell’Africa subsahariana il 40 % delle case si trova a più di mezz’ora di cammino dalle fonti d’acqua e oltre due miliardi di persone vivono lungo il corso di fiumi sottoposti a un vero e proprio stress idrico. Dal 1950 ad oggi, la disponibilità annuale pro capite di acqua nel mondo si è più che dimezzata, passando da quasi 17.000 a 6.000 metri cubi, mentre nello stesso periodo la popolazione mondiale è raddoppiata. È proprio nell’industria e nell’agricoltura che si registrano i più alti consumi. Produrre generi alimentari per l’uomo richiede da 2.000 a 5.000 litri di acqua al giorno. Molto si può fare per risparmiare l’acqua, recuperando quella già usata e utilizzando metodi efficaci di irrigazione. È stato valutato che se si riuscisse a raddoppiare la produzione agricola per unità di volume d’acqua impiegato, con le terre oggi coltivate si potrebbe soddisfare il fabbisogno alimentare dei citati nove miliardi di popolazione mondiale del 2050. Altro tema su cui la produzione agricola è costretta a misurarsi a livello planetario è quello energetico. I raccolti mondiali oggi alimentano circa 4 persone per ettaro coltivato, mentre nel 1900 ne alimentavano 1,5. Tale risultato è stato possibile grazie a un aumento di circa 150 volte dell’energia impiegata in agricoltura. Anche l’agricoltura dei Paesi avanzati è diventata petrolio-dipendente. Questo non è privo di rischi, soprattutto per i Paesi costretti ad importare prodotti petroliferi da aree geopoliticamente instabili. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 28 XXVIII PIETRO PICCAROLO La produzione dei biocombustibili presenta interessanti prospettive, specie per il settore primario che può così diventare fornitore di energia. Va però detto che il suo contributo alla soluzione del problema energetico sarà probabilmente modesto, e che non è scontato che i vantaggi che ne possono derivare siano privilegio degli imprenditori agricoli. In ogni caso, è importante puntare sullo sviluppo della green economy, con un più forte impegno da parte sia del mondo scientifico e sia di quello imprenditoriale. I problemi sono numerosi e di non facile soluzione. È tuttavia indubbio che occorre investire di più in agricoltura, cioè investire di più in ricerca, innovazione, tecnologia e infrastrutture. Invece secondo i dati della Banca mondiale gli investimenti sono andati riducendosi: mentre nel 1979 era destinato allo sviluppo agricolo il 18 % delle risorse, questa quota nel 2004 si è ridotta al 3,5 %. In termini assoluti tra il 1984 e il 2004 la riduzione è stata del 50 %. A livello europeo si lavora per la nuova PAC, cioè si opera per definire la politica agricola dell’Unione Europea a 27 Paesi che coprirà il periodo 20142020. Purtroppo, le previsioni non sono incoraggianti e si teme che i finanziamenti per l’agricoltura diminuiranno. Questa non è una bella prospettiva per il nostro Paese. 3.2 - La situazione a livello nazionale e piemontese Negli ultimi 60 anni il valore della produzione agricola, a prezzi costanti, è aumentato di quasi due volte e mezzo, mentre l’occupazione è scesa dai circa 8 milioni a meno di un milione. Ciò a seguito di profonde trasformazioni che hanno consentito all’agricoltura italiana di occupare i primi posti tra le agricolture europee. Anche se è vero che il valore aggiunto agricolo è intorno al 2 % del PIL nazionale, non va dimenticato che, se si considera l’intero settore agroalimentare, compresa la distribuzione, la ristorazione e gli investimenti a monte e a valle dell’agricoltura, l’incidenza sale sino a valori dell’ordine del 15 % del PIL nazionale. L’agricoltura italiana, se si considera il valore aggiunto, è seconda in Europa solo alla Francia, ma denuncia diverse criticità: - la bassa taglia aziendale, con soltanto il 2 % circa delle aziende con più di 50 ha di SAU; - il basso ricambio generazionale, con un’alta presenza di imprenditori che superano i 65 anni; - il ridotto investimento annuo medio per singola azienda e quindi un ritardo nell’innovazione tecnologica; - la bassa incidenza della spesa comunitaria sul valore della produzione agricola nazionale, che è pari solo al 14 %, contro una media comunitaria del 17,5 %. A ciò si aggiunga il fatto che non sempre l’Italia riesce a spendere i contributi che riceve. Altro aspetto preoccupante per l’agricoltura nazionale - come è stato evidenziato nelle relazioni tenute in Accademia – è la continua diminuzione della superficie agricola. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 29 L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO XXIX Dai dati recentemente presentati dal Presidente di Confagricoltura di Torino, emerge che in Piemonte tra il 1990 e il 2008 si sono persi, per costruzione di nuove opere, circa 24.000 ha di suolo fertile. Nella sola provincia di Torino in 18 anni si è avuta una perdita di circa il 20 % del terreno coltivato; si sono persi cioè oltre 3,5 ha al giorno. È evidente che qualche cosa va rivista nei progetti di programmazione territoriale ed ambientale perché questa tendenza deve essere necessariamente invertita. In altri termini la cementificazione non può essere la risposta alla riduzione delle risorse finanziarie, perché a farne la spesa è il territorio agricolo. Altra tendenza negativa, divenuta negli ultimi anni ormai strutturale, è la riduzione del reddito agricolo, reddito che è circa del 20 % inferiore a quello del 2000. Secondo l’Eurostat, solo nel 2010 i redditi degli agricoltori italiani sono scesi del 3,3 %, mentre nel resto dell’Europa mediamente sono cresciuti del 12,3 %. In Olanda e Francia la crescita è stata dell’ordine del 30 %. Questa situazione impone politiche di crescita specifiche per la nostra agricoltura in modo da fare recuperare competitività all’intero sistema agricolo nella logica dello sviluppo sostenibile. 4 - OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Nella mia esposizione ho voluto affrontare alcuni dei problemi che affliggono sia i Paesi sviluppati come il nostro, sia quelli in via di sviluppo, anzitutto per dimostrare l’importanza dell’agricoltura. Sono proprio la crisi economico-finanziaria e quella alimentare mondiale che testimoniano l’importanza del settore primario da cui, da sempre, dipende il soddisfacimento dei fabbisogni alimentari dell’uomo. L’agricoltura, anche nel nostro Paese e nella nostra Regione, deve essere considerata come settore strategico per la ripresa dello sviluppo. Per questo è importante che l’agricoltura trovi efficienza e competitività, in modo che i redditi delle imprese agricole siano adeguati a quelli degli altri settori. Una nuova agricoltura deve fare leva su ricerca e innovazione senza mancare ai necessari riferimenti alla sostenibilità, alla responsabilità sociale, alla tutela del territorio e dell’ecosistema. Sono questi gli obbiettivi che devono guidare, sia le scelte di indirizzo politico, sia il comportamento delle imprese, al fine di creare un grande equilibrio fra crescita, logiche di mercato, ecologia e sicurezza alimentare. La realizzazione di questa nuova agricoltura non è facile e richiede anzitutto investimenti, ma anche volontà, intelligenza e grande competenza. L’Accademia, con i tanti e diversificati “saperi” dei suoi soci, è pronta a fare la sua parte e si augura, come già avvenne con Camillo Benso conte di Cavour, di essere chiamata dal potere di governo a collaborare. Si augura però anche di essere messa in condizione di assolvere a questo e agli altri compiti istituzionali. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 30 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 31 PROLUSIONE E MEMORIE volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 32 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 33 PARTIRE DALLA TERRA. CAVOUR, EINAUDI, CALVINO PROLUSIONE TENUTA DAL DOTTOR ERNESTO FERRERO* in occasione dell’Assemblea solenne per l’inaugurazione del CCXXV Anno Accademico tenutasi a Palazzo Lascaris il 26 febbraio 2011 1 - PREMESSA Ogni riforma della scuola si è sempre dimenticata di introdurre un’innovazione piccola ma fondamentale: l’istituzione di un orto di classe, in cui sin dalle elementari i bambini possano fare esperimenti di coltivazione. Imparerebbero molto con poca fatica e grande divertimento, e si vaccinerebbero contro i pericoli di una vita prevalentemente virtuale, che preoccupa giustamente pedagogisti, psicologi, neuroscienziati e genitori responsabili. Oggi più che mai occorre ripartire dalla terra come momento fondamentale di conoscenza, crescita e autoformazione. Parlerò dunque di tre italiani che sono diventati grandi proprio attraverso esperienze agricole dirette, altrettante palestre in cui si sono formati come statisti, scienziati, scrittori. 2 - CAVOUR Molto ha imparato Cavour dalla sua esperienza di imprenditore agricolo, avviata nel 1835 e durata una dozzina d’anni, sino alla discesa in politica. Ne è teatro la vasta tenuta di Leri, nel Vercellese, già appartenuta al principe Camillo Borghese ed acquisita nel 1822 dal padre Michele, con l’intento di farne una tenuta agricola modello. Quando Michele deve onorare le cariche pubbliche cui è chiamato a Torino, di Leri si deve occupare Camillo, che peraltro non sa bene cos’altro fare di se stesso. All’inizio non è semplice passare dai salotti torinesi a un reclusorio in cui non si parlava che di riso, fieno e letame. L’apprendistato è faticoso. Poi la nuova attività finisce per appassionarlo, le riconosce perfino uno charme insospettabile. Nel 1841 dichiarerà che è “la più gradevole e conveniente occupazione del secolo”. Capisce presto che deve *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 34 4 ERNESTO FERRERO praticare una full immersion nei problemi della tenuta; seguire ogni dettaglio di persona, con attenzione maniacale. La svolta avviene nel 1843, quando chiama prima come consulente, poi come socio, un agricoltore di grandi capacità: Giacinto Corio. Nelle lettere scambiate con lui troviamo un Cavour che specula sulla compravendita del grano, vende riso, controlla le lame dei tagliapaglia, progetta brillatoi, modifica aratri, importa vacche e maiali dall’Inghilterra, tenta incroci fra pecore merinos e pecore biellesi, discute con gli agenti e impartisce ordini, controlla gli attrezzi acquistati e i pezzi di ricambio. Dopo molti anni dirà di poter ascrivere a proprio merito l’introduzione del guano in Piemonte e le azioni di proselitismo per il drenaggio, oltre all’aver avviato i lavori del canale che porta il suo nome. Ovvio che nella sua azione di governo Cavour abbia ben presenti le questioni agricole. Nel 1853 vara una legge che crea l’Associazione d’irrigazione dell’Agro Ovest Sesia per la gestione di un nuovo sistema irriguo cui tutti i proprietari sono chiamati a collaborare; organizza un nuovo catasto, poi egregiamente realizzato, e si preoccupa del credito fondiario. Proprio nell’ultimo discorso alla Camera traccia le strategie del futuro sviluppo economico del Paese, una specie di piano di sviluppo, e sottolinea l’importanza dell’istruzione professionale e tecnica. 3 - LUIGI EINAUDI Un altro padre della patria che ha formato se stesso sui campi (e nei vigneti) è Luigi Einaudi. Gli Einaudi venivano, come Giolitti, dalla Val Maira, e s’erano stabiliti a Carrù, dove Luigi nacque nel 1874, prima di trasferirsi a Dogliani. Alle sue spalle intravediamo un piccolo mondo antico di proprietari piccoli e medi, di professionisti e artigiani che si fanno premura di tramandare le proprietà ricevute e le curano con amore, per consegnarle migliorate a chi verrà dopo. Appena salito sulla cattedra di Scienza delle Finanze, il giovane Luigi acquista la tenuta di San Giacomo per trenta volte il suo stipendio annuo di professore, e per anni, per decenni, la conduce con i suoi contadini spalla a spalla. Le parole chiave del suo lessico sono proprietà-famiglia-lavoro. L’attaccamento alla terra, la devozione alla patria e lo spirito di sacrificio: soltanto da qui possono germogliare quelli che egli definisce “gli Stati saldi”. Il lavoro non è mera ripetizione di pratiche arcaiche, ma qualcosa che si nutre di scienza, di tecnica, di tensione innovativa, di curiosità sperimentale e sperimentatrice, ma sempre dentro una cornice di regole rigorose. Bisogna sapere che non tutte le annate sono uguali, che la redditività è un problema di lungo periodo, di investimenti da curare con pazienza. Il reddito va reinvestito per “rinnovare i piantamenti, e fare tutti i vari lavori di conservazione e miglioramento dei terreni e delle case rustìche”. Sono questi i cardini di una riflessione espressa in una lingua mirabile, di classica semplicità, sempre tesa a preservare i territori che separano la libertà dall’abdicazione e dal servilismo volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 35 PARTIRE DALLA TERRA. CAVOUR, EINAUDI, CALVINO 5 verso i potenti. Senza enfatizzare le mitologie della “sovranità popolare”, cui troppo spesso si appellano “tutti i governi tirannici e totalitari”, come se nelle masse ci fosse un equilibrio e una saggezza che non si ritrovano nei singoli. 4 - MARIO CALVINO Mario Calvino, padre di Italo, nasce a Sanremo un anno dopo Luigi Einaudi, da una famiglia di mazziniani e di massoni, cultori del Risorgimento. È un personaggio complesso cui va stretta ogni singola definizione: • agronomo specializzato in culture tropicali, • scienziato, • docente, • educatore, • divulgatore, • sociologo, • missionario, • pubblicista, mansioni svolte in tempi e luoghi diversi: la Liguria dei primi anni del ‘900, poi in Messico e a Cuba, dove è chiamato per chiara fama a dirigere importanti istituzioni statali intorno agli anni ‘20 ( è per questo che Italo nasce vicino all’Avana), poi di nuovo in Italia, animatore della Stazione Agricola Sperimentale Grazio Raimondo di San Remo. Persona schietta, appassionatissima del suo lavoro, è considerato scorbutico, magari scomodo perché parlava chiaro, non si piegava a compromessi. Anche per lui l’agricoltura era anzitutto autocostruzione: il bravo agricoltore deve in primo luogo coltivare se stesso. È un uomo aperto all’innovazione, al progresso sociale, alla solidarietà. Vive a un’ora da Sanremo, in una zona piuttosto selvaggia. Grande camminatore, per fare apostolato all’alba prende il treno, poi s’inerpica fino ai paesi più sperduti della sua Liguria con le tasche della giacca alla cacciatora piena di estratti di riviste, forbici da potatore, coltelli da innesto, rafia e spago. Per guadagnarsi la confidenza dei contadini maneggia una biscia che ha trovato per via. Promuove la costruzione delle vasche di cemento per l’accumulo dell’acqua, si batte per il credito agrario e la viabilità tra poderi, insiste sulla cooperazione e l’associazionismo. Insegna le tecniche di potatura e d’impollinazione artificiale per ottenere nuove varietà di fiori: fu lui il padre spirituale degli ibridatori sanremesi che cresceranno decenni dopo. Al figlio Italo, Mario e sua moglie Èva Mameli, prima donna ad avere una cattedra di Botanica, hanno trasmesso l’attitudine scientifica, classificatoria e combinatoria, il rifiuto d’ogni retorica, la forte etica civile. A questo padre ruvido, esigente con se stesso e generoso con gli altri, Italo ha dedicato uno dei suoi racconti più belli: “La strada di San Giovanni”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 36 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 37 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA MEMORIA DEL DOTT. MARCELLO CALLARI* presentata all’Adunanza del 28 gennaio 2011 RIASSUNTO: La Banca d’Italia fu istituita nel 1893 (dal 1861 l’Italia aveva una moneta unica, ma fino al 1874 molti istituti operanti nei vecchi Stati ebbero facoltà di emissione) e nel tempo acquisì funzioni, compiti e fisionomia nuovi. Una fra le tappe fondamentali fu nel 1936, con la legge di riforma bancaria che definì la Banca d’Italia Istituto di diritto pubblico e le affidò la funzione di emissione. Nel 1947 poi il meccanismo della riserva obbligatoria venne riformato con il progressivo inserimento nella comunità finanziaria internazionale; nel 1978 si ebbe l’adesione dell’Italia al Sistema Monetario Europeo e nel 1993, a seguito della firma del Trattato di Maastricht, il Testo unico bancario assegnò alla Banca la responsabilità del sistema dei pagamenti e l’anno seguente fu firmato il Testo unico della finanza. La partecipazione del Governatore della Banca d’Italia al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea è prevista nell’ambito dell’Eurosistema. Fra le recenti evoluzioni vi sono la tempestiva adozione di un Codice Etico non soltanto per i membri del Direttorio, ma anche per il personale della banca ed una particolare attenzione alle problematiche ambientali con azioni concrete in vista di diminuire l’impatto ambientale dell’attività della Banca d’Italia. SUMMARY: The role of the Bank of Italy The Bank of Italy was established in 1893 (from 1861 Italy has a single currency, but until 1874 many States were allowed to money emission) and over time acquired functions, tasks and new structure. One of the milestones was in 1936, the nomination of the Bank of Italy as regulatory institution with the function of money emission. In 1947 the national compulsory reserve mechanism was modified with the progressive integration into the international community. In 1978 Italy joined the European Monetary System and in 1993, following the signing of the Treaty of Maastricht, the Unitary monetary Code assigned to the Bank the responsibility of the payment system and the following year was signed the finance code. The participation of the Governor of the Bank of Italy to the Council of the European Central Bank is included in the European agreement. Recently the Bank of Italy has adopted an Ethic Code applied not only to the members of Board Directors, but also for bank staff. The bank pays also particular attentions to environmental issues with actions aimed at reducing the environmental impact of the Bank of Italy. 1 - PREMESSA Le origini della banca si perdono nella notte dei tempi. Non così quelle *Direttore della Sede di Torino della Banca d’Italia. E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 38 8 DOTT. MARCELLO CALLARI delle banche centrali. La loro storia si condensa tutta negli ultimi tre secoli dell’età moderno-contemporanea. Per tutte è possibile fissare con precisione la data di nascita: 1668 per la Banca centrale di Svezia, 1694 per la Banca centrale d’Inghilterra, 1800 per la Banca centrale di Francia, 1814 e 1817 rispettivamente per la Banca di Olanda e per quella austriaca, 1850 per la Banca del Belgio, 1875 per la Reichsbank, 1882 per quella del Giappone, 1893 per la Banca d’Italia, 1913 per il Federal Reserve System degli Stati Uniti. Questa litania di date apparentemente precise rischia però di essere fuorviante, perché la Banca centrale non nacque come istituzione compiuta e definita come la si conosce noi oggi. La Banca centrale è un organismo che si sviluppò nel corso del tempo acquisendo progressivamente funzioni, compiti e fisionomia nuovi e sempre più complessi, instaurando relazioni via via più intricate e delicate col resto del sistema bancario e finanziario, con il potere politico, con il sistema economico in genere. Così Carlo Maria Cipolla (nella prefazione ai primi volumi della Collana storica della Banca d’Italia) invita a riflettere sull’identità e le funzioni di una banca centrale in divenire. La Banca d’Italia fu istituita nel 1893 nell’ambito di un riordino complessivo degli istituti di emissione. Nel 1926 la posizione sostanzialmente pubblica dell’Istituto ebbe un importante riconoscimento: la Banca d’Italia divenne l’unico istituto autorizzato all’emissione di banconote e le furono affidati poteri di vigilanza sulle altre banche, successivamente ampliati e potenziati dalla legge bancaria del 1936. Quest’ultima riconobbe inoltre formalmente la Banca come istituto di diritto pubblico e avrebbe costituito la norma fondamentale del sistema bancario italiano fino al 1993, quando è stato promulgato il vigente Testo Unico in materia bancaria e creditizia. Nel 1947 la manovra di stabilizzazione della lira costituì uno snodo cruciale nella storia dell’Istituto: l’inflazione postbellica fu troncata e vennero poste le condizioni monetarie per il «miracolo economico» degli anni Cinquanta. Nella Costituzione del 1948 fu introdotto il principio della tutela del risparmio. Dopo gli shock che negli anni Settanta hanno scosso il sistema monetario internazionale e la lira, il processo di disinflazione è stato favorito in Italia da una più decisa tutela giuridica dell’autonomia della banca centrale. La riconquistata stabilità della lira e l’avvio del riequilibrio della finanza pubblica hanno consentito all’Italia, nel rispetto dei criteri indicati dal Trattato di Maastricht (1992), di far parte del primo gruppo di Paesi che nel 1999 hanno adottato l’euro come propria moneta; le banconote e le monete in euro hanno cominciato a circolare nel 2002. 2 - LE ORIGINI All’indomani dell’unificazione politica del 1861, l’Italia era economicamente arretrata rispetto ai maggiori Paesi europei: il prodotto pro capite era meno della metà di quello inglese, poco più della metà di quello francese. Il sistema bancario era composto da piccole ditte individuali, da pochi istituti pubblici e da alcune banche di emissione; scarsa era la circolazione di carta moneta. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 39 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 9 Le banche di emissione si erano affermate negli Stati preunitari nella prima metà dell’Ottocento. L’Italia unita ebbe una moneta unica ma una circolazione cartacea spezzettata, perché quasi tutti gli istituti operanti nei vecchi Stati mantennero la facoltà di emettere biglietti nel nuovo regno. Al Nord la Banca Nazionale nel Regno d’Italia (che veniva dalla fusione fra la Banca di Genova e la Banca di Torino); al Centro la Banca Nazionale Toscana, affiancata nel 1863 dalla Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia; al Sud il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Quando, dopo l’annessione di Roma nel 1870, la Banca degli Stati pontifici divenne Banca Romana, gli istituti di emissione diventarono sei. Tutte le banche menzionate emettevano biglietti in lire convertibili in oro e operavano in concorrenza fra loro. Due di esse erano pubbliche, Banco di Napoli e Banco di Sicilia, le altre private, ma vigilate dallo Stato. Il corso forzoso (cioè la non convertibilità), imposto nel 1866, fece in modo che la circolazione di moneta cartacea superasse quella metallica. Nel 1874 fu varata la prima legge organica dello Stato italiano sull’emissione cartacea: indicando espressamente i sei istituti autorizzati, essa introdusse un oligopolio legalizzato e regolato. Non si realizzò dunque una banca unica, soprattutto per la forza degli interessi regionali che non volevano privarsi di una banca di emissione locale. Data la scarsa diffusione dei depositi bancari, la fonte principale di risorse per effettuare il credito bancario era costituita proprio dall’emissione di biglietti: in pratica, accettando i biglietti di banca, il pubblico faceva credito agli istituti di emissione, e questi potevano far credito ai propri clienti. Soltanto negli anni Settanta cominciarono ad affermarsi banche non di emissione (cioè simili alle banche che tutti conosciamo), come il Credito Mobiliare e la Banca Generale, a respiro nazionale e con contatti internazionali. In questo quadro, gli istituti di emissione svolsero un ruolo importante: principalmente attraverso lo sconto di cambiali essi diedero un contributo essenziale al finanziamento della produzione e dell’investimento; combatterono l’usura; favorirono la monetizzazione dell’economia italiana. L’abolizione del corso forzoso, decretata nel 1881 e attuata nel 1883, segnò l’inizio di una breve illusione: l’euforia provocò un surriscaldamento dell’economia al quale non si reagì con le politiche giuste. Intorno al 1887 il corso forzoso era restaurato di fatto. Il boom edilizio innescato da Roma capitale, sostenuto in parte da capitali esteri, coinvolse anche gli istituti di emissione. L’espansione eccessiva portò a una bolla speculativa, e poi alla crisi. La crisi bancaria dei primi anni Novanta, accoppiata a una crisi di cambio, assunse anche una dimensione politica e giudiziaria clamorosa nel dicembre del 1892, quando fu rivelata la grave situazione delle banche di emissione e soprattutto i gravi illeciti della Banca Romana, fino a quel momento coperti dal Governo. In una situazione di estrema difficoltà, fra battaglie aspre, il Paese trovò la forza di reagire. La legge del 1893 dettò nuove regole per l’emissione e portò alla costituzione della Banca d’Italia, che risultò dalla fusione fra tre volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 40 10 DOTT. MARCELLO CALLARI degli istituti esistenti, la Banca Nazionale e le due banche toscane; essa fu guidata dal Direttore Generale Giacomo Grillo. La Banca Romana venne liquidata, mentre gli istituti meridionali continuarono la loro attività. Il primo importante ciclo di vita della Banca può essere racchiuso tra l’anno della sua nascita, il 1893, e l’affermazione esplicita della sua natura pubblica, nel 1936. La legge bancaria del 10 agosto 1893, n. 449 istitutiva della Banca d’Italia, fu fondamentale perché: ridefinì il sistema della circolazione cartacea, che venne basato sulla copertura metallica dei biglietti (più precisamente: del 40 per cento di essi) e su un limite di emissione assoluto; pose le premesse per il risanamento degli istituti di emissione; avviò il processo di transizione verso una banca di emissione unica; introdusse norme che ponevano la tutela dell’interesse pubblico al di sopra delle esigenze di profitto degli azionisti (esempio: approvazione governativa sia per la nomina del capo della Banca – allora era il Direttore Generale – sia per le variazioni del saggio di sconto). In quegli anni Giuseppe Marchiori, Direttore Generale dal 1894 al 1900, iniziò concretamente a emarginare gli interessi degli azionisti privati e ad affermare l’adesione dell’Istituto a obiettivi pubblici. D’altra parte, la Banca rimaneva una società per azioni privata, che esercitava la facoltà di emissione monetaria in regime di concessione. Parte notevole nell’evoluzione della Banca ebbe poi la nomina, nel 1900, di Bonaldo Stringher a Direttore Generale della Banca. In età giolittiana la Banca seppe conciliare, dato anche il quadro economico favorevole, la stabilità finanziaria e del cambio con il sostegno all’attività produttiva. Nel 1902 fu raggiunta la vecchia parità della lira con l’oro; da allora l’Italia si comportò come se aderisse al gold standard, ma, ammaestrata dalle crisi precedenti, non dichiarò ufficialmente la convertibilità della moneta. Nel 1906 la conversione della Rendita Italiana fu curata con successo dalla Banca; si affermò così definitivamente la sua funzione di banchiere e quindi di consulente del Governo, ruolo che andava ad aggiungersi a quello precedente di tesoriere. In parallelo con la ripresa economica e il processo di industrializzazione, il sistema creditizio era cambiato: nello spazio creatosi con la crisi del 189394 – che vide il fallimento delle due più importanti banche mobiliari – si sviluppò un sistema nuovo in cui il grosso dell’intermediazione creditizia cominciò a passare dai tre istituti di emissione superstiti (Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia) alle grandi banche miste di recente fondazione (Banco di Roma, Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano). Nel 1907 la Banca d’Italia intervenne efficacemente per arginare una grave crisi finanziaria, stabilendo la propria funzione di prestatore di ultima istanza e consolidando sul campo la propria reputazione. Per agevolare questo compito, il sistema della circolazione fu reso più elastico con una legge varata alla fine dell’anno. Cominciò ad avvertirsi l’opportunità di una funzione di controllo sulle aziende bancarie. Alla vigilia della prima guerra mondiale la Banca d’Italia rivestiva una po- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 41 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 11 sizione centrale nel panorama finanziario nazionale: per l’importanza del suo credito nell’economia del Paese, per l’opera svolta a favore della stabilità finanziaria, per il rafforzamento delle riserve metalliche, per il concorso fornito al Tesoro nella gestione del debito pubblico. 3 - IL PRIMO DOPOGUERRA E IL CONSOLIDARSI DEL RUOLO PUBBLICO DELLA BANCA Nel corso della prima guerra mondiale la Banca sovvenne largamente il Tesoro: con il credito diretto, con l’assistenza al collocamento dei prestiti di guerra all’interno, con la gestione delle operazioni finanziarie con l’estero. L’aggancio della lira all’oro fu abbandonato e si instaurò il monopolio statale dei cambi. Nel dopoguerra le difficoltà della riconversione misero in crisi molti settori dell’industria e le istituzioni creditizie che li avevano finanziati largamente, fino a determinare gravi dissesti bancari. La Banca d’Italia, d’accordo con il Governo, effettuò imponenti operazioni di salvataggio. Sul piano valutario si superò il monopolio dei cambi ma, nelle nuove circostanze, il ritorno alla normalità monetaria fu impossibile: gli strumenti di controllo della circolazione vigenti risultarono totalmente privi di efficacia. In tutti i Paesi e nelle sedi internazionali si dibatté su come ritornare a un sistema a base metallica. L’Italia tenne un atteggiamento conservatore, orientato al gold standard classico. In uno scenario tendenzialmente inflazionistico nel 1926 si arrivò alla decisione del governo fascista di rivalutare la lira, deflazionando l’economia. Come parte di questo piano di stabilizzazione monetaria e di ritorno all’oro (realizzato dalla Banca d’Italia, nonostante i dubbi di Stringher sui forti rischi deflativi), nell’arco di un triennio furono introdotte importanti riforme. Alla Banca d’Italia fu attribuito il monopolio delle emissioni e affidata la gestione delle Stanze di compensazione, snodi centrali di un moderno sistema dei pagamenti. Fu anche varata una legge per la tutela del risparmio: per le banche furono stabiliti obblighi speciali, fra cui un capitale minimo, e attribuiti alla Banca d’Italia nuovi poteri di controllo, primo nucleo della funzione di vigilanza creditizia. L’opera di riforma fu completata nel 1927-28 con la fissazione della nuova parità aurea della lira e il ripristino della convertibilità in oro o in divise estere convertibili (gold exchange standard), l’obbligo di mantenere una riserva in oro o in divise convertibili non inferiore al 40 per cento della circolazione, la ridefinizione dei rapporti con il Tesoro. Per effetto di questi provvedimenti, l’Istituto, abbandonando il vecchio ruolo di “banca di circolazione”, venne ad assumere funzioni di vera e propria banca centrale e di organo di controllo del sistema creditizio; si accentuò il suo carattere sostanziale di ente pubblico. Nel 1928 fu approvato il nuovo Statuto, che istituiva la figura del Governatore, posto al vertice del Direttorio (composto da Governatore, Direttore Generale, Vicedirettore Generale); la responsabilità per la manovra del tasso di sconto passò dal Consiglio superiore al Governatore, sempre previa approvazione del Governo. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 42 12 DOTT. MARCELLO CALLARI 4 - LA GRANDE DEPRESSIONE E LA LEGGE BANCARIA DEL 1936 Morto Stringher nel 1930, la direzione della Banca passò a Vincenzo Azzolini, proveniente dal Tesoro. Nel pieno della Grande Depressione, la svalutazione della sterlina (settembre 1931) e di gran parte delle altre monete equivalse di fatto a un’ulteriore rivalutazione della lira. Si accentuò il carattere deflativo della politica italiana e pesanti furono le conseguenze sull’attività economica e sul sistema finanziario. Lo Stato e la Banca centrale salvarono dal tracollo le maggiori banche miste, gonfie di partecipazioni azionarie sempre più svalutate. La Banca d’Italia si trovò con un attivo fortemente immobilizzato e quindi nell’impossibilità di manovrare ulteriormente. Vennero così creati prima l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) con il compito di assicurare i finanziamenti di medio-lungo periodo e poi l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che acquisì le partecipazioni azionarie delle banche in difficoltà e i pacchetti di controllo delle banche stesse. A metà degli anni Trenta le tensioni che avrebbero portato al nuovo conflitto mondiale si manifestarono sul piano monetario e valutario nella cessazione di fatto della convertibilità della lira in oro e nella sospensione dell’obbligo della riserva aurea (che non verrà più ripristinato). In questo contesto di preparazione alla guerra (nel 1935 iniziò l’aggressione all’Etiopia) venne elaborata, in ambito IRI, la legge di riforma bancaria del 1936. Una prima parte (tuttora in vigore) della legge definì la Banca d’Italia “istituto di diritto pubblico” e le affidò definitivamente la funzione di emissione (non più, quindi, in concessione); gli azionisti privati vennero espropriati delle loro quote, che furono riservate a enti finanziari di rilevanza pubblica; alla Banca fu proibito lo sconto diretto agli operatori non bancari, sottolineando così la sua funzione di banca delle banche. Una seconda parte della legge (abrogata quasi interamente nel 1993) fu dedicata alla vigilanza creditizia e finanziaria: essa ridisegnò l’intero assetto del sistema creditizio nel segno della separazione fra banca e industria e della separazione fra credito a breve e a lungo termine; definì l’attività bancaria funzione di interesse pubblico; concentrò l’azione di vigilanza nell’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito (organo statale di nuova creazione), presieduto dal Governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d’Italia, ma diretto da un Comitato di Ministri presieduto dal capo del Governo. Consapevole degli sviluppi della scienza economica e delle sfide poste da un mondo in continua e traumatica evoluzione, il Governatore Azzolini iniziò la creazione di un moderno Servizio Studi, attraverso l’assunzione di economisti professionisti. Alla fine del 1936 la svalutazione della lira, lungamente attesa, favorì la ripresa economica e il riequilibrio dei conti con l’estero. Contemporaneamente, per effetto di un semplice decreto ministeriale, fu rimosso ogni limite alla possibilità dello Stato di finanziarsi per mezzo di debiti verso la Banca centrale: l’autonomia di quest’ultima toccò il punto più basso. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 43 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 13 5 - LA SECONDA GUERRA MONDIALE E LA STABILITÀ MONETARIA POSTBELLICA La seconda guerra mondiale, con la divisione del Paese, i combattimenti in gran parte della penisola, l’occupazione straniera, inferse un duro colpo all’economia nazionale. La lira si ridusse a un trentesimo del suo valore prebellico (al termine della prima guerra mondiale il valore della lira si era ridotto a un quinto di quello prebellico). La Banca d’Italia, come le altre istituzioni del Paese, visse momenti drammatici. L’amministrazione fu spezzata in due; regimi commissariali vennero instaurati al Nord, nella Repubblica Sociale, e al Sud, nel Regno d’Italia. Con la nomina di Luigi Einaudi a Governatore (gennaio 1945) si posero le premesse per il ritorno alla normalità, che ebbe inizio alla fine della guerra. La riconversione postbellica, pur difficile, non comportò problemi di stabilità delle banche, come era invece avvenuto alla fine del precedente conflitto, perché le banche, a causa della precedente riforma, non avevano rilevanti immobilizzi. Assai preoccupante era invece la situazione della lira: alla fine del 1946 l’inflazione riprese a galoppare. I punti essenziali del risanamento monetario, realizzato fra il 1945 e il 1948 con disegno coerente, furono quattro. Il primo fu l’arresto dell’inflazione. Nell’estate del 1947 il meccanismo della riserva obbligatoria venne riformato e finalizzato alle esigenze del controllo monetario. Il potere di variare il coefficiente di riserva venne assegnato a un organismo di nuova creazione, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), presieduto dal Ministro del Tesoro. La riforma, indicando chiaramente la volontà dell’autorità monetaria di porre fine all’inflazione, agì sulle aspettative e troncò l’ascesa dei prezzi. Il secondo punto fu il ristabilimento di un limite al finanziamento monetario dello Stato: nel maggio 1948 l’indebitamento del Tesoro in conto corrente verso la Banca centrale fu limitato al 15 per cento delle spese previste nel bilancio dello Stato. Il terzo punto fu l’inserimento nella comunità finanziaria internazionale: nell’ottobre del 1946 l’Italia venne ammessa agli istituti nati con gli accordi di Bretton Woods. Iniziò la liberalizzazione del commercio dei cambi e, dopo la svalutazione del novembre 1947, scomparve il doppio mercato dei cambi. Venne creato l’Ufficio Italiano dei Cambi per la gestione delle transazioni valutarie. L’Italia avrebbe fatto parte in seguito dell’Unione Europea dei Pagamenti, creata nel 1950. Il quarto punto fu il riordino della vigilanza. Dopo la soppressione dell’Ispettorato creato nel 1936, la funzione di vigilanza venne assegnata istituzionalmente alla Banca d’Italia; la responsabilità politica sulla materia venne riservata al CICR, alle cui sedute partecipava – in qualità di capo dell’organo tecnico – il Governatore. Il principio della tutela del risparmio veniva fissato nella nuova Costituzione del 1948, con l’art. 47. Il consolidamento della lira, al quale contribuì grandemente il Direttore Generale della Banca Donato Menichella, costituì la piattaforma sulla quale si sarebbe fondata la crescita non inflazionistica del periodo successivo. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 44 14 DOTT. MARCELLO CALLARI Dall’immediato dopoguerra fino ai primi anni Cinquanta, l’azione della Banca fu essenziale per attrarre e gestire gli aiuti internazionali (Interim Aid, Piano Marshall, Banca Mondiale) che consentirono di uscire dall’emergenza e di avviare la ricostruzione. 6 - GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE E DELLO SVILUPPO Gli anni Cinquanta furono per l’Italia un periodo di sviluppo economico sostenuto, in un contesto di stabilità monetaria. La scelta dell’apertura internazionale, che introdusse salutari stimoli concorrenziali nel nostro sistema economico, fu consolidata con l’adesione alla Comunità Economica Europea (1957) e con l’introduzione (1958) della convertibilità della lira in altre valute per i non residenti (convertibilità esterna). La Banca, guidata da Donato Menichella (succeduto nel 1948 a Einaudi, nominato presidente della Repubblica), puntò a garantire le condizioni di lungo periodo dell’accumulazione: si interessò direttamente ai problemi dello sviluppo e del Mezzogiorno senza mai abbandonare il controllo della moneta. Gli strumenti della politica monetaria consistevano nella manovra dei saggi di sconto e di anticipazione – che però rimasero fermi per otto anni fra il 1950 e il 1958 – e nel controllo del credito, esercitato anche attraverso la moral suasion. Il riassorbimento periodico della liquidità in eccesso fu ottenuto per mezzo di emissioni di titoli pubblici. L’azione di vigilanza fu volta in primo luogo ad evitare il ripetersi di episodi di immobilizzo degli attivi bancari. Si cercò di fare in modo che la struttura del sistema bancario fosse aderente a quella del sistema industriale: di qui il favore per le piccole banche, ritenute più vicine alle imprese minori (localismo). Nel 1960 Guido Carli fu nominato Governatore della Banca d’Italia. Negli anni successivi si realizzò una graduale trasformazione del quadro strutturale dell’economia del Paese, il sistema creditizio assunse sempre più il compito di riallocare le risorse tra consumi e investimenti e tra settore pubblico e privato. Dalla metà degli anni Sessanta l’azione monetaria fu orientata alla stabilizzazione del corso dei titoli mobiliari, per favorirne il collocamento e quindi incentivare gli investimenti. Nel campo della ricerca economica, gli strumenti di analisi del Servizio Studi furono perfezionati, in particolare con la costruzione del modello econometrico e con la realizzazione dei “conti finanziari”. Per quanto riguarda il sistema creditizio, per la prima volta dagli anni Trenta furono assecondate concentrazioni bancarie, con l’intento di accrescere l’efficienza tecnica degli intermediari, ma si escluse nettamente il ritorno al modello della banca mista. Fu istituita la Centrale dei rischi. 7 - GLI ANNI DELLA TURBOLENZA Il decennio Sessanta si chiuse in mezzo a gravi difficoltà economiche. La volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 45 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 15 fine degli accordi di cambio concordati a Bretton Woods (agosto 1971), il passaggio alla fluttuazione dei cambi, il brusco aumento del prezzo del petrolio aprirono un lungo periodo in cui convissero due mali ritenuti fino a quel momento antitetici: stagnazione e inflazione. In Italia l’inflazione fu notevolmente più alta che nella media dei Paesi industriali. Tra il 1973 e il 1984 non scese mai al di sotto del 10 per cento. Essa ebbe importanti cause interne che si aggiunsero all’aumento dei prezzi internazionali: le forti tensioni sul mercato del lavoro, l’incremento della spesa pubblica non accompagnato da incremento delle entrate, la scarsa concorrenza. Molto giocò il venir meno dell’effetto disciplina rappresentato dal sistema di cambi fissi. La politica di stabilizzazione dei corsi dei titoli, divenuta troppo onerosa, fu abbandonata. Al fine di conciliare il sostegno degli investimenti con il controllo della domanda interna, e di contenere l’aumento dei tassi di interesse, nel 1973 furono introdotti strumenti amministrativi di controllo del credito (massimale sugli impieghi, vincolo di portafoglio) e controlli valutari. L’indirizzo tendenzialmente restrittivo della condotta monetaria fu rivolto in Italia, come in altri Paesi industriali, verso obiettivi intermedi di tipo quantitativo (credito totale interno) esplicitamente dichiarati. Nel 1975 Carli lasciò la guida della Banca; gli successe Paolo Baffi, Direttore Generale dal 1960. In occasione della crisi valutaria del 1976 la Banca rese più incisivo il massimale sugli impieghi e vennero inaspriti i controlli valutari allo scopo di accrescere l’efficacia della manovra restrittiva. Più volte la stessa Banca sottolineò i costi e i limiti connessi con l’adozione di un tale strumentario. Fu quindi avviato un processo volto a rafforzare la capacità della politica monetaria di operare attraverso il mercato, in particolare attraverso l’acquisto e la vendita di titoli (operazioni di mercato aperto). A questo fine nel 1975 furono intrapresi i primi passi per la creazione di un vero mercato monetario, con i mutamenti nelle procedure di emissione dei Buoni ordinari del Tesoro e la riforma degli obblighi di riserva. Nel dicembre 1978 l’Italia aderì al Sistema Monetario Europeo (SME). Essa ottenne che la banda di oscillazione entro cui poteva fluttuare la lira fosse più ampia (6 per cento sopra o sotto la parità centrale) di quella consentita agli altri paesi (2,25 per cento) perché il differenziale di inflazione rispetto a questi ultimi, pur restringendosi, era ancora ampio. L’azione di vigilanza fu volta a incoraggiare il rafforzamento patrimoniale, a migliorare gli assetti statutari e organizzativi delle istituzioni creditizie, a dare spazio alla concorrenza. Nella seconda parte del decennio furono estesi i controlli ispettivi e perfezionate le tecniche di analisi. Per far fronte alla crescente esigenza di coordinamento fra autorità nazionali in materia di supervisione bancaria, si giunse al “concordato di Basilea” del 1983. Nel 1979 un evento drammatico colpì i vertici della Banca d’Italia. Un’iniziativa giudiziaria – basata su argomentazioni che successivamente si dimostrarono del tutto infondate – portò all’incriminazione del Governatore Baffi volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 46 16 DOTT. MARCELLO CALLARI e all’arresto del Vicedirettore Generale Sarcinelli. La vicenda mise a dura prova l’Istituto. La generale dimostrazione di solidarietà da parte dell’opinione pubblica qualificata, italiana e internazionale, l’indipendenza e il prestigio dell’istituzione e delle persone consentirono di superare la grave emergenza. A Paolo Baffi, che preferì dimettersi, successe, nell’ottobre di quell’anno, Carlo Azeglio Ciampi, che dopo una lunga carriera in Banca era stato nominato Direttore Generale nel 1978. 8 - LA LOTTA ALL’INFLAZIONE E MAASTRICHT Il secondo shock petrolifero del 1979-80 alimentò nuovamente la corsa dei prezzi. Ma tre fattori contribuirono a promuovere un processo di diminuzione dell’inflazione e di ristrutturazione del sistema produttivo: l’entrata in funzione, nel 1979, dello SME, al quale si accompagnò una politica poco accomodante, che portò al rafforzamento del cambio reale; l’acquisizione da parte della Banca centrale, a partire dal 1981, della piena autonomia nelle decisioni di acquisto dei Buoni ordinari del Tesoro non optati dagli operatori nel corso delle aste periodiche (il cosiddetto “divorzio”); la moderazione salariale conseguente al forte aumento della disoccupazione e al depotenziamento della scala mobile. I tassi di interesse reali tornarono a valori positivi. Proseguì lo sforzo, avviato dalla seconda metà degli anni Settanta, volto a rafforzare l’efficacia del controllo monetario mediante strumenti di mercato: attraverso un sistema efficiente di aste per l’emissione dei Bot e un funzionale mercato interbancario dei depositi si formò finalmente un vero mercato monetario. Nel 1987 il tasso di inflazione raggiunse un minimo: 4,7 per cento. Nel 1990 la lira aderì alla “banda stretta” di oscillazione. L’inflazione ebbe tuttavia una ripresa (fino al 6,5 per cento nel 1990), dovuta anche ad irrisolti problemi strutturali del paese; divenne preoccupante il disavanzo delle partite correnti; diminuirono gli investimenti. Il riaggiustamento del sistema Italia rimaneva dunque parziale, fragile. Nel febbraio del 1986, con l’approvazione dell’Atto unico europeo, si stabilirono le tappe del processo volto all’abolizione, da completare entro il 1992, delle barriere che ancora dividevano i mercati dei Paesi membri della Comunità. Sei anni dopo, nel febbraio 1992, si giunse alla firma del Trattato di Maastricht, che sta alla base della moneta unica europea e del Sistema europeo delle banche centrali. Nel 1990 il completamento della liberalizzazione valutaria chiuse un ciclo di legislazione vincolistica iniziato nel 1934. Fu favorita l’integrazione internazionale del sistema economico e finanziario italiano. Dagli anni Ottanta la supervisione della Banca d’Italia si è estesa agli intermediari non bancari, limitatamente agli aspetti attinenti alla stabilità del sistema finanziario. È iniziato il passaggio da una vigilanza “strutturale” – cioè volta a orientare, per mezzo di autorizzazioni, la struttura del sistema – a una vigilanza “prudenziale”, prevalentemente fondata su regole generali di comportamento. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 47 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 17 Nel 1990 sono state approvate tre leggi fondamentali concernenti: la banca pubblica e i gruppi (la cosiddetta legge “Amato-Carli”), le attività in valori mobiliari, la tutela della concorrenza. La prima legge ha equiparato le condizioni competitive degli operatori, individuando nella società per azioni il modello generale per lo svolgimento dell’attività bancaria, e ha posto le basi per il trasferimento al settore privato della proprietà bancaria; ha inoltre disciplinato i gruppi creditizi. La seconda legge ha disciplinato intermediari e mercati nel comparto dei valori mobiliari. Il terzo provvedimento ha introdotto principi e strumenti per la tutela della concorrenza. Negli stessi anni la Banca d’Italia si è posta l’obiettivo di migliorare l’efficienza e l’affidabilità dei servizi di pagamento: si è attuata la completa informatizzazione del sistema di compensazione nazionale e della movimentazione dei conti che le banche detengono presso l’Istituto; è stato varato il Mercato telematico dei depositi interbancari (MID). 9 - IN EUROPA Con il Trattato di Maastricht erano stati stabiliti severi parametri di convergenza ai quali avrebbero dovuto adeguarsi i Paesi per entrare nell’unione monetaria. Si erano anche fissati i tempi dell’unione monetaria: una prima fase di avvicinamento economico e istituzionale; una seconda di armonizzazione di norme e procedure nei diversi Paesi, in vista dell’attuazione della politica monetaria comune, che prevedeva la creazione nel 1994 dell’Istituto Monetario Europeo, precursore della Banca Centrale Europea; una terza, dal 1999, prevedeva l’avvio della moneta unica, l’euro. Nell’estate del 1992 i diversi orientamenti delle politiche economiche degli Stati Uniti e della Germania, ed anche incertezze nella ratifica del Trattato di Maastricht, scatenarono una crisi valutaria che colpì molte monete. Tra queste la lira, che perse circa il 20 per cento. In Banca d’Italia Antonio Fazio, già Vicedirettore Generale, successe nel 1993 a Carlo Azeglio Ciampi (chiamato prima al governo e poi alla presidenza della Repubblica) nella carica di Governatore. La situazione di crisi innescò in Italia una vigorosa reazione. In primo luogo fu avviato il risanamento della finanza pubblica, per mezzo di consistenti tagli alle spese e soprattutto incrementi delle entrate. Nell’estate del 1994 fu attuata una stretta che inaugurò un periodo di grande rigore monetario. Nel 1995, anno in cui si produsse una nuova crisi valutaria, il saggio di sconto raggiunse il 9 per cento. La fermezza dell’azione della Banca in quegli anni contribuì a ridurre le attese di inflazione. Frenata la dinamica dei prezzi, nel 1996 iniziò un allentamento delle condizioni monetarie. La ritrovata fiducia, interna e internazionale, consentì la riduzione dei tassi a lungo termine e determinò un drastico taglio dell’onere per interessi sul debito pubblico; in tal modo, la politica monetaria fornì un importante contributo al risanamento finanziario del Paese. Come risultato degli sforzi compiuti, l’Italia entrò a far parte del gruppo di Paesi che parteciparono fin dall’inizio alla moneta unica. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 48 18 DOTT. MARCELLO CALLARI Nel corso degli anni Novanta si è realizzato un processo di convergenza anche negli assetti istituzionali. In linea con le prescrizioni del Trattato di Maastricht, è stata rafforzata l’indipendenza delle banche centrali. Nel nostro Paese questo è avvenuto in varie tappe: all’inizio del 1992 è stato attribuito alla Banca d’Italia il potere di fissare in autonomia i tassi ufficiali; nell’autunno del 1993 è stata approvata la legge che impedisce allo Stato di finanziarsi in conto corrente presso la Banca; dal 1994 la Banca non partecipa più alle aste per il collocamento dei titoli pubblici. Il decreto di recepimento della seconda direttiva comunitaria di coordinamento bancario, del 1992, ha formulato le linee fondamentali dell’ordinamento finanziario italiano. Eliminati gli obblighi di specializzazione che caratterizzavano il sistema creditizio plasmato nel 1936, la banca universale è divenuta una possibilità nel nostro ordinamento. L’insieme dei provvedimenti intervenuti nel corso degli anni – inclusi quelli volti a favorire e ad accompagnare lo spostamento dei risparmiatori verso i titoli privati, la previdenza integrativa, il risparmio gestito – hanno notevolmente innovato il contesto normativo che disciplina l’attività bancaria e quella finanziaria. Ad essi venne data organica sistemazione nel Testo unico bancario del 1993, che ha anche assegnato alla Banca la responsabilità del buon funzionamento del sistema dei pagamenti, e nel Testo unico della finanza del 1998. La legge 28 dicembre 2005, n. 262, sulla tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, ha avviato una riforma dell’assetto istituzionale e organizzativo della Banca d’Italia. Nello stesso mese del 2005 Antonio Fazio si è dimesso dalla carica di Governatore. Il 31 maggio 2006 Mario Draghi, nuovo Governatore nominato il 29 dicembre 2005, ha presentato le sue prime Considerazioni finali all’Assemblea dei Partecipanti. In esse ha ricordato la complessità del campo d’azione di ogni Banca centrale moderna. Tale campo d’azione è, da alcuni anni, divenuto più vasto per le Banche centrali che partecipano all’Eurosistema. Esso spazia dal disegno della politica monetaria comune a quello dei sistemi di pagamento: decisioni e assetti istituzionali devono adattarsi alle esigenze di una progredita, ma diversificata, area economica. La Banca d’Italia è inoltre inserita attivamente in un contesto internazionale più ampio, sia per i principi guida della vigilanza sia per analisi e iniziative legate alla stabilità finanziaria. 10 - FUNZIONI E GOVERNANCE L’assetto funzionale e di governance della Banca d’Italia si basa su un complesso di fonti articolate e di diverso livello: sulla normativa comunitaria che regola l’attività del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), sulle principali disposizioni bancarie e finanziarie attinenti ai poteri di vigilanza e sulle altre norme che disciplinano i rapporti con il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) e con le altre Autorità, sul proprio Statuto. Nell’ambito dell’Eurosistema, di cui è parte integrante, la Banca d’Italia concorre alle decisioni di politica monetaria attraverso la partecipazione del volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 49 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 19 Governatore al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea e quella di propri esperti ai Comitati e Gruppi di lavoro dell’Eurosistema ai fini della relativa istruttoria tecnica. 10.1 - Funzioni Le principali funzioni della Banca d’Italia sono dirette ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, requisiti indispensabili per un duraturo sviluppo dell’economia. La Banca concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell’area dell’euro ed espleta gli altri compiti che le sono attribuiti come banca centrale componente dell’Eurosistema. Cura la parte attuativa di tali decisioni sul territorio nazionale attraverso le operazioni con le istituzioni creditizie, le operazioni di mercato aperto e su iniziativa delle controparti, e la gestione della riserva obbligatoria. Può effettuare operazioni in cambi conformemente alle norme fissate dall’Eurosistema. Gestisce le riserve valutarie proprie; gestisce, inoltre, una quota-parte di quelle della BCE per conto di quest’ultima. È responsabile della produzione delle banconote in euro, in base alla quota definita nell’ambito dell’Eurosistema, della gestione della circolazione e dell’azione di contrasto alla contraffazione. L’Istituto promuove il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti attraverso la gestione diretta dei principali circuiti ed esercitando poteri di indirizzo, regolamentazione e controllo propri della funzione di sorveglianza. Tale attività, unitamente all’azione di supervisione sui mercati, mira più in generale a contribuire alla stabilità del sistema finanziario e a favorire l’efficacia della politica monetaria. La Banca espleta servizi per conto dello Stato quale gestore dei compiti di tesoreria, per gli incassi e pagamenti del settore pubblico, nel comparto del debito pubblico, nell’attività di contrasto dell’usura. Al fine di rendere più efficace l’espletamento dei compiti di politica monetaria e delle altre funzioni istituzionali, la Banca d’Italia svolge un’intensa attività di analisi e ricerca in campo economico-finanziario e giuridico e, come Autorità di Vigilanza, persegue la sana e prudente gestione degli intermediari, la stabilità complessiva e l’efficienza del sistema finanziario, nonché l’osservanza delle disposizioni che disciplinano la materia da parte dei soggetti vigilati. Interviene nel campo della regolamentazione bancaria e finanziaria anche attraverso la partecipazione ai comitati internazionali. Si raccorda con le altre Autorità di controllo con cui collabora in base a diverse forme di coordinamento. L’attività della Banca d’Italia comprende numerosi impegni internazionali che interessano le funzioni di central banking e, in particolare, i profili di stabilità finanziaria. Partecipa alla cooperazione nelle sedi europee, presso i diversi gruppi e gli organismi multilaterali. Svolge iniziative di assistenza tecnica in favore di Autorità di controllo di paesi emergenti e in transizione. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 50 DOTT. MARCELLO CALLARI 20 10.2 - Politica monetaria La stabilità dei prezzi, in base ai dettami del Trattato CE (art. 105), è l’obiettivo preminente assegnato all’Eurosistema, costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali degli Stati membri che hanno adottato l’euro. Tale obiettivo viene perseguito tramite la politica monetaria unica. 10.3 - Cambi e riserve ufficiali Tra i compiti e le funzioni affidati alla Banca d’Italia nel quadro istituzionale europeo sono compresi gli interventi sul mercato dei cambi e la gestione delle riserve valutarie. 10.4 - Operazioni per conto del MEF La Banca d’Italia svolge alcune attività per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze tra cui il collocamento e il servizio finanziario dei titoli pubblici sul mercato nazionale e il servizio degli incassi e pagamenti relativi ai titoli emessi sui mercati internazionali. 10.5 - Supervisione sui mercati La Banca d’Italia svolge compiti di supervisione sui mercati finanziari, con l’obiettivo di assicurare la stabilità dei sistemi, la trasparenza e la qualità dei servizi, salvaguardandone l’affidabilità e l’efficienza. 10.6 - Tesoreria La Banca d’Italia è il tesoriere dello Stato. Gestisce le operazioni di incasso e pagamento disposte dalle Amministrazioni statali, sia a livello di tesoreria provinciale che centrale. Svolge il servizio di cassa per conto di amministrazioni pubbliche. La Banca d’Italia svolge il servizio di Tesoreria provinciale e centrale dello Stato: esegue le disposizioni di pagamento emesse dalle amministrazioni dello Stato; riscuote le somme dovute a qualsiasi titolo allo Stato, sia direttamente sia indirettamente attraverso le banche, le Poste e i concessionari della riscossione; riceve e custodisce depositi in buoni postali e contante. Nell’attività di tesoreria rientrano anche i regolamenti dei pagamenti del debito pubblico e la rendicontazione nei confronti delle amministrazioni e della Corte dei Conti. 10.7 - Emissione di biglietti La Banca d’Italia emette le banconote in euro, in base ai principi e alle regole fissati nell’Eurosistema, ed ha il controllo di tutta la circolazione monetaria presente nel Paese. 10.8 - Ricerca economica e relazioni internazionali Alla base dell’efficace svolgimento delle proprie funzioni la Banca d’Italia volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 51 IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA 21 pone un’intensa attività di analisi e ricerca in campo economico e finanziario e in campo giuridico. Esercita compiti di consulenza nei confronti del Parlamento e del Governo in materia di politica economica e finanziaria e prende parte al dibattito scientifico generale. Nell’ambito dei rapporti con l’estero partecipa all’attività dei principali organismi monetari e finanziari internazionali. 10.9 - Vigilanza Come Autorità di Vigilanza, la Banca d’Italia svolge le funzioni dirette al mantenimento della stabilità finanziaria in base ai poteri e alle responsabilità di controllo sui singoli intermediari e sul sistema finanziario complessivo che le derivano dall’ordinamento nazionale. 11 - FILIALI La Banca d’Italia opera sul territorio con Filiali insediate nei capoluoghi regionali e in alcuni capoluoghi di provincia. Alle Filiali sono affidate attività principalmente in materia di: • servizio di tesoreria dello Stato, nell’ambito del quale curano le attività di incasso e pagamento per conto delle amministrazioni dello Stato; • vigilanza su gruppi e intermediari bancari e finanziari attivi in ambito prevalentemente locale, di minore dimensione o complessità operativa; • circolazione monetaria, con l’immissione nel circuito delle banconote in euro e il presidio dell’integrità e della qualità dei biglietti in circolazione; • analisi economica e rilevazione statistica a livello locale. Le Filiali svolgono, inoltre, attività nel campo del sistema dei pagamenti, offrono servizi informativi in materia di Centrale di Allarme Interbancaria (CAI) e Centrale dei Rischi (CR), possono ricevere gli esposti in materia di servizi bancari e finanziari e i ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario. La sede storica di Torino svolge l’intera gamma dei compiti assegnati alla rete. 12 - CODICE ETICO La Banca d’Italia ha adottato un Codice etico per i membri del Direttorio, in linea con i codici di condotta osservati nell’Eurosistema. L’Istituto rende conto del proprio operato al Governo e al Parlamento. Segue criteri di trasparenza su dati e notizie relativi all’attività svolta anche attraverso la divulgazione di pubblicazioni, documenti, interventi dei membri del Direttorio. La contabilità della Banca è sottoposta a verifica di revisori esterni, come stabilito dallo Statuto del SEBC. Il 26 ottobre 2010, è stato approvato dal Consiglio Superiore anche il Codice etico per il personale della Banca. In esso si enunciano i principi generali cui i dipendenti si attengono nello svolgimento delle proprie funzioni, in re- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 52 22 DOTT. MARCELLO CALLARI lazione alla natura pubblica dell’Istituto e alla rilevanza degli interessi ad esso affidati. In particolare detta principi in materia di indipendenza e imparzialità, limiti all’accettazione di doni, conflitto di interesse, riservatezza, continuazione dei doveri dopo la cessazione del rapporto di impiego. Le disposizioni del Codice etico sono uno strumento di orientamento dei comportamenti individuali, ferma restando la disciplina regolamentare in materia di obblighi e divieti. 13 - POLITICA AMBIENTALE In uno scenario nazionale ed internazionale caratterizzato da una crescente attenzione verso le problematiche ambientali, il Governatore nel 2008 ha approvato il documento di Politica ambientale, che illustra la strategia che la Banca intende perseguire per ridurre i propri impatti ambientali. In linea con tale documento, nel 2007 è stato costituito un gruppo di lavoro per individuare gli aspetti ambientali su cui agire prioritariamente: il gruppo elabora periodicamente un programma di azioni concrete e ne segue anche la fase realizzativa. Fra le iniziative realizzate nel corso del 2010 si possono ricordare: - incremento, nell’acquisizione dell’energia elettrica, della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili; - elaborazione di un progetto per ridurre i consumi energetici dei sistemi di raffreddamento dei data center; - riduzione del consumo di carta; - consolidamento, presso tutte le Unità della Banca, della raccolta differenziata dei rifiuti da ufficio (carta, toner, pile esauste, plastica, vetro e metalli) e di quelli delle mense aziendali; - estensione alle altre filiali della Banca dell’iniziativa relativa al recupero energetico (termovalorizzazione) delle banconote logore ridotte in frammenti, in quanto giudicate non idonee alla circolazione; - fornitura a tutte le Unità della Banca di carta riciclata e munita di marchi ecologici; - sensibilizzazione del personale e comunicazione in campo ambientale. Particolare rilievo assume infine il conseguimento, sin dal 2004, della certificazione ambientale UNI EN ISO 14001:2004 relativamente al processo di originazione e stampa delle banconote. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 53 IL PROGETTO ASTRIS RESOCONTO DELL’ ACCADEMICO ORDINARIO GIUSEPPE SARASSO* presentato all’Adunanza extra mœnia tenutasi presso la Camera di Commercio di Vercelli il 1° febbraio 2011 RIASSUNTO La notevole variabilità delle matrici pedologiche costituisce un ostacolo alla razionalizzazione della fertilizzazione azotata nelle risaie italiane. Il progetto ASTRIS è nato all’interno dell’Accademia ed è in corso di realizzazione in collaborazione con partners pubblici e privati, allo scopo di fornire risposte operative al problema. Obiettivo dichiarato è il miglioramento dei risultati già ottenuti mediante l’applicazione di tecnologie di Precision Farming basate sulla mappatura della produttività dei raccolti degli anni precedenti. L’utilizzo di sensori adatti a misurare il vigore vegetativo potrà fornire ulteriori indicazioni utili alla somministrazione di dosi ottimali di fertilizzante azotato, con benefici ecologici, economici e produttivi. SUMMARY: The “ASTRIS” project The high variability of the soil matrix is an obstacle to the rationalization of nitrogen fertilization in Italian paddy fields. The ASTRIS project is born in the Academy, and is being implemented in collaboration with public and private partners, in order to provide operational responses to the problem. The stated objective is the improvement of the results already obtained through the application of the Precision Farming technology, based on the mapping of crop yield in previous years. The use of sensor suitable for measuring the vigor may provide additional useful information for application of optimal rates of nitrogen fertilizer, with environmental, economical and productive benefits. RÉSUMÉ: Le projet “ASTRIS” La variabilité des matrices pédologiques s’oppose à une fertilisation azotée rationnelle des rizières d’Italie. Le projet “ASTRIS” est né au sein de l’Académie pour fournir une réponse au problème, et il est réalisé avec des collaborateurs publiques et privés. Le but déclaré est l’amélioration des résultats obtenus par les applications de l’Agriculture de Précision, basées sur les mappes de la production des années précédentes. Des capteurs électroniques qui mesurent la vigueur végétative peuvent donner des indications ultérieures pour fournir les doses correctes d’engrais azoté, avec des avantages écologiques, économiques et productifs. *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 54 24 GIUSEPPE SARASSO 1 - INTRODUZIONE La fertilizzazione azotata rappresenta uno tra i maggiori limiti tecnici per la risicoltura italiana. Sia le modalità di spargimento che la determinazione dei dosaggi sono suscettibili di importanti miglioramenti. La variabilità della fertilità del suolo, che causa differenze di vigore e di produzione all’interno degli appezzamenti, è cosa nota da tempo. La comparsa sul mercato dei sistemi di mappatura georeferenziata ha permesso di misurare l’entità della variabilità e di localizzarla con precisione. Ha permesso anche di iniziare ad adeguare spazialmente la fertilizzazione, riferendosi alle mappe storiche degli anni precedenti, con risultati incoraggianti. Dall’esperienza si è rilevato però che la differenziazione della fertilizzazione all’impianto potrebbe essere affinata all’atto della seconda somministrazione in copertura, eseguita al momento della differenziazione della pannocchia. In questa fase si potrebbe tener conto delle reali condizioni della coltura, influenzate sia dalla fertilità di base del terreno sia dall’andamento climatico dell’anno in corso, migliorando ulteriormente l’uniformità produttiva. La disponibilità commerciale di alcuni modelli di sensori applicabili alla trattrice, già utilizzati con successo su altre colture (barbabietola, frumento, vite), consente di determinare strumentalmente le condizioni di vigore delle piante di riso in modo immediato e non distruttivo. Questi strumenti sono dotati di emettitori di luce a banda visibile (verde, giallo, rosso) ed invisibile (banda vicina all’infrarosso NIR con lunghezza d’onda 780 nm), e misurano la percentuale di riflessione delle diverse bande da parte della coltura. I vegetali riflettono la radiazione visibile in misura inversamente proporzionale all’attività fotosintetica e quella vicina all’infrarosso in modo direttamente proporzionale; dal rapporto tra le misure di radiazione riflessa per le diverse bande (NIR/visibile) si possono calcolare indici vegetazionali, legati all’attività fotosintetica. Tra questi, il Normalized Difference Vegetation Index (NDVI) è uno dei più utilizzati. 2 - IL PROGETTO Allo scopo di verificare l’applicabilità di quest’ipotesi, si è costituito un gruppo di ricerca comprendente alcuni Accademici (A. Finassi, G. Masoero, G. Sarasso), il Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e gestione del Territorio dell’Università di Torino (A. Ferrero, F. Vidotto), il Centro Ricerche dell’Ente Nazionale Risi (M. Romani), una ditta (ARVATEC di Rescaldina, MI) specializzata nella fornitura e nell’utilizzo di strumentazioni elettroniche e satellitari per l’agricoltura, ed un’azienda risicola (Az. agr. Palestro di Olcenengo, VC), che ha messo a disposizione parte dell’attrezzatura necessaria alla sperimentazione: sistema di mappatura delle rese montato sulla mietitrebbiatrice, tracciafile satellitare, spandiconcime a controllo elettronico con sistema di pesatura, oltre all’esperienza di un decennio di prove. È così nato il progetto ASTRIS ( Adattamento e Sviluppo di Tecnologie informatiche di supporto volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 55 IL PROGETTO ASTRIS 25 ad applicazione di RISicoltura di precisione), prontamente adottato dall’Accademia di Agricoltura di Torino e sostenuto dai Presidenti succedutisi nel periodo (Orazio Sappa e Pietro Piccarolo). Per l’attuazione del progetto triennale l’Accademia ha ottenuto un contributo finanziario dall’Unioncamere Piemonte. Volendo introdurre nella risicoltura italiana la fertilizzazione a dosi variabili e determinare l’entità delle medesime secondo parametri oggettivi, si è ritenuto utile riferirsi al collaudato e vincente modello australiano, teso ad ottenere una vegetazione di densità uniforme e idonea a somministrare la corretta dose di azoto al momento della differenziazione della pannocchia. Questa dose viene determinata calcolando nei vari punti degli appezzamenti il valore di Nitrogen Uptake (NU), parametro correlato al peso verde per metro quadro ed al contenuto in azoto della biomassa fogliare. Lo scopo finale del progetto ASTRIS è collegare un sensore NDVI, posto davanti alla trattrice, con il suo sistema di guida satellitare. Questo, in funzione dei dati trasmessi dallo strumento e delle prescrizioni preimpostate, invia in tempo reale alla centralina di controllo dello spandiconcime, dotato di celle di carico e di sistema elettronico per la regolazione automatica continua, la dose di fertilizzante da somministrare. Il navigatore memorizzerà una mappa georeferenziata delle letture strumentali e delle dosi somministrate, consultabili nelle annate successive e confrontabili con le mappe di produzione. L’esperienza indicherà l’intervallo di valori NDVI entro i quali si riesce a rimediare in sede di fertilizzazione di copertura ad eventuali difetti od eccessi di azoto. Negli anni successivi, questa indicazione potrà guidare alla differenziazione della fertilizzazione all’impianto. Il metodo risulterà per i risicoltori molto più semplice da utilizzare rispetto a quello australiano, che prevede raccolta manuale, pesatura ed analisi di molti campioni. 3 - ATTIVITÀ 2010 Sulla base di questi presupposti, nel corso del 2010 si è deciso di valutare la corrispondenza dei dati rilevati dal sensore di vigore con il dato di NU, che gli Australiani considerano il parametro più rappresentativo delle esigenze nutrizionali del riso. Sono quindi state confrontate in centinaia di punti le letture strumentali NDVI con la biomassa verde. Allo scopo di sveltire l’operazione è stato costruito un apposito agevolatore portato da una trattrice dotata di satellitare, in modo da ottenere un rapido (circa 90 secondi per ogni prelievo e pesatura) raffronto tra la lettura strumentale e la massa della vegetazione al m2, e di georeferenziare i campioni in modo da confrontare i dati di vigore con le mappe di produzione. Per un numero rappresentativo di campioni è stata eseguita l’analisi del contenuto fogliare di azoto. A seguito di un’accurata messa a punto delle modalità di rilevamento si è ottenuta un’apprezzabile attendibilità dell’indice NDVI nel misurare la massa della vegetazione fogliare, sia nelle prove di pieno campo sia in quelle parcellari condotte dal Centro Ricerche dell’Ente Nazio- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 56 26 GIUSEPPE SARASSO nale Risi. Ancora da migliorare è la corrispondenza rispetto al contenuto di azoto, che è stata ottenuta solamente in alcune delle prove. Fig. 1 - Variabilità della produzione a seguito di fertilizzazione uniforme (in alto) e a seguito di fertilizzazione pilotata in automatico in funzione dei valori NDVI. Sulla superficie di circa tre ettari, infine, è stata verificata l’ipotesi operativa completa, variando la fertilizzazione direttamente in base alla lettura del sensore NDVI. La prescrizione di dosaggio dell’azoto è stata modulata in continuo da 83 kg ha-1 per le aree a basso vigore fino a 48 kg ha-1 per le aree di alto volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 57 IL PROGETTO ASTRIS 27 vigore. Oltre ad ottenere la piena operatività del sistema tramite un corretto flusso di dati tra i diversi strumenti coinvolti, si è riscontrato un migliore livellamento dei risultati produttivi, rispetto al resto dell’appezzamento, che è stato fertilizzato sulla base delle mappe storiche di resa. Il fertilizzante risparmiato sulle zone più vigorose ha ridotto il rischio d’infezioni fungine ed è stato trasferito nelle aree meno fertili, incrementandone la produzione. Il proseguimento della sperimentazione consentirà di affinare le strategie di prescrizione delle dosi d’azoto, con evidenti vantaggi economici ed ambientali: evitare gli sprechi di fertilizzante, migliorare la sanità delle piante ed infine aumentare la produzione. 4 - ADUNANZA 1° FEBBRAIO 2011 ED EVOLUZIONE SUCCESSIVA La sperimentazione 2010 ha quindi avuto risultati così promettenti da essere ritenuti meritevoli di essere presentati al folto pubblico durante la riunione extra mœnia dell’Accademia di Agricoltura di Torino, del 1° febbraio 2011 a Vercelli. Nell’occasione, dopo l’introduzione tenuta da C. Caresana (ENR) sui problemi fitosanitari incontrati dalla risicoltura durante il 2010, sono stati divulgati gli obiettivi ed i primi risultati del progetto tramite le relazioni di S. Landonio (soc. Arvatec), M. Romani (ENR), G. Sarasso (Accademia) con le conclusioni di A. Ferrero (Agroselviter). L’argomento ha destato tanto interesse tra i risicoltori che la sezione vercellese dell’A.N.G.A., nell’ambito dell’organizzazione della 34a Fiera in Campo, ha conferito al progetto ASTRIS il premio INNOVA, destinato all’innovazione tecnica più importante dell’anno per la risicoltura italiana. I risultati ottenuti e l’interesse suscitato hanno indotto l’Accademia di Agricoltura a redigere un piano di sperimentazione anche per il biennio 20112012, con l’obiettivo di conseguire tutte le conoscenze necessarie a rendere efficace il sistema e di sviluppare modalità di utilizzo accessibili ai risicoltori, i quali hanno peraltro già acquisito una diffusa dimestichezza con i tracciafile satellitari. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 58 28 GIUSEPPE SARASSO BIBLIOGRAFIA ANDERSON D. - 2004 - Yield monitor mania. Profi International, 5, 30. AUERNHAMMER H. - 2001 - Precision farming: the environmental challenge. Computers and Electronics in Agricolture, 15, 255-262. BENINI G., BERTOCCO M., BIGHI E. - 2004 - Procedura per acquisizione,gestione e mappatura dei dati produttivi nelle mietitrebbia. L’inform. Agrario, 20, 39-44. DOBERMANN A., BLACKMORE S., COOK S.E, ADAMCHUK V.I. - 2004 - Precision Farming: challenges and future directions. © 2004 “New directions for a diverse planet”. Proc. 4th Intern. Crop Science Congress, 26 Sep – 1 Oct 2004, Brisbane, AUS, Published on CDROM. Web site www.cropscience.org.au HUNG THE NGUYEN, LAN THE NGUYEN, YONG-FENG YAN, KYU YONG LEE, BYUN WOO LEE 2007 - Using chlorophyll (SPAD) meter reading and shoot fresh weight for recommending nitrogen topdressing rate at panicle initiation stage of rice. J. Crop Sci. Biotech., 10, 35-40. KYU-YONG LEE, DOUGH WANG CHOI, BYUN-WOO LEE - 2008 - Using digital camera image for recommending nitrogen topdressing rate at panicle initiation stage of rice. Ital.J. Agron. /Riv. Agron., 2008, 3, suppl. JØRGENSEN R.N. – 2002 - Study on a line imagine spectroscopy as a tool for nitrogen diagnostics in precision farming – Ris. Nat. Laboratory, Roskilde (DK) [Online] Report n.° Ris -R-1327 (en) ??? SARASSO G. - 2007 - Precision Farming: first experiences in a farm near Vercelli – Atti del 4th Temperate Rice Congress – 25-28 giugno 2007, Novara,I. SARASSO G. - 2011 - Fertilizzazione a dosi variabili presto anche nelle risaie italiane - Terra e Vita, 12, 74-76. SHAVIV A. - 2005 Environmental friendly nitrogen fertilization. Science in China Ser. C Life Sciences , 48, Special Issue 937. STROPPIANA D., BOSCHETTI M., BRIVIO P.A., Bocchi S. - 2009 - Estimation of plant nitrogen concentration in paddy rice. Rivista italiana di Telerilevamento, 41, 1, 45-57. SUN-OK CHUNG, HO-JIN LEE, JUNG-KEUN PARK - 2005 - Precision Agriculture in the Republic of Korea. Site Specific Management Center Newsletter, Purdue University, Lafayette, USA VANCETTI D. - 2001 - Individuazione ed analisi tecnico funzionale delle apparecchiature elettroniche impiegate sulle macchine agricole per la risicoltura. Tesi di laurea, Facoltà di Agraria, Univ. Torino. 121-125. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 59 L’ORTO DI NONNO MARIO MEMORIA DI GIOVANNI PENNATI, giornalista* presentata all’Adunanza del 29 aprile 2011 RIASSUNTO: L’iniziativa, dapprima concepita per le scuole, col tempo fu ampliata ricorrendo a tecniche moderne di presentazione (compresi brevi filmati) ed una serie di rubriche, per far conoscere il mondo e la cultura contadina e fornire un modello di azienda orticola familiare capace di produrre un reddito mediante la vendita diretta, considerando anche gli aspetti amministrativi. SUMMARY: The garden of grandfather Mario That work, initially designed for schools, was expanded, over time, using modern presentation techniques (including short films) and a series of sections, to know the people and the rural culture and provide a model for horticultural family farm capable of genenerate an income through direct sales of products. Moreovr are reported also the related administrative regulations. 1 - INIZI E FINALITÀ A seguito dell’opera svolta, come libero professionista, nella preparazione di filmati volti a valorizzare l’attività e la cultura di specifici territori, come pure nella preparazione di seminari e laboratori in scuole della provincia cuneese, si fece strada l’idea di creare un sito Internet dedicato all’orticoltura tradizionale, impostata con specifico riferimento alle aziende familiari, pari o inferiori ai 2 ettari di superficie e site in zone peri-urbane. Originariamente l’iniziativa fu concepita come rivolta alle scuole, al fine di fornire un supporto didattico (ipertesto, filmati e foto) alle scolaresche che si recano in visita alle cosiddette fattorie didattiche, dando loro un’idea generale sull’intero ciclo produttivo e colturale di una decina fra le specie più comuni di ortaggi. Successivamente l’idea venne ampliata, aggiungendo una sezione contenente, accanto alla dettagliata descrizione dei tradizionali metodi di coltivazione dei singoli ortaggi, una serie di rubriche (Calendario, Casa Contadina, *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 60 30 GIOVANNI PENNATI Chat, Consigli dell’esperto, Mercatino) atte ad agevolare l’accesso degli utenti alle pratiche orticole e al contatto col consumatore. La novità consiste nell’uso di brevi filmati che ampliano, con la parola e con l’esempio pratico, le informazioni contenute nei testi. Le finalità sono: - recuperare e far conoscere la vita, il mondo e la cultura contadina; - predisporre un supporto informativo e tecnico per quanti intendono avvicinarsi alle pratiche agricole dando vita ad un orto familiare; - promuovere e favorire lo scambio di informazioni e materiali fra gli interessati; - fornire un modello di azienda orticola familiare, capace di fornire un reddito, indicando quanto necessario (compresi i criteri di gestione e i provvedimenti amministrativi) a realizzarla, tenendo conto del contesto socio-economico. 2 - ARTICOLAZIONE DEL SITO Nella rubrica CASA CONTADINA, accanto alla gestione degli spazi e degli utensili, vengono illustrate ricette e metodi di conservazione dei prodotti orticoli, fornendo un quadro completo, anche sotto il profilo economico, della vita e della conduzione dell’azienda contadina tradizionale. A titolo di esempio ecco una ricetta per la conserva di pomodoro a caldo: - mettete a cuocere dei pomodori lavati, asciugati e tagliati in 4 pezzi sino a che abbiano ridotto il loro volume di 1/3; passateli al setaccio; salateli (1/10 del peso) e terminate la cottura sino a consistenza solida. Dalla conserva - una volta raffreddata - si ricavano dei piccoli pani che, unti d’olio, si conservano in vasi o carta pergamena. La rubrica CALENDARIO ripropone un modello tradizionale di calendario contadino. Questa sezione, anch’essa multimediale, arricchita cioè da interventi e filmati chiarificatori, fornisce ogni giorno, sul modello dei vecchi lunari, una serie di informazioni sulla luna, sui lavori e sulle semine, nella riscoperta delle conoscenze che permettevano agli ortolani le previsione e la programmazione dell’annata agricola. Il calendario fornisce inoltre, giorno per giorno, notizie sulla vita dei santi festeggiati, sul significato dei loro nomi, sui proverbi e sul corretto modo di correlarli tra loro (fig. 1). Le notizie pratiche e folcloristiche, che rappresentano un recupero di nozioni tradizionali, a volte frutto di esperienze secolari confermate dagli sviluppi della ricerca, a volte soltanto note di colore, sono precedute o seguite da brevi considerazioni generali sull’evoluzione del mondo agricolo per inquadrarne le tradizioni nel loro contesto storico, senza peraltro condannare acriticamente le possibilità offerte dalla moderna genetica e dalla biologia molecolare, e senza attizzare polemiche strumentali legate a scarsa informazione, se non a disinformazione. L’ORTO DI NONNO MARIO intende infatti proporre un modello aziendale attuabile, reale e in grado di produrre reddito a patto che si attuino interventi atti a garantire una reale possibilità di vendita diretta, accompagnata da una semplificazione delle prassi fiscali ad essa collegate. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 61 L’ORTO DI NONNO MARIO Fig. 1 - Esempio di una parte della rubrica “Calendario”. 31 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 62 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 63 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO MEMORIA DI LUCIANO MORBIATO* presentata all’Adunanza del 29 aprile 2011 RIASSUNTO: La vita e il lavoro dei contadini, fin dall’antichità, sono stati argomento d’interesse per gli scrittori, così come la descrizione delle tecniche agricole ha riempito trattati e manuali, mentre la voce dei contadini ha raramente trovato, fino a tempi recenti, la via della scrittura, della testimonianza scritta. Anche per questi motivi acquista una notevole importanza culturale un manoscritto redatto da un anonimo agricoltore veneto, del distretto di Oderzo, nel primo decennio dell’Ottocento; esso è conservato nella Biblioteca dell’Orto Botanico dell’Università di Padova ed è rimasto a lungo inedito, fino alla sua pubblicazione nella collana della “Cultura popolare veneta” della Regione del Veneto (1998). Si tratta di un interessante documento sullo sviluppo e la divulgazione delle tecniche tradizionali e innovative (per l’epoca) nell’agricoltura veneta (in particolare nella viticoltura) e, allo stesso tempo, di un monumento di lingua italiana popolare, con notevolissimi apporti dialettali. Sono quindi analizzati i rapporti impliciti dell’opera con la doppia catena testuale costituita dai trattati di agricoltura e dai libri di devozione, unico tramite culturale e modello stilistico dell’autore. Summary: Scartafaccio d’agricoltura: experience and devotion of a farmer in the Veneto between 18th and 19th century From ancient times the life and work of farmers were matter of interest for men of letters, as in the same way the description of agricultural techniques was treated in some books, while for farmers it was difficult to have their voice converted in written evidence. For this reason every time that this silence is broken, the occasion is important to know a little more about an unexplored world. This unpublished manuscript, preserved at the library of the Orto Botanico in Padua’s University, has been compiled by an anonymous farmer of the district of Oderzo in the first decade of the 19th Century. The manuscript is an interesting document of the development and popularization of traditional and innovating agricultural techniques in the Venetian region; at the same time, it represents a monument of popular Italian language, with many interesting terms borrowed from the dialect. The manuscript is analysed in relation to both the treatises on agriculture and the prayers books, which were the only cultural reference and stylistic model of the author. RÉSUMÉ: Scartafaccio d’agricoltura: l’expérience et la dévotion chez un paysan du Veneto entre XVIII et XIX siècle. *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 64 LUCIANO MORBIATO 34 La vie et le travail des paysans, depuis l’antiquité, ont été le sujet d’œuvres littéraires, de même que la description des techniques agricoles, alors que, jusqu’à nos jours, la voix des paysans n’a trouvé que très rarement le chemin de l’écriture, du témoignage écrit. C’est donc pour des raisons autant humaines que culturelles que ce manuscrit, composé au commencement du XIX siècle par un agriculteur anonyme de la Vénétie, du district d’Oderzo (la romaine Opitergium), acquit un intérêt particulier. Le manuscrit est conservé par la Bibliothèque du Jardin Botanique de l’Université de Padoue et il est resté longuement inédit jusqu’à sa publication dans la collection de la “Cultura popolare veneta”, éditée par la Région du Veneto. Il s’agit d’un intéressant document sur le développement et la divulgation des techniques traditionnelles et nouvelles pour l’époque (en particulier dans le secteur viticole), et en même temps, il s’agit d’un monument de la langue italienne populaire, enrichie des saveurs du dialecte. Dans la relation on analyse les rapports implicites mais notables avec la double chaîne textuelle des traités d’agriculture et des livres dévotionnels, qui étaient le seul intermédiaire culturel et modèle de style pour l’auteur. Ma sempre l’onda delle mele depone il suo meglio nei tuoi cortili, quadrifogliati foraggi ti gravano i fienili e le tue uve e i pampani e i tralci non c’è luce che in vita li vinca né vento né umore di terra… Andrea Zanzotto, Le profezie di Nino (da La Beltà, 1968) 1 - PREMESSA I contadini non parlano (e non scrivono): se parlano (e scrivono) non sono contadini, sono altri che parlano per loro. Questo assioma per lungo, lunghissimo tempo, è dimostrato dal silenzio dei contadini e dalle opere di letterati che hanno descritto la vita del contadino e il lavoro nei campi, dai poemi didascalici di Virgilio ai romans champêtres di George Sand e ai racconti di Ippolito Nievo (Novelliere campagnuolo), mentre gli autori di trattati di agricoltura dall’antichità al medioevo, fino agli enciclopedisti sette-ottocenteschi e ai benemeriti parroci agronomi, si occupavano di istruire ed educare gli ignoranti lavoratori della terra. Dopo le egloghe sulla pastorizia delle Bucoliche, nei quattro libri delle Georgiche Virgilio si occupa della coltivazione degli alberi e della vite, dell’allevamento e infine delle api: per il poeta latino, che ancora non ha affrontato la vita dell’eroe Enea e la fondazione dell’urbs, la fertilità della terra e il ciclo dei lavori agricoli non sono un argomento di canto meno nobile e impegnativo, tanto da richiedere nei versi del proemio l’invocazione di numerose divinità, come già aveva fatto in precedenza Varrone nel De re rustica. Sottolineo, di passaggio, la fortuna ininterrotta che il genere della poesia didascalica agricola continuò ad avere tra il mondo antico e medievale e quello moderno, fino ai poemi dei fiorentini Giovanni Rucellai (Le api, 1538) e Luigi Alamanni (La coltivazione, 1546) e del veronese Giambattista Spolverini (La coltivazione del riso, 1758). Pochi anni dopo Virgilio, nel percorrere le strade della Palestina un profeta ebreo ricorrerà nella sua predicazione a una costante simbologia ricavata dalla volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 65 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 35 pastorizia («Io sono il buon pastore») e dalla coltivazione: le sue parabole sono piene di seminatori, vignaioli, mietitori; la buona novella che annuncia è paragonata alla semente che dà frutto o a un grano di senape che diventa un albero, mentre l’opera del nemico è bruciata dai contadini come malerba seccata e gli alberi che non danno frutto vengono tagliati alla radice. Incontreremo questa stessa abbondanza di figure, similitudini e metafore, nel testo che è al centro del mio intervento, nella forma di una serie ricorrente di sacre citazioni di cui l’autore si vale per rendere convincente quanto scrive. Quello che Publio Virgilio Marone e Gesù Cristo considerano un lavoro che nobilita ed eleva chi lo compie, nei secoli successivi e per tutto il medio evo è abbassato fino ad essere una condanna che grava sulle spalle di individui meno che umani, dispersi o sepolti nelle campagne (rustici o villani) e incerti nella fede, quando non idolatri (pagani). Il contadino diventa l’oggetto di censure e anatemi della chiesa, di vessazioni dei signori e di satire dei chierici e dei giullari. Nel XIII secolo la satira del villano era un piccolo genere letterario, già praticato in latino e successivamente in volgare, come testimonia la Nativitas rusticorum di Matazone da Caligano: così si qualifica, con uno pseudonimo giullaresco padano, il suo autore, che nei primi versi confessa di essere per l’origine un villano e perciò di conoscere le bestie che descrive, ma di essersi liberato da quello stato di inferiorità a contatto con i signori. Il ghigno di Matazone arriva a contrapporre la nascita del villano, di cui parla il titolo, a quella del cavaliere, in modo che entrambe risultino enfatizzate: nell’abiezione della stalla quella del contadino, nell’armonia del giardino quella del cavaliere. Conseguenza inevitabile di questa nascita è allora quanto la seconda parte della composizione elenca: un calendario dei lavori dei campi nel ciclo stagionale, anzi dei dodici mesi, sul modello delle miniature presenti nei codici dei Tacuina sanitatis o delle sculture nei portali delle cattedrali romaniche, ma in Matazone, villano redento, la nota prolungata è simile a una sadica volontà di castigo, prevaricazione, umiliazione nei confronti dei dannati della terra. Nel più tardo Alfabeto dei villani, la condizione dei contadini è descritta con vigore, senza compiacimenti e sorrisi: qualcuno l’ha interpretato come un manifesto prerivoluzionario del primo Cinquecento, anche se formalmente il dialetto pavano (cioè padovano) rustico è calato nella griglia stilistica della terzina dantesca; viene perciò da chiedersi: l’autore, che parla dei contadini in prima persona plurale, appartiene alla stessa classe derelitta (alla «schiuma de sto mondo») o a quella degli sfruttatori e dei loro alleati (sbiri, preve, soldè), di cui ammette indirettamente le colpe? Tutto il male di cui sono caricati i contadini deriverebbe dalla colpa, della quale erano da secoli accusati, di avere messo in croce il figlio di Dio («Cristo fo da villan crucificò / e stagom sempre in pioza, in vento e in neve / perché havom fatto così gran peccò»). È un paesaggio di campi coltivati e saccheggiati, quello descritto dall’anonimo, dove gli uomini convivono in tuguri con i propri animali («Vache co i buò, le biestie sta con nu. / El mondo n’ha con biestie acompagnò / e pruopio a muò de biestie seom tegnù») e le donne si sgravano di figli illegittimi dietro le siepi («Phigiuoli volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 66 36 LUCIANO MORBIATO che ge nasse dentro al sieve, / ge faom le spese e sì i tegnom in cà / e no saom si gi è nuostri o pur di preve»), dove le liti per interessi finiscono a coltellate: «Odio se portom tutti in la coragia, / che se mostrom amisi al parlamento, / può se magnessomo el cuor in fritagia» (Milani, 1997). 2 - DAGLI AUTORI LATINI AL RINASCIMENTO Come ho anticipato, molte tessere del mosaico che ci permette di ricostruire la vita degli abitanti nelle campagne si devono agli scritti dei preti che quella vita hanno in parte condivisa e, giorno per giorno, registrata in modi diversi, ufficiali e non, nell’archivio della parrocchia, a partire dalle disposizioni post-tridentine, e in giornali, cronache, diari conservati o dispersi e riaffiorati, nonché nelle istruzioni impartite sotto forma di manuali e catechismi sulla coltivazione. Si tratta di iniziative che si diffondono in periodo illuminista, ma erano state anticipate da alcune opere stampate a Venezia, capitale dell’editoria nel XVI secolo. Basterà accennare ad un’antologia di trattatisti latini (Varrone, Columella, Palladio) curata da Fra’ Giocondo e pubblicata da Aldo Manuzio nel 1514, e soprattutto a due “manuali” apparsi quasi insieme a Venezia: si tratta del Ricordo d’agricoltura (Rampazzetto, 1567) di Camillo Tarello, e delle Vinti giornate dell’agricoltura et de’ piaceri della villa (Percaccino, 1569) di Agostino Gallo, entrambi bresciani. Il Ricordo, pur rifacendosi alle antiche autorità, conteneva anche una proposta scientifica di rotazione dell’arativo di un podere, con semina di cereali su un quarto dell’estensione, mentre un quarto doveva essere lasciato in riposo e gli altri due tenuti a trifoglio. Consapevole dell’ignoranza dei lavoratori dei campi, il suo autore faceva affidamento, già allora, sulla mediazione degli ecclesiastici: “E dovendosi mettere in opera questo mio Ricordo per mano di persone idiote, parmi di ricordare che sarà sopra modo ben fatto ch’esso si faccia leggere e dichiarare dai preti d’ogni villa, castello e terra pubblicamente ogni mese una volta, per beneficio et intelligenza degli agricoltori… (Tarello, 1975). Poco più di un secolo dopo comparve una dettagliata opera di divulgazione, che oltre ad avere una certa fortuna editoriale, costituì un modello per numerose altre; alludo ai Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa di Giacomo Agostinetti (Venezia, Hertz, 1679; successive edizioni fino al 1749). Il sottotitolo esplicitava l’intenzione del “tecnico agrario” (come si direbbe oggi) di Cimadolmo di Oderzo (1597-?), autore dei ricordi (nel senso di ‘Avvertimenti, Ammaestramenti’), “Ne’ quali si tratta quello e quanto deve sapere un buon fattor di villa, che consiste principalmente in tener buona scrittura, intendersi d’agricoltura, diligenza nel riscuoter l’entrate, pratica nel conservarle, occulatezza nell’esitarle, avantaggio nello spender il denaro del patrone (Agostinetti, 1998). Tra i 110 sistematici ammaestramenti si ritrovano le Provisioni per principiar boarie, la Maniera nel far li vini neri, le istruzioni per Numerar tutte le botti, tinazzi et ogn’altro arnaso, et perché, la Maniera nel formar un bruolo che volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 67 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 37 rieschi copioso di fruttari, fino ai Riguardi che deve aver il fattor a’ ricordi de’ contadini, da intendere in questo caso come legittimi sospetti sui suggerimenti interessati che provengono dai contadini, «perché costoro non pensano mai che di trovar panni a’ loro dorso», mentre il fattore deve fare gli interessi del padrone, senza rischiare, «perché molte volte si butta la scardola per pigliar il luzzo che non si ritrova in quel fiume». A questo proposito, si può aggiungere che assieme alle conoscenze tecniche, il fattore deve disporre di capacità d’analisi psicologica per non farsi ingannare dai sottoposti, pronti a frodare il padrone, come succede nell’esempio che leggo: “E stava il contadino allegro per haver fatta la burla a i tinazzi, che li era riuscita benissimo, ma non sapeva della contramina; quando il fattore li disse con un lungo giro di parole: «Sastu quello son venuto a far qui?». Rispose: «Signor no, se non la me l’ dise». «Son venuto per saper una verità da te, se ben che dubito, perché voi altri contadini – disse – non è il vostro mestier il dir la verità! Ma però senti: questa mattina nell’alba è venuto uno a batter alla mia porta con dir che mi voleva parlar di cosa che molto importa. Io son subito levato e son andato alla porta e li ho addimandato quello voleva. M’ha detto: “Signor, vi do aviso come questa notte il tal vostro lavorador ha cavato del vino delli tinazzi e li ha messo tanta acqua, che io l’ho visto co’ miei occhi”. Però son venuto a saper s’è la verità. E confessemela giusta, che quando me la confessi non passerà più avanti, né lo lascierò saper al Patrone!». Questo, sapendo che niun l’haveva veduto e credendo che fosse una invention del fattor per cavarghe celegati de bocca, cominciò a negare e scongiurarsi che non era vero e che queste sono genti che gli vogliono male, ma che non si troverà mai questo e che era un huomo da ben… (Agostinetti 1998). In questo caso l’esposizione oggettiva del fattore cede alla narrazione dialogata, ma la gustosa scenetta non deve farci dimenticare che cosa ci sta sotto, vale a dire il pregiudizio sul villano ladro e bugiardo di cui non ci si può fidare. Un lungo interessante paragrafo, il Riccordo LXXVI, Del giardino (pp. 185-190), meriterebbe un’esposizione e un commento adeguati, non solo per la ricca documentazione pratica sull’argomento, la bibliografia specifica che fornisce e la localizzazione di alcuni esempi (dal palazzo Contarini di Oderzo all’orto de’semplici di Padoa), ma anche per il gusto estetico per il giardino formale che sottintende anche nel fattore Agostinetti, sempre temperato dalla ricerca dell’utile del padrone: descrive infatti il labirinto e la peschiera, senza dimenticare l’acqua di rose che si può cavare da un «quadro fatto di rosari in buovolo tondo». Ma è piuttosto il Riccordo LXXI, Dell’orto che voglio citare perché rivela l’attenzione del fattore per l’integrazione economica fornita da una coltivazione minore, praticata o riscoperta anche dai non contadini, fino ad oggi: “Di quanto utile e commodo sia l’orto in villa… poiché da questo pretioso luoco proviene ogni commodo et ogni maggior utile e beneficio d’ogni famiglia. L’orto si conviene ad ogni grado di persone, dal supremo all’infimo, né qui, Fattore, ti voglio attediare con il racconto di quanti prèncipi e monarchi del volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 68 38 LUCIANO MORBIATO mondo si siano compiacciuti di questo necessario e dilitioso recinto, com’ancora di tanti prelati, religiosi e religiose e poi oltre tanti altri. Ogni habitante in villa non ha il più pronto capitale di questo; a’ contadini poi questo li serve per beccaria e pescaria, et anco ogn’altro habitante in villa ben spesso fa far l’orto da zane e da mezetin [breve nota esplicativa: “lo usa cioè per ogni necessità”; il detto è registrato nel Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, 1856: “Far da zane e da buratin: che vale Far tutto da sé in servigio altrui”]. E perché, stimo che haverai un buon ortolano pratico e versato in questa sua necessaria foncione, non voglio tediarti qui come fanno molti auttori, che ingombrano la terza parte del suo volume nel discorrere della coltura della lattuga, aglio, ruccola e persemolo, ma solamente in raccordarti l’introduttione e coltivatione di tutti gli erbaggi et arbusti, co’ quali devi invigilare che il tuo ortolano habbi avvertenza di tempo in tempo a far dovitioso il tuo orto… Che però desidero che l’ortolano, oltre tutte le cose ordinate dell’orto, introduchi cinque sorti di frutti confacenti: la prima sarà una qualificata persegara… seconda una fragolara, la qual la introdurà in vaneze nell’istessi fili della persegara… terza sarà una nobilissima sparesara, fatta anch’essa in belissime vanezze… quarta una melonara e quinta dell’uva grespina [“ribes”] (Agostinetti 1998). 3 - DAL SECOLO DEI LUMI ALL’OTTOCENTO Nel corso del XVIII secolo, l’ultimo della Repubblica Serenissima, la crisi politica ed economica, che culminerà con l’ingloriosa soppressione di Campoformido, convive con una notevole vitalità culturale, letteraria (basti pensare al teatro di Carlo Goldoni) e artistica (come testimonia la pittura dei Tiepolo e dei Guardi). La popolazione rurale veneta, nonostante l’apparente idillio dipinto da Giandomenico Tiepolo nella vicentina villa Valmarana ai Nani, era tuttavia in maggioranza miserabile, apatica e isolata, abbandonata a se stessa, se si esclude il ruolo positivo svolto dal clero di campagna e dal suo più tipico esponente, il curato, «l’unico che sia veramente partecipe della vita del contadino» (Berengo, 1956). La vitalità culturale ha un riflesso anche nella ricerca agraria e nella relativa editoria, come documenta il Dizionario ragionato di libri d’agricoltura, veterinaria, e di altri rami d’economia campestre, ad uso degli amatori di cose agrarie e della gioventù di Filippo Re, pubblicato a Venezia in quattro volumi (1808-1809), nel quale si trovano numerosi titoli di volumi ed opuscoli scritti da ecclesiastici, in particolare dai parroci di campagna o per i parroci, data la scarsa alfabetizzazione dei loro rustici parrocchiani. Ne segnalo alcuni titoli, allargando al territorio italiano la verifica della diffusione del fenomeno (e mi scuso per non aver aggiornato il mio campionario al Piemonte): • Saggi di Agricoltura d’un Parroco Samminiatese, Firenze, 1755; • Scottoni Gianfrancesco, Semi d’agricoltura italiana, Bassano, 1766; • Scottoni Gianfrancesco, Dialoghi tra il Bue e l’Asino ed altri loro amici sopra Materie interessanti e dilettevoli, Venezia 1769 («L’autore con questa volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 69 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 39 nuova foggia di far dettare leggi d’agricoltura pratica dalla voce degli animali, à voluto allettare. In mezzo a certe idee particolari e che tengono un poco allo spirito di sistema, bisogna convenire che questa operetta è vantaggiosa a leggersi per le verità cui contiene. Esse ànno per argomento lo stato presente dell’agricoltura e dell’economia campestre»: il commento di Re, professore a Bologna, sull’opera dell’abate, un irrequieto francescano, lascia trasparire qui e altrove una certa diffidenza per l’estremismo dell’esposizione); • Gagliardo Giambattista, Dell’Utilità della Cattedra di Agricoltura ne’ Seminari della Provincia Salentina, Orazione recitata nell’aprirsi della nuova Cattedra d’Agricoltura nel Seminario di Taranto li 4 Novembre 1789; • Agricoltura pratica, ossia Istruzione sulla coltivazione della terra, di cui possonsi servire i Parrochi e Sacerdoti rurali per ammaestrare i loro popoli, Parma, 1790; • Comoli Giacomo (Canonico), Memoria sopra la necessità che i Ministri del Santuario si occupino coll’istruire il basso Popolo nell’Agricoltura, Venezia, 1791; • Crico Lorenzo (Abate), Egloghe rustiche, Treviso 1795 («Non so quanto siano piaciuti i versi e le idee poetiche espresse in quest’Egloghe che trattano: 1 dei gelsi, 2 del baco da seta, 3 della canapa, 4 del sorgo turco, 5 del frumento, e 6 della vite»); • Amico dei Contadini (anonimo), Dialoghi di un Piovano, Bassano, 1805. In epoca post-napoleonica e già austriaca, l’abate Lorenzo Crico torna su questi argomenti, abbandonando il modello virgiliano dell’egloga e ricorrendo ad una serie di situazioni sceneggiate in forma dialogica che affrontano vari aspetti della vita in campagna, con intento divulgativo e insieme moralizzante. Mi riferisco ai fascicoli del Contadino istruito dal suo Parroco. Dialoghi (Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1817), nei quali il Piovano di Fossalunga alterna alle istruzioni tecniche (… Lavori vernali in campagna, Terre, Letami, Gelsi, Viti, Prati, Ortaglie…) delle quasi-prediche (… Contentamento del proprio stato, Stalle e filatrici, Osterie villerecce, o bettole, Nozze rusticali…). La messa in scena ha come sfondo le strade del paese, percorse dal parroco che si ferma a chiacchierare con i parrocchiani al lavoro nei campi ai bordi, oppure qualche fattoria immersa tra gli alberi e visitata apparentemente per caso: ogni spunto è buono per introdurre le diverse lezioni di razionalità o moralità, che animano un «campiello villereccio» (Demattè, 1990), nel quale emergono le rimostranze delle donne che tentano di opporsi alla censura sul loro filò, ritenuto dal piovano antigienico e fonte di maldicenze, la descrizione di una abbuffata in un pranzo di nozze, subito condannata dall’equilibrato pastore, la remissività del giovane Carletto, lettore entusiasta dei Reali di Francia, cui il piovano propone lo scambio con la lettura dei “fatti veri” contenuti nella Bibbia. Per quanto partecipe e sollecita, la voce di Crico è esterna alla cultura del mondo contadino; la sua strategia mira anzi ad estirparla, in quanto arretrata, per sostituirla con una più razionale e avanzata. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 70 40 LUCIANO MORBIATO L’obiettivo della divulgazione accomuna numerose iniziative editoriali che si succedono nel corso dell’Ottocento, come ha confermato una ricerca di Piero Brunello (1996) sui preti agronomi attivi nel Veneto e in Friuli nel periodo austriaco. Per restare in territorio padovano, posso aggiungere la testimonianza dell’erudito Andrea Gloria sul parroco di Sant’Elena, don Giambattista Tovena, che «ebbe il premio dalla Società d’Incoraggiamento per eccitamenti ch’ei fece a quei villici per migliorare l’agricoltura» (Gloria, 1862). L’impegno dei parroci non si fermò, ovviamente, dopo il referendum e l’annessione del Veneto allo Stato unitario nel 1866, ma proseguì con positivistica determinazione: basti pensare a un Catechismo agricolo ad uso dei contadini (fig. 1) realizzato dal parroco di Salboro, don Giovanni Rizzo, e stampato nella tipografia del Seminario di Padova nel 1869 (la stessa che il secolo precedente aveva pubblicato l’edizione italiana dell’Encyclopédie!). Il titolo non c’entra con l’istruzione nella dottrina cristiana, ma ne riprende la struttura a domande e risposte su argomenti tecnico-pratici che spaziano dalla natura dei terreni agli arnesi agricoli, dai rudimenti di botanica alle sementi, dagli innesti alle varie coltivazioni, fino all’allevamento del baco da seta e all’ingrasso e alle malattie degli animali da cortile e da stalla. La semplicità dell’esposizione e il succedersi dei quesiti significano che il catechista si rivolge direttamente, senza mediatori, ai suoi catecumeni; ne è una conferma l’avvertenza di mettere accanto al termine italiano, tra parentesi e in corsivo, quello padovano (ess. aja, corte; vinacce, graspe; fuligine, calùzene; baco da seta, ca- Fig. 1 - Frontespizio del volume del parroco di Salboro (Padova). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 71 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 41 valieri…). Un’appendice affronta i “pregiudizii dei contadini” dalle credenze nei quarti di luna all’associazione tra benedizione e magia bianca, dall’uso di “segnare” i malati all’esistenza delle strighe, del salvanello e della lumenia: «Sono tutte invenzioni dei cattivi e dei birboni per ingannare gli ignoranti ed i minchioni» risponde il parroco, concludendo che «l’ignoranza dei contadini, sotto qualche aspetto, è compatibile, mentre quella dei signori è, sotto tutti gli aspetti, vergognosa e colpevole» (Rizzo, 2003). Tutta la IX Parte del Catechismo è dedicata all’orto e divisa in brevi capitoli, l’ultimo intitolato Delle talpe (topinare) e degli uccelli, «specialmente le passere (seleghe), le rondinelle (sisille), i pipistrelli (barbastregi)», che nutrendosi di insetti sono di grande utilità all’orticoltore: «lasciamoli dunque vivere – conclude don Rizzo – anzi mettiamoci tutti d’accordo per impedire che vengano distrutti, specialmente colle reti e coi lacci, modo quest’ultimo anche barbaro e crudele. Speriamo che il Governo a vantaggio dell’agricoltura stabilirà delle leggi severe, almeno per alcuni anni, onde conservare gli uccelli, i quali, torno a dire, sono i nostri veri amici» (Rizzo, 1869). 4 - LO SCARTAFACCIO Il Catechismo presupponeva che i suoi destinatari fossero in grado di leggerlo, ma bisogna arrivare alla (relativamente) recente diffusione dell’alfabetizzazione per imbattersi nelle prime scritture composte direttamente da chi conosce e lavora la terra, anche se in una lingua incerta, ingenua, bastarda: si tratta di opere spesso anonime, di manoscritti difficilmente conservati, mai pubblicati e per questo fortunosamente arrivati fino a un’epoca come la nostra che li apprezza, per motivi tanto storici (di storia delle pratiche agricole) che scientifici (un’illustrazione della lingua dei semicolti) o, perché no?, sentimentali. Anche per questo si può ritenere eccezionale la scoperta di un trattato sulle tecniche di coltivazione scritto da un contadino del territorio trevigiano circa 200 anni fa: si tratta di un manoscritto che ho riscoperto quasi per caso, che per anni ho studiato, fin quasi a diventare idealmente intimo del suo autore, e che infine ho pubblicato una dozzina di anni fa: Scartafaccio d’agricoltura. Manoscritto di un contadino di Oderzo (1805-1810) (1998). Gli stessi difetti notati dal suo primo scopritore, il glottologo Emilio Teza, alla fine dell’Ottocento – una lingua scritta con forti caratteri orali, dialettali, uno stile incoerente tra l’oggettività e la soggettività, il trattato scientifico e il libro devozionale – sono diventati per noi motivo d’interesse. Nel parlare delle sue esperienze agricole l’anonimo autore introduce anche i campi che coltiva e i fiumi, di cui ha paura, e la gente che frequenta, senza mai interrompere il confronto con l’unica scrittura che conosca, quella sacra, e il colloquio quasi ossessivo con la divinità. Il manoscritto, ancora conservato nella Biblioteca dell’Orto Botanico di Padova, è adespoto (senza nome d’autore) e anepigrafo (senza titolo; quello di Appunti di Agricoltura… è stato aggiunto da mano più recente nel 1895, volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 72 42 LUCIANO MORBIATO Fig. 2 - Copertina del volume dedicato allo Scartafaccio. mentre scartafaccio è proprio la definizione che ne dà il suo autore): si tratta di un volume in quarto, rilegato in cartone con due cordoncini in pelle ai quali sono cuciti i fascicoli di fogli di carta vergellata, non filigranata; le pagine sono: 7 non numerate (le prime), 312 numerate in cifre cardinali, 18 in ordinali (quelle della Tavola, cioè dell’indice finale), interamente manoscritte, con grafia unica, contenenti una ventina di disegni (occupano di solito 1/3 di pagina, ma alcuni la metà o una pagina intera), oltre a numerose figurine ai margini (la “manina” che richiama) o all’interno del testo. Nelle prime pagine non numerate si legge una premessa sulla genesi dell’opera e una specie di captatio benevolentiae dell’autore, che si giustifica per le imperfezioni formali; la parte iniziale consiste in un lungo collegamento di tipo dottrinale tra l’agricoltura e l’opera della creazione divina, secondo il racconto biblico. Il trattato vero e proprio inizia con un capitolo dedicato alle tecniche d’innesto; seguono le tecniche d’impianto in viticoltura e la parte dedicata alla Recoltura del frumento. Dopo una precisazione su corte e letamaio volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 73 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 43 e alcuni paragrafi sulla potatura degli alberi (fig. 3), oltre la metà del manuale è occupata dalle tecniche, dalle esperienze e dalle raccomandazioni in materia di viticoltura. Il finale contiene alcune digressioni (numerose anche nelle altre parti) e integrazioni, per arrivare alla conclusione nel nome di Dio, che già figurava in apertura, suggellando ciclicamente tutto il testo, inteso a lode del creatore e aiuto del prossimo. Fig. 3 - Riproduzione di una pagina del manoscritto (cap. 37). Trascrizione: figura: «una nogera / pomaro salvatico / morer alla vecchia»; testo: «Quelo sarà albero salvatico da incalmare preparato il suo bisognio: n° 1 il segeto, 2 il martelo, 3 la cortelaza, 4 le sede o oncalmele, 5 il cunegheto, 6 il temparino, 7 la cestela da tenere il bisognio, 8 li vencheti da ligare. Avertenza a cernir li tronchi driti cenza gropi; dove si deve sfendere si li sega o ragarli nel milgior sitto cenza gropi dove si sfende per meter le sede, come quel tronco dela cestela sono incalmato e liggato, e l’altro a presso preparato sfeso o sia sbregato da mettere due...». Si tratta di un campione significativo della lingua del manoscritto, oscillante tra dialetto veneto e italiano, ma godibile anche senza traduzione. L’autore degli ammonimenti, uomo senza studi, confuso e ripetitivo, era e rimane anonimo: il suo scopritore (Teza, 1895) volle battezzarlo, «per brevità, e con parola corta», Maso, né io sono riuscito a sostituire questo pseudonimo con quello reale che doveva comparire nei libri dei battesimi e dei funerali volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 74 44 LUCIANO MORBIATO della parrocchiale di Oderzo (distrutti durante i bombardamenti della guerra 1915-18). A partire da quanto egli racconta nel manoscritto, si può delinearne un ritratto nell’ambiente cui apparteneva: nato tra il 1742 e il 1744, è un piccolo proprietario coltivatore di un podere acquistato dal nonno, è frequentatore assiduo di preti, stimato come parrocchiano e cittadino, patriarca di una comunità rurale, la podesteria di Oderzo, che aveva meno di 4.000 abitanti nel 1795, e nella quale il 40 % del terreno coltivabile era di proprietà nobiliare e il 50 % non nobiliare. I poderi sono attraversati da piccoli corsi d’acqua, il Monticano e il Piavon, che spiegano la natura dei suoli (giaroso, carantino, sabionisso…), più lontani sono Livenza e Piave: tutti responsabili di inondazioni descritte nelle cronache del tempo; chiudono il paesaggio le colline di Conegliano. I pochi personaggi individuati dal nome e dalla qualifica forniscono alcuni elementi della scena campestre immobile attorno a Maso (che afferma di non essersi mai mosso da Oderzo); sono: - un fattore dei nobili Ottoboni (avrà letto i Cento e dieci ricordi di Agostinetti?), con il quale discute di innovazioni ed esperimenti agricoli, - la sig.ra Giacomina Fabris da Mansuè, una piccola proprietaria, forse vedova, che segue i suoi consigli sul risparmio della semente; - Leon Batiston, un altro seminatore, - l’oste Scarelo, della vicina podesteria di Motta; - un ebreo, forse di Portobuffolè, interrogato come un sapiente, che risponde per enigmi da interpretare. Su tutti spicca un ecclesiastico, padre Enrico Albini, un quaresimalista padovano che invita il nostro Maso a cimentarsi con la scrittura, assicurandogli che la emendarà, ma che evidentemente non mantenne la promessa. Fin dall’inizio l’autore del manoscritto dichiara la sua incompetenza a trattare l’argomento («per aver qualche prencipio di idea bisognarebbe aver praticato libri stati stituiti da sapienti, ed altri libri di virtù e aver al meno un principio di studio»), ma una volta avviato nell’esposizione e fatte salve le deviazioni o innalzamenti alla materia sacra, scompare la titubanza dell’homo sine litteris e si manifesta l’orgoglio dell’homo faber. Il nostro contadino espone più o meno sistematicamente le tecniche agricole con un’enfasi portata sulla personale sperimentazione e affidata alla ripetizione di parole-guida: aviso, avertenza; atenzione; cognizione; diligenza; dimostrare; sperienza; esempio; inparare; inventare; stituire; opinione; oservanza; penetrare; prova, approvare; regola; scandagi; vigilanza; zarvelar, zarvelamento (sintesi, quest’ultima, della fatica intellettuale, nel senso di “ricerca applicata” più che di pensiero astratto). Il tempo atmosferico e le sue stranezze, come le gelate precoci o le eclissi, convivono con il tempo sacro, della salvezza e dell’eternità, mentre la vera assente in queste pagine è la storia, quantunque l’inizio del secolo avesse conosciuto l’irruzione e gli sconvolgimenti di eserciti tra Veneto e Friuli, come testimoniano le cronache di Paolo Basso, un artigiano di Asolo, e il giornale dell’arciprete de Gobbis, che registra, oltre i passaggi di selvaggina e pennuti, dapprima le voci venute di Francia, poi la fine della Repubblica, le avanzate volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 75 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 45 e le ritirate degli eserciti francese e austriaco, il passaggio di razziatori, l’occupazione dei borghi, i massacri sui campi di battaglia (nella battaglia di Cimadolmo ci furono migliaia di morti dalle due parti). Tutto questo può distruggere i raccolti ma non li influenza: che cosa sono le parole degli uomini se non un rumore di fondo che si propaga fino a coprire la verità, come la mala pianta che impedisce alla semente di crescere? “O recoltori, badate la campagna: quala è l’erba più grande e quala vide fa più ombra? Quella di cattiva sorte e senza fruti; simili è li affocati parlamenti del mondo, quali sono a dano de l’anima e offesa a Dio” (cap. 92) (Scartafaccio, 1998). Tra l’inizio e la fine dello scritto, il confronto ininterrotto è con il testo sacro, che rimane l’unico modello, pur se inarrivabile, come risulta da due prelievi all’inizio e alla fine: “Iddio creò il cielo, la terra la acqua l’aria il giorno, la notte e tutto quello che contiene in questo mondo in sei giorni, ed il setimo giorno lo consagrò al suo culto” (cap. 1). “Vedo il sangue di Abel ha indurito la terra e l’uomo con fatica a coltivarla e lavorarla, e con la grassa ridurla leggiera e feconda da frutti. Il peccato ha ridotto pesante e dura l’anima nostra e Gesù Cristo è venuto al mondo per intenerire le anime indurite dai peccati” (cap. 196) (Scartafaccio, 1998). Per Maso la recoltura della terra è paragonabile a quella dell’anima, che è recoltura viva di contro all’altra morta, ma giunto alla fine egli ribadisce la sua intenzione, «in virtù e utile alla agricoltura tanto viva che morta» (cap. 195), e per questo non gli pare blasfemo mettere sullo stesso piano metaforico l’azione della grassa, del letame, sul terreno da coltivare e quella della grazia, della redenzione operata da Cristo. Le presenze dal Nuovo Testamento (la Maddalena e Lazzaro e i Farisei, né poteva mancare un riferimento al figaro improverato e uno al tributo a Cesare) sono minoritarie rispetto a quelle del Vecchio, forse per il maggior impatto delle storie e dei personaggi di questo, dalla creazione ad Adamo, capostipite dell’umanità («Dio creò l’uomo di una crea o sia terra rossa e suo nome Adamo … significa rosso»: la stessa etimologia era in un Dizionario sacro pubblicato a Venezia nel 1773) e responsabile della prima colpa, per la quale le creature continuano a vendicarsi. A questo proposito, Maso delinea, in due brevi capitoli, poco distanti e con minime varianti, un’immagine della natura come un campo di battaglia nel quale gli altri esseri viventi, in un tragico contrappasso, straziano l’uomo per la colpa di Adamo: “Tutti gli animali di ogni sorte, grandi e piccoli, bene che sia dannosi al genere umano, sarà sempre proibito al uomo a maledirli; non si può maledire niente, perché dette bestie ne risentono ancora la maledizione che iddio diede al serpente tra tutti gli animali, bestie della terra; dunque ogni sorte di bestie, benché nocente erano, ha resentito con gran tremore in se stesse, con timore le fugivano, come fece Adamo, a nascondersi. Parliamo di certe bestie, bissi, insetti, che ha fugito parte sotto terra, parte nei alberi, parte per aria e nele acque, e volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 76 46 LUCIANO MORBIATO tutti odiano l’uomo a cagione del peccato; non solo quelli che portano danno nelle campagne e nei seminati, vengano penetrato che tutte le bestie temono e odia l’uomo, e tutti li inseti, ancora, sempre in mille ed altre mille sorti di dani al genere umano: come una guerra contro il peccato” (cap. 82). “Per dar fine al male che soffrir doviamo da questa terra, ma non da essa che è madre ubidiente, ma dalli insetti e bestie, oh quante sopra li seminati e nella tenera buttada della vide nella uva e la disolazione nei alberi da dette ruse e nei fiori, più bestie immonde e velenose e bestie fiere e feroce. E il tutto odia l’uomo a motivo di quel male, a motivo di quel pomo, e questo è il peccato, e per questo peccato siamo odiati dalle sudette bestie, che quando vede l’uomo, le velenose, se potesse invelenarlo, lo farìa; così le altre tutte, con ansietà, se potesse distruggere il genere umano, lo farìa. Vedete a che condizione si trova l’uomo, a una continua guerra nella anima a motivo del peccato” (cap. 93) (Scartafaccio, 1998). Questi terribili ed edificanti frammenti, di grande efficacia e suggestione, sono stati scritti da un contadino che credeva nell’unità e interdipendenza della natura, fino al punto di descrivere il paesaggio apocalittico di una caccia selvaggia. Se gli animali dannosi all’agricoltura non possono essere maledetti, perché ci ricordano che il male è entrato nel mondo a causa del peccato, né le piante inutili distrutte, «perché deve essere di tutte le cose da lui create» (cap. 128), una grande catena lega tutti gli esseri, dagli insetti agli uccelli che se ne cibano e notriscono con le loro carni gli uomini. Il messaggio del teologo e filosofo naturale può essere tradotto, al di là del suo faticoso e primitivo linguaggio, nella sintesi che intellettualmente conosciamo, ma che ancora non riusciamo a rendere efficiente: l’uomo non è il padrone della natura ma il suo guardiano. Compare tra i giusti dell’Antico Testamento il «buon Giop», cioè il virtuoso Giobbe, e tra i profeti Mosè in diversi episodi; dapprima in un concitatissimo botta-e-risposta col suo Signore: “Dice Iddio a Moisè: chi ha fatto la bocca all’uomo e chi ha fabbricato il muto e il sordo, quello che vede e il cieco? altri che io! Dice iddio a Moisè: vattene, che io ti darò per compagno Aaron, tuo fratello, uomo eloquente” (cap. 195). Degli incontri del legislatore con la divinità è richiamata la caratteristica del loro svolgersi all’alba, la bonora, per trasferirla alla materia agricola come un sigillo divino: “Fra tutti gli scandagi e oservazioni, il miglior utile ho ritrovato la semina bonoriva, simile quando iddio dicea ha Moisè che andasse bonora al fiume per ritrovar il re faraone: questa bonora la vedo buona in maggiore importanza. La vedo come la pontualità di Noè, la ubidienza delli niniviti, la prontezza degli apostoli, il penetrar della samaritana, la umiltà di Madalena: così altri tanti santi che sono compiaciuti e desiderosi del regno dei cieli” (cap. 86). Sono le stesse raccomandazioni che il piemontese Jacopo A. Albertazzi scriveva nel suo Padre di famiglia in casa e in campagna (Vercelli 1790), ammonendo che «a’ genitori sonnacchiosi vengono dietro i figli torpidi e buoni a niente». Non sarà d’altronde una mera coincidenza se, come osservava Italo volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 77 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 47 Calvino (1996), anche «il mondo delle fiabe è un mondo mattiniero», dove eroi contadini, per conquistare una reginotta o una principessa, affrontano l’equivalente di imprese cavalleresche consistenti nell’aratura di un terreno tra l’alba e il tramonto: la funzione sociale del racconto popolare può nascondersi nell’alleanza tra meraviglioso e quotidiano, dove cogliere il tempo giusto è una delle condizioni per piegare la sorte in proprio favore. La trattazione della vite, dell’uva e del vino, dall’impianto alla potatura, dalla vendemmia alla vinificazione, occupa oltre la metà dello Scartafaccio, quasi una monografia dedicata alle esperienze dell’estensore, con una ricca terminologia, in parte ancora rintracciabile, in parte scomparsa, a partire dai nomi di alcuni vitigni. Anche i tempi della vendemmia vengono codificati, ritardandoli per arrivare a una perfetta maturazione dell’uva, mentre alla pigiatura e ai tini e bottazzi sono dedicate tavole a piena pagina. Il paesaggio di Maso, quello che egli percepisce ma, soprattutto, che ha contribuito a formare, conserva molti aspetti già ricordati da Virgilio nelle Georgiche, a partire dalla convenienza di ulmis adiungere vites (“legare agli olmi le viti”), una caratteristica della piantata padana notata e descritta dai viaggiatori tra XVI e XIX secolo, dal francese Montaigne al tedesco Goethe, all’americano Howells. Non contento di scrivere del sostegno vivo e della tecnica dell’innesto a spacco o ad occhio (Virgilio, Georgiche, II), il contadino di Oderzo raffigura con precisione, anche se con ingenuità, questa unione nei suoi schizzi e li commenta con similitudini prese dalla vita quotidiana, ma sul modello delle parabole evangeliche: “Quando le radici dell’incalmo anderano nel tereno magro, patirà come fano li vitteli che viene levato il suo solito latte; intanto se le difende con un paletto e rame, a ciò che la sua butada abia a pigliarsi con le sue dette mani che si brancano. Non ha veduta ma ha sentimento, o cio una sua natura umana, cio simile a un uomo orbo: non pigliarà mai il pane quando che ghe lo sporgi, se non gli tocchi la mano; così la detta vide si branca alle rame, quando che tocca, si intorcola, e quelli che non può toccare li vedarete dritti simili, vorrà dire bene inramate … La dona va al marito per due ragione, la vide è simile: si conoce essere debole a teso li loro fruti; dunque bene sustentata per il peso e fornita di rami a ciò sia sostentato li suoi cai per l’ano dietro… altri dice torcoli, perché vedono che si intorcola alle rame; altri dice suoi brazeti, altri dicono sue mani, perché si tiene forte, capazzi a tenere il pesante uomo” (cap. 56). Nel brano citato, lo sguardo di questo contadino è quasi microscopico, attento ai particolari minuti, mentre altrove la visione, con la conseguente descrizione, è insieme micro- e telescopica, perché l’interesse ai fenomeni fisiconaturali è piegato a una superiore visione allegorica e moralizzante: “Negli insetti, fra tutti entra ancora questo monegon: questo viene alla luce da quel bisso che vive e si conserva nelle acque, tanto correnti che stagne, vivono nelle medeme acque. Questo insetto vive di mussolini invisibili che svolano e non portano alcun danno, ma serve di nutrimento alli uccelli di nido, che li loro padri e madri li pigliano e glili portano a suoi figli di nido, perché li uccelli, che volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 78 48 LUCIANO MORBIATO sono pesanti, non possono raccogliere quelli invisibili mussolini, sarebbe più fatica e poca vivanda; così questi monegoni vivono con quelli mussolini ed essi vengono pigliati e serve di notrimento alli uccelli, e li uccelli notriscono li uomini. Gran sapienza divina, tutto al amato suo uomo, e l’uomo sarà forse tardo a riconoscere il suo creator e redentor divino?” (cap. 200) (Scartafaccio, 1998). Qui il «filosofo da sacrestia» (Teza, 1895) scopre la catena biologica, dal moscerino (mussolino) all’uomo, dove ognuno occupa una precisa posizione alla quale corrisponde una funzione nel ciclo della vita. Pur non descrivendo sistematicamente la terra, come cominciano a fare gli scienziati (naturalisti e viaggiatori) tra Sette- e Ottocento, Maso racconta il suo rapporto con quella che coltiva da decenni con lo spirito di un ecologo, ben prima che il termine venga coniato, anche se la sua è un’ecologia religiosa, rispondente al disegno di un creatore e finalizzata alla salvezza dell’uomo, senza alcun interesse per gli altri esseri viventi, che non sono dei comprimari ma delle comparse scritturate e inconsapevoli. 5 - DOPO LO SCARTAFACCIO La lezione di Maso, almeno quella scritta, fu inefficace, perché il manoscritto scomparve, né sappiamo quanto sia migliorata la pratica dell’agricoltura padovana grazie alla lettura del Catechismo del parroco di Salboro da parte dei suoi parrocchiani e di altri contadini, anche perché le novità hanno sempre faticato ad attecchire in un ambiente tradizionale: ne abbiamo una conferma indiretta nell’autobiografia in dialetto, scritta da un altro prete padovano, il parroco di Villaguattera, contemporaneo di don Rizzo, che trattava ancora i parrocchiani da bestie e da ladri, come se la “satira del villano” non si fosse mai interrotta. Lo Scartafaccio di Maso rappresenta una testimonianza di tipo archeologico di implicita partecipazione e coinvolgimento diretto, mentre Andrea Zanzotto ne ha allestita recentemente un’altra, con la rabdomanzia propria dei poeti, nei confronti dell’amico Nino Mura (Colloqui con Nino, 2005). Quarant’anni dopo i versi della Beltà (come quelli che figurano in exergo), il poeta della selva del Montello e dei Palù del Piave è tornato sul contadino e duca di Rolle, dedicandogli un vero e proprio monumento, costituito anche dai frammenti di una filosofia naturale che non sono lontani da quella di Maso, nonostante i 200 anni che li separano (ma lo spazio lineare tra Oderzo e Pieve di Soligo è minimo). Ne leggo alcuni per verifica della loro vicinanza, anche nello stile dell’esposizione : “Come era che i coltivava la terra una volta? La terra veniva arata discretamente con vacchette da latte sul peso di 15/16 quintali o se c’era un paio di buoi ecc… Allora non si costumava de meterghe alla terra i veleni, i tossici, i disinfettanti, tutte queste cose, perché non si sapeva; allora c’era un raccolto molto ridotto del frumento, ma anche del granoturco, perché se faseva, nel 1910, in media 6/7 quintali per campo. Non era altro che la me fameia che i féa anca 10/12 quintài, parché noialtri se podéa butarghe grassa, sali potassici” (p. 67). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 79 SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO 49 Fig. 4 - Copertina del volume dedicato da Andrea Zanzotto all’amico Nino, contadino e filosofo, nella tradizione dell’autore dello Scartafaccio. “Quello che è stato può benissimo ritornare, sia in bene sia in male. Però noialtri abbiamo avuto un’evoluzione dei tempi, un’evoluzione di ordine, anche di lavoro, anche di risparmi, anche di sprechi, perché adesso il denaro non val più niente. Quello che è stato, torna, se non è dentro il 2000, tornerà dopo il 2000. Perché tutte le cose l’à il suo ciclo; noialtri avemo il nostro ciclo, tutte le cose, sa, nello sfascio di tutto il mondo intero sono sempre a rotazione. Tutte quante le cose à un principio e una fine, però quello che è stà, torna. Perché a volte si dice: «guarda che tempeston, porta via tutto, guarda che alluvion, porta via tutto, guarda che terremoto sussultorio ecc. ecc.» Ma poi vien l’assestamento, si ritorna al medesimo, quanto prima, adagio, adagio. C’è il pro e il contro, non c’è mai una sola cosa.” “Dunque, la vite quando che à una mezza maturazione o anca più avanti può venire la grandine, può venire ‘l vento che la sbatte e la perde la lagrima, se dice, però se prende il freddo, solo anche ‘na mattina, e un grado, un grado e mezzo, quell’ua se deve vendemiarla subito; se al la assa su anca diese, quindese, venti giorni, al so vino no l’è pì bòn de béverlo perché si è gelato. Quando che la vite, l’uva, i ran de ‘uva e le foglie che i respira come noialtri, se atrofizzano, cosa ne succede? Che la vite non dà più forza alle foglie e all’uva de végner più matura perché alle forze vien come ‘na mezza paralise; se al lo lassa là deventa tuto aceto e no l’è pì bòn gnanca de beverlo. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 80 50 LUCIANO MORBIATO Vien la nostra vita milioni e milioni de anni, dunque miliardi de anni fa… Noialtri semo venuti dal nulla e tutte le cose prima de noaltri, di generazione in generazione; e in realtà la tera co tuta la so difesa e il mare co la so bellezza xé per volontà di Dio, l’à creà lù, mi no posso spiegarve il motivo, il motivo è questo: che quando che nasse uno lu gà dito: volatri dové laorar, patir ecc. Dové tenerve ale opere buone, amarve, rispettarve, far al possibile de poderve jutar un co l’altro ecc. e no far del mal a nessun e fare elemosina, se avete di più date a chi ne à meno. El Signor l’à insegnà, che quando un vien vecio come mi, se no l’à imparà proprio gnente, che al impara almeno a salvarse l’anima, vero?” (Zanzotto, 2005). È la stessa «recoltura viva» praticata istintivamente tra le spine del suo podere da Maso, nella veste di Socrate rustico, e teorizzata, anzi predicata, tra i fogli scritti e disegnati del suo stentato quaderno. BIBLIOGRAFIA AGOSTINETTI G - 1998 - Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa (1679), a cura di U. Bernardi e E. Dematté. Neri Pozza Editore, Vicenza, I., pp. 451. BERENGO M. - 1956 - La società veneta alla fine del ‘700. Sansoni, Firenze, I, pp. 311. BRUNELLO P. - 1996 - Acquasanta e verderame. Parroci agronomi in Veneto e in Friuli nel periodo austriaco (1814-1866). Cierre Edizioni, Verona, I, pp. 160. CALVINO I. - 1996 - Sulla fiaba. Mondadori, Milano, I, pp. 176. Colloqui con Nino - 2005 - a cura di A. Zanzotto. Grafiche Bernardi, Pieve di Soligo, TV, I, pp. 147. CRICO L. - 1817-1818 - Il contadino istruito dal suo parroco. Dialoghi: Economia domestica; Economia rustica. Tipografia di Alvisopoli, Venezia, I, 2 voll., pp. 202, 186. DEMATTÉ E. - 1990 - Dialoghi rusticali di Lorenzo Crico. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, I, pp. 347. GLORIA A. - 1862 - Il territorio padovano illustrato. Prosperini, Padova, I, 4 voll., pp. 305, 345, 343, 198. MILANI M. - 1997 - Antiche rime venete. Esedra editrice, Padova, I, pp. 650. RE F. - 1808-1809 - Dizionario ragionato di libri d’agricoltura, veterinaria, e di altri rami d’economia campestre, ad uso degli amatori di cose agrarie e della gioventù, Stamperia Vivarelli, Venezia, I, 4 voll., pp. 722 complessive. RIZZO G. - 1869 - Catechismo agricolo ad uso dei contadini. Tipografia del Seminario, Padova, I, pp. 184. Scartafaccio d’agricoltura. Manoscritto di un contadino di Spinè di Oderzo (1805-1810)- 1998 - a cura di L. Morbiato. Neri Pozza Editore, Vicenza, I, pp. 199. TARELLO C. - 1975 - Ricordo d’agricoltura (1567), a cura di M. Berengo. Einaudi, Torino, I, pp. 144. TEZA E. - 1895 - Appunti di agricoltura scritti da un contadino. Atti e Memorie della Regia Accademia di Padova, 11, 45-52. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 81 LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA: DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI MEMORIA DELL’ACCADEMICO CORRISPONDENTE FEDERICO SPANNA* presentata all’Adunanza extra mœnia del 20 maggio 2011 presso la sede di Asti dell’Università di Torino RIASSUNTO: La scienza agrometeorologica ha sviluppato, nel corso degli anni, una serie di conoscenze e di strumenti che oggi possono essere impiegati per allestire servizi operativi destinati agli operatori agricoli, al fine di applicare le migliori tecniche di coltivazione nel rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori. I recenti orientamenti normativi riferiti alla difesa fitosanitaria ed alle tecniche agronomiche sottolineano l’importanza della predisposizione e dell’impiego dei supporti agrometeorologici. Per perseguire questi obiettivi l’agrometeorologia utilizza strumenti modellistici diagnostici o previsionali, con lo scopo di pervenire alla simulazione dei processi riferiti sia a “sistemi” semplici sia a “sistemi” complessi, costituenti nel loro insieme l’agroecosistema. Molti supporti modellistici sono già stati tradotti in strumenti operativi ed in servizi destinati a diverse tipologie di utenti operanti in agricoltura a vario titolo ed a scale territoriali diverse. SUMMARY: The Agrometeorological science: from research to operational services Agrometeorological science has developed a wide range of supports and tools that can be used to set up operational services for the farmers in order to apply the best techniques of cultivation. Recent European and Italian regulations, related, in particular, to plant protection and to agronomy, underline the importance of the development and use of agrometeorological supports. To achieve these objectives, the agricultural meteorology uses diagnostic or predictive modelling tools, in order to simulate the processes related to simple “systems” or complex “systems” that constitute the agroecosystem. Many models have already been employed to set up operational tools and services for different categories of users involved in agriculture. 1 - INTRODUZIONE “La moderna agrometeorologia si presenta come una serie di strumenti di analisi e previsione che facendo ricorso all’uso combinato di conoscenze di tipo meteorologico, climatologico, biologico, fisiologico, agronomico, informatico e modellistico, rappresentano utili supporti per una miglior gestione delle attività agricole”. Questa è una delle definizioni attualmente più accre- *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 82 52 FEDERICO SPANNA ditate per sintetizzare gli ambiti di applicazione e gli scopi che la scienza agrometeorologica si pone, al fine di fornire il proprio contributo nel contesto agricolo attuale. Tale ruolo ha assunto importanza via via crescente nel corso degli anni sviluppando - attraverso il progredire delle ricerche - conoscenze e supporti operativi che hanno mostrato potenzialità sempre maggiori in linea con gli indirizzi attuali delle tecniche di produzione agricola. In particolare la recente Direttiva Europea 2009/128/CE (del 21 ottobre 2009) sull’uso sostenibile dei pesticidi, all’articolo 14 - Allegato III, ha dettato i principi per l’applicazione delle tecniche di difesa integrata delle colture. Tra le tante misure trattate sono anche comprese azioni destinate a: - assicurare il monitoraggio e la diffusione dei dati climatici; - costituire sistemi e reti per il monitoraggio delle patologie e delle infestazioni; - provvedere all’elaborazione dei dati climatici, delle infestazioni e delle patologie ed alla diffusione delle informazioni; - predisporre servizi di previsione e allerta (anche con supporti modellistici); - assicurare servizi di coordinamento di assistenza tecnica alle aziende per la difesa integrata delle colture e per l’agricoltura biologica; - predisporre il sistema di controllo dell’applicazione dei princìpi di difesa integrata; - prevedere l’informatizzazione del registro dei trattamenti. La Direttiva, inoltre, impone la qualificazione del sistema agricolo nazionale attraverso l’introduzione di soluzioni sostenibili validate scientificamente. In questo contesto essa fa quindi riferimento alla necessità di sviluppare azioni di ricerca relative ai sistemi di monitoraggio dei parassiti, agli studi di distribuzione spaziale, alla messa a punto di modelli previsionali ed alla realizzazione e/o ottimizzazione di sistemi di previsione e avvertimento. Analogamente a quanto già espresso riguardo alla razionalizzazione delle pratiche di difesa fitosanitaria, a livello nazionale è in corso un’altra iniziativa, gestita a livello ministeriale dal Gruppo Tecniche Agronomiche, volta alla definizione delle Linee Guida per le pratiche agronomiche della produzione integrata. In tale contesto, tra le priorità, emergono la razionalizzazione dell’impiego delle risorse idriche e l’impiego di tutti gli strumenti per la corretta applicazione delle tecniche agronomiche; tra tali strumenti rientra anche la messa a punto e l’impiego di Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS) e della modellistica agroecosistemica che le attività di ricerca e sperimentazione stanno via via realizzando. È evidente quindi che la predisposizione e l’organizzazione di servizi che facciano anche uso di modelli di simulazione risultano sempre più importanti per l’assistenza tecnica e per l’applicazione di metodologie di coltivazione eco-sostenibili. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 83 LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA: DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI 53 2 - IL RUOLO DELL’AGROMETEOROLOGIA È facile comprendere come questa scienza si presenti come disciplina trasversale a molte altre d’interesse agrario ma non solo. L’agrometeorologo, per sua natura, deve lavorare a strettissimo contatto con altri esperti di materie affini e complementari. Sono già stati citati i campi della difesa fitosanitaria e delle tecniche agronomiche, ma esistono numerosissime ricerche ed applicazioni in campo fisico e biofisico, climatologico, fenologico, ecofisiologico, come pure zootecnico ed energetico. Per il primo aspetto si pensi, ad esempio, all’importanza di disporre di previsioni meteorologiche testuali o numeriche o di poter quantificare i processi di scambio tra suolo, pianta ed atmosfera, di grande utilità nella difesa da avversità abiotiche (gelate, siccità, ondate di calore), nella stima della crescita e della produttività dei vegetali, in relazione con la qualità del prodotto, e nell’interazione tra fattori climatici e complesso biotico. Analogamente, grande importanza riveste la misura o la stima di grandezze meteorologiche destinate a costituire banche dati e serie storiche utilizzabili dal punto di vista climatologico, da legare alle caratteristiche del territorio sia in termini di tempo che di spazio. Sono assai note ad oggi le applicazioni di questi dati per lo studio delle oscillazioni climatiche, per la simulazione delle tendenze nel medio periodo e per lo studio di tecniche destinate a mitigarne gli effetti o per adattare l’agricoltura ad esse. Sono solo alcuni esempi applicativi che certo non esauriscono l’ampia gamma di applicazioni alle quali l’agrometeorologia può e deve fornire il proprio contributo. La ricerca produce contributi di metodo, nuove conoscenze relative a strumenti o processi che devono poi essere tradotti in servizi operativi o contributi concreti. 3 - LA MODELLISTICA AGROMETEOROLOGICA Donatelli (1995) afferma che uno degli strumenti a disposizione dell’agrometeorologia per il perseguimento degli obiettivi citati è costituito dall’Analisi dei Sistemi. Leffelaar (Leffelaar et al.,1989) definisce un sistema come una parte della realtà che contiene elementi interrelati. Thornley (Thornley et al., 1990) afferma che i sistemi biologici sono sistemi gerarchici caratterizzati da numerosi livelli di organizzazione. L’approccio definito “Analisi dei sistemi” consiste nello studio di un sistema ad un tempo determinato oppure nello studio del comportamento del sistema stesso nel tempo in risposta a perturbazioni che tendano ad alterare l’equilibrio a cui tende. Svolgere l’analisi di un sistema vuol dire ricorrere a tecniche di modellizzazione matematiche. Un modello matematico è un insieme di relazioni che tentano di descrivere formalmente e simulare il comportamento di un sistema. La simulazione è stata definita da Banks (Banks et al., 1984) come l’imitazione di un processo o sistema reale nel tempo. Il processo di simulazione volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 84 54 FEDERICO SPANNA rappresenta l’uso del modello e la successiva elaborazione dei risultati per determinarne la bontà della stima. I dati prodotti dal modello matematico possono venire comparati con dati sperimentali rilevati nel sistema reale per verificare la bontà della previsione del modello. I modelli possono essere classificati in molti modi. Una delle distinzioni più utilizzate li suddivide in empirici e meccanicistici. I primi costituiscono delle descrizioni dirette dei dati osservati e sono in genere definiti stimando i parametri di una regressione semplice o multipla. Questo modelli dimostrano l’esistenza di relazioni tra le variabili selezionate ma senza spiegarne la natura. Essi non permettono alcuna previsione e non aggiungono nulla alla conoscenza del funzionamento del sistema. I modelli meccanicistici invece tentano di trovare le relazioni tra gli elementi del sistema fornendo spiegazioni dei singoli passaggi che portano al fenomeno studiato. Questi modelli per la loro natura quindi si presentano potenzialmente molto più robusti e trasferibili nel tempo e nello spazio rispetto ai primi. Un secondo criterio di classificazione definisce i modelli di tipo diagnostico o previsionale a seconda che la simulazione si fermi al tempo in cui il modello viene applicato, o che preveda invece l’andamento di un processo nel futuro. Analogamente si parla di modelli di tipo statico o dinamico: nel primo caso tra le variabili in gioco non viene considerato il tempo che invece è componente fondamentale dei secondi. Molto importante è inoltre la distinzione tra modelli deterministici e stocastici; nel primo caso la simulazione restituisce un risultato previsionale numerico senza però fornire l’indicazione della sua distribuzione probabilistica. I modelli stocastici invece riportano risultati che tengono conto della distribuzione di probabilità del fenomeno ed inoltre possiedono procedure di calcolo in grado di aggiungere una componente casuale nel caratterizzare una o più variabili. I modelli principalmente utilizzati in agricoltura sono generalmente di tipo dinamico e deterministico. È inoltre evidente la tendenza al progressivo passaggio dall’approccio empirico a quello meccanicistico. I campi di applicazione della modellistica agrometeorologica sono svariati come pure gli strumenti che da essi derivano e consentono sempre di più di tradurre in servizi per l’utenza i risultati della ricerca. Tra le più importanti applicazioni dei modelli agrometeorologici si ricordano quelle nei campi della meteorologia, climatologia, della difesa da avversità biotiche od abiotiche, della gestione agronomica delle coltivazioni, della fenologia e dell’ecofisiologia vegetale in relazione alla qualità e quantità del prodotto, della micrometeorologia. Ulteriori applicazioni interessano anche la fisiologia animale, la produzione di energie, lo sviluppo di specie spontanee e forestali. Di seguito si fornisce un sintetico approfondimento dei singoli ambiti. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 85 LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA: DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI 55 3.1 - Modelli meteorologici previsionali Sono alla base delle cosiddette previsioni del tempo. Il loro impiego e la loro utilità per l’agricoltura è indubbia. La possibilità di prevedere il tempo che farà nei giorni a seguire dà modo di programmare gli interventi colturali. Uno dei supporti che si stanno affacciando in questi anni, da quando cioè i modelli meteorologici che operano a scala locale hanno acquisito maggiore risoluzione territoriale, è la possibilità di dedurre previsioni di tipo numerico relative alle principali variabili meteorologiche. Un’informazione numerica affidabile consente l’inserimento di tali numeri in molte categorie di modelli trattate successivamente. In particolare si fa riferimento a quelli legati alla difesa da avversità biotiche ed abiotiche, a quelli agronomici ed ecofisiologici. Si tratta quindi di rendere previsionali i modelli oggi diagnostici. 3.2 - Modelli climatici o legati alle variabili meteorologiche In questo caso sono stati proposti numerosi algoritmi per la stima di grandezze meteorologiche non misurate o non facilmente misurabili, partendo da altre grandezze misurate. È il caso ad esempio della stima della radiazione solare (fig. 1) o della bagnatura fogliare o dell’evapotraspirazione o della temperatura del terreno o dei campi di vento. Questi sono solo alcuni esempi ma la bibliografia ne propone molti, estremamente utili per i servizi agrometeorologici sia come dati intermedi per poter eseguire ulteriori applicazioni modellistiche sia come dati diretti difficilmente rilevabili altrimenti se non con costi strumentali molto elevati. In questo contesto inoltre possono rientrare anche i modelli legati alle evoluzioni climatiche in atto, preziosi in fase di analisi delle attuali oscillazioni climatiche e di formulazione di scenari futuri. Fig. 1 - Esempio di relazione osservato vs stimato del Modello “CAMPBELL-DONATELLI” per la stima della radiazione solare. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 86 56 FEDERICO SPANNA 3.3 - Modelli per la difesa da avversità abiotiche e biotiche Sono tra quelli più sviluppati ed applicati. Molti enti e strutture operanti a livello territoriale hanno già tradotto i risultati delle sperimentazioni in servizi destinati agli operatori agricoli proponendo i risultati di tali modelli a livello operativo sotto diverse forme. Nel caso delle avversità abiotiche i modelli di previsione delle gelate, o della siccità, o delle ondate di calore, sono tra quelli maggiormente diffusi ed applicati, mentre a livello di avversità biotiche sono numerosi gli esempi dei modelli riferiti ai più importanti agenti patogeni (fig. 2) e ai principali insetti di interesse agrario. Fig. 2 - Servizio web Regione Piemonte per consultazione modelli fitopatologici. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 87 LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA: DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI 57 In alcuni casi è già stata attribuita a questi modelli una valenza previsionale. Rientrano in questa categoria i modelli che hanno come obiettivo intermedio la simulazione dello sviluppo fungino, ma come obiettivo finale la valutazione della sanità del prodotto da contaminanti di origine biotica: è il caso dei modelli di stima della produzione di micotossine. Questi modelli possono inoltre essere utilizzati insieme ai modelli fenologici o di produttività. In quest’ultimo caso vengono impiegati per la modellizzazione delle interazioni pianta-patogeno e per la quantificazione delle resistenza biotica alla produttività. 3.4 - Modelli ecofisiologici È una categoria di modelli legata al rapporto tra variabili climatiche e fisiologia della pianta. Il loro sviluppo è legato ai meccanismi di crescita e produttività delle coltivazioni. Costituiscono il cuore dei modelli colturali ed inoltre considerano gli aspetti di relazione tra andamento meteorologico e caratteristiche qualitative del prodotto finale. 3.5 - Modelli di gestione agronomica delle coltivazioni Si tratta di modelli estremamente interessanti ma ancora relativamente poco diffusi a livello applicativo a scala territoriale ridotta. Sulla base costituita dai modelli di crescita e produttività, si assemblano i modelli di azione dei fattori di produzione ed agronomici e di reazione della pianta al variare di essi, tra i quali assume un’importanza primaria la risorsa idrica. In molti casi si aggiungono anche importanti modelli di quantificazione di resistenza alla produzione determinata da fattori limitanti od avversi. Costituiscono quindi il cuore dei modelli agroecosistemici nei quali è possibile inserire modelli legati al ciclo di elementi come carbonio e azoto, aventi tra le variabili guida anche e soprattutto quelle meteorologiche. Si stanno inoltre implementando, in questa categoria, i modelli che legano l’andamento meteorologico e l’agrotecnica alla qualità del prodotto finale. 3.6 - Modelli micrometeorologici Questo strumento ha come scopo simulare i processi di scambio tra suolopianta-atmosfera a scala microclimatica. Si tratta spesso di modelli biofisici che, attraverso la simulazione dei processi di scambio energetico o di quantità di moto, consentono di produrre output molto interessanti per la quantificazione di fenomeni difficilmente registrabili attraverso misurazioni dirette. Alcuni di essi definiti SVAT (Soil Vegetation Atmosphere Transfer) (fig. 3) consentono di estendere le informazione derivate a scala micrometeorologica a scale territoriali superiori, per cui l’impiego di questa categoria di modelli può fornire output utili a scala di singola pianta ma anche stime di flussi energetici su scale molto ampie. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 88 58 FEDERICO SPANNA Fig. 3 - Schema generale dei Modelli SVAT. 4 - CONCLUSIONI Questa breve disamina vuole fornire un quadro attuale, del tutto indicativo e non certo esaustivo, dei principali strumenti che la ricerca agrometeorologica sta mettendo a disposizione di potenziali utilizzatori operanti in ambito agro-ambientale. Indubbiamente l’applicazione degli attuali indirizzi normativi e lo sviluppo di nuove linee programmatiche potranno dare un impulso notevole alla traduzione in operatività di tali strumenti ed alla contestuale ed essenziale crescita in termini culturali relativa ai modelli ed al loro impiego. L’ottica agroecosistemica ed agroambientale, che comunque si sta affermando, impone di sviluppare maggiormente l’integrazione tra le diverse esperienze realizzate e le diverse professionalità coinvolte favorendo al massimo la sinergia tra la ricerca e il sistema dei servizi, dell’assistenza tecnica e dell’utilizzatore finale. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 89 LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA: DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI 59 BIBLIOGRAFIA ARGENT R.M.- 2004 - An overview of model integration for environmental applications - components, frameworks and semantics. Environmental Modelling and Software, 19, 219 - 234. BANKS J., CARSON J.S. -1984 - Discrete-eventy system simulation. Prentice-Hall Inc., Englewood Cliffs, New Jersey, USA, pp. 514. CAVALLETTO S., LOGLISCI N., SPANNA F. – 2005 - Analisi di sensitività del modello LSPM (Land Surface Process Model) ai parametri superficiali connessi alla vegetazione: applicazione reale sul territorio agricolo piemontese. Atti Conv. AIAM “Agrometeorologia, risorse naturali e sistemi di gestione del territorio”, 64-65. DE WIT C.T. – 1978 - Simulation of assimilation, respiration and transpiration of crops. Simulation monographs. Center for Agricultural Publishing and Documentation, Wageningen, NL. DONATELLI M. – 1995 - Sistemi nella gestione integrata delle colture – Appunti dalle lezioni. Pubblicazione speciale dell’Istituto Sperimentale Agronomico, ISA – Sezione di Modena, Modena, MO, I, pp. 133. DONATELLI M., BELLOCCHI G., FONTANA F. – 2003 - RadEst3.00: Software to estimate daily radiation data from commonly available meteorological variables. European J. of Agronomy, 18, 363 - 367. DOORENBOS J., PRUITT W.O. – 1975 - Guidelines for the prediction of crop water requirements. FAO Irrig. and Drain. Paper 24, FAO, Rome, I. LEFFELAAR P. A., FERRARI T.J. – 1989 - Some elements of dynamic simulation. In: Rabbinge R., Ward S.A., Van Laar H.H. (eds) Simulation and system management in crop protection – Simulation Monograph 32, Pudoc, Wageningen, NL. PRINO S., SPANNA F., LA IACONA T., SANNA M. – 2008 - Modellizzazione della percentuale di radiazione potenziale incidente su un filare appartenente ad un vigneto comunque inclinato e stima della radiazione solare globale oraria. Ital. J. of Agrometeorology, 1, 74-75. PRINO S., SPANNA F., CASSARDO C. – 2009 - Verification of the stomatal conductance of Nebbiolo grapevine. J. of Chongqing University, 8, 1, 17-24. RICHARDSON C.W., WRIGHT D.A. – 1984 - WGEN: a model for generating daily weather variables. USDA, Agric. Research Service, ARS-8, Washington, D.C, USA. ROSSI V., CAFFI T., GIOSUÈ S., GIROMETTA B., BUGIANI R., SPANNA F., DELLAVALLE D., BRUNELLI A., COLLINA M. – 2004 - Elaborazione e validazione di un modello dinamico per le infezioni primarie di Plasmopara viticola. Atti Conv. “Metodi numerici, statistici e informatici nella difesa delle colture agrarie e delle foreste: Ricerca ed applicazioni”, 68-71. SALINARI F., RETTORI A., GIOSUÈ S., ROSSI V., SPANNA F., GULLINO M.L – 2004 - Peronospora della vite e variazioni del clima in Piemonte: indagine storica e prospettive future. Atti Conv. AIAM “Gli agroecosistemi nel cambiamento climatico”, 74-75. SALINARI F., GIOSUÈ S., TUBIELLO F.N., RETTORI A., ROSSI V., SPANNA F., ROSENZWEIG C., GULM.L – 2006 - Downy mildew (Plasmopara viticola) epidemics on grapevine under climate change. Global Change Biology, 12, 1299–1307. LINO SPANNA F. – 2008 - Rapporto tra ricerca agrometeorologica e servizi all’utenza nell’Italia nordoccidentale. Ital. J. of Agrometeorology, 2, 49-53. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 90 60 FEDERICO SPANNA SPANNA F., FORNI E. G., LA IACONA T., SANNA M., VERCELLINO I.- 2010 - La modellistica agrometeorologica in Italia in relazione alle recenti normative europee. Protezione delle colture. Rivista scientifica di patologia vegetale, entomologia agraria e diserbo delle colture. Edizione speciale: Incontri Fitoiatrici 2010, 13-17. SPANNA F., CASSARDO C., MONCHIERO M., VERCELLINO I., FRANCONE C., LA IACONA T., SANNA M., GULLINO M.L. – 2011 - La modellistica micrometeorologica applicata ai processi di crescita e produttività della vite. Protezione delle colture. Rivista scientifica di patologia vegetale, entomologia agraria e diserbo delle colture. Edizione speciale: Incontri fitoiatrici 2011, 2-10. THORNLEY J.H.M., JOHNSON I.R. – 1990 - Plant and crop modelling, a mathematical approach to plant and crop physiology. Clarendon Press, Oxford, G B, pp. 669. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 91 CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO MEMORIA DI ANNA LISA E DELL’ACCADEMICO EMERITO LUIGI LISA* presentata all’Adunanza extra moenia di Asti il 20 maggio 2011 RIASSUNTO: È stata condotta un’analisi delle caratteristiche climatiche dal 1999 al 2010 nella zona di Carpeneto (AL), facendo riferimento alle fasi fenologiche dei vitigni in sperimentazione, a confronto con le medie poliennali. Sono state determinate le correlazioni in base alle rette di regressione per poter prevedere le fasi fenologiche e i dati produttivi, confrontando i risultati che si desiderano ottenere (es. data di germogliamento) con i parametri climatici dei periodi precedenti che li possono condizionare. Il clima piovoso e freddo dell’inverno e della primavera ha determinato un ritardo di 2-4 giorni, rispetto alla media, nel germogliamento, che si è mantenuto nelle altre fasi fenologiche e accentuato in maturazione per alcuni vitigni, a causa delle piogge durante l’invaiatura. La produzione d’uva e di sarmenti nel 2010 è stata leggermente superiore alla media in quasi tutti i vitigni. Nel complesso le previsioni sono state abbastanza efficaci e vicine ai valori effettivi, tranne alcune eccezioni. SUMMARY: Climatic, phenological and productive characteristics of Carpeneto (AL) viticulture. An analysis of climatic characteristics in Carpeneto (AL) from 1999 to 2010 has been carried out, with reference to phenological phases of grapevine cultivars in testing, in comparison with polyannual average. The correlations based on the regression lines have been determined to foresee the phenological phases and the production data, comparing the results we are looking for with climatic indicators of previous periods that could influence. Rainy and cold climate in winter and spring have brought a 2-4 days’ delay in sprouting compared with average, delay that continued to other phenological phases and emphasized in ripening for a few grapevines, due to rain in fruit-setting. Grape and cane production in 2010 has been lightly higher than average for almost all grapevine cultivars. The forecasts as a whole have been effective enough and near to real values. RéSUMé: Caractéristiques climatiques, phénologiques et productives du vignoble de Carpeneto (AL) en Italie de Nord-Ouest. L’analyse menée à Carpeneto a permis de mettre en rapport les données climatiques, suivies de 1999 à 2010, avec les dates de la phénologie en 2010 comparées aux moyennes de la période entière. On a calculé ces corrélations sur la base des régressions afin de prévoir la suc- *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 92 62 ANNA LISA - LUIGI LISA cession des phases principales et les données de la récolte, en mettant en relation la date des phénomènes (ex. bourgeonnement) avec les paramètres climatiques de la période précédente susceptibles de les influencer. Le climat froid et pluvieux de l’hiver et du printemps a retardé le bourgeonnement de 2-4 jours par rapport à la moyenne et ce retard s’est maintenu ensuite et en maturation s’est accentué pour certains cépages, à cause de la pluie pendant la véraison. Le rendement et la vigueur en 2010 ont été légèrement supérieurs à la moyenne pour presque tous les cépages. Dans l’ensemble les prévisions ont été assez efficaces et proches du réel, sauf quelques exceptions. 1 - PREMESSA E METODI Dal 1999 sono stati svolti rilievi sistematici sull’andamento climatico e sui risultati produttivi in viticoltura, presso il Centro Vitivinicolo Regionale Tenuta Cannona a Carpeneto (AL). I dati climatici provenienti dalla stazione meteorologica automatica aziendale sono stati elaborati e forniti dalla Rete Agrometeorologica del Piemonte - Regione Piemonte - Assessorato Agricoltura - Settore Fitosanitario Sezione di Agrometeorologia. Le caratteristiche climatiche del 2010 sono state analizzate con riferimento alle fasi fenologiche dei vitigni in sperimentazione, in confronto alle medie poliennali per la zona di Carpeneto. La grande massa di dati accumulati ha consentito di sviluppare un modello - derivato da uno studio, svolto in collaborazione con il dott. Spanna del Servizio Agrometeorologico della Regione Piemonte per la zona di Vezzolano (Lisa, Spanna, 2003) - in grado di prevedere già a metà anno le date delle diverse fasi fenologiche e le principali caratteristiche produttive in viticoltura. Per rappresentare le condizioni climatiche dell’annata viticola e poterla confrontare con quella di altre zone, di solito viene considerato il periodo aprile-settembre e, per la maturazione, il mese di settembre, oltre all’indice Branas del rischio peronosporico (calcolato sommando il prodotto fra temperatura media mensile e pioggia mensile da aprile ad agosto). I fattori climatici esaminati sono: • pioggia totale e utile (pioggia totale detratti i deflussi medi superficiali in base a controlli pluriennali nella zona); • indice eliotermico (adattamento dell’indice Huglin delle temperature attive per la vite); • evapotraspirazione colturale, derivata da quella potenziale di PenmanMontheith, integrata da un coefficiente che tiene conto dell’umidità relativa media giornaliera; • disponibilità idrica giornaliera (calcolata per i singoli periodi, detraendo dalla pioggia utile l’evapotraspirazione colturale) o deficit idrico; • indice idrotermico di Branas, o del rischio peronosporico; • indice Fregoni; • indice Introini. Per definire meglio come il clima condizioni la viticoltura occorre considerare i parametri precitati per tutti i periodi corrispondenti alle successive fasi fenologiche dell’intero ciclo colturale: pregermogliamento, germoglia- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 93 CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO 63 mento, fioritura-allegagione (14 giorni), crescita, invaiatura, maturazione (gli ultimi 30 giorni prima della vendemmia). Questo studio è stato applicato a 7 vitigni coltivati in zona: tre a maturazione precoce (‘Chardonnay’, ‘Pinot nero’ e ‘Moscato bianco’), due intermedi (‘Dolcetto’ e ‘Barbera’) e due tardivi (‘Nebbiolo’ e ‘Albarossa’), raggruppando le fasi citate in tre periodi vegetativi: pregermogliamento-germogliamento, fioritura-crescita e invaiatura-maturazione. 2 - RISULTATI 2.1 - Confronto per i principali parametri climatici In base ai valori medi giornalieri dei parametri normalmente disponibili (pioggia totale effettiva, temperature media e massima), il mese di settembre 2010 risulta caratterizzato da pioggia sensibilmente inferiore alla media poliennale, con temperatura media anch’essa inferiore (fig. 1, in alto). Quanto ai parametri climatici utili per la viticoltura (pioggia utile, indice eliotermico derivato dall’indice Huglin, evapotraspirazione colturale, disponibilità idrica o deficit idrico) emerge che: la pioggia utile ha lo stesso andamento della pioggia totale, l’indice eliotermico nel 2010 è solo leggermente inferiore alla media, come pure l’evapotraspirazione colturale, mentre la disponibilità idrica è sensibilmente inferiore (fig. 1, in centro). Fig. 1 - Condizioni climatiche durante il mese di settembre e il periodo invaiatura-maturazione del vitigno ‘Barbera’ a Carpeneto nel 2010 a confronto con la media 1999-2010. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 94 64 ANNA LISA - LUIGI LISA Le caratteristiche climatiche del periodo invaiatura – maturazione del vitigno ‘Barbera’ (scelto come esempio) sono sensibilmente diverse da quelle prima descritte, proprio perché si riferiscono ai 54 giorni intercorrenti tra il 13 agosto e il 5 ottobre. In quel periodo la pioggia e la disponibilità idrica nel 2010 sono sensibilmente superiori alla media poliennale, mentre l’indice eliotermico è inferiore alla media in misura molto più evidente, come pure l’evapotraspirazione colturale. 2.2 - Confronto tra le condizioni climatiche stagionali di un vitigno a maturazione precoce (‘Pinot nero’) e uno tardivo (‘Nebbiolo’) 2.2.1 - Pioggia utile e disponibilità idrica Fig. 2 - Pioggia utile e disponibilità idrica per ‘Pinot nero’ e ‘Nebbiolo’ nell’anno 2010 a confronto con la media poliennale. Nel 2010 la pioggia utile per il ‘Nebbiolo’ è stata più abbondante durante la fioritura-crescita e inferiore nell’invaiatura-maturazione rispetto al vitigno a maturazione precoce (fig. 2 in alto); il totale annuo è stato ancora superiore, anche se il valore medio giornaliero è stato inferiore (1,45 mm per il ‘Nebbiolo’ contro 1,53 mm per il ‘Pinot nero’), poiché la durata del ciclo è stata superiore (221 giorni per il ‘Nebbiolo’ contro 189 giorni per il ‘Pinot nero’). Come media poliennale la pioggia del ‘Nebbiolo’ è stata nettamente superiore a quella del 2010, mentre per il ‘Pinot’ è stata simile. La disponibilità idrica durante la fioritura-crescita nel 2010, è stata inferiore nel ‘Pinot nero’ rispetto al ‘Nebbiolo’. Va notato che nella media poliennale per il ‘Pinot nero’ è presente una carenza idrica nell’invaiatura-maturazione, non nel 2010. Per il ‘Nebbiolo’ la disponibilità idrica del 2010 è stata superiore a quella media, specialmente nella fase di fioritura-crescita. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 95 CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO 65 2.2.2 - Indice eliotermico ed evapotraspirazione colturale L’indice eliotermico e l’evapotraspirazione colturale del ‘Pinot nero’ sono superiori a quelli del ‘Nebbiolo’, sia nel 2010 che come media poliennale, ma in entrambi i vitigni nel 2010 sono inferiori alla media. Come nel caso precedente i valori complessivi stagionali hanno un andamento diverso per la maggior durata del ciclo nel ‘Nebbiolo’. Nel complesso è evidente la differenza climatica stagionale, dalla fioritura in poi, tra i vitigni a maturazione precoce e tardiva. Fig. 3 - Indice eliotermico ed evapotraspirazione colturale (ETc) nell’anno 2010 e nella media poliennale. 2.3 - Date d’inizio delle varie fasi, durata dei periodi fenologici e clima in maturazione per il ‘Moscato bianco’. Tab. 1 - Date d’inizio delle varie fasi e condizioni climatiche durante la maturazione dell’uva per il ‘Moscato bianco’. Tab. 2 - Date e durata dei periodi fenologici per il ‘Moscato bianco’. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 96 66 ANNA LISA - LUIGI LISA Rispetto alla media poliennale, nel 2010 tutte le fasi fenologiche sono state raggiunte con un lieve ritardo (tab. 1); il ciclo colturale è stato un po’ più lungo: pregermogliamento, crescita e invaiatura sono durati qualche giorno in più (tab. 2). Nel periodo di maturazione le temperature e l’escursione termica sono state inferiori alla media, come pure gli indici qualitativi. 2.4 - Previsioni fenologiche e quanti-qualitative Per giungere alle previsioni si sono determinate le correlazioni in base alle rette di regressione, confrontando i risultati che si desiderano ottenere (es. data di germogliamento) con i parametri climatici (pioggia, indice eliotermico, ETc, deficit idrico) dei periodi precedenti che li possono condizionare. Sono stati utilizzati i dati dal 1999 al 2010, o di periodi inferiori nelle sperimentazioni avviate successivamente (‘Pinot nero’, ‘Chardonnay’ e ‘Albarossa’). A titolo di esempio (tab. 3) sono riportate le correlazioni utilizzate per la previsione della data di germogliamento del ‘Pinot nero’ nel 2010 con le caratteristiche delle regressioni analizzate. Si sono utilizzate quelle con valori significativi, almeno per uno dei due fattori, o vicini a essi. Per verificare la significatività delle regressioni sono stati utilizzati il coefficiente di correlazione “r” di Pearson e il coefficiente di correlazione “rho” dei ranghi di Spearman (per integrare quello di Pearson). È stato considerato anche il coefficiente di variabilità (cv) dei risultati previsti. Tab. 3 - Previsione della data di germogliamento per il vitigno ‘Pinot nero’. La significatività delle regressioni utilizzate è stata abbastanza variabile. Le punte estreme delle previsioni sono andate dal 13 al 20 aprile, con significatività elevate. 2.4.1 - Due esempi di retta di regressione per la previsione della data di germogliamento nel ‘Pinot nero’ Sono state calcolate due rette di regressione con significatività variabili: per r da * (5 %) a ** (1 %) e per rho da ** (1%) a *** (5 /‰). Di fianco al volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 97 CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO 67 grafico (tab. 4) è riportata per ogni anno la previsione, in base alla formula presente nel grafico. Si nota che: • se il rho è negativo äall’aumentare del periodo “crescita-invaiatura anno precedente” corrisponde un anticipo del germogliamento (il n° di riga del giorno del germogliamento è più basso); • se il rho è positivo äall’aumentare dell’ETc durante il germogliamento corrisponde un posticipo di germogliamento (il n° di riga del giorno del germogliamento è più alto). Tab. 4 - Carpeneto: previsione della data di germogliamento per il ‘Pinot nero’. 2.4.2 - Date fenologiche medie poliennali, previste ed effettive per germogliamento e fioritura Nel 2010 le diverse fasi fenologiche si sono verificate in ritardo di alcuni giorni, rispetto ai valori medi poliennali, per tutti i vitigni (fig. 4). Il germogliamento è avvenuto con un ritardo di 2-4 giorni rispetto alle date medie poliennali. Le previsioni sono state anticipate di 1-3 giorni (4 nel ‘Barbera’) rispetto alla data effettiva; le differenze fra date previste e medie sono variate da -1 a +3 giorni. Il germogliamento è più precoce nel ‘Nebbiolo’ e più tardivo nell’‘Albarossa’. La fioritura è avvenuta in ritardo di 1-2 giorni rispetto ai valori medi. Le previsioni sono state vicine alla media con un anticipo di 1-2 giorni rispetto alle date effettive (3 nel ‘Moscato’). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 98 68 ANNA LISA - LUIGI LISA Fig. 4 - Date di germogliamento e fioritura: medie poliennali, previste ed effettive nel 2010 per tutti i vitigni in esame. 2.4.3 - Date fenologiche medie poliennali, previste ed effettive per invaiatura e maturazione Fig. 5 - Date di invaiatura (in alto) e maturazione dell’uva (in basso): medie poliennali, previsioni eseguite in due periodi e date effettive nel 2010 per tutti i vitigni in esame. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 99 CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO 69 Per queste fasi sono state eseguite due previsioni: la prima in base ai dati climatici fino alla fioritura, la seconda in base a quelli successivi. Nell’invaiatura il ritardo del 2010 sui valori medi è 2-5 giorni (7 nello ‘Chardonnay’ e 0 nell’‘Albarossa’). Le prime previsioni sono anticipate rispetto alle date effettive da 1 a 4 giorni nei vitigni precoci e ritardate di 1-2 giorni in quelli tardivi. Rispetto alle medie le date inizialmente previste sono state ritardate di 1-5 giorni, tranne un anticipo di 2 giorni nel ‘Dolcetto’. Le seconde previsioni si sono avvicinate maggiormente alle date effettive per ‘Moscato’, ‘Dolcetto’, ‘Barbera’ e ‘Albarossa’, meno per gli altri vitigni. La maturazione è avvenuta con un ritardo sui valori medi di 2-5 giorni nei vitigni precoci, ritardo salito a 5-8 giorni nei tardivi, ma con un massimo di 9 giorni nel ‘Dolcetto’ e un minimo (solo un giorno) nell’‘Albarossa’. Le prime previsioni sono state leggermente anticipate rispetto alle date effettive (tranne che per il ‘Pinot nero’), ma ritardate in misura accentuata rispetto ai valori medi. Le seconde previsioni sono state simili, tranne che per il ‘Dolcetto’ anticipato di 10 giorni, rispetto ai 3 giorni delle prime previsioni. Va rilevato che nel vitigno ‘Albarossa’ le previsioni sono state particolarmente vicine ai valori effettivi; anche rispetto alle medie le previsioni sono state prossime, tranne che per il germogliamento. Nel complesso le previsioni sono state abbastanza efficaci e vicine ai valori effettivi, tranne alcune eccezioni. 2.4.4 - Previsione produzione di sarmenti in tutti i vitigni in esame Sono state calcolate due previsioni: la prima in base ai dati climatici registrati fino alla fioritura e la seconda in base ai dati successivi fino alla maturazione. Tab. 5 - Produzione di sarmenti: medie poliennali, medie 2010 e previsioni 2010. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 100 70 ANNA LISA - LUIGI LISA La produzione di sarmenti nel 2010 è stata leggermente inferiore alla media nel ‘Moscato bianco’ e nel ‘Dolcetto’, superiore negli altri vitigni; non sono disponibili i dati relativi al ‘Nebbiolo’. Le prime previsioni sono state modestamente affidabili, leggermente migliori le seconde. 3 - CONCLUSIONI Il clima piovoso e freddo dell’inverno e della primavera ha determinato un ritardo rispetto alla media di 2-4 giorni nel germogliamento, ritardo che si è protratto anche alle altre fasi fenologiche e accentuato in maturazione per alcuni vitigni (sino a 9 giorni), a causa delle piogge durante l’invaiatura. La produzione d’uva nel 2010 è stata leggermente superiore alla media poliennale, tranne che per ‘Chardonnay’ e ‘Barbera’. La massa del grappolo è stata inferiore rispetto alla media poliennale, specialmente nel ‘Dolcetto’, e quasi coincidente nell’‘Albarossa’, che appare dotato di notevole costanza di comportamento. La produzione di sarmenti nel 2010 è stata leggermente inferiore alla media nel ‘Moscato bianco’, e nel ‘Dolcetto’, superiore alla media negli altri vitigni in prova. BIBLIOGRAFIA LISA L., SPANNA F. – 2003 - Indici meteorologici idonei per la viticoltura. Analisi dei dati rilevati a Vezzolano dal 1964 al 2002. Rapporto interno CNR IMAMOTER. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 101 CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI. IL CONTE E IL RISO MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO ANTONIO FINASSI* presentata ad Asti all’Adunanza extra moenia del 20 maggio 2011 RIASSUNTO: L’azienda di Leri fece parte di una proprietà dell’abbazia di Lucedio dall’inizio del 12° secolo al 1784, quando passò alla Commenda dei SS Maurizio e Lazzaro che la condusse fino al 1792. Nel 1818 la tenuta di Leri fu acquistata dal marchese Michele Cavour, in vista di farne un’azienda modello. Camillo Benso, il suo inquieto figlio minore, nel 1835 subentrò nella conduzione dell’azienda paterna. L’attività agricola divenne uno degli scopi primari della sua multiforme operosità e non venne mai sacrificata all’azione politica. Leri divenne non solo il ritiro, ove si ritemprava dalle disillusioni politiche, ma il terreno che gli permetteva di sviluppare la sua intraprendenza anche in agricoltura. L’incontro e la comunanza operativa con Giacinto Corio gli consentirono di sperimentare numerose innovazioni attinenti alla concimazione chimica, alla meccanizzazione, all’alimentazione del bestiame e gli ispirarono la costituzione dell’Associazione per l’irrigazione. La sua eccezionale capacità imprenditoriale trova un interessante riscontro nelle numerose lettere scambiate con Corio, da cui si evince la sua profonda conoscenza degli addetti e collaboratori e la sua capacità di valutare le potenzialità di ciascuno per la gestione aziendale. La schiettezza del linguaggio diretto, con inaspettati inserimenti ironici, rende evidente la sua attenta partecipazione alla vita di Leri negli aspetti sia agronomici sia umani. SUMMARY: Camillo Benso, Count of Cavour farmer and rice grower in Leri. After recalling the historical events that led to the acquisition of the farm of Leri by the Marquis Michele Cavour, some of the more important aspects of Count Camillo Cavour’s activities, his restless younger son, are reported in the running of the family business. Agricultural industry was one of the primary purposes of his many activities and was never sacrificed to political action. Leri became his retreat where he would not only recover from political disillusionment but it would allow him to develop his resourcefulness even in agriculture. Meeting and working with Giacinto Corio allowed him to experience numerous innovations associated with chemical fertilisers, the threshing mechanisation, livestock feed and was inspired by the constitution of the Association for irrigation. His exceptional entrepreneurial ability finds an interesting response in the numerous letters exchanged with Corio which show a deep understanding of the assessment of workers and employees and the ability to manage the staff’s potential. His bluntness in speaking, with unexpected ironic inputs, livens up his careful participation in the life in Leri in both agronomic aspects as well as the human ones. E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 102 72 ANTONIO FINASSI RÉSUMÉ : Le comte Camillo Benso de Cavour agriculteur à Leri et la culture du riz La ferme de Leri du 12ième siècle à 1784 appartint à l’abbaye de Lucedio , à qui la Commenda des SS Maurice et Lazare succéda jusqu’en 1792. Après la révolution française et Napoléon, en 1818 le Marquis Michele Cavour en acheta 1200 hectares en vue d’en faire une ferme modèle. Son fils cadet Camillo Benso en 1835 se mit avec plaisir à la tête de cette exploitation. L’agriculture devint ainsi l’une des activités les plus importantes de ce génie de la politique, qui réussit à concilier ces différents intérêts. Leri devint non seulement le lieu où reprendre ses forces, mais le terrain qui lui permettait de donner cours à son esprit d’initiative en agriculture aussi. La rencontre et la communauté d’échanges avec Giacinto Corio, son grand fermier, lui permirent d’expérimenter des solutions innovantes concernant la fertilisation chimique, la mécanisation, l’alimentation du bétail, et lui donnèrent l’idée de constituer une Association pour l’irrigation. Sa capacité exceptionnelle d’entrepreneur ressort confirmée des lettres qu’il a échangé avec Corio, ainsi que sa connaissance approfondie de ses employés et collaborateurs, et sa capacité d’évaluer le potentiel de chacun au profit de la gestion de l’entreprise. La franchise de son langage direct, avec des tournures de phrases inattendues, pleines d’ironie, rend justice à sa participation attentive à la vie de Leri dans tous ses aspects soit agronomiques, soit humains. 1 - PERCHÉ LERI? Dove si trova Leri? e com’è divenuta parte dei beni della famiglia Cavour? Leri era una grangia di Lucedio, di quell’abbazia posta al centro della bassa pianura vercellese, non lontano dal Po ove i monaci cistercensi di La Ferté erano stati chiamati dal marchese Ranieri del Monferrato e vi si erano impiantati all’inizio del XII secolo (1123) con il compito di bonificare la pianura boscosa, acquitrinosa e inospitale. Oggi è difficile localizzare Lucedio con i suoi resti abbaziali, mentre è più facile individuare Leri grazie ai due paraboloidi in cemento che costituiscono le torri di raffreddamento della centrale termoelettrica Galileo Ferraris. Nel 1784 il Pontefice Pio VI secolarizzò l’Abbazia e l’affidò alla Commenda dei SS Maurizio e Lazzaro che, a sua volta, trasferì la commenda (1792) a Vittorio Emanuele Duca d’Aosta. L’invasione napoleonica cancellò i vari benefici e incamerò i beni allo Stato. Nel 1807 Napoleone cedette le sette grange di Lucedio, della superficie complessiva di 2700 ettari, a suo cognato il principe Camillo Borghese, quale quarta parte del prezzo d’estimo dei 322 pezzi della galleria d’arte da lui venduta al Governo francese. Nel dicembre del 1818 il principe Borghese vendeva tutto il tenimento, per 3 milioni di lire nuove effettive di Piemonte, ai sigg. Marchesi Michele Benso di Cavour, Carlo Gozzani di San Giorgio e al signor Luigi Festa. Nel 1822 il tenimento veniva diviso in quattro lotti: il 4° lotto comprendente Leri, Montarucco, parte di Ramezzana e parte della foresta, fu attribuito al Marchese Michele Benso di Cavour che aveva in animo di trasformarlo in un’azienda modello. Su questa proprietà familiare di oltre 1200 ettari operò Camillo dal 1835 sino alla morte, facendone un punto di riferimento della sua intensa esistenza. Cavour arriva a Leri catapultato dai salotti della Torino aristocratica, distogliendolo dalle beghe derivanti dai fermenti politici e sociali originati dall’illuminismo e dalla Rivoluzione francese, cui aveva attivamente partecipato. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 103 CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI. IL CONTE E IL RISO 73 Aveva inoltre indirettamente vissuto l’evolversi della Restaurazione seguita allo spegnersi dei bagliori imperiali napoleonici, essendo suo padre il marchese Michele capo della polizia. 2 - CAVOUR IMPRENDITORE A LERI A Leri Cavour trova un’azienda che non dava reddito, gestita con criteri tradizionali: la conduzione era affidata ad un agente che riferiva a Torino ad una proprietà assenteista che operava un controllo a distanza ed era assai restia a calarsi nella realtà operativa. Egli affronta questa realtà con spirito imprenditoriale: è un imprenditore agricolo a pieno titolo, un imprenditore però proiettato nel futuro, che intrattiene contatti con i vicini confinanti, con i quali si confronta, e dei quali non trascura le osservazioni sui risultati dei suoi esperimenti e delle innovazioni introdotte. Perché amava stare a Leri? probabilmente perché era distante da Torino quel tanto che gli consentiva di raggiungerla agevolmente ma tale da permettergli di “staccare” dalla convulsa vita urbana e politica. Inoltre, sul piano più propriamente agronomico a Leri prevaleva la coltura cerealicola irrigua, un tipo di coltivazione a ciclo annuo, che consentiva di ottenere risposte rapide ai suoi esperimenti; non solo, l’irrigazione sottraeva le colture all’alea della siccità. Non sarebbe stato possibile ottenere risposte altrettanto rapide se avesse operato sulle viti di Grinzane o sui terreni collinari privi d’irrigazione. Queste sono le considerazioni “operative” apparenti, con facile riscontro ad un osservatore esterno. In realtà la scelta di Leri aveva una profonda ragione psicologica che lo ha tormentato per un lungo periodo della sua esistenza: la sua condizione di “cadetto”, che in una società chiusa, formale e retriva, lo relegava in seconda fila sino a quando il successo politico lo porterà a riprendersi quel posto, in prima fila, che la nascita gli aveva negato. Se a Torino era il “cadetto” a Leri era il “dominus” a pieno titolo e questa condizione egli la rafforza pienamente assumendo la conduzione diretta della tenuta, con piena responsabilità imprenditoriale ed economica, conquistando quella libertà d’azione che consegue mediante il successo finanziario. È però un agricoltore che ha i piedi ben piantati per terra e s’interessa dell’intera filiera della produzione, preoccupandosi dell’andamento del mercato ed utilizzando le informazioni che gli giungevano attraverso i suoi contatti internazionali per speculare sui prezzi dei prodotti agricoli. A Leri conduceva una vita spartana, pur senza rinunciare alla buona tavola, di mattino alzandosi prima dell’alba (al suono del tamburo che risvegliava i bovari) e iniziando il riposo serale poco dopo le 10. 3 - DA ORECCHIANTE AD ESPERTO Cavour ha molte idee innovative ma poca esperienza operativa. Si lancia in iniziative inconsuete: allevamento di pecore merinos, coltura della barba- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 104 74 ANTONIO FINASSI bietola (Santena), impiego del guano e dei concimi chimici sotto lo sguardo attento e malizioso del proprietario confinante, Marcone (della tenuta Colombaro), pronto a commentare salacemente gli insuccessi del vicino. Fino a quando, nel 1843, incontra il suo uomo, Giacinto Corio di Livorno, imprenditore esperto, grande affittuario dei beni della casata Salino, uomo che alla capacità imprenditoriale univa una profonda onestà, schiettezza nei rapporti personali, efficienza. Cavour lo coinvolge nella conduzione, prima come consulente poi come socio (1848), attivando un contratto innovativo il cui fine era di associare il lavoro al capitale e di promuovere le migliorie mediante la partecipazione agli utili. Un rapporto schietto, testimoniato dalle numerosissime lettere scambiate (non esisteva il telefono) che rispecchiano perfettamente il carattere dei due protagonisti ed il vincolo di reciproco rispetto che li legava. Nei suoi viaggi all’estero Cavour aveva osservato con interesse le innovazioni apportate nell’agricoltura d’oltralpe e di quella inglese in particolare ma, senza dubbio, in campo agricolo aveva molto da imparare e di questo era conscio. Nel suo spirito, era netta la demarcazione fra ciò che sapeva e quello che ignorava. Le nozioni che acquisiva erano complete, da uomo del mestiere, non incerte, vaghe e oscure; aveva l’ardore che fa intraprendere e la ragione che fa distinguere. Così egli apprezzava la chimica senza crederla onnipotente; si era reso conto che l’agricoltura era un’arte che esigeva una costante presenza e che non poteva essere delegata. Troppi sono i fattori incontrollabili ed imprevedibili che influenzano il risultato economico agricolo. L’intenso scambio di lettere con Corio testimonia quanto importante fosse la presenza in azienda di un referente operativo. Per inquadrare, con una qualche efficacia, lo svolgersi della sua attività d’imprenditore agricolo è opportuno fare riferimento allo stato dell’arte dell’agricoltura piemontese dell’epoca. La produzione agricola nella prima metà dell’'800 dipendeva largamente dalla disponibilità di letame che rimaneva il concime fondamentale. Ma la disponibilità del letame era strettamente collegata con la quantità di bestiame presente nel fondo; quindi era necessario disporre di un’adeguata quantità di fieno che si otteneva da un’estesa praticoltura oppure ricorrendo all’acquisto esterno, condizione avversata da Cavour che, in una lettera a Corio (3/3/1846), gli ordinava di acquistare 1000 – 1500 rubbi di fieno “per quelle maledette vacche di Leri”. Un’espressione che ben esplicita il suo stato d’animo nel dover soggiacere obtorto collo ad una costrizione. “La mancanza di fieno è la cosa più grave; provo per esperienza che il voler mantenere 40 vacche a fieno è cosa quasi assurda”. Da qui la ricerca di surrogati del fieno e dell’aumento della produzione di fieno mediante concimazione del prato. Per ovviare alla scarsità di foraggio Cavour introduce l’uso del trinciapaglia per comporre miscele con il fieno arricchendolo con panello di noci per l’ingrasso dei buoi. La carenza di foraggio non era una situazione precipua di volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 105 CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI. IL CONTE E IL RISO 75 Leri; sovente, al termine dell’inverno, si era costretti a far pascolare i buoi sulle rive dei canali e sui rari incolti. A Leri egli si rende conto che l’agricoltura basata sul letame e l’avvicendamento imponeva delle restrizioni troppo pesanti e non consentiva di incrementare significativamente le produzioni. Cavour pensa di ricorrere al guano ed ai concimi chimici. L’impiego del concime comporta investimenti finanziari che devono essere retribuiti dalla produzione; quindi un investimento di capitali che comporta un’impostazione rivoluzionaria rispetto all’atteggiamento retrogrado e senza uscita dell’agricoltura tradizionale, e quindi poco comprensibile nell’ambito agricolo del tempo. 4 - ORGANIZZAZIONE AZIENDALE A Leri il personale era formato da: 1 agente, 1 sotto agente, 1 guardia, 4 campari, e diversi prataioli, cui si aggiungevano 39 famiglie di salariati con 3 o 4 persone. Ciascun salariato fisso aveva l’abitazione gratis, un pezzo di orto, un piccolo pollaio, 90 lire annue in contanti, 6 sacchi da 140 L di granaglie (meliga, risino, segale), 600 fascine di legna ed 1/3 del prodotto di più di un ettaro di terra coltivato a meliga. Il valore totale di questo salario era di 400 lire. La giornata di lavoro della donna del salariato era pagata 40 centesimi, mentre la paga degli avventizi era di 75 cent. in inverno, di 1 lira da marzo e di 2 lire in tempo di raccolta. Il valore corrispondente, rapportato al risone, corrispondeva rispettivamente a 3,5 - 7 - 9 kg. Le donne della famiglia dei salariati erano obbligate a lavorare in azienda. Il bestiame di Leri era composto di: 13 fra cavalli e muli; 60 vacche svizzere da latte, con una produzione media giornaliera di 6 L; 40 buoi piemontesi da lavoro; 18 buoi all’ingrasso; 20 manzi, destinati alla rimonta dei buoi da lavoro, 20 manze, destinate alla rimonta delle vacche da latte; totale 170 capi. Nel 1850 la dotazione di attrezzi consisteva in tre piste con sei pestelli, una trebbiatrice da riso e cereali, 40 aratri, 12 erpici, 10 carri a due ruote, 20 carri a quattro ruote per i buoi, 6 barrocci e 20 ruspe, due cavalli da carrozza. A Leri l’ordinamento produttivo consisteva in una rotazione quinquennale: granoturco – semina autunnale del frumento con bulatura di trifoglio in primavera, raccolta della stoppia trifogliata, quindi pascolo dei bovini fino all’inizio geli; in primavera rottura del prato e semina del riso che proseguiva per tre anni. Poco era lo spazio per la produzione del fieno che era prodotto dai prati stabili, fuori rotazione, e dalle marcite. Solo l’introduzione del trapianto (1920) consentirà di produrre fieno maggengo in abbondanza senza ridurre la superficie a risaia. Tab. 1 - Produzioni medie (t ha-1): da Pugliese (1926) pag. 30. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 106 76 ANTONIO FINASSI 5 - INNOVAZIONI INTRODOTTE 5.1 - La fertilizzazione Cavour si era reso conto che l’agricoltura basata sul letame non aveva futuro in quanto considerava il letame il concime più costoso perché direttamente collegato con il carico di bestiame e… il fieno! Siccome per aumentare la produzione occorreva concimare, Cavour ricorre al guano del Perù il cui impiego aveva dato buoni risultati, da lui riscontrati durante i viaggi in Inghilterra. L’impiego del guano suscita l’interesse degli agricoltori locali e la pratica si diffuse procurando a Cavour un doppio guadagno ottenuto dall’aumento della produzione e dal commercio del prodotto da lui importato. A Leri esegue ripetute prove di confronto tra vari fertilizzanti organici e chimici: il guano, i primi concimi chimici prodotti dalla società Schiapparelli di Torino (di cui era azionista), l’impiego del sangue dei mattatoi mescolato nei terricciati da spandere sui prati e le marcite, e perfino l’utilizzo dei cenci di lana. “Li farò tagliare a pezzi minuti, per quanto mi sarà possibile, quindi li farò spargere nella meliga prima di darle la prima rincalzatura nella proporzione di 40 rubbi (320 kg) per giornata”. Il risultato atteso è poco soddisfacente per la meliga ma spera sia positivo per il frumento che la seguirà. Cavour dà precise istruzioni su come impostare le prove di confronto, indicando le misure delle aree e la quantità da distribuire. “Il signor Schiapparelli ha mandato 52 rubbi di concime artificiale che egli dice di qualità uguale al guano. Converrà sperimentarlo sopra di un prato; con questi 52 rubbi si letameranno (concimeranno) due giornate e due altre con 52 rubbi di guano. Bisogna misurare 40 trabucchi in lungo e 20 in largo oppure 10 in largo e 80 in lungo. “Trattandosi di stabilire una fabbrica di concime in Torino questo sperimento vuole essere fatto con scrupolosa esattezza.” Da acuto osservatore rileva “che i migliori risultati il guano li fornisce sulle colture da asciutto: grano, meliga, prato, mentre risultavano minori sul riso.” In effetti, Cavour era nel giusto perché il guano, a causa della sua forte mineralizzazione, conteneva gran parte dell’azoto sotto forma nitrica e pertanto dilavabile specie con la sommersione della risaia. “I terreni troppo letamati producono un riso meno bello, meno buono dei terreni magri”. Non solo ma le varietà di riso allora disponibili:‘Aresca nera’, ‘Bertone’, ‘Nostrano’, ‘Ostiglia’ erano suscettibili al brusone (Pyricularia oryzae) che imperversava nelle risaie vercellesi fin dal 1830 e su cui Cavour aveva chiesto lumi anche a De Candolle durante una sua visita a Parigi ove aveva assistito ad alcune lezioni alla Sorbona. Essendo però necessario concimare per aumentare le produzioni, suggerisce a Corio d’estendere le colture asciutte e di ridurre le superfici a riso dai 3/5 tradizionali ai 2/5. Malgrado queste considerazioni la coltura del riso resta preminente a Leri e Cavour si preoccupa di migliorare le sistemazioni mediante gli spianamenti, l’eliminazione delle ripe inutili, la rettifica dei canali, la corretta costruzione volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 107 CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI. IL CONTE E IL RISO 77 delle “cordonate” mediante l’uso di livelli a cannocchiale, programmando una sostanziale revisione degli appezzamenti, riducendone le tare e facilitando la gestione dell’irrigazione. I lavori di spianamento erano eseguiti nella stagione morta invernale durante la quale era possibile impiegare mano d’opera a basso costo e si utilizzava la forza lavoro dei “sudditi”(salariati fissi aziendali). 5.2 - Il drenaggio Questa tecnica, che consentiva il ricupero di terreni paludosi che non erano coltivati e dove i buoi s’impantanavano, era diffusa in Inghilterra e Cavour volle tenacemente introdurla a Leri per migliorare i rendimenti delle terre più umide e inadatte alle colture avvicendate alla risaia. Il drenaggio aveva il compito di accelerare lo sgrondo delle risaie, anticipando le semine del grano in autunno, di eliminare i ristagni durante l’inverno e quelli conseguenti alle irrigazioni del prato e della meliga, in pratica di “risanare” i terreni umidi. In effetti, l’esperienza inglese non poteva essere trasferita a Leri senza sostanziali adattamenti perché nella vicenda s’inseriva la risaia in sommersione per la quale il drenaggio era una pratica indesiderabile poiché aumentava il consumo d’acqua. Cavour adatta il sistema, ha dispute prolungate con gli specialisti del settore per renderlo compatibile con la risaia (drenaggio discontinuo). Invita a Leri uno specialista nella costruzione dei tubi in cotto che fa produrre nella sua fornace di Montarucco. I risultati ottenuti sono tali da far programmare la “tombinatura” su 500 giornate, ma la sua morte precoce ne impedisce la realizzazione. Non solo, ma negli appezzamenti drenati la gestione non è semplice e, alla sua scomparsa, i dreni furono abbandonati, si interrarono e, oltre un secolo dopo, durante gli spianamenti ne furono riportati alla luce solo i cocci. Una delle cause che provocarono il rapido intasamento di terra dei dreni è, probabilmente, la ridotta dimensione dei due tipi di tubo utilizzati, aventi diametri di 75 e 100 mm. 5.3 - La trebbiatura meccanica Un grande successo ebbe invece l’introduzione della trebbiatura meccanica, perché la trebbiatura tradizionale, denominata “tresca”, era un’operazione lunga, complessa e costosa. I covoni venivano addossati, in piedi, ad un palo procedendo con file concentriche fino ad ottenere un circolo di 10 metri di diametro. Si faceva il calpestamento con un gruppo di 8-10 cavalli accostati che procedevano di buon passo, in circolo intorno al palo centrale, guidati da un cavallante che li incitava continuamente, per 3 ore di fila. Seguiva un’ora di riposo durante il quale i covoni venivano rigirati e quindi calpestati per altre tre ore. L’operazione veniva ripetuta 2 o 3 volte, in genere di notte, quindi l’operazione durava circa 24 ore. Al termine la paglia veniva affidata alle donne che la ripassavano con il correggiato ricevendone 1/3 o la metà del prodotto residuo. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 108 78 ANTONIO FINASSI Dopo la trebbiatura si separava la paglia corta, stendendo il risone sull’aia, in terra battuta, in strato di 50-100 mm e si faceva seccare, rimescolandolo con il rastrello e ammucchiandolo la sera. L’essiccazione richiedeva 3 o 4 giorni di sole; al termine il risone veniva ancora ripulito mediante la “brezzatura”, operazione così definita perché si svolgeva all’alba sfruttando le brezze del mattino lanciando il prodotto in aria, contro vento, con una speciale pala di legno (ventola). L’incremento della produzione derivante dalle migliorate pratiche agronomiche rendeva sempre più impegnativa la trebbiatura. Schiere di operai stagionali riempivano le aie per trebbiare ed essiccare il riso. Essi provenivano dalle aree circostanti (Canavese e Biellese) creando anche problemi di carattere morale. Al pievano di Camino, Carlo Giuseppe Ravizza, che lamentava “oltrechè consapevole per il ministerio mio dei gravi disordini che succedono in quei luoghi ove si raccolgono le persone per la raccolta dei risi, dove trovandosi promiscuamente giovani e zitelle, uomini e donne sulle cassine nell’oscurità della notte insieme ricoverati, non senza gravissimo pregiudicio delle più pregevoli loro sanità” … Rispondeva Filippo Nicolai direttore della commenda di Lucedio… “Rimanendo bensì nel taglio e ritiramento dei risi a praticarsi la cautela che debbono avere i padroni e quale si pratica nelle grange della commenda di destinare fenili alle donne separati da quelli degli uomini per dormire assicurati col trasporto e ritiramento delle scale che vi possano dare l’accesso, con l’esercizio di una caritatevole vigilanza”. Cavour importa una trebbiatrice scozzese da grano e la utilizza nelle sua azienda di Santena con buoni risultati; ma occorre adattarla alla trebbiatura del riso. L’adozione della trebbiatura meccanica era favorita dal fatto che, nelle aziende risicole, era disponibile l’energia idraulica, utilizzata per azionare le “piste” per la sbiancatura del riso, e le ruote idrauliche potevano quindi azionare i trebbiatoi. Egli incarica del compito l’ing. Rocco Isidoro Colli di Cilavegna (in Lomellina), gli fa presentare un modello del trebbiatoio modificato all’esposizione di Torino del 1844 e lo fa premiare con medaglia d’oro (Cavour era presidente della Commissione). Contemporaneamente inizia a costruire il trebbiatoio a Leri ove viene inaugurato nell’agosto dello stesso anno. Disegni e fabbisogno di materiali sono indicati da Colli, ma della costruzione si occupa direttamente Cavour, acquistando il materiale presso i fornitori e facendo eseguire le parti meccaniche da diverse officine (fonderia Colla a Torino, fucine Lasagna in Valle d’Aosta), mentre il montaggio avviene a Leri sotto il suo occhiuto e vigile sguardo. La realizzazione del primo trebbiatoio subì molti ritardi dovuti a disguidi nell’invio dei disegni, scarti di fusione e persino un’inondazione della valle d’Aosta. Ma la collaborazione di Cavour non si limita solo in questo; già durante la costruzione, in giugno, aveva suggerito di applicare al trebbiatoio un dispositivo di cacciapaglia, ideato da un certo signor Brilli, e il 26 agosto scrive al Colli “la macchina fa un ottimo lavoro; il cacciapaglia in particolare fa me- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 109 CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI. IL CONTE E IL RISO 79 raviglie”. La capacità di lavoro del trebbiatoio era di 40 hl h-1 di risone, corrispondenti alla produzione media di un ettaro. Nel febbraio 1845 insiste perché nel secondo trebbiatoio destinato alla tenuta di Montarucco sia aggiunto un ventilatore dato “che questo” egli dice “aumenterebbe del doppio l’utilità di questa preziosa macchina”. Nel 1846 l’esperienza dei trebbiatoi è ormai fatta con completo successo. Cavour scrive a Corio: “mentre ho da oltre 15 giorni ritirato in magazzino tutto il raccolto di Leri e Montarucco che supera gli 11.000 sacchi di risone, ho tuttora sulle aie del Torrone due povere tresche di cui spero poco”. La validità del trebbiatoio di Colli è tale da restare immutata per oltre mezzo secolo: lo testimoniano i disegni della trebbia Geminardi presentata a Vercelli nel 1912. 5.4 - La brillatura Per la brillatura del risone l’azienda disponeva di tre brillatoi da sei pestelli, ciascuno in grado di produrre circa 15 hl di riso mercantile in 24 ore di lavoro. Tenuto conto che la resa in riso mercantile era del 45 % essi potevano brillare 90-100 hl di risone il giorno. L’aumento della produzione pose quindi anche il problema della brillatura; per questo egli costruì un brillatoio di grande capacità a Torino, basato su tecniche non tradizionali. L’azionamento delle piste avveniva mediante ruote idrauliche montate sui canali di irrigazione; pertanto, essendo la brillatura del riso un processo molto lungo, che occupava gran parte dell’anno, essa interferiva con le operazioni colturali creando situazioni spiacevoli. Si trattava di scegliere tra irrigare le marcite o azionare le piste, oppure interrompere la brillatura in occasione del periodo del “seminerio dei risi”. L’uso multiplo delle acque non è quindi una novità recente come non è recente la creazione di attriti, liti e incomprensioni intorno alla disponibilità ed alla loro gestione. Cavour aveva vissuto personalmente il problema ed era stato parte attiva di queste liti che lui aveva affrontato con il solito spirito combattivo creando non pochi dissapori. Occorreva por mano al riordino della gestione delle acque demaniali e private creando un apposito organismo: un consorzio delle acque. 5.5 - L’Associazione di irrigazione Questa istituzione fondamentale e di grande lungimiranza strategica ha rivoluzionato la gestione delle acque non solo del Vercellese ed è stata anche il motore del progresso agricolo dell’intera plaga risicola. Fondata nel 1853, ebbe un rapido successo; l’impostazione data da Cavour resta ancora valida e i suoi principi ispiratori continuano ad indirizzare l‘attuale Associazione di Irrigazione Ovest Sesia. Stabilire un contatto diretto con il Demanio pubblico, da cui acquistare l’acqua, e gestirla in base alle quantità consumate e non in relazione alla superficie, indusse gli agricoltori a migliorare le strutture irrigue volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 110 80 ANTONIO FINASSI ed a gestire consapevolmente l’acqua irrigua riducendo i consumi specifici e ritraendone cospicui vantaggi economici. 6 - LA VITA D’AZIENDA Nell’intenso epistolario intrattenuto con Corio emerge chiaramente la profonda e totale partecipazione di Cavour alla vita dell’azienda. Le indicazioni sulla gestione del personale sono integrate da valutazioni non solo sulla loro capacità professionale ma anche dei “ménages” familiari. Alla presenza di mogli bizzose, di rapporti familiari tormentati, fanno seguito precisi suggerimenti sugli interventi da compiere. Nell’affidare a Corio la gestione di Leri gli fornisce alcune linee-guida di comportamento generale e tratteggia con efficacia il carattere e le doti professionali dei responsabili della gestione del personale. Con molto tatto suggeriva a Corio “È certamente inutile che io ricordi alla S.V. che ho sempre avuto per massima di non mai contraddire apertamente gli agenti e di non mai sgridarli in presenza dei sudditi. In una azienda quale è questa una subordinazione è il primo requisito di una buona amministrazione”. Passando alle singole persone i ritratti sono di un’icastica semplicità ed efficacia: “L’agente di Montarucco vede sempre le cose color rosa mentre quello di Torrone le vede troppo in nero, l’uno e l’altro parlano alquanto soverchiamente. Credo però che siano abbastanza rispettati dai loro subordinati. Il punto più essenziale è stabilire buoni rapporti fra Gallo (Enrico) e gli altri due agenti e di far cessare la gelosia che il primo nutre verso Ottavio. Lupo dovrà essere stimolato e Gallo, il giovine, trattenuto, l’uno e l’altro ben diretti possono riuscire utili in seconda fila. I bergamini di Montarucco sono semplicioni ma affezionati alle loro vacche come alle loro famiglie. Posso considerarmi come fortunato dall’avere al mio servizio due operai distinti, zelanti e fedeli come il fabbro Savoia e il falegname Cena.” Il caso del prataiolo Berto è indicativo del procedere di Cavour nei confronti del personale; pur riconoscendo che “questo povero diavolo, tormentato dalla moglie,” è atto a dirigere l’irrigazione di una risaia, rileva che ha poca autorità sugli uomini a lui affidati, per cui invita Corio a trovargli una mansione adatta ed, in ogni caso, non è sua intenzione “mandarlo sulla strada”. In alternativa suggerisce di raccomandarlo al Lombardi ed al Ferragatta. Vi sarebbe certamente posto a Castelmerlino ma “provo un certo rimorso a mandarlo in Purgatorio”. Da ciò si evince che occorreva far ingoiare, con garbo, il rospo all’interessato e disfarsene elegantemente, senza giungere al licenziamento. Per il manzolaio della Malpensata, che custodiva male le bestie, e che aveva già licenziato, concede una prova di appello “per compassione della numerosa e povera sua famiglia”. Ai vecchi fuori servizio ed alle vedove manteneva metà dello stipendio così volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 111 CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI. IL CONTE E IL RISO 81 come si accollava le spese di farmacia; il medico e il “flebotomo” avevano sede gratuita in Leri onde assicurare un minimo di assistenza medica essendo interesse dell’azienda avere personale efficiente. Come si può dedurre da queste brevi note, Cavour era un padrone esigente che non aveva alcuna remora ad ingerirsi nella vita privata del suoi “sudditi” e non esitava a sottoporli a “gridate”. Questo suo comportamento era noto ed il fratello di Corio aveva espresso parecchie perplessità ad andare a lavorare a Leri perché correva fama che il Conte fosse piuttosto “cane”. Per quanto riguarda invece le pratiche religiose, a Leri esisteva una chiesa ed un Parroco con 483 fedeli di cui 207 vivevano nell’adiacente Castelmerlino. Allora la durata della vita media, in Piemonte, era di 28 anni. Una realtà poco allettante se si considera che il Vercellese risicolo e malarico era stato considerato terra di proscrizione per le centinaia di ribelli monregalesi responsabili della rivolta legata alla “seconda guerra del sale”. Cavour si preoccupa anche della sicurezza, invitando Corio a raccomandare ai carabinieri di Livorno di “fare alcune gite al Torrone, infestato a malandrini. Ne ho trovati ieri tre che giocavano a carte nella stalla della Vissa...” Così come avverte che quelli di Castel Apertole rubano i fagioli nel campo. 7 - OGGI Oggi il silenzio domina la scena a Leri: non più suoni, né voci di umani o di animali, rincorrersi di bambini, solo spazi vuoti, muri cadenti, edifici abbandonati testimoni della vita intensa di una comunità di 280 anime (così allora erano registrate nell’archivio parrocchiale), di decine di buoi da lavoro e vacche da latte. Ora solo il ronzio della centrale da 600 MW e l’imponente mole delle due torri di raffreddamento dominano la scena ed incombono sui resti di quella che fu una fiorente azienda agricola, teatro di una parte importante della storia italiana. In sintesi rimane sempre valido quello che ha scritto di Cavour il prof. Oreste Mattirolo nel saggio”Camillo Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino” edito nel 1931: “La floridezza dell’agricoltura Egli la concepì come base dello sviluppo industriale, come scopo della prosperità del Paese, perché sapeva che le libertà politiche e l’indipendenza sono parole vane finché perdura la servitù economica”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 112 82 ANTONIO FINASSI BIBLIOGRAFIA LORIA M. -1961 - Il trebbiatoio da riso di Cavour (Leri 1844) - Phisis Rivista di storia della Scienza, 3, fasc. 1, Leo S. Olschki editore, Firenze, I. MATTIROLO O. - 1931 - Il conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino. Tipografia E. Schioppo, Torino, I. PIACCO R. - 1991 - Dalla secolare pista da riso alla moderna industria risiera. Annali della Accademia di Agricoltura di Torino , 134, 23-43. PISCHEDDA C. - 1997 - Camillo Cavour, la famiglia e il patrimonio, Biblioteca della Società Storica Vercellese, Vercelli, I. PUGLIESE S. - 1926 - Produzione salari e redditi in una regione risicola italiana. Annali di Economia, 3. Università Bocconi Editrice, Milano, I. VISCONTI E. - 1913 - Cavour agricoltore, lettere inedite di Camillo Cavour a Giacinto Corio. Barbera editore, Firenze, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 113 CAVOUR VITICOLTORE ED ENOLOGO A GRINZANE MEMORIA DELL’ACCADEMICO CORRISPONDENTE VINCENZO GERBI* presentata all’Adunanza extra mœnia del 20 maggio 2011, presso la sede di Asti dell’Università di Torino RIASSUNTO: Camillo Benso, conte di Cavour, sarà per sempre ricordato come lo statista più importante del processo di unificazione dell’Italia nel XIX secolo. Morto a soli cinquantun’anni, proprio nell’anno dell’unità (1861), non smise mai di occuparsi di agricoltura segnando profondamente il destino dell’agricoltura piemontese. Nel lungo periodo trascorso nelle Langhe come sindaco di Grinzane collaborò certamente con il generale Staglieno, esperto enologo dell’agenzia albertina di Pollenzo, nel modificare la vinificazione delle uve ‘Nebbiolo’ per la produzione di un vino fine, secco e longevo che porterà i nomi di Barolo e Barbaresco a essere conosciuti in tutto il mondo. SUMMARY: Cavour vine-grower and wine-maker at Grinzane Camillo Benso, count of Cavour, will be forever remembered as the most important statesman of the unification of Italy, in the XIX century. Died at only fifty-one years, 1861, he never ceased his interest in agriculture, marking deeply the fate of agriculture in Piedmont. In the long period as mayor of Grinzane, in the Langhe hills, certainly collaborated with general Staglieno, oenologist of the royal agency of Pollenzo, in modifying the wine making of the grapes ‘Nebbiolo’, to produce a fine wine, dry and durable that will carry the names Barolo and Barbaresco to be known around the world. 1 - UNO STATISTA IMPEGNATO NELL’AGRICOLTURA Nel rileggere la biografia del Conte Camillo Benso di Cavour si rimane colpiti dalla frenetica successione degli avvenimenti che hanno caratterizzato la sua intensa vita e da come i suoi interessi siano stati sempre numerosi, tutti trattati con grande impegno e capacità. Anche negli anni di maggior impegno politico il Conte non smise mai di interessarsi di agricoltura nelle sue terre, in particolare nella tenuta di Leri, sua autentica passione, e nelle vigne di Grinzane, da dove esercitò una grande influenza per lo sviluppo di tutto il territorio. A soli 16 anni è già ufficiale del genio in servizio a Genova, ma nel 1831 la sua esuberanza ed il sospetto che avesse idee liberali consigliano ai suoi superiori e alla famiglia il trasferimento al forte di Bard, luogo strategico dal *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 114 84 VINCENZO GERBI punto di vista militare, ma certo non gradito al nostro Conte, che fin da allora non mostrava predilezione per la vita militare. Rimarrà al forte meno di un anno, ma a noi appassionati di vino e della sua storia non può sfuggire una particolare coincidenza. Nel 1831 era governatore del forte di Bard il generale Paolo Francesco Staglieno, lo stesso che, dopo il ritiro dalla vita militare, il re Carlo Alberto nominerà responsabile della produzione enologica della tenuta di Pollenzo. Sotto la guida del generale la cantina di Pollenzo diventa un vero e proprio laboratorio dimostrativo in cui applicare i princìpi raccolti, fin dal 1835, nel suo libro “Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i vini del Piemonte”, andato subito esaurito e ristampato nel 1837. A Grinzane il Conte di Cavour sarà sindaco dal 1832 al 1848, anno in cui viene eletto deputato. Nel 1850 lo troviamo già ministro dell’agricoltura, nel 1851 ministro delle finanze, dal 1852 al 1861 impegnato come primo ministro in tre governi da lui presieduti. Il Cavour statista, instancabile stratega e mediatore, determinante protagonista della formazione del regno d’Italia, ha percorso la sua luminosa parabola politica in soli quattordici anni, dal 1847 (anno della sua comparsa sulla scena politica del Regno) al 1861, anno dell’unità d’Italia che quest’anno celebriamo, ma anche della sua prematura morte a soli cinquantuno anni. Sul Cavour politico e statista voglio esprimere la mia profonda ammirazione, ma altri hanno titolo a svolgere considerazioni scientifiche. Mi occuperò invece del Cavour imprenditore agricolo, vitivinicoltore che a Grinzane gestiva una grande tenuta. Sull’arrivo di Camillo a Grinzane vale la pena richiamare le parole con cui l’intendente di Alba nel 1832 perorava a Torino la nomina del ventiduenne Cavour a primo cittadino del piccolo Comune di 350 anime: «Sebbene residente in Torino, facendo il ragguardevole personaggio lunghe permanenze in Grinzane, se ne fa dall’ufficio la proposizione siccome quella che riuscirà certamente di molto vantaggio ed al regio servizio ed al luogo di Grinzane». Una soluzione caldeggiata dal padre di Camillo, Michele, pronto ad affidare l’amministrazione della tenuta di famiglia al giovane figlio dimissionario dall’esercito, a quel tempo “distratto” dalle idee benthamiste, dalle letture liberali, dalle amare riflessioni sulle decisioni di Carlo Alberto. Nel nuovo incarico istituzionale il giovane Cavour avrebbe dovuto provvedere, oltre al bene della piccola comunità, a ben condurre le 475 giornate piemontesi di terreno affittate, dal 1818, dallo zio duca Aynard ClermontTonnerre e le 67 giornate acquistate nel 1829 dalla liquidazione del fallito cavaliere Giuseppe Antonio Veglio di Castelletto. Una significativa proprietà dunque, estesa con nove cascine su oltre metà dell’intero territorio comunale. 2 – CAVOUR E L’ALBESE Un’importante fonte di informazioni sulle consuetudini aziendali è rappresentata dal carteggio tra il fattore dei tenimenti, Giovanni Bosco, e il segretario del Conte, Carlo Rinaldi, che riguarda però solo il periodo dal 1845 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 115 CAVOUR VITICOLTORE ED ENOLOGO A GRINZANE 85 al 1852. Grazie a queste lettere, pubblicate anni or sono dall’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba, possiamo renderci conto del fermento innovatore che animava il lavoro della tenuta sotto la guida sapiente del Conte. La sua passione per i viaggi, l’ammirazione per i vini francesi, considerati fini e adatti all’esportazione, hanno fortemente influenzato le sue decisioni, non ultima quella di provare vitigni francesi, ‘Pinot nero’ in particolare, ad imitazione dei prestigiosi vini di Borgogna, rivelatosi poi di difficile adattamento alle condizioni delle Langhe. Negli anni del citato scambio epistolare si possono trovare tracce di tutte le operazioni che caratterizzano l’attività dell’azienda: dal piantamento delle viti alla potatura, alla vendemmia, fino alla vendita dei vini. Anche a Grinzane, oltre che a Leri, proverà l’uso del “guano nelle provane”, visto che dal 1845 si occupava di importare, in collaborazione con banchieri genovesi, il prezioso concime da oltre oceano. Dal punto di vista agronomico un fatto sicuramente rilevante è la comparsa nel 1851 a Grinzane, con rapida diffusione l’anno dopo, del terribile oidio, malattia crittogamica conosciuta popolarmente come il ”marino” o ”mal bianco”. Il parassita suscitò paura e sgomento nelle campagne e vennero provati molti rimedi empirici, come quello di bagnare i grappoli al calar del sole con acqua e aceto. Proprio in questi difficili momenti Cavour, già ministro dell’agricoltura, rivelò le proprie qualità di lungimiranza sollecitando l’interessamento dell’Accademia di Agricoltura affinché si occupasse della difesa dei vigneti invasi dalla crittogama, istituendo un’apposita commissione. Anche in campo enologico l’interesse di Cavour fu rilevante, ma, prediligendo le attività di carattere economico organizzativo rispetto a quelle operative, la sua azione fu principalmente di ispirazione, orientamento e razionalizzazione della vinificazione. Quest’ultimo aspetto è confermato da un episodio che si può considerare emblematico. Nell’ottobre 1843 la neonata (1842) Associazione Agraria tenne a Pollenzo la sua “Primaria radunanza generale”. In quell’occasione il congresso fu organizzato in dodici comitati per ascoltare e valutare contributi tecnici e scientifici in vari campi dell’agricoltura. Il settimo comitato fu dedicato alla viticoltura ed all’enologia. Al tavolo della presidenza sedeva proprio il generale Staglieno, affiancato da altri commissari. In quell’occasione il Conte di Cavour presentò una memoria sul come organizzare una tinaia modello, che gli valse il riconoscimento di una medaglia di argento dorato. Possiamo pensare che la razionalizzazione della produzione fosse proprio il suo principale interesse. Il vitigno ‘Nebbiolo’, certamente già coltivato nelle Langhe, forniva un vino verosimilmente dolce, perché il suo grado zuccherino elevato non agevolava il completamento spontaneo della fermentazione alcolica. Era quindi instabile e assai poco adatto a farne commercio verso casa Savoia o, come sperava Cavour, verso le corti e i mercati europei. In molti libri di divulgazione si trova citato come determinante il ruolo volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 116 86 VINCENZO GERBI dell’enologo Louis Oudart, chiamato da Cavour per razionalizzare la vinificazione e produrre un vino Nebbiolo secco e senza alterazioni, condizioni che gli avrebbero consentito di diventare il vino che oggi conosciamo bene con i nomi di Barolo e Barbaresco. Altri sostengono che l’arrivo dell’enologo francese sia merito di Giulia Colbert Falletti di Barolo, quella della leggendaria spedizione delle 325 carrà, una per ogni giorno dell’anno, esclusa la quaresima, alla corte di Carlo Alberto, per convincerlo della bontà dei vini che si potevano ottenere in quelle terre di Langa. Confrontando però la cronologia degli avvenimenti si deve osservare che il merito della svolta tecnologica nella vinificazione del ‘Nebbiolo’ a Grinzane va probabilmente attribuita al generale Staglieno. Infatti questi lavorò per Cavour sicuramente dal 1835 al 1840. Nello stesso periodo è certamente a Pollenzo se nel 1837 ordina in Francia la “macchinetta di Gervais”, una sorta di gorgogliatore atto a regolare la fermentazione alcolica nelle botti, e cura la seconda edizione della sua “Istruzione” sul come fare il vino. Il “metodo Staglieno” lascia certamente il segno, dato che nelle corrispondenze del Bosco si parla ancora nel 1845 di vini prodotti “alla Staglieno” nel castello di Grinzane. In effetti la vinificazione proposta dal generale si basa su principi che ancora oggi si ritengono attuali: perfetta scelta delle uve per maturità e sanità, macerazione in recipienti a ciò destinati per tempi variabili, pigiatura perfetta nei tini, esclusione dai tini di quasi tutti i graspi, somma pulizia dei vasi, degli utensili e degli operai che ci lavorano, follatura ripetuta delle uve nel tino, tino chiuso ermeticamente e fuoriuscita del gas carbonico attraverso la macchinetta Gervais, svinatura a vino limpido, depurazione delle botti vuote con polveri solforanti. Seguendo questi rigorosi consigli il vino si conserva bene. Il generale ne è tanto convinto che spedisce delle bottiglie in America con l’intesa che vengano rispedite al mittente, affrontando ben due volte il lungo viaggio per nave. I vini ritornarono a sua detta “non solamente incolumi, ma ben anco migliorati assai”. L’Oudart inizia a lavorare con un incarico a Grinzane nel 1843. Un determinante chiarimento sul suo ruolo nell’Albese ci viene da un recente interessante libretto scritto da Anna Riccardi Candiani (2011), dal quale si evince che Oudart è presente in Piemonte fin dal 1826, ma con un ruolo inizialmente più commerciale che tecnico. Grazie all’esperienza accumulata e al censo derivatogli dai successi commerciali, si è affermato anche in campo accademico, impegnandosi nella divulgazione delle sue conoscenze. Fu una figura molto conosciuta e rimase sul mercato più a lungo del valente generale Staglieno, morto nel 1850, che possiamo invece considerare una figura di enologo molto valente sul piano tecnico, non impegnato sul piano commerciale. Il Cavour era un uomo di ampie vedute e capì presto che per far crescere il ruolo e il prestigio del vino secco delle uve ‘Nebbiolo’ sarebbe stato necessario dare uno sbocco commerciale a questo prodotto. In questo Louis Oudart deve essere stato di grande aiuto per il Conte, facendo uscire il vino dai confini nazionali tramite la società di commercio “Oudart & Bruché” da lui volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 117 CAVOUR VITICOLTORE ED ENOLOGO A GRINZANE 87 fondata insieme a suo cognato, con sede a Genova. Camillo Cavour “vestì” le sue bottiglie con etichette curate, che portavano orgogliosamente la scritta “Barolo” e avrebbero accompagnato il vino sui mercati d’Europa. Anche dopo la morte di Cavour l’Oudart continuò a comprare le uve delle tenute di Grinzane e forse a vinificarle con le sue tecniche direttamente in cantina, ritirando poi i vini, similmente a quanto faceva in quegli stessi anni nella tenuta dei Castelborgo di Neive, cercando di massimizzare il profitto delle sue consulenze pagando l’uva il meno possibile. Nel 1852 la corrispondenza del fattore Giovanni Bosco si conclude, ma facciamo in tempo a sapere che in quell’anno non vendettero più le uve a Oudart, ma a un certo sig. Bottero di Torino. BIBLIOGRAFIA CONSULTATA CANDIANI RICCARDI A. - 2011 - Louis Oudart e i vini nobili del Piemonte – storia di un enologo francese. Slow Food Editore, Bra, CN, I, pagg. 128. MAINARDI G. (ed) - 2004 - Il vino piemontese nell’Ottocento, Edizioni dell’Orso, Alessandria, AL, I, pagg. 392. MAINARDI G. - 2004 - Il podere reale di Pollenzo, centro di sperimentazione enologica nel Piemonte dell’Ottocento. L’attività di Paolo Francesco Staglieno, enologo di Carlo Alberto. In: Una città romana per una “real villeggiatura” romantica, a cura di CARITÀ G., L’artistica Editrice, Savigliano, CN, I, 127-136. SILENGO G. - 1979 - Le lettere del fattore di Cavour da Grinzane 1847-1852. Toso, Torino, TO, I, pagg. 247. STAGLIENO P.F. - 1837 - Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte. Ed. Pomba, Torino, TO, I, pagg. 216. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 118 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 119 GROM: STORIA DI UN’AMICIZIA, QUALCHE GELATO, MOLTI FIORI. DALL’AGRICOLTURA AL GELATO GUIDO MARTINETTI* memoria presentata all’Adunanza del 6 luglio 2011 RIASSUNTO: Un’iniziativa di successo, la produzione di gelati e sorbetti con criteri artigianali, è nata coniugando le competenze di due giovani soci in settori diversi ma complementari. L’oculata scelta di ingredienti di alta qualità comprende l’impiego di frutti scelti con criteri diversi da quelli seguiti per il consumo sulla mensa, con ricorso a prodotti freschi: di qui la caratteristica di stagionalità dei gelati, venduti direttamente nei propri negozi in Italia e all’estero (USA, Francia, Giappone). SUMMARY: GROM: The history of a friendship, some ice-cream, many flowers. From agriculture to ice-cream The successful initiative of producing ice cream and sorbets following homemade criteria, began by combining the expertise of two young partners from different sectors who complement each other. The careful selection of high quality ingredients includes the use of fruits chosen with different criteria from those sought after for table consumption, resorting to fresh products: hence the characteristic of seasonal ice cream sold directly in its own stores in Italy and abroad (USA, France, Japan). RÉSUMÉ: GROM: L’histoire d’une amitié, de quelques glaces et de beaucoup de fleurs: de l’agriculture aux glaces La production de glaces et sorbets selon des méthodes artisanales est une initiative qui a eu du succès ; elle est née conjuguant les compétences de deux jeunes associés dans des secteurs différents, mais complémentaires. Le choix judicieux des composants de haute qualité comprend l’utilisation de fruits choisis avec des critères différents de ceux que l’on utilise en vue de la consommation directe. Le recours à des produits frais, non conservés, entraîne la caractéristique de produits saisonniers pour ces glaces vendues directement dans les boutiques de l’entreprise en Italie comme à l’étranger: États Unis, France, Japon. 1 - GLI INIZI La GROM è nata a seguito dell’accordo fra due giovani con formazione in due settori complementari quali l’Economia e Commercio, in cui si è laureato Federico GROM, e l’agricoltura, oggetto di studi universitari prima a Torino e poi a Milano da parte del sottoscritto, Guido MARTINETTI, che nel 2011 *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 120 90 GUIDO MARTINETTI ha conseguito il primo Master in “Gestione della viticoltura di qualità” con il professore Attilio Scienza, con una tesi sulla macerazione delle bucce di ‘Nebbiolo’ da Barolo dal titolo “Studio comparato di vinificazione in vasca di acciaio e in tino di legno”. In effetti i miei interessi inizialmente erano rivolti esclusivamente al settore viticolo-enologico e da questa formazione di base deriva il mio tentativo di applicare alla produzione di gelati e sorbetti la certezza – tipica di chi si occupa di vite e vino – che per la qualità sono determinanti le scelte in fatto di vitigni e di ambienti di coltura. Nel 2002 mi trovavo a Barbaresco ad occuparmi di ‘Nebbiolo’ quando mi capitò di leggere un articolo di Carlin Petrini in cui si lamentava l’affermarsi di criteri industriali nella produzione dei gelati, con abbondante ricorso ad additivi. Parlando del tema con Federico Grom, ci trovammo concordi nel considerare che la produzione di gelati con criteri artigianali poteva essere una sfida interessante. Così a settembre 2002 decidemmo di imbarcarci nell’avventura di associarci per aprire una gelateria in piazza Paleocapa a Torino, investendo una somma di 35.000 euro ciascuno, capitale della nuova s.r.l., e contraendo un prestito di ulteriori 60.000 euro mediante stipulazione di un mutuo. La nostra strategia prevedeva come obbiettivo quello di ricorrere esclusivamente a frutta di stagione e si basava sull’integrazione delle reciproche competenze: per l’uno l’agricoltura, l’acquisto delle materie prime (compresa la ricerca di cultivar interessanti anche all’estero: per esempio Venezuela e Giappone) e la comunicazione, per l’altro la gestione della parte amministrativa, finanziaria e contabile. 2 - LA RAPIDA ESPANSIONE E GLI ACCORGIMENTI MESSI IN OPERA PER QUESTA AFFERMAZIONE Per raggiungere gli obbiettivi che ci eravamo posti, è stato necessario escogitare man mano soluzioni in grado di permetterci di superare le difficoltà che insorgevano e cogliere gli spunti da osservazioni quasi casuali. Ad appena un mese e mezzo dall’apertura del primo locale, avvenuta nel maggio 2003, si manifestò un primo grosso problema: il gelataio che curava la produzione si infortunò in un incidente stradale e noi due soci ci trovammo a dover sacrificare il sonno per non interrompere sul nascere questa appassionante avventura, andando in negozio a produrre il gelato durante la notte, svolgendo durante la normale giornata lavorativa i nostri rispettivi mestieri (all’epoca l’enologo e il manager). Volendo impostare l’impresa sull’esclusiva vendita diretta nei propri negozi che nel tempo si distribuirono in vari Paesi, risultò evidente che era determinante risolvere il problema della scelta di personale bravo e, nel contempo, evitare che sfruttasse le competenze acquisite per mettersi in proprio. Si decise così di scindere le fasi di lavorazione in due: la prima, cioè la miscelazione degli ingredienti, eseguita esclusivamente nella sede piemontese di volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 121 GROM: STORIA DI UN’AMICIZIA, QUALCHE GELATO, MOLTI FIORI. 91 Mappano di Caselle, mentre la seconda fase - cioè la mantecazione delle miscele - è curata direttamente nelle varie gelaterie presenti ormai da New York (sede aperta nel 2007) a Parigi (2008) al Giappone (2009), giungendo ad impiegare circa 600 dipendenti. Fra gli ingredienti, oltre alla frutta, è essenziale la qualità di uova e latte, o meglio della panna (gusto fiordilatte), visto che per il gelato è necessario un 8-10 % di grasso e nelle fasi di lavorazione si deve ottenere una sua ottima omogeneità, mentre il colore del latte può a sua volta rivestire interesse per esempio per il “Fior di latte” che il mercato italiano chiede sia bianco mentre il latte delle bovine di razza Jersey tende a conferire piuttosto una tonalità avorio. 3 - ASPETTI FRUTTICOLI ED AGRONOMICI A supporto dell’attività gelataia vi è l’azienda agricola Mura Mura: creata a Costigliole d’Asti nel 2007, è passata dagli 8 ettari iniziali agli attuali 15 in modo da poter produrre in proprio gran parte della frutta utilizzata nel laboratorio di produzione. La scelta varietale è infatti basata su criteri diversi da quelli della frutticoltura intesa ad una produzione da immettere sul mercato per il consumo fresco, perché a questo scopo sono considerate preminenti caratteristiche quali la dimensione del frutto (grande, anche se non eccessiva), l’aspetto (colore della buccia, ecc.), la consistenza, la serbevolezza, mentre per la produzione di gelati e sorbetti sono prioritarie le caratteristiche aromatiche: intensità e piacevolezza. Inoltre il contenuto zuccherino della polpa è meno interessante dell’acidità, visto che lo zucchero viene comunque aggiunto nel corso della lavorazione. Così i frutti piuttosto bruttini di un pesco coltivato ad Odalengo piccolo su un terreno povero diedero migliori risultati rispetto ad una ‘Maria Bianca di Volpedo’; analogamente la piccola ma profumata ‘Tonda di Costigliole’ del Saluzzese batte l’albicocca ‘Aurora’ di ben maggiori dimensioni. L’azienda Mura Mura si trova in località Madonnina, in una valle ben ventilata; comprende una parte in dolce declivio, precedentemente vitata, ed una di piano, più adatta alla produzione di fragole e meloni in rotazione. Al momento protagonisti della produzione di Mura Mura sono 6 diverse tipologie di frutta: Fragole (cultivar ‘Ciflorette’, ‘Annabelle’ e ‘Siria’), Meloni (cv ‘Giorgio’, ‘Capitol’ e ‘Honey Moon’), Pere (‘Decana del Comizio’ e ‘Martin Sec’), Albicocche (‘Tonda di Costigliole’), Fico bianco ‘Dottato’ e Pesche a pasta gialla (‘Maria Marta’ e ‘Kaweah’). Prima dell’impianto dei fruttiferi nell’ex vigneto si è ricorsi a pratiche agronomiche tradizionali quali il riposo, il sovescio ed abbondanti letamazioni, sufficienti a non evidenziare eventuali problemi di fitotossicità da rame. Queste misure del resto sono applicate anche nel piano dove, a fine raccolta delle fragole, il suolo è lavorato, badando a non compattarlo; segue un sovescio autunnale e un abbondante apporto di letame ben maturo (80-100 t ha -1) prima di procedere all’impianto dei meloni. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 122 92 GUIDO MARTINETTI I contatti con altre realtà produttive si sono rivelati interessanti anche per approfondire la conoscenza delle cultivar ed osservare quali pratiche agronomiche vi sono seguite in vista della qualità del prodotto: per esempio ad Hokkaido nel nord del Giappone le coltivazioni di melone sono curate con interventi in verde analoghi a quelli che in Italia si considerano tradizionali per il vigneto, quali la gestione della chioma con sfogliature, cimature ed esposizione della parete fogliare. Ovviamente cure particolarmente attente si ripercuotono sui costi, ma, in considerazione che proprio il costo del lavoro incide fortemente, si tratta di ottenere i migliori ricavi a parità di impiego della manodopera. 4 - CONSIDERAZIONE FINALE Una delle caratteristiche delle gelaterie GROM è la stagionalità, per cui persino il gelato con aroma moscato, che viene ottenuto ricorrendo al Moscato passito di Loazzolo, è prodotto e messo in vendita soltanto per poco più di un mese. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 123 I RISCHI IGIENICO-SANITARI NELLA FILIERA DEL GELATO LUCA COCOLIN* memoria presentata all’Adunanza del 6 luglio 2011 RIASSUNTO Il gelato è un alimento con caratteristiche chimico-fisiche del tutto peculiari, che influenzano notevolmente il suo stato igienico-sanitario. Un importante parametro che ne garantisce la salubrità è la sua conservazione a temperature comprese tra i -15 e -18 °C, condizioni nelle quali lo sviluppo microbico è bloccato. L’aspetto igienico-sanitario di un gelato è quindi la risultante di un processo di trasformazione che deve essere eseguito attenendosi alle più rigide norme di igiene, ma dipende pesantemente dalla qualità igienico-sanitaria delle materie prime impiegate nella sua produzione. I rischi igienico-sanitari più rilevanti nella filiera di produzione del gelato sono rappresentati da Salmonella spp., Escherichia coli patogeni, Listeria monocytogenes, Campylobacter spp. ed infine da virus. Essi rappresentano un problema igienico-sanitario per il consumatore se vengono a contatto con il prodotto in seguito ad una contaminazione post-produzione, in quanto i normali processi di trasformazione e produzione del gelato li eliminano. Particolarmente pericolosa è la presenza di agenti patogeni con basse dosi infettanti, quali alcuni sierotipi di Salmonella ed i virus. SUMMARY: The safety risks in the ice cream production chain Ice cream is a food with chemical and physical characteristics quite peculiar and influencing significantly its hygiene status. An important parameter which ensures its wholesomeness is its conservation at temperatures between -15 and -18 °C, conditions in which microbial growth is blocked. The ice cream hygienic aspect is therefore the result of a process of transformation to be performed using the most stringent hygiene standards, but that depends heavily on the safety of the raw materials used in its production. The most important hygiene risks in ice cream production chain are represented by Salmonella spp., Escherichia coli, Listeria monocytogenes, Campylobacter spp. and finally virus. They represent a hygiene problem for the consumer if they become in contact with the product in the post-production, as the normal processes of transformation and production of ice cream eliminate them. Particularly dangerous is the presence of pathogens with low doses, such as some infectious Salmonella serotypes and viruses. RÉSUMÉ: Les risques sanitaires dans la chaîne d’approvisionnement des crèmes glacées La crème glacée est un aliment avec des caractéristiques physiques et chimiques très particulières, qui influencent significativement son état d’hygiène. Un paramètre important qui *Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali, Sezione di Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari, Facoltà di Agraria, Università di Torino, Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco, Torino, I. E- mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 124 LUCA COCOLIN 94 assure sa salubrité est sa conservation à des températures entre -15 et -18° C, conditions dans lesquelles la croissance microbienne est bloquée. L’aspect de l’hygiène est donc le résultat d’un processus de transformation qui doit être effectué en utilisant les normes d’hygiène les plus strictes, mais qui dépend fortement de la qualité sanitaire des matières premières utilisées dans sa production. Les risques hygiéniques les plus importants dans la chaîne de production des crèmes glacées sont représentés par Salmonella spp., Escherichia coli, Listeria monocytogenes, Campylobacter spp. et enfin par les virus. Ils représentent un problème d’hygiène pour le consommateur s’ils viennent en contact avec le produit après sa production, parce que les processus normaux de transformation et de production de la crème glacée les éliminent. Particulièrement dangereuse est la présence d’agents pathogènes en faibles doses, tels que certains virus et sérotypes infectieux de Salmonella. 1. INTRODUZIONE Il gelato è un prodotto alimentare della tradizione italiana, che vanta una notevole importanza a livello nazionale ed internazionale. I mastri gelatai italiani sono conosciuti in tutto il mondo e i segreti da essi custoditi sono molto ambiti. L’origine del gelato risale al XVII secolo, quando Francesco Procopio dei Coltelli, un cuoco siciliano, riuscì a preparare la miscela che tutti noi conosciamo oggi. Egli introdusse alcune tecniche di refrigerazione presso le cucine dei re di Francia prima, e in seguito presso il Café Procope di Parigi, dove veniva servita una grande varietà di gelati. Il gelato è caratterizzato da una struttura fisica del tutto peculiare ed affascinante. Può essere definita come un’emulsione di grasso in acqua, nella cui stabilizzazione svolge un ruolo fondamentale l’aria che durante il processo di produzione viene inglobata nella massa, dando al gelato spumosità e morbidezza. A seconda degli ingredienti impiegati, i gelati si dividono in: gelati alla crema di latte se il latte o i suoi derivati sono presenti per almeno il 7 % in grassi, l’ 8% in residuo secco magro, il 13 % in zucchero o infine il 32 % in sostanza secca totale; gelati al latte contenenti il 32 % di sostanza secca totale; gelati di frutta se composti da almeno il 15 % di frutta (10 % per gli agrumi), il 18 % di zuccheri, il 28-31 % di residuo secco totale. Gli ingredienti principali del gelato sono: latte, panna, zucchero, uova, grassi vegetali, frutta, frutta secca, cacao o cioccolato, caffè, ecc. 2. LA SICUREZZA IGIENICO-SANITARIA DEGLI ALIMENTI Uno dei prerequisiti fondamentali che gli alimenti devono possedere al fine di permettere una loro commercializzazione è la salubrità, intesa come assenza di rischi igienico-sanitari per il consumatore. Questo concetto è stato ben sottolineato e ampiamente utilizzato nella stesura della vigente normativa europea in materia di sicurezza alimentare, scaturita da una serie di scandali, come la diossina o la BSE, che hanno imposto una presa di posizione da parte del legislatore europeo, il quale si è reso conto della inadeguatezza di leggi a tutela della salute pubblica. Il pacchetto igiene, entrato in vigore il 1 gennaio volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 125 I RISCHI IGIENICO-SANITARI NELLA FILIERA DEL GELATO 95 2006, dispone che gli alimenti immessi sul mercato e a disposizione del consumatore debbano essere sicuri. A tale scopo esistono normative specifiche, quali il Regolamento CEE 2074/2005 emendato dal Regolamento CEE 1441/2007 (Anonimo 2005; 2007), nei quali vengono riportati, per la prima volta nella storia della legislazione alimentare, dei criteri microbiologici, intesi come limiti che devono essere rispettati per unità di massa o volume. C’è da sottolineare come la normativa vigente consideri un numero molto limitato di microrganismi patogeni e la loro presenza in determinate matrici alimentari; tuttavia essa rappresenta un’assoluta novità, che può far bene sperare nell’emanazione di altre leggi che riguardino altri patogeni ed altri alimenti (Cocolin et al., 2011). È indubbio che l’operatore del settore alimentare si deve confrontare giornalmente con la presenza di microrganismi patogeni ed è per questo che si è dovuto implementare un sistema di qualità tale da garantire la sicurezza delle derrate alimentari. Oggigiorno, la sicurezza microbiologica degli alimenti è garantita sia dall’implementazione di buone prassi igieniche e dall’analisi dei rischi e dei punti critici di controllo (HACCP), come strategie di prevenzione, e testando la conformità degli alimenti con definiti criteri microbiologici come misura di controllo. Gli operatori del settore alimentare utilizzano l’analisi microbiologica per valutare le prestazioni dei loro sistemi di gestione della qualità (Jacxsens et al., 2009), mentre le autorità di controllo competenti utilizzano i test microbiologici allo scopo di monitorare la situazione attuale e analizzare le tendenze al fine di individuare dei rischi emergenti. Nonostante gli sforzi effettuati a livello europeo in materia di sicurezza alimentare, nell’ultimo rapporto dell’European Food Safety Authority e dell’European Council for Desease Prevention and Control (Anonimo, 2011) si evidenzia come il numero di malattie a trasmissione alimentare non permetta di definire tali malattie sotto controllo, anche se nel corso degli anni si è riscontrato un notevole cambiamento negli agenti patogeni responsabili. Negli ultimi anni, infatti, Salmonella, che per gli ultimi 20 anni ha rappresentato il principale microrganismo responsabile di patologie alimentari, è stato superato da Campylobacter, considerato come un patogeno emergente in paesi industrializzati. 3. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ASPETTO IGIENICO-SANITARIO DELLA FILIERA DI PRODUZIONE DEL GELATO Al fine di identificare i rischi associati ad un determinato alimento, è necessario prendere in considerazione due fondamentali aspetti: - di quali materie prime è costituito; - caratteristiche del processo di trasformazione. La composizione chimica di un alimento è senz’altro una delle caratteristiche intrinseche che maggiormente influenzano la possibilità da parte di microrganismi patogeni di svilupparsi o meno. Essa influenza direttamente volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 126 LUCA COCOLIN 96 l’acidità, la pressione osmotica e l’attività dell’acqua di un determinato alimento ed è per questo che deve essere attentamente studiata per definire i rischi igienico-sanitari ad esso connessi. Ulteriormente, durante i processi di trasformazione, spesso vengono applicate tecnologie che sfruttano le alte o basse temperature, in grado di disattivare le cellule microbiche (alte temperature) o rallentarne la crescita, fino anche a bloccarla (basse temperature). Nel caso del gelato, le materie prime utilizzate sono di origine animale o vegetale a seconda della tipologia di prodotto. Esse devono essere di buona qualità e se non rispettano gli standard qualitativi richiesti non possono essere impiegate. Materie prime di origine animale sono solitamente sottoposte a trattamenti termici che ne permettono la bonifica da microrganismi patogeni (per esempio la pastorizzazione), mentre per quanto riguarda i prodotti di origine vegetale sono indispensabili interventi di pulizia e sanificazione prima dell’utilizzo. Una considerazione fondamentale che deve essere sottolineata riguarda poi l’igienicità della produzione. Non è accettabile che il gelato sia prodotto in condizioni non igieniche e per questo motivo devono essere rispettate tutte quelle norme che solitamente vengono definite come buone prassi igieniche. Infine, il gelato viene normalmente conservato ad una temperatura compresa tra i -15 e -18 °C, condizioni in cui l’attività microbica è bloccata. Nel sopracitato Reg. CEE 2073/2005 sono contemplati dei criteri di sicurezza alimentare e di igiene di processo per quanto concerne il gelato. Nello specifico, viene imposta un’assenza di Salmonella spp. in 25 g di prodotto, mentre alla fine del processo di lavorazione il gelato non deve possedere una carica di enterobatteri superiori a 10 unità formanti colonie (ufc) per grammo o ml di prodotto (Anonimo 2005). 4. I RISCHI IGIENICO-SANITARI DEL GELATO Ribadendo che se la qualità delle materie prime è ottimale e se si osservano i requisiti di igienicità di processo, i rischi igienico-sanitari del gelato sono estremamente limitati, i principali pericoli associabili agli ingredienti utilizzati nella produzione del gelato sono i seguenti: - Salmonella, Campylobacter, Escherichia coli patogeni, Listeria monocytogenes, per il latte e la panna; - Salmonella per le uova, cioccolato e cacao; - virus per la frutta fresca; - micotossine per la frutta secca. Un importante rischio igienico-sanitario dei gelati può essere rappresentato da agenti biologici con bassa dose infettante (Salmonella, Escherichia coli patogeni e virus) (Jay et al., 2009). 5. CONCLUSIONI Il gelato deve considerarsi un alimento sicuro dal punto di vista igienico- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 127 I RISCHI IGIENICO-SANITARI NELLA FILIERA DEL GELATO 97 sanitario se vengono rispettate tutte le norme igieniche durante le fasi di produzione e conservazione. Le materie prime svolgono un ruolo fondamentale nel contribuire alla qualità microbiologica del gelato e pertanto devono avere una bassa carica microbica. Inoltre i processi di pastorizzazione e di successiva conservazione a -15 °C non permettono lo sviluppo microbico. Un importante rischio che deve essere sempre tenuto presente sono le contaminazioni postproduzione che potrebbero compromettere la sicurezza igienico-sanitaria del gelato. BIBLIOGRAFIA ANONIMO - 2005 - Regolamento europeo No 2073/2005 del 15 Novembre 2005 sui criteri microbiologici degli alimenti. ANONIMO - 2007 - Regolamento europeo No 1441/2007 del 5 Dicembre 2007 che modifica il Regolamento No 2073/2005 sui criteri microbiologici degli alimenti. ANONIMO - 2011 - The European Union summary report on trends and sources of zoonoses, zoonotic agents and food-borne outbreaks in 2009. EFSA Journal, 9, 2090- 2478. COCOLIN L., RAJKOVIC A., RANTSIOU K., UYTTENDAELE M. - 2011 - The challenge of merging food safety diagnostic needs with quantitative PCR platforms. Trends in Food Science & Technology, 22, S30-S38. JACXSENS L., KUSSAGA J., LUNING P. A., VAN DER SPIEGEL M., DEVLIEGHERE F., UYTTENDAELE M. - 2009 - A microbial assessment scheme to measure microbial performance of food safety management systems. International Journal of Food Microbiology, 134, 113-125. JAY, J., LOESSNER, M., GOLDEN, D.A. - 2009 - Microbiologia degli alimenti. Springer, New York, USA, pp. 848. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 128 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 129 ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO PAOLA BONFANTE* presentata nell’Adunanza del 20 luglio 2011 RIASSUNTO: Un corpo umano contiene dieci volte più cellule batteriche che umane e le centinaia di specie diverse di batteri che tappezzano la nostra pelle e le nostre cavità non sono viaggiatori clandestini, ma regolano molte delle nostre funzioni. Costituiscono il Microbioma umano, una delle sorgenti straordinarie di diversità individuale. Lo scopo della nota è di fare il punto sul meno conosciuto Microbioma vegetale, analizzando, grazie alle nuove tecnologie di genomica e metagenomica, gli invisibili microbi che controllano anche le funzioni dei vegetali. Particolare attenzione viene data ai funghi simbionti che sono tra i più importanti componenti del Microbioma vegetale, anche in funzione delle prospettive che si aprono per un’agricoltura che voglia rispettare l’ambiente in un contesto di sostenibilità. SUMMARY: At the root of Agrobiotechnologies: Genomics and Metagenomics applied to Plant Microbiome There are 10 times more bacterial cells in our body than human cells. The hundred of bacterial taxa which colonize all our orifices play crucial roles influencing many functions, helping us harness energy and nutrients from food and keeping our immune systems healthy. They build up the so called Human Microbiota, which represent a novel source of specificity at individual level. The aim of this short review is to explore the potential of the still not well characterized Plant Microbiome. Thanks to the next generation sequencing techniques, metagenomics and functional genomics approaches it will be possible to infer first principles underlying the organization of plant-microbe communities. Special attention is given to mycorrhizal fungi, which represent one of the most widespread components of the plant microbioma. Lastly, the perspectives offered by the use of such biofertiliser microbes will be discussed in the frame of a more sustainable agriculture. RÉSUMÉ: Aux racines des biotechnologies agricoles : génomique et méta-génomique pour l’étude et l’emploi du Microbiome végétal. Un corps humain a dix fois plus de cellules bactériennes que humaines et les centaines d’espèces différentes de bactéries qui recouvrent notre peau et nos cavités ne sont pas des voyageurs clandestins, puisqu’ils règlent beaucoup de nos fonctions. Ils constituent le Microbiome Humain, l’une des sources extraordinaires de diversité individuelle. Le but de ce rapport est *E-mail: [email protected] - Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, Viale Mattioli 25, 10125 Torino, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 130 PAOLA BONFANTE 100 une mise-au-point sur le Microbiome végétal qui est moins biens connu, en analysant - grâce aux nouvelles techniques de la génomique et de la méta-génomique - les microbes invisibles qui règlent aussi les fonctions végétales. Une attention particulière est réservée aux champignons symbiontes qui sont parmi les composants les plus importants du Microbiome végétal, en fonction des perspectives qui s’ouvrent ainsi pour une agriculture respectueuse de l’environnement dans un contexte de durabilité. 1 - INTRODUZIONE Un corpo umano contiene dieci volte più cellule batteriche che umane. La scoperta pubblicata su Science nel 2005 da un gruppo americano di ricerca della Standford University (Eckburg et al., 2005) dimostrò per la prima volta che nell’intestino umano coesistono rappresentanti dei tre grandi regni del vivente (Eucarya, Bacteria e Archaea). Quel primo lavoro, insieme con l’esplosione tecnologica e bioinformatica che ha caratterizzato la biologia molecolare di questi ultimi anni, ha portato alla pubblicazione di molti contributi che dimostrano che le centinaia di specie diverse di batteri che tappezzano la nostra pelle e le nostre cavità non sono viaggiatori clandestini, ma regolano molte delle nostre funzioni (dall’accumulo di adipe sino all’immunità). Il gruppo di Karen Nelson ad esempio ha dimostrato che le popolazioni batteriche che vivono nel nostro intestino sono essenziali nella degradazione di carboidrati che noi non siamo in grado di utilizzare (Gill et al., 2006). L’aspetto sorprendente è anche quello energetico: i batteri con il loro metabolismo rimettono in gioco una considerevole quantità di energia che sarebbe altrimenti persa demolendo fonti per noi non accessibili. Il termine “Microbioma umano” è quindi diventata parte dell’attuale terminologia scientifica per definire l’insieme del patrimonio genetico e funzionale dato dai microrganismi che vivono in un determinato ambiente. Esso rappresenta una sorgente straordinaria di diversità individuale. Si viene infatti a creare uno stretto legame tra nutrizione, capacità del microbioma di degradare i materiali introdotti e lo stato di salute dell’individuo (Kau et al., 2011). Un approccio basato sull’identificazione dei microbi attraverso metodi di Metagenomica (Glossario) può offrire strumenti potenti per porre in modo rigoroso alcune domande sulle relazioni tra genotipo umano, dieta e stato nutrizionale, tra il complesso del microbioma e l’ospite umano, tra i loro metabolismi, e infine tra coevoluzione del microbioma e il sistema immunitario. In questa direzione si sta quindi muovendo il National Institute of Health che sta lanciando un imponente progetto, intitolato Human Microbiome Project, che avrà lo scopo di analizzare i diversi microbiomi che caratterizzano l’uomo (https://commonfund.nih.gov/hmp/). Lo scopo di questa breve nota è di fare il punto sul meno conosciuto Microbioma vegetale. 2 - IL MICROBIOMA NEI VEGETALI Lo scenario recentemente identificato nell’uomo e in alcuni animali ad- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 131 ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE 101 domesticati apre molte domande, di cui la prima è: che cosa accade nelle piante? Come possiamo verificare la presenza del microbioma nel regno dei vegetali? Come possiamo caratterizzare gli invisibili microbi che controllano anche le funzioni dei vegetali? Le nuove tecnologie di genomica e metagenomica (Glossario) che permettono di caratterizzare i cosiddetti microbiomi umani possono essere applicate alle piante? Che prospettive si aprono per un’agricoltura che voglia rispettare l’ambiente in un contesto di sostenibilità? Lo studio delle interazioni tra piante e microrganismi è da sempre un settore cruciale in termini sia teorici sia applicativi, ma molto spesso esso viene identificato con la Patologia Vegetale (Matta, 1996): lo studio dei meccanismi molecolari che sono alla base delle reazioni di difesa, di resistenza o di suscettibilità delle piante ai loro patogeni è uno tra i settori più affascinanti della biologia attuale (http://www.ismpminet.org/). Basti pensare che le piante sono attaccate da organismi che appartengono a tutti i regni del vivente, dai procarioti ai funghi, agli animali, dimostrando che i meccanismi di patogenesi hanno avuto una lunga storia evolutiva: questo aspetto - cruciale nel caso delle piante coltivate - ha riflessi economici e sociali essenziali per la storia dell’umanità. Anche se meno conosciute, le interazioni tra microrganismi benefici e piante sono altrettanto importanti: da una parte alcuni microbi essenziali per la nutrizione minerale (ad esempio i rizobi fissatori di azoto) sono conosciuti, studiati e utilizzati da anni (Sprent, 2009). Dall’altra parte c’è un grande interesse per microbi, sia funghi sia batteri, che promuovono la crescita secernendo metaboliti o ormoni, fornendo micronutrienti per una migliorata nutrizione minerale e aumentando la resistenza a stress biotici e abiotici (Iaccarino, 2006). Tali processi si svolgono per lo più nel suolo e hanno come soggetto principale le radici e i microrganismi che vivono in una nicchia assai ristretta e conosciuta come rizosfera (Glossario). Batteri e funghi rizosferici influenzano la crescita della pianta rilasciando molecole bioattive e migliorando l’assunzione di nutrienti indispensabili alla pianta come azoto, fosforo e zolfo. Conoscere il funzionamento del network di interazioni che si stabiliscono nella rizosfera richiede molte conoscenze, da quelle dei genomi degli organismi coinvolti (piante, funghi simbionti, batteri), a quelle più ecologiche-sistematiche che descrivono il comportamento di queste associazioni tripartite e la loro variabilità al cambiare delle condizioni ambientali (fig. 1). L’interesse di tale argomento è confermato dal fatto che l’Unione Europea propone per il Settimo Programma Quadro dei temi che rispondono esattamente a queste domande: come è possibile usare dei microorganismi come plant growth promoting bioeffector? Possono essi rappresentare un’utile strategia alternativa per la produzione intensiva delle piante coltivate? Gli aspetti teorici sono da una parte sottolineati da pubblicazioni su riviste interdisciplinari quali Science: Rodrigo Mendes e i suoi colleghi (2011) dimostrano che i ben conosciuti suoli soppressivi sono caratterizzati da un particolare microbioma rizosferico, in quanto i batteri dominanti mostrano specifiche capacità volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 132 102 PAOLA BONFANTE Fig. 1 - Il microbioma vegetale si concentra soprattutto sulle foglie (fillosfera) e attorno/dentro le radici (rizosfera). Nel testo vengono illustrate alcune caratteristiche del microbioma che si localizza nella rizosfera, dando particolare attenzione ai funghi micorrizici che nel disegno sono mostrati come una rete grigia di micelio attorno alle radici. di protezione delle piante contro eventuali patogeni radicali. Dall’altra parte, la comunità scientifica è sempre più sensibile all’interesse di queste problematiche, come riflesso da un convegno (meeting) che sarà organizzato nel 2012 dal gruppo editoriale di New Phytologist e proprio intitolato “Functions and ecology of the plant microbiome”. 3 - I FUNGHI MICORRIZICI SONO I PLANT GROWTH PROMOTING MICROBES PIÙ CONOSCIUTI Tra le varie categorie di funghi, quelli micorrizici rappresentano un gruppo particolarmente importante da un punto di vista ecologico perchè colonizzano la quasi totalità degli ecosistemi terrestri. I funghi micorrizici sono microorganismi del suolo che entrano in simbiosi con le radici delle piante (Smith, Read, 2008) stabilendo una simbiosi detta “micorriza”. Le associazioni piantafungo sono ampiamente distribuite nel regno vegetale: non solo sono presenti nelle radici del 70-80 % delle piante da seme, ma anche nei gametofiti di molte briofite e pteridofite, nonché negli sporofiti di queste ultime (Bonfante, Genre, 2008; Smith, Read, 2008; Brundrett, 2009). La funzione ormai riconosciuta per queste simbiosi è che la pianta migliori la sua nutrizione minerale, registrando un effetto positivo sulla sua crescita, e cedendo in cambio zuccheri al fungo. Grazie alla simbiosi micorrizica, la pianta risulta essere più resistente volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 133 ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE 103 a stress biotici o abiotici, aumenta la tolleranza alla mancanza di acqua o alla presenza di inquinanti e porta a una riduzione della sensibilità ai comuni agenti patogeni (Smith, Read 2008). Tuttavia, il termine micorriza è una sorta di ombrello che copre molte e svariate tipologie di interazioni, tra le quali le micorrize arbuscolari (AM) e le ectomicorrize sono sicuramente le più significative per le loro conseguenze sull’agricoltura e sulla forestazione. Le associazioni micorriziche si trovano nella quasi totalità delle piante annuali e perenni. Circa i due terzi di queste sono piante erbacee appartenenti a specie coltivate (per esempio, mais e pomodoro, oltre a tutte le leguminose) e formano simbiosi con i funghi micorrizici arbuscolari (AMF) appartenenti al phylum dei Glomeromycota (http://www.lrz.de/~schues-sler/amphylo/). In particolare, le simbiosi AM aumentano la disponibilità di elementi minerali (es. fosforo e azoto) per la pianta, controllano la qualità delle comunità vegetali aumentandone la biodiversità e produttività e vengono perciò considerate dei biofertilizzatori naturali. Sappiamo infatti che le piante micorrizate hanno una duplice via per procurarsi il prezioso fosforo (fig. 2): da una parte lo assumono direttamente tramite i loro trasportatori presenti nelle cellule epidermiche radicali, dall’altra l’assunzione è indiretta in quanto mediata dai funghi simbionti che sono caratterizzati da trasportatori del fosfato ad alta efficienza localizzati nel micelio extraradicale (Smith et al., 2011; Gomez Ariza et al., 2009). Una recente scoperta (Kiers et al., 2011) dimostra che tra le piante e i loro funghi simbionti si stabilisce un livello di cooperazione così raffinato che la pianta seleziona - tra quelli presenti nella rizosfera -i funghi AM più efficienti e cooperativi nel cederle il prezioso elemento. In un momento in cui le fonti naturali di fosfato stanno diminuendo in modo sensibile (Gilbert, 2009), mentre l’uso dei fertilizzanti continua ad aumentare per mantenere alto il livello di produttività, i funghi AM assumono un crescente interesse nell’ottica di promuovere una agricoltura sostenibile, basata fondamentalmente sulla limitazione dei fertilizzanti, sul rispetto degli equilibri microbiologici e sulla conservazione della struttura del suolo. 4 - IL CONTRIBUTO DELLA GENOMICA E DELLA GENOMICA FUNZIONALE La genomica è un ramo del sapere che sta offrendo soluzioni a problemi che sorgono nei settori più disparati, dalla salute umana all’ambiente, dall’agricoltura alle sorgenti biologiche di energia. I milioni di geni e proteine che si vanno man mano scoprendo grazie al sequenziamento di comunità microbiche che vivono negli oceani o nel nostro corpo, di animali estinti o di importanti piante (riso, pioppo, vite) hanno rapidamente cambiato alcuni settori della biologia, passando attraverso la medicina, la microbiologia, la genetica e la biologia vegetale. Come conseguenza, alcuni temi di ricerca possono ora essere affrontati secondo ottiche del tutto innovative. Ma decifrare un genoma, presupposto essenziale per lo sfruttamento delle informazioni in esso contenute, non è facile. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 134 104 PAOLA BONFANTE Fig. 2 - Lo schema illustra come l’assunzione del P segua una duplice strada nelle piante portatrici di funghi micorrizici arbuscolari (AM). Da una parte la pianta esprime i suoi trasportatori di P (qui illustrati usando la terminologia per Solanum lycopersicum): LePT1 e LePT2 che sono espressi nelle cellule epidermiche. Nelle radici micorrizate il fungo attiva il suo trasportatore (GmosPT) che gli permette di assumere il P dal suolo e di convogliarlo sotto forma di granuli di polifosfato dentro la corteccia della radice dove il P è rilasciato alla pianta. Qui vengono attivati dei trasportatori vegetali la cui espressione è particolarmente innalzata nelle cellule che ospitano gli arbuscoli (LePT3, LePT4, LePT5). In altre piante, come Medicago truncatula, l’espressione del suo trasportatore MtPT4 è esclusiva delle cellule arbuscolate (ridisegnato dalla tesi di dottorato di Jorge Gomez Arisa, Ciclo XXII, 2010). In un progetto di sequenziamento genomico, successivamente alla fase di sequenziamento ed annotazione (annotazione automatica rilasciata e annotazione manuale, che sono fasi essenzialmente bioinformatiche), l’attenzione si focalizza ad esperimenti mirati alla caratterizzazione e alla ricerca della funzione biologica delle sequenze di DNA trovate nel genoma, andando così a trovare una conferma sperimentale delle analisi bioinformatiche (fase di postgenomica). A differenza dei funghi ectomicorrizici Laccaria bicolor e Tuber melanosporum, il cui genoma è stato sequenziato recentemente (Martin et al., 2010), la strada per sequenziare un fungo micorrizico si è dimostrata molto più in salita di quanto si immaginasse (Martin et al., 2008). Il progetto di sequenziamento di Glomus intraradices iniziato nel 2005 non si è ancora concluso, anche se alcuni dati sulle sequenze espresse danno un quadro preciso del suo metabolismo (Tisserant et al., 2012). Inoltre il completamento del genoma di un endobatterio, Candidatus Glomeribacter gigasporarum, che vive dentro il fungo AM, Gigaspora margarita, ci ha permesso per la prima volta di capire come volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 135 ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE 105 batteri con un genoma limitato siano strettamente dipendenti dal fungo, a sua volta simbionte obbligato dalla pianta (Ghignone et al., 2012). In questo modo siamo in grado di rivelare come le interazioni nutrizionali tra tre regni diversi (piante, funghi, batteri) creino dei complessi network di segnalazione e funzionamento. Capire i meccanismi alla base dell’interazione tra funghi AM e piante ospiti significa anche decifrare il funzionamento delle cellule sito degli scambi tra pianta e fungo. Le moderne piattaforme tecnologiche permettono di studiare l’espressione globale dei geni di un individuo (ad esempio di una pianta in determinate condizioni). Attraverso l’uso di microarray (Glossario) abbiamo dimostrato come una pianta di Lotus, una leguminosa modello, risponde alla presenza dei funghi AM regolando nella radice l’espressione di più di 500 geni (Guether et al., 2009a) e che molti di questi codificano per proteine coinvolte nel trasporto di P, N, ammonio e amminoacidi (Guether et al., 2009a,b, Guether et al., 2011). Inoltre la possibilità di usare una tecnica assai sofisticata (Laser microdissector) che permette di studiare popolazioni omogenee di cellule dimostra come le cellule in cui il fungo forma arbuscoli (le strutture ramificate tipiche dei funghi AM) sono probabilmente quelle che esprimono il maggior numero di geni di trasporto, confermando l’ipotesi che le cellule arbuscolate siano la sede più importante degli scambi tra i due partner (fig. 3). Fig. 3 - Lo schema illustra come il fungo AM (in blu) colonizzi la radice della pianta ospite formando delle strutture ramificate (gli arbuscoli) nelle cellule più profonde della corteccia. Le analisi di trascrittomica condotte usando cellule arbuscolate (riquadro in alto) e confrontandole con simili cellule parenchimatiche non colonizzate (riquadro sotto) dimostrano che molti geni della pianta che codificano per trasportatori di ammonio, di fosfato, di aminoacidi, e di zolfo sono localizzati sulla membrana periarbuscolare che avvolge il fungo. Grazie a questi trasportatori, la cui funzionalità è stata dimostrata, la pianta prende gli elementi minerali dal fungo e li usa per il suo metabolismo. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 136 106 PAOLA BONFANTE 5 - FUNGHI AM: DAL LORO RICONOSCIMENTO IN NATURA ALL’APPLICAZIONE IN CAMPO Se da una parte conoscere le basi cellulari, molecolari e fisiologiche delle interazioni piante/funghi AM è essenziale per capire come sviluppare strategie di applicazione di questi benefici biofertilizzanti, dall’altra è anche importante studiare la distribuzione, la composizione e la dinamica delle comunità fungine AM nel suolo. Sappiamo infatti che normalmente le piante in condizioni naturali sono micorrizate, ma che le normali procedure agronomiche, come i trattamenti con pesticidi, diserbanti, fertilizzanti, tendono a far diminuire la biodiversità dei funghi simbionti, anche se normalmente essi persistono sia nel suolo sia nelle radici. È ben noto che l’ effetto benefico dei funghi AM è tanto maggiore quanto più elevata è la loro biodiversità in quanto la presenza di più generi o famiglie garantisce un tasso più alto di tratti funzionali (Gamper et al., 2010), mentre il concetto che la pianta possa selezionare il fungo più cooperativo nei suoi confronti (Kiers et al., 2011) è un concetto del tutto nuovo. Su queste basi diventa pertanto importante conoscere il capitale genetico offerto dai funghi AM prima di intraprendere azioni di rinforzo con l’uso di inoculi microbici. Lumini e coll. (2010) hanno utilizzato i valori dell’indice di Shannon-Wiener per una stima della biodiversità dei funghi AM presenti in un sito mediterraneo caratterizzato da un gradiente di uso del suolo (vigneto lavorato, vigneto inerbito, erbaio, pascolo, formazione forestale a Quercus suber - sughereta): la biodiversità maggiore si trova nel pascolo, che ha un carattere più naturale, mentre quella più bassa si registra nell’erbaio, che è sottoposto annualmente a pratiche agronomiche. Un altro dato significativo che emerge è il tasso di funghi AM trovato nel vigneto inerbito, superiore rispetto a quello del vigneto lavorato. Questo risultato suggerisce come attività agronomiche poco perturbanti, inclusa la rotazione colturale e il mantenimento della copertura vegetale, predispongano il suolo a preservare ed incrementare il suo “capitale genetico” di funghi AM. Il valore dell’indice di Shannon-Wiener ottenuto nella formazione forestale a Quercus suber è risultato essere il più basso in assoluto. Questo non stupisce se si considerano le caratteristiche ecologiche della sughereta che è colonizzata prevalentemente da altri simbionti fungini, quelli ectomicorrizici. Infatti è noto che la presenza di specie arboree e arbustive determina la sostituzione delle comunità fungine endosimbiotiche (AMF) con gruppi micorrizici aventi altre peculiarità. Progetti internazionali recentemente finanziati dall’Unione Europea, tra i quali il progetto ECOFINDERS, http://ecofinders.dmu.dk/, in cui il nostro dipartimento è coinvolto, hanno proprio come scopo principale quello di accrescere la comprensione del ruolo della biodiversità del suolo (intesa come microbioma) nel funzionamento di ecosistemi agrari e naturali grazie alla metagenomica. Ci si aspetta quindi di avere presto nuove informazioni sui microbiomi associati alle piante e in particolare sui funghi AM. In un contesto volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 137 ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE 107 esclusivamente italiano, un progetto, Risinnova, http://risinnova.entecra.it, finanziato dal Consorzio Ager e coordinato dalla dottoressa E. Lupotto del CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura), avrà tra i suoi scopi proprio quello di descrivere la complessità del microbioma del riso, una delle piante più importanti per il benessere dell’umanità. Il programma di lavoro prevede ricadute di forte interesse applicativo con l’identificazione di batteri e funghi che sotto precise condizioni ambientali e di coltivazione hanno un’azione benefica sulla crescita e produttività del riso. La selezione dei microbi con migliori caratteristiche potrà portare a creare nuovi inoculi da usare con funzioni di biocontrollo e/o nell’ottica di un risparmio delle risorse idriche. Ma come passare da queste conoscenze teoriche all’applicazione? Già nel 1981 Hayman e i suoi colleghi suggerivano diverse metodologie per inoculare piante di leguminose in campi in cui i funghi AM endogeni erano presenti. Da allora sono state proposte molte nuove tecnologie; le ditte che producono inoculi microbici (che contengono non solo funghi AM ma anche batteri) si sono moltiplicate. Alcune di esse, basate in Europa, si sono unite in una federazione per omogeneizzare i servizi (http://www.symbiom.cz/?p= femfip&site=en) e per offrire inoculi certificati di alta qualità, offrendo così sul mercato molte affascinanti opportunità. Sarà veramente cruciale capire come l’uso di questi inoculi di nuova generazione potrà permettere da una parte di usare al meglio le proprietà di biofertilizzatori dei funghi AM e dall’altra di realizzare un risparmio di fertilizzanti, portando a una reale ricaduta economica nonostante il costo della produzione dell’inoculo. Tali tecnologie non sollevano alcuna problematica da parte degli ambientalisti in quanto si basano su ceppi naturali, ma dall’altra parte aprono il campo a molti nuovi problemi, non ultimi quelli dell’immissione nel suolo di ceppi esogeni e della comprensione di eventuali antagonismi tra i funghi endogeni e quelli presenti negli inoculi, la capacità di questi ultimi di permanere nel terreno e la loro reale cooperatività nei confronti della pianta ospite. Ma la sfida è importante e deve essere raccolta: coniugare Agricoltura con Ricerca non è solo un esercizio teorico: apre nuovi scenari d’innovazione nel rispetto dell’ambiente. Ringraziamenti Paola Bonfante ringrazia il Dr Jorge Gomez Ariza per aver fornito la base delle figure 2 e 3 e la Dottoressa Maria Teresa Della Beffa per l’aiuto nella compilazione della bibliografia. I fondi per la ricerca illustrata in questa nota derivano dal progetto BIOBIT –CIPE http://www.biobits.di.unipmn.it e dal Progetto Risinnova. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 138 108 PAOLA BONFANTE BIBLIOGRAFIA BONFANTE P., GENRE A. - 2008 - Plants and arbuscular mycorrhizal fungi: an evolutionary developmental perspective. Trends in Plant Science, 13, 492-498. BONFANTE P., GENRE A. - 2010 - Mechanisms underlying beneficial plant–fungus interactions in mycorrhizal symbiosis. Nature Communications, 1, 48. BRUNDRETT M.C. - 2009 - Mycorrhizal associations and other means of nutrition of vascular plants: understanding the global diversity of host plants by resolving conflicting information and developing reliable means of diagnosis. Plant and Soil, 320, 37–77. ECKBURG P.B., BIK E.M., BERNSTEIN C.N., PURDOM E., DETHLEFSEN L., SARGENT M., GILL S.R., NELSON K.E., RELMAN D.A. - 2005 - Diversity of the human intestinal microbial flora. Science, 308, 1635-1638. GAMPER H.A., VAN DER HEIJDEN M.G.A., KOWALCHUK G.A. - 2010 - Molecular trait indicators: moving beyond phylogeny in arbuscular mycorrhizal ecology. New Phytology, 185, 67-82. GHIGNONE S., SALVIOLI A., ANCA I., LUMINI E., ORTU G., PETITI L., CRUVEILLER S., BIANCIOTTO V., PIFFANELLI P., LANFRANCO L., BONFANTE P. – 2011 - The genome of the obligate endobacterium of an AM fungus reveals an interphylum network of nutritional interactions. ISME Journal, (in press) GILBERT N. - 2009 - Environment: the disappearing nutrient. Nature, 461, 716-718. GILL S., POP M., DEBOY R.T., ECKBURG P.B., TURNBAUGH P.J., SAMUEL B.S., GORDON J.I., RELD.A., FRASER-LIGGETT C.M., NELSON K.E. - 2006 - Metagenomic analysis of the human distal gut microbiome. Science, 312, 1355-1359. MAN GÓMEZ-ARIZA J., BALESTRINI R., NOVERO M., BONFANTE P. - 2009 - Cell-specific gene expression of phosphate transporters in mycorrhizal tomato roots. Biology and Fertility of Soils, 45, 845-853. GUETHER M., BALESTRINI R., HANNAH M., HE J., UDVARDI M.K., BONFANTE P. - 2009 - Genomewide reprogramming of regulatory networks, transport, cell wall and membrane biogenesis during arbuscular mycorrhizal symbiosis in Lotus japonicus. New Phytologist, 182, 200-212. GUETHER M., NEUHÄUSER B., BALESTRINI R., DYNOWSKI M., LUDEWIG U., BONFANTE P. - 2009 - A mycorrhizal-specific ammonium transporter from Lotus japonicus acquires nitrogen released by arbuscular mycorrhizal fungi. Plant Physiology, 150, 73-83. GUETHER M., VOLPE V., BALESTRINI R., REQUENA N., WIPF D., BONFANTE P. - 2011 - LjLHT1.2 - a mycorrhiza-inducible plant amino acid transporter from Lotus japonicus. Biology and Fertility of Soils, (in press). ISSN:0178-2762 IF:2.156 HAYMAN D.S., MORRIS E.J., PAGE R.J. - 1981 - Methods for inoculating field crops with mycorrhizal fungi. Annals of Applied Biology, 99, 247–253 IACCARINO M. - 2006 - Microrganismi benefici per le piante. Idelson Gnocchi, Napoli, I, pp. 208. KAU A.L., AHERN P.P., GRIFFIN N.W., GOODMAN A.L., GORDON J.I. - 2011 - Human nutrition, the gut microbiome and the immune system. Nature, 474, 327-336. KIERS E.T., DUHAMEL M., BEESETTY Y., MENSAH J.A., FRANKEN O., VERBRUGGEN E., FELLBAUM C.R., KOWALCHUK G.A., HART M.M., BAGO A. , PALMER T. M., WEST S. A., VANDENKOORNHUYSE P., JANSA J., BÜCKING H. - 2011 - Reciprocal Rewards Stabilize Cooperation in the Mycorrhizal Symbiosis. Science, 333, 880-882. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 139 ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE 109 LUMINI E., ORGIAZZI A., BORRIELLO R., BONFANTE P., BIANCIOTTO V. - 2010 - Disclosing arbuscular mycorrhizal fungal biodiversity in soil through a land-use gradient using a pyrosequencing approach. Environ. Microbiol., 12, 2165-2179. MARTIN F., AERTS A., AHRÉN D., BRUN A., DANCHIN E.G., DUCHAUSSOY F., GIBON J., KOHLER A., LINDQUIST E., PEREDA V., SALAMOV A., SHAPIRO H.J., WUYTS J., BLAUDEZ D., BUÉE M., BROKSTEIN P., CANBÄCK B., COHEN D., COURTY P.E., COUTINHO P.M., DELARUELLE C., DETTER J.C., DEVEAU A., DIFAZIO S., DUPLESSIS S., FRAISSINET-TACHET L., LUCIC E., FREY-KLETT P., FOURREY C., FEUSSNER I., GAY G., GRIMWOOD J., HOEGGER P.J., JAIN P., KILARU S., LABBÉ J., LIN Y.C., LEGUÉ V., LE TACON F., MARMEISSE R., MELAYAH D., MONTANINI B., MURATET M., NEHLS U., NICULITA-HIRZEL H., OUDOT-LE SECQ M.P., PETER M., QUESNEVILLE H., RAJASHEKAR B., REICH M., ROUHIER N., SCHMUTZ J., YIN T., CHALOT M., HENRISSAT B., KÜES U., LUCAS S., VAN DE PEER Y., PODILA G.K., POLLE A., PUKKILA P.J., RICHARDSON P.M., ROUZÉ P., SANDERS I.R., STAJICH J.E., TUNLID A., TUSKAN G., GRIGORIEV I.V. - 2008 - The genome of Laccaria bicolor provides insights into mycorrhizal symbiosis. Nature, 452, 88-92. MARTIN F., GIANINAZZI-PEARSON V., HIJRI M., LAMMERS P., REQUENA N., SANDERS I.R., SHACHARHILL Y., SHAPIRO H., TUSKAN G.A., YOUNG J.P.W. - 2008 - The long hard road to a completed Glomus intraradices genome. New Phytologist, 180, 747-750. MARTIN F., KOHLER A., MURAT C., BALESTRINI R., COUTINHO P.M., JAILLON O., MONTANINI B., MORIN E., NOEL B., PERCUDANI R., PORCEL B., RUBINI A., AMICUCCI A., AMSELEM J., ANTHOUARD V., ARCIONI S., ARTIGUENAVE F., AURY J.M., BALLARIO P., BOLCHI A., BRENNA A., BRUN A., BUÉE M., CANTAREL B., CHEVALIER G., COULOUX A., DA SILVA C., DENOEUD F., DUPLESSIS S., GHIGNONE S., HILSELBERGER B., IOTTI M., MARÇAIS B., MELLO A., MIRANDA M., PACIONI G., QUESNEVILLE H., RICCIONI C., RUOTOLO R., SPLIVALLO R., STOCCHI V., TISSERANT E., VISCOMI A.R., ZAMBONELLI A., ZAMPIERI E., HENRISSAT B., LEBRUN M.H., PAOLOCCI F., BONFANTE P., OTTONELLO S., WINCKER P. - 2010 - Périgord black truffle genome uncovers evolutionary origins and mechanisms of symbiosis. Nature, 464, 1033-1038. MATTA A. - 1996 - Fondamenti di patologia vegetale. Pàtron Editore, Bologna, I, pp. XVI-496. MENDES R., KRUIIT M., DEBRUIJN I., DEKKERS E., VANNO DER VOORT M., SCHNEIDER JHM., PICENO YM., DESANTIS TZ., ANDERSEN GL., BALLER PAHM., RAAIJMAKERS JM. – 2011- Deciphe- ring the rhizosphere Microbiome for disease-suppressive bacteria. Science, 332, 1097-1100. SMITH S.E., JAKOBSEN I., GROENLUND M., SMITH F.A. - 2011 - Roles of arbuscular mycorrhizas in plant phosphorus nutrition: interactions between pathways of phosphorus uptake in arbuscular mycorrhizal roots have important implications for understanding and manipulating plant phosphorus acquisition. Plant Physiology. 156, 1050-1057. SMITH S.E., READ D.J. - 2008 - Mycorrhizal Symbiosis. 3rd ed., Academic Press, San Diego, CA, USA. http://www.amazon.com/Mycorrhizal-Symbiosis-Third-Sally-Smith/product-reviews/ 0123705266/ref=sr_1_1_cm_cr_acr_img?ie=UTF8&showViewpoints=1 SPRENT J.I. - 2009 - Legume nodulation: a global perspective. John Wiley & Sons Ltd, UK, pp.183. TISSERANT E., KOHLER A., DOZOLME-SEDDAS P., BALESTRINI R., BENABDELLAH K., COLARD A., CROLL D., DA SILVA C., GOMEZ S.K., KOUL R., FERROL N., FIORILLI V., FORMEY D., FRANKEN PH., N HELBER11, M HIJRI12, LANFRANCO L., LINDQUIST E., LIU Y, MALBREIL M, MORIN E., POULAIN J, SHAPIRO H., VAN TUINEN D., WASCHKE A., AZCÓN-AGUILAR C., BÉCARD G., BONFANTE P., HARRISON M.J., LAMMERS P., PASZKOWSKI U., REQUENA N., RENSING S.A., ROUX C., SANDERS I.R., SHACHAR-HILL Y, TUSKAN G., YOUNG J.P.W., GIANINAZZI-PEARSON V., MARTIN F. - 2012 - The transcriptome of the arbuscular mycorrhizal fungus Glomus intraradices reveals functional tradeoffs in an obligate symbiont. New Phytologist 193, 3, 755-769 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 140 110 PAOLA BONFANTE Glossario Genomica è ramo della biologia molecolare – nato negli anni 80- che si occupa dello studio del genoma degli organismi viventi: in particolare di struttura, contenuto, funzione ed evoluzione del genoma. È una scienza che si basa sulla bioinformatica per l’elaborazione e la visualizzazione dei dati che essa produce. La genomica sequenzia il genoma degli organismi fornendo mappe genetiche e fisiche del DNA. La sequenza del DNA viene poi annotata, ovvero vengono identificati e segnalati tutti i geni e le altre porzioni di sequenza significative, insieme a tutte le informazioni conosciute su tali geni. In questo modo è possibile ritrovare in maniera organizzata ed efficace le informazioni in appositi database, normalmente accessibili gratuitamente via Internet. Grazie al sequenziamento di diversi genomi è nata la genomica comparativa, che si occupa del confronto tra i genomi di diversi organismi, nella loro organizzazione e sequenza. Genomica funzionale ha lo scopo di identificare la funzionalità di un gene specifico, rivelandone l’espressione differenziale rispetto ad una determinata condizione fisiologica o patologica. Questa disciplina richiede diverse tecnologie: tra queste i microarray, l’uso di mutanti, la genetica inversa, la proteomica e la bioinformatica. Metagenoma Rappresenta il complesso dei genomi di tutti gli abitanti microbici (coltivabili e non coltivabili) di un certo ambiente. La descrizione delle sequenze ottenute da una determinate matrice (ad esempio, suolo, acqua, aria) estraendo il DNA di tutte le comunità presenti in quell’ambiente evita il problema del prelevamento e coltivazione in laboratorio. Per quanto riguarda il suolo, la metagenomica viene utilizzata per studiarne la fertilità, i cicli biogeochimici, oppure trovare nuove vie per il biorisanamento, o scoprire geni per la produzione di nuovi enzimi e antibiotici. Microarray - conosciuti anche come gene chip, chip a DNA, biochip o matrici ad alta densità - sono costituiti da un insieme di microscopiche sonde di DNA attaccate ad una superficie solida come vetro, plastica, o chip di silicio formanti un array (raggruppamento). Tali array sono usati per esaminare il profilo d’espressione globale monitorando in una sola volta gli RNA prodotti da migliaia di geni (spesso è tutto il patrimonio genetico di un organismo che viene spottato nel microarray). I microarray sfruttano la tecnica di ibridazione inversa, che consiste nel fissare tutti i segmenti di DNA (detti probe) su un supporto e nel marcare invece l’acido nucleico che si vuole identificare (detto target). Rizosfera: dal greco rhìza=radice; sphàira=sfera, è la porzione di suolo che circonda le radici delle piante. Grazie alla presenza di nutrienti rilasciati dalle radici, la rizosfera è popolata da numerose componenti biotiche quali ad esempio: microorganismi simbiontici, batteri benefici e patogeni, funghi e nematodi. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 141 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI PRIME OSSERVAZIONI AGRONOMICHE E QUALITATIVE MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO GIORGIO MASOERO* e di GIUSTO GIOVANNETTI presentata all’Adunanza del 20 luglio 2011 RIASSUNTO L’impiego di funghi endomicorrizanti e del consorzio microbico brevettato Micosat F (MF) è stato verificato su alcune delle principali colture agrarie, nella duplice prospettiva di risultato quantitativo e di qualità finale espressa negli organi epigei. L’aumento produttivo è stato mediamente pari a : +19 % nel mais trinciato, +12 % nelle spighe con brattee; +6,4 % nella granella; +13 % nel frumento; +11 % nel pomodoro ( + 6 % nella massa del frutto); +11 % nel cetriolo; la differenza nello sviluppo delle piante di ulivo +8÷+20 %; nulla nel melone. L’esame rapido ai raggi UV-Vis-NIR da 350 a 2500 nm delle foglie, delle parti florali e dei frutti, associato all’analisi rapida con un Naso Elettronico (NE) per un totale di oltre 1400 analisi, ha dimostrato che le colture sottoposte al trattamento microbico si differenziano dai testimoni, entro ciascun campo, con coefficienti R2 da 0,40 a 0,70, ma con oscillazioni fra le diverse specie e prove. Il mais da foraggio e da granella, le coltivazioni di erbe aromatiche, la camelia, il melo (fiori e foglie), il melone, il cocomero, la loiessa, l’avena e il trifoglio reagiscono fortemente al trattamento microbico. Il pomodoro è specie mediamente rispondente, mentre in una prima prova la medica e la veccia sono apparse poco rispondenti al NE. In alcuni studi l’anticipazione fornita dalle analisi rapide con NIR e NE è stata pienamente confermata da analisi chimiche approfondite. Nel caso del moderno frumento ‘Blasco’ trattato con MF, un risultato sorprendente, bene anticipato dal NE, è emerso da una prova di panificazione valutata mediante analisi sensoriale che ha giudicato il pane prodotto con la farina di ‘Blasco’ trattato, buono come il pane sfornato con l’antica cultivar ‘Sieve’, assimilabile ad ‘Inallettabile’ e ‘Gentil Rosso’, ma affatto superiore al ‘Blasco’ testimone e al pane comune. SUMMARY: Agronomical and qualitative preliminary results of microbial consortiums The use of arbuscolar endomycorrhizal fungi (AM) and of the patented microbial consortium Micosat F (MF) was observed on some major crops on a double perspective, to measure the quantitative response and in terms of final quality, expressed in the epigeal parts. The quantitative response on average was : +19 % in cut up; +12 % in spikes with bracts and +6,4 % in grains of the maize; +13 % in wheat grain; +11 % in total yield of tomato, due to +6 % of the fruit mass; +11 % in cucumber; +8 to +20 % in the development of the olive trees; null in melon a normal mycotrophic species. The rapid scan by UV-Vis-NIR rays from 350 to 2500 nm of the leaves, flower and fruit parts, associated to a rapid examination by an Electronic Nose (EN), for a total of more than 1400 analyses revealed that the cultures *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 142 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI 112 submitted to the microbial treatments appeared different from the control samples, with R2 values from 0.40 to 0.70 but with oscillations between the different species and run-test. The maize for forage and grains, the aromatic plants, the camellia, the apple (flowers and leaves), the melon, the water melon, the ryegrass Lolium, the oat and the clover are strongly responsive to microbial treatment. The tomato was medium respondent while the alfalfa and the vetch were lowly respondent, in a first EN test. In some cases the results of the rapid methods were fairly corroborated by fine chemical analyses. In a special case the modern wheat ‘Blasco’ treated by MF gave a surprising result, well predicted by the EN, in a breadmaking test: the trained panel appreciated the bread from the treated ‘Blasco’ flour as being very similar and good as the bread obtained from the ‘Sieve’, an ancient wheat, which appeared quite similar to the ‘Inallettabile’ and ‘Gentil Rosso’ ancient wheats, most appreciated compared to the ‘Blasco’ control and to the ordinary bread. RÉSUMÉ: Premiers résultats agronomiques et qualitatifs de l’emploi de consortiums microbiens L’emploi de mycètes endomycorhizants (AM) et du consortium microbien breveté Micosat F (MF) a été suivi sur quelques unes des cultures principales dans une double perspective : mesurer la réponse en termes de quantité et de qualité finales exprimées dans les parties aériennes. La réponse quantitative en moyenne a été: +19 % pour le maïs haché, +12 % pour les épis avec bractées et +6,4 %, pour les graines du maïs; +13 % pour le blé; +11 % comme production totale de tomates, en raison du +6 % pour la masse du fruit; 11 % chez le concombre; de +8 à +20 % comme développement des oliviers; nul chez le melon, espèce normalement mycotrophique. L’examen rapide aux rayons UV-Vis-NIR de 350 à 2500 nm des feuilles, des parties florales et des fruits, en association avec un Nez Electronique (NE), sur un total de plus que 1400 analyses rapides, a démontré que les cultures soumises au traitement microbien paraissent se différencier des échantillons témoins par un coefficient R2 de 0,40 à 0,70 avec des oscillations entre les différentes espèces et essais. Le maïs, les espèces aromatiques, le camélia, le pommier (fleurs et feuilles), le melon, la pastèque, le ray-grass (Lolium), l’avoine et le trèfle répondent fortement aux traitements. La tomate parait une espèce moyennement répondante tandis que la luzerne et la vesce répondent très peu, du moins au premier test par NE. Dans certaines études, l’anticipation fournie par l’analyse rapide par NIR et par NE a été entièrement confirmée par les études chimiques complètes. Dans le cas du blé moderne ‘Blasco’ traité par le MF un résultat surprenant, bien anticipé par le NE, a émergé de l’analyse sensorielle qui a considéré le pain fait avec de la farine de ‘Blasco’ traité aussi bon que le pain cuit au four de l’ancienne ‘Sieve’, équivalent aussi à ‘Inallettabile’ et ‘Gentil Rosso’, et très apprecié par rapport au ‘Blasco’ témoin et au pain ordinaire. 1 - PREMESSA Alla fine dell’Ottocento (1897) la Bayer, che allora si chiamava Fabenfabriken Vorm, Friederic Bayer & Co di Eberfeld, iscrisse al Registro Tedesco dei fertilizzanti, col nome commerciale ALINIT, un prodotto nuovo, a base di Bacillus subtilis, che permetteva di aumentare la produzione del grano fino al 40 % (Kilian et al., 2000). La prima rivoluzione colturale fu determinata dall’uso dei concimi azotati ottenuti con la tecnologia di sintesi dell’ammoniaca, brevettata nel 1909 da Haber e Bosch; secondo Standage (2009) la concimazione azotata ha salvato la vita di almeno 4 miliardi di persone. La seconda rivoluzione colturale fu basata sul miglioramento genetico dei cereali, iniziato in Italia negli anni ’20, che fu denominata “verde” da William Gaud (1968); essa ha consentito di incrementare le produzioni mondiali con ritmo superiore a quello demografico e valse il Premio Nobel per la Pace 1970 a Norman Borlaung, genetista americano, primo ibridatore di frumento nel volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 143 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 113 Messico, che divenne divulgatore della nuova metodica in tutto il mondo (Hesser, 2006). Trascorso un secolo dall’esordio di ALINIT, negli USA il Bacillus subtilis venne usato come conciante del seme con registrazione per sette colture ed applicato a più di 2 milioni di ha. In Germania, FZB24® Bacillus subtilis è stato utilizzato commercialmente dal 1999, principalmente per la concia della patata; sperimentazioni agronomiche hanno rilevato incrementi produttivi del 6,5 e 8,7 % a seguito di trattamento radicale e fogliare (Kilian et al., 2000). Questo è stato l’avvio di una nuova rivoluzione colturale basata sulle biotecnologie microbiche applicate alla rizosfera e in prospettiva applicabili alla fillosfera: è appena l’esordio della Blue revolution, che valorizzerà inimmaginabili risorse dell’agricoltura mondiale. Ad oggi sono già disponibili osservazioni agronomiche e qualitative realizzate in Italia su alcune colture erbacee, a seguito di applicazioni di Micorrize e di Consorzi microbici più elaborati. 2 - IL MICOSAT F (MF) L’agricoltura biologica considera l’intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell’ambiente in cui opera ed esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi (salvo quelli specificatamente ammessi dal regolamento) e di organismi geneticamente modificati. L’attuale evoluzione della PAC verso un c.d. greening, per quanto ancora disarticolato e fortemente burocratico esso sia, intende chiaramente valorizzare questa filosofia che mira ad un diverso modo di coltivare le piante e allevare gli animali. In quest’ottica opera, da un trentennio ormai, la CCS Aosta S.r.l., piccola azienda situata in Comune di Quart, alle porte di Aosta. La CCS Aosta è un’impresa agricola e biotecnologica privata iscritta all’Anagrafe Nazionale Delle Ricerche (art. 63 e 64 del D.P.R. 11 Luglio 1980, 383) con il numero: N° 53949 UFF. L’azienda produce microrganismi per l’agricoltura e per le bonifiche ambientali da inquinamenti diffusi, attraverso l’impiego di micorrize e batteri della rizosfera. La gamma di prodotti così realizzata prende il nome di “Micosat F” (MF). Per poter iscrivere tale prodotto alla categoria “fertilizzanti”, CCS Aosta ha fatto aprire la finestra “inoculo di funghi micorrizici” all’interno della categoria fertilizzanti. Inoltre gli inoculi micorrizici vengono classificati come fertilizzanti utilizzabili in agricoltura biologica. Nel 2008 la CCS Aosta S.r.l ha ricevuto la Menzione Speciale per la Migliore Cooperazione Internazionale, Premio Impresa Ambiente promosso dal Ministero Ambiente e Tutela del Territorio, dal Ministero delle Attività Produttive e dall’Union Camere e Camera di Commercio di Roma per il progetto “Mycor” di cooperazione internazionale che prevedeva l’utilizzo dei consorzi microbiologici sulle tre più importanti colture della Regione di Lougà (Senegal). Nel 2010 la CCS Aosta ha ricevuto il premio “Innovazione dell’Anno” volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 144 114 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI nella Categoria “Nutrizione delle Piante” per la linea di prodotti Micosat F®. Tale premio è stato conseguito a seguito di una ricerca di mercato su una preselezione di prodotti innovativi, condotta da “Agri2000” su 1.200 imprese agricole tra settembre e ottobre 2010, con successiva selezione dei vincitori finali da parte di un Comitato Tecnico. Il prodotto brevettato come MF è una combinazione di microrganismi micorrizanti del genere Glomus, di batteri c.d. helper appartenenti ai generi Pseudomonas e Bacillus, di Attinomiceti del genere Streptomyces e di funghi saprofiti del genere Trichoderma. La somministrazione del prodotto avviene per via radicale, nelle piante erbacee per concia del seme o mediante microgranulatore, nelle arboree per inzaffardatura in vivaio oppure anche, nelle piante adulte, per contaminazione di radici trattate meccanicamente. 3 - MATERIALI E METODI Nel corso di una pluriennale collaborazione fra la CCS Aosta e il Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA) di Zootecnia, sedi di Torino e di Caramagna Piemonte (Az. Il Merlino), si sono acquisite conoscenze sul mais, relative sia alla pratica agronomica sia alle caratteristiche qualitative, sinteticamente rilevate con due metodi rapidi: il NIRS a fibre ottiche e portatile (LabSpec.PRO, ASD) e il Naso Elettronico (NE, PEN2, Airsense). In alcuni casi la determinazione rapida di biovariabilità fra gruppo testimone (T) e gruppo trattato con MF è stata sottoposta a verifica mediante analisi chimiche convenzionali. Nel presente lavoro il termine “micorrizato” verrà usato impropriamente, in quanto non è stato dimostrato da test radicali a sensitività e specificità note, che una simbiosi con i Glomus disseminati sia effettivamente avvenuta. È soprattutto grazie a questi risultati che la collaborazione fra CCS Aosta e il CRA è proseguita nel Progetto nazionale “AMICO” teso alla valutazione agronomica e zootecnica delle colture principalmente destinate all’alimentazione di animali da carne e da latte. In questa revisione delle conoscenze agronomiche, grazie ai contributi scientifici di vari Enti di Ricerca ed Università, è possibile aprire una finestra sul panorama del miglioramento quantitativo, con proiezioni sulle modificazioni qualitative ed aromatiche, delle derrate ottenute da alcune coltivazioni agricole trattate con i microrganismi. 4 - RISULTATI QUANTITATIVI 4.1 - Mais pianta intera e spiga con brattee I rilievi sono stati effettuati in campo, in quattro repliche di cinque metri ognuna, determinando la massa della parte epigea delle piante recise al colletto e delle spighe verdi rivestite di brattee. In due anni sono stati eseguiti 18 confronti MF verso T (tab. 1). La produzione (pianta intera) è stata mediamente pari a 24,0 ± 5,3 kg per T verso 28,5 ± 7,4 kg per MF (+19 %, P<0,03). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 145 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 115 Tab. 1 - Risultati quantitativi sul mais: massa della pianta intera e delle spighe vestite di brattee (T = testimone; MF = Micosat F) . La produzione in spighe con brattee è stata mediamente pari a 9,5 ± 1,5 kg per T ed a 10,7 ± 2,2 kg per MF, con aumento relativo del 12 % (P<0,05). Riguardo alla sostanza secca, in una prova condotta nel 2008 al Merlino con due trincee gemelle, l’insilato del mais T risultò maggiormente umido rispetto al trattato (68,6 vs 60,5 %). 4.2 - Mais granella (14 % di umidità) L’incremento apportato dalla concimazione microbica sulla granella raccolta in 24 parcelloni di 1600 m2 (tab. 2) è stato in media del 6,4 % (P<0,0005), con deviazione standard elevata (±3,0 %), dunque con un coefficiente di variabilità (CV) del 47 % (Marocco, 2011). Il CV delle pesate di granella oscilla intorno al 12 % ed è dunque nettamente inferiore al 30 % delle piante intere e al 20 % delle spighe verdi. Una prova di ridotta concimazione (Marocco, 2010) ha confrontato sette tesi. (tab. 3). L’efficienza di utilizzo dell’azoto (EA), espressa in kg di mais (kgMais) per kg di azoto (kgN) impiegato, evidenzia che la tesi MF ha incrementato dell’8,5 % la produzione (tab. 3), con una EA di 77 di poco inferiore a quella di 85 ottenuta dall’impiego di azoto-ritardato. Tab. 2 - Produzione (t • ha-1) di granella di mais nel testimone (T) e nel trattato con concimazione microbica (M) in prove realizzate dal Podere Pignatelli nel 2009-2010. Probabilità secondo il test di Friedman. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 146 116 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI Tab. 3 - Produzione di granella di mais (Prod: t ha-1 al 14 % umidità) e di efficienza azotata (EA = kgMais • kgN -1) nella prova di concimazione con e senza uso del MF. 4.3 - Frumento Su di un prato stabile dissodato del parco di Racconigi, Migliorini et al. (2011) hanno impostato una prova di coltivazione biologica a blocchi randomizzati (tre ripetizioni) nella quale alcune antiche cultivar di frumento sono state poste a confronto con la moderna cultivar ‘Blasco’, quest’ultima con e senza trattamento con MF. I risultati medi delle nove parcelle di ‘Blasco’ (tab. 4) evidenziano che nella tesi trattata (MF) il numero di piante per parcella è inferiore dell’11 % (P<0,03) e le piante hanno raggiunto un’altezza minore del 2 % (P<0,1); riscontri positivi sono emersi per l’indice di accestimento, incrementato del 17 % (P<0,003), per la massa finale, aumentata del 15 % (P<0,003) di cui un +13 % per la granella (P<0,02). Tab. 4 - Risultati della prova di coltivazione di frumento ‘Blasco’ con e senza uso di MF, dati parcellari (0,25 m2), N = 9 cfr, probabilità secondo il test di Friedman. 4.4 - Pomodoro Uno studio decennale di rotazione orticola biologica con uso di Micosat F (Campanelli et al., 2009) ha evidenziato un incremento della sostanza organica nel terreno passata da 1,11 % a 1,50 % con un incremento di carbonio organico di 2,27 g per kg di terreno. Nella rotazione convenzionale si è invece volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 147 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 117 verificata una leggera diminuzione della sostanza organica passata da 1,21 % a 1,16 %. I dati raccolti hanno messo in luce un incremento nella produzione intorno al 10 % con MF. In uno studio più articolato sulla cultivar ibrida (F1) ‘Faino’ (Syngenta) si è riscontrato che il trattamento con MF o con le sole Arbuscular Mycorrizhae (AM) del genere Glomus non ha interagito con i livelli irrigui V0, V50 e V100, mentre le due tesi micorrizate artificialmente non si sono differenziate tra loro e sono risultate significativamente più produttive verso T (tab. 5), con incrementi medi di 7,8 t ha-1, per la massa totale del raccolto (+11 %) e di 5,9 g per bacca (+6 %). Tab. 5 - Risultati di prove di coltivazione di pomodoro con e senza uso di MF o uso di sole AM (Arbuscular Mycorrizhae). È interessante rilevare la dinamica del differenziale di crescita: in vivaio le piante trattate hanno espresso una fortissima precocità, testimoniata dal raddoppio della biomassa al trapianto rispetto al testimone; la differenza si è poi ridotta intorno al 13 % a metà ciclo. Sulle bacche peraltro non sono state rilevate differenze per le caratteristiche commerciali: solidi solubili (°Brix), sostanza secca e consistenza. 4.5 - Cetriolo Colla et al. (2009) hanno sperimentato l’effetto di un inoculo commerciale contenente spore di Glomus intraradices su cetriolo (cultivar ‘Ekron’) coltivato su sabbia, in ambiente alcalinizzato (pH 7,8) o normale (pH 6,0). I risultati produttivi hanno evidenziato un incremento dell’11 % nelle piante trattate a causa dell’incremento nella massa media dei frutti. Nessuna differenza, statisticamente significativa, è stata riscontrata nel contenuto di sostanza secca, pH ed acidità titolabile dei frutti. 4.6 - Ulivo L’influenza positiva delle micorrize è stata dimostrata sperimentalmente sia su talee di olivo in radicazione (Di Marco et al., 2002), che durante la loro crescita in vivaio (Citernesi et al., 1998). Briccoli Bati e Godino (2002) hanno condotto esperimenti su giovani piante impiegando substrato sterilizzato in autoclave. L’inseminazione di 25 spore di micorrize del genere Gigaspora sp. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 148 118 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI ha promosso un forte lussureggiamento dei germogli e del sistema radicale. In seguito gli AA hanno ripetuto l’esperimento includendo una tesi di terreno non sterilizzato; al rilievo realizzato dopo 23 mesi il peso secco delle radici delle piantine inoculate con Glomus viscosus su terreno sterile è risultato in media del 30 % superiore rispetto al terreno naturale, e di dieci volte rispetto al terreno sterilizzato e non inoculato. In un’ulteriore prova su cinque cultivar (Tataranni et al., 2009) il testimone è stato posto a confronto con il gruppo trattato con Micosat F e con due gruppi inoculati con soli AM (Glomus intraradices e Glomus spp.). Al termine di 18 mesi tutte le tesi inoculate hanno mostrato accrescimenti dall’8 al 20 % maggiori rispetto al testimone; il Glomus intraradices ha fornito i migliori risultati. 4.7 - Melone Secondo Campanelli e coll. (2009) le prove di inoculo del terreno con MF, su melone, non hanno dato risultati produttivi significativi in quanto tale pianta è normalmente micotrofica. 5 - RISULTATI QUALITATIVI L’elaborazione chemometrica dello spettro elettromagnetico fra 350 e 2500 nm o dei tracciati NE consente di calcolare un coefficiente discriminante R2 (calcolato in validazione incrociata con metodo MPLS, software WinISI) fra i testimoni (T) e i trattati (MF). Tale coefficiente va da zero a uno e può assumere due significati statistici distinti, a seconda che si intenda stabilire la significatività di differenze fra le medie dei due gruppi, oppure s’intenda stimare con precisione i singoli campioni. Un valore di R2 intorno a 0,5 indica una differenza consistente fra le medie dei due gruppi a confronto, con una limitata sovrapposizione dei singoli campioni; va osservato che questo indice, essendo quadratico, non indica polarità della differenza (un gruppo non è migliore dell’altro) esso rappresenta solo la differenza globale; spetterà alle analisi tradizionali dare un senso concreto alle differenze; dunque il metodo rapido fornisce soltanto indicazioni preliminari. Quando si confrontino più di due gruppi si procede alla costruzione della matrice delle distanze fra i gruppi, la cui diagonale è zero (ogni gruppo ha distanza zero da sé stesso) e da questa matrice può essere calcolato un dendrogramma (cluster) che esprime le relazioni reciproche fra le medie dei gruppi, in uno spazio bidimensionale. 5.1 - Frumento Con riferimento alla prova precedentemente citata (tab. 4), i valori dei rilievi fogliari con NIR in campo risultano essere strettamente correlati alla massa totale della parcella (R2 0,80; fig. 1). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 149 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 119 Fig. 1 - Stima della massa della pianta alla mietitura a partire da NIR fogliare in campo. In due prove il metodo rapido NIR è stato applicato a tre diverse parti della pianta (tab. 6). L’effetto MF verso T è nettamente manifesto nel fusto, con differenze rispettivamente pari a 0,70 e 0,63. Nelle radici la differenza è apparsa ugualmente elevata (0,81 e 0,46). L’analisi NIR delle spighe vestite ha indicato differenze meno consistenti. Tab. 6 - Risultati del confronto fra MF e T (R2) in base allo spettro NIR di varie parti della pianta di frumento alla mietitura: (n = numero di letture eseguite). La prova di panificazione con antiche cultivar di frumento poste a confronto con ‘Blasco’ testimone e con una farina media di riferimento ha evidenziato (fig. 2) che la farina di ‘Blasco’, cultivar recente e più produttiva, quando viene trattata con MF ha un comportamento analogo alle cultivar antiche, malgrado la maggiore produzione. I dati ottenuti con l’impiego del NE (a sinistra) evidenziano una netta separazione in tre gruppi: uno, molto distanziato, per il ‘Blasco’ testimone e la farina di riferimento (come atteso); uno per ‘Gentil Rosso’ e ‘Inallettabile’; un terzo gruppo per ‘Blasco’ micorrizato e ‘Sieve’. Le distanze sono assai elevate e consentono una caratterizzazione dei singoli campioni. Secondo l’analisi sensoriale (fig. 2 a destra) esistono tre gruppi principali: si conferma così la somiglianza fra il ‘Blasco’ non micorrizato e la farina di riferimento. Il ‘Gentil Rosso’ si avvicina all’‘Inallettabile’. Il ‘Blasco Micorrizato’ si approssima al ‘Sieve’ ed entrambi sono nettamente separati dalle altre 4 tesi. In questo caso, grazie alla valutazione sensoriale, è possibile dichiarare non soltanto la diversità fra i gruppi ma anche la superiorità qualitativa del ‘Blasco’ MF verso T. 5.2 - Mais volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 150 120 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI Fig. 2 - Dendrogramma medio dei 6 gruppi di pane in base all’esame del NE e all’analisi sensoriale. In seguito alle prove di campo già riferite (tab. 1) si sono indagati 850 campioni ricavati da varie parti della pianta. Il NIR della brattea ha dimostrato la maggiore differenza R2 (0,63) seguita dal NIR della spiga verde (0,50) e della farina (0,32) (tab. 7). Il NE ha differenziato MF e T con valore R2 pari a 0,53. Tutti questi valori sono indicatori di sostanziali differenze fra le piante trattate e testimoni, per composti sia primari sia secondari (Bartolini, 2008). Tab. 7 - Risultati del confronto fra MF e T (R2) in vari tessuti di mais. 5.3 - Pomodoro In collaborazione con tre produttori e con il CRA-ORA di Monsanpolo (Campanelli et al., 2009) sono stati esaminati, tramite NIR e NE, 209 campioni di bacche, foglie e radici derivanti da piante di pomodoro trattate con MF e T ottenuti da quattro prove (tab. 8). Il metodo NIR mostra variabilità nella discriminazione con reazioni al trattamento mediamente inferiori sulle bacche (da 0,02 a 0,44) che sulle radici (0,18 e 0,31) e sulle foglie (0,18-0,48). I composti secondari sembrano invece esprimersi meglio con il NE (0,35 nella Prova 1 ed ancora 0,32-0,35 in altre 2 Prove) ma soprattutto nelle foglie (0,67). Anche l’effetto di tre livelli irrigui applicati al pomodoro è stato evidenziato dal NIR sulle bacche (0,57) e sulle radici (0,48). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 151 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 121 Tab. 8 - Risultati del confronto fra MF e T (R2) in vari organi di pomodoro. In una prova precedente (Migliori et al., 2008) il CRA aveva studiato gli effetti sulla qualità alimentare e nutraceutica di pomodorino tipo ‘Cherry’ della concimazione piena (100: N=140 kg ha-1; P2O5=100 kg ha-1; K2O=200 kg ha-1) o dimezzata (50: 50 %) o nulla (0) e del trattamento microbico (MF) con relativi gruppi T. La composizione aromatica, con 43 composti identificati, è stata fortemente influenzata dal fattore MF. Infatti senza concimazione (fig. 3) la tesi 0-T è risultata totalmente differente dalle altre 5, mentre il gruppo 0-MF non è distante dalle altre tesi concimate al 50 o al 100 %. Fig. 3 - Dendrogramma medio di 43 composti chimici analizzati in 6 tesi in colture di pomodoro, con livelli diversi di concimazione (100; 50; 0 %) micorrizati (MF) o Testimoni (T). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 152 122 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI Fig. 4 - Dendrogramma medio di 43 composti chimici analizzati in 4 tesi in colture di pomodoro, con livelli diversi di concimazione ( 100 %; 50 %) micorrizati (MF) o Testimoni (T). Escluso il gruppo zero il fattore MF si è evidenziato in modo sensibile maggiormente nel livello 50 % che nel 100 % (fig. 4). È ovvio che questa elaborazione globale non indica la polarità delle differenze; peraltro il contenuto zuccherino (glucosio e fruttosio), di Licopene (trans e cis ) e il pH non hanno manifestato variazioni, dunque la differenza proviene da 38 caratteristiche secondarie. Giovannetti et al. (2011) hanno affrontato alcuni aspetti salutistici della micorrizazione con G. intraradices in pomodori ‘Money maker’ coltivati in vaso; sono emersi significativi incrementi dell’attività antiossidante (Licopene +19 %), estrogenico/anti-estrogenica e in assenza di genotossicità nelle piante Micorrizate. Variazioni positive e significative sono state rilevate nel contenuto di alcuni minerali (Ca, K, Zn) e soprattutto del P che aumenta del 60 %, mentre la biomassa era accresciuta del 19 %. 5.4 - Basilico Una prova condotta con l’Università del Piemonte Orientale (Copetta et al., 2006) ha confrontato i metodi rapidi NIR e NE con la Gascromatografia di Massa per i 18 composti organici volatili (VOC, Volatile Organic Compounds) presenti nel Basilico dolce (Ocimum basilicum L., ‘Genovese’), micorrizato con tre specie di Glomus. I valori medi delle tre matrici di distanza sono risultati 0,59; 0,40 e 0,38 rispettivamente per NIR, NE e analisi chimica. L’elaborazione mediante Cluster Hierarchical Analysis fa coincidere le immagini di NE e GasMassa con i gruppi T e G.m molto separati da Gi.ma e Gi.r (fig. 5). Il risultato dell’analisi NIR appare ben discriminante, eliminando i falsi negativi e separando così i testimoni dai trattati. Ogni specie ha una propria impronta olfattiva che corrisponde a strutture e composizioni fogliari differenti. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 153 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 123 Fig. 5 - Dendrogramma medio di 4 gruppi: Testimone (T), Glomus mosseae (G.m), Gigaspora margarita (Gi.ma), Gigaspora rosea (Gi.r) in base allo spettro NIR delle foglie, all’aromagramma del NE e alla determinazione con GCMS di 18 composti aromatici. 5.5 - Salvia e rosmarino In un impianto di Rosmarino e Salvia nella Tenuta Cannona sono state esaminate le foglie sia in campo, con il NIR portatile, sia in vaso di vetro, il quale è servito anche per l’analisi con il NE (tab. 9). Tab. 9 - Risultati del confronto MF e T in foglie di Rosmarino e Salvia. Il rosmarino trattato ha manifestato forti differenze in base allo spettro NIR (0,60-0,70), meno al NE (0,39). La salvia micorrizata invece si differenzia meglio al NE (0,79) che al NIR (0,56-0,59). 5.6 - Camelia Si sono esaminate con NIR e NE 10 foglie di camelie derivanti da piante volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 154 124 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI allevate su terreno diversamente trattato: 1- Testimone, 2-Consorzio Microbico-CNR (Orto Botanico), 3-MF. In base alle distanze NIR (tab. 10) il gruppo 3 si è separato maggiormente dagli altri due, i quali sono comunque risultati differenti tra loro essendo pari ad 1 la sensitività (nessun falso negativo) e a 0,8 la specificità (fig. 6), per la presenza di testimoni, falsi positivi, che sono ritenuti infetti, ma potrebbero anche essere campioni micorrizatisi naturalmente. Al NE il gruppo MF si è distinto per una maggiore intensità dei segnali rilevati sia in aria (atmosfera ossidante) sia in elio (atmosfera neutra). Tab. 10 - Differenze all’analisi NIR delle Camelie. Fig. 6 - Discriminazione dei campioni dei tre gruppi di Camelie: 1 (T), 2(CNR), 3 (MF) con il NIR (°campione falso positivo; ®campione non classificato correttamente). 5.7 - Melo In una piantagione di melo era stata osservata una forte differenza nei voli delle api fra piante MF (numerosi) e T (scarsi). I petali dei fiori esaminati al NE sono apparsi molto differenti (R2 = 0,65) ma anche le foglie esaminate con NIR sono risultate differenti in pari misura (0,68). 5.8 - Foraggere Il trattamento con Micosat F (MF) per 5 specie foraggere ha modificato il profilo aromatico in 3 colture (Loietto, Avena, Trifoglio) e non l’ha modificato in Medica e Veccia. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 155 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 125 5.9 - Melone e Cocomero Campioni di frutta, foglie e radici di 14 meloni e di 8 cocomeri, sono stati esaminati (tab. 11). Il NIR ha sempre indicato elevate differenze fra MF e T tranne nella polpa, dove invece il trattamento è stato riconosciuto soltanto con il NE. Tab. 11 - Risultati del differenziamento MF verso T su Meloni e Cocomeri. 6. CONCLUSIONI Considerando in primo luogo gli aspetti quantitativi, secondo GurianSherman, Senior Scientist della Union of Concerned Scientists (UCS), l’incremento nella produzione, ottenuto finora con il miglioramento genetico per via transgenica, è in realtà modesto. Questo risultato è imputabile al fatto che le rese potenziali, ottenibili in condizioni ottimali (intrinsic yield) non trovano riscontro con i risultati di pieno campo (operational yield), in particolare nessuna cultivar transgenica Bt disponibile negli USA si è rivelata in grado di aumentare l’intrinsic yield più del 3-4 %. In confronto, il miglioramento quantitativo ottenuto dall’uso dei composti microbici micorrizanti appare superiore, in quanto il Micosat F ha determinato modificazioni importanti e di indubbio valore economico sulle colture; in particolare per il trinciato di mais, ove ha prodotto in media un aumento +19 % rispetto ai testimoni, il mais da granella (+9 %), il pomodoro (+10 %), il cetriolo (+11 %). Per altre colture (frumento, olivo, melone), i risultati non sono probanti. L’aroma delle piante, caratteristica fondamentale per il richiamo degli insetti, misurato dal NE è risultato largamente modificato dal trattamento microbico, con maggiore presenza di api sui fiori di melo e con minore attacco della mosca sulle olive. Nel basilico tali differenze aromatiche riscontrate al NE e al NIR sono state poi correlate a differenze dei composti chimici volatili specifici delle foglie. I dati ottenuti dalle analisi con il NE e la valutazione sensoriale effettuata da un gruppo di esperti hanno evidenziato che: la cultivar ‘Blasco’ di recente costituzione, sottoposta al trattamento con Micosat F ha fornito pane con caratteristiche fisico-sensoriali del tutto paragonabili a quelle del pane ottenuto con tre antiche cultivar e significativamente migliore di quello ottenuto dal testimone (‘Blasco’) non trattato e da una comune farina da pane. Un significativo esempio di incremento qualitativo ottenuto con l’intervento della concimazione microbica con funghi micorrizanti. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 156 126 GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI Questi risultati sono ancora limitati e lacunosi per un riscontro economico a breve e media durata: stando ai prezzi del mais di febbraio 2011 (210 € t-1), il costo del trattamento (120 € ha-1) si ripaga con un aumento nella produzione di 0,6 t ha-1. L’argomento non può che presentare interessi molteplici da valutare in ulteriori studi applicativi, e anche di base, inseriti in un contesto agro-zootecnico moderno, di massa e dinamico, che si proietti lungo le non lineari direttrici del greening. BIBLIOGRAFIA BARTOLINI R. - 2008 - Con le micorrize aumentano gli aromi. Informatore Zootecnico, 4, 42-44. BRICCOLI BATI C., GODINO G. - 2002 - Influenza delle micorrize sull’accrescimento in vivaio di piante di olivo. Italus Hortus, 9, 3, 20-21. CAMPANELLI G., FERRARI V., BERTONE A., LETEO F., MANCINELLI G., LO SCALZO R., DI CESARE L.F., SGOLASTRA F., RAMILLI F., BURGIO G. - 2009 - Agro-ecosistemi a confronto: biologico e convenzionale. Convegno nazionale “Orticoltura di qualità per un mercato in evoluzione”. Foggia, I, 30 aprile 2009. Abstract #7, 10-11. http://orticoltura.altervista.org/pdf/abstracts.pdf CITERNESI A.S., VITAGLIANO C., GIOVANNETTI M. - 1998 - Plant growth and root systems morphology of Olea europaea L. rooted cuttings as influenced by arbuscolar mycorrhizas. J.Hort. Sci Biotech., 73, 647-654. COLLA G., PANTANELLA E., CARDARELLI M., REA E., SALERNO A., TEMPERINI O., LUCCIOLI E. 2009 - Influenza della micorrizazione e del pH della soluzione sulla crescita, produttività e caratteristiche qualitative del cetriolo. Convegno nazionale “Orticoltura di qualità per un mercato in evoluzione”. Foggia, I, 30 aprile 2009. Abstract #27, 19. http://orticoltura.altervista.org/pdf/abstracts.pdf COPETTA A., LINGUA G., BERTA G., BARDI L., MASOERO G. - 2006 - Three arbuscular mycorrhizal fungi differently affect growth, distribution of glandular trichomes and essential oil composition, appreciated by NIR Spectroscopy and Electronic Nose, in Ocimum basilicum var. Genovese. Acta Hortic, 723,151-156. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 157 BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI 127 COPETTA A., LINGUA G., BARDI L., MASOERO G., BERTA G. - 2007 - Influence of arbuscular mycorrhizal fungi on growth and essential oil composition in Ocimum basilicum var. Genovese. Caryologia, 60, 1-2, 106-110. DI MARCO L., POLICARPO M., CORSO A., TORTA L. - 2002 - Indagini preliminari sull’inoculazione artificiale di talee di olivo con funghi VAM. Convegno Intern. Olivicoltura. Atti VI Giornate scientifiche SOI. Spoleto, I, 22-25 Aprile: 117-122. GAUD W. – 1968 - Revolution: Accomplishments and Apprehensions. International Development Shorehan Hotel Washington, DC, USA, March 8, 1968. http://www.rockefellerfoundation.org/uploads/files/61b323f1-454b-406d-87e9231b2ecd5ee6.pdf GIOVANNETTI M., AVIO L., BARALE R., CECCARELLI N., CRISTOFANI R., IEZZI A., MIGNOLLI F., PICCIARELLI P., PINTO B., REALI D., SBRANA C., SCARPATO R. - 2011 - Nutraceutical value and safety of tomato fruits produced by mycorrhizal plants. British Journal of Nutrition, 107, in c.d.s. GURIAN-SHERMAN D. - 2009 - Failure to yield. Evaluating the performance of genetically engineered crops. http://www.ucsusa.org/assets/documents/food_and_agriculture/failure-toyield.pdf HESSER L. – 2006 - The Man Who Fed the World: Nobel Peace Prize Laureate Norman Borlaug and His Battle to End World Hunger . Ed. Durban House Publishing, Dallas, TX, USA, ISBN: 1-930754-90-6 KILIAN M., STEINER U., KREBS B., JUNGE H., SCHMIEDEKNECHT G., HAIN R. - 2000 - FZB24® Bacillus subtilis - mode of action of a microbial agent enhancing plant vitality. PflanzenschutzNachrichten Bayer, 53, 2, 72–93. http://www.abitep.de/content/pdf/kilian_2000.pdf MAROCCO S. - 2010 http://www.poderepignatelli.it/public/pubblicazione_dati_podere_2011.pdf MAROCCO S. - 2011 http://www.poderepignatelli.it/public/pubblicazione_dati_podere_2010.pdf MIGLIORI C., VISCARDI D., DI CESARE L. F., CAMPANELLI G., FERRARI V., QUINTO G., MENNONE C. - 2008 - Pomodoro cherry: effetti di concimazione e micorrizazione. Colture Protette, 37, 4, 79-84. MIGLIORINI P., CASELLA G., MOSCHINI V., VIVOLI R., BENDETTELLI S. – 2011 - Confronto tra vecchie e nuove varietà di frumento tenero (Triticum aestivum spp.) per la produzione di pane biologico di qualità: risultati agronomici . In: L’agricoltura biologica in risposta alle sfide del futuro: il sostegno della ricerca e dell’innovazione. Catania, I, 7-8 Novembre 2011, ENEA. Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, Roma, I, pp.110, ISBN: 978-88-8286-250-3 STANDAGE T. - 2009 - Una storia commestibile dell’umanità. Codice ed., Torino, I, pp. 201. TATARANNI G., SANTILLI E., BRICCOLI BATI C., DICHIO B. - 2009 - Influenza della simbiosi micorrizica sulla risposta vegetativa di cinque cultivar di Olea europaea L. http://www.olviva.it/files/P14b.pdf TORRI L., MIGLIORINI P. - 2011 - Valutazione della qualità di pane prodotto da varietà antiche di frumento tenero. In: S. Porretta Atti (ed.) 10° Congr. It. Scienza e Tecnologia degli Alimenti Milano, 9-10 maggio 2011. Chiriotti Editori, Pinerolo, TO, I, in c.d.s. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 158 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 159 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO LUCIANA QUAGLIOTTI* e di GIACOMINA CALIGARIS** presentata a Vezzolano all’Adunanza del 18 settembre 2011 RIASSUNTO: Schierano, piccolo villaggio agricolo astigiano (Italia nord-occidentale) caratterizzato da un bellissimo paesaggio di boschi e vigneti, è citato già in diplomi imperiali del 1186. La passione civica per salvare dal degrado il minuscolo paese con i suoi manufatti, le sue connotazioni naturali, i suoi beni culturali, ha indotto gli abitanti a mettersi insieme per far funzionare le cose. Su un arco temporale di circa 110 anni, da fine Ottocento ai giorni nostri, vi sono vari esempi di questa azione comune: la costruzione di infrastrutture quali la pesa pubblica nel 1899, un tratto di rete fognaria tra il 1981 e il 1983, il restauro e la conseguente restituzione all’uso pubblico di beni culturali: la chiesetta di San Sebastiano, tra il 2003 e il 2009, e l’archivio parrocchiale nel periodo 1997-2007. SUMMARY: Initiatives of good wish in a village of the “Alto Astigiano” Schierano, small farming village of Asti province(North-Western Italy) characterized by a beautiful landscape of woods and vineyards, is already mentioned in Imperial diplomas of 1186. The civic passion to rescue from decadence this village with its artefacts, its natural connotations, its cultural heritage, has led the people to get together to run things work. Over a period of about 110 years, from the late nineteenth century to the present day, there are several examples of this joint action: the construction of infrastructure such as public weighbridge in 1899, a section of the sewer system between 1981 and 1983, the restoration and the consequent restitution of cultural heritage to public use the Church of San Sebastiano, between 2003 and 2009, and the parish archives during the period 1997-2007. RÉSUMÉ: Quatre histoires de passion civique, initiatives de bonne volonté dans un village de la région d’Asti. Schierano est un village agricole situé près d’Asti, au nord-ouest de l’Italie, dont on parlait déjà dans des diplômes impériaux de 1186. Il jouit d’un paysage magnifique, riche en bois et en vignobles de coteau. La passion civique a poussé ses habitants à se coaliser pour sauvegarder et valoriser les constructions, les caractéristiques naturelles et les richesses culturelles *E-mail: [email protected] - [email protected] - Museo dell’Agricoltura del Piemonte, Facoltà di Agraria dell’Università di Torino. **E-mail: [email protected] - già Professore Associato di Storia Economica nell’Università di Torino. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 160 130 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS de leur village. Parmi les exemples - choisis sur une période de 110 ans - de cette action concertée par ses citoyens: la construction du poids public en 1899, d’une partie des égouts entre 1981 et 1983, la remise en état de la petite église de Saint Sébastien entre 2003 et 2009 et la mise à disposition du public des archives paroissiales entre 1997 et 2007. 1 - PREMESSA Con buona volontà: è questo lo spirito con cui, guardando al passato anche molto lontano di un paese come Schierano d’Asti, riconosciamo che, semplicemente, è stato costruito molto di ciò di cui oggi disponiamo o di cui abbiamo goduto. Ci ha colpite osservarlo e pensiamo sia utile rilevarlo, in un tempo qual è l’attuale in cui comodità e servizi sono riconosciuti come diritti che la società e per essa l’ente pubblico deve garantire a tutti indistintamente. Non sempre è stato così e oggi la drammatica crisi economica che stiamo vivendo ci induce a rivedere in senso più sobrio e responsabile gli stili di vita finora diffusi. E, in particolare, a considerare di nuovo le cose di tutti come cose nostre, delle quali, in qualche modo, dobbiamo prenderci cura senza pretendere di potercene soltanto servire. Nelle piccole comunità, dove i rapporti si stabiliscono tra persone che si conoscono e riconoscono da sempre, l’intento di mettersi insieme per far funzionare le cose, cui l’ente pubblico non riesce più a provvedere, non dovrebbe essere difficile da ritrovare. Sebbene il passato dei nostri paesi sia stato meno che idilliaco, anche per la generale povertà di mezzi e di cultura, ora siamo spesso più soli, specie se vecchi o malati; ma comunque tutti più ricchi, più capaci di informarci, di comunicare, di muoverci e di sapere. È dunque possibile che questo ci porti alla consapevolezza della nostra responsabilità nel conservare e migliorare quanto di bello abbiamo a disposizione, in fatto di paesaggio, natura, beni culturali, ospitalità e ci induca a un maggiore impegno, a piccoli gesti quotidiani per il benessere della comunità, che è poi anche il nostro benessere. Si tratta in fondo di recuperare quei valori, tra cui la buona volontà, che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che erano tesoro forte del mondo contadino piemontese. Le quattro storie che qui illustriamo e che rappresentano solo alcuni casi particolarmente indicativi, si svolgono su un arco temporale di circa 110 anni, da fine Ottocento ai giorni nostri e riguardano temi diversi: la costruzione di alcune infrastrutture e, precisamente, della pesa pubblica nel 1899 e di un tratto di rete fognaria tra il 1981 e il 1983; il restauro e la conseguente restituzione all’uso pubblico di beni culturali e, segnatamente, della chiesetta di San Sebastiano, tra il 2003 e il 2009 e dell’archivio parrocchiale, nel periodo 1997-2007. Come Incipit presentiamo alcuni significativi frammenti delle vicende della comunità di Schierano che, sebbene nella sua lunghissima vita non sia mai giunta a superare le poche centinaia di abitanti, tuttavia è portatrice di una storia molto antica, epica, non marginale, ma misconosciuta. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 161 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 131 2 - SCHIERANO: FRAMMENTI DI STORIA 2.1 - Le notizie più antiche Di Schierano si parla addirittura in diplomi imperiali del 11861 e la storia di questo, che fu un paese feudale fino all’avvento di Napoleone, costituisce un tutt’uno con la storia del Contado dei Radicati o meglio dei Conti di Cocconato e Radicate. La saga familiare dei conti di Radicate prese avvio il 5 marzo 1186 con il diploma d’investitura concesso dall’imperatore Federico di Svevia a Ottobono conte di Radicate e suoi consorti, de’ castelli e luoghi di Cocconato e suoi cantoni (Cocconito), Robella, Brosolo, Tonengo, Aramengo, Moriondo, Monteu, Torre Reale, San Sebastiano, Casalborgone, Trebea, San Siro, Castelvajro, Premiglio, Schierano, Marmorito, Passerano, Maynito, Macrobio, Montaldo, Ceriaglio, Casalotto, Pietrapendola, Capriglio, Bagnasco, La Piovà, Monte Cornigliano, Cerretto, Castelvecchio, Piovanato di Meyrate, Ponengo. Queste terre in origine appartenevano ai Marchesi del Monferrato di stirpe aleramica che ne avevano ricevuta l’investitura nel 1164 dall’imperatore Federico Barbarossa. A quel tempo Passerano, Primeglio e Schierano, località di collina nell’area attraversata dall’alto corso del torrente Triversa, possedevano ciascuna un proprio castello infeudato ai signori di Passerano, vassalli dei Marchesi di Monferrato. Vent’anni dopo, questa signoria era stata scalzata dai conti di Radicate, già signori di Cocconato che avevano preso il nome da una terra detta Radicata, situata sulla destra del fiume Po. I Radicati signoreggiarono su un ampio territorio esercitando un potere sempre più libero da altrui ingerenze, comprese quelle dei marchesi del Monferrato, anche sotto le varie dinastie che si susseguirono: degli Aleramici (metà X secolo -1305) dei Paleologi, in linea diretta con gli imperatori d’Oriente (1306-1533), dei Gonzaga di Mantova (1536-1708). Con l’investitura di Ottobono fu delegato ai conti di Cocconato l’esercizio della funzione giurisdizionale, e fu concesso loro il diretto dominio dei beni e redditi dei luoghi dipendenti dagli oltre venticinque castelli enumerati. La famiglia Radicati nel corso dei secoli ottenne ripetute conferme imperiali degli antichi diritti feudali. Il 3 novembre 12492 l’investitura concessa dall’imperatore Federico II ad Allamano conte di Marmorito aggiunse nuovi importanti privilegi a quelli fino ad allora goduti dai Radicati: creare notai, esenzione dalla giurisdizione dei Vicari Imperiali, diritto di far battere moneta da una zecca, “aurum et argentum cudendi et in formam pecuniae redigendi”. 1 Archivio di Stato di Torino (in seguito AST), Sezione I, Paesi, provincia di Asti, Asti-Cocconato, mazzo12, fascicolo1, “ Diploma dell’Imperatore Federico d’investitura a favore di Ottobono conte di Radicate”. 2 AST, Sez. I, Paesi, maz. 12, fasc.2, “ Copia dell’Investitura concessa dall’Imperatore Federico II ad Allamano e suoi fratelli ed agli altri conti loro consorti”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 162 132 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Seguirono altre due conferme imperiali nel corso del XIV secolo e ben quattro nei primi decenni del XVI; l’ultima investitura venne da Carlo V nel 1530 e confermò tutti i privilegi già concessi dai predecessori per i castelli e feudi, beninteso, sempre citando il castello di Schierano. La stirpe dei Radicati fu numerosa e non si perse nel corso dei secoli ma diramò in più linee: il consortile dei Radicati si divise nei tre colonnellati di Brozolo, di Robella, poi estinto, e di Casalborgone (Galli,1798; Spreti,1932; Mola di Nomaglio,1993). Quest’ultimo si divise nelle linee di Passerano e di Primeglio; quella di Passerano nella linea di Passerano e di Marmorito. Il consortile era retto da propri statuti. È rimasta traccia di quelli del 1260, 1278, 1342, 1352. Questi statuti costituivano una specie di confederazione tra feudoconsorti alla quale gli interessati erano liberi di aderire o no. Dopo il 1459, anno della prima transazione con i Savoia, l’adesione divenne obbligatoria compiuti i diciotto anni di età, pena la perdita del feudo. La confederazione era retta da un podestà o capitano o rettore che amministrava la giustizia emettendo sentenze inappellabili. Lo stemma della famiglia porta accanto all’aquila imperiale coronata, l’albero di castagno sradicato. I Radicati di Primeglio si fregiano del titolo di conti di Cocconato col predicato di Primeglio e Schierano; i Radicati di Marmorito si fregiano del titolo di conti di Passerano, Cocconato, Capriglio, Primeglio e Schierano. Nel contesto del Marchesato di Monferrato, il Comitato di Cocconato, che nel tempo subì delle variazioni territoriali (si aggiunsero, Berzano, Montaldo, Piazzo, Villanova di Mondovì, Ticinetto, Pocapaglia e altre)3 (Spreti, 1932), formò una specie di stato cuscinetto nelle contese feudali che opposero il Marchesato ai potenti vicini : il Comune di Asti , il Marchesato di Saluzzo, i Visconti di Milano e, non ultimi, i Duchi di Savoia. Con la casa di Savoia nel 1445 iniziò la “questione di Cocconato” in seguito al primo episodio di oblazione del feudo da parte degli eredi di Giovanni di Cocconato dei conti di Radicati “per le porzioni a caduno spettanti dei castelli di Cocconato, Ticinetto, Marmorito, Primeglio, Schierano, Cerretto, La Piovà, Bagnasco, Capriglio, Mainito”4. La pratica del feudo oblato era uno strumento incruento di controllo del territorio perché cambiava i rapporti di forza in maniera pacifica, senza sconvolgerne l’assetto: un signore locale cedeva terre, castelli e potere ai nuovi signori per poi riottenere tutti i propri beni sotto forma di concessione feudale. La vecchia dinastia signorile conservava in pieno le sue capacità di agire autonomamente. Nello stesso tempo riconosceva la presenza di un potere superiore che poteva così coordinare e condizionare la rete di dominazioni locali. 3 AST, Sez. I, Ivi, fasc. 3.2, “ Sentenza arbitramentale profferta da Bonifacio di Cocconato…”; Ivi, maz. 13, fasc. 28, “Copia del Diploma dell’Imperatore Carlo V di confirmazione de’ privilegi anticamente concessi…”. 4 AST, Sez. I, Paesi, Maz. 12, fasc. 11, “ Procura di Franceschino e Guidetto…”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 163 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 133 Le ragioni di superiorità dei Duchi di Savoia sui conti di Cocconato poggiavano sul Vicariato Imperiale che era stato concesso da Carlo IV imperatore a Amedeo di Savoia. Il titolo di Vicario Imperiale era stato ampliato con l’inserimento della clausola derogatoria nel 1503 da Massimiliano I al duca Filiberto II, suo genero il quale “pretese la stessa superiorità sopra i conti di Cocconato che solevano avere li serenissimi Imperatori et Sacro Romano Impero et che essi conti dovessero detto contado riconoscere da SA con il giuramento di fedeltà”5. I Radicati non erano affatto disposti a rinunciare alla loro autonomia e rivendicavano il loro diritto a mantenere il rapporto diretto che avevano intrattenuto nei secoli con il Sacro Romano Impero: “quei conti aborrivano l’imperio che sopra loro pigliava il Duca di Savoia il quale procurava con vari espedienti di ridurli in suo dominio”. Allo stesso tempo i potenti confinanti, i Marchesi di Monferrato, il Vescovo di Vercelli, il Duca di Milano, ritenevano anch’essi di poter rivendicare qualche diritto di sudditanza nei confronti dei Radicati. “ La questione di Cocconato” che insorse in questo modo, ossia la “causa della fedeltà dei Conti di Radicate ai duchi di Savoia”, assunse la natura di una secolare questione legale6. I nodi legali affrontati riguardavano la validità del diritto dei conti di Cocconato a alienare porzioni di feudo e diritti feudali, a ottenere investiture di feudi dai duchi di Savoia ad opporsi al diritto del duca di Mantova e signore di Monferrato di imporre la tratta doganale e la gabella generale sulle strade che collegavano il territorio controllato dai Radicati con il Piemonte sabaudo e con la Contea di Asti, soggetta ai Savoia dal 1531. La Camera Ducale di Mantova, posta di fronte all’accerchiamento dei Savoia in questi territori (fig. 1), si mosse in difesa della propria posizione rivendicando il diritto di esigere la gabella generale (dazio all’importazione) e la tratta foranea (dazio all’esportazione) sulle strade che mettevano in collegamento questo territorio con l’Astigiano e il Piemonte Sabaudo7. Mantenne sempre le ragioni del Monferrato svolgendo la funzione di informatore, certo Francesco Scotia, titolare di una porzione del feudo di Pino e Mondonio prossimi al luogo della contesa. Finalmente, nel 1584 le parti in conflitto giunsero a una transazione che stabilì l’esenzione per i signori di Passerano: “con loro uomini e abitanti delle terre di Passerano, Schierano, Capriglio, Bagnasco e Marmorito per ogni sorta di robbe e bestie che condurranno per 5 AST, sez. I, Paesi, Maz. 14, Fasc. 10, “ Risposta dell’avvocato generale Bagnasco nella causa della fedeltà de’ conti di Cocconato…”. 6 AST, sez. I, Paesi, Maz. 13, fasc. 1, “Transatione tra il duca Carlo Emanuele I, Percivale Pallavicino…”. 7 AST, sez. I, Paesi, Maz. 13, fasc.37 “Instromenti di transatione tra gli agenti per la Camera ducale di Monferrato , li dacieri del dacito generale di quel Ducato…”; AST, Sez. 1^, Monferrato Confini, vol. P, VI 1588. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 164 134 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS uso proprio et utile da detti territori. Gli uomini però dovranno prendere la bolletta che le si farà gratis, se però alcuni volessero far mercantia per introdurre o estraere e transitare fuori di detti luoghi siano obbligati al pagamento”8. La zecca godeva dell’esenzione totale. Tra gli immuni, tuttavia, non rientravano tutti i luoghi del comitato dei Radicati, per questa ragione, i loro uomini e robbe che transitavano da quelli parti erano assoggettati al pagamento della gabella. Non solo, ma nella transazione si stabiliva che i Signori di Passerano dovessero addirittura chiudere al transito ogni strada alternativa: “i signori di Passerano non permettino ne abbiano a tollerare che alcuno passi ne debba passare per altre strade nel territorio loro che resta infra le due strade comuni per dove si possi andare e venire in Asteggiana ne in Piemonte con qualsivoglia cosa obbligata al dacio, anzi debino abolire le strade che vi sono in modo et di tal forma che non si possa ne andare ne venire da passeggeri che per le due strade comuni specificate”9. Ritenendo di essere stati danneggiati dalla transazione, i signori consorti dei Conti di Cocconato ricorsero al tribunale sabaudo. Il duca di Savoia non perse l’occasione per affermare la propria autorità: “sotto pretesto di essere Vicario Imperiale commise al suo Senato in Torino la cognitione di questa causa fra li detti Conti e signori. Ne, le molte doglianze da essi conti di questa cognitione [i conti Radicati contestavano la competenza del tribunale sabaudo] alla quale non si estendeva il suddetto vicariato imperiale poterono impedire che non fosse finito il processo e data sentenza, con che si dichiarava che essi conti non avevano potuto fare la suddetta transatione in pregiuditio di detti uomini. Dopo che, passava voce che si dovessero anche spiantare i termini”10 . Per non offrire pretesti ad un’ulteriore ingerenza del Duca di Savoia, i consiglieri del duca di Mantova, signore del Monferrato suggerirono di mantenere ferma una linea prudenziale di comportamento: “dovessimo procurare destramente di conservare il possesso di questo stato senza venire a detentione di persone o robbe se non in caso si contravvenisse alli ordini di detto dacio”. [un “poveruomo” di Passerano lamentò che andando a caricare il fieno nel suo campo gli era stato confiscato il carro con i buoi dagli ufficiali del dazio senza giusta causa, fatto che poteva essere causa d’ingerenza del Duca di Savoia]11. La questione di Cocconato alla fine si risolse con un amichevole componimento tra le parti ormai stremate dal più che secolare contenzioso: l’8 febbraio 1586 fu siglato l’accordo tra i Conti di Cocconato e il Ducato di Savoia davanti a un notaio. Con tale atto i Radicati si piegavano ai Savoia, giuravano loro fedeltà e ottenevano in cambio il riconoscimento di tutti i diritti feudali così com’erano stati concessi loro di tempo in tempo dagli imperatori del 8 Ivi. Ivi. 10 Ivi. 11 Ivi. 9 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 165 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 135 Sacro Romano Impero, compreso il diritto di battere moneta nella zecca di Passerano. In verità, quest’ultima fu chiusa già dodici anni dopo dai Savoia, con l’accusa di battere moneta contraffatta. Fig. 1 - Pianta del 1584 con le vie di comunicazione verso l’Astigiano e il Piemonte sabaudo sottoposte ai dazi del Ducato di Mantova. La questione di Cocconato alla fine si risolse con un amichevole componimento tra le parti ormai stremate dal più che secolare contenzioso: l’8 febbraio 1586 fu siglato l’accordo tra i Conti di Cocconato e il Ducato di Savoia davanti a un notaio. Con tale atto i Radicati si piegavano ai Savoia, giuravano loro fedeltà e ottenevano in cambio il riconoscimento di tutti i diritti feudali così com’erano stati concessi loro di tempo in tempo dagli imperatori del Sacro Romano Impero, compreso il diritto di battere moneta nella zecca di Passerano. In verità, quest’ultima fu chiusa già dodici anni dopo dai Savoia, con l’accusa di battere moneta contraffatta. Le trattative furono condotte e l’impegno fu ratificato dal capitano Pallavicino del consortile dei conti Radicati. Questi accordi portarono alla nascita della Contea-provincia di Asti, poi inglobata nell’organizzazione amministrativa dello stato sabaudo, nella quale entrarono Passerano, Marmorito, Primeglio e Schierano. Nel XVII secolo l’intero territorio si trovò coinvolto nelle guerre di successione per il marchesato di Monferrato, 1614-15, e del Ducato di Mantova, 1627-30. Ci furono nella zona scontri tra gli eserciti imperiale e spagnolo fiancheggiati dai Savoia e l’esercito francese. I contendenti devastarono vari castelli tra cui quello di Passerano, forse anche quello di Schierano. La pace di volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 166 136 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Cherasco del 1631 pose fine al conflitto, confermando ai Gonzaga-Nevers il possesso di Mantova e del Monferrato mentre i Duchi di Savoia ampliarono il proprio controllo sulle terre della campagna piemontese. 2.2 - Dal XIX secolo Durante il periodo napoleonico, in seguito all’annessione del Piemonte alla Francia, il Comune di Schierano entrò a far parte dapprima del Dipartimento del Tanaro e poi, quando questo fu soppresso, del Dipartimento di Marengo. Caduto il regime napoleonico nel 1814, i territori del Piemonte tornarono sotto i Savoia. Intorno a quegli anni, nel 1818, troviamo la comunità di Schierano impegnata in una vertenza con quella di Primeglio avente per oggetto la casa comunale e la nomina del sindaco. Dalla corrispondenza intercorsa tra l’Intendenza generale di Torino e quella di Asti emerge che “da gran pezza esisteva antipatia tra le popolazioni delle due piccole borgate di Primeglio e Schierano formanti nullameno che un sol corpo di comunità”12. L’accorpamento dei due piccoli comuni durante l’occupazione francese aveva creato animosità perché il maire risiedeva a Primeglio. “L’ordine delle cose venne sovvertito” quando avvenne la distruzione della casa comunale di Primeglio e la ricostruzione “ d’altra in quella di Schierano con essersi però prevalso del materiale della prima”13. Primeglio però non intendeva rinunciare alla sede comunale e, per riportare le cose nel primitivo ordine, il comune deliberò di acquistare dal conte Vittorio Amedeo Radicati un fabbricato sito in Primeglio per il prezzo di Lp. 600 recuperando Lp. 300 dalla vendita a privati, Francesco e Paolo Ferrero, della casa comunale di Schierano. A fronte di tale delibera “si resero al solito opponenti li Giovanni Quagliotti e Giacomo Roggero a nome delli particolari di Schierano”. Nel frattempo la comunità di Primeglio mise nel causato e segnatamente nel bilancio di previsione del 1819 un’ulteriore somma di Lp. 200 per le “riparazioni richieste attorno detta casa del conte di Radicati” la di cui pubblicazione diede luogo ad altra opposizione “delli predetti Roggero e Quagliotti”. Vediamo quali furono le motivazioni degli opponenti al ripristino della sede del comune nel paese di Primeglio: “espongono Giovanni Quagliotti e Giacomo Roggero nativi di Schierano ed abitanti e a nome anche di tutta la popolazione di Schierano come procuratori per atto autentico rogato Chiesa, che questa comunità di Primeglio- Schierano è composta di due separati e distinti luoghi e la maggior popolazione e maggiori registranti abitanti nel comune sono a Schierano. Che dopo stabilita l’amministrazione comunale, il Matteo Re di Primeglio, attuale sindaco, ha sempre coperto la sudetta carica, possidente del 12 AST, Sez. I, Paesi, Primeglio, Maz. 24 (1818-1846), fasc.1, “Vertenza fra la comunità di Primeglio e Schierano per la costruzione della casa comunale e la nomina del sindaco”. 13 Ivi. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 167 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 137 piccolo registro di soli soldi 1:9:5:3:8, uomo settuagenario, imperioso e che al menomo inconveniente e fallo commesso dagli abitanti di Schierano subito ricorre ai carabinieri, che a vece di sedare gli affari li inviperisce. Di più, insomma la fa da prepotente cosa contraria all’Istruzione [dell’Intendenza] pei sindaci del 23 aprile 1816 a preferenza dei sottonotati [Roggero e] di molto maggior reddito, registro e possidenti, letterati, morali, ben veduti e più capaci a coprire tal carica”14. A dimostrazione della loro idoneità a ricoprire le cariche pubbliche rimandavano alla nota dei maggiori registranti prescritta dall’Azienda generale delle Finanze nella quale compaiono due Giovanni Quagliotti, due Ferrero, un Giacomo Roggero decisamente più abbienti rispetto al sindaco in carica nativo di Primeglio. I ricorrenti, tuttavia, pur avendo le qualità necessarie per essere nominati sindaco, secondo quanto prescritto dall’Intendente Generale nelle Istruzioni emanate a tal proposito, non erano prescelti a causa dell’esistenza di un pregiudizio nei loro confronti da parte dell’Intendente Generale della Provincia di Torino “… titolato feudatario di Primeglio [che], impegnato a proteggere e conservare l’animosità tra i due paesi da lungo tempo suscitata, porta sempre sulla tabella dei candidati per essere nominati sindaci i particolari di Primeglio, quantunque di poco registro a preferenza de’ maggiori registranti…”15. Nel 1819 l’Intendente Generale di Torino, tuttavia, insisteva sull’opportunità di procedere alla vendita della casa comunale di Schierano e all’acquisto di quella di Primeglio. Non sono stati da noi rintracciati altri documenti sulla conclusione della vertenza, ma ci pare interessante rilevare che in Schierano si era formato un nucleo di borghesia rurale che aveva saputo approfittare dell’apertura di nuovi mercati e del venir meno di antichi pedaggi con l’annessione del Piemonte alla Francia. Anche in questa campagna feudale sembrerebbe stesse avanzando timidamente un ceto medio che chiedeva maggior rappresentanza nei centri di potere locale di cui l’antica feudalità, con la Restaurazione, intendeva, invece, riprendere il controllo. In effetti, tale Vincenzo Quagliotti, nativo di Schierano, divenne sindaco dal 1849 sotto Carlo Alberto e dal 1852 sotto Vittorio Emanuele II. Successivi frammenti di storia ci mostrano il comune di Primeglio-Schierano in età Carlo Albertina (1833-35) impegnato nell’edificazione del muro di cinta del cimitero.16 Da un lato, il vice sindaco, “mosso dall’interesse pubblico e animato da spirito di economia”, ma soprattutto per non tartassare “gli stanchi e poveri contribuenti” cercava di far accettare all’Intendente provinciale di Asti, che doveva autorizzare la spesa, il progetto di costruzione in economia redatto dal misuratore locale. Dall’altro l’Intendente provinciale spediva “sul luogo del luogo” ingegneri del Genio civile che facevano costo- 14 Ivi. Ivi. 16 AST, Sez. I, Paesi, Primeglio, Maz. 24 (1818-1846), fasc. 2, “Cimitero di Primeglio e Schierano”. 15 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 168 138 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS sissime vacazioni, naturalmente a spese del contribuente, per proporre piani che “tenevano più all’abbellimento che al necessario e durata del lavoro” facendo lievitare i costi. Difatti, mentre la soluzione in economia veniva a costare solo Lp. 300 “siccome i particolari gratuitamente s’incaricano di fare tutte le condotte sul luogo e per le provviste dei materiali e mattoni ne ricavano abbondantemente dalla demolizione della rovinata chiesa del Monastero”, quella proposta dall’ ing. del Genio Civile saliva a Lp. 1000 “per la sola manodopera, provvista della calce , e di alcuni oggetti; lasciata a carico della comunità quella dei materiali e loro trasporto, non meno che le occorrenti escavazioni”. L’Intendente favoriva questa seconda soluzione per la maggior regolarità del piano e soprattutto per “una maggior solidità nella costruzione del muro di cinta dovendo egli ben anco servire a sostegno del terrapieno su cui giace l’anzidetto camposanto”, ma il vicesindaco obiettava che detta cinta “dovevasi formare contro terra sospesa e dura che resistette da se sola centinaia d’anni sopra una montuosità”, bastava quindi il muro da costruire in economia. Nel 1846, il comune di Primeglio-Schierano divenne protagonista di una complessa pratica burocratica per ottenere dall’Intendente provinciale l’autorizzazione ad alienare, mediante permuta o a trattativa privata a certo Antonio Bertelo, dieci tavole (380 m2) di terreno gerbido da utilizzare nella costruzione del canale di un mulino necessario ai bisogni della comunità17. Entrambe le condizioni di vendita apparivano vantaggiose e il Comune demandò la scelta della strada da seguire all’Intendente provinciale. La pratica fu istruita presso l’Ufficio d’Intendenza di Casale che il 10 agosto concesse l’autorizzazione a “vendere senza forma d’incanti” sia perché era il modo più spedito e conveniente, sia perché le 100 Lp. offerte dall’acquirente eccedevano di molto il valore del terreno. Il 22 ottobre, tuttavia “a compimento della pratica” l’Intendenza di Casale chiese al comune di Primeglio-Schierano di “produrre una perizia giurata sul valore dell’immobile a vendere o a permutare accompagnata da un’attestazione giudiziale che l’utilità e convenienza di entrambi li proposti contratti comprovi” per rispondere a una precisa richiesta della Segreteria Affari Interni alla quale era stata inviata per l’approvazione sovrana. Il 20 novembre l’Intendente inviava al Consiglio di Stato tutta la documentazione scusandosi di “ aver creduto di poter prescindere dal richiederla attesa la tenuità del valore dello stabile alienando e l’evidente utilità del contratto”. Il 1° dicembre la pratica passava al Consiglio di Stato che, nell’adunanza del 5 dicembre dava finalmente parere favorevole: “veduto colle annesse carte l’intera relazione, sentito il Consigliere relatore [il Consiglio di Stato] opina concorde possa S.M. degnarsi di autorizzare la proposta cessione a termini del progetto di R. Biglietto”. 17 AST, Sez. I, Paesi, Primeglio, maz. 24 (1818-1846), fasc. 3, “Cessione di terreno a favore di Antonio Bertelo”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 169 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 139 Il 9 dicembre il R. B. andava alla firma del Re e il 14 veniva spedito all’Intendente di Casale e da qui al comune di Primeglio-Schierano. La burocrazia sabauda aveva impiegato cinque mesi per autorizzare la vendita a licitazione privata di dieci tavole di terreno gerbido sebbene il prezzo offerto fosse chiaramente multiplo del suo valore e chiara fosse l’utilità pubblica del suo utilizzo! I frammenti di storia che abbiamo raccolto su Schierano aprono una finestra su un angolo di Piemonte poco conosciuto, sebbene dotato di forti caratteri tipici che ne definiscono l’identità: il bellissimo paesaggio di boschi e vigneti, la densità storica e culturale. La passione civica per salvare dal degrado il piccolo paese di Schierano con i suoi manufatti e le sue connotazioni naturali, per valorizzarne le bellezze paesaggistiche, i sentieri, le risorse agricole, le memorie, può trovare sostegno non solo nel buon volontariato, ma anche in una concreta progettazione per il rilancio turistico ed economico del territorio. 3 - LA “PESA PUBBLICA” La pesatura pubblica è entrata nella storia del commercio per fornire un servizio ai privati attraverso l’installazione di una bilancia capace di pesare i mezzi pesanti e di determinare il peso netto delle merci. Con l’allestimento di stadere a ponte in bilico note come bilici, bascùlle o bàscule, la pesa pubblica assicurava ai privati un servizio di pesatura autentica e garantita dalla fede pubblica nella sua esattezza. Si trattava di una bilancia meccanica piana a un piatto e a bracci disuguali per carichi voluminosi e pesanti. In Italia, fin dalla seconda metà dell’Ottocento divenne leader nel settore della costruzione di strumenti di pesatura la “Officine Crotti spa” sorta a Campogalliano (Modena) nel 1860. La ditta acquistò fama in tutto il regno per la precisione dei suoi meccanismi di riduzione a leva e per sessant’anni fu una delle poche aziende italiane in grado di fabbricare sistemi di pesatura meccanica di notevoli dimensioni. Oggi Campogalliano è conosciuta come città della bilancia e ospita un Museo della bilancia nel quale è conservata una stadera a ponte degli anni quaranta del ‘900 restaurata e perfettamente funzionante con i levismi colorati e visibili durante il loro movimento. A Torino, sul finire dell’Ottocento operava la Società Anonima Italiana delle Bilance Automatiche costituita con atti del 13 maggio e del 3 agosto 1887 per l’esercizio pubblico delle bilance automatiche di privativa Everitt Percival in Italia e per la loro costruzione18. Il capitale sociale di L. 144.000 era stato interamente sottoscritto dagli avvocati Angelo Guastalla domiciliato a Modena, Carlo Rodella di Torino, Giuseppe Sardi di Castellazzo Bormida, Carlo Ravasenga di Torino, dagli ingegneri Domenico Ferrari di Torino, De- 18 AST, Sez. Riunite (in seguito SR), Atti di società, 1887, vol. 4, fasc. 46. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 170 140 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS metrio Diamilla Muller di Torino e dalla figlia di quest’ultimo, Giovannina Muller Petti di Roma. Del capitale sottoscritto, L. 126.000 rappresentavano il controvalore dei diritti della privativa industriale conferiti nella società dai suddetti azionisti che li avevano acquistati da Everitt Percival in data 22 gennaio 1887. Il brevetto ebbe efficacia per quindici anni; pertanto la privativa giunse a scadenza sul finire del secolo. In quegli anni sul mercato di Torino operava la ditta “Costruzioni Meccaniche Luigi Caprile” che costruiva torchi e pesi di ponte a bilico non solo in città, ma in vari comuni delle province piemontesi. Oltre a Schierano, di cui diremo in seguito, abbiamo notizia che la ditta Caprile nel 1907-8 impiantò il peso pubblico del comune di Rosta in Valle Susa. In passato, anche il più piccolo comune rurale aspirava a possedere un servizio di peso pubblico dal quale spesso prendeva il soprannome, una piazza, “Piazza del peso”, o i locali che si affacciavano su di essa: “Panetteria del peso”, “Bar del peso” e così via. Con la legge del 29 marzo 1903 sulla municipalizzazione dei pubblici servizi, il servizio di peso pubblico fu elencato tassativamente tra le privative comunali (Allegato 1). Prima dell’introduzione - il 1° gennaio 1973 - dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), esisteva il dazio sulle merci che transitavano attraverso i confini comunali. Gli uffici preposti alla riscossione erano localizzati presso gli ingressi cittadini (porti, stazioni, vie principali) ed erano dotati di una bilancia capace di pesare i mezzi pesanti e determinare il peso netto delle merci trasportate con conseguente applicazione della tassa. Abolito il dazio comunale, le stadere a ponte in bilico esistenti continuarono ad essere utilizzate dalle persone che effettuavano trasporto di merce sfusa come ricevuta del peso reale trasportato. Oggi nelle grandi città esistono bilici di uso pubblico presso i porti commerciali, i mercati generali, le cave di sabbia e così via. A Schierano la costruzione di un peso di grandi dimensioni per uso pubblico (figg. 2 e 3) avvenne nel 1899, su iniziativa di privati possidenti che, a tale scopo, costituirono una società anonima. Il capitale complessivo, presumibilmente di L.1887,50, fu suddiviso in azioni nominative da 25 lire. (figg 4, 5 e 6) Nel documento originale (fig. 7) il capitale complessivo ammonta a L. 1887,50, cifra che corrisponde alla somma delle quote sottoscritte se non si tiene conto della rettifica (-25) apportata alla quota di Giuseppe Massaglia. La quota di maggioranza era detenuta dai proprietari di Schierano che portavano il cognome Quagliotti con il 31,78 % del capitale; seguivano a distanza via via crescente i Massaglia con il 17,88 %, i Ferrero con il 15,89 %, i Visca con il 13,24 %, i Bertello con il 9,2 %. Diversi sottoscrittori conferirono beni: così come il terreno di Massaglia Giuseppe e fratelli di tavole 2 e piedi 3 valutato in Lire 112,5. Oppure prestazioni d’opera. Omegna Giovanni e Massaglia Giacomo che, per le condotte fatte dalle fornaci, una delle quali si trovava a Trofarello, percepirono rispettivamente L. 49,70 e L. 3; il fabbro Massaglia Giacomo di Isidoro, quest’ul- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 171 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO Fig. 2 - L’edificio in Via della Vittoria, attualmente. Fig. 3 - Il braccio del peso, con il romano azionato a mano per la lettura. 141 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 172 142 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS timo sottoscrittore di un’azione da L. 25, ricevette un primo acconto di L. 4,40 e altri due pagamenti rispettivamente di 30 e 45,60 lire; Massaglia Isidoro di Teresa eseguì delle condotte d’acqua, da 8 e da 16 brente, pagate rispettivamente L. 0,80 e L. 1,60; Massaglia Giuseppe fornì un palo a L. 0,20. La giornata di Ferrero Luigi e Visca Giovanni per lavori di manovalanza fu pagata L. 1,50; a Ferrero Giacomo furono corrisposte L. 6,95 per prestazioni non precisate; Antonio Bertello per lavori di falegnameria percepì L. 4,25 e per la fornitura di legname L. 11, per gli infissi L. 8,20, infine L. 63 per la fornitura di Mg 210 di calce; Ferrero Celestino procurò le travature, sovroni e listelli per l’importo di L. 14 ma eseguì anche un viaggio di rena (sabbia) per L. 2. In totale L. 247,7 della spesa necessaria alla realizzazione del peso pubblico fu affrontata in economia, poiché tornò ad alcuni sottoscrittori di quote azionarie come compenso per il contributo materiale fornito al compimento dell’opera. Le spese esterne riguardarono i lavori edilizi per i quali il muratore Coffano Luigi presentò un conto di L. 170,65, un “muratore di Pino” di L. 16, il muratore Saracco di L. 12. Il “tolaio” (lattoniere) Travvini presentò una notula di L. 21,30 e il fabbro Musso di Castelnuovo di L. 8,65, il falegname Bartolomeo di L. 10, l’imbianchino Ferrario di L. 3,20 per “pintura”. Veniva poi la fornitura del materiale edilizio per la quale fu pagata una fattura di L. 152,30 alla fornace della Castagna, di L. 25,20 alla fornace della “villa”, di L. 18,50 alla fornace di Trofarello, di L. 36 a Cerruti Giuseppe per m3 9 di rena, di L. 1,60 per viti e vervelle. Fu necessario dotarsi di un cavallo in Asti; tale spesa, comprensiva del mantenimento, fu imputata in L.6,15. Le uscite di cancelleria ammontarono a L. 18,25 per 1000 bollette, a L. 1,10 per quaranta polizze; in francobolli e cartoline se ne andarono L. 1,05. Il prezzo di una cartolina era di 10 centesimi. Portate a termine le opere infrastrutturali collocate sulla via Maestra (attuale via della Vittoria) di Schierano, fu possibile piazzare il ponte a bilico che venne fornito dalla ditta Luigi Caprile, al considerevole prezzo di L. 990 . Per mettere in funzione il peso pubblico occorse la visita del verificatore dei pesi e misure la cui parcella e bollo ammontarono a L. 30. La visita avvenne alla presenza di Luigi Ferrero fu Giuseppe in rappresentanza degli azionisti. Il servizio di peso pubblico fu aperto al pubblico in data 15 settembre 1898. A quel tempo in Schierano erano soggetti alla verifica dei pesi e misure il calcinaio Bertello Antonio fu Antonio abitante nella via Maestra, ormai divenuta via del peso pubblico; il falegname Bertello Antonio di Quinto; l’oste, rivenditore di commestibili e generi di privativa Bertello Quinto Cipriano fu Antonio; Carossa Ambrogio fu Ferdinando; l’oste Daghera Carlo fu Vittorio; il mugnaio Daghera eredi Gabriele fu Angelo; il sarto e gestore del caffè ristorante situato sulla via Maestra Gaiato Luigi fu Dionigi; il rivenditore di generi di privativa Massaglia Giacomo di Isidoro (figg. 8 e 9). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 173 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO Fig. 4 - La ricevuta dell’azionista Visca Giuseppe Calzolaio, Schierano, 8 novembre 1998. Fig. 5 - Nota delle spese per il ponte a bilico. Fig. 6 - Passivo totale nel 1899. 143 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 174 144 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Fig. 7 - Elenco dei sottoscrittori, proprietari di Schierano per erigere nel paese un peso a Bassa Cula. Fig. 8 - Verifica Pesi e Misure del 1899-900 per il Comune di Primeglio Schierano, Mandamento di Castelnuovo d’Asti, Provincia di Alessandria, Circoscrizione di Asti, 496 abitanti. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 175 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 145 Le verifiche di pesi e misure ripetute a cadenza annuale comportarono per la società dei proprietari di Schierano, costituitasi per erigere nel paese un peso a “bassa cula”, un onere fisso di L. 30. Il peso pubblico restò in funzione per settant’anni, fino al 1968. È rimasta memoria scritta della contabilità dell’ultimo triennio. Risulta, da essa, che la società dei proprietari del peso pubblico di Schierano, per gestire il servizio, aveva stabilito, in data 22 gennaio 1965, un accordo con la pesatrice, in base al quale spettava alla medesima la metà dell’incasso delle bollette, conteggiato in L. 100 cadauna. Le spese da affrontare per la normale gestione erano numerose: dalle bollette della luce all’imposta fabbricati (nel 1965 L. 7582), dalle marche da bollo (L.8 ciascuna) per le bollette, alla verifica del peso (3.734 L. nel 1967), ecc. Le somme introitate con il servizio di pesatura consentirono ogni anno al responsabile della gestione di depositare qualche residuo attivo sul libretto postale, conservando in cassa una certa liquidità per far fronte alle spese. Fig. 9 - Alcuni degli utenti di pesi e misure oggetto di verifica periodica a Schierano Primeglio: calcinaio, falegname, fabbro, oste, mugnaio. 3 - UN TRATTO DI FOGNATURA PUBBLICA La costruzione della fognatura nel versante Sud Sud Ovest del paese (fig. 10) avvenne tra il 1981 e il 1983 con il concorso di ventuno proprietari d’immobili di Schierano che diedero il loro assenso al passaggio delle tubature nelle loro proprietà e sottoscrissero il regolamento tra di essi concordato per l’esecuzione dei lavori. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 176 146 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Fig. 10 - Il versante sud sud-ovest di Schierano all’epoca dei lavori. Fig. 11 - Un’escavatrice al lavoro per lo scavo necessario alla posa a dimora della tubazione. Inverno 1982-83. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 177 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 147 L’iniziativa popolare prese avvio l’8 febbraio 1981 con la sottoscrizione da parte di diciassette proprietari di una petizione al Comune affinché fosse presa in considerazione la necessità “inderogabile” di risolvere “in modo razionale e igienico” il problema della raccolta e smaltimento delle acque reflue poiché i proprietari di case non avevano modo di allacciarsi a una rete fognaria pubblica. A giugno le adesioni erano salite fino a ventinove proprietari con ventiquattro firmatari. L’8 giugno, ventotto proprietari dei terreni in Schierano interessati alla fognatura in costruzione sottoscrissero una dichiarazione di consenso alla posa in opera a un metro di profondità nelle particelle di loro proprietà di tubazioni del diametro di 0,30-0,40 m, come da progetto presentato dall’ing. Tovo in data 10 maggio 1981. Il primo novembre 1982 fu discusso e approvato il seguente regolamento attuativo della costruzione di una rete fognaria sul versante ovest di Schierano: 1. “Il lavoro si fa a economia seguendo le direttive del progetto approvato (29/10/81 e 8/3/82) dal Comune, e utilizzando la somma (28 milioni di lire circa) di cui il Comune stesso ha deliberato la destinazione per la fognatura ovest di Schierano 2. Per l’esecuzione dei lavori, chi può farlo, contribuisce con la propria mano d’opera: uno dei presenti terrà esatto conteggio delle giornate di lavoro (bracciantile, da muratore, col trattore) eseguite da ciascuno 3. Chi non può contribuire direttamente con il lavoro, pagherà agli altri la propria quota, le ore di lavoro verranno valutate a tariffa sindacale 4. Uno dei partecipanti all’iniziativa sarà responsabile della tenuta e dell’aggiornamento continuo dell’elenco delle spese. Tale elenco sarà disponibile per la visione a tutti gli interessati 5. Le acque piovane non devono assolutamente essere convogliate nella fognatura. Pertanto ciascuno deve prevedere, nel proprio allacciamento, l’esclusivo inserimento delle acque bianche e nere del proprio impianto 6. I singoli allacciamenti alla fognatura generale devono essere autorizzati dal Comune e sono a spese dei singoli proprietari. Il diritto di allacciamento, all’inizio, sarà concesso gratuitamente a coloro che hanno contribuito alle spese di costruzione dell’impianto generale. Per i successivi allacciamenti, il costo dell’acquisizione del dirittto per l’allacciamento stesso verrà conteggiato sulla base delle spese affrontate per la costruzione dell’opera”. All’inizio del mese di novembre 1982 presero il via i lavori (fig. 11); che, dopo l’interruzione di dicembre, furono portati a termine nel gennaio successivo. Il prezzo orario del lavoro svolto fu stabilito in L. 5.000 per operaio, L. 10.000 per la motosega e L. 5.000 per il trattore. La spesa complessiva ammontò a L. 3.370.000 e fu sostenuta con il contributo versato da venticinque famiglie. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 178 148 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS 4 - RESTAURO DELLA CHIESA DI SAN SEBASTIANO Le origini della piccola chiesa dedicata a San Sebastiano si perdono nella notte dei tempi. Stando agli antichi verbali delle visite pastorali19che definivano sacellum o oratorio questo luogo di culto, sia la data della prima costruzione sia quella di consacrazione sarebbero ignote. Nella relazione del 20 agosto 160620, fatta redigere dal vescovo Ferrero, compare il primo e più antico riferimento all’esistenza in Schierano di una cappella di San Sebastiano e di una cappella di San Rocco. L’edificio primitivo, costruito in luogo campestre grazie alle elemosine della comunità, era dotato di una sola navata, senza cappelle laterali e recava affreschi alle pareti21. Le figure dipinte sui muri, in particolare quella del santo cui era dedicata la piccola chiesa campestre, apparivano in cattivo stato di conservazione durante una visita successiva avvenuta nel 166722. Nel territorio di Schierano questa cappella affiancava altre due chiese che esistevano da epoca remota. A tal proposito il Magrini (s.d.), senza precisi riferimenti archivistici, cita documenti di visita risalenti al 1358-61 che attesterebbero l’esistenza già a quella data di una chiesa dedicata a Sancti Martini. Visitata il 12 ottobre 157023 si presentava molto povera, priva di titolo e di redditi. Tre anni dopo, nel 157324 compariva per la prima volta come officiata la chiesa di San Grato, sebbene il parroco del tempo, don Bartolomeo Palestro da Stroppiana, dichiarasse di non possedere le bolle di nomina andate perse durante la guerra (Magrini, s.d.). A suo giudizio, la vetustà degli affreschi ancora esistenti a quel tempo rendeva lecito datare quest’altra chiesa a epoca più antica, presumibilmente alla metà del XV secolo quando nel territorio circostante era diffuso il culto di San Grato. Informazioni più ampie e dettagliate sulla condizione delle chiese esistenti a Schierano si possono trovare nella relazione della visita pastorale del 23 dicembre 177025. La parrocchia di San Grato di Schierano, retta dal 1739 dal curato Simone Boglietti d’Aramengo, dipendeva dalla diocesi di Vercelli. Il parroco, interrogato sull’argomento, citava un manoscritto posto alla fine del libro dei battesimi dal quale risultava che, antecedentemente all’anno 1653, San Grato, titolare della parrocchia di Schierano, fu senza titolo e venne “governata economicamente”. Da tale data, in seguito a Bolle pontificie, poté essere governata legittimamente col titolo di curato e fu dichiarata di libera 19 Archivio Arcivescovile di Torino (in seguito AAT), Relazione sullo stato delle chiese, segnatura 8/2/10, carta 181. 20 Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Vercelli (in seguito ASAV), Visita pastorale di Giovanni Stefano Ferrero, 20 agosto 1606, Faldone 1606-1609, carta 145. 21 ASAV, Visita pastorale di Giacomo Goria, 2 novembre 1619, F. 1619-1632, c.182 22 ASAV, Visita pastorale di Michelangelo Broglia, 17 maggio 1667, F. 1664-1668, c. 419. 23 ASAV, Visita pastorale di Guido Ferrero, 12 ottobre 1570, F. 1561-1571, fasc. F3. 24 ASAV, Visita pastorale di Giovanni Francesco Bonomi, 8 ottobre 1573, F. 1573-1575, fasc. B7. 25 AAT, Relazione sullo stato delle chiese del Vescovo Rorengo, 23 dicembre 1770, segnatura 8/2/10, carta 181. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 179 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 149 collazione ovvero di libero conferimento di beneficio e di ufficio vacante. Accanto alla chiesa parrocchiale continuavano ad esistere le due chiese appartenenti alla comunità che erano state dedicate rispettivamente a San Martino e a San Sebastiano sebbene non vi fosse prova certa della loro consacrazione. A quel tempo erano prive degli arredi sacri che erano trasportati dalla parrocchia in occasione delle celebrazioni. La manutenzione di queste chiese e delle suppellettili spettava alla comunità. In complesso a Schierano esistevano quattro altari. I due presenti nella chiesa parrocchiale erano dedicati a San Grato e alla Beata Vergine del Rosario. Nel 1739, all’epoca di quella visita, entrambi furono descritti “di struttura antica”. Nell’altare di San Grato si conservava stabilmente il santissimo Sacramento. L’altare dedicato alla Madonna era sovrastato da un quadro rappresentante la Vergine e i quindici misteri. Gli altari delle altre due chiese dedicate a San Martino, nel cimitero, e a San Sebastiano, erano costruiti in calce e cotto e sovrastati da quadri raffiguranti i rispettivi santi. L’autore o gli autori delle pitture erano ignoti poiché la parrocchia non possedeva un archivio dal quale attingere informazioni utili per individuarne l’anno di costruzione. Questo punto non è stato chiarito nemmeno nelle relazioni di visita più antiche cui fa genericamente riferimento il Magrini. Gli altri altari citati nel verbale di visita del 1770 non possedevano “una fissa dote”, circostanza che avrebbe potuto contribuire a risolvere il problema della datazione degli edifici. Esistevano tuttavia in Schierano due compagnie legate al culto dell’altare: la Compagnia del corpo di Cristo o del SS. Sacramento all’altare di San Grato costituita nel 1687 con decreto del canonico Gromo i cui aderenti intervenivano ogni terza domenica del mese alla Messa grande con i loro ceri accesi e la più antica Compagnia eretta all’altare del SS. Rosario, costituita con bolla papale del 3 ottobre 1620, che celebrava la festa nella prima domenica d’ottobre in onore della vergine Maria, di San Grato e di S. Caterina da Siena. Quest’ultima era divenuta protettrice della chiesa assieme a S. Grato. Entrambe le confraternite partecipavano alla processione dei rispettivi patroni procedendo con i ceri accesi. La processione della Compagnia del Rosario, che con grande solennità portava in giro per il paese la statua della Vergine accompagnata dagli associati, era ripetuta durante l’anno nella prima domenica di ogni mese e in occasione delle feste di precetto dedicate alla Madonna a discrezione degli amministratori della Compagnia. L’affiliazione avveniva in Sacrestia, su convocazione del parroco, nel giorno della festa solenne, con l’iscrizione degli adepti nel libro della Compagnia, il pagamento di una quota d’iscrizione e l’assunzione dell’impegno a osservare uno stile cristiano di vita. Nell’occasione il parroco provvedeva alla registrazione e nominava i priori. Le suddette compagnie non potevano contare su un reddito fisso, ma solo sul ricavato delle elemosine, utilizzato per provvedere la cera e le sacre suppellettili. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 180 150 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Le confraternite tenevano un libro dei conti: iniziato dai priori Domenico Ramello e Domenico Quagliotti nel 1656, per la Compagnia del Rosario; dal 1772, la Compagnia del SS. Sacramento, priore il notaio T. Quagliotti. Nel 1741 la Compagnia del Rosario contribuì con 150 lire piemontesi all’edificazione della nuova chiesa di San Grato che sarebbe avvenuta nei decenni successivi. Le due Compagnie cessarono di esistere nell’anno 1898. Ne rimase in vita solo una terza, la Compagnia delle figlie di Maria, tutta al femminile, che aveva affiancato le due antiche dal 24 ottobre 1896 (Magrini, s.d.; Quagliotti, Villata, 2003). Nel Settecento l’unico beneficio esistente in Schierano spettava alla parrocchia e consisteva, secondo l’inventario esistente nella curia vescovile, di trentacinque giornate di terreno delle quali erano produttive quattro o cinque vitate, due a prato, due a bosco, una a campo; il restante era tenuto a gerbido. Il ricavato del coltivo ascendeva per la parte dominicale a quaranta emine (in volume) di grano (920 L per gli aridi, in peso all’incirca 7 o 8 quintali), una carra e mezza di vino (739 L) e circa lire 30 di entrate variabili provenienti dalle offerte destinate all’altare della parrocchia. Fig. 12 - Tavola in legno nella sacrestia di S. Grato: “Tabella dei legati pii e rispvi oneri della Parrocchia di Schierano, sotto il titolo Grato S.” al punto 14: “Messa una cantata lì 27 marzo per il Teologo Domenico Quagliotti per legato depositato in Curia.” All’epoca la parrocchia poteva contare su nuove entrate provenienti da legati ed emolumenti destinati alla celebrazione di Messe (fig.12). I legati consistevano per lo più in terreni. Il più antico, di cui si fa menzione nella visita volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 181 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 151 del 166726, apparteneva a Ubertino Quagliotto: i suoi eredi potevano godere del fondo facendosi carico delle tasse e pagando annualmente al parroco il corrispettivo per la celebrazione delle due Messe ordinate dal defunto. Nel corso del tempo se ne aggiunsero diversi altri che furono puntualmente annotati dai 2 parroci che si susseguirono: stara due di campo e prato (circa 912 m ) situate sui confini di Schierano per la celebrazione di quattro Messe annuali in suffragio dell’anima di Gaspare Ferrero; una pezza di prato in Regione del Campo per sei Messe annuali destinate alla salvezza dell’anima di Bernardo Bertello; altra pezza di prato nella stessa regione per due Messe annuali in suffragio del molto reverendo padre don Giovanni Battista Fagnano; una pezza di vigna e prato in Regione di Stua e una pezza di bosco alla Rossa di stara 9 (4104 m2 ovvero giornate 1 e tavole 7) per 6 Messe annuali da celebrarsi all’altare del Rosario dedicate all’anima di Guglielmo Fassone; “un fondo che il parroco aveva assicurato sopra una sua propria pezza di vigna” (in altri termini aveva investito in un capitale immobiliare) posta in regione Pittorana confinante con la via pubblica e i beni parrocchiali, destinato alla celebrazione di ben 12 Messe annuali in suffragio di Battista Roba di Marmorito. Ciascuna delle dodici Messe venne tassata a titolo di elemosina da monsignor Broglia a 15 soldi (spesa annuale di Lp. 9), un prezzo piuttosto elevato rispetto a quelli correnti. Difatti le due Messe annuali per la famiglia Visca corrisposte da Giovanni Bertello erano tassate a soldi 12 e denari 6, identico prezzo era stato fissato a Domenico Della Bianca o suoi eredi per le due Messe cantate annuali da celebrarsi nei giorni di Santa Maria e del Corpus Domini in suffragio dell’anima di Anna Quagliotti, come da legato presso il notaio Rosignano del 9 aprile 1770. Se poi gli eredi versavano in condizioni d’indigenza, l’elemosina non era tassata; l’offerta era discrezionale per la celebrazione dell’anniversario di Antonio Ferrero. L’anniversario della scomparsa del molto reverendo padre don Paolo Ignazio Cocastello era celebrato con Messa cantata e benedizione col Santissimo Sacramento senza tassa, ma in seguito a legato testamentario. All’epoca della visita pastorale del 177027 non vi erano sepolture nelle chiese di Schierano giacché le spoglie dei defunti erano conservate nel cimitero cintato situato esternamente all’abitato e adiacente alla chiesa di San Martino. Il cimitero era stato recintato per decreto arcivescovile del 166728, allo scopo di impedire l’accesso sia agli animali sia a quanti intendevano utilizzarne il terreno per impiantarvi viti o seminativi. Esisteva nel paese un campanile di struttura antica fatto interamente in pietra e situato lontano dalla chiesa parrocchiale, che apparteneva alla comunità. Era dotato di campane, ma, mancando il sacrestano, era il parroco stesso a suonarle per chiamare a raccolta i fedeli. 26 ASAV, Decreti della visita pastorale di M. Broglia, 17 maggio 1667, F. 1664-1674, c. 304 v. e 305 r. e v. 27 AAT, Relazione sullo stato delle chiese del vescovo Rorengo, cit. 28 ASAV, Decreti della visita pastorale di M. Broglia, cit. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 182 152 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS La casa parrocchiale, anch’essa di struttura antica, costruita in pietra e cotto appariva particolarmente angusta, con volte basse e piccole finestre che la rendevano oscura. L’edificio, dotato di due camere, cucina e cantina, all’epoca era pericolante. Il parroco, anziano, cieco e malato, era assistito e coadiuvato da una perpetua maritata, di anni trentacinque e dal viceparroco Giovanni Visca nativo di Schierano. La popolazione di Schierano, assai poco numerosa, riuscì a ringiovanirsi e a raddoppiare nell’arco di oltre un secolo e mezzo. Nel 1606 vivevano nel borgo ventisette famiglie pari a 160 abitanti il 31 % dei quali aveva meno di dodici anni, età della prima Comunione; nel 1770 le famiglie erano cresciute a cinquanta e le anime a 300, mentre gli inferiori ai dodici anni raggiungevano il 46 %. Tra i residenti di quest’epoca solo Andrea Quagliotti si era avviato alla carriera ecclesiastica; da due anni vestiva l’abito talare ed era studente di retorica nel collegio di Cocconato. Positivo era il giudizio del parroco sui comportamenti della comunità: “[i parrocchiani sono] di costumi morigerati e timorati di Dio, frequenti non tanto ai sacramenti quanto ai divini uffizi, non essendovi in questo luogo abuso o vizio pubblico che ridondar possi in danno del prossimo”29. Feste solenni erano celebrate in onore di San Grato il 7 di settembre; di San Martino l’11 di novembre e il 22 febbraio, festa della Dedicazione. Le processioni, che si aprivano con l’ostensione della statua della Vergine, procedevano secondo un ordine stabilito: la statua, le “figlie” o giovinette che recavano il gonfalone, le donne, la croce sorretta dai “figlioli”, il clero, gli uomini. I ceri accesi erano portati dalle consorelle della compagnia. A causa dell’elevatissima mortalità infantile, i bambini erano battezzati in chiesa già nel primo o nel secondo giorno dalla nascita; se necessario potevano essere battezzati in casa o durante il parto da alcune donne della parrocchia delegate a somministrare il Sacramento. Le tasse per le esequie e la sepoltura erano particolarmente elevate: Lp. 5 per gli adulti e Lp. 2,10 per i fanciulli. La sacrestia per conservare gli oli e i paramenti sacri necessari alle celebrazioni che si svolgevano nelle tre chiese di Schierano esisteva solo in quella di San Grato. Situata a sinistra dell’altar maggiore, di struttura bassa e stretta, con una finestra senza impannate e un armadio piccolo e vecchio per riporvi le sacre suppellettili, la stanza poteva contenere tre o al massimo quattro persone. Il curato di San Grato, Simone Boglietti, alle cui dichiarazioni rese durante la visita pastorale del 1770 oggi siamo debitori di tutte queste notizie, giunse a morte nel 1772 alla veneranda età di 80 anni e venne sostituito da Don Giacomo Rosignano di Cocconato. Il 23 settembre 1773, al dopopranzo, la parrocchia fu nuovamente visitata in occasione della cerimonia per l’anniversario 29 AAT, Relazione sullo stato delle chiese del vescovo Rorengo, cit. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 183 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 153 della morte del sacerdote. La funzione ebbe luogo nella chiesa di San Martino, attigua al cimitero, mentre il Sacramento all’epoca era conservato all’Oratorio di San Sebastiano, luogo definito “molto angusto” nel verbale di visita. La ragione sta nella demolizione della vecchia chiesa di San Grato, demolizione avviata subito dopo l’insediamento del nuovo parroco. A settembre “la fabbrica della nuova chiesa era alzata fino al cornicione”30. A tal proposito il Magrini (s.d.) cita, senza precisi riferimenti archivistici, una relazione che il parroco di Schierano avrebbe inviato al vescovo in data 27 novembre 1773 per aggiornarlo sull’andamento dei lavori in corso. Nella missiva lo scrivente ripercorre le varie tappe dell’intervento: “li venti scorso giugno [1773] si è dato principio alla demolizione della vecchia suddetta chiesa e li 26 luglio or scorso datosi principio con pubblico aggradimento alle fondamenta della nuova chiesa e coll’assiduità e caritatevole assistenza mia e dei miei parrocchiani si trova al presente coperta affatto e involtata per tutta l’estensione del Sancta Sanctorum e coro, speranzoso per riparare questo popolo dalle intemperie della presente stagione di celebrare tra breve tempo la messa (omissis)”. Quanto alla casa parrocchiale era descritta in “poco buono stato”. All’inizio dell’Ottocento fu la volta del rifacimento dell’oratorio di San Sebastiano, completato nel 1817 come indica la data apposta sul cornicione e la lettera, inviata il 25 aprile 1821 dal curato di Schierano, Giovanni Bertinotti, per ottenere l’autorizzazione vescovile alla consacrazione del nuovo edificio. Scrive il Bertinotti: “Con autorizzazione del reverendissimo abate Dani, Vicario capitolare di Asti, in data 27 maggio 1815 si demolì la cappella esistente nel recinto di questo luogo di Schierano sotto il titolo di san Sebastiano, angusta e minacciante rovina, con l’obbligo di farne costruire altra nel medesimo sito: colle offerte dei particolari di detta parrocchiale venne innalzata e perfezionata l’altra di maggiore ampiezza e bellezza nel medesimo sito. Ora, trovandosi detta unica cappella esistente all’interno dell’abitato ultimata con sua volta e desideroso di renderla utile agli abitanti e benefattori, si permette il sottoscritto parroco a nome dell’intera popolazione di ricorrere a V.S.I. e R. supplicandola a volersi degnare di delegare di investire di ogni autorità il M. R. prevosto Sismonda di Castelnuovo vicario foraneo per la benedizione di detta cappella e di accordare al parroco la facoltà di poter dare la benedizione e fare le altre funzioni occorrenti in detta chiesa…”31. Nella tradizione orale è rimasto il ricordo di un drammatico incidente sul lavoro occorso a certo Bertello nativo del luogo. Il racconto dell’episodio è stato tramandato nella famiglia stessa di generazione in generazione. Si racconta che tale Bertello, nato intorno al 1780, una domenica mattina d’inizio Ottocento, stesse lavorando in solitudine a scavare sabbia per la ristrutturazione della chiesa di San Sebastiano. Si trovava in regione Tassele, dove la 30 31 Ivi, [annotazione aggiunta dopo la data della relazione]. AAT, Provvisioni semplici 1819-’21, fogl. 338. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 184 154 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS strada del Carabin gira a destra verso Albugnano, poco oltre il pilone di Pasquino. C’era, proprio in quel punto, una losa di pietra su cui la vacca si rifiutava di passare perché sentiva che sotto era vuoto: infatti, lì c’era sabbia che si poteva scavare. Bertello, animato dalle migliori intenzioni, iniziò a scavare per estrarre la sabbia, ma il terreno franò e lo seppellì. Da Pino d’Asti, situato proprio di fronte, la gente che chiacchierava per strada in attesa di partecipare alla Messa domenicale poté assistere alla scena poiché al tempo non c’erano i boschi che ne impediscono oggi la visione; quindi, con urla e strepiti, riuscì a mettere in allarme gli uomini di Schierano affinché portassero i primi soccorsi. Si racconta che la squadra radunatasi per disseppellirlo, involontariamente, gli procurasse una picconata in testa, traumatizzandolo. Il malcapitato alla fine riuscì a guarire e, una volta risanato, fece rappresentare l’episodio in un quadretto che donò, in segno di ringraziamento, alla chiesa ricostruita, ormai dedicata ai santi Sebastiano e Rocco. All’epoca in cui era parroco don Magrini gli ex voto vennero staccati dal muro della chiesa e andarono perduti. Dall’inventario redatto nel giugno 1825 dal curato Giovanni Battista Bertinotti si ricava l’elenco dettagliato delle “suppellettili e i mobili” ovvero l’arredo della chiesetta di San Sebastiano: “quattro panche d’albera nei due laterali della chiesa, ora àvvene 12; due altre panche d’albera nel coro; tre mantili di rista per l’altare; una tovaglia di mussolina; sei candelieri di bosco forte verniciati; un setterino per la messa con suo missale romano usitato; un campanello di metallo; una coppa o cattino di maiolica bianca, due ampollini e fassoletto; un calice d’ottone indorato con sua patena e animetta; una pianeta completa a diversi colori; un camice nuovo, cordone ed armitto; un grande quadro rappresentante la Madonna, San Sebastiano e San Rocco; due armadi nella muraglia del coro per contenere gli arredi; una campana piccola sul campanile propria dei particolari di peso rubbi 2:3 di metallo”32. Dopo il 1773, per ritrovare un nuovo verbale di visita pastorale bisogna attendere ben sessantaquattro anni. Il 13 settembre 183733 giunse a Schierano all’ora vespertina monsignor Luigi dei marchesi Fransoni, Arcivescovo di Torino dopo aver visitato l’hospicium di Marmorito nella mattinata. Si riunì nel sacellum di San Sebastiano al canonico Tempo, al teologo Bruno e al popolo. Dopo canti e benedizioni l’Arcivescovo procedette sotto il baldacchino verso la parrocchia. Prima di completare la visita si recò in casa Quagliotti per assumere una “refectiumculam”. Nel verbale di visita del 1837 la sacrestia situata nella chiesa parrocchiale di San Grato aveva assunto ormai tutt’altro aspetto: un locale quadrato con un’ampia volta imbiancata e pavimento lastricato. La chiesa, dotata di ampia volta, nel 1808 aveva subito una nuova ristrutturazione e imbiancatura. Provvista di una propria piccola torre campanaria sul tetto, era stata arricchita con reliquie di vari santi. Altri legati destinati alla celebrazione di Messe si erano 32 33 AAT, Inventario visita 1825, segnatura 8/3/15, c. 393. AAT, Visita pastorale 1837, segnatura 7/1/78, c. 205. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 185 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 155 aggiunti a quelli precedenti, nel corso della seconda metà del Settecento, ed erano stati per lo più stipulati a rogito del notaio Quagliotti: una Messa annua per Antonio Ferrero, legato del 1784; dodici Messe annue per Giovanni Battista Robba, legato del 1793; tre Messe annue cantate, due per Domenico Roggero e una per il parroco Ignazio Cocastelli, legato del 1789. Messe anniversarie cantate erano celebrate per i parroci Giacomo Emanuele Rosignano, legato del 1784, e Pietro Cossetta, legato del 1795. Al tempo di questa visita la comunità aveva raggiunto le 328 anime ed era composta di sessantuno famiglie. All’incremento del 22 % nel numero di famiglie che negli anni si erano stanziate nel Comune corrispondeva un aumento inferiore della popolazione pari al 9 %, forse a significare che si trattava di giovani famiglie non ancora nel pieno del processo riproduttivo. Nel 1840 nella chiesa dedicata ai santi Sebastiano e Rocco venne tumulata la salma del chirurgo Luigi Quagliotti che, per buona parte dei sessant’anni della sua esistenza, aveva esercitato la professione nella comunità di Schierano, con grande dedizione (fig. 13). I compaesani, in segno di rispetto e riconoscenza, vollero perpetuarne la memoria stabilendone la sepoltura nel luogo di culto anziché nell’esistente cimitero del paese. Esiste tuttora nel pavimento della chiesa una lapide in pietra con la scritta: “Il chirurgo Luigi Quagliotti visse sessant’anni a pro della famiglia, dell’umanità e della chiesa cui sempre beneficiò. Tutti vollero perpetuarne la memoria ordinandogli riconoscenti questo luogo di pace. MDCCXL” Quelle del chirurgo Quagliotti sono le uniche spoglie tumulate in chiesa a Schierano; non si registrano, infatti, nel corso del tempo, altri casi. Il ceppo dei Quagliotti ha radici assai antiche e ha annoverato vari esponenti che di volta in volta si sono distinti nelle arti liberali, nella vita religiosa o nella pubblica amministrazione (Magrini, s.d.). Nel XV secolo furono attivi i notai Matteo e Gabriele Quagliotti. Nell’ultimo quarto del Settecento il notaio Tommaso Quagliotti fu anche podestà di Albugnano. Nel 1814 il teologo Domenico, che era rettore del Regio Ospizio di Carità di Torino, donò una vigna per realizzare l’asilo. Il fratello Paolo esercitava l’avvocatura. Nella Zecca di Torino, Vincenzo Quagliotti svolgeva le funzioni di capo-ufficio mentre il fratello Luigi era capo-sezione al Ministero delle Finanze. Un altro ceppo originario di Schierano che, nel corso del tempo, contò vari pro- Fig. 13 - Ritratto su tavola del chirurgo Luigi fessionisti fu quello dei Ramello. Furono Quagliotti (1780-1840), sepolto a San Sebastiano. (proprietà della famiglia). chirurghi, farmacisti, ma anche curati. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 186 156 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Nella comunità di Schierano in tempi recenti si è affermata una nuova sensibilità per il recupero della memoria storica che definisce l’identità del paese. In quest’ambito va soprattutto segnalato il restauro della chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco (figg. 14 e 15). Fig. 14 - Esterno dell’edificio. Fig. 15 - Il bellissimo piccolo campanile. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 187 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 157 La ristrutturazione del sacellum di San Sebastiano prese avvio nel 1998 partendo dall’intervento più urgente: il rifacimento del tetto34. In precedenza gli ultimi interventi di consolidamento risalivano a tempi remoti: nel 1904 era stato risistemato il muricciolo dietro l’abside, dove anticamente esisteva una strada, nel 1950, in seguito al verificarsi di alcune crepe nell’abside, erano state inserite chiavi in ferro all’altezza dell’imposta della volta. Il recupero della costruzione richiedeva dunque un intervento radicale. Così, nel 2003 iniziarono le pratiche per il restauro, con l’affidamento, da parte del parroco don Giovanni Villata, all’architetto Palmina Nicola dell’incarico del progetto esecutivo e della direzione lavori (svolti del tutto gratuitamente). Ottenuta l’approvazione dalle tre Soprintendenze archivistiche e dalla Diocesi,35 il documento fu presentato alla comunità il 3 luglio dell’anno successivo in San Grato. Nella riunione furono illustrati i progetti di rifacimento dell’intonaco sulle pareti, d’inserimento dell’impianto elettrico e di riscaldamento a gas, di recupero delle decorazioni interne, di risanamento dei pavimenti (figg 16, 17a, 17b) di rifacimento dei serramenti e altri lavori che via via si resero necessari. Fig. 16 - Scavo nella pavimentazione per consentire l’isolamento dall’umidità. 34 Nel 1998 il parroco, don Domenico Grigis ottenne dalla regione Piemonte, Direzione regionale dei beni Culturali (L.R. 7/03/1899 n. 15) un finanziamento di 5 milioni di lire per la ripassatura del tetto e la sostituzione dei pluviali. 35 La Soprintendenza per i beni archeologici diede la sua approvazione il 15/03/2004, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demo-etno-antropologico del Piemonte il 07/05/04 , la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte il 23/04/04. L’Ufficio Liturgico Diocesano, Sezione Arte e beni culturali della Curia Metropolitana di Torino diede l’approvazione tramite don Cervellin il 23/02/04. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 188 158 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Fig. 17 a (sopra) - Posa della struttura ad igloo per l’aerazione sottostante il pavimento. Fig. 17 b (sotto) - Copertura prima della ricostituzione con le piastrelle originarie di cotto. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 189 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 159 Un dibattito pubblico sui modi di reperimento dei fondi si svolse il 17 agosto dello stesso anno. Definito in modo molto approssimativo un importo totale, fu avviata la fase di raccolta, presso i privati, le istituzioni, le associazioni, dei contributi in denaro o in prestazioni d’opera, necessari per affrontare, anche se gradualmente, in tappe successive, il restauro in progetto. Va notato che la prospettiva, che poi puntualmente si realizzò, era quella non solo di restaurare il bene culturale in quanto tale, ma anche di utilizzarlo normalmente, nel periodo invernale, per il culto domenicale. È stata così ripristinata l’antica funzionalità della cappella che, dall’inizio dell’Ottocento, era stata provvista degli “arredi per celebrare la Messa”36. Le spese complessive ammontarono a € 53.265, di cui 1.600 per l’impianto elettrico, 40.800 per lavori edili, 1.000 per allacciamenti di energia elettrica e gas, 86 per falegnameria. Per far fronte alle spese s’interpellò dapprima la generosità della popolazione, la cui condivisione del progetto era essenziale per giustificare l’impegno di tutta l’iniziativa. In effetti, le buste con la scritta paolina “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né con forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7) furono riempite con prontezza dalle famiglie: ca. € 6.500 (figg. 18a, 18b) . Verificata quindi la fattibilità dell’operazione, furono presentate numerose richieste di finanziamento a banche, istituzioni pubbliche, ecc. e si raccolsero €16.000. La Conferenza Episcopale Italiana contribuì con € 15.000. Inoltre localmente si organizzarono, soprattutto per l’entusiasmo di alcune persone di buona volontà, concerti e lotterie che consentirono di raccogliere ca. € 3.600. Un contributo particolare (€ 7.000) sul progetto “Tesori sacri” della Compagnia di San Paolo di Torino consentì il restauro della pala d’altare ottocentesca raffigurante il martirio di San Sebastiano (fig. 19). L’operazione avvenne attraverso diverse fasi, sempre seguite dalla competente Sovrintendenza: velinatura della pellicola pittorica, distacco dal vecchio telaio, pulitura del retro e della pellicola pittorica, stuccatura delle lacune, reintegrazione pittorica puntinata e a selezione cromatica, ecc. Nel dipinto (1,76 x 1,85 m), sul retro mai rifoderato, costituito da tela artigianale a trama rada e grana grossa, in seguito alla pulitura comparve la scritta, a chiare lettere, in corsivo “Fatto nel mese di ottobre in Schierano a casa del notaio Quagliotty, 1821 dal Carlo Cornaglia pit. e torinese d’anni 23” (figg. 20, e 21). Finalmente, dopo sei anni di lavoro, svolto in lotti successivi via via che si acquisiva qualche disponibilità finanziaria, il 14 giugno 2009 si giunse all’inaugurazione dell’opera: una bella festa sulla piazza San Sebastiano, allietata da un concerto di musica vivaldiana, alla presenza di molte autorità e di tutta la popolazione. 36 AAT, Relazione sullo stato della chiesa 1825 Chiaverotti, segnatura 8/2/17, c. 46. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 190 160 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Fig. 18 a (sopra)- La tomba presente entrando a destra, come comparve a seguito dello scavo nel pavimento. Fig. 18 b (sotto) - Non fu aperta e, com’ era, fu ricoperta. Esternamente si vede solo la lapide del 1840 con la scritta ben leggibile. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 191 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 161 Fig. 19 - La pala d’altare del 1821, opera di Carlo Cornaglia, che raffigura il martirio d San Sebastiano. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 192 162 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Da allora ogni anno, dalla festa dei Santi (1° novembre) a quella di Pasqua, la celebrazione domenicale si svolge nella chiesa di San Sebastiano, resa accogliente dall’efficace riscaldamento e dall’ottima illuminazione. Nella chiesa stessa, anche d’estate, la comunità si trova talora a pregare. Fig. 20 - Particolare della Trinità. Fig. 21 - Il giovane rivolto verso il pubblico, che non prende parte alla scena del martirio, è quasi certamente il giovane autore dell’opera. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 193 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 163 4 - LA VALORIZZAZIONE DELL’ARCHIVIO STORICO PARROCCHIALE In tempi di globalizzazione esasperata e di profonda confusione di valori può essere importante, anche per una piccola comunità rurale come Schierano, poter indagare sul proprio passato per costatarne, ad esempio, la straordinaria evoluzione avvenuta sul piano economico, sociale e culturale. L’Archivio di cui si tratta (Quagliotti, 2009) è quello della parrocchia di Passerano che, dal 1986, in seguito al nuovo assetto assunto dalla giurisdizione territoriale ecclesiastica, ha incorporato le altre tre parrocchie esistenti nel Comune e segnatamente “San Grato Vescovo” di Schierano, “San Lorenzo Martire” di Primeglio e “Immacolata concezione della Beata Vergine” di Marmorito Airali. Fino agli anni settanta del ¢900, Schierano conservava nella casa parrocchiale un proprio archivio particolare che occupava diversi scaffali. A quel tempo, almeno una parte della documentazione esistente fu trasferita a Primeglio, dove risiedeva l’allora parroco don Alberto Binello che serviva entrambe le parrocchie, e in tal modo poté essere salvata. Difatti, la parte del fondo rimasta a Schierano andò completamente perduta in seguito alla vendita a terzi della casa parrocchiale, avvenuta nel 1993. Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, con l’avvento del nuovo parroco don Domenico Grigis, la documentazione fu trasportata a Passerano e, dopo anni di abbandono, trovò la propria sistemazione definitiva in tale archivio. Nella stessa sede confluirono anche i documenti di Primeglio e di Marmorito ormai rientranti in un’unica parrocchia. Ne consegue che l’archivio storico parrocchiale di Passerano, nell’attuale configurazione di circa 10 metri lineari di faldoni, ha tratto la propria origine dall’accorpamento della documentazione residuale delle quattro parrocchie originali, che, dopo decenni d’incertezza, incuria, trasferimenti, distruzioni, di cui costituiscono triste testimonianza alcuni documenti deteriorati dal fuoco, ha originato un nucleo stabile. Su di esso è stato possibile avviare efficaci progetti di riordino, schedatura, inventariazione e salvaguardia. Allo scopo, dall’Assessorato ai beni e sistemi culturali della Regione Piemonte si ottennero (1997) un primo finanziamento di 1.600.000 Lire per il riordino e un secondo di 780.000 Lire per l’acquisto di un armadio metallico. In seguito (2005 e 2006), dalla Provincia di Asti furono erogati 2040 euro per la successiva inventariazione e 341,75 per un secondo armadio metallico. Il lavoro, svolto dalla Società Acta Progetti di Torino, fu approvato dalla Sovrintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta nel 2006. Nell’attuale configurazione, l’Archivio si compone dei quattro fondi facenti capo alle parrocchie originarie oltre a quello dell’Opera Pia Radicati di Passerano, che copre il periodo 1835-1893. L’inventario è organizzato per ogni fondo principale nelle voci: registri dei battesimi, matrimoni, morti; Parrocchia; Culto; Beneficienza; Patrimonio; Contabilità; Circolari e disposizioni delle autorità ecclesiastiche; Compagnie. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 194 164 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS Altre voci compaiono solo in alcuni dei vari fondi: per esempio Atti di liti; Vertenze, nella parrocchia dei santi Pietro e Paolo Apostoli. Alcune appendici che riguardano prediche e omelie, spartiti musicali e libri liturgici, completano l’insieme. L’Archivio é stato inaugurato il 14 ottobre 2007 ed è potuto essere aperto alla consultazione dopo sette anni di lavoro. La ricerca avviene esclusivamente su base cartacea e le disposizioni per l’accesso al pubblico sono state concordate con la Curia metropolitana di Torino (Quagliotti, 2009). 5 - CONCLUSIONI Le quattro storie che abbiamo voluto qui documentare sono casi rappresentativi di opere che hanno potuto essere realizzate sia seguendo l’iniziativa proposta e sostenuta da alcune, poche persone lungimiranti e appassionate, sia coinvolgendo tante famiglie, tanti individui che, mettendosi insieme e contribuendo in modo diverso, hanno operato per la comunità. Volutamente non si sono citati gli animatori di queste iniziative e neppure gli operatori di quelle più recenti; che tutti però vanno profondamente ringraziati. Non solo per il risultato raggiunto; ma soprattutto per l’esempio che hanno fornito di ciò che una comunità intelligente riesce a costruire quando s’impegna in modo concorde, unendo le forze e anche i sacrifici e operando semplicemente con buona volontà. OPERE CITATE GALLI DELLA LOGGIA G., -1798- Cariche del Piemonte e paesi uniti colla serie cronologica delle persone che le hanno occupate et altre notizie di nuda istoria dal fine del sec. X fino al 1798, O. Derossi, Torino, 3, passim. MAGRINI R. - senza data - La parrocchia di Schierano. Note storiche e bibliografiche, pagg.1319; 22-23. MOLA DI NOMAGLIO G. - 1993 - Elenco nobiliare piemontese. Estratto da interviste nel passato.Catalogo Bolaffi della nobiltà piemontese, Torino, passim. QUAGLIOTTI L., VILLATA G. - 2003 - I piloni votivi di Schierano. Religione popolare e storia locale. I Quaderni di Muscandia, 2, pagg. 21-32. QUAGLIOTTI L. - 2009 - L’Archivio storico della parrocchia di Passerano. Riordino, storia e consistenza. I Quaderni di Muscandia, 8, pagg. 231-238. SPRETI V. - 1932 - Enciclopedia storico - nobiliare italiana, Milano, 5, pag. 572 e segg. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 195 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 165 Allegato 1 A distanza di alcuni decenni dalla legge del 1903 sulla municipalizzazione dei pubblici servizi, il Testo unico relativo alla finanza locale, emanato con R. Decreto 14 settembre 1931 pubblicato nel Supplemento ordinario alla G.U. del 16 settembre n. 214, confermava la prerogativa riconosciuta ai comuni di “esercitare direttamente o dare in appalto l’esercizio con privativa dei diritti di peso pubblico e della misura pubblica”. Il diritto riconosciuto all’ente locale trovava un limite nella possibilità per i privati di usare pesi e misure propri o presi occasionalmente in prestito per vendere merci di loro proprietà. In ogni caso la prestazione gratuita di pesi e misure tra privati era consentita salvo che, per la sua frequenza, danneggiasse l’esercizio del diritto di privativa da parte del comune interessato, nel qual caso i contravventori erano puniti con ammende. Con R.D. 31 gennaio 1909 (Gazz.Uff. 1 giugno, n. 1289), venne approvato il regolamento per il servizio metrico che fissava le direttive per la verifica dei pesi e delle misure. Era istituita una Commissione superiore metrica sotto la direzione del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio. Per quanto atteneva specificamente ai pesi, il R.D. stabiliva: “La Commissione superiore metrica: a) esercita la sua ingerenza sull’andamento scientifico e tecnico dell’Ufficio centrale metrico e del saggio; b) dà parere sulle questioni tecniche proposte dal Ministero ai sensi e per gli effetti del regolamento per la fabbricazione dei pesi e delle misure e degli strumenti per pesare e per misurare; c) compila le istruzioni sui metodi e le norme da usarsi nelle varie verificazioni e nei saggi; d) sorveglia ed ove occorre dirige, sotto il punto di vista scientifico, i lavori per la verificazione decennale dei campioni prototipi; e) propone le norme per la istruzione dei tirocinanti verificatori e, per mezzo di uno o più suoi delegati, dirige e sorveglia l’istruzione medesima;”. La Commissione era coadiuvata dalla Giunta metrica e dal Laboratorio metrico dell’Ufficio centrale al quale era annessa un’ officina meccanica con il compito di eseguire i lavori preparatori per la verificazione decennale e le altre ricerche di cui fosse incaricato dal Ministero e di custodire i prototipi nazionali ed i campioni metrici; di eseguire la verificazione quinquennale del materiale metrico appartenente agli uffici di verificazione; d’impartire, con le norme proposte dalla Commissione superiore metrica, l’insegnamento teorico-pratico di metrologia e di servizio metrico ai tirocinanti verificatori metrici. Gli ufficiali metrici e del saggio avevano l’obbligo di dare udienza al pubblico nei giorni feriali per almeno sei ore. I verificatori erano reclutati mediante concorso per esami a numero chiuso. I vincitori erano formati attraverso un tirocinio non inferiore a sei mesi durante il quale venivano loro impartiti gli insegnamenti e gli esercizi proposti dalla Commissione superiore metrica e, superato un esame d’idoneità, accedevano alla qualifica di verificatore di sesta classe. I requisiti per accedere a tale incarico erano rigidamente fissati nel decreto: a) età non minore di 21, né maggiore di 30 anni; b) cittadinanza italiana; c) condotta incensurabile; d) cognizioni riguardo alla lavorazione e alla bollatura dei metalli. Siffatti requisiti saranno comprovati mediante la presentazione: a) del certificato di nascita; b) del certificato del sindaco; c) del certificato penale e di buona condotta di data recente; d) di dichiarazione di abilitazione rilasciata da un R. verificatore metrico”. I verificatori prima di entrare in carica erano tenuti a prestare giuramento di fedeltà davanti al ministro o a un suo delegato e, raggiunta la maggiore età, entravano di diritto nel corpo degli ufficiali di polizia giudiziaria giurando avanti al tribunale civile e penale del circondario di destinazione. Possibili conflitti d’interesse erano prevenuti con il divieto tassativo imposto agli ufficiali metrici di mantenere rapporti d’interesse con gli esercenti l’arte e il commercio degli strumenti metrici. La progressione di carriera avveniva percorrendo cinque classi di qualifica che si raggiungevano con l’anzianità di servizio. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 196 166 LUCIANA QUAGLIOTTI - GIACOMINA CALIGARIS I prototipi dei pesi e delle misure ai quali andavano riferite le verifiche avevano carattere storico in quanto già appartenenti agli antichi Stati sardi: venivano conservati dal Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, il MAIC, nell’Ufficio centrale metrico e dei saggi e custoditi, secondo le norme prescritte dalla Commissione superiore metrica, in una cassaforte chiusa con tre chiavi diverse, una delle quali tenuta dal Ministero d’agricoltura, industria e commercio, una dal sovrintendente del R. archivio di Stato in Roma e la terza dal presidente della Commissione predetta. Il metro e il chilogrammo, portanti i rispettivi numeri 9 e 19, assegnati il giorno 26 settembre 1889 al Regno d’Italia dalla Conferenza internazionale dei pesi e delle misure colla dichiarazione che differivano dai prototipi internazionali di dodici diecimilionesimi in meno il primo, e di ventotto centomilionesimi in meno il secondo, erano conservati presso la Commissione superiore metrica e costituivano i prototipi nazionali di 2º ordine. Questi prototipi erano custoditi in altra cassaforte chiusa con tre chiavi diverse, di cui una tenuta dal presidente della Commissione, l’altra dal Ministero e la terza dal direttore dell’Ufficio centrale metrico e dei saggi. Alcune copie degli stessi prototipi, a disposizione presso la Commissione stessa, costituivano i prototipi di 3º ordine. Ogni dieci anni i prototipi di 2º ordine dovevano essere confrontati con i prototipi di 1º ordine. Il confronto eseguito sotto la direzione della Commissione superiore metrica era verbalizzato. A tale ufficio andavano rivolte le domande di comparazione di precisione e di esse era rilasciato apposito certificato in due originali sottoscritto dal direttore dell’Ufficio centrale. Uno dei due originali era trasmesso all’interessato insieme agli strumenti comparati; l’altro rimaneva negli archivi dell’Ufficio centrale. Ogni ufficio di verificazione locale era provvisto di campioni normali del metro, del chilogrammo e del litro. Questi campioni erano custoditi dall’Ufficio metrico in un armadio a ciò destinato. Ogni cinque anni, per mezzo dei prototipi di 3º ordine, i campioni normali e le collezioni degli strumenti metrici dati in dotazione agli uffici di verificazione erano verificati, nel laboratorio dell’Ufficio centrale metrico. Per gli usi ordinari del servizio, tutti gli uffici metrici erano dotati almeno dei seguenti campioni: “1 ° n. 3 metri d’acciaio; 2 ° una serie di n. 9 misure di capacità per aridi, dal doppio decalitro al mezzo decilitro; 3 ° una serie di n. 11 misure di capacità per liquidi, dal decalitro al mezzo centilitro; 4 ° n. 3 bilance delle rispettive portate di 20 kg., 1 kg. e 20 g., indipendenti l’una dall’altra, oppure montate nella apposita cassa custodia di grande modello; 5 ° una bilancia di precisione; 6 ° una serie di n. 17 pesi di ottone dal miriagramma al gramma; 7 ° una serie di n. 10 pesi per le monete in corso; 8 ° una serie delle frazioni del gramma; 9 ° una sufficiente collezione di campioni e di strumenti ausiliari”. Gli strumenti metrici, prima di essere messi in commercio, erano sottoposti a una prima verificazione. In tale verificazione i fabbricanti dovevano badare a tutte le operazioni manuali che erano richieste dal verificatore. La verificazione prima era certificata con l’apposizione sugli strumenti metrici di un bollo a stemma reale portante il numero corrispondente dell’ufficio, e di un secondo, cosiddetto personale, destinato a identificare l’ufficiale metrico che l’aveva eseguita. La verificazione prima delle stadere a ponte in bilico, a scelta del fabbricante si poteva eseguire nell’officina o sul posto dove le stadere dovevano funzionare. Nel primo caso però il fabbricante aveva l’obbligo di far ripetere la verifica senza ulteriori oneri economici sul posto dove erano state messe in opera. Per la prima verificazione sul posto delle stadere a ponte in bilico, il fabbricante doveva mettere a disposizione del verificatore la quantità di pesi legalizzati corrispondente all’indicazione dell’ultima divisione dell’asta graduata, sino al limite di una tonnellata. Per le indicazioni maggiori di una tonnellata che potevano essere tracciate anche sopra una seconda asta, il carico poteva essere formato con altro materiale adatto, che il fabbricante doveva pure mettere a disposizione del verificatore fino a raggiungere la portata massima. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 197 QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO 167 Il verificatore portava con sé il materiale occorrente per accertare l’esattezza dei pesi che il fabbricante metteva a sua disposizione. Quando, per una causa qualunque, una stadera a ponte in bilico fosse stata cambiata di posto, il proprietario o esercente doveva avvertire il verificatore affinché procedesse a una verificazione per accertarne il regolare collocamento secondo la normativa stabilita. La verificazione periodica degli strumenti metrici, prescritta dall’art. 16 del testo unico delle leggi metriche, era biennale. Ciascun biennio cominciava con il 1º gennaio di ogni anno di millesimo dispari. Con questa verificazione gli ufficiali metrici accertavano che i suddetti strumenti non avessero sofferto alterazioni, apponendovi un bollo che portava per impronta le due ultime cifre di ciascun millesimo del biennio corrispondente. Le tolleranze delle misure e dei pesi s’intendevano tanto in più quanto in meno, e lo spostamento dell’indice che determinava la sensibilità degli strumenti per pesare poteva essere la metà di quello richiesto per la verificazione prima. I Comuni che componevano ciascun distretto metrico erano divisi in due distinti riparti o sezioni secondo una tabella proposta dal prefetto, dietro le indicazioni del verificatore e approvata dal Ministero. Nel preparare questa tabella si teneva conto del numero degli utenti che doveva approssimativamente essere diviso in parti uguali fra le due sezioni. La verificazione era eseguita ogni due anni in ciascuna sezione. Oltre che nei Comuni capoluogo potevano stabilirsi uffici temporanei di verificazione in frazioni e borgate con il consenso della Giunta provinciale amministrativa. La verificazione periodica era fatta a domicilio, a richiesta degli utenti, limitatamente alle stadere e alle bilance a piattaforma, e alle stadere semplici di portata superiore ai 50 chilogrammi, se munite di apparecchio che permettesse di verificarle sul posto, e tale verificazione doveva farsi esclusivamente presso l’esercizio dell’utente. L’utente di pesi e misure, a richiesta degli ufficiali e degli agenti della polizia giudiziaria, doveva esibire il certificato della verificazione periodica; la mancanza di questo certificato costituiva una contravvenzione punibile penalmente. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 198 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 199 DIECI COSE CHE MI HA INSEGNATO MIO NONNO LUIGI EINAUDI MEMORIA PRESENTATA DA LUIGI ROBERTO EINAUDI* all’Adunanza extra moenia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011 PREMESSA Gli insegnamenti che mi ha lasciato mio nonno, Luigi Einaudi, si possono riassumere in dieci lezioni. Supplirò ai difetti della memoria citando brani di lettere che mi scrisse quando era Presidente della Repubblica e io facevo il liceo e l’università negli Stati Uniti. Lui aveva fra i 78 e gli 81 anni, mentre io avevo fra i 16 e i 19 anni. Prima di parlare di lezioni, però, bisogna dire che per Luigi Einaudi la base di partenza per quasi tutto era la lettura. Poche sono le sue foto nelle quali non ha qualcosa de leggere in mano. Dall’età di dieci anni io divoravo le avventure di Emilio Salgari. Così ho anche letto Jules Verne, prima in italiano e, solo dopo, in francese. Ma di letture più serie poche. Il nonno non era del tutto contrario: «Quella tua era l’età in cui io divoravo libri; pur di leggere, senza discernimento talvolta, ma avendo cura si trattasse per lo più di scrittori grossi, quelli che dissero qualcosa. Nacque un gran disordine, ma qualcosa rimane sempre. Non consiglio il disordine, ma importa fare escursioni extravaganti fuor del campo assegnato, è utile ed eccita la mente in un’età in cui questa è pronta a ricevere. Regola: non leggere libri di gente mediocre o di pura attualità». Nel 1952 avevo compiuto sedici anni e il nonno mi permise di dormire a San Giacomo fra gli scaffali della biblioteca: un ricordo che mi rende felice ancora oggi. Quell’estate mi fece leggere Virgilio con lui in latino, spiegando che la lettura era per imparare un’altra lingua, ma anche per meditare sulla sostanza. Quel Natale mi mandò il Dizionario moderno del Panzini con la dedica: «A Luigino, perché nello scrivere italiano abbia una guida alle parole moderne che è bene usare il meno possibile». Nel 1954 abbiamo letto assieme L’Ancien Régime et la Révolution di Tocqueville in francese. Poi mi fece leggere i commentari dell’inglese Arthur *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 200 170 LUIGI ROBERTO EINAUDI Young che aveva viaggiato in Francia negli anni prima della rivoluzione registrando le condizioni economiche e sociali. Nel 1945, al ritorno dall’esilio svizzero per assumere la carica di governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi aveva 71 anni. Mio padre diceva che il nonno «era affamato» di rimettersi al lavoro. A quante persone è dato avere l’opportunità di mettere in pratica le conoscenze e le teorie di tutta una vita? Ma la situazione era tutt’altro che facile. La guerra aveva peggiorato le condizioni economiche, e creato un vuoto istituzionale. E nel 1948 ricevette il massimo incarico dello Stato, il primo a essere scelto dalle Camere come Presidente della nuova Repubblica italiana. Non era una carica che aveva cercato. Anzi, avendo votato per la monarchia nel referendum del 1946, si potrebbe dire che era una carica contro la quale aveva votato. E adesso era lui a rimpiazzare il Re. Il protocollo repubblicano era tutto da inventare. Non c’erano precedenti. Il personale del Quirinale era composto in molti casi da chi aveva servito il Re. Ricordo persino un autista che aveva fatto l’autista per Mussolini. E poi l’Italia era divisa. La retorica si riferiva alle bellezze del trionfo della democrazia e della Repubblica. Ma la realtà era che c’erano vincitori e vinti. E, come al solito in Italia, molte correnti. In Inghilterra la monarchia dava un senso di unità nazionale al di sopra delle liti politiche. In Italia la monarchia era stata bocciata, ma la Repubblica era da costruire. Il nonno temeva che sarebbero sorti momenti di crisi che avrebbero potuto precipitare senza una figura di riferimento nazionale al di sopra delle parti. 1 - PRIMA LEZIONE: IL BUON ESEMPIO La prima e forse la più importante lezione imparata in questo ambiente era che «bisogna dare il buon esempio» . Sottolineo il buon esempio, perché chi occupa la massima carica dello Stato non può soltanto dare un buon esempio. Anzi, ha la responsabilità di individuare le prassi migliori da trasmettere ai concittadini e ai propri successori. Dunque deve sempre dare il buon esempio. E darlo in tutto, anche nei dettagli meno importanti. Questo abito mentale diventò una parte essenziale della nostra vita quotidiana. Non presumere mai. 2 - SECONDA LEZIONE La seconda lezione - «fare le cose bene anche se non sarai ringraziato» era sempre stata una delle sue regole. Il primo sistema italiano di previdenza sociale, la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai (Cnas), era un’assicurazione volontaria. Ben prima della guerra del 1914, il nonno pagò il suo contributo come datore di lavoro, aggiungendo anche il contributo che spettava alla donna di casa, Maria Granda. Non fu mai ringraziato; anzi il commento lapidario della domestica riferitomi anni dopo fu infatti: «Se lo fa il professore, vuol dire che qualcosa ci guadagna». volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 201 DIECI COSE CHE MI HA INSEGNATO MIO NONNO LUIGI EINAUDI 171 3 - TERZA LEZIONE La terza lezione è stata capire che «per trovare una soluzione bisogna accettare il fatto che la politica può talvolta interferire con una logica tecnica – e viceversa» . Una lezione maturata nelle discussioni su Trieste e le frontiere dell’Italia con la Francia. I conflitti di territorio non si possono risolvere come fecero le potenze coloniali in Africa, tracciando linee geometriche senza riguardo per gli abitanti e le culture o persino la geografia. I maggiori esiti della mia vita diplomatica sono tutti dovuti a questa lezione. 4 - QUARTA LEZIONE Una quarta lezione è stata: «Presta attenzione alla tua base» . In sette anni come Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi non ha mai lasciato l’Italia, nemmeno per andare in un vicino paese europeo. Aveva viaggiato molto prima di assumere la Presidenza della Repubblica e fatto quasi due anni di esilio in Svizzera. Quando gli chiesi perché non viaggiò mai all’estero da Presidente, mi disse semplicemente che il suo dovere era di essere in Italia. 5 - QUINTA LEZIONE Una quinta ed essenziale lezione era «non scordare mai l’uomo comune» . L’intellettuale e l’uomo politico non hanno diritto di decidere che cosa va bene per il contadino o l’operaio. «L’unica persona che sa se le scarpe gli vanno è chi le porta». Questa frase tagliente fece parte di molte nostre discussioni. Riflette una profondissima convinzione del valore individuale della persona e del rispetto che le è dovuto al di là della condizione sociale, e senza settarismi politici. Per Luigi Einaudi l’Italia non poteva essere concepita solo in base a classi sociali, etichette politiche o titoli formali. 6 - SESTA LEZIONE La lezione numero seguente: «Anche noi sappiamo contare» . Un giorno a cena in famiglia al Quirinale Luigi Einaudi era soddisfattissimo. Quel giorno aveva visto Barbara Ward, scrittrice ed economista inglese diventata più tardi Lady Jackson. La Ward da poco aveva scritto un articolo che conteneva qualche calcolo sbagliato. Einaudi le aveva spiegato l’errore, la Ward lo aveva accettato. Dopo averci raccontato lo scambio disse, sereno, «anche noi sappiamo contare». 7 - SETTIMA LEZIONE La lezione numero sette: «Le cose non sono sempre come appaiono». Durante gli anni del fascismo era comune vedere un ritratto di Mussolini in case di contadini. Molte volte era appeso vicino alla porta di casa. Quando passavano le autorità fasciste tutto sembrava in ordine. Ma il contadino aveva messo il ritratto vicino alla porta perché così, vedendolo mentre stava var- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 202 172 LUIGI ROBERTO EINAUDI cando la soglia di casa, poteva sputargli contro senza che lo sputo finisse in casa. Fra le note per il testamento, riferendosi all’azienda agricola, scrisse: «Se c’è un reddito un anno, non credere che si ripeterà l’anno venturo». 8 - OTTAVA LEZIONE Una simile ma ottava lezione sarebbe: «Evita le prime impressioni» . Un giorno gli ho portato un libro appena pubblicato che avevo letto nel corso dei miei studi a Harvard ma che lui non aveva. Non mi ricordo se glielo avevo offerto come regalo o come prova di un argomento. Credevo di avere capito che per lui i libri fossero la massima espressione della civiltà e che, circondato dai libri come era, lo avrebbe apprezzato. Lo rifiutò. Come mai? chiesi sconcertato. «Prima di comperare un libro bisogna sapere se vale o no. Io, se posso, non compro mai un libro se non 40 anni dopo la sua pubblicazione. Solo allora si saprà se vale qualcosa o no». Immaginate la mia reazione. Non avevo ancora 20 anni! 9 - NONA LEZIONE Molto difficile da mettere in pratica la nona lezione: «Non dire mai oggi qualcosa della quale ti vergognerai domani o fra dieci anni o anche vent’anni dopo d’averlo detto» . Non so come o dove avesse imparato questa lezione. Forse da giornalista. Nel 1960 mi scrisse una massima un po’ diversa: «Se si scrive qualcosa, lasciarlo stare a riposo per 15 giorni o un mese, e poi rileggerlo». In ogni modo cercare di parlare e scrivere sempre sub specie aeternitatis è molto difficile. Se nella mia vita diplomatica mi sono ostinato nel cercare di seguire questa regola essenziale, lo devo al nonno. 10 - DECIMA LEZIONE La decima lezione è una lezione di limiti. Da Caprarola, il 23 agosto 1953, il nonno rispose così a una serie di esiti miei dei quali mi ero molto vantato con lui: «Il desiderare sempre il meglio è una delle ragioni di vivere. [...] Ed adesso ti dico di una mia fissazione. La gioia per i risultati ottenuti deve essere sempre accompagnata da una tacita riserva mentale. Quel che so, che ho imparato, è niente in confronto a quel che non so. [...]. Quel che occorre è imparare il metodo di distinguere il vero dal meno vero; il metodo di ragionare. Ed a questo fine servono in primissimo luogo la matematica, per porre bene i problemi, ed il latino per esprimersi bene. Con il quale latino - for ever - ti bacia ed abbraccia il tuo nonno». volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 203 AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR MEMORIA PRESENTATA DA ROBERTO EINAUDI* Presidente della Fondazione Luigi Einaudi di Roma all’Adunanza extra mœnia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011 Ringrazio il Presidente dell’Accademia di Agricoltura di Torino, Pietro Piccarolo per avermi dato l’opportunità di parlare durante questa giornata di studio dedicata a Luigi Einaudi, nel cinquantenario della sua morte. Già nel 1977, trentesimo anniversario della nomina di Einaudi a Socio della Accademia, mio Padre, Mario, aveva tenuto all’Accademia una conferenza intitolata: “Luigi Einaudi Agricoltore: 1897-1961”. Quel discorso, pubblicato negli Annali dell’Accademia di Agricoltura di Torino (1978), fu ripubblicato, insieme ad altra documentazione su temi agrari, nel volume “Luigi Einaudi, Pagine Doglianesi” (1988). Ne consiglio caldamente la lettura a chi ne fosse interessato. Celebriamo quest’anno, oltre al cinquantenario della scomparsa di Einaudi, anche il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e della morte di Camillo Benso di Cavour. Un secolo esatto divide la scomparsa dei due grandi statisti liberali che hanno lavorato per costruire l’Italia. Vorrei prendere spunto dalla ricorrenza di questi due anniversari per esaminare le affinità e le diversità tra Einaudi e Cavour nei campi economici, sociali e politici, soffermandomi poi in più dettagli su quello agricolo. 1 - CAVOUR: PER LUIGI EINAUDI UN MAESTRO Durante tutta la vita, Luigi Einaudi interpretò e utilizzò le vicende cavouriane per meglio spiegare le sue tesi nel campo economico e sociale. Non scrisse testi specifici sul grande statista, ma lo citò, o lo indicò come modello, in quasi cento articoli. Già nel 1899 Einaudi portava Cavour come esempio per sostenere la sua tesi contro le protezioni doganali: “In Italia una politica sifatta vanta l’adesione del nostro più grande uomo di stato, Camillo Cavour, il quale osò, e con felice risultato, inaugurare in condizioni ben più difficili delle presenti un programma di libertà”1. *E-mail: [email protected] 1 L. Einaudi - 1899 - Per la rinnovazione dei trattati di commercio, 12 agosto 1899; Il programma economico del partito liberale, 12 ottobre 1899. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 204 174 ROBERTO EINAUDI Nel 1941 Einaudi definì così lo statista piemontese: “In lui si cumulavano l’intuito fulmineo del politico, la conoscenza dell’economista teorico, la pratica dell’imprenditore di cose economiche concrete. Chi dubita che la riunione di tutte queste qualità non abbia contribuito a fare di lui quel grande che fu? maggiore di quanti uomini politici vanti il secolo XIX?”2 Davanti all’Assemblea plenaria della Consulta, Einaudi nel 1946 ripercorse le ragioni del disastro della guerra e del fascismo. Auspicò che invece dell’autarchia voluta dalla dittatura per consolidare il suo potere, la merce sarebbe ritornata a circolare liberamente, all’interno di una federazione supernazionale di cui l’Italia avrebbe fatto parte. “Forse è un’utopia”, affermò Einaudi, “ma è un utopia simile a quella che muoveva Camillo di Cavour quando, iniziando la sua coraggiosa politica di libertà, alto proclamava che la scienza economica non era la scienza dell’interesse, non era la scienza dell’egoismo, ma era la scienza dell’amor di patria”.3 In un articolo sul “Corriere della Sera”, scritto nel 1961, un mese prima della morte, Einaudi si scagliò contro i politicanti ignoranti che utilizzavano “parole … prive di qualunque significato” nell’affrontare argomenti economici. Giudicava “l’ignoranza la causa principale degli errori … del ceto politico legiferante e governante”. Affermava che un secolo prima ciò non era vero, che: “persino le dottrine economiche erano divenute popolari. Il più grande uomo di stato del secolo, il conte di Cavour, ne conosceva le verità fondamentali, le spiegava chiaramente in parlamento e non si lasciava pestare i piedi da chi adoperava parole insulse o faceva ragionamenti sballati”.4 L’intervento di Einaudi più consistente dedicato interamente a Cavour fu un discorso improvvisato a Santena il 6 giugno 1961, in occasione del centenario della morte dello statista. Einaudi, allora ottantasettenne, arrivò al Castello di Cavour, sostenuto dalla consorte donna Ida, per presentare, nella sua veste di Presidente della Commissione Nazionale per la pubblicazione dei carteggi di Cavour, il volume degli indici dell’ “Epistolario” 5. Si muoveva con difficoltà, appariva stanco e ascoltava i discorsi che precedevano il suo con gli occhi chiusi, quasi fosse addormentato, ma quando prese la parola, si capì subito che aveva sentito ogni parola pronunciata. Einaudi incominciò col dire che non era stata richiamata abbastanza l’attenzione sulla “preparazione veramente grande che ha preceduto l’entrata di Cavour nell’arengo politico europeo e mondiale”… “E quando noi lo vediamo, presidente del Consiglio, ministro delle Finanze, ministro dell’Agricoltura, interessarsi poi anche di tutti i dicasteri ai quali non presiedeva e guidare tutti i suoi collaboratori ad una meta, noi dobbiamo dire che questo risultato non era 2 L. Einaudi - dicembre 1941 - rivista Argomenti, L. Einaudi - 10 gennaio 1946 - Discorso alla Assemblea plenaria della Consulta. In: Interventi e Relazioni Parlamentari, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, I, 1980. 4 L. Einaudi - 24 settembre 1961 - Corriere della Sera. 5 C. Cavour - 1962 - Epistolario, vol. I (1815-1840). Ed. Zanichelli, Bologna, I. 3 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 205 AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR 175 la manifestazione improvvisa del genio, ma era anche il frutto, oltre che del genio suo, di una lunga, lunga preparazione…” Da giovane, disse Einaudi, Cavour si era occupato di argomenti economici, finanziari e sociali, aveva letto i più grandi classici dell’economia politica. “Egli si era preparato profondamente a quelli che dovevano poi diventare i suoi compiti”. Einaudi non si trovò d’accordo con alcuni studiosi di Cavour, come il suo amico, Francesco Ruffini, che: “si sentono quasi in obbligo di scusarlo per i suoi ‘trascorsi giovanili’, ossia certe speculazioni in materia finanziaria che egli avrebbe compiuto a Parigi e che si chiusero con perdite, così da costringerlo a ricorrere all’aiuto del padre. Confesso di non partecipare affatto a questi scrupoli e lamentazioni: tale esperienza è stata una delle tante utili, anzi necessarie, che gli giovarono per gli uffici politici che ebbe a ricoprire in seguito.” Einaudi quindi confrontò la padronanza di Cavour nelle materie economiche con quelle degli altri politici, i quali lui divideva in due gruppi: quelli che definiva “sepolcri imbiancati”, che pur conoscendo la materia, non osano parlarne, e gli altri, la maggioranza, che erano semplicemente ignoranti. Cavour, invece, disse Einaudi, si era impadronito dei mestieri di banchiere, agricoltore, commerciante. “Non a caso Cavour fu il primo fondatore dell’Istituto di emissione italiano… conosceva anche profondamente la materia: quando al governo venivano trattati i problemi di emissione, essi non erano affatto ignoti a lui”. Einaudi continuò il suo discorso chiedendo: “E l’agricoltura? Tutti conosciamo Leri. Cavour fu un agricoltore espertissimo. Quando era ministro dell’Agricoltura, ad uno degli agricoltori che si erano recati da lui in commissione per lamentarsi perché il prezzo del riso di 5 lire per ‘emina’ non bastava, secondo loro, per coprire le spese, egli rispose in piemontese: ‘T’ses’n burich (sei un asino), Io, a Leri, con 5 lire per emina, ci guadagno’.” Einaudi continuò; “E non fu solo agricoltore, ma s’improvvisò anche, con vantaggio suo, commerciante in materia agricola. Avendo saputo le virtù del guano del Perù, noleggiò una nave e mandò a caricarlo, dopodichè se ne servì per i suoi poderi e ne cedette anche con vantaggio ad altri agricoltori: ‘Non c’è niente di male ad avvantaggiarsi facendo avvantaggiare gli altri’”. Non occorre ricordare, aggiunse Einaudi, che Cavour fu anche giornalista, fondatore del quotidiano “Il Risorgimento”, direttore della “Rivista dei comizi agricoli del Piemonte”. Concluse: “Noi, avendo veduto nel ’52 Cavour assurgere d’un tratto alla posizione più alta del governo del suo paese, non dobbiamo dire che lì c’è stato un miracolo: miracolo sì, dovuto alla sua persona, ma miracolo scaturito da una lunga preparazione di studio, e di contatti umani con italiani e con stranieri, in Italia e in Svizzera… in Francia e in Inghilterra. Meritata assunzione, dunque, di una preparazione di cui i risultati scritti si vedono nei quindici volumi dei carteggi, che noi, modestamente, abbiamo ritenuto di rendere utilizzabili con la presentazione di questo volume di indici”. Non s’improvvisa un discorso come quello di Santena senza una profonda volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 206 176 ROBERTO EINAUDI preparazione, quella stessa che Einaudi attribuiva a Cavour. Se si ripercorre il discorso, ci si rende conto che sono molti i parallelismi nella vita dei due statisti. Tutti e due si erano preparati sui grandi testi economici dei secoli precedenti, su opere scritte in inglese o francese come quelli di Adam Smith o Bastiat. Einaudi diceva di se stesso di aver la “fissazione” di cercare il germe delle teorie moderne “in libri scritti tempo addietro”6. Aveva ben presente le letture di Cavour, avendo acquistato decine di libri appartenuti a Cavour, recuperati nel mondo antiquario. 2 - PARALLELISMI E DIFFERENZE Einaudi, come Cavour, era stato giornalista e direttore di riviste. Il mestiere di scrivere per il grande pubblico era stato quello che forse più lo aveva entusiasmato nella vita. Einaudi, come Cavour, era stato banchiere prima di ascendere al governo. Nell’Italia ancora divisa in due dalla guerra, fu chiamato come Governatore della Banca d’Italia, l’Istituto di emissione che aveva preso l’avvio dal Banco di Torino e dal Banco di Genova, ambedue fondate da Cavour, come spiegava Einaudi ai lettori di “The Economist” nel 19347. Quando Einaudi, finito il suo settennato come Presidente, fu insignito della laurea honoris causa ad Oxford nel 1955, venne presentato in latino come: “dedito quasi agli stessi studi cui fu dedito l’altro famoso piemontese Camillo di Cavour” (D’Aroma, 1976). Abbiamo esaminato l’impressionante somiglianza della vita e del pensiero di Luigi Einaudi e Camillo Benso di Cavour. Le differenze di ceto e di nascita tra i due sono evidenti, ma queste non hanno influenzato il loro approccio ai problemi economici e politici dell’Italia e dell’Europa. Hanno influenzato forse di più il loro orientamento verso l’agricoltura. Ambedue si sono interessati ininterrottamente di problematiche agricole, ma da un punto di vista spesso diverso. Cavour proveniva da una famiglia nobile, potente e ricca. Le insofferenze del giovane Camillo verso la situazione familiare di secondogenito e verso la carriera militare che aveva intrapreso, avevano suggerito al padre di affidargli, a solo 22 anni, la direzione dalla sua tenuta di Grinzane nel 1832 e poi, visti i risultati apprezzabili ottenuti da Camillo, di quella più grande di Leri nel 1835. L’interesse di Cavour per l’agricoltura traeva origine, dunque, dalla necessità del padre di trovare qualcuno che potesse gestire e fare rendere le sue proprietà terriere. Einaudi invece trae il suo interesse nell’agricoltura da una situazione sociale ed economica opposta. Per sette generazioni gli Einaudi erano vissuti a San Damiano Macra, piccolo, isolato paese di montagna, luogo di nascita del 6 Einaudi L. - Viaggio tra i miei libri. In Catalogo della biblioteca di Luigi Einaudi, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1981. 7 “From our italian correspondent”, a cura di Roberto Marchionatti, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, articolo The Economist, 1934. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 207 AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR 177 padre, Lorenzo, ultimo di quattordici figli (Einaudi R., 2008). Il padre fu il primo della famiglia a lasciare la valle nel 1869 per prendere, ventinovenne, il posto di esattore del mandamento di Carrù, dove due anni dopo sposò Placida Fracchia, maestra elementare a Dogliani. Gli sposi andarono ad abitare a Carrù in una casa d’affitto, dove il 24 marzo del 1874 nacque Luigi. Quando il padre morì, quattordici anni dopo, non era ancora riuscito ad acquistare una casa o terreni. Con quattro giovani figli a carico, e senza lavoro, la madre ritornò ad abitare dai propri genitori, anche loro rimasti senza terra, perché, come ricordò Luigi Einaudi: “Quando il nonno, per il succedersi inopinato di anni funesti, a causa dell’imperversare dell’oidium, all’agricoltura, e per fronteggiare le spese della educazione dei figli, dovette vendere a prezzo non degno i due fondi aviti, grande fu lo strazio in casa; ed io ricordo di aver visto occhi gonfi di lacrime, anche a lunga distanza d’anni, non tanto per il danno economico, quanto per la perdita della terra che portava il nome della famiglia e con esso s’era quasi identificata”8. La madre, Placida, malgrado le ristrettezze economiche, mandò Luigi alle migliori scuole possibili, anche se lontane da casa. Il figlio frequentò a Torino il Reale Liceo Cavour. Le future passioni di Luigi, i libri, lo scrivere, l’economia, l’agricoltura, erano riassunte bene in una frase del suo diario da quindicenne: “Avevo deliberato di lasciare stare la letteratura e… spendere 2 lire al mese nel ‘Dizionario d’Agricoltura’; ma ieri mattina ho saputo che ne sono già uscite 18 dispense = 18 lire. Diedi sei lire a Zurbil perché me le prendesse tutte, obbligandomi a pagarli in tre rate”9. Seguiva un elaborato conteggio economico di come sarebbe riuscito a ripagare il debito. A diciassette anni, Luigi Einaudi si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Torino. Non ancora ventenne, presentò una serie di ricerche su temi agricoli, la prima su La distribuzione della proprietà fondiaria a Dogliani, nella quale dimostrava che la crisi agraria aveva spinto i grandi proprietari a vendere con il risultato di un notevole aumento della piccola e media proprietà; la successiva sull’Esportazione dei principali prodotti agrari dall’Italia dal 1862 al 1892. A 21 anni, Einaudi si laureò con una tesi sulla crisi agraria in Inghilterra, poi pubblicata sul Giornale degli economisti. L’amore per la terra e l’interesse per l’agricoltura spinsero Luigi Einaudi a soli 23 anni, malgrado le ristrettezze economiche, a comperare nel 1897 la cascina settecentesca e le terre di San Giacomo a Dogliani con soldi in gran parte presi a prestito. La madre gli mise a disposizione tutti ì suoi risparmi, ricevendo in cambio da Luigi gli interessi maturati sulle somme prestate. L’acquisto di San Giacomo era stato facilitato dalla grave crisi che aveva colpito l’Italia e l’Europa, spingendo al ribasso il valore dei terreni agricoli. Dalle ricerche fatte per la sua tesi di laurea sulla crisi agraria in Inghilterra, 8 L. Einaudi - 1922 - Appunti per la storia politica ed amministrativa di Dogliani dell’Avv. Francesco Fracchia, raccolti ed ordinati da Luigi Einaudi, Torino 1922. 9 Diario di Luigi Einaudi, Archivio famiglia Einaudi, San Giacomo, Dogliani, CN, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 208 178 ROBERTO EINAUDI Luigi si era convinto che fosse giunto il momento di investire nell’agricoltura. Le nuove terre acquisite, di 15 ettari circa, erano in grave stato di degrado: i vigneti decimati dalla fillossera, la cascina in rovina. L’acquisizione di San Giacomo era solo il primo passo per mettere insieme un’unità agricola più grande e produttiva. I primi guadagni del giovane professore, e giornalista, furono investiti nella campagna. Nel 1909 acquistò i terreni e la cascina del Vallero, adiacente a San Giacomo, nel ’23 quelli degli Abbene e del Tetto Protto e nel ’52, quattro ettari di vigna a Barolo. L’insieme delle proprietà formava un’azienda di circa 96 ettari, di cui 23 di vigna, con 11 nuclei familiari che si occupano dei lavori agricoli, residenti nelle cascine esistenti, da lui restaurate, o fatte costruire ex novo sul terreno. Per prima cosa Luigi Einaudi ripiantò i vigneti decimati dalla fillossera, trasformando la tenuta in una proprietà modello. Trasformare voleva dire investire. I vigneti furono completamente rinnovati, tramite lo scasso completo del terreno e la piantagione di barbatelle innestate su piede americano, tecnica ora consolidata ma allora rivoluzionaria, tanto che i contadini dei dintorni venivano a guardare e commentare le stravaganze del “professore pazzo”, per poi ricredersi dopo i primi raccolti. Luigi Einaudi iniziò subito a produrre un buon vino; già nel 1914 ricevette la medaglia d’argento per il vino Dolcetto nella gara nazionale di vini fini da bottiglia fatta col concorso del Ministero di Agricoltura. Spronato da questo successo, l’anno dopo fece costruire una cantina in Dogliani, imbottigliando il vino in damigiane da cinque e più litri e in bottiglie da trequarti. Al vino Dolcetto, col tempo aggiunse il Barbera, il Nebiolato e il Grignolino. Con l’acquisto di quattro ettari di vigna a Barolo, iniziò a produrre anche Barolo. Confessò Einaudi: “feci un solo acquisto per orgoglio… facendo servire il barolo a tavola c’era sempre la domanda inevitabile: quella se il barolo era di mia produzione. E mi seccava confessare che non lo era… E perciò comperai i quattro ettari”10. Luigi Einaudi constatò che solo con la vendita del prodotto finito era possibile costituire i fondi necessari per trasformare e migliorare la campagna. Ricordate, scrisse ai figli, che il modo vero di conservare terreni e casa è quello di non fare alcun affidamento di ricavarne un reddito… Si vive con il frutto del proprio lavoro personale. Se c’è un reddito, prima ricordare che non è vero che esiste… bisogna pensare a rinnovare i piantamenti (ogni 25 anni almeno per le viti) e fare tutti i vari lavori di conservazione e miglioramento dei terreni e delle case rustiche. Se qualcosa rimane, considerare il fatto che non si potrà ripetere tutti gli anni, e destinare la somma a qualche spesa straordinaria11. 10 San Giacomo e le terre d’origini. In: R. Einaudi (ed.) L’eredità di Luigi Einaudi, catalogo della mostra omonima. 11 L. Einaudi - Lettera ai figli. Archivio famiglia Einaudi, San Giacomo, Dogliani, CN, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 209 AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR 179 In questo passaggio troviamo la vera differenza tra Einaudi e Cavour agricoltori. Per Cavour, imprenditore, l’agricoltura era fonte di guadagno. Grinzane rappresentò l’inizio della formazione di Cavour come imprenditore, e vi sperimentò nuove tecnologie agronomiche come l’innesto di nuovi vitigni. La gestione della tenuta di Leri, di oltre 1000 ettari, lo portò a affinare le sue conoscenze agricole, lo spinse alla costruzione di moderni sistemi idrici ed all’uso di concimi nuovi, come ci ha ricordato Luigi Einaudi, per migliorare la resa economica dei terreni. Cavour riuscì a trasformare Leri in un’azienda agricola all’avanguardia per i tempi, che rendeva economicamente. La gestione dei terreni paterni per Cavour aveva lo scopo principale di guadagnare soldi. Einaudi non biasimava Cavour per avere lucrato sulla terra e sugli investimenti agricoli, anzi lo additava come esempio da seguire. Nel suo discorso di Santena, Einaudi citava Cavour: “Non c’è niente di male ad avvantaggiarsi facendo avvantaggiare gli altri”. Scriveva Einaudi: “prevedere, anticipare gli eventi futuri ed operare in relazione a quel che accadrà e non a ciò che sta accadendo” è un bene che fa progredire il paese12. L’esperienza sua personale in agricoltura portava Luigi Einaudi a reinvestire tutti i guadagni nella terra. Nel suo scritto ‘La terra e l’imposta’ scrisse: “Oltre il prodotto economico, la terra produce anche… il piacere fisico del possesso, che consiste nel camminare sopra il fondo, nel contemplarlo, nel toccare le piante e vederle crescere, la gioia del lavoro..., di riempire il granaio di frumento dorato e sonante, la cantina di vino, dal bel colore, largitore di letizia”13. In epoca successiva, Einaudi approfondì questo concetto, allargandolo a qualsiasi impresa: “Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno”.14 Nonostante le crescenti responsabilità politiche, Camillo Benso di Cavour si tenne sempre informato sull’andamento delle attività produttive delle terre di Leri, dove si ritirava nei rari momenti di riposo. In modo analogo, Luigi Einaudi non mancò mai di trovarsi a San Giacomo per la vendemmia, anche nei momenti di maggiore impegno politico. Cavour morì a Torino nel 1861 probabilmente di malaria, contratta nelle risaie di Leri; Einaudi morì a Roma esattamente cento anni dopo, a seguito di un’influenza presa nella tenuta di San Giacomo. Cavour fu seppellito a Santena, presso Torino, nel castello di famiglia. Luigi Einaudi fu riportato a San Giacomo in Dogliani per essere sepolto nella terra degli avi. L’amore per le terre d’origine era stato parte integrante e fondamentale del pensiero e della azione dell’Einaudi studioso e statista. Aveva scritto: 12 L. Einaudi - Speculare e prevedere. In: Le Prediche della domenica. Giulio Einaudi editore, Torino I, 1987. 13 L. Einaudi - 1924 - La terra e l’imposta, Milano, I. 14 L. Einaudi - 1960 - Dedica all’impresa dei Fratelli Guerrino. Dogliani,15 settembre 1960. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 210 180 ROBERTO EINAUDI “L’uomo, la famiglia non si concepivano sradicati dalla terra, dalla casa, dal comune; e sono questi sentimenti che partoriscono anche l’attaccamento e la devozione alla patria e lo spirito di sacrificio, in cui soltanto germogliano gli Stati saldi (Einaudi, 1922). 3 - I LASCITI NEL CAMPO DELL’AGRICOLTURA I lasciti di Cavour e di Einaudi nel campo politico, sociale ed economico sono immensi. Quali sono quelli nel campo dell’agricoltura? Oggi il Castello di Grinzane è un’importante meta turistica e ospita la sede dell’Enoteca Regionale. Leri invece è stata abbandonata; gli edifici sono stati depredati, i terreni suddivisi e resi irriconoscibili dalla costruzione di una Centrale termoelettrica. Si è pensato alla creazione a Leri di un museo nazionale dell’agricoltura, ma il progetto non fu mai realizzato. In occasione del 150° dell’unità d’Italia, molte sono state le iniziative per sensibilizzare le istituzioni ed il pubblico sulla necessità di restaurare Leri. Ora si è avviato un programma di recupero. Il Canale Cavour, progettato nel 1852 su incarico di Cavour, quale Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna, fu realizzato solo dopo la sua morte. Lungo 85 km, collega il Po al Ticino e ancora oggi funge da trasporto su acqua e da sostegno all’agricoltura e alle risaie delle pianure del Vercellese e del Novarese. Nel castello Cavour a Santena, dove è seppellito Camillo Benso di Cavour e dove è ospitata la Fondazione e l’Associazione che portano il suo nome, con l’occorrenza del 150° dell’unità d’Italia, si sta ampliando il museo dedicato a Cavour e, nell’ambito del progetto “Piemonte per l’Italia”, si introdurrà una sezione dedicata a Einaudi. In modo analogo, nel Museo di Luigi Einaudi, aperto pochi mesi fa nella sede del Comune di Dogliani, saranno ospitate postazioni multimediali e interattive sui due grandi statisti piemontesi, a cui verrà aggiunto Giovanni Giolitti, e possibilmente altri statisti piemontesi che fecero grande l’Italia. La cascina di San Giacomo, acquistata dal giovane Luigi Einaudi nel lontano 1897, ancora ospita i suoi nipoti, pronipoti e pro-pronipoti. I Poderi Luigi Einaudi continuano a produrre vini pregiati ottenuti dalla trasformazione delle uve provenienti dall’azienda del Presidente, alla quale si sono aggiunti altri terreni, pieni di significati. Quando Einaudi era Presidente della Repubblica, i terreni del Cannubi a Barolo erano stati messi in vendita. Tramite un amico, Luigi aveva fatto un’offerta per l’acquisto che era stata accettata dal venditore. Quando il proprietario venne a sapere che il compratore era il Presidente, alzò il prezzo. A quel punto Luigi Einaudi rinunciò a comperare. Cinquant’anni dopo il mancato acquisto, quegli stessi terreni erano di nuovo in vendita e l’ing. Roberto, figlio di Luigi, riuscì a comperarli per i Poderi Luigi Einaudi. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 211 AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR 181 4 - UN’ULTIMA RIFLESSIONE Questa è l’ultima riflessione, che avrei aggiunto durante il convegno, se fossi arrivato in tempo per parlare in prima persona. Ciò non avvenne, ma con i miracoli della tecnologia riuscii a fare pervenire il mio intervento scritto a Cuneo, in modo che potesse essere letto, mentre il mio treno vagava per le campagne lombarde e piemontesi. Le frane, le alluvioni e gli smottamenti nelle Cinque Terre dopo il nubifragio eccezionale che colpì la Liguria avevano interrotto la ferrovia lungo la costa. Abituato oramai a prendere la linea interna per arrivare a Torino da Roma, non mi ero preoccupato quando ero partito due giorni dopo il disastro con il vagone letto per raggiungere il Piemonte, né si erano preoccupate le Ferrovie dello Stato di avvertirmi che forse ci sarebbero stati ritardi. Svegliatomi poco prima dell’ora prevista per l’arrivo a Torino, vidi il cartello di Modena passare lentamente davanti agli occhi. Avevo portato con me in treno alcune cartoline con citazioni di Einaudi, fatte in occasione della grande mostra “L’eredità di Luigi Einaudi”, per distribuirle al pubblico durante il convegno. Tutte attualissime, appunto perché spesso erano “prediche inutili”, inascoltate dai più. Una recitava: “La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani.” Vale la pena rileggersela ad alta voce più e più volte. Sembra che si riferisca al disastro appena successo lungo le coste liguri. È una frase premonitrice, scritta non oggi, ma nel 1951. Nello stesso articolo, Einaudi (1951) diceva: “Già ora corre sulle labbra di tutti, al sud e al nord, la sentenza: ‘a memoria d’uomo non è mai accaduto nulla di simile al disastro odierno’. Perciò si confida che nulla di simile accada in avvenire… Ma la storia narra, al sud e al nord, di inondazioni disastrose uguali a quella odierna”. È un grido d’allarme lanciato da Luigi Einaudi che dobbiamo fare nostro. “La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani.” volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 212 182 ROBERTO EINAUDI BIBLIOGRAFIA A.A. - 1988 - Luigi Einaudi. Pagine Doglianesi, 1893-1943, a cura del Comune e della Biblioteca Civica di Dogliani. D’AROMA A. - 1976 - Luigi Einaudi memorie di famiglia e di lavoro. Quaderni di Ricerca, 16, Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari Luigi Einaudi. EINAUDI L. - 1922 - Appunti per la storia politica ed amministrativa di Dogliani dell’Avv. Francesco Fracchia, raccolti ed ordinati da Luigi Einaudi. Torino, I. EINAUDI L. - 1946 - In: Interventi e Relazioni Parlamentari. Fondazione Luigi Einaudi, Torino, I, 1980. EINAUDI L. - 1951 - Della servitù della gleba in Italia. In: R. Einaudi (ed.) - 2008 - L’eredità di Luigi Einaudi, Ed. Skira, Milano, I. EINAUDI M. - 1978 - Luigi Einaudi Agricoltore: 1897-1961. Ann. Acc. Agric. Torino, 119, 131149. EINAUDI M. - 1988 - Luigi Einaudi, Pagine Doglianesi, 1893-1943. Comune di Dogliani e Biblioteca Civica, Dogliani, CN, I. EINAUDI R. - 2008 - San Giacomo e le terre d’origine. In: L’eredità di Luigi Einaudi, Ed. Skira, Milano, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 213 CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO GIUSI MAINARDI* presentata all’Adunanza extra mœnia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011 RIASSUNTO: Questa ricerca originale segue in parallelo gli interessi in Viticoltura ed Enologia manifestati da due insigni personalità che si cimentarono personalmente nella conduzione di aziende viticole in Piemonte, nelle Langhe: Camillo Benso di Cavour a Grinzane, Luigi Einaudi a Dogliani. Pur nelle ovvie diversità collegate alle differenti condizioni storiche e sociali in cui vissero, i loro percorsi hanno molti punti in comune: entrambi furono insigni economisti, uomini politici d’eccezione, appassionati di agricoltura, soci dell’Accademia di Agricoltura di Torino, convinti sostenitori delle grandi potenzialità dei vini piemontesi. SUMMARY: Camillo Benso of Cavour and Luigi Einaudi, distinguished viticulturists This original study follows in parallel the interest in Viticulture and Enology manifested by two eminent personalities who applied themselves in the management of their vineyards in Piedmont, on the Langhe hills: Camillo Benso di Cavour, in Grinzane, Luigi Einaudi, in Dogliani. Even in many obvious diversities connected with their different socio-historical conditions, their paths show many points in common, both of them have been great economists, exceptional politicians, very fond of agriculture, members of the Academy of Agriculture of Turin, convinced of Piedmontese wines great potential. RÈSUMÈ : Camillo Benso de Cavour et Luigi Einaudi, deux viticulteurs réputés Cet original rapport montre en parallèle l’intérêt pour la Viticulture et l’Œnologie manifesté par deux personnalités éminentes qui s’engagèrent à la conduite de leur vignoble au Piémont, dans les Langhe: Camillo Benso de Cavour, à Grinzane, Luigi Einaudi, à Dogliani. Malgré les diversités liées aux différentes conditions socio-hystoriques, leurs chemins ont de nombreux points en commun: les deux furent des grands économistes, des politiciens d’exceptionnelle envergure, passionnés d’agriculture, membres de l’Académie d’Agriculture de Turin, tenants convaincus du gros potentiel des vins piémontais. 1 - PREMESSA Riflettendo sul tema di questo intervento ho pensato che fosse indicato definire il Presidente del Consiglio dei Ministri, Conte Camillo Benso di Cavour, e il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, come “viticultori”, pro*E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 214 184 GIUSI MAINARDI prio con la vocale “u”, rispetto ad un più usuale e pur esatto “viticoltori”. Tale scelta è nata dalla considerazione che la loro visione della Vitis vinifera, la loro azione nei suoi confronti, non si è fermata agli aspetti colturali, ma inserisce questi aspetti in una più ampia cultura sociale, economica, agronomica. È veramente interessante vedere come entrambi, pur in condizioni ed epoche diverse, abbiano considerato la viticultura come un campo fecondo al quale applicare in pratica le conoscenze teoriche di economia che si erano formati. Entrambi infatti ne sentirono l’importanza fin da quando erano molto giovani ed entrambi si cimentarono personalmente nella conduzione di aziende viticole in Piemonte, nelle Langhe: Cavour iniziò a Grinzane, nel 1832, quando aveva 22 anni, Einaudi a Dogliani, nel 1897, quando ne aveva 23. I loro percorsi, pur nelle evidenti diversità di contesto sociale e storico in cui vissero, hanno molti punti in comune: appassionati di agricoltura, grandi economisti, uomini politici d’eccezione, soci dell’Accademia di Agricoltura di Torino, erano convinti sostenitori delle potenzialità dei vini piemontesi. 2 - CAVOUR E L’IMPEGNO NELLA TENUTA DI GRINZANE Camillo Benso di Cavour (1810-1861) fu un appassionato di politica internazionale, lettore assiduo delle opere dei maggiori economisti classici, studioso dei problemi sociali; nutriva un entusiasmo progressista per le innovazioni e mostrava uno spirito eminentemente pratico. Fra il 1826 e il 1829 i suoi congedi lo avevano visto spesso a Ginevra, dai parenti materni. Era un ambiente che egli amava moltissimo perché vi si respirava il clima di uno dei più animati centri della cultura europea. I suoi viaggi lo portarono anche in Francia, in Belgio, in Inghilterra, dove si mostrò un osservatore attento della realtà sociale, culturale ed economica. Nel suo Epistolario si legge che nel dicembre 1830 si propose al padre come amministratore delle proprietà terriere della famiglia. Il tirocinio agrario del Conte di Cavour cominciò quindi nelle Langhe, a Grinzane per estendersi in seguito alle proprietà familiari di Leri, nel Vercellese, specializzate nella coltivazione del riso. Il compito del giovane Cavour era quello di rendere remunerativa l’attività delle tenute. A interessarlo particolarmente era l’economia legata all’agricoltura, il modo di far rendere le coltivazioni, la commercializzazione del prodotto. Con la sua intensa attività trasformò la fisionomia delle proprietà che gli erano state affidate. Quando iniziò la gestione di Camillo di Cavour, la tenuta di Grinzane si componeva di 200 ettari, vale a dire più della metà del territorio comunale. Comprendeva il castello, cinque cascine a mezzadria e un mulino dato in affitto. La tenuta di Grinzane aveva una caratterizzazione principalmente vitivinicola. Erano molti i terreni a vigneto e buone le posizioni delle vigne. Grandi erano le potenzialità per produrre degli ottimi vini, ma non si prestava nessuna cura per ottenere vini di qualità. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 215 CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI 185 Al suo arrivo, Camillo di Cavour trovò una situazione disastrata. Nel suo diario si legge come dopo aver richiamato il fattore ai suoi doveri, ed essendo quello recidivo nella sua trascuratezza, non avesse esitato affatto a licenziarlo in tronco. Al suo posto assunse invece Giovanni Bosco che considerava un uomo intelligente, attivo, ordinato. Effettivamente Bosco si mostrò una persona molto puntigliosa. L’importanza di contare su un agente fidato e capace si incontrerà anche nella scelta che intraprenderà Einaudi per i suoi poderi. Dell’agente di Cavour, Giovanni Bosco, sono rimaste centinaia di lettere nelle quali si trovano riferimenti puntuali sulla vita e sulla conduzione della tenuta e delle vigne. All’inizio del suo intervento a Grinzane, Camillo di Cavour trovò in pessimo stato anche la tinaia, punto fondamentale per la fermentazione del mosto e la vinificazione. Questa situazione in effetti si incontrava abbastanza spesso nelle cantine di quell’epoca ed è la ragione per cui il vino piemontese non riusciva a puntare in alto e a decollare veramente. Ad esempio nel 1835 il Piemonte esportava più di 129.000 ettolitri di vino comune, ma di vino di qualità superiore ne esportava solo 19 ettolitri e appena 7.900 bottiglie. Inoltre il Piemonte non esportava molto distante i suoi vini. La quantità più considerevole veniva inviata nel territorio asburgico della Lombardia. Camillo di Cavour aveva una visione molto diversa di che cosa avrebbero dovuto essere non solo i vini di Grinzane, ma anche i vini di tutto il Piemonte. Chiamò allora come enologo il generale Paolo Francesco Staglieno, singolare artefice della nuova enologia piemontese ottocentesca. Il Generale Staglieno fu uno sperimentatore, un innovatore che si distinse per una visione molto chiara sulla produzione e sulla commercializzazione del vino di qualità. In una situazione di generale confusione viticola, insisteva sul fatto che è fondamentale studiare le proprietà dei diversi vitigni e la loro maggiore o minore attitudine a dare vini di pregio. Bisogna ricordare che fino a quel momento i vini del Piemonte si distinguevano per un carattere abboccato o dolce. Al contrario, il vino “ottimo” secondo Staglieno era un vino completamente secco, limpido, trasparente, generoso, alcolico, gradevole al palato. Questi sono assolutamente i basilari presupposti per la nascita dei grandi vini rossi piemontesi da invecchiamento. I vini della tenuta di Grinzane si spedivano per il consumo della famiglia Cavour a Torino, a Santena, a Leri, in abbinamento con i risotti fumanti. Ma i vini di Grinzane avevano anche una buona clientela rappresentata da alberghi, case dell’aristocrazia, vari privati. Il successo che Camillo Benso di Cavour ottenne nella produzione dei suoi vini fece della tenuta di Grinzane un importante modello, che permise di mostrare come fosse possibile applicarsi concretamente e con orgoglio allo sviluppo dell’agricoltura e in particolare della viticoltura, ottenendo dei buoni risultati economici e di immagine. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 216 186 GIUSI MAINARDI 3 - CAVOUR, L’ASSOCIAZIONE AGRARIA SUBALPINA E LA REALE ACCADEMIA D’AGRICOLTURA La percezione sempre più consapevole dell’importanza dell’agricoltura nell’economia e nella vita politica e sociale del Piemonte portò alla fondazione dell’Associazione Agraria Subalpina. La sua attività a Torino si aprì ufficialmente il 31 maggio 1842. Gli obiettivi principali erano l’incremento dell’agricoltura, il miglioramento delle tecniche agrarie, la tutela degli interessi agrari, lo sviluppo di tutti i settori in rapporto con l’agricoltura. Camillo di Cavour ebbe una parte rilevante nella stesura degli statuti dell’Associazione e fin dall’inizio fece parte del Comitato direttivo. Dal 31 marzo 1849 divenne poi uno dei più celebri soci della Reale Accademia d’Agricoltura di Torino, sorta nel 1785 come Società agraria e tre anni dopo riconosciuta come Reale Società Agraria. Si era alla fine degli anni ‘40 del 1800. Furono quelli gli anni in cui Cavour entrò in politica attivamente e con incarichi sempre più importanti. Aveva evidentemente meno tempo per interessarsi direttamente delle tenute familiari, ma nella sua nuova posizione continuò ad adoperarsi per promuovere e facilitare lo sviluppo dell’agricoltura e dell’enologia. Nell’ottobre 1850 fu nominato Ministro dell’Agricoltura, Commercio e Marina; nell’aprile 1851 diventò anche Ministro delle Finanze; nel novembre 1852 fu Presidente del Consiglio dei Ministri, con i due portafogli delle Finanze e dell’Agricoltura e Commercio. Nella sua politica sostenne il libero scambio sul piano internazionale. Questo avrebbe stimolato il commercio e facilitato le esportazioni dei prodotti tipici piemontesi come riso, seta e vino. In tale ambito divenne artefice di una strategia di promozione dell’agricoltura, del commercio, dell’industria e delle vie e dei mezzi di trasporto. Incoraggiò e favorì la produzione nazionale aprendole i mercati internazionali, firmando in un solo anno accordi commerciali con dieci importanti Paesi esteri. La sua politica riscosse dei buoni risultati. Negli anni 1857-60 aumentarono la quantità e il valore dell’esportazione del vino piemontese. Nel periodo della sua attività come Ministro dell’Agricoltura, scoppiò una grave crisi viticola: nel 1851 il vigneto piemontese subì il violento attacco dell’oidio. Cavour, come Ministro e soprattutto come uomo di diretta e provata esperienza viticola, si mostrò subito coinvolto e interessato. Era consapevole che il vigneto piemontese e l’economia ad esso collegata si trovavano in estremo pericolo. All’inizio dell’agosto 1851 si rivolse all’organismo che riteneva in grado di dare un aiuto razionale e concreto in quel difficile momento. Così incaricò ufficialmente la Reale Accademia d’Agricoltura di Torino di studiare la malattia, ricercarne la natura e le cause ed il modo di combatterne gli effetti. La Commissione dell’Accademia fornì la sua risposta con rimarchevole volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 217 CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI 187 rapidità, segnalando - fin dal settembre 1851 - la solforazione dei vigneti come metodo efficacissimo di prevenzione e le sperimentazioni seguite dalla Commissione negli anni seguenti lo confermarono e ne favorirono l’adozione da parte dei viticoltori. 4 - EINAUDI: PROFESSORE, PRESIDENTE, VITICULTORE Si è visto come nel 1832, a 22 anni, Cavour avesse iniziato a gestire le proprietà terriere della sua famiglia. In condizioni diverse, ma con la stessa passione e praticamente alla stessa età, si dedicò ai problemi legati ai temi agrari un altro illustre economista: Luigi Einaudi (1874-1961), laureato in Giurisprudenza, docente al Politecnico di Torino e all’Università Bocconi di Milano, Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio nel IV Governo De Gasperi, Governatore della Banca d’Italia tra il 1945 e il 1948, Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955. Nel 1897, a 23 anni, Luigi Einaudi si impegnò, indebitandosi, nell’acquisto del podere di San Giacomo, a Dogliani, trovando (proprio come Cavour) delle condizioni difficili, delle quali era perfettamente consapevole. Nel 1894 aveva già messo a punto la sua “Monografia economico-agraria del comune di Dogliani”, che riprende un articolo sulla “Distribuzione della proprietà fondiaria in Dogliani”, che aveva pubblicato nel 1893, a 19 anni, sulla “Gazzetta di Dogliani”. In quel testo analizzava i cambiamenti fondiari intercorsi a Dogliani in 100 anni, dal 1793 al 1893, riscontrando come i proprietari fossero passati da 638 a 1299 e come i grandi proprietari (con più di 38 ettari) fossero ormai in minoranza rispetto ai proprietari medio-piccoli (da 1,5 a 2,5 ettari). Spiegava che alla base di questo cambiamento stava una nuova concezione dei prodotti agrari, precedentemente destinati al consumo locale e familiare e non destinati - se non in minima parte - alla vendita. In particolare notava che, dalla metà del 1800, proprio la vite era diventata protagonista di una nuova economia, rappresentando una coltura sempre più specializzata. In questo studio troviamo la bella descrizione di Dogliani, presentato come un paese incastonato in una zona viticola molto vocata, ed anche le concrete osservazioni, non solo economiche, ma anche colturali ed enologiche, sul vitigno predominante in Dogliani: il ‘Dolcetto’. Einaudi illustrava anche le ragioni del buon successo di questo vitigno in quelle terre marnose e argillose, spiegando pure le differenze fra i vini ottenuti dal ‘Dolcetto’ coltivato in terreni marnosi, di maturazione più pronta, e quelli ottenuti in terreni argillosi, di maturazione più lenta e di più lunga conservazione. Poco tempo dopo, le sue riflessioni sulla realtà di Dogliani si allargarono a tutta la realtà piemontese in un bellissimo articolo di ben 34 pagine pubblicato in francese, intitolato “Les formes et les transformations de l’économie agraire du Piémont”, uscito nel 1897 sulle pagine della rivista parigina “Le volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 218 188 GIUSI MAINARDI Devenir Social - Revue internationale d’économie, d’histoire et de philosophie”. In questo lavoro presentava una riflessione sulle caratteristiche del Piemonte diviso nelle fasce montana, di pianura e collinare, ognuna con diverse risorse e impostazioni agrarie. La vigna secondo Einaudi è il più grande e il più fecondo prodotto delle colline piemontesi, ma richiede una cura assidua, costante, amorevole da parte del contadino che la coltiva. Parlando dei cambiamenti intercorsi nella trasformazione della proprietà agraria, citava proprio il conte di Cavour come esempio di rappresentante di una famiglia aristocratica che aveva incitato a non affrettarsi a vendere le proprie terre. Era invece quello che facevano, sorde alle calde esortazioni del conte di Cavour, molte famiglie nobiliari dell’epoca, troppo disinteressate alla vita dei campi e più interessate ai pettegolezzi e alla vita della corte. Proprio dal frazionamento dei grandi possedimenti, notava Einaudi, era nata la piccola proprietà e contemporaneamente nuove realtà si erano concretizzate. Era avvenuta una gigantesca trasformazione nelle condizioni di mercato e dell’economia agraria con la costruzione di nuove strade carrozzabili e l’ampliamento delle ferrovie che avevano trasformato e allargato il mercato strettamente locale. Neanche a dirlo, queste trasformazioni avevano visto come convinto sostenitore proprio Cavour. Si erano aperte così nuove vie al commercio del vino e parallelamente la coltivazione della vite era diventata intensiva e preponderante. Ma ahimè, ecco arrivare dei momenti molto difficili. I prezzi dei vini piemontesi crollarono per la presenza dei vini meridionali, che, avendo perso il mercato francese, cercavano un nuovo sbocco, proponendosi a prezzi molto bassi. Questa fu una prima ragione che determinò il crollo del prezzo delle uve, ma a questa si aggiunse pure l’invasione delle malattie che attaccavano le vigne. Era sempre più difficile e oneroso difendersi. Molti furono costretti a vendere i loro fondi, specialmente perché non in grado di vinificare le proprie uve e costretti a venderle ai prezzi bassi imposti dalle case vinicole. La piccola proprietà nonostante tutto aveva resistito e la comparsa di nuovi segni incoraggianti faceva dire a Einaudi che dagli uragani che minacciavano di morte il piccolo proprietario si vedevano già apparire le prime aurore di un nuovo equilibrio economico, che sarebbe stato loro favorevole. Pochi mesi dopo l’uscita di questo articolo, Einaudi si impegnava nell’acquisto della Tenuta di San Giacomo, in due vendite all’incanto il 19 agosto e il 1 dicembre del 1897. La proprietà contava circa 40 giornate piemontesi. 5 - EINAUDI, PROPRIETARIO DI “SAN GIACOMO” San Giacomo era un’antica proprietà dei conti Marenco di Castellamonte. L’ultima erede l’aveva lasciata al sacerdote Don Veglio. Questi decise subito di metterla in vendita, considerate le condizioni in cui si trovava: l’imponente volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 219 CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI 189 fabbricato settecentesco aveva un gran bisogno di restauro, le vigne erano diradate e devastate dalla fillossera. Era un momento difficile per la viticoltura delle Langhe, i prezzi delle uve erano bassi e la fillossera imperversava, eppure Einaudi decise di indebitarsi comprando delle terre vitate. Perché? Proprio fra le righe del suo articolo sul “Devenir social” si intravedono le considerazioni che lo spinsero a questa azione. Due sono le ragioni principali: una era il frutto di un’analisi economica che lo portava a considerare che, dopo gli uragani, stavano per apparire delle aurore e vari segnali indicavano che il periodo dei prezzi bassi in agricoltura stava terminando e che era quindi il momento di comprare, anche indebitandosi. L’altra ragione era frutto di un modo di sentire la terra tramandato in Piemonte di generazione in generazione. È un sentimento che venne trasmesso a Luigi Einaudi dalla famiglia, dai nonni e dallo zio materno che sua madre gli aveva sempre indicato come esempio, in mancanza del padre, prematuramente scomparso. Nell’articolo sul “Devenir social” era apparsa la considerazione amara che alcuni proprietari avevano dovuto alienare i propri beni. Questa era una situazione che Einaudi aveva vissuto personalmente. Quando suo nonno, in seguito ad anni difficili, aveva dovuto vendere le proprietà terriere il fatto era stato vissuto in famiglia come una terribile disgrazia. Chi conosce l’ambiente contadino piemontese sa quanto la terra sia stata e sia importante. La terra è fonte di sostentamento, ma è anche molto di più. È una “sponda”, è un sostegno morale, è una radice, è una identità, è una gratificazione, è orgoglio. Luigi Einaudi aveva respirato quest’aria. Non aveva bisogno della terra per vivere, il suo lavoro era un altro, ma ne sentiva comunque l’attrazione. Ricomprare dei terreni, come già aveva fatto lo zio materno, dando gioia a tutti i familiari, significava piantare nuove radici, recuperare una tradizione e rendere completa la propria identità. Naturalmente era convinto anche del successo economico dell’impresa, se questa fosse stata gestita con oculatezza, perché credeva nelle potenzialità dei vini del Piemonte. Dopo le terre di San Giacomo, nei primi anni ‘20 ci furono gli acquisti degli Abbene e del Tetto Protto, poi negli anni ‘50 gli acquisti di 13 giornate fuori Dogliani, nel comune di Barolo. Dalle prime 40 giornate, Einaudi passò a ben 254 nel 1961. I suoi primi interventi, guardati con curiosità e diffidenza dai compaesani, iniziarono dal reimpianto dei vigneti con barbatelle innestate su piede americano e con l’eliminazione delle colture che si praticavano tra i filari. Il suo grande lavoro si estese alle strade che dovevano servire i vigneti e le cascine, allo studio diretto per la realizzazione di fabbricati rustici, all’avvio della cantina, perché Einaudi riteneva che un’azienda di certe dimensioni avesse più convenienza a non vendere le uve, ma a produrre e vendere il proprio vino. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 220 190 GIUSI MAINARDI 6 - EINAUDI E L’ECONOMIA AGRARIA APPLICATA Come avviene per la conoscenza della vita quotidiana della tenuta di Cavour a Grinzane, anche nel caso dei Poderi Einaudi sono molto vive e interessati le lettere scritte dall’incaricato della direzione dei poderi: Giovanni Bersia. Einaudi, come già aveva fatto Cavour, scelse bene la persona alla quale affidare questo compito. Giovanni Bersia, dal 1910 fino alla sua morte nel 1939, fu l’infaticabile collaboratore di Luigi Einaudi. Nell’intestazione delle sue lettere si legge la qualifica di “enotecnico”. Bersia si era infatti diplomato alla Scuola enologica di Alba nel 1893. Ma non si era fermato a quel titolo e in una lettera del 1915 era molto orgoglioso di comunicare al Professore che tra non molto sarebbe diventato anche perito agronomo legalmente riconosciuto. Proprio attraverso le sue lettere si seguono le attività nelle vigne, in cantina, sui mercati. Si legge di memorabili grandinate nel 1912 e del sollievo di vedere illese le cascine Vallero e Nido, oppure delle grandi nevicate del febbraio 1915 che limitarono gli impianti delle nuove viti, i lavori alla vigna della Meira, la grave diffusione delle malattie crittogamiche del giugno 1915. Si seguono le necessità di acquisto di botti e il loro prezzo, le disposizioni sui travasi del vino, le richieste di autorizzazione all’acquisto di damigiane. Vi troviamo anche informazioni sull’andamento delle vendite dei vini, l’invio dei vini per il consumo della famiglia a Torino e nelle località di villeggiatura e, con uno spirito molto concreto, troviamo l’invito di Bersia al Professore affinché recuperi e rispedisca il fustame vuoto e le bottiglie vuote che costano ben 4 lire l’una! Vediamo anche le tipologie e i prezzi dei vini: l’immancabile Dolcetto, portabandiera di Dogliani, ma anche Barbera, Grignolino e Dolcetto nebiolato, Nebiolato bianco e rosso e anche Barolo, vino passito e Tockaj (sic!). Si legge dei prezzi bassi dei vini nel 1925 (tranne che per Grignolino e Barolo) e si trovano i listini praticati ai clienti e i prezzi di favore applicati ai familiari; si segue la richiesta di approvazione per le etichette, si vedono i lavori di miglioramento degli stabili, la costruzione di strade, l’analisi delle spese sostenute. Einaudi è costantemente e direttamente informato di quello che avviene nelle sue terre, ovunque si trovi, a Torino, a Roma o in vacanza. Il suo giudizio è sempre indispensabile. Continua a riflettere sulle esperienze in atto nei suoi poderi e, negli anni ‘40, nel “Memoriale per stabilire le regole generali per l’amministrazione di un’azienda agricola a vigneto nelle Langhe (Dogliani 1942-1943)”, presenta le sue riflessioni sulla mezzadria e sul suo ruolo di stimolo alla collaborazione con il proprietario, fa calcoli sulla quota di deperimento dei vigneti, sulle necessità di reimpianti e di continui investimenti nel mantenimento e nel miglioramento dei poderi. Furono riflessioni che si rivelarono di grande precisione e lucidità, tanto che il Prof. Mario Einaudi, figlio primogenito di Luigi Einaudi, nel 1977, in un intervento all’Accademia di Agricoltura di Torino, disse che in tutti i 64 anni di attività agraria, suo padre fu sempre in grado di ricavare dalla terra tutto il capitale necessario alla vita e al rinnovamento dell’azienda. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 221 CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI 191 BIBLIOGRAFIA ARCHIVIO STORICO FONDAZIONE EINAUDI, Torino. Luigi Einaudi (1874-1961). Sezione 2 Corrispondenza. “Bersia Giovanni. Dogliani (Cuneo)”. Lettere 1904-1939. BERTA P., MAINARDI G. - 1997 - Storia regionale della Vite e del Vino in Italia - Piemonte. Unione Italiana Vini, Milano, I. BERTA P. - 2004 - Una tenuta nobiliare del 1800: il podere di Grinzane del conte di Cavour. In: Il vino piemontese nell’Ottocento. Atti dei convegni storici OICCE 2002-2003. OICCE-Edizioni dell’Orso, Alessandria, I, 25-45. CAVOUR C. – 1962 - Epistolario, vol.1 (1815-1840) - Zanichelli, Bologna, I. CAVOUR C. - 1991 - Diari (1833-1856), a cura di A. Bogge, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, Ufficio centrale per i Beni Archivistici, Roma, I. EINAUDI L. - 1988 - Memoriale per stabilire le regole generali per l’amministrazione di un’azienda agricola a vigneto nelle Langhe (Dogliani 1942-1943). In: Pagine doglianesi. Bottega del Vino Tipografia Bruno, Dogliani, CN, I, 41-109. EINAUDI L. - 1894 - Monografia economica e agraria del Comune di Dogliani. Bollettino del Comizio agrario di Mondovì, Tipografia e Libreria G. Issoglio, Mondovì, CN, I. EINAUDI L. - 1897 - Les formes et les transformations de l’économie agraire du Piémont. Le Devenir Social - Revue internationale d’économie, d’histoire et de philosophie, Paris, F, 311-345. EINAUDI M. - 1977 - Luigi Einaudi agricoltore, 1897-1961. Annali Accademia di Agricoltura di Torino, 119, 131-149. FAUCCI R. - 1986 - Luigi Einaudi. Utet, Torino, I. GAY EYNARD G. - 2004 - Cavour ministro. Accademia d’Agricoltura e arrivo di nuove malattie nel vigneto: l’oidio. In: Il vino piemontese nell’Ottocento. Atti dei convegni storici OICCE 20022003. OICCE-Edizioni dell’Orso, Alessandria, I, 65-81. LISSONE S. - 1910 - Cavour agricoltore. Tip. F.lli Isoardi, Cuneo, I. MAINARDI G. - 2003 - Camillo Benso di Cavour. I vini di un grande statista. In: Le residenze del vino. Regione Piemonte, Torino, I, 21-24. MARCHIONOTTI R. - 2000 - Luigi Einaudi. In: La scuola di economia di Torino, 1893-1940. Einaudi, Cabiati, Jannaccone e gli altri. Centro di studi sulla Storia e i metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni”, Torino, I. MATTIROLO O. - 1931 - Il conte di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino. Società Tipografico-Editrice Nazionale, Torino, I. ROMEO R. - 1984 - Cavour e il suo tempo. Laterza, Roma-Bari, I. SILENGO G. - 1979 - Le lettere del fattore di Cavour da Grinzane. 1847-1852. Quaderni dal Castello di Grinzane. Tipolitografia Toso, Torino, I. STAGLIENO P. F. - 2003 - Istruzione intorno al migliore modo di fare e conservare i vini in Piemonte. OICCE-Edizioni dell’Orso, Alessandria, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 222 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 223 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA MEMORIA DEL PROF. GIOVANNI PAVANELLI* presentata all’Adunanza extra mœnia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011 RIASSUNTO: Il lavoro analizza l’attività svolta da Luigi Einaudi in qualità di giornalista e opinion maker in età liberale, con particolare riferimento alla sua collaborazione a La Stampa e al Corriere della Sera. La prima parte si sofferma sullo stile giornalistico e le capacità argomentative e persuasive di Einaudi, sul suo seguito presso l’opinione pubblica, sulla sua strenua riaffermazione e difesa dei valori dell’iniziativa individuale, del mercato e della concorrenza. Una sezione successiva ricostruisce i principali nodi tematici affrontati durante la collaborazione alla Stampa tra il 1896 e il 1902: le lotte del lavoro, i rapporti con il socialismo, l’emigrazione, la finanza pubblica. Vengono di seguito richiamati gli scritti einaudiani sul Corriere in età giolittiana, il sodalizio con Luigi Albertini, direttore del giornale milanese, l’azione tenace di propaganda svolta dall’economista torinese durante il primo conflitto mondiale con l’obiettivo di convincere le famiglie italiane a ridurre i consumi e a sottoscrivere titoli di Stato, il suo impegno nel promuovere la ricostruzione del paese nel primo dopoguerra fino alla forzata interruzione nel novembre 1925 quando il regime fascista assunse il controllo del Corriere. Summary: Economic discourse and public opinion in the liberal age: Luigi Einaudi’s work as columnist at “La Stampa” and “Corriere della Sera” This essay analyses Luigi Einaudi’s work as columnist and opinion maker at La Stampa and Corriere della Sera during the “liberal age”. A first section investigates Einaudi’s journalistic style, focussing on his ability to persuade, his following among the public, his strenuous defence of the principles of market economy and free competition. It then analyses the main themes tackled by Einaudi during his work at La Stampa between 1896 and 1902: the labour relations, the role of socialism, emigration, public administration and finance. Further sections analyse the main issues raised by Einaudi in his articles in Corriere before World War I, his cooperation with Luigi Albertini, the chief editor of the journal, the work of propaganda he enacted during the war in order to convince the Italian households to subscribe Treasury bills, the “reconstruction programme” devised by Einaudi after the war, his decision to leave the Corriere in November 1925, when the control of this newspaper was seized by the fascist regime. *Dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Matematico-Statistiche, Università di Torino. E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 224 194 GIOVANNI PAVANELLI 1 - LUIGI EINAUDI GIORNALISTA E OPINION MAKER Nei primi mesi del 1896, poco più che ventenne e ancora fresco di laurea, Einaudi iniziava la sua lunga attività professionale in campo giornalistico assumendo l’incarico di redattore presso la Stampa-Gazzetta Piemontese (Firpo, 1970; Faucci, 1986, pp. 48-55; Bianchi, Giordano, 2010). Un impegno gravoso ma stimolante, che comportava, come avrebbe rievocato molti anni più tardi (Einaudi, 1945) lo studioso torinese: “articolar dispacci, fabbricar titoli e sottotitoli, sforbiciare ed aggiustar notizie […] disporre all’ultimo momento, all’una, alle due, alle tre di notte le ultime notizie sulla plancia del bancone di tipografia, misurar collo spago i pezzi tipografici per vedere quanta roba entrava e quanta doveva essere scorciata o scartata. Bel lavoro, interessante, che nessuno al mondo mai ha insegnato ed insegnerà mai, mestiere che, alla pari di ogni altro lavoro di intuizione, si impara facendolo”. Il lavoro puramente redazionale venne affiancato ben presto da quello di collaboratore, un compito nel quale dimostrò spiccate attitudini e che si tradusse in un numero crescente di articoli: circa 400 tra il 1896 e il 1903. Dopo i primi interventi, prevalentemente di circostanza, il giovane Einaudi affrontò direttamente alcuni tra i principali nodi problematici dell’economia e della società italiana del suo tempo: le lotte del lavoro, il ruolo del socialismo, la finanza pubblica, l’emigrazione. Alla fine del 1902, tuttavia, i rapporti con il quotidiano torinese si interrompevano e nel gennaio dell’anno successivo Einaudi iniziava a scrivere assiduamente sul Corriere della Sera di Luigi Albertini. Si trattò di un passaggio sul quale pesarono indubbiamente dissensi sulla linea editoriale: La Stampa, all’epoca diretta da Luigi Roux, autorevole editore torinese e, dal 1898, senatore del Regno, guardava con favore a Giolitti, laddove Einaudi non nascose mai la sua netta opposizione nei confronti dello statista di Dronero. Ben più attraente appariva la prospettiva di collaborare con Albertini, con il quale Einaudi era in contatto già a partire dai primi anni novanta in virtù della comune frequentazione del “Laboratorio di economia politica” di Torino e che nella veste di direttore e gerente stava rinnovando con tenacia e capacità il quotidiano di via Solferino, trasformandolo nel più importante giornale della penisola. A unire i due vi era del resto, oltre all’apprendistato scientifico presso il “Laboratorio”, una condivisione dei principi di fondo del liberalismo e una comune concezione della stampa quotidiana quale vettore insostituibile di trasmissione delle idee (Faucci, 1986, pp. 55-59; Romani, 2012). La collaborazione al Corriere della Sera, protrattasi per quasi un quarto di secolo dal gennaio 1903 fino al novembre 1925, quando l’economista torinese cessò di scrivere su quel giornale a seguito dell’estromissione dalla direzione di quest’ultimo dei fratelli Albertini e del passaggio dello stesso sotto il controllo del regime (Moroni, 2008), assume un carattere di unicità nel campo dell’informazione economica in Italia. In questo arco di tempo, infatti, in virtù volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 225 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 195 di spiccate capacità comunicative e di una non comune efficacia di scrittura, Einaudi acquisì un seguito presso l’opinione pubblica italiana quale probabilmente nessun altro economista italiano ha avuto prima e dopo di lui. Egli utilizzò questo ruolo preminente di opinion maker per una convinta riaffermazione dei valori dell’iniziativa individuale, del mercato e della concorrenza e per la difesa del rigore in campo fiscale e monetario. Un tratto costante della mole di scritti pubblicati da Einaudi sul quotidiano milanese e, in larga misura, su La Stampa, è in effetti il continuo riferimento al pubblico dei lettori, nella convinzione che le scelte fondamentali del Paese dovessero essere sottoposte al vaglio di un dibattito che coinvolgesse la società civile (Pavanelli, 2012). La pubblica opinione doveva tuttavia essere guidata. Da questo punto di vista l’abilità argomentativa di Einaudi appare difficilmente eguagliabile: dovendo affrontare tematiche complesse quali un progetto di riforma, i provvedimenti a favore di determinati settori produttivi, l’andamento della circolazione monetaria e dei tassi di cambio, il metodo seguito dall’economista torinese è, di regola, quello di fornire al lettore in primo luogo, con chiarezza e rigore, gli elementi conoscitivi più rilevanti, i punti di vista e le ragioni delle forze in campo. Una volta definito il quadro nei suoi aspetti principali, Einaudi enuncia la propria valutazione critica, l’esortazione a sostenere una particolare linea d’azione o ad opporsi ad essa (de Cecco, 2004). Traspare qui la lezione del grande giornalismo anglosassone e in particolare dell’ Economist, il prestigioso settimanale britannico al quale, è opportuno ricordarlo, Einaudi collaborò a lungo in qualità di corrispondente (Marchionatti, 2000; Berta, 2012), e, insieme a questa, l’attitudine, acquisita negli anni di formazione scientifica presso il “Laboratorio di economia politica”, all’analisi attenta e spassionata dei dati di fatto. A ciò si aggiunge il fatto che, come è stato osservato, Einaudi giornalista fu caratterizzato da un proprio stile letterario inconfondibile: uno stile che contribuì a renderlo lo scrittore di riferimento di una vasta platea di lettori (Faucci, 1986, pagg. 111-12). Con il passare degli anni gli interventi di Einaudi, pur senza perdere nulla in termini di rigore informativo, andarono assumendo sempre di più la natura della perorazione e della “predica”; una predica destinata a rimanere per lo più inascoltata, almeno nell’immediato, ma tuttavia necessaria e doverosa per l’intellettuale memore dei suoi obblighi verso la società.1 In questo quadro assume certamente un ruolo centrale il sodalizio intellettuale e professionale con Luigi Albertini. Si è detto della comunanza di visione tra i due. Albertini, tuttavia, fu sempre molto fermo nel far valere il suo ruolo di responsabile ultimo della coerenza e della continuità di indirizzo del giornale da lui diretto. Nelle sue lettere a Einaudi, accanto a un’incessante 1 “Prediche”, come è noto, fu il titolo apposto da Einaudi (1920a) a una raccolta di articoli, da lui scritti durante la prima guerra mondiale e il primo dopoguerra per La Riforma Sociale e per il Corriere. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 226 196 GIOVANNI PAVANELLI azione di stimolo e di sollecitazione sui temi da affrontare, egli intervenne più volte con determinazione per smorzare quelli che a suo giudizio si configuravano come spunti polemici eccessivi o comunque inopportuni alla luce di una particolare congiuntura politica o parlamentare. In qualche caso non esitò a rinviare al suo collaboratore il testo di un articolo, invitandolo a procedere ad una sostanziale revisione o a pubblicarlo senz’altro su un’altra rivista. Con riferimento alle scelte di politica doganale, in particolare, Albertini non condivise l’impostazione liberoscambista di Einaudi e fu riluttante a far assumere al Corriere posizioni che avrebbero potuto essere giudicate astratte o contrarie agli interessi dei ceti produttivi. È opportuno ricordare inoltre che, fino alla prima guerra mondiale, Einaudi fu affiancato, nel suo ruolo di commentatore delle questioni economiche del giorno, da Luigi Luzzatti, esponente politico ed accademico di primo piano, nonché tra i principali sostenitori della svolta protezionistica attuata in Italia negli anni ’70-’80 dell’Ottocento. Ciò poneva vincoli di non poco conto in relazione all’esigenza, che come si è accennato era fortemente sentita da Albertini, di garantire continuità alla linea editoriale del giornale, soprattutto con riferimento ai grandi temi, evitando bruschi cambiamenti di rotta che avrebbero suscitato sconcerto tra i lettori. Fino al primo dopoguerra, dunque, Einaudi condusse le sue battaglie liberoscambiste su altri organi di stampa, quali La Riforma Sociale e L’Unità di Salvemini. Nel corso del suo lungo sodalizio con Albertini, Einaudi firmò solo una parte degli innumerevoli articoli redatti per il Corriere; in genere quelli di carattere programmatico o che affrontavano temi di fondo della politica economica del tempo. In ogni caso, come si è accennato, il suo seguito presso il pubblico fu molto ampio. Sono significative a tale proposito le testimonianze dei contemporanei: nel 1917 Umberto Ricci attribuiva a Einaudi il merito di insegnare sul Corriere della Sera l’economia politica a «migliaia di lettori» al punto che egli «[iniziava] ad essere ascoltato come un oracolo» (Ricci, 1917, p. 392). A sua volta Libero Lenti, studente alla “Bocconi” nel primo dopoguerra, nella vecchia sede di Largo Treves, affermava di serbare una memoria «vivissima» degli articoli einaudiani sul Corriere; articoli che spesso l’economista torinese terminava in aula dopo la lezione e portava di persona al giornale «ch’era a due passi» (Lenti, 1983, p. 45). Una testimonianza indiretta dell’eco suscitata dagli interventi di Einaudi è costituita dal gran numero di lettere inviategli nel corso degli anni da rappresentanti di associazioni, da esponenti della società civile o da semplici lettori e delle quali talvolta egli dette conto sul Corriere. Cosciente dell’importanza del ruolo da lui svolto come commentatore di scelte di policy sul più importante quotidiano della Penisola, Einaudi non esitava a rivolgersi da pari a pari ai politici e governanti del tempo, proponendosi in qualche caso come interlocutore diretto: «a noi duole assai», scriveva ad esempio nel maggio del ’14, «che il ministro non abbia a sufficienza tenuto conto delle considerazioni che furono qui esposte sul tema dei rapporti fra pro- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 227 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 197 tezionismo e trusts» (Einaudi, 1914b). E pochi mesi prima salutava con soddisfazione la decisione adottata dal ministro del Tesoro, Francesco Tedesco, di pubblicare integralmente i conti della tesoreria «in seguito ai pressanti inviti rivoltigli anche su queste colonne» (Einaudi, 1914a). Per quanto la visione e il quadro di riferimento analitico siano certamente molto diversi e per certi versi opposti, appare in effetti legittimo collocare idealmente Einaudi accanto al maggiore “persuasore” del Novecento, John Maynard Keynes. Lo stesso Einaudi del resto, prima di polemizzare a distanza con l’economista di Cambridge per la sua difesa dell’ozio in Economic Possibilities of our Grandchildren o per la possibilità di effettuare investimenti senza disporre di un risparmio preesistente (in The Means to Prosperity), aveva elogiato senza riserve, sulle colonne del quotidiano milanese, The Economic Consequences of the Peace, il duro atto di accusa nei confronti del trattato di Versailles pubblicato da Keynes nel 1919, presentandolo come un importante contributo volto a formare una «opinione pubblica mondiale» favorevole alla revisione delle clausole del trattato (Einaudi, 1920b).2 2 - LA COLLABORAZIONE A LA STAMPA Il settennio 1896-1902, tanto durò la collaborazione di Einaudi a La Stampa, si configura come un periodo indubbiamente cruciale per il paese: sono anni contrassegnati da scontri sociali e istituzionali culminati con la crisi di fine secolo e seguiti dall’affermazione del giolittismo. A livello economico il Paese riuscì a lasciarsi alle spalle l’eredità della grave crisi bancaria culminata nel 1892-93 con lo scandalo della Banca Romana e ad imboccare un processo di crescita dapprima incerto, poi sempre più vigoroso, destinato a perdurare fino alla prima guerra mondiale. È questo anche un periodo fondamentale per la formazione intellettuale di Einaudi che, accantonata una simpatia iniziale per il movimento socialista, venne rapidamente maturando una convinta adesione ai princìpi del liberalismo e, a livello professionale, poté coronare le proprie aspirazioni accademiche conseguendo nel 1902 la cattedra di scienza delle finanze presso l’Università di Torino (Faucci, 1986, pp. 37-42). Come si è accennato, uno dei temi cruciali degli articoli einaudiani su La Stampa in questi anni è costituito dalle “lotte del lavoro”, dalle rivendicazioni dei lavoratori nel settore manifatturiero e in quello agricolo. È il caso del noto reportage, pubblicato tra settembre e ottobre 1897, sugli scioperi nelle industrie tessili del Biellese. Inviato dal giornale in Val Sessera, epicentro delle agitazioni, il giovane Einaudi non si limita ad una cronaca degli avvenimenti ma richiama le caratteristiche strutturali del settore, l’andamento della congiuntura, le condizioni di vita dei lavoratori, soffermandosi in particolare sulle loro aspettative e aspirazioni. Gli operai del Biellese, osservava, erano per lo più 2 Non meno positivo fu il giudizio di Einaudi nei confronti di A Revision of the Treaty, pubblicato da Keynes nel 1922 (Einaudi, 1922a, p. 1). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 228 198 GIOVANNI PAVANELLI proprietari delle abitazioni nelle quali vivevano e possedevano qualche, sia pur minuscolo, appezzamento di terreno; inoltre i salari da essi percepiti erano tra i più elevati in Italia. Eppure il malessere era diffuso e il socialismo aveva messo piede in Val Sessera e nelle vallate contigue più che in altri luoghi: la ragione principale, rilevava Einaudi, era il bisogno, universalmente sentito dai lavoratori, di migliorare le proprie condizioni di vita in un contesto nel quale l’attività di fabbrica appariva eccessivamente logorante. Non a caso, le rivendicazioni alla base dello sciopero non erano di carattere economico ma erano legate all’esigenza di contenere in non oltre dieci ore il tempo di permanenza negli opifici (Einaudi, 1959a, pp. 40-62)3. Tre anni più tardi, nel dicembre 1900, fu sempre Einaudi ad assumere l’incarico di dar conto ai lettori dello sciopero generale proclamato nel porto di Genova a seguito di un decreto prefettizio di scioglimento della locale Camera del lavoro, controllata dai socialisti. Ancora una volta Einaudi non si accontenta di una semplice descrizione dei fatti o di emettere un giudizio a priori ma si preoccupa di analizzare il contesto nel quale era maturato lo scontro, delle ragioni e delle passioni dei protagonisti. Il lavoro nel porto, osservava l’economista torinese, era sì ben pagato, ma anche discontinuo; era dunque comprensibile che gli operai del settore esprimessero la domanda di organismi di mutua assistenza e di tutela dei propri interessi. Ora, a torto o a ragione, la Camera del lavoro era percepita come una importante istituzione di questa natura e il suo scioglimento un tentativo da parte delle autorità di privare i lavoratori di ogni forma di organizzazione rappresentativa. Lo sciopero era dunque da considerare una rivendicazione di «dignità civile» e una manifestazione di solidarietà. Certo, i danni provocati all’economia, non solo locale ma nazionale, data l’importanza del porto, erano molto gravi. Tuttavia, le responsabilità maggiori erano delle autorità politiche, che avevano optato per una prova di forza in un contesto già surriscaldato dalla propaganda socialista (Einaudi, 1959a, pp. 290-309). La riflessione einaudiana sugli scioperi si accompagna dunque strettamente a quella sulla natura e il ruolo dei primi sindacati, definiti con un termine di sapore arcaico, “leghe”. La maggior parte di questi organismi, osservava l’economista torinese, era nata in modo spontaneo, quale forma di organizzazione dal basso dei singoli lavoratori che, mossi dal legittimo desiderio di migliorare la propria posizione, si rendevano conto dal fatto che, nel contesto in cui si svolgeva l’attività produttiva, era opportuno avanzare le proprie rivendicazioni in modo «ordinato e collettivo» piuttosto che a livello individuale. Non stupisce dunque che Einaudi fosse contrario ad ogni intervento legislativo diretto a regolamentare e controllare dall’alto le leghe stesse. Il suo modello, una volta di più, era la Gran Bretagna dove, scriveva, 3 Il tema fu poi ripreso da Einaudi (1897) in un saggio più ampio pubblicato su La Riforma Sociale. Sul reportage einaudiano degli scioperi nel Biellese cfr. Faucci, 1986, pp. 50-52; Bianchi, Giordano, 2010, pp. 49-50. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 229 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 199 vi era «la massima libertà per tutti, operai e imprenditori, di associarsi per difendere i propri interessi» e nel contempo era possibile ritirarsi dalla lega quando, a livello individuale, non si riteneva più conveniente restare (Einaudi, 1901d). Nel caso di contese su salari e condizioni di lavoro, dunque, il compito di trovare una posizione di equilibrio doveva essere lasciato agli individui e alle loro organizzazioni. Il governo non doveva interferire o schierarsi con una delle parti in causa ma limitarsi a garantire l’ordine, la libertà del lavoro e il mantenimento dei servizi essenziali (Einaudi, 1900b; Einaudi, 1901a). Un altro tema frequente negli interventi einaudiani sulla Stampa è indubbiamente il confronto con il socialismo. Come si è accennato, negli anni giovanili, anche per l’influenza esercitata dalla lettura delle opere di Achille Loria, docente di economia all’Università di Torino, Einaudi simpatizzò per un breve periodo con il movimento guidato da Filippo Turati. Nel 1894, ancora studente, inviava alla Critica Sociale, il periodico fondato pochi anni prima dall’esponente politico milanese, una lunga lettera, pubblicata nel fascicolo di marzo, nella quale sollecitava il partito socialista a farsi promotore di provvedimenti in difesa della piccola proprietà fondiaria, vessata da condizioni jugulatorie per l’accesso al credito (Einaudi, 1894)4. L’approdo convinto, di lì a poco, al liberalismo fece sì che il rapporto con il socialismo si configurasse, anche su La Stampa, come un “contrasto fecondo di idee”, una competizione leale diretta a persuadere e a conquistare l’opinione pubblica e in particolare i ceti popolari (Einaudi, 1901b)5. Il punto centrale, scriveva in un impegnativo articolo comparso sul quotidiano torinese il 12 ottobre 1899, era quello di convincere i lavoratori che per accrescere il proprio benessere “non vi [era] altro mezzo se non accrescere la quantità di ricchezza prodotta” (Einaudi, 1899). Indubbiamente, un conto era avere a che fare con i tribuni esagitati dell’estrema sinistra dello schieramento socialista e un altro con gli esponenti dell’ala moderata. Da questo punto di vista Einaudi non nascose nei suoi interventi su La Stampa la propria stima intellettuale per Turati, descritto come «una delle menti più equilibrate» all’interno di tale movimento (Einaudi, 1901b). Un altro tema cruciale, destinato ad essere proseguito sul Corriere, fu quello dell’emigrazione. In alcuni efficaci interventi Einaudi denunciò la condizione di sfruttamento cui erano sottoposti gli emigrati italiani, spesso vittime di soprusi da parte delle autorità locali e dei loro stessi connazionali. Particolarmente dolorosa appariva la sorte di tanti fanciulli, soprattutto del Mezzogiorno, sottratti alle proprie famiglie e costretti a lavorare, in condizioni disumane, nelle vetrerie belghe e francesi: un “infame traffico” contro cui Ei- 4 Sui rapporti di Einaudi con il movimento socialista cfr. Faucci, 1982; Forte, 1982, pp. 190-250; Bianchi, Giordano, 2010, pp. 45-9. 5 Sul liberalismo di Einaudi cfr., tra gli altri, i recenti contributi di Giordano, 2006; Forte, 2009. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 230 200 GIOVANNI PAVANELLI naudi si scagliò in alcuni articoli, nella speranza che la sua denuncia trovasse eco nel Parlamento e nel governo (Einaudi, 1959a, pp. 350-367). Per migliaia di individui, tuttavia, l’emigrazione costituiva una straordinaria opportunità di riscatto e di promozione sociale: richiamando una tematica affrontata con grande maestria in Un principe mercante (1900) nelle sue pagine su La Stampa Einaudi documenta anche i tanti casi di emigrati che erano riusciti a conseguire posizioni di agiatezza o addirittura di preminenza nei rispettivi settori; l’auspicio dell’economista torinese era che si fosse alla vigilia della nascita di una «grande Italia transatlantica» creata dal lavoro dei nostri connazionali (Einaudi, 1959a, p. XII). Con riferimento ai temi più strettamente economici, si segnalano diversi articoli contro i dazi sul grano e, in generale, la politica doganale protezionista: un tema che, come si è accennato, sarebbe stato relegato in secondo piano sul Corriere (Einaudi, 1898; 1900a) . Diversi anche gli interventi con riferimento alla finanza pubblica e alla tassazione. Tra questi mette conto segnalare un articolo nel quale Einaudi stigmatizzava l’indifferenza con la quale era stato accolto un importante progetto di riforma tributaria elaborato da Leone Wollenborg: la convinzione diffusa, scriveva, era che un sistema di imposte farraginoso ma consolidato fosse comunque preferibile ad un sistema nuovo. Einaudi non condivide affatto questo punto di vista: un progetto di riforma, sia pure graduale, era necessario, se non si voleva lasciare il campo alle posizioni più estreme (Einaudi, 1901c). 3 - GLI ARTICOLI IN ETÀ GIOLITTIANA Negli oltre vent’anni durante i quali si andò sviluppando la sua collaborazione al Corriere, Einaudi redasse oltre 1700 articoli, molti dei quali firmati, nei quali affrontò le principali tematiche di politica economica e sociale del suo tempo (Pavanelli, 2012)6. Un nucleo significativo di questa mole di contributi documenta in modo efficace il processo di crescita imboccato dall’economia italiana ai primi del Novecento, dopo la grave crisi dei primi anni novanta. Una crescita i cui meriti Einaudi attribuì in primo luogo all’impegno di migliaia di piccoli e medi imprenditori e di operai che, lavorando in modo assiduo, senza invocare dazi protettivi o sovvenzioni da parte del governo, erano riusciti a far fronte alla crescente domanda di consumi all’interno e a competere sui mercati esteri. Un’influenza positiva era stata inoltre esercitata dal risanamento del settore bancario e dal riordinamento dei conti pubblici, conseguiti grazie a una politica di raccoglimento e all’adozione di pratiche amministrative e gestionali virtuose. Nessun merito specifico venne invece riconosciuto a Giolitti, il protagonista della vita politica italiana fino alla prima guerra mondiale, che Einaudi, come si è accennato, avversò per la sua tendenza al compromesso ad 6 Per un elenco per quanto possibile esaustivo degli scritti einaudiani sul Corriere cfr. Moroni, 2012. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 231 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 201 ogni costo e per la propensione ad un continuo ampliamento dell’area di intervento pubblico. Una riprova significativa della crescente operosità dell’Italia era data, osservava Einaudi, dal sostanziale incremento dell’interscambio commerciale, verificatosi a partire dai primi anni del nuovo secolo. L’Italia, rilevava l’economista torinese in un articolo pubblicato nel maggio del 1905, importava dall’estero quantità crescenti di prodotti greggi e semilavorati che venivano poi rielaborati dalle sue industrie (Einaudi, 1905a). «Non siamo più», sottolineava, «un paese puramente agricolo che esporta derrate agrarie ed importa manufatti, siamo anche un paese che vive di industrie sue e compra dall’estero materie prime per trasformarle». Per il momento, in effetti, le esportazioni non aumentavano con altrettanto vigore: si determinavano dunque deficit rilevanti e crescenti della bilancia commerciale che tuttavia non suscitano particolari preoccupazioni nell’economista torinese, convinto che si trattasse di squilibri momentanei, destinati ad essere appianati nel corso del tempo. La crescita vigorosa dell’economia reale fu accompagnata, in questi anni, dal persistere di un vivace confronto tra le parti sociali e dal rafforzamento delle organizzazioni sindacali e delle associazioni imprenditoriali. Come già nei suoi interventi su La Stampa, anche in questo caso Einaudi dette una valutazione tutt’altro che negativa di questi sviluppi. Entro certi limiti, le rivendicazioni operaie dirette a conseguire un miglioramento del tenore di vita erano da considerarsi un fattore che incentivava la razionalizzazione dell’apparato industriale (Einaudi, 1959a, p. XXII). L’importante era che lavoratori e datori di lavoro, attraverso le proprie associazioni di categoria, non tentassero di conseguire posizioni di privilegio o di instaurare un regime monopolistico. Accanto alle lotte sindacali uno dei temi centrali della riflessione einaudiana sul Corriere fu certamente quello della finanza pubblica. Grazie all’opera di risanamento compiuta negli anni precedenti e al buon andamento dell’economia, il bilancio dello Stato, ai primi del Novecento, appariva sostanzialmente in equilibrio e nel 1906 il governo poté attuare con successo la conversione della rendita, conseguendo un notevole risparmio sugli interessi pagati. Permanevano tuttavia numerosi nodi irrisolti, ad iniziare dalla necessità di riformare il sistema tributario, inefficiente e fortemente sperequato. Per quanto importante fosse un’azione in questo senso, peraltro, secondo Einaudi la via maestra per alleviare gli oneri che gravavano sui contribuenti italiani e per non compromettere le prospettive di crescita dell’economia avrebbe dovuto essere quella di un rigoroso controllo della spesa pubblica. La tendenza del governo, lamentava l’economista torinese, era invece quella di andare nella direzione opposta: in particolare, si assisteva a un continuo rigonfiamento degli organici del pubblico impiego per motivi clientelari e su pressione dell’apparato burocratico (Einaudi, 1960, pp. 316-27). E fu proprio l’esigenza, fortemente sentita, di difendere la stabilità dei conti pubblici e gli interessi dei contribuenti contro le continue pretese di in- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 232 202 GIOVANNI PAVANELLI numerevoli gruppi di pressione coalizzati a danno dell’erario a dettare all’economista torinese alcuni dei suoi interventi più efficaci. Basterà qui ricordare i numerosi articoli nei quali sottopose ad attenta analisi critica il sistema delle convenzioni marittime stipulate dal governo con le società di navigazione. Accordi essenziali per garantire i servizi postali e commerciali tra i vari porti della penisola che tuttavia, se mal congegnati, rischiavano di comportare aggravi eccessivi per il bilancio dello Stato (Einaudi, 1959b, pp. 346-76 e 532-4; 1960, pp. 346-53 e 427-45; Faucci, 1986, pp. 63-5). Se le convenzioni con le società di navigazione erano, entro certi limiti, giustificabili, altrettanto non poteva dirsi dei premi ai cantieri navali caldeggiati, oltre che dai diretti interessati, da alcuni esponenti del governo con l’obiettivo di favorire tale settore, considerato strategico. I premi, scriveva in un articolo dell’ottobre 1909, «sono un sovrappiù che armatori e costruttori intascano ben volentieri, come l’intascherebbe un qualunque industriale a cui lo Stato volesse benevolmente regalare qualche centinaio di mille lire o qualche milione all’anno; ma non sono la causa per cui possono fiorire l’industria dei cantieri e la navigazione» (Einaudi, 1909). Un altro tema rilevante negli articoli di Einaudi in questi anni, anche se in larga misura non ricompreso nelle Cronache, è costituito dall’analisi delle crisi, con particolare riferimento a quella del 1907 (Bonelli, 1971). Agli inizi del Novecento il mercato borsistico italiano era stato caratterizzato da forti rialzi delle quotazioni dei titoli; una tendenza che nel settore automobilistico aveva assunto ben presto ritmi frenetici. In una corrispondenza da Torino del 9 giugno 1905, Einaudi stigmatizzava tale fenomeno come una «febbre» speculativa analoga a tante altre verificatesi nel passato. Di per sé, il fatto che i risparmiatori si avvicinavano alle Borse era positivo: l’impiego dei capitali, tuttavia, doveva avvenire con moderazione, distinguendo tra settori già consolidati e «industrie nuove», nelle quali «la concorrenza non [aveva] ancora potuto ricondurre i profitti al livello normale». Tra queste vi era certamente quella dell’auto che era stata indubbiamente oggetto di manovre speculative (Einaudi, 1905b). Il movimento rialzista proseguì negli anni successivi fino all’ottobre del 1906, quando si verificò un brusco ribasso delle quotazioni innescato da manovre speculative sul titolo delle acciaierie Terni (Corbino, 1938, p. 394; Bonelli, 1971, p. 21). Su sollecitazione di Albertini, Einaudi dedicò al tema un ampio articolo che venne pubblicato con notevole rilievo sul Corriere ai primi di novembre (Einaudi, 1906a). In esso Einaudi ripercorreva le vicende del mercato azionario italiano dall’ondata rialzista dal 1903 fino alla stasi dei corsi determinatasi nel 1906; una situazione che aveva indotto gli operatori finanziari, in particolare coloro che si erano esposti in operazioni di riporto, ad esprimere critiche violente nei confronti dei ribassisti, accusati di congiurare contro il credito nazionale. I fattori alla base della crisi, scriveva Einaudi, erano tuttavia ben altri: un ruolo cruciale era stato svolto dall’aumento del costo del denaro in Europa e negli Stati Uniti, che non poteva non tradursi in una riduzione delle quotazioni dei titoli; nel giro di pochi anni, inoltre, era stato im- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 233 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 203 messo sul mercato un numero molto elevato di azioni: le banche, inizialmente disponibili a prendere a riporto senza difficoltà questi titoli, erano divenute più caute, costringendo a «vendite affrettate» gli operatori maggiormente esposti. L’articolo, molto apprezzato dai lettori, fu seguito pochi giorni più tardi da un ulteriore contributo, commissionato da Albertini, che traeva spunto dagli sviluppi della speculazione sul titolo della Terni (Einaudi, 1906b). Nei mesi di ottobre e novembre del 1907 si assistette a un aggravamento della crisi a livello internazionale. Ad essere colpiti in questo caso furono, in primo luogo, gli Stati Uniti: in un articolo pubblicato il 18 novembre Einaudi (1907b) ricostruiva in modo dettagliato i fattori alla base dei crolli borsistici verificatisi a New York e in altre piazze finanziarie statunitensi oltreoceano dopo un periodo piuttosto prolungato di euforia e rialzi delle quotazioni7. Alcuni anni più tardi, nel 1912, i mercati borsistici furono nuovamente investiti da un ribasso delle quotazioni, che traeva origine dalla crisi politica nei Balcani. In un interessante articolo firmato8 l’economista torinese si soffermò sulla congiuntura negativa che si era venuta a determinare in conseguenza delle vicende politiche nell’Est europeo, raffrontandola con quella precedente (Einaudi, 1912). Anche se forse in numero inferiore a quanto sarebbe lecito attendersi, in considerazione della profonda passione dell’economista torinese per la terra e per le attività ad essa connesse, si segnalano in questi anni diversi interventi einaudiani sulle problematiche dell’agricoltura italiana, a iniziare dalla viticoltura. In un articolo pubblicato nel luglio del 1903, il nostro autore si soffermava sulla situazione di profondo disagio del settore vitivinicolo in Piemonte, colpito da condizioni meteorologiche avverse e da un forte ribasso dei prezzi delle uve (Einaudi, 1903). Pochi anni più tardi, nel gennaio del 1908, analizzava le preoccupazioni del settore per un prospettato eccesso di produzione a fronte di una domanda interna stagnante. Molti operatori, scriveva, avevano individuato l’àncora di salvezza nella distillazione del vino di seconda qualità e, dato che la tassa sulla fabbricazione di spiriti era piuttosto elevata, avevano avanzato pressanti richieste al governo per drastiche riduzioni della stessa. Pur comprendendo tali preoccupazioni, Einaudi non esitò a criticare la soluzione proposta: il governo non poteva accettare di arrecare «ferite gravissime» al suo sistema fiscale né poteva e doveva farsi «quasi garante» del prezzo del vino. La soluzione non poteva che venire in prima istanza dagli stessi viticultori: occorreva cercare di conquistare nuovi mercati nell’Europa centrale, vincendo la concorrenza francese e spagnola e nel contempo compiere ogni sforzo per migliorare la qualità della produzione: l’imperativo era «produrre soltanto del vino buono», limitando la quantità inviata periodicamente sul mercato (Einaudi, 1908a). Il concetto venne ribadito in un ulteriore 7 Sempre sul tema della crisi del 1907 cfr. Einaudi, 1907a; 1908c. Einaudi L. - “La crisi delle borse europee. Caratteristiche e confronti”, Corriere della Sera, p. 1. Rist. in Luigi Einaudi e il Corriere della Sera, vol. I, 381-6. 8 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 234 204 GIOVANNI PAVANELLI articolo sul tema pubblicato il 25 agosto dello stesso anno: “L’importante è che i viticultori si persuadano che essi devono trovare in sé stessi la fonte della salvezza, selezionando e perfezionando la produzione ed organizzandosi, in buon accordo con industriali e commercianti, per la vendita. Se a questo fine non gioverà, l’odierna crisi sarà passata invano” (Einaudi, 1908b). Un altro nodo cruciale per l’agricoltura italiana era costituito dalla produzione cerealicola. L’occasione per l’intervento venne fornita in questo caso dalla pubblicazione di un bollettino di statistiche agrarie italiane, curato da Ghino Valenti. Si trattava, rilevava Einaudi, di un contributo importante che aveva il pregio di confutare l’idea, radicata presso larga parte dell’opinione pubblica e a livello parlamentare, che in Italia la superficie riservata alla produzione di cereali fosse troppo bassa e che questa potesse essere aumentata riducendo le «terre incolte». I dati statistici rivelavano invece che in Italia l’estensione di terreno destinata a grano era «di gran lunga superiore a quella che ragionevolmente [avrebbe dovuto] essere». Si coltivava grano anche sulle pendici delle montagne, con rendimenti molto bassi, che riducevano anche la media generale. La responsabilità, una volta di più, era da attribuirsi all’ «elevata protezione doganale». In Gran Bretagna, dove vigeva il libero scambio, si coltivavano solo le terre più adatte e la resa per ettaro era molto superiore (Einaudi, 1910). 4 - LA PRIMA GUERRA MONDIALE, IL DOPOGUERRA, IL FASCISMO Come è possibile dedurre dai suoi scritti sul Corriere, in particolare nel 1912-13, in occasione della crisi balcanica, Einaudi era pienamente cosciente dei danni irreversibili che una guerra su larga scala avrebbe provocato alla delicata e complessa rete di scambi e relazioni internazionali in virtù della quale, in larga misura, era stata possibile la crescita economica dei decenni precedenti; al punto da auspicare che una valutazione razionale dei rispettivi interessi fosse sufficiente a scongiurare un conflitto generalizzato tra le potenze europee.9 Nel 1915, tuttavia, egli condivise la linea, promossa con forza da Albertini e dal Corriere, nonché da diversi esponenti dello schieramento liberale, favorevole a un intervento a fianco delle potenze dell’Intesa. Ciò in primo luogo per ragioni patriottiche: per Einaudi, come per molti intellettuali della sua generazione, la guerra contro l’Austria avrebbe permesso di portare a compi9 “Gli uomini di borsa”, scriveva nel gennaio 1913, “hanno per loro la convinzione, diventata oramai profondissima nel mondo bancario d’Inghilterra, di Francia e di Germania, che la guerra tra le grandi Potenze europee è oggi quasi impossibile a causa delle difficoltà finanziarie enormi a cui andrebbe incontro la condotta di una guerra europea. Se il semplice timore del teatro della guerra all’Austria ha potuto essere causa di danni gravissimi economici, cosa accadrebbe se la guerra scoppiasse sul serio? I ribassi nelle rendite austriache, ungheresi, tedesche e francesi furono l’ammonimento che i mercati finanziari dettero ai governanti: ammonimento di prudenza, che non fu dato invano” (Einaudi, 1913). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 235 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 205 mento il processo di riunificazione nazionale. Essa d’altra parte avrebbe determinato un rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia quale potenza di primo piano e avrebbe consentito di salvaguardare quei valori liberal-democratici che apparivano minacciati dal militarismo e dalle tendenze autoritarie dominanti negli Imperi centrali (Vivarelli, 1981, pp. 284-91). Era dunque necessario combatterla senza esitazioni, anche se i costi umani ed economici si rivelarono ben presto elevatissimi. Negli articoli scritti da Einaudi durante il conflitto la predica, l’esortazione austera e patriottica prevalgono su ogni altra considerazione: l’obiettivo prioritario, scriveva, era quello di ridurre al minimo i consumi privati; se possibile attraverso un’opera di moral suasion, se necessario mediante drastici provvedimenti legislativi (Einaudi, 1916). Anche gli investimenti in infrastrutture per usi civili dovevano essere sospesi. Le risorse così disponibili avrebbero dovuto essere raccolte mediante la tassazione nonché attraverso la sottoscrizione di cartelle del debito pubblico, per essere quindi impiegate nello sforzo bellico. Solo in questo modo sarebbe stato possibile evitare il ricorso a continui aumenti della circolazione, destinati a sfociare in processi inflazionistici incontrollabili. Date queste premesse, non sorprende che in questo periodo Einaudi abbia dedicato un numero rilevante di articoli ai prestiti nazionali (in totale cinque) promossi dal Tesoro nel quadriennio 1914-18 con l’obiettivo di reperire le risorse necessarie alla conduzione della guerra10. Con riferimento al primo prestito di un miliardo di lire deliberato nel dicembre 1914 quando ancora l’Italia non aveva abbandonato la sua posizione di neutralità, ad esempio, Einaudi faceva appello con la consueta eloquenza al patriottismo ma anche all’interesse dei risparmiatori segnalando il buon rendimento del nuovo titolo; una previsione, va detto, destinata ad essere smentita in occasione dei prestiti successivi, emessi a condizioni notevolmente più favorevoli (Einaudi, 1915a). In occasione del secondo prestito, promosso nel giugno 1915, invece, dopo aver enfatizzato il clima di fervore che si era creato nel Paese, stigmatizzava lo scarso impegno in proposito di molti imprenditori, che pure erano i principali beneficiari delle forniture militari (Einaudi, 1915b). Considerando i dati complessivi, commentava l’economista torinese, alla chiusura delle sottoscrizioni, i risparmiatori italiani avevano versato complessivamente circa due miliardi, a fronte di quindici della Germania e ventiquattro dell’Inghilterra. In condizioni normali il risultato sarebbe stato da reputarsi tutto sommato accettabile, tenuto conto delle notevoli disparità tra il reddito complessivo dell’Italia e quello delle potenze sopra menzionate. In tempo di guerra, tuttavia, due miliardi non potevano allontanare definitivamente il pericolo dell’inflazione. Il ceto politico ma anche gli intellettuali e, in primo luogo, gli economisti, dovevano rafforzare il proprio impegno per 10 Sui prestiti nazionali varati in occasione del primo conflitto mondiale cfr. Fausto, 1993, pp. 37; Fratianni, Spinelli, 1997, pp. 114-7. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 236 206 GIOVANNI PAVANELLI convincere i risparmiatori a sottoscrivere, utilizzando le ampie scorte di liquidità in circolazione (Einaudi, 1915c). L’azione di stimolo e di propaganda di Einaudi proseguì e anzi si intensificò nel 1917 e 1918: l’imperativo era far sì che il Paese superasse la difficile prova e ogni argomento retorico, si può dire, fu utilizzato per assicurare il successo dei prestiti presso il pubblico. Nel novembre del 1918, con la cessazione delle ostilità, l’Italia si trovò a dover affrontare problemi di portata senza precedenti: un debito pubblico elevatissimo e difficilmente sostenibile, aggravato da un pesante indebitamento nei confronti degli alleati; forti tensioni inflazionistiche causate dai continui aumenti della circolazione fiduciaria durante la guerra e nel primo dopoguerra; l’esigenza di procedere ad un lungo e difficile processo di riconversione dell’apparato industriale, in larga misura mobilitato per fini bellici; il reimpiego nelle attività produttive di migliaia di ex combattenti. In questo contesto, indubbiamente drammatico e complesso, Einaudi reagì con la consueta energia, moltiplicando i propri interventi sul Corriere e delineando un vero e proprio programma di ricostruzione economica e sociale del Paese che poneva al primo punto il risanamento della finanza pubblica e il ritorno alla stabilità monetaria. Era innegabile, rilevava Einaudi, che nella difficile situazione del primo dopoguerra il risanamento dei conti dello Stato non sarebbe stato possibile senza un aumento sensibile del gettito fiscale, un obiettivo raggiungibile solo ponendo mano al più presto a una riforma generale dello sperequato e inefficiente sistema di tassazione in vigore. A tale scopo l’economista torinese sostenne a più riprese (Einaudi, 1919c; 1919f) il progetto elaborato da Filippo Meda, ministro delle finanze nel gabinetto Orlando; un progetto indubbiamente innovativo, diretto a semplificare e razionalizzare il sistema delle imposte dirette e che non poté essere attuato soprattutto per la scarsa determinazione dimostrata dai governi del tempo (Fausto, 1993, pp. 58-61). Parallelamente a un aumento del gettito, occorreva procedere con decisione a una drastica contrazione delle spese: un imperativo che Einaudi non si stancò di ribadire, con accenti accorati, in tutti questi anni. «Se non si dà un gran colpo al timone dello Stato per virare di bordo », osservava ad esempio in un articolo pubblicato nel maggio 1919, «andiamo verso l’abisso. [...]. Bisogna che il ministro del tesoro si senta appoggiato dall’opinione pubblica nella sua diuturna, energica, spietata resistenza ad ogni spesa non assolutamente improrogabile e necessaria » (Einaudi, 1919e). Tra queste vi erano in primo luogo quelle militari: nella seconda metà del ’19 Einaudi denunciò a più riprese l’insostenibilità di tale voce di bilancio e l’esigenza di ridurne rapidamente l’ammontare11 sollecitando anche precisazioni dal governo. L’articolo provocò una 11 «Molte amministrazioni pubbliche vivono nel mondo della luna e seguitano a spendere, come se i denari non costassero nulla. Questo è un andazzo che non può durare. Bisogna porvi termine ad ogni costo. Il Governo deve ridursi sul piede di pace il più rapidamente possibile » (Einaudi, 1919h). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 237 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 207 dettagliata lettera di risposta del ministro della guerra del tempo, Ivanoe Bonomi, che venne pubblicata il 22 ottobre sempre sul Corriere con un commento dello stesso Einaudi (1920c; 1920d). Non meno importante era l’abolizione del prezzo politico del pane, considerato un provvedimento demagogico che gravava pesantemente sul bilancio dello Stato. Il risanamento dei conti pubblici, a sua volta, costituiva il presupposto necessario per la stabilizzazione del livello dei prezzi, da conseguirsi attraverso uno stretto controllo delle emissioni da parte della banca centrale. Come noto, Einaudi attribuiva il grave processo inflazionistico in atto all’eccesso di emissioni verificatosi durante il periodo bellico e negli anni successivi per far fronte ai crescenti fabbisogni del Tesoro e per effettuare salvataggi di istituti pericolanti (Einaudi, 1919g). La stabilità dei prezzi e l’equilibrio tra le entrate e le spese nel bilancio dello Stato, pur vitali, non erano comunque di per sé sufficienti a garantire la ripresa. Un punto ribadito più volte da Einaudi all’indomani del conflitto fu quello relativo all’esigenza di smantellare il farraginoso apparato di controllo messo in atto durante gli anni del conflitto. Occorreva «licenziare i padreterni», gli alti burocrati convinti «di avere la sapienza infusa nel vasto cervello» e lasciare che i diretti interessati fossero messi in condizione di produrre e di commerciare senza dover chiedere continuamente autorizzazioni e permessi (Einaudi, 1919a; 1919b). Tra le misure prioritarie in questa direzione vi era l’abolizione del controllo dei cambi, introdotto alla fine del 1917 da Nitti, una misura che secondo Einaudi (1919d) poneva vincoli spesso insormontabili all’acquisto di materie prime e di manufatti essenziali all’attività produttiva. Una volta liberalizzato il mercato, d’altra parte, gli imprenditori avrebbero dovuto mettersi all’opera senza avanzare ulteriori richieste di aiuto al governo. Non sorprende dunque che Einaudi criticasse a più riprese in modo netto le richieste di forte inasprimento dei dazi doganali avanzate a partire dal 1919 dalle associazioni degli industriali e dall’Assonime, sulla spinta dei settori che avevano prosperato durante la guerra all’ombra delle commesse statali. Con indubbia abilità l’economista torinese cercò di rompere l’apparente unità del fronte industriale in tema di politica doganale, ricordando che il protezionismo avvantaggiava solo una minoranza, sia pure agguerrita, del ceto imprenditoriale (Einaudi, 1921b). La maggioranza degli industriali non solo non aveva nulla da guadagnare da un inasprimento delle barriere tariffarie ma veniva anzi danneggiata da tale misura. Invece di protestare e fare sentire la propria voce, tuttavia, la maggioranza rimaneva inerte, lasciando il campo a un gruppo relativamente ristretto che aveva buon gioco a presentarsi come l’unico rappresentante legittimo dei ceti produttivi (Einaudi, 1921a). Lo scontro sociale in atto in quegli anni nel Paese, culminato nell’agosto 1920 con l’occupazione degli stabilimenti metalmeccanici da parte delle maestranze in Piemonte, Lombardia e Liguria e la prospettiva, che in alcuni momenti apparve imminente, di un rovesciamento dell’ordine costituzionale, determinarono un irrigidimento delle posizioni di Einaudi nei confronti del volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 238 208 GIOVANNI PAVANELLI partito socialista, apparentemente dominato dalle componenti massimaliste e rivoluzionarie. Di contro egli tacque di fatto sulle violenze squadristiche che insanguinarono l’Italia in questi anni, arrivando ad esprimere, nel 1921-22, valutazioni positive sul primo fascismo (Einaudi, 1922b). Dopo la “marcia su Roma” e la formazione del primo governo Mussolini, Einaudi giudicò positivamente, sia pure con qualche riserva, l’operato del ministro delle finanze Alberto De’ Stefani, al quale riconobbe il merito di aver perseguito una politica di bilancio rigorosa. Con il passare dei mesi, tuttavia, i metodi autoritari adottati dal governo Mussolini e la progressiva marginalizzazione del Parlamento lo portarono ad esprimere valutazioni sempre più critiche e preoccupate. Il malessere divenne opposizione aperta all’indomani del delitto Matteotti. In un noto articolo pubblicato il 6 agosto del ’24 l’economista torinese denunciava lo stato d’illegalità imperante, le continue violenze e minacce, la soppressione della libertà di stampa invitando apertamente il ceto imprenditoriale italiano, o almeno quella parte che non aveva bisogno per prosperare di favori governativi e lavori pubblici, a separare le proprie sorti da quelle del governo (Einaudi, 1924b). L’appello, forse tardivo, alle forze produttive del Paese fu inutile: nel gennaio del ’25 il confronto terminò con la sconfitta delle opposizioni e l’approvazioni di leggi speciali che abolivano la libertà di stampa. Il 28 novembre dello stesso anno, con il commiato di Luigi e Alberto Albertini dal loro giornale avrebbe avuto termine anche la collaborazione di Einaudi al Corriere. Veniva così forzatamente interrotto un progetto di informazione economica e civile e di formazione dell’opinione pubblica per più versi unico nella storia nel nostro Paese. Esso sarebbe stato tuttavia ripreso dallo stesso Einaudi diciotto anni più tardi, all’indomani della caduta del fascismo e in un contesto politico e istituzionale profondamente rinnovato. BIBLIOGRAFIA BERTA G.- 2012 - Un archetipo del giornalismo economico. In: Romani (ed.), 2012a, I, LXXXVIICXIX. BIANCHI G., GIORDANO A. - 2010 - Questione sociale, mercato e istituzioni: la collaborazione di Einaudi a La Stampa. Il Pensiero Economico Italiano, XVIII/I, 45-79. BONELLI F. - 1971 - La crisi del 1907. Una tappa dello sviluppo industriale in Italia. Fondazione L. Einaudi, Torino, I, 3-229. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 239 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 209 CORBINO E. - 1938 - Annali dell’economia italiana, vol. V. 1901-1914. Soc. An. Tip. Leonardo da Vinci, 1-523. DE CECCO M. - 2004 - Einaudi commentatore economico dell’età giolittiana. Rivista di Storia Economica, 20, 3, dic. EINAUDI L. - 1894 - L’azione del Partito Socialista nei paesi di piccola proprietà terriera. Critica Sociale, IV, 6, 16 marzo, 89-90. EINAUDI L. - 1897 - La psicologia di uno sciopero, La Riforma Sociale, IV, vol. VII, 15 ott., 93861. Rist. in Einaudi, 1924, 23-68 EINAUDI L. - 1898 - Il dazio sul frumento. La Stampa, 2 luglio, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 81-4. EINAUDI L. - 1899 - Il programma economico del Partito Liberale. La Stampa, 12 ottobre 1899, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 159-63. EINAUDI L. - 1900a - La questione del grano. La Stampa, 16 agosto, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 205-7. EINAUDI L. - 1900b - Il ritiro dei soldati da Molinella. La Stampa, 28 agosto, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 216-8. EINAUDI L. - 1900c - Un principe mercante. Studio sull’espansione coloniale italiana. Bocca, Torino, I, XVI-315. EINAUDI L. - 1901a - Una condotta onesta. La Stampa, 25 aprile, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 33941. EINAUDI L. - 1901b - Una parola di buon senso. La Stampa, 18 luglio, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 389-92. EINAUDI L. - 1901c - Un giusto dilemma. La Stampa, 24 luglio, p. 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 4003. EINAUDI L. - 1901d - Il riconoscimento delle leghe all’estero. La Stampa, 27 luglio, 1. Rist. in Einaudi, 1959a, 408-12. EINAUDI L. - 1903 - L’agitazione del Piemonte viticolo. Corriere della Sera, 23 luglio, 1. EINAUDI L. - 1905a - L’espansione commerciale italiana. Corriere della Sera, 8 maggio, 1. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 68-72. EINAUDI L. - 1905b - La speculazione automobilistica. Corriere della Sera, 9 giugno, 1. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 73-78. EINAUDI L. - 1906a - Il momento di Borsa. Corriere della Sera, 3 novembre, 1. Rist. in: Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 119-29. EINAUDI L. - 1906b - L’odierna crisi di Borsa ed i suoi insegnamenti. Corriere della Sera, 20 novembre, 1. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 130-7. EINAUDI L. - 1907a - Crisi di Borsa e crisi industriale. Corriere della Sera, 14 agosto, 1. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 174-82. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 240 210 GIOVANNI PAVANELLI EINAUDI L. - 1907b - Il ciclone americano, Corriere della Sera, 18 novembre, 1. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 183-94. EINAUDI L. - 1908a - La crisi vinicola. Corriere della Sera, 27 gennaio, 1. EINAUDI L. - 1908b - Un programma per i viticultori. Corriere della Sera, 25 agosto, 1. EINAUDI L. - 1908c - Dopo un anno. Corriere della Sera, 18 novembre, 1. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 202-9. EINAUDI L. - 1909 - I premi alla marina mercantile. Corriere della Sera, 8 ottobre, 1. Rist. in Einaudi, 1959b, 773-83. EINAUDI L. - 1910 - L’Italia coltiva troppo grano? Una rivelazione della nuova statistica agraria. Corriere della Sera, 23 luglio, 1. EINAUDI L. - 1912 - La crisi delle Borse europee. Caratteristiche e confronti. Corriere della Sera, 15 ottobre, 4. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 381-6. EINAUDI L. - 1913 - Il momento attuale dei mercati finanziari e le previsioni pel 1913. Corriere della Sera, 9 gennaio, 2. Rist. in: Romani (ed.), 2012a, I, 387-94. EINAUDI L. - 1914a - Dopo il discorso Sonnino. Per un rendiconto patrimoniale. Corriere della Sera, 16 febbraio, 1. Rist. in Einaudi, 1960, 624-7. EINAUDI L. - 1914b - L’industria zuccheriera e il regime della protezione. Corriere della Sera, 26 maggio, 1. Rist. in Einaudi, 1960, 716-720. EINAUDI L. - 1915a - La sottoscrizione al prestito nazionale. Corriere della Sera, 3 gennaio, 4. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 453-6. EINAUDI L. - 1915b - Il prestito nazionale. La proroga della sottoscrizione. Intorno a consigli e proposte di lettori. Corriere della Sera, 10 luglio, 2. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 464-72. EINAUDI L. - 1915c - Gli ammaestramenti del prestito di guerra. Corriere della Sera, 22 luglio, 2. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 478-83. EINAUDI L. - 1916 - Il commercio internazionale nei primi sei mesi della guerra italiana. Corriere della Sera, 9 aprile, 2. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 503-7. EINAUDI L. - 1919a - Abolire i vincoli! Corriere della Sera, 15 gennaio, 1. Rist. in Einaudi, 1961, 42-5. EINAUDI L. - 1919b - Licenziare i padreterni. Corriere della Sera, 1 febbraio, 1-2. Rist. in Einaudi, 1961, 47-9. EINAUDI L. - 1919c - La riforma tributaria. Le linee essenziali del progetto Meda. Corriere della Sera, 14 marzo 1919, 2. EINAUDI L. - 1919d - La politica di Tesoro. Abolire l’Istituto dei cambi! Corriere della Sera, 23 marzo, 1. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 536-41. EINAUDI L. - 1919e - La corsa ai debiti. Corriere della Sera, 30 maggio, 1-2. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 542-5. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 241 SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA 211 EINAUDI L. - 1919f - Dovere imprescindibile. Corriere della Sera, 6 giugno, 1. Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 546-51. EINAUDI L. - 1919g - Il debito pubblico e la svalutazione della lira. Corriere della Sera, 10 agosto, 2. Rist. in Einaudi, 1961, 328-32. EINAUDI L. - 1919h - Conti chiari, Corriere della Sera, 10 settembre, 2. Rist. in Luigi Einaudi e il Corriere della Sera, cit., vol. I, 559-61 EINAUDI L. - 1920a - Prediche. Laterza, Bari, I, VIII-177. EINAUDI L. - 1920b - Come si giunse al trattato di Versailles. (Dal libro di un economista). Corriere della Sera, 15 febbraio, 1-2. Rist. in Einaudi, 1961, 643-50. EINAUDI L. - 1920c - Parli il ministro della guerra. Corriere della Sera, 13 ottobre, 2. Rist. in Einaudi, 1961, 370-373. EINAUDI L. - 1920d - Le spese per l’esercito. Corriere della Sera, 22 ottobre, 1. Rist. in Einaudi, 1961, 378-381. EINAUDI L. - 1921a - La parola ai danneggiati (A proposito della nuova tariffa doganale). Corriere della Sera, 16 luglio, 1. Rist. in Einaudi, 1963, 261-4. EINAUDI L. - 1921b - La tariffa doganale come arma di negoziazione. Corriere della Sera, 9 settembre, 1. Rist. in Einaudi, 1963, 337-341. EINAUDI L. - 1922a - Il nuovo libro di Keynes. Corriere della Sera, 26 gennaio, 1.Rist. in Romani (ed.), 2012a, I, 694-9. EINAUDI L.- 1922b - Riabbeverarsi alla sorgente. Corriere della Sera, 6 settembre, 1. Rist. in Einaudi, 1963, 811-815. EINAUDI L. - 1924a - Le lotte del lavoro. Piero Gobetti editore, Torino, 277. EINAUDI L. - 1924b - Il silenzio degli industriali. Corriere della Sera, 6 agosto 1924, 1. Rist. in Einaudi, 1965, 765-769. EINAUDI L. - 1945 - Albi di giornalisti. Risorgimento Liberale, 3, 12 settembre, 1. Rist. in Einaudi, 1954, 592-7. EINAUDI L. - 1954 - Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954). Laterza, Bari, I, XXXII-652. EINAUDI L. - 1959a - Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. I (18931902), Einaudi, Torino, I, XXVI-552. EINAUDI L. - 1959b - Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II (19031909), Einaudi, Torino, I, XL-845. EINAUDI L. - 1960 - Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. III (19101914), Einaudi, Torino, I, XLVIII-728. EINAUDI L. - 1961 - Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. V (19191920), Einaudi, Torino, I, XLIII-994. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 242 212 GIOVANNI PAVANELLI EINAUDI L. - 1963 - Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI (19211922), Einaudi, Torino, I, XVI-1029. EINAUDI L. - 1965 - Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VII (19231924), Einaudi, Torino, I, XVII-926. FAUCCI R. - 1982 - Luigi Einaudi e la Critica Sociale. In: AA.VV. Studi in memoria di Luigi Dal Pane. CLUEB, Bologna, I, 951-64. FAUCCI R. - 1986 - Luigi Einaudi. Utet, Torino, I, XIX-518. FAUSTO D. - 1993 - La politica fiscale dalla prima guerra mondiale al regime fascista. In: F. Cotula (ed.) Ricerche per la storia della Banca d’Italia. II Problemi di finanza pubblica tra le due guerre, 1919-1939. Laterza, Bari, I, 3-138. FIRPO L. (ed.) - 1970 - Luigi Einaudi collaboratore de La Stampa. In: Annali della Fondazione Luigi Einaudi, IV, 599-711. FORTE F. - 1982 - Luigi Einaudi: Il mercato e il buongoverno. Einaudi, Torino, I, XV-315. FORTE F. - 2009 - L’economia liberale di Luigi Einaudi. Saggi. Olschki, Firenze, I, XVIII-367. FRATIANNI M., SPINELLI F. - 1997 - A Monetary History of Italy. Cambridge University Press, Cambridge, UK, XVII-305. GIORDANO A. - 2006 - Il pensiero politico di Luigi Einaudi. Name, Genova, I, 363. LENTI L. - 1983 - Le radici del tempo. Passato al presente e futuro. Franco Angeli, Milano, I, 380. MARCHIONATTI R. - 2000 - Introduction. In: R. Marchionatti (ed.), From Our Italian Correspondent. Luigi Einaudi’s Articles in The Economist, 1908-1946. I, Olschki, Firenze, I, XI-XLVI. MORONI A. - 2008 - Gettar la zavorra per non perder la nave. La fascistizzazione del Corriere della Sera e le dimissioni di Luigi Einaudi. In: R.P. Coppini e R. Nieri (eds) Ricordo di Alberto Aquarone. Studi di storia. Pisa University Press, Pisa, I, 103-120. MORONI A. - 2012 - Cronologia completa degli scritti per il Corriere (1900-1925). In: Romani (ed.), 2012a, II, 2239-2360. PAVANELLI G. - 2012 - Formare l’Italia nuova: gli articoli di Einaudi sul Corriere della Sera (19031925). In: Romani (ed.), 2012a, I, CXXI – CLXXIII. RICCI U. - 1917 - Sulla opportunità di una storia dell’economia politica italiana. In: In onore di Tullio Martello. Scritti varii. Laterza, Bari, I, 377-94. ROMANI M.A. (ed.) - 2012a - Luigi Einaudi e il Corriere della Sera (1894-1925). Fondazione Corriere della Sera, Milano, I, voll. 2, CLXXIII-2386. ROMANI M.A. - 2012b - Vite parallele: Luigi Einaudi - Luigi Albertini. In: Romani (ed.), 2012a, I, XI - LXXXVI. VIVARELLI R. - 1981 - Il fallimento del liberalismo. Studi sulle origini del fascismo. Il Mulino, Bologna, I, 344. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 243 LE “TRESCHE” DI CAVOUR MEMORIA di MARIELLA GALLO FERRARIS* e dell’Accademico Ordinario GIUSEPPE SARASSO** presentata al Convegno organizzato da Vercelli Viva, col patrocinio dell’Accademia di Agricoltura di Torino, nel Salone Dugentesco di Vercelli, il 30 novembre 2011 RIASSUNTO: Il carattere del Conte di Cavour, con la sua competenza e passione per l’agricoltura, l’ansia di guadagno, ed il desiderio di progresso emerge dalla lettura di alcuni brani della sua corrispondenza personale relativa all’attività agricola. SUMMARY: The threshing-floors of Cavour The temper of the Count of Cavour emerges from some passages of his private correspondence, evidencing his knowledge and passion for agriculture, his anxiety for profit and his longing for progress. RÈSUMÈ: Les « trèches » de Cavour De la lecture de quelques fragments de la correspondance particulière du Comte de Cavour on déduit sa compétence et sa passion pour l’agriculture, son anxiété pour le profit, et son désir de progrès. 1 - INTRODUZIONE Le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia hanno portato alla ribalta l’attività politica del Conte di Cavour. Poco si è parlato dell’attività agricola, per cui questo tentativo di rendere omaggio all’agricoltore poteva essere considerato agevole, ma tale e tanta fu l’attività innovativa da lui intrapresa, che è stato arduo eseguire una selezione. La lettura di alcuni brani della sua corrispondenza privata consente però di tratteggiare il personaggio di Camillo agricoltore. I brani sono indirizzati principalmente a Giacinto Corio, socio nella gestione delle tenute vercellesi, *Presidente dell’Associazione culturale Vercelli Viva. E-mail: [email protected] **E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 244 214 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO ed a Rocco Colli, ingegnere novarese, che lo coadiuvò nell’introdurre molte innovazioni nella meccanica agraria. A differenza degli scritti pubblici, questi non sono filtrati da opportunità politiche, e quindi sono maggiormente rivelatori della sua personalità e del suo modo di pensare. Il titolo, volutamente intrigante, non riguarda gli intrecci amorosi del Conte, che pure furono molti, ma discende da un vocabolo piemontese che definisce l’antico modo di trebbiare tramite il calpestamento animale, da lui sostituito con la trebbiatrice meccanica, adattata al riso con l’aiuto dell’ing. Colli. 2 - CAVOUR E LA SUA FAMIGLIA Oltre che dell’Accademia di Agricoltura, Camillo Benso conte di Cavour fu anche socio dell’Accademia dei Georgofili, della Académie des Sciences morales di Parigi e dell’Istituto Lombardo di Scienze e lettere. Fu quindi uomo di scienza, oltre che fine politico. Uomo eclettico, con una solida formazione matematica e tecnica acquisita alla scuola militare per ufficiali del Genio, non conobbe le mezze misure in tutte le attività che intraprese. Pur essendo in politica un moderato fautore del “giusto mezzo”, affrontò ogni aspetto della sua vita con il massimo impegno ed entusiasmo, senza risparmiarsi gli eccessi. Le passioni per il cibo, per il rischio, per le donne e per le novità lo accompagnarono comunque per tutta la vita. La famiglia Cavour era una delle più ricche ed influenti del Piemonte. Il padre di Camillo, Marchese Michele, con l’aiuto della madre, Filippina de Sales, e della moglie, Adele di Sellon, proveniente da una famiglia di facoltosi banchieri ginevrini, era riuscito a superare con profitto i tempi della Rivoluzione ed a reinserirsi nella corte sabauda dopo la Restaurazione, grazie all’amicizia con Carlo Alberto. I buoni rapporti di Paolina Buonaparte, moglie del principe Camillo Borghese, con Filippina de Sales, che ne era stata nominata dama di compagnia, per Michele furono determinanti nell’acquisto di un lotto dell’Abbazia di Lucedio nel Vercellese, consistente nelle due grange di Leri e Montarucco, per un totale di 1951 giornate piemontesi, pari a circa 750 ha. I beni di Lucedio erano stati sequestrati al patrimonio ecclesiastico da Napoleone che poi li vendette al cognato Camillo Borghese in cambio di una fastosa collezione di opere d’arte. Al momento della Restaurazione furono contesi tra il Principe stesso e Carlo Alberto che ne rivendicava la proprietà. Il tribunale di Parigi li assegnò al Borghese, il quale però, ritenendo sconveniente detenere beni in un regno divenuto a quel punto ostile, decise di venderli. Il Marchese Michele di Cavour, essendo riuscito a conservare l’amicizia di entrambi i contendenti, s’inserì nell’affare con buon profitto. Il terreno nel 1822 fu pagato 440 Lire per giornata a Leri, e 340 Lire a Montarucco, mentre 34 anni dopo, in periodo di relativa stabilità monetaria, fu valutato ad 898 Lire/giornata. Essendo cadetto, Camillo non ereditò alcuno dei beni di famiglia, di cui fu però in parte affittuario, in società con Giacinto Corio, ed in parte amministratore per conto del fratello maggiore. Unica sua volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 245 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 215 proprietà, il tenimento del Torrone (799 giornate), acquistato personalmente su consiglio del padre e grazie a prestiti contratti presso parenti ed amici banchieri. Tab. 1 - Patrimonio della famiglia Cavour nel 1856 ((Camillo possedeva personalmente solo la tenuta Torrone, il resto era del fratello maggiore) PROPRIETÀ IMMOBILIARE Leri Montarucco Torrone Scorte 3 tenimenti Grinzane Scorte Grinzane Trofarello case e beni Isolabella affittato a Lire 7000 Gallè affittato a Lire 7.000 Santena castello, case e cascine Cavour molini e cascina Motta Cellarengo bosco Torino palazzo e mobili Chieri palazzo Eredità Lascaris Totale (Lire) g.te 995 956 833 Lire/g.ta 898 898 898 560 500 450 445 PROPRIETÀ MOBILIARI Obbligazioni varie Azioni Ferrovia di Novara Azioni Ferrovia di Casale Azioni contro Danni Incendi Azioni Battelli Lago Maggiore Azioni Collegno e Lingotto Crediti Totale Valore (Lire) 893.510 858.488 748.034 200.000 280.000 20.000 140.000 150.000 120.000 300.000 190.000 200.000 400.000 30.000 2.400.904 6.930.936 Lire 27.300 78.000 1.800 4.000 4.000 200.000 60.000 375.100 La composizione del bilancio di casa Cavour nel 1856 (tab. 2) riflette l’economia piemontese dell’epoca, nella quale l’agricoltura era predominante e per i Cavour gli investimenti agricoli più importanti e redditizi erano quelli delle risaie. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 246 216 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO Tab. 2 - Bilancio di casa Cavour nel 1856 BILANCIO ENTRATE Tenute vercellesi Altri terreni Rendite finanziarie Affitti del Palazzo Totale USCITE Cucina e ufficio Cavalli Spese generali: riscaldamento, carrozze, stipendi, medicinali, candele, ecc. Vitalizi, Censi, Legati Assegnamenti ai Signori di Cavour Totale Lire 103.000 43.000 5.238 16.000 167.238 32.000 4.600 37.816 43.431 30.000 147.847 Per abitare in casa del fratello, Camillo corrispondeva 3.000 Lire annue d’affitto, oltre a 18.000 Lire annue per coprire le spese dei banchetti istituzionali che offriva da Ministro: il suo appannaggio per la carica era di 19.000 Lire. Per un paragone col valore della moneta in allora, nel 1816 gli stipendi dei soggetti operanti in Leri erano: Paghe a Leri Lire annue Kg di riso bianco Agente di Leri 600 1.764 Prataiolo 120 353 Manzolaio 66 194 Parroco di Leri 1.070 3.147 Cappellano di Montarucco 500 1.470 Suo padre, il marchese Michele, con una buona dose di ironia ed anche un po’ di orgoglio, così descrive il figlio fanciullo in una lettera alla moglie: “Tuo figlio, più convenientemente nostro figlio, è un originale ben singolare; costruisce tanti progetti quanto San Cero case... Il detto Camillo ha pranzato onorevolmente con una grossa scodella di zuppa, due belle e buone costolette, del bollito, un beccaccino che gli avevo portato dalla risaia con un piccolo contorno, riso di Leri, patate, fagiolini, uva in abbondanza e caffè. Non c’è stato verso di fargli prendere altro. Dopo mi ha recitato alcuni canti di Dante, canzoni di Petrarca, la grammatica di Corticelli, Alfieri, Filicaja, Jacopo Ortis - e tutto questo passeggiando a grandi passi in vestaglia con le mani affondate nelle tasche”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 247 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 217 Carlo Alberto era molto amico di suo padre Michele, ma non ha mai sopportato Camillo, e l’antipatia era reciproca. Neanche Vittorio Emanuele lo amava, ma dovette sopportarlo. Camillo da parte sua gli fece scenate terribili, come quella per l’armistizio di Villafranca, firmato a sua insaputa. Nella notte irruppe nella camera da letto dove Vittorio Emanuele dormiva, urlando: “al re sun mi!”. Se quando era adirato trattava così il re, possiamo immaginare con quale garbo poteva liquidare i dipendenti infedeli! 3 - L’APPROCCIO ALL’AGRICOLTURA Le idee progressiste, le frequentazioni sospette nel salotto della Giustiniani a Genova e l’ insofferenza alla disciplina lo portarono nel 1832, a 22 anni, ad abbandonare la carriera militare. Il padre, per allontanarlo dai pericoli che i dissidenti politici correvano a quel tempo, lo indusse ad intraprendere la carriera di agricoltore dapprima a Grinzane, e poi nel 1835 a Leri. In questo periodo fece lunghi viaggi in Francia, dove la zia materna, vedova Clermont-Tonnerre, conduceva a Parigi una vita brillante, che le comportava la spesa di 80.000 Lire annue. Per far fronte al fabbisogno di liquidi lo aveva incaricato di alienare le sue vaste proprietà forestali situate in Francia. Le relazioni di questa zia gli permisero di frequentare molti importanti salotti parigini, dove conobbe i più illustri scienziati del tempo (Liebig, Dombasle, ecc.) Negli stessi salotti raccolse indiscrezioni sull’imminenza di una guerra. Si lanciò in una speculazione al ribasso comprando azioni allo scoperto. Le indiscrezioni si rivelarono infondate, la borsa crebbe, per cui dovette subire una forte perdita di denaro che non possedeva. Gli fu prestato dal padre insieme ad una dura reprimenda. Nello stesso periodo visitò l’Inghilterra, dove si entusiasmò per le ferrovie, le industrie nascenti ed i progressi in agricoltura. Quando iniziò ad occuparsi di Grinzane, si infuriò per lo stato di sporcizia in cui trovò le cantine e per la trascuratezza nella gestione delle tenute. Sostituì il responsabile, cercò la collaborazione dell’enologo Staglieno e di Oudart, anche lui esperto enologo e titolare di una azienda di commercio di vini in Genova. Con il loro aiuto, perfezionò le tecniche di vinificazione del Barolo, collaborando successivamente con Giulia Colbert Falletti di Barolo. Questa, per far conoscere il suo vino a Carlo Alberto, affinché lo assaggiasse con suo agio insieme alla sua corte, gliene regalò 273 carra (antica misura piemontese pari a 492,84 litri), una per ogni giorno dell’anno, meno i venerdì e la quaresima. Carlo Alberto aveva appena acquistato i beni di Pollenzo, e per produrre anche lui un vino così buono pretese di avere Staglieno al suo servizio, sottraendolo al Cavour. L’esperienza di Grinzane fu utile a Cavour per affrontare un grande problema che gli si presentò successivamente, nel 1851, quando divenne ministro dell’agricoltura. Famosa una circolare agli intendenti provinciali, nella quale li informava di aver incaricato l’Accademia di Agricoltura di studiare una volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 248 218 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO nuova malattia della vite, l’Oidio, appena importata dall’America. Con piglio autoritario esigeva tempestive segnalazioni sul diffondersi della malattia. Il problema fu risolto dagli Accademici in tre anni con l’impiego dello zolfo, antesignano degli attuali fitofarmaci. Torino, 9 agosto 1851 Circolare del Ministero di Marina, Agricoltura e Commercio OGGETTO: Malattia dell’uva Ai signori Intendenti Generali ed Intendenti Sarà noto a questo Ufficio, come in alcune Provincie dello Stato siasi manifestata nelle uve un’insolita malattia prodotta da un crittogamo parassita, che si attacca agli acini, ne arresta la crescenza e li impedisce di pervenire a maturità. Appena il Ministero ebbe cognizione dell’invasione di questo malefico morbo, chiamò sul medesimo l’attenzione della Reale Accademia di Agricoltura e la pregò di farne oggetto di studio, di ricercarne la natura e le cause ed il modo di combatterne gli effetti.... ... Intanto come importa al Governo di poter valutare tutta la gravità del male e di circondarsi di tutte le nozioni che possono porlo in grado di suggerire agli agricoltori i mezzi più convenienti per andarne al riparo, il sottoscritto invita i signori Intendenti a volerlo informare colla maggiore sollecitudine, se e con quale intensità la malattia siasi dichiarata nella loro rispettiva Provincia, quale ne sia la natura, e a quali cause si pensi doverla ascrivere, se essa faccia progressi, se e quali mezzi siensi adoperati per farla cessare, se i mezzi adoperati abbiano avuto qualche felice risultamento. Il sottoscritto fa assegno sulle premure dei signori Intendenti onde ottenere senza ritardo le informazioni che si domandano con la presente circolare, di cui vorranno tosto accusargli ricevuta. Il padre, nominato nel 1835 Vicario della capitale, gli affidò anche la gestione delle risaie di Leri e Montarucco, alle quali si aggiunse il Torrone, di sua proprietà personale. In totale 3042 giornate (1161 ha). Il padre scrisse ad un amico che provava piacere a leggere i rendiconti economici di Camillo, per l’ordine, la precisione, ed i dettagli. Grazie a questo tratto del suo carattere, disponiamo dei risultati economici della sua attività agricola nelle risaie. La gestione delle aziende da parte del padre Michele, con la collaborazione di Francesco Rossi (ideatore del grande canale), dal punto di vista economico non fu molto brillante. Nel 1833 le perdite, senza corrispondere affitti, ammontarono a 36.000 Lire, e deludenti furono anche le altre annate dal 1830 al 1834. Con la gestione di Camillo, iniziata alla fine del 1835, a parte due annate sfavorevoli, i bilanci furono buoni, considerando che fino al 1848 corrispondeva a padre e fratello 44.000 Lire di affitto, diventati da1 1849 103.000 lire. Quando dopo il ’48 le mutate condizioni gli permisero di dedicarsi alla politica, la passione per l’agricoltura si era talmente radicata in lui da non abbandonarlo più, nonostante la sua frenetica attività politica che lo vedeva occuparsi contemporaneamente di più ministeri. Da primo Ministro, si alzava volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 249 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 219 Fig. 1 - La passione di Cavour per i numeri ed i calcoli gli valse questa esilarante vignetta pubblicata su di un giornale satirico del tempo. alle quattro del mattino. Dopo un’abbondante colazione, sbrigava la corrispondenza privata ed i suoi affari agricoli. Talvolta verso le sei teneva incontri riservati con informatori o personaggi “scomodi”, leggeva i giornali, ed alle otto si trasferiva al Ministero per occuparsi degli affari pubblici. Terminati gli impegni, dopo cena non disdegnava le partite a carte con gli amici del circolo del Whist. Il gioco d’azzardo, come tutte le speculazioni, lo attraevano forte- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 250 220 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO mente. Non appena aveva qualche giorno libero, prendeva il treno fino a Livorno Piemonte (divenuto in seguito Livorno Ferraris) e da lì, in calesse, si recava a Leri. Ma facciamo un passo indietro, quando la sua insofferenza per il regime assolutista di Carlo Alberto lo costrinse a rifugiarsi nei campi. Dalle sue parole, sentiamo come divenne agricoltore: 1832, ad Augusto de la Rive “Da principio l’agricoltura ha poca attrattiva. L’uomo abituato ai salotti prova ripugnanza per dei lavori che cominciano con l’analisi dei concimi e che finiscono in mezzo alla stalla; troverà in principio i lavori campestri faticosi, monotoni ed anche puerili. Però, se riesce a superare questo primo disgusto, e se riesce a decidersi ad eseguire le più semplici operazioni agrarie, a far seminare un campo di patate, ad allevare una giovenca, si opererà inconsciamente una trasformazione nei suoi gusti e nelle sue idee. Scoprirà nell’esercizio dell’agricoltura un interessamento crescente, e ciò che gli ripugnava non tarderà ad avere per lui un’attrattiva che non si sarebbe mai immaginato”. 4 - GESTIONE DELLE AZIENDE RISICOLE CAVOUR-CORIO Dai bilanci che ci sono stati tramandati, risalenti al periodo del contratto di affitto stipulato (1849-1861) col fratello, cui corrispondeva 103.000 Lire annue di affitto (tab.3) si deduce che nel corso di quasi vent’anni soltanto in tre le uscite hanno superato, seppur di poco, le entrate. Nel 1835 scriveva all’amico Giovanni Edoardo Naville di Châteauvieux: “Dovete sapere che sono diventato agricoltore sul serio, questa è ora la mia professione; al mio ritorno dall’Inghilterra ho trovato mio padre impegnato negli affari pubblici e quindi nella impossibilità di occuparsi dei propri, mi ha proposto di incaricarmene e ho accettato molto volentieri, perché quando si è cominciato a far da sé a far valere la propria terra, a non curarne l’amministrazione scema il patrimonio. Le occupazioni che ho intraprese prima per riflessione, ora le proseguo per inclinazione; a poco a poco mi sono affezionato ai lavori agrari e sarebbe per me un grande dispiacere se dovessi abbandonarli. Ma su ciò sono tranquillo. Anche se conservassi lo stesso gusto alla politica che avevo qualche anno fa, mi sarebbe impossibile di immischiarmi negli affari pubblici sotto un governo dal quale mi allontanano le mie opinioni e le mie circostanze personali”. Nel 1836, ad Augusto de la Rive: “Sono quasi assolutamente assorto dalle mie occupazioni agrarie. Ho intrapreso delle vaste speculazioni che esigono delle grandi cure e una sorveglianza di tutti i momenti... In agricoltura non esistono affari buoni eccetto quelli che sono diretti da noi stessi. Quando ci si decide a farlo, ci si trova involti in una quantità di particolari, che ci prendono un tempo infinito. Non mi rammarico della carriera che ho intrapresa, non è senza dubbio brillante, ma nella mia condizione nessun altra mi converrebbe maggiormente. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 251 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 221 Tab. 3 - Risultanze di cassa nelle annate agrarie da 1849-50 al 1866-67. Sono immerso nelle grandi speculazioni. Ho comprato una estesa proprietà nelle risaie (Torrone e Cagna, ndr). Credo di aver fatto un buonissimo affare; mi manca solo il denaro per pagarla, fatta astrazione da questo, deve darmi un profitto eccellente. Non so fare le cose a mezzo; una volta lanciato negli affari mi ci sono dedicato interamente. Vi sono, del resto, costretto dalla mia condizione. Sono un cadetto, e ciò vuol dir molto, in un paese costituito aristocraticamente. Bisogna che mi faccia uno stato, col sudore della mia fronte. È facile a coloro che hanno milioni in quantità l’occuparsi di scienza e teoria. Noi poveri diavoli di cadetti dobbiamo sudare sangue e acqua prima di aver acquistato un po’ d’indipendenza”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 252 222 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO Assorbì tanto profondamente lo spirito dell’agricoltore, da scrivere: 1855, a Corio La pioggia mi molesta come se cadesse sulle mie spalle. Cavour fu un entusiasta del progresso e delle invenzioni. Nei suoi viaggi ebbe modo di conoscerne le applicazioni, i vantaggi ed anche i lati negativi. Studiò a fondo e da vicino i problemi della rivoluzione industriale, delle classi operaie e del pauperismo. Conobbe anche scienziati quali Liebig, il Dombasle, Johnston, pionieri della chimica agraria e dell’agronomia. 1855, a Liebig: “io vi lascio per andare a Leri a fare nei campi, quello che voi fate nel laboratorio di agricoltura. Io vorrei che un giorno mi fosse possibile associare la mia vecchia pratica alla vostra giovane scienza..”. La rendita di stalla, rispetto alla superficie a prato, era bassa, e la cosa lo disturbava. Le sue vacche producevano in media 6 litri di latte al giorno. L’unico fertilizzante allora impiegato era il letame, e per aumentarne la produzione serviva più bestiame. Ma incrementare il bestiame significava espandere il prato a detrimento delle colture da reddito. E Camillo doveva guadagnare per pagare i debiti dovuti all’acquisto del Torrone... Solo il petrolio a basso prezzo, che ha consentito di sintetizzare i fertilizzanti chimici, ha risolto il problema nel XX secolo. Problema che si sta riaffacciando, a meno che non si trovi altra forma economica di energia. Ai tempi, lui tentava di barcamenarsi tra i due corni del dilemma. Molta della sua corrispondenza riguarda questo assillo: Inverno 1845, a Corio: “La mancanza del fieno è la cosa più grave. Provo per esperienza che il volere mantenere quaranta vacche a fieno è cosa quasi assurda.” Febbraio 1846, a Corio: “Se Ella vuole assolutamente comprare fieno per le vacche della Cagna, ne compri ove vuole purché non sia in Piemonte, ove si burlerebbero di me se sapessero che dopo aver speso 40.000 Lire in ingrassi compro ancora del fieno.” Torino, 3 marzo 1846, a Corio: “Ill.mo Signore, ...Visto lo stato delle cose, ella mi farebbe cosa grata comprando per mio conto dalli 1000 alli 1500 rubbi di fieno per quelle maledette vacche di Leri...” 1846, a Corio: “Il voler aumentare il prodotto del letame nel comprare fieno è pessima speculazione, mentre invece per rendere più proficuo l’impinguamento del bestiame bisognerebbe valersi di pannelli, sia perché accelerano l’operazione, sia perché danno al letame un valore tale che in Inghilterra si paga 3 o 4 volte più del letame ordinario...” Nell’inverno 1847-48, scarse piogge e gelo ridussero la dotazione d’acqua. Il Conte si trovò a dover decidere se usare la scarsa acqua per azionare le piste (attrezzature allora usate per la pilatura del risone), oppure usarla per la marcita in modo da anticipare ed incrementare il raccolto di foraggio. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 253 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 223 La successiva lettera a Corio rivela i suoi stati d’animo e la sua impostazione imprenditoriale. Gennaio 1847, a Corio: “Venendo alle cose di campagna, le dirò che l’agricoltore è il mestiere della pazienza, epperciò debbo adattarmi alle contrarietà del gelo. Veda ella qual sia più conveniente: o il fermare le piste, o levare l’acqua alla marcita. Già quest’ulteriore alternativa mi pare molto dolorosa, giacché dal non avere tagliato 1’ultimo raccolto, io spero da questo pronto ed abbondante soccorso per le povere vacche. Io desidererei molto ch’ella si compiacesse di visitare tutti i magazzeni di risone con Tosco, e quindi coll’aiuto dei pistaroli calcolare pure approssimativamente il tempo che si richiede per brillare tutto il risone con le nostre cinque piste. Se da questo calcolo risulta che alla fine di febbraio vi rimarrà molto riso da brillare, in allora converrà sacrificare la marcita; se ve ne rimanesse che una quantità discreta, dalle 10 alle 12 mila emine di risone, si potrebbe mantenere l’acqua alle marcite, e vedere di affittare pel mese di gennaio o febbraio le piste della Favorita, che sono senza lavoro la maggior parte dell’inverno”. Bisognava quindi procurarsi del fertilizzante alternativo a prezzi convenienti, senza allevare troppo bestiame. In quel periodo era stato scoperto il potere fertilizzante dei depositi di guano, che in Inghilterra era già impiegato. Il Liebig aveva formulato le sue teorie sul rapporto tra elementi inorganici ed organici nella nutrizione vegetale e la legge dei fattori limitanti. Cavour, che aveva conosciuto l’utilizzo del guano nei suoi viaggi in Inghilterra, iniziò ad importarne e commerciarne. Della prima nave acquistata, tra la partenza e lo sbarco era già riuscito a rivenderne i 2/3, con il dovuto profitto. Si dedicò alla sperimentazione di questo fertilizzante, provandone altri, quali cenci di lana ed i primi concimi chimici. Per questi ultimi, costituì con Schiapparelli e Rossi una società chimica, ancora operante ai nostri giorni come ditta farmaceutica. Dai brani che seguono, si desume che era aggiornato sulle pubblicazioni scientifiche, e la sua profonda conoscenza dell’agronomia e del metodo sperimentale. Non dimenticava però mai di commerciare e speculare. 1846, a Corio “Manderò Enrico la settimana ventura a caricare cenci di lana. Ecco come io intendo impiegarli. Li farò tagliare a pezzi minuti per quanto mi sarà possibile; quindi li farò spargere nella meliga prima di darle la prima rincalzatura, nella proporzione di 40 rub. per giornata. A dir il vero, io non ho piena fiducia nel risultato di questa esperienza, che non è stata tentata ancora da nessun agricoltore. Io credo che l’effetto dei cenci sarà poco sensibile nella meliga, ma si farà sentire sul grano e sugli altri raccolti successivi”. 1847 a Corio: “Ha fatto bene a compiere il seminerio della pratarola piccola col guano. Se non vi era letame, forza era il ricorrere al nostro famoso ausiliare... ... Dopo il mio ritorno a Torino, ho attentamente studiato quanto venne volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 254 224 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO scritto sulla concimatura dopo il seminerio – detto dai francesi engrais en couverture e top dressing dagli inglesi – ed ho trovato che sono unanimi nel consigliare di non eseguire tale operazione se non nella primavera, cioè nel mese di marzo, e ciò per ragioni chimiche e fisiologiche assai convincenti, cui comunicherò alla S. V. quando avrò il bene di seco favellare. Credo dunque bene il sospendere lo spandimento del guano sulla pratarola sino a marzo; salvo però ch’ella desideri fare un esperimento in piccolo sopra una o due giornate di terreno”. 1847, a Corio: Dica al signor Buffa che posso farle spedire da Genova a suo piacimento dalli 8.000 alli 9.000 kg di guano del Perù; il quale costa 24 Lire ogni 100 kil. in Genova”. 1853, a Corio: “Scapino conduce a casa da 100 a 150 rubbi di un nuovo concime che ho fatto preparare sotto la mia direzione dal sig. Schiapparelli. Io desidero di sperimentarlo sui prati. Il suo costo è di circa 10 soldi al rubbo, e così di 1/6 quello del guano. Volendolo esperimentare a confronto di questo, bisognerà spandere 120 rubbi sopra una giornata a ciò appositamente destinata, in un prato di qualità media: quello delle terre bianche di Montarucco, a ragion d’esempio. La prego quindi a far separare in quel prato un quadretto che abbia 20 trabucchi di lato, che costituirà una giornata esattamente, e quindi spandere i 120 rubbi del detto concime; il rimanente prato essendo concimato a guano a ragione di 20 rubbi per giornata. Quest’esperimento è di somma importanza, poiché la fabbricazione del detto concime è facile, e se ne può ottenere quella quantità che i nostri bisogni richieggono, mentre del guano è dubbioso che se ne possa sempre avere. Lo raccomando alle speciali cure del sig. Vincenzo. La vendita del suo riso procede lentamente. Se ne è spedita una porzione a Ginevra ed altra a Genova. Sento pure che il mercato di Vercelli è in ribasso”. 5 - RISO, FERTILITÀ E BRUSONE Novembre 1854, a Corio: “Vi esistono i libri vecchi, ch’io ordino a Tosco di raccogliere; da questi potrà rilevare che a Montarucco e Leri si è fatto più volte dalle 18 alle 20 emine di riso di buonissima qualità. Quest’anno ne faremo 24 di qualità mediocre. Da ciò ella scorge che le molte nostre fatiche e spese trovano nel riso un magro compenso, mentre è larghissimo per ciò che riflette il grano, la meliga, l’avena ed il bestiame. Ciò proviene, a mio credere, da ciò che i terreni troppo letamati producono un riso men bello, men buono dei terreni magri”. Dicembre 1854, a Corio: “Ella mi ha male capito, se ha creduto ch’io intendessi ad una modificazione del sistema di vicenda da noi in vigore. Il mio desiderio sarebbe solo di migliorare progressivamente. In tesi assoluta, lungi dal voler diminuire la durata della coltivazione a riso, sarei per aumentarla. Giacché tengo per fermo che nelle terre volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 255 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 225 migliori i risi del 3° e fin anche del 4° anno sono più produttivi del riso del 1° e 2°. Per ora vorrei solo che nelle valli le più granifere si praticasse su d’una certa scala il ristobbio. Forse io sono troppo proclive alle novità, ed il desiderio di far progredire la nostra agricoltura mi spinge soperchiamente. Ma, che vuole, tale è la mia natura, ch’io rimasi più soddisfatto l’anno in cui il reddito del Casone raggiunse Lire 20,000 che nol sono in oggi che realizziamo un beneficio di oltre 100,000 Lire”. Non trascurò mai di migliorare le sue aziende, dimostrando una continua ricerca di modi per progredire. Nel corso della sua vita si entusiasmò per il drenaggio dei terreni con tubi in cotto, per costruire i quali si affidò ad un macchinario importato dall’Inghilterra con il relativo addetto al funzionamento, tanto da scrivere nel 1846: “Ho la consolazione di pensare di avere introdotto l’uso del guano nel Vercellese. Se potessi ancora farvi penetrare il drainaggio, in allora crederei avere bene impiegato la mia vita”. Il drenaggio, oltre a migliorare la produzione dei foraggi, doveva permettere la coltivazione della barbabietola, per la quale aveva anche elaborato un progetto di zuccherificio, che non fu poi attuato per calcoli economici, ma i miglioramenti dell’azienda non furono mai trascurati. Febbraio 1847, a Corio: “2° Essendo scarsi di letame al Torrone, ho dato l’ordine a Carlino di aggiungere 80 rubbi di guano al letame destinato al prato nuovo della Vissa. Raccomando questo prato in modo speciale al sig. Corio, onde non abbiamo lui ed io ad essere sgridati dall’amico Marcone, che non ce ne perdona una sola. Comprerò a Torino un (livella a) cannocchiale e lo manderò a Leri, onde le cose possano farsi in regola”. 1855, a Corio: “Faccia pure fare spianamenti quanti vuole quest’inverno: qualunque sia la spesa non griderò di certo”. I miglioramenti idraulici apportati alla sua azienda non lo appagarono: la gestione irrigua dello Stato Piemontese non lo soddisfaceva. Un giorno ad un pranzo di agricoltori a Leri, dopo molto parlare sui litigi e gli incagli causati dai concessionari demaniali d’acque, Cavour lanciò l’idea che maturava da tempo nella sua mente: “E se facessimo noi una società per renderci concessionari delle acque?” L’idea potrebbe essere stata rafforzata da un proprio litigio con gli affittuari dei Regi canali, signori Marchetti e Ferragatta. Nel Marzo del 1838 vi fu una spedizione di un centinaio di dipendenti di Leri, che armati di forche e badili affrontarono una sessantina di dipendenti del marchese di Salino, schierati a difesa dei muratori degli affittuari dei regi canali. Questi intendevano costruire un muro per impedire il deflusso delle acque dirette al Torrone. Un tempestivo intervento dei carabinieri di Livorno Piemonte (divenuto poi Livorno Ferraris) impedì la zuffa. Cavour a Michele, marzo 1838: volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 256 226 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO “Il signor Ferragatta proclama ovunque che vuole vendicarsi di me. Quell’uomo mi farà rimpiangere i bei tempi nei quali un gentiluomo insultato da uno zotico poteva rifilargli dei colpi di frustino senza temere la giustizia..”. La lite fu poi composta con un accordo stipulato sulla ripa di un fosso, come si legge nel suo diario: Giovedì 9 aprile 1840 Saint-Georges et moi nous allons à la Mascarpina, où nous trouvons le fermier de la Barbera, et arretons les bases suivantes de convention: 1°. Mr Salino réunira toutes les eaux dont il peut disposer dans le fossé du moulin de la Mascarpina. 2°. Ces eaux seront divisées également entre Leri et Castelmerlino. 3°. Mr Salino laissera tomber au profit du Torron toutes les eaux de la Consolata, qui courent à gauche de la roggia de Bianzè. 4°. Mr Salino ne donnera pas passage sur ses terres aux eaux de Mr Ferrero, excepté pour qu’elles aillent au Torron. 5°. Saint-George et Cavour payeront 1000 francs par an à Salino. 6°. L’exécution des travaux d’art sera confiée au chevalier Brunati. J’ai donné ordre à Buffa de congédier pour le Saint-Martin, Dorma, valet de charrue au Torron” . L’Associazione d’irrigazione dell’agro all’ovest della Sesia fu costituita poi nel 1853, con uno statuto fortemente innovativo, immaginato da Cavour e scritto materialmente dall’ing. Noè. L’intelaiatura principale dello statuto è invariata ad oggi, imitata dall’Est Sesia, e fu alla base di tutta la legislazione italiana sull’irrigazione. Nel corso dell’assemblea dei delegati dell’Ovest Sesia del 6 novembre 1854 così intervenne contro una proposta di aumento della contribuzione: “noi abbiamo avuto di mira nell’istituire 1’Associazione, di beneficare gli agricoltori tutti ed in specie quelli di fondi non estesi. Ora, se noi si facesse pagare l’acqua 9 o 10 mila Lire la ruota, sarebbero straordinariamente gravati”. La diatriba con Francesco Rossi, al di là delle antiche antipatie, si riaccese in merito alla progettazione del grande canale che fu costruito - e gli fu intitolato - dopo la sua morte. Il tracciato, secondo il progetto Rossi, doveva dividere in due il tenimento di Leri. Cavour lo impedì. Ebbe però l’accortezza di affidare il progetto esecutivo a Carlo Noè, famoso per essere stato l’ideatore ed esecutore di quell’allagamento del Vercellese nel 1859 che fu determinante per le sorti della guerra. Ne risultò un’ammirevole realizzazione, idonea a servire 20.000 ettari in più rispetto al progetto Rossi. Di quel periodo si ricordano le carestie europee, dovute all’incremento della popolazione non sostenuto da una disponibilità di cibo sufficiente, e ad anomalie climatiche. La grande carestia irlandese (1853-55) causò un milione di morti per fame e la partenza di milioni di emigranti in America. Lo stesso Cavour nel 1853 subì un assalto alla sua dimora da parte di popolani inferociti dall’aumento del prezzo del grano e sobillati dai suoi avversari politici. La preoccupazione di procurare al popolo pane a sufficienza non gli impedì di volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 257 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 227 speculare sul commercio del grano, di cui Genova era allora sede importante. Nei suoi diari non mancano annotazioni settimanali sui prezzi delle granaglie sulle piazze di Genova e Londra. Lo spostamento dell’arsenale a La Spezia fu eseguito proprio nell’intento di allargare il porto di Genova, per incrementarne l’attività commerciale. 1854 a Corio: “Confido nella carità dei miei concittadini per combattere i mali della fame. I cereali non sono esuberanti, ma non mancano, purché si faccia una severa economia. Non possono ribassare il prezzo, ma non credo nemmeno a straordinario aumento. Faccio venire farine dall’America per i soldati”. Il mondo era già allora globalizzato, ed il grano rivestiva importanza strategica. Nel ventennio precedente la guerra di secessione americana, la meccanizzazione della raccolta del grano permise agli Stati del Nord ampie possibilità di esportazione, grazie alle quali si guadagnarono l’appoggio degli affamati Stati europei, e la valuta necessaria a sostenere lo sforzo bellico. Mc Cormick iniziò la costruzione di mietitrici nel 1831 in Virginia, Stato confederato, ma nel 1847 si trasferì a Chicago dove la produzione annua raggiunse i 5.000 esemplari nel 1861, data di inizio della guerra di secessione; contemporaneamente le esportazioni di grano dal porto di Chicago passarono in trent’anni da 20.000 a 3.750.000 t annue. Cavour non ebbe modo di visitare l’America, anche perché soffriva tremendamente il mal di mare. Avesse potuto farlo, certamente avrebbe cercato di introdurre in Italia anche la mietitrice. Forse avrebbe sperimentato anche la mietitrebbiatrice, il cui primo brevetto americano fu depositato nel 1835 da Moore, il quale costruì 5 prototipi sperimentali che operarono in Michigan tra il 1845 ed il 1850. I primi successi commerciali delle mietitrebbiatrici in California risalgono al 1858. Il conte offrì invece il suo contributo alla meccanizzazione agricola mediante l’introduzione della trebbiatrice meccanica, per la quale si avvalse dell’ing. Rocco Colli di Novara, al quale scrisse: 1844, a Colli: “Se una più lunga conoscenza mi desse il diritto di porgergli un amichevole Consiglio, io vorrei dirgli che, fornita come ella è di tante cognizioni scientifiche, e di un ingegno meccanico particolare, ella dovrebbe tanto per la reputazione ch’ella potrebbe acquistare quanto pure nel suo particolare interesse coltivare 1’applicazione della meccanica industriale, ramo tanto negletto fra di noi. L’impulso è dato nel nostro paese, l’industria nascente deve prendere ogni giorno maggiori sviluppi. Coloro i quali saranno in grado di secondare e dirigere questo movimento, debbono di necessità acquistare fama e fortuna. Le imprese delle strade ferrate che stanno per intraprendersi aprono una larga carriera alle persone che posseggono la scienza ed il genio meccanico”. Non lo incoraggiò soltanto a parole, ma gli mise a disposizione a Leri una delle piste da riso e sopperì a tutte le spese necessarie per le prove. Il Colli, volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 258 228 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO modificando il trebbiatoio scozzese, ottenne una macchina che gli valse una medaglia d’oro all’esposizione di Torino del ‘44. Costruì subito il trebbiatoio per Leri, aggiungendo, per suggerimento di Cavour, un cacciapaglia. Cavour soddisfattissimo della trebbiatrice di Leri, nel ’46 ne fece costruire un’altra per Montarucco, e poi una terza, nel ‘47, per il Torrone, perfezionandole successivamente con l’aggiunta di un ventilatore per la pulitura del riso. A differenza di quelle inglesi, generalmente mosse dal vapore, le nostre macchine erano mosse dalla forza idraulica, ed anche in questo il Cavour era competente. 1845, a Colli: “Il signor Brielli essendo venuto a trovarmi mi parlò di un sistema di cacciapaglia da lui ideato, dal quale si ripromette un lavoro compito. Se la S. V. Ill.ma avesse conoscenza di questo e credesse applicarlo alla macchina di Leri con qualche modificazione, la prego di farlo, senza essere trattenuto dai lavori già eseguiti pel caccia-paglia, giacchè questi potranno essere utilizzati per la macchina che probabilmente farò eseguire l’anno venturo a Montarucco... La prima volta ch’ella avrà da spedire a Leri pietre, perni od altra cosa, mandi pure il suo modello di sbucciatoio, ché ho fatto conservare del risone onde potere esperimentare assieme questa nuova sua invenzione”. Novembre 1846, a Corio: “Ho la consolazione di aver ritirato senza alcun danno tutto il risone di Leri e Montarucco, e quasi tutta la meliga. Ho due tresche sulle aie nuove della Cagna dalle quali aspetto poca rendita. Gran belle cose sono i trebbiatoi, e però ho già scritto al sig. Colli onde ne faccia eseguire uno alla Cagna l’anno venturo”. Dicembre 1846, a Colli: “Le farò osservare che è cosa facile l’aumentare il salto della ruota idraulica, dando sfogo all’acqua del cavo motore non già nella roggia di Castelmerlino, ma bensì nel fosso che forma il prolungamento del fosso che cinge le aie a tramontana, il quale va a finire nella roggia Gardina, più bassa di oltre due metri di quella di Castelmerlino. Da ciò la S. V. Illma vede esser facile il disporre di un salto di tre metri, mediante il quale le riuscirà facile lo stabilire una ruota a reazione, od almeno di ottenere una forza bastevole per far girare l’aspa con massima velocità. Se l’aspa si riduce a due metri o a 2,50, mi pare assai più conveniente il farla di ferro”. Con il Colli progettò anche altre macchine, quali sfogliatrici per il mais e trinciatrici per foraggio. Nella corrispondenza con l’ingegnere discute del funzionamento dei macchinari fin nei minimi dettagli. 6 - I RAPPORTI CON I DIPENDENTI Assolutamente insofferente della disciplina, la imponeva con durezza ai suoi dipendenti, o sudditi stipendiati come si chiamavano allora. Il tutto condito con una discreta attenzione umanitaria. Nella corrispondenza viene so- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 259 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 229 vente citato il sig. Marcone, proprietario della vicina Colombara, col quale si confrontava sulle innovazioni, e col quale faceva a gara per ottenere i migliori risultati, e dal quale subiva ironie per gli esperimenti non riusciti. Febbraio 1847, a Corio: “Veda pure quel che si può fare per Berto. Questo povero diavolo, tormentato dalla moglie, ha poca autorità sopra gli uomini di cui gli si affida la direzione. L’anno scorso, all’epoca del taglio, era di una perfetta inutilità, e se non fosse stato della vigilanza dei capi squadra, il mio riso sarebbe stato tagliato alla carlona. Se però Ella non trova per questi posto conveniente, non è già la mia intenzione di mandarlo su d’ una strada. Nel caso in cui Berto se ne andasse, farei pratarolo il capo dei manovali di Montarucco, giovane molto intelligente”. Torino, novembre 1847, a Corio: “Ill.mo Signore - Spedisco a Montarucco le due mule che il maire aveva in montagna, e due sacchi meliga per seminare questa primavera. Mando pure una pezza di panno ordinario, ch’io la prego a volere distribuire ai più bisognosi fra i tre tenimenti, accordando la preferenza ai figli delle vedove per le quali io desidero che si abbia un particolare riguardo; giacché questo fu uno degli ultimi ricordi dell’ottima mia madre. L’agente Carlino mi disse non potere ottenere che la moglie del pratarolo Vernè vada in giornata. Non posso tollerare un tale abuso. Tutte le donne locali, pratarole od altre, debbono quando richieste lavorare. Una parola d’avviso da parte del sig. Corio farebbe ottimo effetto; riservandomi di intervenire nel caso estremo”. 1846, a Corio: “Enrico non avendo potuto vendere i due buoi di riforma che ha condotti alla fiera di San Germano, gli ho scritto di farne macellare uno per le feste, e di smaltirne la carne ai sudditi a buon mercato”. 1847, a Corio: “Avendomi fatto parlare da Dionigi, gli ho significato le mie intenzioni per lettera. La prego quindi a sapermi dire se la moglie di *** continuerà ad andare a casa sua d’ora in avanti. Nel qual caso dovrei, mio malgrado, adottare energici provvedimenti”. 1847, a Corio: “Nella ventura vorrei andare a Leri e quindi a Biella con lei e il signor Marcone, per aggiustare le montagnine pel raccolto. Intanto sarebbe necessario provvedere venti uomini pel lavoro delle aie. Il capo dell’anno scorso era un buon uomo, ma la squadra era da poco. Piacciale parlarne con Enrico. Mi lusingo che la conversazione ch’ella sta per avere con questi, porterà gli effetti che ne desidero. In ogni modo produrrà una crisi salutare; giacché costringerà questo selvatico od a piegarsi alle nostre viste od a cercare altro padrone. Lo assicuro solo che sono disposto a perdonare a Enrico ove questi sia disposto a corrispondere alle sue ed alle mie aspettative”. Cavour era di lingua madre francese, ed il suo italiano non era perfetto. Conosceva però molto bene il dialetto delle Grange, e talora ne italianizzava volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 260 230 MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO alcuni vocaboli. In questo caso, “aggiustare” deriva dal dialetto “giüstè”, per assumere. Più avanti, scrive “sagnare” al posto di salassare. 1847, a Colli: “Ho da molti anni in mente di far costrurre a Leri un molino all’americana, per liberarmi dal fastidio dei mugnai che rubano spietatamente i poveri miei sudditi”. Torino, 17 giugno 1848, a Corio: “Ill.mo Signore -Va bene ch’ella faccia seminare fagiuoli quarantini nel Valsentino, purché gli faccia fare la guardia quando maturi, per impedire che gli abitanti del Castello dell’Apertole li rubino. La prego di raccomandare ai carabinieri di Livorno di fare alcune gite al Torrone infestato dai malandrini. Ne ho trovati ieri tre che giocavano alle carte nella stalla della Vissa. Prima di parlare al marchese di Tafino, comandante generale dei carabinieri, desidero provare l’effetto di un invito amichevole”. 1854, a Corio: “Vedrò di spingere la pratica della strada di Cigliano ad Ivrea. Le osservo però che i lavori della ferrovia da Santhià a Biella essendo attivati, i braccianti di quelle località non difetteranno di occupazioni”. 7 - I PROBLEMI SANITARI La situazione sanitaria dei tempi non era tra le migliori: malaria, febbri tifoidee erano endemiche, mentre erano frequenti le epidemie di colera. La medicina era pressoché impotente nel fornire rimedi. 1853: “Sento pienamente la necessità di avere un uomo incaricato unicamente di sorvegliare il bestiame. La difficoltà è di trovare a chi affidare un impiego tanto geloso. Uno dei figli del Maire tornato ora dal reggimento, potrà forse riempire questo posto. Ma esso è ancora molto giovine, e non potrà rimanere l’estate nelle nostre pianure”. (per via della malaria) 1853, a Corio: “Tosco fu sagnato due volte, pare oggi in convalescenza”. (Tosco era il segretario contabile) Nel 1854, il re Vittorio Emanuele aveva programmato una battuta di caccia al beccaccino nella tenuta di Leri, che però non ebbe luogo a causa del colera. Torino, 7 settembre 1854, a Corio: “Preg.mo Signore - Il Re sarà di ritorno da una gita in montagna, lunedì prossimo. Ove si disponga a venire a Leri, non sarebbe se non nel finire della ventura settimana. Dalla nota delle camere ch’ella mi ha trasmesso, rilevo che facile sarebbe il ricoverare S. M. Per ciò che riflette la sala da pranzo, si potrebbe destinare il magazzeno ridotto. Ma questa gita riesce molto problematica a motivo del colera. Le scriverò in proposito lunedì venturo, ed andrò poi io stesso martedì o mercoledì, sia per preparare ogni cosa, sia per combattere la malattia, ove invadesse le nostre risaie”. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 261 LE “TRESCHE” DI CAVOUR 231 Torino, 8 settembre 1854 a Corio: “Preg.mo Signore - Non si dia fastidio per l’addobbamento del magazzeno; se il Re viene, penserò a tutto. Ma l’importante sta nel sapere se vi siano beccaccini o no, e se il cholera ci invaderà o no. Ho dato l’ordine di spedire a Genova 25 q. m. di guano a l’indirizzo di Cabella; questo lo spedirà ad Alessandria, ove lo manderemo a caricare”. 9 settembre 1854, a Corio: “Egregio Signore - Il Re mi ha detto questa mane che se vi sono dei beccaccini, verrà ad ucciderli giovedì venturo. Mi sono deciso a partire lunedì col mio fratello, essendo conveniente che a ricevere S. M. vi siano entrambi i padroni del sito. Il Re condurrà poca gente, ed in modo o nell’altro ci aggiusteremo”. Torino, ottobre 1854, a Corio: “Se il cholera ci risparmia a Leri, ci ha crudelmente colpiti qui. In meno di 24 ore il povero nostro cuoco e la sua moglie, antica donna di casa, furono condotti nella tomba, ad onta delle più sollecite cure dei medici e di tutti i nostri famigli. L’afflizione e lo sgomento furono assai forti. Il povero Tosco fu invaso da tanta paura, ch’io riputai prudente il mandarlo a Centallo dal suo fratello”. Torino, 28 novembre 1854, a Corio: “Preg.mo sig.re - La prego a farmi sapere se Tosco sia morto o per lo meno colpito dal cholera. Sono ormai due settimane ch’egli ha lasciato Torino, ed egli non mi ha più dato segno di vita quantunque gli abbia scritto una volta”. Il conte di Cavour esercitò la professione agricola in tempi difficili, ma di grandi evoluzioni, alle quali diede un contributo memorabile. Fu vittima egli stesso delle scarse conoscenze mediche di allora, e di cure basate sui salassi. Se il fato gli avesse concesso una vita più lunga, avrebbe certamente contribuito ulteriormente al progresso agricolo, oltre che alla costruzione dell’Italia. BIBLIOGRAFIA AZ.IMMOBILIARE VC - 1883 - Atto di divisione del tenimento di Lucedio. Tipografia Facchinetti, Vercelli, I. BALBONI M., GADDO I. - 2011 - Il risorgimento vercellese e l’impronta di Cavour. Interlinea srl, Novara, I. DE LA RIVE W. - 2003 - Il conte di Cavour. Soc. Tipografica Ianni, Santona, TO, I. PISCHEDDA C. - 1997 - Camillo Cavour la famiglia e il patrimonio. L’Artistica Savigliano, Savigliano, CN, I. PUGLIESE S. - 1908 - Due secoli di vita agricola. Fratelli Bocca, Torino, I. ROMEO R. - 1969-1984 - Cavour e il suo tempo. Laterza, Bari, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 262 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 263 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ MEMORIA DELL’ACCADEMICO EMERITO SANDRO POTECCHI* presentata il 2 dicembre 2011, presso l’Accademia delle Scienze di Torino, in occasione dell’Assemblea comune tra l’Accademia di Agricoltura e l’Accademia di Medicina di Torino RIASSUNTO: Nove sono stati i Congressi degli Scienziati Italiani che, sull’esempio di altri Paesi europei, furono organizzati in Italia dal 1839 al 1847, in altrettante città della penisola. Essi coinvolsero quasi seimila persone – di cui novecento straniere – tra accademici, docenti universitari, professionisti, esponenti di istituzioni pubbliche e di apparati tecnici, amministrativi e militari degli otto Stati italiani. Nelle due settimane di incontri, i partecipanti - che raggiunsero la punta massima di 1613 a Napoli - discussero vari argomenti relativi alle Scienze Naturali, medicina e agricoltura incluse. Tali Riunioni offrono un panorama ampio e preciso dello sviluppo della scienza nell’Italia dell’'800, storicizzando l’evoluzione scientifica dell’epoca, frutto anche degli scambi e dei dibattiti che esse resero possibili. In detti Congressi, le esigenze proprie della ricerca scientifica si uniscono con quelle dello sviluppo economico e si intrecciano con i sentimenti, ancorché confusi, di unità nazionale, declinati da schiere crescenti di “dotti” legati da un fervente amore per la Patria italiana. A Venezia, nel 1847, in occasione del nono Congresso, i riferimenti alla “nostra Italia” furono talmente espliciti da determinare la chiusura anticipata dei lavori per l’intervento della polizia austriaca. Nel 1861, attuata la prima fase dell’Unità d’Italia, si tentò invano di riprendere i Congressi itineranti, rivitalizzandoli con l’aggiunta delle tematiche umanistiche. Quello di Siena, del 1862, fu un chiaro insuccesso, alquanto prevedibile, essendosi dissolti con l’Unità quegl’impedimenti ad incontrarsi, che ne avevano costituito stimolo potente a farlo. SUMMARY: The Congresses for Italian Scientists before the Unity Nine Congresses for Italian Scientists, based on the example of other European countries, were organised in Italy between 1839 and 1847, in the same number of cities on the peninsula. They involved nearly six thousand people – nine hundred of whom were foreigners – including academics, university professors, specialists and representatives of public institutions and technical, administrative and military organisations of the eight Italian states. During the course of two weeks of meetings, the participants – who reached a peak of 1613 in Naples – discussed various topics related to the Natural Sciences, in the strictest sense of the phrase, including medicine and agriculture.These meetings offer a comprehensive and precise panorama of the development of science in Italy in the 19th century, chronicling the scientific evolution of the age, the result also of the exchanges and debates which they made possible. In said Congresses, the specific demands of scientific research were combined with *E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 264 SANDRO POTECCHI 234 those of economic development and intertwined with the still rather confused feelings of national unity, as decalred by the growing ranks of “scholars” bound by a fervent love for the Italian motherland. In 1847 in Venice, on the occasion of the ninth Congress, the references to “nostra Italia” were so explicit they led to the early closing of proceedings due to the forceful intervention of the Austrian police. In 1861, with the first stage of the Unity of Italy underway, a vain attempt was made to resurrect the aforementioned travelling Congresses, revitalising them with the addition of humanistic themes. The one in Siena, in 1862, was a clear failure. This was somewhat predictable, given that the Unity had removed the obstacles that prevented such meetings and which – at the same time – provided a powerful and uncontollable stimulus to hold them. RÉSUMÉ: Les Congrès des Savants Italiens avant l’Unité. Les neuf Congrès des Savants Italiens qui, suivant l’exemple d’autres Pays Européens, ont été organisés de 1839 à 1847 dans neuf villes italiennes, virent l’implication de presque six mille personnes, dont neuf cents étrangers: académiciens, professeurs universitaires, professionnels, représentants d’institutions publiques et d’organismes techniques, administratifs et militaires des huit Etats italiens. Au cours de deux semaines de rencontres, les participants, dont le nombre atteint son apogée (1613) à Naples, discuterent plusieurs thèmes relatifs aux Sciences Naturelles, y comprises la médecine et l’agriculture. Ces Congrès offrent un panorama vaste et précis du développement de la science en Italie au XIXe siècle, en historicisant l’évolution scientifique de l’époque, qui est aussi le fruit des échanges et des débats qui ont été possibles grâce à ces réunions. Dans lesdits Congrès, les exigences spécifiques de la recherche scientifique se joignent à celles du développement économique et se mêlent aux sentiments d’unité nationale qui, quoique confus, sont incarnés par un nombre croissant de “savants” liés par un amour fervent pour la Patrie italienne. En 1847, à Venise, lors du neuvième Congrès, les références à “nostra Italia” sont tellement explicites qu’elles provoquent la clôture anticipée des travaux à cause de l’intervention de la police autrichienne. En 1861, la première phase de l’Unité Italienne terminée, on essaie en vain de faire revivre ces Congrès itinérants, en les révitalisant avec l’introduction de thèmes humanistes. Le Congrès de Sienne de 1862 est un échec évident, d’ailleurs assez prévisible, car l’Unité avait éliminé les obstacles qui incitaient, de façon puissante, les savants à se rencontrer. 1 - INTRODUZIONE Si ritiene, più che opportuno, doveroso ravvivare le ultime luci delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, con quelle palpitanti delle Riunioni degli Scienziati Italiani (1839-1847), che ne costituirono prodromo indiscusso e stupefacente. L’insieme di detti Congressi risultarono l’evento culturale più significativo del secolo, non soltanto per l’ampio ventaglio delle discipline trattate, ma per gli aneliti di libertà ed i fremiti di progresso, di cui – come si avrà modo di fare rilevare - furono costantemente permeati. *** Percorrendo questa traiettoria, ci si imbatte inevitabilmente nelle Accademie, a cui si deve lo sviluppo scientifico e tecnologico esploso al principio del XIX secolo. Il loro carattere elitario, però, le distaccava dal progresso della società contemporanea dovuto, non più ad un manipolo di scienziati, ma ad altri soggetti quali: professionisti, tecnici ed esperti provenienti da amministrazioni civili e militari. A queste Accademie stanziali se ne aggiunsero di altro genere come la Società Italiana delle Scienze, detta dei XL, fondata nel volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 265 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 235 1782 dal matematico Lorgna, costituita da 40 membri, stabilmente residenti in differenti città d’Italia, che facevano confluire i loro lavori a Modena, ove era la segreteria. Lo sviluppo tecnologico seguito alla prima rivoluzione industriale ed il rinnovato interesse per la scienza, manifestato negli ultimi anni dell’impero napoleonico, era proseguito anche durante la Restaurazione. Allo scopo di dibattere e confrontare i risultati scientifici gli studiosi avevano dato vita a società scientifiche, quali: la Chemische Gesellschaft (Germania), la Physical Society (Gran Bretagna) e la Société Chimique (Francia). La Confederazione Elvetica si dotò di un’associazione per il progresso delle scienze, nettamente distinta dalle Accademie tradizionali e finalizzata ad aggregare specialisti di differenti discipline. La formula peripatetica per l’effettuazione dei suoi congressi venne inaugurata nel 1815, con la nascita della Société helvétique des Sciences Naturelles (SHSN), che tenne il primo Convegno a Berna nel 1816. L’iniziativa fu imitata dal naturalista tedesco Lorenz Oken, che convocò a Lipsia, nel 1822, la prima riunione della Gesellschaft deutscher Naturforscher und Ärtze (GDNÄ). Seguì la Gran Bretagna dove la British Association for the Advancement of Science (BAAS) organizzò a York, nel 1831, la prima adunanza avente come promotore il fisico David Brewster. Infine, nel 1833, venne istituita l’Association française pour l’Avancement des Sciences. Negli anni Quaranta le riunioni tedesche furono magnificate in Europa come le più riuscite cerimonie di consacrazione della scienza “alta” - che si identificava con le Università – ed il modello tedesco contribuì a definire il profilo dello “scienziato” come professionista della ricerca e quello tedesco fu indubbiamente il tipo ideale delle associazioni nazionali per il progresso delle scienze. In Inghilterra fu coniato il termine “scientist” per distinguerlo dall’ideale di “philosopher” non specializzato, dominante nella Royal Society. “I Congressi nazionali itineranti degli Scienziati, che si andavano celebrando con cadenza annuale nei suddetti Paesi europei, erano oggetto di grande attenzione. Ne parlavano gli Annali delle Accademie, le riviste enciclopediche ed i giornali di opinione. Celebrate alla fine dell’estate, le riunioni richiamavano a raccolta centinaia di persone. I rendiconti davano materia ai dibattiti interni alle comunità disciplinari, entusiasmavano i seguaci della religione del progresso, pungolavano gli amatori, stimolavano nell’opinione pubblica reazioni differenti verso il protagonismo dei professionisti delle scienze fisiche, mediche e naturali”. (Casalena, 2007). Nella Penisola si iniziò a parlare di tali congressi allorquando il primo fascicolo dell’Antologia (gennaio 1821) riportò il resoconto della sesta adunanza ginevrina della SHSN. I legami del fondatore del periodico, Giovanni Pietro Vieusseux, con Ginevra da dove proveniva la sua famiglia, furono decisivi in questa scelta e quelle riunioni divennero oggetto di costante interesse per il gruppo di patrizi e di intellettuali toscani raccolti nel Gabinetto scientificoletterario da lui istituito. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 266 236 SANDRO POTECCHI L’Associazione svizzera esaltava tutte le dimensioni e tutti gli attori del lavoro scientifico. Era suscettibile, pertanto, di accogliere le nuove istanze del mondo accademico toscano, del patriziato fiorentino, nonché della borghesia livornese – in buona parte ebraica o protestante – ai quali essa avrebbe potuto meglio assicurare lo svincolarsi definitivamente da élites e Stato. L’Antologia parlò ancora delle riunioni svizzere nel 1823 e nel 1825. Nel 1828, l’ingegnere e matematico inglese Charles Babbage, viaggiando in Italia, ebbe occasione di incontrare diversi uomini di scienza e di esporre al granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena il piano di un’accademia europea. Negli ultimi anni di vita, l’Antologia diede risalto a quanto avveniva nella Confederazione germanica (Deutscher Bund), auspicando un’analoga istituzione anche nella Penisola. L’Italia divisa in 8 Stati – come la Germania in 39 – avvertiva la necessità d’una più intima riunione delle sue parti e se – al momento – non le era dato di aspirare all’unità politica, cercava almeno l’unione morale. A dare compiutezza alla temperie che ha interessato per lunghi anni, come si è visto, i prodromi dei Convegni degli Scienziati in Italia, sarà Carlo Luciano Bonaparte, principe di Musignano (1823) e poi di Canino (1840), figlio di Luciano fratello di Napoleone e marito della cugina Zenaide figlia di Giuseppe. Questi, nell’autunno del 1838, di ritorno dal congresso degli scienziati tedeschi a Friburgo, riuscì a convincere Leopoldo II sull’opportunità di indire dei congressi scientifici itineranti anche in Italia. Il Bonaparte aveva 35 anni e fama di eccellente botanico e zoologo. I viaggi lo avevano posto in relazione con i grandi nomi italiani ed europei; estraneo ai moti liberali godeva buoni rapporti con Gregorio XVI e non solo. Nelle proposte avanzate a suo tempo dal Babbage e nell’attivismo del Bonaparte non si può non avvertire una remota ispirazione baconiana, enciclopedistica, paneuropea e forse un’eco massonica. I promotori dell’impresa furono, oltre al Bonaparte (fig. 1), il marchese Vincenzo Antinori, direttore del museo di Fisica e Scienze naturali di Firenze, il prof. Giovanni Battista Amici, fisico e astronomo, il prof. Gaetano Giorgini, provveditore generale dell’Università di Pisa, il prof. Paolo Savi, naturalista all’Università di Pisa, ed il prof. Maurizio Bufalini, clinico e medico nell’Arcispedale di Firenze. Con l’apporto defilato del Viesseux, i promotori provvidero ad inviare gli inviti in due tempi - 28 marzo (I circ.) e 18 agosto (II circ.) – per il primo congresso, che si sarebbe svolto a Pisa nell’ottobre 1839 (Marini Bettolo, Capasso, 1991). Con somma sorpresa e trepidazione della diplomazia reazionaria europea, alla metà di marzo del 1839 si spargeva la notizia che nel prossimo ottobre, per concessione del Granduca di Toscana, si sarebbe riunito a Pisa un congresso di scienziati, prima assise scientifica italiana. Ne dava notizia l’Allgemeine Zeitung del 17 marzo, in una corrispondenza da Roma del 2 marzo, prima ancora – quindi – che il primo invito ufficiale volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 267 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 237 Fig. 1 - Carlo Luciano Bonaparte, principe di Musignano e Canino. Parigi 1803-1857 (dis. F. Boggi, 1841). Fonte: Marini Bettolo, Capasso, 1991. fosse diramato. L’indiscrezione, che mise a rumore i circoli diplomatici, fu ispirata con spregiudicata tempistica dal Bonaparte allo scopo di superare eventuali ripensamenti del Granduca sull’ortodossia della progettata riunione, alla quale davano serie garanzie i migliori scienziati dello studio pisano, anche se non tutti in odore di santità politica. Ritenendo impossibile convincere il governo di Toscana a ritornare sui suoi passi, la diplomazia predispose un sottile lavorìo affinché i governi stranieri non permettessero od ostacolassero in tutti i modi l’adesione e la partecipazione al convegno. Il conte di S. Marzano, rappresentante sabaudo a Firenze, nonché fedele interprete del pensiero notoriamente reazionario di Solaro della Margherita, primo ministro del re di Sardegna, facendo proprio il suggerimento del ministro austriaco conte Reviczky, si affrettò a denunciare al proprio governo il convegno come un’oscura macchinazione dei liberali. Nella sua denuncia bollò uomini miti quali l’Amici, il Giorgini, il Buffalini e Paolo Savi come pericolosi liberali intimamente legati al Granduca, colpevoli di essere forti promotori della libertà italiana e strumento del principe di Musignano, che dell’idealità scientifica faceva strumento di speculazione politica e, nel contempo, quale epigono di un’odiata epopea, era motivo di sospetto, diffidenza ed ostilità. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 268 238 SANDRO POTECCHI Il nuovo ministro sabaudo, il Carrega, meno intransigente del S. Marzano ma sempre allineato alla politica austriaca, ispirata dalle attente istruzioni del Metternich, inviava a Torino il 1° settembre 1839 il seguente dispaccio: “Le Docteur Buffalini, professeur de médicine à l’hôpital de Florence (dont ses principes liberaux sont généralement connus), est un des six signataires de l’appel adressé aux naturalistes italiens pour les engager à se rendre à la réunion de Pise, annexe à ma dépêche du 15 mai, en entretenant ses auditeurs des maladies du coeur humain, fit tomber le discours sur celles causées par l’amour de la patrie et ….il deploya dans son allocution le liberalisme le plus effronté. Sa dissertation produisit un vif enthousiasme sur l’esprit de ses jeunes écoliers...” (Cessi, 1923). Gli Asburgo d’altra parte, nel 1832, avevano ospitato a Vienna il Congresso della GDNÄ ed autorizzato, nel 1837, quello di Praga. Quindi l’Austria poteva permettersi di patrocinarne uno analogo nella Penisola. Placatasi grazie all’intermediazione granducale l’ostilità di Vienna, rimase l’opposizione del re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, e quella ancor più becera del duca di Modena, Francesco IV d’Austria-Este (ritorsioni su eventuali partecipanti). Resisteva il clima di diffidenza da parte del Vaticano, avendo il Granduca rifiutato di reintegrare i beni ecclesiastici alienati nel periodo napoleonico. 2 - I PRIMI NOVE CONGRESSI 2.1 - I Congresso - Pisa, 1-15 ottobre 1839 Li uomini poi che ‘ntorno erano sparti s’accolsero a quel luogo, ch’era forte (Inf. XX, 98,99) A Pisa, città illustre per storia e cultura (sufficit riandare a Fibonacci e Galilei) e splendida per monumenti, ad accogliere i convenuti provvide una Giunta di Professori, che li muniva di un lasciapassare, costituito da un biglietto rosso se ammessi a pieno titolo quali “membri del congresso” oppure celeste se “amatori”. Presidente generale fu il prof. Ranieri Gerbi, decano dell’Università di Pisa, e Segretario generale il prof. Filippo Corridi. I congressisti furono 421 (figg. 2, 3, 4), le Deputazioni 17, di cui 2 straniere. Tra i convenuti spiccavano: lo storico della scienza Vincenzo Antinori, l’abate Pietro Configliacchi e, tra gli stranieri, il naturalista svizzero Lorenz Oken. Il primo giorno fu dedicato ad un solenne ufficio religioso nella primaziale della città, anche se l’iniziativa era stata avversata da alcuni scienziati (Gerbi e Paolo Savi, in particolare) e dalla Curia locale allineata con le autorità centrali. Il 2 ottobre gli scienziati risolsero la vexata quaestio della classificazione delle scienze naturali, adottando sostanzialmente le sezioni stabilite dai tede- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 269 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 239 schi per i loro congressi. I lavori - e così pure quelli delle altre 5 successive riunioni - si articolarono in 6 sezioni (AA.VV., 1840). Il settimo congresso (Napoli 1845) vide poi l’introduzione di anatomia e archeologia con l’incremento delle sezioni a 9, come qui indicato: Agronomia e Tecnologia; Medicina; Chirurgia e Anatomia; Fisica e Matematica; Chimica; Mineralogia e Geologia; Geografia e Archeologia; Botanica e Fisiologia vegetale; Zoologia, Anatomia comparata e Fisiologia (AA.VV., 1846). Ai convenuti venne distribuita la guida storico-artistica della città, nonché la medaglia di bronzo, coniata per l’occasione, avente nel dritto il busto di Galileo. Prassi che verranno seguite anche nelle riunioni successive. Infatti, in ogni sede si andò a gara per accogliere i congressisti nel modo più cordiale e festoso. Si provvide all’apertura – anche serale – di palazzi aristocratici e di biblioteche, all’organizzazione di armoniosi concerti musicali, balli, regate storiche (a Pisa e Venezia) ed escursioni, nonché al ricorso ad eleganti ornamenti floreali e ad omaggi poetici. La città che, nel cortile del Palazzo dell’Università detto la Sapienza, aveva eretto per sovrana munificienza e volontarie oblazioni una statua di Galileo – opera di Paolo Emilio Demi - provvide ad inaugurarla con il prof. Giovanni Rosini. Questi, con un discorso assai diplomatico, sottolineò il distinguo tra Chiesa – che mai aveva condannato il sistema copernicano – ed il tribunale dell’Inquisizione, i cui decreti non sono dogmi, e ricordò, anche, che a cagione d’invidia il grande pisano fu costretto a trasferirsi a Padova dove rimase 18 anni, precisando che gli amici lo videro partire con dolore, gli ammiratori con rammarico, i colleghi con gioia, il governo con indifferenza. Infine, sempre alla Sapienza, a cura del Prof. Gaetano Giorgini, venne posta una lapide a perenne ricordo dell’avvenimento. Il terzo giorno vide la prima Adunanza generale, alla presenza di varie Autorità governative, ecclesiastiche e municipali, con l’allocuzione del Presidente che, evocate le glorie del Granducato ed i meriti dei suoi scienziati, passò ad illustrare quanto Galileo, Torricelli, Viviani, Redi, Bagalotti e molti altri avessero diffuso luce in Europa. Aggiunse che anche l’agricoltura non ebbe sorte dissimile, non avendo deviato dall’insegnamento del Crescenzo e potuto contare su insigni cultori quali il Dandolo, il Re, il Targioni, l’Acerbi ed il Lambruschini (AA.VV., 1840). Il Bonaparte, prospettò: “che la riunione avesse luogo da qui a 2 anni a Firenze e l’anno prossimo a Torino”. Proposta subito sanzionata dal Presidente. Il principe di Musignano, ignorando quanto da lui sottoscritto, agì da padrone, sicuro di poter guidare il consesso a proprio piacimento. Ciò destò una diffusa reazione negativa tra gli scienziati che, in buona fede, lavoravano per i loro ideali scientifici, facendo tacere i sentimenti più intimi e palpitanti, e fece emergere l’innato sentire italiano insofferente delle illegittime introduzioni ed avverso allo spadroneggiamento dei napoleonidi che, con l’intrigo, cercavano di legare la sorte dei futuri congressi alla loro persona. Invero ci riuscirono, ma accrebbero soltanto l’antipatia verso di loro. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 270 240 SANDRO POTECCHI Non meno significativo fu il lavoro svolto dal Bonaparte, qui a Pisa e successivamente anche nelle altre sedi, fuori dalle aule dei congressi: visite a sovrani e ai membri dei governi ospiti, contatti e scambi di idee con gli intervenuti alle riunioni, in una piena libertà di argomenti e discussioni che, nel controllo esercitato dalle autorità nelle sedute ufficiali, non permetteva. Di indubbie doti intellettuali, la sua impetuosa irruenza e la sua esuberante verbosità, peraltro così in contrasto con la schematica rigidezza della sua formazione scientifica e con la lucida razionalità delle sue idee, finirono per alienargli molte simpatie nel campo scientifico e pure in quello politico. Alla sera del 4 ottobre giunse a Pisa il Granduca per seguire più da vicino il congresso. Il giorno successivo onorò della sua presenza le Tornate delle Sezioni di Zoologia e di Medicina e si degnò di chiamare alla regale mensa gli “Ufficiali” ossia il Presidente ed il Segretario generali, nonché i Presidenti ed i Segretari di Sezione. Da ogni parte pervennero lettere, libri e manoscritti; cosa che diede nuovo impulso ai lavori che, in più di una occasione, andarono oltre le due ore previste. Le donazioni andarono via via crescendo nei congressi successivi. Si provvide alla stampa di un “Manifesto della I riunione degli Scienziati italiani” dove campeggia il Granduca Leopoldo, in alta uniforme ed a cavallo, contornato da figure allegoriche di circostanza e dall’elenco degli intervenuti. Il 15 ottobre, alla presenza del Granduca, si tenne l’ultima Assemblea generale, in cui il prof. Filippo Corridi, facendo un rapido consuntivo dei lavori, così esordì: “Quanto io narrerò… stimo che sarà insieme argomento dilettevole per gli Italiani tutti a’ quali ogni cosa che torni a onore della Patria, che ci è comune, deve e per sentimento e per debito riuscire carissima”(AA.VV., 1840). Alla chiusura dei lavori del Congresso si procedette all’accurata redazione degli Atti – e così pure per le riunioni successive - che furono puntualmente recapitati a tutti i convenuti nell’estate successiva. 2.2 - II Congresso - Torino, 15-30 settembre 1840 La proposta avanzata a Pisa dal Bonaparte, in palese violazione del regolamento, suscitò vivaci proteste, ma il pronto invio a Torino di un corriere per chiedere al re di Sardegna il permesso portò alla ratifica della decisione. Re Carlo Alberto, intimamente obtorto collo, ma allettato dall’opportunità di accreditarsi l’immagine di mecenate scientifico, acconsentì che la riunione si tenesse a Torino – e così pure l’ottava del 1846 a Genova – ma ordinò alla polizia di schedare tutti i partecipanti e pose la condizione che le discussioni fossero prive di qualsiasi accenno politico, cosa del tutto intollerabile nel suo Stato (Mark Smith, 1999). Ciò non deve stupire più di tanto. Infatti in quegli anni a Torino si respirava un’aria pesantemente reazionaria. È sufficiente rifarsi all’iter burocratico del progetto di statuto della Società Medico-Chirurgica, sottoposto tra l’altro al Gabinetto di polizia del Ministero della Guerra e Marina per valutarne la “pericolosità sociale”; nel gennaio del 1842 viene approvato alle condizioni volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 271 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 241 che: le riunioni private dei Soci si sarebbero dovute svolgere alla presenza di un funzionario del Magistrato della Riforma degli Studi, che le riunioni pubbliche erano consentite una sola volta all’anno e che ad esse potevano partecipare al massimo 50 persone (Masenti, Bargoni, 1996). Presidente generale fu il conte Alessandro di Saluzzo, ministro del Regno e presidente della R. Accademia delle Scienze, coadiuvato dal prof. Giuseppe Gené, zoologo e direttore del Museo di Scienze Naturali di Torino, in qualità di Segretario generale. I convenuti furono 573 (figg. 2, 3, 4), le Deputazioni 19, di cui 4 straniere. Tra i congressisti: il matematico ed astronomo Giovanni Plana, il botanico Giuseppe Giacinto Moris, il geologo Lorenzo Pareto, il fisico chimico Amedeo Avogadro di Quaregna, l’agricoltore Emilio Bertone di Sambuy ed il chirurgo Alessandro Riberi. Tra gli stranieri, il matematico ed ingegnere Charles Babbage, il cui progetto di macchina di calcolo suscitò gli entusiasmi del fisico Fabrizio Ottaviano Mossotti e del giovane Luigi Menabrea. Integrando l’elenco dei congressisti, riportato negli Atti, relativamente ai 148 accademici italiani presenti, si è pervenuti a stabilire che la R. Accademia delle Scienze di Torino era rappresentata da ben 66 soci, l’I. e R. Accademia dei Georgofili di Firenze da 44, la R. Società Agraria di Torino da 40 (di cui 9 anche georgofili) e da 43 la Società Medico-Chirurgica di Torino, il cui statuto verrà approvato nel 1842 e che, nel 1846, diverrà R. Società Medico-Chirurgica di Torino (Minuz, Tagliarini, 1983). Il primo giorno i membri del congresso si riunirono nel Tempio di San Filippo – al tempo ancora sprovvisto di pronao – per invocare da Dio i suoi lumi e le sue benedizioni. Analogamente, l’apertura di tutte le altre 7 Riunioni, che ha fatto dischiudere le porte di alcune delle chiese italiane più celebri: Santa Croce (Firenze), Basilica del Santo (Padova), San Frediano (Lucca), Duomo (Milano), Duomo (Napoli), San Lorenzo (Genova) e Basilica di San Marco (Venezia). Il 16 settembre, nell’Aula magna della R. Università, il Presidente tenne un dotto discorso sul contributo dato dagli Italiani al progresso della scienza, invero incrinato da un passaggio in cui, ribaltando la realtà geostorica, affermava che la mente dell’augusto monarca era “costantemente rivolta a quanto può conferire alla gloria d’Italia, di quell’Italia sopra tanta parte della quale la generosa sua schiatta da tanti secoli gloriosamente impera”. Era proprio un’Italietta, la sua! Alla seduta di chiusura il Saluzzo si presenterà con le insegne del collare del Supremo Ordine della S.S. Annunziata, conferitogli dal re Carlo Alberto. Ai congressisti fu consegnata la guida di Torino e la medaglia commemorativa, con Minerva sul dritto. Il Gené informò che “nei 15 dì che la Riunione durò, tutto era vita e letizia nelle vie di Torino, tutto fu ordine e dignità nei palazzi” della R. Università e della R. Accademia delle Scienze (che ospitò le Sezioni di geologia e zoologia). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 272 242 SANDRO POTECCHI Il Sovrano non partecipò ad alcuna seduta, ma accolse alla sua regale mensa gli Ufficiali della riunione e molti illustri personaggi, ai quali diede in dono la Descrizione della R. Armeria, fatta stampare in elegantissimo volume. Per gli scienziati si organizzarono gite a Superga, Stupinigi, Moncalieri e alla Crocetta, per visitare l’Orto sperimentale della R. Società Agraria (AA.VV., 1841a). 2.3 - III Congresso - Firenze, 15-30 settembre 1841 In concomitanza con il Congresso, si inaugurò la prima Esposizione nazionale agraria, industriale e artistica. Furono Presidente generale il marchese Cosimo Ridolfi e Segretario generale l’ing. Ferdinando Tartini. Fra i responsabili delle Sezioni: il pedagogista ab. Raffaello Lambruschini ed il geologo Lodovico Pasini, ed alcuni notabili granducali, quali Gino Capponi, Bettino Ricasoli, Giuseppe Montanelli, Vincenzo Salvagnoli e Carlo Matteucci. I partecipanti furono 888 (fig. 2, 3, 4), le Deputazioni 39, di cui 12 straniere. Il Ridolfi nell’Adunanza generale di apertura, a Palazzo Vecchio nel Salone dei Cinquecento, ricordò agli scienziati che le loro riunioni avevano preso auspicio ed abbrivo in Pisa “a la vista di quella lampada e di quella torre che furono della nuova Fisica le prime e insigni macchine sperimentali” . E proseguendo con il suo dire alato soggiunse: “Onore e prosperità a Voi che fate così gran parte del decoro e della gloria d’Italia; di questa Terra la quale, come non v’è sciagura che non provasse, non v’è parimenti fama che conquistar non sapesse; di questo Popolo che più volte infelice fu sempre grande, e sarà sempre serbato a eccelsi destini nel progresso della civiltà e del sapere”(AA.VV., 1841b). Il granduca Leopoldo II per l’occasione fece erigere, nel Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, una Tribuna interamente dedicata a Galileo (soggetto ripreso anche nella medaglia commemorativa), destinata a contenere strumenti e carte del: “Divo intelletto, al cui veder profondo Poca la terra e non fu troppo il cielo”, come scrisse con felice immaginazione Massimima Fantastici Rosellini. Ai Congressisti furono distribuite una nuova guida di Firenze con pianta della città e le litografie di Dante e Galileo. Da menzionare, anche, il sontuoso banchetto offerto dal Granduca, nella villa di Poggio Imperiale, a tutti i Congressisti (circa 750) trasferiti da Boboli con “dugento carrozze”, di cui una quarantina con livree di corte. Come era prevedibile, i lavori scientifici dei Congressi e le varie attività di contorno destarono la legittima curiosità di quelli che erano costretti a seguirli indirettamente. Il che aveva prodotto qualche riga di cronaca sui giornali locali, nonché la pubblicazione di libretti ufficiosi con notizie e commenti vari, per iniziativa di alcuni solerti editori. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 273 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 243 A Firenze gli organizzatori, forse sollecitati da questo stato di cose, provvidero alla tempestiva pubblicazione dei Diari, a cura degli Ufficiali. Ogni sera – tranne la domenica - furono fatti uscire, per tutta la durata del congresso, questi fogli contenenti l’elenco dei nuovi arrivati ed il transunto dei lavori delle Sezioni. Distribuiti ogni mattina ai membri del Congresso, andarono a formarne in succinto la storia, oltre ad affiancarsi agli Atti ufficiali tradizionali (AA.VV., 1841c). Tra i diversi temi trattati non si può ignorare il gravissimo problema dell’istruzione. A tale proposito si riporta quanto auspicato dal conte Luigi Serristori di Firenze. Ossia: “che quanto prima possa essere in tutta Italia sistemata e generalizzata l’istruzione dei due sessi, ad imitazione di quanto operò da già venticinque anni la sapienza governativa del Regno Lombardo-Veneto”. Nella seduta conclusiva del 29 settembre, il presidente Ridolfi riservò toni foscoliani alle urne dei Grandi venerati in Santa Croce, esclamando: “Sì, fra le tombe dell’Alighieri, del Buonarroti, del Macchiavelli, Voi cercaste più che altro quella del Vostro Maestro, e quei marmi dissero agli occhi Vostri ciò che la mia voce non saprebbe ridire. Né il tenterò; ma come Voi commosso da così care memorie al sorgere di così belle speranze, - o Italia – griderò invece esultante, o Italia, madre feconda d’ingegni sì misurati, nò che la fama tua non verrà meno giammai. Pullulerà perenne da questa classica Terra un’illustre progenie, che all’età più remote tramanderà per opere eccelse un nome ognor più venerato” (AA.VV., 1841b). 2.4 - IV Congresso - Padova, 15-29 settembre 1842 Il quarto Congresso si tenne a Padova, con il consenso di Sua Maestà Imperiale Reale ed Apostolica l’Imperatore d’Austria Francesco I d’AsburgoLorena. Alla frontiera fu bloccato più di un aspirante congressista. Il fatto fu così commentato con irridente sarcasmo dal Giusti “ma chi se ne meraviglia…con quarantamila caiserlicchi sul Ticino, aver paura di due o trecento dotti in cravatta bianca andati là a litigare sul volvulus batatas o sopra un ranocchio!”. Presidente generale fu il conte Andrea Cittadella Vigodarzere, segretario dell’Accademia di Padova, coaudiuvato dal botanico dalmata Roberto De Visiani, in qualità di Segretario generale. Si presentarono in 514 (figg. 2, 3, 4); le Deputazioni furono 36, di cui 6 straniere. Tra i convenuti: il medico Giacomo Andrea Giacomini, il fisico Francesco Orioli, il chimico-fisico Bartolomeo Bizio, il geografo Jakob Gräberg. Tra i varî argomenti dibattuti, va indubbiamente evidenziato quello affrontato nella Sezione di Agronomia e Tecnologia, ossia l’effettuazione a livello nazionale di “Statistiche sopra i fanciulli impiegati nelle Manifatture”, avvalendosi di una tavola sinottica predisposta dal torinese conte Carlo Ilarione Petitti di Loreto. Nel successivo congresso di Milano (1844) verrà riferito che fanciulli di 10, 8 e persino 5 anni erano chiusi per 13 e talora 15 ore in mefitiche volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 274 244 SANDRO POTECCHI officine, legati ad un lavoro incessante, unito a promiscuità incontrollata, sonno faticoso ed interrotto, membra doloranti ed infiacchite, vecchiezza precoce; il tutto pagato con l’abbrutimento e la corruzione. Tema di forte impatto socio-economico e medico, che si riallaccia alle tematiche della medicina del lavoro le quali, nell’opera di De morbis artificum diatriba (1700) di Bernardino Ramazzini (1633-1714), ebbero in assoluto la loro prima enunciazione. Nel discorso conclusivo, il Presidente ebbe a dire che: “…sia lode perenne a quelli che promossero in Italia un’istituzione, la quale ravvicina i divisi fratelli. Guardano qui quella immancabile mercede bastante, anche nel segreto di se stesso, all’uomo che sa di aver giovata la Patria. Specialmente fortunati … gli intelletti cultori di moltissime parti dell’umano sapere che, con una concordia di cui niun secolo anteriore ha mai dato l’esempio, si avviano in tutte regioni d’Europa verso una grande unità” (AA.VV., 1843). 2.5 - V Congresso - Lucca, 15-30 settembre 1843 Il quinto Congresso si tenne a Lucca, piccolo ducato retto dal duca Carlo Lodovico di Borbone, che acconsentì nonostante il parere contrario dei suoi ministri. E questo dopo che la scelta, nelle sedute fiorentine, era caduta – in prima battuta – su Modena e poi su Parma e questo per i rifiuti diversamente motivati dal duca Francesco IV d’Austria-Este, quello che aveva mandato alla forca Ciro Menotti, e dalla duchessa Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, nota anche come “vedova non inconsolabile”. Presidente generale fu il marchese Antonio Mazzarosa, letterato ed erudito locale, e Segretario generale l’anatomista Luigi Pacini. Presenziarono 496 scienziati (figg. 2, 3, 4); le Deputazioni furono 50, di cui 10 straniere. Tra i congressisti: il giurista Giovanni Carminiani, l’abate Ferrante Aporti, lo storico Giuseppe La Farina e Karl Gustav Jacobi, accompagnato da altri matematici tedeschi. L’incontro ebbe grande influenza sugli ambienti italiani, specie romani e napoletani, dove fu più lungo il loro soggiorno. È doverono segnalare che il medico torinese Michele Griffa, dopo un intervento sul sistema carcerario con cui aveva denunciato il maltrattamento dei prigionieri, evocò - tra gli applausi - gli orrendi patimenti dello Spielberg, citando coraggiosamente Silvio Pellico e Federico Confalonieri, venne bruscamente invitato a lasciare il Ducato. Cosa significativa, l’incidente – se lo si vuole così chiamare – non fu registrato negli Atti. Il 19 settembre fu costituita una Commissione mista fra le Sezioni di Medicina e di Agronomia per raccogliere elementi utili per discutere sulla gravissima questione della nocuità o meno delle risaie. Infine dagli Atti (AA.VV., 1844, pag. 147) apprendiamo che il Conte Gherardo Freschi di Udine, presidente della Sezione Agraria e Tecnologia, a nome del sacerdote Enrico Tazzoli di Mandova, legge un’interessantissima Memoria, più volte applaudita, sull’importanza di istituire scuole agrarie nei seminari ecclesiastici, onde somministrare col tempo un numero considerevole di par- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 275 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 245 roci di campagna, i quali arrechino al loro gregge, con l’insegnamento morale e religioso, i lumi della sapienza agricola. L’avvocato Maestri fa plauso al Tazzoli del generoso e felice pensiero e fa voti onde i vescovi, cui è commessa la disciplina scolastica dei seminari, ascoltino le insinuazioni del Tazzoli (AA.VV., 1844). 2.6 - VI Congresso - Milano, 12-27 settmbre 1844 Il sesto Congresso venne preceduto, il giorno 11 settembre, dall’inaugurazione, nel cortile dell’I.R. Palazzo di Brera, della statua eretta al grande matematico Bonaventura Cavalieri, con l’elogio di Gabrio Piola. Il mattino seguente, Milano vedeva nel suo maggior tempio tanta umana dottrina inchinarsi alla divina Sapienza e partecipare al sacro rito presieduto dal cardinale arcivescovo. La benedizione da lui impartita “era a tutti novella testimonianza che la religione di Cristo non rifugge dalla dottrina degli uomini, perché questa, rinfiancata dalla Fede, è lucidissima via per la quale al sommo Iddio si sale”. Non stupisca quanto affermato dal Segretario generale nella suddetta relazione finale del 27 settembre, perché – occorre forse ricordare – Cauchy, Ruffini, Piola erano convinti assertori del primato della Religione e della Fede sulla scienza e fautori di una concezione della matematica che aveva tra i suoi obiettivi polemici il materialismo e il determinismo laplaciano. Presidente generale fu eletto il conte Vitaliano Borromeo e Segretario generale l’entomologo nob. Carlo Bassi. I Convenuti furono 1159 (figg. 2, 3, 4), le Deputazioni 69, di cui 16 straniere. Tra gli Ufficiali delle Sezioni: il marchese Emilio Bertone di Sambuy, il conte Gherardo Freschi, il conte Faustino Sanseverino e Leopoldo Pilla. Tra i congressisti: il medico pavese Carlo Cairoli, padre dei famosi fratelli, il conte Gabrio Casati, il matematico conte Carlo Montanari, l’astronomo Francesco Carlini e Alessandro Manzoni (nella veste insolita di agricoltore e studioso di economia, che esercitava brillantemente nella sua tenuta di Brusuglio, alle porte di Milano). Tra gli stranieri: il naturalista Eduard Rüppel, Spencer Joshna Compton, geologo e presidente della Royal Society, il medico Pietro Ippolito Boutigny d’Evreux e le baronesse Ernestina e Luigia Kotz di Praga. Lo storico Cesare Cantù predispose la guida della città, mentre il fratello Ignazio preparò un ponderoso volume (500 pagine) con le biografie degli italiani ascritti ai cinque primi Congressi (Cantù, 1844). Il Presidente, nel discorso di apertura tenuto alla presenza dell’Arciduca vicerè, parlò – et pour cause – del cardinale Federico Borromeo che riunì nella magnifica sede dell’Ambrosiana i libri ed i preziosi manoscritti da lui raccolti, aggiungendovi pure una stamperia, forse la prima in Italia. Successivamente, con evidente e giustificata preoccupazione, invitò i convenuti a “non trascendere nelle discussioni in questioni estranee all’indole strettamente scientifica delle adunanze; a non farsi allettare dal pensiero di entrare nello spinoso campo delle metafisiche disquisizioni e a non dar retta a chi vorrebbe spingere alla trat- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 276 246 SANDRO POTECCHI tazione di argomenti sulle scienze politico-morali, pur non disconoscendone l’importanza”(AA.VV., 1845). L’Arciduca vicerè presenziò anche alle altre Assemblee generali e accolse alla regia mensa tutti gli Ufficiali ed i congressisti più noti. Il Segretario della Sezione Zoologia, Oronzio Costa, annunziò – tra gli applausi – che l’Accademia degli Aspiranti Naturalisti di Napoli, tenendo al miglior esito del Congresso programmato per il 1845 proprio nella loro città, si era proposta di pubblicare raccolti in volumi, ordinati per materia, scevri da inutili e formali diciture ed arricchiti di note e commenti, gli Atti di tutti i precedenti Congressi. Questo allo scopo di mettere tutti coloro, ai quali sarebbe riuscito difficile procacciarseli, di conoscere quanto trattato, le questioni in itinere, i lavori proposti e cose simili (AA.VV., 1844 e 1845). 2.7 - VII Congresso - Napoli, 20 settembre - 5 ottobre 1845 Presidente generale fu eletto Niccola Santangelo, ministro degli Interni del Regno e Segretario generale Giacomo Filioli, dell’Accademia Pontaniana. Dei 1613 intervenuti, circa la metà erano regnicoli presenti per la prima volta e provenienti da tutte le province, al di qua e al di là del Faro (fig. 2,3, 4). Taluni non mancarono di far rilevare come le ammissioni fossero state fatte “con generosa benevolenza”. Negli Atti, le 100 Deputazioni vennero accuratamente suddivise tra quelle “non del Regno” (66 di cui 14 straniere) e “del Regno” (34 distinte tra quelle delle Società economiche 20 e delle Accademie nazionali 14) (AA.VV., 1846). Tra gli Ufficiali delle 9 Sezioni alcuni erano già noti, come il chimico Raffaele Piria, il fisico-matematico Macedonio Melloni (fondatore dell’Osservatorio vesuviano), ed altri no, come il botanico Michele Tenore ed il giovanissimo chimico Stanislao Cannizzaro. Francesco de Sanctis, da buon testimone, in qualità di “amatore”, osservò che “il settimo Congresso, tenuto a Napoli, fu precursore della rivoluzione”, e infatti, tra gli intervenuti figuravano: il Brofferio, il Montanelli, il Salvagnoli, il Pasini, il Matteucci ed il Tazzoli, che avrebbero occupato posti di rilievo nei moti per l’unità d’Italia. Non mancarono personalità straniere quali: Wolfgang Maximilian Goethe, giurista e nipote del grande Johann, ed il celeberrimo Theodor Mommsen, filologo, storico ed epigrafista. La cerimonia di apertura venne tenuta nella grande Sala del Museo Mineralogico, con la partecipazione del re Ferdinando II, che vi prese la parola in risposta al Presidente Santangelo. La cordialità e lo sfarzo dell’accoglienza finirono per enfatizzare – oltre misura – gli aspetti mondani connessi al Congresso, suscitando anche ironiche critiche sulla stampa locale e non solo. Tutto questo, però, non riuscì a mascherare lo stato reale della città, le condizioni fatiscenti e malsane di carceri ed ospedali. Una Commissione medica effettuò vari sopralluoghi, riscontrando trattamenti allucinanti sui pazienti ed una elevata mortalità. Nessuna menzione sugli Atti. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 277 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 247 La pronta visibilità del Congresso di Napoli venne offuscata dalla mancanza di comunicazioni con il nord. A Milano, il conte Alessandro Porro, redattore del Bollettino di statistica, dovette ricorrere alle pagine dell’Allgemeine Zeitung. Il Segretario generale, in chiusura, così si espresse “un solo voto mi resta: è che duri a lungo e senza interrompimento la magnanima e l’utile istituzione che qui vi ha radunati. La sua durata darà alla nostra Italia il più sicuro progresso di gloria e di pace; pace alla cui ombra soltanto le scienze, le arti e tutte le discipline possano degnamente fruttificare, ché indegnate esse si arretrano appena, stridendo sui loro cardini, si disserrano le porte del temuto tempio di Giano”(AA.VV., 1846). Per eternare la memoria del Congresso fu battuta - more solito – una medaglia, avente nel dritto la figura dell’Italia, e nel rovescio l’immagine di Giambattista Vico. Gli Atti furono pubblicati puntualmente nel 1846 presso la stamperia del Fibreno, e per la prima volta in due volumi, per complessive 1600 pagine. 2.8 - VIII Congresso - Genova, 14-29 settembre 1846 Presidente generale fu il marchese Antonio Brignole Sale e Segretario generale il marchese Francesco Pallavicino. I congressisti furono 1062 (fig. 2,3, 4), le Deputazioni 129, di cui 39 straniere. Ai lavori parteciparono personalità come: Massimo d’Azeglio, Giovanni Berchet, Angelo Brofferio, Cesare Correnti, i botanici Antonio Bertoloni e Giuseppe De Notaris e l’entomologo Massimiliano Spinola. L’Adunanza generale di apertura dei lavori fu tenuta nel Salone del Palazzo Ducale alla presenza del Cardinale, del Governatore e di una folla di scienziati e di altre personalità. Il Presidente, nell’occasione, asserì che Genova era degnissima di essere sede dell’ottavo Congresso “perché madre di valorosi che or con la sapienza, or coll’armi, or colle lettere, or colle arti illustrarono la Patria” ed accennò alla effettiva utilità dei Congressi e alla valida protezione che loro accordarono i Principi italiani ed in ispecie il re Carlo Alberto: “che regge con sì profondo senno i popoli della parte superiore ed occidentale d’Italia e che tanti saggi ha dato dell’ardente amore suo per le scienze”(AA.VV., 1847a). Indubbiamente, il pensare ad un nuovo assetto della Penisola, derivato dal riconoscimento di una nazione italiana, aveva ancora basi incredibilmente fragili, soprattutto se si considera che “le proposte di rinnovamento nazionale della Penisola avevano incontrato una determinatissima resistenza degli establishment di tutti gli Stati preunitari compreso, almeno sino al 1846, anche il Regno di Sardegna”. Bisognerà attendere sino al 1851-52 la scelta risolutamente italiana della dinastia Sabauda (Banti, 2001). È indubbiamente rilevante quanto ebbe ad affermare l’abate Raffaele Lambruschini, Presidente della Sezione Agronomia, ovvero che: “i frutti dei Con- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 278 248 SANDRO POTECCHI gressi italiani non sono tutti contenuti nelle disputazioni scientifiche e nel volume degli Atti; i migliori frutti sono invisibili, sono nascosti nei cuori; scintille di amor fraterno, di carità di desiderio del bene che si propagano e fanno sì che i mali e le gioie di una parte d’Italia siano quelli dell’Italia tutta” (AA.VV., 1847a). Il principe Bonaparte, alquanto sdegnato, fece presente che nel Diario (18 settembre) non erano state riferite le splendide parole del Presidente allorquando aveva affermato che “mercè l’azione benefica dei Congressi si fa delle anime italiane un’anima sola”. Quindi fece l’annuncio della protezione accordata all’istituzione dei Congressi da Papa Pio IX, da poco eletto. Il che suscitò vivi applausi in tutta l’Assemblea. Si fecero voti affinché, nel 1848, Bologna divenisse sede del decimo Congresso. Il permesso non venne accordato e si dovette ripiegare su Siena. Furono donate ai Congressisti la guida di Genova e la medaglia commemorativa avente nel dritto il busto di Cristoforo Colombo. Al teatro Carlo Felice si diede un concerto di beneficienza per soccorrere le vittime del terremoto – tremendo segreto della natura – e dell’alluvione in Toscana, che destarono simpatie generose in altre parti d’Italia. Fatto eccezionale fu il rito religioso officiato, sempre in San Lorenzo, alla chiusura del Congresso. 2.9 - IX Congresso - Venezia, 13-26 settembre 1847 A Venezia il clima fu assai diverso da quello di sicuro ottimismo registrato a Milano ed a Genova. La situazione politica era ormai incandescente. Il governo della città concesse a tutti il visto d’ingresso, ma tradì la propria insicurezza dislocando in ogni dove un nugolo di spie, funzionari e militari, che fornivano rapporti quotidiani su quanto ascoltavano nelle sedute del Congresso, così come ai tavolini dei caffè. Congresso, questo, anomalo. Per la prima volta alla Società Italiana delle Scienze, detta dei XL, non fu spedito l’invito formale. Ciò nonostante furono designati a rappresentarla l’astronomo Giovanni Santini ed il chimico-fisico Bartolomeo Bizio. Della Riunione, caratterizzata da un’atmosfera percorsa da fremiti rivoluzionari ed unitari del Risorgimento, è data così notizia sugli Annali: “… forse l’ultimo per sovversive cagioni, estranee allo scopo scientifico, ma fatalmente soffiate nella istituzione dei Congressi”(AA.VV., 1991). Presidente generale fu il conte Andrea Giovannelli, socio onorario dell’Ateneo veneto, coadiuvato dal geologo Lodovico Pasini, quale Segretario generale. Gli iscritti furono 1478, con una massiccia presenza austriaca 128 (fig. 2,3, 4); le Delegazioni 63, di cui 15 straniere. Tra i congressisti: i poeti Aleardo Aleardi e Giovanni Prati, Enrico Tazzoli (per la quinta volta). Fra i partecipanti stranieri: il botanico Robert Brown, il geografo Karl Ritter, il poeta Heinrich Stieglitz, che all’arsenale combattè contro l’Austria, a fianco degli insorti veneziani, nonché il barone Karl Alexander volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 279 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 249 Jügel, diplomatico, botanico ed esploratore, che avrebbe favorito la fuga in Inghilterra del Metternich, e il colonnello Giovanni Marinovic, comandante dell’Arsenale che sarebbe stato linciato l’anno successivo dalla folla inferocita. Nella Sala del Gran Consiglio, in palazzo Ducale, onorato dalla presenza di S.A. l’Arciduca vicerè, dai suoi familiari e dalle autorità, fu aperta l’Adunanza generale da parte del Presidente, con il tradizionale discorso di prammatica. La Sezione Agronomia il 21 settembre si trasferì a Padova per assistere alla festa dei fiori, preparata con sobrietà per sfatare le “spesso biasimate allegrezze de’ Congressi” (Diario n. 8 del 22 settembre), ed il giorno appresso assegnò al prof. Amilcare Mazzarella di Milano il premio istituito da Matteo Bonafous di Torino (consistente in una medaglia d’oro da mille franchi) per la migliore traduzione delle Georgiche di Virgilio, corredata da note agronomiche (AA.VV., 1847b). Gli scienziati convenuti a Venezia si attivarono per far erigere una statua a Galileo Galilei per ricordare le scoperte da lui fatte in quelle contrade ed il lustro dato alla Università Patavina e ricevettero una guida, in 4 volumi, e l’immancabile medaglia commemorativa, avente nel dritto il busto di Marco Polo. I fermenti di indipendenza ed unità non venivano più nascosti dagli studiosi accorsi da ogni parte d’Italia. Il Congresso vide la sospensione dei lavori della Sezione Zoologia, a causa delle intemperanze di Carlo L. Bonaparte, che arringava la folla su temi scottanti, in divisa da guardia civica romana con tanto di elmetto e fascia tricolore. Fu espulso da Venezia dalla polizia austriaca ed a Roma sottoposto a processo. L’avvocato Daniele Manin partecipò a numerose sedute trattando temi giuridici, letterari, sociali ed economici con toni esplicitamente antiasburgici. Cesare Cantù nel discorso di chiusura della Sezione Geografia ed Archeologia maledisse coloro che “mettono il coltello tra i cuori dei fratelli, che non cercano se non avvicinarsi e battere all’unisono”. La nuova politica culturale di Pio IX aveva suggerito ai congressisti di Genova di designare la dotta Bologna – Stato della Chiesa - come sede della successiva riunione. Ma il rapido evolversi delle vicende politiche nazionali, nella primavera del 1847, sconsigliò di dar seguito alla proposta. La designazione sostitutiva di Siena fu accettata quasi unanimamente e venne eletto a Presidente generale il conte Giovanni Pieri Pecci, già gonfaloniere della città. Domenica 26 settembre si tenne l’ultima generale Adunanza del Congresso “che Venezia lieta ed altera, registrerà tra le memorie gloriose della nuova sua storia”, con grande concorso di popolo (3000 persone secondo la polizia). Ciò costrinse a traslocare nella Sala del Gran Consiglio. All’ingresso del Vicerè si “serbò silenzio di morte”. Era appena chiusa l’adunanza, e il Diario n. 13 del 27 settembre stava sotto il torchio, quando si ebbe la comunicazione ufficiale di un dispaccio, in data volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 280 250 SANDRO POTECCHI 21 settembre, di S. E. il Cardinale Segretario di Stato di Sua Santità, col quale “venne partecipato che l’ottimo e sapientissimo Sommo Pontefice aveva concesso benignamente che la Riunione degli Scienziati Italiani si tenesse nell’anno 1849 in Roma”. La presidenza generale fu contenta di promulgare sì bella notizia, prima che la maggior parte degli scienziati lasciasse Venezia (AA.VV., 1847b). Per ricostruire i dibattiti delle tornate delle Riunioni, si dovette ricorrere alle scarse cronache pubblicate sui Diari, perché il sequestro, effettuato dalla polizia austriaca, di tutta la documentazione impedì la pubblicazione degli Atti. Dell’epilogo della riunione di Venezia, della sua importanza scientifica, ma soprattutto del suo significato politico, Lorenzo Pareto, genovese, presidente della Sezione Geologia, così ebbe a scrivere nel 1853: “degli otto primi di questi Congressi furono pubblicati gli Atti; del solo ultimo radunatosi nel 1847… non fu possibile per le vicende che afflissero Venezia dare alle stampe il verbale… io estimo che tutto quanto fa parte degli Atti dei Congressi possa essere documento prezioso per la storia d’Italia, sì scientifica che sociale, negli anni che precedettero il glorioso ma sfortunato insorgere del 1848” (AA.VV., 1991). Fig. 2 - Partecipanti ai Congressi degli Scienziati Italiani (1839-1847): 8.204. Scienziati coinvolti: quasi 6.000, di cui 900 stranieri (Cantù, 1844; Potecchi, Sudiro, 2011). 3 - VERSO L’UNITÀ Non è mestieri, per la necessaria concisione imposta a questo lavoro, indugiare sui moti, le battaglie, le guerre ed i discutibili plebisciti che animarono tutta l’Italia, sino alla proclamazione del regno, il 17 marzo 1861. Vanno ricordati, comunque, i seguenti accadimenti che ebbero come protagonisti alcuni noti congressisti. - L’insurrezione di Venezia (22 marzo 1848 – 24 agosto 1849), con la partecipazione di Daniele Manin e Lodovico Pasini. - La gloriosa e sfortunata giornata di Curtatone e Montanara (29 maggio 1848). Il Battaglione dei volontari pisani, al comando del Mossotti - affiancato volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 281 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 251 In totale PARTECIPANTI: 8.204 Fig. 3 - Partecipazione, suddivisa per Stati, ai Congressi degli Scienziati Italiani (1839-1847). Fonte: Potecchi, Sudiro 2011. Dall’estero in totale PARTECIPANTI: 1.012 Fig. 4 - Partecipazione dall’estero, suddivisa per Stati, ai Congressi degli Scienziati Italiani (18391847). Fonte: Potecchi, Sudiro 2011. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 282 252 SANDRO POTECCHI da Leopoldo Pilla (che vi trovò eroica morte ed il cui corpo andò disperso), da Giuseppe Montanelli (che fu gravemente ferito), da Carlo Matteucci e da Raffaele Piria – lasciò sul campo un’ottantina di giovani, a molti dei quali la morte strozzò in gola il grido prorompente di “Viva l’Italia”. - Il Golgota di Belfiore (Mantova) che vide Enrico Tazzoli (7 dicembre 1852) e Carlo Montanari (3 marzo 1853) salire il patibolo con stoica serenità. Anche dopo la Restaurazione del 1849, alle assisi scientifiche – stante la loro italianità – si impedì di proseguire, perché ritenute troppo pericolose per i governi dei vari Stati della Penisola. Si dovrà attendere la proclamazione del regno d’Italia per vedere riuniti nuovamente, a Firenze, gli scienziati italiani. 4 - CONGRESSO STRAORDINARIO - Firenze, 30 settembre - 8 ottobre 1861 L’Italia era unita, pur senza Roma ed il Veneto, e dal 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II di Savoia-Carignano ne era il primo re. Il marchese Cosimo Ridolfi (fig. 5), presidente dell’Accademia dei Georgofili pienamente convinto che “l’Italia quando era un aggregato di otto Stati aveva conseguito, grazie ai Congressi scientifici, la propria unità nell’ordine intellettuale”, prese l’iniziativa di convocare a Firenze un Congresso straordinario allo scopo di riprendere, rinnovandole, le riunioni degli Scienziati. Nella lettera di convocazione auspicava che “un sacro debito di gratitudine imponesse (all’Italia) di rendere ai Congressi scientifici quel contraccambio di valido aiuto che già questi gli porsero”. Fig. 5 - Marchese Cosimo Ridolfi. Firenze 1794-1865 (Dis. F. Boggi, 1841). Fonte: Marini Bettolo, Capasso, 1991. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 283 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 253 La Riunione vide 255 partecipanti che, in primis, si proposero la revisione del Regolamento generale, che venne approvato nelle sedute del 5, 7 ed 8 ottobre. Come emerge dalla relazione del prof. Carlo Matteucci si mirava, tra l’altro, a: “dare al Paese l’esempio di un istituto che sa conservarsi e crescere indipendentemente dall’ingerenza e dal soccorso governativo”. Tra le modifiche organizzative: periodicità biennale delle riunioni; promozione di dimostrazioni sperimentali e di lezioni pubbliche; tassa di iscrizione (20 lire per congressista); edizione in veste economica di Atti e Diari (Marini Bettolo, Capasso, 1991). Delle due Sezioni considerate, una venne dedicata alle Scienze morali e sociali, finalmente ammesse, dopo la revoca del veto imposto nel 1839 da Leopoldo II, anche quale segno dei tempi in cui fiorivano le discussioni sull’applicazione del metodo positivo alle discipline storiche e filosofiche. L’Italia, poi, briga al sud e “… ficca li occhi a valle, ché s’approccia la riviera del sangue in la qual bolle (Inf. XII, 46,47) il “cosiddetto” brigantaggio. 5 - X CONGRESSO - Siena, 14-28 settembre 1862 Siena, dopo quattordici anni, ebbe il suo agognato Congresso. Il senatore Francesco Puccinotti di Urbino ne fu il Presidente generale e il conte senatore Augusto De Gori primo Assessore. Il 14 settembre si tenne la solenne apertura del Congresso con il discorso del Presidente nell’aula del Palazzo Pubblico, con il celebre affresco della Maestà di Simone Martini. Tra gli Ufficiali: il prof. Gilberto Govi, il marchese senatore Cosimo Ridolfi, il conte Giovanni Pieri Pecci, il senatore Giovan Battista Giorgini e il prof. Benedetto Trompeo. Tra gli stranieri: Luisa Mesnier di Parigi. Tra i 225 partecipanti, moltissimi da Siena e dintorni, pochi i forestieri. Dal Regno d’Italia (meno Savoia e Nizza) 201; Mantova e Veneto 16 e Lazio 3. Praticamente assenti gli stranieri (5). Delegazioni: 39, di cui 3 straniere (Potecchi, Sudiro, 2011). Dunque, questo Congresso ebbe un chiaro insuccesso, fatto alquanto prevedibile, essendosi dissolti con l’Unità quegl’impedimenti ad incontrarsi che – nel contempo – ne avevano costituito stimolo potente ed irrefrenabile a farlo. I lavori della decima Riunione, stante il nuovo Regolamento, si tennero su due Sezioni (Scienze fisiche, matematiche e naturali e Scienze morali e sociali) ordinate in Classi. La prima su sette: Fisica e Matematica; Chimica e Farmaceutica; Botanica; Zoologia, Anatomia comparata e Fisiologia; Medicina; Chirurgia; Agronomia e Veterinaria. La seconda su cinque: Archeologia e Storia; Filologia e Linguistica; Economia politica e Statistica; Filosofia e Legislazione; Pedagogia. Ligi all’indirizzo dato dalle nuove regole, non ci si perse in svaghi ed in volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 284 254 SANDRO POTECCHI trastulli salottieri. Immancabile comunque una nuova guida di Siena e l’inaugurazione di un monumento, nell’aula dell’Accademia dei Fisiocritici, al sac. Sallustio Bandini, agricoltore e letterato, gloria senese (AA.VV., 1864). Inutile dire che tutto era cambiato e la delusione serpeggiò evidente. Si fecero voti affinché lo Stato unitario si impegnasse per cambiare le sorti della scienza italiana, che soffriva da lungo tempo per la carenza cronica di strutture ed investimenti, sistematicamente denunciata dagli addetti ai lavori durante tutti i Congressi. “… nell’affrontare il problema, però, la nuova Italia non aveva più dalla sua né gli entusiasmi risorgimentali, né la forza di quell’idea illuministica di una scienza educatrice e civilizzatrice dell’umanità, che con la Rivoluzione francese si era intrisa di stimoli politici e sociali e che, mirando alla creazione di una comunità scientifica internazionale, era stata la linfa vitale delle Riunioni naturalistiche”. Al termine dei lavori del Congresso, Roma venne designata per acclamazione a sede dell’XI Riunione del 1864, con Presidente generale lo scrittore Terenzio Mamiani della Rovere. Il prof. Giovanni Campani, Segretario generale della Sezione delle Scienze fisiche, matematiche e naturali, nel rapporto di chiusura dei lavori ebbe a dire: “non è mestieri dire le cagioni di sì lungo indugio, rileverò che se il lungo attendere è stato penoso per la città che ardente anelava fruire quell’onore già concesso, e per gli scienziati che forte sentivano il bisogno di quel commercio intellettuale a cui da qualche tempo erano abituati, ne è derivato però largo un compenso nell’acquisto di quella libertà, che è pur tanto confacente alla piena estrinsecazione dell’umano pensiero”. Il Presidente Puccinotti, concludendo i lavori, asserì che: “la Politica avrebbe sempre mantenuto la sua importanza nei Congressi, potendosi negli attuali trattare palesemente, il che non fu nei passati, avvisando però che fosse trattata generalmente e scientificamente, ne giammai perdendo di mira di ottemperare a quell’ordinamento che la Nazione ha di già prescelto” (AA.VV., 1864). 6 - NOTE CONCLUSIVE Per quanto concerne la pubblicistica ufficiale (Atti e Diari), i rendiconti editi non lasciano trapelare gran ché dei complessi rapporti che agitarono i Congressi italiani prima e dopo l’Unità. Dicono poco sull’organizzazione, sui retroscena, sui momenti di socialità. Gli interventi sono riferiti in modo laconico che nulla restituisce della concitazione dei momenti nevralgici. Assai più feconda è risultata l’analisi dei materiali inediti conservati presso il Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze. È emerso che molti degli snodi determinanti avvennero nel retroscena, nei foglietti vergati in fretta, tessere invalidate, registri che si aggiornavano in tempo reale e che sarebbero confluiti, non senza lacune, negli elenchi a stampa. Le schede di iscrizione ed i registri degli “amatori”, sono utilissimi volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 285 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 255 per affinare le statistiche e le modellazioni, ma anche per cogliere i tanti significati attribuiti al termine “scienziati” nell’Italia del primo Ottocento (Casalena, 2007). La dilatazione delle varie problematiche indusse crescenti difficoltà e squilibri, contribuendo a far precipitare in una crisi irreversibile la formula “itinerante”. Questa coincise con gli eventi del 1848-49 e collocò, in taluni casi, su fronti opposti i partecipanti ai congressi precedenti. Degli anni pre-quarantottotteschi restò soltanto la nostalgia, che prese corpo negli altri tre Congressi post-unitari, divenuti ormai eventi “nazionali” di natura profondamente diversa: a Siena nel 1862, ma ancora più a Roma nel 1873 ed a Palermo nel 1875. Evidente, in queste nuove iniziative, la ricerca – ancora prematura – di un centro culturale, politico e scientifico coincidente con la capitale del nuovo regno unitario. Furono le istituzioni stesse che, pur con molte contraddizioni, all’indomani dell’Unità regolarono la vita scientifica italiana fino alla nascita, nel 1907, a Parma, della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS). Riguardando nel loro insieme i Congressi scientifici, si può affermare che la scienza ne ha tratto indubbio vantaggio, anche se talvolta la politica vi ebbe il sopravvento nelle discussioni; gli Atti di ognuno di essi stanno a dimostrare con quanto acume si promossero preziose indagini in tutti i campi della scienza e quanta fu l’opera di educazione e d’innalzamento morale e materiale degli Italiani. La storiografia ha forse attribuito ai Congressi un peso eccessivo nella formazione della coscienza nazionale, anche se è innegabile che l’insieme dei contatti avrebbe avuto un seguito negli aneliti di libertà e nelle tensioni che si sarebbero aperte di lì a poco, ed ancor oggi se ne intravvede un valore più storico che politico. *** Da ultimo, con in mano un ipotetico “filo d’Arianna”, per meglio sortire dalle labirintiche vicende, in cui si intrecciano cronaca dei Congressi e storia degli Stati italiani pre-unitari, si volga uno sguardo a tutti quelli che le hanno animate: scienziati, amatori, curiosi ed altri. E sono, in vero, molti. Orbene, facendo un volo un poco poetico, si vorrebbe vederli qui, tutti intorno, come fossero piccole luci. E sono tante, tante Quante il villan ch’al poggio si riposa, […] come la mosca cede a la zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’e’ vendemmia ed ara. (Inf. XXVI, 25, 28-30) volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 286 256 SANDRO POTECCHI BIBLIOGRAFIA AA.VV. - 1840 - Atti della prima Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Pisa nell’ottobre del 1839. Tip. Nistri, Pisa, I. AA.VV. - 1841a - Atti della seconda Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Torino nel settembre 1840. Tip. Cassone e Marzorati, Torino, I. AA.VV. - 1841b - Atti della terza Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Firenze nel settembre 1841. Coi tipi della Galileiana, Firenze, I. AA.VV. - 1841c - Relazioni intorno alla terza riunione degli Scienziati tenuta in Firenze nel 1841 e di quanto fu trattato nelle varie Sezioni e Tornate coll’elenco alfabetico dei componenti la riunione medesima. Tip. Migliaresi, Livorno, I. AA.VV. - 1843 - Atti della quarta Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Padova nel settembre 1842. Coi tipi del Seminario, Padova, I. AA.VV. - 1844 - Atti della quinta Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Lucca nel settembre 1843. Tip. Giusti, Lucca, I. AA.VV. - 1845 - Atti della sesta Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Milano nel settembre 1844. Coi tipi di Luigi e Giacomo Pirola, Milano, I. AA.VV. - 1846 - Atti della settima Adunanza degli Scienziati Italiani, tenuta in Napoli dal 20 di settembre al 5 di ottobre 1845. Parte I e II, Stamperia del Fibreno, Napoli, I. AA.VV. - 1847a - Atti della ottava Riunione degli Scienziati Italiani, tenuta in Genova dal 14 al 29 settembre 1846. Tip. Ferrando, Genova, I. AA.VV. - 1847b - Diario del nono Congresso degli Scienziati Italiani, convocati in Venezia nel settembre 1847. Coi tipi di Giovanni Cecchini, Venezia, I. AA.VV. - 1864 - Atti del decimo Congresso degli Scienziati Italiani, tenuto in Siena nel settembre 1862. Tip. Mucci, Siena, I. BANTI A.M. - 2001 - Miti e simboli della rivoluzione nazionale. In: L’Unificazione italiana. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, I, 3-22. CANTÙ I. - 1844 - L’Italia scientifica contemporanea. Notizie sugli Italiani ascritti ai cinque primi Congressi, attinte alle fonti più autentiche. Vedova di A.F. Stella e Giacomo figlio, Milano, I. CASALENA M.P. - 2007 - Per lo Stato, per la Nazione. I Congressi degli Scienziati in Francia e in Italia (1830-1914). Carocci Editore, Roma, I. CESSI R. - 1923 - Retroscena politico del primo Congresso degli Scienziati Italiani (1839). Dai carteggi piemontesi ed austriaci. Rassegna storica del Risorgimento, 10, 3, 445-507. DOROTEA L. (ed.) - 1844, 1845 - Atti dei Congressi degli Scienziati Italiani, raccolti ed ordinati dall’Accademia degli Aspiranti Naturalisti, con note e commenti. Tip. Nunzio Pasca, Napoli, I, 1844; vol. II-VI, 1845. MARK SMITH D. (ed.) - 1999 - Il Risorgimento italiano: storia e testi. Laterza, Roma-Bari, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 287 I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ 257 MARINI BETTOLO G.B., CAPASSO R. (eds) - 1991 - Gli Scienziati Italiani e le loro Riunioni 18391847, attraverso i documenti degli archivi dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL e della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. G.B. Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Roma, I. MASENTI E., BARGONI A. - 1996 - Centocinquanta Anni della Accademia di Medicina di Torino. Giornale della Accademia di Medicina di Torino, suppl. Torino, I. MINUZ F., TAGLIARINI A. - 1983 - “Identikit” degli Scienziati a congresso. In: G. Pancaldi (ed.). I Congressi degli Scienziati Italiani nell’età del positivismo. Editrice CLUEB, Bologna, I, 153-170. POTECCHI S., SUDIRO L. - 2011 - I partecipanti ai Congressi degli Scienziati Italiani (1839-1847) e (1862), suddivisi per Stati italiani ed esteri di provenienza. CNR-IMAMOTER, Torino, I. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 288 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 289 L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO MEMORIA DI PAOLO GAY* presentata all’Adunanza del 14 dicembre 2011 RIASSUNTO: L’innovazione, sia di prodotto sia di processo, è un aspetto che ogni azienda deve affrontare oggigiorno in maniera quotidiana e permanente. Tra gli obiettivi dell’innovazione ricordiamo innanzi tutto lo sviluppo e la messa a punto di nuovi prodotti mirati e studiati per inseguire e aggredire il mercato che è in continua evoluzione. Allo stesso modo l’innovazione contribuisce ad ottimizzare la produzione, aspetto questo che può essere declinato nella riduzione dei costi e degli scarti, nell’incremento dell’efficienza energetica, nell’adeguamento a nuovi standard, normative e certificazioni. Queste attività assorbono una parte considerevole delle risorse dell’azienda e spesso sono condotte in collaborazione con partner esterni, tra i quali Università ed enti di ricerca. L’analisi di un preciso caso di studio, legato al mondo della produzione del cioccolato, è intesa ad approfondire quali possano essere gli interventi e i legami tra la ricerca nei settori della scienza e dell’ingegneria e il mondo produttivo. Summary:The importance of the innovation in the food processing of raw materials: a case study on chocolate Innovation, concerning both products and processes, is something that every company faces today daily. Among the objectives of innovation includes first of all the development of new products targeted and designed to lead the market, which is changing. Similarly innovation helps to optimize the production processes, aspect that can be declined in reducing costs and waste, in increasing energy efficiency, in adopting new standards, regulations and certifications. These activities account for a considerable proportion of company resources and are often carried out in collaboration with external partners, such as universities and research institutions. The aim of this paper is to explore, through the analysis of a specific case study, related to the production of chocolate, which are the links between research, in the field of science and engineering, and the working world. 1 - INTRODUZIONE L’innovazione è un processo imprescindibile e necessario per affrontare le nuove sfide che il mercato propone. L’innovazione, riguardante sia il prodotto che i processi di produzione, è un aspetto che oggigiorno ogni azienda * Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari, Università di Torino. E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 290 260 PAOLO GAY deve affrontare in maniera rigorosa, dedicandovi una parte non trascurabile delle proprie risorse. Tra gli obiettivi dell’innovazione ricordiamo innanzi tutto lo sviluppo e la messa a punto di nuovi prodotti in grado di adattarsi alle esigenze di un mercato in continua e rapida evoluzione, ma anche la capacità di produrre meglio, limitando il consumo di energia e l’impatto ambientale generale. Questo non può che portare ad una riduzione degli scarti e dei costi di produzione, ed alla possibilità di adeguarsi a nuovi standard, normative e certificazioni. Lo sviluppo di percorsi d’innovazione richiede competenze che non sempre sono disponibili all’interno dell’azienda. Per questo motivo, grazie anche ad una serie di interventi da parte delle Regioni e della Comunità Europea, negli ultimi anni è cresciuto il numero delle collaborazioni che vedono coinvolte aziende, talvolta sinergicamente riunite in gruppi, secondo precisi accordi, ed enti di ricerca. L’analisi di un preciso caso di studio legato al mondo della produzione del cioccolato consente di fornire alcuni spunti su quali possano essere gli approcci e le linee di tendenza attuali dei processi d’innovazione e quali i possibili collegamenti tra la ricerca scientifica ed applicata e il mondo produttivo. 2 - L’INNOVAZIONE NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE Le modalità e gli ambiti secondo cui il concetto di innovazione si sviluppa compiutamente sono ovviamente specifici di ogni settore produttivo. Tuttavia è possibile riconoscere e definire alcuni contesti generali, all’interno dei quali è possibile ascrivere la maggior parte delle esperienze che oggigiorno si registrano nell’ambito della ricerca applicata in questo settore. La descrizione non ha la pretesa di essere esaustiva, ma, al contrario, quella di fornire uno specifico punto di vista. 2.1 - Innovazione di prodotto In questo caso la ricerca può investire sia le materie prime, per quel che concerne la selezione e l’approvvigionamento, sia la progettazione di nuovi prodotti e ricette. Il primo punto riguarda l’individuazione delle materie prime e dei semilavorati ottimali ai fini della qualità e delle proprietà del prodotto finale che si vuole ottenere. Occorre innanzi tutto determinare quali parametri (chimici, fisici, tecnologici, economici, ecc.) occorra valutare e privilegiare nella scelta della materia prima. In seconda istanza occorre definire delle procedure e dei protocolli per la valutazione oggettiva e ripetibile, possibilmente rapida, di questi parametri. In taluni casi è possibile rifarsi a procedure già note, specificando, eventualmente, limiti di riferimento, mentre in altri casi, proprio perché il parametro interessato è di nuova concezione o applicazione, occorre definire, sviluppare e validare metodi ex-novo. Analogamente, lo studio di nuovi prodotti ha come obbiettivo l’otteni- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 291 L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO 261 mento di precisi requisiti dal punto di vista, ad esempio, della destinazione commerciale, della qualità percepita, delle richieste di conservazione, della durata della shelf-life e delle proprietà nutrizionali, tenendo conto delle esigenze di produzione dell’azienda, quali, ad esempio, i macchinari e le tecnologie disponibili, l’accessibilità ed il prezzo delle materie prime. Talvolta le nuove ricette sviluppate possono prevedere l’utilizzo di ingredienti e semilavorati che, interagendo selettivamente con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo, portino ad effetti positivi sul mantenimento della salute e/o la prevenzione delle malattie (functional foods). In altri casi la ricerca di nuove ricette, magari attraverso la sostituzione o l’eliminazione di particolari ingredienti, nasce dall’esigenza di raggiungere gruppi specifici di consumatori affetti da intolleranze alimentari, o appartenenti a gruppi religiosi (ad esempio i prodotti destinati al conseguimento delle certificazioni kosher, per gli ebrei, e halal, per i musulmani) o, più semplicemente, particolarmente attenti agli aspetti salutistici e nutrizionali del prodotto. L’esportazione verso Paesi stranieri inoltre porta spesso le aziende a rivedere uno o più aspetti della composizione e del ciclo di produzione per ottemperare a quanto richiesto nei disciplinari imposti dai Paesi di destinazione. 2.2 - Innovazione di processo In questo contesto rientrano tutti gli interventi che riguardano l’introduzione di nuovi processi e fasi di trasformazione così come il loro miglioramento e l’ottimizzazione. Questi possono coinvolgere la struttura ed il dimensionamento degli impianti, così come la definizione delle loro condizioni e modalità operative. Questo settore, per quel che concerne lo sviluppo di nuovi apparati, è molto vivace e foriero di brevetti poiché costituisce il campo sul quale si confrontano e competono i costruttori di macchine e impianti. 2.3 - Ottimizzazione energetica e ambiente Recentemente molte aziende hanno investito in ricerca per limitare l’impatto ambientale dei propri processi produttivi, con evidenti ritorni sia dal punto di vista economico che dell’immagine e del marketing. La ricerca in questo ambito riguarda la riduzione sia dei consumi energetici che delle emissioni, ma anche il riutilizzo dei sottoprodotti e degli eventuali scarti di produzione, attraverso la costituzione di nuove filiere “allargate” in grado di gestire e valorizzare tutta la massa uscente (prodotti, sottoprodotti e scarti) dal processo di produzione. Per la riduzione dei consumi energetici si può prevedere l’introduzione di nuovi generatori (vapore ed acqua calda) e gruppi refrigeranti ad elevata efficienza, l’adozione di nuovi materiali per la coibentazione di celle e tubazioni, ma anche una più attenta armonizzazione delle utenze e dei generatori di energia termica. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 292 262 PAOLO GAY Se è noto che l’industria alimentare richiede generalmente un’elevata quantità di energia termica per la conduzione dei processi e per la pulizia e la sanitizzazione, è altresì vero che grazie al recupero del calore sviluppato dalle pompe di calore dei gruppi di refrigerazione delle celle, al recupero del surplus di vapore generato in caldaia, all’introduzione di pannelli solari termici sui tetti dello stabilimento, è possibile attuare delle politiche di razionalizzazione che, attraverso la costituzione di un serbatoio centrale di accumulo e scambio dell’energia termica, ottimizzino le prestazioni generali degli impianti. 2.4 - Tracciabilità e monitoraggio in produzione In questo ambito, lo sviluppo e la messa a punto di nuove tecnologie per l’identificazione automatica dei prodotti, il monitoraggio ed il controllo in tempo reale dei processi e delle fasi di distribuzione portano ad estendere il concetto tradizionale di tracciabilità, fornendo nuovi servizi, informazioni e garanzie sia al produttore che al consumatore (Saltini et al., 2013). Queste ricerche coinvolgono necessariamente più discipline e competenze, che spaziano dalla conoscenza dei cicli di processo alle tecnologie ICT. Un argomento di ricerca molto attuale in questo ambito riguarda la gestione di un’eventuale emergenza e le tecniche per ridurre l’incidenza sull’economia e sull’immagine dell’azienda di un eventuale richiamo (Dupuy et al., 2005; Dabbene, Gay, 2011). La gestione di lotti molto grandi di materie prime e/o prodotti finiti, sebbene non comprometta la validità del sistema di tracciabilità aziendale, può provocare, nel malaugurato caso di richiamo di prodotto, la necessità di ritirarne ingenti quantità (Saltini, Akkerman, 2012). Definiti questi ambiti d’intervento, occorre discutere come e in quale ruolo le istituzioni della ricerca (Università, enti di ricerca, ecc.) si interfaccino con il mondo produttivo. Nella maggior parte dei casi il processo di innovazione coinvolge necessariamente più attori. Comunemente è richiesta una stretta interazione con la/le aziende che sviluppano e realizzano gli impianti in stabilimento, poiché una modifica del ciclo di produzione prevede tipicamente un intervento sulle macchine. Queste aziende, a loro volta, intrattengono rapporti di collaborazione stretta e consolidata con enti di ricerca a loro vicini, soprattutto per quel che attiene alle fasi di sviluppo e di progetto delle macchine e delle tecnologie adottate. In taluni casi è necessario coinvolgere anche i fornitori delle materie prime e dei semilavorati, poiché il processo d’innovazione può non riguardare solo un anello della filiera, ma deve abbracciare più ambiti contemporaneamente. In questo quadro, gli enti di ricerca, essendo svincolati da aspetti di natura commerciale, a differenza, ad esempio, dei fornitori di tecnologie ed impianti, si trovano spesso ad assumere un ruolo di terza parte, su mandato dell’azienda che vuole, in questa maniera, avvalersi di un monitoraggio esperto e disinteressato dell’evoluzione del progetto d’innovazione in corso. L’ente di ricerca, inoltre, per proprio vantaggio ha il poter sperimentare in un contesto reale volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 293 L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO 263 ciò che normalmente ha studiato e validato in laboratorio o su piccoli impianti pilota. 3 - L’INNOVAZIONE NEL SETTORE DEL CIOCCOLATO Il settore della produzione del cioccolato vede applicati, con diverse e leggere sfumature, declinazioni ed eccezioni, tutti gli ambiti di ricerca prima descritti. Il diagramma di flusso relativo alla produzione della massa di cacao è abbastanza standard e codificato e prevede normalmente (fig. 1) le fasi di pulitura delle fave di cacao, tostatura, frantumazione, pre-macinazione e raffinazione (Beckett, 2011). A queste possono seguire altre specifiche operazioni, a seconda della destinazione del semilavorato (polvere di cacao, cioccolato ecc.). Fig. 1- Diagramma di flusso per la produzione della massa di cacao. Questo caso di studio nasce dall’analisi del progetto e della realizzazione degli impianti presenti nel nuovo reparto di pulitura, tostatura e debatterizzazione delle fave di cacao dell’azienda Guido Gobino. L’innovazione dal punto di vista delle macchine e degli impianti riguarda sostanzialmente il miglioramento delle prestazioni ottenute in ciascuna delle fasi descritte e/o l’introduzione di nuove operazioni all’interno del diagramma di flusso. Nel primo ambito, la fase più studiata, in quanto prima responsabile delle proprietà sensoriali del prodotto, è la tostatura. Qui l’argomento di ricerca è volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 294 264 PAOLO GAY il principio di funzionamento delle macchine preposte e tutti quegli accorgimenti che possono migliorarne le prestazioni. L’obiettivo è di ottenere impianti che, con grande ripetibilità e costanza di risultato - fronteggiando anche l’elevata variabilità di temperatura e umidità ambiente dettata dalle stagioni (Krysiak, Motyl-Patelska, 2006) - consentano di migliorare la composizione aromatica delle fave attraverso un riscaldamento ed un’agitazione del prodotto ottimali e controllati. L’automazione ed il controllo dei principali parametri di processo consente di individuare e memorizzare impostazioni operative personalizzate stabilite sulla base delle caratteristiche specifiche della materia prima. Tra gli impianti più avanzati è stato scelto il tostino verticale realizzato e brevettato dall’azienda Buhler in collaborazione con l’Università di Zurigo, che struttura il processo in due fasi. Questo sistema prevede infatti due stazioni: il prodotto viene caricato in una prima camera a temperatura ambiente ove avviene la fase di riscaldamento per 10-15 minuti dai 110 ai 145 °C a seconda della tipologia di prodotto da lavorare. Il riscaldamento avviene in modo omogeneo ed uniforme grazie ad un particolare braccio rotante posto all’interno della camera che diffonde uniformemente l’aria calda producendo una lieve movimentazione del prodotto senza introdurre stress meccanico alle fave. Trascorso il tempo di tostatura prescelto in base al prodotto da trattare, il prodotto è spostato nella seconda zona, di raffreddamento, all’interno della quale è insufflata aria fredda al fine di raffreddare il prodotto sino alla temperatura di 40 °C circa. Rispetto ai sistemi tradizionali, questo metodo di tostatura presenta diversi vantaggi tra cui l’omogeneità del trattamento, la migliore stabilità ossidativa dei composti, la maggior ricchezza della composizione aromatica, il prolungamento della shelf-life e la facilità di controllo del processo. L’automazione della macchina consente, tra l’altro, di impostare la configurazione della stessa e del ciclo termico in funzione delle caratteristiche della materia prima. Il controllo attivo di questi parametri, che possono essere memorizzati, garantisce un’elevata ripetibilità rispetto ad operazioni svolte in giorni o stagioni diverse. Un altro esempio d’innovazione di processo che prevede, invece, l’inserimento di una nuova operazione nel diagramma di flusso è quello che alcune aziende stanno attualmente adottando per ottemperare ai disciplinari per l’esportazione verso Paesi come Stati Uniti e Giappone e che riguarda la debatterizzazione delle fave di cacao. La debatterizzazione mira ad abbattere drasticamente la carica batterica delle fave di cacao. In taluni casi si è cercato di forzare, innalzando temperatura e/o prolungando il trattamento, il processo di tostatura al fine di garantire contemporaneamente anche un soddisfacente effetto di riduzione microbica, ma il rischio è il compromettere la qualità delle fave (Stobinska et al., 2006; da Silva do Nascimento et al., 2012). Vi sono diverse soluzioni in fase di studio e di applicazione, che prevedono l’attuazione di questa fase immediatamente prima o dopo la tostatura. La debatterizzazione è normalmente condotta utilizzando del vapore ad volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 295 L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO 265 una pressione superiore ai 600 kPa, tipicamente in modalità batch, all’interno di una camera separata in grado di contenere le fave in uscita/ingresso dal tostino. In alcuni casi sono proposti tostini in grado di svolgere la funzione di debatterizzazione, sempre mediante vapore, all’interno della stessa camera di tostatura. Qualunque sia la soluzione adottata occorre garantire la fornitura di un elevato quantitativo di vapore in pochi secondi al fine di saturare la camera di debatterizzazione. Questa richiesta, da soddisfare in tempi molto brevi, supera tipicamente la disponibilità di vapore garantita dal generatore di stabilimento. A questo scopo è stato necessario ricorrere a delle strutture di accumulo temporaneo, strutturate come serbatoi, in grado di fare fronte a questi picchi di domanda. Questi serbatoi, colmi di una miscela satura acqua-vapore, operano rilasciando il vapore che viene a generarsi istantaneamente al momento della richiesta e, più precisamente, in conseguenza del repentino calo della pressione che viene ad instaurarsi al loro interno (generazione in flash steaming). Trattandosi di una tecnologia di nuova applicazione, si è riscontrata la mancanza in letteratura di metodi per il progetto ed il dimensionamento dei serbatoi operanti in queste condizioni. Per fare fronte a questa necessità si è condotta una ricerca - qui citata come esempio di stretta interazione tra ricerca scientifica e applicazione dell’ingegneria degli impianti - che ha portato, come risultato, alla definizione del modello descrittivo ed al calcolo dell’andamento della pressione in un sistema bifasico di questa natura, attraverso la soluzione di un sistema misto di equazioni differenziali ed algebriche (Fabrizio et al., 2011). Attraverso la simulazione di ripetuti cicli di carico e scarico dell’accumulatore, questo metodo consente di giungere quindi a un appropriato dimensionamento dell’accumulatore stesso, senza ricorrere ad un suo eccessivo sovra-dimensionamento che, sebbene in grado di soddisfare le specifiche del debatterizzatore, richiederebbe tempi prolungati per il raggiungimento della pressione di esercizio (e quindi per l’utilizzo dell’impianto) e porterebbe ad una bassa efficienza energetica. 4 - CONCLUSIONI L’innovazione è un compito al quale tutte le aziende, e in particolare quelle del settore alimentare, sono chiamate per poter mantenere e rafforzare la propria posizione sul mercato. Gli enti di ricerca hanno assunto e assumeranno sempre più un ruolo preciso e determinante nell’affiancare le aziende in questa operazione, trovando applicazione ai propri studi ed alle proprie ricerche, rafforzando la competitività delle aziende. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 296 266 PAOLO GAY BIBLIOGRAFIA BECKETT S.T. – 2011 - Industrial Chocolate Manufacture and Use. John Wiley & Sons, NJ, USA. DABBENE F., GAY P. – 2011 - Food traceability systems: performance evaluation and optimization. Computers and Electronics in Agriculture, 75, 139-146. DA SILVA DO NASCIMENTO M., MERLO BRUM D., OLIVEIRA PENA P., ISABEL BERTO M., EFRAIM P. – 2012 - Inactivation of Salmonella during cocoa roasting and chocolate conching. International Journal of Food Microbiology, 159, 3, 225-229. DUPUY C., BOTTA-GENOULAZ V., GUINET A. – 2005 - Batch dispersion model to optimize traceability in food industry. Journal of Food Engineering, 70, 333-339. FABRIZIO E., GAY P., RICAUDA AIMONINO D. – 2011 - Modelling of steam storage vessels for batch processes for food plants. Convegno di Medio Termine dell’Associazione Italiana di Ingegneria Agraria. Belgirate, 22-24 sett 2011,CD. KRYSIAK W., MOTYL-PATELSKA L. – 2006 – Effects of air parameters on changes in temperature inside roasted cocoa beans. Acta Agrophysica, 7, 1, 113-127. SALTINI R., AKKERMAN R. – 2012 – Testing improvements in the chocolate traceability system. Impact on product recalls and production efficiency. Food Control, 23, 1, 221-226. SALTINI R., AKKERMAN R., FROSCH S. – 2013 - Optimizing chocolate production through traceability: a review of the influence of farming practices on cocoa bean quality. Food Control, 29, 1, 167-187. STOBINSKA H., KRYSIAK W., NEBESNY E., KOZANECKA E. – 2006 – Effects of convective roasting conditions on microbial safety of cocoa beans. Acta Agrophysica, 7, 1, 239-248. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 297 COMMEMORAZIONE volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 298 Prof. Attilio Bosticco volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 299 IN RICORDO DELL’ACCADEMICO E PROFESSORE EMERITO ATTILIO BOSTICCO IVO ZOCCARATO* Commemorazione tenuta in occasione dell’Adunanza del 28 gennaio 2011 È per me un grande onore ricordare ai Soci dell’Accademia di Agricoltura la figura del prof. Attilio Bosticco. Il 27 luglio 2010, all’età di 86 anni, si è spento ad Anagni, dove si trovava per una breve vacanza, il prof. Attilio Bosticco. Primogenito di Mario, agricoltore, e di Giuseppina Fornaca, nasce a San Luigi frazione di San Damiano d’Asti il 12 novembre 1923. Compiuti gli studi elementari e di avviamento nel paese natio, consegue la maturità scientifica presso il Liceo Vittorio Veneto, a Milano, nel 1941. Nel 1946, subito dopo avere conseguito con il massimo dei voti la laurea in Scienze Agrarie, inizia la propria attività all’Università degli Studi di Torino in qualità di Assistente volontario presso l’Istituto di Zootecnica Generale della Facoltà di Medicina Veterinaria. Dopo essersi laureato con il massimo dei voti e dignità di stampa anche in Medicina Veterinaria (nel 1949), diviene Assistente incaricato (1950) e percorre rapidamente la carriera accademica: a seguito di concorso, l’anno successivo è Assistente di ruolo, incaricato, presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino, dell’insegnamento di Avicoltura e Coniglicoltura per l’a.a. 1950-51 e di Zootecnica Speciale per i successivi a.a. 1951-52, 1952-53 e 1953-54. Nel 1953 partecipa al concorso per la Cattedra di Zootecnica dell’Università di Bari e gli viene riconosciuta, all’unanimità, la maturità scientifica. Nel 1954 gli viene conferita la Libera Docenza in Zootecnica Generale e nel 1955 in Igiene Zootecnica. Nello stesso anno, a seguito di concorso, è ternato alla cattedra di Zootecnica Generale dell’Università di Camerino e quindi nominato Professore straordinario di Zootecnica Generale presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma (1955/56) e ordinario il 1 dicembre 1958. Tra il 1958 ed il 1961 è eletto nel Consiglio di Amministrazione dell’Università di Parma. Nel 1961 è chiamato dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino alla cattedra di Zootecnica Generale ed alla direzione, mantenuta ininterrottamente per un trentennio, dell’omonimo Istituto. Nell’autunno del 1969 la predetta Facoltà lo elegge Preside, mandato che gli viene rinnovato per tre * E-mail: [email protected] volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 300 270 IVO ZOCCARATO volte consecutive. In qualità di Preside si adoperò – attivandosi in più sedi ed in svariate circostanze – per far sì che alla Facoltà di Agraria di Torino venissero assegnate risorse finanziarie ed operative per un sempre più moderno funzionamento didattico e di ricerca: basti ricordare il Corso di Laurea in Scienze Forestali attivato nel 1979, l’impegno profuso per l’ottenimento di una più ampia sistemazione edilizia per la Facoltà, conclusosi con l’insediamento a Grugliasco e la costruzione del Centro Sperimentale di Carmagnola all’inizio degli anni ’80. Visse, in qualità di preside, gli anni immediatamente successivi al sessantotto: la prima occupazione della Facoltà avvenne nel gennaio del ’70 e con essa le prime aperture del corpo docente. Nonostante le posizioni divergenti con gli studenti, il prof. Bosticco ha sempre ricordato quei momenti in modo molto positivo; raccontava spesso delle assemblee in cui si discuteva animatamente, ma sempre con grande serietà, dei problemi della didattica e della Facoltà. Dal 1° gennaio 1991 fino al 31 dicembre 1993 è direttore del Dipartimento di Scienze Zootecniche; dal 1° novembre 1994 a sua domanda viene collocato in posizione di fuori ruolo e dal 1° novembre 1997 è posto in quiescenza; nel 1998 gli è stato conferito il titolo di Professore Emerito. Nel 1981 era stato eletto a rappresentare il comparto zootecnico nel Comitato Nazionale di Consulenza per le Scienze Agrarie del CNR, di cui copre anche l’ufficio di vice-presidente; nel 1988 viene riconfermato nel medesimo Comitato, del quale assume anche la Presidenza per conservarla fino a conclusione del mandato nel 1994. Sempre nel CNR dal 1999 al 2004 è stato membro del Comitato di Consulenza Scientifica. Il Prof. Bosticco, durante la sua permanenza al CNR prima come Vice Presidente e poi come Presidente del Comitato per le Scienze Agrarie, ha coordinato tra l’altro le ricerche del Progetto Speciale “Nuovi orientamenti dei consumi e delle produzioni alimentari” e curato la pubblicazione di un complesso di monografie di rilevante interesse scientifico; ha inoltre presieduto le Commissioni incaricate dello studio di prefattibilità e di fattibilità dei Progetti Finalizzati “Ricerca avanzata per l’innovazione nel sistema agricolo (RAISA)” e “Alimenti e salute (ALESA)”. Inoltre è stato membro del Consiglio Superiore del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste e del Consiglio Nazionale per la Scienza e la Tecnologia, Socio fondatore e vice presidente dell’Associazione Scientifica di Produzione Animale per due quadrienni; Socio della Società Italiana delle Scienze Veterinarie, della Società Italiana di Genetica Agraria, Socio Emerito dell’Accademia di Agricoltura di Torino e dell’Accademia Economico-agraria dei Georgofili di Firenze, Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino ed Academico extranjero della Real Academia de Ciencias Veterinarias di Madrid; membro di importanti sodalizi esteri (British Society of Animal Production, British Society of Analytical Chemistry, Biometric Society, Society of Green Vegetation Research). volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 301 IN RICORDO DELL’ACCADEMICO E PROFESSORE. EMERITO ATTILIO BOSTICCO 271 È stato Socio fondatore e primo presidente dell’Associazione Italiana Assaggiatori di Carne (AIAC), presidente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Vezzani, presidente del Comitato tecnico-scientifico per il Lupo Italiano, membro della Commissione tecnico-scientifica della Razza Bovina Piemontese. A metà degli anni ’90 è stato nominato Professore honoris causa dell’Accademia Cinese per le Scienze Agrarie di Pechino ed insignito dal Ministero dell’Agricoltura Cinese dello speciale Premio (Diploma con medaglia) destinato agli Scienziati stranieri che hanno contribuito al progresso dell’agricoltura cinese, nonché della cittadinanza onoraria della città di Nanyang (Provincia dell’Henan). Ancora nel 2007 l’Istituto di Scienze Animali della CAAS di Pechino - in occasione del cinquantennale della fondazione - gli conferiva il premio per la cooperazione internazionale. Infine il riconoscimento di Sandamianese doc conferitogli dal suo paese natale, riconoscimento quest’ultimo di cui andava particolarmente orgoglioso. In Italia è stato anche insignito della “medaglia d’oro dei benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte” e della “Commenda al merito della Repubblica Italiana”; infine gli è stato attribuito il Premio Internazionale per la Zootecnia “Uovo d’Oro” ed il “Premio Marcora” a riconoscimento della cospicua attività di ricercatore e di docente. Fin qui il ricco cursus honorum del prof. Bosticco, ma di questo egli non si vantava. Preferiva parlare delle sue ricerche e si sentiva particolarmente grato alla Provvidenza che gli aveva offerto l’opportunità di dedicarsi, per oltre 60 anni, alla ricerca e alla didattica nel campo della zootecnica. Conseguita la laurea in Agraria, aveva cominciato come assistente volontario presso l’Istituto di Zootecnica Generale della Facoltà di Medicina Veterinaria, diretto dal prof. Prospero Masoero, e, nello stesso tempo, fu anche assistente alla Cattedra di Patologia Vegetale nonché incaricato dell’insegnamento di Scienze e Geografia presso l’Istituto Tecnico Agrario di Alba, fino all’inizio del 1950. Conservò sempre un ottimo ricordo e profonda stima nei riguardi dell’Istituto albese. Forse il suo interesse per il mondo della vite e del vino fu alimentato proprio dal periodo di insegnamento in quella che era stata un tempo una delle prime Scuole Enologiche, oltre che dalle sue origini fra i vigneti astigiani. Come Preside della Facoltà di Torino si adoperò infatti con efficacia perché il Corso di Specializzazione in Viticoltura ed Enologia fosse nuovamente attivato con delibera del Consiglio di Facoltà da lui presieduto il 12 luglio 1976. Nel 1951 vinse una borsa di studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche che gli consentì di approfondire i rapporti tra genotipo e fattori ambientali per quanto riguardava la produzione quanti-qualitativa del latte e nel contempo gli consentì di compiere un viaggio di studio durante il quale ebbe modo di visitare alcuni tra i più importanti centri di ricerca in Austria ed in Germania. In quel periodo si dedicò anche ad un’intensa attività pratico-di- volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 302 272 IVO ZOCCARATO vulgativa partecipando sia come discente sia come docente ai numerosi corsi di aggiornamento, sulla tecnica della fecondazione artificiale, sulla sterilità bovina e sull’alimentazione del bestiame, che l’Associazione Nazionale Veterinari Italiani (ANVI) promuoveva, un po’ ovunque, nel secondo dopoguerra. Il contatto con il mondo operativo, complici anche le sue origini contadine, fu un tratto distintivo della sua lunga attività che non lo lasciò mai, anche quando si trovò ad occupare importanti ruoli istituzionali. Altrettanto importante per la sua formazione scientifica fu la partecipazione al corso di Metodologia Biometrica tenutosi nel settembre del 1955 a Varenna. Fu quella l’occasione, mai dimenticata, in cui si stabilirono forti legami, anche di amicizia, con altri “padri” della moderna zootecnica italiana come i professori Rognoni, Curto, Dassat, sia con eminenti studiosi come sir Ronald Fisher e Luigi Cavalli Sforza. Da quel corso gli derivò un solido rigore metodologico che risultò sempre presente in tutti i suoi lavori. Il professor Bosticco ha svolto un’intensa attività di ricerca toccando molti ed importanti aspetti della zootecnica; è autore, personalmente o in collaborazione, di oltre 260 pubblicazioni scientifiche che riferiscono i risultati ottenuti dalle indagini in tema di alimentazione, di igiene zootecnica, di genetica applicata, di produzione e qualità della carne. Il maggior numero di lavori riguarda problemi scientifici e tecnico-pratici concernenti l’alimentazione degli animali in produzione zootecnica, l’igiene dell’allevamento, l’utilizzazione dei sottoprodotti nell’alimentazione del bestiame, nonché l’economia delle produzioni zootecniche. Degni di particolare considerazione sono i lavori sul ruolo dei minerali e soprattutto degli oligoelementi nella nutrizione degli animali allevati ed in particolare nei riguardi dei foraggi prodotti in importanti comprensori di allevamenti italiani e l’individuazione della causa predisponente l’insorgenza della cosiddetta “zoppina” nelle bovine da latte, dovuta alla carenza di zinco. In anni più recenti si è dedicato soprattutto ai problemi relativi alla produzione della carne bovina ed alla valorizzazione della razza bovina Piemontese in Italia e nel Mondo. Già nel 1971, su incarico del Ministero degli Affari Esteri, partecipò ad una missione tecnica al termine della quale presentò un proprio piano per lo sviluppo zootecnico di due importanti province ecuadoregne. In particolare, negli ultimi 25 anni la sua attenzione si è concentrata sull’introduzione della razza bovina Piemontese in Cina, operazione che si è concretizzata grazie ad un intenso lavoro svolto in collaborazione con l’Accademia Cinese per le Scienze Agrarie, l’ANABORAPI, il CNR ed il Dipartimento di Scienze Zootecniche. Il lavoro ha riguardato non soltanto l’inserimento della razza nell’ambito degli allevamenti di 13 Province cinesi, ma soprattutto il motivo di fondo relativo all’introduzione della razza, vale a dire il miglioramento qualitativo della produzione della carne bovina in Cina. I risultati ottenuti sono stati ampiamente riconosciuti dalle Autorità Accademiche e Politiche cinesi che hanno voluto conferire al Prof. Bosticco i riconoscimenti a cui si è accennato poc’anzi. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 303 IN RICORDO DELL’ACCADEMICO E PROFESSORE. EMERITO ATTILIO BOSTICCO 273 I problemi legati alla qualità della carne bovina hanno richiamato molto l’interesse del Prof. Bosticco tanto da favorire la formazione di un gruppo di allievi che ancora oggi svolgono attività di laboratorio e di campo non soltanto in riferimento alla razza Piemontese, ma anche ad altri gruppi etnici, con la dovuta attenzione ai numerosi fattori che, nei vari comprensori di allevamento, condizionano quanti-qualitativamente la produzione della carne. A tal riguardo si può ritenere il prof. Bosticco un vero pioniere che, tra i primi in Italia, seppe cogliere l’importanza dei problemi connessi al consumo e sostenere la necessità delle analisi sensoriali al fine di poter fornire al consumatore il maggior numero possibile di informazioni. Il contributo del prof. Bosticco tuttavia non si è limitato ai grandi temi della zootecnica; la sua grande curiosità scientifica, unita ad un senso pratico non comune, lo portò ad occuparsi anche di aspetti un tempo considerati non convenzionali, ma oggi di grande attualità. Non si può non ricordare l’impegno profuso all’inizio degli anni ’80 nei riguardi del recupero energetico nelle piccole aziende zootecniche attraverso la produzione di biogas da reflui zootecnici. Allo stesso modo corre l’obbligo di ricordare come, dalla sua posizione di Presidente del comitato Scienze Agrarie del CNR, seppe dare impulso all’acquacoltura a livello nazionale in un’epoca in cui tale branca delle produzioni animali non era certamente appannaggio degli zootecnici. A fianco della ricerca non trascurò di occuparsi di aspetti legati allo sviluppo della zootecnica dal punto di vista storico: a testimonianza di ciò ha lasciato interessanti lavori come quello relativo all’analisi dei documenti di carattere zootecnico presenti negli Annali dell’Accademia di Agricoltura di Torino, scritto insieme alla prof. Graziella Toscano Pagano, o quello pubblicato nel volume Il vecchio per il nuovo edito dal Lions Club Torino Castello. La sua forte tempra e le buone condizioni fisiche gli hanno consentito di continuare la sua attività fino all’ultimo: nel novembre 2009 l’ennesimo (15°) viaggio in Cina; il 9 marzo 2010 a Carrù in occasione del 50° anniversario della fondazione dell’ANABORAPI presentò una relazione sulla storia della razza bovina Piemontese; il 22 aprile 2010 a Grugliasco nell’ambito dell’incontro organizzato dal Museo dell’Agricoltura sulla medicina veterinaria di campagna presentò una relazione sulla figura del veterinario zootecnico ieri e oggi, attingendo molto alla sua esperienza professionale. Amava viaggiare e cercava di cogliere ogni opportunità per farlo, anche per ottimizzare il tempo a disposizione: ancora all’inizio dell’estate del 2010 partecipò ad un viaggio in Francia con l’Associazione Laureati in Agraria ed al rientro partì per la tradizionale vacanza a Fiuggi, l’ultima, al termine della quale, sulla via del ritorno, aveva già programmato un appuntamento a Roma con il prof. Cannata per prendere gli ultimi accordi per rinnovare, per il biennio 201l-2012, l’accordo di cooperazione tra il CNR, la CAAS ed il Dipartimento al quale non ha mai smesso di dedicare il proprio impegno. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 304 274 IVO ZOCCARATO Sono moltissime le persone che nell’arco di circa 60 anni, a titolo diverso, colleghi, studenti, operatori del settore zootecnico, hanno conosciuto il professor Bosticco; ognuna di loro ne avrà ricavato un’impressione certamente diversa. Non si può nascondere come il primo impatto lasciasse sempre un po’ timorosi; in qualche modo la sua figura incuteva un certo timore. In realtà sotto questo atteggiamento apparentemente duro si nascondeva una persona timida, di grande disponibilità e fermamente convinta dell’importanza dell’agricoltura e della zootecnica e del ruolo che anche la formazione universitaria doveva avere in questo comparto. Il prof. Bosticco era una persona retta che ha vissuto con coerenza ed intensità la sua vita senza mai risparmiarsi per i valori in cui credeva e, nonostante l’età, sempre proteso verso il futuro; era discreto e non amava apparire, ma per una serie di ragioni da lui indipendenti la sua morte non è passata inosservata. Al termine di questa commemorazione, certamente incompleta, quanti lo hanno conosciuto ne conserveranno un intimo ricordo; personalmente mi piace ricordarlo con profondo sentimento di stima, ammirazione e riconoscenza ed immaginarlo ricongiunto con i suoi cari: l’amata ed inseparabile consorte Clelia ed il fratello Sergio. volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 305 INDICE CONSIGLIO DIRETTIVO ............................................................................ pag. V COMITATO DI REDAZIONE ........................................................................ » VI ACCADEMICI ONORARI............................................................................. » VII ACCADEMICI EMERITI .............................................................................. » VIII ACCADEMICI ORDINARI............................................................................ » X ACCADEMICI CORRISPONDENTI................................................................ » XIV ACCADEMICI IN SOPRANNUMERO ............................................................. » XX RELAZIONE DEL PRESIDENTE ORAZIO SAPPA ALL’ASSEMBLEA SOLENNE PER L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO .................... » XXI PROLUSIONE E MEMORIE ERNESTO FERRERO Partire dalla terra. Cavour, Einaudi, Calvino......................................... pag. 3 MARCELLO CALLARI Il ruolo della Banca d’Italia .................................................................... The role of the Bank of Italy.................................................................... » » 7 7 GIUSEPPE SARASSO Il progetto ASTRIS................................................................................ The “ASTRIS” project.............................................................................. Le projet “ASTRIS” ............................................................................... » » » 23 23 23 GIOVANNI PENNATI L’orto di nonno Mario ............................................................................ The garden of grandfather Mario............................................................. » » 29 29 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 306 LUCIANO MORBIATO Scartafaccio d’agricoltura: esperienza e devozione di un contadino veneto tra XVIII e XIX secolo ............................................................... pag. Scartafaccio d’agricoltura: experience and devotion of a farmer in the Veneto between 18th and 19th century ........................................... » Scartafaccio d’agricoltura: l’expérience et la dévotion chez un paysan du Veneto entre XVIII et XIX siècle .............................. » FEDERICO SPANNA La scienza agrometeorologica: dalla ricerca ai servizi operativi........... The agrometeorological science: from research to operational services.... ANNA LISA, LUIGI LISA Caratterizzazione termopluviometrica, fenologica e produttiva per la viticoltura di Carpeneto ............................................................... Climatic, phenological and productive characteristics of Carpeneto (AL) viticulture .................................................................. Caractéristiques climatiques, phénologiques et productives du vignoble de Carpeneto (AL) en Italie de Nord-Ouest ........................ ANTONIO FINASSI Cavour Camillo Benso agricoltore a Leri. Il conte e il riso ................... Camillo Benso, Count of Cavour farmer and rice grower in Leri.......... Le comte Camillo Benso de Cavour agriculteur à Leri et la culture du riz.................................................................................... VINCENZO GERBI Cavour viticoltore ed enologo a Grinzane ............................................. Cavour vine-grower and wine-maker at Grinzane .................................. 33 33 » » 51 51 » 61 » 61 » 61 » » 71 71 » 71 » » 83 83 GUIDO MARTINETTI GROM: storia di un’amicizia,qualche gelato, molti fiori. Dall’agricoltura al gelato ........................................................................ » GROM: the history of a friendship, some ice-cream, many flowers. From agriculture to ice-cream. ................................................................ » GROM: l’histoire d’une amitié, de quelques glaces et de beaucoup de fleurs: de l’agriculture aux glaces ........................................................................ » LUCA COCOLIN I rischi igienico-sanitari nella filiera del gelato ...................................... The safety risks in the ice cream production chain .................................. Les risques sanitaires dans la chaîne d’approvisionnement des crèmes glacées .................................................................................... 33 89 89 89 » » 93 93 » 93 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 307 PAOLA BONFANTE Alle radici delle biotecnologie agrarie: genomica e metagenomica per lo studio e l’uso del microbioma vegetale........................................ pag. At the root of Agrobiotechnologies: Genomics and Metagenomics applied to Plant Microbiome ................................................................... » Aux racines des biotechnologies agricoles: génomique et méta-génomique pour l’étude et l’emploi du Microbiome végétal ...................................... » GIORGIO MASOERO, GIUSTO GIOVANNETTI Biotecnologie agrarie basate sui consorzi microbici.............................. Agronomical and qualitative preliminary results of microbial consortiums.......................................................................... Premiers résultats agronomiques et qualitatifs de l’emploi de consortiums microbiens....................................................................... 99 99 99 » 111 » 111 » 111 » » 129 129 » 129 LUIGI ROBERTO EINAUDI Dieci cose che mi ha insegnato mio nonno Luigi Einaudi .................... » 169 ROBERTO EINAUDI Affinità e diversità tra Luigi Einaudi e Cavour...................................... » 173 » 183 » » 183 183 LUCIANA QUAGLIOTTI, GIACOMINA CALIGARIS Quattro storie di passione civica: iniziative di buona volontà in un paese dell’Alto Astigiano............................................................... Initiatives of good wish in a village of the “Alto Astigiano” .................. Quatre histoires de passion civique, initiatives de bonne volonté dans un village de la région d’Asti........................................................... GIUSI MAINARDI Camillo Benso di Cavour e Luigi Einaudi, illustri Viticultori ............... Camillo Benso of Cavour and Luigi Einaudi, distinguished viticulturists...................................................................... Camillo Benso de Cavour et Luigi Einaudi, deux viticulteurs réputés .... GIOVANNI PAVANELLI Scienza economica e formazione dell’opinione pubblica in età liberale: la collaborazione di Luigi Einaudi a La Stampa e al Corriere della Sera............................................................................ Economic discourse and public opinion in the liberal age: Luigi Einaudi’s work as columnist at “La Stampa” and “Corriere della Sera” ......................................................................... » 193 » 193 MARIELLA GALLO FERRARIS, GIUSEPPE SARASSO Le “tresche” di Cavour........................................................................... The threshing-floors of Cavour................................................................ Les « trèches » de Cavour ....................................................................... » » » 213 213 213 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 308 SANDRO POTECCHI I congressi degli scienziati italiani prima dell’Unità .............................. pag The Congresses for Italian Scientists before the Unity ............................ » Les Congrès des Savants Italiens avant l’Unité ....................................... » PAOLO GAY L’importanza dell’innovazione nella trasformazione delle materie prime alimentari: un caso di studio sul cioccolato ........................................... » The importance of the innovation in the food processing of raw materials: a case study on chocolate............................................. » 233 233 233 259 259 COMMEMORAZIONE IVO ZOCCARATO In ricordo dell’accademico e professore emerito Attilio Bosticco ........ » 269 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 309 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 310 Finito di stampare nel mese di febbraio 2013 presso le Arti Grafiche San Rocco Grugliasco (Torino) volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 311 volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.27 Pagina 312