TERRY BROOKS
LA SFIDA DI LANDOVER
Ciclo di Landover
volume 5
Traduzione di Sergio Perrone
ARNOLDO MONDADORI EDITORE
1995 Terry Brooks
Titolo originale dell'opera: Witches' Brew
1995 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
edizione Interno giallo giugno 1995
I edizione Bestsellers Oscar giugno 1996
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LA SFIDA
DI LANDOVER
A Lisa.
Per la sua presenza costante.
E a Jill.
Per aver tenuto duro.
Tutti i bambini, tranne uno, crescono. Essi imparano presto che dovranno crescere, ed
ecco in qual modo lo imparò Wendy.
Un giorno, all'età di due anni, stava giocando in giardino; colse un fiore e, tenendolo
in mano, corse da sua madre. Doveva essere proprio un quadretto delizioso, perché la
signora Darling si mise una mano sul cuore ed esclamò: "Oh, se potessi rimanere così
per sempre!". Questo fu tutto ciò che disse su quell'argomento, ma da quel momento
Wendy seppe che doveva diventare grande. Dopo i due anni, tutti lo sanno: è quello il
principio della fine.
J.M. Barrie, Peter Pan
1
Mistaya
Il corvo dagli occhi rossi stava appollaiato su un ramo della vecchia e imponente
quercia bianca, nel punto in cui i rami erano più fitti e frondosi, e osservava la gente
riunita per il picnic nella soleggiata radura sottostante. Così lo chiamava Holiday,
"picnic". Una tovaglia dai colori sgargianti era stesa sulla rigogliosa erba primaverile,
e su di essa i gitanti stavano vuotando il contenuto di parecchi cestini di cibo. Cibo
che, si figurò il corvo, a un umano non privo di appetito sarebbe apparso invitante e
delizioso. C'erano vassoi di carne e formaggio, ciotole di insalata e frutta, pezzi di
pane e borracce di birra e acqua fresca. C'erano piatti e tovaglioli per ciascuno dei
partecipanti e coppe per bere e attrezzi per mangiare. Un vaso di fiori selvatici era
stato sistemato al centro del desco.
Chi si dava più da fare era Willow, la silfide dalle trecce smeraldine e dalle forme
esili e minute. Era tutta animata, e mentre lavorava rideva e parlava con gli altri. Il
cane e il coboldo l'aiutavano: Abernathy, che era lo Scrivano di Corte di Landover, e
Parsnip, che svolgeva le mansioni di cuoco al castello. Questor Thews, il decrepito
mago dalla barba bianca, si aggirava nei dintorni osservando stupefatto il rigoglio di
piantine sconosciute e di strani fiori selvatici. Bunion, l'altro coboldo, quello
pericoloso, alla cui sorveglianza quasi nessuno poteva sfuggire, pattugliava il
perimetro della radura, sempre vigile.
Il Re sedeva da solo su un lato della variopinta tovaglia. Ben Holiday, Alto Signore di
Landover. Teneva lo sguardo fisso nel fitto degli alberi, perso nei suoi pensieri. Il
picnic era stata una sua idea, una consuetudine diffusa nel mondo da cui proveniva.
Lui lo stava proponendo agli altri, stava offrendo loro una nuova esperienza. A
quanto pareva, ne godevano più di lui.
Il corvo dagli occhi rossi stava perfettamente immobile al riparo dei rami della
vecchia quercia, consapevole degli adulti ma realmente interessato solo alla bambina.
Altri uccelli, alcuni dal piumaggio più variegato, alcuni più notevoli per la soavità del
canto, sfrecciavano nei boschi circostanti svolazzando da qui a lì e viceversa, allegri e
spensierati. Erano temerari e sfacciati; il corvo era volutamente invisibile. Nessun
occhio, tranne quelli della bambina, sarebbe caduto lì; nessuna attenzione, tranne la
sua, sarebbe stata attratta. Il corvo attendeva da più di un'ora che la bambina lo
notasse, che i suoi muti richiami fossero ascoltati, che il suo silenzioso comando
fosse eseguito e che i brillanti occhi verdi si volgessero in alto, tra i frondosi recessi.
La bambina camminava di qua e di là, giocherellando, senza scopo apparente ma già
alla ricerca di qualcosa.
Pazienza, dunque, si disse il corvo dagli occhi rossi. Come per tante altre cose nella
vita: pazienza.
Poi la bambina si trovò direttamente al disotto, il suo visino si volse verso l'alto con
gli occhi di un abbagliante verde smeraldo, occhi che cercavano e che
improvvisamente trovarono. Gli occhi della bambina furono catturati da quelli del
corvo, smeraldo contro cremisi, umano contro uccello. Tra di loro corsero parole che
non avevano bisogno di essere pronunciate, un silenzioso scambio di pensieri
sull'essere e l'avere, il bisogno e la perdita, sul potere della conoscenza e l'inesorabile
necessità della crescita. La bambina rimase immobile come la pietra, a guardare in
alto, e seppe che c'era qualcosa di immenso e meraviglioso da imparare, se fosse
riuscita a trovare il maestro giusto.
Il corvo dagli occhi rossi voleva essere quel maestro.
Quel corvo era la Strega del Crepuscolo.
Ben Holiday si appoggiò sui gomiti e lasciò che gli odori del picnic suscitassero un
brontolio nel suo stomaco vuoto. La colazione l'aveva fatta diverse ore prima, e dopo
si era imposto di non mangiare altro. Per fortuna l'attesa era quasi finita. Willow stava
aprendo i contenitori da mettere sulla tovaglia, aiutata da Abernathy e Parsnip. Era
quasi giunta l'ora di mangiare. Era la giornata ideale per un picnic, con il cielo estivo
terso e azzurro, il sole che scaldava la terra e l'erba nuova, ricacciando ancora una
volta nel passato i rigori del gelo invernale. I fiori sbocciavano e le foglie tornavano a
rinfoltire gli alberi. Le giornate ricominciavano ad allungarsi man mano che ci si
avvicinava al cuore dell'estate, e le lune colorate di Landover si rincorrevano
attraverso i cieli notturni per periodi di tempo sempre più brevi.
Willow incontrò il suo sguardo e gli sorrise, e lui si sentì di nuovo perdutamente
innamorato, come se fosse la prima volta. Gli sembrava di rivivere il loro primo
incontro, quando l'aveva vista a mezzanotte nelle acque dell'Irrylyn e lei gli aveva
detto che erano fatti l'uno per l'altra.
-Potresti anche dare una mano, mago-disse seccamente Abernathy a Questor Thews,
interrompendo le fantasie di Ben, chiaramente irritato dal fatto che quello avesse
lasciato agli altri tutte le incombenze del pranzo.
-Mmm?-Questor alzò gli occhi da uno strano fiore porporino e giallo, distratto. Il
mago dava sempre l'impressione di essere distratto, che lo fosse realmente o meno.
-Da' una mano!-ripeté Abernathy tagliente.-Chi non lavora non mangia, non era
questa la morale della favola?
-Va bene, non c'è bisogno di scaldarsi tanto!-Questor Thews abbandonò i suoi studi
per soddisfare il più pressante bisogno di accontentare il suo amico.-Aspetta, non si fa
così! Ti faccio vedere io.
Bisticciarono ancora per un po', quindi intervenne Willow e si calmarono. Ben scosse
la testa. Da quanti anni ormai si beccavano a quel modo? Da quando il mago aveva
trasformato lo scrivano in un cane? Da prima ancora? Ben non ne era sicuro, un po'
perché era l'ultimo arrivato del gruppo e la storia non era del tutto chiara neanche
adesso, e in parte perché il tempo aveva perso significato per lui, da quando era
arrivato lì dalla Terra. Ammesso che Landover fosse effettivamente separata dalla
Terra, si corresse: una supposizione che era forse più teorica che reale. Dopotutto,
come definire un confine costituito non da linee di demarcazione geografiche o da
rilievi topografici, ma da nebbie fatate? Come distinguere tra due territori divisi da
una distanza che un singolo passo poteva colmare, ma soltanto con l'ausilio di parole
o talismani magici? Landover era qui e la Terra li, una a sinistra e l'altra a destra, ma
questo non dava nemmeno la più pallida idea della distanza fra l'una e l'altra.
Ben Holiday era venuto a Landover quando le sue speranze e i suoi sogni di una vita
felice nel suo vecchio mondo si erano ridotti in polvere, e la ragione aveva ceduto
alla disperazione. Comprate un regno magico e troverete una nuova vita, prometteva
l'annuncio nel Catalogo Natalizio di Rosen.
Diventate il Re di un mondo in cui le fiabe della fanciullezza sono reali. L'idea era
incredibile e irresistibile allo stesso tempo. Richiedeva un supremo atto di fede, e Ben
aveva raccolto quel messaggio come un uomo caduto in mare che si aggrappi a una
corda. Aveva perfezionato l'acquisto, e si era ritrovato nell'ignoto. Era giunto in un
luogo che non poteva esistere, per scoprire che invece esisteva. Landover rispondeva
totalmente alle sue aspettative, e non vi rispondeva affatto. Questa terra gli aveva
lanciato una sfida quale non avrebbe mai pensato di dover affrontare. Ma in fondo gli
aveva dato ciò di cui aveva bisogno: un nuovo inizio, una nuova possibilità, una
nuova vita. Aveva catturato la sua immaginazione. Lo aveva completamente
trasformato.
E tuttavia, non finiva mai di stupirlo. Alcuni aspetti gli erano ancora oscuri. Come
quell'affare dello scorrere del tempo. Qui era differente dal suo vecchio mondo; lo
sapeva perché in più di un'occasione era passato da un mondo all'altro e aveva notato
che le stagioni non erano in sincronia. Lo sapeva, anche, dagli effetti che la cosa
aveva su di lui, o dalla mancanza stessa di tali effetti. C'era qualcosa di diverso nel
suo modo di invecchiare quaggiù. Non era un processo progressivo, un tasso costante
di cambiamento, minuto per minuto, ora per ora e così via. Era difficile da credersi,
ma c'erano dei periodi in cui non invecchiava affatto. Prima ne aveva solo avuto il
sospetto, ma ormai ne era certo. Era arrivato a questa conclusione osservando non il
ritmo della sua crescita, difficilmente misurabile poiché mancava di distanza e
obiettività.
No, l'aveva notato osservando Mistaya.
Le diede un'occhiata. Stava ritta ai piedi di una quercia bianca, vecchia e massiccia,
con lo sguardo intenso rivolto in alto, tra i rami. Mentre la guardava, Ben corrugò la
fronte. Se c'era una parola che avrebbe usato per descrivere sua figlia, probabilmente
era quella: "intensa". La bimba si accostava a ogni cosa con la determinazione di un
falco a caccia della preda. Non c'era spazio per cadute di concentrazione o distrazioni.
Quando si focalizzava su qualcosa, dedicava a quella cosa l'attenzione più totale. La
sua memoria era prodigiosa e forse richiedeva che la bimba studiasse una cosa fino
ad appropriarsene totalmente. Era uno strano comportamento per una bambina. Ma
quanto a quello, Mistaya non era certo una bambina come le altre.
C'era il fatto della sua età. Era da questo, dal suo studio del tasso di crescita della
bimba, che Ben era stato in grado di verificare che i suoi sospetti su se stesso non
erano campati in aria. Mistaya era nata due anni prima, misurati secondo il passaggio
delle stagioni di Landover, le stesse quattro stagioni che si succedevano sulla Terra
nell'arco di un anno. Questo avrebbe dovuto renderla "vecchia" di due anni. Ma non
era così. In realtà non aveva per niente l'aspetto di una bambina di due anni. Era stata
così quando aveva due mesi di vita. Adesso dimostrava quasi dieci anni. Stava
crescendo a vista d'occhio, letteralmente. Nel giro di mesi cresceva di anni. E non
seguiva neanche una progressione logica. Per un periodo non cresceva affatto; o
perlomeno non in modo visibile. Poi improvvisamente, era capace di crescere di
parecchi mesi o addirittura di un anno intero dalla sera alla mattina. La sua crescita
era fisica, mentale, sociale ed emotiva, insomma misurabile sotto ogni rispetto. Non
proprio simultaneamente o allo stesso ritmo, ma su un piano generale ogni singola
caratteristica si allineava, prima o poi, a tutte le altre. Sembrava maturare
mentalmente, prima di tutto; sì, di questo era convinto. Dopotutto, aveva parlato
all'età di tre mesi. Mesi, non anni. Parlava come se ne avesse otto o nove. Adesso, a
due anni o dieci anni o a qualsiasi parametro si volesse far riferimento parlava come
una venticinquenne.
Mistaya. Il nome l'aveva scelto Willow. A Ben era piaciuto subito. Mistaya. Misty
Holiday, Festa Nebbiosa. Gli sembrava un bel gioco di parole. Suggeriva dolcezza e
nostalgia e piacevoli ricordi. E poi sembrava descrivere con esattezza le circostanze
della sua nascita. Quando Ben aveva visto la bimba per la prima volta, era appena
riuscito a fuggire dalla Scatola Magica, mentre lei e sua madre erano fuggite dal
Pozzo Infido, dove Mistaya era nata. Dapprincipio Willow non gli aveva detto della
nascita; ma in fondo tutti e due custodivano segreti che era necessario svelare se
volevano continuare a essere sinceri uno con l'altra, e alla fine se ne erano liberati.
Lui le aveva detto come sotto le spoglie della Signora ci fosse la Strega del
Crepuscolo; lei gli aveva detto di Mistaya. Era stato difficile ma salutare. Gli effetti
di quel mutuo scambio di confidenze si fecero sentire molto di più su Ben. Mistaya
avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, date le circostanze della sua nascita. Nata come
un virgulto da un albero, nutrita dai terreni della Terra di Landover e delle nebbie
fatate, venuta al mondo negli umidi e nebbiosi penetrali del Pozzo Infido, Mistaya era
un amalgama di mondo con mondo, sangue con sangue e magia con magia. Ma
quella prima volta che lui l'aveva vista era lì, avvolta in coperte di fortuna, una bimba
veramente perfetta, meravigliosa. Occhi di un verde mozzafiato che ti trapassavano il
cuore, carnagione rosea, capelli biondo miele, e lineamenti che erano una mistura
immediatamente riconoscibile di quelli di Ben e quelli di Willow.
Ben aveva pensato fin dal primo momento che era tutto troppo perfetto per essere
vero. Anche troppo presto cominciò a scoprire che aveva ragione.
Guardò Mistaya bruciare l'infanzia nel giro di mesi. La vide muovere i primi passi e
imparare a nuotare nella stessa settimana. La bimba cominciò a parlare e a correre
allo stesso tempo. Sapeva leggere e fare i conti prima dell'anno. Ormai la mente di
Ben vacillava alla prospettiva di essere il padre di una bambina dalle qualità
prodigiose, un genio quale non si era mai visto nel suo vecchio mondo. Ma anche
quel genere di aspettativa venne disattesa. La bimba maturava, ma mai con la stessa
rapidità in ogni direzione, come lui si era figurato. Avanzava fino a un certo punto e
poi semplicemente la sua crescita si arrestava. Per esempio, dopo aver acquisito i
primi rudimenti di matematica, aveva perso totalmente interesse all'argomento.
Aveva imparato a leggere e a scrivere, ma senza sviluppare ulteriormente né una cosa
né l'altra. Sembrava trovare diletto nel saltare da una novità all'altra, e non c'era mai
una spiegazione razionale per il fatto che progredisse sempre fino a un certo punto e
non oltre.
Non aveva mai mostrato alcun interesse per le cose dei bambini, fin dal giorno della
sua nascita. Giocare con le bambole o con altri giocattoli, lanciare e prendere la palla
e saltare la corda erano cose per altri bambini. Mistaya voleva sapere come quelle
cose funzionassero, perché accadessero e cosa significassero. La natura l'affascinava.
Faceva lunghe passeggiate, molto più lunghe di quanto Ben avrebbe creduto
fisicamente possibile per una bambina così piccola, studiando continuamente tutto ciò
che la circondava, facendo domande su questa o quella cosa, e conservando tutto con
cura nei cassetti e negli archivi del suo cervello. Una volta, quando era molto piccola
e cominciava appena a camminare, a pochi mesi di vita, lui la trovò con una bambola
di pezza. Per un attimo pensò che potesse giocarci, ma poi lei lo guardò e gli chiese,
con la sua voce seria e i suoi occhi intensi, come mai nel fabbricare quella bambola
fosse stata scelta una particolare cucitura per attaccare gli arti.
Questa era Mistaya. Dritto al punto e terribilmente seria. Quando si rivolgeva a lui lo
chiamava "Padre". Mai "Papà" o "Babbino" o cose del genere. "Padre". O "Madre".
Educata ma formale. Le domande che faceva erano serie e importanti, a suo parere, e
non le trattava con leggerezza. Ben imparò a sua volta a fare altrettanto. Quando una
volta si mise a ridere di qualcosa che lei aveva detto e che gli era sembrato buffo, la
bimba gli lanciò uno sguardo che era un'esortazione a comportarsi da persona adulta.
Non che lei non riuscisse a ridere o a trovare un lato umoristico nelle cose della vita;
il fatto era che aveva idee molto particolari su cosa fosse buffo e cosa no. Abernathy
la faceva ridere spesso. Lei lo stuzzicava senza pietà, sempre assolutamente seria
come se non avesse la minima intenzione di prenderlo in giro, per poi aprirsi
improvvisamente al sorriso non appena lui si rendeva conto di quanto stava
succedendo. Lui sopportava tutto questo con sorprendente buonumore. Quando lei
era molto piccola, aveva preso l'abitudine di montargli a cavallo e di tirargli le
orecchie. Non c'era traccia di cattiveria da parte della bambina, soltanto un intento
ludico. Abernathy non avrebbe tollerato una cosa del genere da nessun altro al
mondo. Con Mistaya, invece, sembrava addirittura che si divertisse.
Comunque, perlopiù Mistaya trovava gli adulti noiosi e restrittivi. Non apprezzava gli
sforzi che essi facevano per proteggerla e guidarla. Non reagiva bene alla parola "no"
o alle limitazioni che i suoi genitori e tutori le imponevano. Abernathy era il suo
tutore, ma dovette confessare in privato che la sua brillante allieva spesso trovava
noiose le sue lezioni. Bunion era il suo protettore, ma dopo che la bimba ebbe
imparato a camminare aveva il suo bel da fare per tenerla d'occhio per la maggior
parte del tempo. Lei voleva bene a Ben e Willow, ed era loro affezionata, anche se
nella maniera strana e riservata che le era peculiare. Allo stesso tempo vedeva con
chiarezza che essi erano troppo invischiati in atteggiamenti e convenzioni che non
potevano trovare posto nella sua vita. Aveva un modo di guardarli, quando le davano
una qualche spiegazione, che esprimeva senza ombra di dubbio la sua convinzione
che essi non la comprendevano affatto, altrimenti non avrebbero sprecato il loro
tempo in quel modo.
Gli adulti erano un male necessario nella sua giovane vita, sembrava credere, e quindi
si augurava di crescere in fretta. Quello poteva spiegare come mai fosse invecchiata
di dieci anni in due anni soltanto, pensava spesso Ben. Poteva spiegare come mai,
quasi dal momento stesso che aveva cominciato a parlare, si rivolgesse a tutti gli
adulti in modo adulto, usando frasi complete e grammaticalmente corrette. Era in
grado di acquisire una struttura sintattica e di memorizzarla in un'unica lezione.
Ormai, quando Ben conversava con lei, aveva l'impressione di intavolare una
conversazione con se stesso. Lei gli parlava nella stessa identica maniera in cui lui si
rivolgeva a lei. Ben presto rinunciò a ogni tentativo di parlarle come avrebbe fatto
con una bambina normale o, ancora peggio, di parlarle con degnazione come se fosse
l'unico modo per farsi ascoltare. Se ci si rivolgeva a Mistaya con degnazione, lei
rispondeva immediatamente sullo stesso tono. Di fronte a sua figlia, Ben aveva grossi
problemi a decidere chi fosse l'adulto e chi il bambino.
L'unica eccezione a tutta questa problematica bambini-adulti era Questor Thews. La
relazione fra la ragazza e il mago era completamente diversa da quelle con gli altri
adulti, compresi i suoi genitori. Con Questor, Mistaya sembrava piuttosto contenta di
essere una bambina. Per esempio, con lui non parlava come parlava con Ben.
Ascoltava attentamente tutto quello che lui diceva, mostrava la massima attenzione
per tutto quello che faceva, e in generale sembrava accettare di buon grado l'idea che
il mago le era in qualche modo superiore. La loro relazione aveva diverse affinità con
il tipo di rapporto che intercorre talvolta fra nonni e nipoti. Ben pensava che era
fondamentalmente la magia di Questor a creare quel legame. Mistaya ne era
affascinata, anche se i risultati non rispondevano esattamente alle aspettative del
mago, cosa che accadeva fin troppo spesso. Questor le mostrava continuamente
qualche piccola stregoneria, provando qualcosa di nuovo o sperimentando con questa
o quella magia. Stava ben attento a non tentare qualcosa di pericoloso quando c'era
Mistaya nei paraggi: ma lei era capace di stargli alle costole o di sedersi con lui per
delle ore, nella speranza di poter intravedere anche una scintilla del potere che lui
possedeva.
Dapprincipio Ben si preoccupò. L'interesse di Mistaya per la magia sembrava molto
affine al precoce fascino che il fuoco esercita sui bambini, e non voleva che si
bruciasse. Ma lei non chiedeva di assistere a incantesimi o rune, non faceva mai
domande su come funzionassero le piccole magie, e ascoltava ubbidiente e rispettosa
gli ammonimenti di Questor sui pericoli inerenti a un uso incauto e sconsiderato delle
pratiche magiche. Era come se lei non sentisse alcun bisogno di provare.
Semplicemente considerava Questor una stupefacente curiosità, qualcosa da studiare
ma non da emulare. Era strano, ma non più strano di tutte le altre cose che
riguardavano Mistaya. Certamente la sua affinità con la magia era del tutto
comprensibile, considerate le sue origini: una bambina nata dalla magia, con
ascendenti di magia, con la magia nel sangue.
Cosa ne verrà da tutto ciò? si chiedeva Ben. Il tempo passava, e lui si ritrovò ad
attendere con ansia un qualcosa di decisivo. Mistaya non era la bambina che si era
immaginato quando Willow gli aveva detto che sarebbe stato padre. Non
assomigliava minimamente a nessuno dei bambini che aveva conosciuto. Era un vero
e proprio enigma. Lui la amava, la trovava affascinante e misteriosa, e non poteva
immaginarsi la vita senza di lei. Mistaya aveva ridefinito per lui i termini "figlio" e
"genitore" e l'aveva fatto ripensare giorno per giorno alla direzione che la sua vita
stava prendendo.
Ma nello stesso tempo lo spaventava, non per quello che era in quel momento, ma per
quello che avrebbe potuto essere in futuro. Il futuro della ragazza era un viaggio
lungo e misterioso, sul quale Ben temeva che non avrebbe avuto alcun controllo.
Cosa poteva fare per essere sicuro che la sua nave andasse in porto senza problemi?
Willow non sembrava angustiata da nessuno di questi interrogativi. Ma in fondo
l'approccio di Willow all'educazione dei figli seguiva le stesse regole di tutte le altre
cose della sua vita. La vita presentava delle scelte da operare, delle opportunità da
sfruttare, e degli ostacoli da superare, e faceva ciò quando era ora, al momento giusto
e non un attimo prima. Non c'era alcun senso a preoccuparsi di qualcosa su cui non si
ha alcun controllo. Ogni giorno con Mistaya era una sfida da raccogliere e una gioia
da assaporare. Willow dava a sua figlia quel che poteva e in cambio prendeva quel
che le veniva offerto, e ne era gratificata. Non si stancava mai di ripetere a Ben che
Mistaya era speciale, una bambina di mondi differenti e di razze diverse, di fate e
umani, di Re e maestri di magia. Il Fato l'aveva segnata. Avrebbe operato meraviglie
in futuro. Dovevano darle l'opportunità di farlo. Dovevano lasciarla crescere come
più le piaceva.
D'accordo, tutte cose sacrosante, pensava Ben sconsolato. Ma era più facile a dirsi
che a farsi.
Guardò sua figlia mentre lei stava lì a scrutare tra i rami di quella grande quercia e si
chiese cosa avrebbe potute fare di più. Il compito di educarla gli sembrava impari. Si
sentì sopraffare dalla consapevolezza di chi e di cosa ella fosse.
-Ben, è ora di mangiare-annunciò Willow, interrompendo dolcemente i suoi pensieri
con la propria voce.-Chiama Mistaya.
Lui si tirò su, spazzando via dalla mente quei pensieri ingombranti.-Misty!-chiamò.
Lei non si voltò a guardarlo, lo sguardo fisso sull'albero.-Mistaya!
Niente. Thews gli si accostò.-Di nuovo persa nel suo piccolo mondo, a quanto pare,
Alto Signore.-Strizzò l'occhio a Ben, poi mise le mani a coppa davanti alla bocca.Mistaya, vieni ora!- ordinò, con una vocina esile, quasi fragile.
Lei si voltò, esitò per un momento, poi si mosse in fretta, con i lunghi capelli biondi
scintillanti al sole, gli occhi smeraldini vivaci e luminosi. Lanciò un rapido sorriso a
Questor Thews mentre gli sfrecciava accanto.
Sembrò appena accorgersi di Ben.
La Strega del Crepuscolo guardò la bimba allontanarsi dalla quercia per riunirsi agli
altri. Si mantenne immobile nel fitto dei rami nel caso qualcuno di loro decidesse di
dare un'occhiata più da vicino. Nessuno lo fece. Si raccolsero tutti attorno al cibo e
alle bevande, ridendo e chiacchierando, ignari di quanto era appena accaduto. La
ragazza adesso era sua, e il seme del suo possesso era piantato in profondità,
bisognoso solo di essere nutrito perché la ragazza potesse essere reclamata. Quel
tempo sarebbe venuto. Presto.
Il piano della strega, lungamente studiato, si era messo in moto. Quando fosse stato
completo, Ben Holiday sarebbe stato distrutto.
Il corvo dagli occhi rossi ricordò, e i ricordi bruciavano come il fuoco.
Due anni erano passati dalla fuga della Strega del Crepuscolo dalla Scatola Magica.
Invelenita per il tradimento subito a opera del Re-fantoccio, punta nel vivo dal
fallimento del suo tentativo di vendicarsi su sua moglie e sua figlia, aveva atteso
pazientemente l'occasione giusta per colpire. Holiday l'aveva portata nella Scatola
Magica, l'aveva intrappolata nei nebbiosi confini del Labirinto, le aveva rubato la sua
identità, spezzato le sue difese, l'aveva spogliata della sua magia e spinta con
l'inganno a concedersi a lui. Il fatto che nessuno di loro ricordasse la propria identità,
e che non sapessero uno l'identità dell'altra, non aveva alcuna importanza. Il fatto che
la magia di un essere potente li avesse intrappolati tutti e due assieme al drago Strabo
non era affatto rilevante. In un modo o in un altro, Holiday era responsabile. Holiday
aveva messo a nudo la debolezza di lei. Holiday l'aveva costretta a sentire per lui ciò
che da tempo immemore aveva giurato di non voler sentire più per nessun uomo. Il
fatto che l'avesse sempre odiato era anche più irritante: rendeva impossibile accettare
ciò che era accaduto.
Mantenne la sua rabbia al calor bianco e prossima alla superficie. Ardeva di essa, e il
dolore l'aiutava a rimanere determinata e certa di quel che andava fatto. Forse sarebbe
stata soddisfatta se le avessero dato la bambina nel Pozzo Infido subito dopo la sua
nascita. Forse sarebbe stato sufficiente reclamarla e distruggere sua madre per
soprammercato, lasciando Holiday con quell'eredità come punizione per il suo
tradimento. Ma le fate erano intervenute, impedendole di agire, e tutto questo tempo
lei era stata costretta a convivere con la coscienza di tutto quello che aveva dovuto
subire.
Fino a ora. Ora, che la bambina era abbastanza grande da non dover dipendere da
umani né da fate, abbastanza grande da scoprire verità che non erano state ancora
rivelate e da essere reclamata con altri mezzi che non la forza. Mistaya sarebbe stata
per la Strega del Crepuscolo il balsamo di cui la regina del Pozzo Infido aveva un
bisogno disperato, per tornare a essere integra; e sarebbe stata allo stesso tempo
l'arma che le serviva per farla finita con Ben Holiday.
Il corvo dagli occhi rossi guardò in basso, a quel gaio convegno di amici e familiari, e
pensò che era questa, per tutti loro, l'ultima occasione di felicità.
Quindi si librò al disopra delle fronde ombrose e prese volando la via di casa.
2
Rydall di Marnhull
Il mattino dopo, mentre il sole era ancora una falce di argentea luminosità
sull'orizzonte orientale e la terra era ancora avvolta nelle ombre della notte, Willow si
levò a sedere sul letto, con uno scatto così violento da destare Ben che era ancora
immerso in un sonno profondo. Lui aprì gli occhi e la trovò rigida e tremante; le
coperte erano gettate all'indietro e la sua pelle era fredda come il marmo. L'attirò
subito a sé e la tenne stretta. Dopo un momento, il tremito cessò e lei lasciò che Ben
la spingesse di nuovo sotto le coperte, dolcemente.
-Ho avuto una premonizione-sussurrò non appena riuscì a parlare. Stava rannicchiata
e immobile, come in attesa di qualcosa che dovesse colpirla. Lui non poteva vedere il
suo viso, che stava sepolto contro il suo petto.
-Un sogno?-chiese, accarezzandole la schiena, cercando di calmarla. Il corpo di lei
non perdeva la sua rigidezza.-Che cos'era?
-Non un sogno-rispose lei, muovendo la bocca contro la sua pelle.-Un presagio. Il
senso di qualcosa che è in procinto di accadere. Qualcosa di terribile. Era una
sensazione di tenebra, talmente intensa che mi ha sommerso come un fiume in piena,
e mi è sembrato di annegare. Non riuscivo a respirare, Ben.
-Va tutto bene adesso-disse lui sommessamente.-Sei sveglia.
-No-disse lei d'un fiato.-Non va tutto bene, affatto. Il presagio riguardava tutti noi: te,
me e Mistaya. Ma specialmente te, Ben. Sei in grave pericolo. Non posso essere certa
dell'origine, solo degli effetti. Qualcosa sta per accadere, e se ci faremo trovare
impreparati, saremo...
Si interruppe, timorosa di dire le parole. Ben sospirò e la circondò con le braccia. I
lunghi capelli di smeraldo si sparsero sul cuscino aldilà delle spalle di lui. Ben fissò
la stanza scura e silenziosa. Conosceva troppo bene Willow per mettere in
discussione i suoi sogni e i suoi presagi. Erano parte integrante della vita degli esseri
fatati, che si affidavano a essi come gli umani all'istinto. Raramente si sbagliavano.
Willow era visitata in sogno da creature fatate e dai morti. Da loro riceveva consigli e
avvertimenti. I presagi erano meno affidabili e meno frequenti, ma non meno preziosi
ai fini degli effetti che intendevano raggiungere. Se Willow affermava che erano in
pericolo, era cosa saggia darle il massimo credito.
-Non c'era alcun accenno al tipo di pericolo?-chiese Ben dopo un momento, cercando
di definire la cosa con più precisione.
Lei scosse la testa, un piccolo movimento contro il suo corpo. Evitava di guardarlo.Ma è enorme. Non ho mai sentito niente con tale intensità, dal giorno del nostro
incontro.-Fece una pausa.-Ciò che mi angustia è che non so cosa lo abbia evocato. Di
solito c'è un piccolo episodio, qualche notizia, qualche accenno che precede tali
visite. I sogni sono mandati da altri per dar voce ai loro pensieri, per esprimere i loro
consigli. Ma i presagi sono spettri senza volto e senza voce mandati solo per dare un
avvertimento, per preparare a un futuro di incertezza. Essi vengono richiamati
durante il sonno da esili fili di sospetti e dubbi che ci salvaguardano dall'imprevisto.
Quando dormiamo ci si aprono sentieri che rimangono chiusi durante la veglia.
Questo presagio, date le sue mostruose dimensioni, ne deve aver percorso uno
davvero ampio e diritto, per giungere fino a me.
Si strinse contro di lui, nello sforzo di farglisi sempre più vicina, per scacciare il
ricordo che tornava a gelarle il sangue.
-Niente ci ha minacciato negli ultimi mesi-disse Ben tranquillo, meditando.-Landover
è in pace. La Strega del Crepuscolo e Strabo sono tranquilli. I Signori delle Pianure
non litigano. Perfino gli Orchi delle Rupi non hanno provocato guai per un bel po' di
tempo. Non ci sono interferenze nelle nebbie fatate. Nulla.
Quindi rimasero in silenzio, stesi assieme nel letto spazioso, a guardare la luce che
strisciava lungo i davanzali delle finestre e le ombre che cominciavano a svanire, ad
ascoltare i suoni del giorno che si risvegliava. Un minuscolo uccelletto di un rosso
brillante si lanciò giù dai bastioni sfrecciando davanti alla loro finestra e scomparve.
Willow sollevò finalmente la testa e lo guardò. I suoi lineamenti perfetti erano pallidi
e marmorei.-Non so cosa fare-sussurrò
Lui la baciò sul naso.-Faremo tutto ciò che sarà necessario.
Si alzò dal letto e raggiunse con passi smorzati il lavabo installato in corrispondenza
della finestra che dava a est. Si fermò a guardare di fuori, al nuovo giorno. In alto, il
cielo era terso e la luce dell'alba era un mantello soffuso di luminosità che stava già
tinteggiando la volta celeste con una profusione di verdi e azzurri. Le colline boscose,
una ruvida coperta gettata sulle forme ancora dormienti della campagna, si
stendevano a perdita d'occhio aldilà delle mura scintillanti di Sterling Silver. I fiori
stavano cominciando a sbocciare nel prato oltre il lago che circondava il castelloisola. Nel cortile dabbasso, le sentinelle facevano il cambio della guardia, e gli
stallieri erano già occupati a governare il bestiame.
Ben si bagnò il viso con l'acqua che il castello provvedeva a riscaldare per il nuovo
giorno. Sterling Silver era un'entità viva e possedeva la magia che gli consentiva di
soddisfare tutti i bisogni del Re e della sua corte come farebbe una madre con i suoi
bambini. Era stato una fonte di continuo stupore per lui, quando aveva messo piede a
Landover per la prima volta, trovare un bagno pronto e alla temperatura ottimale a
comando, avere luce a volontà ogni volta che lo desiderava, sentire le pietre del
pavimento del castello calde sotto i suoi piedi nelle notti gelide, ottenere cibo
raffreddato o riscaldato secondo il bisogno; ma era ormai abituato a questi piccoli
miracoli e non ci badava più tanto.
Quella mattina, tuttavia, per qualche ragione, si ritrovò a farlo. Si asciugò la faccia e
guardò giù alla superficie scintillante dell'acqua raccolta nel lavabo. Il suo riflesso gli
restituì lo sguardo: un sembiante forte, abbronzato e dai lineamenti asciutti con occhi
di un azzurro penetrante, un naso adunco e capelli che iniziavano a recedere dalle
tempie. Il leggero tremolio dell'acqua gli conferiva rughe e storture che non aveva.
Sembrava, pensò, che nulla fosse cambiato sul suo volto da quando era giunto li dal
vecchio mondo. L'apparenza inganna, diceva il proverbio, ma in questo caso non ne
era tanto sicuro. La magia era il nodo centrale dell'esistenza a Landover e dove c'era
di mezzo la magia tutto era possibile.
Come dimostrava Mistaya, rammentò, che non faceva altro che ridefinire
continuamente quel particolare concetto.
Willow si alzò dal letto e gli si accostò. Non portava vestiti, ma lo faceva, come
sempre, con la massima noncuranza, e questo rendeva la sua nudità giusta e naturale.
Lui l'abbracciò e la tenne stretta a sé, pensando una volta di più quanto fosse
fortunato ad averla, quanto l'amasse e quanto disperatamente ne avesse bisogno. Ella
era sempre la donna più bella che avesse mai visto, un luogo comune che era
orgoglioso di sottoscrivere, e pensava che la sua bellezza originasse dal suo interno
quanto dall'esterno. Con lei aveva ritrovato il grande amore che aveva perso quando
Annie era rimasta uccisa nel vecchio mondo: gli sembrava tutto così remoto, adesso,
che riusciva a stento a ricordare il fatto. Lei era la compagna per la vita, che Ben
aveva pensato di non poter trovare mai più, qualcuno che gli dava forza, lo riempiva
di gioia, era la bilancia della sua esistenza.
Qualcuno bussò alla porta della camera da letto.-Alto Signore? -chiamò Abernathy
brusco, con la voce agitata.-E' sveglio?
-Sono sveglio-rispose Ben, tenendo ancora Willow stretta a sé e guardando oltre il
viso di lei rivolto all'insù.
-Spiacente, ma devo parlarle-lo informò Abernathy.-Immediatamente.
Willow scivolò via dalle braccia di Ben e si affrettò a coprirsi con una lunga vestaglia
bianca. Ben aspettò che finisse e poi andò ad aprire la porta. Abernathy stava lì ritto,
incapace di dissimulare, con un minimo di verosimiglianza, la sua impazienza e il suo
turbamento. Ambedue le emozioni apparivano chiare dai suoi occhi. I cani avevano
sempre un aspetto per qualche verso ansioso, e Abernathy, benché cane solo nella
forma esteriore, non era un'eccezione alla regola. Si teneva rigido nella sua livrea oro
e cremisi, la divisa da Scrivano di Corte, e le sue dita (tutto ciò che rimaneva della
sua forma umana dal giorno della sua trasformazione in un Wheaten Terrier dal pelo
raso, si gingillavano con i bottoni di metallo lavorato, come per accertarsi che fossero
ancora al loro posto.
-Alto Signore.-Abernathy si fece avanti e accostò il capo per sottolineare il carattere
riservato del suo annuncio.-Mi dispiace dover inaugurare la sua giornata in questo
modo, ma ci sono due cavalieri al cancello. Hanno l'aria di essere qui per lanciare
qualche sorta di sfida. Rifiutano di mostrarsi a chicchessia se non a lei, e uno di loro
ha gettato un guanto in mezzo al vialetto d'accesso. Sono in attesa della sua risposta.
Ben annuì, ricacciando in gola una mezza dozzina di risposte, non precisamente
edificanti.-Vengo subito.
Chiuse la porta e prese a vestirsi in tutta fretta. Disse a Willow cos'era successo. Il
lancio di un guanto a mo' di sfida suonava alquanto buffo per un terrestre del
ventesimo secolo, ma a Landover non era una cosa da ridere. Qui erano sempre in
auge i combattimenti secondo le regole, e quando un guanto veniva gettato non c'era
nessun dubbio sul significato del gesto. Una sfida era stata lanciata ed era necessaria
una risposta. Neanche un Re poteva ignorare un simile atto. O forse, pensò Ben
mentre si infilava gli stivali, specialmente un Re.
Si alzò e si abbottonò la giubba. Si soffermò a stringere il medaglione appeso al collo,
il simbolo della sua carica, il talismano che lo proteggeva. Se c'era una sfida da
raccogliere, la battaglia sarebbe stata combattuta dal suo campione, il cavaliere
chiamato il Paladino, che aveva difeso tutti i Re di Landover, fin dalle origini. Il
medaglione evocava il Paladino, che era in realtà l'alter ego del Re. Infatti era lo
stesso Ben ad abitare il corpo e la mente del Paladino, quando combatteva le sue
battaglie per lui, diventando il campione di se stesso, perdendosi temporaneamente
nella vita e nelle virtù guerriere dell'altro. C'era voluto molto tempo perché Ben
scoprisse la verità sulla natura del Paladino. Ma molto di più ce ne sarebbe voluto per
scendere a patti con ciò che quella verità implicava.
Lasciò andare il medaglione. Avrebbe avuto tempo di almanaccare su tutto questo: se
si trattasse di una sfida guerresca, se il Paladino dovesse intervenire, se il pericolo
fosse inimmaginabile, se, se, se...
Prese Willow per un braccio e uscì dalla porta. Si mossero in fretta per i corridoi e
salirono una rampa di scale che portava ai bastioni situati al disopra dell'entrata
principale. Posto su un isolotto al centro di un lago, Sterling Silver era collegato alla
terraferma da un sentiero su un terrapieno che Ben aveva fatto costruire (e ricostruire
più di una volta) per consentire un rapido accesso ai visitatori. Landover non era in
guerra, non era stata più in guerra da quando Ben era giunto a rilevare il Regno, e lui
aveva deciso tanto tempo prima che non c'era ragione di isolare il Re dai suoi sudditi.
Ovviamente, i sudditi non avevano l'abitudine di gettare guanti e lanciare sfide.
Aprì la porta che dava sui bastioni e raggiunse la balconata prospiciente il terrapieno.
Questor Thews e Abernathy erano già li in piedi, che parlottavano. Bunion faceva la
ronda lungo i parapetti da un lato, agile e svelto, con gli artigli da coboldo che
fornivano una presa sicura anche sulla pietra. Avrebbe potuto camminare
agevolmente giù per le mura, se avesse voluto. I suoi occhi di un giallo brillante
erano fessure minacciose, e l'intera chiostra dei denti si mostrava in quella che era la
parodia di un sorriso.
All'arrivo del Re e della Regina, Questor e Abernathy rivolsero loro uno sguardo
preoccupato e si affrettarono a raggiungerli.
-Alto Signore, lei deve risolvere la questione nella maniera che riterrà opportunadisse Questor nel suo solito stile succinto-ma le raccomando un'estrema cautela. C'è
un'aura di magia intorno a quei due che neanche i miei poteri sembrano in grado di
penetrare.
-Che prova irrefutabile!-osservò sarcastico Abernathy, drizzando le sue orecchie di
cane. Guardò Ben con aria addolorata.- Alto Signore, queste sono creature
impertinenti, forse pazze, e se fossi in lei prenderei in seria considerazione l'idea di
ospitarli per un po' nelle segrete del castello.
-Buon giorno anche a voi-li salutò allegramente Ben.-Bella giornata per gettare un
guanto, vero?-Gratificò ognuno di loro con un sorrisetto ironico mentre si muoveva
verso la balconata.- Vi dirò una cosa. Perché non ascoltiamo cosa hanno da dire
prima di pensare alle possibili soluzioni?
Si spostarono in gruppo sulla terrazza e si fermarono alla balaustra. Ben scrutò in
basso. Due cavalieri vestiti di nero stavano in mezzo al sentiero, mentre montavano
cavalli neri. Il più grosso dei due indossava l'armatura e portava uno spadone e
un'ascia da guerra attaccati alla sella. La visiera era abbassata. Quello più piccolo era
tutto bardato e incappucciato e piegato in due sulla sella, come una vecchia ingobbita,
mani e volto nascosti. Nessuno dei due si muoveva. Nessuno recava un qualche
stemma o portava uno stendardo.
Il guanto nero del cavaliere dall'armatura giaceva davanti a loro in mezzo al ponte.
-Visto cosa volevo dire?-sussurrò Questor, enigmatico.
Ben non vedeva niente, ma non faceva alcuna differenza. Non volendo prolungare
oltre quella specie di confronto, Ben urlò ai due che stavano sul ponte:-Io sono Ben
Holiday, Re di Landover. Cosa volete da me?
La visiera del cavaliere in armatura si sollevò leggermente.-Signore Holiday. Io sono
Rydall, Re di Marnhull e di tutte le terre a est oltre le nebbie fatate fino al Grande
Baluardo.-La voce dell'uomo era profonda e roboante.-Sono venuto a chiedere la sua
resa, Alto Signore. Preferirei farlo in maniera pacifica, ma se sarà necessario userò la
forza. Io voglio la sua corona e il suo trono e il medaglione del potere. Io voglio il
dominio sui suoi sudditi e sul suo Regno. Sono stato abbastanza chiaro?
Ben sentì il sangue salirgli fino agli occhi.-Ciò che mi è chiaro, Rydall, Re di
Marnhull, è che tu sei un pazzo se ti aspetti che ti presti la minima attenzione.
-E lei è un pazzo se non mi darà ascolto-rispose rapido l'altro. -Mi ascolti bene prima
di dire altro. Il mio Regno di Marnhull è aldilà delle nebbie fatate. Tutto ciò che
esiste da quel lato del confine è di mia proprietà. Io me ne impadronii con la forza e
con la potenza delle armi tanto tempo fa, e mi presi tutto. Per anni ho cercato il modo
di attraversare le nebbie, ma la magia delle fate me lo ha sempre impedito. Adesso
non è più così. Io ho fatto breccia nel suo baluardo più impenetrabile, Signore
Holiday, e finalmente il suo reame è qui davanti a me, senza alcuna difesa. Il suo
esercito è piccolo, formato da un numero ridicolo di armati. Il mio, invece, è
numeroso ed esperto, e vi schiaccerebbe in un giorno solo. In questo momento è già
ai confini, in attesa solo di un mio comando. A una mia parola invaderà Landover
come un'epidemia e distruggerà tutto ciò che troverà sulla sua strada. Lei non ha
nessuna ragionevole possibilità di fermarlo, e una volta che si sarà messo in moto,
non sarà tanto semplice riassumerne il controllo. Non c'è bisogno che io sia più
esplicito, vero, Alto Signore?
Ben diede una rapida occhiata a Willow e ai suoi consiglieri.- Qualcuno di voi ha mai
sentito parlare di questo individuo?-chiese con calma. Tutti e tre scossero la testa.
-Holiday, si arrende a me?-gridò di nuovo Rydall con la sua voce possente.
Ben si voltò.-Non credo. Forse un altro giorno. Re Rydall, non riesco a credere che tu
sia venuto qui con l'idea che io potessi fare quello che mi stai chiedendo. Nessuno ha
mai sentito il tuo nome. Non porti nessuna prova della tua carica o dei tuoi eserciti.
Stai lì seduto a cavallo a proferire minacce e richieste, e questo è tutto quello che sai
fare. Due uomini, soli soletti, spuntati da chissà dove.-Fece una pausa.-Che ne direste
se vi facessi prendere e sbattere in prigione?
Rydall rise, e la sua risata era fragorosa e profonda come la sua voce, e decisamente
malvagia.-Le consiglio di non provarci, Alto Signore. Non sarebbe tanto facile come
può sembrare.
Holiday annuì.-Raccogli il tuo guanto e vattene a casa. Ho fame e devo fare
colazione.
-No, Alto Signore. E' lei che deve raccogliere il guanto se non accetta la mia richiesta
di resa.-Rydall fece fare un passo avanti al suo cavallo.-La sua terra sbarra la strada al
mio esercito, e io non posso girarci attorno. Non voglio. Cadrà nelle mie mani in un
modo o in un altro. Ma il sangue di quelli che periranno non macchierà le mie mani:
ricadrà sulle sue. A lei la scelta, Alto Signore.
-Io ho già scelto-rispose Ben.
Rydall rise di nuovo.-Parole da uomo coraggioso. Be', non credevo certo che si
sarebbe arreso a me facilmente; non senza qualche prova della mia forza, qualche
ragione di credere che il suo rifiuto a sottostare alle mie condizioni potrebbe causare
del male a lei o forse a quelli che ama.
Ben avvampò di nuovo, questa volta furioso.-Le minacce non funzionano con me,
Rydall di Marnhull. La nostra conversazione è finita.
-Aspetti, Alto Signore!-esclamò frettoloso quell'altro.- Non abbia tanta fretta
d'interrompere...
-Tornatevene da dove siete venuti!-scattò secco Ben, voltandosi per andarsene.
Poi vide Mistaya. Stava da sola sui bastioni a parecchi metri di distanza, a guardare
Rydall. Stava perfettamente immobile, i capelli biondo miele sparsi giù per le esili
spalle, un'espressione intensa sul viso da folletto e gli occhi smeraldini fissi sui
cavalieri ai cancelli. Sembrava dimentica di tutto il resto, totalmente concentrata sul
luogo, giù in basso, dove erano in attesa Rydall e il suo compagno.
-Mistaya-chiamò dolcemente Ben. Non voleva che stesse lì dove potevano vederla,
non voleva che si sporgesse dai bastioni in quel modo. Sentì il sudore imperlargli la
fronte. Alzò la voce.-Mistaya!
Lei non sentì o non volle sentire. Ben lasciò gli altri e andò da lei. Senza altre parole
la prese dalla vita e la portò via dalle mura. Mistaya non fece resistenza. Gli mise le
braccia al collo e lasciò che suo padre la mettesse giù.
Ben tenne a freno la sua irritazione mentre si chinava per dirle:- Vai dentro, per
favore.
Lei lo guardò curiosamente, come distolta da qualche profonda riflessione, poi si
voltò obbediente, andò alla porta e scomparve.
-Alto Signore Ben Holiday!-chiamò Rydall dal basso.
Ben digrignò i denti e si girò fulmineo a guardare giù per l'ultima volta.-Ho finito con
te, Rydall!-urlò in risposta, furioso.
-Lasci che dia l'ordine di farlo arrestare e portare davanti a lei! -scattò Abernathy.
-Un'ultima parola!-gridò Rydall.-Ho detto che non pensavo che si sarebbe arreso
senza qualche prova della verità di quanto affermo. Allora, Alto Signore, permette
che gliene fornisca una? Una prova che sono in grado di fare quanto ho minacciato?
Ben trasse un profondo respiro.-La scelta spetta a te, Rydall di Marnhull. Ma ricorda
una cosa: dovrai rispondere della tua scelta.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale tutti e due si guardarono fissi. Nonostante la
sua collera e la sua determinazione, Ben sentì un brivido di gelo attraversargli il
corpo, come un presentimento che Rydall avesse valutato con precisione il proprio
avversario, più di quanto non avesse fatto lui. Era un momento critico.
-Arrivederci, per il momento, Alto Signore Ben Holiday-disse alla fine Rydall.Tornerò nel giro di tre giorni. Forse allora la sua risposta sarà diversa. Lascio il
guanto lì dove si trova. Nessuno potrà raccoglierlo, tranne lei. E lei lo farà.
Fece dietrofront e partì al galoppo. L'altro cavaliere indugiò un momento, tutto
ingobbito e immobile. Non si era mosso e non aveva aperto bocca per tutto il tempo.
Non aveva mostrato niente di se stesso. Ora si voltò senza fretta e seguì le orme di
Rydall. Insieme attraversarono la prateria in mezzo ai fiori selvatici e alle erbe, ombre
nere contro la luce crescente, e scomparvero tra gli alberi in fondo.
Ben Holiday e i suoi compagni li guardarono andare finché non scomparvero alla
vista, senza dire una parola.
Quel mattino la colazione fu più sobria del solito. Ben, Willow, Questor e Abernathy
si sedettero in un gruppo compatto a un'estremità della lunga tavola da pranzo,
piluccando il cibo e parlando. Mistaya l'avevano fatta mangiare da sola e quindi
l'avevano mandata fuori a giocare. Ma poi, pensandoci bene, suo padre aveva dato
incarico a Bunion di tenerla d'occhio.
-Allora nessuno conosce questo Rydall?-ripeté ancora Ben. Continuava a tornare su
quella domanda.-Siete sicuri?
-Alto Signore, quest'uomo è uno straniero a Landover-gli assicurò Questor Thews.Non c'è nessun Rydall e nessun Marnhull da nessuna parte, entro i nostri confini.
-Né, per quanto ne sappiamo, al di fuori di essi!-sbottò Abernathy, accalorato.-Rydall
afferma di aver attraversato le nebbie fatate per arrivare qui, ma come prova abbiamo
soltanto la sua parola. Nessuno può penetrare nelle nebbie, Alto Signore. Le fate non
lo permettono. Solo la magia consente il passaggio, e solo le fate o le loro creature la
posseggono. Rydall non mi sembra proprio una di quelle.
-Forse, come me, possiede un talismano che gli permette il passaggio-azzardò Ben.
Questor si piegò in avanti e aggrottò la fronte.-Che ne dite del suo compagno con
quel mantello nero? Vi ho detto che ho captato del magico in quei due, ma
probabilmente non veniva da Rydall. Forse l'altro è una creatura magica, un essere
fatato dello stesso tipo del Gorse. Un tale essere potrebbe assicurare il passaggio.
Ben tornò col pensiero al Gorse, il tenebroso essere fatato che era stato liberato e
riportato su Landover al tempo della nascita di Mistaya. Una creatura di quella sorta
era certamente in grado di controllare le nebbie fatate e di scaricare tutte le disgrazie
che avesse voluto sulle spalle di chiunque gli avesse attraversato la strada.
-Ma perché una creatura così potente dovrebbe essere al servizio di Rydall?-chiese
all'improvviso.-Non dovrebbe essere il contrario?
-Forse la creatura fatata è sua schiava-intervenne Willow con calma.-O forse le cose
non stanno così come sembra, ed è Rydall in realtà il servitore.
-Se quello dal mantello nero possiede la magia, potrebbe davvero essere così e
apparire diversamente-rifletté Questor.-Vorrei aver potuto penetrare il loro
travestimento.
Ben si appoggiò allo schienale della sedia.-Riflettiamo un momento. Questi due,
Rydall e il suo compare, spuntano fuori dal nulla. Uno di loro, o forse tutti e due,
possiede della magia, un bel po' di magia, dicono loro. Ma noi non sappiamo che cosa
quella magia possa operare. Ciò che sappiamo è che loro vogliono la resa
incondizionata del trono di Landover, e che sembrano convinti di poterla avere, in un
modo o nell'altro. Perché?
-Perché?-ripeté Questor Thews perplesso.
-Mettiamola sotto un altro aspetto-proseguì Ben. Spinse via il suo piatto e guardò il
mago.-Loro hanno fatto una richiesta, senza offrire alcuna prova per spingerci a
prenderla seriamente in considerazione. Non hanno rivelato alcuna magia, del tipo di
quella che potrebbe indurre a più miti consigli, e non hanno neanche dimostrato in
qualche modo l'esistenza del loro millantato esercito. Hanno semplicemente fatto una
richiesta e poi sono andati via, lasciandoci tre giorni di tempo per pensarci su.
Pensare a cosa? Alla loro richiesta che abbiamo già respinto? Non credo.
-Tu credi che essi intendano darci qualche dimostrazione del loro potere-concluse
Willow.
Ben annuì.-Sì. Non ci hanno dato tre giorni per niente. E prima di partire hanno fatto
una minaccia piuttosto ovvia. Rydall troppo in fretta ha fatto marcia indietro dalla sua
richiesta di resa immediata. Perché farla se non aveva intenzione di sostenerla con la
forza? Qui si sta giocando qualche gioco, di cui non credo che conosciamo ancora le
regole.
Gli altri si limitarono ad annuire.-Cosa dobbiamo fare, Alto Signore?-chiese infine
Questor.
Ben si strinse nelle spalle.-Mi piacerebbe saperlo.-Ci pensò su per un momento.Usiamo l'Osservatorio, Questor, per vedere se c'è qualche traccia di Rydall o del suo
esercito qui a Landover. Possiamo fare una ricerca capillare. Non voglio mettere in
allarme la popolazione spargendo la voce della sua minaccia finché non avremo
scoperto se essa è reale, ma non ci farà male rinforzare i servizi di pattuglia ai confini
per un po' di giorni.
-Non sarà neanche male aumentare il numero delle sentinelle qui al castello-ringhiò
Abernathy, raddrizzandosi.-La minaccia, dopo tutto, sembrava diretta a noi.
Ben si dichiarò d'accordo. Dato che nessun altro aveva proposte da fare, si alzarono
da tavola per intraprendere i lavori della giornata, la maggior parte dei quali era già
fissata su un'agenda che veniva aggiornata da settimane, e non aveva niente a che
vedere con Rydall e le sue minacce. Ben prese a occuparsi dei suoi affari in modo
calmo e imperturbabile, ma la sua apprensione riguardo al Re di Marnhull rimaneva
intatta.
Quando ci fu tempo, Ben e Questor salirono nella torre più alta del castello, fino a
una camera piccola e circolare, nella quale una metà della parete, tutt'attorno, era
completamente aperta, dal pavimento al soffitto, per lasciare libera la vista sul
territorio circostante. Una balaustra correva lungo il bordo, fino all'altezza della vita,
per proteggere dal rischio di cadute, e un pulpito argenteo campeggiava al centro del
semicerchio, rivolto verso le nuvole. Migliaia di rune erano incise nel metallo, a
formare intricati ghirigori. Era questo l'Osservatorio. Ben chiuse a chiave la porta
della camera, poi estrasse una consunta mappa di Landover da un cassettone su un
lato e si diresse verso il pulpito. Spiegò la mappa sul leggio e la assicurò a esso con
dei fermagli.
Poi si sistemò direttamente davanti al pulpito, si afferrò alla balaustra, e focalizzò la
sua attenzione sulla mappa. Una vibrazione calda cominciò a sprigionarsi sotto le sue
mani. Si concentrò innanzitutto sulla regione dei laghi, perché era da lì che voleva
cominciare la ricerca.
Pochi secondi dopo le mura della torre parvero disintegrarsi, e lui si ritrovò a volare
su Landover senza altro sostegno che la balaustra. Era un'illusione, ormai lo sapeva,
perché in realtà si trovava sempre nel castello e soltanto la sua mente era libera di
errare per Landover, ma l'illusione creata dalla magia dell'Osservatorio era
impressionante. Sfrecciò sulle foreste della regione dei laghi, sui suoi fiumi, sui laghi
e le paludi, con tutti i dettagli della regione chiaramente svelati ai suoi occhi, resi
acuti come quelli di un'aquila in caccia. La ricerca si rivelò infruttuosa. Non c'era
alcuna traccia di Rydall o del suo compagno dalla cappa nera o del loro esercito. I
confini delle nebbie fatate erano tranquilli.
Ben stava ancora meditando su tutto ciò a mezzogiorno, quando Willow lo prese in
disparte. Uscirono in un giardino privato che si apriva proprio sulle stanze a
pianterreno che la stessa Willow e Mistaya occupavano. Mistaya non c'era. Stava
mangiando con Parsnip in cucina.
-Ho intenzione di mandar via Mistaya-annunciò Willow senza preamboli, con gli
occhi fissi su di lui.-Domani.
Ben rimase in silenzio per un momento, ricambiando lo sguardo. -Il tuo presagio?
Lei annuì.-Era troppo forte per ignorarlo. Forse l'arrivo di Rydall ne è stato la causa.
Forse no. Ma mi sentirò meglio se Mistaya andrà via di qui per un po'. Potrebbe
essere già difficile proteggere noi stessi.
Scesero giù per un tortuoso sentiero fino a un cespuglio di rododendri e lì si
fermarono. Ben inspirò la fragranza dei fiori. Gli venne in mente la velata minaccia di
Rydall sul male che avrebbe potuto colpire i suoi cari. E Rydall aveva visto Mistaya
sulle mura.
Incrociò le braccia e guardò lontano.-Hai ragione, probabilmente. Ma in quale luogo
potremmo mandarla, che sia più sicuro di queste mura?
Willow gli prese la mano.-Da mio padre. Dal Signore del Fiume. So quanto sia stato
scorbutico in passato, talvolta addirittura ostile. Io non lo difendo. Ma vuole bene a
sua nipote e farà in modo che non le manchi nulla. Può proteggerla meglio di noi.
Nessuno può entrare nel paese degli esseri fatati se non è invitato. La loro magia,
benché ridottasi da quando decisero di lasciare le nebbie, è sempre potente. Mistaya
sarebbe al sicuro.
Aveva ragione, naturalmente. Il Signore del Fiume e la sua gente possedevano una
notevole magia, e il loro paese era al sicuro dagli ospiti indesiderati. Trovare il modo
di entrarvi senza una guida era quasi impossibile; ritrovare la via d'uscita era ancora
più difficile. Ma Ben non era convinto. Il Signore del Fiume e sua figlia non
andavano molto d'accordo, e benché il Signore della regione dei laghi fosse stato
contento della nascita di Mistaya e fosse venuto a Landover a farle visita, era ancora
isolato e indipendente com'era sempre stato. Accettava Ben come Re di Landover a
denti stretti, convinto che la monarchia non arrecasse alcun vantaggio alla vita degli
esseri fatati. Aveva osteggiato e respinto Ben in più di un'occasione, e non faceva
alcuno sforzo per dissimulare le sue ambizioni a estendere il proprio dominio.
Con tutto ciò, Ben temeva per la sicurezza di Mistaya a Sterling Silver, almeno
quanto Willow. Ci aveva pensato dal momento stesso che aveva fatto scendere sua
figlia da quel bastione. Se la premonizione di Willow era esatta (e non c'era ragione
di credere che non lo fosse) allora il vero pericolo era qui, visto che la minaccia che
incombeva sulla famiglia era principalmente diretta contro di lui. Era quindi
ragionevole mandare Mistaya in un altro luogo, e non c'era posto più sicuro, al di
fuori delle nebbie fatate, della regione dei laghi.
-D'accordo-acconsentì.-Tu l'accompagnerai?
Willow scosse lentamente la testa.-No, Ben. La mia vita è con te. Io rimarrò qui. Se
potrò, aiuterò a proteggerti. Forse avrò un'altra premonizione.
-Willow...-prese a dire Ben.
-No, Ben. Non chiedermelo. Ti ho lasciato in passato quando non avrei voluto farlo, e
ogni volta ti ho quasi perduto. Questa volta non andrò. Mio padre avrà la massima
cura di Mistaya.-I suoi occhi la dicevano lunga sulla sua determinazione.-Al mio
posto manda qualcuno di fiducia ad accompagnarla, perché sia al sicuro durante il
viaggio. Manda Questor o Abernathy.
Ben le prese la mano.-Farò qualcosa di meglio. Li manderò tutti e due. Questor terrà
a bada Mistaya, e Abernathy terrà d'occhio Questor perché non faccia un uso
avventato della sua magia. E in più manderò una scorta della Guardia Reale per
protezione.
Willow si strinse a lui senza parlare, e Ben l'abbracciò forte. Rimasero stretti uno
contro l'altra sotto il sole di mezzogiorno.-Devo dirti che non mi fa piacere mandarla
via-mormorò Ben alla fine.
-Neanche a me-sussurrò Willow in risposta. Ben poteva sentire il cuore di lei battergli
contro il petto.-Prima ho parlato con Mistaya. Le ho chiesto cosa facesse sulle mura,
con lo sguardo puntato su Rydall.-Fece una pausa.-Mistaya mi ha detto che lo
conosce.
Ben s'irrigidì.-Lo conosce?
-Le ho chiesto com'era possibile, ma mi ha risposto che non ne era sicura.-Willow
scosse la testa.-Penso che fosse confusa quanto noi.
Dopodiché rimasero silenziosi, sempre tenendosi stretti, osservando i giardini, e
ascoltando i suoni degli insetti e degli uccelli che facevano da controcanto al più
distante brusio delle attività nel castello. Un collegamento tra Mistaya e Rydall? Ben
sentì una lama di gelo trafiggergli il fondo dello stomaco.
-La manderemo via alle prime luci dell'alba-sussurrò, e sentì Willow rispondergli con
un più forte abbraccio.
Haltwhistle
Mistaya fu avvertita quella sera stessa dai genitori: avevano deciso di mandarla in
visita a suo nonno nella regione dei laghi, e sarebbe partita al mattino. Nel suo tipico
modo diretto di parlare, la ragazzina chiese loro se ci fosse qualcosa che non andava,
e loro risposero di no. Ma il modo in cui lo dissero fu la conferma definitiva dei suoi
dubbi.
Tuttavia, lei era troppo furba per contraddire i suoi genitori, e si guardò bene dal
chiedere loro il motivo di quella decisione (benché fosse quasi certa che c'entrasse in
qualche modo l'uomo che si era presentato ai cancelli quella mattina) e si accontentò
di lasciar cadere l'argomento finché non le si fosse presentata l'occasione di parlare a
quattr'occhi con l'uno o con l'altra. Sicuramente pensava a sua madre, poiché lei era
più sincera con sua figlia. Non perché suo padre volesse ingannarla; il fatto era che
lui si ostinava a trattarla da bambina, e cercava continuamente di proteggerla da
quelle che considerava le dure realtà della vita. Era un'abitudine seccante, ma Mistaya
faceva del suo meglio per tollerarla. Suo padre faceva fatica a comprenderla, in ogni
sua manifestazione, certamente più di sua madre. Lui la giudicava secondo parametri
che non le erano familiari, parametri concepiti e sviluppati nel vecchio mondo da cui
proveniva, il mondo chiamato Terra, dove la magia era praticamente sconosciuta e le
creature fatate venivano considerate un mito. Suo padre le voleva bene, naturalmente,
e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Ma l'amore e la comprensione non andavano
necessariamente a braccetto, nella vita reale, e questo era il suo caso.
Suo padre non era solo, nella sua perplessità. La maggior parte di quanti vivevano al
castello trovavano la bambina un tantino strana, per un motivo o per l'altro. Ne era
stata cosciente quasi dall'inizio, ma la cosa non la preoccupava. La sua fiducia in se
stessa e la sua sicurezza erano tali che l'opinione degli altri non aveva pressoché
nessuna importanza. Sua madre stava bene con lei, e suo padre, per quanto confuso,
era comunque protettivo. Abernathy si lasciava fare da lei delle cose che a qualsiasi
altro bambino sarebbero costate un rapido viaggio in camera, a meditare sul
significato dell'espressione "buone maniere". Bunion e Parsnip erano strani quanto
lei, tutti orecchie e denti e peli irti, sempre a cinguettare in quel loro misterioso
linguaggio che erano convinti lei non capisse mentre lei, naturalmente, capiva.
E poi c'era Questor Thews, il migliore di tutti. Voleva bene a quel vecchio come un
bimbo ne vuole a un nonno speciale, o allo zio o alla zia del cuore; forse perché loro
due erano misteriosamente legati, come se fossero venuti al mondo condividendo la
stessa visione della vita. Questor non la trattava mai da bambina. Non disprezzava
mai una sua domanda o un'opinione. La ascoltava quando parlava, e le rispondeva
sempre. Era distratto, e pasticciava un po' quando le mostrava la sua magia, ma
questo sembrava renderlo ancora più simpatico. Lei sentiva che Questor la trovava
una persona realmente meravigliosa (una persona, non una bambina) e la credeva
capace di qualsiasi cosa. Be', qualche volta la riprendeva e la correggeva, ma lo
faceva in un modo tale che non si sentiva mai offesa; piuttosto, si sentiva commossa
da tanto interesse. Certo, non la amava dell'amore sconfinato di sua madre, e non
possedeva la ferrea determinazione di suo padre; inoltre, non provava probabilmente
lo stesso senso di dedizione nei suoi confronti che era proprio dei suoi genitori: ma
sopperiva a tutto questo con la sua amicizia, quel genere di amicizia che è raro
trovare nel corso della vita.
Mistaya fu contenta di sapere che Questor le avrebbe fatto da tutore nel suo viaggio a
sud. Le faceva piacere che anche Abernathy fosse della compagnia, ma era
particolarmente felice per Questor. Il viaggio stesso sarebbe stato un divertimento.
Non si era mai allontanata dal castello da quando era una bambina piccola, appena
capace di camminare, e comunque solo per una gita di un giorno. I picnic e le
cavalcate non contavano. Questa era un'avventura, un viaggio in un posto che non
aveva mai visto. Le scoperte sarebbero state un mucchio, e avrebbe avuto vicino
Questor a dividerle con lei. Si sarebbe divertita un mondo.
Doveva ammettere, considerando più a fondo la questione, che parte dell'attrazione
derivava dalla prospettiva di allontanarsi dai suoi genitori. Quando c'erano loro in
giro, lei era sempre sorvegliata con più attenzione e tenuta a freno con maggior
severità. Non fare questo. Non toccare quello. Stai vicino. Allontanati. E le lezioni
che si ostinavano a farle erano interminabili e per la maggior parte superflue in
rapporto ai suoi veri interessi. Era quando si trovava da sola con Questor che sentiva i
suoi orizzonti espandersi e le possibilità cominciare ad aprirsi. Molto del suo
entusiasmo aveva a che fare con l'uso che il mago faceva della magia, un compito
importante e veramente affascinante. Mistaya adorava osservare ciò che Questor
riusciva a fare con i suoi incantesimi e con le formule, anche quando non tutto andava
secondo le sue previsioni. Lei pensava che un giorno avrebbe potuto imparare a usare
la magia come lui. Ne era certa.
Aveva provato in segreto un paio di incantesimi, qualche formuletta magica, e si era
accorta che era quasi riuscita a farle funzionare.
Naturalmente, non ne fece parola con nessuno. Tutti, incluso Questor Thews, le
dicevano che l'uso della magia era estremamente pericoloso. Tutti le dicevano di non
pensarci nemmeno, a fare delle prove. Lei prometteva ubbidiente ogni volta che
quell'ammonimento le veniva fatto, ma si teneva aperte delle possibilità.
Lei sapeva, a differenza degli altri, che la magia era una parte integrale della sua vita.
Sua madre le aveva parlato molto presto dei suoi diritti di nascita. Lei era figlia di un
umano e di una creatura fatata. Era figlia di tre mondi, generata da tre suoli diversi.
Era nata nel covile di una strega, la conca che chiamavano il Pozzo Infido, il rifugio
della Strega del Crepuscolo. Tutto ciò che aveva nel sangue era intessuto di magia.
Era per questo che, a differenza degli altri bambini, in due anni era arrivata all'età di
dieci. Era per questo che cresceva a singhiozzo. Il suo modo di crescere era ancora
alquanto oscuro, anche per lei, ma lei lo comprendeva senz'altro più dei suoi genitori.
La sua intelligenza era sempre la prima a progredire, seguita dalle emozioni e dal
corpo. Mistaya non poteva prevedere né controllare il quando e il come, ma era
consapevole di una progressione ben precisa.
Era inoltre convinta che la fanciullezza non fosse uno stato particolarmente
importante né desiderabile, che si trattasse fondamentalmente di un passo necessario
per poter diventare adulti: ed era questa la cosa che lei voleva realmente. I bambini
erano poco più che animaletti domestici; li si curava, li si cibava regolarmente, spesso
venivano mandati fuori a giocare, e non era loro consentito di fare molto di più. Gli
adulti potevano fare qualsiasi cosa, se erano pronti ad accettarne le conseguenze.
Mistaya aveva padroneggiato fin dall'inizio i meccanismi della dinamica della
crescita, ed era ansiosa di saltare i preliminari per andare dritta al sodo. Sbuffava e
recalcitrava alle restrizioni impostele sia dalla sua fisiologia che dai suoi genitori,
incapace di esercitare un adeguato controllo su entrambe le cose. Un viaggio alla
regione dei laghi da suo nonno giungeva come una gradita tregua.
Quindi non ebbe alcuna difficoltà ad assecondare il volere dei suoi genitori in quella
occasione, gioì segretamente per la sua buona sorte e cominciò a fare i suoi piani.
Sembrava che non fosse stato posto alcun limite di tempo a questa visita, il che
significava che avrebbe potuto durare diverse settimane. Per Mistaya andava
benissimo. Tutta la primavera o addirittura anche tutta l'estate nella regione dei laghi
con gli esseri fatati era una prospettiva eccitante. Suo nonno le piaceva, benché lo
avesse incontrato una volta sola. Era venuto al castello a trovarla quando era
piccolissima e aveva pochi mesi. Il Signore del Fiume era un uomo burbero, alto e dai
lineamenti scarni, uno spirito acquatico con la pelle argentea e folti capelli neri che
gli crescevano giù per la collottola e sugli avambracci. Era stato freddo e riservato nel
suo primo approccio, come se disdegnasse approfondire la sua conoscenza, come se
diffidasse di lei non sapendo chi o cosa fosse. Lei al contrario non si era fatta crescere
l'erba sotto i piedi quando l'aveva incontrato. Incurante del suo riserbo, la bimba era
andata dritta da lui e gli aveva detto-Ciao, nonno. Sono molto contenta di conoscerti.
Saremo buoni amici, vero?
La disinvoltura e il candore operarono il miracolo. Suo nonno le si affezionò
all'istante, sbalordito al vedere una bimba così piccola e già così spigliata, e
compiaciuto che gli avesse chiesto la sua amicizia. La portò a fare una passeggiata,
parlò a lungo con lei e infine la invitò ad andare a trovarlo a casa sua. Si fermò solo
per un giorno, poi andò via. Sua madre disse che lui non amava dormire al chiuso e
che i castelli, in particolare, lo opprimevano. Disse che era una creatura dei boschi, e
che raramente si avventurava lontano da casa sua. Il fatto stesso che fosse venuto a
trovarla era già un grosso complimento da parte sua. Mistaya, lusingata, aveva
chiesto quando sarebbe potuta andare a trovarlo, ma la richiesta era stata archiviata e
apparentemente dimenticata. Da allora non l'aveva rivisto. Era curiosa di scoprire
cosa pensasse di lei adesso.
Dopo cena fu impegnata a fare i bagagli per il viaggio e non ebbe l'occasione di
chiedere a sua madre o a suo padre notizie sull'uomo ai cancelli. Quella notte il suo
sonno fu agitato, e si svegliò prima dell'alba. Dopo i baci e gli abbracci dei suoi
genitori, a ricordarle la loro dedizione, alle prime luci si mise in viaggio con la sua
scorta: Questor Thews, Abernathy e una dozzina di Guardie del Re. Cavalcava il suo
pony preferito, Pie' Leggero, e guardava il sole ricacciare le ombre oltre i prati e le
colline fino alle scure foreste, mentre cominciava il nuovo giorno. Sei guardie
cavalcavano davanti a lei, e sei alla retroguardia. Questor era al suo fianco, che
montava un vecchio pezzato dal nome improbabile di Gufo. Abernathy, che detestava
i cavalli, viaggiava all'interno del carro che trasportava i vestiti e gli effetti personali
della ragazza. Un cocchiere guidava il tiro alla testa del carro lungo la pista erbosa
che conduceva a sud.
Mistaya attese che Sterling Silver fosse definitivamente fuori vista, quindi si accostò
con Pie' Leggero a Questor e chiese:-Chi era l'uomo ai cancelli, Questor? Quello che
mio Padre non voleva che io vedessi?
Questor Thews sbuffò.-Un piantagrane di nome Rydall. Affermava di essere il Re di
un paese chiamato Marnhull, che nessuno di noi ha mai sentito nominare. A sentir lui
si troverebbe dall'altra parte delle nebbie fatate, ma io e te sappiamo quanto questo sia
improbabile.
-E' a causa sua che mi mandano da mio nonno?
-Sì.
-Perché?
Il mago fece spallucce.-Potrebbe essere più pericoloso di quel che sembra. Ha fatto
delle minacce.
-Che tipo di minacce?
Le bianche sopracciglia cespugliose si unirono con veemenza.- Difficile dirlo; erano
alquanto vaghe. Rydall vuole che tuo padre rinunci alla corona e lasci regnare lui al
suo posto. Una vera assurdità. Ma ha lasciato intendere che sarebbe meglio per noi
fare quello che dice. Tuo padre sta riflettendo.
Mistaya rimase in silenzio per un momento, soprappensiero.- Chi era l'altro, quello
con la cappa nera?
-Non lo so.
-Un mago?
Questor la guardò, mostrando la sorpresa sul volto affilato.-Sì, forse. C'era qualcosa
di magico in lui. L'hai sentito anche tu?
Lei annuì.-Credo di conoscere uno di loro.
La sorpresa si mutò in stupore.-Davvero? Come puoi?
Lei corrugò la fronte.-Non lo so. L'ho sentito mentre stavo li sulle mura.-Fece una
pausa.-Dapprincipio pensavo che fosse l'uomo grosso, Rydall. Ma adesso non ne
sono sicura. Può darsi che fosse l'altro.-Si strinse nelle spalle, già stanca
dell'argomento.-Pensi che vedremo qualche fantasma di palude lungo la strada,
Questor?
Viaggiarono speditamente per tutto il giorno, facendo parecchie pause per far
riposare i cavalli e una sosta per il pranzo, e al tramonto avevano raggiunto le sponde
meridionali dell'Irrylyn. Lì fecero il campo per la notte. Mistaya andò a nuotare nelle
acque calde del lago, poi pescò il necessario per la cena con Abernathy e un paio di
Guardie del Re. Presero parecchie dozzine di pesci in men che non sì dica, tanto che
Mistaya ebbe a lamentarsi con lo scrivano della eccessiva facilità di quella pesca.
Mentre le guardie portavano i pesci al campo per pulirli e cucinarli, la ragazza e il
cane si sedettero da soli sulle rive del lago, a osservare le acque color argento mentre
il sole s'immergeva in uno sfolgorio di rosso e rosa dietro l'orizzonte lontano.
-Pensi che la Madre e il Padre siano in pericolo, Abernathy?- gli chiese lei quando
furono soli, con la faccia e la voce incredibilmente serie.
Abernathy considerò la domanda per un momento, poi scosse la testa arruffata.-No,
Mistaya, non credo. E anche se lo fossero, non sarebbe la prima volta. Quando si è un
Re o una Regina, il pericolo è sempre in agguato. Quando disponi del potere, di
qualsiasi
potere, c'è sempre pericolo. Ma i tuoi genitori sono pieni di risorse e sono
sopravvissuti a un'infinità di cose. Se fossi in te non mi preoccuperei per loro.
Mistaya gradì quella risposta e annuì amabilmente.-D'accordo, non lo farò. Tu e
Questor rimarrete con me quando saremo a Elderew?
-Solo per un giorno o poco più. Poi dobbiamo tornare. Tuo padre avrà bisogno di noi.
Non possiamo stare via per molto.
-No, naturalmente no-convenne lei, alquanto elettrizzata all'idea di rimanere lì da
sola. Anche suo nonno conosceva la magia. Si chiese se sarebbe riuscita a
persuaderlo a insegnarle un po' di cose. E se lui le avrebbe permesso di sperimentare
qualcosa.
Una forma nebulosa emerse dagli alberi su un lato e andò a fondersi con alcuni
cespugli che correvano lungo la riva del lago. Mistaya e Abernathy erano seduti su un
grappolo di rocce levigate, sopraelevate rispetto ai cespugli, e potevano quindi vedere
qualsiasi cosa lì attorno. A nessuno dei due era sfuggito quel movimento furtivo.
-Un fantasma di palude?-chiese Mistaya in un sussurro di eccitazione.
Abernathy scosse la testa.-Qualche sorta di creatura. Non molto vecchia e neanche
tanto sveglia, a giudicare dalla sua mancanza di circospezione.
Lei gli diede una piccola gomitata.-Perché non gli abbai, eh, Abernathy? Una bella
abbaiata sonora?
-Mistaya...
-Ti prego... non ti tirerò le orecchie per il resto del viaggio.
Il cane sospirò.-Grazie tante.
-Dai-lo incalzò Mistaya.-Solo una volta; voglio vederlo saltare.
Abernathy masticava a vuoto.-Uhm.
Poi abbaiò: un'esplosione improvvisa e acuta che lacerò il silenzio del crepuscolo.
Sotto di loro, la creatura balzò come una molla dai cespugli fra i quali si nascondeva
e si fiondò di nuovo nella foresta come lanciato da una catapulta.
Mistaya non stava più nella pelle dalle risate.-E' stato bellissimo! E' stato uno spasso!
Mi fai morire quando fai così, Abernathy! Mi fa ridere da matti!
Lo strinse in un abbraccio e gli tirò leggermente le orecchie.-Mi fai proprio ridere,
vecchia palla di pelo.
-Uhm-ripeté Abernathy. Ma era visibilmente soddisfatto.
Il pesce fu cucinato a puntino, e la cena fu deliziosa. I componenti della piccola
carovana mangiarono tutti assieme, e tutto venne consumato con appetito. Era meglio
di un picnic, concluse Mistaya. Rimase sveglia fino a tardi, scambiando storielle con
le Guardie del Re, nonostante l'evidente disapprovazione di Abernathy, e quando
finalmente si avvolse nelle coperte, rifiutando la trapunta di piume che era stata
portata per sua comodità (le Guardie del Re, dopotutto, non la usavano), cadde subito
in un sonno profondo.
Senza sapere il perché, si svegliò quando era ancora buio. Tutti attorno a lei
dormivano saporitamente: la maggior parte, soprattutto Questor Thews, ronfava
emettendo suoni che facevano pensare a un cancello arrugginito. Lei strizzò gli occhi,
si levò a sedere e si guardò attorno.
Un paio di occhi la stavano fissando da appena qualche passo di distanza, mandando
luminosi riflessi giallognoli alla luce dei fuochi morenti.
Mistaya aguzzò la vista, senza alcuna paura. Gli occhi che la guardavano
appartenevano a un cucciolo di fango. Non ne aveva mai visto uno, ma sapeva qual
era il loro aspetto dalle descrizioni che Abernathy ne aveva fatto nelle sue
interminabili lezioni sulle specie endemiche di Landover. Aspettò che il suo sguardo
si abituasse al buio per assicurarsene. Il cucciolo di fango aspettò con lei. Quando
poté vedere chiaramente, Mistaya si trovò faccia a faccia con una strana creatura
caratterizzata da un corpo oblungo colorato in varie tonalità di bruno, zampe corte
con piedi palmati, una sorta di muso vagamente simile a quello di un roditore, grandi
orecchie canine penzolanti, e una coda da lucertola, liscia e affusolata. Sicuro, pensò,
un cucciolo di fango.
Strinse le labbra e gli mandò un bacio. Il cucciolo di fango strinse gli occhi.
Lei si ricordò improvvisamente che i cuccioli di fango erano considerati esseri fatati.
Li si vedevano raramente in giro per Landover, e quasi mai al difuori della regione
dei laghi.
-Sei molto carino-sussurrò.
Il cucciolo di fango per tutta risposta scodinzolò. Si spostò di qualche passo, poi si
voltò indietro, in attesa. Mistaya si levò dalle coperte. Il cucciolo di fango si mosse di
nuovo. Non c'era dubbio sulle sue intenzioni, pensò Mistaya. Che fortuna! Già
un'avventura! Si infilò gli stivaletti e strisciò per il campo addormentato seguendo le
orme del suo nuovo compagno. Il cucciolo di fango si accertò di non andare mai
troppo avanti, guidandola deliberatamente.
Troppo tardi Mistaya si ricordò che c'era una sentinella di guardia a ciascuna
estremità del campo, e fu quasi addosso a una di esse prima di potersi fermare. Ma la
sentinella sembrò non vederla. Aveva lo sguardo fisso nella notte, assente. Il cucciolo
di fango gli passò accanto indisturbato, seguito da Mistaya.
Magia! pensò la ragazza, e la sua eccitazione crebbe.
Il cucciolo di fango la portò via dall'Irrylyn inoltrandosi nei boschi circostanti. Fecero
un bel po' di strada, districandosi in un fitto groviglio di alberi e cespugli, guadando
ruscelli, scendendo giù per forre e risalendo colline. La notte era calda e silenziosa, e
l'aria era pregna del profumo di pini e gelsomini. I grilli cantavano e piccoli roditori
correvano frusciando nel sottobosco. Mistaya studiava ogni cosa, ascoltava ogni
suono e non si lasciava sfuggire niente. Non aveva idea di dove stessero andando, ma
non aveva alcuna paura di smarrirsi. Era convinta che il cucciolo di fango la stava
conducendo da qualcuno, e sperava che si trattasse di una creatura magica.
Giunsero finalmente a una radura nella quale un'ampia falce di luna si rifletteva
scintillante su un piccolo acquitrino ricoperto d'erba che segnava la fine della corsa di
un ruscello disceso da qualche lontana sorgente sulla collina. L'acqua era ricolma di
piante e di gigli notturni, ed era liscia come l'olio. Il cucciolo di fango proseguì fino a
trovarsi a pochi passi dall'orlo e lì si accucciò. Mistaya gli si accostò e attese.
L'attesa non fu lunga. Quasi immediatamente la superficie dell'acquitrino s'increspò
per poi aprirsi, e una forma cominciò a delinearsi. Era una donna completamente
ricoperta di fango, che quando prese una forma definita apparve lubrica e liscia e
scura. Si levò torreggiante su Mistaya, molto più imponente di qualsiasi altra donna la
ragazza avesse mai visto, con le sue forme doviziose scintillanti di perline d'acqua
sotto la luce lunare. Rimase ritta sulle acque del laghetto come su terreno solido, e i
suoi occhi si aprirono a incontrare quelli di Mistaya.
-Ciao, Mistaya-la salutò, con una voce morbida e ricca che mormorava di terra umida
e di ombre fresche.
-Ciao-rispose Mistaya.
-Io sono la Madre Terra-disse la donna.-Sono amica di tua madre. Ti ha parlato di
me?
Mistaya annuì.-Tu eri la sua migliore amica quando era una ragazzina. Le parlasti di
mio padre prima che giungesse a Landover. Tu ti prendi cura della terra e delle cose
che vivono su di essa. Tu puoi fare magie.
La Madre Terra rise sommessamente.-Qualche piccola magia. La maggior parte di
ciò che faccio è semplicemente lavoro duro. Allora, ti piace la magia?
-Si, tantissimo. Ma non mi è consentito farne uso.
-Perché è pericoloso per te.
-Sì.
-Ma tu non lo credi?
Mistaya esitò.-Non è che proprio non ci creda. Soltanto che non vedo come posso
imparare a difendermi dai suoi pericoli se non posso mai esercitarla.
Gli occhi della donna brillarono come pozze d'argento fuso.- Una buona risposta.
L'ignoranza non protegge; la conoscenza protegge. Lo sapevi, Mistaya, che io aiutai
tua madre a prepararsi per la tua nascita? Le assegnai il compito di raccogliere le terre
dalle quali tu sei nata. Feci tutto questo perché sapevo qualcosa sul tuo conto che tua
madre ignorava. Sapevo che la magia sarebbe stata una parte importantissima della
tua vita, e che tu non avresti potuto proteggerti dai suoi effetti se il tuo corpo non
fosse stato costituito in parte dai suoi elementi. Tu avevi bisogno di terra delle nebbie
fatate, oltreché di quella proveniente dai mondi di tua madre e di tuo padre.
-Io sono una creatura fatata?-chiese rapida Mistaya.
La Madre Terra scosse la testa.-Non è tanto semplice definire la tua natura, bambinarispose.-Tu non sei semplicemente una cosa o l'altra, ma un misto di parecchie. Tu sei
speciale. Non c'è nessun altro come te nell'intera Landover. Cosa ne pensi?
Mistaya stette un po' soprappensiero.-Immagino che dovrò abituarmi.
-Questo non sarà tanto facile-proseguì la Madre Terra.-Ci saranno ostacoli che dovrai
superare, a ogni angolo. Tu penserai che è stato difficile crescere, ma diventerà
ancora più difficile, molto di più. Dure lezioni ti aspettano. Ci saranno prove che
potranno distruggerti se non starai attenta. L'esperienza è l'inevitabile maestra di tutti
i bambini che si avviano a diventare adulti, piena di rivelazioni e scoperte, di
delusioni e ricompense, e di successi e fallimenti. Il trucco sta nel trovare un
equilibrio a tutto questo e riuscire a sopravvivere per volgere le conoscenze in
saggezza. Questo sarà doppiamente arduo per te, Mistaya, perché le tue saranno le
prove e le lezioni di tre mondi diversi, e dovrai stare particolarmente attenta a dove
mettere i piedi.
-Io non ho paura-disse coraggiosamente Mistaya.
-Di questo sono a conoscenza.
Mistaya aggrottò la fronte, pensierosa.-Madre Terra, puoi vedere che cosa mi aspetta?
Puoi leggere nel futuro?
Gli occhi argentei della Madre Terra si chiusero e si aprirono lentamente come quelli
di un gatto.-Oh, bambina, vorrei poterlo fare. Come sarebbe facile la vita. Ma non
posso. Quello che vedo sono delle possibilità. Il futuro potrebbe essere questa o
quella. Di solito può essere un mucchio di cose. Vedo sprazzi di fosche nubi e di
arcobaleni nelle vite di coloro che abitano la mia terra, e talvolta posso anticipare o
alterare ciò che potrebbe essere. Il futuro non è mai fisso, Mistaya. Per ciascuno di
noi è una tela bianca sulla quale dobbiamo dipingere la nostra vita.
-La Madre e il Padre credono che siamo in pericolo-disse la ragazza.-E' vero?
-Sì, è così-rispose la Madre Terra.-Una di queste nubi fosche di cui parlavo viene
verso di voi. Metterà alla prova la vostra determinazione e sfiderà le vostre capacità
di comprensione. Sembra una nube terribilmente scura, e dovrete stare molto attenti.
E' per questa ragione che ti ho attirato qui da me, stanotte.
-Per avvertirmi?
-Per qualcosa di più, Mistaya. Tu sei stata già avvertita, e il mio avvertimento non
serve a niente.-La Madre Terra luccicò mentre alzava un braccio per indicare.-Il
cucciolo di fango che ti ha condotta da me si chiama Haltwhistle. Mi ha servito bene
e a lungo. Tua madre lo conosce da quando era bambina. Haltwhistle è una creatura
fatata, venuto un tempo dalle nebbie per essere il mio compagno. I cuccioli di fango
sono in grado di vivere sia dentro che fuori delle nebbie, e servono qualcuno di loro
scelta. Sono indipendenti nella loro scelta, ma da quel momento in poi restano sempre
fedeli. Essi dispongono di un genere di magia fatata molto potente. E' una magia
buona, una magia di guarigione. E' un antidoto per quelle magie che vengono usate
per danneggiare o per distruggere. Non può proteggere completamente da esse, ma
può alterare i loro effetti in modo tale da limitarli. La magia di Haltwhistle fa questo
per quelli che serve e talvolta per i loro amici.
Mistaya diede un'occhiata a Haltwhistle, che la stava guardando con occhi grandi e
appassionati.-Sembra molto simpatico-disse.
-E' tuo adesso - disse dolcemente la Madre Terra.-Io te lo concedo per il tempo che ti
ci vorrà per diventare donna. Mentre tu crescerai, Haltwhistle sarà il tuo compagno e
protettore. Ti preserverà da una parte di quel male che potrebbero arrecarti quelle
nubi scure di passaggio nella tua vita.
Il suo braccio ricadde in un luccichio di chiar di luna.-Ma tieni presente questo,
Mistaya. Haltwhistle non può proteggerti da tutto. Nessuno può farlo. Se contro di te
verrà usata la magia oscura, lui potrà diventare il tuo scudo. Ma se la magia oscura
sarà la tua, lui non potrà fare niente per aiutarti. Ciò che sceglierai di fare con la tua
vita, dovrà essere una responsabilità soltanto tua. Le conseguenze delle tue azioni e
delle tue decisioni dovranno ricadere su di te. Farai degli errori e ti comporterai da
sciocca, e Haltwhistle non potrà fare niente per fermarti. Queste sono lezioni che
dovrai affrontare, per crescere.
Mistaya corrugò la fronte e serrò le labbra.-Io non farò errori e non mi comporterò da
sciocca se dipenderà da me-disse con ostinazione.-Starò ben attenta alle scelte che
farò, Madre Terra.
Gli strani occhi dell'altra sembrarono intristirsi di colpo.-Tu farai del tuo meglio,
bambina. Non aspettarti di più.
Mistaya si fermò a pensare.-Posseggo della magia che mi possa aiutare?-chiese
impulsivamente.-Magia che sia proprio mia?
-Si, Mistaya, ce l'hai. E forse ti aiuterà. Ma ti potrebbe anche danneggiare. Se dovessi
scegliere di usarla, ti esporrai a dei rischi.
-Ma io non so neanche cosa sia. Come posso usarla? Come può farmi del male?
-Col tempo-disse la Madre Terra-imparerai.
Mistaya sospirò d'impazienza.-Adesso mi sembri mio Padre.
-E' tempo per te di tornare-l'avvisò la Madre Terra, ignorando le sue lamentele.-Prima
però, ci sono alcune cose che devi sapere di Haltwhistle. Lui sarà sempre con te, ma
tu non lo vedrai sempre. Veglierà su di te nella maniera che riterrà più opportuna,
quindi non disperare se di tanto in tanto non riuscirai a trovarlo. Inoltre, non dovrai
mai cercare di toccarlo. I cuccioli di fango non sono fatti per essere toccati. Sta'
attenta. Infine, ricorda questo. Haltwhistle non ti chiederà mai acqua né cibo. Penserà
da sé a procurarsi il necessario. Ma tu devi pronunciare il suo nome almeno una volta
al giorno. Lo potrai dire in qualsiasi modo, l'importante è che tu lo dica. Se
trascurerai di farlo, rischierai di perderlo. Se lui non si sentirà necessario, ti lascerà e
tornerà da me. Hai compreso tutto?
Mistaya annuì convinta.-Si, Madre Terra. Haltwhistle sarà trattato benissimo.-Si
interruppe.-Madre Terra, io sono in viaggio per andare a trovare mio nonno nella
regione dei laghi. Cosa devo fare se lui si rifiuterà di accogliere Haltwhistle in casa
sua? E' un uomo molto rigido e severo su certe cose.
-Non preoccuparti, bambina-la rassicurò la Madre Terra- I cuccioli di fango sono
creature fatate. Vengono e vanno dove e quando vogliono. Non possono essere tenuti
fuori da un posto che vogliono visitare, se non con potenti magie. Haltwhistle sarà
con te dovunque andrai.
Mistaya guardò il cucciolo di fango e sorrise.-Grazie, Madre Terra. Grazie per
Haltwhistle. Gli voglio già bene.
-Arrivederci, Mistaya.-La Madre Terra cominciò ad affondare nuovamente
nell'umidità.-Ricorda quanto ti ho detto, bambina.
- Senz'altro-rispose Mistaya.-Arrivederci. Poi gridò- Aspetta! Quando ti vedrò di
nuovo?
Ma lo spirito elementare era già scomparso, inghiottito dal fango. L'acquitrino
scintillava debolmente con piccole increspature nel punto in cui si era immersa, alla
luce della luna. La radura era vuota e silenziosa.
Mistaya improvvisamente ebbe di nuovo sonno. Era stata un'avventura meravigliosa,
e se ne aspettava ancora tante. Sbadigliò e si stiracchiò, poi sorrise ad Haltwhistle.Anche tu sei stanco?- chiese dolcemente. Haltwhistle la guardò.-Torniamo a dormire.
D'accordo, ragazzo?
Haltwhistle agitò la coda a mo' di risposta. Non sembrava del tutto sicuro di esserlo.
Ma Mistaya stava già avviandosi, così il cucciolo di fango la seguì servizievole.
Insieme, tornarono indietro attraverso i boschi verso il campo e verso il destino che li
attendeva.
4
Il sortilegio
Il corvo dagli occhi rossi, che nella forma umana era la Strega del Crepuscolo, stava
appollaiato in alto, tra i rami di un noce, e guardava Mistaya che tornava al campo
sbucando dai boschi immersi nell'oscurità della notte. La ragazza si materializzò
all'improvviso, un'ombra furtiva e silenziosa. Resi ciechi alla sua presenza dalla
magia della Madre Terra, gli uomini di guardia non la videro, e i loro sguardi, pur
rivolti nella sua direzione, la passavano da parte a parte, come se non ci fosse niente.
La ragazza andò rapidamente alla sua coperta, vi si avvolse, si mise giù e chiuse gli
occhi. In pochi secondi si addormentò.
Il corvo puntò un occhio acuto sulla radura e sui boschi circostanti. Non c'era traccia
del cucciolo di fango. Molto bene.
La presenza del cucciolo di fango aveva scombinato i piani della Strega del
Crepuscolo. Non aveva previsto la sua apparizione, e ancora non conosceva la sua
particolare funzione. Era al corrente del fatto che serviva la Madre Terra,
naturalmente, ma quello non spiegava il motivo per cui avesse avvicinato la ragazza.
Un avvertimento da parte della Madre Terra? Forse. Anzi, era probabile che fosse
proprio così. Ma perché la Madre Terra aveva avvertito la ragazza proprio quella
notte? Conosceva le intenzioni della strega? Aveva in qualche modo messo in guardia
la ragazza? Niente di tutto ciò sembrava probabile. Proprio come la Strega del
Crepuscolo non poteva penetrare la magia della Madre Terra per scoprire come mai
avesse mandato il cucciolo di fango, così la Madre Terra non poteva penetrare la
magia della strega per svelare qual era il destino che aspettava la ragazza. Ognuna di
loro poteva percepìre un senso delle intenzioni di quell'altra, ma non più di quello.
Era una specie di stallo. Così ogni tentativo di seguire il cucciolo di fango e la
ragazza allo scopo di scoprire le intenzioni della Madre Terra sarebbe stato
rapidamente rintuzzato. Peggio, esso avrebbe rivelato la presenza della Strega del
Crepuscolo nella regione dei laghi, e questo avrebbe probabilmente compromesso
tutto irrimediabilmente.
A ogni modo, la ragazza era ritornata sola, quindi la Madre Terra doveva aver finito
con lei. Il fatto stesso che fosse tornata dimostrava che quasi certamente essa non
sapeva nulla dei piani della strega, quindi probabilmente non c'era motivo di
preoccuparsi. Non che la Strega del Pozzo Infido sarebbe stata molto in ansia, in ogni
caso. Se anche la Madre Terra o il suo messaggero a quattro zampe avessero deciso
di interferire, la Strega del Crepuscolo avrebbe trovato il modo di far loro
rimpiangere una tale decisione per molto tempo a venire. La magia della strega era
molto più forte di quella della Madre Terra, e come niente avrebbe potuto mandare
quella forma elementare a nascondersi frettolosamente in qualche tana.
Il corvo dagli occhi rossi batté le palpebre soddisfatto. Tutto andava come doveva. La
Madre Terra aveva probabilmente mandato a chiamare la ragazza per fare la sua
conoscenza, essendo un'amica di vecchia data di sua madre, e anche la sua protettrice.
Adesso la ragazza era di nuovo lì dove la strega la voleva, addormentata tra i suoi
protettori decisamente inutili, beatamente ignara di come la sua vita fosse in procinto
di cambiare.
La Strega del Crepuscolo sapeva già che Holiday avrebbe deciso di mandare via sua
figlia dopo aver sentito Rydall minacciare apertamente la sua famiglia. Sapeva già in
anticipo, esattamente, cos'avrebbe fatto il Re di Landover. Il presagio della silfide,
quello che la Strega del Crepuscolo le aveva mandato in sogno, tenebroso e terribile
quanto solo la strega avrebbe potuto concepirlo, aveva piantato il seme di quell'idea.
L'apparizione di Rydall aveva portato il seme a maturazione. Qualunque altra cosa
fosse accaduta, Holiday e la silfide non avrebbero corso rischi con la loro beneamata
figliola. La Strega del Crepuscolo non sapeva dove la ragazza sarebbe stata mandata,
benché avesse subito indovinato che doveva trattarsi della regione dei laghi e degli
esseri fatati: ma questo, in realtà,
non aveva importanza. Dovunque Mistaya fosse andata, la Strega del Crepuscolo
sarebbe rimasta in attesa.
E adesso l'ora era venuta.
Guidati dall'istinto, oltreché dalla vista, gli occhi rossi fecero un'ultima ricognizione
della radura e dei boschi che la circondavano, una definitiva perlustrazione delle
ombre e delle tenebre dove qualcosa avrebbe potuto nascondersi. Niente si rivelò. Gli
occhi rossi scintillarono. La Strega del Crepuscolo sorrise dentro di sé. Gli uomini
immersi nel sonno e la ragazza appartenevano a lei, adesso.
Il corvo spiegò le ali, lasciando il ramo che gli era servito da posto di vedetta, si librò
per qualche momento verso l'alto, descrivendo cerchi sulla radura, e poi planò di
nuovo verso il basso in una lenta spirale. Si era ormai nelle ultime ore della notte
morente, quelle che conducono al nuovo giorno, quelle in cui il sonno è più profondo
e i sogni hanno dominio incontrastato. Oscurità e silenzio avviluppavano gli uomini e
la ragazza e i loro animali, e nessuno avvertì la presenza del corvo calante. Passò
sulle loro teste non visto e non udito. Li sorvolò una seconda volta per accertarsene,
ma neanche le sentinelle, di nuovo vigili adesso che la ragazza era tornata e
l'incantesimo visivo della Madre Terra non c'era più, videro nulla.
Il corvo virò lentamente a sinistra sorvolando Mistaya, poi tornò indietro, stendendo
la sua ombra sul piccolo fagotto immobile, come il tocco consolante di una mano
materna. A ogni passaggio, una strana polvere verde che luccicava e vorticava alla
luce lunare, veniva sparsa dalle scure ali del corvo come il polline da un fiore, e
fluttuava verso il basso per andare a posarsi sulla piccola dormiente. Quattro passaggi
fece il corvo, e a ognuno di essi la polvere verdastra cadde come un velo muschioso.
Mistaya la inspirò nel sonno, sorrise alla sua fragranza, e si rimboccò la coperta per
rassicurarsi. Gradatamente il suo sonno divenne più profondo, e lei si allontanò
sempre più dalla coscienza, fluttuando. I sogni la rapirono, nel complotto delle sue
più vivide immaginazioni, e la ragazza fu trasportata velocemente via nella loro luce.
Il corvo si levò ancora una volta verso il cielo e fece un cerchio per tornare al riparo
degli alberi. Adesso la ragazza avrebbe dormito finché la Strega del Crepuscolo non
fosse stata pronta per il suo risveglio. Avrebbe dormito e non avrebbe avuto alcuna
parte in ciò che stava per succedere.
Scendendo a saltelli da un ramo all'altro, lentamente, il corvo si avvicinò al suolo
sempre al riparo delle fronde fino ad arrivare a circa un metro dal terreno. Poi riprese
la sua forma di Strega del Crepuscolo, materializzandosi da piume e ali in un vortice
di atri paludamenti, per ritrovarsi eretta sulla terra, fra le ombre della notte. Alta e
regale, la sua bellezza abbagliante e gelida come neve appena caduta, i capelli neri
con quell'unica stria bianca tirati indietro sul volto aquilino, il sorriso duro come
pietra, la strega raccolse attorno a sé tutta la sua magia e uscì dal bosco nella radura
illuminata dalla luna.
Nel sogno, Mistaya era un uccello dal piumaggio candido come la neve che sorvolava
una terra dai brillanti colori. C'erano foreste di verde smeraldo, campi gialli come
l'oro e color menta primaverile, montagne di liquirizia e cioccolato, colline di
scarlatto e di viola, laghi di azzurro, e fiumi di argento e oro. Dappertutto un tappeto
di fiori selvatici, sparsi per la campagna come polveri fatate.
Un uccello dalle piume nere volava al suo fianco, indicandole la strada, mostrandole
il miracolo laggiù in basso. L'altro uccello non parlava: non aveva bisogno di parole.
I suoi pensieri e le sue sensazioni nutrivano il corpicino piumoso di Mistaya. La
ragazza veniva portata come da un vento, e tutt'e due veleggiavano abbandonandosi
alle sue correnti, cavalcavano i suoi improvvisi sbuffi ascensionali, si distendevano
per librarsi seguendo le sue inclinazioni. Era meraviglioso, e le dava l'intossicante
sensazione di avere tutto il mondo sulla punta delle ali.
Il volo proseguì, e passarono su persone che guardavano in su. La gente allungava il
collo e indicava col dito. Alcuni la chiamarono a gran voce e le fecero dei segnali.
Erano persone che aveva conosciuto in un'altra vita, in un'altra forma, e che si era
lasciata alle spalle. Forse un tempo l'avevano amata e protetta; forse l'avevano perfino
aiutata a nutrirsi quando era solo un esserino implume. Ora stavano cercando di
attirarla di nuovo da loro, di tirarla giù per poterla mettere in gabbia. Le invidiavano
la libertà che lei aveva trovato. Non sopportavano di non poter più controllare il suo
destino. C'erano rabbia e delusione e invidia nelle loro voci urlanti, e lei si rinsaldò
nella sua volontà di volare ben al disopra di loro. Continuò il suo volo senza
rallentare, senza guardarsi indietro. Continuò il suo volo incontro al futuro.
Accanto a lei, l'uccello dalle penne nere si voltò a guardarla, e lei poté vedere i suoi
occhi rossi brillare di approvazione.
Dopo essere uscita completamente allo scoperto, dal riparo degli alberi, la Strega del
Crepuscolo volse la sua attenzione prima di tutto alle due sentinelle che montavano la
guardia alle due estremità della piccola radura. Fece in modo che quelli la vedessero,
tutta intabarrata e incappucciata, un'imponente figura nera, minacciosa come la
morte. Quando le puntarono contro le armi, istintivamente consci del pericolo che
rappresentava, lei alzò le braccia e li trafisse con la sua magia, due lampi gemelli di
malefico fuoco verde. Le sentinelle ne furono avvolte prima di poter gridare, e
quando il fuoco morì erano state trasformate in due rocce, delle dimensioni di una
pagnotta di pane, che fumavano e crepitavano come tizzoni ardenti.
La Strega del Pozzo Infido fece qualche altro passo avanti. Puntò il dito alla corda
che tratteneva gli animali della carovana, ed essa prese fuoco e s'incenerì. I cavalli,
fra i quali anche Pié Leggero e Gufo, schizzarono via come fulmini. La Strega del
Crepuscolo fece un gesto quasi casuale verso il fuoco di bivacco del campo, ridotto
ormai a un mucchietto di ceneri morenti, ed esso avvampò di nuova vita, sollevandosi
al cielo come se fosse diventato un feroce fantasma vomitato dalla terra. Un momento
dopo anche il carro di Mistaya era in preda alle fiamme.
A quel punto gli altri membri della Guardia del Re si svegliarono, stringendo gli
occhi alla luce improvvisa, saltarono fuori dalle coperte e cercarono istintivamente di
raggiungere le armi. Furono pietosamente lenti, e la Strega del Crepuscolo trasformò
cinque di loro prima che potessero rendersi conto di quanto stava accadendo,
avvolgendoli nella sua magia e trasformandoli in pietre. Gli altri furono più svelti,
alcuni abbastanza rapidi da saltar su e slanciarsi verso di lei. Ma lei li puntò con le
mani uno dopo l'altro, scuro angelo di distruzione, e tutti furono abbattuti. In pochi
secondi anche l'ultimo era scomparso.
Adesso la radura era totalmente sgombra, a eccezione della strega, della ragazza
dormiente e degli sbigottiti e confusi Questor Thews e Abernathy, che si erano messi
davanti a Mistaya per farle da scudo. Tutto era accaduto così in fretta, che essi
avevano avuto appena il tempo di svegliarsi e di correre al suo fianco. Questor Thews
stava tracciando una qualche specie di incantesimo protettivo, disegnando figure
d'ombra al chiarore del fuoco ravvivato, con le sue mani vecchie e rinsecchite come
ramoscelli. La Strega del Crepuscolo neutralizzò l'incantesimo prima che potesse
formarsi e si fece avanti per mostrarsi in piena luce. Tirò indietro il cappuccio e si
rivelò.
-Non si affanni, Questor Thews-gli consigliò mentre quello si apprestava a tentare di
nuovo.-Questa volta nessuna magia potrà salvarvi.
Il vecchio la guardò, tremante di rabbia e di indignazione.-Strega del Crepuscolo, che
cos'ha fatto?-esclamò in un roco sussurro.
-Fatto?-ripeté lei, indignata.-Niente che non avessi la ferma intenzione di fare, mago.
Niente che non avessi programmato per due lunghi anni. Adesso cominciate a
rendervi conto di quanto la situazione sia disperata, per voi?
Abernathy si stava spostando lentamente, alla ricerca di un'arma da usare contro di
lei. Lei fece un gesto brusco e lui s'irrigidì sul posto.
-E' meglio, scrivano, che lei rimanga dove si trova.-Gli sorrise, soddisfatta del senso
di potere che la stava invadendo.
Questor Thews si raddrizzò, nel tentativo di riacquistare la sua dignità.-Si è spinta
troppo in là, Strega del Crepuscolo-dichiarò con coraggio.-L'Alto Signore non potrà
tollerare tutto questo.
-L'Alto Signore sarà fin troppo occupato a rimanere vivo, penso-replicò lei, mentre il
sorriso si allargava.-Eh sì, penso proprio che avrà il suo bel da fare. Peccato che voi
non sarete lì per aiutarlo. Nessuno di voi.
Questor Thews vide la verità, in quel momento.-E' venuta per la ragazza, vero? Per
Mistaya?
-Lei appartiene a me-disse la strega.-E' sempre appartenuta a me! E' nata dalla mia
terra, nel mio regno, dalla mia magia! Avrebbero dovuto darmela allora, ma le fate
s'intromisero. Ma non questa volta, mago. Questa volta l'avrò. E quando avrò finito,
lei non vorrà più lasciarmi.
Il fuoco ruggì e scoppiettò nel silenzio assoluto della notte, un'entusiastica
dimostrazione di complicità nello schema della strega. Questor Thews e Abernathy
erano come spaventapasseri intrappolati nella sua luce, incapaci di fuggire. Ma essi
rifiutarono di crollare.
-Holiday verrà a cercarla-insisté ostinato il vecchio-anche se noi non ci saremo più.
La Strega del Crepuscolo rise.-Lei non mi ascolta come si deve, Questor Thews.
Holiday se la dovrà vedere prima con Rydall, e Rydall non avrà pace finché non lo
avrà distrutto. Io ho organizzato tutto, e farò in modo che vada come dico io. Il Re di
Marnhull è una mia creatura, e porterà a compimento la distruzione di Holiday com'è
vero che il sole sorgerà domani. Holiday combatterà contro il suo destino, e lo
spettacolo mi allieterà non poco, ma alla fine dovrà soccombere. Privato di sua figlia,
dei suoi amici, e alla fine anche di sua moglie, morirà tutto solo e derelitto. Niente,
meno di questo, potrà soddisfarmi. Niente, meno di questo, servirà a ripagarmi per
quello che mi ha costretto a sopportare.
-Rydall è una sua creazione?-sussurrò il mago, sconvolto.
-E' tutta una mia creazione: tutto ciò che è successo e tutto ciò che sarà. Vedere il Refantoccio ridotto a niente è diventato lo scopo della mia vita, e non rimarrò delusa.
Abernathy azzardò un passo avanti.-Strega del Crepuscolo, lei non può farlo. Lasci
andare Mistaya. E' solo una bambina.
-Solo una bambina?-Il sorriso si dileguò dal volto della strega. -No, scrivano, non è
precisamente così. E' qui che vi sbagliate, tutti. Io dovrei saperlo. In lei rivedo me
stessa. Vedo quello che ero. Vedo quello che lei può diventare. Io le darò la
conoscenza che voi vorreste tenerle nascosta. Io la plasmerò come dovrebbe essere
plasmata. Che questo sia il vostro ultimo pensiero. Quando avrò finito con lei, lei
diverrà per me lo strumento della distruzione del Re-fantoccio!
Quando ebbe finito di parlare, vide la disperazione nei loro occhi e aspettò la loro
reazione. Questor Thews stava già cercando furtivamente di recuperare quel che
restava della sua bistrattata magia per operare un incantesimo di protezione,
muovendo le dita contorte all'ombra del suo corpo scheletrico. Lei sorrise all'inutilità
dei suoi sforzi.
Nessuno di loro vide Haltwhistle sbucare dalle ombre della foresta per piazzarsi
proprio nella radura nell'estremità più lontana, procedendo cautamente con i suoi
piedi palmati, con gli occhi atteggiati a un'espressione di vigile tristezza.
-Cosa ha intenzione di farci?-chiese Abernathy, azzardando una rapida occhiata di
sottecchi a Mistaya. Si stava chiedendo come mai non si svegliasse.
-Sì, Strega del Crepuscolo, che cosa?-la incalzò Questor Thews. Tentava di
guadagnare tempo, in modo da poter completare le formule del suo incantesimo,
senza rendersi conto che era già troppo tardi.-Trasformerà anche noi in delle rocce?
La Strega del Crepuscolo sorrise.-No, mago, non mi comporterei in modo così
prosaico nei suoi confronti. E neanche nei suoi, scrivano. Voi siete stati una fonte
costante di irritazione per me, ma questa è l'ultima volta che interferite. Le vostre vite
finiscono qui. Nessuno vi vedrà mai più.
Ci fu un momento in cui il tempo si congelò, mentre le parole della strega venivano
portate via dallo scoppiettio del fuoco. Poi le mani di Questor Thews si levarono, e la
magia sfolgorò in un ampio cerchio davanti a lui. Abernathy si voltò velocemente
verso Mistaya e si chinò su di lei nel tentativo di portarla via. La Strega del
Crepuscolo rise. A braccia tese, fece esplodere il fuoco verde dalla punta delle dita, e
la sua magia balzò in avanti in un impeto d'energia e di malefiche intenzioni per
inghiottire le sue vittime.
Mentre accadeva tutto questo, la testa di Haltwhistle s'inclinò, il suo corpo si
afflosciò, il pelo sulla collottola si rizzò, e qualcosa di simile a un misto di ghiaccio e
chiar di luna si levò dalla sua forma accovacciata e sfrecciò attraverso la radura. Un
istante prima che la magia della Strega del Crepuscolo colpisse Questor Thews e
Abernathy, frantumando in mille pezzi il patetico scudo del mago, la luna/ghiaccio li
raggiunse.
Poi il fuoco della strega li consumò, e scomparvero istantaneamente. Non rimase
null'altro che fumo, e il puzzo di materia carbonizzata e disintegrata.
La Strega del Crepuscolo fece un giro su se stessa. Cos'era quello che aveva visto?
Quello strano chiarore spuntato dal nulla? I suoi occhi perlustrarono rapidamente la
radura, per poi puntarsi sui boschi aldilà. Nulla. Aguzzò lo sguardo. C'era stato
qualcosa, o no? Portò in alto le mani e mandò luce stregata nel fitto degli alberi,
cercando di scoprire una qualsiasi presenza vivente nascosta là in mezzo. Piccoli
roditori, insetti e una manciata di uccelletti di terra si dispersero di fronte al suo
potere. Ma non c'era nient'altro.
Alla fine si girò indietro, vagamente insoddisfatta. La radura era completamente
sgombra, a parte lei e la ragazza. Le Guardie del Re erano state mutate in pietre. Il
mago e il cane erano scomparsi, e non si sarebbero visti mai più. Tutto era andato
secondo le sue intenzioni. Era libera di portare avanti i suoi piani.
Eppure..
Con un moto d'irritazione mise da parte le sue apprensioni, si avvicinò alla ragazza
addormentata, e la osservò. Ci sarà tanto da fare con te, piccola, pensò soddisfatta.
Tante lezioni da insegnarti, tanti segreti da rivelarti, tanti trucchi da mostrarti. Puoi
sentire quello che sto pensando?
La ragazza si mosse sotto le coperte, sognando.
Sì, dormi, la esortò in silenzio la Strega del Pozzo Infido. Domani comincia la tua
nuova vita.
Quindi si chinò e sollevò la ragazza facendole culla con le braccia. Leggera, era,
come una trapunta di piume. La Strega del Crepuscolo guardò la sua nuova figlia e
sorrise.
Poi trasformò l'aria intorno a loro in una nebbia ghiacciata. Un momento dopo la
radura era deserta.
5
La sfida
Esattamente tre giorni dopo la sua prima comparsa Rydall di Marnhull tornò a
Sterling Silver. Questa volta Ben Holiday lo aspettava.
Non aveva mai dubitato che Rydall sarebbe tornato per mantenere la sua promessa.
L'unico interrogativo insoluto era: quale forma di coercizione avrebbe esercitato il Re
di Marnhull per persuadere Ben a soddisfare le sue ridicole richieste? Già sveglio
prima dell'alba, Ben aveva pensato di fare una corsa per schiarirsi le idee. Si allenava
ancora regolarmente, come soleva fare ai tempi in cui praticava il pugilato: un regime
di footing, pesi e allenamento al sacco leggero e a quello pesante. Ancora
appassionato di boxe, talvolta faceva a pugni con qualche soldato della Guardia, ma
nessuno di loro aveva sufficiente esperienza in quello sport per opporgli una
resistenza accettabile. O forse semplicemente glielo lasciavano credere. Quindi si
allenava da solo, perlopiù. Quella mattina si preparò alla corsa, poi perse interesse
alla cosa. Decise invece di salire sui bastioni con Willow e Bunion ad aspettare l'alba
e Rydall.
La notte era stata gelida, e quando l'oscurità cominciò a dileguarsi a occidente e
l'oriente a illuminarsi, Ben trovò che durante la notte una nebbia bassa era uscita dagli
alberi per fermarsi sul prato che fronteggiava il castello. Indugiava sull'erba umida,
fumigando grigia e fitta in una linea ininterrotta che partiva dai boschi fino alle acque
del lago. Quando il sole squarciò l'orizzonte orientale in una macchia d'argento, la
nebbia prese a recedere dalla riva dove il terrapieno congiungeva il castello alla
terraferma, e apparve Rydall. Stava in
sella al suo destriero, tutto corazzato e irto di armi, con il suo silenzioso compagno
intabarrato di nero piegato sulla sella del suo cavallo scuro, e tutti e due avevano lo
stesso aspetto della prima volta, come se non si fossero mai mossi di li.
Ben li guardava dalle mura del castello senza parlare, aspettando un loro movimento.
Il guanto gettato da Rydall tre giorni prima era ancora per terra in mezzo al ponte.
Ben aveva dato ordine di toglierlo, ma nessuno era stato in grado di farlo. Sembrava
che il guanto fosse stato inchiodato al ponte. Nessuno era riuscito a sollevarlo; anzi,
nessuno era riuscito a spostarlo di un millimetro, neanche Questor Thews. Qualche
forma di magia lo teneva incollato al suolo, e l'unico sistema per toglierlo di li
sarebbe stato di sradicare il ponte. Ben non era disperato a tal punto, e così il guanto
era rimasto dov'era.
Era li, adesso, che luccicava lievemente per l'umidità, un promemoria di quanto il Re
di Marnhull aveva promesso.
-Holiday!-gridò seccamente Rydall. Nessun appellativo tipo "Re" o "Alto Signore",
questa volta. Nessun falso rispetto.-Ci ha ripensato, alla mia richiesta?
-La mia risposta è la stessa!-gridò in risposta Ben. Sentì Willow avvicinarglisi al
fianco.-Lo sapevi già!
Il cavallo di Rydall scalpitò impaziente. La sua mano si levò in un gesto di diniego.Allora devo chiederle di cambiarla. O meglio, devo insistere. Non ha più scelta. Le
cose sono cambiate dall'ultima volta che ci siamo visti. Io ho sua figlia.
Ci fu un lungo silenzio. Le mani di Willow strinsero forte il braccio di Ben, e lui la
sentì tirare bruscamente il fiato. La gola di Ben si serrò in risposta a quelle parole. Io
ho sua figlia. Ma Mistaya era al sicuro. Da due giorni era nella regione dei laghi da
suo nonno, ben fuori dalla portata di Rydall.
Non era così?
-Le dissi che avrei trovato il modo per persuaderla a darmi ascolto-proseguì Rydall,
spezzando il momentaneo silenzio.-Adesso credo che lei debba farlo. Sua figlia è
importante per lei, suppongo.
Ben tremava di rabbia.-Questo è un altro dei tuoi giochetti, Rydall! Ti avverto che la
mia capacità di sopportazione nei tuoi confronti è praticamente esaurita!
Il gesto di diniego venne ripetuto.-Questo è ancora da vedere. Comunque, non mi
aspetto che lei mi creda sulla parola. Non sarebbe da lei, Holiday. Lei appartiene a
quei genere di uomini che pretendono delle prove anche quando la verità li sta
guardando dritto negli occhi. Va bene, allora.
Fischiò, e un paio di cavalli apparvero dalla cortina di nebbia bassa. Ben sentì un
tuffo al cuore quando si avvicinarono. Uno era Pié Leggero e l'altro Gufo. Non era
possibile sbagliarsi sul loro marchio. Sorpassarono Rydall e si avviarono su per il
ponte.
-Manda giù qualcuno e fatti portare ciò che troveranno legato alla sella del ponygridò Rydall ancora una volta.
Ben lanciò un'occhiata a Bunion. Il coboldo corse via all'istante, una macchia scura
contro la pietra del castello. Incapace di parlare, avvampante di collera, Ben rimase li
in piedi, con Willow stretta al suo fianco. Un momento dopo Bunion era di ritorno.
Non c'era alcuna espressione sulla sua faccia strana, incartapecorita. Porse a Ben una
collana e una sciarpa. Ben le studiò attentamente e, con la morte nel cuore, le passò a
Willow. Appartenevano a Mistaya. Le indossava al momento della partenza per la
regione dei laghi.
-Oh, Ben-sussurrò Willow, quasi senza fiato.
-Dove sono Questor Thews e Abernathy?-gridò Ben a Rydall.-Dove sono gli uomini
della scorta?
-Impacchettati, al sicuro-rispose Rydall.-Adesso è pronto ad ascoltare le mie
richieste, Alto Signore di Landover?
Ben soffocò le emozioni che minacciavano di privarlo del suo buon senso. Circondò
Willow con un braccio, per sostenere se stesso non meno che per sostenere lei.
Ancora non voleva accettare quel che gli veniva detto. Non era concepibile che
Rydall avesse catturato Mistaya con tanta facilità. Come aveva fatto? Come aveva
potuto sopraffare la sua scorta? Questor Thews e Abernathy sarebbero morti prima di
lasciare che la prendessero.
-Rydall!-gridò improvvisamente, sorpreso lui stesso dalla forza che trovava nella
propria voce.-Io non cederò il trono di Landover e non tradirò il suo popolo per
nessuna ragione. Non accetterò ricatti. Sembra che tu ti diverta, a dare la caccia ai
bambini, e questo mi fa dubitare delle tue pretese di conquista alla testa di eserciti
con migliaia di guerrieri. Io credo che tu sia un codardo.
Rydall rise.-Parole coraggiose per un uomo nella sua posizione. E infatti non mi
aspetto adesso che lei rinunci al trono, più di quanto me lo aspettassi prima. Non ho
preso sua figlia per costringerla col ricatto ad accettare le mie richieste, ma per
persuaderla ad ascoltarmi. Prima non l'avrebbe fatto. Adesso non può rifiutarsi.
Ascolti bene, allora. Non credo che lei possa permettersi di non farlo.
Rydall indicò il guanto.-La sfida che io lancio non è quella che aveva previsto. Come
ho detto, non mi aspetto che lei mi ceda il suo trono. Ho fatto la richiesta perché
dovevo farla, naturalmente. Un Re deve sempre tentare per prima cosa quella più
facile. E' nella natura della conquista. Qualche volta un avversario può accettare. Io
non ho mai pensato che lei potesse essere uno di questi, ma era necessario verificarlo.
Adesso quella è una fase superata, e non è più tempo di giocare, né di negoziare:
adesso siamo faccia a faccia con la realtà. Io ho sua figlia e i suoi amici. Lei ha il mio
regno. Uno di noi deve rinunciare a qualcosa. Chi dovrà essere?
Rydall spinse il suo cavallo in avanti, fino all'inizio del ponte.- Io penso che dovrà
essere lei, Re di Landover, ma sono disposto a sistemare la questione in maniera
onorevole. Una sfida, dunque, come ho detto prima. La sfida è questa. Io manderò
sette campioni a fronteggiarla. Ognuno verrà nel momento che io deciderò. Ognuno
avrà un aspetto diverso dagli altri. Tutti verrànno per ucciderla. Se lei riuscirà a
impedirglielo, se sarà capace di ucciderli per primo, tutti e sette, allora io libererò sua
figlia e i suoi amici, e rinuncerò a ogni pretesa sul trono di Landover. Ma se uno solo
di loro riesce nel suo intento, allora il suo regno sarà mio e la sua famiglia sarà
mandata in esilio per sempre. Accetta? Se sì, esca dal castello e venga sul ponte a
raccogliere il mio guanto.
Ben lo guardò incredulo.-E' pazzo-sussurrò a Willow, che annuì senza fiatare.
-Lei ha un campione a sua difesa-proseguì Rydall.-Tutti conoscono il Paladino, il
cavaliere errante del Re, nonché suo protettore. Avrà qualche forma di difesa contro
le creature che manderò.-Creature, adesso, pensò Ben. Non campioni.-So che nessuno
ha mai sconfitto il Paladino. Questo vuol dire che lei ha una ragionevole possibilità di
vincere, no? Accetta?
Ben ancora non rispondeva, la mente in subbuglio mentre considerava la proposta.
Era ridicolo, ma era l'unica possibilità di riavere indietro Mistaya. Gli dava tempo per
scoprire dov'era e fors'anche per liberarla. E con lei Questor Thews, Abernathy e i
suoi soldati. Ma l'accordo stesso era una follia! La propria vita misurata
contro quella dei sette assassini di Rydall? Se avesse accettato questa sfida, se fosse
sceso sul ponte per raccogliere il guanto, sarebbe stato vincolato come dal giuramento
più sacro. C'erano testimoni presenti, e le leggi di Landover non gli avrebbero
consentito di mancare alla sua parola una volta che l'avesse impegnata. Avrebbe
potuto uccidere Rydall e sciogliere il patto, ma le opzioni che gli si presentavano
erano estreme e assolutamente circoscritte.
-Se non accetta-gridò improvvisamente Rydall-farò legare sua figlia e i suoi amici ad
altrettanti cavalli, e li metterò alla testa dei miei eserciti quando invaderemo il regno.
Moriranno per primi, prima che uno solo dei miei uomini cada. Questo mi
dispiacerebbe ma si renderebbe necessario se dovessi chiedere ai miei uomini di dare
la loro vita a causa della sua ostinazione. Gliel'ho già detto una volta, preferirei
ottenere il suo regno senza spargimento di sangue. E lei potrebbe desiderare la stessa
cosa, seppur per differenti motivi. La mia sfida le offre questa possibilità. Accetta?
Ben adesso stava pensando che se accettava, doveva anche accettare il fatto che
avrebbe dovuto diventare il Paladino per rimanere vivo; non una o due volte, ma sette
volte. Era questa la sua maggior paura. Era costantemente in lotta con il senso di
straniamento che lo assaliva ogniqualvolta doveva consegnare se stesso al suo alter
ego. Ogni volta diventava sempre più difficile conservare la propria identità.
Trasformarsi nel Paladino implicava una immersione totale nell'essere di quell'altro.
Ogni volta, era un po' più difficile tornar fuori dal guscio corazzato, fuori dai ricordi,
fuori dalla vita che apparteneva al suo campione. Se accettava la sfida di Rydall,
doveva fronteggiare non solo la prospettiva di essere ucciso in combattimento, ma
anche quella di acquisire per sempre l'identità della sua metà oscura.
-Alto Signore, accetta?-chiese Rydall ancora una volta.
-No, non farlo!-esclamò improvvisamente Willow, afferrandolo per un braccio.-C'è di
mezzo qualcosa di più di quanto ti ha detto! Qualcosa si nasconde dietro le parole di
Rydall! Lo sento, Ben!-Si mise davanti a lui. C'erano lacrime nei suoi occhi. La sua
voce era così bassa, che a malapena riusciva a sentirla.-Anche se dobbiamo perdere
Mistaya, non accettare.
Cosa doveva esserle costato dire quella cosa, Ben non poteva minimamente
immaginare. La circondò con le sue braccia e la tenne stretta. Willow era
violentemente protettiva nei confronti di Ben. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per
saperlo al sicuro. Da questo lui prese la sua forza.
La scostò da sé e si chinò su di lei.-Devo tentare-le disse dolcemente.-Se non lo
faccio, come potrò vivere in futuro con me stesso?
La baciò, poi si voltò. Facendo cenno a Bunion di seguirlo, attraversò i bastioni fino
alla scala che conduceva giù.-Aspettami qui -disse a voce alta a Willow.
Scese giù per le scale pensando a cosa avrebbe dovuto fare una volta raccolto il
guanto. Le sue possibilità erano ben poche. Doveva trovare Mistaya, Questor,
Abernathy e le sue guardie, e liberarli. Quella era la prima cosa. Poi doveva
persuadere Rydall a ritirare la sua sfida e la sua minaccia su Landover. O, se non ci
fosse riuscito, ucciderlo. L'alternativa era affrontare i sette sfidanti di Rydall e sperare
di ucciderti prima che loro uccidessero lui. Ma era proprio costretto a ucciderli? Forse
poteva semplicemente sconfiggerli. Ma non gli era sembrato che le parole di Rydall
avessero indicato una possibilità di scelta. "Creature", le aveva chiamate Rydall la
seconda volta. Ben si sforzò di immaginare di che genere di creature potesse trattarsi.
Attraversò il cortile fino ai cancelli principali, con Bunion che lo seguiva a un passo.
Il coboldo teneva i denti serrati in una smorfia terrificante: era chiaro cosa stava
pensando.-Stai calmo, Bunion -lo avvertì Ben, pacato.-Prima è necessario che
Mistaya e gli altri tornino qui da noi.
Il coboldo grugnì qualcosa in risposta, e Ben sperò che fosse la risposta che lui
desiderava.
Attraversò il cancello e uscì sul ponte. Il giorno stava rischiarando, il cielo era terso e
azzurro, gli ultimi residui di nebbia si stavano dissipando, sul prato che fronteggiava
il lago del castello. Rydall e il suo muto compagno stavano in sella ai loro cavalli e
aspettavano. Ben imboccò il ponte, attento al minimo segno di tradimento, mentre la
sua rabbia cresceva a ogni passo. Forse Bunion non aveva tutti i torti. Cosa ci voleva
a evocare il Paladino e sbarazzarsi di Rydall una volta per tutte? Non molto, se avesse
deciso di farlo, pensò. Ma Mistaya che fine avrebbe fatto?
All'improvviso si chiese se questo non fosse tutto un elaborato trucco; se i cavalli, la
collana, la sciarpa non fossero altro che esche destinate ad attirarlo allo scoperto. Si
chiese se Rydall avesse realmente in ostaggio Mistaya e la sua scorta. Suppose che
poteva essere tutta una ben congegnata menzogna.
Ma in fondo al cuore sapeva che non lo era.
Giunse all'estremità più lontana del ponte e si fermò. I cavalieri lo fissavano dall'alto
delle loro cavalcature. Senza una parola Ben si chinò a raccogliere il guanto. Venne
via dal ponte senza alcuno sforzo, come se nient'altro che la forza del pensiero
l'avesse tenuto inchiodato lì per tre giorni. Ben si raddrizzò e guardò direttamente
Rydall. Il Re di Marnhull era molto più imponente di quanto gli fosse apparso dal
castello, un uomo di dimensioni sorprendenti e dall'indubbia possanza. Il suo
compagno dalla cappa nera, al contrario, sembrava più piccolo. I volti di ambedue
erano accuratamente nascosti dietro l'elmo e il cappuccio, rispettivamente.
Ben lanciò il guanto a Rydall. L'omone lo prese con facilità e lo sventolò
beffardamente a mo' di saluto.
-Non scambiare questo mio gesto per qualcosa che non è, Rydall-disse Ben senza
scomporsi.-E tieni presente questo. Se succederà qualcosa a Mistaya o a Questor
Thews o ad Abernathy o a una qualsiasi delle mie guardie, ti darò la caccia
dappertutto, dovessi scendere anche tra le fiamme di Abaddon!
Rydall si chinò in avanti.-Non dovrà mai cercarmi così lontano, Holiday. E non pensi,
neanche per un attimo, che la cosa mi spaventerebbe, se lei decidesse di farlo.-Tirò le
redini e fece girare il cavallo.-Tre giorni, Alto Signore di Landover. La prima delle
mie creature verrà a trovarla, allora. Se fossi in lei, comincerei a pensare al modo di
restare vivo.
Spronò violentemente la sua cavalcatura, e il destriero balzò in avanti. Anche questa
volta il suo compagno dalla cappa nera indugiò. Ben avvertì un paio di occhi che lo
studiavano di sotto alle ombre fonde del cappuccio, come se cercassero di scoprire
qualcosa. Paura, forse? Ben rimase a pie' fermo, restituendo lo sguardo con decisione.
Poi Bunion gli fu al fianco, sibilando furioso all'indirizzo del cavaliere, facendosi
avanti tutto zanne e artigli.
Allora anche il secondo cavaliere fece dietrofront e si lanciò al galoppo sulle orme di
Rydall, attraverso il prato. Ben rimase li con il suo coboldo protettore a guardarli,
finché non furono scomparsi fra gli alberi.
Quando furono di nuovo al sicuro tra le ombre della foresta, dove neanche la luce del
nuovo giorno era ancora penetrata, i cavalieri fermarono i cavalli e smontarono. La
Strega del Crepuscolo si tolse il mantello che l'aveva occultata e, sbarazzandosi della
forma gobba e contorta che aveva assunto per rendersi irriconoscibile, riportò il corpo
al suo aspetto normale. Quindi le sue mani si levarono a formare un semplice
incantesimo di invisibilità, una precauzione in più nel caso improbabile che qualcuno
capitasse da quelle parti. Quando l'incantesimo fu completo, usò la magia una
seconda volta per riportare i cavalli alla loro forma originaria: due piccole lucertole,
striate di verde e di nero, che schizzarono rapide su per il suo braccio per andare a
nascondersi fra le pieghe dei suoi drappeggi.
Rydall stava a guardare, con la visiera ancora abbassata.-Non sembra spaventatoazzardò, petulante.
La Strega del Crepuscolo si mise a ridere.-No, non ancora. Per il momento, la sua
collera gli serve da scudo. Non è ancora sicuro che sua figlia sia in mano nostra.
Dovrà accertarsi di quello, prima che la paura lo attanagli. Poi le mie creature
andranno a fargli visita, una dopo l'altra, e la paura monterà. Comincerà a
immaginarsi ogni genere di cose, una più brutta dell'altra. Andrà alla nostra ricerca e
non riuscirà a trovare la benché minima traccia. Darà l'addio a ogni speranza.
Dopodiché, ci puoi giurare, il terrore s'impadronirà di lui.
-Ha la silfide che lo aiuta, non dimenticarlo.
Un lampo di collera passò negli occhi rossi della strega.-Non farti beffe di me, Re
Rydall, che non fosti mai né Re né Rydall. Tu mi servi a comando; bada di non
dimenticarlo mai.
L'altro rimase immobile davanti a lei senza fiatare, duro come la pietra. Ma lei avvertì
la sua esitazione e ne fu compiaciuta.-E' vero, per adesso può contare su di leiammise.-Ma alla fine farò in modo di strappargli anche la donna. Alla fine rimarrà
completamente solo.
Rydall si agitò, impaziente.-Mi sentirei più tranquillo su tutta questa storia se
conoscessi il tuo piano fino in fondo. E se qualcosa andasse storto?
Lei si raddrizzò tanto da dargli l'impressione di crescere proprio davanti ai suoi
occhi.-Niente andrà storto. Ho programmato tutto con troppa attenzione. Quanto a
voler conoscere le mie intenzioni, è meglio per il momento che alcune cosette le
tenga per me. Tu sai
quanto basta.-Gli diede un'occhiata freddamente valutativa.- Ora ti rimanderò a casa.
Sbriga i tuoi affari e aspetta la mia chiamata.
Rydall distolse lo sguardo; la sua armatura scricchiolò.-Avrei potuto ucciderlo sul
ponte e la faccenda sarebbe stata sistemata una volta per sempre. Avresti dovuto
consentirmelo.
-E rovinare tutto quello che ho programmato e organizzato in questi due anni?-La
Strega del Crepuscolo era incredula.-vuoi scherzare? Oltretutto, non sono così sicura
che l'avresti battuto. Non mi hai mai dato una prova in tal senso.
Lui stava per protestare, un grugnito di rabbia che già gli montava in gola, ma lei lo
bloccò con un gesto della mano.-Sta' zitto. Farai come dico. La rovina di Holiday è
affar mio. La tua parte nella faccenda è già stabilita. Non voglio discussioni. Non
vorrai mica metterti a discutere con me, vero?
Ci fu un lungo silenzio da parte dell'altro.-No-rispose infine.
-Bene. Se vuoi la morte di Holiday, e io so che la vuoi , allora lascia che me la
sbrighi io. Vai, adesso.
Fece danzare le sue mani nell'aria davanti a sé, e Rydall scomparve in una colonna di
nebbia che saliva verso l'alto. Aspettò finché non fu sicura che Rydall fosse tornato
nel posto dal quale era venuto. Non le piaceva, quell'uomo, e non si fidava di lui, ma
in questa faccenda tornava utile e sarebbe stato il suo burattino finché non l'avesse
portata a termine. Finché Holiday non fosse morto.
Chiuse gli occhi con voluttà mentre vedeva con la mente gli ultimi momenti del Refantoccio. Si era figurata la scena infinite volte, dandole forma, affinandola,
lustrandola finché non era diventata perfetta. Poteva vederne ogni dettaglio. Poteva
vederlo respirare per l'ultima volta, vedere l'espressione dei suoi occhi nel rendersi
conto di cosa gli era stato fatto, sentire la disperazione nella sua voce mentre cercava
di urlare.
Sì, sarebbe accaduto. Con la massima certezza. Per il momento, comunque, c'erano
altre cose che richiedevano la sua attenzione.
Levò le mani al cielo un'ultima volta. Un nembo di nebbia scura l'avvolse, ed era
scomparsa.
Il cervello di Ben Holiday era già in piena attività mentre riattraversava il ponte per
tornare nel castello. Willow era scesa dai bastioni e lo stava aspettando. Gli corse
incontro e lui la strinse a sé nello sforzo di calmare i tremiti che scuotevano tutti e
due.
-La riporteremo qui-le sussurrò, e sentì i pugni di lei stringersi contro la sua schiena.Te lo prometto.
Poi si rivolse a Bunion, che li seguiva a ruota.-Parti immediatamente per la regione
dei laghi-ordinò al coboldo.-Di' al Signore del Fiume che sua nipote è stata rapita da
Rydall di Marnhull e chiedigli che ci dia una mano a cercarla. Digli che ogni aiuto da
parte sua sarà altamente apprezzato, e che sua nipote stava andando a mettersi sotto
la sua protezione, quando è stata catturata. Assicurati che quest'ultimo punto sia ben
chiaro. Durante il viaggio tieni sempre gli occhi aperti per il minimo segno che possa
farci capire che cosa è accaduto. E, Bunion-aggiunse-sta' ben attento. Non correre
rischi. Ho già perso Questor e Abernathy. Non voglio perdere anche te.
Il coboldo sorrise e mostrò i denti. Non era probabile che potesse accadere qualcosa a
una creatura capace di far fuori un essere delle caverne o un fantasma di palude senza
il minimo sforzo, ma Ben era rimasto spaventato dalla facilità con cui Rydall aveva
fatto prigionieri coloro che aveva mandato a proteggere Mistaya. Ammesso che fosse
andata veramente così. Non ne era ancora sicuro, ma doveva essere preparato al
peggio. La visita di Bunion al Signore del Fiume era necessaria.
Bunion si girò e sparì così in fretta che Ben aveva già quasi dimenticato il motivo per
il quale aveva mandato il suo reale messaggero. I coboldi erano le più veloci creature
viventi. Un viaggio alla regione dei laghi per loro era questione di un giorno, sì e no.
Tali strani esseri, con il corpo tutto peloso e setoloso, le gambe arcuate e le braccia
contorte, la faccia scimmiesca e i denti numerosi e affilati come quelli di un
alligatore, erano un amalgama di tratti bizzarri e diversissimi. Ma i coboldi avevano
servito i Re di Landover per molti anni, ed erano aggressivi e leali. Ben sapeva che
poteva contare su Bunion.
Si avviò nel cortile d'ingresso, con Willow al suo fianco.-Vado di sopra, a usare
l'Osservatorio. Forse potrò trovare qualche traccia di Misty. Ti dispiace cancellare
tutti i miei impegni per oggi? Scenderò appena possibile.
S'inerpicò nella torre più alta del castello e raggiunse l'Osservatorio, il magico
strumento che consentiva di viaggiare da un capo all'altro del paese senza lasciare
Sterling Silver. Invocò la magia, si levò dalla torre come alzandosi in volo, e con gli
occhi della mente perlustrò tutta la campagna senza trovare sua figlia o i suoi amici o
qualche indicazione di cosa fosse loro accaduto. Fece rapidamente visita a Elderew,
la dimora del Signore del Fiume, ma non c'era niente che mostrasse che gli esseri
fatati fossero al corrente di quanto era successo.
Da lì andò fino ai confini orientali, esplorando i margini delle nebbie fatate dalle
Fonti di Fiamma verso sud, ma non c'era traccia di Rydall o di Mistaya o di qualcosa
che potesse condurlo da uno o dall'altra. Cercò Strabo, ma il drago non era in vista.
Probabilmente dormiva in uno dei pozzi di fuoco che chiamava casa. Si spostò a nord
sui Melchor e infine arrivò al Pozzo Infido, i cui recessi erano l'unico luogo che
l'Osservatorio non poteva penetrare. La magia della Strega del Crepuscolo non lo
consentiva. Si fermò un momento, pensando che quelli che cercava avrebbero potuto
facilmente essere nascosti lì, e lui non l'avrebbe mai saputo. Ma era arduo ipotizzare
che la Strega del Crepuscolo fosse coinvolta in questa faccenda. Per quanto lo
odiasse, odiava ancora di più gli stranieri. Non avrebbe mai complottato con
qualcuno che avesse intenzione di invadere Landover. Inoltre, nessuno l'aveva vista
da diversi mesi. Ben si spostò.
Passò l'intera mattinata a perlustrare il paese alla ricerca di Mistaya e dei suoi amici, e
non trovò la benché minima traccia di nessuno di loro. Era come se fossero scomparsi
dalla faccia della terra. Quando alla fine rientrò nella camera e scese dal pulpito era
esausto. L'uso dell'Osservatorio, tramite la magia, l'aveva estenuato, e in cambio si
ritrovava con un pugno di mosche. Era scoraggiato e impaurito. Scese in camera da
letto e si addormentò.
Quando si svegliò, Willow era seduta accanto a lui, ansiosa di notizie. Ma lui non
poteva dargliene. Passarono il resto della giornata ad aggiornare sull'agenda gli
appuntamenti e gli impegni della settimana, finendo per cancellarne la maggior parte.
Alcuni dovettero essere mantenuti perché c'erano obblighi che non si potevano
ignorare. Ma in fin dei conti fu soltanto un patetico tentativo: Ben riusciva a pensare
a ben poco, oltre alla scomparsa di sua figlia e degli amici. Non sapeva come
procedere. Sembrava che non ci fosse altro da fare che rimanere in attesa degli
sfidanti di Rydall. Gli erano stati concessi tre giorni. Poi sarebbe comparso il primo.
Non parlò di questo con Willow, ma vedeva nei suoi occhi e sentiva dalla sua voce
che lei pensava alla stessa cosa. Una battaglia all'ultimo sangue da ripetere per sette
volte, se voleva sopravvivere. Un uso, ripetuto sette volte, del corpo corazzato del
Paladino e delle sue virtù guerriere. Una resa di se stesso, moltiplicata per sette, alla
vita e ai ricordi di un essere il cui unico scopo era quello di distruggere i nemici del
Re. Era una prospettiva a dir poco terrificante.
Quella notte dormirono malissimo, svegliandosi spesso per abbracciarsi, per stare
vicini nel silenzio a pensare che cosa i giorni a venire tenessero in serbo per loro. Ben
non si era mai sentito così svuotato. Riflettendoci su, gli sembrava di aver tradito
Mistaya, mandandola via; si diceva che avrebbe dovuto tenerla vicina a sé, al suo
fianco. Forse in quel modo avrebbe potuto proteggerla meglio da Rydall. Non lo disse
a Willow, naturalmente. Era troppo facile, ormai, usare il senno di poi, quando era
troppo tardi perché potesse servire, quando i giochi erano fatti. Non c'era niente da
guadagnare a rimuginare sui "se" della situazione. Ciò che rimaneva da fare era
tentare in qualche maniera di rimettere le cose a posto. Ma come poteva farlo?
Cos'altro c'era di intentato?
A mezzogiorno del dì seguente Bunion era di ritorno. Aveva visto il Signore del
Fiume. Mistaya e gli altri non avevano mai raggiunto Elderew. Nessuno degli esseri
fatati aveva la minima idea di cosa fosse loro capitato. Non c'era alcuna traccia del
loro passaggio da quelle parti.
Ben Holiday e Willow si scambiarono un lungo sguardo d'impotenza e cercarono di
nascondere la loro disperazione.
6
Seduzione
Al suo risveglio Mistaya si trovò avviluppata in un nebuloso lucore e in un profondo
silenzio. Giaceva stesa sul terreno, ancora avvolta nella sua coperta, ma lontana dal
luogo dove si era addormentata. Lo sapeva per istinto. Sapeva anche che aveva
dormito a lungo. Era ancora intorpidita, con le membra rigide, gli occhi confusi e con
tutto il corpo ancora immerso in quella sorta di pesantezza che viene solo dopo un
lungo sonno. Le era accaduto qualcosa. Qualcosa d'inaspettato.
Si levò a sedere e si guardò attorno. Era sola. Non c'era nessuna traccia di Questor,
Abernathy o delle Guardie del Re. Gli animali erano scomparsi. Il suo bagaglio e il
carro mancavano. Non era sorpresa. Era stata allontanata da tutto ciò mentre dormiva.
Credeva di non essere più nemmeno nella stessa regione. L'aspetto delle cose era
completamente diverso. Levò in alto lo sguardo. Non c'era nessun cielo visibile.
C'erano alberi tutt'attorno, ma erano antichi e ricoperti di liane e muschio. La luce era
grigia e caliginosa di nebbia; aveva l'odore e il sapore di terra umida e marcescente.
Strano a dirsi, le sembrarono sensazioni familiari.
Si levò in piedi e si spolverò. Non aveva paura. Avrebbe dovuto averne, supponeva,
ma non era così. Non ancora, almeno. C'era una stranezza nelle cose che non riusciva
a spiegarsi, ma non le era stato fatto alcun male. Si chiese cosa ne fosse stato di
Questor e Abernathy, ma la loro scomparsa non la portava ancora a concludere che si
trovava in pericolo.
Scrutò tutt'attorno con attenzione, girando su se stessa per esplorare tutto ciò che era
possibile esplorare, e non scoprì altro che gli alberi secolari e il silenzio caliginoso.
Quando ebbe completato la rotazione, si trovò faccia a faccia con una donna
imponente, regale.
-Benvenuta, Mistaya-le disse la donna, sorridendo. Un sorriso gelido.
-Dove mi trovo?-chiese Mistaya, pensando nello stesso tempo: Io conosco questa
donna. La conosco. Ma come?
-Sei nel Pozzo Infido-rispose la donna, calma e immobile contro la mezzaluce. Aveva
un mantello nero. I suoi capelli erano neri con un'unica striscia bianca al centro. La
sua pelle era bianca come l'alabastro. Gli occhi...
-Ti ricordi di me, vero?-disse la donna, con un tono dichiarativo più che
interrogativo.
-Sì-rispose Mistaya, ormai certa di questo ma incapace di spiegarsi il perché. Questo
era il Pozzo Infido, aveva detto la donna, e solo una persona viveva nel Pozzo
Infido.-Tu sei la strega del Crepuscolo.
-Sì, sono io-rispose la strega, compiaciuta. Gli occhi, prima argentei, diventarono
improvvisamente rossi.
-Tu sei l'uccello, il corvo-disse all'improvviso la ragazza.- Al picnic. Mi stavi
guardando.
Il sorriso della strega si allargò.-Sì, è così. E tu guardavi me, vero? La tua memoria è
eccellente.
Mistaya si guardò attorno incerta.-Cosa faccio qui? Mi ci hai portata tu?
La strega annuì.-Sì. Tu dormivi quando il vostro campo fu attaccato dagli uomini al
servizio di Re Rydall di Marnhull, l'uomo che è venuto recentemente al castello di tuo
padre. Te ne ricordi?
Mistaya annuì.
-L'attacco è stato improvviso e inatteso. E' stato portato con lo scopo di rapire te. Se
tu fossi nelle mani di Rydall, lui potrebbe costringere tuo padre a fare quel che gli ha
chiesto: rinunciare alla corona di Landover e andare in esilio con la sua famiglia. I
tuoi genitori credevano che Rydall non avrebbe saputo del tuo viaggio alla regione
dei laghi, da tuo nonno, ma lui è più pericoloso di quanto possano immaginare.
Fortuna che io ti tenevo d'occhio, che mi preoccupavo della tua sicurezza. Ho potuto
farti sparire con la magia prima che ti catturassero. Ti ho portata qui, nel Pozzo
Infido, per farti stare con me.
Mistaya non disse nulla, ma i suoi occhi parlavano per lei.
-Non mi credi, vero?-disse la Strega del Crepuscolo.
Le labbra di Mistaya si serrarono in una linea sottile.-Mio padre non sarebbe contento
di sapermi qui-disse con calma.
-Perché non siamo amici e non si fida di me-ammise la strega con una scrollata di
spalle.-E' vero. Ma sta di fatto che lui sa che ti trovi qui, e può scegliere di fare quello
che vuole.
Mistaya aggrottò la fronte.-Lo sa?
-Certamente. Ho già mandato ad avvertirlo. In segreto, naturalmente, così Rydall non
lo saprà. Ho dovuto agire in fretta, al momento dell'attacco, e quindi non ho potuto
scambiare neanche una parola con i tuoi amici. Penso che stiano bene, ma non ho
potuto rimanere lì per accertarmene. Questor Thews mi ha dato l'impressione di poter
far fronte all'attacco, e sospetto che, scomparsa tu, l'attacco dev'essere stato ritirato
subito. Dopotutto, non c'era motivo di portarlo avanti.
-Perché io ero con te.
-Esatto. Ma Rydall questo non lo sa. Pensa che sei tornata a Sterling Silver o che hai
proseguito per Elderew, per andare da tuo nonno. Nessuno di questi posti è sicuro,
naturalmente. Lui ti cercherà lì. Non penserà di venire a cercarti quaggiù. E' meglio
che tu stia con me finché questa faccenda non sarà sistemata. Tuo padre sarà
d'accordo con me, quando ci avrà pensato bene.
Mistaya trascinò i piedi, sforzandosi di pensare. Non credeva una parola di quello che
aveva sentito.-Come sai di Rydall? Perché mi osservavi?
-Ho dell'interesse per te, Mistaya-rispose lentamente la Strega del Crepuscolo.-Io so
di te cose che neanche tu conosci. Volevo dirtele, ma non ero sicura di come farlo. Ti
ho seguita, aspettando l'occasione giusta. So quali sentimenti nutrano tuo padre e tua
madre nei miei confronti. Non siamo sempre andati d'amore e d'accordo. Qualche
volta ci siamo scontrati. Ma una cosa ci accomuna, ed è l'interesse che nutriamo per
te.-Fece una pausa.-Lo sai, Mistaya, che tu sei nata nel Pozzo Infido?
Mistaya corrugò la fronte.-Dici davvero?
-Tua madre non te l'ha detto, vero? Lo pensavo, infatti.-La Strega del Crepuscolo si
spostò da un lato. Sembrava non curarsi di nulla, mentre guardava tra gli alberi.-Ti ha
detto che tu puoi fare delle magie?
Mistaya rimase a bocca aperta. I suoi occhi smeraldini scintillarono d'interesse.-Sul
serio? Magia vera?
-Naturalmente. Ogni strega è versata nella magia.-La Strega del Crepuscolo le lanciò
una rapida occhiata, e gli occhi rossi brillarono.-Lo sapevi che sei una strega, no?
Mistaya trasse un respiro molto profondo prima di rispondere.- No, non lo sapevo. Mi
stai mentendo?
La strega non rispose. Invece, fece un gesto vago nell'aria davanti a sé, e apparvero
due sedie e un tavolo. Il tavolo era coperto da una tovaglia scarlatta ed era carico di
frutti, noci, pane, formaggio e sidro.-Siediti-disse la strega.-Mangiamo qualcosa
mentre parliamo.
Mistaya esitava, ma la fame vinse la sua riluttanza e la ragazzina sedette di fronte alla
Strega del Crepuscolo. Ancora diffidente, provò una noce e poi una fetta di
formaggio. Tutt'e due le cose avevano un sapore delizioso, e così andò avanti col
resto del cibo e una tazza di sidro. La Strega del Crepuscolo stava seduta di fronte a
lei e masticava distrattamente una fetta di pane.
-Ti dirò una cosa, Mistaya-disse.-Ti ho portata qui perché si è presentata l'occasione,
e temevo che non ce ne sarebbe stata un'altra. E' stato un puro caso, naturalmente. Se
avessi aspettato che tu venissi da sola, o che i tuoi genitori ti ci mandassero (ammesso
che fossi stata abbastanza sfrontata da fare la richiesta, visto che loro non me
l'avrebbero mai proposto) tu probabilmente non saresti venuta affatto. Non porto
rancore, per questo. Comprendo come vanno le cose. Non godo di una buona
reputazione, in più di un posto e presso molta gente. Sono sicura che avrai sentito
delle cattiverie sul mio conto
Mistaya sollevò lo sguardo dal cibo, con un lampo di preoccupazione negli occhi
verdi. Ma non c'era ombra di minaccia nella voce della strega, e neanche sul suo
volto.
-Non devi aver paura di me-la rassicurò la strega.-Tu sei qui per essere protetta, non
per essere maltrattata. Sei libera di andartene in ogni momento. Ma sarei contenta se
mi dessi ascolto, prima. Cosa ne pensi?
Mistaya ci pensò su, masticando una manciata di noci, poi assentì.
-Bene. Sei comprensiva. Penso veramente che tu sia più sicura qui che con la tua
famiglia.-La Strega del Crepuscolo fece un gesto di fastidio con la mano.-Rydall è
uno straniero, un pretendente al trono, un conquistatore di terre minori che vorrebbe
annettere Landover ai suoi possedimenti. Quali che siano le differenze tra me e tuo
padre, su una cosa siamo d'accordo. Landover non deve essere governata da Rydall.
Io sono una strega, Mistaya, e le streghe sanno cose che gli altri non sanno. Le
sentono prima e le comprendono fino in fondo. Rydall mi fu noto nel momento in cui
spuntò dalle nebbie che aveva attraversato con il suo compagno dalla cappa nera. Il
suo mago, a quanto ho scoperto. Un essere molto potente, uno che, forse, è potente
quanto me. Sapevo di loro e li ho seguiti nella loro visita a casa tua. Ho sentito le loro
richieste. Sapevo cosa avrebbero fatto. Quando sono venuti a prenderti, li aspettavo.
Guardò di nuovo in mezzo agli alberi, pensierosa.-Ma avevo altri motivi per
intervenire proprio in quel momento. Volevo portarti qui. Volevo che passassi un po'
di tempo con me nel Pozzo Infido. Sentivo che l'occasione non si sarebbe
ripresentata, e quindi ero ansiosa di sfruttarla. Io penso che sia importante che tu
apprenda la verità su te stessa: importante per te e per me.
-Per te?-Mistaya appariva dubbiosa.
-Sì, Mistaya.-Le mani della strega si carezzavano l'un l'altra come minuscoli micetti
bianchi.-Io sono la Strega del Pozzo Infido, l'unica strega in tutta Landover, e ho
aspettato tanto perché ce ne fosse un'altra. Voglio rivelare ciò che so. Voglio parlare
con qualcuno che condivida la mia passione per la magia. Tu sei quella persona.
Mistaya aveva smesso di mangiare. Stava fissando la Strega del Crepuscolo,
affascinata.-Pensavo di poter avere della magia- disse con calma, esitante, pensando
alla Madre Terra.-Qualche volta, quasi potevo sentirlo. Ma non ne ero sicura.
-Tu non sei istruita nel suo uso, non sei esperta nell'evocarla, e la realtà della sua
esistenza ti è stata tenuta celata. Ma la magia è tua -disse la strega.-E' sempre stata
tua.
-Perché non mi è stato detto?-Mistaya non era ancora convinta, ma stava
cominciando a esplorare le possibilità.-Perché i miei genitori e lo stesso Questor mi
hanno sempre detto che l'uso della magia (di qualunque magia) è pericoloso? Stai
dicendo che mi hanno mentito?
La Strega del Crepuscolo scosse la testa.-Assolutamente no. Non l'avrebbero mai
fatto. Loro semplicemente ti hanno tenuta lontana da ciò che, a parer loro, tu non eri
ancora pronta per apprendere. Col tempo ti avrebbero detto tutto. Io penso che
abbiano sbagliato a tenerti all'oscuro di questo per tanto tempo, naturalmente. Ma ora
ci sono altre ragioni per dirtelo, ragioni che non hanno niente a che fare con la
differenza di opinioni fra i tuoi genitori e me, e che hanno tutto a che fare con la
venuta di Rydall e del pericolo che rappresenta per tuo padre.
-Quale pericolo?-chiese Mistaya in fretta.-Dimmelo.
Ma la Strega del Crepuscolo scosse la testa e alzò una mano affusolata.-Abbi
pazienza, Mistaya. Lascia che ti dica le cose a modo mio. Quando avrò finito potrai
raccogliere le idee.
Si alzò di nuovo, è Mistaya si alzò con lei. La Strega del Crepuscolo fece qualche
rapido gesto, e la tavola con il cibo e le bevande scomparve. La radura in cui si
trovavano era di nuovo sgombra, a parte loro. La Strega del Crepuscolo sorrise a
Mistaya. Lo stesso sorriso gelido. Ma questa volta sembrò alla ragazza più
consolante, più accettabile. Si ritrovò a ricambiarlo quasi senza rendersene conto.
-Saremo amiche, tu e io-disse la strega, inarcando un sopracciglio che sembrò voler
toccare la ciocca bianca che divideva in due la sua capigliatura nerissima.-Ci
racconteremo tutti i nostri segreti. Vieni con me.
Si mosse attraverso la radura e s'inoltrò nel bosco senza guardare indietro. Mistaya la
seguì, curiosa adesso, ansiosa di sentire qualcos'altro di ciò che la strega aveva
intenzione di dirle. Non pensava più alle circostanze che l'avevano portata nel Pozzo
Infido. Non pensava più neanche ai suoi genitori o a Questor Thews e Abernathy.
Pensava invece alla sua magia, la magia che aveva sempre saputo di possedere, la
magia che aveva così disperatamente agognato. Adesso, finalmente, le sarebbe stata
rivelata. Lo avvertiva nelle parole stesse di quella donna imponente.
Quando ebbero percorso una breve distanza fra gli alberi, laddove la nebbia era
abbastanza fitta da potersi tagliare e la luce una sottilissima lamina, la Strega del
Crepuscolo si fermò e si voltò a guardare la ragazza.
-Non ti spaventi facilmente, vero, Mistaya?-chiese. Mistaya scosse la testa.-Non trovi
che la magia sia un motivo per piangere e nascondersi sotto le coperte come fanno
certi bambini quando scoppia un temporale con tuoni e lampi?-Mistaya scosse
nuovamente la testa, questa volta con un'espressione risoluta di sfida sul volto.
-Io non ho paura di niente!-disse con audacia, e ne era quasi convinta.
La Strega del Crepuscolo annuì, gli occhi argentei e sereni ancora una volta.-Io ti ho
portata qui nel Pozzo Infido perché sei una strega. Una strega-ripeté con enfasi-come
me. Tu sei nata nel Pozzo Infido, nata da quel suolo che è stato consacrato
ripetutamente dalla mia magia, nata da un retaggio di sangue fatato, nata in un mondo
in cui i forti e i sicuri sono benedetti con l'uso del potere. Per questo motivo tu sei
quasi un enigma per i tuoi genitori. Un enigma. Conosci questa parola?
Mistaya annuì.-Un mistero.
-Si, un mistero. Perché non ce n'è un'altra come te in tutta Landover. Tu hai delle
capacità che loro neanche sospettano. Tu hai una magia che io soltanto posso
comprendere. Io posso insegnarti a imbrigliare il tuo potere per usarlo nel modo
migliore. Nessun altro può fare per te quello che posso fare io. Non i tuoi genitori.
Non Questor Thews. Nessuno. Nessuno di loro condivide la nostra natura di streghe,
e perciò nessuno di loro può darti quello di cui hai bisogno. Si, l'uso della magia può
essere davvero molto pericoloso. Non è un segreto. Ma il pericolo viene dal non
comprendere ciò che la magia può fare e dal non avere la certezza di sapere sempre
come tenerla sotto controllo. Capisci?
Mistaya annuì ancora una volta, con prontezza adesso, eccitata dalla promessa
implicita nelle parole dell'altra.
-Bene. Guarda, ora.-La Strega del Crepuscolo si piegò e raccolse un fiore selvatico
con i boccioli ancora chiusi. Lo tenne in alto davanti a Mistaya. Poi alzò un dito e
carezzò un minuscolo bocciolo. Il bocciolo vibrò e si aprì a formare un fiore
scarlatto.-Visto? La magia l'ha portato alla vita. Adesso provaci tu.
Porse lo stelo con i suoi numerosi boccioli e un unico fiore sbocciato a Mistaya, che
lo prese con cautela e lo tenne davanti a sé come se fosse fatto di vetro.
-Concentrati su un bocciolo-disse la Strega del Pozzo Infido.
-Concentrati sul pensiero di come sarà quando si aprirà in fiore. Porta il senso della
sua nascita alla vita in fondo al tuo corpo, nel fondo più fondo dove c'è solo oscurità e
le figure che formiamo nella nostra immaginazione. Concentrati sul fiore che faresti e
poi alza lentamente le dita e tocca il bocciolo.
Mistaya fece come le era stato detto, focalizzando ogni grammo di energia su
un'immagine mentale del bocciolo che si faceva fiore. Alzò le dita e toccò il fiore
dolcemente, esitante.
Il bocciolo si aprì a metà e poi si fermò.
-Molto bene, Mistaya-approvò la strega, prendendo lo stelo dalla sua mano e
gettandolo via.-E' stato tanto difficile?
Mistaya scosse prontamente la testa. Aveva la bocca secca e il cuore le batteva forte.
Aveva veramente operato un atto di magia. Aveva sentito il bocciolo rispondere al
suo tocco, l'aveva visto tremare lievemente, proprio come aveva fatto con la Strega
del Crepuscolo. Ma c'era stato di più. C'era stata una corrente di qualcosa di argenteo
e vellutato nel profondo del suo essere che l'aveva carezzata come un gatto
lasciandola calda e ansiosa di ripetere l'esperienza.
La mano flessuosa della strega sfiorò la sua. Mistaya non respinse il tocco. Sembrava
familiare, e quindi piacevole.-Prova questo -disse la strega.
Si chinò e raccolse un bruco striato di nero e arancione. Il bruco si appallottolò nel
palmo della sua mano, poi si srotolò dopo un momento e cominciò a strisciare per
mettersi in salvo. La strega toccò il bruco, e quello divenne istantaneamente d'oro.
-Adesso tu puoi farlo tornare com'era-le assicurò, tendendo verso Mistaya il palmo
aperto con il bruco di sopra.-Concentrati. Figurati nella mente ciò che intendi fare.
Scendi giù nel tuo profondo per raggiungere il senso di ciò che dovrà accadere.
Mistaya si bagnò le labbra, poi le strinse. Si concentrò con la massima intensità che le
era consentità sul bruco, figurandoselo vivo, vedendolo trasformarsi da metallo in
materia organica. Lo vide nella sua mente, poi lo sentì nel cuore. Si allungò e toccò il
bruco.
Il bruco ritornò ancora una volta nero e arancione e cominciò a strisciare via.
-Ce l'ho fatta!-esclamò in preda all'eccitazione.-Hai visto? Ce l'ho fatta! Ho usato la
magia!
Dimenticò tutto in quell'istante: i suoi dubbi, gli interrogativi, i
suoi genitori e i suoi amici. La Strega del Crepuscolo lasciò libero il bruco e si chinò
rapidamente di fronte alla ragazza, con gli occhi taglienti come vetro.
-Adesso lo capisci, Mistaya. Adesso vedi la verità di ciò che puoi fare. Ma quello è
stato niente, quel pezzettino di magia che hai appena messo in atto. Quello era solo
l'inizio di ciò che puoi ottenere. Ma devi ascoltare quello che ti dirò. Devi studiare le
lezioni che ti darò. Devi mettere in pratica quello che ti mostrerò. Dovrai lavorare
molto duramente. Sei convinta di volerlo fare?
Mistaya annuì volenterosa, i capelli biondi splendenti dell'umido della giungla, gli
occhi brillanti come quelli di un gatto in una caverna.-Sì, lo sono. Ma...-A quel punto
si fermò, ritornando in sé e rinnovando il ricordo delle circostanze che l'avevano
portata nel Pozzo Infido.-Mio padre...
-Tuo padre sa che tu sei qui e verrà a prenderti se non riterrà opportuno che tu
rimanga-rispose la Strega del Crepuscolo in fretta, con voce vellutata.-La domanda
cui devi rispondere è se tu vuoi rimanere o no. Adesso la scelta è veramente tua. Ma
prima che tu faccia quella scelta, c'è qualcos'altro che devi sapere. Ricordi che ti ho
detto che c'era un'altra ragione per stare qui con me, per apprendere appieno il tuo
potenziale, per esplorare la tua magia?
Rimase in attesa, impaziente. Mistaya esitò, poi annuì.-Ricordo. Hai detto che me
l'avresti detto dopo.
La Strega del Crepuscolo sorrise.-Abbastanza giusto. A suo tempo e luogo, avevo
detto. Allora ascolta attentamente, adesso. Rydall di Marnhull è andato di nuovo da
tuo padre, dopo la tua partenza. Gli ha detto che userà la magia del suo mago per
distruggerlo. Questor Thews tenterà di proteggere tuo padre, ma non ha poteri
sufficienti per farlo. Il mago di Rydall è molto più potente.
Alzò un dito affusolato e toccò delicatamente Mistaya sulla punta del naso. Come il
bacio del serpente.-Ma tu hai le possibilità, Mistaya, di diventare ancora più potente.
Tu hai la magia, ancora latente ma innegabilmente presente dentro di te, per
sconfiggere Rydall e il suo mago e salvare tuo padre. Io avverto quel potere, ed è per
questa ragione che ho ritenuto giusto portarti qui e prepararti al tuo destino. Perché
tu, oltre a essere la figlia del Re, sarai una strega dal potere non trascurabile, e la tua
maestria nell'amministrare queste due prerogative determineranno il corso della tua
vita.
Mistaya la guardava a bocca aperta.-Sarò in grado di salvare mio padre? La mia
magia sarà così forte?
-Forte quanto la più potente magia che tu possa immaginare.- La strega fece una
pausa, sorridendo ancora, improvvisamente intenta.-La Madre Terra non ti ha detto
niente di tutto questo?
-Si, lei...-Mistaya esitò; non era certa del perché lo facesse, ma le venne di pensare
che non era prudente rivelare tutto a qualcuno che sapeva già così tanto. Il suo
incontro con la Madre Terra, dopo tutto, doveva essere un segreto.-Mi ha detto
qualcosa del mio retaggio, ma ha lasciato che fossi io a scoprire la natura della magia
che posseggo, qualunque essa sia, oppure che fossero i miei genitori a decidere
quando fosse opportuno mettermene al corrente.
All'improvviso si ricordò di Haltwhistle. Dov'era il cucciolo di fango? Anche lui era
rimasto sul luogo dell'attacco quando la Strega del Crepuscolo l'aveva portata nel
Pozzo Infido? Voleva chiederlo alla strega, ma di nuovo qualcosa la trattenne dal
farlo. La Strega del Crepuscolo non aveva menzionato Haltwhistle quando aveva
parlato degli altri. Forse non sapeva del cucciolo di fango.
-La Madre Terra è tua amica, come lo era di tua madre-proseguì la Strega del
Crepuscolo.-Una buona amica, suppongo; non è così?-Mistaya annuì.-Ti ha chiamato
a sé prima dell'attacco. Io stavo guardando. L'ha fatto per avvertirti del pericolo?
-No-rispose Mistaya, pensando di nuovo: Perché questo non lo sa?
-Allora che cosa voleva da te?-chiese l'altra dolcemente.- Dimmelo.
Mistaya scrollò le spalle, un riflesso puro e semplice. Esteriormente era calma,
internamente di ghiaccio. Qui stava accadendo qualcosa che lei non capiva. Si sforzò
di atteggiare un sorriso.-Mi avvisò che c'erano dei pericoli sulla nostra strada e che
dovevo muovermi con cautela. Mi disse di tenere gli occhi aperti.
Aspettò, con il sorriso che le si era gelato sul viso mentre la strega la guardava nel
profondo degli occhi. Non mi crede! stava pensando, e si chiese tutt'a un tratto perché
quella cosa fosse tanto importante, e cos'era che la spaventava in quel modo.
Poi gli occhi della Strega del Crepuscolo si abbassarono, e la donna si alzò. Le sue
mani bianche e sottili si posarono sulle piccole spalle di Mistaya.-vuoi restare con
me nel Pozzo Infido, Mistaya? vuoi studiare la magia con me?
Mistaya si rinfrancò a quel tocco, prese coraggio a quelle parole e tornò a sentirsi
rassicurata con la stessa rapidità con la quale si era adombrata.-Quanto dovrei
rimanere?-chiese timidamente, sempre col pensiero a suo padre.
-Quanto vorrai. Puoi andare via quando ti pare. Ma-disse la strega e si abbassò di
nuovo, avvicinando il viso-una volta che sarai partita per far ritorno a casa, non potrai
più tornare. E' così che vanno le cose. Una volta che avrai iniziato la tua istruzione,
dovrai rimanere finché non sarà completa, oppure dovrai rinunciarci del tutto.
-Ma se mio padre viene a cercarmi, allora cosa...?
-Allora parleremo con lui e verrà presa una decisione-rispose l'altra.-Ma Mistaya, tu
devi comprendere questo. La magia è un fragile vascello, che può trasportare un
grosso potere ma può andare in frantumi come un pezzo di vetro. Non la si può
trascurare una volta che ci si sia spinti in alto mare. Quindi se dobbiamo cominciare
le tue lezioni, tu devi assicurarmi che t'impegnerai a portarle a termine. Puoi farlo?
Mistaya pensò a come il bocciolo era fiorito e il bruco era tornato alla vita. Pensò alla
sensazione della magia che si diffondeva nel suo corpo, liscia e vellutata. Le sue
apprensioni sulle cause della sua presenza nel Pozzo Infido sembravano inconsistenti
in rapporto a questo.
-Posso-rispose con fermezza.
-Quindi accetti di rimanere?
Mistaya annuì, con la determinazione risoluta dei bambini.-Si.
La Strega del Crepuscolo le sorrise con benevolenza.-Allora cominceremo subito.
Vieni con me.-Si girò e si diresse di nuovo verso la radura.-Ora bisogna seguire delle
regole, Mistaya-disse mentre avanzavano in mezzo alla nebbia.-Devi prestarmi
ascolto e fare come ti dico. Non devi mai usare la tua magia senza di me. Dovrai
usare la magia nei modi che io ti indicherò, anche quando non capirai che cosa io stia
cercando di insegnarti. E...
Guardò indietro per assicurarsi che gli occhi di Mistaya incontrassero i propri.-Non
devi mai lasciare il Pozzo Infido senza di me.-Lasciò che le parole si depositassero.Perché Rydall ti cercherà, e io non mi perdonerei mai se tu dovessi cadere nelle sue
mani per la mia trascuratezza. Quindi staremo sempre vicine per tutto il periodo che
trascorrerai sotto la mia tutela. Non lasciare mai questo rifugio. Hai capito?
Mistaya annuì. Aveva capito.
La strega si voltò, e benché Mistaya non potesse vederlo, c'era un sorriso soddisfatto
sul suo volto liscio e gelido. C'era trionfo negli occhi tinti di rosso.
Passarono tutta quella giornata a lavorare sulle lezioni della Strega del Crepuscolo.
Alcune erano incomprensibili per Mistaya, proprio come la strega le aveva anticipato.
Alcune erano esercizi che non avevano scopo apparente. Altre erano cariche del
potere che Mistaya poteva sentire scaturire da se stessa come le pulsazioni nel corpo
quando correva. Altre ancora erano così delicate e serene da non suscitare alcuna
sensazione, ed erano soltanto parole o piccoli gesti nell'aria.
Quando il giorno finì, Mistaya, rimasta sola, prese a pensare, con sentimenti
contrastanti, a quanto aveva conseguito. Da una parte, aveva sentito e visto la magia
che albergava nel profondo del suo essere, una creatura strana e fugace che si destava
alla vita e mostrava subitanei sprazzi della sua fisionomia quando lei trovava il modo
di attirarla fuori dalla sua tana. D'altro canto, i modi della sua comparsa e del suo
impiego erano enigmatici e arcani. La Strega del Crepuscolo sembrava soddisfatta,
ma Mistaya era rimasta confusa.
Una volta, per esempio, si erano impegnate nella creazione di un mostro. Il mostro
era stato scelto nella sua forma dalla stessa Mistaya, incalzata dalla sua nuova tutrice
perché desse fondo a tutta la sua creatività, incoraggiata da lei a fare la sua creatura
invulnerabile ai limiti della sua fantasia. La Strega del Crepuscolo era stata
particolarmente compiaciuta dei suoi sforzi in quell'occasione. Aveva detto che aveva
fatto benissimo. Aveva detto che avrebbero provato con un altro il giorno dopo.
Mostri? Mistaya non capiva, ma le era stato detto che questo sarebbe successo, a
volte, vero?
Imbacuccata nella coperta vicino al fuoco che la strega le aveva acceso per
riscaldarsi, guardava nell'oscurità del Pozzo Infido, nelle tenebre immote, e si
chiedeva se stava facendo la cosa giusta. Scoprire la magia che possedeva era
eccitante, ma in quello studio c'era una qualità proibita che non poteva ignorare. Suo
padre avrebbe veramente approvato? Doveva essere così, se non veniva a prenderla.
Ma dopotutto, forse non sapeva quello che lei stava facendo con la Strega del
Crepuscolo. Se, sapendolo, avesse manifestato l'intenzione di fermarla, lei che cosa
avrebbe fatto? Chissà. Era vero che era più sicura lì che in altri posti dove Rydall
avrebbe saputo come trovarla. Era anche vero che li era molto più interessante. La
Strega del Crepuscolo era affascinante, traboccante di una strana sapienza,
depositaria di un'esotica tradizione. Benché fosse indubitabilmente l'insegnante, nei
loro studi trattava Mistaya come sua eguale, e a Mistaya questo piaceva. La lusingava
il rispetto che le veniva accordato in qualcosa che le era stato negato a casa sua.
Sarebbe rimasta un po', decise. Abbastanza a lungo per vedere cosa sarebbe successo.
Poteva sempre partire, dopotutto. La Strega del Crepuscolo aveva detto così. Poteva
andar via quando voleva, se era pronta a pagare il pegno di perdere la sua istruzione.
Sì, sarebbe rimasta un altro po'.
Pensò di nuovo ad Haltwhistle. Sarebbe stato sempre con lei, aveva promesso la
Madre Terra. Era così? Il cucciolo non richiedeva cibo o acqua o cure particolari.
Bastava solo che Mistaya pronunciasse il suo nome almeno una volta al giorno per
tenerlo vicino a sé.
Si portò una mano alla bocca: non l'aveva chiamato! Non aveva detto il suo nome
nemmeno una volta. Non ci aveva pensato.
Aprì la bocca e poi si bloccò. La Strega del Crepuscolo non sapeva del cucciolo di
fango. Cosa avrebbe detto? Avrebbe mandato via Haltwhistle? E Mistaya con lui?
La bocca di Mistaya si serrò. Dopotutto, non faceva alcuna differenza se il cucciolo
di fango non c'era. Tanto valeva scoprirlo prima di continuare a preoccuparsi
inutilmente.
-Haltwhistle-disse in tono sommesso, quasi impercettibile.
In un attimo il cucciolo di fango le fu accanto, guardandola dall'oscurità con quegli
occhi grandi e languidi. Felicissima, Mistaya cercò di toccarlo, e si fermò. Non
bisogna mai toccare un cucciolo di fango, aveva ammonito la Madre Terra. Mai.
-Ehi, ragazzo-sussurrò, sorridendo. Haltwhistle agitò la sua strana coda in risposta.
-Hai chiamato, Mistaya?-domandò la Strega del Crepuscolo
dall'oscurità di fronte a lei, e la testa di Mistaya scattò bruscamente in alto. Di colpo,
la Strega del Pozzo Infido comparve, chinandosi su di lei.-Hai detto qualcosa?
Mistaya strinse gli occhi e guardò verso Haltwhistle. Il cucciolo di fango era già
scomparso.-No, niente. Devo aver parlato nel sonno.
-Buonanotte, allora-disse la strega, e scivolò via.
-Buonanotte-disse Mistaya.
Trasse un profondo respiro e lo esalò lentamente. Cercò di nuovo Haltwhistle. Il
cucciolo di fango riapparve, materializzandosi dalle tenebre della notte. Lei lo guardò
per un momento, sorridendo. Poi chiuse gli occhi e sprofondò nel sonno.
7
Bumbershoot
Quando il fuoco magico della Strega del Crepuscolo li avvolse, in quel preciso
istante, Landover scomparve e il tempo si fermò. Una luce morbida e soffusa
racchiuse Abernathy come in un bozzolo, e questi perse completamente di vista
Questor Thews. Lo scrivano fluttuava, sospeso nella luce, avvolto nel silenzio e
consumato da un torpore che lo svuotava di tutti i suoi sensi. Non sapeva cosa gli
stesse accadendo. Suppose che fosse morto e che questa era la sensazione che
provavano i morti, ma non ne era sicuro. Cercò di muoversi e non ci riuscì. Cercò di
vedere aldilà della bianca luminosità che lo circondava e non poté fare neanche
quello. Riusciva a stento a formulare un pensiero coerente. Non sapeva nemmeno se
stesse respirando.
Poi la luce scomparve in un'improvvisa raffica di vento e colori brillanti, e le
immagini, i suoni, i sapori e gli odori della vita tornarono rapidamente a fuoco con
brillante nitidezza. La regione dei laghi era scomparsa. Era praticamente sicuro che
anche Landover fosse scomparsa. Si ritrovò seduto su una spianata erbosa che si
stendeva tutt'attorno a una grossa vasca di pietra. Al centro della vasca c'era una
fontana dalla quale scaturiva un pennacchio d'acqua che s'inarcava in alto a formare
uno sbruffo come di piume. L'acqua catturava la luce creando minuscoli, scintillanti
arcobaleni. C'era gente seduta per tutto il prato e ai bordi della fontana. Dei bambini
giocavano nella fontana, scavalcando il basso bordo di pietra, sfrecciando dentro e
fuori sotto gli spruzzi, ridendo e rincorrendosi l'un l'altro. Era estate, e la giornata era
calda e soleggiata.
Abernathy si levò a sedere dritto e si guardò attorno. C'era gente dappertutto. Era una
sorta di sagra, e tutti erano in festa. Aldilà della strada c'erano un paio di giocolieri.
Un pagliaccio andava in giro sui trampoli. A una bancarella vicina un ragazzino si
stava facendo dipingere la faccia. Vialetti delimitavano il prato, e quello più vicino a
lui era pieno zeppo, per tutta la sua lunghezza, di chioschi improvvisati dov'erano in
vendita manufatti di artigiani e artisti: prismi di vetro, intagli in legno, sculture in
metallo e indumenti di tutti i tipi. Altri vialetti erano ingombri di carri e bancarelle
che vendevano cibo e bevande. Sgargianti cartelli indicavano i tipi di cibi e di bibite
offerti. Abernathy non riconobbe i nomi.
Ma poteva leggere le insegne. Se non fosse stato a Landover non avrebbe potuto
farlo.
Il suo primo pensiero fu: Dove sono, allora?
Il secondo fu: Perché non sono morto?
Un uomo con i capelli neri lunghi e arruffati e una folta barba percorsa da striature
color porpora stava accanto a una donna che portava i capelli divisi in tante
treccioline che scendevano tutte in fila ed erano fissate con delle perline, e in punta
avevano dei campanellini. Tutti e due portavano orecchini d'oro e catenelle al collo e
sfoggiavano, dipinte sulla faccia, due rose incorniciate da cuori rossi. Erano rimasti
allibiti a guardare Abernathy.
-Ehi, amico, è stupefacente!-dichiarò l'uomo con deferenza. -Come hai fatto?
-E' stata una specie di magia?-chiese la donna.
Abernathy non sapeva di cosa stessero parlando. Ma riusciva a capirli, e quello era un
mistero come il fatto di leggere le insegne. Si guardò attorno confuso. Da ogni lato
giungeva la musica, che si andava a confondere con le grida e le risate. I vialetti
erano fiancheggiati da imponenti edifici in pietra e padiglioni affollati
all'inverosimile. Gli edifici non sembravano familiari; ma allo stesso tempo lo erano.
La musica era di svariati tipi, ma nessuno di essi immediatamente riconoscibile. Era
ad alto volume e decisamente disarmonica. Un gruppo di musicanti occupava un
palco che era stato montato aldilà del padiglione, sull'altro lato della fontana. La
musica che suonava era rauca e amplificata, tanto che sembrava venir fuori dall'aria
stessa. Bandiere e pennoni e banderuole garrivano al vento a
ogni angolo. La gente ballava e cantava. C'era qualcosa di movimentato da qualunque
parte si guardasse.
-Ehi, di sicuro sai fare altre cose, non è così?-gli stava chiedendo l'uomo dalla barba
striata di porpora.
-Dai, facci vedere qualcos'altro!-lo incalzò la sua compagna.
Abernathy sorrise e scrollò le spalle, augurandosi che l'uomo e la donna si togliessero
di torno. Insomma, cosa stava succedendo lì? Non era morto, ovviamente. Allora
cosa gli era accaduto? Si passò le mani sul corpo per prova, e per assicurarsi di essere
tutto intero Niente sembrava fuori posto. Due braccia, due gambe, un corpo, di ta e
unghie, che poteva sentire all'interno degli stivali. Tutto a posto e sotto controllo. Si
passò le dita fra i capelli, allisciandoseli all'indietro. Si strofinò il mento e scoprì che
aveva bisogno di una rasatura. Si aggiustò gli occhiali sul naso. Sembrava che tutto
andasse bene.
Allora si voltò dall'altra parte e si trovò faccia a faccia con Questor Thews. Il mago lo
stava guardando. Lo stava guardando come se non lo avesse mai visto in vita sua.
-Questor Thews, va tutto bene?-chiese Abernathy ansioso.- Che diavolo sta
succedendo?
La bocca di Questor si aprì, ma nessuna parola ne uscì.
Abernathy si irritò all'istante.-Mago, che cosa ti succede? La magia della strega ti ha
forse reso muto? Smettila di guardarmi a quel modo!
Il braccio scarno dell'altro si levò come per tener lontano uno spettro.-Abernathy?chiese con tono chiaramente incredulo.
-Sì, naturalmente. Chi altri?-scattò secco Abernathy. Poi si rese conto che c'era
qualcosa che non andava, nel suo amico, qualcosa di serio. Era nei suoi occhi, nel
suono della sua voce, nella sua incapacità di accettare ciò che era ovvio, nel non
riconoscere neanche il suo vecchio amico, santi numi. Lo shock, forse.-Questor
Thews perché non ti stendi un momentino?-gli suggerì gentilmente.- vuoi che ti vada
a prendere un po' d'acqua o un bicchiere di birra?
Il mago lo guardò un po' più a lungo, poi scosse in fretta la testa. -No, non è... è... va
tutto bene, davvero, ma tu...-Si fermò, palesemente perplesso.-Abernathy-disse con
calma.-Che cosa ti è successo?
Adesso toccava ad Abernathy guardare. Successo a lui? Si guardò ancora una volta.
Lo stesso corpo, le braccia, le gambe, gli indumenti familiari, tutto al suo posto.
Tornò a guardare l'altro, scuotendo la testa sconcertato.-Di cosa stai parlando?Doveva parlare ad alta voce per sovrastare la musica.
Il volto scarno, dalla barba bianca, subì una serie di contorsioni davvero incredibile.Tu sei... ti sei trasformato! Guardati! Non sei più un cane!
Non più un cane... Abernathy scoppiò a ridere, poi si fermò, ricordando. Era vero: lui
era un cane! Un Terrier dal pelo morbido, trasformato così per evitare che il perfido
figlio del vecchio Re, Michel Ard Rhi, gli arrecasse danni peggiori, e poi rimasto in
quel modo perché Questor non era stato capace di ridargli il suo aspetto umano.
Sì, un cane.
Soltanto, realizzò di colpo, scioccato, che non era più un cane. Era di nuovo un
uomo!
-Accidenti-disse in un soffio, ancora incredulo.-Non può essere! Che mi venga...!
In preda all'eccitazione, intraprese un minuzioso esame del suo corpo. Sì, quelle
erano braccia e gambe e dita e unghie. Il suo corpo era tornato! Il suo corpo umano!
Cominciò a darsi schiaffi come un matto, toccandosi sotto i vestiti. Non pelo, ma
pelle, come ogni uomo normale! Adesso stava cominciando a piangere, con le
lacrime che gli rigavano le guance. Si frugò alla ricerca di qualcosa con cui potersi
guardare, e alla fine afferrò uno dei bottoni argentati che chiudevano la sua livrea
decorata. Gettò uno sguardo nella minuscola superficie levigata e la vista gli mozzò il
fiato.
Era la sua faccia umana che gli restituiva lo sguardo, la faccia che non aveva visto per
più di trent'anni.
-Sono io!-sussurrò, ingoiando a vuoto.-Guarda, Questor Thews, sono veramente io!
Dopo tutto questo tempo!
Mentre rideva, si mise a singhiozzare forte, tanto che pensò di poter svenire. Ma
Questor Thews gli si accostò e lo sorresse mettendogli le mani sulle spalle.-Mio
vecchio amico-dichiarò gongolante, mentre piangeva anch'egli.-Sei tornato!
Poi, in una spontanea e alquanto insolita, per loro, dimostrazione d'affetto, si
ritrovarono ad abbracciarsi e a darsi pacche sulle spalle, incapaci, per il momento, di
spiccicare parola.
Il pubblico che si era raccolto mentre questa scena si svolgeva, guardava incerto.
C'era ormai un numero cospicuo di persone che, attratte in un primo momento dagli
strani costumi e dall'ovvio interesse dell'uomo e della donna che per primi li avevano
interpellati, si trattenevano ormai perché convinti che si trattasse di una sorta di
dramma teatrale inscenato all'aria aperta. In effetti, pensavano, la rappresentazione
non era male, anche se un po' inadatta all'occasione.
Ci fu uno scoppio di educati applausi.
Abernathy continuò a tenersi stretto a Questor Thews, come se lasciandolo rischiasse
di trasformarsi ancora una volta. Assaporava l'aria e il tepore del sole, e l'odore del
cibo, e ascoltava beato la musica come se non avesse mai potuto fare quelle cose in
vita sua. Se fosse rinato, pensò, si sarebbe sentito esattamente così!
-Cosa ci è successo?-riuscì alla fine a dire, sottraendosi all'abbraccio dell'altro.-Come
ho fatto a trasformarmi? Com'è accaduto?
Questor lo lasciò andare con riluttanza, poi scosse la testa, con i capelli sottili che
sparavano da tutte le parti, risultato del suo abbraccio entusiastico.-Non lo so-dichiarò
perplesso.-Non ci capisco niente. Pensavo fossimo morti!
La folla si profuse in un altro applauso. Abernathy a questo punto divenne
consapevole della loro presenza, tre o quattro cerchi di spettatori tutt'attorno al mago
e a lui. Ne fu turbato, suo malgrado, e si sentì profondamente imbarazzato.-Questor
Thews, fa' qualcosa!-implorò con calore, indicando il capannello di gente che li
circondava.
Il mago si guardò attorno sorpreso, ma riuscì in qualche modo a conservare il suo
sangue freddo.-Salute a tutti!-esclamò.- Qualcuno può dirci dove ci troviamo?
Ci furono risate tra la folla.
-Al Bumbershoot-fu l'immediata risposta di un ragazzo alto e allampanato.
-Bumbershoot?-ripeté Questor Thews dubbioso.
-Sicuro. Bumbershoot, sapete, il festival delle arti.-Il ragazzo sorrise. Si stava
divertendo, a qualunque gioco stessero giocando.
-No, no, lui voleva dire la città-disse un tizio tarchiato. Anche lui si stava divertendo.Siete a Seattle, nello Stato di Washington, ragazzi.
-Stati Uniti d'America-aggiunse un'altra voce.
Altri nomi e luoghi vennero gridati, avendo gli spettatori deciso che si trattava di uno
spettacolo che prevedeva la partecipazione del pubblico. Tutti erano entusiasti, e la
folla s'ingrossò ancora.
-Questor!-disse Abernathy bruscamente.-Ti rendi conto di dove ci troviamo? Siamo
nel vecchio mondo dell'Alto Signore! Siamo stati trasportati ancora una volta aldilà
delle nebbie fatate!
Il mago rimase a bocca aperta.-Ma come può essere accaduto? La Strega del
Crepuscolo aveva tutte le intenzioni di distruggerci! Cosa facciamo qui?
-Chiedete a Scotty di tirarvi su una baracca!-gridò qualcuno.
-Sono quelli di "Star Trek"?-chiese qualcun altro speranzoso.
Gli spettatori si sbellicarono dalle risate e presero a battere ritmicamente le mani per
incoraggiare i due. La musica dal padiglione era momentaneamente cessata, e
sembrava che tutti i partecipanti al festival avessero improvvisamente deciso di
convergere su di loro, alla ricerca di nuove emozioni. Con ritardo, Abernathy si rese
conto che la loro inaspettata comparsa aveva richiamato tutta quella attenzione, e non
c'era da stupirsi, visto che si erano materializzati in quel modo dal nulla come... be',
come per magia; che era esattamente il modo in cui loro erano giunti lì, naturalmente,
ma il problema era proprio quello: questa era la Terra, il vecchio mondo dell'Alto
Signore, e la magia qui non veniva praticata. O meglio, non veniva tollerata.
Perlopiù, non si credeva neanche alla sua esistenza. La folla pensava che quei due
facessero parte del festival, come i giocolieri e quelli sui trampoli e così via.
Qualunque magia possedessero era un'illusione. Era tutto un trucco per divertire.
-Dobbiamo districarci da questa situazione in tutta fretta!-insisté Abernathy con un
sussurro soffocato e ansioso.-Questa gente è convinta che ci stiamo esibendo per loro
in qualche sorta di spettacolo!
Saltò rapidamente in piedi, guardandosi mentre faceva così, guardando la sua persona
umana, continuando a stupirsi del fatto che si trovava lì, ritornato a essere quello che
era un tempo, miracolosamente, impossibilmente. La voce non voleva quasi uscirgli
dalla gola.-Dobbiamo discutere bene di tutto questo... di tutta questa faccenda! Ma da
soli, Questor Thews!
Il mago assentì con enfasi esagerata, e si alzò con lui. Erano abbigliati alla moda di
Landover, e apparivano abbastanza fuori luogo a meno che non si desse per scontato
il loro ruolo di intrattenitori in costume. Il mago decise rapidamente che era meglio
continuare su quella falsariga, piuttosto che cercare di mandar via il pubblico con
ragionamenti o improbabili spiegazioni. Era confuso quanto Abernathy riguardo a
quel che era successo, e altrettanto desideroso di sedersi in un posticino tranquillo per
tentare di trovare il bandolo della matassa.
-Ehm! Signori e signore! Posso chiedervi un po' di attenzione? -Si rivolse alla folla
con il suo tono più autoritario, levando le mani in un gesto di abbraccio per
conquistare l'attenzione generale. Tutti si zittirono di colpo.-Io e il mio collega
abbiamo bisogno di qualche momento di pausa per prepararci, prima di procedere con
il secondo atto. Quindi vi preghiamo di allontanarvi per un po': andate a fare quel che
dovete fare, godetevi le altre attrazioni del festival e fra... be', diciamo un'ora, ci
ritroviamo tutti qui. O no-aggiunse sottovoce.-Grazie, grazie mille.
Abbassò le braccia e si voltò. La folla non si mosse. Nessuno era ancora preparato ad
andarsene, qualcuno non era neanche incline a pensare di doverlo fare. Poteva essere
tutta una messinscena, prevista dal copione. Due stranieri da un altro mondo arrivati
misteriosamente in questo: era affascinante. Cosa sarebbe accaduto dopo? Nessuno
voleva perdersi il seguito. Ci fu un po' di scalpiccio, ma pochissimo movimento sui
lati.
-Così non funziona!-protestò Abernathy, irritato, confuso e sopraffatto da tutta la
situazione.-Accidenti, mago, tirami fuori di qui!
Questor Thews sospirò, per niente sicuro di come farlo, poi, con la faccia atteggiata
alla più ferrea decisione, prese per un braccio Abernathy, e marciò con lui
direttamente in mezzo alla folla.-Per favore, scusate, grazie, sì, siete molto gentili,
scusate, per favore.-La folla si divise, educatamente seppur a malincuore. Questor
Thews e Abernathy ne uscirono intatti e si allontanarono velocemente attraversando il
prato del festival fino a un grappolo di edifici e di chioschi alimentari.
-Dove stiamo andando?-chiese Abernathy, non osando guardarsi alle spalle per
vedere se qualcuno li avesse seguiti.
-Dove ci sarà possibile, suppongo-rispose Questor con un'alzata di spalle.Considerato che non abbiamo idea di dove si trovi una qualsiasi cosa.
Si avviarono per un vialetto, passando davanti al pittore di facce, poi davanti a un
tizio che faceva girare trottole, superando parecchi carri di cibi e bevande, e si
ritrovarono su un riquadro erboso che fronteggiava una struttura cavernosa in vetro e
metallo dalla quale proveniva un tipo di musica dal suono particolarmente
sgradevole.
-Cos'è quel rumore?-chiese Questor, scuotendo disperato la testa.
-Rock-and-roll-rispose distrattamente Abernathy.-Ne ho sentità una certa quantità
l'ultima volta che sono stato qui.-Dei ricordi si destarono nella sua mente, ma lui li
scacciò. Si voltò, afferrò Questor per le spalle e gli fece fare una mezza rotazione così
che si trovarono faccia a faccia.-Mago, che sta succedendo? Guardami! Non so se
ridere o piangere! Sono di nuovo un uomo, per l'amor del cielo! Com'è potuto
accadere? Sicuramente non erano queste le intenzioni della Strega del Crepuscolo!
Lei stava tentando di ucciderci! Perché non siamo morti? Perché siamo qui?
Questor serrò le labbra, e strinse rapidamente gli occhi.-Be', o qualcosa non ha
funzionato nella sua magia, oppure un'altra magia è intervenuta e ha modificato
l'esito previsto. Io propenderei per la seconda ipotesi.-Questor alzò una mano e toccò
la faccia dell'altro. La mano tremava.-Accidenti, perbacco, c'è anche qualcos'altro!
Abernathy, sei cosciente del fatto che non sei invecchiato neanche di un giorno, da
quel momento, tanti anni fa, che ti trasformai da uomo in cane?
-Non è possibile!-esclamò Abernathy assolutamente incredulo.-Neanche un giorno?
Ma no, devo essere invecchiato! Perché non avrei dovuto? Dev'essere la magia, vero?
Quella che tu pensi abbia interferito? Mi ha cambiato di nuovo, non solo in un uomo,
ma nell'uomo che ero una volta. Questor, come mai? Perché avrebbe funzionato in
questo modo?
Si guardarono l'un l'altro sconcertati, in silenzio, mentre il suono della musica che
giungeva dalla sala li sommergeva, le risate e l'allegria del festival esplodevano
tutt'attorno, alieni in una terra straniera, esiliati con mezzi che non erano in grado di
comprendere appieno. Ah, ma io sono di nuovo un uomo! pensò Abernathy, con gioia
e un pizzico di terrore. Sia quel che sia, io sono tornato a essere quello che ero e che
ho sempre desiderato di essere!
Questor Thews scosse la testa.-Non voglio nasconderti che tutto ciò è molto stranodichiarò solennemente.
-Scusate...
Si voltarono nel sentire la voce della ragazza, e la videro che stava a pochi passi da
loro, e li guardava. Doveva essere all'incirca sui sedici anni, azzardò Abernathy,
piuttosto piccoletta, con capelli biondi ricci e una spruzzata di lentiggini sulla zona
del naso. Indossava pantaloncini corti da spiaggia, una camicetta azzurro cielo
piuttosto attillata con delle scritte, e sandali. Aveva l'aria perplessa.
-Ero tra la folla un momento fa-disse, studiandoli intensamente, in particolar modo
Abernathy.-Dopo vi ho seguiti perché la vostra voce... So che vi sembrerò sciocca,
ma il fatto è che... mi ricordate qualcuno...
Si arrestò, e inarcò le sopracciglia. Improvvisamente guardò Questor Thews.-Io mi
ricordo di lei. Adesso ne sono sicura. Lei si chiama Questor Thews.
Questor e Abernathy si scambiarono una rapida occhiata.-Ci ha sentiti parlare-disse
subito Abernathy.
-No, non è vero.-La ragazza scosse la testa con enfasi e avanzò di un passo.Abernathy è invece il suo nome, esatto? Lei non è più un cane! Ecco perché ero così
confusa. Ma la sua voce è la stessa. E i suoi occhi. Non si ricorda di me? Io sono
Elizabeth Marshall.-Sorrise speranzosa.-Sono Elizabeth.
Allora si ricordò. Elizabeth, dodici anni quando l'aveva vista l'ultima volta, una
bambina che si aggirava per le sale di Graum Wythe, il castello-fortezza di Michel
Ard Rhi, un tempo Principe di Landover e figlio del vecchio Re nei giorni prima di
Ben Holiday. Abernathy era stato spedito sulla Terra da un altro degli stupidi
incantesimi di Questor, era piombato nella stanza dei trofei del suo peggior nemico
ed era destinato a una rapida morte, quando Elizabeth l'aveva trovato e gli aveva
salvato la vita. Insieme si erano sforzati, con successo, di tenere segreta la presenza di
Abernathy a Michel, e di fare in modo che lo scrivano trovasse una via per tornare a
Landover. Elizabeth lo aveva seguito passo passo. Perfino quando fu scoperta e la sua
stessa incolumità fu in pericolo, si era rifiutata di tradire il suo amico.
-Non avrei mai pensato di poterla rivedere-disse lei sommessamente, come se non
fosse ancora sicura di parlare veramente con lui.
-Neanch'io-disse quasi senza fiato Abernathy, incredulo.
Allora lei si avvicinò in fretta e lo abbracciò.-Non riesco a crederci-disse con la faccia
sepolta nella sua spalla, tenendolo stretto a sé.-E' veramente pazzesco.
-Be', si-approvò lui, incapace di dire altro, e restituì l'abbraccio.
Poi la ragazza si svincolò. C'erano lacrime nei suoi occhi.- Guardatemi, piango come
una bambinetta.-Si strofinò via le lacrime.-Quando vi ho visti, tutti e due, circondati
da tutta quella gente, non riuscivo a credere che potesse essere vero. Voglio dire... S'interruppe, scuotendo la testa.-Abernathy, cosa ci fai qui?
Lui si strinse nelle spalle, imbarazzato.-Non credo proprio di saperlo. Stavamo giusto
cercando di scoprirlo. Non sappiamo davvero come siamo finiti qui. E' una lunga
storia.-La guardò.-Sei cresciuta.
Lei si mise a ridere.-Be', non del tutto, ma un po' sì, dall'ultima volta che ci siamo
visti. Fra qualche mese faccio sedici anni. Allora, arrivederci. E arrivederci anche a
te, Questor Thews.
-Felicissimo di averti rivista-replicò Questor. Si schiarì la gola.-Ah, mi domandavo,
Elizabeth, se potremmo chiederti una cortesia...
-Non avete un posto dove andare, vero?-lo anticipò lei prima che avesse terminato la
frase.-Naturalmente. Siete appena arrivati? Be', dovete avere un posto dove stare,
finché sarete qui. Quanto avete intenzione di restare?
Questor sospirò-E' piuttosto arduo, per il momento, stabilirlo.
-Non importa, potete stare da me. Abito ancora a Woodinville, ma non a Graum
Whyte. Abbiamo una casa, il mio papà e io, lungo la strada, non lontano. Papà fa
ancora il sovrintendente della proprietà e si occupa del castello. Ma starà via fino alla
fine della settimana prossima, e così abbiamo la casa tutta per noi. A parte la signora
Ambaum. E' la governante. E anche la mia tutrice.-Ridacchiò.-Vi racconterò dopo.
Abernathy, non credo ai miei occhi. Guardati!
Abernathy arrossì.-Be'-fece per dire.
-Forse dovremmo andare, ora-consigliò Questor.-A casa tua, Elizabeth. Abbiamo
proprio bisogno di metterci seduti a parlare.
-Sicuro-approvò subito Elizabeth.-Avverto i miei amici che vado via. Sono venuta fin
qui con l'autobus, quindi dovremo prendere quello, per andare a casa. Penso di avere
denaro abbastanza per tutti e tre. Spero di si, perché scommetto che voi non ne avete.
Gente, questa sì che è una stranezza, rivedersi così dopo tanto tempo, che ne dite?
Questor Thews annuì, guardando distrattamente la gente e il festival. La musica
rotolava negli spazi liberi tra un edificio e l'altro. Bandiere e palloncini fluttuavano al
soffio della brezza tiepida. Odori di cucina impregnavano l'aria. Risate e canti si
levavano da ogni lato. Bumbershoot, festival delle arti. Seattle, Washington, Stati
Uniti. Il vecchio mondo dell'Alto Signore. Adesso Elizabeth. Era strano, sicuro. Era
anche la più colossale coincidenza che gli fosse mai capitata; o forse era qualcosa di
molto più complicato. Non lo disse, ma lui propendeva per la seconda ipotesi.
Pensò che avrebbero fatto bene a mettere a posto tutti i pezzi del mosaico, prima che
accadesse qualcos'altro.
8
I reduci di Graum Wythe
Dopo che Elizabeth si fu scusata con i suoi amici, guidò Abernathy e Questor Thews
attraverso il caos del Bumbershoot passando davanti a un edificio chiamato Center
House, una collezione di attrazioni meccaniche risonante delle urla dei bambini, e poi
oltrepassando una serie di chioschi alimentari fino a giungere alla piattaforma d'attesa
di una monorotaia, qualcosa di assolutamente nuovo per Questor, che, a differenza di
Abernathy, non aveva passato tanto tempo nel vecchio mondo dell'Alto Signore.
Dopo una breve attesa salirono su un treno e si diressero al centro della città.
Abernathy dimostrò, con suo grande diletto, molta familiarità con le cose,
ulteriormente ringalluzzito dall'incredibile evento della sua trasformazione. Mentre
correvano sulla monorotaia e ne seguivano il tracciato verso gli alti palazzi della città,
lui continuava a fissare il suo riflesso nel vetro del finestrino, ancora non del tutto
convinto che potesse essere vero, e preoccupato, in fondo al cuore, che il suo aspetto
potesse cambiare di nuovo da un momento all'altro.
Ma era vero, e niente faceva pensare che la trasformazione potesse essere reversibile.
Era se stesso, ancora una volta, un uomo completo: in effetti, esattamente lo stesso
uomo che era stato quando Questor lo aveva trasformato in cane, dall'aspetto
piuttosto normale, altezza e peso nella media, capelli scuri e diritti a incorniciare il
suo volto da intellettuale. Gli occhiali senza montatura erano posati confortevolmente
sul naso, e gli si adattavano alla perfezione, come se non facesse alcuna differenza il
fatto che lui fosse un uomo e
non più un cane. Gli occhi erano distanziati e di colore bruno. La sua bocca era piena
e il mento deciso. Una faccia comune, certo, ma pur sempre una faccia in tutto e per
tutto.
Ed era la sua. Guardandola nel vetro del finestrino, si sentiva come se un pesante
fardello gli fosse stato tolto dalle spalle. L'ultima volta che era stato nel mondo di
Ben Holiday, era stato costretto a farsi passare per un vero cane, a scanso di
spiacevoli e imbarazzanti incidenti. La magia qui non era ben accetta. Qui non si era
mai sentito di cani parlanti. Abernathy era stato un fenomeno di colossale richiamo, e
c'era stato più di un tentativo di sfruttare la situazione. Così aveva strisciato di qua e
di là come un ladro nella notte, fingendo di essere ciò che non era, imbarazzato e
spaventato. Adesso poteva camminare dappertutto come chiunque altro perché aveva
l'aspetto di chiunque altro. Si trovava perfettamente a suo agio. Be', non del tutto, ma
certamente più che se fosse stato ancora un cane. Questa, dopotutto, non era la sua
terra. Ma quando finalmente sarebbe tornato a Landover...
Quel pensiero lo fece sorridere.
-Come ci si sente?-gli chiese Elizabeth tutt'a un tratto. Era stata a guardarlo.-A essere
di nuovo un uomo?
Abernathy ebbe il pudore di arrossire.-Sembra che io non la voglia proprio smettere
di guardarmi. Scusatemi. Ma è una sensazione meravigliosa. Non posso dirvi quanto.
E' passato così tanto tempo, Elizabeth, da quando fui...-S'interruppe.-Io... sono molto
felice.
Lei sorrise in risposta.-Sai una cosa? Sei proprio un bell'uomo.
Abernathy rimase senza fiato. Sentì le sue guance avvampare.
-No, dico davvero-insisté lei.-Lo sei.
Lui si aspettava a questo punto di sentire un commento maligno da parte di Questor
Thews, ma il mago non prestava attenzione alla conversazione; perso nei suoi
pensieri, guardava da tutt'altra parte, gli occhi fissi nel vuoto. Abernathy mormorò
qualcosa di incomprensibile a Elizabeth e si mise a guardare dal finestrino gli edifici
che passavano. Basta con il narcisismo. Doveva mettersi a pensare, ora. Doveva
cercare di scoprire cosa stava succedendo. Cos'era che li aveva portati in quel luogo e
in quel tempo, che lo aveva fatto tornare uomo e l'aveva ancora una volta legato in
qualche modo a Elizabeth. Come Questor, anche lui pensava che come coincidenza
fosse un po' troppo spropositata. Aveva la sensazione che ci fosse qualche
macchinazione in atto, qualcosa che probabilmente avrebbe dovuto comprendere e
che invece gli sfuggiva. Ma per il momento era così coinvolto dalla sua
trasformazione che non riusciva a imporsi di pensare a qualcos'altro.
Si guardò nel finestrino ancora una volta e gli venne quasi da piangere. Non aveva
forse il diritto di assaporare quella gioia per qualche altro momento? Dopo tutto,
aveva atteso per tanto tempo.
Al capolinea della monorotaia scesero, ed entrarono in un alto edificio circondato da
altri edifici altrettanto alti, il tutto a formare un complesso molto imponente, quasi
schiacciante, e da lì fecero delle scale (alcune delle quali mobili) fino a una stazione
sotterranea, dove presero un autobus. Questor non sapeva niente neanche di autobus,
così Abernathy si azzardò a spiegare come funzionavano e sbagliò tutto. Elizabeth
ridacchiò e li corresse tutti e due. Ormai erano abbastanza lontani da Bumbershoot
perché la gente cominciasse a notare il loro abbigliamento alquanto strano: Questor
nella sua tunica grigia a quadrettoni cuciti assieme con le sue fusciacche dai colori
sgargianti, e Abernathy nella sua mantella da viaggio a righe cremisi con gli orli
argentei; ma nessuno fu così scortese da dire qualcosa. L'autobus percorse un primo
tratto sottoterra, fermandosi due volte, e poi sbucò all'aperto da una galleria,
tuffandosi nella luce del sole del tardo pomeriggio. Erano su una strada intasata di
altri veicoli sparsi anche su altre corsie che si perdevano in lontananza. Procedevano
tutti con una certa lentezza. I tre erano seduti nel retro dell'autobus e guardavano fuori
dai finestrini, e per qualche tempo nessuno disse granché.
-Ben Holiday e Willow stanno bene?-chiese infine Elizabeth rivolta ad Abernathy.
Lui rispose di sì. Poi le disse di Mistaya. Una cosa ne richiamava un'altra. Quando
vide che Questor non gli lanciava occhiate particolari a suggerirgli cautela,
Abernathy andò avanti a raccontare della Strega del Crepuscolo e dell'attacco alla
carovana che era stata organizzata per accompagnare la ragazzina da suo nonno.
Teneva la voce bassa così da non farsi sentire dalle persone sedute accanto. Non che
fosse tanto probabile che quello accadesse, con tutto il rumore che faceva l'autobus.
Le raccontò di come avessero pensato che la loro fine fosse giunta quando la Strega
del Crepuscolo aveva evocato la sua formidabile magia, per poi ritrovarsi
inesplicabilmente nel vecchio mondo dell'Alto Signore, a Seattle, al Bumbershoot. Il
resto era noto anche a lei.
-E' tutto molto strano-disse lei alla fine.-Mi chiedo come abbiate fatto a finire
quaggiù.
-Effettivamente-disse Questor Thews, senza guardare.
- Mi piacerebbe vivere nel vostro mondo-esclamò la ragazza improvvisamente.Succedono sempre tante cose.
Abernathy la guardò sorpreso, poi distolse rapidamente lo sguardo.
Rimasero sull'autobus fino alla fermata di Woodinville, poi scesero e percorsero un
bel pezzo di strada a piedi in campagna. Case e traffico svanirono in lontananza, il
tempo rinfrescò, e il sole calò verso le montagne che si stagliavano all'orizzonte. La
campagna era ondulata e boscosa attorno a loro, piena di odori pungenti e del canto
degli uccelli. La strada che seguivano correva diritta e senza impedimenti a perdita
d'occhio, assolutamente deserta.
-Vi devo parlare della signora Ambaum-disse Elizabeth dopo un po'. Aveva la faccia
tutta tirata, com'era sua abitudine ogniqualvolta doveva affrontare un argomento
spinoso.-E' la governante. Vive con noi. Papà è spesso via da casa, e lei bada a me
quando lui non c'è. E' abbastanza simpatica, ma pensa che tutti i ragazzi (cioè io e
chiunque abbia meno di ventun anni o giù di lì) non possano stare lontani dai guai.
Non che pensi che noi andiamo a cercarceli; semplicemente è convinta che non
possiamo evitarli. Così passa un sacco di tempo a studiare il modo di tenermi tappata
in casa, per la mia sicurezza. Ha avuto quasi un collasso quando le ho detto che
andavo con l'autobus al Bumbershoot, ma papà le aveva detto che non c'era
problema, e quindi non ha potuto fare molto. Comunque, faremo bene a propinarle
una storia credibile sul vostro luogo di provenienza, altrimenti avremo dei guai.
-La verità non funzionerebbe, suppongo?-chiese Questor.
Elizabeth sorrise.-La verità la farebbe andar fuori di testa.
-Potremmo cercarci un altro posto, se ci sono tanti problemi- propose Abernathy.
-Come no, potremmo stare in una stalla, o forse anche fuori, nei campi-dichiarò
Questor, lanciandogli un'occhiata non proprio benevola.-Davvero, Abernathy.
-No, no, dovete stare da me-insisté in fretta Elizabeth.-Abbiamo un sacco di spazio.
Ma ci serve una storia per la signora Ambaum. Che ne dite di questa? Abernathy, tu
puoi essere mio zio, che è venuto a trovarmi da Chicago. E Questor Thews è un tuo
amico, un professore di... geologia. Siete alla ricerca di fossili. No, dovete partecipare
a un convegno sulle specie estinte che si tiene all'Università, e siete passati a salutare
papà, non sapendo che è fuori città, e io vi ho chiesto di restare da noi. Ecco, questa
dovrebbe funzionare.
-Ci affidiamo a te-annunciò Questor Thews. Sorrise coraggiosamente.-Se avremo
fortuna, la nostra visita sarà breve.
-Io scommetto di no-disse Elizabeth, e nessuno dei suoi compagni se la sentì di
contraddirla.
Dopo un po' arrivarono a una casa di due piani, defilata dalla strada in un boschetto di
abeti e cornioli, circondata interamente da aiuole, il vialetto ornato di petunie e il
cortile costellato di rododendri. L'edificio aveva le pareti in legno ed era dipinto di
bianco con decorazioni di un blu intenso. Fioriere traboccanti di fiori abbellivano la
facciata, e un patio coperto con varie sedie a dondolo correva per tutta la sua
lunghezza. Diversi abbaini sporgevano dal tetto spiovente, con le finestre dalle
tendine colorate, e massicci comignoli in pietra prolungavano i muri sia sul fronte che
sul retro. La luce del sole colpiva a sprazzi la casa e il cortile, filtrando tra gli alberi, e
un gatto bianco e arancione comparve alla vista per poi sparire in un intrico di
cespugli. Elizabeth li condusse lungo il vialetto fino alla porta e suonò il campanello.
Non ci fu risposta. A quanto sembrava, la signora Ambaum era uscita. Elizabeth ficcò
una mano in tasca e tirò fuori una chiave, aprì la porta e li fece entrare.
-Dovremo trovare una spiegazione anche per il fatto che non avete bagagli-dichiarò
una volta che si fu assicurata che la signora Ambaum era effettivamente uscita.Questo potrebbe essere più difficile di quanto sembri.
Mostrò loro la camera da letto al secondo piano che li avrebbe ospitati, poi li portò
dabbasso in cucina, li fece accomodare al tavolo della colazione e si mise a preparare
dei panini. In breve tempo poterono mangiare. Sia Abernathy che Questor si resero
conto di aver più fame di quanto avessero pensato, e consumarono velocemente tutto
ciò che era stato loro servito.
Quando ebbero finito, mentre il giorno cominciava già a sfumare nell'imbrunire,
presero a parlare di ciò che era successo. Rimasero seduti a tavola, con la sedia ben
accostata, appoggiando braccia e gomiti sul piano di legno lucido, le mani intrecciate
davanti a loro o messe a coppa sotto il mento, un terzetto meditabondo anche se
perplesso.
-Be', possiamo essere certi almeno di questo, io credo-dichiarò Questor Thews
aprendo la discussione.-La Strega del Crepuscolo aveva intenzione di provocare la
nostra distruzione, e non di spedirci su questo mondo. Noi ci troviamo qui, perciò, a
dispetto dei suoi sforzi, e non a causa di essi.
-D'accordo, sì, naturalmente-approvò con impazienza Abernathy.-Fin qui ci eravamo
già arrivati, mago. Dicci qualcosa di nuovo. Cosa dici di me, per esempio?
-Tu fosti trasformato in quello stesso momento. Trasformato di nuovo in un uomo e
poi mandato qui, con me.-Questor si strofinò i baffi, aggrottando profondamente la
fronte.-In qualche modo, è tutto collegato, non credi?
-Non so cosa pensare-ammise Abernathy.-Che cosa intendi con "tutto collegato"?
Questor inalberò le dita davanti alla faccia.-Noi dobbiamo presumere, come dicevo
prima, che ci sia stato un intervento magico inteso a impedire che la strega ci
distruggesse. Un intervento di chi, allora? Potrebbe essere venuto dagli esseri fatati,
forse dallo stesso Signore del Fiume, che tentava di salvare sua nipote. Oppure
potrebbe essere venuto dalla Madre Terra; è sempre stata vicina a Willow e avrebbe
tutti i motivi per voler proteggere la figlia della sua amica.
Abernathy corrugò la fronte.-Nessuna delle due ipotesi mi sembra pienamente
plausibile. Se il Signore del Fiume o la Madre Terra tenevano sotto controllo
Mistaya, come avrebbe fatto, innanzitutto, la Strega del Crepuscolo a minacciarci
così da vicino? Comunque, io non ho visto niente che autorizzasse a pensare che
Mistaya fosse in procinto di essere salvata, quando noi siamo scomparsi.
-E' vero, non è convincente-ammise Questor.
Elizabeth, che era stata ad ascoltare attentamente, ma senza intervenire, disse:-Non
potrebbe essere stata la stessa Mistaya a salvarvi? Ha della magia che può usare?
Tutti e due la guardarono, considerando la possibilità.-Un'idea eccellente, Elizabethdisse Questor dopo un momento.-Ma Mistaya, ammesso che possieda un qualche tipo
di magia, non è esperta nel suo uso, mentre la magia che ha potuto deviare o
modificare quella della strega era sofisticata e usata con maestria.
-Inoltre-intervenne Abernathy-Mistaya stava ancora dormendo. L'ho visto quando
l'ho guardata per vedere se le avevano fatto del male. Dormiva come se niente fosse
accaduto. Io penso che la strega potrebbe aver operato un incantesimo per impedirle
di svegliarsi.
-Possibile senz'altro-approvò Questor. Si appoggiò allo schienale e strinse le labbra.Bene, allora. Qualche altra magia è intervenuta e ci ha salvato la vita. Ci ha mandato
sul vecchio mondo dell'Alto Signore, ha trasformato Abernathy e ci ha dato la
capacità di parlare e di comprendere questo linguaggio. Ma (e questo è significativo)
ci ha mandato qui, proprio nel posto dove siamo comparsi l'ultima volta, dove
Abernathy fu inavvertitamente scambiato per il Darkling, nel sito di Graum Whyte, in
quella che fu una volta la dimora di Michel Ard Rhi. E-disse accennando
eloquentemente a Elizabeth-a pochi passi di distanza da lei.
Abernathy spalancò gli occhi.-Aspetta un minuto, Questor Thews. Che cos'hai detto
un momento fa?
-Ciò che tutti abbiamo detto a un certo punto, dopo esserci incontrati al festival di
Bumbershoot: che l'essere capitati qui, nei pressi di Graum Whyte e praticamente fra
le braccia di Elizabeth, è una coincidenza troppo grossa da mandar giù. Sarei pronto a
scommettere che c'è una ragione per tutto quello che ci è successo. Chiunque o
qualsiasi cosa ci abbia salvato la vita non l'ha fatto per puro caso. L'ha fatto con
preveggenza e con intenzione. Siamo stati salvati per un motivo preciso. Siamo stati
mandati qui, nel vecchio mondo dell'Alto Signore, ma in un luogo specifico come
Graum Wythe, deliberatamente.
Fece una pausa, meditando.-Elizabeth, non hai detto che Graum Wythe esiste ancora?
-Venite a vedere-li invitò, alzandosi dal tavolo.
Li guidò dalla cucina per una porta che dava sul cortile posteriore, un prato ben
curato che si stendeva oltre una macchia di abeti fino a uno steccato. Li portò a metà
strada dallo steccato, dove gli alberi si aprivano, poi si fermò e indicò a destra. Li,
stagliato contro l'orizzonte alla pallida luce del sole calante, stava Graum Wythe. Il
castello sorgeva solitario su un'altura, circondato dalle sue mura e protetto dalle sue
torri. Stava li isolato e immutabile, nero e torreggiante contro la notte che stava per
inghiottirlo.
Elizabeth abbassò il braccio. Chiazze di luce solare comparivano a tratti tra i suoi
capelli ricci.-Ancora lì, proprio dove l'hai lasciato. Ti ricordi, Abernathy?
Abernathy rabbrividì.-Ne farei volentieri a meno, di quel ricordo. E' più minaccioso
che mai, devo dire.-Un improvviso pensiero lo gelò ancora di più.-Michel Ard Rhi
non è mica tornato, vero?
-Oh no, naturalmente no.-Elizabeth rise, disarmante.-Si è trasferito in Oregon, a
parecchie centinaia di miglia di distanza. Ha donato Graum Wythe allo Stato per
farne un museo. E' stato istituito un fondo fiduciario per amministrare la tenuta. Mio
padre è l'amministratore capo. Sovrintende a tutto. No, non preoccuparti. Michel è
scomparso da un bel pezzo.
-La mia magia ce ne diede la certezza-puntualizzò Questor Thews, piccato.
-Lo spero bene-bofonchiò Abernathy, pensando, mentre lo diceva, che la magia di
Questor Thews non aveva mai brillato per affidabilità.
Tornarono in casa e ripresero il loro posto a tavola. L'oscurità era calata, e l'ultimo
barlume di luce del giorno era svanito. Elizabeth offrì loro dei bicchieroni di latte e
un vassoio di biscotti. Questor si servì senza farsi pregare, ma Abernathy scoprì di
aver perso il suo appetito.
-Quindi niente di tutto questo è una coincidenza; fa tutto parte di qualche piano
misterioso-lo scrivano concluse dubbioso.- Quale piano?
Questor lo squadrò come se fosse uno scolaro disattento, sollevando le sopracciglia.Be', naturalmente a questo non so dare una risposta. Se lo sapessi, non avremmo
bisogno di intavolare questa discussione, non credi?
Abernathy lo ignorò.-Un intervento di magia ci ha salvato dalla Strega del
Crepuscolo e ci ha spedito nel vecchio mondo dell'Alto Signore, la Terra, ma in
particolare a Graum Wythe e da Elizabeth. -Guardò Elizabeth. Poi guardò Questor.Ancora non capisco.
-Neanch'io ne sono tanto sicuro-ammise Questor Thews.- Ma supponiamo per un
momento che l'entità che ci ha aiutato l'abbia fatto per aiutare anche Mistaya. Per
quanto ne sappiamo, nessuno sa cos'è accaduto alla bambina tranne noi. Noi
sappiamo che la Strega del Crepuscolo l'ha rapita. Sappiamo che la strega intende
usare la bambina per vendicarsi dell'Alto Signore e che Rydall di Marnhull fa parte
del suo piano. Se potessimo comunicare questo a Ben Holiday, lui potrebbe forse far
qualcosa per mandare a monte i piani della strega. Forse è questo che ci si aspetta che
facciamo. Siamo vivi e in questo luogo per una ragione specifica, Abernathy. Quale
miglior ragione che scoprire un modo per fermare la Strega del Crepuscolo prima che
porti a compimento il suo piano?
-Guerriero vivo è buono per un'altra battaglia, non è così?- sentenziò Abernathy,
grattandosi la testa con le dita invece che con la zampa posteriore, senza rendersene
neanche conto.-Forse ci hanno mandati qui semplicemente per toglierci di mezzo.
Forse il nostro salvatore dopo ha salvato anche Mistaya.
Ma Questor Thews scosse la testa energicamente.-No. No, sono quasi certo che non è
andata in quel modo. Prima di tutto, se il nostro salvatore è stato li per tutto il tempo,
a sorvegliare la situazione in attesa del momento cruciale (come dev'essere stato il
caso, visto l'intervento fulmineo) perché non ha salvato Mistaya prima? Perché
aspettare fino all'ultimo momento? Se il nostro salvatore stava sorvegliava la
situazione semplicemente per toglierci di mezzo, come dici tu, perché mandarci fin
quaggiù? Perché non rimandarci a Sterling Silver o da quelle parti? No, Abernathy,
noi siamo qui per qualche motivo, e questo motivo ha qualcosa a che fare con la
possibilità di strappare Mistaya dalle grinfie della strega.
-Tu pensi che la risposta a tutto questo si trovi a Graum Whyte, non è così?-dichiarò
Elizabeth, saltando per prima alla logica conclusione.
-E' così-confermò Questor Thews.-Graum Whyte è un vasto ricettacolo di manufatti
magici, alcuni dei quali piuttosto potenti. Uno di quei manufatti potrebbe aprirci la
strada per tornare a Landover. O fornirci qualche mezzo per neutralizzare la strega.
Rimane il fatto che senza una magia di qualche tipo, siamo intrappolati qui e
impossibilitàti ad aiutare l'Alto Signore o Mistaya. Non abbiamo modo di attraversare
le nebbie fatate. Nessuno sa dove ci troviamo. Nessuno verrà a cercarci. Io credo che
qualcuno o qualcosa si aspetti che noi troviamo la via per tornare a casa. Credo che
dobbiamo trovarla, se vogliamo che Ben Holiday e Mistaya siano salvati.
I tre si guardarono l'un l'altro, soppesando il valore delle parole del mago.
-Forse-approvò infine Abernathy.
-Non c'è nessun "forse". Graum Wythe racchiude la risposta al nostro dilemmaproseguì solennemente Questor Thews.-Ma la chiave per Graum Wythe sei tu,
Elizabeth. Noi siamo stati mandati da te perché tuo padre amministra il castello e tutti
i suoi tesori. Tu hai vissuto nel castello e le sue stanze ti sono familiari. Hai accesso a
posti che sono interdetti agli altri. Quello che ci serve è in quel castello, da qualche
parte. Ne sono certo. Non dobbiamo fare altro che trovarlo.
-Possiamo iniziare domani mattina quando il castello apre- promise Elizabeth.Questo non sarà difficile. Il peggio sarà trovare quello che vi serve senza avere la
minima idea di che cosa si tratti.
-Vero-ammise Questor Thews scrollando leggermente le spalle.
-Ma tutto questo cos'ha a che fare con la mia trasformazione da cane in uomo?-chiese
Abernathy ancora una volta.
Stava ancora aspettando una risposta alla sua domanda quando si udì il rumore di una
chiave che girava nella toppa della porta principale, e poi quello della porta che si
apriva. Tre teste si girarono come fossero una.
-Elizabeth, sei in casa?-chiamò una voce di donna.
-La signora Ambaum!-annunciò Elizabeth, facendo una smorfia.
Almeno per il momento, il quesito di Abernathy era rimasto senza risposta.
La signora Ambaum si dimostrò meno terribile di come era stata dipinta. Era una
donna massiccia e impettita con i capelli che cominciavano a ingrigirsi, dalla faccia
ambigua e dalla mente sospettosa, ma non era il tipo della maligna. Elizabeth le
sciorinò la sua spiegazione sulle circostanze della visita di Abernathy e Questor e
dell'invito fatto loro da parte della ragazza di fermarsi lì; la signora Ambaum, dopo
qualche domanda di rito e una dichiarazione formale che la sollevava da ogni e
qualsiasi responsabilità, accettò la loro presenza senza ulteriori discussioni,
ritirandosi nella sua stanza sul retro della casa per farsi una tisana e guardare la
televisione. Si astenne dal fare commenti sugli insoliti indumenti e dall'indagare sul
motivo della mancanza di bagaglio. Questor e Abernathy andarono a letto alquanto
sollevati.
Si alzarono presto al mattino, ma rimasero nella loro stanza finché Elizabeth non
andò a chiamarli. Aveva portato loro alcuni dei vestiti di suo padre, che perlopiù
erano della taglia giusta e abbastanza di moda e quindi molto meno appariscenti dei
loro. Si vestirono e scesero per la colazione. Elizabeth li informò che la signora
Ambaum era già uscita per andare a passare la giornata da sua sorella. Mangiarono in
fretta, ansiosi di intraprendere la loro ricerca a Graum Wythe, poi misero a posto i
piatti e uscirono con Elizabeth che faceva strada.
Era una giornata splendida, soleggiata e senza una nuvola. Gli uccelli cantavano sugli
alberi, e l'aria era pregna del profumo di fiori e abeti. Tutti e tre sorridevano
amabilmente mentre lasciavano la casa e percorrevano il vialetto fino in fondo al
giardino, per poi svoltare a sinistra e imboccare la strada che menava al castello.
Elizabeth prese a braccetto Abernathy, sorridendo con aria di cospirazione.
Abernathy stava tutto rigido e imbarazzato.-Stai veramente bene con i vestiti di papàgli disse lei.-Molto distinto. Dovresti vestire sempre così.
-Dovrebbe anche sorridere un po' di più-aggiunse Questor Thews d'impulso.
-E' così incredibile, Abernathy, che tu sia di nuovo qui-proseguì la ragazza,
stringendogli affettuosamente il braccio.-Guardati, guardati un po'! Chi potrebbe
credere a una cosa simile? Non è meraviglioso? Non sei felice?
-Molto-riconobbe Abernathy, sfoderando la sua migliore espressione facciale, benché
si stesse ancora chiedendo quale sarebbe stato il prezzo da pagare per la sua
sconvolgente, ma ancora inspiegabile, trasformazione. C'era sempre un prezzo per
quel genere di cose. Riandò col pensiero ai cristalli dell'occhio della mente di Horris
Kew. Un prezzo, sempre.
Elizabeth indossava una maglietta a maniche corte grigio-celeste che diceva qualcosa
a proposito dei rifiuti di Seattle, un paio di jeans, e delle consunte scarpette da tennis.
I suoi capelli erano scarmigliati ad arte, e si era truccata con ombretto viola per gli
occhi e rossetto color magenta scuro per le labbra. Abernathy pensò che era cresciuta
terribilmente in fretta, ma se lo tenne per sé.
-Hai una famiglia?-gli chiese lei tutt'a un tratto.-Una moglie e dei figli?
Lui scosse la testa, come un bambinetto avvilito.
-Tuo padre e tua madre?
-Li ho persi tanti anni fa.-Se ne ricordava appena.
-Fratelli e sorelle?
-No, ho paura di no.
-Mmm. E' piuttosto triste, non credi? Forse dovrei adottarti!- Fece un sorriso
smagliante.-Scherzo. Ma tu potresti veramente far parte della mia famiglia, visto che
è così piccola e potrebbe acquisire un altro membro, o anche due. Cosa ne dici?
Un'adozione non ufficiale, d'accordo?
-Grazie, Elizabeth-replicò lui, ed era davvero commosso.
Caracollavano lungo la strada, il vecchio con barba e capelli di un bianco elettrico, il
giovane con occhiali senza montatura e lo sguardo pensoso, e la ragazza dai riccioli
che sembrava la loro accompagnatrice, alla volta di Graum Wythe come Dorothy e i
suoi compagni alla Città di Smeraldo di Oz. Tranne che, naturalmente, Graum
Wythe, per quanto imponente e simile a un castello, non aveva nient'altro in comune
con la Città di Smeraldo. Non era verde o luminoso, ma grigio-pietra e tetro. Nessuna
strada dai mattoni gialli portava alla sua entrata, solo asfalto. Nessun campo di
papaveri circondava le sue mura, anche se le sue vigne coltivate mostravano ancora
qualche tocco di verde. Era medievale e aveva l'aspetto di una fortezza, senza
stendardi a garrire sui bastioni, soltanto con le bandiere degli Stati Uniti e dello stato
di Washington a segnalare il suo ingresso.
Comunque, né Abernathy né Questor Thews sapevano niente di Oz e della Città di
Smeraldo. Se avessero dato il minimo peso alla questione, probabilmente non
avrebbero potuto fare a meno di mettere a confronto il grigiore di Graum Wythe con
lo splendore di Sterling Silver, per esempio. In realtà, stavano pensando a tutt'altro.
Abernathy stava cercando di figurarsi cosa sarebbe stata la sua vita adesso che non
era più un uomo in forma di cane, ma un uomo reale. Cercava di immaginare se
stesso nel suo nuovo ruolo alle prese con le più svariate situazioni. Questor Thews,
d'altra parte, stava rimuginando sulla domanda della sera prima formulata dal suo
amico, e cioè che cosa avesse a che fare la sua trasformazione con il loro arrivo nel
mondo dell'Alto Signore, e sperava che i suoi sospetti, ancora non espressi, si
dimostrassero infondati.
Il piccolo gruppo giunse al basso muro di pietra che cingeva il castello e varcò i
cancelli di ferro aperti, fino al ponte levatoio. Graum Wythe si ergeva davanti a loro,
un grappolo poderoso di torri e merlature. Il ponte levatoio era abbassato e la
saracinesca sollevata, così s'inoltrarono nell'ombra delle mura, attraverso il cancello
d'ingresso, per ritrovarsi all'aperto, nel parcheggio del castello. Graum Wythe
sembrava totalmente deserta. Un'unica macchina era posteggiata in fondo al
parcheggio riservato ai visitatori. La bancarella dei souvenirs, ricavata in quella che
era stata una guardiola, era chiusa e sbarrata. Graum Wythe sembrava deserta.
-E' tutto a posto-assicurò Elizabeth ai suoi compagni.-Il museo non è ancora aperto al
pubblico, ma noi possiamo entrare.
Li guidò attraverso il parcheggio e su per le scale che conducevano al portone
principale fasciato di ferro. Picchiò il pesante battente sulla sua placca e attese. Un
momento dopo la porta si aprì, e un uomo che lei salutò come Harvey, avendola
riconosciuta, sorrise e li lasciò entrare. Si trovarono nello stesso atrio dove parecchi
anni prima Ben, Willow e Miles Bennett (il vecchio socio nell'ufficio legale di Ben,
reclutato di forza per l'occasione) tutti e tre vestiti per la notte di Halloween, avevano
organizzato la fuga di Abernathy dalle segrete di Michel Ard Rhi. Abernathy si
guardò intorno con un po' di magone, ma la minaccia di Michel e delle sue guardie
era svanità ormai da tempo e l'atrio stesso presentava delle nuove decorazioni che
includevano tappezzerie vivaci, chioschi di opuscoli e un banco di accettazione che
Harvey presidiava. Dopo aver fornito ad Harvey la stessa spiegazione su Questor e
Abernathy che aveva dato con successo alla signora Ambaum, e dopo aver scambiato
qualche convenevole con lui, Elizabeth condusse il mago e lo scrivano nelle viscere
del castello.
Passarono il resto della giornata a cercare. La loro ricerca fu limitata in un primo
tempo ai corridoi e alle stanze aperte al pubblico, e quindi ai manufatti e alle
suppellettili in esposizione. La maggior parte degli oggetti fu da Questor Thews
riconosciuta per quel che era. Quasi nessuno di essi possedeva magia propria. Ma
alcuni di essi sì, e un paio di volte il mago si sentì obbligato a esprimere la sua
riprovazione sulla scelta inopportuna di esporre questo o quell'oggetto al pubblico,
alla luce dei pericoli che sarebbero potuti derivare da un cattivo uso del suo
potenziale magico.
Comunque, da nessuna parte gli riuscì di trovare l'oggetto elusivo e ancora non
identificato che stavano cercando.
Si giunse a mezzogiorno passato senza alcun risultato. Consumarono il pranzo nel
piccolo punto di ristoro situato nei locali dell'antica cucina del castello. Ormai
stavano arrivando visitatori a carrettate, e autobus pieni di turisti. Gli affari stavano
decollando. Per evitare la calca, Elizabeth li condusse nelle stanze di servizio e nei
magazzini del castello, quelli tenuti chiusi al pubblico, per frugare fra quelle cose
considerate di poco conto oppure non ancora pronte per essere esposte. C'erano
cumuli di casse dappertutto, ma riuscirono comunque a tirarne giù la maggior parte
per gettare uno sguardo all'interno. Vari armadi erano ricolmi di strane rocce e
minerali, incisioni e sculture, dipinti e opere d'arte di tutti i tipi, e nessuno di quegli
oggetti sembrava in qualche modo utilizzabile.
Un'ora dopo la chiusura del castello Harvey li avvertì che avrebbero dovuto uscire e
tornare l'indomani. Riluttanti arrancarono verso casa, senza che i loro sforzi avessero
portato ad alcun risultato. Questor Thews era particolarmente frustrato.
-E' li, lo so-mormorò, scuotendo l'ispida testa canuta-Non posso sbagliarmi su questo.
E' li, ma non riesco a vederlo, ecco tutto. Tutto quello che possiamo fare è tornare
domani e ritentare. Maledizione!
Abernathy ed Elizabeth si scambiarono una rapida occhiata. Nessuno di loro si
rammaricava alla prospettiva di proseguire la ricerca il giorno dopo. Se Questor li
avesse guardati, avrebbe notato che Elizabeth teneva Abernathy per la mano. Se
avesse continuato a guardare, avrebbe notato che sul volto di Abernathy non c'era più
traccia d'imbarazzo.
9
Apparizioni
Il primo dei campioni di Rydall di Marnhull apparve esattamente come promesso tre
giorni dopo che Ben Holiday ebbe accettato la sfida del Re.
Al sorgere del sole, era già in attesa fuori dei cancelli di Sterling Silver, una figura
forte e solitaria ferma all'imbocco del ponte, che fissava il castello. Era un uomo di
grosse dimensioni e di evidente possanza fisica. In una terra dove i guerrieri
raggiungevano spesso i due metri e dieci di altezza, quest'uomo arrivava facilmente ai
due e quaranta. Era un gigante dal torso massiccio, le spalle ampie e le gambe come
tronchi d'albero, coperto di pelli di animale legate con stringhe di cuoio sul corpo
muscoloso. Gli stivali legati agli schinieri arrivavano a metà coscia, e fasce borchiate
di protezione per i polsi erano allacciate ai guanti di cuoio. Una barba nera e una
capigliatura folta e ruvida oscuravano buona parte della faccia, ma i suoi occhi erano
ben visibili, scintillanti alla luce del sole nascente.
Non aveva che un'arma, una mazza di legno segnata dalle battaglie, fasciata da strisce
di ferro battuto.
Ben Holiday stava con Willow e Bunion sui bastioni del castello e osservava il
campione di Rydall. Il suo arrivo non era una sorpresa, naturalmente. Sin da quando
Mistaya era scomparsa con Questor Thews e Abernathy, Ben si era convinto che
Rydall faceva sul serio. Di fatto, nessuno aveva mai sentito parlare di lui o di
Marnhull, o aveva la minima idea del suo luogo di provenienza e del suo attuale
rifugio; nessuno sapeva (ed era questa la cosa più importante) che fine avessero fatto
la figlia di Ben e i suoi amici. Ma tutto questo non sminuiva affatto la certezza e la
portata della sua minaccia. Usando l'Osservatorio, Ben aveva perlustrato Landover da
un capo all'altro per tutti e tre i giorni concessigli dopo la partenza di Rydall, e aveva
trovato esattamente... nulla. Non v'era traccia di Rydall, nessuna traccia del suo
passaggio, e nessun indizio utile a scoprire dove diavolo potesse essersi cacciato.
Anche Bunion si era messo alla ricerca, sfruttando la sua velocità di coboldo e i suoi
straordinari poteri nel seguire le tracce. Anche lui aveva fallito. Alla fine, un'unica
soluzione appariva possibile, benché improbabile: in qualche modo il Re di Marnhull
era effettivamente riuscito a penetrare le nebbie fatate da una terra esterna. Dopo aver
fatto questo, aveva catturato Mistaya e le sue guardie, inclusi Questor e Abernathy,
ed era tornato indietro per la stessa strada, lasciando a Ben Holiday l'onere di
raccogliere la sfida che lui gli aveva lanciato, combattendo da solo contro i sette che
sarebbero venuti per distruggerlo.
Ben scosse la testa, rassegnato. Si era svegliato poco dopo la mezzanotte, e non si era
più riaddormentato, agitato per l'arrivo di questo primo distruttore. Non era spossato,
neanche un po' stanco, soltanto triste. Era costretto a combattere contro questa
creatura, chiunque o qualunque cosa fosse, e probabilmente a distruggerla. L'avrebbe
fatto nelle vesti del suo alter ego, il Paladino, ma questo non toglieva che lui sarebbe
stato comunque ancora una volta il guerriero e forse l'uccisore. Avrebbe dovuto
subire l'ineluttabilità della sua trasformazione nel guerriero dall'armatura che
proteggeva i Re di Landover, una trasformazione che temeva e detestava, perché ogni
volta accadeva che un pezzetto in più della sua persona scivolasse nell'abisso di
oscura follia che avviluppava la vita del Paladino. Guerriero e cavaliere errante,
protettore e campione, il Paladino era prima di tutto un distruttore al quale nessun
uomo sano di mente avrebbe mai voluto essere legato. Ma Ben Holiday lo era. E lo
sarebbe stato per sempre, da ora fino alla fine.
Ma fui io a fare questa scelta quando rinunciai alla mia vecchia vita per questa nuova,
si redarguì. La decisione è stata mia.
-Forse potremmo limitarci a ignorarlo-disse Willow pacata. Ben le diede un'occhiata,
ma lei teneva gli occhi fissi sul gigante.- Se teniamo i cancelli sbarrati, cosa può fare?
Potrebbe stancarsi di star lì fuori. Il tempo è dalla tua parte, Ben. Lascialo stare.
Ben ci pensò su. Poteva farlo. Poteva lasciare il gigante dov'era e stare a vedere cosa
succedeva. Non era una cattiva idea, anche se poteva rappresentare un problema per
chi volesse uscire dal castello o entrarvi. Ma una decisione del genere non
contribuiva certo a dare lustro alla sua immagine di Re. Lo relegava al ruolo di
prigioniero nel suo stesso palazzo.
-Non ha fatto richieste?-chiese Ben a Bunion, ancora soppesando le possibilità.
Il coboldo cinguettò sommessamente. No, il gigante non aveva parlato.
-Bene.-Ben serrò le labbra.-Lo faremo aspettare un po'. Facciamo prima colazione,
adesso che sappiamo che lui è qui. Poi vedremo.
Fece per andarsene e all'improvviso il braccio del gigante si levò per puntarsi
direttamente su di lui. Non era possibile fraintendere il gesto. Non voltarti, diceva.
Non mostrarmi la schiena.
Ben fece dietrofront e tornò sulle mura. Il braccio si abbassò, e il gigante riprese la
sua posizione di attesa, con una mano posata sulla cintola e l'altra sull'impugnatura
del massiccio randello. Gli strani occhi lampeggiavano. L'imponente figura sembrava
scolpita nella pietra.
-Sembra che non approvi la tua idea, Willow-mormorò Ben, sentendo la mano della
donna chiudersi sulla sua. Poteva immaginare cosa stesse pensando: sta' attento. Non
reagire alle sue provocazioni. Non farti trascinare nella lotta se non sei pronto.
Non gli disse: "Non andare". Sapeva che era suo dovere. Sapeva che lui non poteva
evitare quel confronto e tutti quelli che sarebbero seguiti, se volevano rivedere viva
Mistaya. Odiava quella situazione tanto quanto lui, ma ambedue avevano capito, nel
momento in cui Rydall era venuto ad annunciare la scomparsa della loro figlia, che
erano ormai intrappolati in quel gioco mortale, e che in qualche modo dovevano
riuscire a vincere.
-In cosa consiste la sua forza?-chiese lei all'improvviso, indicando il gigante con un
gesto irritato della mano.-E' grosso e forte, ma non può stare alla pari del Paladino.
Perché hanno mandato lui?
Anche Ben si era posto quella domanda. Il Paladino era meglio armato e protetto.
Come poteva quel gigante sperare di sconfiggerlo?
Al suo fianco, Bunion cinguettò sommesso. Voleva andar giù e saggiare la forza del
gigante, per vedere quale fosse il suo potenziale, per trovare il suo punto debole. Ben
scosse la testa. Non avrebbe rischiato la vita di nessuno, fuorché la propria, in quella
lotta contro Rydall. Non quando le vite di Mistaya, di Abernathy e di Questor erano
già minacciate.
-Ci proibisce di lasciare le mura-disse alla fine Ben.-Cosa accadrà se disobbediremo?
Forse dovremmo provare. Bunion, sta' pronto e sorveglia la situazione.
Tenendo stretta la mano di Willow, si allontanò dalle mura e andò fino alle scale
scoperte che scendevano a chiocciola attorno alla torretta di guardia per portare nel
cortile sottostante. Non erano neanche al secondo scalino quando Ben sentì il sibilo di
avvertimento di Bunion.
Il gigante stava cominciando a brillare come un miraggio nel calore del mezzogiorno
estivo. L'aria tutt'attorno era quasi liquida, e i colori dell'iride si sgranavano sulla sua
superficie come foglie d'autunno dietro un vetro.
Ben indugiò, in attesa. Poi Bunion sobbalzò e guardò rapido Ben.
Il gigante era scomparso!
Ben guardò il coboldo, incerto sul da farsi, poi si avviò ancora una volta verso di lui,
per vedere di persona. Nello stesso momento udì il singulto di Willow. Girò su se
stesso e seguì lo sguardo di lei fino al cortile giù in basso. Soldati e domestici
fuggivano da tutte le parti, mentre la luce riempiva il centro del cortile in uno
sfolgorio di colori accecanti.
Il gigante ricomparve, venuto fuori dall'aria, giunto adesso fra le mura stesse del
castello. Sorse dal nulla, immane e tenebroso. L'enorme mazza riposava sulla sua
spalla, e attorno a lui c'era un'aura minacciosa. Un drappello di guerrieri si
avvicinarono cauti, frapponendosi tra il gigante e il loro Re. Erano già sul punto di
scontrarsi.
Ma Ben sapeva che non poteva permetterlo.
-Fermatevi dove siete!-gridò.
I soldati lo guardarono impazienti. Anche lo sguardo del gigante si levò.
Ben sentì Willow lasciare la sua mano, ma non poté risolversi a guardarla. Ficcò una
mano nella tunica e ne estrasse il medaglione dei Re di Landover, il talismano che li
proteggeva dai pericoli. Tenendola in alto così che catturasse i raggi del sole, evocò
riluttante il Paladino.
Una bianca luce brillante sfolgorò istantaneamente ai piedi delle scale della torre di
guardia, e da quella luminosità emerse il Paladino. Era a piedi, e armato del suo
spadone già sguainato e di una mazza ferrata appesa alla cintura. Era protetto da
un'armatura argentea, luccicante ai raggi del sole di mezzogiorno.
Ben avvertì istantaneamente un collegamento fra loro due, come di serrature che
scattassero alla perfezione, un'immagine che andava formandosi nella sua mente, una
strana combinazione di fuoco e ghiaccio che si fondevano per dare origine a qualcosa
di totalmente diverso. Fasci di sensazioni e pensieri cominciarono a legarli, a unirli
fino a farli diventare uno. Ben fu portato dal suo corpo fin nell'armatura del Paladino
su un'onda di luce. Si trovò come incastonato nell'altro, stretto da dozzine di mani,
avviluppato e racchiuso nel ferro, tutt'uno con le armi del suo protettore. Fu
sommerso da ricordi di battaglie combattute e vinte lungo il corso di mille vite.
Sprofondò in tempi e luoghi arcaici, quasi dimenticati. S'incarnò nella sua altra
persona, e quella persona si erse nella furia assetato di sangue per affrontare il gigante
di Rydall.
Si scontrarono con irruenza, nel clangore e nello stridio delle armi, metallo contro
legno ferrato che cozzavano: per una attimo le armi parvero immobilizzarsi una
contro l'altra, poi scivolarono via. I due si staccarono con un grugnito, e quindi si
urtarono di nuovo con fragore. Il gigante era possente e determinato, e si serviva della
sua forza terrificante e delle sue membra poderose per schiacciare la sua preda. Ma il
Paladino aveva troppa esperienza di battaglie per lasciarsi sopraffare così facilmente.
Un momento dopo sbilanciò il gigante da un lato, facendogli cadere il randello dalle
mani, e poi lo gettò a terra.
Il gigante cadde pesantemente, ruzzolò per scansare la lama della spada che
incombeva su di lui, e balzò di nuovo in piedi, senza un graffio e con la mazza già
pronta nelle mani. Si scagliò fulmineo sul Paladino. Il Paladino parò un altro colpo
mostruoso e colpì il gigante su un lato della testa. Il gigante stramazzò e ruzzolò via,
con il sangue che imbrattava la terra polverosa nel punto della sua caduta.
Poi si rimise ancora una volta in piedi: il sangue si stava asciugando e la ferita già si
rimarginava. Per la prima volta il Paladino esitò. Il gigante doveva essere ferito, ma le
sue ferite erano guarite immediatamente. Ogni colpo avrebbe dovuto rallentarne lo
slancio o indebolirlo; e invece non era così.
Il gigante attaccava di nuovo, adesso ancora più forte di prima, scagliandosi sul
Paladino con tale veemenza che il campione del Re fu spinto all'indietro, contro il
muro del castello. Il gigante lo inchiodò li, strappandogli la spada e puntandogli la
terribile mazza sotto il mento per spezzargli il collo. Il Paladino cercò di svincolarsi
dalla stretta mortale e non ci riuscì. Il gigante grugniva nello sforzo di spingere la
mazza contro il collo del Paladino. Gli occhi scuri scintillavano. Il grande corpo
ansimava poderoso. Il respiro del Paladino non trovava sbocchi. Non riusciva a
liberarsi dalla stretta.
Disperato, sferrò un pugno con le mani guantate di ferro all'addome del gigante, con
tutta la forza. Il gigante grugnì di dolore. Il Paladino lo colpì di nuovo, questa volta
nella giuntura delle costole. Il gigante indietreggiò, stringendosi la parte dolorante, e
lasciò andare la mazza. Il Paladino lo colpì ancora, questa volta proprio in mezzo agli
occhi. Il gigante ruzzolò all'indietro e crollò al suolo.
Ma poi, inverosimilmente, si rimise in piedi, saldo come se non fosse mai caduto,
agitando bellamente la mazza mentre tornava ad avanzare. Il Paladino aveva perso la
spada, e allora impugnò la mazza che portava legata alla cintura. Era più corta del
randello del gigante, ma altrettanto mortale. Eppure, non c'era arma che potesse
eguagliare la rapidità con cui il gigante si riprendeva ogni volta che veniva abbattuto.
Era come se a ogni colpo acquistasse nuova forza.
Il gigante attaccò di nuovo il Paladino, martellando il suo corpo corazzato con colpi
così poderosi che fecero schizzar via la mazza come fosse un giocattolo. Il Paladino
si avvinghiò al suo avversario, balzando all'interno del micidiale raggio d'azione del
randello. Serrando le braccia attorno al corpo gigantesco, lo sollevò per poterlo
scaraventare al suolo. Il gigante ruggì di sgomento. L'attacco portato in questo modo
evidentemente lo metteva in difficoltà. Il Paladino strinse più forte. Insieme, i
combattenti barcollarono attraverso il cortile, rantolando e tendendosi nello sforzo
della lotta. Il gigante, che non aveva più la sua clava, tentava di svincolarsi,
picchiando con le braccia massicce sul corpo corazzato del Paladino. Ma il Paladino
aveva scoperto qualcosa di utile. Quando sollevava il suo avversario, il gigante
s'indeboliva visibilmente. Il suo attacco perdeva di furia e intensità. Ululava per la
palese inferiorità. Voleva essere rimesso giù, e allora il Paladino si sforzò di tenerlo
sollevato, per spezzare il suo contatto con la terra, perché era dalla terra, com'era
ormai chiaro, che il gigante traeva la sua forza.
Infine il Paladino portò il gigante presso gli scalini della torre di guardia e lo gettò
sulla pietra. Il gigante scalciava e si divincolava per ruzzolare dalle scale fino alla
terra del cortile, ma il Paladino teneva duro e non gli consentiva di liberarsi. Il
gigante ruggì di nuovo, e ora il sangue gli sgorgava dalle nari e dalla bocca, colando
dalle ferite a ogni movimento. Il Paladino spinse il suo avversario ancora più su per le
scale, allontanandolo ulteriormente dal terreno del cortile, ed esso crollò con un
improvviso, convulso rantolo. Ancora per qualche altro gradino il Paladino sospinse
il grosso corpo, e adesso il gigante non poteva più respirare. Le sue braccia ricaddero,
e le gambe giacquero scomposte di traverso per le scale.
Il Paladino lo tenne li, inchiodato e impotente, finché non fu morto. Quando la vita lo
abbandonò, il gigante si mutò in polvere.
Più tardi, quando il Paladino fu svanito e Ben fu tornato in se stesso, si chiese se
avrebbe potuto risparmiare la vita del gigante. Non era una questione semplice da
risolvere. C'era il problema di sapere se il Paladino gliel'avrebbe permesso, poiché
quando Ben era il Paladino, era soggetto all'etica e alle regole di vita del cavaliere, ed
esse erano estremamente diverse dalle sue. Il Paladino non aveva alcun interesse a
tenere in vita un nemico. I nemici dovevano essere uccisi rapidamente e senza alcun
rimorso. Ben non era certo di poter esercitare controllo sufficiente sul suo alter ego
per consentirgli anche la minima considerazione di pietà per la vita di un nemico.
C'era anche il problema di sapere se il gigante si sarebbe dimostrato riconoscente o se
avrebbe disprezzato la compassione al pari del Paladino e avrebbe continuato a
combattere fino alla morte. C'era infine il problema di sapere se il gigante stesso fosse
reale. Alla morte si era ridono in polvere, e le creature in carne e ossa non si
disintegravano con quella velocità. Sembrava probabile che il gigante fosse una
creazione magica e che la sua distruzione fosse inevitabile a confronto di una magia
più potente.
Tutte queste considerazioni non contribuivano affatto ad alleviare il senso di disagio
che Ben provava per quel che aveva dovuto fare. La responsabilità di aver ucciso il
gigante non veniva diminuita dal fatto che esso potesse essere qualcosa di diverso da
un uomo mortale. La sua morte era stata più che reale, ed era dovuta alle mani di
Ben. Poteva ancora sentire gli sforzi del gigante affievolirsi mentre lo teneva
inchiodato sui gradini della torre. Non avrebbe mai più dimenticato gli occhi dell'altro
mentre la vita li abbandonava.
Tornò in camera da letto con Willow e dormì un po', tentando di sfuggire a
quell'esperienza. Lei vegliò sul suo riposo, stesa accanto a lui sul letto, passando le
mani fresche sul petto e sulle braccia di lui, sussurrando con voce dolce e
consolatoria. Ben non sapeva come avrebbe potuto vivere senza di lei, tanto gli era
vicina, tanta parte rappresentava nella sua vita. Se il Paladino era il suo lato oscuro,
lei senza ombra di dubbio ne era il lato più luminoso. Era una creatura solare; questo
gli infuse coraggio, e Ben si addormentò nel calore e nella pace.
Quando si svegliò, era mezzogiorno. Allora mangiò, affamato e desideroso di
dedicarsi alle questioni che richiedevano la sua attenzione. Non parlò a Willow di
quanto era accaduto. Non le aveva mai detto la verità sul Paladino (in effetti, non
l'aveva mai detto a nessuno). Solo lui sapeva che il Re di Landover e il suo campione
erano due in uno, indissolubilmente legati dalla magia del medaglione,
irrevocabilmente avvinti nella difesa del reame. Solo lui sapeva che quando il
Paladino appariva, quell'altro veniva sommerso, il primo soppiantava e reprimeva il
secondo, ed era dominatore. Ma diventava sempre più difficile per Ben tenere segreta
questa cosa a sua moglie. Lo sforzo di ricomporsi dopo ogni trasformazione, di
mantenersi integro mentre brandelli di se stesso venivano strappati via, cominciava a
diventare evidente. Non poteva evitare il fatto che quando era il Paladino si gloriava
della potenza della magia che lo trasformava e non voleva ritornare a essere quello di
prima. Un giorno, temeva, avrebbe finito per soccombere al suo incantesimo.
Le visite al castello includevano una delegazione di membri del comitato di riforma
agraria, che lui aveva nominato sovrintendenti nel quadro di ristrutturazione per
l'applicazione delle tecniche agricole e di irrigazione in varie parti del regno,
particolarmente nelle aride Lande Orientali, e lui ebbe un lungo convegno con loro
per discutere dei progressi da loro compiuti nel convincere i Signori delle Pianure a
fornire manodopera e materiali per il suo progetto. Gli esiti del convegno furono
contraddittori, ma abbastanza incoraggianti, tanto da convincerlo a programmare una
visita ai pochi che ancora
si mostravano recalcitranti; uno di costoro, fatto notevole ma non sorprendente, era
Kallendbor di Rhyndweir. Kallendbor osteggiava puntualmente ogni sua proposta, e
due anni prima si era lasciato persuadere a sollevarsi in rivolta contro di lui dalle
macchinazioni di un tenebroso essere fatato chiamato Gorse. Kallendbor, senza
lasciarsi tanto pregare, aveva levato le armi contro il Re, e così Ben Holiday lo aveva
severamente punito. Un anno in esilio e la perdita di certi titoli e possedimenti era
stata la punizione decretata. Kallendbor aveva accettato il verdetto senza lamentarsi,
consapevole forse che la pena avrebbe potuto (alcuni sostenevano che avrebbe
dovuto) essere molto più severa. Il suo anno di esilio era stato scontato, e alcuni dei
suoi beni e dei suoi titoli gli erano stati reintegrati. Ma lui persisteva nel suo
atteggiamento ostruzionistico e provocatorio a ogni occasione, ed era chiaro a Ben
che Kallendbor non aveva imparato praticamente nulla dalle infelici esperienze del
passato.
Dopo la riunione col comitato, Ben passò a ricevere parecchi dei suoi rappresentanti
giudiziari, cosa che richiese pochissimo tempo, dopodiché si dedicò all'esame di una
serie di documenti legali concernenti dispute sulla proprietà. Il fatto di dover sbrigare
quelle faccende senza l'abile supporto di Abernathy gli riportò alla mente il rapimento
di Mistaya. Meditò di nuovo sull'inadeguatezza degli sforzi da lui operati per trovarla,
cercando di scacciare la disperazione che l'assaliva ogniqualvolta veniva sfiorato
dall'idea di poterla perdere. Il suo odio per Rydall, già al calor bianco, crebbe a
dismisura. Che il Re di Marnhull dovesse usare sistemi così spregevoli per indurlo a
giocare quello squallido gioco di mettere in campo un campione contro l'altro, era
una cosa imperdonabile. Ma era anche sconcertante. Sembrava mancare di equilibrio;
mancava di buon senso. Qualcosa in quella storia suggeriva che c'erano più pezzi, nel
mosaico, di quanti ne vedesse Ben.
Forse avrebbe considerato la questione più a lungo, se non fosse arrivato Bunion di
gran carriera per annunciare che un altro dei campioni di Rydall era comparso.
Ben rimase sbigottito. Un secondo, così presto? Aveva appena finito di dare il fatto
suo al primo! Sembrava che Rydall avesse tutte le intenzioni di definire in fretta la
questione del trono di Landover.
Ben si diresse ai bastioni, con Bunion che faceva da battistrada. Le guardie facevano
ala al suo passaggio, pronunciando parole d'incoraggiamento e di sdegno per questa
ulteriore sfida. Ormai tutti si rendevano conto di cosa stesse accadendo, sapevano che
una forza ignota e straniera stava tentando di impadronirsi del trono. Landover era in
pace da due anni, da quando era stato sconfitto il Gorse, ma adesso c'era una nuova
minaccia. Ben accolse le parole delle guardie con un cenno del capo e con occasionali
risposte d'incoraggiamento. Fu raggiunto da Willow, con i capelli smeraldini sparsi al
vento dietro di sé e il volto meraviglioso indurito dalla sua ferrea determinazione,
mentre s'inerpicava per le scale della torre di guardia. Le Guardie del Re si stavano
assiepando in forze nel cortile, pronte a marciare. I serventi stavano apprestando una
fila di destrieri. Tutti si preparavano alla battaglia.
Ben salì sulle mura sovrastanti il ponte levatoio, con Willow e Bunion al suo fianco, e
si fermò impietrito.
In un'armatura tutta d'argento, con la lancia alzata nel saluto, un cavaliere solitario
stava in attesa all'inizio del terrapieno che conduceva al castello. Era immediatamente
riconoscibile, anche da quella distanza. Ben Holiday si ritrovò a guardare il Paladino.
Stette a guardare, ammutolito dallo shock, incapace di credere a quel che stava
vedendo. Il Paladino? Così, senza essere evocato? Era venuto a combattere contro il
suo padrone? Rydall era forse riuscito a rivoltarglielo contro?
-Questo non può essere-mormorò.
-Quello non è il Paladino.-Fu Willow la prima a dirlo.- Non può esserlo. Tu non l'hai
chiamato, e nessun altro può farlo. Questo cavaliere è un impostore, un simulatore.
Be', pensò Ben amaramente, se è una copia bisogna dire che è riuscita fin troppo
bene. Comunque, non c'era niente da fare. Si trovava a far fronte allo stesso dilemma
che gli si era presentato all'apparizione del gigante. Temporeggiare non serviva a
niente. Se si fosse rifiutato di incontrare il cavaliere all'esterno, in men che non si dica
se lo sarebbe ritrovato tra le mura del castello.
Ben poggiò le mani sulle pietre delle mura e cercò di decidere se aveva abbastanza
forza per affrontare così presto un altro scontro. Non era tanto una questione di forza
fisica, perché la sua trasformazione nel Paladino ne richiedeva molto poca, ma lo
sforzo mentale ed emotivo era tremendo. Alla fine di quest'altra battaglia, quando un
altro sfidante fosse rimasto morto sul terreno, sarebbe stata la sua psiche a essere
danneggiata dagli strali della lotta. Guardò con la faccia scura a questa nuova
minaccia di Rydall. Questa, almeno, non aveva volto, ma la prospettiva di dare
battaglia a se stesso (o a una parte di se stesso) era snervante, anche se non era una
parte reale ma soltanto qualcosa che ne aveva l'aspetto...
Diede un taglio a tutte quelle elucubrazioni. Troppe erano le minacce mortali che lo
pressavano. In questo affare non gli era concessa alcuna scelta. Se Rydall avesse
mandato altri tre campioni quello stesso giorno, lui avrebbe dovuto comunque
affrontarli tutti.
-Ben-disse Willow sommessamente, prendendolo per un braccio.
Lui annuì.-Lo so; non hai bisogno di dirmelo. Ma non posso far sloggiare quel coso
laggiù limitandomi a ignorarlo.
-Ci dev'essere un altro trucco per sconfiggerlo-disse lei- proprio come c'era per il
gigante.
Poi lo lasciò riluttante, e lui tirò fuori il medaglione. Un momento dopo evocava il
Paladino. Provò un certo senso di sollievo quando lo vide apparire in uno sfolgorio di
luce dalla foresta che iniziava dove finiva il prato; adesso poteva essere certo che il
campione di Rydall non era il vero Paladino. Il suo protettore si diresse verso
l'impostore, con la lancia in resta per l'attacco. Ben si sentì di nuovo trasportato,
questa volta assecondando il cambiamento, abituato a esso fin dal mattino,
accogliendolo quasi con piacere. L'armatura del Paladino si chiuse attorno a lui, i suoi
ricordi presero a scorrergli nel sangue, e la brama di battaglia era un torrente di calore
che scorreva impetuoso per le ossa e per i muscoli, fino al ferro delle sue armi.
Il Paladino spronò ai fianchi il suo destriero, e la bestia balzò in avanti all'attacco. Di
fronte a lui, il falso cavaliere spronò a sua volta e si slanciò nella sua direzione. Con
le lance in resta, galopparono sullo spiazzo erboso della prateria in uno strepito di
zoccoli e si scontrarono in un fracasso di ferro e di quercia spezzata, mentre tutt'e due
le lance si frantumavano.
Ancora in sella, con gli scudi che stridevano e crepitavano, i combattenti fecero
dietrofront per riportarsi in posizione d'attacco, e impugnarono le azze. Corsero uno
contro l'altro per la seconda volta, facendo roteare le armi. Il Paladino deviò la
pesante lama dell'altro cavaliere e il suo avversario fece lo stesso con la sua. Un
secondo colpo andò a segno, ma il suo avversario fece altrettanto. I cavalieri si
tempestavano di colpi a vicenda, e poi ambedue le azze si spezzarono all'impugnatura
e caddero al suolo, rotte e inservibili.
Tirando selvaggiamente le redini dei loro destrieri per portarli in posizione, i
combattenti impugnarono gli spadoni.
Una terza volta si scontrarono, con le lame degli spadoni che rosseggiavano al sole
del tramonto, armi e armature che sprizzavano scintille. I cavalli erano esausti,
soffiando e sbuffando per la fatica di portare i loro corazzati cavalieri e di assorbire
l'urto dei colpi inferti. Alla fine si accasciarono assieme, sbalzando di sella i cavalieri,
per poi rialzarsi tremanti e rimanere li con il capo abbassato e il sangue sul muso,
incapaci di andare avanti.
I Paladini gemelli si rialzarono a loro volta, con lo spadone ancora fra le mani, e
avanzarono in un attacco a piedi. Se erano stanchi, non lo dimostravano. Si portarono
l'uno verso l'altro con lucida determinazione, ed era chiaro a chiunque guardasse che
nessuno dei due avrebbe ceduto prima di aver finito l'altro.
Sulle mura del castello, Willow osservava la lotta con crescente apprensione. A ogni
colpo andato a segno, ne corrispondeva uno uguale dall'altra parte. I Paladini erano
duplicati esatti uno dell'altro, nel girarsi e caricare, nel colpire e nel parare, nel
muoversi con mosse sincronizzate in una bizzarra danza di distruzione. Presto
divenne impossibile per lei distinguere uno dall'altro. Il vero Paladino avrebbe dovuto
essere in grado di distinguersi dall'altro per la sua esperienza e la sua abilità in
battaglia, ma sembrava nell'impossibilità di farlo. Più la lotta andava avanti, più
diventava impossibile distinguere il vero dal falso. Attaccavano e si difendevano
esattamente allo stesso modo: colpo su colpo, ferita per ferita, lesione contro lesione.
Nessuna differenza nel loro aspetto, nessuna variazione nella loro strategia, nessuna
contromossa che non fosse istantaneamente imitata. Qualcosa non quadrava nella
battaglia che si prolungava, e Willow non tardò molto a rendersi conto di cosa fosse.
Il Paladino non poteva acquisire vantaggio in questa battaglia, perché stava
combattendo contro se stesso. Era come guardarsi in uno specchio, vedere la propria
immagine riflessa tornare indietro, vedere tutto ciò che si fa imitato alla perfezione. Il
riflesso si stancava e rallentava in sincronia con la persona reale, mai prima. Finché
uno rimaneva davanti allo specchio, non poteva sfuggirgli...
Si fermò di colpo. In quel momento capì qual era il segreto del campione di Rydall.
Vide anche in qual modo potesse essere sconfitto.
-Ben!-urlò al disopra del clangore di corazze e spadoni. Lo strinse, ma non ottenne
risposta. Lui rimaneva li, accanto a lei, a guardare la battaglia, immobile, muto,
apparentemente in trance.- Ben!-gridò di nuovo, scuotendolo più forte.
Lui si girò verso di lei, un movimento appena percettibile. Sembrava che la stesse
guardando da una distanza incommensurabile.
-Ben, richiama il Paladino!-gridò.-Mandalo via! Il campione di Rydall gli sta rubando
la sua forza. Se ne sta servendo! Ascoltami, Ben! Se tu mandi via il Paladino, anche il
campione di Rydall scomparirà!
In un angolino remoto della sua mente Ben udì la supplica. Ma era troppo lontano per
rispondere, intrappolato nel corpo del Paladino, ingabbiato nella terribile lotta contro
il suo doppio, un avversario che sembrava conoscere ogni sua mossa, anticipare ogni
suo tentativo di sorpresa, controbattere ogni sua strategia.
-Ben!-sentì la voce chiamarlo frenetica.-Ben, ascoltami!
Il Paladino ignorò la preghiera e rinnovò il suo attacco. Credette di avvertire un
cedimento nel suo nemico. Si rifiutò di ammettere che rifletteva il proprio.
Presa dalla disperazione, Willow lasciò andare l'inerte Ben e scese a perdifiato giù
dalle mura. Ben non sembrava in grado di reagire; gli stava accadendo qualcosa che
lei non riusciva a spiegarsi. Visto che lui non poteva rispondere alle esigenze del
Paladino, toccava a lei farlo. Raggiunse il cortile dabbasso, afferrò una lancia da una
rastrelliera, passò davanti a un drappello di Guardie del Re che stavano davanti ai
cancelli aperti ad assistere allo scontro in corso fuori dalle mura del castello, saltò in
groppa al più vicino destriero e, incurante delle grida che si levarono immediatamente
alle sue spalle, spronò il cavallo e uscì dai cancelli.
Attraversò al galoppo il ponte levatoio e si gettò nella prateria aldilà di esso,
dirigendo verso i combattenti. Grida di allarme la seguirono, ma lei non se ne curò.
Sapeva cosa doveva fare. Il Paladino e il campione di Rydall erano impegnati in una
battaglia di doppi che aveva lo scopo di distruggerli entrambi. L'unica possibilità di
salvezza per il Paladino consisteva nell'infrangere la magia di cui si nutriva il
campione di Rydall. Questa volta non era la terra a sostenerlo, com'era accaduto con
il gigante, ma la forza stessa e l'abilità del Paladino. Il campione di Rydall era una
specie di spirito demoniaco, un riflesso nello specchio che si nutriva del suo
originale, imitandolo, copiando ogni sua mossa, risucchiandogli la vita.
Ma se lo specchio si fosse offuscato...
Raggiunse i combattenti e passò loro accanto senza rallentare, graffiando i loro corpi
corazzati con la lancia abbassata. Fu sufficiente per attirare la loro attenzione. Si
voltarono simultaneamente, vedendola per la prima volta. Lei manovrò le redini e
fece girare il cavallo, tenendo la lancia in resta in segno di sfida, e preparandosi a
caricare di nuovo. Entrambi i Paladini erano visibilmente confusi, un'incertezza che
nasceva dal significato della sua presenza li. Doveva sperare che questa intromissione
fosse sufficiente per spezzare la magia che li teneva incatenati, che Ben in qualche
modo riuscisse ancora a comunicare con il Paladino, e che il suo protettore potesse
trovare il modo di mettere in atto le sue preghiere.
-Indietro!-gridò furiosa, e scagliò la lancia contro di loro.
Il più vicino dei due si liberò della lancia che gli passava accanto dandogli una
manata come se si fosse trattato di una mosca. L'altro, rimasto a qualche passo di
distanza, eseguì gli stessi movimenti, come un burattino.
Ecco, pensò lei trionfante, quella è la creatura di Rydall!
Spronò per portarsi sotto al vero Paladino, fin dove il coraggio le consentiva, e
trattenne il cavallo ancora una volta. Sul prato era calato il silenzio.
Guardò il Paladino.-Inguaina la spada e ritirati!-disse.-Solo così potrai vincere!
Ci fu un lungo momento di silenzio e d'incertezza, di confronto tra la silfide e i due
cavalieri in armatura. Poi, bruscamente, il vero Paladino rinfoderò il suo grosso
spadone. Un cenno della mano guantata di metallo fece avvicinare il suo esausto
destriero. Il Paladino rivolse lo sguardo a Willow per un momento e poi montò in
sella.
La luce del sole mandò bagliori dall'armatura argentea mentre si dirigeva verso
Sterling Silver. Una scheggia di luminosità sfrecciò verso i bastioni del castello e
venne catturata dal medaglione appeso al collo di Ben Holiday, facendolo fondere.
Poi cavallo e cavaliere scomparvero in un lampo di luce, e il Paladino non c'era più.
Willow si volse rapidamente verso l'altro cavaliere, trattenne il respiro, e attese.
La creatura di Rydall rimaneva impalata a guardare l'aria nella quale si era dissolto il
Paladino. Con la scomparsa del suo nemico, la sua vita non aveva più scopo.
Costretto dai dettami di quella stessa magia che l'aveva creato, imitò il suo originale
per un'ultima volta Rinfoderando la spada, si avviò al suo destriero e montò in sella.
Ma non c'erano disposizioni per la sua partenza. Non c'era magia per sostenerlo oltre
questo momento. E così esso semplicemente si smontò crollando al suolo in una
cortina di ceneri che il vento disperse.
Willow rimase da sola sul prato. Aveva visto giusto. Una volta che il Paladino fosse
scomparso, per qualsiasi motivo, il campione di Rydall non avrebbe potuto
sopravvivere. Concedendosi un sorriso di soddisfazione e di sollievo, fece lentamente
ritorno al castello e a Ben.
10
Ardsheal
Era ancora chiaro, il sole indugiava sul ciglio dell'orizzonte nell'ombra delle
montagne a occidente, quando il messaggero del Signore del Fiume apparve a Ben e
Willow alla porta della loro camera da letto. Si erano ritirati per lavarsi e vestirsi per
la cena, fisicamente esausti dagli eventi del giorno ma mentalmente ed emotivamente
sulla corda, incapaci di pensare al riposo prima di essersi un po' calmati. Come
facesse la creatura a sapere dove trovarli, o come fosse arrivata fin li senza farsi
vedere era un argomento che potevano tranquillamente lasciare alla speculazione di
altri. Ben sapeva ormai che gli esseri fatati, fra cui anche Willow, potevano passare
quasi dappertutto tra gli umani senza farsi vedere.
Il messaggero bussò con delicatezza, e quando Willow aprì la porta, era li in piedi,
immobile e impassibile. Era uno spiritello dei boschi, smilzo e nodoso come il paletto
di una staccionata e con gli occhi luminosi come gemme in una faccia quasi priva di
altri lineamenti. S'inchinò rispettoso a Willow e attese che Ben li raggiungesse sulla
porta.
-Alto Signore-salutò, e si profuse in un secondo inchino.- Il mio Padrone, il Signore
del Fiume, chiede che sua figlia e il marito di lei vengano subito a Elderew per
parlare con lui. Vorrebbe sapere qualcosa in più sulla scomparsa di sua nipote e
gradirebbe dare consiglio e assistenza ai suoi genitori. Verrete?
Ben e Willow si scambiarono una breve occhiata. Nessuno dei due aveva molta
voglia di muoversi di li, in quel momento, ma entrambi si resero conto
istantaneamente che c'erano delle buone ragioni per accettare l'invito. Se rimanevano
li dov'erano, avrebbero ben presto ricevuto la visita di un altro dei campioni di
Rydall. Forse spostandosi da un'altra parte avrebbero potuto evitarlo. Guadagnare
tempo per la ricerca di Mistaya e per una soluzione alla sfida di Rydall era una delle
poche possibilità rimaste loro. Poteva anche darsi che il Signore del Fiume, una
creatura dalla grande magia, intendesse offrir loro un talismano o un incantesimo da
usare per la loro protezione. Quantomeno poteva aver notizie di sua nipote, poiché
sapeva della sua sparizione già da qualche giorno e ormai doveva aver frugato la
regione dei laghi e anche più in là per trovar tracce della bambina.
Non ci furono parole tra di loro, ma Ben e Willow spesso comunicavano a un altro
livello, e le parole non erano sempre necessarie. -Di' al Signore del Fiume che
verremo-disse Ben al messaggero.
Lo spirito annuì, s'inchinò ancora e andò via. Si allontanò seguendo il corridoio fra le
ombre crescenti del tramonto e si dileguò, letteralmente.
Ben e Willow cenarono in camera, preferendo rimanere soli e isolati il più possibile.
Il castello era ancora in subbuglio, con le Guardie del Re impegnate nel cambio della
guardia e nell'organizzazione della pattuglia di ronda. Due attacchi nello stesso
giorno erano un caso inaudito. Perfino Bunion era fuori in esplorazione, nel tentativo
di scoprire, seguendone le tracce, l'origine dei defunti campioni di Rydall;
quantunque fosse pronto a scommettere che non c'era un bel niente. Tutti gli
appuntamenti erano stati cancellati per i giorni seguenti, e l'intera guarnigione del
castello era in stato di allerta. Nessuno poteva entrare o uscire dal castello senza
severi controlli.
Tali precauzioni, comunque, avevano un valore relativo, quando c'era di mezzo la
magia, come l'apparizione poco ortodossa del messaggero da Elderew aveva
dimostrato. A parere di Ben non c'era dubbio che Rydall padroneggiasse un bel po' di
magia, e avrebbe probabilmente fornito i mezzi, ai suoi campioni, per aggirare le
comuni precauzioni messe in atto per fermarli. Probabilmente era il compagno di
Rydall dalla cappa nera quello che forniva quella magia e Rydall stesso che ne
disponeva a suo piacimento, ma, in ogni caso, questo non faceva alcuna differenza. I
primi due campioni mandati a distruggerlo possedevano la magia, e c'era da
scommettere che i cinque successivi ne avrebbero posseduta ancora di più.
Così Ben e Willow discussero della loro situazione a cena e giunsero di nuovo alla
conclusione che sarebbe stato meglio per tutti se si fossero recati alla regione dei
laghi a passarvi qualche giorno. Forse Rydall avrebbe avuto dei problemi a trovarli.
Forse la loro partenza avrebbe costituito un intoppo ai suoi piani. Rimanendo
dov'erano, in impotente attesa, avrebbero fatto esattamente il suo gioco. Inoltre,
c'erano poche speranze di trovare Mistaya o Questor e Abernathy senza qualche aiuto
dall'esterno. L'Osservatorio si era più volte dimostrato inefficace. Tutti i tentativi di
ricerca nella campagna erano falliti. Ma c'era sempre la possibilità che qualcuno con
cui non avessero ancora pensato di parlare potesse sapere qualcosa. O che qualcuno
con poteri più grandi dei loro e con risorse a loro negate, come il Signore del Fiume,
potesse confortarli con notizie utili.
Decisero di andare quella notte, di partire con la protezione dell'oscurità, prima del
nuovo giorno. Speravano di allontanarsi non visti, per non dover incontrare un altro
dei campioni di Rydall. Ben in particolare era sofferente per gli scontri della giornata.
Willow non poteva determinarne il motivo. Ben era ancora reticente su ciò che era
accaduto durante la seconda battaglia, sul perché non avesse risposto alle sue
preghiere, perché fosse apparso così distaccato da quanto stava accadendo eppure
così provato quando tutto fu finito. Lui l'aveva ringraziata per il suo aiuto, non l'aveva
rimproverata affatto per essere uscita allo scoperto sul campo di battaglia, e poi aveva
lasciato cadere di colpo l'argomento, rinchiudendosi a riccio dentro se stesso finché
non era apparso il messaggero del Signore del Fiume. Willow, da parte sua, non lo
aveva forzato. Era evidente che questo era un argomento che lui avrebbe affrontato
quando fosse stato pronto, e lei era soddisfatta di aver contribuito alla sconfitta della
creatura di Rydall. Allo stesso tempo, era preoccupata per ciò che sarebbe accaduto la
prossima volta. Non le era piaciuto il comportamento di lui durante la battaglia del
Paladino. Se c'era qualche problema, non era giusto che lei ne fosse tenuta all'oscuro.
Aspettarono che tornasse Bunion, abbastanza prudenti da decidere di portare il
coboldo con loro per una maggior sicurezza. Dopo aver lasciato istruzioni a pochi
uomini fidati sulle cose da farsi in loro assenza, cioè di cancellare gli ultimi
appuntamenti della settimana successiva e di dichiarare che il Re era in vacanza, Ben
e Willow partirono, uscendo da una porta laterale a est, presero la barca sul lago per
raggiungere l'altra sponda, e trovarono Bunion, che era già al suo posto con il baio di
Ben, Giurisdizione, e la cavalla saura dal muso bianco di Willow, Gru. Con Bunion a
piedi, all'avanguardia, montarono in sella e si avviarono al trotto nella notte.
Viaggiarono finché non fu quasi l'alba. Ormai erano ben lontani da Sterling Silver e si
approssimavano alla regione dei laghi. Ad alcune miglia dall'Irrylyn s'inoltrarono in
un fitto boschetto di frassini e noci, smontarono, impastoiarono i cavalli, si avvolsero
in coperte leggere e si addormentarono. Mentre Bunion, apparentemente instancabile,
montava la guardia, loro riposarono fino alla tarda mattinata del giorno seguente.
Quando si svegliarono, Willow tirò fuori il formaggio, il pane, la frutta e la birra che
aveva portato per loro, e consumarono il tutto in un punto soleggiato alla base di un
noce decrepito e contorto. Bunion comparve un attimo a buttar giù un boccone, per
poi allontanarsi di nuovo, ansioso di far sapere del loro arrivo alla gente della regione
dei laghi. Una volta giunti all'interno della regione, era l'opinione di tutti, Rydall
avrebbe dovuto sudare per raggiungerli.
Quando Ben e Willow ebbero finito di mangiare, si rimisero in viaggio verso sud.
Bunion li avrebbe ripresi strada facendo. La mattinata era torrida e afosa, e il solleone
picchiava sulla foresta come il maglio di un fabbro. Nessuna brezza venne a ristorarli
lungo il cammino, e quando raggiunsero l'Irrylyn, Willow spinse Gru al riparo di una
piccola insenatura lungo la riva del lago, smontò, legò il cavallo a un albero, si liberò
dei vestiti e si immerse in acqua. Ben la seguì. Nuotarono nel lago per un po',
galleggiando sul dorso, guardando ai rami degli alberi e al cielo, senza dire parola.
Ben rinnovò il ricordo di quanto impetuosa Willow fosse stata. Rammentò la prima
volta che l'aveva incontrata, li nelle acque di quel lago subito dopo il tramonto, in
attesa di un lui che non sapeva chi fosse. Tu sei mio, gli aveva detto. Mi è stato
predetto al momento del mio concepimento. Sapevo che saresti venuto.
Adesso nuotò fino a lui, lo abbracciò, lo baciò e disse:-Ti amo. -Poi nuotò via di
nuovo.
Uscirono dal lago freschi e rilassati, si rivestirono, montarono in sella e si rimisero in
viaggio. Cavalcarono fin dopo mezzogiorno, quando giunsero in prossimità del bosco
antico che marcava il confine tra Elderew e il paese degli esseri fatati. Bunion stava
aspettando nel punto in cui la pista cominciava a confondersi con la vegetazione. Il
Signore del Fiume li stava aspettando, li informò. Un po' più avanti avrebbero
incontrato delle guide che li avrebbero scortati fino alla città.
Lasciarono la pista che terminava li e cominciarono ad addentrarsi zigzagando nel
mostruoso intrico di abeti e conifere, noci americani e querce bianche, olmi e frassini.
Gli alberi svettavano torreggianti, oscurando il cielo, cancellando la luce. In alcuni
punti, che non vedevano mai il sole, c'era freddo e oscurità. Il silenzio era tale che la
foresta sembrava priva di vita. Ma Ben poteva già avvertire degli occhi puntati su di
loro.
Quando il terreno si fece soffice e l'aria cominciò a odorare di palude e acquitrino, le
guide che erano state promesse apparvero, creature dai lunghi peli verdi che
pendevano dalla testa e dalle membra come fili di seta, figure sottili e filamentose che
si confondevano con la foresta e potevano introdursi in qualsiasi fessura, anche nella
più stretta e impervia. Le guide li condussero per un sentiero lungo e tortuoso
attraverso gli alberi giganteschi e su terreno incerto. Da ogni parte, nella nebbia in
continua formazione, spuntavano facce dagli occhi chiari e curiosi, che un momento
dopo erano già sparite. La palude li chiudeva da un lato e dall'altro, e creature
acquatiche emergevano dal limo e dall'erba per vederli passare.
Il tempo passava. Elderew sorgeva nel cuore del bosco antico, ben protetta da
elementi naturali e magici, e nessuno poteva penetrarvi se non invitato. Gli esseri
fatati erano gente riservata, diffidenti del mondo esterno, sospettosi delle creature che
lo abitavano. Ben aveva fatto parecchio per sradicare quelle paure e quella diffidenza,
e gli abitanti della regione dei laghi adesso si avventuravano in altri luoghi del paese,
e talvolta, al loro ritorno, portavano a Elderew gente di fuori. Ma le vecchie abitudini
e i dubbi radicati erano duri a morire, e ci sarebbe voluto del tempo perché le barriere
cadessero completamente.
Ben avrebbe potuto trovare la strada di Elderew con l'aiuto di Willow o di Bunion,
ma sarebbe stato da zotici ignorare la tradizione e le leggi dell'ospitalità. Le guide del
Signore del Fiume erano una cortesia riservata agli ospiti di riguardo. Ben si sforzò di
pazientare. Presto si lasciarono alle spalle i territori paludosi, e presero a inerpicarsi
di nuovo su terreno solido. Qui gli alberi erano più imponenti, più antichi e più solidi,
legni duri che avevano raggiunto la venerabile età di duecento anni e più. L'aria si
fece calda e pulita, odorosa di sole e di fiori selvatici. Apparve un piccolo gruppo di
persone. Alcuni salutarono timidamente. C'erano bambini, fra di loro, che
sfrecciavano coraggiosi tra i cavalli, ridendo e scherzando. La pista ricomparve, come
sorta dal nulla, ben segnata e ampia laddove gli alberi si aprivano. Più avanti, si
presentava alla loro vista la città di Elderew, un miracolo di ingegneria e di inventiva
che non mancava mai di stupire Ben.
La città era situata in una zona di alberi vecchi e massicci dal legno duro che erano
anche più giganteschi delle sequoie californiane. I rami di questi alberi erano
intrecciati in modo tale da formare viottoli sopraelevati, e la città sorgeva a livelli
differenziati, dal terreno fino ai rami mediani del bosco antico, adagiati come una
manciata di giocattoli fra le braccia di un bambino. Case e negozi fiancheggiavano
strade e arborei sentieri, un'intricata ragnatela di piste. Il sole filtrava dal canovaccio
di rami portanti formando lunghi festoni di luce che facevano da contrappunto alle
ombre e illuminavano vivamente la naturale penombra. C'era un incessante viavai: gli
esseri fatati erano un popolo industrioso che comprendeva l'importanza di impegnarsi
nel lavoro. Molto di quel lavoro aveva a che fare con piccoli prodotti di magia, la loro
specialità. Una buona parte della loro attività era finalizzata alla cura e al
consolidamento del loro mondo boscoso. Era affascinante scoprire su quanti aspetti
della loro vita essi potessero influire con i loro sforzi. Ben Holiday, come Re di
Landover, cominciava appena a impararlo.
Willow rivolse a Ben un sorriso rassicurante, come a promettergli che la sua città
natale rappresentava sempre per loro un rifugio sicuro. Continuarono a cavalcare in
silenzio, con Bunion che li precedeva a piedi con le guide, osservando la complessità
di Elderew che si dispiegava davanti ai loro occhi man mano che gli alberi si
facevano più maestosi e i livelli sovrapposti divenivano più visibili. Più avanti,
l'anfiteatro che ospitava le principali feste degli esseri fatati si apriva accogliente in
segno di saluto. Costituito da alberi intrecciati a formare un ampio ferro di cavallo,
con i posti a sedere ricavati su rami che partivano dall'alto per scendere giù fino al
suolo, direttamente nell'arena, l'anfiteatro era strabiliante quanto la città che serviva.
Il Signore del Fiume li stava aspettando al suo ingresso, in piedi in mezzo ai suoi
serventi, vestito in maniera sobria e anonima. Per chi non lo conoscesse, sarebbe stato
impossibile distinguerlo da tutti gli altri solo dal suo abbigliamento. Però il suo
portamento lo tradiva. Era un uomo alto, snello e dall'aspetto fuori del comune, uno
spirito acquatico con la pelle argentata, tanto granulosa da assomigliare alle squame
dei pesci, con una fitta capigliatura nera che, come quella di Willow, gli scendeva giù
dall'interno degli avambracci e dai polpacci, e con lineamenti tanto duri e affilati da
sembrare scolpiti nella roccia. Il suo volto era una maschera senza espressione, ma gli
occhi erano luminosi e vivacissimi, e Ben aveva imparato a leggere i pensieri del
Signore del Fiume da quello che gli passava negli occhi.
Il Signore del Fiume andò loro incontro mentre rallentavano e smontavano,
dirigendosi subito verso Willow per abbracciarla rigidamente e sussurrarle che era
contento del suo arrivo. Willow ricambiò l'abbraccio, altrettanto a disagio nel
salutarlo. Il loro rapporto rimaneva problematico, distaccato e intriso di diffidenza.
La madre di Willow era una ninfa dei boschi talmente selvaggia che poteva
sopravvivere soltanto nella foresta, e il padre di Willow non le aveva mai perdonato
di non essere andata a vivere con lui. Willow era stata per lui, durante la crescita, un
costante promemoria di quel torto ricevuto dalla donna che aveva amato e che non
era riuscito a trattenere più di una notte. Aveva colpevolizzato sua figlia per ciò che
rappresentava, abbandonandola affettivamente dall'infanzia in poi, lasciando che
crescesse nell'isolamento. Anche dopo che era cresciuta, era stata per lui una fonte di
delusioni. Suo padre non aveva approvato il matrimonio con Ben, che era un umano e
uno straniero, per quanto incoronato nuovo Re di Landover. Willow (era questa la sua
opinione) aveva tradito la sua gente. C'era voluto del tempo perché lui accettasse
quella decisione. Adesso era meno freddo e distante di quanto fosse stato all'inizio,
ma i vecchi rancori non erano facili a morire, per tutti e due.
Tuttavia il Signore del Fiume era sinceramente preoccupato per Mistaya, la nipote
che rappresentava in qualche modo il superamento degli attriti che invece ancora
compromettevano in parte il rapporto tra padre e figlia. Se c'era qualcosa che poteva
fare per aiutare la ragazzina, di sicuro non avrebbe risparmiato gli sforzi. Era per
questo che Ben e Willow si erano risolti di andare a Elderew.
Il Signore del Fiume lasciò sua figlia e riservò un formale inchino a Ben. Era tutto
quello che Ben poteva aspettarsi. Annuì col capo, in risposta.
-Ci sarà una cena in vostro onore, stasera-li informò il Signore del Fiume,
sorprendendoli entrambi.-Mentre vanno avanti i preparativi, noi parleremo un po'.
Li portò via dall'arena, dove si approntavano panche e si apparecchiavano tavole con
sgargianti tovaglie, e li condusse ai parchi che fronteggiavano Elderew spingendosi
fino agli edifici più vicini della città. I bambini li sorpassavano correndo al loro
passaggio, incuranti delle grida di avvertimento degli adulti. A Ben tornarono in
mente altri tempi e altri luoghi, Annie e i bambini che avrebbero potuto avere, i
parchi di Chicago in estate, i sogni che da tempo aveva abbandonato. Ma la memoria
indugiò su quelle immagini solo un momento. Ormai pensava raramente al suo
vecchio mondo. Non aveva molti motivi per farlo.
Attraversarono la zona dei giochi e giunsero a un vialetto che correva lungo un
ruscello, curvando e serpeggiando tra le fitte conifere come se cercasse di sfuggire ai
loro piedi. Persero di vista i bambini e i loro sorveglianti, ridotti ormai a grida e risate
in lontananza. I tre adesso camminavano da soli, benché si potesse star sicuri che i
guardiani del Signore del Fiume li seguivano passo passo nascosti tra gli alberi,
invisibili e silenziosi. Quando raggiunsero una radura deserta dove c'erano due
panchine una di fronte all'altra, davanti a un laghetto contornato da aiuole, il Signore
del Fiume li invitò a sedersi. Ben e Willow sedettero su una panchina, e il Signore del
Fiume si accomodò automaticamente sull'altra.
-Qui non ci disturberà nessuno-li assicurò, dando con i suoi strani occhi uno sguardo
indagatore alla radura inondata di sole. Tornò a guardare i suoi ospiti. Quando parlò,
il suo tono era di rimprovero.-Avreste dovuto avvertirmi che intendevate mandare qui
Mistaya. Vi avrei mandato una scorta per sua protezione.
-Non c'è stato tempo-replicò Ben con calma, reprimendo l'impulso di rispondergli a
tono.-Pensavo che Questor Thews e una dozzina di Guardie del Re fossero una
protezione sufficiente. Speravo che Rydall fosse troppo concentrato su di me per
badare a loro.
-E adesso Mistaya è un'arma nelle sue mani, da usare contro di lei-dichiarò severo il
Signore del Fiume.
-Hai saputo qualcosa?-chiese Willow, nel tentativo di smorzarne la collera.
Il Signore del Fiume scosse la testa.-Questo è ciò che so. Ho potuto scoprire il posto
dove si è verificato l'attacco. Un notevole quantitativo di magia è stato usato per il
rapimento di Mistaya. Ancora parecchi giorni dopo se ne potevano notare le tracce.
Non ho potuto determinare la sua fonte. Non c'erano tracce di attaccanti o difensori.
Non c'erano impronte che partissero dal luogo dello scontro.
A Ben non era sfuggito la parola scelta dall'altro. Luogo dello scontro. Si sforzò di
pensare ad altro.-Nessuna impronta. Come può essere?
I lineamenti scolpiti del Signore del Fiume si mutarono in ombra. -O sono stati tutti
distrutti o non è stato necessario, per i sopravvissuti, allontanarsi a piedi.-Fece una
pausa.-Come dicevo, un bel po' di magia è stata utilizzata nell'attacco.
-Ha scoperto qualcosa da quel momento?
Il Signore del Fiume scosse la testa.-Non ho mai sentito parlare né di Rydall né di
Marnhull. Non esistono nei confini di Landover. Ho tentato di identificare Rydall e il
suo compagno dalla cappa nera, senza successo. Ho istituito un servizio di
sorveglianza; ho fatto mettere trappole. Non sono reperibili, da nessuna parte.
-Neanche Mistaya o la sua scorta?
-No.
Ben annuì. Guardò Willow e lesse la delusione nei suoi occhi. Lei aveva sperato di
poter trovare una buona notizia, per quanto piccola.
-Quindi non ci siamo avvicinati per niente alla soluzione del mistero della scomparsa
di Mistaya-concluse, cercando di non suonare amareggiato.-Perché ci ha fatti venire,
allora?
Il Signore del Fiume sedeva delicatamente appoggiato al bordo della panchina, e li
guardava senza alcuna espressione visibile sul volto e senza alcuna emozione dipinta
negli occhi.-Io ho richiesto la vostra presenza-corresse, con voce piana e calma.Vorrei offrirvi il mio aiuto per far tornare Mistaya a casa sua. E' vero che non ho
potuto far molto finora, ma forse adesso posso recuperare il tempo perduto.
Fece una pausa, aspettando la loro risposta. Ben fece un cenno di approvazione.-Ogni
aiuto che potrà darci sarà grandemente apprezzato-disse.
Questo sembrò rassicurare il Signore del Fiume. Ci fu un rilassamento delle sue
spalle, appena percettibile.-Lo so che non siamo stati amici-disse con calma.-So che
le nostre relazioni non sono state delle più calorose.-Volse lo sguardo da Ben a
Willow, includendo ambedue nella sua asserzione.-Questo non vuol dire che voglio il
vostro male. Non è così. Voi sapete anche quanto ci tenga a Mistaya. Dobbiamo fare
di tutto perché non le succeda niente.
-Si-approvò Ben.
-Puoi rintracciarla?-chiese Willow all'improvviso.
Il Signore del Fiume esitò.-Forse.-Le diede uno sguardo lusinghiero.-Non escluderei
a priori che possa essere tu stessa a trovarla. Né scarterei la possibilità che lei trovi il
modo di liberarsi da sola. E' una bambina piena di risorse. E molto potente. Possiede
una grande magia, Willow. Lo sapevi?
Willow e Ben si scambiarono un'altra occhiata, questa volta di sorpresa. Scossero la
testa all'unisono.
-L'ho sentito la prima volta che l'ho vista-affermò il Signore del Fiume.-Il suo potere
è latente, ma indiscutibile. E' un essere fatato dallo straordinario potenziale, e quando
scoprirà il suo talento, le si apriranno illimitate possibilità.
Ben stava a guardare, cercando di decidere se questa era una cosa positiva. Non
aveva mai considerato seriamente la possibilità che Mistaya potesse avere l'uso della
magia. Ora gli sembrava ridicolo non averlo fatto. Il suo retaggio glielo permetteva, e
il suo strano modo di crescere certamente avrebbe dovuto suggerirlo. Ma era sua
figlia, e rimaneva il fatto che lui si era sempre rifiutato di credere che fosse diversa da
come se l'era aspettata.
-Non gliel'hai detto?-chiese dolcemente Willow.
Il Signore del Fiume scosse la testa.-Non spettava a me. Come nonno, almeno questo
lo so.
-Rydall se ne accorgerà, di questa sua predisposizione alla magia?-chiese Ben
all'improvviso.
Il Signore del Fiume ci pensò su.-Se anche lui è una creatura magica, come sembra
(se per esempio è uno di noi, un essere imbevuto di magia) allora dovrei dedurne che
riconoscerà il potere della bambina.
-Ma lei non lo sa, e quindi la magia non potrà esserle d'aiuto- ragionò Ben-A meno
che Rydall non le riveli la verità. Oppure a meno che lei non lo scopra da sé.
Il Signore del Fiume si strinse nelle spalle.-Vi sto dicendo della sua magia soltanto
perché sappiate che non è completamente indifesa in questa situazione. E' comunque
una bambina indipendente e piena di risorse. Potrebbe trovare il modo di salvarsi.
-Ma tu continuerai la tua ricerca-lo pregò Willow.-Non lascerai nulla d'intentato per
aiutarla.
Il Signore del Fiume annuì.-Non smetterò di cercarla finché non l'avremo trovata.
Non lascerò nulla al caso, Willow. Dovresti conoscermi bene ormai.-Sembrava offeso
da quei dubbi.-Ma l'aiuto immediato che posso offrire non è a lei, ma a te. O, più
esattamente-si corresse, guardando Ben-a lui.
Un uccellino screziato di giallo e di nero volò giù dagli alberi e atterrò sulla sponda
più lontana del laghetto. Li guardò solennemente, con gli occhietti vispi e brillanti,
poi si piegò rapidamente per bere. Intinse il becco due o tre volte, poi s'involò e
scomparve. Il Signore del Fiume stette a guardarlo pensieroso.
-Il pericolo è per lei, Alto Signore-lo avvisò, riportando lo sguardo su Ben.-Rydall,
chiunque sia e da qualunque luogo provenga, sta tentando di distruggerla. Usa
Mistaya a questo scopo, e chiunque si abbassi a usare un bambino per ottenere la
morte di un nemico è senz'altro pericoloso. Ho sentito degli scontri di ieri. Il rischio
per lei è grande, e non diminuirà a meno che Mistaya non venga ritrovata e Rydall
sconfitto. Ma questo potrebbe richiedere del tempo. Non sarà facile. Nel frattempo,
dobbiamo fare in modo che lei, Ben, rimanga vivo.
Ben non poté trattenere un sorriso.-Sto facendo del mio meglio, gliel'assicuro.
Il Signore del Fiume annuì.-Ne sono più che certo. Il problema è che lei non ha
risorse sufficienti. Non ha una magia da contrapporre a quella di Rydall, eccetto
quella del Paladino. Rydall lo sa; immagino che faccia affidamento proprio su questo.
C'è qualcosa di strano in questa sfida che ha lanciato. Sette campioni mandati a
distruggere il Paladino, e se uno ci riesce, lei dovrà abdicare. Perché? Perché giocare
a questo gioco? Perché non imporle semplicemente di lasciare subito il trono, sotto la
minaccia di uccidere sua figlia?
-Me lo sono chiesto anch'io-ammise Ben.
-Allora sarà d'accordo con me quando affermo che in questo gioco c'è qualcosa di più
di quel che vediamo. Rydall le sta nascondendo qualcosa d'importante. Sta celando
una sorpresa.-Il Signore del Fiume distolse lo sguardo.-E quindi forse anche lei
dovrebbe preparargli una sorpresa.
Si alzò bruscamente.-Ho qualcosa che forse apprezzerete. Venite con me.
Ben e Willow si alzarono e tutti e tre lasciarono la radura per addentrarsi ancora di
più nella foresta. Non camminarono molto, seguendo un viottolo stretto e tortuoso
che li condusse in una fitta abetaia. Il suolo era un tappeto di aghi, e l'aria era pregna
del loro profumo. Tra quegli alberi il silenzio era pressoché totale: i suoni erano
attutiti dal terreno soffice della foresta e dai pesanti rami verdi che si piegavano a
lambirli.
Il sole stava affondando negli alberi a occidente, un astro rosso in una caligine
scarlatta. Il tramonto ricopriva le selve di ombre affusolate e di freschi recessi che
mormoravano della notte calante.
Raggiunsero una seconda radura. Una figura stava lì in attesa, intabarrata e
incappucciata. Non si mosse quando essi comparvero alla vista. Rimase
perfettamente immobile.
Il Signore del Fiume li portò fino a una distanza di un paio di metri dalla figura e si
fermò. Sollevò un braccio e fece un cenno. La figura levò le mani in risposta e si
abbassò il cappuccio. Era una creatura indefinibile per sesso e origine, dalla pelle
color del legno e con una bocca, un naso e degli occhi che non erano altro se non
fessure sul suo volto piatto, quasi privo di lineamenti. C'era una fiammella di luce in
fondo agli occhi, ma niente di più. Era di dimensioni e corporatura normali, ma il suo
corpo era completamente liscio e sottile e lustro e duro sotto la cappa.
Ben guardò Willow. Negli occhi di lei c'era un lampo di riconoscimento, e
qualcos'altro che lui non vi aveva visto da tanto tempo. C'era paura.
-Questo è un Ardsheal-disse il Signore del Fiume a Ben.-E' uno spirito elementare.
Non ha bisogno di mangiare, bere o dormire. Non richiede niente per la sua
sopravvivenza. E' stato creato dalla magia degli esseri fatati con un unico scopo:
proteggerla. Willow lo sa. Un Ardsheal è un osso duro per qualsiasi essere vivente.
Niente è più pericoloso.
Ben annuì in risposta, incerto su cosa dire. Non si aspettava quel regalo. Non era
sicuro di volerlo. Lanciò uno sguardo all'Ardsheal.
Non accennò a rispondere. Sembrava in coma.-Questa creatura mi proteggerà?-ripeté.
-A prezzo della vita-rispose il Signore del Fiume.
-Un Ardsheal è molto pericoloso, Padre-osservò Willow con voce sommessa.
-Solo per i suoi nemici. Non per voi. Non per l'Alto Signore. Eseguirà tutti i suoi
ordini. In mancanza di indicazioni precise, farà l'unica cosa che gli è stata impartita:
vi proteggerà.-Guardò curiosamente Willow.-Hai ancora paura di loro?
Lei fece cenno di sì, con uno strano sguardo negli occhi.-Sì.
Ben era soprappensiero e non notò lo sguardo.-Perché ha deciso di darmi questo?chiese alla fine.-Voglio dire, l'Ardsheal invece di qualche altra forma di magia?
-Una buona domanda.-Il Signore del Fiume si voltò a guardarlo, con l'Ardsheal che
era diventato la sua ombra.-Rydall si aspetta che il Paladino la difenda. Deve aver
motivo di credere che prima o poi non riuscirà a farlo in maniera adeguata. Forse
questo accadrà. Se sarà così, l'Ardsheal ci sarà. Lei si difende contro un nemico che
non conosce né comprende. Quindi ha bisogno di una difesa che il suo nemico, a sua
volta, non si aspetta. L'Ardsheal sarà quella difesa. Lo prenda. Sarà anche motivo
d'incoraggiamento. Le darà il tempo di cercare Mistaya, darà tempo a tutti noi.
Avanzò di un passo, avvicinando la faccia scolpita nella pietra.- E' necessario che lei
viva, Alto Signore Ben Holiday. Se lei muore, è molto probabile che sua figlia muoia
con lei. E' viva per un solo scopo: attirarla in trappola. Una volta che quello scopo sia
stato raggiunto, cosa le fa credere che consentiranno alla bimba di continuare a
vivere? Consideri attentamente per un momento la natura del suo nemico.
Ben sostenne lo sguardo del Signore del Fiume e fece come gli veniva consigliato.
-Ha ragione-disse Willow con calma, quasi con riluttanza.
Ben si trovò immediatamente d'accordo. Non ci voleva poi tanto per riconoscere il
valore di un secondo protettore. Forse gli avrebbe dato un vantaggio contro le
creature di Rydall. Se anche per una volta sola gli avesse permesso di non evocare il
Paladino, avrebbe già costituito un valido aiuto.
-Accetto il suo dono-disse infine.-Grazie.
Il Signore del Fiume annuì soddisfatto.-Una buona decisione. Adesso andiamo a
mangiare.
Il banchetto fu sontuoso e stravagante, perfettamente in sintonia con la concezione
che gli esseri fatati avevano dei festeggiamenti. C'erano tavole cariche di cibi,
brocche di birra ghiacciata, ghirlande di fiori, grandi e bambini vestiti con abiti dai
colori sgargianti, e musica e danze dappertutto. Il Signore del Fiume fece sedere Ben
e Willow a capotavola, annunciò la loro presenza a tutti gli intervenuti, diede loro il
benvenuto nella regione dei laghi e fece loro un brindisi a nome di tutto il suo popolo.
Per tutta la sera, mentre i festeggiamenti andavano avanti, gli abitanti di Elderew
vennero a salutarli di persona, alcuni portando piccoli regali, altri augurando loro
ogni bene. La cosa fece sorridere Ben e Willow e li aiutò a rilassarsi. Per alcune ore si
dimenticarono di Rydall di Marnhull e delle disgrazie che aveva loro arrecato.
Mangiarono e bevvero e risero con la gente di Elderew, presi nel vortice dell'allegria
e della festa, accarezzati dalla fresca brezza che veniva dagli alberi e dal calore della
gente che li circondava.
A mezzanotte si ritirarono in una piccola casetta per gli ospiti attrezzata per
alloggiarli. Si gettarono sul letto, esausti ma sorridenti, stesi uno accanto all'altra,
stringendosi per esorcizzare tutte le paure e i dubbi che con tanta fatica avevano fino
allora messo da parte, e sprofondarono finalmente nel sonno quando la stanchezza
prese il sopravvento.
Qualche tempo dopo, parecchie ore prima dell'alba, Ben si svegliò, si svincolò dalle
braccia di Willow, si alzò e andò alla finestra. Il mondo esterno era illuminato da una
sola mezzaluna e da stelle che scrutavano in basso attraverso un grappolo di nuvole
basse e il fitto intrico dei rami. Guardò fuori nel buio, cercando l'Ardsheal,
chiedendosi se fosse lì. Non l'aveva più visto, da quando il Signore del Fiume
gliel'aveva presentato. In quel momento era stato più che reale, ma adesso, in qualche
modo, gli appariva come un'immagine indottagli dal sogno.
Un Ardsheal è molto pericoloso, Padre, aveva detto Willow.
Poi lo vide, in mezzo agli alberi, un'ombra in più nella notte. Non l'avrebbe visto
affatto se non si fosse mosso, soltanto un po' quando aveva guardato, per fargli sapere
che c'era, che stava di guardia, che lo proteggeva.
Perché Willow ne era tanto impaurita? Era una cosa buona o cattiva, visto il suo
scopo?
Lui non lo sapeva. Mise le due domande nella credenza della sua mente che
conteneva tutti gli interrogativi senza risposta e se ne tornò a letto. Domani avrebbe
cercato di scoprirlo. Si strinse forte contro il corpo di Willow, l'avviluppò con le sue
braccia, e stette lì a vegliare tenendola per parecchio tempo prima di riaddormentarsi.
11
Il racconto della strega
I giorni di Mistaya nel Pozzo Infido scorrevano così velocemente che lei faceva
appena in tempo a rendersi conto del loro passaggio. Affascinata dalle sue lezioni
sull'uso della magia, tutta presa dall'esplorazione dei suoi poteri appena scoperti, e
logorata dall'intensità delle richieste della Strega del Crepuscolo, prestava poca
attenzione allo scorrere del tempo. Avrebbe potuto esser li da pochi giorni; oppure da
settimane. In realtà, la cosa non aveva importanza. Ciò che contava era quello che
stava facendo e i progressi conseguiti nel farlo. Di questo era contenta, ma mai
soddisfatta. Aveva appreso moltissimo; non aveva ancora appreso abbastanza.
Non pensava quasi mai ai suoi genitori e a casa sua. Erano per lei una considerazione
estranea e ininfluente. Una volta stabilito che essi sapevano dov'era e che perciò non
doveva preoccuparsene, li aveva completamente messi da parte. La sua crescente
fiducia nella Strega del Crepuscolo e il suo entusiasmo per gli studi le rendevano
facile questo compito. All'inizio non era stata tanto sicura che fosse un bene per lei
rimanere li. Non era sicura che i suoi genitori sapessero veramente dov'era. Ma le
rassicurazioni della strega e il suo stesso desiderio di crederci presto la convinsero
che le sue paure erano infondate e che tutto andava bene. La Strega del Crepuscolo le
aveva detto che poteva andar via quando avesse voluto, quindi sarebbe stato piuttosto
facile scoprire se la strega le aveva mentito. Quella per Mistaya era prova sufficiente
che le era stata detta la verità. Inoltre, la sua crescente padronanza nella magia
sarebbe stata utile al padre nella sua battaglia contro Rydall, e questa convinzione
rappresentava per lei un ulteriore incentivo a rimanere. Suo padre aveva bisogno di
lei; non doveva deluderlo.
Lo scorrere del tempo risentiva anche della natura del luogo in cui si trovava. Il
Pozzo Infido induceva a confondere il giorno con la notte, la luce con l'oscurità, il
dopo con l'adesso, rendendo tutto estremamente omogeneo. La giungla del Pozzo
Infido, con il suo fitto intreccio vegetale a mo' di tetto, teneva tutto in un nebbioso
grigiore. La luce del sole non penetrava mai. La luna e le stelle non erano mai visibili.
La temperatura subiva di rado variazioni notevoli, e l'aspetto del paesaggio che
circondava Mistaya era monotono e ordinario. Quel po' di colore e di luminosità che
vi si potevano trovare nascevano solo dalla sua magia, dai prodigi che operava e dalle
meraviglie che scopriva. La Strega del Crepuscolo le trasmetteva sempre più, a ogni
lezione, la capacità di guardare in se stessa, di rivolgere la propria attenzione verso
l'interno in modo tale da vedere soltanto ciò che creava e quasi nulla del mondo
esterno.
La strega era una valida insegnante: mai impaziente con la sua allieva, alternava le
lodi alle correzioni, le forniva dei piccoli aiuti quando necessario e non sviliva o
criticava mai un tentativo fallito. Mistaya aveva l'impressione che all'inizio la Strega
del Crepuscolo fosse interessata unicamente ai risultati; ma, man mano che cresceva
la sua passione nello scoprire la magia latente della ragazza, la strega si era fatta
prendere sempre più dai meccanismi che stavano alla base del processo magico.
L'insegnante ne sembrava sorpresa quanto l'allieva; e questo sembrò creare fra di loro
un legame più stretto.
E ormai erano molto vicine, tanto vicine che Mistaya stava cominciando a pensare
alla Strega del Crepuscolo come a una seconda madre. Questo non le sembrava
strano. Naturalmente nessuno avrebbe mai preso il posto della sua vera madre, ma
non c'era motivo per cui non potesse averne più di una, ognuna con funzioni diverse
nell'ambito della sua esistenza. La Strega del Crepuscolo era una presenza forte, e la
sua padronanza della magia e la rivelazione dei suoi segreti erano delle notevoli
attrattive per la ragazza. Mistaya era molto giovane e facilmente influenzabile. La
Strega del Crepuscolo l'aveva salvata da Rydall. L'aveva portata al Pozzo Infido per
tenerla al sicuro. Le stava insegnando le arti magiche così avrebbe potuto aiutare suo
padre. Si stava dimostrando una buona amica e una saggia consigliera. Mistaya non
avrebbe potuto chiedere di più.
Tuttavia la sfiorava ancora, in qualche momento, l'ombra di un dubbio. Perlopiù era
Haltwhistle, con le sue regolari apparizioni notturne in segreto, a ridestare in lei
l'incertezza. Mentre da una parte non si tormentava più sui suoi genitori o su Questor
Thews e Abernathy, la costante presenza del cucciolo di fango le rammentava che
c'era un'altra vita ad attenderla oltre i confini del Pozzo Infido. Per quanto si
sforzasse, non riusciva a scacciare i ricordi di quell'altra vita, e benché Haltwhistle
non dicesse o facesse mai nulla per interferire, in qualche modo lei sapeva che esso
era lì perché quei ricordi rimanessero vivi. Era sconcertante dover accettare questa
situazione, ma lei aveva sempre in mente l'ammonimento della Madre Terra sui
pericoli che avrebbe incontrato, e la sua promessa che il cucciolo di fango l'avrebbe
protetta sempre se l'avesse tenuto al suo fianco e si fosse ricordata di chiamare il suo
nome almeno una volta al giorno. Allora cercò una via di mezzo, immergendosi di
giorno negli insegnamenti della Strega del Crepuscolo, e abbandonandosi di notte a
occasionali considerazioni su ciò che si era lasciata alle spalle.
Haltwhistle non la tradiva mai. Era rischioso, per lei, mantenere il segreto sulla
presenza del cucciolo di fango. La Strega del Crepuscolo non avrebbe approvato,
benché forse non spettasse proprio a lei concedere quell'approvazione. Di quando in
quando, a Mistaya pareva di vederlo, mentre la guardava lavorare, confuso nella
nebbia e nel grigio, al riparo della giungla. Lo vedeva a pezzettini: una volta gli
occhi, i piedi la volta dopo, le orecchie o il naso un'altra volta ancora. Di notte
compariva al suo più sommesso sussurro, accucciato appena fuori della sua portata
nella nebbiosa oscurità, appena più tangibile della caligine dalla quale si
materializzava. Buon vecchio Haltwhistle, lo vezzeggiava lei. E sorrideva al suo
scodinzolio.
Ma i dubbi affioravano anche in altre occasioni, e non avevano niente a che fare con
l'apparizione di Haltwhistle. Il più preoccupante era legato all'insistenza della strega
sulla creazione dei mostri. All'inizio ce n'erano stati solo due, e Mistaya aveva
accettato quel compito come uno stadio naturale nel suo processo di apprendimento.
Ricordava quel che gli era stato detto, e cioè che le sarebbero state chieste cose che
lei non avrebbe capito, e che avrebbe dovuto accettare senza discussioni. E così
faceva. Cerca di immaginare cose contro cui non ci sia difesa, l'incoraggiava la Strega
del Crepuscolo. Mistaya cominciò con delle creature di cui aveva letto in un libro che
suo padre aveva portato con sé dal suo vecchio mondo, un libro che lei aveva trovato
relegato in un angolino della sua biblioteca personale, quasi dimenticato. Il titolo
aveva a che fare con la mitologia o il mito o qualcosa del genere. Il libro era
avvincente per il soggetto che trattava e la stranezza del linguaggio, e Mistaya l'aveva
letteralmente divorato per poi metterlo da parte. Ma il ricordo delle sue creature non
l'aveva abbandonata. Il gigante che prendeva la sua forza dalla terra. Il mutante che
poteva duplicare chiunque o qualunque cosa gli si parasse davanti. Aveva costruito i
suoi primi due mostri basandosi su quei personaggi. Non erano neanche dei mostri
veri e propri, in effetti erano soltanto delle cose imbevute di poteri inumani.
La Strega del Crepuscolo si era dimostrata abbastanza soddisfatta dei suoi sforzi fino
a oggi, quando aveva annunciato, alquanto bruscamente, di desiderare che Mistaya
desse vita a un terzo mostro, questa volta meno umano e più potente dei primi due.
Per la prima volta da quando era arrivata, Mistaya discusse un ordine. Che scopo
c'era a creare un terzo mostro? Qual era il motivo di questo esercizio, visto che lo
aveva eseguito già due volte? Giusto per un momento pensò che la strega si sarebbe
infuriata. I suoi strani occhi si fecero più scuri e i tendini sul suo collo affusolato si
tesero. Poi distolse momentaneamente lo sguardo, nascondendo il volto, e con la
stessa rapidità tornò a guardarla.
-Mistaya, ascoltami-disse. Era calma, pacata, serena.-Speravo di risparmiarti questo,
ma a quanto pare non è possibile. Tuo padre è già stato attaccato da Rydall e dal suo
mago. Contro di lui vengono mandate delle creature, e lui è costretto a servirsi della
magia di Questor Thews e del Paladino per sopravvivere. Finora ha avuto la meglio.
Ma il mago di Rydall evocherà potenze ancora più grandi. Alla fine tuo padre
potrebbe non essere più in grado di difendersi. Allora toccherà a te. La miglior difesa
contro un mostro è un altro mostro. Ecco lo scopo di questo esercizio.
La logica della Strega del Crepuscolo ebbe ragione dei dubbi di Mistaya. Così la
ragazza lavorò sodo alla sua creazione per tutta la giornata. Il tramonto era vicino, e
lei era esausta. Gli insegnamenti della strega l'avevano fatta progredire parecchio
nell'uso della sua magia, e qualcosa di ciò che faceva la spaventava. Alcune delle
creazioni che immaginava e portava alla vita erano veramente terrificanti. Ma la
Strega del Crepuscolo stava ben attenta a spazzare via tutto, a riporle nell'armadietto
dei tentativi falliti, e a chiudere per bene il tutto. Mistaya era sollevata. Non voleva
rivederle mai più, neanche una.
Adesso sedeva da sola davanti a un piccolo fuoco di bivacco (l'unica luce che la
strega ammetteva dopo il tramonto) a lavorare la pasta per farne pane da friggere con
le verdure. Parsnip le aveva insegnato come fare. Cucinava quasi unicamente per sé,
poiché la Strega del Crepuscolo mangiava meno di Haltwhistle. In effetti, la strega di
rado s'attardava dopo la fine delle lezioni, e scompariva da qualche parte per rimanere
da sola. Qualche volta rimaneva lì vicino, soltanto fuori vista; quando faceva così,
Mistaya poteva avvertirne la presenza. Più si conoscevano, più la ragazza diventava
sensibile alla presenza della strega. Era come se qualcosa, nella loro comune
propensione per la magia, le avvicinasse fisicamente, oltreché emotivamente, come se
si formassero dei legami che consentivano alla ragazza di apprendere sempre di più
sulle azioni della strega. Non poteva leggere i pensieri della Strega del Crepuscolo o
sondarne la mente, ma poteva avvertire la sua presenza e i suoi movimenti. Mistaya si
chiedeva se accadesse lo stesso alla strega, ma in qualche modo sapeva che non era
così.
Quella sera la strega non si ritirò come faceva di solito, ma venne invece a sedersi
con Mistaya davanti al fuoco. Guardava la ragazza affaccendata, in silenzio: la
osservò lavorare la pasta e fare la sfoglia, ricavarne delle piccole forme circolari,
lavare e pulire le verdure, per poi mettere il tutto a cuocere in una padella con l'olio.
Continuò a guardare Mistaya che toglieva la pietanza dal fuoco e la mangiava.
Sedeva immobile come una statua, a osservare tutto, come se ciò che vedeva fosse la
cosa più interessante che avesse mai visto. Mistaya la lasciava stare. Sapeva che
quando la Strega del Crepuscolo fosse stata disposta a parlare, lo avrebbe fatto.
Sapeva anche che la strega aveva qualcosa da dirle.
Fu solo quando la padella e i piatti furono lavati e messi via nell'ampia credenza di
legno che campeggiava nel mezzo della radura come se appartenesse a essa, che la
strega si decise a dire:-Sono soddisfatta di te, Mistaya. Mi sento rincuorata dai tuoi
progressi.
La ragazza alzò gli occhi a guardarla.-Grazie.
-Specialmente il tuo risultato di oggi è stato notevole. Ciò che hai creato era davvero
meraviglioso. Ne sei soddisfatta anche tu come me?
-Sì-mentì Mistaya.
La faccia bianca e gelida della Strega del Crepuscolo si rivolse in alto, verso la
nebbia, come a cercare le stelle, e poi si abbassò di nuovo in direzione del fuoco.-Ti
dirò la verità. Non ero certa che tu fossi all'altezza del compito che ti avevo affidato.
Temevo che tu non fossi in grado di padroneggiare la magia.
I suoi occhi si spostarono, a fissare la ragazza.-Ho sempre saputo con certezza che la
tua era una magia forte. Era chiaro che le tue potenzialità di usarla erano praticamente
senza limiti. Ma il possesso della magia non è mai abbastanza. Ci sono elementi
immateriali che limitano il successo di chi opera. Uno è il desiderio. Determinazione,
ci vuole. Concentrazione e il senso della finalità. La magia è come un grosso gatto.
Tu puoi imbrigliarne e dirigerne l'energia, ma non devi mai guardare da un'altra parte
e non devi mai mostrare la paura nei tuoi occhi.
-Io non ho paura della magia-dichiarò fermamente Mistaya. -Appartiene a me. E'
come una vecchia amica.
La Strega del Crepuscolo le rivolse un sorriso, breve e appena accennato.-Si, me ne
sono accorta. Tu la tratti proprio come tratteresti un amico. Ti trovi a tuo agio con
essa, pur non usandola con leggerezza. Il tuo senso di equilibrio è ottimo.-Fece una
pausa.- Mi ricordi me stessa quando avevo la tua età.
Mistaya strinse gli occhi.-Davvero?
La Strega del Crepuscolo guardò attraverso di lei, in qualche luogo lontano.Moltissimo. Mi sembra strano, a pensarci, ma una volta avevo la tua età. Ero una
ragazza che scopriva i suoi talenti nascosti. Ero una novizia che cercava di farsi una
vita, alla ricerca dei propri limiti come strega. Ero più piccola di te quando scoprii per
la prima volta di possedere la magia. E' stato tanto tempo fa.
S'interruppe, continuando a guardare lontano nell'oscurità. Mistaya si fece più
appresso.-Raccontami-la incoraggiò.
La Strega del Crepuscolo scrollò le spalle.-Il passato è passato.
-Ma mi piacerebbe ascoltare. Voglio sapere come ti sentivi. Potrebbe aiutarmi a
capire me stessa. Per favore, racconta.
Gli strani occhi rossi tornarono al presente, appuntandosi sulla ragazza. Sembrarono
trapassarla con tanta ferocia che per un momento Mistaya ne fu atterrita. Poi la
vampa si mutò in un qualcosa di consunto e sbiadito.
-Sono nata nelle nebbie fatate-prese a dire la Strega del Pozzo Infido, con la figura
alta e snella immobile come ombre di luna in una notte immota. Si ravviò i capelli
corvini con le dita sottili.- Come te, ereditai il sangue di più di un mondo. Come te,
ereditai il dono. Mia madre era una fattucchiera venuta da uno dei mondi che
confinano con Landover, un mondo dove la magia è temuta. Era molto potente, e
poteva andare da un mondo all'altro attraversando le nebbie a suo piacimento. Non
era una creatura fatata, ma poteva aggirarsi fra di esse senza nessun problema. Un
giorno, mentre andava da un mondo all'altro, incontrò mio padre. Mio padre era un
Changeling, un bimbo scambiato dalle fate, una creatura che non aveva una forma
propria ma poteva scegliere di assumerne una qualsiasi, a seconda delle sue necessità.
Vide mia madre e se ne innamorò. Si trasformò in qualcosa che la attrasse. Un lupo,
tutto zanne e pelo nero. Alla fine la sedusse e la fece sua.
La sua voce era piatta e priva di emozione, ma c'era in essa un qualcosa che a
Mistaya non sfuggì.-La tenne con sé per un po', poi l'abbandonò, preso da altri
interessi. Era una creatura volubile e irresponsabile, come tutto il popolo fatato,
incapace di comprendere le esigenze e le responsabilità dell'amore. Io nacqui da
quella unione, concepita nella follia della luce di primavera, all'avvicendarsi del
secondo ciclo, quando gli strali dell'inverno si sciolgono nel disgelo.
Il suo sguardo si perse ancora una volta. Le sue parole, benché liriche e poetiche,
erano nondimeno incomprensibili per la ragazza.
-Mio padre prese la forma di un lupo quando mi concepì con mia madre. Mia madre
si unì a lui nell'amplesso come una bestia e non fu da meno, io credo, per furia e
passione.-Strinse gli occhi, per scacciare qualche immagine che si era formata nella
sua mente. -Dal loro accoppiamento io presi una parte di ciascuno, bestia e virago,
fatato e umano, magia di un mondo e magia dell'altro. Nacqui con occhi che ti
avrebbero gelata viva. Nacqui con l'abilità di trasformarmi in una bestia. Nacqui con
il disprezzo della vita e della morte.
Guardò Mistaya.-Ero ancora una bambina, e fui presto sola. Mio padre scomparve
prima che venissi al mondo. Mia madre mi fece nascere, ma poi venne portata via.
S'interruppe, mentre l'eco delle sue parole imperlava di amarezza il silenzio. Mistaya
aspettava, badando bene di non parlare.
-Le fate la condannarono per i suoi sforzi di diventare una di loro. Si era unita con un
essere fatato e aveva concepito una figlia, e questo non era consentito. Fu messa al
bando, per questo. Fu mandata via dalle nebbie, con il divieto di tornarvi. Implorò le
fate perché fossero clementi. Voleva che io avessi l'educazione e l'esperienza che
soltanto loro potevano offrirmi. Voleva che prendessi della vita di mio padre oltre che
della sua. Voleva tutto, per me. Ma fu respinta. Fu rimandata nel suo mondo. Era una
sentenza di morte. Per troppo tempo aveva goduto del privilegio di viaggiare per le
nebbie, di andare da un mondo all'altro, di volare a suo piacimento. Il confino in un
mondo solo era insopportabile. Lei lo sopportò finché poté. Poi gettò alle ortiche ogni
precauzione e cercò di attraversare ancora una volta le nebbie. Vi entrò, e non ne uscì
mai più. Scomparve come fumo al vento.
Lo sguardo della Strega del Crepuscolo stava tornando a fuoco ancora una volta. La
forza delle sue parole era palpabile.-Lo vedi quanto siamo simili? Come è successo a
te, anche a me fu dato di scoprire chi ero senza l'aiuto di nessuno. Allo stesso modo,
la verità sulla mia nascita mi venne tenuta nascosta. Fui affidata ad altre persone
perché mi allevassero, un uomo e una donna che non comprendevano i miei bisogni,
che non riconoscevano la magia che si sviluppava in me. Mi tennero finché io glielo
permisi, e poi scappai. Avevo cominciato a prendere coscienza dei miei poteri, ma
ancora non comprendevo il loro uso. Sentivo degli impulsi, ma non riuscivo a
definirli. Come te, crebbi alla maniera delle fate, in sbalzi che eclissarono la mia
misura umana. L'uomo e la donna erano spaventati di me. Se fossi rimasta, avrebbero
potuto uccidermi.
"Come te" fu sul punto di dire, ma non lo fece. Ciononostante, Mistaya poté sentire il
sussurro di quelle parole nel silenzio, e ne fu turbata. Lei non era come la Strega del
Crepuscolo, naturalmente. Non in quel modo, almeno. Lo vedeva chiaramente.
Tuttavia la strega sentiva un bisogno insopprimibile di credere che loro avessero in
comune più di quanto ci fosse in realtà. Qui stava succedendo qualcosa che la ragazza
non capiva, e questo la mise a disagio e la rese cauta.
Gli occhi della strega luccicavano alla luce del fuoco.-Mi rifugiai in un bosco che si
trovava sui confini delle nebbie fatate, un riparo per coloro che erano parte di due
mondi e ben accetti in nessuno. Lì trovai dei compagni, alcuni di una specie, alcuni
dell'altra. Non eravamo amici, ma avevamo molto in comune. Eravamo fuorilegge
senza aver commesso reati; ci avevano condannati per quel che eravamo. Ci
insegnammo l'un l'altro quel che sapevamo e imparammo ciò che potemmo.
Esplorammo i nostri talenti. Scoprimmo i segreti nascosti dentro di noi. Era
pericoloso fare questo, perché non avevamo esperienza e alcuni dei nostri segreti
potevano uccidere. Non pochi di noi morirono. Alcuni impazzirono. Io fui fortunata a
sfuggire ad ambo le sorti e a ritrovarmi padrona del mio talento. Venni via che ero
una donna ormai fatta e una strega di grande potere. Trovai e dominai la conoscenza.
La legna nel fuoco scoppiettò all'improvviso, spargendo per aria una pioggia di
scintille. Mistaya sobbalzò, ma la strega non si mosse. Rimase di ghiaccio contro il
bagliore del fuoco, rigida nella concentrazione.
I suoi occhi si fissarono su Mistaya.-Ero più piccola di te quando seppi del mio
potere. Ero sola. Non avevo qualcuno che mi guidasse, come tu hai me. Ma noi siamo
simili, Mistaya. Io ero dura, dentro, e nulla poteva spezzarmi. Ero roccia. Nessuno
poteva mentirmi. Nessuno poteva ingannarmi o prendermi in giro. Sapevo ciò che
volevo e studiavo subito qualche sistema per ottenerlo. Io vedo tutto questo in te.
Vedo la stessa determinazione. Tu farai tutto ciò che ti proporrai di fare, e nessuno
potrà distoglierti. Ascolterai la ragione, ma essa non sarà sufficiente a dissuaderti dal
seguire una linea d'azione, se il risultato che vorrai ottenere ti sembrerà importante.
Mistaya annuì, non tanto per approvazione, perché non era del tutto sicura di trovarsi
d'accordo con quella dichiarazione, ma per incoraggiarla a proseguire. Voleva sentire
di più. Era affascinata.
-Dopo qualche tempo-disse lentamente la Strega del Crepuscolo-decisi che sarei
entrata nelle nebbie fatate. Ero stata bandita, ma quello era successo prima di scoprire
la portata dei miei poteri. Adesso, lo sentivo, le cose erano diverse. Appartenevo al
mondo fatato. Era mio diritto viaggiare tra i mondi come aveva fatto un tempo mia
madre. Andai sul ciglio delle nebbie e chiamai. Feci così per moltissimo tempo. Non
ottenni risposta. Alla fine, entrai semplicemente nelle nebbie, decisa ad affrontare
coloro che mi avevano bandita. Mi trovarono subito. Non mi diedero ascolto. Mi
respinsero sui due piedi. Ero un'esiliata, e non fu sufficiente la mia magia a impedirlo.
La sua bocca si era serrata e indurita.-Non mi arresi. Tornai più e più volte, non
disposta a cedere al loro volere, decisa piuttosto a morire. Passarono gli anni. Vissi
parecchie vite, senza invecchiare. Ero inattaccabile dalle leggi del tempo. Ero più
fatata che umana. Appartenevo alle nebbie. Eppure, non mi era concesso entrare.
"Poi trovai uno squarcio che mi permise di addentrarmi non vista tra le nebbie.
Cambiai forma per mimetizzarmi, per non farmi scoprire. Entrai nelle nebbie e mi
nascosi tra le creature inferiori. Nessuno mi riconobbe. Rimasi prima sotto una
sembianza, poi sotto un'altra, tenendomi sempre accuratamente discosta dalla luce
della rivelazione. Fui accettata. Scoprii di potermi aggirare tra i fatati in tutta libertà.
Cominciai a usare la magia come facevano loro. Elaborai i miei incantesimi e misi in
atto i miei complotti, e vissi come loro. Il mio inganno aveva funzionato. Ero una di
loro."
Sorrise, cinica e amara.-E poi, come mia madre, mi innamorai. -La sua voce si fece
improvvisamente piccola piccola, e fragile.- Trovai un essere così meraviglioso, così
desiderabile che non riuscii a controllarmi. Dovevo averlo. Volevo disperatamente
essere sua. Lo seguii, feci amicizia con lui, divenne il mio compagno, e alla fine mi
diedi completamente a lui. Per giungere a questo, fui costretta a rivelarmi. Quando lo
feci, lui mi ripudiò immediatamente. Mi tradì. Rivelò la mia presenza. Le fate non
furono gentili. Fui bandita sui due piedi. Perché mi ero innamorata. Perché non ero
stata abbastanza saggia.
Inarcò un sopracciglio, riflettendo amaramente.-Come mia madre.
Stava quasi per piangere, si rese improvvisamente conto Mistaya. Non c'erano
lacrime, ma la ragazza poteva sentire contro la propria pelle la lama del dolore della
strega, fredda e affilata.
-Fui mandata qui-terminò la Strega del Crepuscolo.-Nel Pozzo Infido. Bandita dalle
nebbie fatate, bandita dalla mia terra natale. Confinata a Landover per il resto della
vita. Fu una punizione, capisci. Io avevo usato la mia magia e lasciato il mio marchio
sul loro mondo, e non ero una di loro. Avevo trasgredito. Così fui punita. Fui messa
all'ingresso di tutti i mondi che mi erano preclusi per sempre. Fui messa ai confini
delle nebbie che non avrei mai potuto attraversare.-Intrecciò le mani, e le dita si
strinsero quasi ad annodarsi. Scosse lentamente la testa da una parte all'altra.-No, le
fate non furono gentili.
-Mi sembra che siano state molto ingiuste-interloquì con calma Mistaya.
La Strega del Crepuscolo rise.-Questa parola non ha significato per il popolo fatato.
Non ne hanno la minima concezione. C'è soltanto quello che è permesso e quello che
non lo è. Se ci pensi, l'idea stessa di giustizia è una fola per bambini. Guarda il nostro
mondo, qui a Landover. La giustizia viene amministrata da coloro che hanno il potere
di negarla. Invocarne l'uso non è altro che la supplica di un pezzente quando ogni
altro tentativo è fallito. "Siate giusti con me!" Com'è pietoso, e senza speranza!
Sputò fuori quelle parole disgustata. Poi si piegò in avanti con improvvisa
intenzione.-Ho imparato qualcosa da quello che mi è stato fatto, Mistaya. Ho
imparato a non supplicare mai, a non aspettarmi mai gentilezza, a non fare mai
affidamento sul caso o sulla buona sorte. La mia magia mi sostiene. Il mio potere mi
dà forza. Affidati a queste cose e sarai sempre protetta.
-E non innamorarti-aggiunse solennemente Mistaya.
-No-confermò la strega, e sul suo volto si dipinse una tale furia che per un momento
fu irriconoscibile, simile a una di quelle bestie delle quali poteva assumere le
sembianze.-No-ripeté, una parola temprata nell'acciaio, e Mistaya seppe che pensava
a qualcuno in particolare, a un tempo e un luogo che dovevano essere piuttosto vicini,
a un evento che bruciava ancora dentro di lei come un ferro arroventato.-No, mai più.
Mistaya rimase immobile al bagliore vacillante del fuoco, e lasciò che la rabbia della
Strega del Crepuscolo sbollisse, sforzandosi lei stessa di confondersi con le ombre
della notte, di apparire inoffensiva e insignificante. Temeva che se avesse dimostrato
di essere qualcos'altro, la collera della strega avrebbe potuto inghiottirla così com'era.
La Strega del Crepuscolo la guardò come se avesse letto nei suoi pensieri, poi si
rivolse a lei con un sorriso disarmante.-Noi siamo simili-disse una volta ancora, come
se avesse bisogno di rassicurarsi.-Tu e io, Mistaya. La magia ci lega, streghe una
volta e per sempre, nate con poteri che gli altri possono solo agognare senza mai
possederli. Vivere da sole è la nostra benedizione e la nostra condanna. E' il nostro
destino.
La sua mano si levò e riempì l'aria di luce smeraldina, una polvere che si sparse
nell'oscurità e ricadde come una manciata di scintille.
Più tardi, quando si avvolse nelle coperte, Mistaya stava ancora pensando a quel che
la strega le aveva rivelato. Tanta sventura, amarezza e solitudine nell'oscura vita
dell'altra. Tanto furore. Come me, aveva ripetuto più volte la strega. Tu e io.
L'incertezza di Mistaya crebbe quando meditò su quelle parole. Forse c'era più verità,
in quelle pretese, di quanto lei stessa fosse disposta a riconoscere. Prima non ci aveva
creduto, ma stava cominciando a pensarci. Forse, visto che era una strega, il suo
posto era qui con la Strega del Crepuscolo.
Era così preoccupata da questa eventualità che a stento si ricordò di chiamare
Haltwhistle prima di addormentarsi.
12
Robot
L'alba portò un cambiamento nelle condizioni del tempo sulla regione dei laghi, e
quando Ben e Willow si svegliarono una pioggerellina insistente stava cadendo. Si
vestirono, fecero una colazione leggera a base di frutta, pane e marmellata e latte di
capra; si avvolsero nelle loro mantelle da viaggio e uscirono per andare a trovare il
Signore del Fiume. Elderew era immersa nella nebbia e oppressa da un soffitto di
nuvole grevi, e l'intreccio di rami che fungeva da copertura, carico di pioggia, stillava
gelidi goccioloni su di loro mentre percorrevano la pista deserta che menava alla
città. Non si affrettavano. Il Signore del Fiume doveva essere stato avvertito, ormai,
che erano svegli. Sarebbe andato loro incontro prima che avessero avuto bisogno di
chiamarlo, perché era fatto così.
Ben si guardava furtivamente attorno alla ricerca dell'Ardsheal, ma non lo vide. Però
poteva avvertire la sua presenza. Sentiva il suo sguardo trafiggere il buio.
Il Signore del Fiume apparve quando erano ormai prossimi al centro della città, ritto
da solo in mezzo a una radura che il sentiero attraversava. Salutò Ben con un cenno
del capo e Willow con un breve abbraccio, due gesti che non concedevano molto al
calore e all'intimità, e li avvisò che i loro cavalli erano pronti. Non li invitò a
trattenersi ancora. Ora che aveva consegnato l'Ardsheal, si aspettava che
proseguissero nella ricerca di Mistaya. Ricordò loro la promessa che avevano fatto, di
tenerlo informato sui loro progressi. Dopo un po' sopraggiunse Bunion, che
conduceva Giurisdizione e Gru: il corpo nodoso e ingobbito del coboldo gocciolava
nell'oscurità, e i suoi occhi erano ridotti a gialle fessure. Quando Ben e Willow
montarono in sella, il Signore del Fiume mise da parte ogni riserva, quel tanto che
bastava per dichiarare che se ci fosse stato bisogno del suo aiuto per riportare a casa
sua nipote, non dovevano far altro che mandarlo a chiamare, e lui sarebbe accorso.
Fu un'inaspettata deviazione dal suo deliberato distacco nei loro confronti. Ben e
Willow erano sorpresi, ma non lo dimostrarono. Lo presero in parola e partirono.
Spiriti dei boschi li aspettavano ai bordi del bosco antico alle porte di Elderew per
ricondurli attraverso la palude e la massa boscosa che proteggevano la città. La
pioggia continuava a cadere, un'acquerugiola che rendeva il suolo sotto gli zoccoli dei
cavalli fangoso e sdrucciolevole. Quando le guide li ebbero scortati fino alla zona
meno boscosa che si stendeva ai piedi di Elderew, i tre si fermarono a riposare prima
di proseguire.
-L'hai visto stamattina?-chiese Ben a Willow mentre si passavano la fiasca della birra,
in piedi accanto ai cavalli al riparo delle fronde.
-No-rispose lei.-Ma Bunion sì. Ha detto che sta seguendo le nostre tracce tenendosi
nell'ombra in mezzo agli alberi, senza farsi distanziare. A Bunion non fa piacere
saperlo vicino, e neanche a me.
Ben diede un'occhiata. Bunion stava accovacciato al riparo degli alberi, con
un'espressione di malumore.-Non ha certo la faccia allegra, il che è tutto dire.
-Si considera la tua guardia del corpo. La presenza dell'Ardsheal sembra voler
suggerire che lui non è capace di fare il suo lavoro.
Ben la guardò.-Neanche tu credi che l'Ardsheal dovrebbe essere qui, vero?
-No, al contrario. Credo che l'Ardsheal ti proteggerà meglio di chiunque altro.-Gli
rivolse uno sguardo freddo e prolungato.- Però questo non vuol dire che mi piaccia
portarmelo dietro.
Lui annuì.-Hai detto la stessa cosa ieri sera. Come mai?
Lei esitò.-Te lo dirò dopo. Stasera.-Stette in silenzio per un momento.-Ho detto a
Bunion che l'Ardsheal è stato un regalo di mio padre e che sarebbe stato scortese, e
forse anche pericoloso, rifiutarlo. Bunion l'ha presa per buona.
Ben guardò di nuovo il coboldo. Anche quello lo guardava, con gli occhi gialli
luccicanti. Quando incontrò lo sguardo di Ben, sorrise come un alligatore affamato.
-Be', spero che tu abbia visto giusto-disse distrattamente. I suoi occhi si spostarono a
incontrare quelli di lei.-Ci ho pensato. Non dovremmo cercare di metterci in contatto
con la Madre Terra? Sembra che lei sappia sempre tutto quello che succede a
Landover. Forse potrebbe darci qualche lume su quanto è successo a Mistaya e agli
altri. Forse sa qualcosa di Rydall.
La pioggia gocciolò dal bordo del cappuccio di Willow sul suo naso, e lei se lo tirò
più avanti per coprirsi meglio.-Ci ho pensato anch'io. Ma la Madre Terra mi sarebbe
già apparsa in sogno se avesse potuto aiutarmi in qualche modo. Mistaya è
importante per lei, è la promessa di un futuro speciale. Non permetterebbe mai che le
venisse fatto del male se fosse in suo potere di evitarlo.
Ben diede un calcio a un pezzetto di legno marcio con lo stivale. -Vorrei che alcune
di queste persone fossero più concrete con i loro aiuti-mormoro amareggiato.
Lei gli rivolse un piccolo sorriso.-L'aiuto è un dono: non bisogna mai arrivare al
punto di pretenderlo. Allora, che direzione dobbiamo prendere?
Lui scrollò le spalle e guardò di nuovo in mezzo agli alberi. Non sopportava di non
riuscire a vedere l'Ardsheal. Era già abbastanza seccante sentire sul collo il fiato dei
suoi nemici. Adesso doveva anche rassegnarsi a sentire quello del suo protettore?
Sospirò.-Be', non vedo il motivo di tornare a Sterling Silver. Se lo facciamo, Rydall
non farà altro che mandarci un nuovo mostro. E non avremo fatto alcun progresso
nella ricerca di Mistaya.-Si accigliò, come se volesse disapprovare il suo stesso
ragionamento. -Pensavo che potremmo andare nelle Pianure. Kallendbor conosce
ogni avversario che abbia mai minacciato Landover. Ha combattuto contro la
maggior parte di essi. Forse saprà qualcosa di Rydall e Marnhull. Forse avrà sentito
qualcosa che ci potrebbe aiutare a ritrovare Mistaya.
-Di Kallendbor non c'è da fidarsi-lo ammonì Willow con calma.
Lui annuì.-E' vero. Ma non ha alcun interesse a favorire un'invasione straniera.
Inoltre, mi è debitore per avergli risparmiato una punizione molto più severa di quella
che gli diedi quando si alleò con il Gorse. E lui lo sa. Io penso che convenga tentare.
-Forse.-Lei non sembrava convinta.-Ma dovrai raddoppiare le attenzioni, se avrai a
che fare con lui.
-Lo farò-la rassicurò Ben, chiedendosi quanta attenzione in più avrebbe dovuto usare
adesso che aveva al suo fianco il Paladino, Bunion e l'Ardsheal, tutti pronti a
proteggerlo.
Montarono in sella e si rimisero in viaggio. Bunion, avvertito della loro nuova
destinazione, scorrazzava in testa tra gli alberi, esplorando il territorio che avrebbero
attraversato, lasciandoli alle temporanee attenzioni della invisibile guardia del corpo.
L'Ardsheal, comunque, rimase nascosto. Il giorno scorreva con languida lentezza, il
mattino divenne mezzodì, il mezzodì pomeriggio. La pioggia non accennava a
smettere. Si dirigevano a nordest verso le Pianure, con gli alberi che si diradavano
man mano che la regione dei laghi cedeva il passo alle colline sotto Sterling Silver.
Sostarono per il pranzo presso un ruscello, dove trovarono riparo sotto un annoso
cedro. La pioggia gocciolava dai rami curvi, un costante picchiettio sul terreno
inzaccherato. Il mondo attorno a loro era freddo e umido, e silenzioso. Quando il
pasto fu finito, si rimisero in strada. Non incontrarono nessuno per tutta la giornata.
Al calar della notte giunsero ai bordi delle Pianure, dove si stendevano le praterie che
coprivano le province dei Signori minori di Landover, fino ai Melchor. Il tramonto
era un chiarore grigioferro a occidente, sulle montagne lontane, con la luce plumbea
che cercava debolmente di contrastare la notte incombente. Ben e Willow fecero il
campo in un boschetto di Bonnie Blu e ciliegi, su un'altura che dominava le pianure.
Bunion tornò per consumare la cena, un pasto freddo preparato senza il beneficio di
un fuoco, e poi scomparve di nuovo. L'Ardsheal non comparve affatto.
Quando la notte fu caduta e si trovarono soli nel suo silenzio profondo, con la pioggia
che si era ridotta a una umida nebbiolina sospesa sulle praterie come il sudario di un
fantasma, Ben circondò con un braccio Willow, la trasse a sé così che si trovarono
entrambi a guardare nel buio che li circondava, e disse:-Parlami dell'Ardsheal.
Lei dapprincipio non disse nulla, restando immobile e rigida contro di lui mentre le
sue braccia la cullavano. Lui poteva sentire il suo respiro, il sollevarsi e il rilassarsi
del suo seno, il sommesso soffio di aria dalle sue labbra. Attese con pazienza,
guardando oltre il velo dei suoi capelli al lenzuolo della nebbia aldilà, che s'ispessiva
sempre più.
-Gli Ardsheal sono sempre esistiti-disse lei alla fine.-Essi furono creati per proteggere
gli esseri fatati dopo che ebbero lasciato le nebbie per venire nel mondo degli umani,
perdendo così parte della loro magia. Gli Ardsheal erano una magia antica, nata dal
culto della terra, e poiché erano spiriti elementari potevano essere evocati da qualsiasi
luogo. Gli esseri fatati li usavano di rado, perché erano distruttori, plasmati da aspri
rancori e disperati bisogni. Quando la minaccia crebbe a dismisura, e gli esseri fatati
cominciarono a temere per la vita stessa della loro gente, gli Ardsheal furono evocati.
Di solito ne bastavano pochissimi. In un lontano passato, prima del vecchio Re,
quando Landover era di nuova formazione e dava ancora origine alle sue terre e alle
sue genti, ci furono guerre tra umani ed esseri fatati. Gli umani furono i primi a
occupare Landover; le creature fatate arrivarono in un secondo tempo e furono
considerati degli invasori. Nelle battaglie che seguirono, gli Ardsheal furono chiamati
a combattere contro le creature evocate dai maghi al servizio degli umani.
Fece una pausa, per raccogliere i pensieri.-Quello è stato tanto tempo fa. Da allora,
gli Ardsheal sono stati usati molto raramente. L'ultima volta risale a non molto tempo
fa. Accadde quando uno dei demoni di Abaddon eluse le difese di Elderew
travestendosi da essere fatato. Era una creatura stregonesca, un Changeling che
cercava un varco per consentire l'ingresso ai suoi simili proprio nel cuore della
regione dei laghi. La magia presente in quel luogo, pensava, sarebbe in quel modo
appartenuta a loro. Così assunse l'aspetto di un abitante della regione dei laghi e
venne nella città, e cercò di uccidere mio padre.
-Perché era il Signore del Fiume?-chiese sottovoce Ben.
-Sì, per quello. Perché era a capo della sua gente.-Le parole di Willow erano quasi
inudibili.-Il demone tentò e fallì. Ma nel tentativo di uccidere mio padre, distrusse
parecchi altri, compresi molti bambini. Poi riuscì a fuggire. Ci fu un panico
indescrivibile tra gli esseri fatati. E rabbia. Mio padre e gli anziani evocarono cinque
degli Ardsheal e li mandarono in cerca del demone. Gli Ardsheal seguirono le sue
tracce di casa in casa, rintracciandolo alla fine in uno dei suoi tanti travestimenti, e lo
uccisero.
Trasse un profondo respiro.-Era nella mia casa che si nascondeva, quando lo
trovarono. Aveva preso le sembianze di una delle mie sorelle. Era molto abile. Aveva
fatto in modo di tornare nell'unico posto dove pensava di essere al sicuro, proprio
nella casa del Signore del Fiume. Ma gli Ardsheal erano implacabili. Potevano
seguire una traccia tramite il tocco, il fiuto, i sapori; percepìvano il più piccolo
rumore, perfino la variazione di temperatura determinata dal proiettarsi di un'ombra.
Ciononostante, non erano perfetti. E non lo furono quella volta. Erano stati evocati in
fretta e furia, in modo imperfetto. La fretta fu fonte di disattenzione. Il demone
assunse parecchie forme prima di prendere quella in cui lo sorpresero. Quella che
aveva preso subito prima era la forma di mia sorella Kaijelln. Gli Ardsheal ormai gli
erano addosso, e quando entrarono in casa nostra, via le porte come se fossero
fuscelli, credettero che il demone fosse ancora Kaijelln.
"E così" sussurrò, con la voce tremante, "la uccisero senza aspettare di scoprire la
verità. Agirono per istinto. La uccisero proprio davanti a me."
Ben deglutì. Aveva la gola secca.-Tuo padre non riuscì a fermarli?
Willow scosse la testa.-Erano troppo rapidi. Troppo potenti. Un Ardsheal, quando
attacca, è inarrestabile. Quel giorno fu così, con Kaijelln. Morì in un batter d'occhio.
Quindi rimasero a lungo in silenzio, mentre Ben teneva la silfide stretta a sé, tutti e
due immobili a fissare l'oscurità. Da qualche parte un uccello notturno emise il suo
richiamo, e un altro rispose. L'acqua gocciolava dalle foglie nel silenzio più assoluto.
-Avremmo dovuto lasciarlo dov'era-disse alla fine Ben.- Avremmo dovuto rifiutarlo.
-No!-La voce di Willow era dura e ferma questa volta.- Niente può resistere a un
Ardsheal. Niente! Ne avrai bisogno per difenderti da qualsiasi altra cosa Rydall
decida di mandarti. Inoltre, mio padre avrà preso ogni possibile precauzione per
essere sicuro che questo faccia ciò che ci si aspetta da lui, e niente di più.
Si girò improvvisamente tra le sue braccia e lo guardò direttamente in faccia.-Non
capisci? Non ha importanza che io ne abbia paura. L'unica cosa che conta è che ti
salvi la vita.-Si sporse in avanti, portando il volto vicinissimo al suo.-Vedi quanto ti
amo Ben Holiday!
Poi lo baciò e continuò a baciarlo finché lui non dimenticò tutto il resto.
All'alba si rimisero in marcia. La giornata era grigia e nebbiosa, ma la pioggia era
cessata. Bunion era tornato durante la notte e stavolta viaggiò con loro, e mentre
procedevano in aperta prateria il coboldo faceva strada sgambettando alacremente
davanti alle loro cavalcature. Anche l'Ardsheal si fece vedere, emergendo dalla
foresta per prendere posizione una ventina di metri alle loro spalle. Mantenne quella
distanza per tutto il viaggio, seguendoli come un'ombra. Quelli lo tennero d'occhio
per un po', guardandolo di sottecchi, stupiti dalle movenze agili e fluide del suo
passo. Non indossava nulla, e il suo corpo sembrava non avere fattezze: braccia,
gambe, piedi, mani, torace e testa erano lisci e lucidi per l'umidità, la pelle era tesa e
senza giunture, gli occhi dei buchi neri che guardavano diritti trafiggendo l'oscurità.
Non dava segno di conoscerli, al suo andare; non parlò mai. Sostava quando lo
facevano loro, aspettava pazientemente che si rimettessero in marcia, per riprendere
subito la sua andatura costante.
A metà mattinata smisero di guardarlo. Per mezzogiorno, avevano smesso del tutto di
pensare a lui.
Le praterie erano immerse in una fitta nebbia, e le città e le fattorie del popolo delle
Pianure e le roccheforti dei Signori si materializzarono davanti a loro con spettrale
immediatezza. Le scansarono tutte, ben decisi a raggiungere Rhyndweir e Kallendbor
prima di essere sorpresi dalla notte. Comprarono della zuppa calda da un venditore a
un mercato posto in prossimità di una cittadina e la sorseggiarono da ciotole di latta
senza fermarsi. Bunion finì la sua in un batter d'occhio e sparì. L'Ardsheal rimase
indietro nella nebbia e non mangiò nulla.
Ben e Willow cavalcavano in silenzio, fianco a fianco, contenti della compagnia uno
dell'altra, senza sentire il bisogno di parlare. Ben passò buona parte della giornata a
pensare al racconto dell'Ardsheal e di Kaijelln. Si ritrovò a paragonare l'Ardsheal al
Paladino,
entrambi distruttori, entrambi perfette macchine da guerra, entrambi al suo servizio e
perciò sotto la sua responsabilità per qualunque danno potessero arrecare. Il
confronto lo turbò più di quanto non volesse ammettere. Gli fece pensare di nuovo a
ciò che la sua trasformazione nel Paladino stava facendo alla sua psiche. Avrebbe
forse un giorno raggiunto il punto in cui la differenza tra loro non sarebbe stata più
distinguibile? Sarebbe diventato come l'Ardsheal, una macchina di morte senza
passioni, senza rimorsi, una creatura senza coscienza che serviva soltanto il suo
padrone? Si trovò a pensare a come si era sentito quando, da Paladino, era rimasto
intrappolato nella Scatola Magica, come era rimasto privo di ogni altra identità
fuorché quella di campione del Re, come era stato perso a tutto tranne che alle sue
abilità di guerriero. I pensieri giravano e si aggrovigliavano con insidiosa intenzione,
rinnovando in lui i dubbi sulla fermezza dei suoi propositi nella battaglia contro i
mostri di Rydall. Lottò con i suoi pensieri, ma non lasciò trapelare assolutamente
nulla di quella lotta.
Verso il tardo pomeriggio giunsero in vista di Rhyndweir. Il castello di Kallendbor
sorgeva su un ripido promontorio alla confluenza dei fiumi Anhalt e Piercenal; con le
sue mura, i bastioni e i pinnacoli, torreggiava cupo sulle praterie. Una cittadina
sorgeva sotto le mura del castello, affollata e chiassosa, piena di acquirenti e venditori
di mercanzie: commercianti, contadini, cacciatori di pellicce e artigiani di ogni tipo.
La pioggia aveva ripreso a cadere, un'acquetta grigiastra che si mischiava alla nebbia
e avviluppava case e persone, trasformandole in figure vaghe e scure nella caligine.
Ben e Willow erano venuti senza fanfara, senza scorta e senza farsi annunciare. Non
c'era nessuno ad aspettarli e nessuno a guidarli al palazzo. Ma questo collimava con
le intenzioni di Ben. Voleva sorprendere Kallendbor, trovarlo impreparato, così da
costringerlo a riceverli senza il vantaggio del preavviso. C'erano più probabilità di
ottenere la sua collaborazione, se non gli fosse stato dato il tempo di valutare i pro e i
contro.
Ben rallentò quando giunsero all'Anhalt e al ponte che lo scavalcava fino al castello.
Richiamò Bunion, poi si rivolse all'Ardsheal e gli fece cenno di avvicinarsi. Con sua
sorpresa, esso fece quanto gli veniva richiesto. Venne a porsi direttamente al suo
fianco, con il volto piatto e inespressivo, e gli occhi che guardavano dritto davanti a
sé. Ben inarcò il sopracciglio, rivolto a Willow, disse a tutti di rimanere vicini e fece
avanzare Giurisdizione.
Attraversarono il ponte ed entrarono in città, cavalcando tra la gente e la pioggia
mentre la luce del pomeriggio scemava per lasciare il posto a una fosca oscurità. La
gente adesso si affrettava verso casa, così furono in pochi a badare ai cavalieri e ai
loro fanti. Quelli che lo fecero distolsero rapidamente lo sguardo. Non era
consigliabile fare troppe domande quando c'era di mezzo un Ardsheal.
La piccola compagnia raggiunse le porte del castello e fu prontamente bloccata dalle
guardie. Ci furono occhi spalancati, e proteste di ogni tipo, ma Ben si limitò a
comandare al più vicino notabile di accompagnarli al palazzo. In ogni caso, chi di
dovere sarebbe stato avvertito, e lui non aveva nessuna voglia di star lì ad aspettare
che si decidessero a farlo. Un comandante, più coraggioso dei suoi compagni, si
azzardò a protestare per la presenza dell'Ardsheal, e fu immediatamente zittito dalla
secca risposta di Ben. L'Ardsheal era la guardia personale dell'Alto Signore.
Dovunque andasse l'Alto Signore (o la sua Regina) lì sarebbe andato l'Ardsheal. Il
comandante si mise da parte, e fu loro permesso di entrare.
Attraversarono a cavallo cancelli e cortili lastricati, superarono parecchi livelli di
difesa e gli acquartieramenti dei soldati al servizio di Kallendbor, fino al pianoro
erboso su cui sorgeva il palazzo. La loro guida cercò di rallentare l'andatura, in modo
che il suo Signore avesse il tempo di essere avvisato e di prepararsi, ma Ben spinse
Giurisdizione in avanti passando quasi col cavallo sul corpo del troppo solerte
funzionario. In pochi minuti furono davanti all'ingresso del palazzo e smontarono.
A suo credito, Kallendbor uscì immediatamente a salutarli. Era solo, a parte il
guardiano che rimase nervosamente in attesa sulla porta; apparentemente non c'era
stato il tempo di convocare servitori o favoriti. Il Signore di Rhyndweir era un uomo
alto e scheletrico con capelli di un rosso acceso, il cui colore sembrava rispecchiare la
sua indole. Cicatrici di guerra gli solcavano le mani e gli avambracci, e sfregiavano
un volto altrimenti bello. Portava uno spadone appeso alla cintola come se fosse un
naturale complemento del suo vestiario. Quando andò a ricevere i visitatori era rosso
in faccia e gli occhi erano furiosi, ma si profuse comunque in un inchino profondo e
cerimonioso.
-Se avessi saputo del vostro arrivo, Alto Signore, vi avrei preparato un miglior
benvenuto-aggiunse, riuscendo quasi a dissimulare la sua contrarietà. Adocchiò
Bunion con uno sguardo e poi per la prima volta vide l'Ardsheal.-Cosa significa
questo?-scattò, incapace ormai di nascondere la collera.-Perché portate qui questa
creatura?
Ben guardò l'Ardsheal come se avesse dimenticato che era lì.-E' un dono del Signore
del Fiume. Mi serve da protezione. Vogliamo andare dentro all'asciutto a parlarne con
calma?
Kallendbor esitò e diede l'impressione di voler protestare, poi sembrò ripensarci. Li
portò via dalla pioggia, nell'ingresso principale, e poi per un lungo corridoio fino a un
salotto dominato da un ampio camino in pietra che andava dal pavimento al soffitto.
Le fiamme dei ceppi che ardevano nel focolare spandevano calore e luce da una
parete all'altra e facevano danzare le loro ombre mentre gli ospiti si accostavano alle
sedie per sedersi li davanti. Bunion era rimasto a governare i cavalli. L'Ardsheal si
fermò accanto alla porta e si confuse con le ombre che si addensavano numerose
sull'entrata.
Kallendbor si sedette dall'altra parte rispetto a Ben e Willow. La sua collera non era
sbollita.-Gli Ardsheal sono stati nemici del popolo delle Pianure per secoli, Alto
Signore. Non sono i benvenuti, qui. Lei sicuramente deve saperlo.
-I tempi cambiano.-Ben guardò i bicchieri vuoti posati accanto alla caraffa di liquido
ambrato sul tavolo che si trovava fra di loro e invitò con gli occhi Kallendbor a
riempirne due e a porgerli a lui e a Willow. Le labbra del Signore di Rhyndweir erano
serrate a formare una linea sottile, e le sue grosse mani erano strette a pugno.
-E' a suo agio, adesso, Alto Signore?-chiese sardonico.
Ben annuì.-Non c'è male, grazie.-Ignorò il tono rude dell'altro.-Mi scuso per aver
portato l'Ardsheal qui a Rhyndweir, ma le attuali circostanze suggeriscono particolari
precauzioni. Suppongo che vi sia giunta voce delle minacce alla mia vita.
Kallendbor fece un gesto nell'aria, sbrigativo.-Da parte di Rydall di Marnhull? L'ho
saputo. E' passato ai fatti?
-Due attacchi, finora.
Kallendbor lo studiò.-Due. E altri cinque in programma, se non sbaglio. Ma niente
può resistere al Paladino. E adesso dispone anche di un Ardsheal. Dovrebbero essere
sufficienti a proteggerla.
Ben si sporse in avanti.-La sua delusione sarebbe terribile, se così fosse?
Per la prima volta Kallendbor sorrise, una smorfia feroce e sardonica.-Non siamo
certo buoni amici, Alto Signore. Io non ho nessun motivo particolare per volerle
bene. Ma neanche Rydall di Marnhull è mio amico.
-Lo conosci, allora?-incalzò Ben.
Kallendbor scosse la testa.-Non so niente di lui. Deve venire da qualche posto fuori
dei confini di Landover.
-Ma se è così, come ha fatto ad attraversare le nebbie?
-Come ha fatto lei, suppongo.-Kallendbor si strinse nelle spalle.-Usando la magia.
Ben sorseggiò la sua bevanda. Un vino piuttosto dolce. Non se lo sarebbe aspettato da
Kallendbor. Al suo fianco Willow si agitava, insofferente di quella conversazione,
ansiosa di porvi termine. Non le piaceva Kallendbor di Rhyndweir, e in generale tutto
ciò che riguardava le Pianure. Apparteneva al popolo dei fatati, e i Signori delle
Pianure non erano mai stati loro amici.
Ben guardò per un momento il fuoco, poi di nuovo Kallendbor.- Questa è una breve
visita. Una notte per asciugarci dalla pioggia, e po' andremo via. Ci farai portare da
mangiare in camera, così potrai fare a meno di intrattenerci. L'Ardsheal starà vicino a
noi, fuori vista. Anche Bunion può stare con noi.
Kallendbor annuì, e c'era un'espressione di evidente sollievo sul suo volto.-Come vi
aggrada, Alto Signore. Farò portare acqua calda per il bagno.
Ben annuì.-C'è una cosa.-Si sporse in avanti così da scaricare tutto il peso del suo
sguardo su Kallendbor.-Se mi sfiorasse il sospetto che sai qualcosa di Rydall e me lo
tieni nascosto, ti farei gettare in catene.
Kallendbor s'irrigidì, e la sua faccia avvampò di rabbia.-Alto Signore, io non devo...
-Non ho dimenticato che ti alleasti con il Gorse contro di me, non molto tempo faproseguì Ben, interrompendolo.-Avevo tutto il diritto di esiliarti a vita e di confiscare
tutti i tuoi beni. Avevo il diritto di metterti a morte. Ma tu sei un capo valoroso e un
uomo che ha molta influenza sui suoi pari, e io tengo in gran conto la tua fedeltà al
trono. E non volevo che le Pianure ti perdessero. Inoltre, credo che tu fosti mal
consigliato in quella occasione. Tutti noi lo fummo, in certa misura.
Fece una pausa.-Ma se dovesse accadere di nuovo, non esiterei a riconsiderare la mia
posizione nei tuoi confronti, Signore Kallendbor. Voglio ricordarti questo.
Kallendbor annuì in maniera secca, quasi impercettibile. A stento riuscì a parlare.-E'
tutto, Alto Signore?
-No.-Ben sostenne il suo sguardo.-Rydall ha preso nostra figlia. Le tue spie forse non
te l'hanno riferito. E' in ostaggio finché il Paladino non sconfiggerà le creature che lui
manderà a dare battaglia, o non ne sarà sconfitto. Io ora la sto cercando. Ma non c'è
traccia di Rydall o di Marnhull. Nessuno sembra in grado di aiutarci, incluso te. Io
sono deciso a riavere mia figlia, Kallendbor. Se tu puoi aiutarmi, sarebbe saggio da
parte tua farlo.
Rimase in attesa. Kallendbor stette in silenzio per un momento. -Io non ho bisogno di
prendere bambini in ostaggio per dichiarare guerra ai miei nemici-riuscì finalmente a
dire.
Sembrava che avesse problemi a pronunciare le parole. Ben si chiese come mai.Allora mi manderai ad avvertire se sentirai qualcosa che potrebbe aiutarmi a ritrovare
Mistaya?-incalzò.
La faccia di Kallendbor si chiuse, piatta e inespressiva. C'era uno sguardo duro nei
suoi occhi.-Avete la mia parola che farò tutto quello che posso perché vostra figlia
torni a casa sana e salva. Non posso promettere di più.
Ben annuì lentamente.-Mi basta.
Ci fu un silenzio aspro e prolungato. Poi Kallendbor si mosse a disagio sulla sedia e
disse-Se siete pronti, vi mostrerò le vostre stanze.
Almeno per il momento, ne avevano avuto abbastanza uno dell'altro.
Venne la mezzanotte, e passò. La pioggia si rovesciava dai cieli, portata fino alle
praterie da nubi temporalesche che avevano scavalcato la barriera delle montagne e
avevano invaso l'oscurità. I lampi solcavano i cieli neri con nastri al calor bianco che
saettavano e rintronavano. Sotto le mura di Rhyndweir le acque turbolente dell'Anhalt
e del Piercenal sciabordavano contro gli argini, ingrossate e cariche di detriti.
Ben Holiday non dormiva bene. Già due volte si era svegliato e si era alzato per
guardarsi attorno. La prima volta lo aveva destato il silenzio, la seconda la furia della
tempesta. Tutt'e due le volte era andato alla porta ed era rimasto ad ascoltare, poi si
era recato alle finestre della torretta della camera da letto e aveva guardato dabbasso.
Erano alloggiati nella torre occidentale, in camere normalmente riservate agli ospiti
di riguardo, ai piani alti del palazzo, lontane dal personale di servizio e dagli altri
ospiti. Dalle loro finestre c'erano almeno una trentina di metri fino alle rocce del
promontorio e alle acque dell'Anhalt. Dalla loro porta c'era una lunga discesa da fare,
per una scala a chiocciola che passava per parecchi altri piani e stanze vuote prima di
giungere all'atrio che conduceva all'ala principale del castello. Com'era tradizione, le
stanze scelte per l'Alto Signore di Landover erano isolate e sicure, e offrivano
un'unica possibilità di entrata.
Questa notte, tuttavia, Ben non poteva fare a meno di pensare che esse offrivano,
d'altra parte, una sola via d'uscita.
Comunque, lui qui era al sicuro. Bunion stava di guardia proprio fuori della porta, e
l'Ardsheal guardava le scale e l'atrio sottostante. Di fuori lampeggiava, tuonava e il
vento ululava sulle pianure, una forza immensa e immutabile. Ma la tempesta non
penetrò dove dormivano Ben e Willow, salvo che con il rumore del suo passaggio, e
nient'altro poteva tenere sveglio l'Alto Signore.
Eppure non riusciva a dormire.
E quando dalle scale giunsero quei colpi pesanti e Bunion strillò un avvertimento, era
già sveglio e seduto nel letto. Willow si levò istantaneamente a sedere accanto a lui,
con la faccia scossa, gli occhi spalancati. La porta di quercia massiccia fasciata di
ferro volò nella stanza, frantumata in schegge che a stento riuscivano ancora ad
aggrapparsi agli attacchi scardinati. Qualcosa di scuro e gigantesco si stagliò sulla
porta, abbattendo quella parte del muro di pietra che ostacolava il suo passaggio.
Bunion si aggrappò alla cosa, azzannandola con i denti e artigliandola, ma quella non
sembrò neanche notare il coboldo. Venne in camera da letto, buttando giù pietre e
calcinacci, svellendo i cardini e quant'altro rimaneva della porta demolita. Un lampo
esplose e illuminò la mostruosa apparizione mentre Ben e Willow guardavano
increduli.
Era un gigante racchiuso nel metallo dalla testa ai piedi.
Mio Dio, pensò Ben impietrito dalla sorpresa, è un robot!
Il ferro scricchiolava e gemeva mentre l'automa avanzava minaccioso verso di loro, a
braccia alzate e mani aperte. L'intera creatura era formata da placche e giunture di
metallo. Un robot! Ma non c'erano robot a Landover, né uomini meccanici di alcun
tipo! Nessuno qui aveva mai neanche sentito parlare di una cosa del genere!
Willow urlò e capitombolò dal letto, cercando spazio per muoversi. Ben strisciò
all'indietro, s'impigliò nelle coperte, e cadde. La sua testa urtò violentemente contro
la testiera di legno, e i suoi occhi si riempirono di luci accecanti e lacrime. "Ben!"
sentì Willow gridare, ma non riuscì a rispondere. Sapeva che doveva fare qualcosa,
ma il colpo alla testa l'aveva scosso tanto da non fargli capire più niente.
Un'arma! Aveva bisogno di un'arma!
Attraverso il velo delle lacrime vide il robot afferrare Bunion e scagliarlo via come se
il coboldo fosse fatto di carta. I piedi di ferro massiccio rimbombavano pesanti e
cadenzati sul pavimento mentre il mostro si avvicinava al letto, ne afferrava la
spalliera e la strappava via. Il letto crollò con un sobbalzo, e Ben si liberò ruzzolando,
cercando di rimettersi in piedi. Bunion attaccò di nuovo, e questa volta il robot lo
sbatté via con una manata, con tanta violenza che il coboldo colpì la parete con uno
schianto pauroso, piombò al suolo e restò lì immobile.
-Ben, chiama il Paladino!-urlo Willow, gettando coperte e pezzi di legno all'indirizzo
del mostro in un futile tentativo di rallentarne il passo.
Poi apparve l'Ardsheal, spuntando dal buio delle scale ed entrando in volo dalla porta,
e aggredì il loro attaccante dal di dietro. La forza del colpo fece barcollare
momentaneamente il robot, che poi si voltò. L'Ardsheal affrontò il gigante senza
alcun timore, avvinghiandosi a lui nel tentativo di buttarlo giù. Un altro lampo saettò,
illuminando i combattenti mentre lottavano per guadagnare terreno sul pavimento
della stanza. Willow corse dall'altra parte, cercando di raggiungere Ben. Questi si era
rimesso in piedi, ma si appoggiava alla parete più lontana, intontito. Un rivolo di
sangue gli scorreva dalla tempia. Cercò a tastoni il medaglione per poter evocare il
Paladino, ma con suo sommo orrore non riuscì a trovarlo. Il medaglione e la catenella
che lo teneva legato al collo erano scomparsi!
Il robot e l'Ardsheal andarono a sbattere contro il muro di pietra, allacciati in un
combattimento mortale, avvinghiati in una terribile lotta come grossi orsi. L'Ardsheal
serrò le mani su uno dei grossi avambracci metallici del gigante e cercò di torcerlo
con forza terrificante. Si udì uno spaventoso scricchiolio di metallo che cedeva, e
improvvisamente l'avambraccio e la mano si staccarono e caddero al suolo con uno
schianto. Istantaneamente il robot abbracciò l'Ardsheal con tutte e due le braccia,
serrò la mano integra sui resti del braccio fracassato e strinse le braccia in una morsa
d'acciaio. L'Ardsheal s'irrigidì e gettò indietro la testa. Qualcosa dentro di lui si
spezzò con una serie rumorosa di scatti.
Willow afferrò un pezzo della porta fracassata, si gettò in avanti con un grido, e
sbatté quel randello di fortuna sulla faccia del robot. Il robot non sembrò notarla,
ancora tutto concentrato nello sforzo di finire l'Ardsheal. Ben, che aveva recuperato
la vista, si slanciò in avanti, ormai lucido. Tirò via Willow, afferrò una coperta, la
lanciò sulla testa del robot e tirò dalle due estremità. Il gigante di metallo girò la testa,
poi cominciò a roteare, sempre tenendo saldo l'Ardsheal ferito.
Ma uno degli stivali di ferro s'impigliò nella coperta, ed esso inciampò. Per rimettersi
in equilibrio, fu costretto a lasciare la presa.
Immediatamente l'Ardsheal si liberò. Un liquido scuro gli scorreva giù dalla bocca e
dal naso, e le sue giunture sembravano essersi staccate dai perni. Eppure sembrava
non risentire delle sue ferite. Rinnovò l'attacco, martellando il robot con i pugni e
facendolo arretrare verso le finestre aperte. Mentre il robot vacillava all'indietro,
l'Ardsheal si catapultò su di lui con una carica feroce che portò i due combattenti
nell'apertura protetta dall'inferriata. La pietra e l'intonaco cedettero sotto l'urto del
loro peso combinato, e le sbarre vennero divelte. L'intelaiatura della finestra e parte
del muro circostante caddero a pezzi.
Poi l'Ardsheal tornò ad avvinghiarsi al robot, lo spinse fino all'apertura e le due
creature piombarono fuori nella notte.
Ben e Willow raggiunsero lo squarcio battuto dalla pioggia subito dopo, troppo tardi
per vederli cadere, ma in tempo per sentirne lo schianto sulle rocce sottostanti e il
tonfo nel fiume. La pioggia inzuppò le loro facce e le spalle mentre si sporgevano
fuori nel buio, a scrutare in basso. Un lampo saettò, rivelando le mura del castello
scivolose di pioggia, le rocce vuote e il fiume in piena. Niente si muoveva sulle
rocce. Niente si vedeva nel fiume.
Ben ricondusse Willow nella stanza e l'abbracciò forte. Lei affondò la faccia nella sua
spalla, e Ben poté sentirla inspirare a pieni polmoni.
-Rydall sia dannato!-imprecò lui nel suo orecchio, sforzandosi di non tremare.
Lei gli piantò le dita nel braccio e annuì in una feroce, silenziosa approvazione.
13
Gli occhi del drago
Fu solo in seguito che Ben scoprì di avere ancora addosso il medaglione. Abbassò gli
occhi ed esso era li, appeso al collo con la sua catenella. Per un momento non riuscì a
crederci. Lo sollevò e lo fissò. La familiare immagine incisa del Paladino che usciva
a cavallo da Sterling Silver all'alba scintillò in risposta. Era tanto sicuro di averlo
perso. L'aveva cercato, e non c'era.
-Ben, cosa c'è che non va?-chiese in fretta Willow, vedendo lo sguardo sul suo viso.
Lui scosse la testa, lasciando ricadere il medaglione.-Niente, stavo solo...
S'interruppe, confuso. Il colpo alla testa quando era caduto all'indietro doveva averlo
stordito più di quanto credesse. Ma ne era stato così sicuro! Aveva allungato la mano
per prendere il medaglione, e non c'era!
Willow lasciò cadere la questione, andò all'armadio e prese dei vestiti puliti. Qualche
secondo dopo, un contingente delle guardie del palazzo vennero alla carica su per le
scale, le armi in resta, pronti a rintuzzare l'attacco. Ben e Willow ormai erano
impegnati a curare Bunion, e li ignorarono. Il coboldo era parecchio ammaccato, ma
sembrava comunque in buone condizioni. I coboldi sono tipetti duri, pensò Ben con
ammirazione, sollevato nel constatare che il suo amico non era stato seriamente
ferito, e pensando che pressoché chiunque altro al suo posto sarebbe rimasto ucciso.
Le guardie del palazzo rovistarono la stanza, guardarono fuori nella notte piovosa
dallo squarcio nella parete, e più che altro apparivano a disagio per il fatto stesso di
essere costretti a stare li. Era un po' colpa loro se l'attacco era quasi riuscito, e ora
temevano le reazioni sia dell'Alto Signore che di Kallendbor al loro mancato
intervento.
Ben, da parte sua, era troppo preoccupato per perder tempo a lanciare accuse: si stava
ancora scervellando sulla subitaneità dell'assalto e sulle circostanze che l'avevano
accompagnato. Ma Kallendbor, quando irruppe nella stanza a petto nudo e con la
spada in mano, non era affatto conciliante. Dopo aver ascoltato da Ben il racconto
succinto dell'attacco, redarguì aspramente chiunque fosse a portata delle sue urla. Poi
spedì una pattuglia in ricognizione sulle rive del fiume perché scoprissero se c'era
qualche traccia del mostro di Rydall o dell'Ardsheal. Altri soldati li mandò in giro per
il castello, perché si assicurassero che non vi erano altre minacce. Ben, Willow e
Bunion furono trasferiti in altre stanze, e fu ordinato alle guardie di sorvegliarli
strettamente per il resto della notte. Naturalmente sulle spine per quanto era accaduto,
e ansioso di evitare ogni ulteriore contatto, Kallendbor bofonchiò un arcigno
"buonanotte" e tornò a dormire.
Un'esausta Willow seguì subito il suo esempio, imitata da Bunion.
Ben, invece, rimase sveglio a lungo a pensare a quest'ultimo mostro. Due cose lo
sconcertavano, e non riusciva a spiegarsele.
La prima riguardava le circostanze dell'ingresso di quella creatura nel castello. Come
aveva potuto sfuggire alla sorveglianza delle guardie di Kallendbor e dell'Ardsheal?
Era impensabile che qualcosa di così grosso e ingombrante potesse passare
inosservato. Non avrebbe dovuto neanche superare i cancelli principali. A meno che,
naturalmente, non avesse avuto alcun bisogno di attraversarli e fosse entrato nel
palazzo per mezzo della magia; che era l'unica conclusione ragionevole. E questo gli
fece sorgere il dubbio (benché la cosa apparisse un po' forzata) che la magia fosse
stata usata anche nel corso della battaglia, per fargli credere di aver perso il
medaglione. Altrimenti, come mai non era riuscito a trovarlo (anche se stordito dal
colpo alla testa, anche nella frenesia di quei momenti) se era sempre appeso li al
collo?
La seconda cosa che lo assillava era che c'era qualcosa di vagamente familiare in quel
robot, e non capiva come fosse possibile una cosa del genere. Non c'erano robot a
Landover, e, per quanto ne sapeva, nessuno li aveva la più pallida idea di cosa
potessero essere. Quindi doveva averlo visto nel suo vecchio mondo, in un film o in
un giornaletto o qualcosa del genere, visto che anche laggiù i robot erano più che
altro soggetti fantastici. Rovistò fra i suoi ricordi nello sforzo di rintracciare quello
giusto, ma nulla gli venne in mente.
Quando finalmente si addormentò, quasi al mattino, stava ancora tentando
inutilmente di ricordare.
Willow lo svegliò verso metà mattinata. I cieli erano di nuovo sereni; le piogge si
erano spostate verso est. Lui rimase a letto per un po', a guardare Willow che gli
sedeva accanto con lo sguardo basso e sorrideva in quel suo modo peculiarmente
leggiadro, e d'impulso prese una decisione. Willow soffriva per la perdita di Mistaya
e per la minaccia di Rydall tanto quanto lui. Non era giusto tenerle nascoste le sue
riflessioni. Così le disse tutto, anche parte di ciò che non aveva mai rivelato prima a
nessuno: che il Paladino e il medaglione erano collegati, che questo evocava quello a
difesa dell'Alto Signore. Erano soli nella stanza, poiché Bunion era uscito molto
prima per sbrigare degli affari personali, di cui non aveva rivelato la natura. Willow
ascoltò attentamente tutto ciò che Ben aveva da dire, poi gli prese le mani e le tenne
nelle sue.
-Se il medaglione è stato manomesso-disse con calma, seduta sul letto accanto a luiallora chi l'ha fatto doveva sapere che esso è la chiave per evocare il Paladino.-Lo
guardò fisso per un momento.-Chi, oltre a me, sapeva questo?
La risposta era: nessuno. Neanche Questor Thews, che, dopo Ben, era quello che ne
sapeva di più sul medaglione. Quasi tutti sapevano che esso era un marchio distintivo
e che apparteneva a chiunque regnasse su Landover come Alto Signore. Pochi
sapevano che consentiva al suo possessore di attraversare le nebbie fatate. Soltanto
Ben, e adesso Willow, sapevano che esso evocava il Paladino.
In quel momento era quasi deciso a rivelarle fino in fondo le proprietà del
medaglione, l'ultimo dei suoi segreti, i residui scampoli di verità. Le aveva detto
come il medaglione lo legasse al Paladino, come gli consentisse di evocare il
campione dell'Alto Signore. Perché non dirle anche che lui e il Paladino erano
tutt'uno, che il Paladino era un altro aspetto di se stesso, un lato più oscuro che
prendeva forma quando si approssimava la battaglia? Erano parecchie volte che
pensava di rivelarle quelle cose. Era l'ultimo segreto sulla magia che non le aveva
svelato, e quel fardello gli sembrò improvvisamente quasi insopportabile.
Eppure non parlò. Non era pronto. Non era certo. L'immensità di una tale rivelazione
avrebbe potuto portare a conseguenze imprevedibili. Non voleva mettere alla prova la
dedizione di Willow per lui facendola partecipe di una verità così terribile. Temeva
ancora adesso, anche dopo tanto tempo, di poterla perdere.
-Dove andiamo ora, Ben?-chiese lei improvvisamente, interrompendo i suoi pensieri.Non credo che tu abbia intenzione di trattenerti qui, vero?
-No-rispose lui, felice di poter cambiare argomento.-A quanto pare, Kallendbor non
può esserci di alcun aiuto, quindi non c'è motivo di restare. Partiremo non appena mi
sarò vestito e avremo messo qualcosa sotto i denti. Ma dov'è Bunion?
Il coboldo ritornò alla camera da letto proprio mentre Ben finiva di lavarsi e di
vestirsi. La fasciatura fattagli da Willow la notte precedente, che era stata applicata
alla peggiore delle sue ferite, un brutto taglio alla testa, era scomparsa. Bunion aveva
potuto conservare un forte odore del robot, ed era sceso giù per le scale, seguendo a
ritroso il suo percorso di quella notte. Il viaggio era stato breve. Molto dell'odore era
stato cancellato dal calpestio delle guardie su e giù per le scale, ma ce n'era rimasto
abbastanza per stabilire che il mostro di Rydall si era materializzato dal nulla sul
pianerottolo del piano proprio sotto di loro. Ben guardò Willow, poi di nuovo
Bunion. Sapevano tutti quello che questa scoperta significava.
Bunion li avvisò anche che una minuziosa ricerca condotta nell'Anhalt e sulle sue
sponde da parte dei soldati di Kallendbor non aveva rivelato alcuna traccia né
dell'attaccante né dell'Ardsheal.
Si fecero portare la colazione e la consumarono in camera, poi prepararono i bagagli
e scesero nell'atrio principale. Kallendbor si fece loro incontro, con la faccia arcigna e
sottomessa per gli avvenimenti della notte. Ben lo avvisò della loro partenza, e
un'ombra di sollievo passò negli occhi dell'altro. Ben non si era aspettato di più, visto
che non potevano dirsi amici, anche nel migliore dei casi. Fece i suoi ringraziamenti
al padrone di casa per la sua ospitalità e gli fece rinnovare la promessa che si sarebbe
fatto vivo se avesse saputo qualcosa di Mistaya o di Rydall. Kallendbor li
accompagnò alle porte del palazzo, dove trovarono i cavalli già sellati in attesa. Ben
sorrise fra sé. Kallendbor non sarebbe mai stato un bravo giocatore di poker.
Montarono in sella e uscirono dai cancelli della fortezza per dirigersi alla volta della
città. Attraversarono il ponte sull'Anhalt e puntarono a sudovest, ripercorrendo i
propri passi lungo la pista per Sterling Silver. Willow rivolse a Ben uno sguardo
interrogativo, chiedendosi di nuovo quali fossero i suoi piani, ma lui si limitò ad
alzare un sopracciglio, senza dire parola. Soltanto quando furono ben lontani dal
castello e in piena prateria fece fare dietrofront a Giurisdizione e si fermò.
-Non volevo che Kallendbor vedesse dove ci stiamo dirigendo veramente-disse a mo'
di spiegazione.
-E cioè?
-Verso est, alle Lande Sterili, dall'unica creatura ormai che potrebbe sapere qualcosa
di Mistaya.
-Ho capito-rispose Willow tranquilla, afferrando al volo.
-Con te parlerà. Tu gli piaci.
Lei annuì.-Può darsi.
Rifecero a ritroso il percorso fino all'Anhalt e seguirono il fiume per il resto della
giornata. Prima di notte avevano raggiunto i margini delle Lande Sterili. Fecero il
campo lì, trovando riparo in un frassineto su una collina che forniva un buon colpo
d'occhio onnidirezionale sul territorio circostante. Mangiarono una cena fredda.
Bunion si offrì di montare la guardia per tutta la notte, ma Ben non volle sentirne
parlare. Anche il coboldo aveva bisogno di riposare, se voleva essere di aiuto nel caso
fosse stato sferrato un nuovo attacco, il che non era affatto improbabile, visti gli
ultimi avvenimenti. Poiché dipendevano tutti uno dall'altro, avrebbero diviso le
responsabilità, insisté Ben.
Quella notte non ci furono mostri, e Ben dormì indisturbato. Al mattino si sentiva
ritemprato. Anche Willow appariva riposata. Tutti e tre si stavano preparando a
quello che li attendeva. Anche Bunion si era fatto un quadro della situazione. Andò in
avanscoperta mentre Ben e Willow seguivano a un'andatura più tranquilla. Si
lasciarono le Pianure alle spalle e si addentrarono nelle Lande Sterili. La giornata era
di nuovo nuvolosa e grigia, ma non sembrava minacciare pioggia. Anche senza il
sole, l'aria era secca e calda, il terreno crepato e riarso, e la regione in cui si trovavano
era priva di vita e immota come se fosse morta.
Per mezzogiorno erano ben addentro nelle Lande, e Bunion fece ritorno per avvisarli
che le Fonti di Fiamma erano proprio davanti a loro e che il Drago Strabo era lì.
-Se c'è qualcuno che può conoscere Rydall, quello è Strabo- disse Ben a Willow
mentre cavalcavano sulle aspre colline che circondavano le Fonti.-Strabo può andare
dove vuole, e potrebbe essere capitato a Marnhull dopo aver attraversato a volo le
nebbie fatate. In ogni caso, vale la pena di chiederglielo. Purché sia tu, a parlare con
lui.
Strabo non aveva molta simpatia per Holiday, benché i loro rapporti fossero adesso
meno freddi di un tempo, dopo la loro avventura nella Scatola Magica. Ma per
Willow, il Drago nutriva una sincera propensione. Non perdeva occasione per
dichiarare che i draghi avevano sempre avuto un debole per le belle damigelle, anche
se qualche volta questa loro passione era stata fraintesa e si era sparsa la voce che
preferissero piuttosto divorarle. Troppo vanitoso per ammettere la sua confusione in
materia, si era lasciato comunque sedurre dalla silfide in più di un'occasione.
Tuttavia, una visita alle Fonti di Fiamma restava comunque un'esperienza
imprevedibile e incerta, e il drago Strabo non era certo un soggetto accomodante.
Quando furono abbastanza vicini da sentire il calore dei pozzi, molto tempo dopo
aver avvistato il fumo e avvertito l'odore, smontarono, impastoiarono i cavalli e
proseguirono a piedi. Era arduo procedere sulle colline accidentate e desolate e fra i
canaloni cosparsi di rocce. Bunion faceva strada come al solito, ma adesso stava loro
più vicino. Camminavano da pochi minuti quando udirono un rumore di ossa
fracassate. Bunion guardò di sopra la spalla e mise in mostra la chiostra dei denti in
un sorriso senza allegria.
Il drago stava mangiando.
Poi giunsero in vetta a un crinale e lo videro.
Stava acciambellato attorno alla bocca di una delle Fonti, con la sua mole di dodici
metri di lunghezza nera come l'inchiostro, tutta tempestata di scaglie e aculei: un
corpo poderoso, alternativamente liscio e nodoso. Si stava cibando dei resti di quella
che sembrava essere stata una vacca, benché fosse arduo stabilirlo dato che il drago
aveva divorato quasi tutta la carcassa, escluse le zampe e un lombo.
Le zanne annerite e minacciose brillarono nell'addentare un grosso osso, ripulendolo
degli ultimi brandelli di carne. Gli occhi gialli, incappucciati da strane palpebre
rossastre, erano puntati sull'osso, ma quando i nuovi venuti spuntarono dalla cresta
per entrare nel suo campo visivo, il testone massiccio e cornuto si sollevò e fece un
mezzo giro.
-Una visita?-sibilò in maniera non precisamente invitante. Gli occhi gialli si
allargarono e poi si strinsero.-Ah, Holiday, sei tu. Che noia. Cosa vuoi ?-La voce era
bassa e gutturale, caratterizzata da un fischio sibilante.-Aspetta, non dirmelo, fammi
indovinare. vuoi notizie su questa vacca. Hai fatto tutta la strada dagli agi del tuo
luccicante castelluccio per venire a farmi una ramanzina su questa vacca. Be',
risparmia il fiato. La vacca in questione si è persa. Si è spinta nelle Lande Sterili, e
quindi è diventata mia. Dunque, niente predicozzi, ti prego.
Era sempre una sorpresa per Ben il fatto che il drago potesse parlare. Era qualcosa
che cozzava contro ogni nozione acquisita nel suo vecchio mondo. Ma, d'altra parte,
in quel mondo non c'erano neanche, i draghi.
-Della vacca non m'interessa nulla-replicò Ben. Una volta aveva fatto promettere a
Strabo che avrebbe smesso di rubare bestiame.
Le fauci del drago si allargarono a dismisura, e ne uscì una specie di risata.-No? Be',
in questo caso ti posso confessare che non era proprio entro i confini delle Lande
quando me ne sono impadronito. Ecco, ora mi sento meglio. La verità ti renderà
libero.-Strinse di nuovo gli occhi.-Bene, bene. Chi c'è con te, Holiday, la bella
silfide?-Non chiamava mai Ben "Alto Signore".-Me l'hai portata in visita? No, non
avresti mai tutti quei riguardi. Devi essere qui per qualche altra ragione. Di che si
tratta?
Ben sospirò.-Siamo venuti a chiedere...
-Aspetta, hai interrotto la mia cena.-Le froge del drago sbuffarono, e ne seguì un rude
colpo di tosse.-Educazione in tutte le cose. Vi prego, accomodatevi finché non avrò
finito. Poi ascolterò quello che avete da dirmi. Se sarete brevi.
Ben guardò Willow, e con riluttanza si sedettero sulla collinetta con Bunion, in attesa
che Strabo terminasse il suo pasto. Il drago se la prese comoda, frantumando ogni
singolo osso e divorando fino all'ultimo rimasuglio di polpa, risparmiando solo gli
zoccoli e le corna. Si dedicò alla cosa con ostentata minuziosità, schioccando le
labbra e grugnendo di soddisfazione a ogni morso. Fu una esibizione interminabile, e
produsse l'effetto desiderato. Ben era così spazientito quando il drago ebbe finito che
riusciva a stento a contenere la collera.
Strabo gettò via uno zoccolo residuo e sollevò gli occhi in uno sguardo interrogativo.Allora, sentiamo cosa avete da dirmi.
Ben cercò di trattenersi dal digrignare i denti.-Siamo venuti a chiedere il tuo aiuto per
una faccenda-esordì, e poi dovette fermarsi.
-Risparmia il fiato, Holiday-lo interruppe il drago, con un cenno brusco della zampa
anteriore.-Ti ho già dato tutto l'aiuto che potevi aspettarti da me nel corso della tua
vita; anzi, ancora di più di quanto ti sia mai meritato.
-Almeno prestami ascolto-lo pressò irritato Ben.
-Devo?-Il drago cambiò posizione, come se cercasse di mettersi comodo.-Be', per
amore della giovane e bella donzella lo farò.
Ben decise di andare al sodo.-Mistaya è scomparsa. Noi pensiamo che sia stata fatta
prigioniera dal Re Rydall di Marnhull. Almeno lui afferma di averlo fatto. Stiamo
tentando di ritrovarla.
Strabo lo fissò un momento senza parlare.-Si suppone che io debba sapere di cosa stai
parlando? Mistaya? Rydall di Marnhull? Chi sarebbero queste persone?
-Mistaya è nostra figlia-disse Willow in fretta, intervenendo per evitare che Ben
perdesse del tutto la pazienza.-Lei aiutò Ben a trovarci quando io la stavo portando
fuori del Pozzo Infido.
-Ah, si, ricordo.-Il drago sorrise.-Povero me, che memoria! E l'avete chiamata
Mistaya? Molto carino. Mi piace questo nome. Il suo suono promette una bellezza
pari a quella di sua madre.
Vomitevole, pensò Ben inviperito, ma tenne la bocca chiusa.
-E' una bambina bellissima-confermò Willow, tenendo concentrata su di sé
l'attenzione del drago.-Le voglio un bene dell'anima e sono decisa a riportarla a casa
sana e salva.
-Lo credo bene-affermò indignato Strabo.-Chi è questo Re Rydall che l'ha rapita?
-Non lo sappiamo. Speravamo che lei ci potesse aiutare.-Willow fece una pausa.
Strabo scosse lentamente il testone cornuto.-No. No, non mi pare. Non ne ho mai
sentito parlare. L'ennesimo di una lunga lista di Re minori, suppongo. Ce ne sono a
centinaia, letteralmente, tutti a far bella mostra di sé, tutti a pavoneggiarsi come se
potessero far colpo anche solo per un minuto su chiunque abbia un minimo di
lignaggio.-Lanciò un'occhiata eloquente a Holiday.-Comunque, chiunque sia, non lo
conosco. E viene da un posto chiamato Marnhull? Davvero? Marnhull? La parola mi
fa venire in mente il contenuto di una noce.
Il drago scoppiò in una risata fragorosa, che culminò in un rantolo soffocato mentre
cadeva all'indietro in una delle Fonti di Fiamma, sollevando una nuvola di cenere e di
roccia sbriciolata. Si tirò su con visibile sforzo.-Marnhull! Ridicolo!
-Allora non hai mai sentito né l'uno né l'altro nome?-lo incalzò Ben, non più in grado
di tenere la bocca chiusa.
-Mai.-Strabo soffiò sporco e vapore dalle narici.-Non esistono, nessuno dei due.
-E fuori di Landover, oltre le nebbie fatate?-incalzò Ben, incredulo.-Neanche li?
Il grosso testone nero fece una brusca rotazione.-Holiday, adesso ascoltami bene. Io
ho viaggiato per tutte le terre che siano mai esistite, e in qualcun'altra ancora. Ho
visitato tutti i paesi che circondano le nebbie. Sono stato molto più in là. Ho vissuto a
lungo, e viaggiare mi è sempre piaciuto... specialmente quando trovo un posto dove
non sono il benvenuto e posso nutrirmi dei suoi abitanti.
Gli occhi gialli si chiusero.-Allora. Se esistesse una terra chiamata Marnhull, io
l'avrei trovata. Se un re esistesse, di nome Rydall, io l'avrei saputo. Così non è.
Quindi, non esistono.
-Di certo esiste qualcuno che si fa chiamare Re Rydall, visto che è venuto due volte a
Sterling Silver a minacciarmi affermando che Mistaya è nelle sue mani, e ha
promesso di mandare dei mostri che cercheranno di uccidermi!-La pazienza di Ben
era agli sgoccioli. -Mistaya è scomparsa, e io sono stato attaccato già tre volte!
Qualcosa sta accadendo, non credi?
-Non credo-dichiarò il drago con studiata indifferenza-visto che non so di cosa tu stia
parlando. Ho ben altro da fare che stare a sentire i pettegolezzi locali. Se sei stato
attaccato, la cosa mi giunge nuova. Ed è una cosa piuttosto irrilevante, aggiungerei.
Willow prese Ben da un braccio e lo tirò delicatamente via, poi fece un passo avanti a
fronteggiare il drago.-Strabo, mi ascolti, la prego. Mi rendo conto che quanto le
stiamo dicendo è di ben poco interesse per lei. Lei è impegnato in affari molto più
importanti dei nostri. E se dice di non aver mai sentito di Rydall o di Marnhull deve
essere così. Tutti sanno che i draghi non mentono mai.
Questa era la prima volta che Ben sentiva una cosa del genere, ma Strabo sembrò
compiacersene, e mostrò la sua approvazione con un galante cenno del capo.
-Adesso devo chiederle, in nome dell'amicizia che un tempo ci ha uniti-proseguì
Willow-di aiutarmi a trovare mia figlia. E' scomparsa, e abbiamo perlustrato tutta
Landover alla sua ricerca, senza successo. Abbiamo parlato con chiunque ci sia
venuto in mente nel tentativo di scoprire dove si trova. Nessuno ci ha potuto aiutare.
Lei è la nostra ultima speranza. Pensavamo che se c'era qualcuno che potesse
conoscere Rydall o Marnhull, quello doveva essere lei. La prego, c'è qualcosa che
potrebbe dirci, una cosa qualsiasi che potrebbe esserci d'aiuto? C'è qualcuno di sua
conoscenza che potrebbe essere Rydall? O qualche luogo che potrebbe essere
Marnhull?
Il drago rimase a lungo in silenzio. Tutt'attorno a lui, le Fonti di Fiamma eruttavano e
tossivano, sputando ceneri e fumo. Il grigiore del giorno s'infittì mentre il sole si
spostava a occidente, e le nubi s'ingolfavano nei cieli a formare una coltre spessa e
ininterrotta. Sotto le nubi e il fumo, il paesaggio si stendeva in una opprimente
solitudine, brullo e desolato.
-Io ci tengo molto, alla mia privacy-disse infine Strabo.- Ecco perché vivo qui,
sapete.
-Lo so-riconobbe Willow.
Il drago sospirò. - Molto bene. Ditemi qualcos'altro di questo Rydall. Ditemi qualsiasi
cosa sappiate o sospettiate.
Willow lo fece, senza tralasciare alcunché tranne le informazioni sul medaglione.
Quando ebbe finito, Strabo meditò ancora un po'.
-Bene, Holiday-disse poi pacato-sembra che io debba aiutarti ancora una volta, anche
se questo mi ripugna non poco. L'aiuto che ti offrirò, comunque, sarà dovuto
esclusivamente al considerevole affetto che nutro per l'avvenente silfide.
Si schiarì la gola.-Niente attraversa le nebbie fatate che io non sappia. E'
semplicemente così che vanno le cose. I draghi hanno vista e udito eccellenti, e niente
sfugge alla loro attenzione.-Fece una pausa, pensoso.-Purché essi lo ritengano degno
della loro attenzione, s'intende.-Sembrò rammentarsi del suo precedente diniego per
quanto riguardava la conoscenza dei fatti accaduti a Sterling Silver.-Comunque,
nessuno ha attraversato le nebbie di recente. Ma anche se mi sbagliassi (e suppongo
che un momento di disattenzione potrebbe essermi capitato proprio mentre passava
Rydall o chiunque altro) ci sarebbe ancora una traccia visibile di quel passaggio. In
parole povere, potrei scoprirlo comunque.
Rivolse loro un largo sorriso e aggiunse-Se decidessi di farlo.- Piegò la sua orrida
testa verso Willow.-Mi chiedevo, mia Signora, se mi farebbe l'onore di offrirmi una
delle sue squisite canzoni. Ogni tanto sento la mancanza del suono di una voce di
ragazza.
Era questa la cosa che più desiderava al mondo: un tempo non avrebbe avuto il
coraggio di chiederlo, ma ora sembrava aver superato quell'imbarazzo. Willow se
l'era immaginato. In passato, la causa principale del suo fascino presso il drago era
stato il canto, quindi non esitò a ricorrervi anche in questa occasione. C'era un
implicito accordo, in atto, e il prezzo che il drago stava chiedendo in cambio del suo
aiuto non era certamente alto. Willow cantò di prati e fiori di campo pieni di fanciulle
danzanti e di un drago che era signore di tutto. Ben non aveva mai sentito quel canto,
e lo trovò sdolcinato anzichenò, ma Strabo adagiò la testa cornuta sul ciglio di una
delle Fonti e assunse un'espressione sognante.
Quando Willow finì di cantare, il drago si era sciolto come neve al sole. Le lacrime
sgorgavano dai suoi occhi a lanterna.
-Quando tornerà dalla sua ricerca-gli disse lei ad alta voce, rammentandogli i termini
del contratto-canterò un'altra canzone per lei, in segno di gratitudine.
La testa di Strabo si sollevò lentamente dal suo giaciglio, e i denti si profusero in un
tentativo, pateticamente vano, di sorriso.-Je t'adore-dichiarò, languido.
Senza altre parole, spiegò le grandi ali staccandole dal corpo serpentino e si levò in
cielo, allontanandosi descrivendo ampi cerchi a spirale finché non fu tanto lontano da
scomparire alla vista.
Attesero per il resto della giornata e per tutta la notte il suo ritorno. Bunion andò a
prendere le coperte, e tutti e tre fecero i turni di guardia, sistemati su un lato delle
Fonti di Fiamma con il vento a favore, in modo da non dover respirare il fumo e la
fuliggine. Lingue di fiamma si levavano dai crateri, e la roccia fusa gorgogliava a
intervalli regolari, frustrando ogni loro tentativo di prendere sonno. A momenti il
calore era intenso, e si attenuava solo quando una lieve brezza passava su di loro nel
suo viaggio in cerca di un posto migliore. Ma erano abbastanza al sicuro, perché nulla
avrebbe osato avventurarsi nella tana del drago.
Era quasi l'alba quando Strabo tornò. Sbucò da un cielo in cui le lune di Landover
erano già tramontate e le stelle stavano svanendo per lasciar posto a un vago chiarore
a oriente: la sua sagoma era una massiccia ombra scura che avrebbe potuto essere un
trancio di cielo inaspettatamente strappato. Si diresse a terra con movimenti fluidi e
delicati come una gigantesca farfalla, senza rumore, senza sforzo, a dispetto della
mole mostruosa.
-Signora-salutò Willow con la sua voce profonda e gracchiante. C'erano stanchezza e
rammarico in quell'unica parola.- Ho volato sui quattro confini del paese, dalle Fonti
di Fiamma ai Melchor, dalle Pianure alla regione dei laghi, da una catena di
montagne e di nebbie all'altra. Ho perlustrato tutta la linea di demarcazione fra
Landover e i mondi fatati. Ho fiutato tutte le tracce, studiato tutte le impronte, e
investigato il minimo segnale. Non c'è traccia di Rydall di Marnhull. Non c'è traccia
di vostra figlia.
-Nessuna?-chiese pacatamente Willow, come se si aspettasse che l'altro potesse
ritrattare le sue affermazioni.
La testa nodosa del drago oscillò.-Nessuno ha attraversato le nebbie nei giorni scorsi.
Nessuno.-Sbadigliò, mostrando file su file di denti neri e storti.-Adesso, se volete
scusarmi, avrei bisogno di dormire. Spiacente, ma non posso fare di più. Vi sciolgo
dalla vostra promessa di cantare ancora. Mi rincresce dire che sono troppo stanco per
poter ascoltare. Arrivederci a voi. Arrivederci, Holiday. Torna a trovarmi, qualche
volta, ma non tanto presto, d'accordo?
Strisciò tra le rocce, si fece strada serpeggiando tra i crateri ribollenti, si acciambellò
in mezzo ai detriti, e immediatamente prese a ronfare.
Ben e Willow si guardarono in faccia.-Non ci capisco niente- disse infine Ben.-Com'è
possibile che non ci sia la minima traccia?
Il volto di Willow era pallido e tirato.-Se Rydall non è venuto dalle nebbie, da dove è
venuto? Dov'è adesso? Cosa ne ha fatto di Mistaya?
Ben scosse lentamente la testa.-Non lo so.-Si chinò a raccogliere la coperta e
cominciò a ripiegarla.-So soltanto che qualcosa in tutta questa storia non va, e in un
modo o nell'altro ne verrò a capo.
Prendendo la mano di Willow nella sua, e preceduto da Bunion che faceva da
battistrada come sempre, girò sconsolato le spalle alle Fonti di Fiamma e al drago
addormentato, e si avviò verso i cavalli.
14
Il vorme
Uscirono dalla zona delle Fonti di Fiamma per inoltrarsi di nuovo nelle Lande Sterili,
in direzione ovest. Il sole faceva capolino sull'orizzonte dietro di loro, una pallida
sfera bianca, offuscata dalla nebbia e dalle nubi e dalla pesantezza della calura
nell'aria estiva. Era già caldo e minacciava ancora peggio. Le nubi si appressavano da
occidente, cominciando ad addensarsi una sull'altra e promettendo di trasformarsi in
pioggia prima della fine del giorno. Davanti ai viaggiatori la terra si stendeva dura e
desolata.
Ben cavalcava in silenzio, con l'umore tetro e disperato quanto la terra che
attraversava. Ostentava coraggio, ma sapeva di aver giocato tutte le sue carte. Strabo
era stato la sua ultima speranza. Ora che il drago aveva ammesso di non poter trovare
Rydall, si trovava di fronte alla sconsolante prospettiva che Rydall fosse introvabile.
E se non poteva trovare Rydall, non aveva speranza di trovare Mistaya, né Questor
Thews, né Abernathy. Nel caso malaugurato che le cose fossero andate così, non
avrebbe avuto altra scelta che tornare a Sterling Silver e mettersi a sedere in attesa
che fossero gli altri mostri di Rydall a trovare lui. Tre sconfitti, e altri quattro da
incontrare: non era un pensiero confortante. Già parecchie volte era stato sul punto di
capitolare (non lui, si corresse, il Paladino: ma era la stessa cosa). Non pensava di
poter sopravvivere ad altri quattro scontri; e, ammesso che ci fosse riuscito, non era
davvero convinto di poter rivedere Mistaya.
Era un pensiero terribile, e si maledisse in silenzio per averlo pensato. Ma era vero.
Era ciò che credeva. Rydall non era il tipo da tener fede a un patto: non quest'uomo
che divorava paesi, che mandava mostri a uccidere i loro Re, e che rapiva bambini da
usare come ostaggi. No, Rydall giocava con le sue vittime, e quando si giocano
giochi di questo genere si sta ben attenti a farsi da sé tutte le regole, in modo da non
perdere mai. Non aveva importanza se il Paladino avrebbe sconfitto i sette sfidanti o
meno. Mistaya non sarebbe tornata.
A meno che Ben non l'avesse trovata e non l'avesse riportata a casa per conto suo.
Il che, al momento, sembrava una cosa quanto mai improbabile.
Pensò a quel che gli aveva riferito Strabo. Non c'era traccia del passaggio di Rydall
nelle nebbie fatate. Non c'era traccia di Mistaya. Allora, questo cosa stava a
significare? Che Rydall aveva mentito? Che a Strabo era sfuggito qualcosa? Ma
Rydall aveva detto di essere venuto attraverso le nebbie. Aveva detto che il suo
esercito era pronto a seguirlo. Anche quello attraverso le nebbie fatate. Forse, pensò
Ben all'improvviso, il compagno di Rydall dalla cappa nera aveva della magia che
facilitava tutto questo e cancellava ogni traccia. Forse la magia era tale che poteva
occultare il punto del passaggio. Ma Strabo non avrebbe trovato qualche segno di
quella magia? Niente sfuggiva al drago. Possibile che Rydall fosse riuscito a fare
quello che nessun altro poteva, e avesse ingannato la bestia?
Poi a Ben venne in mente che c'era un altro modo per entrare in Landover, una via di
cui si era dimenticato: il mondo demoniaco di Abaddon. Possibile che Rydall si fosse
insinuato da quella parte? Ma, per fare questo, avrebbe dovuto evitare i demoni. O
guadagnarsi il loro appoggio, come aveva fatto il Gorse, promettendo loro qualcosa
in cambio. Era possibile che il Re di Marnhull avesse fatto questo? Non sembrava
probabile. I demoni odiavano gli umani; non facevano mai accordi con loro se
proprio non vi erano costretti. Un conto era allearsi con il Gorse, creatura imbevuta di
magia nera, un altro era coalizzarsi con qualcuno come Rydall. Inoltre, Rydall aveva
detto che per venire a Landover aveva attraversato le nebbie, e quello era un
passaggio che non aveva niente a che vedere con il mondo infernale di Abaddon.
Giurisdizione procedeva al passo, badando a poggiare bene gli zoccoli sul terreno
roccioso, muovendosi così lentamente che dava quasi l'impressione di non avanzare
affatto. Ben era assente, perso nei suoi pensieri. Willow gli cavalcava al fianco,
guardandolo in faccia, evitando di distrarlo. Bunion camminava accanto a loro,
spostando continuamente gli occhi brillanti da uno all'altra, per poi fissarli sul
territorio desolato che avevano davanti. Non erano affari suoi. Alle loro spalle le
Fonti di Fiamma erano scomparse nella curva dell'orizzonte, lasciando poco più di
una macchia nera di fumo e cenere contro il cielo.
Un corvo dagli occhi rossi sbucò fuori dalla notte che si stava rifugiando a occidente,
e volò descrivendo pigri cerchi sulle loro teste, invisibile.
Ben si stava spremendo le meningi per venire a capo di quel mistero. C'era di sicuro
qualcosa che aveva tralasciato, o su cui si era sbagliato, o che non era stato in grado
di riconoscere: qualcosa che lo avrebbe condotto da Rydall. Forse stava affrontando
la cosa nel modo sbagliato. Supponiamo per un momento, si disse, che Rydall abbia
mentito sulla sua identità, sui suoi titoli e sul suo luogo di provenienza. Era una
supposizione abbastanza sensata, considerata la sua predilezione per i giochi. Inventa
le regole di un gioco, mettile in atto e aspetta di vedere i risultati: sembrava una
congettura abbastanza in linea con quanto sapeva di Rydall. La domanda che si era
posto in un primo momento, e che aveva poi accantonato era: perché Rydall stava
facendo tutto questo? Era lo stesso interrogativo che si era posto il Signore del Fiume.
Perché il Re di Marnhull mandava mostri a sfidare Ben invece di limitarsi a chiedere
la sua vita in cambio di quella di Mistaya? Perché stava perdendo tanto tempo a
sfidare il Paladino a singolar tenzone quando avrebbe potuto con altrettanta facilità
marciare col suo esercito su Landover e prenderla con la forza? Per evitare
spargimenti di sangue e di vite umane? Non sembrava probabile.
In effetti (ma questa gli sembrava effettivamente una forzatura) Ben stava
cominciando a chiedersi se Rydall avesse davvero qualche mira su Landover.
La verità era che tutto quell'affare cominciava ad apparirgli qualcosa di prettamente
personale. Ben non riusciva a sondarne il perché, ma ne aveva la netta sensazione.
C'era qualcosa in quei mostri, nella natura della loro magia, e nei modi del loro
attacco. Qualcosa. Rydall sembrava voler colpire non tanto l'Alto Signore in quanto
Re di Landover, ma piuttosto Ben Holiday come persona, in sé e per sé. Landover
appariva quasi un pretesto, una pedina da giocare per poi mettere da parte. Rydall non
sembrava avere alcuna fretta di portare a termine la sua conquista. Non erano stati
imposti limiti di tempo riguardo alla detronizzazione, e nessun accenno era stato fatto
sui presunti tempi del passaggio delle consegne. L'unica cosa che sembrava contare
erano le sfide.
Perché Rydall stava sprecando tanto tempo se tutto ciò che voleva era persuadere Ben
ad abdicare? Non immaginava che il Re l'avrebbe fatto comunque, se non c'era altro
modo per riavere sua figlia?
Non era così?
Guardò in fretta Willow, trafitto da un lancinante senso di colpa per aver messo in
dubbio la risposta. Lei gli restituiva lo sguardo, ma non c'era ombra di condanna o di
sospetto nei suoi occhi verdi; soltanto preoccupazione e tristezza e, alla base di tutto,
amore incrollabile. Improvvisamente provò vergogna. Conosceva la risposta, non era
così? Quando Annie, sua moglie laggiù nel vecchio mondo, era morta assieme al
bimbo che portava in grembo, lui aveva creduto di non potersi più riprendere; erano
scomparsi, e lui non avrebbe mai potuto farli tornare. Adesso aveva Willow e
Mistaya, e non poteva sopportare l'idea di perdere anche loro. Avrebbe rinunciato a
tutto, pur di tenere loro.
Si era giunti a metà mattinata, e le Lande Sterili tremolavano sotto la calura
accecante.
Ben si rivolse a Willow.-Ancora un miglio e ci fermeremo a riposare-le disse.-E a
parlare un po'.
Lei annuì senza dire niente. Continuarono lentamente a cavalcare.
In alto, il corvo dagli occhi rossi fece una virata nella direzione dalla quale era
venuto, e scomparve.
La Strega del Crepuscolo volò velocemente fino alla gola che Holiday e i suoi
compagni avrebbero dovuto attraversare, tenendo stretto nel becco il vorme che si
dibatteva. Non riusciva quasi a contenere la rabbia. Aveva aspettato tutta la notte il
suo arrivo, convinta che sarebbe stato costretto a tornare subito indietro, sicura
com'era che il drago non l'avrebbe aiutato e l'avrebbe scacciato. Invece, la bestia era
andata a caccia per lui (a caccia, come uno stupido cane!) e Holiday non era tornato
indietro come previsto, ma aveva fatto il campo presso le Fonti di Fiamma, un posto
che era pericoloso perfino per la sua formidabile magia. Così era stata costretta ad
aspettare, a passare tutta la notte nelle Lande Sterili per non perdere di vista la preda.
Come in risposta alla sua collera, il vorme si attorcigliò attorno al suo becco e cercò
di morderla.
Lei rise fra sé al vederlo digrignare i minuscoli denti. Un tempo era stato un verme
qualsiasi, grasso e viscido e indolente. Adesso era la sua creatura e avrebbe assolto al
compito cui lo aveva destinato, diventando il quarto mostro di Rydall.
Era ancora sconcertata dal fatto che ci fosse stato bisogno di arrivare a quel punto. Il
robot sarebbe stato sufficiente, se non fosse stato per l'Ardsheal. Che il Signore del
Fiume, anche se c'era di mezzo sua nipote, dovesse offrire il suo appoggio a Holiday,
era una cosa che la faceva infuriare. Holiday non era certo più amico del Signore del
Fiume di quanto lo fosse del drago. Perché questi nemici dichiarati continuavano a
offrire aiuti al Re-fantoccio e a interferire con i suoi piani? Che follia era questa?
D'altra parte, pensava, cercando di vedere le cose sotto una luce migliore, che fin
dall'inizio si era augurata che Holiday sopravvivesse fino al particolare epilogo che
lei aveva concepito per lui, la fine che sarebbe venuta per mano della stessa Mistaya.
Se fosse morto prima le avrebbe tolto una parte del piacere. E la comparsa
dell'Ardsheal le aveva fornito nuova materia d'ispirazione per giocare con il
perseguitato Alto Signore di Landover. Dopotutto, niente era perduto, giusto?
Scese sulla spianata e planò nell'ombra di una gola che si apriva tra due alte colline
che bloccavano il passo a oriente e a occidente. Holiday e i suoi compagni erano
passati da quella gola per andare dal drago; le impronte dei cavalli parlavano
piuttosto chiaro. Sarebbero tornati per la stessa strada. Ma questa volta lei avrebbe
fatto in modo che ci fosse il vorme ad aspettarli. Saltellò sul terreno con le sue
zampette da uccello fino alla piccola pozza di acqua stagnante che si trovava
all'ombra delle rocce e che il calore del giorno non aveva ancora fatto evaporare. Un
po' d'acqua era tutto quel che ci voleva; soltanto un pochino, sarebbe stata più che
sufficiente.
Tenne il vorme sull'acqua, guardandolo mentre si divincolava per liberarsi. Era stanca
di tenerlo. Era già seccante aver dovuto fare tutto il percorso fino alle Lande Sterili in
forma non-umana, non avendo osato far uso della magia per timore di poter rivelare
la propria presenza e mandare a monte il gioco. Ma tenere salda la presa su quel
mostriciattolo per tanto tempo era veramente troppo. La notte precedente aveva
potuto mollarlo, lasciandolo al sicuro sulle rocce dove il terreno era duro e roccioso e
non offriva alla creatura nessuna via di fuga. Adesso era pronta a lasciarlo
definitivamente. Stava pensando che le sarebbe piaciuto trattenersi da quelle parti per
assistere allo spettacolo, ma era già troppo tempo che mancava dal Pozzo Infido, e
non le piaceva lasciare la ragazza da sola. Mistaya diventava sempre più insofferente
al tipo di lezioni che le impartiva ultimamente, e ai limiti che le venivano imposti. In
effetti, il vorme era stata un'idea della Strega del Crepuscolo, concepita quando la
ragazza si era dimostrata incapace di creare qualcosa di nuovo. Era ancora
obbediente, ma c'erano dei segni che indicavano come la ragazza ormai mal
sopportasse le regole che la strega le aveva imposto. Mistaya era incredibilmente
dotata, sia per creatività che per talento, e sotto la tutela della strega le sue capacità di
mettere in pratica la magia erano diventate formidabili. Se mai le fosse venuto in
mente di sfidare la Strega del Crepuscolo...
La strega scacciò quel pensiero con una smorfia. Non aveva paura di Mistaya. Non
aveva paura di nessuno.
Ma un po' di cautela non guastava.
Prese la sua decisione. Era meglio tornare al Pozzo Infido il più presto possibile. Era
meglio accertarsi che Mistaya non uscisse dalla retta via.
Lasciò cadere il vorme nella pozza d'acqua e lo guardò affondare. Poi volò via
rapidamente.
Ben Holiday scrutò in lontananza, avvistando la gola che portava attraverso le
accidentate colline delle Lande Sterili fino alle pianure aldilà. La luce era così scarsa,
la sua chiarezza così offuscata dal calore e dalla nebbia, che tutto appariva vago e
distorto. Perfino l'orizzonte tremolava come se fosse un miraggio che minacciava di
dissolversi da un momento all'altro. Davanti a loro, la gola era un ammasso di ombre
impenetrabili.
Guidò Giurisdizione verso l'imbocco, con la mente presa da altre cose.
Stava ripensando a quel robot. Perché era così familiare? Dove l'aveva visto? Ormai
era assolutamente certo di questo, e gli sembrava d'impazzire nello sforzo di
ricordare. A complicare le cose ci si metteva anche il sospetto, sempre più forte, di
aver già visto anche gli altri mostri di Rydall. E ora era pronto a scommettere, dopo
aver a lungo riflettuto, che li aveva visti dopo essere venuto a Landover. Eppure,
come poteva essere? Non poteva averli visti vivi; se lo sarebbe ricordato. Forse
Questor o Abernathy gliene avevano parlato? Qualcuno glieli aveva descritti? Aveva
visto un disegno o una foto?
Raggiunsero i margini delle ombre che segnavano l'imbocco della gola. Più avanti, il
passaggio era scuro e vuoto. Ben spinse avanti Giurisdizione, mentre lo stomaco
brontolava pregustando il pranzo imminente.
All'improvviso Bunion lanciò un cinguettio d'allarme. Ben diede un'occhiata al
coboldo, che stava guardando indietro, nel punto da cui erano venuti. Ne seguì lo
sguardo, schermando gli occhi per proteggerli dal riverbero del sole. Dapprincipio
non vide nulla. Poi intravide una piccola macchia nera che si stagliava bassa
sull'orizzonte. La macchia sembrava ingrandirsi.
Ben strinse gli occhi, incerto.-Cosa diavolo è...
Fu tutto quello che riuscì a dire: un attimo dopo il suolo davanti a loro eruttò una
pioggia di terra e pietrisco, e qualcosa di immenso e di scuro si levò dalle ombre
fonde della gola. Bunion si catapultò su Gru, Willow dalla sella un istante prima che
il cavallo fosse inghiottito tutto intero dalla cosa davanti a lui. Ci fu un urlo
terrificante e un rumore di ossa infrante. La polvere e il calore riempivano l'aria.
Giurisdizione balzò via in preda al panico, evitando di un pelo le mostruose fauci che
adesso cercavano di azzannare lui, mentre si avventavano alla testa di Ben con feroce
determinazione. Ben si aggrappò al cavallo imbizzarrito, riuscendo appena a
intravedere la cosa che li stava attaccando: una sorta di mostruoso serpente, senza
testa, senza occhi, tutto zanne e fauci, con il corpo purpureo liscio e fatto ad anelli,
come...
Come quello di un verme, dannazione!
Ben portò istintivamente la mano al medaglione, ma Giurisdizione arretrava così
violentemente, arrampicandosi sull'erta di una ripida altura, scartando e scalciando
preso dal terrore, che dovette rinunciare al tentativo e aggrapparsi alla sella e alle
redini con tutt'e due le mani per non farsi disarcionare. Vide Bunion e Willow
inerpicarsi sull'altra parete della gola per gettarsi fra le rocce. Il mostro si tuffò
improvvisamente nel terreno, a strisciare nel sottosuolo, con l'enorme massa che
scompariva come quella di una balena sotto la superficie del mare. Si spinse in basso,
e la terra si sollevava su di esso mentre scavava la sua galleria, una galleria che
conduceva direttamente a Ben.
Ben spronò disperatamente Giurisdizione, tentando di spingere il cavallo giù per la
china. Ma Giurisdizione era totalmente in preda al panico e il suo unico impulso era
di salire ancora più in alto. Era una battaglia impari, gli zoccoli del cavallo slittavano
senza speranza sui detriti di terra e roccia, e ogni progresso era impossibile. Ben fece
scartare il cavallo e lo spinse lungo il fianco del pendio parallelo al crinale, sperando
ancora di poterlo dirigere verso il basso. Alle loro spalle la terra si gonfiò
deformandosi, segno che il mostro si voltava per seguirli.
La distanza era di loro era ormai colmata.
Preso dalla disperazione Ben mollò la presa sulla sella e tentò di afferrare il
medaglione. Ma proprio in quel momento Giurisdizione inciampò e cadde,
mandandolo a ruzzolare nella sterpaglia. Il cavallo terrorizzato si rimise
immediatamente in piedi e stavolta si lanciò giù per la china, cercando una via di
scampo. Ben non fu altrettanto fortunato. Stordito e ferito dalla caduta, si tirò
faticosamente in piedi e cominciò a correre in avanti, senza avere alcuna idea di che
cosa cercasse di raggiungere, cosciente solo che l'orrore sotterraneo gli era quasi
addosso. Rocce e terriccio andavano in frantumi fragorosamente mentre la mole
massiccia della creatura si scavava deliberatamente la strada per raggiungerlo. Ben
cercò a tentoni il medaglione, sentendone la durezza attraverso il tessuto della veste,
incapace di estrarlo dalle pieghe in cui si era impigliato. Sudore e sangue gli
scorrevano negli occhi, accecandolo. Da un momento all'altro il suo avversario
sarebbe emerso. Da un momento all'altro lo avrebbe sopraffatto. Poteva sentire il
bordo liscio del medaglione, poteva toccare la sua superficie scolpita attraverso il
tessuto. Un altro momento! Solo un momento...!
Poi terra e roccia esplosero verso il cielo, sbalzandolo dal suolo e mandandolo a
ruzzolare lontano. Ben perse la presa sul medaglione e atterrò sulla schiena con un
secco rantolo, l'aria che gli schizzava via dai polmoni. La cosa-verme torreggiò su di
lui, incrostata di terra e con il corpo inarcato, le fauci spalancate, la bocca protesa.
Ben si contorse nello sforzo di sfuggire, sapendo che era già troppo tardi, sapendo
che non ci sarebbe riuscito. Il medaglione! pensò. Devo...
Poi qualcosa di più grosso e di più nero e di più feroce del suo attaccante piombò giù
dal cielo. Gli artigli ghermirono il corpo del mostro, strappandolo all'indietro, lontano
da Ben. Mascelle gigantesche si serrarono, tranciando la cieca estremità. Questa, con
le fauci ancora spalancate, ricadde in una pozza di liquido maleodorante, ma il corpo
continuò a contorcersi freneticamente. Le mascelle scattarono e addentarono, più e
più volte, e alla fine il mostro cadde senza vita.
Strabo lasciò andare quel che ne era rimasto, sventagliò una volta l'aria con le grandi
ali, e planò lentamente al suolo. Willow e Bunion stavano già accorrendo dall'altra
parte della gola.
-Sei veramente un impiastro, Holiday-sibilò il drago. La grossa testa oscillò da una
parte all'altra, e gli occhi a lanterna si fermarono su di lui.-Un grosso impiastro.
-Lo so-ansimò Ben, boccheggiante, mentre si rimetteva in piedi.-Grazie, comunque.
Willow lo raggiunse d'un fiato e gli gettò le braccia al collo.- Grazie, Straboecheggiò, allentando la sua stretta su Ben quel poco che bastava per voltarsi a
guardare il drago.-Lei sa quanto Ben sia importante per me. Grazie di cuore.
Strabo arricciò il naso.-Be', se vi ho dato motivo di sorridere, questo mi bastadichiarò, con una punta di compiacimento nella voce ruvida.
-Come hai fatto a sapere che eravamo nei guai?-chiese Ben. -Quando siamo partiti,
dormivi.
Il drago ripiegò le ali contro il corpo, e abbassò le palpebre.-Le Lande Sterili sono
mie, Holiday. Appartengono a me. Sono tutto ciò che mi è rimasto di quanto era un
tempo sterminato. Perciò, esse vengono governate così come io stabilisco che lo
siano. Nessuna magia è permessa qui, tranne la mia. Se c'è un'intrusione, ne sono
immediatamente avvertito. Anche nel sonno, i miei sensi me lo dicono.
Ho saputo di questa creatura dal momento che prese forma.-Fece una pausa.-Sapete
cos'è?
Ben e Willow scossero la testa.
-Questo è un vorme. V-OR-M-E. Un comune verme che la magia ha trasformato in
un predatore. Basta spruzzarlo d'acqua e diventa di proporzioni gigantesche, come ora
lo vedete.-Strabo diede un'occhiata alle sezioni tranciate e sputò disgustato.-Un
patetico pretesto per disturbare il mio riposo.
-Ancora Rydall-disse Ben pacato.
La testa di Strabo fece una rotazione.-Non so niente di Rydall -sibilò sommesso-ma
so abbastanza delle streghe. I vormi sono fra le loro creature preferite.
Ben strabuzzò gli occhi.-La Strega del Crepuscolo?-disse alla fine.
Il drago sollevò la testa.-Tra le altre.-Sbadigliò e guardò a est.-E' tempo di tornare a
letto. Cerca di restare vivo almeno quanto basta per uscire dalle Lande Sterili,
Holiday. Dopo, non sarai più sotto la mia responsabilità.
Senza altre parole spiegò le ali, si alzò in volo e scomparve alla vista. Ben e Willow
lo osservarono mentre si allontanava. Bunion stette con loro un momento, poi, su
ordine di Ben, andò a recuperare Giurisdizione.
Willow asciugò il sangue dal viso di Ben con una striscia di tessuto strappato dalla
sua camicetta. Dopo un momento gli disse:-La Strega del Crepuscolo potrebbe essere
coinvolta in questa storia?
Ben scosse la testa.-Con Rydall? Perché l'avrebbe fatto?
Il sorriso di Willow era duro e amaro.-Lei ti odia. Non ti sembra motivo sufficiente?
Ben guardò in distanza alle colline deserte, al bagliore del sole, lo sguardo perso nel
nulla. Willow fini di pulirgli il volto e lo baciò delicatamente.-Ci odia tutti.
Ben annuì. Improvvisamente stava pensando a qualcos'altro.- Willow-disse-adesso
ricordo dove ho visto i mostri di Rydall; tutti e tre.
La silfide indietreggiò di un passo.-Dove?
Lui la guardò, e c'era stupore nei suoi occhi.-In un libro.
15
Poggwydd
Mistaya si svegliò presto, quella stessa mattina, e si ritrovò da sola per la prima volta
da quando era arrivata nel Pozzo Infido. La sua reazione fu di incredulità; la Strega
del Crepuscolo non la lasciava mai sola. Si levò nell'alba grigia e caliginosa e si
guardò attorno con impazienza, in attesa che la signora della conca si facesse vedere.
Quando questo non avvenne, Mistaya la chiamò. Quando continuò a non mostrarsi, la
ragazza misurò tutto il perimetro della radura alla sua ricerca. Non c'era alcun segno
della Strega del Crepuscolo.
Inaspettatamente, Mistaya provò un senso di sollievo.
Negli ultimi tempi si erano verificati notevoli cambiamenti, e il più rilevante
riguardava i suoi rapporti con la strega. All'inizio la Strega del Crepuscolo era stata
un'insegnante instancabile ed entusiasta, una compagna nelle arti magiche, ansiosa di
farla partecipe della sua sapienza, un'amica segreta che poteva rendere edotta Mistaya
nelle tecniche di utilizzo dei suoi poteri arcani e affascinanti. Mistaya era li per
scoprire la verità sui suoi privilegi di nascita, aveva detto la Strega del Crepuscolo.
Era li per trovare il modo di aiutare suo padre nella sua lotta contro Rydall di
Marnhull. Si poteva operare del bene, con le capacità che avrebbe sviluppato. Ma, in
qualche modo, tutto questo era andato perduto lungo la strada. Non sentiva più
parlare né di Rydall né dei suoi privilegi ereditari. A malapena sentiva qualche
accenno al mondo al difuori della conca. Tutto quello che sembrava aver importanza,
adesso, erano la rapidità e la diligenza dimostrate da Mistaya nell'eseguire le
istruzioni della strega. La pazienza, che all'inizio era in primo piano, era stata messa
da parte. La varietà e l'esplorazione erano state totalmente accantonate. Ormai da
diversi giorni non facevano altro che usare la magia con un unico obiettivo: creare
mostri. Oppure, se non erano impegnate materialmente a creare mostri, continuavano
a parlarne. In questo processo, il rapporto studente-insegnante aveva subito un
drastico deterioramento. Invece di continuare ad avvicinarsi sempre più una all'altra,
Mistaya aveva l'impressione che lei e la strega si stessero progressivamente
allontanando. Agli elogi e agli incoraggiamenti si erano sostituite critiche e
repulsione. Le accuse fioccavano. Mistaya non si stava impegnando abbastanza. Non
si concentrava. Non pensava. Sembrava aver raggiunto uno stadio negativo, che non
le consentiva di fare alcunché di buono.
Quando Mistaya aveva concepito il robot (un'altra delle creature che aveva visto nel
vecchio libro di suo padre) la Strega del Crepuscolo si era mostrata entusiasta. Poi,
neanche due giorni dopo, l'aveva liquidato dichiarandolo un fallimento. Non era
abbastanza buono; voleva qualcosa di meglio. Mistaya aveva cercato di pensare a un
nuovo mostro, ma, schiacciata dall'incalzante pressione delle richieste della strega e
ormai quasi totalmente priva di interesse in quel progetto, non era stata in grado di
tirar fuori un bel niente. Esasperata, la Strega del Crepuscolo aveva dato vita a un
essere di sua creazione (un vorme, l'aveva chiamato) che, con l'aiuto di Mistaya,
aveva trasformato da innocua creatura strisciante a pericoloso predatore. Questa volta
Mistaya aveva espresso apertamente la propria disapprovazione, dicendo che era
stanca di mostri, stanca di questo particolare uso della magia, e ansiosa di
sperimentare qualcosa di nuovo. La Strega del Crepuscolo aveva respinto le sue
lamentele con un'occhiata velenosa, e le aveva rammentato la sua promessa di
attenersi scrupolosamente alle istruzioni in cambio del privilegio dei suoi
insegnamenti. Mistaya era stata tentata di sottolineare che l'accordo era diventato
decisamente unilaterale, ma si era trattenuta.
In realtà, non capiva cosa stesse succedendo. Nonostante le loro diversità, guardava
ancora alla Strega del Crepuscolo come a una sua amica. C'era fra di loro una
comunanza che trascendeva finanche la sua attuale insoddisfazione, ma Mistaya
cominciava a rendersi conto che essa era basata essenzialmente sulla concretezza
delle loro potenzialità magiche e assumeva sempre più l'aspetto di una intensa forma
di competizione, come se in qualche modo tutte e due fossero coscienti che il loro
destino era di essere rivali, piuttosto che amiche. Ogni giorno crescevano i dissapori e
si assottigliavano i punti di contatto fra di loro, e la lacuna che le separava continuava
ad allargarsi inesorabilmente. Mistaya non voleva che questo accadesse, ma si trovò
impotente a evitarlo. La Strega del Crepuscolo non le prestava ascolto; non faceva
alcuno sforzo per mediare o scendere a compromessi. Voleva che Mistaya facesse
esattamente quanto le veniva detto, che non facesse domande, e reprimesse
qualsivoglia obiezione. E Mistaya si rendeva conto sempre di più che non poteva
farlo.
Così quella mattina era da sola, e respirava l'aria come se fosse fresca e nuova. Un po'
sospettosa della sua inaspettata libertà, operò un semplice incantesimo per accertarsi
che la strega non stesse tentando di mettere in atto una qualche sorta di inganno. Ma
nessuna traccia della strega si rivelò, e così lei chiamò Haltwhistle. Il cucciolo di
fango comparve immediatamente, materializzandosi dal grigiore, con gli occhi
pensosi, le orecchie leggermente drizzate e la coda scodinzolante.
-Buon vecchio Haltwhistle-lo salutò lei con un sorriso.- Buongiorno a te.
Haltwhistle si accucciò e prese a sbattere la coda per terra.
-Facciamo qualcosa, tu e io?-chiese al suo amico a quattro zampe.-Noi due da soli?
Diede uno sguardo tutt'attorno nella radura, come se si aspettasse che la risposta
potesse giungere di là. La familiare cappa di caligine avviluppava ogni cosa. Alberi e
arbusti erano immersi nel grigio, il cielo era invisibile, e il mondo era un bozzolo di
silenzio. Era stanca di essere confinata in uno spazio così ristretto; voleva vedere
aldilà di quel sudario di nebbia. Ricordava il mondo esterno, e voleva posarvi di
nuovo lo sguardo: la luce del sole, l'erba verde, i cieli azzurri, i laghi, le foreste, le
montagne e gli esseri viventi. Ultimamente aveva pensato spesso ai suoi genitori,
cosa che non aveva fatto per diverso tempo. Si chiedeva come mai non fossero venuti
a trovarla, o non le avessero scritto o non si fossero messi in contatto con lei in
qualche modo, per sapere come stava. E i suoi amici di Sterling Silver? Perché non
aveva avuto almeno notizie di Questor Thews? Erano amici per la pelle. Che cosa era
successo a tutti?
Questo non l'aveva chiesto, alla Strega del Crepuscolo. Sapeva cosa le avrebbe
risposto. Che prendevano tutte le precauzioni poiché Rydall la stava cercando. Che
volevano essere certi che lei fosse al sicuro. Ma la risposta non la soddisfaceva come
avrebbe dovuto. In un certo senso sembrava inadeguata. Ci doveva essere un modo
per i suoi genitori di contattarla, anche lì. Volente o nolente, Mistaya stava
cominciando a sentire nostalgia di casa sua.
-Be'-dichiarò d'impulso.-Basta ciondolare qui attorno. Andiamo a fare una
passeggiata.
Si mosse risoluta, e senza alcun ripensamento sulla decisione presa. Stava per esporsi
a un grosso rischio, e lo sapeva. Intendeva arrivare fino al mondo esterno, dove la
visibilità non era ridotta a quindici metri, dove c'erano luce e tepore, dove c'erano
esseri viventi. Intendeva uscire dal Pozzo Infido, e questo significava infrangere gli
ordini della strega.
Strano a dirsi, la cosa non la turbava molto.
Fece materializzare un gambo di Bonnie Blu da masticare, desiderosa di quel cibo
che non assaggiava da un po' di tempo. Il viaggio fu facile. Un tempo non sarebbe
riuscita a trovare la via che conduceva fuori dal Pozzo Infido. Adesso impiegava la
magia con la massima naturalezza e si trovò alla base del pendio che portava sul
ciglio della conca in men che non si dica. Trovò un viottolo e s'inerpicò verso la luce,
con Haltwhistle che zampettava veloce alle sue calcagna.
Qualche momento dopo, Mistaya emergeva dalla densa caligine per trovarsi in una
giornata inondata di sole e di profumi estivi. Sorrise mentre la luce le ricadeva sul
viso e sulle braccia. Strinse gli occhi per attenuare il bagliore e guardò prima a
sinistra alle colline boscose con le loro ombre di un verde profondo e poi a destra a
una vallata coperta di fiori di campo azzurri e gialli. Montagne dai riflessi porporini si
levavano sul remoto orizzonte, con le vette carezzate dalle nuvole. Sugli alberi lì
intorno volavano gli uccelli, e un coniglio selvatico sfrecciò nell'erba alta della valle.
-Bene, da che parte andiamo?-chiese Mistaya ad Haltwhistle con un sorriso luminoso
e deciso.
Poiché il cucciolo di fango sembrava non avere preferenze, scelse Mistaya per tutti e
due. Si avviarono a est addentrandosi tra gli alberi, seguendo sentieri serpeggianti tra
valloncelli e radure, alla scoperta di ruscelletti e quieti laghetti, scrutando le creature
della foresta e individuando a naso noci e bacche. Mistaya s'inoltrava nel bosco senza
curarsi di dove andava, conscia che la sua magia le avrebbe mostrato la via d'uscita
non appena avesse voluto. Il pensiero di Rydall la sfiorò per un attimo, ma fu subito
scacciato. Aveva attivato le sue difese, delle linee magiche che le consentivano di
stare all'erta contro chiunque tentasse di avvicinarsi, in modo da essere sempre
avvertita in anticipo di ogni incontro. A ogni modo, non credeva possibile che Rydall
la trovasse li dentro. E come lui, nessun altro.
Rimase sorpresa quando, mentre saltava da una pietra all'altra per attraversare un
laghetto, avvertì la presenza di qualcuno a breve distanza. Interruppe quello che stava
facendo e rimase perfettamente immobile, usando la magia per attivare le antenne. La
Strega del Crepuscolo le aveva insegnato un sacco di cose. Rintracciò l'altro senza
difficoltà. Un uomo, tutto solo. Non avvertiva pericolo da parte sua. Rimase indecisa
sul da farsi, poi si disse che poteva essere divertente parlare con qualcuno. Dopotutto,
erano settimane che non scambiava qualche parola con qualcuno che non fosse la
strega. Gli avrebbe dato un'occhiata, e se le fosse sembrato inoffensivo, si sarebbe
mostrata.
Con Haltwhistle a rimorchio, scivolò tra gli alberi, camminando senza fare alcun
rumore, avvolgendosi nella sua magia. Trovò la sua preda seduta a gambe incrociate
in una radura, davanti a un piccolo fuoco, intento a masticare i residui di qualche
animaletto che aveva arrostito. Era un tipo dallo strano aspetto, corto di membra,
rotondetto e pieno di peli dappertutto. Aveva baffi che spuntavano dalla faccia come
le setole di una spazzola e minuscole orecchie a punta, frastagliate alle estremità. I
suoi vestiti erano di rozza fattura, fuori misura e consunti dall'uso. Portava un anello
d'oro a un orecchio, con una penna malconcia che pendeva da esso. Era incrostato di
fango e luridume dai piedi scalzi alla testa scoperta.
Lei frugò nella memoria nel tentativo di identificare che sorta di creatura fosse, e alla
fine decise che si trattava di uno Gnomo Va' Via.
Abbastanza innocuo da poterci parlare, pensò Mistaya, e avanzò impettita nella
radura.
-Buona giornata-lo salutò.
Il tipo davanti al fuoco fece un tale salto da lasciar cadere per terra l'osso che stava
spolpando.-Per tutti i diavoli, non farlo mai più!-esclamò, tutto scosso.-Potresti anche
avvertire, no? A ogni modo, da dove spuntate fuori?-Si abbassò rapido a raccogliere
l'osso, pulendolo con le dita.
-Mi spiace-si scusò lei.-Non avevo intenzione di spaventarla.
-Spaventarmi! Non mi hai spaventato affatto! Nossignore!-Si mise immediatamente
sulla difensiva.-Mi hai sorpreso, ecco tutto. Pensavo di essere solo, quaggiù. E avevo
ogni motivo di crederlo, pure. Sapete, nessuno entra in questi boschi. Comunque,
volete dirmi chi siete?
Lei indugiava.-Misty-disse; non amava particolarmente il nomignolo, ma in quei casi
era meglio anteporre la cautela all'orgoglio.-E lei come si chiama?
-Poggwydd. E quell'animaletto così carino alle tue spalle, è tuo? -Aguzzò
improvvisamente gli occhi.-Che cosa è?
Lei colmò la distanza che li separava e rimase in piedi accanto a lui, a guardarlo.
Haltwhistle le andò dietro.-Cosa sta mangiando? -chiese, per tutta risposta.
-Mangiando? Be', ehm... un coniglio, si, un coniglio. L'ho preso io stesso.
-Ha la coda piuttosto lunga per essere un coniglio, non crede? -Indicò gli scarti del
pasto, posati accanto a lui in un disgustoso mucchietto.
Poggwydd corrugò la fronte, stizzito.-Va bene, non me lo ricordo più. Forse non era
un coniglio. Forse era qualcos'altro. Che differenza fa?
-Sembra un gatto.
-Potrebbe essere. E con questo?
Mistaya si strinse nelle spalle e sedette di fronte a lui.-Niente. Soltanto non vorrei che
si facesse strane idee su Haltwhistle, tutto qui.-Indicò il cucciolo di fango, che stava
fiutando il terreno.- Lei è uno Gnomo Va' Via, non è così?
-E sono fiero di esserlo-annunciò lui, con una boria inconsueta per un rappresentante
del popolo forse più disprezzato di Landover.
-Be', tutti sanno che gli Gnomi Va' Via mangiano gli animali domestici.
Poggwydd gettò via il suo osso, disgustato.-E' una menzogna! Una sporca menzogna!
Gli Gnomi Va' Via mangiano le creature selvatiche e naturali, non quelle di casa e del
focolare! Di quando in quando qualche randagio capita tra le nostre grinfie, ma è
colpa sua! Ascoltami, ragazzina, dobbiamo mettere in chiaro una cosa prima di
continuare questa conversazione. Non tollero di essere calunniato. Non tollero che si
facciano basse insinuazioni sul mio conto. Non ho intenzione di star seduto qui a
difendermi. Io c'ero prima, quindi se ti senti in diritto di mettere in dubbio l'integrità e
la serietà degli Gnomi Va' Via, devi andartene subito!
Mistaya corrugò la fronte.-Mi sembra che lei sia un po' troppo scorbutico.
-Scorbutico, dici? Lo saresti anche tu, se dovessi passare la vita a sopportare le
ingiurie degli altri. Gli Gnomi Va' Via sono stati accusati ingiustamente fin dall'alba
dei tempi di crimini che non hanno mai commesso. Sono stati dileggiati e
ridicolizzati senza riguardo alcuno, e nessuno ha mai pensato a quanto male si faceva
loro. Una ragazzina innocente come te dovrebbe guardarsi bene dal seguire le orme
dei suoi genitori ignoranti e prevenuti. Non tutto quello che si sente dire è vero, sai.
-D'accordo-ammise Mistaya.-Mi dispiace di essere stata sospettosa. Ma circolano un
sacco di storie su di voi.
Poggwydd arricciò la sua faccia baffuta, disgustato.-Puah! Storie, hai detto bene!Sbirciò nuovamente Haltwhistle.-Be', si può sapere che cos'è, allora?
-Un cucciolo di fango.
-Mai sentito.-Poggwydd porse una mano sudicia.-Vieni qui, Haltwhistle. Vieni,
vecchio mio. Vieni che Poggwydd ti fa una carezzina.
-Non si devono accarezzare i cuccioli di fango-dichiarò in tutta fretta Mistaya.-Non si
devono mai toccare.
Poggwydd la guardò diffidente.-Perché no?
-Perché è così. E' pericoloso.
-Pericoloso?-Poggwydd tornò a guardare il cucciolo di fango.-Non sembra affatto
pericoloso. Sembra stupido, piuttosto.
-Va bene, ma non lo deve toccare.
-Come vuoi .-Lo Gnomo fece spallucce. Guardò gli ossi che teneva ammucchiati in
grembo.-Volete mangiare qualcosa?
Mistaya scosse la testa.-No, grazie. Cosa fa da queste parti?
Poggwydd rosicchiò un rimasuglio di carne da un osso. Aveva
denti affilati.-Sono in viaggio.-Scrollò le spalle.-Mi godo la mia compagnia per un
po', lontano dal trambusto e dal fracasso di casa mia, e scappo da questo e da quello.
-E' nei guai?
-No, non sono nei guai!-La fulminò con un'occhiata stizzita. -Ho l'aria di trovarmi nei
guai? Ce l'ho? E, dimmi, che mi dici di te? Una ragazzina che si aggira proprio da
queste parti, nel bel mezzo del nulla. Sei forse tu a trovarti nei guai?
Lei ci pensò un momento. Si disse che sì, effettivamente era nei guai. Ma non
l'avrebbe certo detto a lui.-No-mentì.
-No, eh? Cosa ci fai qui, allora, tutta sola? Una bella passeggiata, forse? Ti sei persa?
Lei serrò la bocca, sulla difensiva.-Non mi sono persa. Sono qui in visita.
-Ah!-Poggwydd fece una smorfia.-A visitare chi? La strega, forse? E' a lei che sei
venuta a fare visita?-Poi vide la sua espressione e cambiò registro.-Su, su, stavo solo
scherzando; non ti devi spaventare-la rassicurò in fretta, fraintendendo il suo
sguardo.-Ma lei sta proprio lì, sai? A circa un miglio da qui, nel Pozzo Infido. Non
vorrai capitare da quelle parti. Ricordati solo questo.-Si schiarì la gola e si sbarazzò
dell'ultimo osso.-Allora, chi vieni a trovare, da queste parti?
Mistaya sorrise timidamente.-Lei.
-Me? Ah, ah! Questa è buona! Sei in visita da me, non è così? -Si sganasciava dalle
risate.-Allora non devi avere molta scelta. Viene a visitare me! Come se questa fosse
una cosa per ragazzine!
-Be', è proprio così.
-Così che cosa?
-Le sto facendo visita. Star qui seduti a chiacchierare non è forse una visita?
Lui la guardò aguzzando gli occhi.-Sei fin troppo furba, tu, ragazzina. Misty, vero?
Adesso, se siamo veramente amici, mi devi dire: chi sei?
Lei fece del suo meglio per apparire confusa.-Gliel'ho già detto.
-E' vero. Misty, che si fa una passeggiata in mezzo al nulla. Che è venuta a far visita a
un nuovo amico che non sapeva di avere fino a un momento fa.-Poggwydd agitò la
sua faccia baffuta.-Be', tu mi puzzi di guai, quindi non credo di aver più voglia di
parlare
con te. Non voglio altri guai, nella vita. Gli Gnomi Va' Via ne hanno già abbastanza
per conto loro. Arrivederci.
Si alzò e si spolverò, sollevando una nuvola di polvere e briciole. Lei rimase a
guardarlo incredula. Faceva sul serio. Si tirò su anche lei.
-Non capisco che importanza abbia la mia identità-sbottò stizzita.-Perché non
possiamo semplicemente parlare?
Lui scrollò le spalle.-Perché a me non piacciono le ragazzine che fanno le furbe, e tu
lo stai facendo con me, vero? Tu sai chi sono io, ma io non so chi sei tu. Questo non
mi piace. Non è leale.
-Non è leale?-esclamò lei.
-Neanche un po'.
Lo osservò mentre raccoglieva i suoi pochi averi.-Ma neanche io so veramente chi sia
lei-puntualizzò in fretta.-Non so niente di lei più di quanto lei sappia di me. Eccetto il
suo nome. E lei conosce il mio, quindi siamo pari.
Lui interruppe quello che stava facendo e la guardò.-Be', d'accordo, credo che tu
abbia ragione. Sì, credo di si.
Mise giù il suo fardello con un tintinnio di ferraglia e si rimise a sedere. Mistaya si
sedette con lui.
-Ti propongo un affare-disse lo Gnomo, levando un unico, lercio dito per maggior
enfasi.-Tu mi dici qualcosa di te e io ti dirò qualcosa di me. Cosa ne pensi?
Lei allungò il suo dito e toccò quell'altro, per siglare l'accordo.- Prima lei.
Poggwydd si accigliò, scrollò le spalle e si dondolò all'indietro.- Uhm. Vediamo un
po'.-Assunse un'aria ostentatamente pensosa. -Molto bene. Ti dirò cosa ci faccio da
queste parti. Sono un cercatore di tesori al servizio del Re, dell'Alto Signore in
persona.-Le rivolse uno sguardo da cospiratore.-Sono in missione speciale, alla
ricerca di un prezioso scrigno d'oro che è nascosto da qualche parte in questi boschi.
Lei inarcò un sopracciglio.-Non è vero.
-E' verissimo!-Lo gnomo s'indignò immediatamente.-E se anche non lo fosse, come
faresti a saperlo?
-Lo so e basta.-Sorrideva, suo malgrado. Poggwydd la divertiva quasi quanto
Abernathy.
-Be', tu non sai un bel niente!-Agitò una mano in segno di diniego.-Sono stato
cercatore di tesori per il Re per anni! Nei miei viaggi ho rinvenuto un bel po' di
oggetti preziosi, ci puoi giurare! Sono più esperto di chiunque altro, nella caccia ai
tesori, ed è per questo che l'Alto Signore mi stima. Ecco perché si serve di me.
-Io scommetto che neanche la conosce-insisté lei, presa dal gioco. Era la cosa più
divertente che le fosse capitata da un bel po' di tempo.-Scommetto che non l'ha mai
nemmeno vista, in tutta la sua vita.
Poggwydd era fuori di sé.-Sì che mi ha visto! Si dà il caso che io lo conosca
benissimo! Conosco anche la sua famiglia. Conosco la Regina! E la ragazzina, quella
che è scomparsa! Potrei perfino essere io a trovarla, mentre cerco quello scrigno
d'oro!
Lei strabuzzò gli occhi. Scomparsa. Tenne le labbra serrate.- Lei non la conosce. Si
sta inventando tutto.
-Non è vero! Ti dirò una cosa, visto che sembri così decisa a fare la maleducata. La
figlia dell'Alto Signore è enormemente più simpatica di te.
-No, che non lo è.
-Aha! Baggianate! Come fai a saperlo?
-Perché la figlia del Re sono io!
Le scappò detto prima di riuscire a trattenersi. Lo disse in un impeto d'indignazione e
di orgoglio, ma immaginò che l'avrebbe detto comunque, perché questo era un gioco,
e lui non poteva sapere se crederci o meno. Inoltre, era curiosa di vedere la faccia che
l'altro avrebbe fatto a quella rivelazione.
Ne era valsa la pena. Lo Gnomo rimase a bocca aperta, impietrito dallo stupore,
balbettò qualcosa d'incomprensibile e poi si lasciò andare a un mostruoso grugnito.Puf! Che scemenze! Che mucchio di balordaggini! E sarei io quello che racconta
frottole?
-E non sono affatto scomparsa, oltretutto!-aggiunse con fermezza.-Sono giusto qui,
con lei!
-Tu non sei la figlia dell'Alto Signore!-esclamò lo Gnomo con veemenza.-Non puoi
esserlo!
-Come fa a dirlo?-lo scimmiottò lei. Poi si portò le mani alla faccia e simulò
sorpresa.-Oh, mi scusi, dimenticavo che lei è il cacciatore di tesori personale del Re e
conosce tutta la sua famiglia!
Poggwydd aggrottò la fronte. Si accovacciò sporgendosi in avanti, con il corpo
rotondo che dondolava sulle gambe nodose e setolose, come se fosse in procinto di
rovesciarsi del tutto.
-Ascolta un po'-disse, scegliendo le parole.-Basta con le sciocchezze. Un conto è farsi
passare per qualcun altro quando il gioco è innocuo, ma è tutt'altra faccenda scherzare
sulle sventure altrui. Lo so che sei soltanto una ragazzina, ma so anche che sei
abbastanza intelligente e cresciuta per comprendere la differenza.
-Ma di cosa sta parlando!-sbottò Mistaya, furiosa per essere stata ripresa in quel
modo.
-La figlia dell'Alto Signore!-ritorse stizzito lui.-Ecco di cosa sto parlando! Non dirmi
che non lo sai.-S'interruppe di colpo. -Be', tutto sommato forse non lo sai davvero;
una piccola ragazza tutta sola nei boschi, che è incappata in un tipo come me. Allora,
chi sei tu? Non l'hai ancora detto. Sei una di quelle fate, venuta fuori dalle nebbie a
dare un'occhiata? Sei uno spiritello o qualche altra creatura della regione dei laghi?
Non ne vediamo molti da queste parti. Non noi Gnomi Va' Via, in ogni caso.
Fece una pausa, per raccogliere le idee.-Be', ecco cos'è successo, se ancora non lo sai.
La figlia dell'Alto Signore è scomparsa, e tutti la stanno cercando. E' scomparsa da
giorni, forse settimane, ma di sicuro è scomparsa, e squadre di ricerca hanno
perlustrato Landover da un capo all'altro.
Si chinò su di lei, abbassando la voce come se temesse di essere udito.-Si dice che sia
nelle mani di Re Rydall. Viene da qualche posto che si chiama Marnhull. L'ha rapita.
E non ha intenzione di restituirla. Sta costringendo il campione del Re a battersi con
dei mostri. Non l'ho visto coi miei occhi, ma l'ho sentito dire. A ogni modo, lei è
scomparsa, e tu non dovresti prenderti gioco di lei.
Mistaya era esterrefatta.-Ma io sono lei!-insisté, con le mani sui fianchi.-Lo sono
davvero!
Ci fu un movimento tra gli alberi, su un lato. Lei ne colse solo un barlume e si girò
fulminea, pronta a fuggire, con il cuore in gola e una morsa allo stomaco. Il
movimento si mutò in colore, un flusso di maligna luce verdastra che colmò gli spazi
ombrosi tra tronchi e rami. Il colore si addensò e prese forma, aggregandosi a formare
una figura umana, sottile e scura e inconfondibile.
La Strega del Crepuscolo era tornata.
La strega uscì dall'ombra, silenziosa come uno spettro. I suoi occhi rossosangue si
fissarono su Mistaya.-Ti era stato detto di non lasciare il Pozzo Infido-disse con voce
suadente.
Mistaya gelò. Per un momento i suoi pensieri furono così sconvolti che non riuscì a
pensare. Poi abbozzò un piccolo cenno di risposta.-Mi spiace-sussurrò.-Avevo voglia
di rivedere il sole.
-Alzati e vieni qui-ordinò la strega.-Accanto a me.
-Era solo per un giorno-cercò di scusarsi Mistaya, spaventata, adesso, di quanto
poteva capitarle, terrorizzata dall'espressione sul volto dell'altra.-Ero da sola, e non
pensavo...
-Vieni qui, Mistaya!-l'interruppe la Strega del Crepuscolo, spazientità.
Mistaya attraversò lentamente la radura, a testa bassa. Riuscì a lanciare un rapido
sguardo all'indietro a Poggwydd. Lo Gnomo stava ritto davanti al fuoco, con gli occhi
spalancati. Mistaya provò pena per lui. Era stata colpa sua.
-Sto aspettando, Mistaya-l'ammonì la strega.
Gli occhi di Mistaya tornarono a posarsi sulla Strega del Crepuscolo. Si rese
improvvisamente conto che Haltwhistle era scomparso. Era stato accucciato accanto a
lei per tutto il tempo che aveva parlato con Poggwydd. Dov'era andato?
Raggiunse la strega e si fermò, paventando la sorte che l'attendeva. La Strega del
Crepuscolo si sforzò di sorridere, ma senza alcun calore.-Mi hai molto delusasussurrò.
Mistaya annuì, vergognandosi senza sapere precisamente il perché.-Non lo farò piùpromise. Si ricordò di Poggwydd.-Non è stata colpa sua-disse in fretta, guardando di
sopra la spalla lo sfortunato Gnomo Va' Via.-Sono stata io. Lui non voleva neanche
parlarmi.-Esitò.-Non gli farai del male, vero?
La Strega del Crepuscolo tese le mani e le posò sulle spalle della ragazza.
Delicatamente, ma con fermezza, la spinse in là.-Naturalmente no. Non è altro che
uno stupido Gnomo. Mi limiterò a rimandarlo di corsa a casa sua.
-Come dice?-azzardò Poggwydd, con una vocina fievole e timorosa.-Non c'è più
bisogno di me, qui, vero? Voglio dire, io... io posso raccogliere le mie cose e posso...
Le mani della strega si levarono, e un fuoco verde prese improvvisamente vita sulla
punta delle dita. Poggwydd squittì e si ritrasse terrorizzato. La Strega del Crepuscolo
lasciò che il fuoco si ravvivasse, poi lo raccolse sul palmo delle mani e lo carezzò
amorevolmente mentre osservava lo Gnomo. Mistaya cercò di parlare e scoprì che
non poteva. Si volse alla strega, supplicandola con gli occhi, improvvisamente
conscia che era ferma intenzione della strega, a dispetto della sua promessa, di fare
del male a Poggwydd.
Poi vide Haltwhistle. Il cucciolo di fango era appostato al limitare degli alberi appena
al di fuori del campo visivo della strega. Aveva il pelo irto, e la sua testa era protesa
in avanti come nello sforzo di concentrarsi. Qualcosa di bianco e di simile a ghiaccio
stava levandosi dal suo dorso.
Che cosa stava facendo?
A un tratto la Strega del Crepuscolo scagliò il fuoco verde contro Poggwydd. Ma il
ghiaccio/luna di Haltwhistle lo raggiunse per primo. Mistaya strillò al rumore
dell'impatto. Il fuoco e il ghiaccio esplosero assieme, e Poggwydd svanì. Tutto ciò
che rimase furono il fardello sfatto dello Gnomo e l'odore di cenere e fumo.
-Cos'è stato?-esclamò immediatamente la strega, spazzando con gli occhi la radura da
un capo all'altro. Si rivolse a Mistaya.- L'hai visto? Si o no?
Mistaya strinse gli occhi. Il respiro le stava tornando a piccoli fiotti. Il ghiaccio/luna.
L'aveva visto, naturalmente. Ma non l'avrebbe mai ammesso con la strega. Non dopo
quello che era capitato a Poggwydd. Almeno Haltwhistle era scappato. Non c'era
rimasta la minima traccia visibile del cucciolo di fango.
Apostrofò aspramente la strega, con la voce scossa.-Che cosa hai fatto a Poggwydd?
Ti avevo pregato di non fargli del male!
La strega rimase sconcertata dalla veemenza della ragazza.- Calmati-cercò di
ammansirla. Muoveva ancora in giro gli occhi, a disagio.-Non gli è successo niente.
L'ho spedito a casa, dalla sua gente, lontano da questi luoghi che non gli sono
familiari.
Mistaya non voleva saperne di calmarsi.-Non ti credo! Non credo più una parola di
quello che dici! Voglio tornare immediatamente a casa mia!
La Strega del Crepuscolo le rivolse uno sguardo freddo e distaccato.-Molto bene,
Mistaya-disse con calma.-Ma prima ascolta quanto ho da dirti. Puoi fare questo per
me, non è vero?
Mistaya annuì, a denti stretti.
-Al tuo amico non è stato fatto del male-dichiarò con enfasi la strega.-Ma non potevo
permettere che rimanesse qui. Quello che ti ha detto era vero, per quanto ne sapeva.
Tutti pensano che tu sia nelle mani di Rydall. Tuo padre ha fatto in modo di
convincerli. Ha messo in giro questa voce quando Rydall ha tentato di rapirti. Ha
perfino mandato squadre in ricognizione per rendere più realistica la sua versione dei
fatti. Ha fatto tutto questo per confondere Rydall e chiunque altro stia tentando di
rintracciarti per suo conto. In questo modo tutti crederanno che non si sappia dove ti
trovi.
Rivolse a Mistaya un sorriso d'incoraggiamento.-Ma adesso il piccolo Gnomo sa la
verità. Supponi che vada a raccontare a qualcuno quello che gli hai detto. Supponi
che riveli il posto del vostro incontro. Cosa succederebbe se queste informazioni
giungessero alle orecchie delle spie di Rydall? Il rischio è troppo grande. Ecco perché
l'ho rimandato nel posto dal quale veniva, e ho usato la mia magia per cancellare
dalla sua memoria ogni traccia di questo incontro. L'ho fatto per proteggervi
entrambi.
-Non ricorderà nulla?-chiese cautamente Mistaya.
-Nulla. Così, nessun male è stato fatto, giusto?-La Strega del Crepuscolo si accostò
alla ragazza.-Comunque, se vuoi andare a casa, puoi farlo anche subito.-Fece una
pausa.-Oppure puoi stare con me altri tre giorni e poi partire. Se sceglierai di
rimanere, ti farò una promessa. Non ti chiederò di fare altri mostri. Mi rendo conto
che ne abbiamo fatti abbastanza. Sei stata più che paziente, e io sono stata fin troppo
esigente nei tuoi confronti. Così proveremo qualcos'altro. Cosa ne pensi?
Mistaya la fissò, sorpresa dalla svolta inaspettata presa dagli eventi. Gli occhi della
strega erano di nuovo argentei, morbidi e irresistibili. Mistaya rammentò com'erano
andate le cose quando si erano incontrate per la prima volta, come la strega fosse
stata disponibile a insegnare e lei ansiosa d'imparare. Rammentò la sua eccitazione
quando, per la prima volta, aveva messo in pratica le sue arti magiche. Sentì svanire
un po' della rabbia e della sfiducia. Le sarebbe piaciuto continuare le lezioni, pensò.
Le sarebbe piaciuto rimanere. Non c'era bisogno di tornare a casa proprio in quel
momento; dopotutto, Poggwydd era davvero in salvo e lei non sarebbe stata più
costretta a fare mostri.
-I miei genitori stanno bene?-chiese all'improvviso.
La Strega del Crepuscolo si mostrò sorpresa.-Naturalmente sì. Dove credi che sia
stata questa mattina? Ho assunto un'altra forma e sono andata a Sterling Silver per
assicurarmene. Va tutto benissimo. Tuo padre e tua madre stanno bene. Questor
Thews li protegge da Rydall, e così noi avremo il tempo di completare il tuo
addestramento nell'uso della magia. Dopo sarai pronta per dare anche il tuo
contributo alla lotta contro Rydall.
Mistaya guardava la strega senza parlare. Sembrava sincera. E Poggwydd non aveva
fatto alcun accenno ai suoi genitori, era quindi improbabile che potessero essere in
pericolo o che fosse successo loro qualcosa di male. Naturalmente, era difficile
sapere quanta parte di quello che aveva detto lo Gnomo corrispondesse a verità.
Improvvisamente si sentì molto confusa. Sospirò e distolse lo sguardo dalla strega. La
radura era silenziosa e vuota, a parte loro. In alto, il sole illuminava i cieli e scendeva
a fiotti attraverso gli alberi. Poteva quasi convincersi che Poggwydd non era mai stato
li.
-Bene-disse alla fine.-Penso che potrei restare per altri tre giorni.
-Sarebbe molto saggio da parte tua-la incoraggiò la Strega del Crepuscolo, e a
Mistaya sfuggì la punta di durezza che venava quelle parole; e le sfuggì anche
l'effetto rilassante che la sua decisione aveva prodotto sulla schiena della strega, fino
a quel momento rigida.-Ma non devi più uscire dal Pozzo Infido.
Mistaya annuì.-Non lo farò.-Guardò la strega con aria interrogativa.-Cosa studieremo
adesso?
La Strega del Crepuscolo serrò le labbra.-Medicina-rispose. -Guarire tramite l'uso
della magia.
Mise un braccio attorno a Mistaya e la condusse via dalla radura, verso la conca.Mistaya-disse sommessamente-ti piacerebbe imparare a usare la tua magia per
riportare in vita qualcosa che è morto?
Sorrise alla ragazza, e i suoi occhi erano pervasi dalla soddisfazione.
16
Nascondigli
Dopo tre giorni di perquisizioni a Graum Wythe e nessun risultato, Questor Thews si
fece convinto che in un certo senso stavano trascurando proprio l'evidenza.
-Abbiamo i paraocchi!-annunciò tutt'a un tratto. Si sedette su una cassa da
imballaggio posando il mento sulle mani, con la faccia accigliata e le cespugliose
sopracciglia canute fieramente arcuate.- E' qui, qualunque cosa sia, e noi
semplicemente non lo vediamo!
Elizabeth e Abernathy lo scrutarono in silenziosa contemplazione. Erano segregati in
uno degli innumerevoli magazzini di Graum Wythe, nelle più riposte viscere del
castello, in una stanzetta senza finestre dove il sole non arrivava mai e l'aria era
viziata e stantia. Avevano già frugato la stanza una volta, ed erano ora impegnati in
una seconda ricerca. Sfortunatamente, avevano ormai frugato dappertutto almeno una
volta, e cominciavano a perdersi d'animo.
-Non dovremmo metterci tanto-dichiarò energicamente il mago.-Se qualcuno vuole
che noi lo troviamo, questo qualcosa, se è quello il motivo per cui siamo stati mandati
qui, allora dovremmo già esserci imbattuti nell'oggetto della nostra ricerca.
-Certo sarebbe d'aiuto sapere cos'è che stiamo cercando-osservò scoraggiato
Abernathy, accomodandosi su una seconda cassa con un sospiro di stanchezza. Era
stufo di rovistare tra vecchie scatole e in angoli polverosi. Aveva voglia di stare
all'aperto, dove il sole splendeva e l'aria era pulita. Voleva godersi la sua nuova
persona, ora che era stato finalmente restituito a se stesso. Tutti quegli anni da cane si
erano volatilizzati rapidi come foglie disperse dal vento alla prima tempesta
invernale, come se neanche uno di essi fosse mai passato realmente, e tutto quel
periodo fosse stato solo un brutto sogno dal quale si era ormai destato.
Elizabeth serrò le labbra, provocando l'arricciamento del suo naso a patata.-Immagino
che lei non avrà dubbi sul motivo della vostra presenza qui-disse timidamente a
Questor Thews.-Non è possibile che la vostra venuta sia semplicemente un caso
fortuito?- Si sedette accanto ad Abernathy.-O che vi abbiano mandato qui per qualche
altra ragione?
-E' possibile-ammise generosamente il mago-ma improbabile. Le conseguenze della
magia di rado sono fortuite. Quasi sempre i loro esiti rispondono a scopi precisi. La
Strega del Crepuscolo non avrebbe mai fatto l'errore di lasciarci in vita se era sua
intenzione farci morire. No, la conclusione è inevitabile. Un'altra magia ha interferito
e ci ha salvati. Fummo mandati qui con uno scopo, e io non riesco a pensare a nessun
altro scopo che a quello di salvare Mistaya.
-E' possibile che si sia sbagliato nel supporre che la magia si nasconde a Graum
Wythe?-lo incalzò Elizabeth.-Non potrebbe essere in qualche altro luogo?
Questor Thews storse la bocca.-No. Dev'essere qui. Dev'essere una magia che ha
avuto origine a Landover. Nient'altro potrebbe avere alcun senso!
Si guardarono l'un l'altra in silenzio per un momento, poi diedero un'occhiata alla
stanza.-Non potrebbe esserci un secondo medaglione?-chiese all'improvviso
Abernathy.-Un altro come quello dell'Alto Signore?
Questor inarcò un irsuto sopracciglio, pensieroso. Era una possibilità che non aveva
preso in considerazione. Ma no; Michel Ard Rhi avrebbe trovato subito un talismano
siffatto, e non si sarebbe dato tanta pena per costringere Abernathy a cedergli quello
dell'Alto Signore quando lo scrivano era stato suo prigioniero a Graum Wythe
parecchi anni addietro.
Il mago scosse la testa.-No, è qualcos'altro, qualcosa che Michel non avrebbe
riconosciuto. O perlomeno, qualcosa che non è riuscito a utilizzare perché non sapeva
come fare.-Si strofinò pensosamente il mento barbuto.-Tutto questo è eccessivamente
frustrante, devo dire.
-Dovremmo mangiare qualcosa, non credete?-suggerì Elizabeth, dando una gomitata
scherzosa ad Abernathy.-A stomaco pieno si pensa meglio.
-Si pensa ancora meglio dopo un buon sonnellino-osservò Abernathy, restituendole la
gomitata.
Questor Thews li guardò senza parlare. Non gli piaceva quello che vedeva.
Abernathy si stava crogiolando nella sua nuova vita. Era troppo soddisfatto di se
stesso, sotto ogni rispetto, come se tornare a Landover non significasse più niente per
lui, ora che si ritrovava a essere un uomo. Stava dimenticando le sue responsabilità.
L'Alto Signore e la sua famiglia dipendevano ancora da loro, e Questor temeva che
Abernathy stesse perdendo di vista quella circostanza. Sapeva che non aveva il diritto
di giudicare, ma ciò che stava accadendo era ovvio. Abernathy stava riscoprendo se
stesso, e in quel processo stava ridimensionando la sua vita per adattarla alle mutate
circostanze. Era una pericolosa propensione.
Si schiarì rumorosamente la gola, facendo sobbalzare tutti e due. -Prima di mangiare
o di appisolarci, forse potremmo discutere questa faccenda ancora una volta.Abbozzò un sorriso per addolcire la durezza delle sue parole.-Solo per qualche altro
minuto, se non vi dispiace. Ammetto di essere piuttosto disperato, in questo
momento.
Elizabeth gli restituì il sorriso, rassicurante.-Non si preoccupi, Questor. Lo troverà,
prima o poi, qualunque cosa sia.-Si passò le dita tra i capelli ricciuti.-E anche se così
non fosse, questo posto non è poi tanto male, come trappola, che ne dice?
La sua voce suonava fin troppo speranzosa in quell'ultima domanda. Questor non osò
esprimere quello che pensava.-Noi dobbiamo fare ritorno a Landover-insisté, calmo.Dobbiamo trovare la magia che ce lo può consentire.
Elizabeth sospirò.-Lo so.-Non sembrava convinta.-Questa magia, qualunque cosa sia,
dev'essere qualcosa che lei riconoscerebbe, qualora la vedesse, giusto? Se è
veramente qui.
-Abbiamo già visto tutto almeno una volta-ribatté Abernathy, spingendosi gli occhiali
sul naso.
-Magari non abbiamo guardato nel modo giusto-ruminò Questor ad alta voce.
Elizabeth spostò i piedi dalla cassa e prese a esaminarsi le scarpette. Si zittirono tutti
di nuovo, meditabondi.
-Aspettate un minuto-esclamò a un tratto Abernathy.-Forse ciò che stiamo cercando
non è affatto un oggetto. Forse è per questo che continuiamo a non vederlo. E' stato
un sortilegio a portarci qui, una magia espressa con delle formule. E se ci fosse
bisogno di un altro sortilegio per riportarci indietro?
Questor spalancò gli occhi, e balzò su dalla cassa istantaneamente.-Abernathy, tu sei
un genio indiscusso! E' così, naturalmente! Un sortilegio! Non è un talismano che
dobbiamo cercare! Dobbiamo cercare un libro di magia!
Abernathy ed Elizabeth si alzarono anch'essi, ma sembravano decisamente meno
convinti della cosa.-Ma Michel non avrebbe riconosciuto un libro del genere?-chiese
Abernathy dubbioso.- Non lo avrebbe usato per tornare a Landover, alla fine, quando
voleva riconquistare il trono? Oppure, tuo fratello non l'avrebbe trovato quando
Holiday lo sfidò? In effetti è stata un'idea mia, ma più ci penso e meno mi convince.
Se c'è un incantesimo che permette di entrare a Landover, perché uno di loro non se
n'è servito?
-Forse perché non hanno potuto-osservò il mago, mettendosi prima su un lato
dell'ingombra stanzetta, poi di nuovo sull'altro, a testa bassa, con le mani che si
agitavano vivacemente.-Perché l'incantesimo con loro non funzionava, forse. Non lo
so. Ma comunque penso che tu abbia messo il dito su qualcosa di grosso. Un
sortilegio ci spedì qui. Sarebbe logico pensare che un altro sortilegio ci possa
riportare indietro. Un rovesciamento della magia che ci ha portato qui. Un
riaggiustamento delle parole...
Un atroce sospetto gli passò per la mente, un sospetto che lo aveva già sfiorato prima
nella cucina di Elizabeth, quando stavano discutendo sui motivi che potevano aver
determinato il loro arrivo lassù. In quell'occasione l'aveva scartato, rifiutandosi di
considerarlo a fondo, incapace di contemplarne la possibilità. Adesso si ripresentava,
e appariva fin troppo possibile per poter essere ignorato.
Smise di passeggiare e guardò Abernathy con occhi spiritati.- Abernathy, mi riesce
difficile esprimere questo, ma se...
Non riuscì a finire. Una vampa di luce esplose fra le ombre sul lato più lontano della
stanza-magazzino, e tutti e tre si volsero bruscamente a guardare. La luce brillò
intensa per un momento e poi svanì, lasciando nella sua scia uno Gnomo Va' Via
decisamente malconcio e impaurito, che sedeva intontito e tremante sul pavimento di
cemento.
Quando vide che lo guardavano, annaspò e protese le mani a difendersi.-Non fatemi
del male!-implorò, strizzando freneticamente gli occhi e cercando di arrotolarsi come
un millepiedi.-Voglio solo andare a casa!
Questor Thews e Abernathy si scambiarono uno sguardo di sconcerto. Uno Gnomo
Va' Via? Qui? Cosa sta succedendo?
-Calma, calma, nessuno vuole farle del male-lo rassicurò Questor, avanzando per poi
arrestarsi subito quando vide che lo Gnomo cominciava a boccheggiare.-Va tutto
bene?
Lo Gnomo annuì senza troppa convinzione.-Se essere arrostiti al fuoco della strega lo
si può definire "tutto bene", allora suppongo che sia così.
Fuoco di strega? Questor e Abernathy si scambiarono un secondo sguardo.-Come si
chiama?-lo interrogò Questor. Il piccolo e sudicio essere era tutto piegato in una
posizione impossibile.-Via, la smetta. Nessuno di noi ha intenzione di farle del male.
Siamo tutti amici qui.
Lo Gnomo tirò su col naso, incerto, facendo occhiolino di sotto le braccia incrociate.Gli amici di noi Gnomi Va' Via sono estremamente rari-puntualizzò cupo. Era il
soggetto più sciatto che si possa immaginare, lacero e sbrindellato, e aveva un
disperato bisogno di un bagno.-Prima ditemi voi chi siete.
Questor sospirò.-Io sono Questor Thews. Questo è Abernathy. Quella è Elizabeth.Indicò tutti a uno a uno.-Allora, ci dica: chi è lei?
-Poggwydd-rispose lo Gnomo Va' Via. Sembrava orgoglioso della cosa. Abbassò le
braccia e si raddrizzò leggermente.-Questor Thews, il Mago di Corte? Dicevano che
foste prigioniero di Rydall. Voi e il cane. E' li che ci troviamo, nella prigione di
Rydall? E' lì che mi ha mandato la strega?
-Aspetti un minuto.-Questa volta Questor Thews si avvicinò allo Gnomo e lo aiutò
con fermezza a rimettersi in piedi.-La strega, ha detto? Vuol dire la Strega del
Crepuscolo?
Poggwydd annuì.-Chi altri?-Adesso era un po' più sicuro di sé.-E' lei che mi ha fatto
questo. Mi ha spedito qui, qualunque posto sia. Ha usato il suo fuoco di strega. Dite,
non mi avete risposto. Ci troviamo nella prigione di Rydall? Cosa sta succedendo?
Questor Thews prese Poggwydd per un gomito, lo scortò fino a una cassa vuota, e lo
mise a sedere. Lo Gnomo si strofinava il naso e si sforzava, senza successo, di
assumere un'aria da coraggioso. Teneva gli occhi fissi su Questor, come se così
facendo potesse evitare di incappare in qualcosa di peggio.
-Poggwydd-lo apostrofò solennemente il mago.-Voglio che lei ci racconti tutto quello
che è successo, tutto quello che può ricordare, specialmente sulla Strega del
Crepuscolo.
-Posso farlo senz'altro-dichiarò lo Gnomo. Indugiò, sospettoso.-Mi promettete che
non siete amici suoi?
-Prometto-replicò Questor.
Poggwydd annuì, ci pensò bene, poi si schiarì solennemente la gola.-Bene, pensavo
che mi avrebbe fatto del male; la strega, voglio dire. Aveva quello sguardo negli
occhi. Era davvero furiosa con me per via della ragazzina. Mi aveva sorpreso a
parlare con lei là fuori in una radura a circa un miglio dal Pozzo Infido. Roba da
ridere. Non la conoscevo neanche; era spuntata da chissà dove, da qualche parte in
quei boschi, e aveva voglia di parlare. Così stavamo facendo, e poi è venuta la strega,
e la ragazzina le ha chiesto di non farmi del male, dicendo che non era stata colpa
mia, ma la strega non aveva l'aria di crederle, e così...
-Ehi! Stop! Un momento!-Questor levò le mani, implorante. Il sopracciglio andava e
veniva frenetico .-Di quale ragazzina sta parlando? Che aspetto aveva? Le ha detto
come si chiamava?
Poggwydd spalancò gli occhi, impaurito dall'espressione dell'altro. Allungò lo
sguardo oltre il mago, fino agli altri due, non trovò aiuto, e allora tornò a guardare
Questor.-Non saprei dire che aspetto avesse. Come faccio a ricordare? Era... piccola.
Non molto grande, poteva avere dieci anni. Aveva le lentiggini e i capelli biondi.Aggrottò la fronte.-Era molto sveglia. Mi prendeva in giro, mentre parlavamo.
Pretendeva di essere... Diceva di essere la figlia...-Si arrestò, incerto su cos'altro dire.Ha detto di chiamarsi Misty.
-Mistaya-disse Questor d'un fiato, indietreggiando.-Allora è la Strega del Crepuscolo
che la tiene prigioniera. O almeno la teneva. E' scappata, Poggwydd? E' andata così?
Lo Gnomo Va' Via lo guardò istupidito.-Scappata? Non so se l'abbia fatto. Non so di
dove venisse. Non sono neanche sicuro della sua identità. Ciò che so è che la strega
era furiosa quando mi ha trovato che parlavo con lei, ed ecco perché sono qui!-Fece
una
pausa, sfregandosi il mento setoloso. Pezzi di lerciume volarono via. -Anche se forse
non è del tutto esatto dire così. Sapete, ha chiesto alla strega di non farmi del male, la
ragazzina. Ma non credo che la strega si curasse molto di lei: sembrava avere tutte le
intenzioni di arrostirmi come una bistecca.
-Ma non l'ha fatto-intervenne Questor, cercando di mettergli fretta, ansioso di dare
corpo ai suoi sospetti.
Poggwydd scosse la testa.-Be', c'era questo cucciolo di fango, sapete. Credo che forse
sia stato lui a evitare che accadesse.-Appariva di nuovo tutto confuso.-E' possibile?
Riuscirono infine a cavargli fuori tutta la storia, anche se ci volle un bel po'.
Appresero come Mistaya si fosse presentata al suo campo, non lontano dal Pozzo
Infido, e gli avesse rivolto la parola. Seppero di Haltwhistle e di come sembrasse
essere il compagno della ragazza. Infine, ascoltarono dell'inattesa apparizione della
Strega del Crepuscolo, la sua collera nello scoprire Mistaya fuori del Pozzo Infido, e
il suo attacco a Poggwydd, che sembrava essere stato in parte neutralizzato dalla
magia del cucciolo di fango, con il risultato dell'arrivo dello Gnomo a Graum Wythe.
-Proprio come noi!-esclamò Abernathy mentre lo Gnomo finiva il suo racconto.
Ormai quest'ultimo stava in piedi accanto a Questor Thews, e appariva alquanto
rianimato.-Questor, a noi dev'essere capitata la stessa cosa. Il cucciolo di fango è
intervenuto, ha trasformato la magia della strega, e ci ha mandato qui! Sembra che le
cose si siano svolte esattamente allo stesso modo!
-Senz'altro-confermò Questor, stringendo le labbra e spremendosi le meningi.
-Che posto è questo?-chiese ancora una volta Poggwydd.- Ancora non me l'avete
detto.
-Fra un minuto-replicò Questor, distogliendo per un attimo lo sguardo per poi
riportarlo su di lui.-Ma chi ha mandato il cucciolo di fango a Mistaya? Dev'essere
accaduto quella notte, mentre dormivamo, prima dell'arrivo della strega. Eravamo
nella regione dei laghi, quindi potrebbe essere stato il Signore del Fiume. Ma l'unico
cucciolo di fango di cui abbia sentito parlare, fuori delle nebbie fatate, è quello al
servizio della Madre Terra.
-Che differenza fa?-tagliò corto Abernathy.-Quello che importa è che la strega ha in
suo potere Mistaya, e se ne serve per far del male all'Alto Signore, proprio come
aveva promesso di fare. Avevi ragione, Questor Thews. Siamo qui per uno scopo, e
deve aver qualcosa a che fare con Ben Holiday. Dobbiamo assolutamente scoprire
quale sia.
-Un libro di sortilegi-rammentò Questor, tornando al punto di partenza di quella
conversazione.-D'accordo, allora.-Fece dietrofront, si diresse in fretta da Poggwydd e
pose le mani con fermezza sulle strette spalle dello Gnomo.-Dove ci troviamo non ha
importanza, Poggwydd. L'importante è che lei non sia in pericolo immediato. Ma la
ragazzina, Misty, si. Dobbiamo uscire di qui e tornare da lei. C'è qualcosa qui, in
questo luogo, che può aiutarci a farlo... se riusciamo a trovarlo. Questo è quello che
abbiamo intenzione di fare, in questo momento. Mentre noi cerchiamo, voglio che lei
rimanga qui.
Poggwydd si guardò attorno dubbioso.-Perché dovrei farlo? Perché non posso andare
a casa? Posso trovare la strada, se mi fate uscire di qui.
Questor lo guardò con simpatia.-Non da qui, non è possibile. Dovrà avere fiducia in
me, su questo punto.-Fece una pausa, pensieroso.-Se lei ci proverà, Poggwydd, la
Strega del Crepuscolo potrebbe rimetterle le mani addosso. Mi capisce?
Lo Gnomo si affrettò ad annuire. Aveva capito, senz'altro.-Farò come dite-acconsentì,
riluttante.-Quanto dovrò aspettare?
-Non lo so. Forse parecchio. Dovrà essere paziente.
Poggwydd tirò su col naso.-Non ho niente da mangiare. Sono affamato.
Abernathy alzò gli occhi al cielo. Questor strinse le spalle dello Gnomo e lo lasciò
andare.-Lo so. Si faccia coraggio. Cercheremo di trovare qualcosa da mangiare e
gliela porteremo. Ma lei dovrà rimanere dove si trova, a qualunque costo. Questo è
importante, Poggwydd. Non deve lasciare questa stanza per nessun motivo. Ci siamo
intesi?
Lo Gnomo si strofinò il naso e scrollò le spalle.-Intesi. Aspetterò. Ma cercate di fare
in fretta.
-Faremo più in fretta che potremo.-Questor si allontanò, e tornò a guardare Abernathy
ed Elizabeth.-Dobbiamo cominciare subito, turisti o non turisti. Prima le sale comuni,
poi torneremo nei magazzini. Ma sarei pronto a scommettere che il libro che
cerchiamo è proprio qui sotto il nostro naso.
-Sapete-disse Elizabeth soprappensiero-credo che ci fossero dei libri che erano tenuti
separati dagli altri, perché erano scritti in una lingua che nessuno qui conosceva. Mio
padre me ne parlò, una volta.
-Finalmente una traccia!-esclamò Questor con un moto di aperto entusiasmo.-Libri
scritti nella lingua di Landover, portati qui da Michel o da mio fratello! Dovrebbero
essere quelli giusti, no?
E con quelle parole, dopo un ultimo, rassicurante sorriso e un gesto della mano di
Questor all'indirizzo di Poggwydd, uscirono dalla porta e ripresero a girare per il
castello.
La ricerca richiese più tempo del previsto, comunque, e durò fino al tardo
pomeriggio, quando gli ultimi turisti si affrettavano a tornare alle loro macchine e
agli autobus per andare a casa. Frugarono per due volte le stanze del castello, prima
di trovare quello che stavano cercando. C'erano libri in ogni stanza, e la maggior
parte di essi erano sotto chiave. Questo voleva dire tener d'occhio i libri e distrarre sia
i turisti che i guardiani mentre le serrature venivano aperte e si procedeva a un rapido
esame dei libri per scoprire se vi fosse quello che cercavano. Questor usava la magia
sui lucchetti, il che accelerava le operazioni, ma il controllo dei libri richiedeva un
enorme impiego di tempo, e per buona parte della giornata non si approdò a nulla.
Finché, al termine della giornata, quando il tempo stava per finire e il castello stava
chiudendo, Elizabeth si rammentò di una vecchia e massiccia libreria con le ante a
vetri in uno studio del piano superiore, incassata in una rientranza che non era visibile
dall'ingresso sbarrato da una corda. Li c'erano dei libri, pensava. Solo alcuni, ma se
ne ricordava perché suo padre una volta aveva accennato alla loro copertina.
Seguendo il suo suggerimento, si precipitarono nello studio mentre un campanello
suonava la chiusura nell'atrio sottostante. Mentre la ragazza e Abernathy facevano la
guardia, Questor scavalcò la corda e si fece strada zigzagando in una specie di
percorso di guerra fatto di ogni tipo di mobilia, fino a giungere alla libreria. Sbirciò
all'interno. Non c'era dubbio, i libri c'erano: all'incirca una dozzina, erano tutti avvolti
in copertine di tessuto scuro che ne nascondevano il titolo. Il lucchetto della libreria
era chiuso, ma bastò un sussurro di magia e le ante si aprirono.
Emozionato, Questor trascurò un servizio di bicchieri d'ametista che si trovava in
primo piano e tirò fuori il primo libro. Con sua somma delusione, trovò che era scritto
in inglese e non aveva assolutamente niente a che fare con Landover. Ne controllò
altri due. La stessa cosa. Un altro vicolo cieco, a quanto pareva. Con la speranza che
cominciava a vacillare, andò avanti più rapidamente. Libri di giardinaggio, di viaggi e
di storia.
-Questor Thews, sbrigati!-sibilò Abernathy dalla soglia della stanza, mentre si
avvicinavano rapide delle voci dal basso.
Questor aprì l'ottavo libro della collezione e strabuzzò gli occhi. Era scritto in
Landoveriano Antico, una lingua che i vecchi maghi usavano comunemente. Ne
scorse rapidamente le pagine per accertarsene, mentre le voci si facevano sempre più
distinte: risate, un veloce saluto a Elizabeth, la sua risposta. Febbrilmente, s'incuneò
tra la parete e la libreria, dov'era invisibile a chiunque guardasse dalla porta.
-Ancora a rovistare, Elizabeth?-chiese qualcuno, che si fermò aldilà delle corde.-Non
hai fame?
-Oh, abbiamo quasi finito-rispose lei con una risatina nervosa.-Le dispiace se ci
tratteniamo un altro po'?
-Un'ora-ammonì una seconda voce.-Poi andiamo via. Chiama se hai bisogno di
qualcosa.
Le voci andarono affievolendosi lungo il corridoio per poi svanire.
-Questor!-lo avvisò Abernathy per la seconda volta, chiaramente sulle spine.
Questor abbandonò il suo nascondiglio e gettò uno sguardo alla sua scoperta. Con
cautela tirò via la copertina scura. C'erano simboli in foglia d'oro impressi a fuoco
sulla rilegatura in cuoio che dicevano: Mitologie del passaggio.
-Maledizione!-mormorò, rimise a posto il libro ed estrasse il successivo. Storie delle
Pianure. Afferrò il terzo.
Trattato teorico sulla magia e sulle sue applicazioni.
-Si, si, si!-sussurrò il mago, sollevato.
Non aveva il tempo di leggerlo lì, lo sapeva. Controllò l'ultimo volume e non trovò
nient'altro. Doveva sperare che quello che teneva fra le mani contenesse ciò che
stavano cercando. Riattraversò velocemente la stanza fino alla porta.
-Ce l'ho!-annunciò trionfante mentre raggiungeva Elizabeth e Abernathy.
Improvvisamente suonò un allarme. Tutti fecero un salto, e a Elizabeth sfuggì un
piccolo urlo. Questor ficcò rapidamente il libro nella borsa che aveva portato.-Cos'è
successo?-ansimò, con barba e capelli canuti che sparavano in tutte le direzioni.-Cosa
ho fatto?
-Non credo che lei abbia fatto alcunché!-Elizabeth lo afferrò per un braccio cercando
di fermarlo mentre si girava frenetico di qua e di là, in cerca di immaginari
assalitori.-E' un allarme antincendio! Ma non riesco a immaginare cosa possa averlo
fatto scattare!
Questor Thews e Abernathy si guardarono simultaneamente.- Poggwydd!esclamarono.
Si affrettarono lungo il corridoio fino alle scale e presero a scendere, spingendosi e
urtandosi l'un l'altro, e parlando tutti assieme.
-Non avremmo dovuto lasciarlo solo!-si lamentava Questor, tenendo stretta al petto la
borsa con il suo prezioso contenuto.
-Avremmo dovuto legarlo e imbavagliarlo!-dichiarò stizzito Abernathy. Dal basso
giungeva l'eco delle grida.
-Forse non si tratta di lui!-li incoraggiava Elizabeth.
Ma era lui, naturalmente. Appena giunti in fondo alle scale videro Poggwydd
trascinato da due guardie giurate. Lo Gnomo era tutto arruffato e coperto da capo a
piedi da una patina di cenere. Si dibatteva e gemeva pateticamente mentre le guardie
lo tenevano a distanza di braccia tra di loro e sembravano chiedersi chi o che cosa
fosse la loro preda.
-Ragazzi, ora le ho viste proprio tutte!-stava mormorando uno di loro.
-Chiudi il becco e non mollare la presa!-grugnì irritato l'altro.
Poggwydd si avvide di Questor Thews e stava per chiamare aiuto, ma il mago fece un
rapido gesto con una mano e lo stupito Gnomo Va' Via si ritrovò istantaneamente
privato della voce. La sua bocca si torceva nel disperato, ma vano tentativo di gridare.
-State indietro, gente-li avvertì una delle guardie mentre passavano trascinando lo
Gnomo che tentava di liberarsi.
-Cosa avete preso?-chiese Questor, simulando sorpresa.
-Chi lo sa.-L'attenzione della guardia si rivolse momentaneamente a Poggwydd che
stava tentando di morderlo.-Una specie di scimmia, suppongo. Lercia come un maiale
e due volte più brutta. L'abbiamo trovato in cucina, che cercava di appiccare il
fuoco. Sembrava quasi che stesse cercando di cuocersi del cibo che aveva rubato, ma
via, è una scimmia, no? Comunque, se l'allarme non avesse suonato, era capace di
ridurre il castello in cenere. Guardate com'è aggressivo! Piccolo demonio. Dev'essere
scappato da uno zoo, o qualcosa del genere. Come ha fatto ad arrivare fin qui, Dio
solo lo sa.
-Be', state attenti-li avvertì Questor, cercando di evitare lo sguardo furioso di
Poggwydd.
-Ci può giurare-rise la guardia.
-Calma, calma, animaletto-disse Questor rivolto allo Gnomo che continuava a
divincolarsi.-Vedrai che verrànno presto a prenderti!
-Non sarà mai troppo presto, per quel che mi riguarda!- esclamò l'altra guardia, e lo
sfortunato Poggwydd fu portato via che scalciava e si contorceva, attraverso la porta
principale e fuori vista.
Questor, Abernathy ed Elizabeth rimasero in silenzio a guardare in quella direzione,
per un momento. Poi Questor disse-E' stata colpa mia. Mi ero completamente
dimenticato di lui.
-Tu gli avevi detto di restare dov'era-gli rammentò Abernathy, evidenziando una
notevole mancanza di simpatia.-Avrebbe dovuto darti retta.
-Questor, come ha fatto a impedirgli di parlare?-chiese Elizabeth.
Il mago sospirò.-Un piccolo incantesimo. Non potevo assolutamente permettere che
rivelasse chi siamo, ed era esattamente quello che stava per fare. Inoltre, sarebbe
molto peggio per Poggwydd se scoprissero che sa parlare. E' meglio che lo credano
un animale, ve l'assicuro.
-Lui è un animale-mormorò Abernathy.-Stupido Gnomo.
-Stupido o no, dobbiamo aiutarlo-disse d'impulso Elizabeth.
-Quello che dobbiamo fare-annunciò in fretta Questor-è tornare a casa, dove io potrò
studiare questo libro per scoprire se è quello che stiamo cercando.
-E' meglio che lo sia-bofonchiò Abernathy.-Di Graum Wythe ho visto tutto quello
che m'interessava vedere!
-Dove credete che lo porteranno?-chiese Elizabeth, con la fronte corrugata dalla
preoccupazione.
-Nel posto dal quale crederanno che sia venuto, immaginoreplicò distrattamente Questor. Stava scrutando nella borsa, dove c'era il libro.
-Non voglio che ci dimentichiamo di lui una seconda volta- insisté Elizabeth. Si
avviarono all'uscita.-Sembra così inerme.
-Credi a me, è tutt'altro che inerme-disse Abernathy arricciando il naso. Stava
pensando alla tendenza degli Gnomi Va' Via a divorare cani e gatti randagi.-Non si
meritano un'oncia della tua simpatia. Sono degli scocciatori, fatti e finiti.
Elizabeth gli prese la mano e la strinse.-Stai facendo il difficile, Abernathy. Non è
colpa sua se si trova qui.
-Non è neanche colpa nostra. Non ne siamo responsabili.
-Ha ragione lei, Abernathy-intervenne Questor Thews.
Abernathy incenerì il suo amico con gli occhi.-Lo so che ha ragione. Non c'è bisogno
che tu me lo dica.
-Stavo solo cercando di mettere in chiaro...
-Dannazione, Questor Thews, perché continui a disquisire...
Sempre discutendo tra di loro mentre Elizabeth tentava invano di ristabilire qualche
parvenza di pace, il mago e lo scrivano giunsero in fondo al corridoio fino all'ingresso
principale del castello, per trovarsi poi all'esterno, nella luce calante.
Davanti a loro una macchina della polizia della Contea di King stava giusto partendo.
Dopo che furono tornati a casa di Elizabeth, Questor Thews rimase in piedi tutta la
notte a leggere il libro trafugato. Sedeva tutto curvo in una poltrona in un angolo
della camera da letto con una lampada che illuminava le pagine mentre le girava a
una a una. Ben presto ebbe la certezza che quel libro era quello che stavano cercando,
e che nascosta nel suo testo c'era la risposta all'enigma della loro insperata fuga dalla
Strega del Crepuscolo. Trattato teorico sulla magia e sulle sue applicazioni. Erano
proprio li, tutte le scoperte di tutti i maghi dagli albori di Landover, espresse sotto
forma di postulati e di assiomi, teorie dimostrate e presunte: mancavano solo la
ricetta e gli ingredienti di ogni singola pietanza. Erano teorie, non formule, ma erano
quanto bastava per penetrare l'essenza delle cose. Questor sapeva, oltretutto, cosa
doveva cercare. Si diede dello stupido, ma dovette ammettere che l'ovvietà della
verità che gli stava davanti era indiscutibile una volta che ne avesse accettata la
possibilità. Continuò a studiare il libro instancabilmente, ignorando la fatica,
vincendo la crescente paura, andando avanti a leggere con determinazione.
Dall'altra parte della stanza Abernathy dormiva con la faccia rivolta verso il muro.
Meglio così. Non voleva guardare in viso il suo amico proprio adesso.
Qualche tempo dopo le lunghe, interminabili ore che seguivano la mezzanotte
Questor Thews trovò ciò che stava cercando. Anche così, continuò a leggere, non
volendo dare niente per scontato, riluttante a porre termine alla sua ricerca di una
risposta migliore, anche se sapeva già che non l'avrebbe trovata. Lesse il libro fino
all'ultima parola, e lo rilesse ancora. Studiò i singoli passi e considerò tutte le
possibili alternative finché non gli fece male la testa. Poi tornò al passo che aveva
scoperto per primo e lo lesse di nuovo, lentamente, con attenzione. Non c'era alcun
dubbio. Era quello che stava cercando. Era la risposta che aveva voluto.
Sospirò e posò il libro in grembo. Guardò di nuovo Abernathy, e gli occhi gli si
riempirono di lacrime. La sua faccia si corrugò, e sentì una fitta lancinante al petto.
La vita era così ingiusta alle volte. Desiderò che le cose fossero diverse. Desiderò che
questo non dovesse accadere a lui. Il suo corpo scheletrico si accasciò in un ammasso
di vecchie ossa e di pelle raggrinzita, e il cuore diventò un macigno nel suo petto.
Alla fine, spossato dalle emozioni, alzò il braccio, spense la luce e rimase seduto
immobile nell'oscurità, ad aspettare il mattino.
17
Lo spettro
-Il titolo del libro è Mostri dell'uomo e del mito-disse Ben a Willow, parlandole
direttamente all'orecchio.
Montarono in due su Giurisdizione ancora recalcitrante, Willow davanti e Ben di
dietro. Bunion aveva recuperato la cavalcatura dopo una lunga caccia, e adesso si
dirigevano di nuovo a occidente, verso le Pianure. Davanti a loro si ergeva la nera
muraglia di un temporale in arrivo. Alle loro spalle rimanevano i resti del vorme e il
puzzo sulfureo di cenere e gas dalle Fonti di Fiamma. Dal cielo, il sole picchiava
inesorabile, un disco accecante al calor bianco che trasformava l'arida desolazione
delle Lande Sterili Orientali in una fornace.
La pioggia sarà un gradito sollievo, pensò stancamente Ben, cercando di scacciare il
pensiero della sete incombente.
-E le creature di Rydall erano in questo libro?-chiese Willow dopo un po', voltandosi
a mezzo sulla sella per guardarlo un momento in faccia.
Lui annuì nei suoi capelli di smeraldo, riempiendosi le nari del loro palpabile
profumo.-Un gigante che prendeva la sua forza dal contatto con la terra, un dèmone
che poteva replicare l'aspetto e le capacità di qualsivoglia nemico gli si parasse
davanti, e un uomo meccanico robotizzato, corazzato e indistruttibile.-Si perse con lo
sguardo nella infuocata distesa, cercando di distinguere la geografia del territorio
contro il nero del temporale.-Non ricordo le singole storie altrettanto bene quanto la
figura del robot. Quella è proprio
sulla copertina, ed è esattamente corrispondente al mostro di Rydall. Ma sono tutti li.
E' come se Rydall avesse letto quel libro!
-Ma questo non è possibile, vero?
Ben sospirò.-Direi proprio di no.
Willow guardò di nuovo davanti a sé. Il paesaggio luccicava tremolando nel calore e
nella polvere. Bunion era da qualche parte in esplorazione, per prevenire ulteriori
guai. Se avesse individuato qualche pericolo, avrebbe cercato una via per aggirarlo.
Un altro scontro nelle loro attuali condizioni era impensabile.
-Dov'è questo libro?-chiese Willow.
-In biblioteca con gli altri-rispose Ben.-E' uno dei tanti che ho portato con me dalla
mia vita passata, libri che pensavo mi sarebbe piaciuto tenere. Ricordo anche perché
avevo scelto quello in particolare. Ce l'ho da quando ero ragazzo, e sembrava
raffigurare una parte delle cose che speravo di trovare qui a Landover: come se ciò
che non era reale nella mia vecchia vita potesse esserlo in questa. -Scosse la testa.-Il
mio desiderio si è realizzato, a quanto pare.
Willow rimase silenziosa per un momento.-Ma come avrebbe fatto Rydall a venirne a
conoscenza?
Ben scrollò le spalle.-Non riesco a immaginarlo. Non c'è una spiegazione plausibile.
Perché avrebbe dovuto conoscere questo libro invece di qualunque altro? Ha studiato
tutta la mia biblioteca? Forse la sua magia le consente di scegliere un libro a caso e di
leggerlo senza neanche trovarsi li sul posto?-Inghiottì a vuoto, con la gola secca, e
tenne sotto stretto controllo le sue reazioni.-La cosa su cui continuo a scervellarmi,
Willow, è l'incoercibile sensazione che tutta questa faccenda sia di carattere
prettamente personale. Rydall che usa le mie stesse cose contro di me; che colpisce la
mia famiglia e i miei amici; che rapisce Mistaya, Questor e Abernathy; che attacca te
e me, perseguitandoci dappertutto con questa storia di mandare i suoi mostri contro il
Paladino; che mi segue dovunque vada; proprio non mi convince. In teoria Rydall
farebbe tutto questo per la questione del trono, ma non mi sembra, considerato il suo
comportamento, che Landover sia il suo obiettivo primario.
Willow annuì senza guardarlo.-No-convenne, e ripiombò nel silenzio.
Cavalcarono tutto il pomeriggio finché la burrasca non li raggiunse, proprio mentre
giungevano alle Pianure. Nuvoloni neri si addensarono sulla loro testa, oscurando
completamente il sole e il cielo azzurro, e la pioggia li investì, furiosa e accecante,
inzuppandoli fino all'osso in un batter d'occhio. La polvere e lo sporco del viaggio
ben presto vennero lavati via dal loro corpo, e l'aria attorno a loro rinfrescò.
Giurisdizione procedeva nella guazza, con la testa bassa per ripararsi dalle raffiche di
vento e dalla pioggia battente, e subito ricomparve Bunion per guidarli in un
boschetto di aceri che costituì un efficace riparo contro l'acquazzone. Smontarono, si
tolsero i vestiti, li strizzarono e poi li stesero ad asciugare vicino al fuoco che Bunion,
non si sa come, era riuscito ad accendere. Seduti a gambe incrociate in un morbido
tappeto erboso sotto le fronde protettive degli alberi, osservarono la burrasca che,
dopo aver infuriato ancora un po' attorno a loro, si spostò. Calò l'oscurità, e il mondo
aldilà del loro accampamento svanì. Si rivestirono, masticarono di malavoglia
qualche gambo di Bonnie Blu, si avvolsero nelle loro mantelle da viaggio e si
addormentarono rapidamente.
Quando si destarono pioveva di nuovo, una pioggerellina lenta e insistente che
cadeva da un cielo plumbeo, basso e greve. Tutta la zona attorno a loro, già alle prime
luci dell'alba era immersa nel grigiore e nella nebbia. Montarono ancora una volta in
sella a Giurisdizione e si avviarono sotto la pioggia. Bunion li precedette, come
sempre, una sagoma piccola e inconsistente che sgambettò nell'oscurità fino a
scomparire alla vista. La giornata estiva era calda e pregna dell'odore di terra bagnata.
Davanti a loro, le praterie si stendevano a perdita d'occhio in una scacchiera di verdi e
marroni, di campi coltivati e di rigogliosi pascoli, di foreste lussureggianti e colture in
crescita, il tutto intervallato da fiumi e laghi che nella piovigginosa foschia
assumevano l'aspetto di metallo fuso, con la superficie delle acque mossa dalla lieve
brezza che spirava sulla pianura.
Per mezzogiorno Bunion era tornato con un secondo cavallo. Non offrì alcuna
spiegazione sulle circostanze della sua cattura, e Ben e Willow non ne chiesero. Non
era una bestia da fattoria; era un cavallo da corsa in piena regola. Willow si mise di
fronte all'animale, una cavalla bruna, e le disse qualche parola d'incoraggiamento, poi
montò dolcemente in sella e fece girare la bestia in modo da portarsi al fianco di Ben.
Quindi gratificò Bunion di un sorriso e di una strizzatina d'occhio, e il coboldo ripartì.
Continuarono a cavalcare per il resto di quella giornata e per la maggior parte della
successiva. Per tutto il tempo continuò a piovere, e procedettero sempre
completamente inzuppati, tranne per i brevi periodi in cui facevano il campo e
riuscivano ad asciugarsi e a tenere lontana l'umidità grazie ai fuochi che Bunion
sembrava sempre in grado di attizzare. Passarono da Rhyndweir e da parecchi altri
castelli dei Signori delle Pianure, ma non si fermarono a chiedere riparo. Ben non
aveva alcun interesse a incontrare gente, e preferiva ridurre al minimo il rischio di
altri attacchi da parte di Rydall. Sorprendentemente, non ce ne furono. Poiché Rydall
li aveva localizzati nelle Lande Sterili Orientali con il vorme, Ben ne aveva dedotto
che fosse in grado di raggiungerli dovunque. Data la frequenza e l'intensità degli
attacchi, se ne aspettava ormai un altro. D'altro canto, Rydall aveva già impiegato
quattro dei sette sfidanti che aveva promesso, e forse stava riconsiderando la sua
strategia. Comunque Ben pensò che non valesse la pena starci a rimuginare. Era
semplicemente grato per quella tregua.
Impiegò il tempo a pensare. Usando la sua mantella da viaggio come uno scudo
contro le intemperie, affiancato da Willow, un silenzioso spettro a cavallo, e con la
pioggia come una cortina che avviluppava ogni cosa in un silenzio grigio e umido,
Ben Holiday diede un calcio allo sconforto e alla noia e si concentrò sull'enigma di
Rydall di Marnhull. Cominciò a prendere in considerazione ipotesi che prima non
aveva contemplato. Alcune di queste gli furono suggerite dal suo crescente senso di
disperazione. Sentiva che il tempo gli sfuggiva. Prima o poi Rydall avrebbe mandato
un mostro dal quale nessuno avrebbe potuto salvarlo: né il Paladino, né Strabo, né
chiunque altro. Prima o poi le sue difese si sarebbero rivelate meno forti del solito, e
la lotta per la sopravvivenza si sarebbe conclusa. L'unico modo per evitare che questo
accadesse era scoprire il segreto che stava dietro a Rydall, e Ben non sembrava
essersi avvicinato di un'acca alla soluzione di quel mistero. Così decise di smetterla di
pensare in maniera prevedibile, di essere più innovativo, più audace. Doveva
smetterla di farsi prendere in giro da Rydall. Doveva rifiutarsi di seguire le vie che il
Re di Marnhull gli indicava e cominciare a tracciarne di proprie. Attorno a Ben
Holiday si stava tendendo una rete, e lui la sentiva stringersi a ogni nuovo filo che si
aggiungeva alla trama. Doveva trovare il modo di recidere quei fili.
Le sue meditazioni, comunque, non derivavano tanto dalla sua disperazione quanto
dalla consapevolezza che nella rete accuratamente intessuta da Rydall c'erano alcuni
fili sciolti. Prima di tutto, c'era la crescente certezza di Ben che la trovata di Rydall di
mandare mostri a combattere contro il Paladino era parte di un gioco che era molto
più incentrato sulla persona di Ben che non sul trono di Landover. In secondo luogo,
lui aveva riconosciuto tre dei quattro mostri, e sapeva che venivano dalle storie
contenute nel suo libro Mostri dell'uomo e del mito. Quei tre erano stati creati
seguendo le descrizioni dello scrittore nei minimi dettagli, come se Rydall avesse
copiato le creature direttamente dalle pagine del libro. Tre, ma non il quarto. No, il
quarto, il vorme, proveniva da qualche altra parte.
Una delle magie preferite delle streghe, lo aveva informato Strabo.
A Landover questo voleva dire la Strega del Crepuscolo.
Prima non aveva considerato seriamente la possibilità che la strega potesse essere
coinvolta in quella storia. Perché avrebbe dovuto? Rydall era uno straniero, un
usurpatore di poteri, un intruso le cui mire erano diametralmente opposte a quelle
della Strega del Crepuscolo. D'altra parte, nessuno odiava Ben Holiday e la sua
famiglia più di lei. Non fosse stato per l'ingombrante presenza di Rydall, tutto
quell'affare avrebbe puzzato fortemente dei maneggi della strega. L'uso della magia
nera, l'attacco alla famiglia e agli amici, e l'evidente tentativo di distruggerlo
sembrava tutta opera della Strega del Crepuscolo. Anche se non aveva avuto sue
notizie da più di due anni, non si aspettava che lei avesse dimenticato la sua implicita
promessa di fargliela pagare per quello che le era capitato nella Scatola Magica. Per
quello che era stata spinta a provare per lui quando erano entrambi privi della loro
identità. Per quella che lei considerava la perdita della propria dignità.
E se non ci fosse nessun Rydall? Certo, chiunque avrebbe potuto mascherarsi da Re
di Marnhull; ma se lo stesso Rydall fosse tutta un'invenzione? Nessuno aveva mai
sentito di Rydall di Marnhull: né il Signore del Fiume, né Kallendbor e neanche
Strabo, che aveva viaggiato dappertutto. Nessuno era stato in grado di trovare Rydall
o Marnhull. Non c'era traccia di Mistaya, Questor Thews o Abernathy. Non c'era
alcun segno di un esercito invasore. L'unica evidenza fisica di Rydall in tutto
quell'episodio l'avevano avuta quando il Re di Marnhull e il suo compare dalla cappa
nera erano apparsi ai cancelli di Sterling Silver.
Allora, argomentò Ben, supponiamo che tutta questa faccenda non sia altro che una
elaborata sciarada. Qual era, in fin dei conti, l'unico posto che non aveva perlustrato
da quando Mistaya era sparita? Qual era l'unico posto che aveva ignorato perché non
gli era facilmente accessibile e perché non gli era sembrato ragionevole guardare lì?
Qual era l'unico posto che nessuno di loro aveva visitato?
Il Pozzo Infido, il regno della Strega del Crepuscolo.
I sospetti di Ben Holiday si concretavano. Quella che era partita come una disamina
delle possibilità si tramutò presto in una minuziosa analisi dei fatti. La Strega del
Crepuscolo nei panni di Rydall; non era certo meno plausibile di tutte le altre ipotesi
che aveva esaminato. Oppure la strega nei panni del compare di Rydall, quello dalla
cappa nera, come seconda alternativa. Rammentò il modo in cui il cavaliere
incappucciato l'aveva studiato quando lui era sceso sul ponte a raccogliere il guanto,
l'intensità di quello sguardo velato. Rammentò come i due cavalieri avessero
osservato Mistaya quando lei era salita sulla merlatura.
Il cuore gli si strinse, e sentì un gelo allo stomaco.
Stava ormai per volgere al termine la loro terza giornata di viaggio, quando giunsero
in vista di Sterling Silver. Il castello si materializzò nel grigiore come una visione
resa vivida dalla fantasia oscura di un bambino, un baluardo luccicante e rigato dalla
pioggia, irto di pinnacoli e bastioni, che s'induriva in pietra e calcina, legno e metallo,
pennoni e stendardi man mano che si avvicinavano all'isolotto su cui sorgeva.
Attraversarono il fossato avvolti da una cortina di nebbia e varcarono la soglia
passando sotto la saracinesca sollevata. I servitori accorsero per prendere i cavalli e
accompagnarli dentro, al riparo dalle intemperie. Ben e Willow si diressero in camera
da letto senza una parola, si tolsero i vestiti inzuppati, si ficcarono in una vasca di
acqua calda, e ci rimasero un bel po'. Quando una parte dei dolori e dei disagi del
viaggio si fu dissipata, uscirono dal bagno, si asciugarono e indossarono abiti puliti.
Poi Ben andò giù in biblioteca per dare un'occhiata da vicino alla sua copia di Mostri
dell'uomo e del mito, e condusse Willow con sé. Individuò immediatamente il
volume. Era sullo scaffale, esattamente nel punto in cui se lo ricordava. Lo tirò fuori
e diede un'occhiata alla copertina. Eccolo li, senza alcun dubbio, il robot di Rydall.
Prese a sfogliare le pagine e quasi subito trovò un disegno del gigante.
Poi trovò la descrizione fatta dall'autore del demone che poteva replicare qualsiasi
avversario.
Mostrò il libro a Willow.-Vedi? Perfettamente uguali ai mostri di Rydall.
Lei annuì.-Ma come ha fatto? Come ha fatto a sapere di questo libro e di questi
particolari mostri? Ben, io stessa non sapevo di questo libro. Non sapevo neanche che
fosse qui. Non ne abbiamo mai parlato, neanche una volta. Come faceva Rydall a
conoscerlo?
Ben si rese conto che era vero. Non l'aveva mai preso per mostrarglielo, prima di
allora. Non ne avevano mai discusso. Non c'era mai stata ragione di farlo. Lui l'aveva
portato con sé attraverso le nebbie, l'aveva tolto dal suo pacchetto, sistemato nella
biblioteca, e poi se n'era dimenticato.
Fino a ora. Stava in piedi accanto alla silfide, e osservava quel libro, silenzioso.
Fuori, la pioggia continuava a cadere con cupa e incessante monotonia, battendo sulla
pietra con un ovattato picchiettio. Ben si sentì stranamente cullato, e gli sembrò di
poter piombare nel sonno da un momento all'altro. Era più stanco di quanto non
volesse ammettere, ma non poteva permettersi di dormire finché non avesse decifrato
il mistero di Rydall e dei suoi mostri. Finché non avesse trovato un modo per
riportare a casa Mistaya.
Mistaya.
Guardò sorpreso Willow.-Tu hai detto che non sapevi di questo libro. Ma sai chi lo
conosceva? Mistaya. Una volta l'ho trovata che lo leggeva, sfogliandolo. Non dissi
niente, non la interruppi. Credo che non si fosse neanche accorta che la guardavo. Era
così piccola, e non pensavo che fosse in grado di capirlo...
S'interruppe, con la mente in subbuglio.-Willow-disse pacato-voglio che tu mi stia a
sentire. Voglio che tu mi dica cosa ne pensi.
Allora le disse del suo sospetto che la Strega del Crepuscolo potesse aver creato
Rydall, e che la Signora del Pozzo Infido potesse essere l'anima nera di tutto ciò che
era loro capitato. Le spiegò tutte le sue ragioni, espose tutte le possibilità, e fornì tutti
i puntelli per le sue congetture. Willow ascoltò attentamente, senza interrompere,
finché non giunse alle conclusioni.
-Il punto è-concluse in fretta Ben-che Mistaya potrebbe aver detto alla strega del
libro, potrebbe aver fornito una descrizione dei mostri, potrebbe perfino aver fatto dei
disegni. E' abbastanza intelligente per aver potuto ricordare. Probabilmente ne aveva
capito molto più di quanto le avessi riconosciuto.
-Ma perché avrebbe fatto questo?-Willow era ansiosa di saperlo.-Perché avrebbe fatto
qualcosa per aiutare la strega?
Ben scosse la testa.-Non lo so. Sto solo facendo delle ipotesi. Ma lei ha visto il libro,
e se la Strega del Crepuscolo è Rydall, allora è stata la strega a rapirla. Ed è lei a
tenerla prigioniera.
Willow gli rivolse uno sguardo fermo e prolungato, mentre considerava quella
possibilità.-Ti ricordi quando ci chiedevamo chi fosse al corrente del collegamento
tra il medaglione e il Paladino? Solo tu e io, dicesti tu. Ma anche la Strega del
Crepuscolo lo sa. Era con te nella Scatola Magica quando usasti il medaglione.
Ben trasse un profondo respiro.-Hai ragione. Me n'ero dimenticato.
-Tu dicesti che era stata usata della magia per nascondere il medaglione quando
fummo attaccati dal robot a Rhyndweir. La strega possiede quella magia.-Il volto di
Willow era tirato.-Ben, dobbiamo andare nel Pozzo Infido.
Ben rimise al suo posto il libro sullo scaffale.-Lo so. Andremo domani, appena
svegli. E' troppo tardi adesso per rimettersi in viaggio. Siamo esausti. Abbiamo
bisogno almeno di una notte di sonno in un letto asciutto.
Si avvicinò a lei e le cinse la vita con le braccia.-Ma non c'è dubbio che ci andremopromise.-E se Mistaya è li, la riporteremo a casa.
Willow rispose all'abbraccio stringendosi a lui e posando la testa sulla sua spalla.
Rimasero così in silenzio, traendo conforto e coraggio dalla loro unione, corazzandosi
contro il senso di paura e d'incertezza che si agitava nel loro petto.
All'esterno, le ombre si allungavano per il declinar del sole, e la pioggia cadeva più
forte.
Consumarono la cena da soli nella silenziosa oscurità della sala da pranzo, due figure
curve e solitarie, una accanto all'altra, nel cerchio di luce della candela che tentava di
tenere a bada il buio circostante. Non parlarono molto, troppo stanchi per intavolare
una conversazione, troppo immersi nei propri pensieri. Quando ebbero finito, si
ritirarono in camera da letto, si ficcarono sotto le coperte e piombarono subito nel
sonno.
Era mezzanotte quando Ben si svegliò. Rimase steso per un momento, cercando di
orizzontarsi. Avvertiva un lieve bruciore laddove il medaglione toccava il petto,
l'avvertimento che c'era qualcosa che non andava. Si levò lentamente a sedere, con le
orecchie tese a captare il minimo rumore nell'oscurità. La pioggia era finalmente
cessata, ma le nubi velavano ancora il cielo come un sudario, offuscando la luce delle
lune e delle stelle. Poteva sentire l'acqua che colava dalle grondaie e dai bastioni,
tonfi piccoli e soffocati nella notte nera come l'inchiostro. Accanto a lui, il respiro di
Willow era calmo e regolare.
Poi sentì qualcosa grattare contro la pietra fuori della finestra, un suono appena
percettibile, un sussurro di pericolo in arrivo. Scivolò rapidamente fuori dal letto,
senza alcun rumore, sentendo ormai il medaglione come un disco rovente contro la
pelle. Fu percorso da un'ondata di panico. Sapeva cosa c'era in arrivo, e non era
pronto. Era troppo presto. Si era voluto convincere che Rydall non avrebbe colpito
così presto, che ci avrebbe pensato prima di mandare il suo quinto mostro.
Ben gettò un'occhiata nella stanza, in cerca di aiuto. Dov'era Bunion? Non aveva più
visto il coboldo dal momento del loro ritorno. Era da qualche parte li vicino? Si voltò
verso il letto e verso Willow. Doveva farla uscire di li. Doveva portarla al sicuro,
lontana da quanto stava per accadere.
La prese per una spalla e la scosse delicatamente.-Willow!- sibilò.-Svegliati!
I suoi occhi si aprirono istantaneamente, brillanti come smeraldi anche nella
semioscurità, grandi e profondi e pieni di comprensione. -Ben-disse.
Poi la luce nella stanza si modificò, perché un'ombra si era stagliata contro la finestra,
e Ben si voltò a guardarla. L'ombra si sollevò fino all'apertura e rimase li,
accovacciata contro l'oscurità meno intensa della notte, stilizzata e sinuosa e in
qualche modo terribilmente familiare. Ben non poteva vedere, ma poteva avvertire,
gli occhi dell'ombra su di lui. Poteva sentire gli occhi prendergli le misure.
Non si mosse, cosciente che se l'avesse fatto sarebbe morto prima di poter portare a
termine qualunque abbozzo di reazione. La sua mano era già chiusa sul medaglione,
come per istinto proprio, come se avesse raggiunto di propria volontà l'unico aiuto
che gli fosse rimasto. Tenne il medaglione nella stretta delle dita, sentendo al tatto
l'immagine incisa del cavaliere che usciva dal castello all'alba, il Paladino che
lasciava Sterling Silver per dare battaglia in difesa del suo Re. Sentì l'immagine e
scrutò l'ombra nella finestra, rendendosi conto che non era completamente liscia e
tesa come aveva creduto, ma presentava squarci e lacerazioni, come una creatura che
avesse subito qualche catastrofico incidente e ne conservasse le ferite perché non
c'era possibilità di guarigione. Dall'ombra pendevano pezzi e brandelli, come se le
fossero stati strappati interi strati di pelle. I tronconi spezzati delle ossa fuoriuscivano
da giunture che non avevano più niente di integro. Non emetteva alcun suono, ma
Ben poteva sentire il muto lamento del suo ineluttabile dolore e della sua
disperazione.
Poi la testa dell'ombra si spostò leggermente, piegandosi da un lato, un po' di più, e
un paio di occhi argentei luccicarono dal buio come quelli di un gatto.
A Ben si mozzò il respiro.
Era l'Ardsheal, tornato dal regno dei morti.
Non ebbe il tempo di riflettere come questo potesse essere accaduto, nessuna
possibilità di fare congetture sul suo significato. La sua risposta fu istintiva ed
estranea sia alla ragione che alla speranza. Le sue dita si strinsero sul medaglione, e la
luce esplose all'esterno in strali di accecante luminosità. Willow urlò. L'Ardsheal si
scagliò addosso a Ben, una pantera nera sulla preda, più svelta del pensiero. Ma il
Paladino apparve all'istante, uscito da una improvvisa esplosione di luce,
impossibilmente brillante, che eruttò nella decina di metri che dividevano il Re
dall'assalitore. Il cavaliere si erse in uno sfavmio di corazza e armi d'argento,
intercettando l'Ardsheal a mezz'aria e rintuzzandone l'assalto. La violenza
dell'impatto mandò l'Ardsheal a sbattere contro il muro di pietra, e fece barcollare il
Paladino che indietreggiò andando a sbattere contro il suo Re. Un gomito corazzato
cozzò contro la testa di Ben, che crollò sul letto accanto a Willow, talmente stordito
da riuscire a stento a tenere la presa sul medaglione.
L'Ardsheal si rimise in piedi in un batter d'occhio, tirandosi su con la sinuosità di un
serpente e con un'agilità che ben poco si accordava con le sue disastrose condizioni
fisiche. In un turbine di dolore e di stordimento, con la vista offuscata e la testa
dolorante per il colpo, Ben lo vide alzarsi. Ma sentì il dolore e lo stordimento
dall'interno dell'armatura del Paladino, dove la sua coscienza era ormai
irrevocabilmente alloggiata, destinata a rimanere li fino al trionfo o fino alla morte.
Vide Willow abbracciare il suo corpo materiale, e sussurrare frenetica qualcosa nelle
sue orecchie. Si chiese, in una frazione di secondo, quali potessero essere le sue
parole, rammentandosi che era stata sua intenzione farla uscire da quella stanza prima
che la battaglia infuriasse. Intravide un fuggevole barlume della faccia dell'Ardsheal
nell'oscurità, senza un occhio, con uno squarcio che andava dalla fronte fino al
mento, la pelle tutta solcata da tagli e lesioni. Lo rivide mentre precipitava dalla
finestra del castello di Rhyndweir, trascinando con sé il robot fino alle rocce
sottostanti e a morte certa. Si chiese come fosse potuto sopravvivere.
Poi la struttura mentale del Paladino si chiuse come una visiera, e tutto quel che
seppe furono gli antichi ricordi del cavaliere, fatti di battaglie vinte e di
sopravvivenze. Si immerse nella sua altra personalità, più forte dell'acciaio, quella del
veterano temprato da mille battaglie, dalle quali solo lui aveva potuto emergere
vincitore. Si ritirò nella sua armatura e nella sua esperienza, lasciando fuori
qualunque vita vi fosse aldilà di esse, lasciando fuori l'uomo e la donna sul letto alle
sue spalle, il castello in cui combatteva adesso, il mondo circostante, il passato e il
futuro, tutto quello che non era il qui e l'adesso e il nemico che cercava di
distruggerlo.
L'Ardsheal fece una finta a destra, spostandosi a sinistra: lo metteva alla prova. Era
una cosa morta, a giudicare dall'aspetto dei suoi occhi argentei e spenti, dall'orrendo
miscuglio di pelle e ossa, dalle ferite aperte che segnavano il suo corpo. Ma viveva
oltre la morte, nutrito dalla magia che si agitava tra i suoi tessuti una volta senza vita
e richiedeva da lui un ultimo sforzo prima di lasciarlo riposare in pace. Il Paladino
avvertiva tutto questo, edotto del suo nemico per conoscenza innata e da qualche
scintilla della ragione e della memoria di Ben Holiday. Guardò lo spettro davanti a lui
spostarsi e spostarsi ancora, serpentino, in cerca di un varco. Lo vedeva per quel
pericolo che era, una creatura forgiata dalla magia a un unico scopo: predare e
distruggere. Lo vedeva come aveva visto ben pochi dei suoi avversari: come un suo
pari.
L'Ardsheal portò il suo attacco con la velocità del fulmine, così in basso che sarebbe
stato arduo riuscire a togliere le gambe. Il Paladino si gettò sulla creatura nello sforzo
di inchiodarla a terra, piantando vanamente la spada nel pavimento di pietra mentre
l'Ardsheal ruzzolava via, agguantando la visiera del cavaliere e torcendola senza
pietà. Il Paladino si svincolò dalla presa e si alzò per affrontare ancora una volta il
suo nemico. Rapidità e forza, astuzia ed esperienza: l'Ardsheal aveva tutto, e non
sentiva niente al difuori della magia che lo sosteneva. Non si sarebbe fermato; non
avrebbe mollato. Avrebbe continuato ad attaccare finché non avesse potuto attaccare
più.
Un Ardsheal è un osso duro per qualsiasi essere vivente. Niente è più pericoloso. Le
parole del Signore del Fiume.
Nell'ombra stava acquattato l'Ardsheal. Il Paladino pensò per un momento di estrarre
lo spadone, ma l'arma era troppo ingombrante e poco maneggevole per un nemico
siffatto. Le armi piccole si sarebbero rivelate più efficaci, quando si fosse presentata
l'occasione; come doveva assolutamente essere, se voleva sopravvivere.
Passò il pugnale nella sinistra, e portò la destra sul suo lungo coltello, ma l'Ardsheal
gli fu addosso in un lampo, a tirare, strappare e torcere l'armatura e le membra. Il
Paladino barcollò all'indietro sotto la furia dell'attacco, e sentì lo stridio di giunture
che si spezzavano, e lo scricchiolio delle placche che minacciavano di cedere.
Rinunciando al pugnale, assestò un colpo con le mani unite corazzate contro il petto
della creatura, e riuscì ancora una volta a respingerla. Essa gli fu di nuovo addosso in
un batter d'occhio, come un animale selvaggio, forsennato oltre ogni comprensione,
una cosa in preda alla follia. Era impossibilmente forte, e la sua forza era accresciuta
dalla sua mancanza di sensazioni e dal flusso magico che lo animava. Combatteva
senza remore di alcun tipo; battagliava senza le complicazioni che la ragione e le
emozioni comportano. I suoi sforzi erano puri e senza restrizioni, la sua lotta tesa a un
unico scopo. Avrebbe vinto o perso, ma in ogni caso sarebbe morto.
Per la terza volta il Paladino lo respinse, e questa volta riuscì a estrarre il coltellaccio
prima che l'Ardsheal si potesse riprendere. Al suo prossimo assalto, l'avrebbe
infilzato con la lama e l'avrebbe squarciato in due. Il suo respiro era grosso e
irregolare. Anche se non l'avrebbe mai ammesso, perché non poteva permettersi di
farlo, la sua forza stava già cominciando a scemare. Non sapeva se dipendesse dal
fatto che aveva combattuto tante battaglie in un arco di tempo così breve, oppure
dalle precarie condizioni fisiche del Re che serviva, poiché ambedue le cose potevano
contribuire a determinare la sua sopravvivenza. Lui si affidava solo a se stesso, ma
era irrevocabilmente legato all'uomo che richiedeva i suoi servigi e gli infondeva la
sua forza di volontà. Se il Re mancava di determinazione, anche lui avrebbe potuto
risentirne. Ma tali pensieri non erano consentiti. Quindi si disse soltanto che doveva
porre una rapida fine alla battaglia senza perdersi in congetture.
L'Ardsheal lo seguiva furtivo nell'oscurità della stanza, un'altra delle vaghe ombre
notturne che fuggivano la luce. Aveva rinunciato ad attaccare frontalmente; stava
cercando di fare qualcos'altro. Il Paladino si spostò, voltandosi a seguire i suoi
movimenti ma senza lasciare la sua postazione a difesa del Re e della Regina. La sua
armatura era scardinata in parecchi punti, e diverse placche pendevano dalle giunture.
Si stava riducendo a pezzi, sbrindellato come il suo attaccante. Avvertiva gli occhi
dell'altro che lo studiavano, alla ricerca di un varco. Sotto l'armatura il Paladino era
vulnerabile. L'Ardsheal lo sentiva. Sarebbe bastato un colpo solo, se il colpo fosse
andato in profondità.
Finse un rapido assalto e si ritirò. Ne simulò un altro. Il Paladino tenne la posizione,
imponendosi di non cadere nei suoi tranelli. Poi, in un lampo, intuì quello che
l'Ardsheal stava tentando di fare. Stava cercando di allontanarlo dal Re e dalla Regina
quel tanto che bastava per lasciarli scoperti. Li avrebbe uccisi perché sentiva, o forse
addirittura lo sapeva, che questo avrebbe significato anche la sconfitta del Paladino.
Come se avesse letto nei suoi pensieri, l'Ardsheal rinnovò il suo attacco. Si lanciò in
una carica impetuosa e selvaggia, talmente fulminea che si trovò quasi aldilà del
Paladino prima che questi potesse reagire. Tuttavia, quest'ultimo fece appena a tempo
ad afferrare il braccio dell'Ardsheal mentre stava piombando sulla Regina, e a
scaraventarlo via. Questa volta lo inseguì, deciso a porre termine alla lotta, ma fu di
nuovo troppo lento, e l'Ardsheal poté risollevarsi e scomparire nuovamente
nell'oscurità.
Altre due volte lo spirito elementare tentò di eludere la sua guardia, e in ambedue le
occasioni fu sul punto di riuscirci. Soltanto l'esperienza e la determinazione del
Paladino poterono tenerlo a bada. Adesso, sul letto dietro di lui, la Regina stava
piangendo: con singhiozzi soffocati, quasi muta nella sua sventura, nella sua
disperazione. Era una donna forte, ma la sua paura era immensa e impossibile da
tenere nascosta. Era terrorizzata dall'Ardsheal. Il Re era di nuovo sveglio. Si era
piazzato davanti a lei, e teneva il medaglione teso davanti a sé come un talismano.
Erano troppo fragili, il Paladino lo sapeva, per sopravvivere se lui fosse caduto.
Quel pensiero era un chiodo nel cervello che si affrettò a strappare e a gettare lontano
da sé.
L'Ardsheal svanì nel vuoto, lasciando il Paladino a frugare freneticamente
nell'oscurità. Poi riapparve dal nulla direttamente davanti a lui, un'indemoniata
macchia nera che gli si fiondò addosso e lo trascinò al suolo. Tentò di rompere la sua
guardia per superarlo, ma il Paladino, momentaneamente accecato e stordito dalla
caduta, lo agguantò per una gamba e lo trattenne. L'Ardsheal aggredì il campione
caduto, gli tirò calci, lo colpì, si aggrappò con tutte le forze all'armatura indebolita,
per sventrargliela. Il Paladino provò dolore. Disperato, si rimise faticosamente in
ginocchio sotto la tempesta di colpi, con un poderoso sforzo che venne quasi
esclusivamente dal cuore, e per un'ultima volta scaraventò via l'Ardsheal.
Questa volta, quando l'Ardsheal si rimise in piedi, aveva un braccio pendente, quasi
completamente staccato. Ma il Paladino era tutto un'accozzaglia di armatura
fracassata e giunture divelte, di muscoli doloranti e arti esausti, ritto sui propri piedi
per pura forza di volontà. Aveva sangue nella bocca e sul corpo. Teneva ancora
stretto il coltellaccio, sempre in attesa dell'opportunità di usarlo. Ma ora il tempo
volava. Il tempo fuggiva rapido.
L'Ardsheal si fece avanti, una forza implacabile, inesorabile.
In quel momento la porta della stanza si aprì violentemente, e una piccola furia pelosa
si gettò nella mischia. Si catapultò sull'Ardsheal e lo fece indietreggiare fino al muro.
Tutto zanne e artigli, Bunion sembrava fuori di sé dalla furia. L'Ardsheal aveva
abbassato la guardia e, sorpreso dalla violenza dell'attacco del coboldo, barcollò. Si
contorse selvaggiamente, nel tentativo di scrollarsi di dosso il suo assalitore. Il
Paladino si slanciò in avanti, per cogliere finalmente l'occasione che aveva tanto
atteso. Conficcò il pugnale nel cranio dell'Ardsheal con tanta forza da piantarvelo
fino all'impugnatura. L'Ardsheal s'inarcò in avanti, mentre i suoi occhi argentei si
riempivano di sangue. Con uno strattone si liberò di Bunion e si voltò ad affrontare il
Paladino. Ma il cavaliere aveva sguainato lo spadone, e con gli ultimi scampoli di
forza rimastigli, col taglio della lama calò un terribile fendente sul suo nemico. La
lama prese l'Ardsheal fra il collo e la spalla e penetrò in profondità. Sembrò affettarlo
in due, scendendo giù giù fino al cuore della creatura.
L'Ardsheal crollò sotto il colpo. Si contorse nell'agonia, e nei terribili occhi c'era la
traccia di qualche antico riconoscimento che neanche la più nera magia poteva
cancellare. Gli occhi rimasero sbarrati, e la magia svanì. Per la seconda volta la morte
si era impadronita dell'Ardsheal.
Distrutto, esausto, una sbrindellata caricatura del cavaliere d'argento che era stato
all'inizio della battaglia, il Paladino ritirò la spada e si voltò verso il Re di Landover
rannicchiato sul letto. I loro occhi s'incontrarono e si fissarono. Provava la strana
impressione di guardare se stesso. Stava per piegarsi su un ginocchio, quando fu
catturato dalla luce del medaglione che la mano del Re teneva ancora ben in vista, e
consegnato a un sonno ristoratore.
Nel silenzio che seguì Ben e Willow poterono sentire la pioggia che riprendeva a
cadere.
Furono chiamate le Guardie del Re, e si provvide a portar via i resti dell'Ardsheal. I
rumori della battaglia non erano stati percepìti: una circostanza che solo l'ipotesi di un
uso mirato della magia poteva spiegare. Quando gli armigeri furono andati via e la
stanza tornò a essere pulita e in ordine, Bunion si mise di guardia fuori della porta. Il
coboldo si riteneva responsabile per quanto era accaduto. Era di nuovo uscito in
perlustrazione, poco fuori le mura del castello, ma, chissà come, proprio il nemico
che stava cercando aveva trovato il modo di eludere la sua guardia e di entrare non
visto nel castello. Non furono pronunciate parole, ma la mortificazione di Bunion era
scritta a chiare lettere nell'espressione dei suoi occhi e nel luccichio dei denti.
Quando Ben e Willow furono di nuovo soli, si aggrapparono uno all'altra come
all'ultimo pezzo di solida roccia sull'orlo di un precipizio. Non parlarono. Rimasero in
piedi stretti nell'oscurità, e trassero conforto dalla loro unione. Willow tremava nel
caldo estivo. Ben, per quanto apparisse saldo, era interiormente scosso.
S'infilarono di nuovo nel letto, nel buio non più rassicurante, con gli occhi che
frugavano la stanza, le orecchie tese al più impercettibile dei rumori. Non riuscirono a
dormire, e non ci provarono neanche. Ben cercò di calmare il tremore di Willow,
fugando almeno temporaneamente il suo terrore per la cosa che era venuta a
ucciderli. La tenne stretta contro di sé e cercò di trovare le parole per quello che
doveva dirle, per la confessione che sapeva adesso di dover fare se voleva ritrovare la
pace.
Di fuori, la pioggia tamburellava sulla pietra e gocciolava dalle grondaie con ritmo
regolare.
-Devo dirti qualcosa sul Paladino-disse alla fine, pronunciando di getto le parole che
gli sembrava di non poter ordinare come avrebbe voluto.-Non è facile da spiegare, ma
devo provarci. Siamo la stessa persona, Willow. In questo momento, i dolori che lui
prova sono tutti su di me. Posso sentire la sofferenza del suo corpo e delle sue
membra, la consunzione della sua anima, la ferita che minaccia di spezzarlo in due.
Lo sento quando combatte, ma lo sento anche in questo istante.-Trasse un respiro
profondo.-E' tutto quello che posso fare, tollerarlo. Ho la sensazione che potrebbe
squartarmi, spezzarmi tutte le ossa e appiattirmi al suolo. Anche adesso c'è. Lui è
scomparso, ma questo non ha importanza.
Sentì la testa di lei sollevarsi dalla sua spalla, nel tentativo di guardarlo in volto. Sentì
le dita della donna muoversi sul suo petto, indagatrici.-Lui è parte di me, Willow.
Questo volevo dirti. E' parte di me e lo è sempre stato, da quando venni a Landover e
raccolsi il medaglione della Sovranità. Il medaglione ci unisce, ci rende un'unica
persona quando io lo chiamo dal luogo ignoto in cui è in attesa.
La guardò, e distolse rapidamente lo sguardo.-Quando il medaglione lo evoca, la
magia trasferisce una parte di me nella sua armatura. Non il mio corpo o la mia
mente, ma il cuore e la volontà e la forza: le cose di cui ha bisogno. In qualche modo,
il Re e il campione del Re sono la stessa persona. E' questo il vero segreto del
medaglione. E' un segreto che non potevo svelarti.
Gli occhi smeraldini di Willow erano fermi quando lei lo guardò. -Perché non
potevi?-chiese pacata.
-Perché avevo paura del suo effetto su di te.-Si impose di guardarla negli occhi senza
abbassare lo sguardo.-Ci sono state volte che volevo dirtelo. Sentivo che avrei
dovuto, che era sbagliato non farlo, ma avevo paura. Come avresti reagito nel sapere
che ogni volta che il Paladino veniva evocato ero io (o almeno una parte importante,
necessaria di me) che dovevo impegnarmi in battaglia? Come avresti reagito all'idea
che la morte del Paladino avrebbe potuto provocare la mia stessa morte?
Scosse la testa, confuso.-Ma c'è di peggio. Ogni volta che compare il Paladino e io
divento un tutt'uno con lui, mi sembra di allontanarmi sempre più dalla mia vera
natura. Io divento lui, e ogni volta è sempre più difficile tornare indietro. Io vivo nel
costante timore che una volta o l'altra potrei non essere in grado di tornare perché non
lo voglio, perché ho dimenticato chi sono, perché mi piace quello che sono divenuto.
Il potere della magia è così seducente! Quando sono il Paladino, lui è tutto quel che
voglio essere. Se il medaglione non mi riconsegnasse a me stesso, se non si
riprendesse il Paladino, non credo che potrei mai tornare di mia volontà. Penso che
potrei perdermi per sempre.
Il dolore negli occhi di Willow era terribile a vedersi.-Avresti dovuto dirmelo-disse
tranquilla. Lui annuì, svuotato di parole.- Non capisci, Ben? Io mi diedi a te
incondizionatamente quando ti trovai nell'Irrylyn. Io appartengo a te, e niente mi
farebbe mai andar via. Niente!
-Lo so-affermò lui.
-No, non lo sai, altrimenti non avresti aspettato tanto per dirmi questo.-La sua voce
era morbida, ma il fondo era duro come l'acciaio.-Non c'è nulla che tu non puoi dirmi,
Ben. Né ora né mai. Saremo uniti sempre, fino alla fine. Tu sai cosa ci hanno
predetto. Conosci la profezia. Non dovresti mai mettere in dubbio la forza della sua
verità.
-Avevo paura...-cominciò, ma lei lo zittì subito.
-No, non ne parlare, adesso. Lascia stare.-Lo toccò delicatamente.-Dimmi piuttosto.
Tutto il suo dolore si riversa in te? Tutto quello che ha sofferto per difenderti?
Lui chiuse gli occhi.-Mi sento come se dovessi cadere a pezzi. Mi sembra di morire, e
non riesco a trovare la ferita che mi uccide. E' dappertutto, dentro e fuori. Io sono nei
frammenti sparsi per tutta la stanza: nell'aria, nel rumore della pioggia, nel mio stesso
respiro. Non so cosa fare. Il Paladino ha vinto, ma sembra che io abbia perso.
Richiamarlo così presto è stato un colpo troppo duro da sopportare. Ha richiesto
troppe delle mie energie, Willow. Il mio cuore non può reggere tanto!
-Shh, basta-lo consolò lei, stringendosi a lui. Lo baciò sulla bocca.-Il tuo cuore basta
per tutti noi, Ben Holiday. E' stato sempre la tua forza più grande. Sei sopravvissuto a
una battaglia terribile. Nessun uomo normale avrebbe potuto fare quello che hai fatto
tu. Non sottovalutarti. Non sminuire l'impresa che hai compiuto. Ascoltami. Il segreto
del Paladino adesso è nostro, non dovrai portarne il peso da solo. E' più facile portarlo
in due. Io ti aiuterò. Troverò il modo di sorreggerti quando sarai stanco e amareggiato
come sei adesso. Ti farò da scudo contro il dolore. Se dovrai diventare il Paladino per
amore nostro, io troverò il modo di riportarti indietro. Sempre. Per l'eternità. Io ti
amo.
-Non ne ho mai dubitato-replicò lui sommessamente.-Da gran tempo sarei finito, se
l'avessi fatto.
Lei lo accarezzò dolcemente sulla fronte, baciandolo ancora. Lui sentì che pian piano
si rilassava e cominciava ad assopirsi.-Dormi -gli sussurrò lei.
Lui annuì, mentre il suo respiro si faceva più lento e profondo. Il dolore si attenuò
parzialmente. I ricordi della battaglia nelle vesti del Paladino si smussarono, cedendo
il posto alla morbidezza del tocco di Willow. Il sonno avrebbe ritemprato le sue
forze, e al mattino avrebbe potuto ricominciare. Sarebbe rimasta soltanto un'aspra
certezza, l'inesorabile consapevolezza che esso sarebbe tornato a ogni nuova
trasformazione. E anche quella era possibile accettarla, supponeva. Perfino quella.
Si indusse alla calma, ricacciò indietro paura e disperazione. Troverò Mistaya, pensò.
La troverò sana e salva, e allora ne sarà valsa la pena. Riporterò a casa Questor
Thews e Abernathy. La farò finita con Rydall di Marnhull e con i suoi giochi
insidiosi.
Nel silenzio della notte nera come la pece, quelle parole furono un sussurro di
speranza.
Andrò a cercare la Strega del Crepuscolo nel Pozzo Infido. Andrò lì a cercare la
verità.
Poi si addormentò.
18
Sogni di cane
Quando Abernathy si svegliò la mattina seguente, dopo aver dormito particolarmente
bene, considerati i traumatici eventi del giorno prima, Questor Thews era seduto su
una sedia dall'altra parte del letto, e lo guardava come si guarda un moribondo. Era
sconcertante. Abernathy strinse gli occhi, prese gli occhiali e rivolse al mago uno
sguardo deliberatamente flemmatico e prolungato.
-E' successo qualcosa?-chiese.
Il mago annuì, poi scosse la testa, incapace di decidersi.-Dobbiamo parlare, amico
mio-annunciò a malincuore.
Abernathy si mise quasi a ridere alla solennità di quella dichiarazione. Poi vide lo
sguardo negli occhi spenti dell'altro e sentì il gelo attanagliargli lo stomaco. Questor
Thews era profondamente turbato.
-Bene-disse a mo' di risposta, e poi si zittì nuovamente, come se quell'unica parola
avesse introdotto ed esaurito l'argomento, senza bisogno di ulteriori discorsi.
Si levò a sedere sul letto, soffermandosi per un attimo, suo malgrado, ad ammirare il
profilo armonioso delle sue braccia e delle gambe, per poi indugiare a considerare
criticamente l'aspetto delle dita delle mani e dei piedi. Le prime erano lunghe e
affusolate, mentre le seconde erano tutte rincagnate come quelle cose gommose che
ultimamente aveva imparato ad apprezzare. Elizabeth ne teneva una scorta in cucina e
gliene offriva in continuazione. L'idea che assomigliassero alle dita dei suoi piedi non
l'impressionava affatto.
Si schiarì la gola.-Di cosa ti piacerebbe parlare?-chiese, sperando che fosse qualcosa
di diverso da Poggwydd.
Questor Thews si riprese a sufficienza per alzarsi dalla sedia e andare fino alla
finestra: uno spaventapasseri curvo e allampanato, con l'imbottitura che sfuggiva
dalle cuciture. Aprì le tendine e guardò fuori, strizzando gli occhi per la luce. La
giornata era calda e soleggiata, il cielo terso, il mondo in pieno risveglio.-Scendiamo
giù nel cortile, a sederci all'ombra di quegli alberi-suggerì, sforzandosi, con poco
successo, di apparire allegro.
Abernathy sospirò.-Andiamo.
Si fece la doccia, si sbarbò e si vestì, e mentre faceva tutto questo si rese conto che
l'argomento di cui Questor Thews voleva parlare era il libro. Trattato teorico sulla
magia e sulle sue applicazioni. Abernathy si era dimenticato del libro, tutto preso
dall'inaspettata apparizione di Poggwydd a Graum Wythe e della sua conseguente
cattura: lo Gnomo Va' Via era un altro esiliato da Landover, intrappolato in questo
mondo come lui, ma con la differenza che mentre a Poggwydd non importava un fico
secco di questo nuovo mondo, Abernathy si trovava ogni giorno sempre più a suo
agio nel suo esilio.
Il che significava, concluse, che il libro aveva rivelato a Questor qualcosa sul ritorno
a Landover. Ecco perché il mago era ancora sveglio: aveva trovato la risposta che
stava cercando e tentava di risolversi a dirlo ad Abernathy, che sapeva non molto
propenso a tornare a casa. Eppure, pensava Abernathy fra sé e sé, in realtà lui era
convinto quanto il mago che era necessario tornare, perché l'Alto Signore aveva
bisogno di loro, Mistaya era nelle grinfie della strega, e qualcosa di tremendo sarebbe
accaduto se loro non fossero tornati in tempo per impedirlo.
Ma che cosa? Che cosa sarebbe accaduto? Avrebbe desiderato saperlo. Una piccola
certezza in quel ginepraio certo non avrebbe guastato.
Terminò di infilarsi le scarpe e uscì dal bagno per trovarsi di fronte a Questor. Il
mago lo squadrò, sembrò sorpreso da ciò che vide, e distolse rapidamente lo sguardo.
-Be', tanti ringraziamenti, veramente gentile!-sbottò Abernathy.-Cosa c'è, mi sono
infilato i pantaloni alla rovescia? Oppure le scarpe sono del colore sbagliato?
-No, no.-L'altro si portò una mano alla fronte, addolorato.Al contrario, sembri appena uscito da una sartoria.-Il mago agitò una mano per aria.Mi spiace di essere stato rude. Ma sono stato su tutta la notte a leggere, e non
m'interessava molto il finale della storia.
Abernathy annuì, senza avere alcuna idea di quale fosse l'oggetto della sua
approvazione.-Perché non andiamo giù e non ci facciamo questa benedetta
chiacchierata-incalzò, ansioso di farla finita. -Possiamo vedere se Elizabeth è sveglia
e chiederle di unirsi a noi.
Ma Questor si affrettò a scuotere la testa.-No, preferirei che parlassimo a
quattr'occhi.-Abbassò lo sguardo, poi si morse un labbro.-Per favore, fa' come ti dico.
Abernathy acconsentì. Uscirono dalla stanza da letto, percorsero il breve corridoio e
scesero le scale. Nel passare davanti alla porta chiusa di Elizabeth, la sentirono
cantare. Almeno qualcuno era allegro. Passarono dal salotto in cucina e si trovarono
faccia a faccia con la signora Ambaum. Stava ritta davanti ai fornelli a preparare il tè,
arcigna e spavalda come un cerbero, e decisamente trionfante quando si voltò a
guardarli.
-Ho parlato con il padre di Elizabeth, ieri sera. Non rammenta di avere uno zio di
nome Abernathy. Quel nome non gli dice assolutamente nulla. Cosa avete da dire in
proposito?
Con una mano afferrò un colino per il tè. Armata e pericolosa, se mai si fossero
dimostrati tanto pazzi da tentare qualcosa
Abernathy sfoderò il suo sorriso più disarmante.-Sono anni che non ci vediamo.
Eravamo ragazzi, l'ultima volta che ci siamo incontrati.
La donna storse un angolo della bocca.-Mi ha detto di avvisare Elizabeth che arriverà
con il volo di stasera. Vuole darvi un'occhiata.
Abernathy strinse gli occhi: vedeva già la scena dell'incontro. La signora Ambaum
piegò la testa, come se cercasse di dare una sbirciata in quella dell'altro.
Questor Thews si affrettò a prendere l'iniziativa.-Pensa un po'! -esclamò. Prese
Abernathy per un braccio e lo condusse via dalla domestica esterrefatta, fino all'uscita
di servizio.-Non si preoccupi, adesso-le disse di sopra la spalla.-Sarà tutto sistemato
in un batter d'occhio!
Scesero gli scalini del patio fino al cortile, con Abernathy che faceva uno sforzo
sovrumano per non sbirciare di sottecchi la signora Ambaum, curioso di sapere se li
stesse guardando.-Quella donna non mi fa certo paura-mormorò.
Questor Thews fece una smorfia.-Be', siete pari. A quanto sembra, neanche lei si cura
molto di te.
Si spostarono nel giardino sul retro, ben lontani dalla casa, dove orecchie curiose
avrebbero potuto captare quello che dovevano dirsi. Abernathy guardò il cielo e
abbracciò con gli occhi l'arco della sua vasta cupola azzurra. Inspirò il profumo dei
fiori e dell'erba e della rugiada che ancora resisteva al sole. La signora Ambaum era
già dimenticata.
Giunsero a una vecchia panchina, laccata di bianco per proteggere il legno dalle
intemperie, e si sedettero, con la faccia rivolta a occidente, dove, aldilà di una vuota
distesa di campi, le Cascade Mountains svettavano con i loro picchi innevati nel cielo
piatto.
Dopo un breve silenzio, Abernathy si rivolse a Questor.-Be'?- disse.
Il mago sospirò, si tormentò le mani in grembo, si agitò, e sospirò di nuovo.-Abbiamo
un problema-disse.
Abernathy attese finché non fu chiaro che Questor non sapeva come proseguire.-Ti
dispiacerebbe esprimere più di una frase alla volta, Questor Thews? Altrimenti ci
vorrà tutta la giornata.
-Va bene, d'accordo.-Il mago era turbato.-Il libro. Trattato teorico sulla magia e sulle
sue applicazioni. L'ho letto la notte scorsa. Anzi, l'ho letto due volte. L'ho esaminato
in tutte le sue sfaccettature. Credo che sia quello che stiamo cercando.
Abernathy annuì.-Credi? Non è molto incoraggiante per noi poveri mortali che
stavamo aspettando un si o un no definitivo.
-Be', è sulla magia (il libro, voglio dire) e la magia non è mai esatta. Come tu sai. E
questo è un libro sulla teoria, un discorso sulle generali di come le magie funzionino,
una dissertazione sui loro principi, sulle loro affinità. Quindi non dice, per esempio:
"Prendete un occhio di tritone, aggiungete un piede di rana, e mescolate per tre volte
in senso antiorario" o cose del genere.
-Be', lo spero bene.
-Certo, quello non è un vero incantesimo, naturalmente. Ma è un esempio di un
sortilegio specifico in contrapposizione alla teoria generale. Questo è un libro di
teoria, come ti dicevo, quindi non si può essere certi di nulla finché non si sia fatta
una prova; si può soltanto applicare la teoria alla situazione particolare e avere una
ragionevole certezza.
Abernathy corrugò la fronte.-Come mai tutto questo non mi rassicura? mi chiedo.
Come mai mi riporta alla mente ricordi di altri tempi?
Questor Thews gettò le mani al cielo.-Dannazione, Abernathy è una cosa seria! Non
mi stai certo facilitando il compito, con le tue osservazioni caustiche! Fammi il
favore, lascia stare le battute di spirito! Ascoltami, piuttosto!
Rimasero uno di fronte all'altro in silenzioso stupore. Il sorriso si spense sul volto di
Abernathy.-Scusami-disse, sorpreso anche di aver potuto parlare.
Questor annuì in fretta e liquidò le scuse con un cenno della mano. Non era
necessario, tra amici, sembrava voler dire.-Teoria-proseguì, riprendendo il filo della
sua conversazione.-Il libro rivela una teoria che io ricordo dai giorni in cui studiavo
sotto le direttive del mio fratellastro, ai tempi del vecchio Re. Funziona più o meno
così. Quando una magia interviene a modificare il risultato di un'altra, ad alterare quel
risultato in maniera sostanziale, allora, per annullare le conseguenze della magia
intervenuta bisogna usare una terza magia che riporti le cose esattamente al punto in
cui erano. Quindi: la magia uno viene applicata, la magia due modifica il risultato, e
la magia tre fa ritornare le cose così come erano prima che la magia due fosse
applicata.
Abernathy sgranò gli occhi.-Ma se le conseguenze della magia due vengono
annullate, dove vanno a finire le conseguenze della magia uno?
-No, no, questo non ha alcuna influenza sulle cose! La magia uno si è già esaurita!-Le
labbra sottili di Questor si serrarono, e le sopracciglia cespugliose si restrinsero.-Mi
segui fin qui?
-La Strega del Crepuscolo ha tentato di ucciderci con la sua magia. Ha fallito per
l'intervento di un'altra magia, quella che appartiene al cucciolo di fango, supponiamo.
Adesso noi dobbiamo usare una terza magia per rimettere le cose a posto, esattamente
com'erano. A questo punto non ti seguo più. Quali cose dovremmo rimettere a posto?
Gli occhi di Questor si chiusero.-Aspetta, c'è dell'altro. La seconda magia, per poter
sopraffare la prima e allo stesso tempo facilitare l'eventualità futura del proprio
annullamento, deve usare un catalizzatore, un potente fattore di aggancio, una
conseguenza periferica che non possa essere scambiata per nessun'altra cosa al difuori
di quello che è. Questa conseguenza favorisce il predominio della seconda magia
sulla prima. Si può pensare a essa come a una forma di sacrificio. In taluni casi, lo è
davvero. Per esempio, il sacrificio di una vita per salvarne altre. E' molto difficile
operare la riconversione, in questo caso. Normalmente la conseguenza non ha altre
valenze, nel corso degli eventi, oltre quella di fornire una chiara indicazione su ciò
che è necessario rimettere a posto.-Trasse un profondo respiro.-Scusami. Lo so che è
piuttosto confuso.
Ma Abernathy scosse lentamente la testa, mentre la sua faccia impallidiva.-Stai
parlando di me, non è vero, Questor Thews? Stai dicendo che dovrei di nuovo
trasformarmi in un cane. Non è così?
Il suo amico sospirò e annuì.-Sì.
-Tu credi che se userai la magia per farmi ritornare quello che ero, un cane, allora le
conseguenze della seconda magia saranno annullate e saremo tutti rimandati a
Landover. E' questo ciò che pensi?
-Si.
-E' ridicolo.
Ma dalla sua voce non ne sembrava convinto, e infatti non lo era. Una parte di lui gli
stava già sussurrando che le cose stavano così. Una parte di lui aveva continuato a
temere questo dal primo momento che aveva scoperto la sua fortuna. Era inevitabile
che non dovesse godere di quella fortuna senza pagarne le conseguenze, che non
dovesse sfuggire così facilmente al suo destino. Odiava pensarla così, ma non poteva
evitarlo. Condannato dal fato. Consegnato al purgatorio. Gli era stata concessa una
breve vacanza dalla realtà, niente di più.
-Potresti sbagliarti-insisté, cercando di mantenere la calma, sentendo la disperazione
montare già dentro di sé, avvertendo la sua vampa salirgli per il collo, fino alla faccia.
-Può essere-riconobbe Questor Thews.-Ma io non lo credo. Abbiamo già stabilito che
fummo mandati nel vecchio mondo dell'Alto Signore perché avessimo salva la vita e
perché qualcosa nascosto quaggiù ci avrebbe aiutato a trovare il modo di tornare. La
magia che ci ha mandati qui, e chiunque l'abbia usata, ci hanno fornito la chiave che
apre la porta di questa prigione. Tutti i pezzi si incastrano al posto giusto, tranne la
tua trasformazione; a meno che questa stessa trasformazione non sia la chiave. Non
c'è altra ragione per cui avrebbe dovuto verificarsi. E' un risultato troppo stupefacente
per essere soltanto un effetto collaterale. Dev'essere qualcosa di più, e cos'altro
potrebbe essere?
Abernathy si alzò in piedi (i suoi piedi di uomo) e si allontanò. Si fermò quando fu
abbastanza lontano dal mago da sentirsi solo, e si mise a fissare un punto invisibile.Io non lo farò!-gridò.
-Non te l'ho chiesto!-replicò l'altro.
Abernathy alzò le braccia al cielo, disgustato.-Non essere ridicolo! Certo che me lo
stai chiedendo!
Si girò di scatto, con espressione di sfida. Questor Thews appariva vecchio e fragile.No, Abernathy, non è così. Come potrei? Prima di tutto, sono stato io a trasformarti in
un cane. Un incidente, sì, ma quella non è una scusa per quanto è successo. Ti
trasformai da uomo in cane e poi non sono più riuscito a restituirti il tuo vero aspetto.
Da allora, ho vissuto con quel fallimento, con quella stupidità, ogni giorno della mia
vita. Adesso mi ritrovo, mio malgrado, in una posizione tale per cui dovrei
trasformarti una seconda volta. Io devo rivivere i peggiori momenti della mia vita,
sapendo, bada bene, che tuttora non sarei in grado di annullare le conseguenze della
magia una volta che si siano realizzate.-C'erano lacrime negli occhi del vecchio, che
le asciugò con rabbia.-Non esagero se ti dico che tutto questo per me è quasi
intollerabile!
Anche per me, pensò cupamente Abernathy. Guardò il proprio corpo, la propria
figura reale, la sua persona recuperata, e pensò per un momento a quello che avrebbe
significato ritornare a essere un cane. Si raffigurò di nuovo sotto le spoglie di quella
creatura goffa, risibile, dal pelo arruffato che era stato. S'immaginò intrappolato in
quel corpo estraneo, in lotta per conservare la propria dignità, a combattere una
battaglia ogni singolo giorno della propria vita per convincere quanti lo circondavano
che lui era umano come loro. Come poteva qualcuno pretendere che facesse un tale
sacrificio? Era questo il prezzo per tornare a Landover? Ma lui sapeva che c'era di
più. Quello era il prezzo richiesto per la sua vita. Se la misteriosa magia non fosse
intervenuta, sarebbe morto. La Strega del Crepuscolo li avrebbe finiti. Tutti e due. E
Questor Thews aveva indubbiamente ragione, per quanto doloroso fosse per lui il
riconoscerlo. La sua trasformazione da cane in uomo aveva avuto uno scopo, e l'unico
scopo che avesse un senso era quello che il mago aveva scoperto dopo lo studio del
libro di magia.
Quindi poteva restare o andarsene. La scelta spettava a lui. Questor non avrebbe
tentato di persuaderlo, in nessun senso. Il mago aveva già abbastanza rimorsi, a quel
riguardo, demoni con cui doveva confrontarsi ogni giorno. La decisione era stata
lasciata ad Abernathy. Se avesse respinto la trasformazione, sarebbe stato obbligato a
rimanere lì. C'erano i pro e i contro, in questa prospettiva, pensò. Senza scendere nei
dettagli. Naturalmente, l'Alto Signore Ben Holiday era incastrato a sua volta: da
questa parte non avrebbe potuto ricevere aiuto. D'altro canto, se avesse permesso a
Questor di invocare la magia, sarebbe presumibilmente tornato in tempo per aiutare
l'Alto Signore. Ma ci sarebbe riuscito davvero? Valeva effettivamente la pena di
tornare? Avrebbe contribuito a raggiungere lo scopo, oppure le cose avrebbero
seguito il loro corso, a prescindere dalla sua presenza? Se solo l'avesse saputo. Un
conto era sapere che il suo ritorno avrebbe contribuito a salvare l'Alto Signore e la
sua famiglia da Rydall e dalla Strega del Crepuscolo. Un altro era avere la certezza
che non sarebbe servito a nulla.
Lanciò un'occhiata alla casa. La signora Ambaum li stava guardando dalla finestra,
sorseggiando soddisfatta il suo tè. Stasera, la vendetta: probabilmente era questo, che
stava pensando. Ancora nessun segno di Elizabeth. Oltre la casa, dove la strada
curvava allontanandosi dal giardino per scomparire dietro un'altura, il sole era una
cortina di foschia tra gli alberi.
Tornò da Questor Thews e si fermò di fronte a lui, con gli occhi fissi sulla vecchia
faccia consunta.-Non penso davvero di poterlo fare-disse pacatamente.
Il mago annuì, con la faccia accartocciata in un ammasso di rughe.-Non posso
biasimarti.
Abernathy tese in fuori le mani e le guardò. Scosse la testa.-Ricordi anche la magia
che usasti per trasformarmi quella prima volta?
Questor non alzò gli occhi, ma fece cenno di sì.
-Dopo tanti anni. Non è curioso?-Abernathy rivolse lo sguardo a se stesso. Non era
tanto, che era tornato alla sua forma primitiva, ed era già a proprio agio nella sua
vecchia pelle.-Mi piaccio come sono-sussurrò.
Elizabeth apparve sulla porta.-La colazione!
Nessuno si mosse. Poi Questor agitò una mano.-Veniamo subito! -rispose ad alta
voce. Guardò Abernathy.-Mi dispiace davvero.
Abernathy sorrise amaramente.-Ne sono convinto.
-Avrei dato qualsiasi cosa per non averti dovuto dire questo, perché non fosse così.-Si
morse il labbro.
-Se le cose non stessero così, giusto per fare un'ipotesi- scherzò Abernathy-finisce
che rimango intrappolato qui neanche da uomo, ma da cane!
Questor Thews annuì, guardandolo negli occhi, stavolta.
-Ma è così. Tu ne sei sicuro. Sicurissimo, vero?
Il mago annuì ancora una volta, senza parlare.
-Devo decidere in fretta, giusto?-Abernathy insisté riluttante.-Se vogliamo essere di
qualche aiuto all'Alto Signore e a Mistaya, dobbiamo tornare laggiù in fretta. Non c'è
il tempo di riflettere tanto.
-No, ho paura che non ci sia.
-Perché allora non ne parli con me?
-Parlarne con te?
-Per convincermi, in un senso o nell'altro. Scegli una posizione. Discutile tutt'e due,
se ti va. Ma dammi qualche argomento di discussione. Dammi qualcosa di
confutabile. Dammi un'altra voce da ascoltare, che non sia la mia!
-Ti ho già spiegato...
-Basta con le spiegazioni!-Abernathy era improvvisamente livido.-Smettila di essere
razionale! Smettila di essere passivo! Smettila di starmi d'attorno ad aspettare che
prenda questa decisione tutto da solo!
-Ma la decisione dev'essere tua, Abernathy, non mia. Lo sai.
-Non lo so affatto! Non so proprio niente! Sono stufo marcio di essere all'oscuro di
quanto accade nella mia vita! Tutto ciò che voglio è poter tornare alle cose com'erano
un tempo, e non mi è consentito farlo! Mi si chiede ancora di esibirmi, proprio come
facevo quando eravamo a quel Bumble-vattelapesca di festival, solo che stavolta gli
spettatori sono invisibili! Perché dovrei accettare di portare avanti questa
sceneggiata? Sarebbe meglio mettersi a sedere e rifiutarsi di fare qualunque cosa!
-Non fare niente equivale a fare qualcosa!-Questor si stava scaldando un po', a sua
volta.-Una scelta viene fatta, comunque si agisca!
Abernathy serrò i pugni, infuriato.-Allora arriviamo sempre allo stesso punto, vero?
Una scelta bisogna farla, in un senso o nell'altro, anche se in realtà la scelta non è
affatto una scelta?
-Stai farneticando!
-Sto cercando di ragionare!
Questor Thews sospirò.-Perché non andiamo a fare colazione, e dopo forse...
-Ah, lascia stare! Torno!
-...le cose saranno un po' più facili.-Il mago s'interruppe di colpo.-Che cos'hai detto?
Abernathy lottò per mantenere la voce ferma.-Ho detto che torno! Voglio che usi la
tua magia per trasformarmi!-Fece una smorfia quando vide l'espressione sulla faccia
tormentata dell'altro e si calmò all'improvviso.-Non è una decisione così difficile,
Questor Thews. Quando tutta questa storia sarà finita, voglio vivere in pace con me
stesso. Se non c'è altra scelta che ridiventare cane, mi ci abituerò. Posso accettarlo se
saprò che ho fatto tutto quello che potevo per aiutare l'Alto Signore e la sua famiglia.
Ma se rimango uomo e poi vengo a sapere che mutandomi in cane avrei potuto
salvare le loro vite... be', non c'è bisogno che ti dica altro.
Si schiarì la gola.-Inoltre, ho fatto un giuramento.-Per un lungo momento sembrò
l'uomo più triste sulla faccia della terra.- Io sono Scrivano di Corte al trono di
Landover e ho giurato di servire il suo Re. Sono obbligato a servirlo in tutti i modi
possibili. In questo momento potrei desiderare diversamente, ma non posso cambiare
questo stato di fatto.
Questor Thews sgranò gli occhi. I vecchi occhi erano fieri.-Sei veramente una
persona fuori dal comune-disse sommessamente il mago.-Dico davvero.
Impulsivamente, gettò le braccia al collo del suo amico e lo strinse, con i baffi che
sfregavano ruvidi sulla pelle liscia di Abernathy.-Be' -disse quest'ultimo in risposta,
sopraffatto dalla reazione dell'altro. Scrollò le spalle per simulare indifferenza.Veramente, anche tu.
Andarono in casa per fare colazione con Elizabeth. Si sedettero tutti e tre al piccolo
tavolo della cucina, ingombro di scodelle di cereali e caraffe di latte. La signora
Ambaum si affaccendò sussiegosa attorno a loro per un po', come se tentasse di
tenere sotto controllo la
situazione, poi rinunciò e scomparve dall'ingresso principale promettendo di far
ritorno a mezzogiorno.
Appena se ne fu andata, Elizabeth disse-Papà torna a casa stasera, con il volo da New
York.
-Così ci ha riferito la signora Ambaum-la informò Questor. Non guardò Abernathy. Il
suo amico stava mangiando con la testa quasi nel piatto e una mano sulla fronte.
-Dobbiamo inventarci un'altra storia-proseguì Elizabeth. Si era lavata i capelli ricci,
che erano ancora umidi, e rinfrescata la faccia.-Non sarà difficile. Ci basterà dire che
la signora Ambaum aveva capito male e che voi...
Ma Questor stava già scuotendo la testa.-No, Elizabeth. Non sarà necessario.
Abernathy e io ce ne andiamo.
-Andate via? Quando?
Questor sorrise tristemente.-Subito. Appena avremo finito di mangiare.
La delusione fu subito evidente.-Avete trovato un modo per tornare, vero?
Questor annuì.-Stanotte.
Lei si morse un labbro. Guardò Abernathy, accigliata.-Ma siete appena arrivati. Non
potete stare qualche altro giorno? Forse posso...
-No, Elizabeth.-Abernathy si raddrizzò e incontrò lo sguardo disperato della ragazza
con occhi gentili.-L'Alto Signore ha bisogno di noi. Mistaya ha bisogno di noi. Ogni
ritardo potrebbe essere pericoloso. Non possiamo rimanere.
Elizabeth guardò i suoi cereali e li girò un po' con il cucchiaio.- Non mi sembra
giusto. Non voglio fare l'egoista, e so che è importante che voi torniate. Ma siete qui
da tanto poco.-Alzò gli occhi, per riabbassarli subito.-Erano quattro anni che
aspettavo di rivedervi.
Abernathy non riusciva a parlare. La sua faccia era stravolta.
Ci fu un breve silenzio.-E Poggwydd?-chiese lei alla fine.
Questor si schiarì la gola.-Poggwydd verrà con noi. Abernathy e io cercheremo di
farlo rilasciare non appena usciremo di qui.
-Vi accompagno-annunciò Elizabeth di getto.
-No-disse Abernathy in fretta, pensando che fosse già abbastanza brutto il fatto che ci
andassero loro due, ma rassegnato a quella inevitabile incombenza.
-Lui vuole dire-intervenne in tutta fretta Questor-che appena Poggwydd sarà libero,
noi saremo già in viaggio. Puf!-Cercò di abbozzare un sorriso, senza successo.-Se ci
sarà qualche problema, non vogliamo che tu resti coinvolta. Non è così, Abernathy?
-Ma potreste aver bisogno del mio aiuto!-Elizabeth non aspettò di sentire quello che
Abernathy aveva da dire.-Non siete pratici di Seattle! Come potrete orientarvi? Come
farete a trovare Poggwydd?
-Be', forse in quest'ultimo compito tu potresti aiutarci-suggerì il mago, accomodante.
-Elizabeth.-Elizabeth posò le mani sul tavolo e sospirò.-Se potessimo restare, lo
faremmo. Se potessimo passare anche un altro po' di tempo con te, lo faremmo. Tu
sei stata nostra amica. Specialmente mia. Due volte, adesso, non solo una. Ma ci sono
limiti ai rischi che possiamo farti correre per causa nostra. Sarà già abbastanza dura
spiegare di noi a tuo padre.
-Di lui non mi preoccupo! Non ho paura della signora Ambaum, né di nessun altro!Era adamantina.
-Lo so-rispose lui dolcemente.-Non ti sei mai fermata davanti a nessuno. Se l'avessi
fatto, io non sarei qui adesso.-Sorrise tristemente.-Ma noi ci preoccupiamo per te.
Temiamo che ti possa accadere qualcosa, e allora saremmo responsabili. Ricordi cosa
accadde con Michel Ard Rhi? Ricordi quanto poco ci mancò che non restassi ferita?
Mi spaventai a morte per te, quella volta! Non posso permettere che una cosa del
genere possa ripetersi. Dobbiamo dirci arrivederci, adesso. Qui, a casa tua, dove ti
sappiamo al sicuro.
Ti prego, Elizabeth.
Lei stette un momento a pensarci su, e poi annuì.-D'accordo, Abernathy.-Ancora
contrariata, sulla difensiva, imbronciata.- Suppongo.-Sospirò.-Be', almeno sei di
nuovo un uomo, vero? Almeno non sei più un cane.
Abernathy sorrise stoicamente.-Sì, almeno non sono un cane.
Finirono la colazione in silenzio.
Nel tentativo di scoprire cosa ne fosse stato di Poggwydd, Elizabeth chiamò la Polizia
della Contea, e quelli le dissero di chiamare il responsabile del Controllo animali
della Contea, che a sua volta la dirottò sul Rifugio animali della Contea a Elliott.
Poiché nessuno sapeva con esattezza cosa fosse Poggwydd e quindi cosa farne di lui,
lo Gnomo Va' Via era passato di mano in mano come una scarpa vecchia. La
soluzione finale era comunque temporanea, come vennero a sapere quando la ragazza
parlò con uno degli impiegati del rifugio per animali. Uno zoologo del Woodland
Park e un antropologo dell'Università di Washington erano già stati chiamati, e
sarebbero arrivati in tarda mattinata per dargli un'occhiata. Le dispute territoriali si
sarebbero appianate, e Poggwydd sarebbe stato mandato in qualche altro posto per
ulteriori accertamenti.
Elizabeth appese il ricevitore, riferì tutto quanto e concluse:-E' meglio che vi
affrettiate.
Fu chiamato un tassì per far arrivare Abernathy e Questor Thews alla loro
destinazione, il rifugio per animali. Elizabeth diede loro il denaro per pagare. Stette
con loro in fondo al vialetto finché l'auto non arrivò, scambiò con loro le ultime
parole, consigliando cautela e incoraggiandoli, e diede loro il suo numero di telefono,
caso mai le cose andassero a catafascio e avessero nuovamente bisogno di lei:
sperava segretamente che si verificasse quest'ultima ipotesi perché sapeva che una
volta andati nel loro mondo non sarebbero più tornati. Quando il tassì arrivò, li
abbracciò entrambi e augurò loro buon viaggio. Baciò Abernathy sulla guancia e gli
disse che lui era il suo migliore amico, anche se veniva da un altro mondo, e che lei
lo avrebbe sempre aspettato perché sapeva che un giorno sarebbe tornato. Abernathy
disse che avrebbe cercato di farlo. Le disse che non l'avrebbe dimenticata mai. Lei si
mise a piangere, suo malgrado, e Abernathy dovette fare un grande sforzo per non
piangere con lei.
Poi Questor e Abernathy partirono, con l'auto che percorreva velocemente autostrade
a quattro e cinque corsie, sfrecciava zigzagando tra un veicolo e l'altro e faceva il
pelo a ogni genere di ostacoli e di barriere. Attraversarono un ponte, presero uno
svincolo, percorsero una strada a due corsie a velocità leggermente ridotta, e
svoltarono in un parcheggio adiacente a un edificio di mattoni rossi con un cartello
che diceva "Rifugio per animali della Contea di King".
Diedero il denaro di Elizabeth al tassista, rimisero i piedi su terreno solido con un
inequivocabile senso di sollievo, e si diressero all'entrata. Il vialetto si biforcava, e le
due ramificazioni portavano a due ingressi separati. Loro presero a sinistra e, varcata
la soglia, si
trovarono davanti a una scrivania: qui, un impiegato con l'aria seccata li rispedì fuori,
sul vialetto che portava all'altro ingresso. Alla seconda scrivania una giovane donna
in uniforme li guardò con aspettativa mentre entravano.
-Il professor Adkins? Il signor Drozkin?-li salutò.
Questor, con notevole presenza di spirito, prese la palla al balzo. Sorrise e annuì.
La donna apparve sollevata.-Avete idea di cosa possa essere questo?-chiese.-Nessuno
qui ha mai visto qualcosa del genere. Ci sta facendo passare un brutto quarto d'ora!
Ho tentato di tutto (noi tutti l'abbiamo fatto) ma non riusciamo neanche ad
avvicinarci. Dopo che la polizia l'ha portato qui, io l'ho fatto slegare e quello ha
cercato di staccarmi una mano! E mangia di tutto! Sapete cosa sia?
-Credo di averne un'idea abbastanza precisa-disse Questor Thews.-Possiamo dargli
un'occhiata?
-Naturalmente; da questa parte.-Era lieta di esaudire la loro richiesta, e scaricarsi così
di quel fardello di nome Poggwydd. Abernathy la capiva benissimo.
Li condusse dietro il banco, a una pesante porta di metallo, che disserrò e spalancò.
Poi li guidò lungo un corridoio fino all'area delle gabbie. Poggwydd era alla fine dello
stanzone, gettato in fondo alla gabbia più ampia. I suoi vestiti erano laceri, e il suo
pelo era intriso di sporco e di sudore. Tagli e graffi lo segnavano da capo a piedi, e
teneva la lingua penzoloni. Aveva un aspetto a dir poco miserevole, anche per uno
Gnomo Va' Via.
Quando li vide, balzò in piedi e si gettò contro la gabbia con una violenza inaudita.
La percuoteva e la sbatacchiava e mordeva le sbarre in un accesso di furia, cercando
di afferrarli.
-E' anche peggiorato!-dichiarò sbigottita la giovane donna.-Sarà meglio che prima lo
tranquillizzi un po'!
-No, per favore, è meglio non perdere tempo-la interruppe Questor in tutta fretta.-Per
il momento mi piacerebbe semplicemente osservarlo. Non mi interessa che si calmi.
Può lasciarci soli per qualche minuto, signora...?
-Beckendall. Lucy Beckendall.-Gli porse la mano, e lui la strinse cordialmente, senza
impegolarsi in una presentazione personale perché aveva già dimenticato il nome che
aveva appena usurpato.
-Allora, qualche minuto?-ripeté premuroso.-Rimarremo qui a distanza di sicurezza, e
gli daremo un'occhiata come si deve.
Poggwydd correva su e giù per la gabbia, mostrando tutti i denti, agitando il pugno,
tentando disperatamente di parlare.
-Naturalmente-acconsentì lei.-Io starò qui, fuori della porta. Chiamatemi, se avrete
bisogno di me.
Attesero finché la donna non fu uscita e non ebbe richiuso la pesante porta alle sue
spalle. Questor guardò Abernathy, poi si avvicinò alla gabbia.
-Smettila!-intimò a Poggwydd.-Datti un contegno e ascoltami! vuoi uscire di lì o no?
Poggwydd, ormai esausto, si accasciò al suolo e lo fulminò con lo sguardo. L'aria
nella stanza era molto viziata e pregna dell'odore di medicinali. Abernathy si
immaginò chiuso lì dentro per un giorno intero e si sentì improvvisamente solidale
con lo gnomo, una volta tanto.
-Ascoltami, adesso! -Questor si rivolse con fermezza a Poggwydd.-Non risolverai
niente a saltare in quel modo come un pazzo! Siamo venuti appena abbiamo potuto,
appena abbiamo saputo dove ti trovavi!
Poggwydd indicò la propria bocca, sconsolato.
-Ah sì, naturalmente, vuoi dire qualcosa.-Questor corrugò la fronte minaccioso.-Sta'
ben attento a tenere la voce bassa quando parli, che non ti sentano; altrimenti, ti
zittisco di nuovo. Intesi?
Lo Gnomo Va' Via annuì cupamente. Questor disse qualche parola a bassa voce, fece
un gesto, e la voce di Poggwydd tornò, con una specie di rantolo.
-Ve la siete presa comoda, eh?-fu la prima cosa che disse.- Avrei potuto lasciarci le
penne, in questo posto! Questa gente è un branco di animali!
Questor inclinò leggermente la testa in segno d'approvazione.- Scusaci. Ma adesso
siamo qui. Siamo venuti a tirarti fuori e a riportarti a Landover.
La faccia dello Gnomo si accartocciò in un ammasso furioso di pieghe.-Be', e se non
volessi venire? Se le dicessi che ne ho abbastanza di lei, Questor Thews? E del suo
amico?
-Non sia ridicolo! Vuol rimanere qui?
-No, non voglio rimanere qui! Voglio uscire! Ma una volta uscito, voglio tornarmene
da solo. Posso trovare la strada meglio di voi, ci scommetto!
-Lei non sarebbe capace di tornare a casa dal suo orticello, figuriamoci da un altro
mondo! Cosa va cianciando?
-Lascialo stare, Questor Thews!-sbottò Abernathy.-Abbiamo già perso abbastanza
tempo!
I tre cominciarono a discutere animatamente, ed erano ancora impegnati a farlo
quando di colpo la porta di metallo si aprì e Lucy Beckendall comparve alla vista. Si
zittirono tutti e tre all'istante. Lei guardò da uno all'altro, quasi certa di aver sentito la
creatura in gabbia parlare.
-Qui c'è qualcosa che non va-annunciò, con espressione diffidente e maldisposta.-Ci
sono due signori lì all'ingresso che si sono presentati come il professor Adkins
dell'Università di Washington e il signor Drozkin dello Zoo di Woodland Park. Mi
hanno mostrato la carta d'identità. Voi avete delle credenziali da mostrarmi?
-Naturalmente-dichiarò Abernathy in fretta, sorridendo e annuendo. Maledizione!
Tornò in fretta verso la porta dalla linea delle gabbie, ficcando una mano in tasca,
rovistando e scuotendo la testa. Quando raggiunse Lucy Beckendall alla porta, le
mise con decisione le mani sulle spalle, la spinse attraverso l'apertura, e chiuse di
nuovo la porta. -Questor Thews!-latrò, puntellandosi contro la porta mentre di fuori
cominciavano già a bussare violentemente.-Aiutami!
Il mago si rimboccò le maniche, sollevò le braccia scheletriche, e spedì un grumo
color blu elettrico di magia direttamente nella serratura. Serratura e maniglia si
sciolsero e fusero all'istante.
-Ecco, da quella parte non entreranno!-dichiarò soddisfatto.
-E noi non usciremo!-Abernathy tornò di nuovo verso la gabbia.-Quindi spero che tu
sappia quale dovrà essere la tua prossima mossa!
Questor Thews si rivolse a Poggwydd.-C'è solo una via d'uscita, signor Poggwydd:
con noi, alla volta di Landover. Se la lasciamo qui, la rinchiuderanno in gabbia nel
giro di qualche minuto. E dopo chi l'aiuterà? Dunque, mi dispiace che si sia trovato in
questo pasticcio, ma non è stata colpa nostra. E non c'è tempo per sviscerare la
questione.-Il bussare furioso dall'esterno aveva lasciato il posto a violente martellate,
metallo su metallo nel punto di fusione della serratura. Questor strinse la bocca, e il
suo dito ossuto si levò contro lo Gnomo.-Pensi solo a quello che le faranno!
Esperimenti! Test! Intrugli di tutti i tipi! Cosa preferisce, Poggwydd? Landover e la
libertà, o una gabbia per il resto della sua vita?
Poggwydd si leccò le labbra sudicie, con gli occhi lucidi dal terrore.-Tiratemi fuori di
qui! Verrò con voi! Non combinerò altri guai, ve lo prometto!
-Ottima scelta-mormorò Questor.-Si allontani dalla porta.
Lo Gnomo Va' Via si acquattò in un angolo. Questor fece un gesto, una specie di
torsione con le mani, e la porta si spalancò.- Fuori!-intimò il mago.
Poggwydd strisciò fuori docile come un agnellino e mogio come un cane bastonato.Basta così!-ordinò Questor.-Non è successo niente! Si alzi!
Poggwydd si raddrizzò, col labbro tremante.-Non voglio più vedere quella ragazzina!
E neanche quel suo cucciolo di fango! Mai più!
Questor lo ignorò, già impegnato a disegnare un circolo sul pavimento di cemento
con il tacco dello stivale. Quando ebbe finito, vi fece entrare lo gnomo e Abernathy.
Stettero in piedi tutti e tre, uno accanto all'altro, nel caldo e nel silenzio mentre il
mago inspirava a fondo, chiudeva gli occhi e cominciava a concentrarsi.
-Spero che tu sappia cosa stai facendo-disse Abernathy con la massima calma,
incapace di trattenersi.
-Silenzio!-scattò il mago.
Dietro la porta, alle martellate si era sostituito il brusio di numerose voci. Rinforzi,
pensò desolato Abernathy. Poi qualcosa di pesante si abbatté sulla porta. Stavano
cercando di sfondarla! Cardini e infissi tremarono per la violenza dei colpi.
L'intonaco cricchiò e cominciò a sbriciolarsi. Chiunque fosse la fuori non avrebbe
tardato a entrare.
Questor prese a scandire le parole dell'incantesimo, lentamente, chiaramente, con
ponderatezza. Si era calato in se stesso per concentrarsi, e sembrava incurante dei
colpi e delle grida. Meglio così, pensò Abernathy. Niente di più facile, conoscendo il
mago, che potesse distrarsi e sbagliare l'incantesimo. E in quel caso, in cosa si
sarebbe trasformato? Un ravanello? Guardò Poggwydd. Lo Gnomo Va' Via teneva la
testa abbassata e gli occhi serrati. Le sue braccia erano strette spasmodicamente
attorno al corpo scarno. Be', non c'era da stupirsi, pensò Abernathy. Abbiamo tutti
paura.
Questor continuava a salmodiare, mentre il sudore gli imperlava la fronte. Abernathy
poteva vedere la tensione sul suo volto. Mi sto trasformando di nuovo, pensò. E ogni
momento di questo processo è una sofferenza. Abernathy provò un improvviso
bisogno di urlare, di impedire al mago di fare quello che stava facendo, di fargli fare
qualcos'altro. Ma represse quell'impulso: la decisione era presa, il suo destino
accettato. Si guardò ancora una volta, deciso a stamparsi bene nella memoria ogni
dettaglio della sua persona, non volendo ritrovarsi, dopo, a chiedersi il perché. Non
era poi tanto male essere un cane, davvero. Non tanto.
La luce si levò in alto tutt'attorno a loro, colmando il cerchio dal suolo al soffitto,
avvolgendoli in uno sfolgorante cilindro. La voce di Questor salì d'intensità, e le sue
parole schioccarono come lenzuola appese ad asciugare e sbattute dal vento.
Poggwydd mugolò. Abernathy pensò a Elizabeth. Era contento che non fosse lì a
vedere quello che stava succedendo. Era meglio che lo ricordasse come avrebbe
dovuto essere.
La luce divenne un'accecante radiosità. Abernathy si sentì liquefare. Non era una
sensazione inaspettata. L'aveva sperimentata già una volta, più di venti anni addietro.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare.
19
Veleno
Ben e Willow impiegarono quasi due giorni per giungere al Pozzo
Infido. Erano partiti all'alba del primo, accompagnati da Bunion e da una scorta di
ventiquattro Guardie del Re, e si erano diretti prima a nord e poi a est, lasciando la
regione collinare per rasentare i bordi delle Pianure. Da lì piegarono direttamente a
nord e seguirono la linea delle colline boscose verso il covo della strega. La calura
estiva non accennava a placarsi, e la sentivano umida e appiccicosa sulla pelle, che
scintillava sotto il sole rovente come un foglio di cellophane. Inutile attendersi molto
sollievo dalla brezza. C'era poca ombra. Il loro passo era lento ma costante, e
sostavano spesso per ritemprare se stessi e le bestie. Tutt'attorno, la campagna era
immota e arroventata.
Fecero il campo laddove scorrevano le acque dell'Anhalt, provenienti dalla regione
collinare dopo il lungo viaggio a valle dalle montagne occidentali. Si misero a sedere
su un basso promontorio sovrastante il fiume, che avevano attraversato prima del
tramonto, e stettero ad ammirare la luce calante che cangiava dal purpureo al rosato.
Verso est, aironi e gru volavano bassi sulle acque sonnolente, in cerca del pasto
serale.
-Saremo lì per domani a mezzogiorno-dichiarò Ben dopo un lungo silenzio, ansioso
di impegnare in qualche forma di conversazione una Willow insolitamente
silenziosa.-Allora sapremo.
La voce della silfide era un sospiro sommesso e rassegnato.-Io lo so già. La Strega
del Crepuscolo la tiene presso di sé. Lo sento. Ha voluto Mistaya dal primo istante, e
alla fine ha trovato un modo per impadronirsene.
Stava spalla a spalla con Ben, lo sguardo perso nell'incipiente oscurità, ma la distanza
tra loro due era inimmaginabile. Per tutto il giorno si era isolata, chiudendosi in se
stessa. Adesso era in un luogo dove nessuno poteva raggiungerla, a meno che lei non
volesse. Ben aveva atteso pazientemente che tirasse fuori tutto ciò che la tormentava,
sperando di non essere lui stesso la causa di quello stato d'animo.
Si schiarì la gola.-Probabilmente pensa a Mistaya come a una sua proprietà. Mistaya
sarebbe il riscatto del debito che lei crede le sia dovuto per quanto accadde nella
Scatola Magica.
Willow rimase in silenzio per un momento.-Se fosse stata solo una questione di debiti
o di una rivendicazione di proprietà, si sarebbe limitata a rapire Mistaya, e l'avrebbe
finita li. Avrebbe chiesto un riscatto per la sua restituzione o l'avrebbe uccisa, con
l'intento di farci del male. Invece, ha ideato questa complicata manovra, mettendo in
campo Rydall di Marnhull e i suoi mostri. Mistaya rappresenta la posta in palio per
questo gioco, ma anche qualcosa di più. Io credo che la strega abbia altri progetti per
lei.
Ben la guardò.-Quali progetti?
Lei scosse la testa.-Non lo so. Forse c'entra in qualche modo la magia di Mistaya. E'
nata nel Pozzo Infido, e questo forse è un aspetto che le accomuna. O forse c'è di
mezzo qualcosa di più oscuro. Forse ha intenzione di plasmare la mente di Mistaya
per sintonizzarla con la sua.
-No, Mistaya non permetterebbe mai che questo avvenisse.- Ben fu percorso da un
senso di gelo che arrivò fino alla punta de i piedi.-E' troppo forte.
-Nessuno è più forte della Strega del Crepuscolo. La sua forza si nutre dell'odio.
Ben ammutolì, invaso da un'ondata di orrore al pensiero che Mistaya potesse
diventare come la strega. Il buon senso gli suggeriva che questo non sarebbe mai
potuto accadere. Le sue emozioni gli dicevano il contrario. Razionalità e istinto
ingaggiarono una lotta dentro di lui, mentre osservava le ombre allungarsi sulla
campagna, offuscare il fiume e le colline.
-Lei arriverebbe a tanto, pur di ferirci, vero?-disse alla fine.
-Lo farebbe.-Trasse un respiro profondo.-Ma questo cosa c'entra con l'enigma di
Rydall?
-Rydall le dà il tempo di occuparsi di Mistaya. Rydall ci tiene impegnati, ci tiene a
distanza e in costante smarrimento. Così non ci rendiamo conto della realtà, finché
non è troppo tardi.
I suoi occhi erano spenti e smarriti quando Ben li fissò.-E' tutto il giorno che stai
pensando a questo, vero?-le chiese con calma.- E' per questo che sei così lontana da
me.
Lei lo guardò. Il suo sorriso era evanescente.-No, Ben. Mi sono preparata per domani.
Ci sono forti possibilità che possa perdere Mistaya. Oppure te. O addirittura entrambi.
Non è facile rassegnarsi a questa eventualità, ma essa è ben presente, comunque.
-Non perderai nessuno di noi-promise Ben, circondandola con un braccio, attirandola
a sé, conscio, nel momento stesso che lo faceva, di aver promesso qualcosa che forse
non avrebbe potuto mantenere.
Dormirono poco e male, irrequieti per il pensiero di quello che li attendeva, dei
pericoli che avrebbero potuto incontrare. Si levarono all'alba, fecero una rapida
colazione ed erano già in viaggio prima che il sole si fosse completamente staccato
dall'orizzonte montuoso a oriente. La nuova giornata era altrettanto afosa e
soffocante, ed essi la trascorsero come marinai su una nave in mezzo alla bonaccia.
Bunion andava in avanscoperta, tenendo gli occhi ben aperti per individuare eventuali
mostri di Rydall. Ne rimanevano altri due d'affrontare, e la Strega del Crepuscolo
poteva decidere di sguinzagliarli proprio li. Se era vero che la strega vestiva i panni di
Rydall. Qualche dubbio rimaneva nella mente di Ben, anche se Willow ne aveva la
certezza. Ma ormai dubitava di tutto.
Davanti a loro, la campagna si stendeva in un alternarsi di spiazzi irti di stoppie
bruciate e di verdi chiazze boscose, con la calura che rendeva incerta la linea di
separazione tra la pianura e le colline pedemontane. Ben tese l'orecchio al rumore del
cuoio e degli zoccoli mentre i cavalli procedevano con decisione. Cosa avrebbe fatto
quando avessero raggiunto il Pozzo Infido? Doveva scendere nella conca? Doveva
evocare il Paladino? Come avrebbe affrontato la strega? Come avrebbe fatto a
scoprire la verità su Mistaya?
Diede un'occhiata a Willow, che cavalcava silenziosa al suo fianco. Quello che lesse
sul suo volto lo persuase che era necessario trovare le risposte al più presto.
La Strega del Crepuscolo seppe del loro arrivo molto prima che fossero in vista.
L'aveva saputo quasi dal momento stesso che avevano lasciato Sterling Silver, e
aveva sorvegliato attentamente lo svolgimento del viaggio. Lo scontro che aveva
previsto dall'inizio sembrava ormai destinato ad aver luogo. In qualche modo Holiday
aveva intuito la verità. Non sapeva come avesse fatto, ma di sicuro era così. Stava
venendo al Pozzo Infido, e l'avrebbe fatto soltanto se avesse saputo la verità.
L'apparente inevitabilità delle cose non le era sfuggita. L'Ardsheal aveva fallito,
proprio come avevano fallito tutte le altre creature che aveva mandato. Secondo
l'accordo di Rydall le restavano altri due mostri da mandare, ma mancava ormai il
tempo di continuare in quel gioco, e a questo punto le rimaneva un'unica possibilità.
Si era divertita a giocare con Holiday, a vederlo in difficoltà, a guardarlo soffrire nel
combattere contro i mostri, uno dopo l'altro, sforzandosi di rimanere vivo abbastanza
a lungo per salvare la sua adorata figliola. Si era divertita a distruggerlo un po' alla
volta, lasciandolo svuotato, fisicamente ed emotivamente, per mezzo di forze che lui
non poteva neanche lontanamente immaginare. Come poteva sapere che era la stessa
magia di Mistaya a lavorare contro di lui? Come poteva immaginare i danni che essa
gli avrebbe arrecato? Era stato divertente, ma la soddisfazione più grossa di tutte
doveva ancora venire.
Soltanto questo pensiero riusciva a tenere a freno la sua rabbia e la sua frustrazione
poiché, per quanto non volesse ammetterlo, neanche con se stessa, era delusa che
Holiday fosse ancora vivo. Il suo spreco di tempo e di energie, di magia e di potere,
non poteva essere cancellato con un colpo di spugna, anche se rientrava tutto nelle
previsioni. La Strega del Crepuscolo odiava perdere, non sopportava che le venisse
negato alcunché, anche quando, a mente fredda, doveva ammettere che le cose non
sarebbero potute andare che così. Voleva Holiday morto, e ogni ritardo nel
conseguimento di quel risultato, a prescindere dalle motivazioni, era per lei un
intollerabile smacco.
Tuttavia, aveva fatto il suo piano, e pensava che fosse infallibile. Mistaya era ancora
sua, un suo inconsapevole strumento, e sarebbe stata utilizzata a puntino prima che
questa faccenda fosse finita. Era meglio, forse, che il momento giungesse, prima che
passasse altro tempo. Mistaya diventava sempre più difficile da gestire, sempre più
riluttante a impegnarsi nelle applicazioni magiche impartite dalla strega, sospettosa
del ruolo che era chiamata a svolgere. Era già irritante che si fosse rifiutata di
collaborare alla creazione di un nuovo mostro dopo che il robot aveva fallito. Era
intollerabile che si fosse presa la libertà di lasciare la conca del Pozzo Infido. Tuttavia
la Strega del Crepuscolo aveva insistito. Aveva escogitato ancora un sistema per
usare Mistaya, unendo la magia della ragazza alla propria per riportare in vita
l'Ardsheal così da poterlo aizzare contro Holiday ma c'erano volute notevole astuzia e
doti di simulazione da parte della strega per nascondere il vero scopo delle sue
macchinazioni. Sarebbe stato difficile ingannare ulteriormente Mistaya.
E tuttavia l'avrebbe fatto, si ripromise la Strega del Crepuscolo. Un'ultima volta.
Aveva lasciato che Mistaya si sbizzarrisse a volontà con la sua magia, il primo giorno
del viaggio di Holiday verso il Pozzo Infido. Aveva lasciato che mettesse in pratica
quello che voleva, incoraggiandola, elogiandola, mettendola a suo agio. Rimaneva
solo un giorno, disse alla ragazza. Uno, e poi sarebbe andata a casa. La strega si
aggirava nella conca come un leone in gabbia, quasi incapace di concentrarsi su
qualcos'altro che non fosse l'imminente epilogo del piano che aveva concepito due
anni prima e accarezzato per tutto quel tempo. Vagava senza meta nelle nebbie,
vivendo e rivivendo quel momento nella sua mente, immaginandone lo svolgimento,
assaporando già le dolci sensazioni che le avrebbe procurato. Holiday morto. Holiday
distrutto, finalmente. Era divenuta per lei l'unica ragione di vita, il solo scopo per cui
accettava di esistere. La fine di Holiday era diventata per lei indispensabile quanto
l'aria che respirava.
Quando calò la notte assunse la forma di un corvo e volò fino al luogo dove il Refantoccio dormiva in compagnia della silfide e delle sue guardie. Gli avrebbe
volentieri artigliato la faccia per cavargli gli occhi dalle orbite, se avesse potuto farlo,
tanto era il suo odio. Ma non era così stupida da correre dei rischi dopo aver preso
tante precauzioni. Non si sarebbe defraudata, essa stessa, della soddisfazione di
assistere all'epilogo che aveva tenuto in serbo per lui. Si assicurò che fosse ancora a
una certa distanza dal Pozzo Infido, per avere il tempo necessario ai preparativi, e
volò di nuovo nella tana ad aspettare.
Il mattino seguente attese che Mistaya avesse fatto colazione prima di rivolgersi a lei.
Oscuramente melliflua e vagamente minacciosa, si avvicinò alla ragazza con un
sorriso, sfiorandole lievemente la guancia con la mano bianca e affusolata.
-Tuo padre viene a prenderti oggi-la informò con la sua voce più suadente.
Mistaya alzò lo sguardo, speranzosa.
-Dovrebbe essere qui per mezzogiorno. Sei ansiosa di vederlo?
-Si-rispose la ragazza, e la palese aspettativa nel tono della sua voce fece digrignare i
denti alla strega.
-Ti riporterà a Sterling Silver, a casa tua. Ma tu non mi dimenticherai, vero?
-No-rispose la ragazza, sottovoce.
- Abbiamo imparato un sacco di cose, insieme, tu e io.-La Strega del Crepuscolo
guardò lontano, tra gli alberi. Mistaya si era allontanata da lei, da quando era tornata
nel Pozzo Infido. Aveva preso le distanze, come soltanto i bambini sanno fare, quasi
insofferente, prendendo tempo. Era una considerazione amara, per la strega. Si era
aspettata qualcosa di più.-Ci sono ancora molti segreti da imparare, Mistaya-le disse,
cercando di recuperare una parte di quello che aveva perduto.-Un giorno te li
insegnerò, se vorrai. Ti mostrerò tutto. Non hai che da chiedere.-Tornò a guardare
Mistaya, con occhi limpidi.-Questa può essere anche casa tua. Un giorno potresti
desiderare di venire a vivere qui con me. Tu puoi decidere che questo è il posto cui
appartieni. Noi siamo simili sotto molti aspetti. Devi saperlo. Siamo differenti sotto
altri. Io e te siamo streghe, e saremo sempre le migliori amiche una dell'altra.
Era quasi sincera nel dirlo. C'era abbastanza verità dietro quelle parole. Ma il destino
aveva decretato, molto tempo prima, che questo non sarebbe mai potuto accadere. Il
suo odio per Holiday, una, presenza così ossessiva, così mostruosa e violenta, l'aveva
reso impossibile.
Gli occhi di Mistaya si abbassarono, incerti.-Tornerò a trovarti. Quando non ci sarà
più pericolo.
Il sorriso della strega era freddo e inespressivo.-Questo potrebbe verificarsi prima di
quanto credi. Ho convinto Rydall a ritirarsi dalla sfida con tuo padre. Sarà qui anche
lui, quando tuo padre arriverà. Una volta che se ne sarà andato da Landover, non ci
sarà più bisogno di barriere fra di noi. Sono sicura che tuo padre e tua madre saranno
d'accordo.
Mistaya corrugò la fronte.-Rydall si ritirerà? Per sempre? Ha rinunciato
definitivamente?
-L'ho persuaso che è la cosa migliore per tutti i contendenti.- Gli occhi della Strega
del Crepuscolo si strinsero.-La magia può risolvere tutto. Questo è quanto ho tentato
d'insegnarti.
Mistaya si guardò i vestiti e se li strofinò mentre parlava.-Ho imparato tantissimo da
te-sussurrò.
-Sei stata una brava allieva-la lodò la strega.-Hai molto talento. Non dimenticare che
sono stata io la prima a dirtelo, che sono stata io a rivelarti quello che nessun altro ti
avrebbe rivelato, che ti ho aiutato a scoprire chi sei veramente. Nessun altro avrebbe
fatto tutto questo per te. Soltanto io.
Ci fu un momento d'imbarazzato silenzio. La Strega del Crepuscolo percepì un
cambiamento nell'equilibrio delle cose.-Ho qualcosa per te-disse alla ragazza.
Mistaya sollevò gli occhi. La Strega del Crepuscolo infilò una mano fra le vesti e tirò
fuori una catenella d'argento con un pendente. Quest'ultimo era scolpito a forma di
rosa, con i petali minuziosamente disegnati, lo stelo e le spine finemente lavorate nel
metallo. Prese la catena con il pendente e la mise attorno al collo di Mistaya.
-Ecco-disse, facendo un passo indietro.-Un dono per ricordarti di me. Finché la
porterai, non dimenticherai mai il tempo che abbiamo trascorso assieme.
Mistaya sollevò il pendente dal petto e lo tenne delicatamente fra le dita. C'era
sorpresa e gratitudine nei suoi occhi verdi. Il suo viso di bambina era raggiante.-E'
bellissima, Strega del Crepuscolo. Grazie. La porterò sempre, te lo prometto.
Qualche ora sarà sufficiente, si disse la strega, badando bene di tenersi il sorriso tutto
per sé. Sufficiente per accogliere il tuo affezionato padre e per abbracciarlo un'ultima
volta. Sufficiente perché la magia nascosta nel pendente faccia in modo che le spine
della rosa pungano la pelle del Re-fantoccio e iniettino il loro mortale veleno nel suo
corpo. Dopo, potrai fare quello che vuoi del mio regalo. Dopo che avrà assolto il suo
compito.
Dopo che tu avrai assolto il tuo.
Questor Thews emerse dalla luce del suo incantesimo in un'ondata di torpore che lo
fece quasi cadere. Barcollò per un attimo mentre la luminosità svaniva, tentando di
rimettersi in equilibrio. Poi, trovando che i suoi piedi erano di nuovo su un terreno
solido, si raddrizzò, strizzò gli occhi per scacciare le ultime tracce del suo malessere,
e fece un rapido inventario di ciò che lo circondava. Con suo sollievo scoprì che era
di nuovo a Landover. Un grappolo di pallide lune costellava il cielo di mezzogiorno,
visibile attraverso il fitto schermo dei rami degli alberi. Tralci di Bonnie Blu
facevano capolino tra cespugli e tronchi coperti di muschio. Odori familiari gli
giunsero alle narici. Erano tutti segni inequivocabili. Ma benché si trovasse a
Landover, non era più nella regione dei laghi. Il paesaggio era completamente
diverso. Era da qualche altra parte, molto più a nord...
-Per tutti i diavoli, adesso ne ho proprio abbastanza!-sbottò un irato Poggwydd,
afferrando con forza una manica della casacca di Queston. Il mago fece un salto
all'inaspettato tocco.-Io non so cos'ha fatto per riportarci quaggiù, ma credo che la
prossima volta ci verrò a piedi! La prossima volta, ho detto? Mi morderei la lingua!
La prossima volta? Che mi venga un colpo se ci sarà una prossima volta! Ah! Non
credo proprio! Non per me!
Accartocciando la faccia come se tentasse di cancellarne totalmente i lineamenti,
lasciò andare Questor e fece un fulmineo dietrofront.-Buona giornata a lei, signore!
Buon giorno, buon giorno! -Ma si fermò di botto.-Povero me, che qualcuno abbia
pietà di noi; ma che cosa gli è capitato?
Stava guardando Abernathy. Lo Scrivano di Landover era a terra accanto a un
venerando noce, e si stava osservando. Era di nuovo un cane, un terrier dal pelo
morbido, arruffato e scomposto sotto i vestiti, con ciuffi di pelo che spuntavano
dappertutto, le orecchie ritte, gli occhiali grottescamente appollaiati sul lungo naso. I
suoi limpidi occhi bruni sembravano allo stesso tempo sorpresi e tristi mentre si
studiava le dita umane, tutto ciò che rimaneva del suo vecchio corpo. Poi si scrollò,
alzò gli occhi a guardare Poggwydd, e sospirò.
-Qual è il problema, Poggwydd? Non ha mai visto un cane che parla?
La faccia rugosa e irsuta di Poggwydd si esibì in un campionario di bizzarre
contorsioni mentre lui soffiava e sputacchiava nel tentativo di parlare.-Be', io... Be',
naturalmente io... Mmm! Be', di certo non era un cane, prima!
Abernathy si rizzò faticosamente sulle gambe e si spolverò.-Cosa intende con
"prima"?
-Pochissimo tempo fa! Giusto prima che fossimo inghiottiti dalla magia del mago!
Lei era un uomo, dannazione!
Il sorriso di Abernathy era patetico, anche per un cane.-Quello era solo un
travestimento. Io in realtà sono così, come sono adesso. Non se n'è accorto?-Sospirò
di nuovo, e i suoi occhi si fermarono su Questor.-Be', avevi ragione, Questor Thews.
Congratulazioni.
Questor rispose con un affrettato cenno della testa.-Sì, a quanto pare non mi ero
sbagliato, grazie. Devo dire, ancora una volta, che avrei voluto che potesse essere
altrimenti.
-Tutti noi desideriamo che le cose possano essere diverse, ma questo è il mondo
reale, non è così? O perlomeno è reale per quanto ci riguarda.-Abernathy si guardò
attorno disorientato.-A ogni modo, dove ci troviamo?
-Stavo giusto per chiederlo al nostro amico-rispose il mago, rivolgendosi a
Poggwydd.
Lo Gnomo Va' Via sembrò sorpreso dalla domanda. Gettò una rapida occhiata a
destra e a sinistra, come per avere una conferma ai suoi sospetti, poi si schiarì
solennemente la gola.-Siamo esattamente nel luogo dal quale siamo partiti, ecco dove
siamo. Be', per meglio dire, da dove sono partito io. Qui è dove mi ha trovato quella
ragazzina, mentre mi facevo gli affari miei, senz'arrecare a chicchessia il benché
minimo...-S'interruppe di colpo quando vide gli occhi di Questor cominciare a
incupirsi.-Ehm! Ciò che v'interessa sapere, suppongo, è che ci troviamo a circa un
miglio dal Pozzo Infido.
-Non capisco-buttò lì Abernathy, avvicinandosi agli altri due.-Cosa ci facciamo qui?
Perché non siamo tornati nella regione dei laghi?
Questor Thews si sfregava furiosamente il mento, e si torceva i baffi a coda di topo
mentre si spremeva le meningi.-Siamo qui, vecchio mio, perché Mistaya è qui: laggiù
nel Pozzo Infido, con la strega. E' qui che Poggwydd l'ha vista l'ultima volta. La
Strega del Crepuscolo l'ha ricondotta nel Pozzo Infido, e non c'è motivo per credere
che non ci sia tuttora. Siamo stati guidati qui per salvarla, a mio avviso.
-Non ci capisco un accidente!-dichiarò bruscamente lo Gnomo.-Ma va bene così, va
proprio bene, perché io non voglio capirci un accidente! Voglio soltanto andarmene
per la mia strada. Quindi, arrivederci a tutti e buona fortuna!
Ancora una volta fece per andarsene, questa volta diretto a est, lontano dal covo della
strega.
-Non è curioso di sapere cosa succederà con la Strega del Crepuscolo?-gli chiese ad
alta voce Questor Thews.
-Non voglio saperne più niente di niente!-Lo Gnomo non rallentò la sua andatura.-Ne
so già molto più del necessario! Molto, molto di più!-Tirò calci al terreno, furioso,
sollevando una nuvola di polvere.-Fatemi una cortesia, per favore. Se trovate quella
ragazzina, porgetele i miei ossequi e ditele che non voglio vederla mai più. Niente di
personale, beninteso, ma le cose stanno così.- La sua voce si alzò pericolosamente.Spero che sia la figlia del Re! Spero che diventi Regina! Spero che quando deciderà
di farsi un'altra passeggiata, se ne vada da qualche altra parte! Buona giornata!
S'inoltrò fra gli alberi e scomparve, una figura curva e cenciosa che lasciava nella sua
scia uno sbruffo di gesti rudi e di indecifrabili mugolii.
Questor se ne dimenticò immediatamente e si rivolse ad Abernathy, con sguardo
intenso.-Tu sai cosa dobbiamo fare, vero?
Abernathy lo guardò come avrebbe fatto con un bambinetto.- Lo so perfettamente.
Probabilmente meglio di te.
-Allora faremo meglio a muoverci. Ho un brutto presentimento.
Ed era effettivamente così. Era difficile descriverlo, ma impossibile sottovalutarlo.
Quella sensazione non l'aveva mai lasciato nel vecchio mondo dell'Alto Signore: un
impulso irrefrenabile a fare in fretta, a tornare a Landover il più presto possibile in
modo da prevenire qualunque cosa la Strega del Crepuscolo avesse in mente di fare.
Adesso quella sensazione era ancora più forte, una crescente certezza che la trappola
attorno a Holiday e alla sua famiglia si stava chiudendo e che soltanto loro potevano
evitarlo. Forse era un po' da presuntuosi assumersi una responsabilità così gravosa, e
anche un po' teatrale, ma Questor Thews aveva bisogno di credere che c'era una
ragione per il sacrificio di Abernathy, che c'era una causa più gloriosa da servire. La
sua magia era costata ad Abernathy la sua identità umana, ma li aveva restituiti a
Landover, depositandoli nel luogo dove Mistaya era stata vista per l'ultima volta, e
dov'era probabilmente tuttora prigioniera: questo doveva pur significare qualcosa. La
Strega del Crepuscolo aveva detto loro che Rydall era una sua creatura, che lei aveva
messo in moto una macchina che avrebbe schiacciato Holiday, e che Mistaya sarebbe
stata lo strumento della sua distruzione. In qualche modo la strega si stava servendo
della ragazza per mettere le mani sull'Alto Signore. Se loro l'avessero potuta
raggiungere in tempo, forse il loro intervento poteva ancora essere decisivo.
Si misero rapidamente in marcia tra le ombre, nella calura del mezzogiorno, per
correre in soccorso della ragazza. Sciami di moscerini li assediavano, attirati dal loro
sudore, stuzzicati dal loro passaggio. Questor cercava di scacciarli, immerso nei suoi
foschi pensieri. Un cavallo sarebbe stata una benedizione, in quel momento, ma
d'altra parte Abernathy non voleva avere niente a che fare con gli equini, così
proseguire a piedi sembrava comunque la soluzione migliore. Attraversarono un
ruscello e poi una radura costellata di fiori selvatici gialli e cremisi. Fringuelli
sfrecciavano via dal nido e si tuffavano nel blu. Abernathy aveva il fiatone, ma
Questor non rallentò il passo. Lui stesso era in difficoltà. Fece forza sulle vecchie
ossa, ignorando i dolori alle giunture. S'impose di camminare ancora più in fretta. Si
tirò su la veste e si gettò giù per i pendii, imboccò sentieri nell'erba alta, scavalcò
cespugli di spine.
-Questor Thews, aspetta!-sentì Abernathy ansimare, perché ormai lo scrivano si
trascinava costantemente alle sue spalle.
Il mago non lo ascoltò neanche per un attimo.
Davanti a loro, la nebbia e il grigiore del Pozzo Infido erano già in vista.
20
Il cuore di Holiday
Mistaya stava seduta con la Strega del Crepuscolo su un'altura erbosa presso i
margini meridionali del Pozzo Infido, quando si profilarono all'orizzonte suo padre e
sua madre a cavallo. Li precedeva Bunion, spuntato dall'afa di mezzogiorno come un
ragno uscito dal buco e acquattato sul terreno bruciato dal sole. Le Guardie del Re li
proteggevano sui fianchi e alla retroguardia, armate di lance e di spade, tutto un
luccichio di metallo nel sole accecante. Il gruppo rallentò quando la vide, e tutti
tirarono le redini per fermare i cavalli. Mistaya poteva vedere la tensione scolpita sul
volto di suo padre, poteva vedere il movimento dei suoi occhi che spaziavano
sull'aperta distesa della prateria che lo separava da sua figlia, per poi fermarsi su
Rydall.
Il Re di Marnhull stava in sella al suo nero destriero a poca distanza da lei, sulla
destra, nascosto dalla sua nera armatura e dal mantello, con la visiera calata,
immobile sotto l'ombra di un frondoso castagno. Era già lì ad aspettare quando la
strega e Mistaya erano salite sul ciglio della conca. Non aveva mostrato, in alcun
modo, di averle viste. Non aveva fatto una mossa, né detto una parola, per tutto il
tempo. Non faceva niente neanche adesso. Era immobile come una statua, rivolto
nella direzione dalla quale stava giungendo il Re di Landover.
La Strega del Crepuscolo si alzò, e Mistaya si alzò con lei. Gli occhi di Ben Holiday
corsero immediatamente a sua figlia. Mistaya voleva correre da lui, chiamarlo ad alta
voce, fare o dire qualcosa, qualsiasi cosa. Ma la strega gliel'aveva proibito. Fai
parlare me, prima, l'aveva avvertita. Le trattative fra Rydall e tuo padre sono a uno
stadio molto delicato. Dobbiamo stare attente a non comprometterle in nessun modo.
Mistaya aveva capito. Non voleva fare niente che potesse mettere in pericolo suo
padre. Voleva solo andare a casa. Ci aveva pensato sempre, da quando era tornata nel
Pozzo Infido dopo il suo incontro con Poggwydd. Da quel momento la sua ansia era
cresciuta costantemente, e adesso era eccitata, ma anche un po' timorosa alla
prospettiva di rivedere i suoi genitori dopo tante settimane. Un impeto di emozione le
invase il petto, le formò un groppo alla gola e le riempì gli occhi di lacrime. Non si
era resa conto di quanto le fossero mancati, pensò. Non aveva realizzato quanto forte
fosse il suo desiderio di tornare a casa.
-Alto Signore!-gridò improvvisamente la Strega del Crepuscolo.-Sua figlia è qui con
me, sana e salva. E' pronta a tornare a casa. Io ho strappato a Re Rydall la sua
promessa che così sarà. Lui ha acconsentito a ritirarsi da Landover. Non ci saranno
più minacce, né altri attacchi. Lei deve solo impegnarsi a non pretendere da lui alcun
risarcimento per quanto è accaduto.
Mistaya aspettava con ansia. Ci fu un lungo silenzio, come se suo padre non sapesse
cosa rispondere, come se quello che sentiva fosse totalmente inaspettato. Lo vide
guardare sua madre, e sua madre rispondergli sommessamente. Bunion si muoveva
irrequieto fra l'uno e l'altra, coi denti luccicanti e gli occhi fissi sulla strega.
-Che ne è stato di Questor Thews e Abernathy?-urlò di rimando Ben Holiday.
-Vi saranno restituiti anche loro!-rispose la Strega del Crepuscolo.
Abernathy e Questor? Mistaya guardò interrogativamente la strega. Di cosa stavano
parlando? Era successo qualcosa al mago e allo scrivano? Non erano tornati sani e
salvi a Sterling Silver? Non era così che le aveva detto la strega?
La Strega del Crepuscolo le rivolse un sorriso, con la faccia distante coperta dal
cappuccio della sua veste nera. Non preoccuparti, diceva il sorriso. Lasciami fare.
-Non chiederò alcun risarcimento se tutti stanno bene-sentì suo padre acconsentire,
ma non le sfuggì il tono preoccupato della sua voce. Tornò con lo sguardo sullo
spazio che li separava, una distesa erbosa brulla e riarsa, che fronteggiava la scura
depressione del Pozzo Infido. Suo padre sembrava lontanissimo.
La Strega del Crepuscolo le posò una mano bianca e sottile sulla spalla.-Devi andare
da tuo padre, adesso, Mistaya-la esortò.- Quando te lo dirò, gli andrai incontro. Non
deviare per nessuna ragione dalla tua strada. Va' direttamente da lui. Hai capito?
Mistaya annuì. Fu improvvisamente conscia che stava accadendo qualcosa, qualcosa
che non sapeva definire, qualcosa di nascosto e probabilmente di pericoloso. Lo
avvertiva nelle parole della strega, proprio come percepìva tante altre cose che la
riguardavano. Esitò, chiedendosi cosa fare. Ma non c'era niente che potesse fare, lo
sapeva. Nient'altro che acconsentire. Annuì in silenzio.
-Alto Signore!-gridò ancora una volta la Strega del Crepuscolo.-Sua figlia sta
venendo da lei! Smonti e le vada incontro a piedi! Venga solo! E' questa la
condizione che io pongo!
Di nuovo Mistaya poté vedere l'esitazione di suo padre, il suo ripensamento. Questa
cosa non gli sembrava sicura, era evidente. C'era qualcosa che lo sconcertava,
qualcosa che sembrava non tornargli. Pensò che forse avrebbe dovuto dirgli qualcosa
per tentare di rassicurarlo, poi si rese conto che lei stessa non era tranquilla su come
stavano andando le cose, era preoccupata quanto lui. I suoi occhi verdi andarono alla
ricerca di Rydall. Il Re di Marnhull non si era mosso. Mistaya guardò in fretta la
Strega del Crepuscolo. Anch'essa era immobile, e senza espressione.
Suo padre smontò lentamente da cavallo e cominciò ad avanzare. Bunion accennò a
seguirlo, ma lui bloccò il coboldo con un cenno della mano.
-Vai adesso!-le sussurrò rapidamente all'orecchio la Strega del Crepuscolo.Abbraccialo forte, anche da parte mia!
Mistaya si mosse riluttante, ancora immersa nelle proprie riflessioni, ancora a
chiedersi confusamente cos'era che non andava. Avanzò nell'erba secca a piccoli
passi, guardando suo padre che continuava a procedere, che si avvicinava sempre più.
Si voltò a guardare la Strega del Crepuscolo, ma lei non rispose al suo sguardo e
rimase immobile, una silhouette alta e scura contro la caliginosa foschia della conca.
Mistaya si ravviò i capelli sulla faccia, e fece correre gli occhi verdi a destra e a
sinistra. Suo padre veniva avanti, deciso, ma guardingo. La ragazza vide un sorriso
preoccupato e incerto formarsi sulle sue labbra. Poteva vedergli chiaramente gli
occhi. In essi leggeva il suo sollievo, come se lei fosse stata perduta e suo padre non
si aspettasse di poterla rivedere. Mille domande le si affollarono nella mente. Perché
la guardava in quel modo?
Improvvisamente voleva fare quello che la Strega del Crepuscolo le aveva detto.
Voleva stringere suo padre più forte che poteva, tenerlo stretto, sentire il contatto
rassicurante del corpo di lui contro il suo. Voleva che lui la prendesse in braccio,
offrendole riparo e protezione. Sentiva il bisogno di dirgli quanto le fosse mancato.
Aveva bisogno di sentirsi dire che lui le voleva bene quanto prima.
La giornata era calda e silenziosa, e la brezza che le sfiorava la faccia era secca come
ali di mosca. Padre, sussurrò con un filo di voce, e si gettò in avanti.
In quel momento un urlo improvviso, disperato si levò dal silenzio.-Alto Signore!
Mistaya! Fermatevi!
Questor Thews sbucò dagli alberi alla sua sinistra, uscendo faticosamente dalle
ombre per trovarsi in pieno sole. Trafelato e scarmigliato, con le vesti tutte lacere, le
sgargianti fusciacche mezze sciolte e le cuciture quasi tutte sdrucite, correva verso di
loro agitando le braccia, con i capelli e la barba canuta che svolazzavano al vento, e
gli occhi selvaggi e spaventati come quelli di un animale inseguito dai cacciatori.
Mistaya e suo padre si girarono bruscamente, sorpresi, a guardare quella figura
cenciosa che veniva arrancando verso di loro. Dagli alberi alle sue spalle, a una
quarantina di metri da lui, fece la sua comparsa Abernathy, che sbuffava e ansava e
tentava inutilmente di stargli dietro.
Poi Mistaya sentì l'urlo furioso della Strega del Crepuscolo. La strega si era
accucciata, come un gatto pronto a saltare, a braccia tese come per tener lontano
qualcosa di terrificante. I suoi occhi, rossi come il sangue, catturarono quelli di
Mistaya.-Vai da tuo padre!-strillò, in un accesso di collera.
Mistaya si mosse in avanti, ubbidiente, quasi contro la sua volontà. Ma Questor
Thews continuava ad avanzare, correndo testardamente nel caldo e nella polvere, con
braccia e gambe che si muovevano forsennate. Di nuovo Mistaya si fermò,
paralizzata.
-Mistaya, non farlo!-gridò Questor Thews.-E' una trappola!
Di colpo tutti quanti cercarono di raggiungerla: sua madre scattando in avanti in sella
al suo cavallo, con le Guardie del Re alle calcagna e Bunion che correva davanti a
tutti, la Strega del Crepuscolo che aveva sollevato le braccia allargando i suoi neri
paludamenti come un grosso uccello da preda, Rydall che cercava di riprendere il
controllo del suo cavallo nero imbizzarrito che rinculava, Abernathy che ruzzolava
come una palla nell'erba secca, dopo aver perso completamente il controllo delle
gambe, e suo padre che si produsse in uno scatto imperioso.
Ma fu Questor Thews a raggiungerla per primo, slittando pericolosamente sull'ultimo
pezzo di terreno che li separava e prendendola a volo come fosse stata una bambola
di pezza, per poi stringerla contro il petto.
-Mistaya!-sussurrò, sollevato.
Poi una diabolica luce verde esplose tra di loro, schizzando fuori dal pendente come
una pioggia di schegge di vetro. Questor Thews grugnì dal dolore, e il sangue sgorgò
dal suo viso. La sua presa su Mistaya s'indebolì, e cadde in ginocchio, senza quasi la
forza di aggrapparsi a lei.
-Questor!-strillò Mistaya, terrorizzata.
Si ritrasse quando si rese conto da dove fosse venuta quella luce, e si guardò subito il
collo. Le spine che erano sullo stelo spuntavano dal petto del vecchio come chiodi, e
il sangue che sgorgava dalle ferite inzuppava i vestiti laceri. Questor tremava, e le sue
dita si erano rattrappite stringendosi come artigli. Boccheggiava. Mistaya estrasse le
spine dal suo corpo, strappò il pendente e lo gettò via. Gli occhi di Questor si
fissarono su di lei senza vederla, e poi il vecchio si afflosciò al suolo e rimase
immobile.
-Questor!-singhiozzò Mistaya.-Questor, alzati! Ti prego!
Questor Thews non si mosse. Aveva smesso di respirare.
Mistaya balzò in piedi, singhiozzando di rabbia e disperazione.- Strega del
Crepuscolo!-urlò.-Fa' qualcosa.
Suo padre le si accostò e fece per toccarla, ma lei lo spinse via. Corse fino al punto
dove si trovava il pendente, lo guardò, poi strinse gli occhi e li puntò oltre la pianura
bruciata dal sole.-Strega del Crepuscolo!
La strega rimase ritta dov'era, impietrita, con il volto liscio e pallido privo di ogni
espressione, ma con gli occhi colmi di una furia terribile. Le sue braccia si mossero
veloci verso il basso, a liberarsi della magia che avevano raccolto.
-Sei stata tu a darmi quel pendente!-urlò Mistaya.-E' colpa tua se è accaduto questo!
La strega tracciò un gesto con la mano nell'aria davanti a sé.- Non sono responsabile
di questo! Questor Thews non avrebbe dovuto interferire! E' stato uno stupido!
-Io avevo fiducia in te!-strillò Mistaya.
Ormai era li anche sua madre, che smontò in tutta fretta mentre le Guardie del Re
arrestavano i cavalli alle sue spalle, con le armi sguainate, e Bunion sibilava
minaccioso all'indirizzo della strega.- Mistaya, guardami-ordinò Willow.
Ma Mistaya l'allontanò con un gesto della mano, prese il pendente dalla catenella, e
lo mostrò alla Strega del Crepuscolo in tono accusatorio.-Questo era per mio padre,
non è vero? L'avevi destinato a lui!
-Io non avevo...
-Basta con le menzogne!
-Sì!-urlò la strega.-Si, l'avevo preparato per lui! Il veleno doveva prendere la sua vita,
non quella di quel vecchio stupido!
Mistaya tremava di collera. Il suo corpicino era teso come una lancia, tutto dritto e
pronto a scattare. Le sue mani erano strette a pugno, e il suo volto rigato di lacrime.Ti odio!-urlò.
Gettò via il pendente. Le sue piccole mani si levarono, e da esse scaturì una sfera di
fuoco, che andò a distruggere l'oggetto che giaceva al suolo, riducendo il metallo in
polvere. Ben e Willow, loro malgrado, si ritrassero, sbalorditi dal potere che Mistaya
possedeva.
Finalmente giunse anche Abernathy, boccheggiante, con il fiatone e la lingua a
penzoloni. Si chinò subito su Questor Thews, e poggiò il suo orecchio di cane sul
petto del vecchio.-Il cuore non batte più!-sussurrò.
Mistaya non diede segno di aver sentito. Adesso avanzava decisa verso la Strega del
Crepuscolo, tutta determinazione e ferrea volontà.-Tu lo devi aiutare, altrimenti...sibilò.-Mi hai sentito, Strega del Crepuscolo?
La strega indietreggiò di un passo, e poi si raddrizzò.-Non credere di potermi
minacciare, piccola stupida! Io sono ancora la tua signora e padrona!
-Tu non sei altro che una bugiarda e un'ingannatrice, e lo sei sempre stata!-l'apostrofò
la ragazzina.-Tu mi hai ingannata!
Mi hai usata! Cos'altro mi hai fatto fare? Che ne e stato di quei mostri che ti ho
aiutato a creare, Strega del Crepuscolo? Il gigante di terra e l'uomo di metallo e tutti
gli altri? A quale scopo erano destinati?
-Furono mandati a uccidere tuo padre-sentì sua madre rispondere alle sue spalle.Chiedile di negarlo.
-Rydall!-La strega si rivolse fulminea al Re di Marnhull.- Volevi sbarazzarti di
Holiday! Bene, eccolo qui! Uccidilo!
Rydall stava ancora lottando con il suo destriero, riuscendo a stento a tenere sotto
controllo l'animale imbizzarrito. Alle parole della strega, si voltò di scatto a
guardarla, irradiando pericolo dal corpo in armatura nera. Per un momento sembrò
che fosse la strega l'oggetto della sua furia. Poi sguainò la spada, lanciò urla di sfida e
spronò in avanti la sua cavalcatura, avventandosi su Holiday. Ma Bunion fu più lesto.
Il coboldo corse verso il Re di Marnhull, mostrando i denti, una piccola macchia
scura nella calura, e si gettò contro il muso del cavallo. L'animale s'impuntò,
indietreggiò, scalciò e sbalzò di sella Rydall. Mentre cadeva, il suo piede destro
rimase impigliato nella staffa. Appesantito dall'armatura, Rydall non riuscì a liberarsi.
Ruzzolò al suolo e andò a finire sotto il cavallo che, scalpitando e indietreggiando, lo
calpestò sotto gli zoccoli ferrati. Poi il cavallo si lanciò al galoppo, trascinando per la
prateria il suo sventurato cavaliere. L'armatura si staccò a pezzo a pezzo, e il terreno
si bagnò di sangue. Le Guardie del Re spronarono nel tentativo di catturare l'animale
imbizzarrito, ma prima che potessero fermarlo Rydall di Marnhull era ridotto a un
ammasso di membra martoriate e sanguinolente.
Mistaya riprese ad avanzare verso la Strega del Crepuscolo.- No!-gridò la strega,
chiaramente scossa.-Siamo pari, adesso! Una vita contro un'altra vita! Rydall ritorna
da dove era venuto, e tu e io facciamo la stessa cosa, ragazzina!
Ma Mistaya non rallentò. Adesso avanzavano anche suo padre e sua madre, entrambi
con un'espressione feroce sul volto. Bunion li seguiva rotolando come mercurio
nell'erba ingiallita. Le Guardie del Re si allargarono a ventaglio attorno a loro. Ben
Holiday teneva il medaglione ben in vista, allungando una mano per esporlo in piena
luce. Una smorfia di paura passò sul volto della strega. Si girò fulminea a
fronteggiare il pericolo, con un'espressione belluina dipinta sul viso, mentre spezzoni
di fuoco verde le sprizzavano dalle dita. Istantaneamente Mistaya puntò un dito
contro di lei, urlando. La magia scaturì dalle mani della ragazzina, sotto forma di un
raggio, e colpì la Strega del Crepuscolo sollevandola da terra. La strega annaspò
sconvolta e ricadde all'indietro. Poi si rialzò furiosa.
-No! Tu non puoi toccarmi! Non ne hai il diritto!-Si voltò verso Mistaya. La sua
faccia terrea era orribile e distorta. Il suo autocontrollo era a pezzi.-Ti farò vedere io
cosa può fare la magia, piccola strega! Ti rimanderò di nuovo nel posto che ti
compete!
Le sue mani si levarono, mentre maligne fiammelle verdi scaturivano dalle dita.
Mistaya intrecciò le braccia davanti a sé, a formare uno scudo.
Poi, improvvisamente, comparve Haltwhistle: si materializzò sul ciglio del Pozzo
Infido e si fiondò in avanti. Il ghiaccio si levò dalla sua collottola e si tramutò in
nastri di vapore. La Strega del Crepuscolo se ne avvide con un attimo di ritardo. Si
girò, ma il cucciolo di fango le corse direttamente addosso e la colpì alle gambe
facendole perdere l'equilibrio. Dimenandosi selvaggiamente, incapace di controllare
la sua magia, la strega crollò come un sacco di patate. E la magia scese, cadendo su di
lei come una pioggia. La magia di Haltwhistle, rimasta i sospesa nella scia della sua
corsa, andò a mescolarsi con quell'altra, la
brina col fuoco, il ghiaccio col vapore.
La Strega del Crepuscolo fu inghiottita. La strana miscela l'avviluppò e la consumò in
un batter d'occhio. Ebbe appena il tempo di lanciare un urlo strozzato, e poi
scomparve.
Per un momento nessuno si mosse. Rimasero piantati dove si trovavano, aspettandosi
quasi di veder riapparire la Strega del Crepuscolo. Ma non fu così, e allora
Haltwhistle si avvicinò a Mistaya, che era rimasta impietrita davanti al pezzo di terra
fumante dove si era trovata la strega. Mai toccare un cucciolo di fango, aveva detto la
Madre Terra. Stai attenta. Haltwhistle guardò la ragazzina con occhi pensosi e
scodinzolò piano. Mistaya scoppiò in lacrime.
Suo padre si accostò a lei, s'inginocchiò e le posò le mani sulle esili spalle,
sostenendola e guardandola negli occhi.-Va tutto bene, Mistaya-le disse.-Tutto bene.E poi la tirò a sé e la tenne stretta contro il petto.
Poi la prese Willow, e l'abbracciò anche lei, cullandola, dicendole che era tutto finito,
che era salva. Mentre faceva così, Ben si alzò e si recò nel punto in cui giaceva
Rydall, un mucchio scomposto su una chiazza di terreno desolato presidiato da un
circolo di Guardie del Re. Si accostò al Re caduto appoggiandosi su un ginocchio,
sollevò la nera visiera e scrutò la faccia dentro di essa. Occhi iniettati di sangue si
strinsero nello sforzo di guardarlo di sotto a una ciocca di capelli rossi.
Ben Holiday scosse amareggiato la testa.-Kallendbor-mormorò.
Il Signore delle Pianure tossì debolmente. Il sangue gli rigava il volto e la barba, e gli
sgorgava copioso dalla bocca.-Avrei dovuto... ammazzarti il primo giorno... sul ponte
levatoio. Non avrei dovuto... dare ascolto alla... strega.
Trasse un ultimo respiro, sospirò e giacque immobile. Gli occhi rimasero sbarrati a
fissare il vuoto. Ben richiuse la visiera. A quanto pareva, Kallendbor non era mai
riuscito ad accettare le cose per quello che erano. Doveva essere davvero disperato
per aver deciso di stringere alleanza con la Strega del Crepuscolo. Adesso Ben sapeva
perché il robot a Rhyndweir li avesse potuti avvicinare senza essere scoperto. Adesso
sapeva come aveva fatto la strega a usare la magia per fargli credere di aver perso il
medaglione. Kallendbor aveva pensato a tutto. La strega doveva averlo avvertito
dell'arrivo di Ben, e lui aveva teso la sua trappola per il Re di Landover e aveva
aspettato che morisse. Adesso era il Signore di Rhyndweir che giaceva al suolo,
morto, e probabilmente non si sarebbe mai avuta una spiegazione esauriente della
follia che aveva causato tutto questo.
Holiday si alzò e tornò alla sua famiglia, ma Mistaya era già piegata su Questor
Thews, circondata dagli altri, con il faccino teso nella concentrazione.
-Non può morire-stava dicendo quando Ben si avvicinò e s'inginocchiò accanto a lei.E' colpa mia. Tutta colpa mia. Devo rimediare. Devo.
Ben guardò Willow, e lei sollevò gli occhi commossi per incontrare i suoi. Questor
Thews non respirava. Il suo cuore si era fermato. Nessuno poteva fare più niente per
lui.
-Mistaya, lui l'ha fatto per amor tuo-disse dolcemente Abernathy, toccandole una
spalla.-Come tutti noi.
Ma Mistaya quasi non lo sentiva. D'impulso, prese la mano inerte di Questor.-La
Strega del Crepuscolo mi ha insegnato qualcosa che potrebbe servire-mormorò con
fierezza.-Mi ha insegnato a guarire. Anche i morti, qualche volta. Forse posso guarire
Questor. Comunque, posso tentare. Devo tentare.
Si dondolò sui talloni e chiuse gli occhi. Ben, Willow, Abernathy e Bunion si
scambiarono sguardi incerti, diffidenti. Mistaya stava evocando la magia che la
Strega del Crepuscolo le aveva rivelato, e dalla quale niente di buono era mai venuto.
Non usarla, voleva dire Ben, ma sapeva che non doveva farlo. Il sole picchiava su di
loro, e l'aria era pesante e umida per il caldo afoso. Tutt'attorno, la prateria era
silenziosa, come se non ci fosse nessuna forma di vita o, se qualcuna ce n'era, fosse lì
in attesa come loro per vedere cosa sarebbe successo. Mistaya rabbrividì, e un
luminoso barbaglio corse dal suo corpo lungo il braccio fino a Questor Thews. Il
mago giaceva immobile e inerte. Altre due volte il barbaglio di luce passò dal corpo
di Mistaya a quello di Questor. Gli occhi della ragazzina vagarono come impazziti, e
la sua testa si piegò in avanti, con i capelli che le si spargevano tutti sul volto. Di
nuovo Ben pensò di intervenire, e di nuovo si trattenne dal farlo. Lei aveva il diritto
di fare quanto era in suo potere, disse a se stesso. Aveva il diritto di provarci.
Improvvisamente Questor Thews fece uno scatto. Il movimento giunse talmente
inaspettato che Mistaya lanciò un piccolo urlo e lasciò andare la mano. Per un
momento nessuno si mosse. Poi Abernathy si chinò rapidamente sul suo vecchio
amico, stette in ascolto per un po', e guardò gli altri, sbalordito.
-Sento il battito del suo cuore!-esclamò.-Sento il suo respiro! E' vivo!
-Mistaya!-sussurrò Ben, e strinse a sé la ragazza.
-Sapevo che potevo farcela, Padre-disse. Stava tremando, e lui poteva sentire un
tremendo calore irradiarsi dal suo corpo.-Lo sapevo. Ce l'ho, la magia.
-E' proprio così-approvò Ben, allarmato, e fece portare immediatamente pezze e
acqua fredda.
Anche gli altri abbracciarono Mistaya, tranne Bunion che si limitò a rivolgerle un
sorriso a tutti denti. Le pezze furono applicate, le fu data acqua da bere, e la sua
temperatura riprese a scendere. Sembrò recuperare. Ma la battaglia per salvare
Questor non era ancora finita. Il cuore del vecchio batteva debolmente, il suo respiro
era flebile, e non aveva ancora ripreso i sensi. Il veleno era ancora nel suo corpo, e
benché Mistaya ne avesse neutralizzato in parte l'effetto, non era riuscita a bloccarlo
del tutto. Allora Ben mandò parecchie delle sue guardie in cerca di un carro e diede
disposizioni agli altri perché nel frattempo costruissero una rudimentale barella. Poi
attaccarono la barella a Giurisdizione, vi sistemarono Questor, e presero lentamente
la strada di casa.
Mistaya insisté nel voler viaggiare sulla barella accanto a Questor. Quando si trovò
un carro, vi si trasferì anche lei, per non abbandonarlo. Gli tenne la mano per tutto il
viaggio. Si rifiutava di arrendersi.
21
Un esemplare
Per sei giorni dopo il loro ritorno a Sterling Silver Mistaya rimase al capezzale di
Questor Thews dormiente. Gli tenne la mano quasi ininterrottamente. Lo lasciava
soltanto se era necessario, e anche allora per pochissimo tempo. Mangiava sul letto,
con un vassoio, e dormiva su un pagliericcio per terra. Di quando in quando
Haltwhistle faceva la sua comparsa, materializzandosi dal nulla per farle sapere che le
stava vicino, prima di scomparire ancora una volta. Più di una volta Ben Holiday
scivolava in camera da letto a mezzanotte per coprire sua figlia con una coperta e
carezzarle i capelli arruffati. Ogni volta era tentato di prenderla e portarla nel suo
letto, ma lei era stata irremovibile nella sua decisione di rimanere li finché la cosa
non si fosse risolta. Questor poteva riprendersi o morire, ma in ogni caso lei voleva
essere lì quando sarebbe successo.
Pezzo su pezzo, Ben ricostruì la storia di come la Strega ael Crepuscolo avesse
tentato di distruggerlo. Vennero a sapere da Mistaya il ruolo svolto dalla Madre Terra
nel farle dono di Haltwhistle perché aiutasse a scombinare i piani della strega, e
furono quindi in grado di dedurre da soli come il compito del cucciolo di fango
consistesse anche nel far sì che ognuno di loro, pur se ingannato separatamente,
potesse trovare il modo di ricongiungersi agli altri e di scoprire la verità. Abernathy
aggiunse i suoi tasselli al mosaico, cercando di sorvolare sull'effetto che la
trasformazione da cane a uomo e viceversa aveva avuto su di lui, e di minimizzare la
parte da lui avuta nel salvare la vita a Ben. Ma Ben non lo permise, perfettamente
conscio di quanto fosse costato al suo fedele scrivano rinunciare ancora una volta alla
sua forma umana, dolorosamente consapevole che Abernathy avrebbe potuto non
tornare mai più a essere quello che era stato. Parlarono pacatamente di Questor
Thews e della sua determinazione nel salvare Mistaya. Si preoccuparono insieme di
quali sarebbero state le conseguenze per la ragazza se Questor fosse morto.
Willow passò lunghe ore a parlare apertamente con Mistaya della Strega del
Crepuscolo e della sua esperienza nel Pozzo Infido, alleviando una parte del male e
del senso di colpa che sua figlia provava. Non era colpa di Mistaya, sottolineava, se
la strega l'aveva usata per attirare suo padre in un tranello. Non era colpa sua se non
si era accorta di quel che stava succedendo. Lei non aveva certo intenzione di far del
male a suo padre o di aiutare in qualsiasi modo la strega. In realtà, lei aveva usato la
sua magia nel tentativo (così credeva lei) di salvare la vita di suo padre. Al suo posto,
sua madre avrebbe fatto la stessa cosa. Tutti loro erano stati ingannati dalla strega, e
non era la prima volta. La malvagità della strega era insinuante e contorta, e avrebbe
distrutto chiunque avesse avuto meno carattere e meno coraggio di lei. Mistaya
doveva saperlo. Doveva accettare l'idea che lei aveva fatto del suo meglio.
Suo padre, parlandole una volta da solo, le disse:-Tu devi perdonarti, quali che siano
state le conseguenze del tuo comportamento, Mistaya. Hai fatto uno sbaglio, e quello
fa parte della crescita. Crescere è doloroso per ogni bambino, ma per te lo è di più.
Ricordi le parole della Madre Terra, che tu stessa ci hai riferito?
Mistaya annuì. Teneva stretta la mano di Questor, con un dito sul polso a sentire il
debole pulsare del suo cuore.
-Crescere, per te, sarà più difficile che per la maggior parte dei bambini. A causa di
quel che sei e del luogo da cui provieni. A causa dei tuoi genitori. A causa della tua
magia. Vorrei che potesse essere altrimenti. Vorrei poter cambiare le cose. Ma non
posso. Dobbiamo accettare chi siamo in questa vita e renderla la migliore possibile.
Ci sono delle cose che non possiamo cambiare. Tutto quello che possiamo fare è
cercare di aiutarci a vicenda quando vediamo che c'è bisogno di aiuto.
-Lo so-disse lei dolcemente.-Ma questo non mi fa sentire meglio.
-No, non serve, suppongo.-Le si accostò e la tirò delicatamente a sé.-Sai, Mistaya, io
non posso più permettermi di pensare a te come a una bambina. Almeno non come a
una bimba di due anni. Tu sei cresciuta ben oltre, e io credo di essere l'unico a non
essermene accorto.
Lei scosse la testa e tenne la faccia bassa.-Forse non sono così grande come tutti
pensano. Ero tanto sicura di me stessa, ma niente di tutto questo sarebbe successo se
fossi stata un po' più attenta.
Lui le diede una piccola stretta.-Se ti ricorderai di questo la prossima volta che userai
la magia, sarai cresciuta abbastanza, per me.
Ben mandò a dire al Signore del Fiume che sua nipote era in salvo e sarebbe andata a
trovarlo presto. Tornò al lavoro come monarca di Landover, benché una parte di lui
fosse sempre nella camera con Mistaya, seduto accanto a Questor Thews. Mangiava e
dormiva lo stretto necessario e gli riusciva difficile concentrarsi. Willow parlava con
lui quando erano soli, facendolo partecipe dei suoi pensieri, dei suoi dubbi, e così si
davano l'un l'altra quel po' di conforto che potevano.
Parecchie altre volte Mistaya usò la sua magia per cercare di infondere forze nel
corpo di Questor Thews. Metteva i suoi genitori al corrente delle sue intenzioni, così
che potessero trovarsi li ad assisterla. La magia baluginava giù per il suo braccio fino
al corpo del vecchio senza effetto apparente. Mistaya diceva che poteva sentire le
membra lottare contro il veleno della strega, poteva sentire la battaglia che infuriava
nell'organismo del vecchio. Ma non c'erano cambiamenti nelle condizioni del mago. I
suoi battiti rimanevano lenti, la sua respirazione irregolare, ed era sempre senza sensi.
Tentarono di nutrirlo con acqua e minestra, e una minima parte di ciò che le sue
labbra toccavano veniva consumata. Ma era pelle e ossa, tutto cereo ed emaciato, uno
scheletro adagiato sulle lenzuola, appena appena vivo.
Mistaya cercò di irrobustirlo con altre forme di magia, sussurrandogli parole
d'incoraggiamento, somministrandogli generose porzioni del suo amore per lui.
Rifiutava di darsi per vinta. Voleva fortemente che si svegliasse per lei, che aprisse
gli occhi e parlasse. Pregava che vivesse.
I suoi genitori e Abernathy perdevano gradatamente le speranze. Lo leggeva nei loro
occhi. Volevano crederci, ma erano fin troppo consci della disperata improbabilità
della sua sopravvivenza. La profondità del loro attaccamento non si attenuava, ma lo
sguardo nei loro occhi assumeva la piattezza della rassegnazione. Si stavano
preparando a quello che vedevano come l'inevitabile epilogo. Abernathy non poteva
più parlarle alla presenza di Questor. Ognuno di loro si stava ritirando in se stesso,
tagliando i legami, mettendo a tacere i sentimenti, indurendosi. Lei cominciava a
disperare. Cominciava a temere che il vecchio potesse rimanere così per sempre,
sospeso tra la vita e la morte.
Poi, al settimo giorno della sua veglia, mentre sedeva con lui nella camera da letto
alle prime luci del mattino, a guardare dalle finestre l'alba che colorava il cielo, sentì
la sua mano stringere inaspettatamente la propria.
-Mistaya?-sussurrò con un fil di voce, e i suoi occhi si aprirono.
Lei ebbe quasi paura di respirare.-Sono qui-sussurrò a sua volta, con le lacrime agli
occhi.-Non ti lascio.
Chiamò a gran voce sua madre e suo padre e, con la fragile mano del vecchio stretta
saldamente nella sua, attese con ansia il loro arrivo.
Vince aveva terminato il suo turno allo Zoo del Woodland Park di Seattle e stava
andando verso la macchina quando cambiò improvvisamente direzione e tornò nella
voliera, per dare un'ultima occhiata al corvo. Quel benedetto animale lo affascinava.
Era esattamente dove lo aveva lasciato, appollaiato tutto solo su un ramo presso la
cima della gabbia. Gli altri uccelli lo tenevano a distanza, non volendo averci niente a
che fare. Non li si poteva biasimare. Era un essere dall'aspetto repellente. Neanche a
Vince piaceva. Ma non poteva fare a meno di pensarci.
Un corvo dagli occhi rossi. Nessuno mai aveva sentito qualcosa del genere. Nessuno,
da nessuna parte.
Era spuntato fuori dal nulla. Letteralmente. Lo stesso giorno di quell'incidente al
Rifugio per animali della Contea di King, quando quei due matti che si erano fatti
passare per Drozkin e Adkins avevano rubato quella scimmia o che diavolo era.
Nessuno sapeva che fine avessero fatto. Si erano semplicemente volatilizzati, a voler
credere alle chiacchiere che si erano sparse in giro. Poi, neanche due ore dopo, era
comparso questo uccello, esattamente nella stessa gabbia dalla quale era scomparsa la
scimmia. Cosa voleva dire quella coincidenza? Nessuno fu in grado di spiegarlo,
naturalmente. Sembrava una di quelle storie sugli Ufo, una di quelle situazioni in cui
strane cose capitavano alle persone coinvolte, ma nessuno poteva dimostrare che
fossero realmente accadute. Vince credeva negli Ufo. Vince pensava che al mondo
succedevano un sacco di cose che non si potevano spiegare, e per il fatto che non
avessero una spiegazione non erano certo meno reali. E questo uccello era una di
quelle cose.
A ogni modo, ecco che quest'uccello, questo corvo dagli occhi rossi, si trova li in
quella gabbia, stordito. Gli impiegati del Rifugio non erano degli stupidi.
Riconoscevano un esemplare, quando lo vedevano, anche se non sapevano
esattamente che tipo di esemplare fosse. Così lo immobilizzano e lo portano qui per
poterlo studiare. Un uccello esotico, e quindi di proprietà dello zoo. Adesso spettava
al Woodland Park il compito di identificarlo. Nessuno sapeva quanto tempo ci
sarebbe voluto. Mesi, pensava lui. Forse anni.
Vince si appoggiò alle sbarre, cercando di indurre l'uccello a guardarlo. Non ci riuscì.
Non guardava mai nessuno. Ma avevi sempre l'impressione che ti stesse osservando.
Di sottecchi, o qualcosa del genere. A Vince sarebbe piaciuto conoscerne la storia. Ci
scommetteva che era una bella storia. Ci scommetteva che era migliore di tutte le
storie di Ufo. Quest'uccello nascondeva molte cose, che l'occhio non poteva vedere.
Era evidente dal suo modo di comportarsi. In disparte, sdegnoso, pieno di un
malcelato furore nei confronti della vita. Voleva uscire di lì. Voleva tornare nel luogo
dal quale era venuto. Glielo potevi leggere in quegli occhi rossi, se guardavi
abbastanza a lungo.
Ma Vince non amava guardare il corvo negli occhi per troppo tempo. Quando l'aveva
fatto, avrebbe quasi potuto giurare che quegli occhi erano umani.
fine testo.
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Terry Brooks