Filosofia della Musica Giuseppe Mazzini 2011 | Relazione per il progetto “Il processo di unificazione Italiana”, Liceo Classico G. Carducci Viareggio Daniele Vanni “ Sposi e fratelli, difendete uniti questa bandiera e questi sacri liti ,, FRANCESCO DALL’ONGARO 2 INDICE
Introduzio-­‐
ne_______________________________________________________________________4 Il Documen-­‐
to______________________________________________________________________4 Contestualizzazio-­‐
ne_________________________________________________________________8 Analisi e commento al Documen-­‐
to_____________________________________________________9 Bibliogra-­‐
fia_______________________________________________________________________13 3 INTRODUZIONE
“ E se non respingete il concetto d’una pittura, d’una letteratura sociale, perché v’arretrate davanti all’idea d’una musica sociale? ,, Ancor prima che nascesse l’Italia, in ogni uomo del XIX secolo, dalla Alpi alla Sicilia, vi era certamente la concezione di cosa fosse “Italia”, sia pure l’«espressione geografica» di Metternich, sia pure la «dolce ter-­‐
ra latina» di Dante. La parola “Italia”, nei secoli precedenti il Risorgimento, identificava, più che un’identità politica, una comunità culturale e letteraria, legata dall’uso di una lingua comune e dalla condivisione di una tradizione letteraria e artistica. Tale connotazione culturale influenzerà profondamente anche la nascita e lo sviluppo di una definizione più propriamente politica di cosa sia “Italia”. Lingua, tradizione culturale, artistica e musi-­‐
cale, sono gli strumenti fondamentali cui fanno riferimento gli autori patriottici nel definire l’identità italia-­‐
na. La “scoperta della nazione” – afferma lo storico Lucio Villari – è un fatto culturale che avviene attra-­‐
verso la lettura degli autori classici, latini e greci, carichi di riferimenti all’”amor di patria”; delle tragedie di Alfieri, della Divina Commedia e di Foscolo; e poi sempre più spesso di una nutrita serie di autori general-­‐
mente romantici e proibiti o quanto meno sospetti – Berchet, Guerrazzi, d’Azeglio, Poerio, Giusti, Pellico, o persino il Manzoni delle tragedie –, e l’ascolto di opere liriche come la Donna Caritea di Mercadante, la Norma di Bellini, il Guglielmo Tell di Rossini e, ovviamente, il repertorio di Giuseppe Verdi. È per questi motivi che ho scelto la lettura e l’analisi di un documento non fra i più conosciuti dell’epoca risorgimentale, ma che ha rappresentato un momento fondamentale nello sviluppo del pensiero dell’autore; nonché di uno degli aspetti a mio parere più interessanti che hanno influenzato la nascita di una coscienza nazionale e di una volontà di mostrarsi attivi e di partecipare in prima persona, e ognuno con i propri mezzi, al discorso nazional-­‐patriottico. 4 IL DOCUMENTO
Ignoto Numini. Chi scrive non sa di musica, se non quanto gli insegna il cuore, o poco più; ma nato in Italia, ove la musica ha patria, e la natura è un concento, e l’armonia s’insinua nell’anima colla prima canzone che le madri cantano alla culla dei figli, egli sente il suo diritto, e scrive senza studio, come il core gli detta, quelle cose che a lui paiono vere e non avvertite finora, pure urgenti a far sì che la musica e il dramma musicale si levino a nuova vita dal cerchio d’imitazioni ove il genio s’aggira in oggi costretto, inceppato dai maestri e dai trafficatori di note. E i maestri e i trafficatori di note s’astengano da queste sue pagine. Non sono per essi. Sono pei pochi che nell’Arte sentono il ministero, e intendono la immensa influenza che s’eserciterebbe per essa sulle società, se la pedanteria e la venalità non l’avessero ridotta a meccanismo servile, e a trastullo di ricchi svogliati: — per chi v’intravvede più che non una sterile combinazione di suoni, senza intento, sen-­‐
za unità, senza concetto morale: — per gli intelletti, se pur ve n’ha, che non hanno rinegato il pensiero pel materialismo, l’idea per la forma, e sanno che v’è una filoso-­‐
fia per la musica, come per tutte le altre espressioni dell’intima vita e degli affetti che la governano: — per le anime vergini che sperano e amano, che s’accostano venerando alle opere dei grandi davvero, che gemono sull’ultimo pensiero di We-­‐
ber, e fremono al duetto tra Faliero e Israello Bertucci, che cercano un rifugio nell’armonia quando hanno l’anima in pianto, e un conforto, una fede quando il dubbio le preme: — al giovine ignoto, che forse in qualche angolo del nostro terre-­‐
no, s’agita, mentr’io scrivo, sotto l’ispirazione, e ravvolge dentro sè il segreto d’un’epoca musicale. Forse ad anima di tempra siffatta, le seguenti pagine torneranno non inutili affatto. Porranno sulla via del concetto rigeneratore, e convinceranno almeno più sempre, che, senza un concetto rigeneratore può la musica riescire artificio più o meno dilettoso, non raggiungere intera l’altezza de’ suoi destini; inciteranno ad osare, e daranno, non foss’altro, un conforto alle lunghe tribolazioni che i pochi na-­‐
ti a creare hanno sempre compagne nel cammin della vita. Chi sente tutta quant’è la santità dell’Arte ch’egli è chiamato a trattare, ha bisogno, in questi tempi di pro-­‐
stituzione e di scetticismo, che una qualche voce si levi a protestare per lui, e a gri-­‐
dargli «confida». Tra noi i potenti a fare non mancano. Manca, per questa atmosfera di materialismo e di prosa che aggrava le anime giovani, un raggio di fiducia e di poesia che disveli ad esse le vie del futuro. Manca chi ripeta sovente agli ingegni nascenti il ricordo che un filosofo volea gli fosse ridetto ogni mattina da chi lo de-­‐
stava: «Alzatevi, però che avete a compiere grandi cose.» Manca chi gridi: là, su quell’altezza è la gloria; levatevi e ite; incontrerete derisioni e invidie per via; ma la coscienza in vita, e i posteri dopo, vi vendicheranno dei vostri contemporanei. Quando l’elemento costitutivo di un’Arte, il concetto vitale che la predomina, ha raggiunto il maggior grado di sviluppo possibile, ha toccato la più alta espres-­‐
sione a cui gli sia dato salire, e gli sforzi per superarla riescono inutili, anche dove chi tenta è potente davvero, quell’elemento è irrevocabilmente consunto, quel con-­‐
cetto esaurito; nè il genio stesso può farlo rivivere, nè il genio stesso ricreare un periodo conchiuso, o che sta per conchiudersi. […] L’Arte è immortale; ma l’Arte […] non move a cerchio, non ricorre le vie calpeste; ma va innanzi d’epoca in epoca, ampliando la propria sfera, levandosi a più alto concetto quando il primo s’è svolto 5 in ogni sua parte, ribattezzandosi a vita coll’introduzione d’un nuovo principio, quando tutte le conseguenze dell’antico sono desunte e ridotto ad applicazione. — È legge fatale e per tutte cose. Spenta un’epoca, un’altra sottentra. Spetta al genio indovinarne e rivelarne il segreto. A questo punto parmi esser giunta ai dì nostri la musica. Il concetto che le ha dato vita fin qui, è concetto esaurito. Il nuovo non si è rivelato. E finchè noi sarà, finchè i giovani compositori si ostineranno a lavorare sul vecchio, finchè l’ispirazione non iscenderà sovra essi da un altro cielo inesplorato finora, la musica si rimarrà diseredata della potenza che crea, le scuole contenderanno senza fine e senza vittoria, gli artisti si trascineranno erranti, incerti per diversi sistemi, fra di-­‐
verse tendenze, senza intento e proposito deliberato, senza speranza di meglio, imitatori sempre, e incoronati del serto che gli uomini danno agli imitatori, vivido di bei colori, ma caduco e appassito in un giorno. Avremo perfezionamenti di me-­‐
todo, ornamenti e raffinatezze di esecuzione, non incremento di facoltà creatrice. Avremo mutamenti di stile, non nuove idee; lampi di musica, non una musica. […] E per ciò che tocca le lettere, queste cose e l’altre mille che ne derivano, han-­‐
no a dirsi anzi che ignote, troppo sovente ancora, dimenticate; taluni dentro e fuori le han dette, e molti hanno fatto plauso, perchè in Italia l’intelletto è per natura po-­‐
tente, e sente il vero che gli è affacciato; poi lo han posto in oblio, perchè in Italia la potenza d’oblio supera anche quella dell’intelletto. Ma tra quanti parlano o scrivo-­‐
no di musica chi le ha dette? o sospettate? chi ha tentato mai di risalire alle origini filosofiche del problema musicale? Chi avvertito il vincolo che annoda la musica al-­‐
le arti sorelle? Chi ha mai pensato che il concetto fondamentale della musica po-­‐
tess’essere tutt’uno col concetto progressivo dell’universo terrestre, e il segreto del suo sviluppo avesse a cercarsi nello sviluppo della sintesi generale dell’epoca; la cagione più forte dell’attuale decadimento nel materialismo predominante, nella mancanza d’una fede sociale, e la via di risurrezione per essa nel risorgere di que-­‐
sta fede, nell’associarsi ai destini delle lettere e della filosofia? Chi ha mai levata una voce che dicesse, non ai maestri incorreggibili sempre, ma ai giovani che vor-­‐
rebbero lanciarsi e non sanno come: «L’Arte che trattate è santa, e voi, dovete esse-­‐
re santi com’essa, se volete esserne sacerdoti. L’Arte che vi è affidata è strettamen-­‐
te connessa col moto della civiltà, e può esserne l’alito, l’anima, il profumo sacro, se traete le ispirazioni dalle vicende della civiltà progressiva, non da canoni arbitrari, stranieri alla legge che regola tutte le cose. La musica è un’armonia del creato, un’eco del mondo invisibile, una nota dell’accordo divino che l’intero universo è chiamato ad esprimere un giorno. […] E perchè vorrete rimanervi accozzatori di note, trovatori d’un giorno, o peggio, quando sta in voi consecrarvi sulla terra a tal ministero, che gli angioli soli, nella credenza dei popoli, esercitano su nel cielo?» Siffatto linguaggio non fu parlato mai, ch’io mi sappia. Nessuno ha tentato ri-­‐
trarre la musica dal fango o dall’isolamento in che giace, per ricollocarla dove gli antichi, grandi, non di sapienza, ma di sublimi presentimenti, 1’aveano posta, ac-­‐
canto al legislatore e alla religione. […] Ma intanto la musica si è segregata più sempre dal viver civile, s’è ristretta a una sfera di moto eccentrica, individuale, s’è avvezza a rinegare ogni intento, fuorchè di sensazioni momentanee, e d’un diletto che perisce coi suoni. Intanto l’arte divina che nei simboli mitologici s’immedesima col primo pensiero del nascente incivilimento, l’arte che pur tuttavia informe, e nei vagiti d’infanzia, era nella Grecia tenuta come lingua universale della nazione, e veicolo sacro della storia, della filosofia, delle leggi e della educazione morale, si è ridotta in oggi a semplice distrazione! Una generazione corrotta, sensuale e spossa-­‐
ta ha trovato nell’artista l’improvvisatore; ha detto: sottrammi alla noia — e 6 l’artista ha obbedito; ha dato forme senza anima, suoni senza pensiero, affastellan-­‐
do note a diluvio, affogando la melodia sotto un trambusto indefinibile di strumen-­‐
ti, balzando d’uno in altro concetto musicale senza svolgerne alcuno, rompendo a mezzo l’emozione con un meccanismo di trilli, gorgheggi e cadenze. […] L’arte so-­‐
vrana, Byroniana, profonda, l’arte d’insistere sul concetto, con incremento pro-­‐
gressivo di forza, finchè s’addentri, s’incarni, s’invisceri in voi, è negletta e perduta. Oggi non si solca, si sfiora, non s’esaurisce la sensazione, s’accenna. Si studian gli effetti; all’effetto, all’affetto unico, generale, predominante che avrebbe ad emerge-­‐
re irresistibile da tutto quanto il lavoro, e alimentarsi delle mille impressioni se-­‐
condarie, disseminate per entro a quello, chi bada? Chi cerca al dramma musicale una idea? Chi varca oltre il cerchio particolare delle varie scene che compongono un’opera, per afferrare un nesso, un centro comune? […] E pubblico e autore gareg-­‐
giano a chi può meglio profanare la musica, e guastarne la sacra missione, e vietar-­‐
le unità. Le conseguenze n’escono inevitabili. Un’opera è tal cosa che non ha nome: l’arcano delle streghe nel Macbeth: l’intermedio del Fausto. Un’opera non può defi-­‐
nirsi se non per enumerazione di parti — una serie di cavatine, cori, duetti, terzetti e finali, interrotta — non legata — da un recitativo qualunque che non s’ascolta: un mosaico, una galleria, un accozzo, più sovente un cozzo di pensieri diversi, indi-­‐
pendenti, sconnessi che s’aggirano come spiriti in un circolo magico per entro a certi confini: un tumulto, un turbinio di motivi e frasi e concettini musicali, che ti ricordano quei versi di Dante sull’anime dei morti, sulle parole di dolore, sugli ac-­‐
centi d’ira, sulle voci alte e fioche, e sul batter di mani che s’ode nei nostri teatri come alle porte d’inferno. […] Dove andiamo? Che vuol questa musica? a che mena? Dov’è l'unità? perchè non arrestarsi a quel punto? Perchè rompere quell’idea con quest’altra? A che intento? Per qual concetto predominante? Hurrah! hurrah! L’ora è presso. La mezza notte è varcata. Il pubblico vuole il suo diritto; quel suo certo numero di motivi. Datelo: innanzi. Manca una cavatina, manca il rondò della prima donna. Hurrah. — L'ora è suonata, s’applaude e s’esce. […] E non pertanto la musica, sola favella comune a tutte nazioni, unica che tra-­‐
smetta esplicito un presentimento d’umanità, è chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullar l’ore d’ozio a un piccol numero di scioperati; non per-­‐
tanto questa musica, che oggi è sì vilmente scaduta, s’è rivelata onnipotente sugli individui e sulle moltitudini, ogni qual volta gli uomini l’hanno adottata ispiratrice di forti fatti, angiolo dei santi pensieri; ogni qualvolta gli eletti a trattarla, ricerca-­‐
rono in essa l’espressione la più pura, la più generale, la più simpatica d’una fede sociale. Un inno di poche battute, ha creato in tempi vicini a noi la vittoria. […] Quei popoli [: gli antichi] erano in fatto d’Arte, inferiori a noi, come l’alba al meriggio. La musica è un’aura del mondo moderno. La musica è nata in Italia, nel XVI secolo con Palestrina. Gli antichi non n’ebbero che il germe, la melodia; […] non era per essi che un’ombra, un’eco, un presentimento. Ma in quei popoli viveva una fede: qualunque si fosse, una fede, e con essa l’istinto dell’unità ch’è il segreto del genio, e l’anima di tutte le grandi cose. Ma per quell’istinto non definito, l’Arti procedevano unite, e poichè l’impotenza degli Arte-­‐
fici negava alla musica una unità connessa direttamente alla grande unità sociale, le davano compagna inseparabile la poesia, e da quell’unione escivano i prodigi venturi. Ma la musica, così com’era, facea pur nondimeno parte d’educazione reli-­‐
giosa e nazionale alle moltitudini che s’accostavano a essa come a loro sacrifici so-­‐
lenni. — Noi, non abbiamo fede oggimai, nè forti credenze, nè luce di sintesi, nè concetto d’armonia sugli studi, nè religione d’Arti, d’affetti virili o di grandi speran-­‐
ze: nulla. […] 7 Oggi urge l’emancipazione da Rossini, e dall’epoca musicale ch’ei rappresen-­‐
ta. Urge convincersi ch’egli ha conchiuso, non incominciato, una scuola — che una scuola è conchiusa, quando, spinta all’ultime conseguenze, ha corso tutto lo stadio di vitalità che a essa spettava — ch’ei l’ha spinta fin là, e che l’insistere sulla via di Rossini è un condannarsi a esser satellite, più o meno splendido, ma pur sempre satellite. Urge convincersi che, a rifiorire, la musica ha bisogno di spiritualizzarsi — che a levarla potente, è necessario riconsecrarla con una missione: […] in altri ter-­‐
mini, farla sociale, immedesimarla col moto progressivo dell’universo. — E urge convincersi che si tratta in oggi, non di perpetuare o rifare una scuola italiana, ben-­‐
sì di cacciar dall’Italia le fondamenta d’una scuola musicale europea. […] Certo, l’elemento storico, non che sorgente nuova e sempre varia d’ispirazioni musicali, dev’esser base essenziale a ogni tentativo di ricostituzione drammatica; certo, se il dramma musicale deve armonizzarsi col moto della civiltà, e seguirne o aprirne le vie, ad esercitare una funzione sociale, deve anzi tutto riflet-­‐
tere in sè l’epoche storiche ch’ei s’assume descrivere, quando cerca in quelle i suoi personaggi. Per questo riguardo nulla è tentato; e mentre in questi ultimi tempi, le lettere hanno progredito d’un passo, e gli scrittori di drammi (non musicali), hanno intesa la necessità, se non d’inviscerarsi nella storia e afferrarne lo spirito, la verità, di ricopiarne, non foss’altro, la parte materiale, la realità, il dramma musicale si giace ancora nel falso ideale dei classicisti, rinega, non la verità solamente, ma la storica realità. […] Il genio […] ponendosi innanzi il concetto sociale, lo innalzerà — e questa è la missione serbata alla musica — ad altezza di fede negli animi, muterà le fredde e inattive credenze, in entusiasmo, l’entusiasmo in potenza di SACRIFICIO, ch’è la virtù. […] Comunque — egli o altri, ma la riforma musicale si compierà. Quando una scuola, una tendenza, un’epoca sono esaurite — quando una carriera è tutta per-­‐
corsa, e non rimane che a ricorrerla retrocedendo, una riforma è imminente, inevi-­‐
tabile, certa, perchè l’umana potenza non può retrocedere. E, i giovani artisti si preparino divoti, come a misteri di religione, all’iniziazione della nuova scuola mu-­‐
sicale. Siamo alla veglia dell’armi, e i recipiendari di cavalleria vi si preparavano raccolti nel silenzio, nella solitudine, nella meditazione dei doveri che stavano per assumere, nell’ampiezza della missione alla quale dovevano consecrarsi il dì dopo, e nella speranza generosa e fervente dell’alba novella. E i giovani artisti s’innalzino collo studio dei canti nazionali, delle storie patrie, dei misteri della poesia, dei mi-­‐
steri della natura, a più vasto orizzonte che non è quello dei libri di regole e dei vecchi canoni d’arte. La musica è il profumo dell’universo, e a trattarla, come vuol-­‐
si, è d’uopo all’artista immedesimarsi coll’amore, colla fede, collo studio delle ar-­‐
monie che nuotano sulla terra e nei cieli, col pensiero dell’universo. S’accostino alle opere dei grandi nella musica, dei grandi, non d’un paese, d’una scuola, o d’un tem-­‐
po, ma di tutti paesi, di tutte scuole e di tutti i tempi: non per anatomizzarli e dis-­‐
seccarli colle fredde e vecchie dottrine di professori di musica, ma per accogliere in sè stessi lo spirito creatore e unitario che move da quei lavori; non per imitarli grettamente e servilmente, ma per emularli da liberi, e connettere al loro un nuovo lavoro. Santifichino l’anima loro coll’entusiasmo, col soffio di quella poesia eterna che il materialismo ha velata, non esigliata dalla nostra terra, adorino l’Arte, sicco-­‐
me cosa santa e vincolo tra gli uomini e il cielo. Adorino l’Arte prefiggendole un al-­‐
to intento sociale, ponendola a sacerdote di morale rigenerazione e serbandola nei loro petti e nella loro vita, candida, pura, incontaminata di traffico, di vanità e delle tante sozzure che guastano il bel mondo della creazione — L’ispirazione scenderà 8 sovra essi come un angiolo di vita d’armonia, e essi otterranno che splenda sui loro sepolcri quella benedizione delle generazioni migliorate e riconoscenti, che val mil-­‐
le glorie, e le supera tutte di quanto la virtù supera le ricchezze che dà la fortuna, e la coscienza la lode, e l’amore ogni potenza terrena. CONTESTUALIZZAZIONE
Avviato agli studi di legge e appassionato di musica e letteratura, Mazzini passò la quasi totali-­‐
tà della sua vita in una latitanza forzata in tutta Europa e pure alcuni anni in carcere. Fu proprio nell’esperienza della prigione che la madre Maria Drago gli fece pervenire in cella una chitarra (oggi conservata a Pisa). La musica da allora lo accompagnò per tutta la vita. Anche in esilio prima in Sviz-­‐
zera, poi a Parigi infine a Londra. Nel 1836 scrisse il trattato Filosofia della Musica, pubblicato a Parigi nel 1836, nei fascicoli estivi de L’Italiano, giornale clandestino dell’emigrazione politica. Il 1836 fu an-­‐
che l’anno della «tempesta del dubbio». Nelle Note autobiografiche scrisse più tardi: «Io avevo l'ani-­‐
ma traboccante di affetti, e giovane, e capace di gioia... Ma in quei mesi fatali mi si addensarono a turbine sciagure, delusioni, disinganni amarissimi, tanto che io intravvidi in un subito, nella scarna sua nudità, la vecchiaia dell'anima solitaria e il mondo deserto d'ogni conforto, nella battaglia, per me. Allora, in quel deserto, mi si affacciò il dubbio. Forse io erravo, e il mondo aveva ragione. Forse l'idea che seguivo era un sogno». Su Il Risorgimento (vol. III, p.358) di Lucio Villari, si legge che il saggio era destinato in prima battuta al pubblico inglese, con funzione informativa circa la musica italiana. Su questa interpretazio-­‐
ne non sarei del tutto convinto, dato che del pubblico anglosassone – né della musica inglese – non se ne fa menzione nel saggio, anzi, l’impostazione anti-­‐europea del suo pensiero, delle sue parole, dei suoi discorsi, evidenziano come il destinatario, vero ed implicito, era il giovane (e non) italiano, come conferma l’intitolazione <<Ignoto numini>>, cui però non poteva dedicare in modo esplicito il trattato. Interessante è a questo proposito vedere perché Mazzini parli in fin dei conti solo della mu-­‐
sica da teatro. La risposta è semplice: Mazzini guarda al paesaggio musicale italiano, e non all'euro-­‐
peo, che pur conosce. Parla ai Maestri e ai giovani d'Italia, non già di Germania, di Francia e d'Austria; e siccome è a quelli che vuole additare l'alta missione da compiere, a quelli parla della forma d'arte unica che essi intendono e verso la quale si sentono attratti; dell'unica che allora si praticava in Italia. Tra lo spegnersi del '700 e i primi decenni dell'800, quando Mazzini veniva al mondo e Rossini si af-­‐
facciava alla vita artistica, tutta la nostra arte musicale si compendiava nel Teatro. Ma volendo considerare l'ambiente europeo in cui fiorirono i concetti mazziniani sulla musica, sui suoi rapporti con l'universo-­‐mondo, sul suo ufficio sociale e civile, non si può trascurare un docu-­‐
mento assai significativo su Volfango Goethe e la musica. Si tratta dei Pensieri sulla musica che il poe-­‐
ta romantico tedesco Rudolf von Beyer raccolse dalla viva voce di Goethe, e diligentemente annotò nel 1820. Anche Goethe affida all'umanità una alta missione civile che dovrà essere compiuta attra-­‐
verso la musica e per mezzo di essa; anch'egli riconosce, come Mazzini, nella musica il presentimento di un mondo migliore. Si può tracciare un parallelo fra il pensiero di Goethe e quello di Mazzini mettendo a confronto i loro concetti. Dice Goethe: «Io contemplo e indago il mistero della musica per poter poi comprendere il mistero della nostra umanità». E Mazzini: «L'arte musicale era nella Grecia tenuta come lingua universale del-­‐
la nazione, e veicolo sacro della storia, della filosofia, delle leggi e dell'educazione morale». Goethe precisa: «La musica ci dà il presentimento di un mondo più perfetto». E Mazzini gli risponde: «La mu-­‐
sica è la fede di un mondo di cui la poesia non è che l'alta filosofia». Goethe accenna: «La vita è la musica della anima». E Mazzini amplifica: «La musica è il profumo dell'universo... L'immagine del bel-­‐
lo e dell'eterna armonia vi appare...». Ma, a differenza di Mazzini, Goethe sembrò restare Genio iso-­‐
lato dalle vicende sociali del mondo contemporaneo. 9 ANALISI
E COMMENTO AL
DOCUMENTO
Scorgendo le pagine della Filosofia della Musica si ha quasi l’impressione di trovarsi di fronte a un trattato – più che di musica – politico e sociale, se non addirittura di leggere un’orazione al popolo, un’esortazione al «giovine ignoto» ad interessarsi al discorso nazional-­‐patriottico, seppur nell’ambito arti-­‐
stico. Compito ufficiale che si propone Mazzini è quello di analizzare criticamente la situazione artistica ita-­‐
liana: per il pensatore genovese la musica italiana, che si condensa nel melodramma, attraversa una fase di crisi superabile solo grazie a una radicale e profonda riforma, incentrata sulla rivalutazione del tema rispet-­‐
to alla musica e sulla fusione di melodia (espressione dell’individualità) e armonia (frutto della collettività) e dunque un recupero deciso del coro e dell’orchestra nella produzione artistica. Al di là delle pur stimolanti riflessioni mazziniane, ciò che interessa sottolineare è l’attenzione costante che Mazzini rivolse alla musica intesa come strumento di una «nuova politica», in grado di coinvolgere anche emotivamente i cittadini. Partendo dalla riflessione sulla musica, Mazzini indica nelle prime pagine chi sono coloro cui si rivol-­‐
ge, o meglio, chi sono coloro cui spetta il compito di rivoluzionare la musica. Destinatario della musica di Mazzini è chiunque senta l’ispirazione di comporre, quasi per un «moto dell’animo», e scorga nell’Arte la grande influenza che può avere sulla società. Non ai dotti di musica o ai «trafficatori di note» che compon-­‐
gono per imitazione, guardano al passato e hanno ridotto la musica a «semplice distrazione», creando «forme senz’anima, suoni senza pensiero, affastellando note a diluvio, affogando la melodia sotto un tram-­‐
busto indefinibile di strumenti» , Mazzini rivolge le sue pagine, bensì ai «pochi che nell’Arte sentono il mini-­‐
stero», a «chi v’intravvede più che non una sterile combinazione di suoni, senza intento, senza unità, senza concetto morale», al «giovine ignoto, che forse in qualche angolo del nostro terreno, s’agita, sotto l’ispirazione, e ravvolge dentro di sé il segreto d’un’epoca musicale». I primi (i maestri) sono sterili, la loro mente è rivolta al passato; i secondi (i giovani) possiedono, invece, il segreto della potenza della musica, sono innovatori e rivolti al futuro. A questo punto però sorge spontanea una domanda: perché Mazzini avrebbe scritto un trattato sulla filosofia della musica per proporlo proprio ai musicisti «sanza lettere», a coloro che dalla teoria musicale si sarebbero dovuti astenere? A prima vista sembrerebbe quasi una contraddizione; continuando la lettura emerge chiaramente che, quelle che propone il pensatore genovese, non sono affatto pagine di teoria mu-­‐
sicale e, anche se apparissero tali, nascondono il vero intento di incitare i giovani all’impegno musicale per la causa patriottica. Cinque anni dopo la fondazione della Giovine Italia, Mazzini torna a riporre nei giovani le speranze della costruzione della «nuova Italia» e a rivolgere loro il suo messaggio. Si può anche ritenere che il saggio sulla filosofia della musica sia da inserirsi nello stesso programma stabilito nella Giovine Italia, ovvero quello di educazione, di propaganda attraverso libri, opuscoli, pubblicazioni, di partecipazione attiva alla causa nazionale. “ I mezzi de’ quali la Giovine Italia intende valersi per raggiungere lo scopo sono l’Educazione e l’Insurrezione. Questi due mezzi devono usarsi concordemente e armonizzarsi. L’Educazione cogli scritti, coll’esempio, con la parola, deve conchiu-­‐
dere sempre alla necessità e alla predicazione dell’Insurrezione; l’Insurrezione, quando potrà realizzarsi, dovrà farsi in modo che ne risulti un principio d’educazione nazionale. ,, Mazzini, chiariti i destinatari delle sue pagine, passa quindi a rivolgersi direttamente a loro, istruen-­‐
doli su cosa è necessario faccino e su che ruolo debbano attribuire alla musica, partendo dall’analisi della situazione artistica italiana. Mettendo in scena un sottile parallelismo, nei termini e nelle espressioni, fra mondo musicale e poli-­‐
tico-­‐sociale, egli afferma che la musica in Italia è giunta ad un punto fremo, di stallo, necessità di novità e d’innovazione; si trova come in un vicolo cieco, di fronte un muro: sta ai giovani guardare in avanti, sta a loro il salto verso il futuro, la libertà dai modelli antichi. I giovani devono guardare al nuovo, e lo devono fa-­‐
10 re – aveva sostenuto all’inizio – indipendentemente dalle tendenze, dalle scuole. Il genio è colui che il nuovo lo trova dentro di sé, e Mazzini sa bene che, in quell’Italia, non pochi giovani avrebbero cerca-­‐
to nelle loro più profonde interiorità per mostrare la loro Arte, il loro impegno, la loro voglia di trova-­‐
re, a partire dalla musica, un modo per far evolvere la situazione – sociale e politica – attuale, quando di fatto in ambito artistico si potevano esprimere liberamente – anche se pur di libertà limitata si trattava – mentre alla vita politica non potevano partecipare. Per questo Mazzini rivaluta la musica e sente necessario un cambiamento impellente, una rivisitazione dell’arte in chiave sociale. Egli ha tro-­‐
vato nelle note, così come nelle parole, nelle rime e nei colori («la poesia – afferma Mazzini in un suo articolo sulla Giovine Italia – è vita, moto, foco d'azione, stella che illumina il cammino dell'avvenire, colonna di luce che passeggia davanti ai popoli, come agli ebrei nel deserto: la poesia è l'entusiasmo dell'ali di fuoco, l'angelo de' forti pensieri, ciò che vi solleva al sacrificio, ciò che vi divora, vi suscita un vulcano di idee, vi caccia tra le mani la spada, la penna, il pugnale»), un potente mezzo di diffusione delle idee patriottiche, di ricerca di novità e soprattutto di coinvolgimento delle nuove generazioni, che si ribellino alle imposizioni dei maestri e ai modelli dei «trafficatori di note», così come egli stesso vuole liberarsi dell’antico, della Restaurazione e dello straniero. La musica perciò non deve «trastulla-­‐
re» -­‐ era diventato questo il fine dell’arte – ma sfruttare la sua potenza per governare i fatti e la sto-­‐
ria: con la musica – afferma Mazzini – si giunge alla «vittoria». Osserviamo da vicino un passo estratto dal documento analizzando le singole parole chiave: “ E non pertanto la musica, sola favella comune a tutte nazioni, unica che tra-­‐
smetta esplicito un presentimento d’umanità, è chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullar l’ore d’ozio a un piccol numero di scioperati; non pertanto questa musica, che oggi è sì vilmente scaduta, s’è rivelata onnipotente sugli individui e sulle moltitudini, ogni qual volta gli uomini l’hanno adottata ispi-­‐
ratrice di forti fatti, angiolo dei santi pensieri; ogni qualvolta gli eletti a trattarla, ricercarono in essa l’espressione la più pura, la più generale, la più simpatica d’una fede sociale. Un inno di poche battute, ha creato in tempi vicini a noi la vittoria. ,, Si legge di «favella comune a tutte nazioni», «umanità», «onnipotente sugli individui e sulle moltitudini», «ispiratrice di forti fatti», «angiolo dei santi pensieri», «fede sociale», «vittoria». È chia-­‐
ro il contesto politico: la musica si deve ispirare alla storia, rispecchiare gli eventi sociali, essere por-­‐
tavoce dei sentimenti de popolo cui si rivolge. La musica – dice Mazzini – è espressione del corso dell’universo, della storia stessa, si modifica nel corso degli eventi e la sua missione, di conseguenza, non è universale e immutabile: se fino ad ora il suo scopo era il diletto, il mostrar bravura, “ucciden-­‐
do” l’armonia, adesso Mazzini scorge la necessità di un nuovo fine, ovvero l’impegno sociale e il con-­‐
tributo alle idee patriottiche, rivalutando proprio l’armonia. «Cacciar dall’Italia una scuola musicale europea» e «unificare» le singole parti di un’opera per creare una grandiosa composizione rappresentano senza ombra di dubbio lo scacciare lo straniero dalla Penisola (non dimentichiamoci che Mazzini rifiutava ogni intervento europeo nei movimenti di liberazione dall’Austria) e unificare gli stati Italiani. In una descrizione dell’opera e del melodramma che pare addirittura una descrizione del panorama politico italiano, l’Italia è paragonata ad un teatro, addirittura all’Inferno dantesco, un’accozzaglia di pensieri diversi e divisi, un «mosaico» di pezzi indi-­‐
pendenti e sconnessi; e per di più, pubblico e maestri (vale a dire popolo e sovrani) sembrano non rendersi conto di quanto la situazione sia negativa e fare di tutto per mantenere tale frammentazio-­‐
ne. Mazzini arriva diretto al pubblico, parla e interagisce con esso, quasi lo rimprovera. Fa capire che lo spettatore stesso favorisce questa situazione, tuttavia poi si lamenta e se ne torna a casa «lento e muto, con un tintinnio nell’orecchio e un vuoto nel cuore». L'idea mazziniana di attribuire alla musica un ufficio sociale e civile si riallaccia a molto auguste e remote tradizioni: ai legislatori e ai moralisti greci del periodo classico, che considerarono lo studio della musica e il suo alto potere educativo sui giovani come necessità fondamentale dello Stato; ai filosofi greci che studiarono e affermarono l'esistenza di rapporti fra le leggi dell'universo e dell'ani-­‐
ma umana e le leggi della musica. E tanto identificarono queste e quelle, da chiamare e considerare 11 musica la stessa filosofia. Il concetto di musica comprendeva nel mondo greco l'armonia intellettuale, l'eleganza artistica, il bene m o-­‐
rale, la educazione dello spirito. Musica era il principio che elevava l'anima dandole la più alta forma di be-­‐
nessere morale attraverso il godimento dei sensi; musica era l'etica, poiché la melodia e il ritmo racchiude-­‐
vano l'essenza dell'anima umana e avevano perciò su di essa potenza di azione più che le altre forma visibili della bellezza: potenza di purificazione e quasi di liberazione da ogni male. Ebbene, perfino i popoli antichi avevano compreso una qualche connessione tra musica e società, mentre gli italiani continuano ad indugia-­‐
re e dividono la musica come dividono la patria. Era presente, tra gli antichi, l’istinto dell’unità, segreto del genio e anima di tutte le cose, anche se essi non conobbero la musica, ma ne ebbero solo «un’ombra, un’eco, un presentimento». Ora, in Italia, si hanno le possibilità di fare musica di grande livello. Il segreto per innalzarla sta semplicemente nella rivalutazione del tema rispetto alla musica, nella fusione di melodia e armonia, nonché nell’impegno civile. Dopo il lungo ragionamento del quale non ho dato che qualche brevissimo cenno, la ricerca delle vie del bene, l'incitamento all'azione. «Quel genio sorgerà. Maturi i tempi e i credenti che dovranno venerarne le creazioni, sorgerà senza fallo. Urge convincersi che si tratta, in oggi, non di perpetuare o di rifare una scuola italiana, ma di cacciare dall'Italia le fondamenta di una nuova scuola musicale europea. E scuola mu-­‐
sicale europea non può essere se non quella che terrà conto di tutti gli elementi musicali che le scuole par-­‐
ziali anteriori hanno svolto, e -­‐ senza sopprimerne alcuno -­‐ saprà tutti armonizzarli e drizzarli ad unico fine». E se dovrà scomparire «l'individualismo gretto ed esoso» che ha ridotto l'arte musicale in così misero stato e che le ha fatto perdere anche il ricordo della sua missione altissima e l'ha isolata dalla vita e dalla umani-­‐
tà, dovrà invece, nella musica avvenire, ampliarsi ed estendersi la sacra individualità storica. «V’è pure co-­‐
me un'architettura, come una pittura, come una poesia, una espressione musicale per ogni epoca e per ogni contrada. Perché non istudiarla? […] Se il dramma musicale deve armonizzarsi col moto della civiltà e seguirne o aprirne le vie, ad esercitare una funzione sociale, deve anzi tutto riflettere in sé l’epoche storiche ch’ei s’assume descrivere». Nessuno, prima di Mazzini, aveva detto questo od alcunché di simile, e non v'è chi non veda quale e quanta preziosa semente di nuove idee e quali nuovi concetti fossero più di centosettant'anni fa e siano an-­‐
cor oggi in tali parole. Nessuno aveva tentato, prima di Mazzini, di risalire alle origine filosofiche del pro-­‐
blema «Dramma musicale» affrontando con tanto coraggio, con tanta conoscenza dell'argomento, con tan-­‐
ta onestà di pensiero e di parole il gusto dominante, la tirannia delle convenzioni e la tradizione trionfante. Non soltanto dunque Mazzini vuole che il dramma musicale si arricchisca di un contenuto filosofico ed etico che lo renda partecipe in qualche modo della vita sociale e del moto progressivo della civiltà, ma fissa anche, con rigore, i principi, i limiti e i modi entro i quali dovrà svolgersi la rivoluzione che egli bandisce nel campo ideale; e giunge anche a precisare per quali vie e per mezzo di quali innovazioni formali tale rivo-­‐
luzione potrà essere compiuta. 12 BIBLIOGRAFIA
G. Mazzini, Filosofia della Musica (1836), documento estratto da www.liberliber.it G. Mazzini, Note autobiografiche, a cura di R. Pertici, Fabbri Editore, 1995 G. Mazzini, Giovine Italia (1831), in Storia del Mondo moderno e contemporaneo vol. II, A. Prosperi e P. Viola, Einaudi Scuola, 2010 G. Mazzini, Pensieri (1832), in Scritti editi e inediti, Edizione Nazionale vol. I, 1905 L. Villari, Il Risorgimento, vol. III, p. 267 R. von Beyer, Pensieri sulla Musica (1820) 13 14 15 
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Filosofia della Musica - Liceo Statale G. Carducci – Viareggio