Oristano e la sua provincia
UN MODO DIVERSO
DI FARE TURISMO
Una natura ancora intatta, fra stagni
e fenicotteri, e soprattutto le vestigia
di antiche civiltà, come i resti di Tharros,
stanno diventando la meta ideale
d’una vacanza lontana dalla mondanità
DI GIOVANNI ADAROCCHI - FOTOGRAFIE DI GABRIEL BURMA
“
S
tagna eius sunt pisculentissima”: scriveva
così il viaggiatore latino Caio Giulio Solino nel III secolo avanti Cristo. Parlava di
Cabras, la cittadina degli stagni, ricchezza
passata attraverso i secoli, dall’epoca romana a quella feudale, fino ai giorni nostri. Il tempo e le
bonifiche hanno cancellato buona parte degli specchi
d’acqua, ma restano ancora 5.600 ettari di superficie, in
parte trasformati in peschiere. E se i prodotti ittici non
sono più abbondanti come una volta, gli stagni di Ca-
Lo stagno di Cabras, con il suo fantastico panorama,
animato dai fenicotteri rosa, è un’attrazione
di eccezionale interesse naturalistico. I fenicotteri
arrivano a grandi stormi verso la metà d’agosto
disegnando nel cielo colorate traiettorie geometriche
per poi calare tutti insieme verso lo stagno.
Già abitato settemila anni fa
bras e di Santa Giusta rimangono un’attrazione naturalistica di grande valore per la presenza costante dei fenicotteri rosa. I meravigliosi uccelli dalle lunghe e sottilissime zampe arrivano in grandi stormi verso la metà
del mese di agosto, disegnando nel cielo traiettorie geometriche coloratissime. Poi calano tutti insieme sulle
acque ferme degli stagni. Ogni anno il numero degli
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esemplari cresce, ormai se ne contano circa diecimila,
come dire l’uno per cento della popolazione mondiale.
In questi stagni trovano ancora nutrimento e un habitat
accogliente. Assieme ad altri volatili pregiati, come il
falco di palude che vola sui canneti, il cavaliere d’Italia
e l’avocetta. Nello stagno di Cabras vivono gli ultimi
polli sultani d’Italia. A confermare quanto sia assoluta-
mente eccezionale la ricchezza naturalistica della zona
umida attorno a Oristano.
Ma questa non è certo una novità. La natura nell’Oristanese è generosa. Le grandi piane della provincia sono fertili e adatte alla coltivazione della vite. Vigneti di
qualità come quelli di Zeddiani, dove si produce la celebre vernaccia, e quelli di Cabras e Baratili, a nord del
Cartina di Mario Russo
A sinistra: il giallo dei girasoli, tra il verde e l’azzurro,
un policromo paesaggio che sarebbe piaciuto a Van Gogh,
un trionfo di filari lungo lo stagno di Mistras.
Sopra: un singolare aspetto dello stagno di Cabras, il più vasto
dell’Oristanese, che qui sembra richiamare un livido
fiordo nordico. L’area, come dimostrano alcuni importanti
ritrovamenti archeologici, è stata certamente abitata
tra il quinto e il terzo millennio avanti Cristo. L’abitato
risulta invece menzionato, in un documento
risalente al XII secolo, col nome “masone de capras”.
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capoluogo. Fino alle grandi vigne che si trovano a sud,
ad Arborea e a Mogoro, e verso l’interno a Samugheo,
patria dei celebri tappeti. Una ricchezza spesso minacciata dalla siccità, che danneggia la vendemmia pur
senza incidere sulla proverbiale bontà dei vini. Qualche esempio? La vernaccia, che rappresenta un po’ il
simbolo del vino sardo: dicono che il nome derivi dal latino vite vernacula, quindi originaria del luogo, come
scriveva lo storiografo romano Marco Giulio Columella.
Ma esistono riscontri storici sull’esistenza del celebre
vino già a Tharros, l’antichissima città punico-romana
di cui oggi restano maestose vestigia. Un prodotto di
tradizione millenaria, dunque. Che ancor oggi nasce secondo le regole antiche in una superficie di milleduecento ettari per non più di quarantamila ettolitri all’anno. La vernaccia, spiegano gli esperti, raggiunge la sua
piena maturità verso il terzo anno di vita, ma un invecchiamento più lungo le fa acquisire un profumo intenso
Scorci pittorici di straordinaria suggestione intorno a Cabras
lo stagno che, per la sua estensione, in antico era chiamato mare
Nella pagina precedente: la torre, i fichidindia, la terra arsa dal sole, quasi un’oleografia studiata ad arte per la delizia di fotografi
e di pittori della domenica; è invece uno dei mille aspetti di questa straordinaria provincia, che trova nello stagno di Cabras,
in antico chiamato addirittura mare, “mar’ ’e Pontis”, un grande motivo di richiamo, non lontano dalle stupende vestigia di Tharros.
Sotto: particolare della parrocchiale di Santa Maria, a Cabras, costruita nel Cinquecento, ma ristrutturata nel Seicento.
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nel tempo la propria identità e le proprie terre. Paesaggi emozionanti, pieni di sorprese e di incontri inattesi.
Girare per i paesi, risalire pian piano fino alle contrade
del Montiferru, tuffarsi nelle dune del Sinis attraverso
il borgo di San Giovanni e tornare alla piana del Campidano, per deviare magari verso il poco conosciuto ma
spettacolare nuraghe S’Uraki, vicino a San Vero, significa compiere un grande salto all’indietro, nel passato re-
Freddo è meglio
Ecco gli ingredienti di un’apprezzata specialità oristanese, la burrida: gattuccio di mare, olio, prezzemolo,
aglio, sale, noci, aceto, pane grattugiato. Si taglia a
pezzi il gattuccio di mare; dopo averlo spellato e tagliato a trance, si fa lessare in acqua salata assieme al
fegato. Quando tutto è cotto si pesta il fegato con un
po’ di noci. Poi si fa un soffritto in olio d’oliva e di
prezzemolo, aglio, al quale si unisce anche il fegato
con le noci. Si fa cuocere ancora un poco e lo si unisce
caldissimo al gattuccio. Quando tutto è freddo, si fa
una salsa densa con aceto e pane grattugiato, che si
versa sul gattuccio. Lasciare quindi riposare il tutto,
in modo che s’impregni dei vari sapori, almeno per
dodici ore in un recipiente coperto. Uno strano campanile duecentesco con cupola a cipolla
Sopra: la cupola e la parte superiore di una delle due cappelle neoclassiche del duomo di Oristano edificato nel 1228.
Sotto: della stessa cattedrale, spicca isolato, in primo piano, il campanile in conci d’arenaria.
Rimane la torre
La massiccia torre di San Cristoforo,
conosciuta anche come torre
di Mariano II (il giudice che nel 1291
la fece erigere) è ciò che oggi
rimane della cinta muraria di Oristano.
A pianta quadrilatera, costruita
in blocchi di arenaria, è caratterizzata
da una singolare torretta
che contiene una campana datata 1430.
che nella zona di produzione viene detto murruali.
Cose d’altri tempi che coincidono con quelli di oggi.
Un patrimonio che Oristano e la sua provincia possono
vantare e offrire con orgoglio. Tutto com’era: il mare, le
spiagge, le campagne, gli stagni, le feste popolari. È come se la terra della giudicessa Eleonora d’Arborea
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avesse scelto di fermarsi, per guardare con distacco la
corsa a perdifiato della Sardegna verso una ricchezza rimasta lontanissima. Forse non è stata una scelta, ma
una conseguenza inevitabile degli eventi economici e
sociali. Di certo questa provincia, ancora così estranea
ai grandi flussi turistici, è riuscita a mantenere intatte
Tridentino, austero, solenne e rifatto
A sinistra: particolare del campanile a pianta quadrata della cattedrale
di Santa Giusta, in gran parte rifatto; è stato costruito un secolo fa al posto
dell’armonioso campaniletto a vela che esisteva in precedenza.
Sotto: lo stemma sull’architrave della finestra sovrastante l’armonioso
portale del seminario Tridentino, vicino al duomo di Oristano.
Foto in basso: la facciata del seminario Tridentino, edificio imponente
e di austera solennità, ultimato nel 1712, ma completamente
rifatto, in diverse riprese, fra il 1744 e il 1834 e più tardi sopralzato.
Santa Giusta, il prototipo di tante altre chiese della Sardegna
Appena fuori Oristano sorge Santa Giusta, la grande cattedrale romanica, costruita nel 1135-1145 in conci d’arenaria.
Di forme fondamentalmente pisane con influssi lombardi nella facciata e arabeggianti in alcune parti ornamentali, è stata il prototipo
di numerose altre chiese della Sardegna. L’interno, austero e solenne, è a tre navate su colonne di marmo e di granito.
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moto, per ritrovare una Sardegna che non c’è più. Ed è
per questo che la provincia di Oristano, oggi la meno
considerata dagli operatori turistici nazionali e internazionali, può candidarsi a diventare un obiettivo straordinario per chi cerca una vacanza diversa. Forse meno
comoda, di certo più vicina all’idea di un’esperienza a
contatto con la natura. D’altronde chi cercasse i paesaggi dorati della Costa Smeralda qui resterebbe deluso.
Ma potrebbe rifarsi godendo di altre meraviglie. I monumenti, per esempio: pozzi sacri, stele, complessi nuragici di importanza mondiale. Un percorso lunghissimo attraverso i secoli che parte dal ricco centro storico
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Un museo nato per amore
L’Antiquarium Arborense è il frutto di un lavoro quasi
maniacale, condotto nell’arco di una vita da un avvocato di nome Efisio Pischedda. Nato e cresciuto a Oristano fu questo giovane giurista a cogliere l’auspicio
del padre dell’archeologia sarda, il canonico Giovanni
Spano, che già nel 1851 nelle sue Notizie sull’antica
città di Tharros aveva espresso una speranza allora
legata al filo dell’incertezza: un museo, una grande
raccolta organizzata di quanto le rovine del centro punico-romano avevano offerto ai ricercatori. Il museo
venne inaugurato il 28 novembre del 1992 ed è oggi
strutturato su due livelli: al piano terra si svolgono le
mostre temporanee, al piano superiore si trovano le
sale delle collezioni archeologiche, della pinacoteca e
delle collezioni storiche. Prima collocate come semplice esposizione, ora le raccolte sono sistemate secondo
un ordine cronologico che nell’insieme traccia una linea fra gli eventi storici dell’isola. Chi volesse conoscere da vicino la città di Tharros può ammirare il
grande plastico ricostruttivo del centro punico romano, com’era al principio del IV secolo. Famosa fin dal tempo dei Fenici
Sopra e nella foto grande: i resti della città fenicia di Tharros,
il sito giustamente più famoso della provincia di Oristano.
Tharros venne fondata alla fine dell’VIII secolo avanti Cristo.
I Cartaginesi, subentrati nel VI secolo avanti Cristo,
la trasformarono nella “Cartagine di Sardegna”, con un’impronta
di grande città, con mura turrite, templi monumentali,
abitazioni con provvidenziali cisterne d’acqua, botteghe artigiane
di maestri orafi, finché la conquista romana della Sardegna
nel 238/237 avanti Cristo non ne segnò l’inizio della decadenza.
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La storica Carta
della giudicessa
Gianmario Marras
Piazza Eleonora, ad Oristano,
con il monumento marmoreo dedicato
alla giudicessa Eleonora d’Arborea
e sul quale s’affaccia il seicentesco
palazzo Comunale, all’origine
convento degli Scolopi, ristrutturato
nelle attuali linee neoclassiche
ai primi del ’900 da Antonio Cano.
Alla figura della giudicessa
è legata la famosa “Carta de Logu”,
promulgata attorno al 1390,
simbolo e sintesi di una concezione
statale totalmente sarda,
anche se di diretta derivazione romana.
La Carta comprendeva un codice
civile, un codice penale e uno rurale,
per complessivi 198 capitoli,
e segnava una tappa fondamentale
verso i diritti d’uguaglianza.
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di Oristano e dal curatissimo Antiquarium Arborense
per condurre fino a Tharros, dove s’incontrano la civiltà
punica e quella romana. Una città sul mare, nel Capo
San Marco, proprio all’estremità della penisola del Sinis, che fu un porto fiorente fino all’anno Mille, quando
venne abbandonata per ragioni misteriose. Di quel centro popoloso e organizzato oggi resta una distesa sterminata di rovine, strade, i resti dell’acquedotto, due
grandi edifici termali cui si accede seguendo il cardo
maximus, l’antica strada romana. Un’immagine suggestiva, incorniciata in un mare dall’azzurro intenso, sempre increspato dal vento. Tharros è già oggi una meta
culturale e turistica di grande richiamo. Anche se paga
la lontananza dal grande circuito tradizionale delle vacanze. Ma la storia di Oristano e della sua provincia è
legata soprattutto a Eleonora d’Arborea, la giudicessa
che lotta strenuamente contro il dominio degli Spagnoli. A lei si deve la Carta de logu, una raccolta di leggi ancor oggi straordinariamente attuali. Sempre alla sua figura ormai entrata nel mito si riconduce il ruolo di rilievo che ha nell’isola la donna, nella famiglia ma anche
nella società. Quel matriarcato che segna in modo netto
i passaggi storici e culturali della Sardegna e che sopravvive soprattutto nei centri dell’interno.
Chi immaginasse una terra deserta e selvaggia però si
sbaglia. Al contrario di quanto avviene in altre province
dell’isola, solo una piccola parte del territorio non è
Le tipiche capanne di Sinis
fatte con canne, tronchi e fascine
In alto: il monumento ad Eleonora d’Arborea, ad Oristano,
opera del fiorentino Achille Cambi, inaugurato nel 1881.
Qui sopra e a destra: l’esterno dell’antica chiesa paleocristiana
di San Giovanni di Sinis e il suggestivo interno a tre navate.
La chiesa, sorta in età bizantina intorno al VI secolo, con pianta
a croce greca e corpo copulato centrale, fu poi ampliata
nell’assetto attuale nel IX-X secolo con l’aggiunta dell’avancorpo
a tre navate, passando così da croce greca a croce latina.
Foto in alto nella pagina seguente: a sinistra, una capanna
di pescatori a San Giovanni di Sinis, costruita sulla costa
con canne e fascine, tenute insieme da un telaio di tronchi;
a destra, sempre nella zona di Sinis, una vecchia torre.
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Una vera tavolozza di colori
L’incredibile tavolozza della costa del Sinis, verso lo stagno
di Cabras, che per la sua estensione ha meritato
in passato la denominazione di mare, “Mar’ ’e Pontis”,
ad indicare anche l’importanza del ponte romano
collegato a Tharros. Il paesaggio dolce e solenne della penisola
del Sinis, a seconda delle stagioni, offre multiformi
mutazioni di colori che vanno dal verde azzurro delle acque
alle varie gradazioni del verde maculato dei fiori.
S’Uraki e Losa, due famosi nuraghi risalenti all’età del bronzo
Nella prima foto della pagina precedente: blocchi di basalto del complesso nuragico S’Uraki, uno fra i più vasti della Sardegna.
Nell’altra foto e qui sotto: il nuraghe Losa (seconda metà del secondo millennio avanti Cristo), presso Abbasanta,
monumento preistorico fra i più importanti, si articola in una torre centrale a due piani con bastione trilobato e cinta muraria.
Le spericolate, selvagge acrobazie a cavallo della Sartiglia
Fotografie di Giovanni Rinaldi
La Sartiglia nel Carnevale di Oristano (nelle foto) è una
corsa selvaggia ed emozionante. L’origine è una giostra militare saracena, appresa forse dai cavalieri cristiani della
seconda crociata e importata in Europa nel XII secolo. Gli
oristanesi se ne innamorarono quando videro le evoluzioni
dei soldati di Pietro D’Aragona, nel 1323, coi quali dovettero vivere i nove lunghi mesi dell’assedio stretto attorno a
Villa di Chiesa. Il nome è di derivazione spagnola e per un
secolo e mezzo quella giostra così emozionante restò un
gioco riservato ai cavalieri d’alto rango. Poi, col passare
dei decenni, entrò nelle tradizioni del Carnevale e comparvero le maschere, forse per l’odio profondo che gli oristanesi avevano maturato nei
confronti del dominio aragonese. E la partecipazione fu estesa a chiunque fosse in grado di compiere le spericolate acrobazie a cavallo, che ne sono l’aspetto più caratterizzante. La storia di Oristano d’altronde sembra essere rappresentata dal cavallo.
Le altre due grandi manifestazioni folcloristiche della provincia, l’Ardia di Sedilo e
“Sa carrela ’e nanti” di Santu Lussurgiu, non sono che emozionanti tornei per cavalieri mascherati per le vie del centro. In queste corse folli su percorsi mozzafiato si mettono in mostra giovani che spesso diventano i protagonisti del celebre Palio di Siena.
Giovani di straordinaria abilità e prestanza, nati e cresciuti coi cavalli e capaci di compiere con essi qualsiasi impresa. 166
Testimonianze
di una vita remota
Il primato del nuraghe Losa
(in sardo “losa” significa “tomba”)
è dovuto all’eccezionale
complessità della costruzione.
La cinta muraria, dotata
di torri, racchiudeva sia il fortilizio
sia il villaggio di capanne.
All’esterno della muraglia, ad ovest,
è stata individuata una tomba
dei giganti, che integrava il complesso
nuragico. In passato, gli scavi
archeologici hanno consentito il recupero
di importanti reperti, ora conservati
al Museo nazionale di Cagliari ed anche
nel piccolo ma ricco Antiquarium
nell’area di Losa, dove sono esposti
alcuni interessanti oggetti
a testimonianza dell’età nuragica
fino al periodo altomedievale.
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Smontata e rimontata
A sinistra: la chiesa di San Pietro, a Zuri.
Questo tempio, con notevolissimi
fregi romani e campaniletto a vela su arcate,
realizzato nel 1291 da Anselmo da Como,
ha una storia singolare e molto avventurosa.
L’edificio, di forme romanico-lombarde,
subì nel Trecento il rifacimento dell’abside
in stile gotico-catalano. Nel ’500,
con la costruzione del campanile, si rifece
la parte superiore della facciata.
Infine, nel 1922-1923, la chiesa di San Pietro
stava per essere sommersa dalle acque
del lago Omodeo. Allora, pezzo per pezzo,
l’edificio venne smontato con cura
e rimontato più a monte, salvando così
il prezioso insieme architettonico.
Nelle foto sotto e in basso: fregi e capitelli
sui pilastri delle tre arcate esterne.
Il pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino
Il pozzo del santuario nuragico di Santa Cristina di Paulilatino, che si presume risalente al X secolo avanti Cristo,
situato nell’ambito d’un villaggio di carattere sacro; si compone d’un vestibolo a forma rettangolare, di una scalinata in discesa
e d’un pozzo vero e proprio, sormontato da una “tholos”, tipica dell’architettura mediterranea arcaica.
produttiva. L’olivo è secondo solo alla vite nella graduatoria delle coltivazioni più diffuse, ma un ruolo fondamentale va attribuito all’allevamento, vera colonna dell’economia sarda. Pecore, poi vacche, suini e capre. A
parte, l’arte del cavallo. Da queste parti un vero amico
dell’uomo, utile per il lavoro, gli svaghi e purtroppo anche per la produzione di carne. Chi non teme la fatica
potrebbe provare a compiere la traversata “da costa a
costa” dell’isola, partendo da Oristano per arrivare al
mare strabiliante dell’Ogliastra. È un modo diverso di
fare turismo, certo non troppo riposante ma senz’altro
adatto a chi vuole un contatto con la natura senza mediazioni. Natura, sempre natura e tradizioni. Oristano è
Sardegna sino in fondo, niente da queste parti s’allontana dalle radici storiche del popolo isolano. Si può andare verso nord, fino a Paulilatino, fino ad Abbasanta, per
trovare il nuraghe Losa, il più grande dell’isola. Oppure giù, fino alle terme romane di Fordongianus.
Ma dappertutto compaiono i segni del passato, a testimoniare un’appartenenza forte e incrollabile a stili di
vita lontani nel tempo eppure ancora attualissimi. Capaci di mantenere la propria grandezza e dignità anche
all’interno di una città moderna e disincantata come
Oristano. La conferma viene dal palazzo Arcivescovile,
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costruito dai piemontesi e rimaneggiato nel XX secolo.
Ancor più dal duomo con il suo campanile del XVI secolo, segnato dalle tracce remote dell’epoca giudicale e
persino del gotico. In piazza Roma, nel cuore pulsante
del capoluogo, la torre di Mariano II ricorda agli oristanesi il dominio pisano del XIII secolo. È la sola traccia
dell’antica cinta muraria, distrutta come sono andate distrutte chissà perché tutte le altre fortificazioni cittadine nell’isola. Chi volesse ammirare un esempio davvero esaltante del romanico nell’isola non ha che da percorrere pochi chilometri per arrivare a Santa Giusta, un
piccolo paese costruito, a quanto sembra, sui resti del
centro punico di Othoca. La cattedrale omonima risale
al 1135 e rappresenta un riferimento culturale e artistico
importantissimo. Natura, arte, storia, tradizioni, folclore, cavalli, gastronomia, prodotti della terra e del mare:
se almeno nella provincia di Oristano si riuscisse a organizzare un giusto mix di queste componenti per offrirlo in modo corretto sul mercato mondiale delle vacanze, l’esempio sarebbe importantissimo. Perché dimostrerebbe che quanto i veri custodi dell’ambiente sostengono da sempre, lo sviluppo compatibile, si può
realizzare. Costruire strutture turistiche umane su un
territorio quasi selvaggio è teoricamente più semplice,
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Detenne a lungo il primato di maggiore lago artificiale d’Europa
Sotto: il lago Omodeo, formato dal Tirso, accanto a Ghilarza. Realizzato fra il 1918 e il 1924, dall’ingegner Angelo Omodeo
detenne a lungo il primato di maggiore lago artificiale d’Europa. Ha una lunghezza di oltre venti chilometri
e una larghezza massima di tre. È importante per la produzione d’energia elettrica e per irrigare il Campidano di Oristano.
Saporita ricetta di pescatori
Ingredienti per la tipica ricetta della merca oristanese:
muggini, sale, ziba (nella foto: i pesci salati e insaporiti
di erbe palustri). Si prendono le muggini (preferite quelle piccole chiamate birinbua), si lessano o si arrostiscono
e si salano più o meno a seconda di quanto devono durare
(massimo cinque giorni). Si avvolgono una per una in
un’erba palustre detta ziba, dove devono stare almeno
ventiquattr’ore. Questa è una preparazione tipica dei pescatori degli stagni attorno ad Oristano perché, stando al
largo anche diversi giorni, hanno la necessità di conservare il pesce sino al loro rientro. 172
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C’è anche una foresta pietrificata
Il caviale del Mediterraneo
Vittorio Giannella
Non solo pesce, dai ricchi stagni di Cabras. Ma comunque una varietà di piatti a base di prodotti del mare e degli stagni, compresi mitili e crostacei. La specialità per eccellenza è la bottarga, diffusa in tutta Italia.
Il “caviale del Mediterraneo”, uno dei più squisiti antipasti della cucina nazionale (e, macinato, ideale sugli spaghetti), si ottiene prelevando le uova di muggine, un pesce molto diffuso nel golfo di Oristano. Le
uova vengono salate e pressate fortemente tra due legni. Altra pietanza tipica è la panada, un calzone di
pasta ripieno di anguille oppure di verdure. Celebre il
pane decorato, soprattutto quello di Ghilarza, Paulilatino, Fordongianus e Sedilo (nella foto: una mugnaia
di Paulilatino). Nel Montiferru si produce su zicchi,
pagnotte attaccate fra loro con una pagnotta segnata
a metà, sa covazzedda, focaccia con il buco. Inoltre
non si può ignorare
il formaggio pecorino, piccante e saporito; e i dolci, come i
gueffus a base di
mandorle, i mostaccioli, le zippulas e
gli amaretti.
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Sopra: tipico villaggio di case tradizionali a Santa Cristina.
Qui sotto: uno scorcio del lago Omodeo, non lontano
dal nuraghe di Losa; è un luogo ricco di interessanti attrattive,
come la foresta fossile vecchia di cinquanta milioni di anni,
nel tratto dove le acque hanno sommerso l’abitato storico di Zuri,
o la diga di Santa Chiara, che ha creato il bacino artificiale,
o Ghilarza, il “paese di Gramsci”, forse di origine fenicia, o il Museo
degli strumenti musicali nella casa parrocchiale di Tadasuni.
purché si resista alla tentazione di abbandonarsi alla
speculazione e ai guadagni facili. Diventa ancora più
semplice se all’offerta di un soggiorno nella Sardegna
reale corrisponde una domanda fondata sugli stessi criteri, prima di tutti l’intelligenza. Giovanni Adarocchi
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Dove, come, quando
Qui a tavola il pesce è re
Crostacei, frutti di mare e la celebre bottarga
fra le più famose pietanze della zona
ALBERGHI
Oristano: Mistral, via Martiri di
Belfiore (0783.212505), singola 65/80
mila lire, doppia 100/130 mila; Villa
delle Rose, piazza Italia (0783.
310101) singola 60/80 mila lire, doppia 90/130 mila lire; Mistral 2, via
XX Settembre (0783.210389), singola
80/105 mila lire, doppia 130/160
mila lire compresa la colazione.
Cuglieri: S’Istella, corso Amsicora
(0785.38484), in località S’Archittu,
singola con mezza pensione 80/90
mila, doppia 70/80 mila lire; La
Baja, via Scirocco (0785.38105), singola 70/90 mila lire, doppia 80/120
mila lire.
Arborea: Ala Birdi, strada 24
(0783.801083), singola 100/120 mila
lire, doppia 160/190 mila.
Marina di Torregrande: Del Sole,
via Duca degli Abruzzi (0783.
22000), singola 110 mila lire, doppia
180 mila.
Tresnuraghes: Piccolo Alabe, località Porto Alabe (0785.359056), singola 60/80 mila lire, doppia
100/120 mila.
Marco Crillissi
O
ristano si può raggiungere da Cagliari e da Sassari
percorrendo la statale 131
Carlo Felice. Non c’è un
aeroporto e neppure un
porto marittimo: quelli
più vicini sono gli scali aerei di Cagliari-Elmas, che dista una novantina di chilometri, e quello di Alghero-Fertilia, a 150 chilometri. I porti
sono quelli di Cagliari e di Porto
Torres.
Sopra e sotto: i resti delle terme romane
di Fordongianus, costruite forse
nel I secolo dopo Cristo e alimentate
da sorgenti calde ancora attive.
RISTORANTI
A Oristano e nel suo territorio si
possono assaggiare alcune fra le più
gustose pietanze sarde a base di pe-
Piero Pes
Marco Crillissi
Gli aerofani, strumenti a fiato o ad aria, fanno parte dell’importante Museo
di strumenti musicali, ordinati nella casa parrocchiale di Tadasuni, vicino a Oristano.
176
USE
sce, di crostacei e di frutti di mare,
compresa la celebre bottarga.
Oristano: Da Salvatore, via Carbonia 1 (0783.357134); il Faro, via Bellini 25 (0783.70002); La Forchetta d’oro,
via Giovanni XXIII (0783.302731);
Craf, via De Castro 34 (0783.70669);
Da Giovanni, via Colombo 8, località
Torregrande (0783.22051).
Siamaggiore: Renzo, al chilometro
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Dove, come, quando
Gianmario Marras
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I MONUMENTI DELLA STORIA
Dopo Tharros, la grande e suggestiva città punico-romana di cui sono rimaste imponenti rovine sulla
A sinistra: la bottarga,
tipica specialità sarda ormai
celebre in tutta Italia.
Sotto: sapori e buon gusto.
costa oristanese, gli appassionati
dell’archeologia hanno un’altra meta inevitabile: le terme romane di
Fordongianus, un complesso di ruderi che risalgono al primo secolo
dopo Cristo. I resti più interessanti
sono quelli della piscina, dove l’acqua calda fluisce ancor’oggi da una
bella fonte a forma di testa leonina.
NURAGHE LOSA
È il più grande e maestoso dell’isola: al bivio che dalla Statale 131
Carlo Felice verso Abbasanta, imboccando una deviazione dalla carreggiata maggiore.
LA CASA DI GRAMSCI
A Ghilarza, paese d’infanzia del
pensatore e uomo politico Antonio
Gramsci, in corso Umberto 57. Qui
Gramsci, fondatore del partito comunista italiano, visse dal 1898 al
L’accogliente sala del ristorante Il Faro
di Oristano: tipiche le specialità isolane.
Clementina Frigo e Rita Marongiu
99.200 della Carlo Felice statale 131
(0783.33658). Il conto va dalle 40 alle
60 mila lire.
Cuglieri: Meridiana, via Littorio 1
(0785.39400), conto medio, 40 mila
lire; Pedras Longas, sulla statale 292
(0785.38433).
Cabras: Sa Funtà, via Garibaldi 25
(0783.290685); Al Caminetto, via Cesare Battisti 8 (0783.391139), 35/40
mila lire.
Terralba: Cipò
Qibo, via Marceddì 193 (783.
83730).
Ghilarza: Da
Marchi, via Concezione 4 (0785.
52280), circa 40
mila lire.
MUSEI
Oristano: Antiquarium Arborense,
via Vittorio Emanuele, palazzo Parpaglia (0783.74433-791262), orario
continuato dalle 9 alle 20, ingresso
6000 lire. Sono conservati fra l’altro
i reperti punici e romani dell’antica
città di Tharros.
Cabras: Museo Civico, via Tharros
(0783.391999) tutti i giorni su richiesta, tranne il lunedì.
Arborea: Collezione civica archeologica, viale Omodeo 1, palazzo comunale (0783.80331), dalle 9 alle 13,
il lunedì e martedì anche dalle 15.30
alle 18.30, domenica chiuso.
Tadasuni: raccolta di strumenti
musicali della tradizione sarda, via
Adua 7, nella casa
parrocchiale.
Santulussurgiu:
Museo della tecnologia contadina, via
Deodato Meloni 2
(0783.550617), sono
esposti 1400 strumenti da lavoro e
oggetti di uso quotidiano dei secoli
scorsi. Ingresso su
appuntamento.
Paulilatino: Museo archeologico ed etnografico, via
Nazionale/via Barione, palazzo Attori(0336.811756). Orari dal mese di
maggio a settembre: 9-13 e 17-20.
Lunedì chiuso.
Gianmario Marras
Nelle due foto sotto: l’hotel Ala Birdi,
immerso in una folta pineta,
uno dei più attrezzati centri equestri.
1914, mentre la famiglia vi abitò fino al 1937. Nelle stanze vengono
custoditi ed esposti oggetti, libri e
opuscoli appartenuti a Gramsci.
INFORMAZIONI
Oristano: Informacittà del Comune, piazza Eleonora (0783.
791306) E-mail: <[email protected]>; Ente provinciale per il turismo,
via Cagliari 278 (0783.
74191).
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un modo diverso di fare turismo