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LOS ANGELES NEW YORK
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The Blood of Olympus
Ai miei meravigliosi lettori.
Mi dispiace per l’interruzione dell’ultima volta.
Cercherò di evitare un’eventuale interruzione in questo libro.
Beh, tranne forse un paio di piccole volte...
perché vi amo ragazzi.
Sette semidei alla chiamata risponderanno,
Fuoco o tempesta il mondo cader faranno.
Con l’ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere
E alle porte della Morte, i nemici armati si dovranno temere.
Il PDF è stato tradotto per il blog: Key_Lost_Key
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Questa versione è stata tradotta dalla versione Britannica del libro. NON E’ UNA TRADUZIONE UFFICIALE.
Per una lettura ottimale si consiglia l’acquisto del PDF ufficiale della Mondadori, quando uscirà.
Si consiglia di non custodire questo PDF quando il libro sarà edito in Italia.
[PS. Nel libro potrebbero esserci delle imprecisioni, specie sul nome degli Dei, che abbiamo preferito
mantenere in originale inglese (perlomeno per quelli presenti solo in questo volume) per mantenere i
giochi di parole, nomignoli o comodità. La scelta è stata presa durante la traduzione (scelta qualche volta
dimenticata), quindi potrebbe capitare che troviate un dio sia con il suo nome tradotto, che con il nome
inglese.]
INDICE CAPITOLI:
Jason
I - II - III - IV
Reyna
V - VI - VII - VIII
Leo
IX - X - XI - XII
Nico
XIII - XIV - XV - XVI
Piper
XVII - XVIII - XIX - XX
Reyna
XXI - XXII - XXIII - XXIV
Jason
XXV - XXVI - XXVII - XXVIII
Nico
XXIX - XXX - XXXI - XXXII
Leo
XXXIII - XXXIV - XXXV - XXXVI
Reyna
XXXVII - XXXVIII - XXXIX - XL
Piper
XLI - XLII - XLIII - XLIV
Nico
XLV - XLVI - XLVII - XLVIII
Jason
XLIX - L - LI - LII
Nico
LIII - LIV - LV - LVI
Piper
LVII
Leo
LVIII
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Jason odiava essere vecchio.
Le sue articolazioni dolevano. Le gambe tremavano. Mentre cercava di risalire la collina, i
suoi polmoni crepitavano come delle rocce in una scatola. Non poteva vedere il proprio
volto, grazie agli dei, ma le sue dita erano nodose e ossute. I dorsi delle mani erano
percorsi da vene blu sottopelle. Aveva anche quell’odore tipico di un vecchio — naftalina e
brodo di pollo. Com’era possibile? Era passato dai sedici ai settantacinque anni in pochi
secondi, ma l’odore di vecchio era comparso all’istante, come un’esplosione.
Congratulazioni! Tu puzzi!
“Ci siamo quasi” Piper gli sorrise. “Stai andando bene.” Facile per lei dirlo. Piper e
Annabeth erano travestite con vesti da schiavi che servivano i greci. Anche nelle loro vesti
bianche e sandali stringati, non avevano problemi a sorpassare le rocce. I capelli color
mogano di Piper erano appuntati indietro con un intreccio a spirale. Dei braccialetti
d’argento le adornavano le braccia. Assomigliava ad un’antica statua di sua madre,
Afrodite, cosa che Jason trovò un po’ intimidatoria.
Stare con una bella ragazza era sufficientemente snervante. Stare con una ragazza la cui
madre è la dea dell’amore… beh, Jason stava sempre cauto per paura di poter fare qualcosa
di poco romantico, e che la mamma di Piper gli mandasse una qualche maledizione che lo
avrebbe trasformato in un maiale selvatico.
Jason guardò la salita. Il vertice distava ancora un centinaio di metri.
“L’idea peggiore di sempre.” Si appoggiò a un albero di cedro e si asciugò la fronte. “La
magia di Hazel è a dir troppo efficace. Se ci ritroveremo a combattere, sarò inutile.”
“Non si arriverà a questo,” promise Annabeth. Sembrava a disagio nel suo vestito da
servitrice. Continuava a tenere le spalle incurvate per fare in modo che il vestito non
scivolasse. I suoi capelli biondi erano rivolti all’indietro legati in uno chignon con delle
ciocche che ricadevano come lunghe zampe di ragno. Conoscendo il suo odio verso i ragni,
Jason decise di non parlarne. “Ci infiltreremo nel palazzo,” disse. “Troveremo le
informazioni di cui abbiamo bisogno, e poi ce ne andremo.” Piper posò la sua anfora, un
vaso alto di ceramica per il vino in cui aveva nascosto la sua spada. “Possiamo fermarci per
qualche secondo. Riprendi fiato, Jason.”
Prese la cornucopia — il magico corno dell’abbondanza — dalla corda che aveva legato in vita.
Nascosto da qualche parte tra le pieghe del suo vestito c’era il suo pugnale, Katoptris. Piper
non sembrava pericolosa, ma se ce ne era bisogno, poteva duellare con la lama di bronzo
celeste o sparare dei manghi maturi in faccia ai nemici. Annabeth calò la sua anfora dalle
spalle. Anche lei vi aveva nascosto una spada; ma anche senza un’arma visibile, sembrava
mortale. I suoi tempestosi occhi grigi scansionarono i dintorni, allarmati per qualsiasi
minaccia. Se qualche tizio avesse chiesto ad Annabeth qualcosa da bere, Jason capì che era
probabile che scalciasse il tizio giù dal bifurcum.
Cercò di calmare il suo respiro.
Sotto di loro, la Baia di Afales scintillava, l’acqua così blu che sembrava tinto con colori per
alimentari. A poche centinaia di metri sulla costa, l’Argo II riposava ancorata. Le vele
bianche sembravano degli enormi francobolli, i suoi remi degli stuzzicadenti.
Jason immaginò i suoi amici sul ponte a seguire i loro progressi, alternandosi al
cannocchiale di Leo, cercando di non ridere mentre guardavano nonno Jason zoppicare
per la salita. “Stupida Itaca”, mormorò.
Pensava che l’isola fosse abbastanza carina. Una catena di colline boscose ne percorreva il
centro. I bianchi pendii calcarei si immergevano nel mare. Le insenature formavano
spiagge rocciose dove sorgevano case dai tetti rossi e i muri bianchi.
Le colline erano punteggiate di papaveri, cespugli e alberi di frutti selvatici. La brezza
odorava della fioritura dei mirtilli. Era tutto fantastico — tranne la temperatura che era di
circa centocinque gradi. L’era era piena di vapore come se fossero in una sauna romana.
Sarebbe stato facile per Jason controllare i venti e volare verso la cima della collina, ma
nooo.
Per il fatto che dovessero essere cauti, dovette allungare il viaggio come vecchio tizio con
delle brutte ginocchia e puzzo di brodo-di-pollo.
Pensò alla sua ultima scalata, due settimana prima, quando Hazel aveva affrontato il
bandito Scirone sulle montagne della Croazia.
Annabeth sistemò la sua cintura d’oro. “Spero che i nostri travestimenti reggano. I proci
erano davvero pessimi con i travestimenti quando erano in vita. Se scoprono che siamo
semidei—” “La magia di Hazel funzionerà,” disse Piper. Jason cercò di crederci.
I proci:
Un centinaio dei più golosi, cattivi tagliatori-di-gole mai esistiti. Quando Ulisse, il greco re di Itaca, era
scomparso dopo la guerra di Troia, questa bella combriccola di mascalzoni aveva invaso il suo palazzo e si
rifiutò di andarsene, ognuno sperava di sposare la regina Penelope per impadronirsi del regno.
Ulisse era riuscito a tornare in segreto uccidendo tutti — il tipico felice ritorno a casa. Ma se le visioni di
Piper erano giuste, i proci erano tornati, tormentando il posto dove sono morti. Jason non riusciva a
credere che stesse per visitare il palazzo di Ulisse — uno dei più famosi eroi greci di tutti i tempi. Ancora
una volta, tutta quella missione era stata un evento strabiliante dopo l’altro. Annabeth era appena tornata
del baratro eterno del Tartaro. Dopo tutto, Jason decise di non doversi lamentare di essere un vecchio.
“Bene . . .” Si appoggiò al suo bastone da passeggio.
“Se sembro così tanto vecchio come mi sento, penso che il mio travestimento sia perfetto.
Andiamo.”
Mentre salivano, il sudore gli colava lungo il collo. I suoi polpacci facevano male.
Nonostante il caldo, cominciò a tremare. E nonostante ci provasse, non riusciva a fare a
meno di pensare ai sogni fatti di recente. Dalla Casa di Ade, erano diventati più vividi.
A volte Jason stava nel grande tempio sotterraneo di Epiro, il gigante Clitio che incombeva
su di lui, parlando in un coro di voci spettrali:
C’è voluta la forza di tutti per sconfiggere me.
Cosa accadrà quando Madre Terra aprirà gli occhi?
Altre volte lo stesso Jason si trovava in cima alla collina Mezzosangue. La Madre Terra Gea
che si alzava — una figura fatta di terra,foglie e pietre.
Povero bimbo.
La sua voce risuonava attraverso il paesaggio, scuotendo il terreno sotto i suoi piedi.
Tuo padre è il primo tra gli dei, ma tu sei sempre il secondo migliore — dai tuoi compari i
Romani, ai tuoi amici Greci, anche per la tua famiglia. Come puoi apprezzare te stesso?
Il peggior sogno era iniziato nel cortile della Casa del Lupo a Sonoma. Prima di lui c’era la
dea Giunone, di un incandescente argento fuso brillante.
La tua vita mi appartiene, tuonò la sua voce.
Un dono di Zeus.
Jason sapeva che non avrebbe dovuto guardare, ma non riusciva a chiudere gli occhi
mentre Giunone si trasformava in una super-nova, rivelando la sua vera forma divina.
Il colore bruciò la mente di Jason. Il suo corpo si corrodeva per strati come una cipolla.
Poi la scena cambiava. Jason era ancora alla Casa del Lupo, ma adesso era un bambino,
non aveva più di due anni. Una donna era inginocchiata davanti a lui, il suo profumo di
limone era così famigliare. I suoi tratti erano acquosi e indistinti, ma conosceva la sua
voce: luminosa e fragile, come un sottile strato di ghiaccio in un ruscello che scorre veloce.
Tornerò per te, caro,
Disse.
Ci rivedremo presto.
Ogni volta che Jason si risvegliava da quel sogno, il suo viso era imperlato di sudore. I suoi
occhi intrisi di lacrime.
Nico di Angelo li aveva avvertiti: La Casa di Ade avrebbe scaturito le loro memorie
peggiori, avrebbe fatto loro vedere e sentire cose del passato. I loro spiriti sarebbero
diventati irrequieti.
Jason aveva sperato che un fantasma in particolare sarebbe rimasto lontano, ma ogni notte
il sogno peggiorava. Ora si stavano arrampicando per le rovine di un palazzo dove era
raccolto un esercito di fantasmi.
Questo non significa che saranno lì. si disse.
Ma le sue mani non smettevano di tremare. Ogni passo sembrava sempre più difficile di
quello precedente.
“Ci siamo quasi”, disse Annabeth. “Andia—”
BOOM!
La collina tuonò. Da qualche parte sopra la cima, una folla urlò in segno di approvazione, come degli
spettatori di un Colosseo. Il suono fece accapponare la pelle di Jason. Non molto tempo prima, aveva
combattuto per la sua vita nel Colosseo Romano davanti ad un pubblico spettrale che faceva il tifo. Non
era ansioso di ripetere l’esperienza. “Che cos’era quell’esplosione?” si domandò.
“Non lo so,” rispose Piper. “Ma sembra come se si stessero divertendo. Andiamo a farci qualche amico
morto.”
II
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Naturalmente, la situazione era peggiore di quanto Jason si aspettasse.
Non sarebbe stato divertente altrimenti.
Sbirciarono attraverso gli alberi di ulivo in cima alla salita, e videro quello che sembrava
una festa di zombie fuori controllo.
Le rovine non erano poi così impressionanti: alcuni muri di pietra, un cortile centrale
pezzato da erbacce, un vicolo cieco scavato nella roccia. Alcuni fogli di compensato
coprivano un pozzo e un ponteggio metallico sosteneva un arco pieno di crepe.
Ma passando oltre le rovine c’era tutt’altra realtà – Un miraggio spettrale del palazzo che
sembrava essere nel suo periodo di massimo splendore. Le pareti rivestite in stucco bianco
con balconi rosa per i tre piani di altezza. Un colonnato di portici fronteggiava l’atrio
centrale, il quale aveva un’enorme fontana e dei bracieri di bronzo. C’erano una decina di
tavoli per i banchetti, e dei demoni ridevano e mangiavano spingendosi l’un l’altro nei
dintorni.
Jason si era aspettato un centinaio di spiriti, ma quelli erano almeno un migliaio, e stavano
dando la caccia a delle serve-spettro, rompendo piatti e bicchieri, e dandosi fastidio a
vicenda.
La maggior parte sembravano essere Lari del Campo Giove – spettri viola trasparenti con
tuniche e sandali. Alcuni dei festaioli avevano dei corpi decadenti con la pelle grigia, i ciuffi
di capelli arruffati e brutte ferite. Altri sembravano essere normalissimi morti viventi –
alcuni in toga, altri in moderna giacca-e-cravatta o mimetica militare. Jason avvistò anche
un ragazzo con la maglietta viola del Campo Giove, un legionario romano in armatura.
Nel centro dell’atrio, un demone grigio con una tunica greca a brandelli si infilava tra la
folla, che teneva un busto di marmo sopra la testa come fosse un trofeo sportivo. Gli altri
fantasmi applaudivano e gli davano pacche sulla schiena.
Mentre il demone si avvicinava, Jason notò che aveva una freccia in gola, la faretra che
spuntava dal pomo d’Adamo. Ma cosa ancora più inquietante: il busto che aveva in mano…
era quello di Zeus?
Era difficile esserne sicuri. La maggior parte delle statue degli dei Greci sembravano simili.
Ma la barba, il viso torvo ricordarono a Jason quelle del gigante Zeus hippie che aveva visto
nella sua cabina al Campo Mezzosangue.
“La nostra prossima offerta!” gridò il demone, la voce ronzante a causa della freccia in gola.
“Cerchiamo di nutrire la Madre Terra!”
I festaioli urlarono e scossero i loro calici. Il demone si diresse verso la fontana centrale. La
folla si divise, e Jason realizzò che la fontana non era riempita da acqua.
Dal piedistallo tripiede, un geyser di sabbia spuntò verso l’alto, formando un arco a forma
di ombrello che si riversava nella vasca circolare.
Il demone sollevò il busto di marmo sulla fontana. Non appena la testa di Zeus attraversò
la pioggia di sabbia, il marmo si disintegrò come se avesse attraversato una lamina per
legno. La sabbia scintillò come oro, prendendo il colore dell’icore – il sangue degli dei. Poi
l’intera montagna tuonò con un BOOM ovattato, come se ruttasse dopo il pasto.
I defunti partecipanti alla festa ruggirono con approvazione.
“Altre statue?” gridò il demone verso la folla. “No? Allora credo che dovremo attendere
qualche divinità reale da sacrificare!”
I suoi compagni risero e applaudirono mentre il demone si lasciò cadere nel tavolo da festa
più vicino.
Jason strinse il suo bastone da passeggio. “Quel tizio ha appena disintegrato mio padre.
Chi si crede di essere?”
“Credo che sia Antinoo,” disse Annabeth, “Uno dei proci. Il capo. Se non ricordo male,
Ulisse gli scoccò la freccia nel collo.”
Piper fece una smorfia. “Pensi che potremmo sottometterlo? E riguardo agli altri? Perché
sono così in tanti?”
“Non lo so,” disse Annabeth. “Le reclute più recenti per Gea, immagino. Alcuni devono
essere tornati in vita prima che chiudessimo le porte della morte. Alcuni sono solo spiriti.”
“Alcuni sono demoni,” disse Jason. “Quelli con le ferite aperte e la pelle grigia. Come
Antinoo… ne ho combattuti alcuni prima.”
Piper giocherellò con la sua piuma blu di arpia. “Possono essere uccisi?”
Jason ricordò di una ricerca che aveva fatto per il Campo Giove anni prima a San
Bernardino. “Non molto facilmente. Sono forti, veloci e intelligenti. Inoltre, mangiano
carne umana.”
“Grandioso,” mormorò Annabeth. “Non altre opzioni se non seguire il piano. Dividerci,
infiltrarci, scoprire perché sono qui. Se le cose vanno male – ”
“Seguiamo il piano di riserva.” disse Piper.
Jason odiava il piano di riserva.
Prima di lasciare la nave, Leo aveva dato a ciascuno di loro un razzo di emergenza della
grandezza di una candelina da compleanno. Probabilmente, se lo avessero gettato in aria,
sarebbe sparato verso l’alto in una striscia di fumo bianco, avvisando l’Argo II che la
squadra si trovava in difficoltà. A quel punto, Jason e le ragazze avrebbero avuto pochi
secondi per cercare una copertura prima che le catapulte della nave sparassero verso la
loro posizione, inghiottendo il palazzo con fuoco greco e raffiche di proiettili di bronzo
celeste.
Non era il piano più sicuro, ma almeno Jason avrebbe avuto la soddisfazione di sapere che
avrebbe potuto attuare un attacco aereo e i suoi amici sarebbero potuti scappare.
E supponendo che le candele apocalittiche di Leo non sarebbero partite per caso – le
invenzioni di Leo a volte lo facevano – in quel caso l’atmosfera sarebbe diventata molto
più calda, con una probabilità del novanta per cento di un’apocalisse di fuoco.
“State attente,” disse a Piper e ad Annabeth.
Piper strisciò verso il lato sinistro della cima della montagna. Annabeth andò sulla destra
Jason si tirò su con il suo bastone da passeggio e zoppicò verso le rovine.
Si ricordò dell’ultima volta che si era immerso in una folla di spiriti maligni, nella Casa si
Ade. Se non fosse stato per Frank Zhang e Nico di Angelo… Dei… Nico.
Negli ultimi giorni, ogni volta Jason aveva sacrificato una porzione del suo pasto a Giove,
pregandolo di aiutare Nico. Quel ragazzo ne aveva passate tante, eppure si era offerto
volontario per il lavoro più difficile: trasportare la statua di Athena Parthenos fino al
Campo Mezzosangue. Nel caso non ci fosse riuscito, i semidei romani e greci sarebbero
finiti per massacrarsi a vicenda.
Quindi, non importava ciò che sarebbe successo in Grecia, l’Argo II non avrebbe avuto
comunque una casa in cui tornare.
Jason passò attraverso l’arco spettrale del palazzo. Si accorse appena in tempo che una
sezione del pavimento davanti a sé era un illusione che copriva un buco profondo di dieci
metri. Lo schivò e continuò per il cortile.
I due livelli reali gli ricordarono la roccaforte dei Titani sul Monte Otri – un labirinto
disorientante dalle pareti di marmo nero che si scioglievano casualmente in ombra e si
solidificavano di nuovo. Almeno durante quella lotta Jason aveva avuto un centinaio di
legionari al suo fianco. Ora tutto ciò che aveva era il corpo di un vecchio, un bastone e due
amiche in abiti rubati.
Una ventina di piedi davanti a lui, Piper si muoveva tra la folla, sorridendo e riempiendo
bicchieri di vino ai festaioli spettrali. Se aveva paura, non lo dava a vedere. Fino a quel
momento i fantasmi non sembravano averci dato alcuna particolare attenzione.
La magia di Hazel doveva star funzionando.
In alto a destra, Annabeth raccoglieva piatti e calici vuoti. Senza sorridere.
Jason si ricordò della discussione che aveva avuto con Percy prima di lasciare la nave.
Percy era rimasto a bordo per controllare le minacce provenienti dal mare, ma non gli
piaceva l’idea che ad Annabeth potesse succedere qualcosa durante la spedizione con lui –
soprattutto perché era la prima da quando erano tornati dal Tartaro.
Aveva preso Jason da parte. “Ehi, amico… Annabeth mi ucciderebbe se suggerissi a
qualcuno di proteggerla.”
Jason rise. “Si, lo farebbe.”
“Ma prenditi cura di lei, d’accordo?”
Jason strinse la spalla all’amico. “Mi assicurerò che torni sana e salva da te.”
Ora, Jason si chiese se avrebbe potuto mantenere quella promessa.
Raggiunse il bordo della folla. Una voce roca gridò, “IROS!”
Antinoo, il demone con la freccia in gola, stava fissando proprio lui. “Sei tu, sei il vecchio
mendicante?”
La magia di Hazel aveva fatto il suo lavoro. L’aria fredda si increspò sul volto di Jason
mentre la nebbia sottile alterava il suo aspetto, mostrando ai proci quello che si
aspettavano di vedere.
“Proprio io!” disse Jason. “Iros!”
Una dozzina di altri fantasmi si voltarono verso di lui.
Alcuni si accigliarono e afferrarono l’elsa delle incandescenti spade viola. Troppo tardi,
Jason si chiese se Iros fosse un loro nemico.
Zoppicò in avanti, facendo la sua migliore espressione da vecchio irritabile. “Immagino di
essere in ritardo alla festa. Spero che tu mi abbia tenuto qualcosa da mangiare.”
Uno dei fantasmi sogghignò con disgusto. “Vecchio mendicante ingrato. Lo uccido,
Antinoo?”
I muscoli del collo di Jason si serrarono.
Antinoo lo guardò per tre secondi e poi ridacchiò. “Sono di buon umore oggi. Vieni, Iros,
unisciti a me al mio tavolo.”
Jason non ebbe molta scelta. Si sedette di fronte ad Antinoo, mentre altri fantasmi si
affollarono lì intorno, sbirciando come se si aspettassero di vedere qualche gara a braccio
di ferro particolarmente avvincente.
Da vicino, gli occhi di Antinoo erano di un giallo solido. Le labbra tese come carte sottili e
denti da lupo. In un primo momento, Jason pensò che i capelli grigi del demone stessero
per disintegrarsi. Poi si rese conto di un flusso di sporco che colava dal cuoio cappelluto di
Antinoo, rovesciandosi sulle spalle. Delle chiazze di fango gli riempivano le vecchie ferite
da spada nella pelle grigia del demone. Altro sporco si riversava dalla ferita della freccia
nella gola.
Il potete di Gea, pensò Jason. La terra manteneva quel tizio assieme.
Antinoo gli passò un calice d’oro ed un piatto di cibo che erano sul tavolo. “Non mi
aspettavo di vederti qui, Iros. Ma suppongo che anche un mendicante possa avere la sua
parte di retribuzione. Bevi. Mangia.”
Del liquido rosso spesso discese dal calice. Sul piatto c’era un grumo marrone fumante di
carne misteriosa.
Lo stomaco di Jason si rigirò. Anche se del cibo per demoni non lo avrebbe ucciso, la sua
fidanzata vegetariana non lo avrebbe più baciato per un mese intero.
Ricordò quello che gli aveva detto Notus, il vento del Sud: Un vento che soffia senza metà
non fa gioire nessuno. L’intera carriera di Jason al Campo Giove era stata costruita su
scelte accurate. Aveva fatto da mediatore tra i semidei, ascoltato tutti i punti di vista di
un’argomentazione, trovato compromessi. Anche quando andava contro le tradizioni
romane, pensava prima di agire. Non era impulsivo.
Notus lo aveva avvertito che una tale esitazione lo avrebbe portato alla morte. Jason
dovette fermarsi a mettere ordine alle sue idee per decidere cosa voleva fare. Se era un
mendicante ingrato, doveva agire come tale.
Strappò un pezzo di carne con le dita e se lo mise in bocca. Trangugiò un po’ del liquido
rosso, che per fortuna sembrava del semplice vino, non sangue o veleno.
Jason combatté la voglia di fare una battuta, ma non crollò o esplose.
“Yum!” si pulì la bocca. “Ora dimmi qualcosa a riguardo del … come si chiama?
Retribuzione? Dove posso iscrivermi?”
I fantasmi risero. Uno fece spallucce e Jason temette di come si stesse sentendo.
Al Campo Giove, i Lari non erano fatti di nessuna sostanza fisica. A quanto pare quegli
spiriti lo erano – il che significava che più nemici avrebbero puto combatterlo, pugnalarlo
o decapitarlo.
Antinoo si sporse in avanti. “Dimmi, Iros, che cosa hai da offrire? Non c’è bisogno che ci
mandi messaggi come ai vecchi tempi. Certamente non sei un combattente. Se non ricordo
male, Ulisse ti schiacciò la mascella e ti gettò nel porcile.”
I neuroni di Jason si accesero. Iros… il vecchio che aveva gestito i messaggi dei proci in
cambio di avanzi di cibo. Iros era un po’ come il loro animaletto domestico senza fissa
dimora. Quando Ulisse era tornato a casa, e si era travestito da mendicante, Iros aveva
pensato che un nuovo individuo si stesse impossessando del suo territorio. I due avevano
iniziato a litigare …
“Iros –” Jason esitò. “Tu mi hai fatto combattere contro Ulisse. Ci hai pure scommesso dei
soldi. Anche quando Ulisse si è tolto la camicia e hai visto la sua muscolatura … mi hai
comunque fatto combattere contro di lui. Non ti interessava se sarei sopravvissuto o
morto!”
Antinoo scoprì i denti aguzzi. “Certo che non mi importava. Ed è ancora così! Ma tu sei qui,
cosi Gea deve aver avuto un qualche motivo per consentirti di tornare nel mondo mortale.
Dimmi, perché saresti degno di una parte del nostro bottino?”
“Cos’è il bottino?”
Antinoo allargò le mani. “Il mondo intero, amico mio. La prima volta che mi incontrasti
qui, eravamo qui solo per le terre di Ulisse, i suoi soldi, sua moglie.”
“Specialmente sua moglie!” Un fantasma calvo in abiti laceri diede a Jason una gomitata
nelle costole. “Quella Penelope era come una torta di mele appena sfornata!”
Jason intravide Piper servire bevande al tavolo accanto. Si portò un dito alle labbra in
segno di avvertimento, poi tornò a flirtare con i tizi morti.
Antinoo sogghignò. “Eurimaco, piagnone vigliacco. Non hai mai avuto alcuna possibilità
con Penelope. Mi ricordo di te che singhiozzavi e supplicavi per la tua vita con Ulisse,
facendo ricadere ogni colpa su di me!”
“Come se la cosa mi avesse giovato.” Eurimaco sollevò la camicia a brandelli, rivelando un
buco nel mezzo del petto spettrale.
“Ulisse mi ha colpito al cuore, solo perché volevo sposare sua moglie!”
“In ogni caso …” Antinoo si rivolse a Jason. “Ci siamo riuniti oggi per ottenere un premio
più grande. Una volta che Gea avrà distrutto gli dei, ci spartiremo i resti del mondo
mortale!”
“Dibs avrà Londra!” urlò un demone ad un tavolo accanto.
“Montreal!” Gridò un altro.
“Duluth!” esclamò un terzo, interrompendo momentaneamente la conversazione, mentre
gli altri fantasmi lo guardarono confusi.
La carne e il vino si contorsero nello stomaco di Jason “E il resto di questi … ospiti? Ne
conto almeno duecento. La metà di loro non mi sono famigliari.”
Gli occhi gialli di Antinoo luccicarono. “Sono tutti proci a favore di Gea. Tutti hanno dei
reclami o contestazioni contro gli dei o per i loro eroi-da-compagnia. Quel mascalzone
laggiù è Ippia, un ex-tiranno di Atene. Si è schierato con i persiani per attaccare i suoi
connazionali. Nessuna morale. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per il potere.”
“Grazie!” esclamò Ippia.
“Quella canaglia con la coscia di tacchino in bocca,” continuò Antinoo. “è Asdrubale di
Cartagine. Ha avuto qualche problema con Roma.”
“Mhhmm,” disse il cartaginese.
“E Michael Varus –”
Jason quasi soffocò. “Chi?”
Oltre la fontana di sabbia, il ragazzo dai capelli scuri con la maglietta viola e l’armatura da
legionario si voltò verso di loro. Il suo profilo era offuscato, fumoso e indistinto, così Jason
immaginò fosse una qualche forma di spirito, ma il tatuaggio della legione
sull’avambraccio era piuttosto chiaro: le lettere SPQR, la testa bifronte del dio Giano e sei
tacche per gli anni del servizio. Sulla sua corazza c’era appeso il distintivo della pretura
della Quinta Coorte.
Jason non aveva mia incontrato Michael Varus. Il pretore infame morto nel 1980. Eppure,
la pelle di Jason gli si accapponò quando incontrò il suo sguardo. Quegli occhi infossati
sembravano vedere attraverso il travestimento di Jason.
Antinoo fece un cenno sprezzante. “È un semidio romano. Ha perso l’aquila della sua
legione in … Alaska, giusto? Non ha importanza. Gea lo lascia girare qui intorno. Lui
insiste che ha qualche informazione per sconfiggere il Campo Giove. Ma tu, Iros – non hai
ancora risposto alla mia domanda. Perché dovresti essere il benvenuto tra noi?”
Gli occhi vuoti di Varus avevano fatto innervosire Jason. Poteva sentire la nebbia diradarsi
attorno a sé, reagendo alla sua incertezza.
Improvvisamente Annabeth apparve dietro ad Antinoo. “Altro vino, mio signore? Oops!”
Versò il contenuto di una brocca d’argento lungo la nuca di Antinoo.
“GAHH!” il demone inarcò la schiena. “Sciocca! Chi ti ha riportata indietro dal Tartaro?”
“Un titano, mio signore.” Annabeth chinò la testa in gesto di scusa. “Posso portarvi delle
salviettine umide? La vostra freccia è madida.”
“Vattene!”
Annabeth incrociò lo sguardo di Jason - un messaggio silenzioso di sostegno - poi sparì tra
la folla.
Il demone sparì, dando a Jason il tempo di ri-sistemare i suoi pensieri.
Era Iros … ex-messaggero dei proci. Perché sarebbe dovuto essere lì? Perché avrebbero
dovuto accettarlo? Prese il coltello da bistecca più vicino e pugnalò la tabella, facendo
sobbalzare tutti i fantasmi attorno a lui.
“Perché dovreste accogliermi?” ringhiò Jason. “Perché sono ancora un messaggero, stupidi
disgraziati! Sono appena tornato dalla Casa di Ade per vedere quello che state
combinando!”
L’ultima parte era vera, e sembrò che Antinoo si fosse preso una pausa. Il demone lo fissò,
ancora grondando di vino dalla ferita della freccia nella gola. “Ti aspetti che io creda che sia
stata Gea ad inviarti – un mendicante? – A vegliare su di noi?”
Jason ridacchiò. “Fui uno degli ultimi a lasciare Epiro prima che le porte della morte
vennero sigillate! Ho visto la sala in cui Clitio stava di guardia sotto un soffitto a cupola
piastrellata da lapidi. Ho camminato per i pavimenti di ossa-e-gioielli del Necromanteion!”
Anche quello era vero. Nei tavoli lì intorno, i fantasmi si spostarono e mormorarono.
“Allora, Antinoo…” Jason puntò un dico contro il demone. “Forse dovresti spiegarmi
perché tu sei degno del favore di Gea. Tutto quello che vedo è una folla di pigri. Gente
morta che si diverte e non aiuta lo sforzo bellico. Che cosa dovrei dire alla Madre Terra?”
Con la coda dell’occhio, Jason vide Piper lanciargli un sorriso di approvazione. Poi riportò
la sua attenzione sull’incandescente tizio greco in viola che stava cercando di sedersi sulle
proprie ginocchia.
Antinoo avvolse la mano intorno al coltello da bistecca che Jason aveva impalato nel
tabellone. Lo tirò via e ne studiò la lama. “Se è stata Gea a mandarti, dovresti sapere che
siamo qui, a seguire gli ordini. È stato Porphyrion a decretarli.”
Antinoo fece correre la lama del coltello sul palmo della propria mano. Del sangue sporco e
secco si riversò fuori dal taglio. “Sai di Porphyrion…?”
Jason cercò di tenere la nausea sotto controllo. Ricordava Porphyrion dalla loro battaglia
alla Casa del Lupo. “Il re gigante – pelle verde, alto dodici metri, occhi bianchi, capelli
intrecciati con armi. Naturalmente. Lo conosco. È molto più impressionante di te.”
Decise di non parlare dell’ultima volta che aveva visto il Re dei giganti, Jason lo aveva fatto
saltare in aria con un fulmine.
Per la prima volta, Antinoo sembrò essere rimasto senza parole, ma il suo amico Eurimaco
mise un braccio attorno alle spalle di Jason.
“Ora, adesso, amico!” Eurimaco puzzava di vino inacidito e cavi elettrici bruciati.
Il suo tocco spettrale fece formicolare la gabbia toracica di Jason. “Sono sicuro che non
intendevamo mettere in discussione i tuoi credenziali! È solo che, se hai parlato con
Porphyrion ad Atene, dovresti sapere perché siamo qui. Te lo assicuro, stiamo esattamente
facendo ciò che ci è stato ordinato!”
Jason cercò di mascherare la sua sorpresa.
Porphyrion ad Atene.
Gea aveva promesso di colpire gli dei alle loro radici. Chirone, il mentore di Jason al
Campo Mezzosangue, aveva supposto che facendo in modo che i giganti avrebbero cercato
di risvegliare la dea della terra presso l’originale Monte Olimpo. Ma ora… “L’acropoli”,
disse Jason. “I più antichi templi degli dei, al centro di Atene. Ecco dove si sveglierà Gea.”
“Certo!” Eurimaco rise. La ferita nel suo petto fece uno strano suono, come lo stridio di un
delfino. “E per arrivarci, quegli impiccioni di semidei dovranno viaggiare per mare, eh?
Sanno che è troppo pericoloso volare sulla terra.”
“Il che significa che dovranno passare per quest’isola.” Disse Jason.
Eurimaco annuì con entusiasmo. Tolse il braccio dalle spalle di Jason e immerse un dito
nel vino del suo bicchiere. “A quel punto dovranno fare una scelta, eh?”
Sul tavolo, tracciò una linea costiera, il vino rosso diventò di un colore innaturale toccando
il legno.
Disegnò la Grecia con la forma di una clessidra deformata – un grande bulbo per il nord,
poi un altro al di sotto, grande quasi uguale – il grande pezzo di terra conosciuta come il
Peloponneso. Tra loro c’era la linea della stretta manica del mare – Lo Stretto del Corinto.
Jason quasi ebbe bisogno di una foto. Lui e il resto del gruppo avevano trascorso tutto il
giorno prima a studiare le mappe marittime.
“La via più diretta,” disse Eurimaco, “Dovrebbe trovarsi ad est rispetto a qui, attraversando
lo stretto del Corinto. Ma se si cerca di andare di qua–”
“Basta,” scattò Antinoo. “Hai la lingua lunga, Eurimaco.”
Il fantasma sembrò offeso. “Non avevo intenzione di dirgli tutto! Solo dell’esercito di
Ciclopi ammassati su entrambe le rive. E gli spiriti della tempesta che si infuriano in aria. E
di quei mostri marini, i Keto, ad infestare le acque. E, naturalmente, se la nave riuscisse ad
arrivare fino a Delfhi–”
“Idiota!” Antinoo si lanciò sul tavolo e afferrò il polso del fantasma. Una crosta sottile di
sporco sulla mano del demone ricadde, colpendo il braccio spettrale di Eurimaco.
“No!” guaì quest’ultimo. “Per favore! Io – volevo solo dire –”
Il fantasma urlò mentre la sporcizia gli ricoprì tutto il corpo come un guscio, poi si ruppe,
lasciando solo un mucchio di polvere al suo posto. Eurimaco era sparito.
Antinoo si appoggiò allo schienale e si pulì le mani. Gli altri proci seduti al tavolo lo
osservavano in silenzio diffidenti. “Scusa, Iros.” Il demone sorrise freddamente.
“Tutto quello che devi sapere è che – le vie per Atene sono ben custodite, proprio come
abbiamo promesso. I semidei potrebbero rischiare lo stretto, cosa impossibile, o navigare
su tutto il Peloponneso, che non è certo più sicuro. In ogni caso, è improbabile che
sopravvivano abbastanza a lungo per fare una scelta a riguardo. Una volta raggiunta Itaca,
lo sapremo. Li fermeremo qui e Gea riconoscerà quanto siamo preziosi. Puoi portare
questo messaggio ad Atene.”
Il cuore di Jason martellò contro il suo sterno. Non aveva mai visto nulla di simile al guscio
di terra che aveva convocato Antinoo per distruggere Eurimaco. Non voleva sapere se quel
potere potesse funzionare anche sui semidei.
Inoltre, Antinoo sembrava fiducioso di poter scovare l’Argo II. La magia di Hazel sembrava
averla nascosta per ora, ma non si poteva dire per quanto ancora avrebbe funzionato.
Jason sapeva perché lo fossero. Il loro obbiettivo era Atene. Il percorso più sicuro, o
almeno il percorso meno impossibile, era percorrere la costa meridionale. Era il 20 luglio.
Avevano solo dodici giorni ancora prima che Gea si risvegliasse, il 1° Agosto, l’Antica festa
della Fortuna.
Jason e i suoi amici dovevano andarsene, mentre avevano ancora qualche possibilità.
Ma c’era altro che lo turbava – una brutta sensazione, come se non avesse ancora sentito la
notizia peggiore.
Eurimaco aveva accennato a Delphi. Jason aveva segretamente sperato di fare visita
all’antico tempio di Oracle di Apollo, magari ottenendo qualche informazione sul suo
futuro, ma se il posto fosse stato invaso dai mostri … Spostò da parte il piatto con il cibo
ormai freddo.
“Sembra che sia tutto sotto controllo. Per il tuo bene, Antinoo, spero sia così. Questi
semidei sono pieni di risorse. Hanno chiuso le porte della morte. Non vogliamo che vi
sorpassino, andando a cercare aiuto a Delphi.”
Antinoo ridacchiò. “Non c’è rischio. Delphi non è più sotto il controllo di Apollo.”
“Capisco. E se i semidei navighino lungo il Peloponneso?”
“Ti preoccupi troppo. Quel viaggio non è mai stato sicuro per i semidei, ed è troppo
lontano. Inoltre, la Vittoria dilaga ad Olympia. Finché è così, non c’è modo che i semidei
possano vincere questa guerra.”
Jason non capiva cosa intendesse dire, ma annuì. “Ottimo. Riferirò al re Porphyrion.
Grazie per il, ehm, pasto.”
Oltre la fontana, Michael Varus lo chiamò, “Aspetta.”
Jason trattenne un’imprecazione. Aveva cercato di ignorare il pretore defunto, ma ora
Varus si avvicinò, immerso da un alone di nebbia bianca, con gli occhi infossati. Al suo
fianco pendeva un gladio di oro imperiale.
“Rimani,” disse Varus.
Antinoo gettò al fantasma uno sguardo irritato.
“Qual è il problema, legionario? Se Iros vuole andarsene, lascialo fare. Ha un tale cattivo
odore!”
Gli altri fantasmi risero nervosamente.
Dall’altro lato del cortile, Piper si girò verso Jason con sguardo preoccupato. Un po’ più in
là, Annabeth prese casualmente un coltello da carne da uno dei piatti più vicini.
Varus appoggiò la mano sulla presa della spada. Nonostante il caldo, la corazza era
ghiacciata. “Ho perso la mia coorte due volte in Alaska – una volta da vivo, una volta da
morto a causa di un Graecus chiamato Percy Jackson. Sono tornato per rispondere alla
chiamata di Gea. Sai perché?”
Jason deglutì. “Testardaggine?”
“Questo è un luogo di desiderio,” disse Varus. “Tutti noi siamo stati attratti qui, non solo
per sostenere il potere di Gea, ma anche per i nostri desideri più forti. L’avidità di
Eurimaco. La crudeltà di Antinoo.”
“Mi lusinghi.” Mormorò il demone.
“L’odio di Asdrubale,” continuò Varus. “L’amarezza di Ippia. La mia ambizione. E tu, Iros.
Cosa ti ha attirato qui? Quale potrebbe essere il desiderio di un mendicante? Forse una
casa?”
Un formicolio di disagio iniziò dalla base del cranio di Jason – la stessa sensazione di un
enorme tempesta elettrica sul punto di rompersi.
“Dovrei andare,” disse. “Altri messaggi da portare.”
Michael Varus estrasse la spada. “Mio padre è Giano, il dio dei due volti. Sono abituato a
vedere attraverso le maschere e gli inganni. Sai, Iros, perché siamo così sicuri che i semidei
non passeranno inosservati dalla nostra isola?”
Jason ripercorse silenziosamente il suo repertorio di parole latine. Cercò di calcolare
quanto tempo ci avrebbe impiegato a sparare il suo razzo di emergenza. Sperò che potesse
guadagnare abbastanza tempo per le ragazze, perché si trovassero un rifugio prima che la
folla di tizi morti lo uccidesse.
Si voltò verso Antinoo. “Senti, sei tu il capo qui o no? Forse dovresti imbavagliare questo
tuo romano.”
Il demone trasse un profondo respiro. La freccia in gola scosse. “Ah, ma potrebbe rivelarsi
divertente. Vai avanti, Varus.”
Il pretore morto alzò la spada. “I nostri desideri ci rivelano. Mostrano ciò che siamo
veramente. Qualcuno è venuto per te, Jason Grace.”
Dietro a Varus, la folla si aprì. Il fantasma scintillante di una donna si fece avanti, e Jason
sentì le ossa trasformarsi in polvere.
“Mio caro,” disse il fantasma di sua madre. “Sei tornato a casa.”
III
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In qualche modo lui la conosceva. Aveva riconosciuto il suo abito – con una fantasia
floreale verde e rossa, come il fondo di un albero di Natale. Riconobbe i braccialetti di
plastica colorati sui polsi che gli scavano nella schiena quando lo aveva abbracciato per
dirgli addio alla Casa del Lupo.
Riconobbe i suoi capelli, una corona di riccioli biondi tinti e il profumo di aerosol al
limone.
I suoi occhi erano blu come quelli di Jason, ma brillavano di una luce fruttata, come se
fosse appena uscita da un bunker dopo una guerra nucleare – cercò avidamente dei
dettagli familiari.
“Mio caro.” Tese le braccia.
La visione di Jason si offuscò. Non gli importava più dei fantasmi e dei demoni.
Il suo travestimento di nebbia si dissolse. La sua postura si raddrizzò. Le sue articolazioni
smisero di dolere. Il suo bastone da passeggio diventò di nuovo il suo gladio di oro
imperiale.
La sensazione di bruciore non si fermò. Si sentì come se gli strati della sua vita si
staccassero e sgattaiolassero via – i suoi mesi al Campo Mezzosangue, i suoi anni al Campo
Giove, la sua formazione con Lupa, la dea Lupo. Era nuovamente spaventato e vulnerabile
come due anni prima. Anche la cicatrice sul labbro, da quando aveva provato a mangiare la
cucitrice da bambino, pungeva come fosse una ferita ancora fresca.
“Mamma?” riuscì a dire.
“Si, caro.” La sua immagine tremolava. “Vieni, abbracciami.”
“Tu sei – non sei reale.”
“Certo che lo è.” La voce di Michael Varus sembrava lontana. “Pensavi che Gea avrebbe
permesso che uno spirito così importante languisse negli inferi? Lei è tua madre, Beryl
Grace, star della televisione, il dolce cuore del re dell’Olimpo, che l’ha respinta, non una,
ma ben due volte, sia nella sua forma greca che romana. Lei merita giustizia tanto quanto
ognuno di noi.”
Il cuore di Jason traballò. I Proci gli si affollarono intorno, per guardare.
Sono il loro intrattenimento, realizzò Jason.
I fantasmi avevano probabilmente pensato che fosse molto più divertente di due
mendicanti che lottano fino alla morte.
La voce di Piper tagliò il ronzio nella sua testa. “Jason, guardami.”
Era a sei metri di distanza, con ancora l’anfora in ceramica in mano. Il suo sorriso era
scomparso. Il suo sguardo era feroce e imponente – cosa impossibile da ignorare, così
come la piuma di arpia blu nei suoi capelli. “Questa non è tua madre. La sua voce sta
elaborando un qualche tipo di magia su di te – come la voce ammaliatrice, ma più
pericolosa. Non riesci a percepirlo?“
“Ha ragione.” Annabeth salì sul tavolo più vicino. Calcò un piatto da parte, spaventando
una dozzina di Proci. “Jason, è solo un residuo di tua madre, come un Are, o– ”
“Un residuo!” singhiozzò il fantasma di sua madre.
“Si, guarda a cosa mi sono ridotta. È tutta colpa di Giove. Ci ha abbandonati. Lui non mi
avrebbe aiutata! Non volevo lasciarti a Sonoma, caro, ma Giunone e Giove non mi hanno
lasciato altra scelta. Non ci avrebbero permesso di stare assieme. Perché lottare per loro
ora? Aiutare questi perdenti. Guidarli. Possiamo essere di nuovo una famiglia!”
Jason sentì un centinaio di occhi puntare su di lui.
Questa è la storia della mia vita, pensò amaramente. Tutti lo stavano guardando,
aspettando di vedere cosa avrebbe scelto di fare.
Dal momento in cui era arrivato al Campo Giove, i semidei romani lo avevano trattato
come un principino. Nonostante i suoi tentativi di alterare il suo destino – unendosi alla
coorte peggiore, cercando di cambiare le tradizioni del campo, prendendo le missioni meno
popolari e facendo amicizia con i ragazzi meno popolari – era diventato comunque Pretore.
Come figlio di Giove, aveva un futuro assicurato.
Ricordò quello che Ercole gli aveva detto allo Stretto di Gibilterra: Non è facile essere figli
di Zeus. Troppa pressione. Eventualmente, può essere un gioco da ragazzi.
Ora Jason era lì, teso come una corda di violino.
“Mi hai abbandonato,” disse a sua madre. “Non è stata Giunone o Zeus. Sei stata tu.”
Beryl Grace si fece avanti. Le rughe di preoccupazione attorno agli occhi, la bocca stretta
per il dolore ricordarono a Jason di sua sorella, Thalia.
“Mio caro, ti ho detto che sarei tornata. Sono state quelle le mie ultime parole per te. Non ti
ricordi?”
Jason rabbrividì. Nelle rovine della Casa del Lupo dove sua madre lo aveva abbracciato per
l’ultima volta. Lei gli aveva sorriso, ma gli occhi erano pieni di lacrime.
Va tutto bene, aveva promesso. Ma anche da bambino Jason sapeva che non era la verità.
Aspetta qui. Tornerò per te, mio caro. Ci vediamo presto.
Non tornò. Invece, Jason vagò per le rovine, piangendo da solo, chiedendo di sua madre e
Thalia – fino a quando i lupi non arrivarono per lui.
La mancata promessa di sua madre era stata al centro di ciò che era diventato. Aveva
costruito la sua vita attorno all’irritazione di quelle parole, come il granello di sabbia al
centro di una perla.
Le persone mentono. Le promesse vengono infrante.
Ecco perché, era stato irritato così tanto tempo, Jason aveva seguito le regole. Aveva
mantenuto le sue promesse. Non avrebbe mai abbandonato nessuno nel modo in cui era
stato abbandonato lui o in cui gli avevano mentito.
Ora sua mamma era tornata, cancellando le certezze che Jason aveva su di lei – che lei lo
avesse abbandonato per sempre.
Dall’altra parte del tavolo, Antinoo alzò il calice.
“Sono così lieto di incontrarti, figlio di Giove. Ascolta tua madre. Avete molto da
lamentarvi riguardo agli dei. Perché non ti unisci a noi?Suppongo che queste due serve
siano tue amiche? Le prenderò come ricambio. Desideri riportare tua madre in vita?
Possiamo farlo. Desideri essere un re–?”
“No.” La mente di Jason vorticava. “No, non mi unirò a te.”
Michael Varus lo guardò con occhi freddi. “Sei così sicuro, mio compagno di pretolato?
Anche se sconfiggi i giganti e Gea, vuoi tornare a casa come fece Ulisse? Dov’è la tua casa?
Con i Greci? Con i Romani? Nessuno ti accetterà. E, se tornerai indietro, chi può dire che
non troverete queste in rovina?”
Jason scansionò il cortile del palazzo.
Senza i balconi e i colonnati illusori, non c’era altro che un cumulo di macerie sua una
collina vuota. Solo la montagna sembrava reale, sputava via sabbia come fosse un ricordo
dell’illimitato potere di Gea.
“Eri un ufficiale legionario,” disse Varus.
“Un leader di Roma.”
“Quindi,” continuò Varus. “la tua lealtà è cambiata.”
“Pensi che io possa appartenere a questa folla?” chiese Jason. “Un gruppo di perdenti
morti in attesta di una ricompensa gratuita da parte di Gea, piagnucolando che il mondo vi
debba qualcosa?”
Intorno al cortile, fantasmi e demoni si alzarono in piedi raccogliendo le armi.
“Attento!” urlò Piper verso la folla. “Ogni uomo in questo palazzo è tuo nemico. Ognuno di
loro ti pugnalerà alla schiena alla prima occasione!”
Nelle ultime settimane, la lingua ammaliatrice di Piper era diventata davvero potente. Lei
disse la verità, e la folla le credette. Si guardarono tutti uno attraverso l’altro, le mani
strette sulle else e le spade.
La madre di Jason fece un passo verso di lui.
“Mio caro, si ragionevole. Abbandonate la vostra ricerca. La tua Argo II non potrebbe mai
fare un viaggio fino ad Atene. E anche se ci riuscisse, c’è la questione dell’Athena
Parthenos.”
Un tremito lo attraversò. “Che cosa intendi?”
“Non fingere di non saperlo, mio caro. Gea conosce i tuoi amici Reyna e Nico, figlio di Ade
e il satiro. Hedge. Ad ucciderli, la Madre Terra, ha mandato il suo figlio più pericoloso – il
cacciatore che non riposa mai. Ma tu non devi morire.”
I demoni e i fantasmi si avvicinarono – duecento di loro di fronte a Jason in attesa, come
se potessero partire da un momento all’altro con il canto dell’inno nazionale.
Il cacciatore che non riposa mai.
Jason non sapeva chi fosse, ma doveva avvertire Reyna e Nico.
E per farlo doveva riuscire ad uscire vivo da lì.
Guardò Annabeth e Piper. Entrambe erano pronte, aspettando il suo segnale.
Si costrinse ad incontrare gli occhi di sua madre. Sembrava la stessa donna che lo aveva
abbandonato nel bosco di Sonoma quattordici anni prima. Ma Jason non era più un
bambino. Era un veterano della battaglia, un semidio che aveva affrontato la morte
innumerevoli volte.
E quello che vide di fronte a lui non era sua madre – almeno, non quello che sua madre
sarebbe dovuta essere – premurosa, affettuosa, protettiva ed altruista.
Un residuo, Annabeth l’aveva chiamata così.
Michael Varus gli aveva detto che gli spiriti che erano lì erano sostenuti dai loro desideri
più forti. Lo spirito di Beryl Grace brillava letteralmente di necessità. I suoi occhi
richiedevano l’attenzione di Jason. Le sue braccia aperte,nel disperato tentativo di
possederlo.
“Cosa vuoi?” chiese. “Che cosa ti ha portata qui?”
“Voglio la vita!” Gridò. “Gioventù! Bellezza! Tuo padre mi avrebbe potuta rendere
immortale. Lui mi avrebbe potuto porterete sull’Olimpo, ma mi ha abbandonata. Possiamo
mettere le cose a posto, Jason. Tu sei il mio prode guerriero!”
Il suo profumo di limone diventò acre, come se stesse cominciando a bruciare.
Jason ricordò qualcosa che gli aveva detto Thalia. La loro madre era diventata sempre più
instabile, fino a quando la sua disperazione non l’aveva condotta alla follia. Era morta in
un incidente d’auto, il risultato della sua guida in stato di ebbrezza.
Il vino annacquato nello stomaco fece rigirare Jason. Decise che se fosse sopravvissuto a
quel giorno non avrebbe mai più bevuto alcolici.
“Sei una mania” decise Jason, conobbe la parola durante i suoi studi al Campo Giove
tempo addietro. “Uno spirito della follia. È questo ciò a cui ti sei ridotta.”
“Sono tutto ciò che ne resta,” concordò Beryl Grace.
La sua immagine tremolò attraverso uno spettro di colori. “Abbracciami, figliolo. Sono
tutto ciò che hai abbandonato.”
La memoria del Vento del Sud rispose nella sua mente: Non puoi scegliere la tua
discendenza, Ma puoi scegliere la tua eredità..
Jason sembrò di essere stato ricomposto, uno strato per volta. Il suo battito cardiaco si
ristabilizzò. Il freddo abbandonò le sue ossa. La pelle riscaldata dal sole pomeridiano.
“No,” gracchiò. Guardò Annabeth e Piper. “La mia lealtà non è cambiata. La mia famiglia si
è ampliata. Sono un figlio della Grecia e di Roma.” Tornò a guardare la madre per l’ultima
volta. “Non sono tuo figlio.”
Fece il segno antico per allontanare il male – tre dita staccate fuori dal cuore – e il
fantasma di Beryl Grace scomparve con un sibilo lieve, come un sospiro di sollievo.
Il demone di Antinoo gettò da parte il suo calice. Studiò Jason con uno sguardo pigro di
disgusto.
“Bene, allora,” disse. “Suppongo che ci limiteremo ad uccidervi.”
Tutti si unirono intorno a Jason, racchiudendolo tra i nemici.
IV
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Il combattimento stava andando alla grande – fino a quando non venne accoltellato.
Jason scagliò il gladio formando un ampio arco, vaporizzando i Proci più vicini, poi saltò
sul tavolo arrivando proprio sopra la testa di Antinoo. A mezz’aria la sua lama si estese
diventando un giavellotto – un trucco che non aveva mai provato con quella spada – ma in
qualche modo sapeva che avrebbe funzionato.
Atterrò in piedi recuperando l’equilibrio. Mentre Antinoo si voltava verso di lui, Jason
spinse la lama d’oro imperiale attraverso il petto del demone.
Antinoo abbassò lo sguardo incredulo. “Tu–”
“Goditi i Campi della Pena,” Jason estrasse il suo pilum e Antinoo si sbriciolò.
Jason continuò a combattere, a far roteare il suo giavellotto – passandolo attraverso i
fantasmi, i demoni e abbattendoli.
Dall’altra parte del cortile, Annabeth stava lottando, anche lei, contro un demone. La sua
spada Drakon-bone colpiva eventuali Proci troppo stupidi da affrontarla.
Oltre la fontana di sabbia, anche Piper aveva estratto la sua spada – la lama di bronzo
frastagliato che aveva preso dal Zete di Borea. Pugnava e si parava con la mano destra, a
volte tirava dei pomodori dalla cornucopia che teneva con la sinistra, mentre gridava ai
proci, “Mettevi in salvo! Sono troppo pericolosa!”
Doveva essere esattamente quello che volevano sentire, perché i suoi avversari si sentirono
tenuti a scappare, solo per percorrere pochi metri in discesa, per poi tornare di nuovo alla
carica e lottare.
Il tiranno greco Ippia si lanciò contro Piper, il pugnale alzato, ma Piper salto nel suo punto
cieco colpendolo al petto. Lui cadde all’indietro nella fontana e urlò mentre si disintegrava.
Una freccia fischiò verso il volto di Jason.
Lui la soffiò da una parte con una folata di vento, facendola deviare verso una linea di
demoni armati di spada e notò una dozzina di proci raggruppati alla fontana per lanciarsi
su Annabeth. Alzò il suo giavellotto verso il cielo. Un fulmine rimbalzò in quel punto
facendo saltare in aria i fantasmi, lasciando un cratere fumante dove c’era la fontana di
sabbia.
Nel corso degli ultimi mesi, Jason aveva combattuto numerose battaglie, ma aveva
dimenticato che si sentisse così bene durante il combattimento. Naturalmente aveva
ancora paura, ma era come se un enorme peso gli si fosse tolto dalle spalle. Per la prima
volta da quando si era svegliato in Arizona con i suoi ricordi cancellati, Jason si sentiva
completo. Sapeva chi fosse. Aveva scelto la sua famiglia, e non aveva nulla a che fare con
Beryl Grace o addirittura con Giove. La sua famiglia includeva tutti i semidei che avevano
combattuto al suo fianco, romani e greci, amici nuovi e vecchi. Non aveva intenzione di
permettere a nessuno di distruggere la sua famiglia.
Chiamò i venti e gettò tre demoni giù dalla collina come fossero bambole di pezza.
Ne infilzò un quarto, poi fece ridurre nuovamente il suo giavellotto in una spada e la
mandò contro un altro gruppo di spiriti.
Presto lo affrontarono altri nemici. Gli altri fantasmi cominciarono a scomparire sa soli.
Annabeth ferì Asdrubale il Cartaginese, e Jason fece l’errore di rinfoderare la spada.
Il dolore divampò per tutta la parte bassa della schiena – così tagliente e fretto che gli
ricordò il tocco di Khione, la dea delle nevi.
Accanto al suo orecchio, Michael Varus ringhiò. “Nato romano, muore romano.”
La punta di una spada d’oro sporgeva dalla parte anteriore della camicia di Jason, appena
sotto la cassa toracica.
Jason cadde in ginocchio. L’urlo di Piper sembrò a miglia di distanza. Si sentì come se
fosse stato immerso in acqua salata – il suo corpo sembrò senza peso, la testa ondeggiante.
Piper corse verso di lui. Lui osservò come distaccato la spada passargli sopra la testa e
tagliare l’armatura di Michael Varus con un metallico ka-chunk.
Una raffica di freddo divise da dietro i capelli di Jason. La povere si depositò attorno a lio,
e il casco del legionario, ormai vuota, rotolò a terra sulle pietre. Il semidio malvagio era
scomparso.
“Jason!” Piper lo afferrò per le spalle mentre cominciava a cadere di lato. Rimase con la
bocca aperta mentre Piper gli tirava la spada fuori dalla schiena. Poi lo fece appoggiare a
terra, deponendo la testa sopra delle pietre.
Annabeth corse al loro fianco, Aveva un brutto taglio su un lato del collo.
“Dei,” Annabeth fissò la ferita nel ventre di Jason. “Oh, miei dei.”
“Grazie,” gemette Jason. “Avevo paura di essere messo male.”
Le sue braccia e le gambe cominciarono a formicolare mentre il suo corpo entrò in
modalità crisi, inviando tutto il sangue verso il petto. Il dolore era sordo, ma la sua camicia
era intrisa di rosso.
La sua ferita fumava. Era abbastanza sicuro che le ferite da spada non fumassero.
“Andrà tutto bene.” Piper pronunciò quelle parole come fossero un ordine. Quel tono
calmò il suo respiro.
“Annabeth, l’ambrosia!”
Annabeth si mosse. “Si. Si, ho capito.” Aprì la sua sacca e prese un pezzo del cibo degli dei.
“Dobbiamo fermare l’emorragia.” Piper usò il suo pugnale per tagliare una parte di tessuto
dal fondo del suo vestito. Strappò il panno per farne delle bende.
Jason si domandò come facesse a conoscere così tante cose sul primo soccorso. Lei gli
avvolse la ferita sulla schiena e lo stomaco, mentre Annabeth gli spingeva piccoli morsi di
ambrosia in bocca.
Le dita di Annabeth tremavano. Dopo tutte le cose che avevano passato, Jason trovò strano
che lei potesse andare fuori di testa in quel momento, mentre Piper agiva in modo così
calmo. Poi gli venne in mente – Annabeth poteva permettersi di essere spaventata per lui.
Piper no. Era completamente concentrata sul tentativo di salvarlo.
Annabeth lo nutrì con un altro morso. “Jason, io – mi dispiace. A proposito di tua madre.
Ma il modo in cui hai gestito il tutto… sei stato coraggioso.”
Jason cercò di non chiudere gli occhi. Ogni volta che lo faceva, vedeva lo spirito di sua
madre disintegrarsi.
“Non era lei,” disse. “Perlomeno, nessuna parte di lei che si potesse salvare. Non c’era altra
scelta.”
Annabeth emise un respiro tremante. “Nessun’altra scelta giusta, forse ma… un mio amico,
Luke. Sua madre… era un problema simile. Non l’ha saputo gestire così bene.”
La sua voce si spezzò. Jason non sapeva molto del passato di Annabeth, ma Piper la guardò
preoccupata.
“Ho fasciato quanto più possibile,” disse. “L’emorragia è ancora in corso. E il fumo. Non
capisco cosa sia.”
“Oro imperiale,” disse Annabeth, con voce tremante. “È letale per i semidei. È solo una
questione di tempo prima che– ”
“Andrà tutto bene,” insistette Piper. “Dobbiamo tornare alla nave.”
“Non mi sento poi così male,” disse Jason. Ed era vero. L’ambrosia era stato un tocca sana.
Il calore gli filtrava dentro le membra.
“Forse potrei volare…”
Jason si mise a sedere. La sua vista era offuscata da una pallida ombra verdognola. “O
forse no…”
Piper lo prese per le spalle facendolo sdraiare lentamente “Wow, Scintilla. Abbiamo
bisogno di contattare l’Argo II, chiedere aiuto.”
“Non mi chiami Scintilla da un sacco di tempo.”
Piper gli baciò la fronte. “Stai con me e ti insulto con tutti i nomignoli che vuoi.”
Annabeth scansionò le rovine. La magia era svanita, lasciando solo i muri rotti e i siti di
scavo. “Potremo usare i razzi di emergenza, ma–”
“No,”disse Jason. “Leo salperebbe alla cima della collina con il fuoco greco. Forse, se voi
ragazze mi aiutate, posso riuscire a camminare–”
“Assolutamente no,” obbiettò Piper. “Ci vorrebbe troppo tempo.” Lei frugò nella borsa
legata alla cintura e tirò fuori uno specchio.
“Annabeth, conosci il codice morse?”
“Naturalmente.”
“Anche Leo,” Piper le porse lo specchio.
“Lo vedrà dalla nave. Vai sul vertice–”
“E gli lampeggio!” il volto di Annabeth arrossì.
“Non suona proprio benissimo, Ma si, buona idea.”
Lei corse verso il bordo delle rovine.
Piper tirò fuori una fiaschetta di nettare e diede a Jason un sorso. “Resisti. Non morirai per
qualcosa di così stupido.”
Jason le fece un debole sorriso. “Almeno non è stata una ferita alla testa, questa volta. Ho
partecipato attivamente all’intero combattimento.”
“Hai sconfitto, qualcosa tipo, duecento nemici,” disse Piper. “Eri terribilmente grandioso.”
“Voi ragazze avete aiutato.”
“Forse, ma… Ehi, resta con me.”
La testa di Jason iniziò a volteggiare. Le crepe nelle pietre si fecero più evidenti.
“Prendi altro nettare,” gli ordinò Piper. “Ecco. Dovrebbe andar bene.”
“Si, si. Bene.”
Infatti il nettare aveva il sapore di segatura liquida, ma Jason lo aveva tenuto per sé. Da
quanto aveva rassegnato le dimissioni dalla sua premuta alla Casa di Ade, l’ambrosia e il
nettare non avevano più il sapore dei suoi cibi preferiti al Campo Giove. Era come se la
memoria della sua vecchia casa non avesse più il potere di guarirlo.
Nato romano, muore romano, aveva detto Michael Varus.
Guardò i rivoli di fumo uscire dalle sue bende. Aveva cose peggiori di cui preoccuparsi che
di una perdita di sangue. Annabeth aveva ragione sull’oro imperiale. Quella roba era
mortale per i semidei e i mostri. La ferita della lama di Varus avrebbe fatto del suo meglio
per consumare la forza vitale di Jason.
Aveva già visto un semidio morire in quel modo prima.
Non era stato veloce o bello.
Non posso morire, si disse. I miei amici dipendono da me.
La parole di Antinoo gli risuonarono nelle orecchie – quelle sui giganti di Atene, il viaggio
impossibile che attende l’Argo II, il misterioso cacciatore che Gea aveva mandato per
intercettare l’Atena Parthenos.
“Reyna, Nico e il Coach Hedge,” disse “Sono in pericolo. Dobbiamo avvertirli.”
“Ce ne occuperemo quando torneremo alla nave,” promise Piper. “Il tuo compito in questo
momento è rilassarti.” Il suo tono era leggero e sicuro di sé, ma i suoi occhi erano pieni di
lacrime. “Inoltre, quei tre sono tosti. Staranno bene.”
Jason sperava che avesse ragione. Reyna aveva rischiato così tanto per aiutarli. Coach
Hedge era fastidioso alle volte, ma era stato un guardiano fedele per tutto l’equipaggio. E
Nico… Jason si sentiva particolarmente preoccupato per lui.
Piper sfiorò il pollice contro la cicatrice che aveva sul labbro. “Una volta che questa guerra
sarà finita … andrà tutto bene per Nico. Hai fatto quello che potevi, sei diventato suo
amico.”
Jason non era sicuro di cosa intendesse dire. Lui non aveva detto nulla a Piper delle sue
conversazioni con Nico. Aveva mantenuto il suo segreto.
Ancora… Piper sembrò percepire che qualcosa non andasse. Come figlia di Afrodite, forse
poteva capire quando qualcuno lottasse contro l’angoscia. Non voleva premere Jason
perché nel parlasse, però. Cosa che apprezzò.
Un’altra ondata di dolore lo fece sussultare.
“Concentrati sulla mia voce,” Piper lo baciò di nuovo in fronte. “Pensa a qualcosa di bello.
La torta di compleanno nel parco a Roma.”
“È stato bello.”
“Lo scorso inverno,” suggerì. “la lotta con il fuoco.”
“Sono assolutamente d’accordo.”
“Ti sono rimasti i marshmallows nei capelli per giorni!”
“Non io.”
La mente di Jason scivolò indietro verso i bei tempi. Voleva solo rimanere lì – a parlare con
Piper, tenendole la mano, senza preoccuparsi dei giganti o di Gea, o della follia di sua
madre.
Sapeva che serebbero dovuti tornare alla nave.
Era in cattive condizioni. Avevano le informazioni per cui erano andati lì. Ma mentre
giaceva sulle pietre fredde, Jason provò un senso di incompletezza.
La storia dei proci e della regina Penelope… i suoi pensieri sulla famiglia … i suoi ultimi
sogni. Tutte quelle cose gli turbinavano per la testa. C’era qualcos’altro in quel posto –
qualcosa che aveva perso.
Annabeth tornò zoppicando dal bordo della collina.
“Ti sei fatta male?” le chiese Jason.
Annabeth si guardò la caviglia. “Tutto a posto. Solo una vecchia frattura nelle caverne
romane. Alle volte, quando sono stressata … non ha importanza. Ha mandato il segnale a
Leo. Frank ha cambiato forma per volare fino a qui e portarci indietro alla nave. Dobbiamo
farti una branda per caricarti.”
Jason ebbe un’immagine terrificante di sé stesso su una amaca, oscillante tra gli artigli di
un’acquila-Frank gigante, ma decise che era sempre meglio che morire.
Annabeth si mise al lavoro. Raccolse gli scarti lasciati dai proci – una cintura di pelle, una
tunica strappata, le cinghie di un sandalo, una tovaglia rossa e un paio di lance rotte. Le
sue mani si muovevano velocemente sui materiali – li strappava, poi tesseva, li legava.
“Come fai a farlo?” domandò Jason stupito.
“L’ho imparato durante le mie ricerche sotto Roma.”
Annabeth tenne lo sguardo sul suo lavoro. “Non avevo mai avuto un motivo per provare a
tessere prima, ma è utile per certe cose, come allontanarsi dai ragni…”
Legò l’ultimo pezzo di cintura e Voilà – una barella abbastanza grande per Jason, con delle
lance come maniglie e delle cinture di sicurezza nella parte centrale.
Piper fece un fischiò di apprezzamento. “La prossima volta che ho bisogno di sistemare un
vestito vengo da te.”
“Silenzio, McLean,” disse Annabeth, ma i suoi occhi brillavano con soddisfazione. “Ora,
cerchiamo di assicurarlo–”
“Aspetta,” disse Jason.
Il suo cuore batteva. Guardando Annabeth cucire il lettino di fortuna, Jason si ricordò della
storia di Penelope – di come fosse resistita per 20 anni, in attesa che il marito Ulisse
tornasse.
“Un letto,” disse Jason. “C’era un letto speciale in questo palazzo.”
Piper lo guardò preoccupata. “Jason, hai perso un sacco di sangue.”
“Non ho le allucinazioni”, insistette. “Il letto matrimoniale era sacro. Se ci fosse qualche
modo per parlare con Giunone…” Fece un profondo respiro e chiamò. “Giunone!”
Silenzio.
Forse Piper aveva ragione. Non rifletteva con lucidità.
Poi, ad una sessantina di metri di distanza, il pavimento di pietra si crepò. Dei grossi rami
comparirono dal terreno, crescendo velocemente fino a quando un enorme ulivo non
ombreggiò tutto il cortile. Sotto il baldacchino di foglie grigio-verdi c’era una donna dai
capelli neri e in un abito bianco, un mantello di pelliccia di leopardo poggiato sulle spalle.
Il suo abbigliamento era ornato da un fiore di loto bianco.
La sua espressione fresca e regale.
“Miei eroi” disse la dea.
“Era,” proferì Piper
“Giunone,” la corresse Jason.
“Comunque sia,” brontolò Annabeth. “Cosa ci fa qui, vostra maestà bovina?”
Gli occhi scuri di Giunone brillarono pericolosamente.
“Annabeth Chase. Affascinante come sempre.”
“Si, beh,” disse Annabeth, “Sono appena tornata dal Tartaro, così i miei modi sono n po’
arrugginiti; soprattutto verso le dee che hanno cancellato la memoria del mio ragazzo, fatto
sparire per mesi, e –”
“Onestamente, ragazzina. Dobbiamo parlarne di nuovo?”
“Non dovresti essere affetta dal disturbo della separazione della personalità?” domandò
Annabeth. “Voglio dire – più del solito.”
“Whoa,” intercedette Jason. Aveva un sacco di motivi per odiare Giunone, ma avevano altri
problemi da affrontare. “Giunone, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Noi–” Jason cercò di
mettersi seduto, ma se ne pentì immediatamente. Sentì le sue viscere come arricciarsi su
una forchetta gigante.
Piper gli impedì di cadere. “Per prima cosa,” disse. “Jason è ferito. Guariscilo!”
La dea aggrottò le sopracciglia. La sua forma brillò incerta.
“Alcune cose nemmeno gli dei possono curarle.” Disse. “Questa ferita tocca sia l’anima che
il corpo. Devi combattere, Jason Grace… devi sopravvivere.”
“Si, grazie,” disse, la bocca asciutta. “ci sto provando.”
“Cosa vuol dire che la ferita tocca la sua anima?” chiese Piper. “Perché non puoi –”
“Miei eroi, il nostro tempo insieme è breve,” disse Giunone. “Sono grata che mi abbiate
chiamata. Ho trascorso settimane di dolore e confusione… le mie nature greche e romane
in guerra l’una con l’altra. Peggio ancora, sono stata costretta a nascondermi da Giove, che
mi insegue idoneamente, credendo che sia stata io a causare questa guerra con Gea.”
“bah,” disse Annabeth, “E perché mai avrebbe dovuto pensarlo?”
Giunone le rivolse uno sguardo irritato. “Fortunatamente, questo luogo è sacro a me. Come
compenso per aver scacciato via quei fantasmi, avendolo purificato mi avete dato un
momento di lucidità. Sarò in grado di parlare con voi – ma solo per poco tempo.”
“Perché è sacro…?” gli occhi di Piper si spalancarono.
“Oh, il letto matrimoniale!”
“Letto matrimoniale?” domandò Annabeth. “Non vedo alcun–”
“Il letto di Penelope e Ulisse,” spiegò Piper. “Una delle colonne del letto era un olivo
vivente, in modo che non si sarebbe mai spostato.”
“Effettivamente,” Giunone passò la mano lungo il tronco dell’albero di olivo. “Un letto
matrimoniale inamovibile. È talmente un bel simbolo! Come Penelope, la moglie più fedele
di tutte, in piedi per la sua terra, si è difesa da un centinaio di proci arroganti per anni
perché sapeva che suo marito sarebbe tornato. Ulisse e Penelope – l’esempio di
matrimonio perfetto!”
Anche nel suo stato di stordimento, Jason era abbastanza sicuro di ricordare la storia di
Ulisse che cadeva al fascino di altre donne durante i suoi viaggi, ma che aveva deciso di
andare avanti.
“Puoi darci qualche consiglio, almeno?” chiese. “Dirci cosa fare?”
“La via intorno al Peloponneso,” disse la dea. “Come sospettate, è l’unica strada possibile.
Sulla via, cercate la dea della vittoria ad Olimpia. È andata fuori controllo. A meno che non
riusciate a sottometterla, la spaccatura tra greci e romani non potrà mai essere cucita.”
“Vuoi dire Nike?” chiese Annabeth. “Come ‘è fuori controllo?”
Un tuono rimbombò sopra di loro, scuotendo la collina.
“Spiegare richiederebbe troppo tempo,” disse Giunone. “Devo scappare prima che Giove
mi trovi. Una volta che me ne sarò andata, non sarò in grado di aiutarvi di nuovo.”
Jason trattenne una sorda di: ‘Quando mai ci avresti aiutati?’
“Che altro dovremmo sapere?” chiese.
“Come avere sentito, i giganti sono riuniti ad Atene. Pochi Dei saranno in grado di aiutarvi
nel vostro cammino, ma io non sono l’unica Olimpionica che è uscita dai favori di Giove.
Anche i gemelli hanno saggiato la sua ira.”
“Artemide e Apollo?” domandò Piper. “perché?”
L’immagine di Giunone cominciò a svanire. “Se raggiungerete l’isola di Delos, potrebbero
essere disposti ad aiutarvi. Sono abbastanza disperata di provare qualcosa per fare
ammenda. Ora andate. Forse ci incontreremo di nuovo ad Atene, se ci riuscirete. Se non lo
farete…”
La dea scomparve, o forse la vista di Jason semplicemente non ce la faceva più. Il dolore lo
attraversò. La testa gli ciondolò all’indietro. Vide un’aquila gigante volteggiargli sopra. Poi
l’azzurro del cielo diventò nero, e Jason non vide più nulla.
V
R
e
y
n
a
Finire in picchiata in un vulcano non era nella lista delle cose da fare di Reyna.
La prima cosa che vide fu il sud Italia a cinquemila piedi in aria. A ovest, lungo la
mezzaluna del golfo di Napoli, le luci cittadine brillavano nel buio che precedeva l’alba. Un
migliaio di metri sotto di lei, larga mezzo miglio c’era la cima di una montagna, del vapore
bianco nel centro.
Il disorientamento di Reyna si placò in un attimo. Il viaggio-ombra l’aveva lasciata
intontita e con un senso di nausea, come se fosse stata trascinata dalle fredde acque del
Frigidarium nella sauna di un bagno pubblico romano.
Poi si rese conto che stava sospesa a mezz’aria. La gravità tornò a fare effetto, e cominciò a
cadere.
“Nico!” Urlò.
“Per tutti i tubi di Pan!” maledisse Gleeson Hedge.
“Whaaaaaa!” si agitò Nico, quasi scivolando dalla stretta di Reyna. Teneva stretto il Coach
Hedge per il colletto della camicia, mentre aveva iniziato a cadere. Se si fossero separati
ora, sarebbero morti. Stavano crollando verso il vulcano mentre il loro enorme bagaglio – i
venti metri di Atena Parthenos – veniva trainata dopo di loro, legata da una corda alla
schiena di Nico come un paracadute non proprio efficace.
“C’è il Vesuvio sotto di noi!” urlò Reyna sovrastando il rumore del vento. “Nico, devi
teletrasportarci via da qui!”
I suoi occhi erano selvaggi e vuoti. I capelli scuri scossi intorno al viso come un corvo
colpito da un proiettile nel cielo. “Io – non posso! Non ho più forze!”
Il coach Hedge belò. “Notizia flash, ragazzo! Le capre non possono volare! O ci porti fuori
di qui o ci appiattiremo in una frittata di Athena Parthenos!”
Reyna cercò di riflettere. Avrebbe potuto accettare la morte se avesse dovuto, ma se
l’Athena Parthenos fosse andata distrutta la loro missione sarebbe fallita. Reyna non
poteva accettarlo.
“Nico, viaggio-ombra.” Ordinò. “Ti presterò la mia forza.”
Lui la fissò confuso. “Come–”
“Fallo!”
Lei strinse la presa sulla sua mano. Il simbolo della torcia e la spada incrociate di Bellona
sul suo avambraccio divenne dolorosamente caldo, come se stesse scottando la sua pelle,
per la prima volta.
Nico rimase a bocca aperta. Il suo viso tornò colorito.
Appena prima di colpire la cima di vapore del vulcano, scivolarono nell’ombra.
L’aria si fece gelida. Il rumore del vento venne sostituito da una cacofonia di voci
sussurrare in mille lingue. Reyna sentì le sue viscere come se fosse un piraguà gigante – lo
sciroppo freddo che colava sul ghiaccio tritato – il suo preferito per quello che ricordava
della sua infanzia a Viejo San Juan.
Si chiese perché quel ricordo fosse saltato fuori proprio in quel momento, quando era sul
punto di morire. Poi la vista si schiarì. I suoi piedi poggiarono sul solido terreno.
Il cielo ad occidente aveva già cominciato a schiarirsi. Per un attimo a Reyna ricordò di
nuovo Nuova Roma. Le colonne doriche messe in fila nell’atrio grande quanto un campo da
baseball. Di fronte a sé, un fauno di bronzo si trovava nel mezzo di una fontana fonda
decorata con piastrelle di mosaico.
I cespugli di mirtilli e rose decoravano il giardino vicino. Le palme e i pini tesi verso il cielo.
I percorsi che partendo dal cortile si diramavano nelle diverse direzioni – strade
drittissime che seguivano il tipico sistema stradale di Roma, affiancate da piccole case in
pietra e portici colonnati.
Reyna si voltò. Dietro di lei, l’Athena Parthenos era integra e in piedi, che dominava il
cortile come un ornamento da giardino di dimensioni ridicolmente grandi. Il piccolo fauno
di bronzo nella fontana aveva entrambe le braccia sollevate, di fronte ad Atena, sembrava
essersi rannicchiato per paura causata dal nuovo arrivo.
All’orizzonte, il Vesuvio li sovrastava – una forma rialzata nel buio a diverse miglia di
distanza. Degli sbuffi di vapore si alzavano dalla cresta.
“Siamo a Pompei,” realizzò la ragazza.
“Oh, non va affatto bene,” disse Nico, subito crollando.
“Wow!” Il Coach Hedge lo prese prima che questo crollasse al suolo. Il satiro lo appoggiò ai
piedi di Atena e allentò il giro di corde che teneva Nico attaccato alla statua.
Le ginocchia di Reyna cedettero. Si era aspettata qualche effetto collaterale; era sempre
successo ogni volta che aveva condiviso le sue forze. Ma non aveva mai avuto tanta
angoscia prima di Nico di Angelo. Si lasciò cadere pesantemente a sedere, cercando solo di
mantenersi cosciente.
Dei di Roma. Se quella era solo una parte del dolore provato da Nico… come riusciva a
sopportarlo?
Cercò di calmare il suo respiro mentre il Coach Hedge frugava dentro le sue borse. Intorno
agli stivali di Nico, le pietre tremolavano. Un aura scura fuoriusciva verso l’esterno come
gocce di inchiostro, come se il corpo di Nico stesse cercando di espellere tutte le ombre a
cui erano viaggiati attraverso.
Il giorno precedente era stato addirittura peggio: era comparso un intero buco, e degli
scheletri erano risaliti dal terreno. Reyna non era ansiosa che succedesse di nuovo.
“Bevi qualcosa.” Gli offrì una borraccia di miscuglio di unicorno – polvere di corno
mescolato con acqua santa del Piccolo Tevere. Avevano scoperto che funzionava meglio del
nettare su di Nico, contribuendo a purificarlo dalla fatica e dalle tenebre con meno
pericolosità di giungere alla combustione spontanea.
Nico la mandò giù. Aveva ancora un aspetto orribile.
La sua pelle aveva un tono bluastro. Le sue guance erano infossate. Appeso al fianco, lo
scettro di Diocleziano brillava di un viola furente, come un livido radioattivo.
Lui studiò Reyna. “Come hai fatto… quell’ondata di energia?”
Reyna gli mostrò l’avambraccio. Il tatuaggio ancora bruciava come cera calda: il simbolo di
Bellona, la scritta SPQR, le quattro linee per i suoi anni di servizio.
“Non mi piace parlarne,” disse, “ma è un potere che ho ricevuto da mia madre. Posso
conferire forza agli altri.”
Coach Hedge alzò gli occhi dal suo zaino. “Sul serio? Perché non lo usi anche con me,
ragazza romana? Voglio dei super-muscoli!”
Reyna aggrottò la fronte. “Non funziona così, Coach. Posso farlo solo in situazioni di vita o
di morte, ed è più utile in grandi gruppi. Quando comando delle truppe, posso condividere
tutti gli attributi che ho – la forza, il coraggio, la resistenza – moltiplica le dimensioni della
mia forza.”
Nico inarcò un sopracciglio. “Utile per un pretore romano.”
Reyna non rispose. Preferiva non parlare del proprio potere per quel motivo.
Non voleva che i semidei sotto il suo comando pensassero che lei li stesse controllando, o
che doveva essere la leader perché aveva una magia speciale. Poteva solo condividere le
qualità per chi già le possedeva, e non poteva aiutare chi non era degno di essere un eroe.
Coach Hedge grugnì. “Peccato. Avere dei ‘supermuscoli’ sarebbe stato bello.” Tornò a
rovistare nel suo fagotto, che sembrava avere una fornitura infinita di utensili da cucina,
kit per la sopravvivenza e attrezzature sportive varie.
Nico prese un altro sorso del miscuglio di unicorno. I suoi occhi erano pesanti per la
stanchezza, ma Reyna era sicura che stesse lottando per restare sveglio.
“Sei caduta.” osservò lui. “Quando usi il tuo potere… ottieni una sorta di, um, rimando da
me?”
“Non leggo il pensiero,” disse “e non è nemmeno un collegamento empatico. Solo… un
ondata di esaurimento temporanea. Emozioni primarie. Mi ha colpito il tuo dolore. Prendo
un po’ del tuo fardello.”
L’espressione di Nico divenne guardinga.
Rigirò l’anello a forma di teschio d’argento al dito, nello stesso modo in cui faceva anche
Reyna quando pensava. Condividere un’abitudine con il figlio di Ade la mise a disagio.
Aveva sentito più dolore da Nico nel loro breve collegamento che da tutta la sua legione
durante la battaglia contro il gigante Polibote. L’aveva ridotta peggio dell’ultima volta che
aveva usato il suo potere, per sostenere il suo pegaso Scipio durante il loro viaggio
attraverso l’Atlantico.
Cercò di allontanare quel ricordo. Il suo amico alato e coraggioso morto a causa del veleno,
il suo muso in grembo, che la guardava con fiducia mentre lei alzava il suo pugnale per
porre fine alla sua sofferenza … Dei, no. Non poteva soffermarsi su quello o sarebbe finita
per odiarsi.
Ma il dolore che aveva provato da Nico era più nitido.
“Dovresti riposare,” gli disse. “Dopo due salti di fila, anche con un piccolo aiuto… sei
fortunato ad essere vivo. Avremmo bisogno di essere di nuovo pronti al calare della notte.”
Si sentì male al chiedergli di fare una cosa così impossibile. Purtroppo, aveva avuto un
sacco di occasioni per fare pratica a spingere semidei oltre i rispettivi limiti.
Nico serrò la mascella e annuì. “Siamo bloccati qui per ora.” Contemplò le rovine. “Ma
Pompei è l’ultimo posto che avrei scelto per atterrare. Questo posto è pieno di Lemuri.”
“Lemuri?” Coach Hedge sembrò fissare assieme una sorta di corda di aquilone, una
racchetta da tennis e un coltello da caccia. “Vuoi dire quelle creature carine e pelose–”
“No,” Nico sembrò infastidito, come se attendesse quella domanda da un sacco di tempo.
“Lemuri; dei fantasmi ostili. Tutte le città romane li hanno, ma a Pompei–”
“L’intera città è stata spazzata via,” ricordò Reyna.
“Nel 79 d.C., il Vesuvio eruttò coprendo a città di cenere.” Annuì Nico. “Una tragedia
simile crea un sacco di spiriti arrabbiati.”
Coach Hedge guardò il vulcano in lontananza. “Sta fumando. È un brutto segno?”
“Io–. Non ne sono sicuro.” Nico iniziò a giocherellare con un buco sul ginocchio nei suoi
jeans neri. “Lo spirito del Vesuvio potrebbe essere intenzionato a cercare di ucciderci Ma
dubito che la montagna possa farci del male da così lontano. Lavorare ad un’eruzione
completa richiederebbe troppo tempo. Quello che realmente ci minaccia sta tutto qui
intorno.”
La nuca di Reyna fremette.
Era cresciuta con i Lari, gli spiriti amichevoli al Campo Giove, ma anche loro la mettevano
a disagio. Non avevano proprio una buona comprensione di ‘spazio personale’. A volte
finivano per camminare proprio addosso a lei attraversandola, dandole un senso di
vertigine. Essere a Pompei diede a Reyna la stessa sensazione, come se tutta la città fosse
un grande fantasma che aveva inghiottito tutto.
Non poteva dire ai suoi amici quanto avesse paura dei fantasmi, o perché li temesse. La
ragione era iniziata quando lei e sua sorella erano scappate da San Juan tanti anni prima…
quel segreto doveva rimanere sepolto.
“Puoi tenerli a bada?” chiese.
Nico alzò le mani. “Ho mandato il messaggio: State lontani. Ma una volta che mi sarò
addormentato non andrà molto bene.”
Coach Hedge accarezzò il suo aggeggio pugnaleracchetta-da-tenniss. “Non preoccuparti,
ragazzo. Sistemerò tutto il perimetro con allarmi e trappole. Inoltre, veglierò su di voi tutto
il tempo con la mia mazza da baseball.”
Il ché non sembrò rassicurare Nico, ma i suoi occhi era già socchiusi. “Bene. Ma… con
calma. Non vogliamo un’altra Albania.”
“No,” concordò Reyna.
La loro prima esperienza insieme con il viaggio-ombra due giorni prima era stato un fiasco
totale, forse l’episodio più umiliante nella lunga carriera di Reyna. Forse un giorno, se
fossero sopravvissuti, avrebbero ripensato ai vecchi tempi e ci avrebbero riso, ma non ora.
Tutti e tre avevano giurato di non parlarne mai. Quello che era successo in Albania sarebbe
rimasto in Albania.
Coach Hedge sembrò ferito. “Bene, comunque sia. Riposa, ragazzo. Ti copriamo noi.”
“Bene.” Cedette Nico. “Solo un po’…”
Riuscì a togliersi la giacca da aviatore e la trasformò in un cuscino prima di accucciarsi a
terra e iniziare a ronfare.
Reyna si meravigliò di quanto vi sembrasse abituato. La sua preoccupazione svanì. Il suo
volto divenne stranamente angelico… come il suo cognome, di Angelo. Poteva quasi
credere che fosse un normale ragazzino di quattordici anni, non il figlio di Ade che era
stato tirato fuori dai tempi del 1940 e costretto a sopportare più tragedie e pericoli che la
maggior parte degli semidei avrebbero potuto passare nella loro vita intera.
Quando Nico era giunto al Campo Giove, Reyna non si era fidata di lui. Lo aveva percepito
che ci fosse di più nella storia di essere un ambasciatore per conto di suo padre, Plutone.
Ora, naturalmente, sapeva la verità. Era un semidio greco – la prima persona a memoria
d’uomo, forse il primo in assoluto, a fare avanti e indietro tra il campo romano e quello
greco senza dire a nessuno dei gruppi dell’esistenza dell’altro.
Stranamente, quel fatto fece crescere la fiducia che Reyna provava nei confronti di Nico.
Certo, non era romano. Non aveva mai cacciato con Lupa o sopportato la brutale
formazione della legione. Ma Nico si era dimostrato degno in altri modi. Aveva mantenuto
il segreto dei campi per il migliore dei motivi, perché temeva una guerra. Si era gettato nel
Tartaro da solo, volontariamente, per trovare le Porte della Morte. Era stato catturato e
imprigionato dai giganti. Aveva guidato l’equipaggio dell’Argo II nella Casa di Ade… e
adesso aveva accettato un’altra terribile missione: rischiando la morte per portare l’Atena
Parthenos di nuovo al Campo Mezzosangue.
Il ritmo del viaggio era esasperatamente lento. Potevano con il viaggio-ombra percorrere
poche centinaia di chilometri ogni notte, aspettando durante il giorno che Nico
recuperasse le energie, ma anche quello richiedeva una tale resistenza da parte di Nico che
Reyna non avrebbe mai creduto possibile.
Portava tanta tristezza e solitudine addosso, così tanto dolore. Eppure metteva la missione
prima di tutto. Perseverava. Reyna lo rispettava completamente. Lo aveva capito.
Non era mai stata una persona premurosa, ma aveva la strana voglia di mettere un drappo
del suo mantello sulle spalle di Nico per rimboccarlo.
Si rimproverò mentalmente. Era un compagno, non il suo fratellino. Non avrebbe mai
apprezzato il gesto.
“Ehy,” Coach Hedge interruppe i suoi pensieri. “Hai bisogno di dormire, anche tu. Faccio
io il primo turno di guardia e cucinerò qualcosina. Quei fantasmi non dovrebbero essere
troppo pericolosi, ora che è sorto il sole.”
Reyna non si era accorta di come la luce stava spuntando in fretta. Le nuvole rosa tra
strisce turchesi all’orizzonte orientale. Il piccolo fauno di bronzo gettava un’ombra
attraverso la fontana prosciugata.
“Ho letto di questo posto,” realizzò Reyna. “È una delle ville meglio conservate di Pompei.
La chiamano ‘La Casa del Fauno’.”
Gleeson guardò la statua con disgusto. “Si, beh, oggi è la Casa del Satiro.”
Reyna riuscì a sorridere. Stava cominciando ad apprezzare le differenze tra i satiri e i fauni.
Se mai si fosse addormentata con un fauno di turno, si sarebbe risvegliata con i
rifornimenti trafugati, un paio di baffi disegnati sul viso e il fauno scappato. Coach Hedge
era diverso – per lo più buono in modo differente, anche se aveva una malsana ossessione
per le arti marziali e le mazze da baseball.
“Va bene,” accettò lei. “prenditi il primo turno. Metterò Aurum e Argentum di guardia con
te.”
Hedge sembrò voler protestare, ma Reyna fece un fischio. I levrieri metallici si
materializzarono dalle rovine, correndo vero di lei da direzioni diverse.
Anche dopo tanti anni, Reyna non aveva idea da dove venissero o andassero quando lei li
congedava, ma vederli la tranquillizzò.
Hedge si schiarì la gola. “Sei sicura che quelli non siano dalmata? Sembrano dalmata.”
“Sono levrieri, Coach.” Reyna non aveva idea del perché Hedge temesse i dalmata, era
troppo stanca per chiederglielo in quel momento. “Aurum, Argentum, fatemi la guardia
mentre dormo. Obbedite a Gleeson Hedge.”
I cani girarono per il cortile, mantenendo le distanze dall’Athena Parthenos, che irradiava
ostilità verso tutto quello che fosse romano.
Reyna incominciava ad abituarsi solamente adesso, era abbastanza sicura che la statua non
apprezzasse di essere stata trasferita al centro di un’antica città romana.
Si sdraiò e si tirò il mantello addosso. Le sue dita si piegarono attorno al sacchetto alla
cintura, dove teneva la moneta d’argento che Annabeth le aveva dato prima che si
separassero ad Epiro.
‘È segno che le cose possono cambiare’, le aveva detto Annabeth. ‘Il marchio di Athena
adesso è tuo. Forse la moneta ti porterà fortuna’.
Che la sorte fosse buona o cattiva, Reyna non ne era sicura.
Diede un’ultimo sguardo al fauno rannicchiato di bronzo prima del sorgere del sole e
all’Athena Parthenos. Poi chiuse gli occhi e scivolò nel sonno.
VI
R
e
y
n
a
Il più delle volte, Reyna riusciva a controllare i propri incubi.
Aveva allenato la sua mente ad ambientare tutti i suoi sogni nel suo posto preferito – il
Giardino di Bacco sulla più alta collina a Nuova Roma.
Si sentiva al sicuro e tranquilla lì. Quando le visioni invasero il suo sonno – come facevano
sempre con i semidei – le poteva contenere immaginando che fossero riflessi nella fontana
del giardino. Questo le permetteva di dormire pacificamente ed evitare di svegliarsi la
mattina sudando freddo.
Quella mattina, però, non fu così fortunata.
Il sogno era iniziato abbastanza bene. Si trovava nel giardino in un caldo pomeriggio, il
pergolato decorato da caprifoglio in fioritura. Nella fontana centrale, la piccola statua di
Bacco rigettava acqua nel bacino.
Le cupole dorate e i tetti di tegole rosse di Nuova Roma erano sparsi sotto di lei. A mezzo
miglio a ovest stavano le fortificazioni del Campo Giove.
Oltre quelli, il Piccolo Tevere curvava dolcemente intorno alla valle, tracciano il bordo della
Berkeley Hills, sembrando dorata nella luce estiva.
Reyna teneva in mano una tazza di cioccolata calda, la sua bevanda preferita.
Sospirò soddisfatta. Quel posto valeva la pena di essere difeso – per lei, per i suoi amici,
per tutti i semidei. I suoi quattro anni al Campo Giove non erano stati facili, ma erano stati
i momenti migliori nella di Reyna.
Improvvisamente l’orizzonte si oscurò. Reyna pensò che poteva essere una tempesta. Poi si
rese conto della marea di terriccio scuro che stava rotolando per le colline, prendendosi il
terreno, senza lasciarvi nulla dietro.
Reyna guardò lo scenario con orrore mentre la marea di terra raggiungeva il bordo della
valle. Il dio Terminus innalzò una barriera magica intorno al campo, ma rallentò la sua
distruzione solo per un attimo. Della luce viola spruzzò come fosse vetro verso l’alto,
mentre la marea vi si riversava attraverso, abbattendo alberi, distruggendo strade,
asciugando il Piccolo Tevere eliminandolo dalla carta geografica.
Si tratta di una visione, pensò Reyna. Posso controllarla.
Cercò di cambiare il sogno. Immaginò che la distruzione fosse solo un riflesso nella
fontana, un immagine innocua di un video, ma l’incubo continuò diventando sempre più
vivido.
La terra inghiottì il Campo di Marte, cancellando ogni traccia di fortezza e trincee delle
simulazioni di guerra. L’acquedotto della città crollò come una torre di blocchi per
bambini.
Al Campo Giove accadde lo stesso – le torri crollarono, i musi e le caserme disintegrate.
Le urla dei semidei si ammutolirono, e la terra si spostò su di loro.
Un singhiozzo comparì nella gola di Reyna. I santuari scintillanti e i templi monumentali
della collina di sbriciolarono. Il colosseo e l’ippodromo vennero spazzati via. La marea di
terriccio raggiunsero la linea Pomerian e si diresse direttamente in città. Le famiglie
correvano attraverso il forum.
I bambini piangevano in preda al terrore.
Il senato implose. Le ville e i giardini scomparvero come le coltivazioni.
La marea iniziò la salita verso il Giardino di Bacco – l’ultima cosa rimasta del mondo di
Reyna.
Li hai lasciati indifesi, Reyna Ramirez-Arellano.
Disse una voce di donna emessa dal terreno nero.
Il tuo campo sarà distrutto.
La vostra missione è una presa in giro. Il mio cacciatore arriverà per voi.
Reyna si lanciò dal parapetto del giardino.
Corse alla fontana di Bacco e afferrò il bordo della vasca, fissando disperatamente dentro
l’acqua. Voleva che l’incubo diventasse una riflessione innocua.
THUNK.
Il bacino si ruppe a metà, diviso da una freccia delle dimensioni di un rastrello. Reyna fissò
scioccata l’impennaggio di piume di corvo, l’alveo dipinto di rosso,giallo e nero come un
serpente corallo, la punta di ferro di Stige che le attraversava l’intestino.
Alzò lo sguardo attraverso una nebbia di dolore. Ai margini del giardino, una figura scura
le si avvicinò – la sagoma di un uomo i cui occhi brillavano come fari in miniatura,
accecando Reyna. Sentì il rumore del ferro contro la pelle mentre recuperava un’altra
freccia dalla faretra.
Poi il suo sogno cambiò.
Il giardino e il cacciatore scomparvero, insieme alla freccia nel ventre di Reyna.
Si ritrovò in un vigneto abbandonato.
Distesi davanti a lei, ettari di viti morte infilate in file su graticci di legno, come scheletri
nodosi in miniatura. Nel fondo del campo sorgeva una fattoria con scandole di cedro e
avvolta da un colonnato. Oltre a quello, il paesaggio era circondato dal mare.
Reyna conosceva quel luogo; il Goldsmish Winery sulla riva nord di Long Island.
La sua squadra esplorativa l’aveva trasformata in una base avanzata per l’assalto della
regione sul Campo Mezzosangue.
Aveva ordinato alla maggior parte della legione di rimanere a Manhattan fino a quando le
non avesse detto il contrario, ma ovviamente Ottaviano le aveva disobbedito.
Tutta la dodicesima legione era accampata nella parte settentrionale del campo. Lo
avevano costruito con precisione militare – una trincea profonda due metri e le pareti di
terra circondavano il perimetro, una torre di vedetta in ogni angolo armate di baliste.
All’interno, le tende erano disposte in file ordinate in bianco e rosso. Gli stendardi di tutte
le cinque coorti dispiegate dal vento.
La visuale della legione aveva sollevato il morale di Reyna. Era una piccola fortezza, di
appena duecento semidei, ma erano ben addestrati e organizzati. Se Giulio Cesare fosse
tornato dai morti, non avrebbe avuto problemi a riconoscere le truppe di Reyna come dei
degni soldati di Roma.
Ma non avevano motivi di essere così vicini al Campo Mezzosangue. L’insubordinazione di
Ottaviano fece stringere i pugni a Reyna. Aveva intenzionalmente provocato i Greci,
sperando nella battaglia.
La sua visione onirica si ingrandì sul portico della fattoria, dove Ottaviano era seduto su
una sedia dorata che sembrava uguale al suo trono. Insieme alla sua toga senatoriale viola,
il suo distintivo da centurione e il colletto da augure, aveva adottato un nuovo onore: un
panno bianco sopra la testa che ricadeva come mantello, il segno di Potefice Massimo,
sommo sacerdote degli dei.
Reyna avrebbe voluto strangolarlo. Nessun semidio a memoria d’uomo aveva mai preso il
titolo di Pontifex Maximus. In quel modo, Ottaviano si stava elevando quasi al livello di
imperatore.
Alla sua destra, i rapporti e le mappe sparsi su un tavolino. Alla sua sinistra, un altare in
marmo era stato riempito di frutta e offerte in oro, senza dubbio per gli dei. Ma a Reyna
sembrò più un altare per Ottaviano.
Al suo fianco, l’aquila portatrice della legione, Jacob, si mise sugli attenti, sudando nel suo
mantello di pelle-di-leone mentre teneva lo stendardo con l’aquila d’oro della dodicesima
legione.
Ottaviano era nel bel mezzo di un pubblico.
Alla base delle scale c’era inginocchiato un ragazzo in jeans e una felpa dal cappuccio
sgualcito. Il centurione compagno di Ottaviano della prima coorte, Mike Kahale, stava in
disparte con le braccia incrociate, un’evidente espressione torva e di dispiacere.
“Bene, ora.” Ottaviano osservò un pezzo di pergamena. “Vedo qui che sei un lascito, un
discendente di Orcus.”
Il ragazzo con felpa e cappuccio alzò lo sguardo, e Reyna trattenne il respiro. Bryce
Lawrence.
Riconobbe la zazzera di capelli castani, il naso rotto, i suoi crudeli occhi verdi e
compiaciuti, il sorriso contorto.
“Si, mio signore,” disse Bryce.
“Oh, io non sono un signore.” Ottaviano strizzò gli occhi. “Solo un centurione, un augure e
un umile prete che fa del suo meglio per servire gli dei. Vedo che sei stato licenziato dalla
legione per… ah, problemi disciplinari.”
Reyna cercò di gridare, ma non riuscì ad emettere un suono. Ottaviano sapeva
perfettamente perché Bryce fosse stato cacciato fuori. Proprio come il suo antenato divino,
Orcus, il dio sotterraneo della punizione, Bryce era completamente spietato.
Il piccolo psicopatico era sopravvissuto alle prove con Lupa, ma appena arrivato al Campo
Giove aveva dimostrato di essere ingestibile. Aveva cercato di gettare un gatto nel fuoco per
divertimento; aveva accoltellato un cavallo e lo aveva inviato alla corsa nel Forum.
Era stato anche sospettato di aver sabotato un motore di assedio che aveva portato il suo
centurione alla morte durante una ‘simulazione di guerra’.
Se Reyna fosse stata in grado di dimostrarlo, la punizione di Bryce sarebbe stata la morte.
Ma dato che le prove erano circostanziali, e poiché la famiglia di Bryce era ricca e potente
con un sacco di influenza a Nuova Roma, se l’era cavata con qualcosa di più leggero, come
l’esilio.
“Si, Pontefice,” disse Brice piano. “Ma, se posso, tali accuse non sono state provate. Sono
un romano fedele.”
Mike Kahale sembrò fare del suo meglio per non vomitare.
Ottaviano sorrise. “Credo nelle seconde possibilità. Hai risposto alla mia chiamata per le
reclute. Hai il giusto credenziale e la lettera di raccomandazione. Ti impegnerai a seguire i
miei ordini e servire la legione?”
“Assolutamente,” rispose Bryce.
“Allora verrà effettuato il ripristino del tuo probatio,” disse Ottaviano, “fino a quando ti
sarai dimostrato in combattimento.”
Fece un cenno a Mike, che raggiunse la sua borsa e ne tirò fuori una targa da probatio di
piombo con un cordoncino in cuoio. Appese la corda intorno al collo di Bryce.
“Riportalo alla Quinta Coorte,” disse Ottaviano. “Potrebbero usare qualche nuova
discendenza, qualche fresca prospettiva. Se il tuo centurione Dakota dovesse avere qualche
problema a riguardo, digli di venire da me.”
Bryce sorrise come se gli fosse appena stato consegnato un coltello affilato. “Il piacere è
tutto mio.”
“E, Bryce,”il volto di Ottaviano sembrò quasi macabro sotto il suo manto bianco – i suoi
occhi troppo infossati, le guance troppo scarne, le labbra sottili e incolore. “Nonostante i
molti soldi, il potere e il prestigio che la famiglia Lawrence porta alla legione, ricorda che la
mia famiglia ne ha di più. Ti sto sponsorizzando personalmente, come sponsorizzo tutte le
altre nuove reclute. Segui i miei ordini, e potrai avanzare rapidamente. Presto potrei avere
un po’ di lavoro da farti fare – la possibilità di dimostrare il tuo valore. Ma tradiscimi e non
sarò clemente come Reyna, Capito?”
Il sorriso di Bryce svanì. Sembrava volesse dire qualcosa, ma cambiò idea. Annuì.
“Bene,” disse Ottaviano. “Inoltre, tagliati i capelli. Sembri uno di quelle fecce di Graecus.
Bocciati.”
Dopo di ché Bryse se ne andò, Mike Kahale scosse la testa. “Fanno due dozzine adesso.”
“È una buona notizia, amico mio,” assicurò Ottaviano. “Abbiamo bisogno di manodopera
supplementare. ”
“Assassini. Ladri. Traditori.”
“Semidei fedeli,” disse Ottaviano, “che devono la loro posizione a me.”
Mike fece una smorfia. Da quando Reyna lo aveva incontrato, non aveva mai capito perché
le persone lo chiamassero bicipiti-pistola, ma le braccia di Mike erano spesse come
bazooka. Aveva delle caratteristiche molto evidenti; una carnagione abbronzata,
mandorlata, capelli e occhi scuri, fieri come i vecchi re hawaiani.
Non era sicura di come un linebacker di un liceo di Hilo potesse avere Venere come
mamma, ma nessuno nella legione gli aveva mai fatto peso su quello – non dopo che una
volta lo avevano mai visto schiacciare rocce a mani nude, a Reyna Mike Kahale era sempre
piaciuto. Purtroppo, Mike era molto fedele al suo sponsor. E quello era Ottaviano.
Il Pontefice auto-nominato si alzò e si stiracchiò. “Non preoccuparti, vecchio mio. I nostri
team di assedio hanno circondato il campo greco. Le nostre aquile hanno la completa
superiorità aerea. I greci non andranno da nessuna parte finché non saremo pronti a
colpire. In undici giorni, tutte le mie forze saranno pronte. Le mie piccole sorprese li
prepareranno. Il primo agosto, alla Festa della Fortuna, il campo greco cadrà.”
“Ma Reyna ha detto–”
“Ne abbiamo già parlato,” Ottaviano fece scivolare il pugnale di ferro dalla sua cintura e lo
gettò sul tavolo, dove c’era impalata una mappa del Campo Mezzosangue. “Reyna ha preso
la sua decisione. È andata nelle antiche terre, che è contro le nostre leggi.”
“Ma la madre terra–”
“–È stata la causa della guerra tra gli accampamenti greci e romani, Si? Gli dei sono
impossibilitati , Si? E come possiamo risolvere questo problema, Mike? Eliminando la
divisione. Cancelleremo i Greci. Gli dei torneranno a manifestarsi correttamente con la
loro forma romana. Una volta che gli dei avranno ripristinato la loro piena potenza, Gaia
non oserà fare un passo. Cadrà di nuovo nel suo sonno. Noi semidei saremo forti e uniti,
come eravamo ai vecchi tempi dell’Impero. Inoltre, il primo giorno del mese di agosto è più
propizio – il mese prendere il nome dal mio antenato Augusto. E sai come ha unito i
romani?“
“Ha preso il potere ed è divenuto imperatore,” rispose Mike.
Ottaviano fece un cenno mentre commentava. “Sciocchezze. Ha salvato Roma,
diventandone il Primo Cittadino. Voleva pace e prosperità, non il potere! Credimi, Mike,
ho intenzione di seguire il suo esempio. Io salverò Nuova Roma e, quando lo farò, mi
ricorderò dei miei amici.”
Mike spostò la sua considerevole massa corporea. “Sembri molto sicuro di te. Il tuo dono
della profezia è forse–”
Ottaviano alzò la mano in segno di avvertimento. Guardò Jacob portare l’aquila, che stava
ancora in piedi sull’attendi dietro di lui.
“Jacob, sei licenziato. Perché non vai a lucidare l’aquila o qualcosa del genere?”
Le spalle di Jacob scrollarono visibilmente. “Si, Augure. Voglio dire, Centurione! Voglio
dire Ponteficie! Voglio dire–”
“Vai.”
“Vado.”
Una volta che Jacob fosse zoppicato fuori, il volto di Ottaviano si rabbuiò. “Mike, ti ho
detto di non parlare del mio, ah, problema. Ma per rispondere alla tua domanda: no, non
mi sembra anche di avere qualche ritorno del consueto dono che Apollo mi ha donato.”
Lanciò uno sguardo risentito a un mucchio di animaletti di peluches mutilati e
ammucchiati in un angolo della veranda. “Non riesco a vedere il futuro. Forse quel falso
Oracolo al Campo Mezzosangue sta elaborando una qualche sorta di stregoneria su di me.
Ma, come ho detto prima, con la massima fiducia, Apollo mi ha parlato chiaramente l’anno
scorso del Campo Mezzosangue! Ha personalmente benedetto i miei sforzi. Ha promesso
che sarei stato ricordato come il salvatore dei Romani.”
Ottaviano allargò le braccia, rivelando il suo tatuaggio a forma di arpa, simbolo del suo
antenato divino.
Sette segni di barra indicavano i suoi anni di servizio – più di quanti ne possedesse
qualsiasi funzionario, tra cui anche Reyna.
“Niente paura, Mike. Noi schiacceremo i Greci. Fermeremo Gaia e i suoi scagnozzi. Poi
prenderemo l’arpia che i greci stanno ospitando – quella che custodisce le Memorie dei
Libri Sibillini – e la costringeremo a darci la conoscenza dei nostri antenati. Una volta che
sarà successo, sono sicuro che Apollo ripristinerà il mio dono della profezia. Il Campo
Giove sarà più potente che mai. Noi governeremo il futuro.”
Il cipiglio di Mike non diminuì, ma alzò un pugno in segno di concordanza. “Sei tu il capo.”
“Si che lo sono.” Ottaviano prese il pugnale dal tavolo. “Ora, andiamo a controllare quei
due nani che abbiamo catturato. Voglio terrorizzarli per bene prima di interrogarli di
nuovo e inviarli nel Tartaro.”
Il sogno svanì.
“Ehy, sveglia.” Gli occhi di Reyna si aprirono. Gleeson Hedge era chino su di lei, le stava
scuotendo la spalla. “Ci sono problemi.”
Il suo tono grave le fece andare il sangue in circolo.
“Che cosa?” Si sforzò di mettersi a sedere. “Fantasmi? Mostri?”
Hedge aggrottò la fronte. “Peggio. Turisti.”
VII
R
e
y
n
a
L’orda di persone arrivò.
In gruppi da venti o trenta persone, i turisti sciamavano tra le rovine, girovagando per le
ville, vagando per le strade di ciottoli, osservando gli affreschi e i mosaici colorati.
Reyna temeva per come i turisti avrebbero reagito ad una statua alta venti metri si Atena
nel mezzo del cortile, ma la foschia doveva star facendo gli straordinari per offuscare la
visione ai mortali.
Ogni volta che un gruppo vi si avvicinava, si fermava ai margini del cortile a fissare con
delusione la statua. Una guida turistica britannica disse, “Ah, i ponteggi. Sembra che
questa zona sia in fase di restauro. Peccato, passiamo alla prossima parte.”
E se ne andarono.
Almeno la statua non ruggiva “BUGIARDI, MISCREDENTI!” trasformando i mortali in
polvere. Una volta a Reyna era successo con la statua della dea Diana. Non era stato il
giorno più rilassante che avesse mai avuto.
Ricordò quello che le aveva raccontato Annabeth riguardo all’Athena Parthenos: la sua
natura magica attraeva i mostri e li teneva a bada. E di certo bastava, ogni tanto, con la
coda dell’occhio, Reyna riusciva a scorgere dei fluttuanti spiriti bianchi in abiti romani
vagabondare per le rovine, aggrottando la statua con costernazione.
“Questi lemuri sono ovunque,” mormorò Gleeson. “Mantengono le distanze per adesso, ma
aspetta che arrivi la sera e faremo meglio essere pronti ad andarcene. I fantasmi sono
sempre peggio di notte.”
Reyna non aveva bisogno che glielo ricordasse.
Vide una coppia di anziani in lontananza, con delle camicie pastello e dei bermuda, che
ciondolavano attraverso un giardino vicino. Era contenta che non si avvicinassero. Intorno
alla piazza, Coach Hedge aveva sistemato ogni tipologia di insidie, come trappole per topi
di considerevoli dimensioni che non avrebbero potuto fermare qualsiasi mostro che si
rispetti, ma potevano benissimo far cadere un anziano.
Nonostante la calda mattinata, Reyna rabbrividì al ricordo dei suoi sogni. Non poteva
decidere cosa fosse più terrificante – la distruzione imminente di Nuova Roma, o il modo
in cui Ottaviano stava avvelenando la legione dall’interno.
Questa domanda sembra una presa per i fondelli.
Il Campo Giove aveva bisogno di lei. La dodicesima legione aveva bisogno di lei. Eppure
Reyna era dall’altra parte del mondo, a guardare un satiro abbrustolire delle cialde ai
mirtilli appesi ad un bastone sopra un falòAvrebbe voluto parlare dei suoi incubi, ma decise di aspettare fino a quando Nico non si
sarebbe svegliato.
Non era sicura che avrebbe avuto il coraggio di descrivere il tutto due volte.
Nico continuava a russare. Reyna aveva scoperto che una volta addormentato ci si metteva
un sacco di tempo per svegliarlo. Il Coach avrebbe potuto fare una specie di danza degli
zoccoli-di-capra attorno alla testa di Nico e il figlio di Ade non si sarebbe neppure mosso.
“Qui,” Hedge le offrì un piatto di cialde bruciacchiate con fette di kiwi fresco e ananas. Il
tutto sembrava sorprendentemente buono.
“Da dove proviene tutta questa roba?” si meravigliò Reyna.
“Ehy, io sono un satiro. Siamo degli imballatori molto efficienti.” Diede un morso alla
cialda. “Sappiamo anche come vivere senza terra!”
Mentre Reyna cominciò a mangiare, Coach Hedge tirò fuori un taccuino e cominciò a
scrivere. Quando ebbe finito, piegò il foglio e lo lanciò in aria. Una brezza se lo portò via.
“Una lettera per tua moglie?” Indovinò Reyna.
Sotto il bordo del berretto da baseball, gli occhi di Hedge sembravano iniettati di sangue.
“Mellie è una ninfa delle nuvole. Gli spiriti d’aria inviano messaggi da aeroplanini di carta
tutti il tempo. Speriamo che i suoi cugini manterranno in alto la lettera attraverso l’oceano
fino a quando non la troverà. Non è veloce quanto un messaggio-Iride, ma, beh, voglio che
il nostro bambino abbia qualche testimonianza di me, nel caso che, sai…”
“Ti riporteremo a casa,” promise Reyna. “vedrai il tuo bambino.”
Hedge serrò la mascella senza dire nulla.
Reyna era abbastanza brava a convincere la gente a parlare. Riteneva che fosse
fondamentale conoscere i propri compagni d'armi. Ma aveva anche lei avuto un momento
difficile a convincere Hedge ad aprirsi nei riguardi di sua moglie, Mellie, che era vicina al
parto al Campo Mezzosangue. Reyna ebbe difficoltà ad immaginare l'allenatore come un
padre, ma sapeva come fosse crescere senza genitori. Lei non aveva intenzione di lasciare
che accadesse lo stesso al figlio del Coach Hedge.
“Sì, beh ...” Il satiro diede un altro morso al pezzo di cialda, compreso del bastone su cui lo
aveva tostato. “Vorrei solo che potessimo muoverci più velocemente' fece un cenno con il
mento per indicare Nico. “Non vedo come questo ragazzo possa resistere ad un altro ultimo
salto, Quanti altri ce ne vorranno per tornare a casa?”
Reyna condivideva la sua preoccupazione. In soli undici giorni, i giganti prevedevano di
risvegliare Gaia.
Ottaviano aveva pianificato di attaccare il Campo Mezzosangue lo stesso giorno. Non
poteva essere una coincidenza.
Forse Gaia stava sussurrando all'orecchio di Ottaviano, influenzando le sue decisioni
inconsciamente.
O peggio: Ottaviano era attivamente in combutta con la dea della terra. Reyna non voleva
credere che Ottaviano avrebbe consapevolmente potuto tradire la legione, ma dopo quello
che aveva visto nei suoi sogni non poteva esserne sicura.
Finì il suo pasto mentre un gruppo di turisti cinesi oltrepassavano il cortile.
Reyna era stata sveglia per meno di un'ora e già fremeva per fare qualcosa.
“Grazie per la colazione, Coach.” Si alzò in piedi e si incamminò. “Se mi può scusare, dove
ci sono i turisti, ci sono anche i bagni. Ho bisogno di usare la piccola sala dei pretori.”
“Vai pure.” L'allenatore squillò con il fischietto che aveva appeso al collo. “Se succede
qualcosa, ti faccio un fischio.”
Reyna lasciò Aurum e Argentum di guardia e si mise a passeggiare tra la folla dei mortali
finché non trovò un centro visitatori con i servizi.
Fece del suo meglio per ripulire, ma ha trovò ironico che lei fosse in una vera città romana
e non poteva godere di un bel bagno caldo romano. Dovette accontentarsi di asciugamani
di carta, un distributore di sapone rotto e un riscaldatore per le mani. E i bagni ... meno ne
sapeva a proposito, e meglio è.
Mentre si stava incamminando per tornare indietro, oltrepassò un piccolo museo con una
vetrina. Dietro il vetro c'era una fila di figure in gesso, tutti ripresi in preda alla morte. Una
ragazza era rannicchiata in posizione fetale. Una donna giaceva contorta in agonia, con la
bocca aperta per urlare, le braccia gettate sulla testa. Un uomo si inginocchiava con la testa
china, come se stesse accettando l'inevitabile.
Reyna le fissò con un misto di orrore e repulsione. Aveva letto di queste cose, ma non le
aveva mai viste di persona. Dopo l'eruzione del Vesuvio, la cenere vulcanica aveva sepolto
la città e tramutato in roccia i pompeiano morenti. I loro corpi si erano disintegrati,
lasciando dietro degli involucri a forma di umani. I primi archeologi avevano versato del
gesso nei fori per farne dei calci – repliche raccapriccianti di antichi romani.
Reyna trovò la cosa inquietante, sbagliata, il momento della morte di quelle persone
esposte come manichini in una vetrina, ma non riusciva a distogliere lo sguardo.
Per tutta la vita aveva sognato andare in Italia. Aveva pensato che non sarebbe mai
accaduto.
Le antiche terre erano proibite ai semidei moderni; la zona era semplicemente troppo
pericolosa. Tuttavia, voleva seguire le orme di Enea, figlio di Afrodite, il primo semidio a
stabilirsi lì dopo la guerra di Troia. Voleva vedere il fiume Tevere originale, dove Lupa, la
dea lupo, aveva salvato Romolo e Remo.
Ma Pompei? Reyna non aveva mai desiderato andare lì. Il sito del più infame disastro di
Roma, un'intera città inghiottita dalla terra ... Dopo gli incubi di Reyna, le avevano
ricordato un po’ troppo della sua casa.
Finora nelle antiche terre aveva visto solo un posto sulla sua lista dei desideri: Palazzo di
Diocleziano a Spalato, e anche quella visita aveva appena fatto la fine che aveva
immaginato. Reyna aveva sempre desiderato andare lì con Jason per ammirare la casa del
loro imperatore preferito. Aveva immaginato romantiche passeggiate con lui attraverso la
città vecchia, pic-nic al tramonto sui parapetti.
Invece, Reyna era arrivata in Croazia non con lui, ma con una dozzina di spiriti del vento
arrabbiati dietro di lei. Aveva combattuto per tutta la strada attraverso i fantasmi nel
palazzo. Uscendo, era stata attaccata dai grifoni, ferendo mortalmente il suo Pegaso. Il
modo più vicino che aveva avuto per sentirsi vicina a Jason fu stato trovare un biglietto che
aveva lasciato per lei sotto un busto di Diocleziano nel seminterrato.
Aveva solo ricordi dolorosi di quel luogo.
Non essere penosa, si rimproverò. Anche Enea ha sofferto. Così come fece Romolo,
Diocleziano e tutti gli altri. I romani non si lamentano dei disagi.
Fissando le figure della morte in gesso nella vetrina del museo, si chiese cosa avessero
pensato mentre si arricciavano fino a morire nella cenere. Probabilmente non: Beh, noi
siamo Romani! Non dovremmo lamentarci!
Una folata di vento soffiò attraverso le rovine, come un gemito vuoto. La luce del sole
balenò contro la finestra, momentaneamente accecandola.
Con un sussulto, Reyna alzò lo sguardo. Il sole era direttamente sopra la sua testa. Come
poteva essere già mezzogiorno? Aveva lasciato la Casa del Fauno appena dopo la prima
colazione. Si era allontanata solo per pochi minuti ... a meno che così non fosse?
Si allontanò dalla vetrina del museo e corse via, cercando di scuotere via la sensazione che i
pompeiani morti le bisbigliassero dietro la schiena.
Il resto del pomeriggio fu incredibilmente tranquillo.
Reyna faceva da guardia mentre Coach Hedge dormiva, ma non c'era niente da cui
difendersi. I turisti andavano e venivano. Delle casuali arpie e spiriti del vento volavano
superando il piazzale.
I cani di Reyna avrebbero ringhiato in allarme, ma i mostri non smettevano di combattere.
Dei fantasmi si aggiravano furtivamente intorno ai bordi del cortile, apparentemente
intimiditi dall’Athena Parthenos. Reyna non poteva biasimarli. Più la statua si trovava a
lungo a Pompei, e più la rabbia sembrava irradiarla, rendendo la pelle di Reyna
pruriginosa e i suoi nervi scoperti.
Infine, subito dopo il tramonto, Nico si svegliò. Divorò un avocado e formaggio, la prima
volta che aveva mostrato un appetito decente da quando avevano lasciato la Casa di Ade.
Reyna odiava rovinare la sua cena, ma non avevano molto tempo. Mentre la luce del giorno
svaniva, i fantasmi cominciarono ad avvicinarsi e sembravano essere sempre di più.
Lei gli raccontò dei suoi sogni: la terra che ingoiava il Campo Giove, Ottaviano che si
avvicinava al Campo Mezzosangue e il cacciatore con gli occhi ardenti che le aveva scoccato
una freccia nell'addome.
Nico guardò il suo piatto vuoto. “Questo cacciatore... un gigante, forse?”
Coach Hedge grugnì. “Preferisco non saperlo. Io dico di muoverci.”
La bocca di Nico si contrasse. “Stai forse suggerendo di evitare la battaglia?”
“Senti, Angioletto (Cupcake), mi piace la lotta tanto quanto a quello lì, ma abbiamo
abbastanza mostri di cui preoccuparsi senza che qualche gigante cacciatore di taglie ci
insegua per tutto il mondo. Non mi piace il suono di quelle enormi frecce.”
“Per una volta,” disse Reyna, “Sono d'accordo con Hedge.”
Nico aprì la giacca da aviatore. Fece passare un dito attraverso un foro di una freccia nella
manica.
'Potrei chiedere qualche consiglio.' Nico sembrava riluttante. “A 'Thalia Grace...”
“La sorella di Jason,” disse Reyna.
Non aveva mai incontrato Thalia. In realtà, aveva solo di recente appreso che Jason avesse
una sorella. Secondo Jason, era una semidia greca, una figlia di Zeus, che guidava il gruppo
di Diana ... no, le seguaci di Artemide. L'idea le aveva fatto girare la testa.
Nico annuì. “Le cacciatrici di Artemide sono ... beh, i cacciatrici. Se c’è qualcuno che sa di
questo gigante cacciatore, quella dovrebbe essere Thalia. Potrei provare a inviarle un
messaggio-Iride.”
“Non sembri molto entusiasta dell'idea,” notò Reyna. “Voi due siete ... in cattivi rapporti?”
“Andiamo d’accordo.”
A pochi metri di distanza, Aurum ringhiò in silenzio, il che significava che Nico stava
mentendo.
Reyna decise di non premerlo.
“Vorrei anche provare a contattare mia sorella, Hylla,” disse. “ Il Campo Giove è
leggermente indifeso. Se Gaia attaccasse lì, forse le Amazzoni potrebbero aiutare.”
Il Coach Hedge aggrottò la fronte. “Senza offesa, ma, uh ... che cosa potrebbe fare un
esercito di amazzoni contro un'ondata di fango?”
Reyna cercò di reprimere il senso di terrore. Sospettava che Hedge avesse ragione. Contro
quello che aveva visto nei suoi sogni, l'unica difesa sarebbe stata quella di evitare che i
giganti svegliassero Gaia. Per questo, ha doveva mettere tutta la sua fiducia nel equipaggio
dell’Argo II.
La luce del giorno era quasi scomparsa. Intorno al cortile, i fantasmi stavano formando una
folla – centinaia di fantasmi Romani che brandivano armi spettrali o pietre.
“Possiamo approfondire dopo il prossimo salto,” decise Reyna. “In questo momento,
abbiamo bisogno di andarcene di qui.”
“Sì”. Nico si alzò. “Penso che possiamo raggiungere la Spagna questa volta se siamo
fortunati. Lasciatemi –
La folla di fantasmi svanì, come una massa di candeline spente in un unico respiro.
Reyna portò la mano al suo pugnale. “Dove sono andati?”
Gli occhi di Nico ondeggiavano attraverso le rovine. La sua espressione non era
rassicurante. “Io - Non sono sicuro, ma non credo che sia un buon segno. Fate attenzione.
Io sistemo le corde. Dovrebbero volerci solo pochi secondi '.
Gleeson Hedge alzò in zoccoli. 'Pochi secondi che voi non avete.'
Lo stomaco di Reyna si arricciò in una piccola pallina.
Hedge aveva parlato con una voce di donna – la stessa Reyna aveva sentito nel suo incubo.
Estrasse il pugnale.
Hedge si voltò verso di lei, il suo viso inespressivo.
I suoi occhi erano di un nero solido. “Rallegrati, Reyna Ramírez-Arellano. Morirai come
un romano. Vi unirete i fantasmi di Pompei.”
Il terreno tuonò. Tutto intorno al cortile, spirali di cenere rotearono nell’aria. Questi si
solidificarono in rozze figure umane – conchiglie di terra come quelle nel museo.
Fissarono Reyna, i loro occhi fori laceri in volti di roccia.
“La terra ti inghiottirà,” disse Hedge con la voce di Gaia. “Proprio come inghiottì loro.
VIII
R
e
y
n
a
“CE NE SONO TROPPI” Reyna si chiese amaramente quante volte avesse lo detto nella sua
carriera da semidio.
Avrebbe dovuto avere un distintivo apposito per portarlo in giro per risparmiare tempo.
Quando sarebbe morta, le parole che sarebbero probabilmente state scritte sulla sua
lapide: Ce ne erano troppi.
I suoi levrieri stavano su entrambi i suoi lati, ringhiando alle conchiglie di terra. Reyna ne
contò almeno una ventina, avvicinarsi da ogni direzione.
Coach Hedge continuò a parlare con una voce molto femminile: “I morti sono più
numerosi dei vivi. Questi spiriti hanno atteso secoli, incapaci di esprimere la loro rabbia.
Ora gli ho concesso dei corpi di terra”.
Un fantasma di terra fece un passo avanti. Si muoveva lentamente, ma il suo calpestio era
così pesante che ruppe le piastrelle antiche.
“Nico?” chiamò Reyna.
“Non posso controllarli,” disse, cercando freneticamente di districare la sua imbracatura.
“Sono dei gusci di roccia, credo. Ho bisogno di un paio di secondi per concentrarmi sulla
preparazione del salto-ombra. Altrimenti potremmo teletrasportarci su un altro vulcano.”
Reyna imprecò sottovoce. Non c'era modo che potesse combattere così tanti nemici da sola
mentre Nico preparava la loro fuga, soprattutto con Coach Hedge fuori uso. “Usate lo
scettro,” disse. “Dammi qualche zombie.”
“Non aiuterà,” intonò Coach Hedge. “Fatti da parte, Pretore. Lascia che i fantasmi di
Pompei distruggano questa statua greca. Un vero romano non avrebbe fatto resistenza”.
I fantasmi di terra si riversarono in avanti.
Attraverso i loro buchi per la bocca, fischiarono come se qualcuno stesse soffiando in delle
bottiglie di soda vuote. Uno passo sulla trappola pugnaleracchetta-da-tenniss
distruggendolo completamente.
Dalla sua cintura, Nico estrasse lo scettro di Diocleziano. “Reyna, se io chiamo altri
Romani defunti... chi ci assicura che non si uniranno questa mafia?”
“Lo dico io. Sono un pretore. Dammi alcuni legionari, e io li controllerò.”
“Voi perirete,” disse il coach. “Non riuscirete mai–“
Reyna lo colpì alla testa con la presa del suo pugnale. Il satiro svenne.
“Mi dispiace, Coach,” mormorò. “Ma stava diventando noioso. Nico - zombie! Poi
concentrati a portarci fuori di qui.”
Nico sollevò il suo scettro e la terra tremò.
I fantasmi di terra scelsero quel momento per caricare. Aurum balzò su quello più vicino e
morse letteralmente la testa della creatura facendola balzare via con le zanne in metallo. Il
guscio di roccia si rovesciò all'indietro e si frantumò.
Argentum non fu così fortunato. Balzò su un altro fantasma, che oscillò il braccio pesante e
lo sbatté contro il muso del levriero. Argentum volò via. Si rialzò barcollando.
La sua testa era piegata di quarantacinque gradi verso destra. Uno dei suoi occhi di rubino
mancava.
Rabbia martellò nel petto di Reyna come un picco di calore. Aveva già perso il suo Pegasus.
Non aveva intenzione di perdere anche i suoi cani. Conficcò il pugnale nel petto del
fantasma, poi estrasse il suo gladio. A dire la verità, combattere con due lame non era una
cosa molto romana, ma Reyna aveva trascorso del tempo con i pirati. Aveva appreso più di
un paio di trucchi.
Le conchiglie di terra si sbriciolavano facilmente, ma colpivano dure come delle mazze.
Reyna non capiva come, ma sapeva che non poteva permettersi di prendere anche solo un
colpo. A differenza di Argentum, lei non sarebbe sopravvissuta se la sua testa si fosse
messa a pendere di lato.
“Nico!” Si chinò tra due fantasmi di terra, permettendo loro di fracassarsi le teste a
vicenda. “Adesso!”
Il terreno so spaccò aprendosi verso il centro del cortile. Decine di soldati scheletrici si
fecero strada verso la superficie. I loro scudi sembravano monetine giganti corrose. Le loro
lame erano più ruggine del metallo. Ma Reyna non era mai stata così felice di vedere dei
rinforzi.
“Legione!” Gridò. “Ad aciem!”
Gli zombie risposero, spingendosi attraverso i fantasmi di terra per formare una linea di
battaglia.
Alcuni caddero, schiacciati da pugni di pietra. Altri riuscirono a serrare i ranghi ed
aumentare il loro scudo.
Dietro di lei, Nico imprecò.
Reyna rischiato uno sguardo indietro. Lo scettro di Diocleziano stava fumando nelle mani
di Nico.
“Mi sta combattendo!” Urlò. “Non credo che gli piaccia convocare dei Romani per
combattere altri romani!”
Reyna sapeva che gli antichi Romani avevano trascorso almeno la metà del loro tempo a
combattere tra di loro, ma decise di non dire nulla.
“Basta che issi Coach Hedge. Preparatevi per il viaggio-ombra! Ti do alcuni–“
Nico gemette. Lo scettro di Diocleziano esplose in pezzi. Nico non sembrava essersi fatto
male, ma fissava Reyna sconvolto . “Io - io non so cosa sia successo. Hai qualche altro
minuto, prima che gli zombie scompaiano.”
“Legione!” Urlò Reyna. ' Orbem formate! Gladium signe!”
Gli zombie circondarono l’Athena Parthenos, le spade pronte per i primi scontri.
Argentum trascinò il Coach Hedge senza sensi verso Nico, che stava furiosamente legando
se stesso in una selletta. Aurum stava di guardia, scagliandosi contro tutti i fantasmi di
terra che facevano irruzione attraverso la linea.
Reyna combatté spalla a spalla con i legionari morti, inviando la sua forza nei loro ranghi.
Sapeva che non sarebbe stato sufficiente. I fantasmi di terra cadevano facilmente, ma i più
crollavano a terra e tornavano polvere. Ogni volta che i pugni di pietra andavano a segno,
un altro zombie cadeva.
Nel frattempo, l'Athena Parthenos sovrastava la battaglia - regale, altezzosa e indifferente.
Un piccolo aiuto sarebbe bello, pensò Reyna.
Forse un raggio distruttivo? O qualche buona percussione alla vecchia maniera.
La statua non faceva altro che irradiare odio, che sembrava diretto sia a Reyna che ai
fantasmi.
Tu mi vorresti tirare fino a Long Island? Sembrava dire la statua. Buona fortuna nel
farlo, feccia romana.
Il destino di Reyna: morire per difendere una dea passiva-aggressiva.
Continuò a combattere, estendendo altra forza di volontà nelle truppe di non-morti. In
cambio, la bombardarono con la loro disperazione e risentimento.
Stai combattendo per nulla, le sussurravano nella mente i legionari zombie. L'impero è
andato.
“Per la Roma!” Gridò Reyna con voce rauca. Conficcò il suo gladius attraverso uno spettro
di terra e ne accoltellò con il pugnale un altro. “Dodicesima Legione Fulminata!”
Tutto intorno a lei, gli zombie caddero. Alcuni schiacciati in battaglia. Altri disintegrati da
soli proprio mentre il potere residuo dello scettro di Diocleziano alla fine se ne andò.
I fantasmi di terra li circondarono – un mare di volti deformi con gli occhi vuoti.
“Reyna, ora!” Urlò Nico. “Stiamo andando!”
Si guardò indietro. Nico si era completamente legato all’ Athena Parthenos. Teneva
l'inconscio Gleeson Hedge tra le braccia come fosse una damigella in pericolo. Aurum e
Argentum erano scomparsi – forse danneggiati troppo gravemente per continuare a
combattere.
Reyna inciampò.
Un pugno di roccia le aveva dato un colpo di striscio alla cassa toracica, e il suo fianco
scoppiò nel dolore. La testa oscillò. Cercò di respirare, ma era come se cercasse di inalare
coltelli.
“Reyna!” gridò Nico di nuovo.
L’Athena Parthenos tremolava, sul punto di scomparire.
Un fantasma di terra mirò alla testa di Reyna.
Riuscì a schivarlo, ma il dolore nelle sue costole le fece quasi perdere i sensi.
Rinuncia, le dissero le voci nella sua testa. L'eredità di Roma è morta e sepolta, proprio
come Pompei.
“No,” mormorò a sé stessa. “Non mentre sono ancora viva.”
Nico tese la mano mentre cadevano nell'ombra. Con l'ultima forza rimasta, Reyna balzò
verso di lui.
IX
L
e
o
LEO NON AVEVA VOGLIA DI USCIRE DALLA PARETE.
Aveva altre tre bretelle da legare, e nessun’altro era abbastanza magro da poter entrare nel
vespaio. (Uno dei tanti vantaggi dell’essere pelle e ossa.)
Incastrato tra gli strati dello scafo con l’impianto idraulico e quello elettrico, Leo poteva
restare da solo con i suoi pensieri. Quando era frustrato, il che avveniva circa ogni cique
secondi, avrebbe potuto colpire qualsiasi cosa con il suo cacciavite e gli altri membri
dell’equipaggio avrebbero pensato che stesse lavorando, non che stesse facendo qualche
capriccio.
Un problema del suo santuario: ci entrava solamente fino alla vita. Il posteriore e le gambe
rimanevano fuori, in mostra al grande pubblico, il che gli rendeva difficile nascondersi.
“Leo!” la voce di Piper proveniva da qualche parte dietro di lui. “Abbiamo bisogno di te.”
L’anello elastomero di bronzo celeste gli scivolò delle mani nelle profondità del vespaio.
Leo sospirò. “Parla con i pantaloni, Piper! Perché le mani sono occupate!”
“Non parlerò con i tuoi pantaloni. Incontro in sala mensa. Siamo quasi ad Olimpia.”
“Si, va bene. Sarò lì tra un secondo.”
“Cosa stai facendo, comunque? Sei stato rintanato lì dentro per giorni.”
Leo recuperò la torcia dalle piastre e i pistoni di bronzo celeste che stava montando molto
lentamente. “Manutenzione ordinaria.”
Silenzio. Piper era un po’ troppo brava a capire quando mentiva. “Leo–”
“Ehy, già che sei lì, fammi un favore. Mi è venuto prurito proprio sotto la–”
“Va bene, me ne vado!”
Leo si concesse un altro paio di minuti per fissare il tutore. Il suo lavoro era fatto. Non
durava a lungo. Ma stava facendo progressi.
Certo, aveva gettato le basi per il suo progetto segreto quando aveva costruito l’Argo II, ma
non lo aveva detto a nessuno. Era appena onesto con se stesso riguardo a quello che faceva.
Niente dura per sempre, gli aveva detto suo padre una volta. Neanche le macchine
migliori.
Si, va bene, forse era vero. Ma Efesto aveva anche detto, tutto può essere riutilizzato. Lo
scopo di Leo era verificare quella teoria.
Era un rischio pericoloso. Il fallimento avrebbe potuto schiacciarlo. Non solo
emotivamente. Sarebbe stato schiacciante anche fisicamente parlando.
Il pensiero lo fece diventare claustrofobico.
Si divincolò dal vespaio e tornò alla sua cabina.
Beh… tecnicamente era la sua cabina, ma lui non aveva mai dormito lì. Il materasso era
disseminato di fili, chiodi e pezzi di bronzo smontati da diverse macchine. I suoi tre armadi
portautensili – Chico, Harpo e Groucho – prendevano la maggior parte della stanza.
Decine di utensili elettrici erano appesi alle pareti. Sul piano di lavoro erano accumulati i
modelli e delle fotocopie, il testo di Archimede che Leo aveva recuperato da un laboratorio
sotterraneo a Roma.
Anche se avesse voluto dormire nella sua cabina, sarebbe stato troppo stretto e pericoloso.
Preferiva la Branda giù in sala macchine, dove il ronzio costante dei macchinari lo aiutava
ad addormentarsi.
Inoltre, fin da quando era stato sull’Isola di Ogigia, era diventato un appassionato del
campeggio. Un sacco a pelo sul pavimento era tutto quello di cui aveva bisogno.
La cabina serviva solo per l’archiviazione… e per lavorare ai suoi progetti più difficili.
Tirò fuori le chiavi dalla cintura degli attrezzi. Non aveva molto tempo, ma aprì il cassetto
centrale di Groucho e fissò i due oggetti preziosi al suo interno: un astrolabio in bronzo che
aveva trovato a Bologna, e un pezzo di cristallo preso da uno dei muri da Ogigia. Leo non
aveva capito come mettere le due cose insieme, però , la cosa lo stava facendo impazzire.
Aveva sperato di ottenere alcune risposte quando avevano visitato Itaca. Dopo tutto, era la
casa di Ulisse, il tizio che aveva costruito l’astrolabio. Ma, a giudicare da quello che aveva
detto Jason, quelle rovine non avevano alcuna risposta per lui – solo un mucchio di
demoni e fantasmi imbestialiti.
In ogni caso, Ulisse non aveva mai fatto funzionare l’astrolabio. Non aveva avuto un
cristallo da usare come faro per la strada di casa. Leo lo aveva. Avrebbe concluso quello che
il semidio più intelligente di tutti i tempi aveva fallito.
Proprio la fortuna di Leo. Una ragazza immortale super-gnocca lo aspettava su Ogigia, ma
lui non riusciva a capire come collegare quello stupido pezzo di roccia nel dispositivo di
navigazione vecchio di tremila anni. Alcuni problemi che del nastro adesivo avrebbe potuto
risolvere.
Leo richiuse il cassetto chiudendolo a chiave.
I suoi occhi si spostarono sulla bacheca sopra il suo tavolo da lavoro, dove vi erano due
quadri appesi fianco a fianco. Il primo era un vecchio disegno a pastelli che aveva fatto a
sette anni – uno schema di una nave che aveva visto nei suoi sogni. Il secondo era uno
schizzo a carboncino che Hazel aveva recentemente fatto per lui.
Hazel Levesque… in quella ragazza c’era qualcosa.
Appena Leo si era riunito all’equipaggio a Malta, aveva capito subito che Leo stesse male
dentro. La prima occasione che aveva trovato, dopo tutto quel disastro nella casa di Ade,
era entrata nella cabina di Leo dicendo, ‘Dimmi tutto.’
Hazel era una buona ascoltatrice. Leo le raccontò tutta la storia. Più tardi, quella sera,
Hazel era tornata con il suo blocco da disegno e i carboncini. “Descrivimela,” insistette.
“Ogni dettaglio.”
Sembrava un po’ strano aiutare Hazel a fare un ritratto di Calypso – come se stesse
parlando ad un’artista della polizia: Si, ufficiale, è quella la ragazza che ha rubato il mio
cuore! Suonava come un’eccitante canzone country.
Ma descrivere Calypso fu facile. Leo non riusciva a chiudere gli occhi senza vederla.
Ora la sua simile guardò verso di lui dalla bacheca – i suoi occhi a mandorla, le labbra
imbronciate, i suoi lunghi capelli lisci che ricadevano su una spalla del suo abito senza
maniche. Poteva quasi sentire il suo profumo di cannella. La sua fronte corrugata e la sua
bocca sembravano dire, Leo Valdez, sei così pieno di te.
Era fatta, amava quella ragazza!
Leo aveva appeso il suo ritratto accanto al disegno dell’Argo II per ricordare a sé stesso che
alle volte i sogni si avverano. Come quando da ragazzino, aveva sognato una nave volante.
Alla fine l’aveva costruita. Ora avrebbe costruito un modo per tornare da Calypso.
Il ronzio dei motori della nave diminuì. Sopra la cabina dell’autoparlante, la voce di Festus
scricchiolò e cigolò.
“Si, grazie amico.” Disse Leo. “Adesso vado.”
La nave stava scendendo, il che significava che i progetti di Leo avrebbero dovuto
aspettare.
‘Stai tranquillo, luce-del-sole,’ gli disse il ritratto di Calypso.
“Tornerò da te, proprio come ti ho promesso.”
Leo poté immaginare la sua risposta: ‘Io non ti sto aspettando, Leo Valdez. Io non sono
innamorata di te. E certamente non credo alle tue promesse folli!’
Il pensiero lo fece sorridere. Prese le chiavi dalla sua cintura degli attrezzi e si diresse verso
la sala mensa.
Gli altri sei semidei stavano gustando la prima colazione.
Una volta, Leo si sarebbe preoccupato che fossero tutti sottocoperta e nessuno al timone,
ma da quando Piper aveva risvegliato in modo permanente Festus con la sua lingua
ammaliatrice – una capacità che Leo non aveva ancora compreso – la testa di drago era
stata in grado di far funzionare l’Argo II da sé. Festus poteva navigare, controllare il radar,
fare un frullato di mirtilli e lanciare dei getti di fuoco incandescente contro i nemici – tutto
contemporaneamente – senza nemmeno andare in cortocircuito.
Inoltre, avevano Buford l’incredibile tavolo che controllava il tutto.
Dopo che Coach Hedge si era unito alla spedizione con il viaggio-ombra, Leo aveva deciso
che il suo tavolino a tre gambe avrebbe potuto fare altrettanto bene un lavoro come quello
svolto dal loro ‘Accompagnatore adulto’. Aveva laminato il tavolo Bufford con una
pergamena magica che proiettava a dimensioni ristrette una simulazione olografica del
Coach Hedge. Un Mini-Hedge che sbatacchiava gli zoccoli in giro sulla cima di Buford,
dicendo cose a caso come ‘FALLA FINITA’, ‘TI FACCIO FUORI’ e la popolare ‘METTITI
DEI VESTITI ADOSSO!’
Oggi era Buford l’addetto al timone. Se le fiamme di Festus non avessero spaventato i
mostri, l’ologramma di Hedge su Buford ci sarebbe sicuramente riuscito.
Leo si fermò sulla soglia della sala mensa, osservando la scena intorno al tavolo da pranzo.
Non aveva avuto spesso modo di vedere tutti i suoi amici insieme.
Percy stava mangiando un enorme pila di frittelle blu ( che cosa aveva con il cibo blu? )
mentre Annabeth lo rimproverava per aver versato troppo sciroppo.
“Le stai annegando!” Si lamentò.
“Ehy, sono un figlio di Poseidone,” disse. “Non posso affogare io, e così neanche i miei
pancakes!”
Alla loro sinistra, Frank e Hazel stavano usando le loro ciotole di cereali per fermare un
mappa della Grecia. Sembravano concentrati su quella, le loro teste erano molto vicine.
Ogni tanto la mano di Frank finiva per coprire quella di Hazel, appena dolcemente e in
modo così naturale che sembravano una vecchia coppia sposata, e Hazel non lo guardava
nemmeno con un po’ di agitazione, il che era un vero progresso per una ragazza del 1940.
Fino a poco tempo prima, se qualcuno avesse bestemmiato, l’avrebbe quasi fatta svenire.
A capo del tavolo, Jason era seduto a disagio con la maglietta arrotolata sulla cassa toracica
mentre l’infermiera Piper gli cambiava le bende.
“Resisti ancora,” disse. “So che fa male.”
“È solo freddo,” rispose lui.
Leo riusciva a percepire il dolore nella sua voce. La lama di quello stupido gladius lo aveva
trafitto da parte a parte. L’ingresso della ferita sulla schiena era di una brutta tonalità
violacea ed emetteva vapore. Il che non era probabilmente un buon segno.
Piper cercava di rimanere positiva, ma in privato aveva rivelato a Leo quanto fosse
preoccupata. L’ambrosia, il nettare e le medicine non potevano aiutarlo ancora per molto.
Un taglio così profondo provocato dal bronzo celeste o dall’oro Imperiale poteva
letteralmente sciogliere l’essenza di un semidio dal suo interno. Jason sarebbe potuto stare
meglio. Aveva detto di sentirsi meglio. Ma Piper non ne era così sicura.
Peccato che Jason non fosse un automa di metallo. Se così fosse stato, Leo avrebbe almeno
avuto qualche idea su come aiutare il suo migliore amico. Ma con gli esseri umani … Leo si
sentiva impotente. Si rompevano con troppa facilità.
Amava i suoi amici. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro. Ma mentre li guardava tutti
quanti – tre coppie, tutti concentrati l’uno sull’altro – pensò all’avvertimento di Nemesi,
la dea della vendetta: Non troverai mai un posto tra i tuoi fratelli. Sarai per sempre la
settima ruota.
Stava cominciando a pensare che Nemesi avesse ragione. Supponendo che Leo fosse
vissuto abbastanza a lungo, assumendo che il suo piano segreto avrebbe funzionato, il suo
destino era con un’altra, su un’isola che nessun uomo avrebbe mai trovato due volte.
Ma per ora il meglio che poteva fare era seguire la sua vecchia regola: Continuare a
muoversi. Soprattutto quando non se ne ha voglia.
“Che succede, ragazzi?” passeggiò nella sala mensa. “Oh, sì, dei brownies!”
Afferrò l’ultimo – da una speciale ricetta al sale marino che avevano ricevuto da Aphros, il
centauro marino sul fondo dell’Atlantico.
Linterfono crepitò. Il Mini-Hedge di Buford gridò attraverso gli autoparlanti, “METTEVI
DEI VESTITI ADOSSO!”
Tutti trasalirono. Hazel finì ad un metro di distanza da Frank. Lo sciroppo di Percy finì nel
suo succo d’arancia. Jason si divincolò goffamente nella sua maglietta, e Frank si trasformò
in un bulldog.
Piper guardò Leo. “Credevo ti fossi sbarazzato di quello stupido ologramma.”
“Ehy, Buford voleva solo darvi il buongiorno. Ama il suo ologramma! Inoltre, a tutti noi
manca il coach. E Frank è un bulldog così carino.”
Frank si trasformò di nuovo in un corpulento, burbero ragazzo cinese-canadese. “Siediti e
basta, Leo. Abbiamo delle cose di cui parlare.”
Leo si infilò tra Jason e Hazel.
Capì che erano meno propensi agli scherzi di lui. Diede un morso al suo brownie e afferrò
un pacchetto di cibo spazzatura italiano – Fonzies – per completare la sua equilibratissima
colazione. Ne era diventato un po’ dipendente da quando ne aveva acquistato un po’ a
Bologna. Erano al formaggio e mais – due dei suoi ingredienti preferiti.
“Allora…” Jason fece una smorfia mentre si sporgeva in avanti. “Rimarremo in volo e ci
avvicineremo il più possibile ad Olympia. È in una posizione più interna di quanto vorrei –
a cinque miglia – ma non abbiamo molta scelta. Secondo Giunone, dobbiamo trovare la
dea della vittoria e, uhm,… sottometterla.”
Un imbarazzante silenzio calò intorno al tavolo.
Con le nuvole tendevano a coprire le pareti olografiche, la mensa era più scura a cupa di
quello che avrebbe dovuto, il che non poteva essere di aiuto. Da quando i Kerkopes, i
gemelli nani, avevano mandato in corto circuito le mura, i video in tempo reale dal Campo
Mezzosangue erano spesso oscurati, trasformandosi in una riproduzione in primo piano
del nano – baffi rossi, le narici e il lavoro dentario fatto male. Non era affatto utile quando
si stava cercando di mangiare o di avere una seria conversazione sulla fine del mondo.
Percy sorseggiò il suo succo d’arancia aromatizzato allo sciroppo. Sembrava trovarlo
abbastanza buono. “Mi sta bene se dovessimo lottare con una dea occasionale, ma Nike
non è una dei buoni? Voglio dire, personalmente, mi piace la vittoria. Come se non ne
avessimo abbastanza.”
Annabeth tamburellò le dita sul tavolo. “Sembra strano. So che Nike si trova ad Olimpia –
la sede delle Olimpiadi e tutto il resto. I concorrenti venivano sacrificati a lei. I Greci e i
Romani la andarono ad adorare lì per, tipo, 1200 anni, giusto?”
“Quasi fino alla fine dell’Impero romano,” concordò Frank. “I romani la chiamavano
Vittoria, ma non c’è differenza. Tutti l’amavano. A chi non piace vincere? Non capisco
perché dovremmo sottometterla.”
Jason aggrottò la fronte. Un filo di vapore si arricciò fuori dalla ferita sotto la camicia.
“Tutto quello che so… è quello che ha detto il demone di Antinoo, la Vittoria dilaga ad
Olympia. Giunone ci ha avvertiti che non avremmo mai potuto sanare la spaccatura tra
Greci e Romani a meno che non sconfiggiamo Vittoria.”
“Come possiamo sconfiggere la vittoria?” domandò Piper. “Sembra uno di quegli enigmi
impossibili.”
“Come facciamo a far volare le rocce,” disse Leo, “o a mangiare un solo Fonzies.” Se ne
gettò un altro pugno in bocca.
Hazel arricciò il naso. “Quella roba finirà per ucciderti.”
“Stai scherzando? Ci sono talmente tanti conservanti in queste cose che vivrò per sempre.
Ma, ehy, questa dea della vittoria dev’essere grandiosa e popolarissima – Non ricordate
come sono i suoi figli al Campo Mezzosangue?”
Hazel e Frank non erano mai stati al Campo Mezzosangue, ma gli altri annuirono
gravemente.
“Ha ragione,” disse Percy. “I ragazzi della Cabina diciassette – sono super-competitivi.
Quando si tratta di recuperare la bandiera, sono quasi peggio dei ragazzi di Ares. Uh,
senza offesa, Frank. ”
Frank si strinse nelle spalle. “Stai dicendo che Nike ha un lato oscuro?”
“I suoi figli sicuramente ce l’hanno,” disse Annabeth. “Non rifiutano mai una sfida. Devono
essere i numeri Uno in tutto. Se la loto mamma è quella…”
“Wow,” Piper sbatté le mani sul tavolo mentre la nave si era messa a dondolare. “Ragazzi,
tutti gli dei sono divisi tra i loro aspetti Greci e Romani, giusto? Se lo è anche Nike e lei è la
dea della vittoria– ”
“Sarebbe davvero in conflitto,” disse Annabeth. “Entrambi i suoi lati vorrebbero vincere
sull’altro in modo da poter dichiarare un vincitore. Sarà letteralmente in lotta con sé
stessa.”
Hazel spostò la sua ciotola dei cereali sulla mappa della Grecia. “Ma noi non vogliamo che
un lato o l’altro vincano. Dobbiamo fare in modo che i Greci e i Romani siano nella stessa
squadra.”
“Forse è quello il problema,” disse Jason. “Se la dea della vittoria è dilagante, divisa tra
greci e romani potrebbe comportare l’impossibilità di riunire i due campi.”
“Come facciamo?” chiese Leo. “Avviamo uno scontro su Twitter?”
Percy accoltellò i suoi Pancaces. “Forse è come Ares. Quel tipo può innescare una lotta
mentre passeggia tra una folla di gente. Se Nike irradia vibrazioni competitive o qualcosa
del genere, potrebbe aggravare l’intera rivalità greco-romana.”
Frank indicò Percy. “Ti ricordi quel vecchio dio del mare ad Atlanta – Forco? Aveva detto
che i piani di Gea avevano sempre un sacco di strati. Potrebbe essere parte della strategia
dei Giganti – tenere i due campi divisi per mantenere gli Dei divisi. Se è così, non possiamo
lasciare che Nike ci faccia scontrare l’uno contro l’altro. Dovremmo inviare una quadra di
quattro – due Greci e due Romani. Mantenendoci equilibrati potremmo equilibrare anche
lei.”
Ascoltando Zhang, Leo ebbe uno di quei momenti di deja vù. Non riusciva a credere quanto
fosse cambiato il ragazzo nelle ultime settimane.
Frank non era diventato solamente più alto e muscoloso. Era anche più fiducioso in sé
stesso, più disposto a prendere un incarico. Forse era perché il suo legnetto magico ad
altamente infiammabile era stato sistemato in un posto sicuro privo dal rischio di
esplodere, o forse era perché aveva comandato una legione di zombie venendo promosso a
pretore. Qualunque cosa fosse, Leo aveva difficoltà a vederlo come il tipo goffo che un
tempo non riusciva a tirare fuori le dita dalle manette cinesi.
“Penso che Frank abbia ragione,” disse Annabeth. “Un gruppo di quattro persone.
Dovremo stare attenti a chi mandare. Non vogliamo fare nulla che possa rendere la dea,
uhm, più instabile.”
“Vado io,” si propose Piper. “Posso provare ad usare la lingua ammaliatrice.”
Delle rughette di preoccupazione comparvero attorno agli occhi di Annabeth. “Non questa
volta Piper. Nike è super competitiva. Afrodite… beh, lo è anche lei a modo suo. Penso che
Nike potrebbe vederti come una minaccia.”
Una volta, Leo ci avrebbe fatto una battuta sopra. Piper una minaccia? La ragazza era
come una sorella per lui, ma, se aveva bisogno di aiuto per picchiare un banda di teppisti o
sottomettere una dea della vittoria, Piper non era la prima persona a cui avrebbe pensato.
Recentemente, però… beh, Piper non aveva avuto dei cambiamenti ovvi come quelli di
Frank, ma era cambiata. Aveva accoltellato Khione, la dea della neve nel petto. Aveva
scacciato i Boreadi. Aveva sconfitto uno stormo di arpie selvatiche da sola. Quanto alla sua
lingua ammaliatrice, era diventata così potente che rendeva Leo nervoso. Se lei gli avesse
detto di mangiare le verdure, avrebbe potuto effettivamente farlo.
Le parole di Annabeth non sembrarono turbarla. Piper annuì scrutando il gruppo. “Chi
dovrebbe andare, allora?”
“Jason e Percy non dovrebbero andare insieme,” osservò Annabeth. “Giove e Poseidone –
pessima combinazione. Nike potrebbe indurvi allo scontro con facilità.”
Percy le rivolse un sorriso di traverso. “Si, non possiamo avere un altro incidente come in
Kansas. Potrei uccidere mio fratello Jason.”
“O io potrei uccidere mio fratello Percy,” disse graziosamente Jason.
“Il che dimostra che ho ragione,” disse Annabeth. “Non dobbiamo inviare Frank e me
insieme. Marte e Atena – sarebbe altrettanto male.”
“Okay,” interruppe Leo. “Percy e me per i Greci. Frank e Hazel per i romani. È l’ultimo
team che sognerebbe la competitività o cose del genere.”
Annabeth e Frank si scambiarono un’occhiata d’intesa.
“Potrebbe anche funzionare” decise Frank. “Voglio dire, nessuna combinazione è perfetta,
ma Poseidone, Efesto, Plutone e Marte… non ci vedo nessun grande antagonismo.”
Hazel tracciò il dito lungo la mappa della Grecia. “Così dobbiamo ancora attraversare il
Golfo di Corinto. Speravo che potessimo visitare Delphi, magari ottenendo qualche
consiglio. Inoltre è una strada più lunga se circumnavighiamo il Peloponneso.”
“Si.”Il cuore di Leo affondò guardando quanto avevano ancora da navigare. “È già il
ventuno Luglio. Contando oggi, abbiamo solo dieci giorni fino a –”
“Lo so,” disse Jason. “Ma Giunone è stata chiara. La via più breve ci porterebbe al
suicidio.”
“Lo stesso per Delphi…” Piper si sporse verso la cartina. La piuma blu di arpia nei capelli
oscillò come un pendolo. “Cosa sta succedendo lì? Se Apollo non ha più il suo oracolo…”
Percy grugnì. “Probabilmente ha qualcosa a che fare con quel verme di Ottaviano. Forse
raccontava così male del futuro che ha distrutto i poteri di Apollo.”
Jason riuscì a sorridere, anche se i suoi occhi erano pieni di dolore. “Speriamo di poter
trovare Apollo e Artemide. Poi potremmo chiederlo a lui stesso. Giunone ha detto che i
gemelli potrebbero essere disposti ad aiutarci.”
“Una sacco di domande senza risposte,” mormorò Frank. “Un sacco di miglia da Percorrere
prima di arrivare ad Atene.”
“Per prima cosa,” disse Annabeth. “Voi ragazzi dovete trovare Nike e capire come
sottomettere il suo… qualsiasi cosa che Giunone intendesse dire. Ancora non capisco come
si possa sconfiggere una dea che controlla la Vittoria. Sembra impossibile.”
Leo iniziò a sorridere. Non poteva farne a meno.
Certo, avevano solamente dieci giorni per fermare i Giganti dalla veglia di Gea. Certo,
sarebbe potuto morire prima di cena. Ma amava sentirsi dire che qualcosa era impossibile.
Era come se qualcuno porgendogli una torta meringata ala limone gli desse una fetta
dicendogli di non buttarla. Lui non riusciva a resistere alla sfida.
“Staremo a vedere.” Si alzò in piedi. “Lasciatemi prendere la mia collezione di granate, e ci
vediamo sul ponte, ragazzi!”
X
L
e
o
“SAPPIENTONE E’ RICHIESTO QUI,” Disse Percy, “tocca a te.”
Lui e Leo avevano appena cercato nel museo.
Ora erano seduti su un ponte che attraversava il fiume Cladeo, i piedi a penzoloni sopra
l’acqua mentre aspettavano Frank e Hazel per finire di visitare le rovine.
Alla loro sinistra, la valle Olimpica brillava nel caldo pomeriggio. Alla loro destra, molti dei
visitatori si raccoglievano presso gli autobus turistici. Meno male che l’Argo II era
ormeggiata ad una trentina di metri in aria, perché non avrebbero mai trovato da
parcheggiare.
Leo lanciò la sua pietra nel fiume. Avrebbe voluto che Hazel e Frank tornassero indietro. Si
sentiva a disagio ad uscire con Percy.
Per prima cosa, non era sicuro di che tipo di argomenti trattare con un ragazzo che era da
poco tornato dal Tartaro. ‘Visto l’ultimo episodio di Doctor Who? Oh, giusto. Stavi
arrancando attraverso la Fossa dell’Eterna Dannazione!’
Percy era stato abbastanza intimidatorio prima – aveva convocato uragani, duellato con i
pirati, ucciso giganti nel Colosseo… Ora… beh, dopo tutto quello che era successo nel
Tartaro, sembrava che persi si fosse laureato ad un livello completamente diverso da
‘spacca-teste’.
Leo aveva difficoltà anche a pensarlo come uno che faceva parte del suo stesso campo. I
due non erano mai stati al Campo Mezzosangue assieme. La collana in pelle di Percy aveva
quattro perline per le estati completate. La collana di Leo non ne aveva nemmeno una.
L’unica cosa che avevano in comune era Calypso, e ogni volta che Leo ci pensava avrebbe
potuto prendere Percy a pugni in faccia.
Leo continuava a pensare che avrebbe dovuto farlo, solo per sfogarsi, ma i tempi non gli
sembravano propizi. E, con il passare dei giorni, la cosa diventava più dura e difficile da
affrontare.
“Cosa?” chiese Percy.
Leo si spostò. “Che cosa, cosa?”
“Mi stavi fissando, come se fossi arrabbiato.”
“L’ho fatto?” Leo cercò di trovare una qualche scusa, o perlomeno di sorridere, ma non ci
riuscì. “Uhm, scusa.”
Percy guardò il fiume. “Credo che dovremmo parlare.” Aprì la mano e la pietra che Leo
aveva lanciato nel ruscello tornò dritta nella sua mano.
Oh, pensò Leo, dobbiamo farlo adesso?
Considerò di creare una colonna di fuoco del tour-bus più vicino e farne saltare in aria il
serbatoio del gas, ma decise che sarebbe stato un po’ troppo drammatico.
“Forse dovremmo parlare. Ma non –”
“Ragazzi!” Frank si trovava in fondo al parcheggio, facendogli segno di avvicinarsi.
Accanto a lui, Hazel era seduta a cavalcioni sul suo cavallo, Arion, che era apparso senza
preavviso non appena erano sbarcati.
Sia lodato Zhang, pensò Leo.
Lui e Percy si incamminarono verso i loro amici.
“Questo posto è enorme,” gli riferì Frank. “Le rovine si estendono dal fiume alla base di
quella montagna laggiù, per circa mezzo chilometro.”
“Fino a che punto, e in quale sistema di misurazione?” domandò Percy.
Frank alzò gli occhi. “La misurazione regolare in Canada e nel resto del mondo. Solo voi
americani –”
“Circa cinque o sei campi da calcio,” intervenne Hazel, dando ad Arion una grossa fetta di
oro da mangiare.
Percy allargò le braccia. “Questo è tutto quello che c’è da sapere.”
“In ogni caso,” continuò Frank, “dall’alto, non ho visto nulla di sospetto.”
“Nemmeno io,” disse Hazel. “Arion mi ha fatto fare un giro completo intorno al perimetro.
C’erano un sacco di turisti, ma nessuna dea impazzita.”
Il grande stallone nitrì e gettò la testa indietro, i muscoli del collo ondeggiavano sotto il
cappotto di pelliccia.
“Ragazza, il tuo cavallo non dice cose molto carine.” Percy scosse la testa. “Non pensa
molto bene di Olympia.”
Per una volta, Leo concordava con il cavallo. Non gli piaceva l’idea di passare attraversi dei
campi pieni di rovine sotto il sole cocente, facendosi strada attraverso le orde di turisti
sudati mentre cercavano una bipolare dea della vittoria. Inoltre, Frank era sorvolato per
tutta la valle sotto forma di aquila. Se i suoi occhi acuti avessero non avevano visto nulla,
forse non c’era nulla da vedere.
D’altra parte, le tasche di Leo erano piene di giocattolini pericolosi. Avrebbe odiato
tornarsene a casa senza aver fatto saltare in aria nulla.
“Così dobbiamo solo avventurarci un po’ in giro assieme,” disse, “e i guai ci troveranno. Ha
sempre funzionato prima.”
Perlustrarono per un po’, evitando i gruppi di turisti e passando alla zona ombreggiante
successiva. Ancora una volta, Leo venne colpito da quanto la Grecia fosse simile al suo
stato natale del Texas – le basse colline, gli alberi stentati, il ronzio delle cicale e il caldo
estivo opprimente. Passare tra le antiche colonne e i templi per le mucche in rovina e il filo
spinato, Leo non si era mai sentito così tanto a casa.
Frank trovò un opuscolo turistico (seriamente, quel tizio avrebbe letto pure gli ingredienti
su una busta per fare la zuppa) e gli diede una breve spiegazione di quello che stavano
vedendo.
“Questo è il Propylon.” Indicò verso un sentiero di pietra fiancheggiato da colonne in
rovina. “Una delle principali porte della valle olimpica.”
“Macerie!” disse Leo.
“E laggiù–” Frank indicò un fondamento quadrato che sembrava il patio di un ristorante
messicano. “Quello è il Tempio di Era, una delle strutture più antiche qui.”
“Altre macerie!” ripeté Leo.
“E per tutto questo che sembra un palco – questo è il Philipeon, dedicato a Filippo di
Macedonia.”
“Ancora più macerie! Macerie di prima classe!”
Hazel, che era ancora in sella ad Arion, diede un calcio al braccio. “Non c’è proprio niente
che ti impressioni?”
Leo alzò lo sguardo. I suoi ricci capelli color caramello e i suoi occhi dorati si abbinavano
così bene all’elmetto e alla spada che sarebbero potuti essere stati progettati per essere di
oro imperiale. Leo dubitava che Hazel avesse considerato che fosse un complimento, ma,
per quanto riguardasse gli esseri umani, Hazel sarebbe potuta essere di una prima classe
artigianale.
Leo ricordò il loro viaggio insieme attraverso la Casa di Ade. Hazel lo aveva portato
attraverso quel labirinto pieno di illusioni raccapriccianti.
Aveva fatto scomparire la maga Pasifae attraverso un foro immaginario nel pavimento.
Aveva re-incatenato le Porte della Morte. Nel frattempo Leo aveva fatto … beh,
praticamente nulla.
Non era più infatuato di Hazel.
Il suo cuore era sulla lontana isola di Ogigia.
Eppure, Hazel Levesque lo impressionava – anche quando non era seduta sulla groppa di
uno spaventoso ed immortale cavallo supersonico che imprecava come uno scaricatore di
porto.
Non disse nulla a riguardo, ma Hazel doveva essersi fatta un’idea. Distolse lo sguardo
confusa.
Fortunatamente ignaro, Frank continuò la sua visita guidata. “E là… oh.” Lanciò
un’occhiata a Percy. “Uh, quella avvallata semicircolare nella collina, con le nicchie…
quello è un ninfeo, costruito in epoca romana.”
La faccia di Percy diventò di uno strano colore bluastro. “Ecco l’idea: Lì non ci andiamo.”
Leo aveva sentito parlare di tutta quell’esperienza pre-morte nel ninfeo di Roma con Jason
e Piper. “Mi piace come idea.”
Continuarono a camminare.
Di tanto in tanto, le mani di Leo finivano per frugare nella sua cintura degli attrezzi. Da
quando il Kerkopes era stata rubata a Bologna, aveva paura di potersi ritrovare con una
corda per il bucato come cintura di nuovo, anche se dubitava che un qualsiasi mostro fosse
ingegnoso nel furto quanti quei nani. Si chiese cosa quelle piccole scimmie stessero
facendo a New York. Sperava che si stessero divertendo a molestare ancora i Romani,
rubandogli un sacco di cerniere luccicanti e facendo cadere i pantaloni ai legionari.
“Questo è il Pelopion” disse Frank, indicando un altro affascinante mucchio di pietre.
“Andiamo, Zhang,” disse Leo, “Pelopion non è nemmeno una parola. Che cosa poteva
essere – un luogo sacro a Ploppino?”
Frank parve offeso. “È il luogo di sepoltura di Pelope. Tutta questa parte della Grecia, il
Peloponneso, è stato chiamato così in suo onore.”
Leo resistette alla tentazione di lanciare una granata in faccia a Frank. “Suppongo che
dovrei sapere che Pelope era…?”
“Era un principe, ha vinto sua moglie in una corsa di carri. Presumibilmente ha dato inizio
ai giochi olimpici per quello.”
Hazel tirò su col naso. “Che romantico: «Che bella moglie che hai, Principe Pelope!» «Grazie. L’ho
vinta in una corsa ai carri.»”
Leo non vedeva come tutto quello potesse aiutarli a trovare la dea della vittoria. Al
momento, l’unica vittoria che voleva era di sconfiggere una bevanda ghiacciata e forse
alcuni nachos.
Ancora… Più si addentravano nelle rovine, più era il disagio che provava. Si addentrò di
nuovo in uno dei suoi ricordi – la sua baby-sitter Tìa Callida, aka Era, incoraggiandolo a
infastidire un serpente velenoso con un bastone quando aveva quattro anni. La dea
psicopatica disse che era un buon allenamento per diventare un eroe, e forse aveva avuto
ragione. In quei gironi Leo trascorreva la maggior parte del suo tempo a perlustrare finché
non si ritrovava qualche guai.
Scrutò la folla di turisti, chiedendosi se fossero comuni mortali o mostri sotto mentite
spoglie, come quegli eidolon che li avevano inseguiti a Roma. Ogni tanto gli parve di
vedere un volto famigliare – un suo cugino bullo, Raffaello; il suo insegnante della terza
elementare, il signor Borquin; la sua mamma adottiva abusiva, Teresa – tutti i tipi di
persone che avevano trattato Leo come spazzatura.
Probabilmente se li era solo immaginati, ma la cosa lo innervosì. Ricordò come la da
Nemesi fosse apparsa come sua zia Rosa, la persona per cui Leo provava più risentimento e
voglia di vendetta. Si chiese se Nemesi fosse lì da qualche parte, ad osservarlo per vedere
cosa avrebbe fatto. Non era ancora sicuro di aver ripagato il suo debito alla dea. Sospettava
che lei volesse che soffrisse di più. Forse era quello il giorno.
Si fermarono ad alcuni ampi gradini che conducevano ad un altro edificio in rovina – il
Tempio di Zeus, secondo Frank.
“Era uso tenere un’enorme statua d’oro e avorio di Zeus all’interno,” disse Zhang. “Una
delle sette meraviglie del mondo antico. Realizzato dallo stesso tizio che ha fatto l’Athena
Parthenos.”
“Ti prego, dimmi che non dobbiamo trovarla,” pregò Percy. “Ne ho abbastanza di enormi
statue per questo viaggio.”
“Concordo.” Hazel accarezzò il fianco di Arion, mentre lo stallone si era un po’ agitato.
Per Leo sembrò nitrire e calpestare sugli zoccoli un po’ troppo. Era accaldato, agitato e
affamato. Si sentì come quando aveva infastidito il serpente velenoso e quello se ne era
andato via. Voleva fare in fretta e tornare alla nave prima che accadesse.
Purtroppo, quando Frank citò il Tempio di Zeus e la statua, il cervello di Leo aveva fatto
una connessione. Al contrario di ogni buon senso, concordava.
“Ehy, Percy,” disse, “ricordi quella statua di Nike al museo? Quella che era tutta a pezzi?”
“Già?”
“Non era in genere sistemata qui, al Tempio di Zeus? Sentitevi liberi di dirmelo se mi
sbaglio. Mi piacerebbe sentire che mi sbaglio.”
La mano di Percy scivolò nella sua tasca. Nel fece uscire la sua penna, Vortice. “Hai
ragione. Quindi, se Nike è ovunque… questo sembrerebbe un buon posto.”
Frank studiò l’ambiente circostante. “Io non vedo nulla.”
“E se promuovessimo qualcosa, tipo, le scarpe dell’Adidas?” si domandò Percy. “Farebbe
ammattire Nike abbastanza da mostrarsi?”
Leo sorrise nervosamente. Forse lui e Percy avevano qualcosa in comune – un senso
dell’umorismo poraccio. “Si, scommetto che sarebbe assolutamente contrariata a questa
sponsorizzazione. QUESTE NON SONO LE SCARPE UFFICIALI DELLE OLIMPIADI!
MORIRETE ADESSO!”
Hazel roteò gli occhi. “Voi due siete impossibili.”
Dietro di Leo, una voce tonante scosse le rovine: “MORIRETE ADESSO!”
Leo quasi non fece uscire qualche strumento dalla sua cintura… e mentalmente si prese a
calci. Doveva solo invocare Adidas, la dea delle scarpe non-di-marca.
Sopra di lui, in una carrozza dorata, con una lancia posata sul cuore, comparve la dea Nike.
XI
L
e
o
LE ALI D’ORO ERANO IMMENSE.
Leo cercò il carro e due cavalli bianchi. Gli andava bene anche la scintillante veste senza
maniche di Nike(Calypso ne sarebbe rimasta sconvolta, ma non era importante) e le trecce
raccolte di capelli scuri ingarbugliati nella corona d’alloro dorato.
Teneva gli occhi spalancati sembrando un po’ pazza, come se avesse appena bevuto una
ventina di tazzine di caffè espresso e stata su delle montagne russe, ma la cosa non
preoccupò Leo. Avrebbe potuto anche puntargli la lancia d’oro verso il petto.
Ma quelle ali – erano di lucido oro, fino all’ultima piuma. Leo ne osservò la complicata
lavorazione, ma erano troppo, troppo luminose, troppo appariscenti. Se le ali fossero stati
dei pannelli solai, Nike avrebbe raccolto abbastanza energia da alimentare Miami.
“Signorina,” disse, “le potrebbe chiudere, per favore? Ci sta arrostendo.”
“Che cosa?” la testa di Nike scattò nella sua direzione come quella di un pollo spaventato.
“Oh… il mio piumaggio brillante. Molto bene. Suppongo che non si possiate morire con
gloria se finirete accecati e bruciati.”
Nascose le sue ali. La temperatura scese a centotrenta gradi, normali per un pomeriggio
estivo.
Leo guardò i suoi amici. Frank rimase immobile, valutando la dea. Il suo zaino no si era
ancora trasformato in un arco e in una faretra, quindi erano probabilmente al sicuro. Non
doveva essere ancora andato fuori di testa, perché non si era ancora trasformato in un
pesce rosso gigante.
Hazel stava avendo problemi con Arion. Lo stallone nitriva e diventava, evitando il
contatto visivo con i cavalli bianchi che trainavano il carro di Nike.
Quanto a Percy, tenne la sua magica penna a sfera come se stesse cercando di decidere se
sferrare qualche colpo con la spada o autografare il carro di Nike.
Nessuno si fece avanti per parlare. Leo avrebbe proprio voluto che ci fossero state Piper e
Annabeth con loro. Sarebbero state brave a tirare fuori un argomento.
Decise che qualcuno facesse meglio a dire qualcosa prima che morissero tutti con gloria.
“Dunque!” indicò Nike con il dito. “Non ho letto la guida turistica, e sono abbastanza sicuro
che le informazioni dateci da Frank non fossero complete. Potresti dirci che cosa sta
succedendo qui?”
Gli occhi spalancati di Nike lo innervosivano. Il naso di Leo aveva preso fuoco? Era
successo qualche volta in situazioni del genere.
“Dobbiamo vincere!” sbraitò la dea. “Il concorso lo deciderà! Siete venuti qui per
determinare il vincitore, si?”
Frank si schiarì la gola: “Sei Nike o Vittoria?”
“Argghh!” La dea si strinse il lato del capo. I suoi cavalli arraparono, spingendo Arion a
fare lo stesso.
La dea rabbrividì e si divise in due immagini distinte, il che ricordò a Leo – ironicamente –
di quando aveva l’abitudine di sdraiarsi sul pavimento del suo appartamento come un
bambino e giocare con il fermaporta a molla e il battiscopa. Lo teneva premuto per poi
lasciarlo schizzare: sproing! Il fermaporta saltellava avanti e indietro così in fretta che
sembrava essersi diviso in due.
Ecco a cosa somigliava Nike: un fermaporta divino, scisso in due.
Sulla sinistra c’era quella che avevano visto prima: abito scintillante senza maniche, capelli
scuri ornati dall’alloro, ali d’oro piegate dietro di sé. Sulla destra c’era una versione diversa,
vestita per la guerra in una corazza romana e gambali.
Dei ciuffi castani comparivano dal bordo del caschetto. Le sue ali erano piumose e bianche,
il vestito viola e sull’asta della sua lancia vi era incisa una scritta romana – SPQR in oro
con una corona d’alloro.
“Io sono Nike!” enunciò l’immagine di sinistra. “Io Vittoria!” gridò quella a destra.
Per la prima volta, Leo capì il vecchio detto che la sua abuelo era solita usare: ‘leggi tra le
righe’. Quella dea stava letteralmente dicendo due cose differenti allo stesso tempo.
Continuava a tremolare e a scindere, dando a Leo le vertigini. Fu tentato di prendere i suoi
attrezzi e regolarle la valvola del carburatore, perché continuando a tremare così prima o
poi sarebbe volata via.
“Io sono colei che deciderà la vittoria!” esclamò Nike. “Una volta mi trovavo qui, in un
angolo del tempio di Zeus, venerata da tutti! Mi occupavo dei giochi olimpici. Offerte da
ogni città-stato ammucchiate ai miei piedi!”
“I giochi sono irrilevanti!” gridò Vittoria. “Io sono la dea del successo in battaglia! I
generali Romani mi adoravano! Augusto stesso eresse il mio altare nel Senato!”
“Ahhh!” Entrambe le voci urlarono agonizzanti.
“Dobbiamo decidere! Dobbiamo vincere!”
Arion impennò così violentemente che Hazel dovette scendere da dietro per evitare di
essere gettata a terra. Prima che lei potesse calmarlo, il cavallo sparì, lasciando una scia di
vapore attraverso le rovine.
“Nike,” disse Hazel, facendo un lento passo avanti. “Sei confusa, come tutti gli dei. I greci
ed i romani sono sull’orlo di una guerra. Sta facendo in modo che i due aspetti si
scontrino.”
“Lo so!” La dea scosse la lancia, la punta si scisse in due. “Non posso sopportare un
conflitto irrisolto! Chi è più forte? Chi è il vincitore?”
“Signora, nessuno sarà il vincitore,” disse Leo. “Se dovesse esserci una guerra, ci
perderebbero tutti.”
“Nessun vincitore?” Nike sembrò talmente sconvolta, Leo era piuttosto sicuro che il naso
gli sarebbe andato a fuoco.
“C’è sempre un vincitore! Un vincitore. Tutti gli altri sono perdenti! In caso contrario, la
vittoria sarebbe priva di significato. Immagino che tu voglia che io dia dei premi a tutti i
concorrenti? Piccoli trofei di plastica ad ogni singolo atleta o soldato per aver partecipato?
Dovremmo metterli tutti in fila per stringersi le mani e dirsi l’un l’altro, ‘Bella giocata’?
No! La vittoria deve essere reale. Bisogna guadagnarsela. Ciò implica che deve essere rara e
difficile da ottenere, contro ogni ostacolo, e la sconfitta deve essere l’altra possibilità.”
I due cavalli della dea batterono gli zoccoli, come se fossero entrati nello spirito del
discorso.
“Uh… d’accordo.” Disse Leo. “Sicuramente avete le idee chiare su questo. Ma la guerra vera
è contro Gea.”
“Ha ragione,” disse Hazel. “Nike, tu eri l’auriga di Zeus, durante l’ultima guerra con i
giganti, non è forse così?”
“Naturalmente!”
“Allora sai che Gea è il nostro vero nemico. Abbiamo bisogno del tuo aiuto per sconfiggerla.
La guerra non è tra Greci e Romani.”
Vittoria ruggì. “I Greci devono morire!”
“Vittoria o morte!” gemette Nike. “Una delle due cose deve prevalere!”
Frank grugnì. “Ne ho abbastanza di questa cosa grazie a mio padre che me lo urla in testa.”
Vittoria guardò giù verso di lui. “Un figlio di Marte, vero? Un pretore di Roma? Nessun
vero romano avrebbe risparmiato i Greci. Non posso sopportare di essere divisa e confusa
– non riesco a pensare per bene! Uccideteli! Vincete!”
“Non succederà,” disse Frank, anche se Leo notò l’occhio destro di Zhang che ticchettava.
Anche Leo cercò di resistere. Nike stava irradiava ondate di tensione, facendogli infuocare i
nervi. Si sentiva come se stesse accovacciato sulla linea di partenza, in attesa di qualcuno
che urlasse ‘via!’ Aveva l’irrazionale desiderio di avvolgere le mani intorno al collo di
Frank, il che era stupido, dal momento che le sue mani non sarebbero nemmeno riuscite a
cingerne tutta la circonferenza.
“Ascolti, signorina Vittoria…” Percy cercò di sorridere. “Non vogliamo rubarvi del tempo
folle. Forse potrebbe solo finire questa conversazione da sé e noi torneremo più tardi, con,
um, alcune armi più grandi ed, eventualmente, alcuni sedativi.”
La dea brandì la sua lancia. “Si risolverà questa questione una volta per tutte. Oggi, adesso,
si deciderà il vincitore! Quattro di voi? Eccellente! Abbiamo le squadre. Forse, ragazze
contro ragazzi!”
Hazel disse, “Uh…no.”
“Vestiti contro nudi!”
“Decisamente no,” ripeté Hazel.
“Greci contro Romani!” esultò Nike. “Si, certo! Due contro due. L’ultimo semidio a
rimanere in piedi vince. Gli altri moriranno gloriosamente.”
Un impulso competitivo pulsò attraverso il corpo di Leo. Ci volle tutto il suo sforzo per non
raggiungere la sua cintura degli attrezzi, afferrare un martello e lanciarlo contro le teste di
Hazel e Frank.
Si rese conto del perché Annabeth non avesse voluto mandare nessuno di cui i genitori
fossero in rivalità. Se Jason fosse stato lì, lui e Percy sarebbero probabilmente già stati a
terra, colpendosi a vicenda.
Si costrinse ad aprire i pugni. “Guardi, signorina, non abbiamo intenzione di accanirci in
degli Hunger Games tra di noi. Non succederà.”
“Ma si vincerà un favoloso onore!” Nike raggiunse il cestino al suo fianco e ne estrasse una
corona di allori verdi. “Questa corona di foglia potrebbe essere vostro! Lo potrete indossare
sulla testa! Pensate alla gloria!”
“Ha ragione Leo,” disse Frank, anche se i suoi occhi erano fissi sulla corona. La sua
espressione era un po’ troppo avida per i gusti di Leo. “Noi non combattiamo l’uno contro
l’altro. Combattiamo i Giganti. Dovrebbe aiutarci.”
“Molto bene!” La dea sollevò la corona di alloro in una mano e la lancia nell’altra.
Percy e Leo si scambiarono un’occhiata.
“Uh… vuol dire che si unirà a noi?” chiese Percy. “Ci aiuterai a combattere i giganti?”
“Che farà parte del premio,” spiegò Nike. “Chiunque vinca, prenderò in considerazione di
diventarne alleata. Combatteremo i giganti insieme, e io vi concederò la vittoria. Ma ci
potrà essere un solo vincitore. Gli altri dovranno essere sconfitti, uccisi, distrutti del tutto.
Cosa sceglierete, semidei? Volete avere successo nella vostra ricerca, o vi aggrapperete alle
vostre sdolcinate idee di amicizia e tutti vinceranno premi di partecipazione?”
Percy scoperchiò la sua penna. Vortice crebbe in una spada di bronzo celeste. Leo era
preoccupato che potesse direzionarla ad uno di loro. Era difficile fare resistenza all’aura dei
Nike.
“Che cosa succede se combattiamo contro di te, invece?”
“Ah!” Gli occhi di Nike brillarono. “Se vi rifiutate di combattere tra di voi, sarai
accontentato!”
Nike dispiegò le ali dorate. Quattro piume metalliche svolazzarono verso il basso, su
entrambi i lati del carro. Le piume volteggiarono come dei nastri, girarono in ampi cerchi,
fino a toccare il suolo come quattro metalliche riproduzione a misura d’uomo della dea,
ciascuna armata con una lancia d’oro e una di bronzo celeste, con una corona di alloro ad
ornarne le teste.
“Allo stadium!” esclamò la dea. “Avete cinque minuti per prepararvi. Dopo di che il sangue
verrà versato!”
Leo stava per dire, ‘e se ci rifiutassimo di andare allo stadio?’
“Correre!” gridò Nike. “Andate allo stadium, o il mio Nikai vi ucciderà dovunque vi
troviate!”
Le signorine di metallo scossero le mascelle provocando un suono simile a una folla del
Super Bowl mescolato ad esultanza. Strinsero le loro lance e scortarono i semidei.
Non fu il momento migliore di Leo. Lo prese il panico, e crollò. La sua unica consolazione
era che anche ai suoi amici successe lo stesso – quindi non si sentì in colpa.
Le quattro donne metalliche dietro in un semicerchio irregolare, li accompagnarono a
nord-est. Tutti i turisti erano scomparsi. Forse erano fuggiti verso le comodità dell’aria
condizionata del museo, o forse Nike li aveva in qualche modo convinti ad andarsene.
I semidei corsero, inciamparono sulle pietre, saltarono su rimasugli di mura, scivolarono
intorno alle colonne con cartelli informativi. Dietro di loro, le ruote del carro di Nike
rombavano mentre i cavalli nitrivano.
Ogni volta che Leo pensò di rallentare, le signorine in metallico gli urlavano – come le
aveva chiamate Nike? Nikai? Nikette? – venne pervaso dal terrore. Odiava provare paura.
Era imbarazzante.
“Ecco!” Frank corse verso una sorta di trincea tra due pareti di terra sovrastate da un arco
in pietra. A Leo ricordò quelle gallerie che le squadre attraversavano quando dovevano
entrare in campo. “Questo è l’ingresso del vecchio stadio olimpico. Si chiama cripta!”
“Non è un gran nome!” gli gridò Leo.
“Perché stiamo andando là?” Percy rimase a bocca aperta. “Se è lì che ci vuole –”
Le Nikette urlarono nuovamente e il tutto il pensiero razionale di Leo lo abbandonò. Corse
per il tunnel. Quando raggiunsero l’arco, Hazel urlò: “Aspettate!”
incespicarono fino a fermarsi. Percy si piegò in due, il respiro affannoso. Leo notò che il
ragazzo sembrava perdere il fiato più facilmente in quei giorni – probabilmente a causa di
quell’aria acida e cattiva che era stato costretto a respirare nel Tartaro.
Frank guardò nella direzione da cui erano arrivati. “Io non le vedo più. Sono scomparse.”
“Ci hanno rinunciato?” Chiese Percy speranzoso.
Leo scansionò le rovine. “Nah. Ci hanno costretti a venire qui perché lo volevano. Che cosa
erano quelle cose, comunque? Le Nikette, voglio dire.”
“Nikette?” Frank si grattò la fronte. “Penso fossero Nikai, un plurale, come Vittorie.”
“Si,” Hazel sembrava assorta nei suoi pensieri, facendo scorrere le mani lungo l’arco in
pietra. “In alcune leggende, Nike aveva un esercito di piccole vittorie che poteva inviare in
tutto il mondo ad eseguire i suoi ordini.”
“Come elfi di Babbo Natale,” commentò Percy. “Tranne la cattiveria. E il metallo. E la
forza.”
Hazel premette le dita contro l’arco, come fosse un impulso. Al di là della stretta galleria, le
pareti di argilla davano su un lungo campo con dei delicati pendii su entrambi i lati, come
fossero posti per far sedere gli spettatori.
Leo immaginò che fosse uno stadio a cielo aperto tempo addietro – abbastanza grande per
il lancio del disco, il lancio del giavellotto – caccia, corsa di nudi – o qualsiasi altra cosa che
quei pazzi dei greci erano soliti praticare per vincere un mucchio di foglie.
“Ci sono dei fantasmi in questo posto,” mormorò Hazel. “C’è un sacco di sofferenza
incorporata in queste pietre.”
Gli occhi di Hazel erano tempestosi e distanti, lo stesso modo in cui erano quando erano
andati nella Casa di Ade – come se stesse scrutando in un altro livello della realtà.
“Questo era l’ingresso dei giocatori. Nike ha detto che abbiamo cinque minuti per
prepararci. Poi lei si aspetterà che passiamo sotto questo arco e che inizino i giochi. Non
avremo il permesso di lasciare il campo finché tre di noi non saranno morti.”
Percy si appoggiò alla sua spada. “Sono abbastanza sicuro che le partite fino alla morte non
erano uno sport olimpionico.”
“Beh, oggi lo sono.” Lo avvertì Hazel. “Ma potrei essere in grado di darci un qualche
vantaggio. Quando attraverseremo, potrei sollevare alcuni ostacoli sul campo – nascondigli
per farci guadagnare un po’ di tempo.”
Frank aggrottò la fronte. “Vuoi dire come nel Campo di Marte – trincee, gallerie, quel
genere di cose? Puoi farlo con della nebbia?”
“Penso di si” disse Hazel. “A Nike probabilmente piacerebbe vedere una corsa ad ostacoli.
Potrei soggiogare le sue aspettative. Ma c’è di più. Posso usare qualsiasi materiale
sotterraneo – anche questo arco – per accedere al Labirinto. Posso alzarne una parte per
portarlo in superficie.”
“Ehy,ehy,ehy.” Percy fece un segno di fare una pausa. “Il Labirinto è malvagio. Ne abbiamo
discusso.”
“Hazel, ha ragione.” Leo ricordava fin troppo bene come lei li avesse portati attraverso il
labirinto illusorio nella Casa di Ade. Avevano rischiato di morire ogni due passi. “Voglio
dire, lo so che sei brava con la Magia. Ma abbiamo già quattro Nikette urlanti di cui
preoccuparci –”
“Dovete fidarvi di me.” Disse “Abbiamo solo un paio di minuti adesso. Quando passeremo
sotto l’arco, posso almeno manipolare il campo da gioco a nostro vantaggio.”
Percy espierò dal naso. “Per due volte, sono stato costretto a combattere negli stadi – una
volta a Roma, e prima ancora nel Labirinto. Odio i giochi per divertire la gente.”
“Tutti noi li odiamo.” assicurò Hazel. “Ma dobbiamo mettere Nike alle strette. Faremo finta
di combattere fino a quando non saremo in grado di neutralizzare la Nikette – ugh, che
nome orribile. Poi ci sottometteremo a Nike, come ci ha detto di fare Giunone.”
“Ha senso,” concordò Frank. “Si sentiva a pelle quanto fosse potente Nike, cercando di
metterci gli uni contro gli altri. Se lei inviasse queste vibrazioni a tutti i Greci e i Romani,
non c’è modo che saremo in grado di evitare una guerra. Dobbiamo tenercela buona.”
“E come possiamo farlo?” domandò Percy. “La colpiamo in testa e la infiliamo in un
sacco?”
Gli ingranaggi nella testa di Leo iniziarono a girare. “In realtà,” disse, “Non ci sei andato
tanto lontano. Lo zio Leo ha portato alcuni giocattolini per tutti voi piccoli e bravi semidei.”
XII
L
e
o
DUE MINUTI NON ERANO SUFFICIENTI.
Leo sperava di aver dato a tutti quanti i giusti gadgets e aver adeguatamente spiegato a
cosa servissero i pulsanti. Altrimenti le cose si sarebbero messe male.
Mentre stava facendo lezione a Frank e Percy sulla meccanica di Archimede, Hazel fissava
l’arco di pietra e mormorava sottovoce.
Nulla sembrava essere cambiato nel grande campo erboso al di là, ma Leo era sicuro che
Hazel aveva alcuni trucchi sciccosi nella manica.
Spiegò a Frank come evitare di farsi decapitare dalla propria sfera di Archimede quando il
suono delle trombe echeggiò nello stadio. Il carro di Nike apparse sul campo, le Nikette si
schierarono di fronte a lei con le loro lance gli allori sollevati.
Percy e Leo li lanciarono oltre l’arco.
Immediatamente, il campo brillò e diventò un labirinto di muri di mattoni e trincee.
Si nascosero dietro il muro più vicino e corsero verso sinistra. Indietro all’arco, Frank
gridò, “Uh, morite, feccia di Graecus!”Una freccia passò sopra la testa di Leo.
“Più corrotto!” Urlò Nike. “Uccidili senza pietà!”
Leo lanciò un’occhiata Percy. “Pronto?”
Percy sollevò una granata di bronzo. “Spero che ci abbiate classificati per bene.” Gridò.
“Morite, Romani!” e lanciò la granata oltre il muro.
BOOM! Leo non riuscì a vedere l’esplosione, ma la puzza di popcorn imburrati riempì
l’aria.
“Oh, no!” gemette Hazel. “Popcorn! Il nostro punto debole!”
Frank scagliò un’altra freccia sopra le loro teste.
Leo e Percy si scaraventarono a sinistra, schivandola attraverso il labirinto di pareti che
sembravano spostarsi e girare per conto proprio. Leo poteva vedere ancora il cielo aperto
sopra di lui, ma la claustrofobia iniziò a prenderlo, il che gli rese difficile respirare.
Da qualche parte dietro di loro, Nike gridò, “Impegnatevi di più! Che i popcorn non sono
stati fatali!”
Dal rombo delle ruote del suo carro, Leo immaginò che stava girando attorno al perimetro
del campo – Vittoria che fa un giro della vittoria.
Un’altra granata esplose sulle teste di Percy e Leo. Si immersero in una trincea mentre dei
rimasugli versi di fuoco greco bruciacchiavano i capelli di Leo. Per fortuna, Frank aveva
puntato abbastanza in alto in modo tale che l’esplosione sembrò impressionante.
“Meglio,” urlò Nike. “Ma dov’è il vostro obbiettivo? Non volete questa coroncina di foglie?”
“Vorrei che il fiume fosse più vicino,” borbottò Percy. “Vorrei annegarla.”
“Abbi pazienza, water-boy.”
“Non chiamarmi ‘water-boy’ ”
Leo indicò un punto attraverso il campo. Le pareti si erano spostate, rivelando una delle
Nikette ad una trentina di metri di distanza, in piedi che gli dava la schiena. Hazel doveva
aver adempito al suo lavoro – manipolare il labirinto in modo da isolare i loro obbiettivi.
“La distraggo,” disse Leo. “Tu l’attacchi. Pronto?”
Percy annuì. “Via.”
Si precipitò verso sinistra mentre Leo tirava fuori un martello con penna sferica dalla sua
cintura e gridava: “Ehy, faccia di bronzo!”
La Niketta si voltò mentre Leo glielo lanciava. Il suo martello risuonò scontrandosi al petto
della signora in metallo, ma sembrò comunque annoiata. Lei marciò verso di lui,
lanciando la corona di alloro e filo spinato.
“Oops.” Leo si chinò nel momento in cui il cerchio di metallo filava sopra la sua testa. La
corona colpì il muro dietro di lui, lasciando un foro tra i mattoni, poi saettò a ritroso
attraverso l’aria come un boomerang. Mentre la Niketta alzava la mano per prenderlo,
Percy emerse dalla trincea dietro di lei e la scisse con Vortice, tagliandole a metà in vita. La
corona di metallo gli scheggiò davanti e si incastrò in una colonna di marmo.
“Sbagliato!” piagnucolò la dea della vittoria. Le pareti si spostarono e Leo la vide
avvicinarsi verso di loro nel suo carro. “Non attaccate le mie Nikai a meno che non vogliate
morire!”
Una trincea apparve sul percorso della dea, facendo arrestare i suoi cavalli. Leo e Percy
corsero ai ripari. Con la coda dell’occhio, forse ad una cinquantina di metri di distanza, Leo
vide l’orso grizzly Frank saltare dalla cima di un muro e appiattire un’altra Niketta. Due
facce di bronzo abbattute, due altre rimaste.
“No!” urlò Nike con indignazione. “No, no, no! Vi siete giocati le vostre vite! Nikai,
attaccate!”
Leo e Percy saltarono dietro un muro. Rimasero lì per un secondo ,cercando di riprendere
fiato.
Leo aveva difficoltà ad orientarsi, ma intuì che faceva parte del piano di Hazel. Era per
quello che il terreno si spostava intorno a loro – aprendo nuove trincee, cambiando la
pendenza del terreno, sollevando nuovi muri e colonne. Con un po’ di fortuna, avrebbe
reso più difficile alle Nikette trovarli. Spostarsi di una decina di metri poteva fargli
guadagnare alcuni minuti.
Eppure, Leo odiava sentirsi disorientato. Gli ricordava la sua impotenza nella Casa di Ade
– il modo in cui Clitio lo aveva soffocato nel buio, bloccato il suo fuoco, preso possesso
della sua voce. Gli ricordò di Khione, quando era stato strappato via dal ponte dell’Argo II
con una folata di vento spedendolo nel mezzo del Mediterraneo.
Era abbastanza brutto essere magro e debole. Se Leo non riusciva a controllare i propri
sensi, la propria voce, il proprio corpo … non aveva molto su cui contare.
“Ehy,” disse Percy. “Se non facciamo fuori questa–”
“Silenzio, ragazzo. Lo faremo.”
“Se non ci riuscissimo, voglio che tu sappia – mi sento in colpa per Calypso. Ho fallito.”
Leo lo fissò, sbalordito. “Tu sai di me e –”
“L’Argo II è una piccola nave.” Percy fece una smorfia.
“Le voci si spargono. Ho solo … beh, quando ero nel Tartaro, mi sono ricordato che non
avevo mantenuto la mia promessa a Calypso. Ho chiesto di liberarla e poi … ho pensato che
lo avrebbero fatto. Con l’amnesia e il fatto che sono stato inviato al Campo Giove e tutto il
resto, non ho pensato molto a Calypso dopo tutto. Non ho scusanti. Avrei dovuto
assicurarmi che gli dei mantenessero la promessa. In ogni caso, sono contento che tu
l’abbia trovata. Hai promesso di trovare un modo per tornare da lei, e volevo solo dire che,
se riusciremo a sopravvivere a tutto questo, farò tutto quello che posso per aiutarvi. Questa
è la promessa che manterrò.”
Leo era rimasto senza parole. Erano lì, nascosti dietro ad un muro nel bel mezzo di una
zona magica di guerra, con granate, orsi grizzly e facce di bronzo di Nikette di cui
preoccuparsi, e Percy gli lanciava una cosa simile addosso.
“Ragazzo, qual è il tuo problema?” brontolò Leo.
Percy sbatté le palpebre. “Allora … non siamo a posto?”
“Naturalmente che non siamo apposto! Tu sei cattivo quanto Jason! Sto cercando di avere
del risentimento verso di te per essere perfetto e l’eroe-Y e qual’altro. Poi ti metti ad agire
come un uomo di parola. Come faccio ad odiarti se ti scusi e prometti di aiutare e robe
simili?”
Un sorriso comparve sull’angolo della bocca di Percy. “Mi dispiace.”
Il terreno tremò come se fosse esplosa un’altra granata. Delle spirali di panna vennero
sparate verso il cielo. “Questo è il segnale di Hazel,” disse Leo.
“Hanno abbattuto un’altra Niketta.” Percy sbirciò dietro l’angolo del muro.
Fino a quel momento, Leo non si era reso conto di quanto rancore provasse verso Percy.
Quel ragazzo lo aveva sempre intimidito. Venire a sapere che Calypso avesse avuto una
cotta per Percy lo aveva fatto sentire diecimila volte peggio. Ma ora il nodo di rabbia nel
suo destino aveva iniziato a sciogliersi. Leo non riusciva a provare antipatia verso il
ragazzo. Percy sembrava essere sinceramente dispiaciuto e volenteroso di aiutare.
Inoltre, Leo, infine, aveva avuto la conferma che Percy Jackson era fuori dal quadro con
Calypso. L’aria era linda. Tutto quello che Leo avrebbe dovuto fare era trovare la strada per
tornare ad Ogigia. E lo avrebbe fatto, ammesso che sopravvivesse nei dieci giorni
successivi.
“Una Niketta sulla sinistra,” disse Percy. “Mi chiedo –”
Da qualche parte nelle vicinanze, Hazel gridò di dolore.
Immediatamente, Leo fu in piedi.
“Amico, aspetta!” lo chiamò Percy, ma Leo si era immerso nel labirinto, il cuore che
batteva forte.
I muri caddero su entrambi i lati. Leo si trovò tutto ad un tratto nel campo aperto.
Frank si trovava nel fondo dello stadio, sparando dardi infuocati al carro di Nike mentre la
dea urlava insulti e cercava di trovare una via per spostarsi attraverso le trincee.
Hazel era vicina – forse ad una decina di metri di distanza.
La quarta Niketta l’aveva ovviamente scovata. Hazel zoppicava allontanandosi dal suo
aggressore, i jeans strappati, le sanguinava la gamba sinistra.
Si parò dalla lancia della donna di metallo con la sua spada da cavalleria, ma stava per
essere sopraffatta. Tutto intorno a lei, la foschia tremolava come una luce flebile e morente.
Stava perdendo il controllo del labirinto magico.
“La aiuto io,” disse Percy. “Tu segui il piano. Vai al carro di Nike.”
“Ma il piano era quello di eliminare le quattro Nikette prima!”
“Allora cambia piano e attieniti a quello!”
“Non ha alcun senso, ma vai! Aiutala!”
Percy si precipitò a difendere Hazel. Leo si lanciò verso Nike, urlando, “Ehy! Voglio un
premio per la partecipazione!”
“Gah!” La dea tirò le redini e volse il suo carro nella sua direzione. “Vi distruggerò!”
“Bene!” Urlò Leo. “Perdere è il miglior modo di vincere!”
“COSA?” Nike lanciò la sua possente lancia, a causa del dondolio del carro mancò il suo
obbiettivo. La sua arma finì sull’erba.
Purtroppo, gliene comparse una nuova tra le mani.
Esortò i suoi cavalli a galoppare. Le trincee erano scomparse, lasciando il campo scoperto,
ideale per una corsa dietro ad un piccolo semidio Latino.
“Hey!” gridò Frank dal mezzo dello stadio.
“Voglio un premio di partecipazione anche io! Vincono tutti!”
Scoccò una freccia ben assestata che atterrò nella parte posteriore del carro di Nike e
cominciò a bruciare.
Nike lo ignorò. I suoi occhi erano fissi su Leo.
“Percy…?” La voce di Leo sembrò lo squittio di un criceto. Dalla sua cintura degli
strumenti, tirò fuori la sfera di Archimede e ne sistemò i cerchi concentrici come arma.
Percy se la stava ancora vedendo con la signora di metallo. Leo non poteva aspettare.
Gettò la sfera sul percorso del carro.
Questa colpì il terreno e vi si infilò, ma aveva bisogno di Percy per la trappola. Se Nike
avesse percepito una minaccia o meno, non lo dava a vedere. Mantenne la carica su Leo.
Il carro era a venti metri dalla granata.
Quindici metri.
“Percy!” Urlò Leo. “Operazione ‘Water Balloon’!”
Purtroppo, Percy era un po’ occupato a dare fendenti La Niketta lo sbatté indietro con il
calcio della sua lancia.
Scaraventò la sua corona con una tale forza che fece cadere la spada di Percy dalla sua
presa. Percy inciampò. La signora di metallo stava per ucciderlo.
Leo urlò. Sapeva di essere troppo lontano. Sapeva che se non si sarebbe spostato in qualche
modo Nike lo avrebbe travolto. Ma non aveva importanza. I suoi amici stavano per essere
infilzati. Infilò una mano e lanciò un bullone incandescente dritto alla Niketta.
Questo lentamente sciolse il suo viso. La Niketta barcollò, sollevando ancora la lancia.
Prima che potesse ritrovare il suo equilibrio, Hazel conficcò la sua spatha nel petto della
donna di metallo. La Niketta si schiantò contro l’erba.
Percy si voltò verso il carro della vittoria. Proprio mentre gli enormi cavalli bianchi stavano
per coinvolgere Leo in un incidente, la carrozza oltrepassò la granata di Leo. Che esplose in
un geyser ad alta pressione. L’acqua spruzzò verso l’alto, lavando il carro – cavalli,
carrozza, dea e tutto il resto.
Tornò a Houston, quando Leo viveva con la sua mamma in un appartamento proprio sulla
Gulf Freeway.
Sentiva degli incidenti stradali, almeno una volta alla settimana, ma quel suono fu peggiore
– il bronzo celeste che si accartocciava, le schegge di legno, gli stalloni urlanti e una dea
che si lamentava con due voci distinte, entrambe molto sorprese.
Hazel collassò. Percy la prese. Frank corse verso di loro dall’altra parte del campo.
Leo era proprio era solo mentre la dea Nike si liberava dalle macerie e si alzò verso di lui.
La sua pettinatura intrecciata ora assomigliava ad un escremento di mucca. La corona di
alloro si era bloccata attorno alla parte di sinistra. I suoi cavalli si erano messi sugli zoccoli
e galopparono via in preda al panico, trascinando quello che era rimasto, il relitto di legno
del carro, dietro di loro.
“TU!” Nike lanciò uno sguardo a Leo, i suoi occhi erano più caldi e luminosi delle sue ali di
metallo. “Come osi?”
Leo si sentì molto coraggioso, ma si sforzò di sorridere. “Lo so, giusto? Sono
impressionante! Ho vinto il cappello con le foglie quindi?”
“Morirai!” La dea lanciò la lancia.
“Aspetta un attimo!” Leo scavò nella sua cintura degli attrezzi. “Non hai ancora assistito al
mio trucco migliore. Ho un’arma che mi garantisce la vittoria in qualsiasi gara!”
Nike esitò. “Quale arma? Cosa intendi?”
“Il mio ultimo zap-o-matic!” Tirò fuori una seconda sfera di Archimede – quella che aveva
passato una mezz’ora intera a modificare prima di entrare nello stadio. “Quante corone
hai? Perché vinceremo tutti.”
Giocherellò con i quadranti, sperando di aver fatto i calcoli giusti.
Leo aveva fatto del suo meglio per creare le sfere, ma non erano ancora completamente
affidabili. Ma lo era almeno più del venti per cento.
Sarebbe stato bello avere l’aiuto di Calypso per intrecciare i filamenti di bronzo celeste. Era
un asso nella tessitura. Oppure Annabeth: se la cavava. Ma Leo aveva fatto del suo meglio,
ri-cablare la sfera e farla funzionare erano due cose completamente diverse.
“Ecco!” Leo cliccò sul pulsante finale. La sfera si aprì. Su un lato si allungò in una pistola.
Sull’altro lato si sviluppò un radar in miniatura fatto di specchi di bronzo celeste.
Nike aggrottò la fronte. “Che cosa dovrebbe essere?”
“Un Raggio-mortale-di-Archimede!” disse Leo. “L’ho finalmente perfezionato. Ora dammi
tutti i premi.”
“Quella roba non funziona.” Urlò Nike. “Lo hanno mostrato in televisione! Inoltre, io sono
una dea immortale. Non puoi distruggermi!”
“Guarda meglio.” Disse Leo. “Stai guardando?”
Nike avrebbe voluto trasformarlo in una macchia d’olio o infilzarlo come uno spiedino al
formaggio, ma la sua curiosità ebbe la meglio su di lei. Fissò direttamente nel radar mentre
Leo girava l’interruttore. Leo sapeva di dover distogliere lo sguardo. Ma anche così, il
fascio di luce folgorante gli fece vedere le macchie.
“Gah!” la dea barcollò. Lasciò cadere la lancia e si strofinò gli occhi. “Sono cieca! Sono
cieca!”
Leo colpì un pulsante sul suo raggio della morte. Tornò nuovamente ad una sfera e
cominciò a scricchiolare. Leo contò silenziosamente fino a tre, poi gettò la sfera ai piedi
della dea.
FOOM! Filamenti di metallo vennero sparati verso l’alto, avvolgendo Nike in una rete di
bronzo. Lei gemette, cadendo di lato stretta nella trappola, costringendo le due forme –
greca e romana – in un fremito continuo.
“Imbroglioni!” Le sue voci raddoppiate suonarono come la sveglia di un orologio. “Il tuo
raggio della morte non mi ha nemmeno uccisa!”
“Non ho detto che ti avrebbe uccisa,” disse Leo. “Sconfiggerti va più che bene.”
“Mi limiterò a cambiare forma!” Gridò. “Lacererò la tua stupida rete! Ti distruggerò!”
“Si, vedi, non puoi.” Leo sperava di aver ragione. “Questa rete di bronzo celeste è di ottima
qualità, e io sono figlio di Efesto. È una specie di esperto nel catturare dee con le reti.”
“No. Nooooo!”
Leo la lasciò dimenarsi ed imprecare, e andò a controllare i suoi amici. Percy sembrava
stare bene, solo un po’ malconcio e confuso. Frank teneva Hazel e le stava dando da
mangiare dell’ambrosia. Il taglio sulla gamba aveva smesso di sanguinare, anche se i suoi
jeans erano più o meno rovinati.
“Sto bene,” disse. “Solo troppa magia.”
“Sei stata grandiosa, Levesque.” Leo fece del suo meglio per imitare Hazel. “Popcorn! Il
nostro punto debole!”
Lei sorrise debolmente. Insieme, tutti e quattro si avvicinarono a Nike, che era ancora a
terra a sbattere le ali nella rete come una gallina d’oro.
“Che cosa facciamo con lei?” domandò Percy.
“Portiamola a bordo dell’Argo II,” disse Leo. “Potremo sistemarla nelle scuderie.”
Gli occhi di Hazel si spalancarono. “Hai intenzione di mettere la dea della vittoria nella
stalla?”
“Perché no? Una volta che si risolveranno le cose tra Greci e Romani, gli dei dovrebbero
tornare in loro stessi. Poi potremo liberarla e lei sarà in grado di … come dire … concederci
la vittoria.”
“Concedervi la vittoria?” gridò la dea. “Mai! Sarebbe troppo oltraggioso! Il vostro sangue
sarà versato! Uno di voi – uno di voi quattro – è destinato a morire combattendo Gea!”
L’intestino di Leo si annodò. “Come fai a saperlo?”
“Posso prevedere la vittoria!” urlò Nike. “Non avrete successo senza morire! Liberatemi e
combattete tra voi! È meglio morire qui che aspettare che avvenga!”
Hazel puntò la sua spatha sotto il mento di Nike. “Spiegati.” La sua voce era la più dura che
avesse mai sentito. “Chi di noi morirà? Come possiamo impedirlo?”
“Ah! Figlia di Plutone! La tua magia ti ha aiutata a truccare questa gara, ma non puoi
ingannare il destino. Uno di voi morirà. Uno di voi deve morire!”
“No,” insistette Hazel. “Ci dev’essere un altro modo. C’è sempre un’altra via.”
“Te lo ha insegnato Ecate questo?” Nike rise. “Volete ancora sperare nella ‘Phisician’s
cure’, forse? Questo è impossibile. Ci sono troppe cose da recuperare: il veleno di Pylos,
il battito cardiaco di un dio incatenato a Sparta, la maledizione di Delos! No, non c’è modo
di ingannare la morte.”
Frank si inginocchiò. Raccolse la rete tirandola fino a sotto il mento di Nike e le alzò il viso.
“Di cosa stai parlando? Come facciamo a trovare questa cura?”
“Io non vi aiuterò.” Ringhiò Nike. “Vi maledirò con il mio potere, trappole o meno!”
Cominciò a mormorare in greco antico. Frank alzò lo sguardo, accigliato. “Può davvero
lanciare magie attraverso la rete?”
“E che ne so?” disse Leo.
Frank lasciò andare la dea. Si tolse una delle scarpe, si sfilò il calzino e lo infilò nella bocca
della dea. “Amico,” disse Percy. “è disgustoso.”
‘Mpppphhh!’ si lamentò Nike. ‘Mppppphhh!’
“Leo,” disse Frank cupo. “Hai del nastro adesivo?”
“Non esco mai di casa senza.” Ne pescò un rotolo dalla cintura degli attrezzi, e in poco
tempo Frank l’aveva avvolto attorno alla testa di Nike, imbavagliandole la bocca.
“Beh, non è proprio una corona di alloro,” disse Frank. “ma è un nuovo tipo di cerchio della
vittoria: il bavaglio di nastro adesivo.”
“Zhang,” disse Leo, “hai stile.”
Nike si divincolò e grugnì fino a che Percy non le diede un colpetto con la punta del piede.
“Ehy, silenzio. O ti comporti bene o facciamo tornare qui Arion per fargli sgranocchiare le
tue ali. Ama l’oro.”
Nike gridò ancora una volta, poi ritornò tranquilla.
“Dunque …” Hazel sembrava innervosita. “Abbiamo una dea legata. Ora, che cosa
facciamo?”
Frank incrociò le braccia. “Andiamo alla ricerca di quella cura … qualunque questa sia.
Perché, personalmente, mi piace ingannare la morte.”
Leo sorrise. “Veleno a Pylos? Un battito cardiaco di un dio incatenato a Sparta? Una
maledizione a Delos? Oh,si. Sembra che le cose si faranno interessanti!”
XIII
N
i
c
o
L’ULTIMA COSA CHE NICO SENTI’ furono le lamentele di Coach Hedge “Beh, questo non va
affatto bene.”
Si chiese cosa avesse fatto di male questa volta. Forse li aveva teletrasportati in un covo di
Ciclopi, o a mille metri al di sopra di un vulcano. Non c’era nulla che potesse fare a
riguardo. La sua visuale era buia, i suoi sensi lo stavano abbandonando. Le sue ginocchia
cedettero e svenne.
Cercò di sfruttare al massimo la sua incoscienza. I sogni e la morte erano suoi vecchi amici.
Sapeva come navigare il loro confine scuro. Mandò i suoi pensieri alla ricerca di Thalia
Grace.
Si precipitò oltre i frammenti dei soliti ricordi dolorosi – la madre che gli sorrideva; il suo
viso illuminato dalla luce del sole che ondeggiava fuori, nel Canal Grande di Venezia; sua
sorella Bianca che rideva mentre lo trascinava per il centro commerciale di Washington
DC, il suo cappello verde le ombreggiava gli occhi e le lentiggini spruzzate sul naso. Vide
Percy Jackson su una scogliera nevosa fuori dal Westover Hall, per proteggere Nico e
Bianca dalla manticora mentre Nico stringeva una statuetta di Mitomagia e mormorava,
‘ho paura’. Vide Minosse, il suo vecchio mentore spettrale, che lo conduceva attraverso il
labirinto. Il sorriso di Minosse era freddo e crudele. ‘Non ti preoccupare, figlio di Ade,
Avrai la tua vendetta’.
Nico non riusciva a fermare i ricordi. Ingombravano i suoi sogni, come i fantasmi negli
Asfodeli – Vagavano senza meta, una folla addolorata e supplicante di attenzioni. ‘Salvaci’,
sembravano sussurrare. ‘Ricordaci. Aiutaci. Consolaci.’
Non osava permettersi si soffermarsi su di loro. Lo avrebbero solo schiacciato con i loro
desideri e rimpianti. Il meglio che poteva fare era rimanere concentrato e respingere quei
volti.
Io sono il figlio di Ade, pensò. Vado dove voglio. Il buio è il mio diritto di nascita.
Forgiò un terreno grigio e nero, cercando i sogni di Thalia Grace, figlia di Zeus.
Improvvisamente il pavimento sotto i suoi piedi si dissolse e cadde in un luogo familiare –
la cabina di Ipno al Campo Mezzosangue. Sepolti sotto mucchi di piumoni, i semidei
russavano immersi nelle loro cuccette.
Sopra la mensola del camino, lo scuro ramo di un albero gocciolava l’acqua lattiginosa del
fiume Lete in una ciotola. Un fuoco allegro crepitava nel camino.
Di fronte, il consigliere capo della Cabina Quindici - un ragazzo panciuto con ribelli capelli
biondi e un viso gentile dall’aspetto bovino- sonnecchiava in una poltrona di pelle.
“Clovis,” ringhiò Nico, “per tutti gli dei , smettila di sognare così imponentemente!”
Clovis aprì gli occhi. Si voltò a guardarlo, anche se Nico sapeva di essere semplicemente
parte del suo scenario onirico. Il vero Clovis stava ancora ronfando nella sua poltrona al
Campo.
“Oh, ciao …” Clovis sbadigliò abbastanza forte da riuscire ad inghiottire un dio minore. “Mi
dispiace. Ti ho attirato fuori rotta di nuovo?”
Nico strinse i denti. Non c’era motivo di arrabbiarsi La cabina di Ipno era come la Grande
Stazione Centrale per le attività oniriche. Non si poteva viaggiare ovunque senza passarci
una volta ogni tanto.
“Già che sono qui,” disse Nico, “passate un messaggio per me. Dite a Chirone che sono in
viaggio con un paio di amici. Stiamo trasportando l’Athena Parthenos.”
Clovis si strofinò gli occhi. “Allora è vero? Come fate a portarla? Avete noleggiato un
furgone o qualcosa del genere?”
Nico spiegò nel modo più conciso possibile. I messaggi inviati attraverso i sogni tendevano
ad essere sfuocati, soprattutto quando si aveva a che fare con Clovis. Più era semplice,
meglio era.
“Siamo inseguiti da un Cacciatore,” disse Nico. “Uno dei giganti di Gea, credo. Puoi riferire
il messaggio a Thalia Grace? Sei meglio di me a trovare le persone nei sogni. Ho bisogno di
un suo consiglio.”
“Ci proverò,” Clovis frugò alla ricerca di una tazza di cioccolata calda sul tavolino. “Uh,
prima di andare hai un secondo?”
“Clovis, questo è un sogno,” gli ricordò Nico. “Il tempo è fluido.”
Anche mentre lo diceva, Nico era preoccupato per ciò che stava accadendo nel mondo
reale. Il suo sé stesso fisico avrebbe potuto stare precipitando verso la morte, o essere
circondato da mostri. Eppure, non riusciva a costringersi a svegliarsi – non dopo la
quantità di energia che aveva speso per il viaggio-ombra.
Clovis annuì. “Giusto … Stavo pensando che probabilmente dovresti sapere quello che è
successo oggi al consiglio di guerra. Ho dormito per un po’, ma–”
“Mostramelo,” disse Nico.
La scena cambiò. Nico si ritrovò nella veranda della casa grande, tutti i leader anziani del
campo si erano riuniti al tavolo da ping-pong.
Ad un’estremità sedeva il centauro Chirone, il suo posteriore equino riposto nella sua
magica sedia a rotelle in modo da sembrare un normale essere umano.
I suoi capelli castani e ricci e la barba avevano delle striature di grigio già da qualche mese.
Delle linee profonde gli incidevano il volto.
“– le cose che possiamo controllare,” stava dicendo. “Ora passiamo in rassegna le nostre
difese. A che punto siamo?”
Clarisse della cabina di Ares si sporse in avanti. Era l’unica in armatura completa, come al
solito. Clarisse probabilmente ci dormiva con la sua tenuta da combattimento. Mentre
parlava, gesticolava con il suo pugnale, facendo allontanare gli altri presenti.
“La nostra linea difensiva è abbastanza solida,” disse. “I campeggiatori sono pronti a
combattere come mai fatto. Noi controlleremo la spiaggia. Le nostre trireme stanno
pattugliando il lato sud di Long Island, ma quelle stupide aquile giganti dominano il nostro
spazio aereo. Sulla terra ferma, in tutte le direzioni, quei Barbari ci hanno completamente
isolati.”
“Sono Romani,” disse Rachel Dare, scarabocchiando con un pennarello sul ginocchio dei
jeans. “Non Barbari.”
Clarisse puntò il pugnale verso Rachel.
“E i loro alleati, eh? Hai visto quella tribù di uomini con due teste che sono arrivati ieri? O i
ragazzi con le teste rosse da cane con quelle grandi lance? Sembrano abbastanza Barbari
per me. Sarebbe stato bello se avessi previsto qualcosa del genere, se il potere dell’oracolo
non se ne fosse andato quando ne avevamo più bisogno!”
Il volto di Rachel diventò rosso quanto i suoi capelli.
“Non è di certo colpa mia. C’è qualcosa che non va con il dono della profezia di Apollo. Se
sapessi come risolvere il problema–”
“Ha ragione,” Will Solace, il consigliere capo per la cabina di Apollo, mise delicatamente la
mano sul polso di Clarisse. Non molti campeggiatori potevano dire di aver fatto lo stesso
senza essere stati pugnalati, ma Will aveva un modo tutto suo di far passare la rabbia alla
gente. Fece in modo che abbassasse il pugnale. “Tutta la nostra cabina è stata colpita. Non
solo Rachel.”
I capelli biondi arruffati di Will e i suoi occhi azzurri ricordarono a Nico di Jason Grace, ma
le similitudini finivano lì.
Jason era un guerriero. Si poteva intuire dall’intensità del suo sguardo, la sua attenzione
costante, l’energia che lo attorniava. Will Solace era più simile ad un gatto mingherlino
disteso al sole. I suoi movimenti erano rilassati e per nulla minacciosi, il suo sguardo
gentile e distaccato. Nella sua maglietta dei SURF BARBADOS sbiadita, i suoi pantaloncini e le
ciabatte infradito, sembrava proprio il semidio più pacifista che ci potesse essere, ma Nico
sapeva che era coraggioso quando era necessario.
Durante la battaglia a Manhattan, Nico lo aveva visto in azione – era il miglio medico da
combattimento del campo, aveva rischiato la sua vita per salvare i campeggiatori feriti.
“Non sappiamo cosa stia succedendo a Delfi.” Continuò. “Mio padre non ha risposto a
nessuna delle nostre preghiere, o apparso in qualche sogno … Voglio dire, tutti gli dei sono
silenziosi, ma questo non è da Apollo. Qualcosa non va.”
Dall’altra parte del tavolo Jack Mason grugnì.
“Probabilmente è quello sporco romano – quello che ci sta attaccando – Ottaviano, o come
cavolo si chiama. Se fossi Apollo e un mio discendente agisse così, mi piacerebbe andare a
nascondermi per la vergogna.”
“Sono d’accordo,” disse Will. “Vorrei essere un arciere migliore … non mi dispiacerebbe
disarcionare il mio parente romano dal cavallo. A dire il vero, vorrei poter utilizzare uno
dei doni di mio padre per fermare questa guerra.” Si guardò le mani con disgusto.
“Purtroppo, sono solo un guaritore.”
“Le vostre capacità sono essenziali,” disse Chirone. “Temo che ne avremo bisogno
abbastanza presto. Come predire il futuro … cosa dice l’arpia Ella? Ha concesso dai Libri
Sibillini?”
Rachel scosse la testa. “La poverina è spaventata dalla sua arguzia. Le arpie odiano essere
imprigionate. Da quando i romani ci hanno circondati … beh, si sente in trappola. Lei sa
che Ottaviano vuole catturarla. Tutto quello che Tyson e io possiamo fare è impedirle di
volare via.”
“Sarebbe un suicidio,” Butch Walker, figlio di Iride, incrociò le braccia corpulente. “Con
queste aquile romane in cielo, volare non è sicuro. Ho già perso due Pegasi.”
“Almeno Tyson ha portato alcuni dei suoi amici Ciclopi per dare una mano.” Disse
Rachel. “Questa almeno è una buona notizia.”
Lungo il tavolo, Connor Stoll si mise a ridere. Aveva un pacchetto di Ritz in una mano e un
tubetto di formaggio spray nell’altra. “Una dozzina di Ciclopi completamente cresciuti?
Sono un sacco di ottime notizie! Inoltre, Lou Ellen e i ragazzi di Ecate stanno tirando su un
sacco di barriere magiche, e l’intera cabina di Ermes sta riempiendo le colline con trappole,
insidie, e altre belle sorprese per i romani!”
Jake Mason aggrottò la fronte. “La maggior parte delle quali le avete rubate dal Bunker
nove e dalla cabina di Efesto.”
Clarisse brontolò d’accordo. “Hanno anche rubato le mine che circondavano la cabina di
Ares. Come fate a rubare delle mine attive? ”
“Le abbiamo dirottate per lo sforzo bellico.” Connor sputacchiò un pezzo di Formaggio
spray dalla bocca. “E poi, voi ragazzi avete un sacco di altri giocattoli. Potreste benissimo
condividerli!”
Chirone si voltò verso sinistra, dove il satiro Grover Underwood sedeva in silenzio, le dita
sul suo Flauto di Pan. “Grover? Qualche notizia dagli spiriti della natura?”
Grover sospirò. “Anche in una giornata propizia, è difficile organizzare le ninfe e le driadi.
Con Gea in agitazione, sono quasi disorientate quanto gli dei. Katie e Miranda della cabina
di Demetra sono là fuori in questo momento per cercare di aiutare, ma se la Madre Terra si
svegliasse …” Di guardò intorno al tavolo nervosamente. “Beh, non posso garantire che i
boschi saranno sicuri. O le colline. O i campi di frangole. O–”
“Grandioso,” Jake Mason diede un gomito a Clovis, che stava iniziando ad assopirsi.
“Allora, cosa facciamo?”
“Attacchiamo,” Clarisse batté sul tavolo da ping-pong, facendo sussultare tutti. “I romani
sono sempre più forti ogni giorno. Sappiamo che hanno intenzione di invaderci il primo
Agosto. Perché dovremmo lasciargli scegliere il giorno? Posso solo immaginare che stiano
aspettando di raccogliere le forze. Sono già molto più numerosi. Dobbiamo attaccarli ora,
prima che diventino più forti; portare il combattimento da loro!”
Malcom, l’attuale consigliere capo per Atena, tossì nel suo pungo. “Clarisse, ho capito
quello che vuoi dire. Ma hai studiato l’ingegneria romana? Il loro campo temporaneo è
difeso meglio del Campo Mezzosangue. Attacchiamoli alla loro base, e verremo
massacrati.”
“Quindi dovremmo solo aspettare?” chiese Clarisse. “Lasciare che preparino tutte le loro
forze mentre Gea si avvicina al suo risveglio? La moglie incinta di Coach Hedge è sotto la
mia custodia. Non ho intenzione che le accada qualcosa. Devo a Hedge la mia vita. Inoltre,
Ho allenato i campeggiatori molto più di quello che hai fatto tu, Malcom. Il loro morale è
basso. Sono tutti spaventati. Se saremo sotto assedio tra nove giorni –”
“Dovremmo attenerci al piano di Annabeth.” Connor Stoll si guardò intorno nel modo più
serio che avesse mai usato, nonostante il formaggio spray intorno alla bocca. “Dobbiamo
tener duro fino a quando lei non riuscirà a portare la magica statua di Atena fin qui.”
Clarisse alzò gli occhi: “Vuoi dire ‘se’ quel Pretore Romano non riuscirà a portare la statua
qui. Non capisco quello a cui Annabeth stava pensando, collaborare con il nemico. Anche
se il romano riesce a portarci la statua – cosa impossibile – dovremmo essere fiduciosi sul
fatto che porterà la pace? La statua arriva e improvvisamente i Romani deporranno le armi
e inizieranno a ballarci intorno, lanciando fiori?”
Rachel posò il suo pennarello. “Annabeth sa quello che fa. Dobbiamo cercare di fare la
pace. A meno che non siamo in grado di unire Greci e Romani, gli dei non potranno
guarire. A meno che gli dei vengano guariti, non c’è modo in cui possiamo uccidere i
Giganti. E a meno che noi non uccidiamo i Giganti–”
“Gea si sveglierà,” disse Connor. “Fine dei giochi. Ascolta Clarisse, Annabeth mi ha
mandato un messaggio dal Tartaro. Dal cavolo di Tartaro. Chiunque riesca a farlo … hey, lo
ascolterò.”
Clarisse aprì la bocca per rispondere, ma quando parlò era la voce di Coach Hedge: “Nico,
svegliati. Ci sono problemi.”
XIV
N
i
c
o
NICO SI ALZO’ COSI’ VELOCEMENTE che diede una testata sul naso del satiro.
“OW! Cavolo, ragazzino, hai una zucca dura!”
“S-scusa, Coach.” Nico sbatté le palpebre, cercando di orientarsi. “Cosa sta succedendo?”
Non vide alcuna minaccia immediata. Erano accampati su un prato soleggiato nel bel
mezzo di una piazza pubblica. Calendule arancioni erano fiorite tutt’intorno a loro. Reyna
dormiva rannicchiata, con i due cani di metallo ai piedi. A pochi metri di distanza, dei
bambini piccoli stavano giocando intorno ad una fontana in marmo bianco. In un Caffè
all’aperto vicino, una mezza dozzina di persone bevevano caffè all’ombra di degli
ombrelloni. Alcuni furgoni erano parcheggiati lungo i bordi della piazza, ma non c’era
traffico. Gli unici pedoni erano poche famiglie, probabilmente gente del posto, che si
godevano il caldo pomeriggio.
La piazza era pavimentata con ciottoli, attorniata da edifici in stucco bianco e giallo limone.
Al centro c’era un colonnato ben conservato di un tempio romano. La sua base quadrata si
estendeva per forse una trentina di metri di larghezza e cinque metri di altezza, con una
facciata intatta di colonne corinzie che continuavano per una decina di metri. E nella parte
superiore del colonnato … la bocca di Nico si seccò. “Oh, Styx.*” [*Stige]
L’Athena Parthenos pendeva lateralmente lungo le cime delle colonne, come una cantante
di un nightclub che se ne stava disteso su un piano. Longitudinalmente, posizionata quasi
perfettamente, ma con quella mano tesa sembrava un po’ troppo pericolante. Sembrava
potersi ribaltare in avanti da un momento all’altro.
“Che cosa sta facendo lassù?” Chiese Nico.
“Dimmelo tu.” Hedge si strofinò il naso ammaccato. “È lì che siamo apparsi. Quasi non
morivamo, ma per fortuna ho degli zoccoli agili. Eri privo di sensi, appeso alla tua
imbracatura come un paracadutista aggrovigliato fino a quando non siamo riusciti a
portarvi giù.”
Nico cercò di immaginarlo, poi decise che era meglio di no. “Questa è la Spagna?”
“Il Portogallo,” disse Hedge. “Ti sei superato. Tra l’altro, Reyna parla spagnolo; non
portoghese. In ogni caso, mentre dormivi, abbiamo capito che questa è la città di Èvora.
Buone notizie: si tratta di un piccolo posto sonnolento. Nessuno ci ha infastiditi. Nessuno
sembra aver notato la gigantesca Atena dormiente sul tempio Romano, che è chiamato
Tempio di Diana, nel caso te lo domandassi. E le persone qui apprezzano le mie esibizioni
di strada! Ho tirato su circa sedici euro.”
Prese il berretto da baseball, facendo risuonare le monete.
Nico si sentì male. “Esibizioni di strada?”
“Ho cantato un po’,” disse l’allenatore. “Un po’ di arti marziali. Alcuni passi di danza
interpretativa.”
“Wow.”
“Lo so! I portoghesi hanno gusto. In ogni caso, penso che questo sia un posto decente per
riposarsi un paio di giorni.”
Nico lo fissò. “Un paio di giorni?”
“Ehy ragazzo, non abbiamo avuto molta scelta. In caso tu non lo abbia notato, hai quasi
rischiato di morire con tutti questi viaggi-ombra. Abbiamo cercato di svegliarti la notte
scorsa. Niente da fare.”
“Così ho dormito per–”
“Circa 36 ore. Ne avevi bisogno.”
Nico era contento di essere seduto, altrimenti sarebbe caduto. Avrebbe potuto giurare che
avesse dormito solo per pochi minuti, ma mentre il suo torpore svaniva si rese conto di
sentirsi più lucido e riposato di quanto si sentisse da settimane, forse da prima di andare
alla ricerca delle Porte della Morte.
Il suo stomaco brontolò. Coach Hedge sollevò le sopracciglia.
“Devi essere affamato,” disse il satiro. “O questo, o il tuo stomaco parla ricciese. Sembrava
piuttosto una dichiarazione in ricciese.”
“Il cibo andrebbe bene,” concordò Nico. “Ma prima di tutto, qual è la cattiva notizia …
voglio dire, a parte la statua inclinata? Hai detto che abbiamo dei problemi.”
“Oh, giusto.” Il coach indicò un arco situato in un angolo della piazza. In piedi, nell’ombra
c’era un incandescente, vaga figura umana delineata da fiamme grigiastre. Le
caratteristiche dello spirito erano indistinte, ma sembrava fare canno a Nico.
“Quell’uomo focoso si è presentato pochi minuti fa,” disse Coach Hedge. “Non c’è niente lì.
Quando ho cercato di andare laggiù, è scomparso. Non so se sia una minaccia, ma sembra
chiedere di te.”
Nico diede per scontato che fosse una trappola. La maggior parte delle cose lo erano. Ma
Coach Hedge promise di poter badare a Reyna per un po’ e, sulla remota possibilità che lo
spirito l’avesse qualcosa di utile da dire, Nico decise che valeva la pena correre il rischio.
Sfoderò la lama di ferro dello Stige e si avvicinò all’arco.
Di solito i fantasmi non lo spaventavano. (Supponendo, naturalmente, che Gea non li
avesse racchiusi in gusci di pietra e li trasformasse in macchine per uccidere. Quella cosa
era nuova per lui.)
Dopo la sua esperienza con Minosse, Nico si era reso conto che la maggior parte degli
spettri aveva tanto potere quanto tu gliene concedi di avere. Curiosavano nella tua mente,
influenzandoti con la paura, o la rabbia, o il desiderio. Nico aveva imparato a proteggersi a
ciò. A volte non riusciva anche a rigirare le cose e piegare i fantasmi alla sua volontà.
Mentre si avvicinava all’apparizione di fuoco grigio, era abbastanza sicuro che fosse un
un’anima perduta morta nel dolore. Non sarebbe stato un problema.
Eppure, Nico non dava nulla per scontato. Ricordò la Croazia fin troppo bene. Era andato
in quella situazione compiaciuto e fiducioso, solo per essere spazzato via, letteralmente ed
emotivamente. Prima che Jason Grace lo afferrasse e volassero sopra ad un muro.
Allora il dio Favonio lo aveva dissolto nel vento. E per quanto riguardava quel poco di
buono e arrogante, Cupido …
Nico strinse la sua spada. Condividere la sua cotta segreta non era la cosa peggiore.
Alla fine avrebbe potuto anche farlo, a suo tempo, a suo modo. Ma essere costretto a
parlare di Percy, essere vittima di bullismo e molestie semplicemente per il divertimento di
Cupido …
Dei fiotti di tenebre si stavano diffondendo fuori dai suoi piedi, uccidendo tutte le erbacce
tra i ciottoli. Nico cercò di tenere a freno la sua rabbia.
Quando raggiunse il fantasma, vide che indossava un abito da monaco – sandali, abiti di
lana e una croce di legno al collo. Le fiamme grigie gli vorticavano intorno – bruciandogli
le maniche, riempiendogli il volto di vesciche, trasformando le sopracciglia in cenere.
Sembrava essere bloccato nel momento della sua uccisione, come un video in bianco e nero
in loop permanente.
“Sei stato bruciato vivo,” percepì Nico. “Probabilmente nel Medioevo?”
Il volto del fantasma si distorse in un silenzioso urlo di agonia, ma i suoi occhi sembravano
annoiati, anche un po’ infastiditi, come se il grido fosse solo un riflesso automatico che non
riusciva a controllare.
“Che cosa vuoi da me?” Chiese Nico.
Il fantasma fece cenno a Nico di seguirlo. Si voltò e attraversò il varco aperto.
Nico guardò di nuovo Coach Hedge. Il satiro fece appena un gesto come per scacciarli,
‘andate’. ‘Fate le vostre cose dell’oltre-mondo.’
Nico seguì il fantasma per le strade di Évora.
Zigzagarono per le strade con i ciottoli stretti, passarono cortili con alberi di ibisco in vaso
e edifici in stucco bianco con balconi in ferro battuto.
Nessuno notò il fantasma, ma la gente del posto guardò Nico di traverso. Una giovane
ragazza con un fox terrirer attraversò la strada per evitarlo.
Il suo cane ringhiò, il pelo sul dorso ritto come una pinna dorsale.
Il fantasma portò Nico ad un’altra piazza, ornata sull’estremità da una grande chiesa
rettangolare con pareti bianche e archi calcarei. Il fantasma attraversò il portico e
scomparve al suo interno.
Nico esitò. Non aveva nulla contro le chiese, ma quella irradiava morte. Al suo interno
c’erano delle tomba, o forse altre cose meno piacevoli … Si chinò per attraversare la porta. I
suoi occhi furono attratti da una cappella laterale, illuminata dall’interno da un’inquietante
luce dorata. Intagliato sopra la porta c’era un’iscrizione in portoghese. Nico non parlava la
lingua, ma ricordava abbastanza bene l’italiano dalla sua infanzia per capirne il significato
generale: Noi, le ossa sono qui, aspettiamo le vostre.
“Carino,” mormorò.
Entrò nella cappella. In fondo c’era un altare, in cui lo spettro di fuoco si inginocchiò in
preghiera, ma Nico era più interessato al luogo stesso. Le pareti erano costruite con ossa e
teschi – migliaia e migliaia, cementati insieme. Colonne di ossa tenevano un soffitto a volta
decorato con immagine mortuarie. Su una parete, come dei cappotti su un attaccapanni,
c’erano appesi dei resti essiccati e scheletrici di due persone – un adulto e un bambino
piccolo.
“Bella sala, non è vero?”
Nico si voltò. Un anno prima, sarebbe già sobbalzato, se suo padre fosse apparso
improvvisamente accanto a lui. Ora, Nico era in grado di controllare la sua frequenza
cardiaca, insieme al suo desiderio di colpire suo padre con una ginocchiata al linguine e
scappare.
Come lo spettro, Ade era vestito con l’abitudinale veste di un frate francescano, cosa che
Nico trovò vagamente inquietante. I suoi abiti neri erano legati in vita con un semplice
cordone bianco. Il suo cappuccio era spinto indietro, rivelando i capelli scuri spogli sul
cuoio capelluto e gli occhi che brillavano come catrame congelato. L’espressione del dio era
calma e contenuta, come se fosse appena tornato a casa da una bella serata passeggiando
per i campi della Pena, godendo delle urla dei dannati.
“Cerchi qualche idea per rimodernare?” chiese Nico. “Forse potresti ornare la sala da
pranzo con i teschi di monaci medievali.”
Ade inarcò un sopracciglio. “Non riesco mai a capire quando stai scherzando.”
“Perché siete qui padre? Come fai ad essere qui?”
Ade fece risalire le dita lungo la colonna può vicina, lasciando della macchie bianche sulle
vecchie ossa. “Sei un mortale difficile da trovare, figlio mio. Ti ho cercato per diversi giorni.
Quando lo scettro di Diocleziano è esploso … beh, ha catturato la mia attenzione.”
Nico sentì una vampata di vergogna. Poi si sentì arrabbiato per il fatto di provare vergogna.
“La rottura dello scettro non è stata colpa mia. Stavamo per essere sopraffatti –”
“Oh, lo scettro non è importante. Una reliquia così vecchia, sono sorpreso che tu sia
riuscito ad usarlo due volte. L’esplosione semplicemente mi ha dato un po’ di lucidità. Mi
ha permesso di individuare la vostra posizione. Speravo di parlare con te a Pompei, ma è
così … beh, Romana. Questa cappella era il primo posto in cui la mia presenza era
abbastanza forte, così sono potuto comparirti come me stesso – e con questo intendo Ade,
dio dei morti, e non dividermi con l’altra manifestazione.”
Ade respirò l’aria umida e viziata. “Sono molto attratto da questo posto. Sono stati usati i
resti di cinquemila monaci per costruire la Cappella delle Ossa. Serve a ricordare che la vita
è breve e la morte è eterna. Mi sento concentrato qui. Ma anche così, ho solo pochi minuti.”
‘La storia del nostro rapporto ’, pensò Nico. ‘È sempre e solo per pochi minuti.’
“Allora dimmi, Padre. Che cosa vuoi?”
Ade strinse le mani nelle maniche della sua veste. “Puoi nutrire l’idea che potrei essere qui
per aiutarti, non solo perché voglio qualcosa?”
Nico quasi si mise a ridere, ma sentiva il suo petto troppo vuoto. “Posso nutrire l’idea che
sei qui per diverse ragioni.”
Il dio aggrottò la fronte. “Suppongo che sia abbastanza corretto. Cercate informazioni sul
cacciatore di Gea. Il suo nome è Orione.”
Nico esitò. Non era abituato ad ottenere una risposta così diretta, senza giochi o
indovinelli, o missioni da compiere.
“Orione. Come la costellazione. Non era … un amico di Artemide?”
“Era,” disse Ade. “Un gigante nato per opporsi ai gemelli, Apollo e Artemide, ma, proprio
come Artemide, Orione respinse il suo destino. Cercò di vivere alle sue condizioni. Prima
cercò di vivere tra i mortali come cacciatore per il re di Chio. Lui, ah, ebbe qualche
problema con la figlia del re. Il re accecò Orione e lo esiliò.”
Nico ripensò a ciò che gli aveva detto Reyna. “La mia amica ha sognato un cacciatore con
gli occhi ardenti. Se Orione è cieco –”
“Era cieco,” lo corresse Ade. “Poco dopo il suo esilio, Orione incontrò Efesto, che ebbe pietà
del gigante e gli mise dei nuovi occhi meccanici migliori rispetto agli originali. Orione
diventò amico di Artemide. È stato il primo uomo a cui ha mai permesso di unirsi a lei e
alle Cacciatrici. Ma … le cose sono andate male tra loro. Esattamente come, non lo so.
Orione fu ucciso. Ora è tornato come figlio fedele di Gea, pronta a fare la sua offerta. È
guidato da amarezza e rabbia. Capisci.”
Nico avrebbe voluto urlare, ‘come se tu sapessi come mi sento?’
Invece chiese, “Come lo fermiamo?”
“Non potete,” disse Ade. “La tua unica speranza è quella di correre più veloce di lui,
compiere la tua missione prima che ti raggiunga. Apollo e Artemide potrebbero essere in
grado di ucciderlo, frecce contro frecce, ma i gemelli non sono in condizioni di aiutarti.
Anche adesso, Orione sente il tuo odore. È già sulle vostre tracce. Non avrai più il lusso di
riposarti da qui fino al Campo Mezzosangue.”
Sembrò come se una cintura si stesse stringendo intorno alle costole di Nico. Aveva
lasciato Coach Hedge di guardia con Reyna dormiente. “Devo tornare dai miei compagni.”
“Effettivamente,” disse Ade. “Ma c’è di più. Tua sorella …” Ade vacillò. Come sempre, il
soggetto ‘Bianca’ era tra loro come una pistola carica – mortale, facile da raggiungere,
impossibile da ignorare.
“Voglio dire, l’altra sorella, Hazel … ha scoperto che uno dei Sette morirà. Vuole cercare di
prevenirlo. In questo modo, potrebbe perdere di vista le sue priorità.”
Nico non si fidava a parlare.
Con sua grande sorpresa, il suo pensiero non saltò per primo a Percy. La sua
preoccupazione principale era per Hazel, poi per Jason, dopo per Percy e gli altri a bordo
dell’Argo II. Lo avevano salvato a Roma. Lo avevano accolto a bordo della loro nave. Nico
non si era mai permesso il lusso di avere degli amici, ma l’equipaggio della nave Argo II era
più vicina a lui di quanto avesse mai creduto. L’idea che qualcuno di loro sarebbe morto lo
fece sentire vuoto – come se fosse di nuovo nel vaso di bronzo dei giganti, da solo al buio,
nutrendosi solo di semi acidi di melograno.
Infine chiese: “Hazel sta bene?”
“Per il momento.”
“E gli altri? Chi morirà?”
Ade scosse la testa. “Anche se ne fossi certo, non potrei dirlo. Ti riferisco questo perché sei
mio figlio. Tu sai che alcune morti non possono essere evitate. Alcuni decessi non
dovrebbero essere impediti. Quando sarà il momento, potrebbe essere necessario che tu
agisca.”
Nico non sapeva cosa volesse dire. Non voleva saperlo.
“Figlio mio.” Il tono di Ade era quasi gentile. “Qualunque cosa accada, ti sei guadagnato il
mio rispetto. Hai portato onore nella nostra casa, quando ci siamo ritrovati insieme contro
Crono a Manhattan. Hai rischiato la mia ira per aiutare il ragazzo Jackson - guidandolo al
fiume Stige, liberandolo dalla mia prigione, supplicandomi di raccogliere gli eserciti di
Erebos per aiutarlo. Mai prima d’ora sono stato così molestato da uno dei miei figli. Percy
questo e Percy quello. Quasi non ti trasformavo in cenere.”
Nico prese un respiro profondo. Le pareti della stanza cominciarono a tremare, la polvere
svolazzò dalle fessure tra le ossa. “Non ho fatto tutto questo solo per lui. L’ho fatto perché il
mondo intero era in pericolo.”
Lo stesso Ade si permise un flebile sorriso, ma non vi era niente di crudele nei suoi occhi.
“Posso nutrire la possibilità che tu abbia agito per diverse ragioni. Quello che intendo è
questo: Tu ed io siamo saliti sull’Olimpo perché tu mi hai fatto abbandonare la rabbia. Ti
incoraggio a fare altrettanto. I miei figli sono felici così raramente. Mi… mi piacerebbe
vedere che tu possa essere l’eccezione.”
Nico guardò suo padre. Non sapeva cosa fare con quell’affermazione. Poteva accettare
molte cose irreali – orde di fantasmi, labirinti magici, viaggiare attraverso le ombre,
cappelle fatte di ossa. Ma parole dolci dal Signore degli Inferi? No. Non aveva senso.
Sopra l’altare, il fantasma di fuoco si alzò. Si avvicinò, bruciando e urlando in silenzio,
cercando con gli occhi di trasmettere un messaggio urgente.
“Ah,” disse Ade. “Questo è fratello Paloan. È uno dei centinaia che sono stati bruciati vivi
nella piazza vicino al vecchio tempio romano. L’inquisizione aveva sede lì, sai. In ogni caso,
ti suggerisco di lasciare questo posto. Avete poco tempo prima che arrivino i lupi.”
“Lupi? Vuoi dire i seguaci di Orione?”
Ade agitò la mano. Il fantasma del fratello Paloan scomparve. “Figlio mio, ciò che stai
tentando – viaggiare attraverso le ombre per tutto il mondo, portando la statua di Atena –
potrebbe anche distruggerti.”
“Grazie per l’incoraggiamento.”
Ade pose brevemente le mani sulle spalle di Nico.
A Nico non piaceva essere toccato, ma in qualche modo quel breve contatto con il padre lo
rassicurò – allo stesso modo anche la Cappella delle Ossa era rassicurante. Come la morte,
la presenza di suo padre era fredda e spesso sembrava insensibile, ma era vero –
brutalmente onesto, inevitabile e affidabile.
Nico aveva trovato una sorta di libertà nel sapere che alla fin fine, non importava cosa
sarebbe successo, sarebbe finito ai piedi del trono di suo padre.
“Ti vedrò di nuovo,” promise Ade. “Preparerò una stanza per te nel mio palazzo, nel caso in
cui tu non sopravviva. Forse la tua camera sarebbe carina decorata con i teschi dei
monaci.”
“Ora sono io che non capisco quando stai scherzando.”
Gli occhi di Ade brillarono mentre la sua figura cominciò a svanire. “Allora forse siamo
simili in qualche modo.”
Il dio scomparve.
Improvvisamente la cappella sembrò opprimente – migliaia di orbite vuote fissarono Nico.
Noi, le ossa sono qui, aspettiamo le vostre.
Si affrettò fuori dalla chiesa, sperando di ricordare la via per ritornare ai suoi amici.
XV
N
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c
o
‘LUPI?’ CHIESE REYNA.
Stavano mangiando la cena sul marciapiede vicino alla caffetteria.
Nonostante gli avvisi di Ade di tornare indietro al più presto, Nico non aveva trovato nulla
di diverso sulla via del ritorno al campo. Reyna si era appena svegliata. L’Athena Parthenos
era ancora appoggiata sulla parte superiore del tempio. Coach Hedge stava intrattenendo
alcuni abitanti del luogo con un tip-tap e delle arti marziali, di tanto in tanto cantava nel
suo megafono, anche se nessuno sembrava capire quello che stesse dicendo.
Nico avrebbe voluto che il coach non avesse portato il megafono. Non solo era rozzo e
sgradevole, ma anche, per nessun motivo che Nico avesse compreso, di tanto in tanto
faceva il rumore del respiro di Darth Vader di Star Wars o urlava: “LA MUCCA FA MUU!”
Mentre i tre erano seduti sul prato a mangiare, Reyna sembrava vigile e riposata. Lei e
Coach Hedge ascoltarono le descrizioni del sogno di Nico, poi il suo incontro con Ade
presso la Cappella delle Ossa. Nico trattenne alcune informazioni personali sul discorso
con il padre, anche se sentiva come se Reyna avesse capito qualcosa a riguardo.
Quando citò Orione e i lupi che erano probabilmente sulle loro tracce, Reyna aggrottò la
fronte.
“La maggioranza dei lupi è amichevole verso i Romani,” disse. “Non ho mai sentito storie
di Orione che caccia con un seguito.”
Nico terminò il suo panino al prosciutto. Guardò il piatto dei dolci e fu sorpreso di scoprire
di avere ancora appetito. “Potrebbe essere stato anche solo un modo di dire: Avete poco
tempo prima che arrivino i lupi. In ogni caso, dobbiamo andarcene non appena sarà
abbastanza buio per viaggiare nell’ombra.”
Coach Hedge si infilò una confezione di Guns & Ammo nel suo borsone. “Unico problema:
L’Athena Parthenos è a tre metri di altezza. Sarà divertente trasportare voi e le vostre cose
in cima a quel tempio.”
Nico provò una pasta. La signora del bar li aveva chiaramente chiamate farturas.
Sembravano delle ciambelle a forma di spirale e molto gustose – la giusta combinazione di
croccantezza , zucchero e burro – ma quando Nico aveva già sentito fartura, immaginò
Percy che faceva qualche battuta sul nome.
In America hanno le ciambelle-farcite, avrebbe detto Percy. In Portogallo hanno le braghefarcite.
[Ndt. In inglese ciambella si dice “dough-nuts”, quindi Percy sostituiva la parola con “fart-nuts” – che in slang
americano significa “attacco-di-diarrea” (fartnuts). Ho cercato un adattamento in italiano che rendesse nel
significato senza allontanarmi troppo dal gioco di parole.]
Più Nico cresceva, più giovanile gli sembrava Percy, anche se Percy era più grande di tre
anni. Nico trovava il suo senso dell’umorismo sia accattivante che fastidioso. Decise di
concentrarsi sulla parte fastidiosa.
Poi ci fu il tempo in cui Percy era mortalmente serio: guardando Nico sa quella voragine a
Roma - ‘Dall’altra parte, Nico! Ci vedremo lì. Promettimelo!’
E Nico lo aveva promesso. Non sembrava avere importanza quanto risentimento provasse
verso di Percy Jackson; Nico avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Si odiava per questo.
“Quindi,” la voce di Reyna lo scosse dai suoi pensieri. “Dovremo essere al Campo
Mezzosangue entro il primo Agosto, o ci attaccheranno?”
“Dobbiamo sperare che aspettino,” disse Nico. “Non possiamo … non riesco a trasportare
la statua più velocemente.”
‘Anche a questo ritmo, mio padre pensa che potrei morire’. Nico continuava a covare quel
pensiero in privato.
Avrebbe voluto che Hazel fosse con lui. Insieme avevano portato l’intero equipaggio della
nave Argo II con il viaggio ombra dalla Casa di Ade. Quando avevano condiviso il loro
potere, a Nico sembrò come se tutto potesse essere possibile. Il viaggio per il Campo
Mezzosangue sarebbe essere potuto essere compiuto nella metà del tempo.
Inoltre, le parole di Ade su una delle possibili morti dell’equipaggio gli avevano inviato un
brivido che lo aveva attraversato tutto. Non poteva perdere Hazel. Non un’altra sorella.
Non di nuovo.
Coach Hedge alzò lo sguardo dal contare la riserva dei suoi cappelli da baseball. “E sei
sicuro che Clarisse sia certa che Mellie stia bene?”
“Si, Coach. Clarisse si sta prendendo cura di lei.”
“Che sollievo. Non mi piace quello che ha detto Grover riguardo il fatto che Gea sussurri
alle ninfe e alle driadi. Se gli spiriti della natura divenissero malvagi … non penso sarebbe
molto bello.”
Nico non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere accadere.
Ma d’altronde, Gea non si era mai svegliata fin dall’origine dell’umanità.
Reyna diede un morso alla sua pasta. Il suo pettorale scintillava al sole del pomeriggio. “Mi
chiedo se questi lupi… È possibile che abbiamo frainteso il messaggio? La dea Lupa è
sempre stata molto tranquilla. Forse ci sta inviando aiuto I lupi potrebbero venire da lei –
per difenderci da Orione e il suo branco.”
La speranza nella sua voce era sottile come una garza. Nico decise di non distruggerla.
“Forse,” disse. “Ma Lupa non sarebbe occupata con la guerra tra i due capi? Penso che
abbia inviato lupi per aiutare la tua legione.”
Reyna scosse la testa. “I lupi non combattono in prima linea. Non credo che abbia aiutato
Ottaviano. I suoi lupi potrebbero stare pattugliando il Campo Giove, difendendola in
assenza della legione, ma proprio non saprei…”
Incrociò le gambe all’altezza delle caviglie, e le punte di ferro dei suoi stivali da
combattimento brillarono. Nico prese nota mentale di non finire mai in una lotta di calci
con i legionari romani.
“C’è un’altra cosa,” disse. “Non ho avuto fortuna nel contattare mia sorella, Hylla. E mi
inquieta che sia i lupi che le amazzoni siano rimasti in silenzio. Se fosse accaduto qualcosa
sulla costa occidentale… temo che l’unica speranza di entrambi campi sia qui con noi.
Dobbiamo riportare la statua al più presto. Ciò significa che il peso maggiore ricade su di
te, figlio di Ade.”
Nico cercò di ingoiare l’irritazione. Non era arrabbiato con Reyna. Lei gli piaceva. Ma tante
volte gli chiedevano di fare cose impossibili. Normalmente, appena compiute, se ne
dimenticavano.
Si ricordò quanto fossero stati carini i ragazzi al Campo Mezzosangue con lui dopo lo
scontro con Crono. ‘Ottimo lavoro, Nico! Grazie per aver richiamato gli eserciti dagli
inferi per salvarci!’
Tutti a sorridere. Tutti che lo invitavano a sedersi al loro tavolo.
Dopo circa una settimana, non era più tanto il benvenuto.
I campeggiatori sobbalzavano ogni volta che camminava alle loro spalle. Emergeva dalle
ombre causate dal fuoco, spaventando qualcuno, riuscendo a vedere il disagio nei loro
occhi: ‘Sei ancora qui? Perché sei qui?’
Non aiutò il fatto che immediatamente dopo la guerra con Crono, Annabeth e Percy
avevano cominciato ad uscire assieme… Nico posò la sua fartura. Tutt’ad un tratto non
aveva più un sapore poi così buono.
Ricordò la sua discussione con Annabeth ad Epiro, poco prima di lasciarlo con l’Athena
Parthenos. Lei lo aveva tirato da parte e gli aveva detto. “Ehy, devo parlarti.”
Il panico lo aveva stravolto. Lei sapeva.
“Voglio ringraziarti,” continuò. “Bob… il Titano… ci ha aiutato nel Tartaro solo perché tu
sei stato gentile con lui. Gli hai detto che valeva la pena salvarci. Questa è l’unica ragione
per cui siamo vivi.”
L’aveva detto in un modo così semplice, come se lei e Percy fossero intercambiabili,
inseparabili.
Nico una volta aveva letto una storia di Platone, che sosteneva che nei tempi antichi tutti
gli esseri umani erano una combinazione di maschile e femminile. Ogni persona aveva due
teste, quattro braccia, quattro gambe. Presumibilmente, questi combo-umani erano così
potenti da mettere gli dei a disagio, così Zeus li divise a metà – uomo e donna. Da all’ora,
gli esseri umani si erano sentiti incompleti. Trascorrevano la vita alla ricerca della loro
metà.
‘E questo cosa dovrebbe lasciarmi?’ si chiese Nico.
Non era la sua storia preferita.
Avrebbe voluto odiare Annabeth, ma non ci riusciva. Lei lo aveva preso da parte per
ringraziarlo ad Epiro. Era genuina e sincera. Non lo aveva mai escluso o evitato come la
maggior parte delle altre persone aveva fatto. Perché non poteva essere una persona
orribile? Lo avrebbe reso più facile.
Il dio del vento Favonio lo aveva avvertito in Croazia: ‘Se lasci che la rabbia prenda il
sopravvento… il tuo destino sarà ancora più triste del mio.’
Ma come poteva essere il suo destino se non triste? Anche se sarebbe sopravvissuto a
quell’impresa, avrebbe dovuto lasciare entrambi i campi per sempre. Quello era l’unico
modo per lui di trovare la pace.
Avrebbe voluto che ci fosse un’altra soluzione – una scelta che non avrebbe fatto male
come le acque del Flegetonte – ma non riusciva a trovarne una.
Reyna lo studiò, probabilmente cercando di leggere i suoi pensieri. Si guardò le mani, e
Nico si rese conto di star torcendo il suo anello di argento a forma di teschio – l’ultimo
regalo che Bianca gli aveva lasciato.
“Nico, come possiamo aiutarti.” Chiese Reyna.
Un’altra domanda che non era solito sentire.
“Non ne sono sicuro,” ammise. “Mi avete già lasciato riposare il più possibile. Il che è
importante. Forse mi puoi dare di nuovo la tua forza. Il salto successivo sarà più lungo.
Dovrò raccogliere abbastanza energie per farci attraversare l’Atlantico.”
“Certo,” promise Reyna. “Una volta tornati negli Stati Uniti dovremmo incontrare un
minor numero di mostri. Potremmo anche essere in grado di ricevere aiuto da qualche
legionario lungo la costa orientale. Hanno l’obbligo di aiutare qualunque semidio romano
che li chiami.”
Hedge grugnì. “Se quell’Ottaviano non li ha già soggiogati. In quel caso, potremmo venire
arrestati per tradimento.”
“Coach,” lo rimproverò Reyna. “Non è di aiuto.”
“Ehy, era solo per dire. Personalmente, mi sarebbe piaciuto rimanere più a lungo ad Evora.
Buon cibo, buoni prezzi e fin’ora nessun segno di questi lupi figurativi–”
I cani di Reyna si alzarono in piedi.
In lontananza, un urlo trafisse l’aria. Prima che Nico potesse alzarsi, dei lupi apparvero da
ogni direzione – enormi bestie nere scesero dai tetti, circondando il loro accampamento.
Il più grande di loro si fece avanti. Il lupo alpha si mise sulle zampe posteriori e cominciò a
trasformarsi. Le sue zampe anteriori divennero braccia. Il suo muso si ridusse in un naso a
punta. Il suo pelo grigio divenne un mantello di tessuto in pelle di animale.
Diventò un uomo alto e nerboruto, con un viso smunto e gli occhi rossi e incandescenti.
Una corona di ossa di dita cerchiava i suoi capelli neri e unti.
“Ah, piccolo satiro…” l’uomo sorrise, rivelando delle zanne appuntite. “Il tuo desiderio
verrà esaudito! Il vostro soggiorno ad Evora sarà per sempre, perché purtroppo per voi, i
miei lupi figurativi sono veramente dei lupi.”
XVI
N
i
c
o
“TU NON SEI ORIONE,” Sbottò Nico.
Un commento stupido, ma era la prima cosa che gli era venuta in mente.
L’uomo davanti a lui non era chiaramente un cacciatore Gigante. Non era abbastanza alto.
Non aveva le gambe di drago. Non aveva neppure un arco o una faretra, e non aveva due
fari come cocchi come l’aveva descritto Reyna dal suo sogno.
L’uomo grigio si mise a ridere. “In effetti no. Orione ha semplicemente chiamato per
assisterlo nella sua caccia. Io sono–”
“Licaone,” intervenne Reyna. “Il primo lupo mannaro.”
L’uomo fece un finto inchino. “Reyna Ramirez-Arellano, pretore di Roma. Uno dei cuccioli
di Lupa! Sono contento che mi conosci. Non c’è dubbio, sono io quello dei tuoi incubi.”
“Quello della mia indigestione, forse.” Dalla tasca, Reyna estrasse un coltello da campeggio
pieghevole. Lo aprì e i lupi ringhiarono, indietreggiando. “Non viaggio mai senza un’arma
di argento.”
Licaone scoprì i denti. “Vuoi tenere una dozzina di lupi e il loro re a bada con una lametta?
Ho sentito che eri coraggiosa, filia romana. Non avevo capito che eri un’incosciente.”
I cani di Reyna si accovacciarono, pronti a scattare. L’allenatore afferrò la mazza da
baseball, anche se per una volta non sembrò ansioso di lanciarsi.
Nico raggiunse l’elsa della sua spada.
“Non preoccupatevi,” borbottò Coach Hedge. “Questi ragazzacci possono essere feriti solo
dall’argento o dal fuoco. Li ricordo da Pikes Peak. Sono solo molesti.”
“E mi ricordo di te, Gleeson Hedge.” Gli occhi del lupo mannaro brillarono di rosso lava. “Il
mio branco sarà lieto di avere carne di capra per cena.”
Hedge sbuffò. “Falla finita, ragazzo rognoso. Le cacciatrici di Artemide sono in viaggio in
questo momento, proprio come l’ultima volta! Questo è un tempio di Diana, idiota. Sei sul
loro campo!”
Anche in quel caso i lupi ringhiarono ampliando la loro cerchia. Alcuni guardando
nervosamente verso i tetti.
Licaone fissò il coach. “Bel tentativo, ma temo che il tempio sia stato chiamato così
erroneamente. Sono passato qui in epoca romana. In realtà era stato dedicato
all’imperatore Augusto. Tipica vanità semidivina. Indipendentemente da ciò, sono stato
molto più cauto rispetto al nostro ultimo incontro. Se le cacciatrici fossero nei paraggi, lo
saprei.”
Nico rifletté su un piano di fuga. Erano circondati e in inferiorità numerica. La loro unica
arma efficace era una lametta. Lo scettro di Diocleziano era andato. L’Athena Parthenos
era ad una trentina di centimetri sopra di loro nella parte superiore del tempio, anche se
avessero potuto raggiungerla non avrebbero potuto attuare il viaggio-ombra senza delle
vere e proprie ombre. Il sole non era ancora tramontato.
Quasi non si sentiva più coraggioso, ma fece un passo avanti. “Così ci hai presi. Che cosa
stai aspettando?”
Licaone lo studiò come un nuovo tipo di carne in una vetrina di un macellaio. “Nico di
Angelo… figlio di Ade. Ho sentito parlare di te. Mi dispiace non potervi uccidere subito, ma
ho promesso al mio datore di lavoro Orione che vi avrei trattenuti fino a che non foste
arrivati. Nessun problema. Dovrebbe essere qui da un momento all’altro. Una volta che
avrà fatto con voi, io verserò il vostro sangue per segnare questo posto come mio territorio
per il tempo a venire!”
Nico strinse i denti. “Il sangue di semidio. Il sangue dell’Olimpo.”
“Certo!” Disse Licaone. “Versato in terra, una terra particolarmente sacra, il sangue di
semidio ha molti usi. Con gli incantesimi appropriati, si può risvegliare mostri, o
addirittura dei. Può invitare una nuova vita a sorgere o a sterilizzare un luogo per
generazioni. Ahimè, il vostro sangue non sveglierà Gaia stessa. Questo onore è riservato ai
vostri amici a bordo dell’Argo II. Ma non temete. La vostra morte sarà dolorosa quasi come
la loro.”
L’erba intorno ai piedi di Nico cominciò a morire. I letti di calendule appassirono. ‘Il
terreno diventa sterile’, pensò. ‘Terreno sacro.’
Ricordò le migliaia di scheletri nella Cappella delle Ossa. Ricordò quello che Ade aveva
detto su quella piazza, dove l’inquisizione aveva bruciato vive centinaia di persone.
Quella era una città antica. Quanti laici morti ci potevano essere nel terreno sotto i suoi
piedi?
“Coach,” disse. “può scalare?”
Hedge sbuffò. “Sono per metà capra. Certo che posso scalare!”
“Vada sulla statua e fissi l’imbragatura. Faccia una scala di corda e la faccia scendere giù
per noi.”
“Uh, ma il branco di lupi –”
“Reyna,” disse Nico. “Tu e i tuoi cani dovrete coprire la nostra ritirata.”
Il pretore annuì cupamente. “Capito.”
Licaone ululò dalle risate “Ritirarvi dove, figlio di Ade? Non c’è scampo. Non potete
ucciderci!”
“Forse no,” disse Nico. “Ma posso rallentarvi.”
Allargò le mani e la terra esplose.
Nico non si aspettava che andasse così bene. Aveva tirato fuori rimasugli di ossa dalla terra
prima. Aveva animato scheletri di ratto e portato alla luce crani umani. Niente lo aveva
preparato ad un muro di ossa sparate al cielo – centinaia di femori, costole e fibule si
impigliarono ai lupi, formando degli spinosi rovi di resti umani.
La maggior parte dei lupi rimase irrimediabilmente intrappolata. Alcuni si contorsero e
digrignarono i denti, cercando di liberarsi dalle loro gabbie improvvisate. Licaone stesso
rimase immobilizzato in un involucro di costole, ma questo non gli impedì di urlare
maledizioni.
“È inutile ragazzino!” Ruggì. “Strapperò la carne dalle tue membra!”
“Coach, vada!” disse Nico.
Il satiro corse verso il tempio. Arrivò sulla parte più alta del podio in un solo balzo e si
arrampicò sul pilastro di sinistra.
Due lupi si liberarono dalla boscaglia di ossa. Reyna lanciò il coltello impalandolo nel collo
di uno. I suoi cani si gettarono sull’altro. Le zanne e gli artigli di Aurum scivolarono vicino
alla pelle del lupo, ma Argentum costrinse la bestia verso il basso.
La testa di Argentum era ancora piegata lateralmente dalla lotta a Pompei. Il suo occhio
sinistro di rubino era ancora mancante, ma riuscì ad affondare le zanne nella nuca del
lupo. Il lupo si dissolse in una pozza di ombra.
‘ Grazie agli dei per i cani di argento ’, pensò Nico.
Reyna estrasse la spada. Prese una manciata di monete d’argento dal berretto da baseball
di Hedge, afferrò del nastro adesivo dalla sacca del cibo del coach e cominciò a fissare le
monete intorno alla lama. Quella ragazza aveva davvero inventiva.
“Vai!” disse a Nico. “Ti copro!”
I lupi lottarono, facendo sgretolare il boschetto di ossa. Licaone liberò il suo braccio destro
e cominciò a sfoltire la prigione di rovi.
“Ti scorticherò vivo!” promise. “Aggiungerò le tue carni al mio mantello!”
Nico corse, fermandosi giusto il tempo di afferrare la lama d’argento di Reyna da terra.
Non era una capra di montagna, ma trovò una serie di scalini sul retro del tempio e corse
verso l’alto. Raggiunse la base delle colonne e guardò in alto verso Coach Hedge, che stava
precariamente arroccato ai piedi dell’Athena Parthenos, dipanando corde e annodandole in
una scala.
“Sbrigati!” Urlò Nico.
“Oh, davvero?” rispose il coach. “Ho pensato che avessimo un sacco di tempo!”
L’ultima cosa di cui Nico aveva bisogno era il sarcasmo di un satiro.
Giù in piazza, altri lupi si liberarono dai vincoli ossei. Reyna li colpì con la sua spadamonetaria modificata, ma anche così non sarebbe stata in grado di trattenere il branco di
lupi mannari a lungo. Aurum ringhiò per la frustrazione, danneggiando il nemico.
Argentum fece del suo meglio, affondando gli artigli nella gola di un altro lupo, ma il cane
d’argento era già stato danneggiato. Presto sarebbero stati irrimediabilmente in inferiorità
numerica.
Licaone liberò entrambe le braccia. Iniziò a tirare le gambe dai vincoli di casse toraciche.
Avevano solo un paio di secondi fino a che non si sarebbe completamente liberato.
Nico non aveva più idee. Convocare quel muro di ossa lo aveva spompato. Gli ci voleva
tutto il resto della sua energia per il viaggio-ombra – ammesso che potesse anche solo
trovare un’ombra in cui viaggiare attraverso.
Un’ombra.
Guardò il coltellino d’argento che aveva in mano. Gli venne un’idea – forse la più stupida,
l’idea più pazza che avesse avuto da quando aveva pensato ‘Hey, porterò Percy a nuotare
sulle Rime dello Stige! Mi amerà per questo!’
“Reyna, vieni su!” urlò.
Lei colpì un altro lupo in testa e corse. A metà strada, agitò la spada, facendola allungare in
un giavellotto, poi se ne servì per lanciarsi su come un atleta con l’asta. Atterrò accanto a
Nico.
“Qual è il piano?” chiese, senza neppure il fiatone.
“Ti faccio vedere,” borbottò.
Una corda annodata cadde dall’alto.
“Salite, sciocchi non-capre!” urlò Hedge.
“Vai,” le disse Nico. “Una volta lì, tenetevi forte alla corda.”
“Nico–”
“Fallo!”
Il suo giavellotto si ritrasse a spada. Reyna la ripose nel fodero e cominciò a salire, scalò la
colonna nonostante la sua armatura e i bagagli.
Giù nella piazza, Aurum e Argentum non erano visibili da nessuna parte. In ogni caso si
erano ritirati o forse erano stati distrutti.
Licaone si liberò dalla sua gabbia ossea con un urlo riecheggiante. “Soffrirai, figlio di Ade!”
‘Che altro c’è di nuovo?’ Pensò Nico.
Prese il coltellino alla mano. “Vieni a prendermi, bastardino! O devi fare il bravo cagnolino
fin quando non si presenta il tuo padrone?”
Licaone balzò in aria, sfoderando gli artigli, scoprendo le zanne. Nico avvolse la mano
libera intorno alla corda e si concentrò, una goccia di sudore gli colò sul collo.
Mentre il re lupo gli finiva addosso, Nico spinse il coltello d’argento nel petto di Licaone.
Tutt’intorno al tempio, i lupi ulularono all’uni solo.
Il re lupo affondò le unghie nelle braccia di Nico. Le sue zanne si fermarono a meno di un
centimetro dal viso. Nico ignorò il dolore e puntò il coltellino fino in fondo tra le costole di
Licaone.
“Renditi utile, cane,” ringhiò. “Torna nell’ombra.”
Gli occhi di Licaone si rigirarono indietro. Si sciolse in una pozza di oscurità nera come
l’inchiostro.
Poi successero un sacco di cose in una volta sola. Il branco di lupi indignati saltarono in
avanti. Da un tetto vicino, una voce tonante gridò “FERMATELI!”
Nico sentì il suono inconfondibile di un grande arco che si tendeva. Poi si sciolse nella
chiazza di ombra lasciata da Licaone, prendendo i suoi amici, e L’Athena Parthenos con sé
– scivolando nell’etere freddo, senza idea di dove sarebbe emerso.
XVII
P
i
p
e
r
PIPER NON RIUSCIVA A CREDERE che fosse tanto difficile trovare la ‘deadly poison’.
Tutte le mattine lei e Frank perlustravano il porto di Pylos. Frank acconsentiva che solo
Piper andasse con lui, pensava che la sua lingua ammaliatrice sarebbe potuta essere utile
nel caso in cui si fossero imbattuti nei suoi defunti parenti.
Come si era scoperto, la sua arma era più che richiesta. Finora, avevano ucciso un Orco
Laistrygoniano in una panetteria, combattuto un facocero gigante nella piazza pubblica e
sconfitto uno stormo di uccelli Stymphalian con alcune verdure ben mirate dalla
cornucopia di Piper.
Era contenta del suo lavoro. Le impediva di soffermarsi sulla sua conversazione della sera
prima con la madre – riguardo quel desolante scorcio di futuro che Afrodite le aveva fatto
promettere di non rivelare…
Nel frattempo, la più grande sfida di Piper a Pylos erano i poster appiccicati sulle pareti
della città del nuovo film di suo padre. I manifesti erano in greco, ma Piper sapeva quello
che dicevano: TRISTAN MCLEAN È JAKE STEEL: FIRMATO COL SANGUE.
Dei, che titolo orribile. Avrebbe voluto che suo padre non avesse mai firmato per il ruolo di
Jake Steel, ma era diventato uno dei suoi ruoli più popolari. Era su un poster, la sua
maglietta strappata per rivelare i suoi addominali ( è volgare, papà!), un AK-47 stretto in
mano, un sorriso sbarazzino sul volto curato.
Anche dall’altra parte del mondo, in una piccola, la più fuorimano città immaginabile, c’era
suo padre. Si sentì intristita, disorientata, nostalgica e annoiata allo stesso tempo.
La vita continuava. E anche Hollywood. Mentre suo padre fingeva di salvare il mondo,
Piper e i suoi amici lo dovevano fare davvero. Tra otto giorni, e a meno che Piper non
tirasse fuori il piano spiegatole da Afrodite… beh, non ci sarebbero stati più film, o cinema,
o persone.
Intorno all’una del pomeriggio, Piper finalmente utilizzò la sua lingua ammaliatrice. Parlò
in Greco Antico con un fantasma in una lavanderia (posizionandola su una scala da uno-adieci occupava sicuramente l’undicesimo posto.) e ottenne delle indicazione per un’antica
roccaforte dove comparivano di tanto in tanto i discendenti di Periclimeno.
Dopo aver arrancato attraverso l’isola nel caldo pomeridiano, trovarono la grotto situata a
metà strada su una scogliera sulla spiaggia. Frank insistette perché Piper lo aspettasse
fuori mentre lui controllava.
Piper non ne fu felice, ma stette ubbidientemente sulla spiaggia, tenendo d’occhio l’entrata
della grotta e sperando di non aver guidato Frank in una trappola mortale.
Dietro di lei, una striscia di sabbia bianca abbracciava i piedi delle colline. Un bagnante
stravaccato su un telo. Dei bambini piccoli che spruzzavano tra le onde. Il mare blu che
brillava in modo invitante.
Piper avrebbe voluto fare surf tra quelle acque. Aveva promesso di insegnarlo ad Hazel e
Annabeth un giorno, se mai fossero venute a Malibù… se fosse esistita ancora Malibù dopo
il 1° Agosto.
Alzò lo sguardo sul vertice della scogliera. Le rovine di un antico castello si aggrappavano
sulla cresta. Piper non era sicura che fosse una parte del covo o meno.
Non si muoveva nulla lungo i parapetti. L’ingresso della grotta distava una trentina di
metri lungo la scogliera – un cerchio nero nella gialla roccia calcarea come il foro di un
temperino gigantesco.
La Cava di Nestore, così l’aveva chiamata il fantasma della Lavanderia. Probabilmente
dove l’antico re di Pylos nascondeva le sue ricchezze in tempi di crisi. Il fantasma aveva
inoltre affermato che Ermes una volta ci nascose il bestiame rubato ad Apollo.
Mucche.
Piper rabbrividì. Quando era piccola, sui padre l’aveva convinta a passare per un macello a
Chino. L’odore le era bastato per convincerla a diventare vegetariana. Da allora, solo il
pensiero di delle mucche la faceva star male. La sua esperienza con la regina delle mucche
Era, i katoblepones a Venezia e le raccapriccianti immagini delle mucche morte nella Casa
di Ade non le erano state di aiuto.
Piper aveva appena cominciato a pensarci, Frank era stato via molto a lungo – quando
apparve sull’ingresso della grotta. Accanto a lui c’era un uomo dai capelli grigi, alto, in un
vestito di lino bianco e una cravatta di color giallo pallido. L’uomo più anziano depose un
piccolo oggetto luccicante – una specie di pietra o un pezzo di vetro – nelle mani di Frank.
Lui e Frank si scambiarono qualche parole. Frank annuì con decisione.
Poi l’uomo si trasformò in un gabbiano e volò via.
Frank percorse la strada lungo il sentiero fino a raggiungere Piper.
“Li ho trovati,” disse.
“Ho notato. Tutto a posto?”
Fissò il gabbiano volare verso l’orizzonte.
I cortissimi capelli di Frank indicavano in avanti come una freccia, facendo apparire il suo
sguardo ancora più intenso. I suoi distintivi Romani – una corona murale, da centurione,
da pretore – brillavano sul colletto della camicia. Sul suo avambraccio, il tatuaggio SPQUR
con le lance incrociate di Marte spiccava scuro sotto il sole.
Osservò per bene il suo nuovo vestito. Il gigantesco facocero aveva ridotto i suoi vecchi
abiti piuttosto male, quindi Piper aveva fatto un po’ di shopping di emergenza a Pylos. Ora
indossava dei nuovi jeans neri, Stivaletti in morbida pelle e una maglietta a mezze maniche
verde scuro che gli calzava comodamente. Aveva dovuto auto-convincersi a mettersi la
maglia. Era solito nascondere la sua massa in abiti larghi, ma Piper lo rassicurò che non
doveva preoccuparsene più.
Dalla sua crescita repentina a Venezia, era venuto su molto bene.
Non sei cambiato, Frank,gli aveva detto. Sei solo un po’ più tu.
Era una cosa buona che Frank Zhang era ancora così dolce e pacato. Altrimenti sarebbe
stato un ragazzo spaventoso.
“Frank?” Chiese gentilmente.
“Già, scusa,” si concentrò su di lei. “I miei, uh… cugini, credo che possa chiamarli così…
hanno vissuto qui per generazioni, tutti discendenti dell’Argonauta Periclimeno. Gli ho
raccontato la mia storia. Di come la famiglia Zhang sia passata da Greca a Romana, per la
Cina al Canada. Gli ho raccontato del legionario fantasma che ho visto nella casa di Ade,
che mi ha spinto a venire a Pylos. Loro… non ne sembravano sorpresi. Hanno detto che è
accaduto ad altri parenti prima – che si erano persi sulla strada di casa.”
Piper colse della nostalgia nella sua voce.
“Ti aspettavi qualcosa di diverso.”
Si strinse nelle spalle. “Un grande benvenuto. Alcuni palloncini. Non sono sicuro. Mia
nonna mi ha detto che avrei chiuso il cerchio – portato il nostro onore della famiglia e tutto
il resto. Ma i miei cugini qui hanno… agito freddamente e in modo distante, come se non
mi volessero intorno. Non credo che volessero che io fossi un figlio di Marte. Onestamente
non credo che volessero che io fossi cinese, forse.”
Piper lanciò uno sguardo verso il cielo. Il gabbiano se ne era andato, il che era
probabilmente una buona cosa.
Sarebbe stata tentata di sparare in aria un prosciutto confezionato. “Se I tuoi cugini
provano questo, sono degli idioti. Non sanno quanto tu sia grandioso.”
Frank spostò il peso da un piede all’altro. “Sono stati un po’ più amichevoli quando ho
detto loro che ero solo di passaggio. Mi hanno dato un regalo di buon-passaggio.”
Aprì la mano. Nel suo palmo c’era un flacone metallico non più grande di un contagocce.
Piper resistette alla tentazione di allontanarsi. “È questa la pozione?”
Frank annuì. “L’ha chiamata Pylosian. A quanto pare la pianta è nata dal sangue di una
ninfa morta su una montagna qui vicino, nei tempi antichi. Non ho chiesto dettagli.”
La fiala era talmente piccola… Piper era preoccupata che non potesse esser e sufficiente.
Normalmente non avrebbe desiderato avere altro veleno letale. Non era nemmeno sicura
di come li avrebbe aiutati a creare la physician’s cure menzionata da Nike.
Ma se lòa cura avrebbe davvero potuto ingannare la morte, Piper avrebbe voluto
prepararne una confezione da sei – una dose per ogni suo amico.
Frank si rigirò la confezione nel palmo. “Vorrei che Vitellius Reticulus fosse qui.”
Piper non era sicura di aver sentito bene. “Ridiculus chi?”
Un sorriso gli aleggiò sulla bocca. “Gaius Vitellio Reticulus, anche se a volte lo
chiamavamo Ridiculus. Era uno dei Lari della Quinta Coorte. Somiglia a un goffball, però
è figlio di Asclepio, il dio guaritore. Se c’è qualcuno che potrebbe conoscere la cura di quel
medico… è lui.”
“Sarebbe bello avere un dio guaritore dalla nostra parte,” rifletté Piper. “Meglio che avere
una dea della vittoria strepitante legata a bordo.”
“Ehi, sei fortunata. La mia cabina è più vicina alle stalle. La sento urlare tutta la notte:
LASCIATEMI SUBITO O MORIRETE! ANDRETE SEMPRE PIU’ A FONDO! Leo deve
progettare una soluzione che sia migliore rispetto al mio vecchio calzino.”
Piper rabbrividì. Ancora non capiva perché rapire una dea sarebbe dovuta essere una
buona idea. Prima si sarebbero sbarazzati Nike, meglio era. “Così i tuoi cugini... sapevano
già cosa succederà? Riguardo a questo dio incatenato che dovremmo trovare a Sparta?”
L’ espressione di Frank si rabbuiò. “Sì. Temo che avessero dei presentimenti al riguardo.
Torniamo alla nave così vi dico tutto.”
I piedi di Piper la stavano uccidendo. Si chiese se avrebbe potuto convincere Frank a
trasformarsi in un'aquila gigante e portarla, ma, prima che potesse chiederglielo, sentì dei
passi sulla sabbia dietro di loro.
“Salve, cari turisti!" Un pescatore ispido con il cappello bianco di un capitano e una bocca
piena di denti d'oro in vista venne loro in contro. “Un giro in barca? Ad un ottimo prezzo!”
Indicò la riva, dove una barca a motore li attendeva.
A Piper tornò il sorriso. Amava quando poteva comunicare con la gente del posto.
“Sì, per favore”, disse utilizzando al meglio la sua lingua ammaliatrice. “Ci piacerebbe
andare in un posto speciale.”
Il capitano della barca li portò all’ Argo II, ancorata a un quarto di miglio verso il mare.
Piper premette un gruzzolo di euro nelle mani del capitano.
Non le piaceva utilizzare la lingua ammaliatrice sui mortali, quindi decise di farlo con
parsimonia. I giorni in cui rubava BMW dalle concessionarie di auto erano finiti.
“Grazie”, gli disse. “Se qualcuno lo chiede, ci ha portati in giro per l'isola e ci ha mostrato
alcune delle attrazioni. Ci lasciati al porto di Pylos. Non hai mai visto una nave da guerra
gigante.”
“Niente nave da guerra,” accettò il capitano. “Grazie, gentili turisti americani!”
Salirono a bordo dell’ Argo II e Frank sorrise goffamente. “Beh ... è stato bello uccidere
facoceri giganti con te.”
Piper rise. “Lo stesso per me, signor Zhang.”
Gli diede un abbraccio, che sembrò confonderlo, ma Piper non poteva fare a meno di
apprezzare Frank. Non solo era il gentile e premuroso fidanzato di Hazel, ma ogni volta che
lo vedeva indossare il vecchio distintivo da pretore di Jason gli era sempre più grata per
aver accettato quel ruolo. Aveva tolto un peso dalle spalle di Jason lasciandolo libero
(almeno sperava) per iniziare una nuova vita al Campo Mezzosangue ... supponendo,
naturalmente, che sarebbero sopravvissuti tutti nei prossimi otto giorni.
L'equipaggio si era riunito per un incontro frettoloso sul ponte di prua - soprattutto perché
Percy stava tenendo d'occhio un gigantesco serpente di mare rosso nuotare a lato della
porta.
“Quel coso è davvero rosso,” mormorò Percy. “Mi chiedo se sia al gusto di ciliegia.”
“Perché non nuoti fino a laggiù per scoprirlo?” Chiese Annabeth.
“Ma anche no.”
“In ogni caso,” disse Frank, “secondo i miei cugini di Pylos, il dio incatenato che dobbiamo
cercare a Sparta è il mio papà ... uh, voglio dire Ares, non Marte. A quanto pare gli Spartani
hanno trattenuto una statua di lui incatenato nella loro città così lo spirito della guerra non
li avrebbe mai lasciarli.”
“Oo-kay,” disse Leo. “Gli spartani erano mostri. Naturalmente, abbiamo Vittoria legata al
piano di sotto, quindi credo che non possiamo parlarne.”
Jason si appoggiò in avanti contro la balista.
“A Sparta, allora. Ma come fa il battito cardiaco di un dio incatenato ad aiutarci a trovare
una cura per la morte?”
Dalla sua espressione, Piper capì che stava ancora male. Ricordava che cosa Afrodite le
aveva detto: ‘Non è solo la ferita della spada, mia cara. È la brutta verità che vedeva in
Itaca. Se il povero ragazzo non rimane in forze, la verità lo corroderà’.
“Piper?” Chiese Hazel.
Lei si mosse. “Scusa, che cosa?”
“Ti stavo chiedendo circa le visioni,” richiese Hazel. “Non mi avevi detto di aver visto
alcune cose nel pugnale della tua lama?”
“Uh ... giusto.” Piper sfoderò a malincuore Katoptris. Da quando aveva usato per pugnalare
la dea della neve Khione, le visioni della lama erano diventate più fredde e severe, come se
le immagini fossero incise nel ghiaccio. Aveva visto le aquile vorticare sul Campo
Mezzosangue, un'ondata di terra distruggere New York. Aveva visto scene del passato: il
padre picchiato e legato alla cima del Monte Diablo, Jason e Percy che combattono i
giganti del Colosseo romano, il dio fluviale Acheloo che la raggiungeva, implorando per la
cornucopia che aveva tagliato dalla sua testa.
“Io, um ...” Cercò di cancellare i suoi pensieri. “Non vedo nulla ora. Ma una visione
continuava a comparire. Annabeth e io che esploravamo alcune rovine –”
“Rovine!” Leo si strofinò le mani. “Ora si che ci siamo. Quante rovine ci possono essere in
Grecia?”
“Calmo, Leo,” lo rimproverò Annabeth. “Piper, pensi che fosse Sparta?”
“Forse,” disse Piper. “Comunque ... improvvisamente siamo in questo luogo buio come una
grotta. Stiamo fissando questa statua di bronzo un guerriero. Nella visione tocco il viso
della statua e le fiamme iniziano vorticare attorno a noi. Questo è tutto quello che ho
visto.”
“Fiamme.” Frank aggrottò la fronte. “Non mi piace quella visione.”
“Neanche a me.” Percy continuava a tenere d'occhio il serpente rosso di mare, che stava
ancora strisciando attraverso le onde a circa un centinaio di metri. “Se la statua
inghiottisse le persone nel fuoco, dovremmo mandare Leo.”
“Anche io ti voglio bene, ragazzo.”
“Sai cosa voglio dire. Tu sei immune. Oppure, diamine, dammi un po' di quelle granate di
acqua per curarmi e ci andrò io. Ho già affrontato Ares prima.”
Annabeth fissò la linea costiera di Pylos, ora ritirata in lontananza. “Se Piper ha visto noi
due andare dalla statua, siamo noi che dovremmo andare. Staremo bene. C'è sempre un
modo per sopravvivere.”
“Non sempre,” la avvertì Hazel.
Dal momento che era l'unica del gruppo che in realtà era morta e tornata in vita, la sua
osservazione uccise l'umore generale.
Frank porse la fiala di Pylosian alla menta.
“Che ne facciamo di questa? Dopo la casa di Ade, speravo proprio di bere una pazione.”
“Conserviamola in modo sicuro nella stiva,” disse Annabeth. “Per ora, è tutto quello che
possiamo fare. Una volta compresa questa situazione del dio incatenato, ci dirigeremo
verso l'isola di Delos.”
“La maledizione di Delos,” ricordò Hazel. “Sembra divertente.”
“Speriamo che Apollo sia lì,” disse Annabeth. “Delos era la sua isola natale. È il dio della
medicina. Dovrebbe essere in grado di consigliarci.”
Le parole di Afrodite tornarono in mente a Piper: ‘È necessario colmare il divario tra
romani e greci, figlia mia. Né tempesta né il fuoco possono avere successo senza di te.’
Afrodite l’aveva avvertita di quello che stava per accadere, le aveva detto quello che Piper
avrebbe dovuto fare per fermare Gea. Se ne avesse avuto il coraggio o meno ... Piper non lo
sapeva.
Nel mare circostante il porto, il serpente-di-mare al gusto ciliegia emise vapore.
“Sì, ci vuole sicuramente via di qui,” Percy deciso. “Forse dovremmo prendere il volo per
un po'.”
“Tutti a bordo!”, disse Leo. “Festus, fai gli onori!”
La polena di drago di bronzo scricchiolò. Il motore della nave ronzò. I remi si sollevarono,
espandendosi in lame aeree con un suono simile a novanta ombrelloni che si aprivano in
una volta sola, e l’Argo II salì in cielo.
“Dovremmo raggiungere Sparta di mattina,” annunciò Leo. “E ricordatevi di venire in
orario in sala mensa stasera, gentaglia, perché Chef Leo farà i suoi famosi tre-allarmanti
tofu tacos!”
XVIII
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r
PIPER NON VOLEVA farsi sgridare da un tavolino a tre gambe.
Quando Jason aveva visitato la sua cabina, quella sera, aveva fatto in modo di tenere la
porta aperta, perché Buford l’Incredibile Tavolino potesse eseguire i suoi doveri a
chaperone in modo serio. Se avesse avuto il minimo sospetto che una ragazza ed un
ragazzo fossero stati nella stessa cabina senza essere controllati, avrebbe emesso vapori e
rumori nel fondo del corridoio, proiettando Coach Hedge urlare, ‘FATELA FINITA!
DATEMI VENTI PUSH-UPS! METTETEVI I VESTITI!’
Jason sedette ai piedi del suo letto a castello. “Stavo quasi per venire a cercarvi. Volevo solo
controllare.”
Piper toccò la sua gamba con il piede. “Il ragazzo che è stato trafitto con una spada vuole
controllare me? Tu come ti senti?”
Lui le fece un sorriso storto. Il suo volto era visivamente abbronzato per il tempo passato
sulla costa africana che la cicatrice sul labbro sembrava un segno di gesso. I suoi occhi
azzurri erano ancora più sorprendenti. I suoi capelli erano diventati platinati, anche se
aveva ancora un solco lungo il cuoio capelluto, dove era stato sfiorato da un proiettile di
pietra scagliatogli dal bandito a Scirone. Se un graffio minore rispetto a quella causata da
un arma di bronzo celeste ci metteva così tanto a guarire, Piper si chiese come avrebbe mai
potuto superare la ferita da oro imperiale nel suo addome.
“Sono stato peggio.” La rassicurò Jason. “Una volta, in Oregon, quella dracaena mi aveva
tagliato le braccia”
Piper sbatté le palpebre. Poi lo schiaffeggiò delicatamente sul braccio. “Sta zitto.”
“Ci hai creduto per un secondo.”
Si tennero per mano in un confortevole silenzio.
Per un momento, Piper avrebbe quasi potuto immaginare che fossero dei normali
adolescenti, godendo della reciproca compagnia e che imparavano a stare assieme come
una coppia. Certo, lei e Jason avevano trascorso insieme un paio di mesi al Campo
Mezzosangue, ma la guerra contro Gea era sempre incombente. Piper si chiese come
sarebbe stato se non avessero dovuto preoccuparsi di morire almeno una dozzina di volte
al giorno.
“Non ti ho mai ringraziato.” L’espressione di Jason si fece seria. “Là ad Itaca, dopo aver
visto… il rimanente di mia madre… il suo mania… Quando sono stato ferito, mi hai
impedito di andarmene, Pipes. Una parte di me…” la sua voce vacillò. “Una parte di me
avrebbe voluto chiudere gli occhi e smettere di combattere.”
Il cuore di Piper fece una lenta torsione. Sentì un impulso tra le dita. “Jason… tu sei un
combattente. Non rinunceresti mai. Quando ti sei ritrovato davanti allo spirito di tua
madre – sei tu ad essere stato forte. Non io. ”
“Forse.” La sua voce era asciutta. “Non volevo appesantirti così, Pipes. È solo… ho il DNA
di mia madre. La parte umana di me è tutta parte sua. Che cosa succede se facessi le scelte
sbagliate? Che cosa succede se facessi un errore da cui non possa tornare indietro nel
momento in cui combattiamo Gea? Non voglio fare la fine di mia madre – ridotta ad un
mania, nutrendomi di rammarico per sempre.”
Piper strinse le mani attorno alle sue. Si sentiva come se fosse di nuovo sul ponte dell’Argo
II, a tenere la granata di ghiaccio poco prima che esplodesse.
“Farai le scelte giuste,” disse lei. “Non so cosa succederà a noi tutti, ma so che non potresti
mai finire come tua madre.”
“come puoi esserne sicura?”
Piper studiò il tatuaggio sul suo avambraccio – SPQR, l’aquila di Giove, le dodici linee per i
suoi anni nella legione. “Mio padre mi ha raccontato di questa storia delle scelte…” Lei
scosse la testa. “No, non importa. Mi sento come Nonno Tom.”
“Vai Avanti,” disse Jason. “Che storia?”
“Beh… c’erano due cacciatori Cherokee a girare nei boschi, giusto? Ognuno di loro era sotto
un tabù.
“Un Tabù – qualcosa che non gli era permesso fare.”
“Già-” Piper cominciò a rilassarsi. Si chiese se era per quello che a suo papà e suo nonno
era sempre piaciuto raccontare storie. Potevi anche narrare l’argomento più terrificante nel
modo più semplice facendola passare come qualcosa che era successa ad una coppia di
cacciatori Cherokee di un sacco di anni fa. Prendere il problema; trasformarlo in qualcosa
di divertente.
Forse era per quello che suo padre era diventato un attore.
“Così, a uno dei cacciatori,” continuò, “non era permesso mangiare carne di cervo. E
all’altro non era permessa quella di scoiattolo.”
“Perché?”
“Ehy, che ne so. Alcuni tabù Cherokee sono irremovibili – come quello di non uccidere le
aquile.”
Batté sul simbolo sul braccio di Jason. “Quella era sfortuna per tutti. Ma qualche volta,
qualche Cherokee individuale può avere un tabù momentaneo – forse per ripulire il
proprio spirito, o perché sapevano, ascoltando il mondo degli spiriti o cose del genere, che
il tabù era importante. Andavano per istinto.”
“Okay.” Jason non suonò molto convinto. “Quindi, torniamo a questi due cacciatori.”
“Erano a cacciare nella foresta da tutto il giorno. L’unica cosa che erano riusciti a cacciare
erano degli scoiattoli. Quando tornarono al campo la sera, e il tizio che poteva mangiare la
carne di scoiattolo iniziò a cucinarla sul fuoco.”
“Yum.”
“Altra ragione per cui sono vegetariana. Comunque sia, il secondo cacciatore, a cui era
proibita la carne di scoiattolo – stava morendo di fame. Se ne stava seduto a stringersi lo
stomaco mentre il suo amico mangiava. Finalmente il primo cacciatore iniziò a sentirsi in
colpa. ‘Ah, vieni qui’ disse. ‘mangia qualcosa.’ Ma il secondo cacciatore resistette. ‘è un
tabù per me. Finirei in guai seri. Potrei incappare in un serpente o cose simili.’ Il primo
cacciatore rise. ‘Come ti è venuta questa stramba idea? Non ti succederà niente. Puoi
mangiare la carne dello scoiattolo domani.’ Il secondo cacciatore sapeva di non potere,
ma la mangiò.”
Jason passò le dita lungo le sue nocche, il che le rese difficile concentrarsi.
“Che cosa successe?”
“Nel cuore della notte, il secondo cacciatore si svegliò sofferente. Il primo cacciatore corse
per vedere cosa gli fosse successo. Gettò via le coperte dall’amico, e vide che le sue gambe
erano fuse insieme in una coda coriacea. Mentre guardava, la pelle si stava trasformando il
pelle di serpente. Il povero cacciatore pianse e si scusò con gli spiriti e gridò di paura, ma
non c’era niente da fare. Il primo cacciatore rimase al suo fianco e cercò di consolarlo fino a
quando lo sfortunato ragazzo non si trasformò completamente in un gigante serpente e
non scivolò via. Fine.”
“Adoro queste storie Cherokee,” disse Jason. “Sono talmente allegre.”
“Si, beh,”
“Quindi il ragazzo si trasformò in un serpente. La morale è: ‘Frank ha mangiato
scoiattoli?’ ”
Lei rise, il che la fece sentire bene. “No, stupido. Il punto è, segui il tuo istinto. La carne di
scoiattolo potrebbe andare più che bene per una persona, ma può essere tabù per un'altra.
Il secondo cacciatore sapeva che c’era uno spirito di un serpente dentro di sé, in attesa di
prenderlo. Sapeva che non avrebbe dovuto mangiare carne di scoiattolo, ma lo ha fatto
comunque.”
“Quindi…io non dovrei mangiare carne di scoiattolo.”
Piper era sollevata nel vedere il luccichio nei suoi occhi. Pensò a qualcosa che Hazel le
aveva confidato qualche sera prima: ‘Credo che Jason sia la chiave di volta per tutti i piani
di Era. È stato il suo primo giocattolo; e sarà anche l’ultimo.’
“Quello che intendo,” disse Piper, colpendogli il petto. “è che tu, Jason Grace, sei molto
vicino ai tuoi spiriti cattivi, e fai del tuo meglio per impedirgli di mangiarti Hai un solido
istinto, e sai come seguirlo. Qualunque qualità fastidiosa tu avvia, sei davvero una brava
persona che cerca di fare sempre la cosa giusta. Quindi non parlarmi più di rinunce.”
Jason aggrottò la fronte. “Aspetta. Ha delle qualità fastidiose?”
Lei roteò gli occhi. “Vieni qui.”
Stava per baciarlo quando qualcuno bussò alla porta.
Leo si sporse dentro. “Una festa? Sono invitato?”
Jason si schiarì la gola. “Ehy, Leo. Che succede.”
“Oh, non molto.” Indicò verso il piano superiore. “I soliti odiosi venti cerano di distruggere
la nave. Sei pronto per il tuo turno di guardia?”
“Si.” Jason si sporse in avanti per baciare Piper. “Grazie. E non preoccuparti. Sto bene.”
“Anche questo,” gli disse lei, “era quello che intendevo.”
Dopo che i ragazzi se ne furono andati, Piper si sistemò sui suoi cuscini di pegaso e guardò
la costellazione che la sua lampada proiettava nella cabina.
Non pensava di poter addormentarsi, ma dopo un intero giorno di combattimento contro
mostri nel caldo estivo diede i suoi frutti. Alla fine chiuse gli occhi e scivolò in un incubo.
L’Acropoli.
Piper non ci era mai stata, ma l’aveva riconosciuta dalle foto – un’antica roccaforte su una
collina quasi impressionante come la Gibilterra. A quattrocento metri sopra la zona
notturna della moderna Atene, le scogliere a picco erano riempite come una corona di
pareti calcaree. Sulla costa rocciosa, una collezione di templi in rovina e moderne gru
brillavano argentee al chiaro di luna. Nel suo sogno, Piper volava sopra il Partenone –
l’antico tempio di Atena, il lato sinistro del suo guscio vuoto racchiuso in ponteggi
metallici.
L’Acropoli sembrava priva di mortali, forse a causa dei problemi finanziari della Grecia. O
forse le forze di Gea aveva ideato un pretesto per mantenere i turisti e i lavoratori edili a
distanza.
La visuale di Piper zoomò al centro del tempio. C’erano moltissimi giganti radunati lì che
sembrava esserci un ‘aperitivo’ per alberi di sequoia. Piper ne riconobbe alcuni: quegli
orribili gemelli da Roma, Otis e Efialte, vestiti correlati con abiti da operai edili; Polibote,
da come Percy lo aveva descritto, con il veleno gocciolante dai suoi capelli e il pettorale
scolpito che assomigliavano a bocche affamate; il peggiore di tutto, Encelado, il gigante che
aveva rapito il padre di Piper. La sua armatura era stata incisa con disegni di fiamme, i
capelli intrecciati con delle ossa. Il pennaggio della sua lancia bruciava di fuoco viola.
Piper aveva sentito dire che ogni gigante fosse nato per contrastare un particolare dio, ma
c’erano molti più di dodici giganti raccolti nel Partenone. Ne contò almeno una ventina, e
se non fossero stati abbastanza intimidatori, intorno ai piedi dei giganti c’era un’orda di
piccoli mostri – Ciclopi, orchi, dracaenae...
Al centro della folla c’era un trono vuoto improvvisato con ponteggi e blocchi di pietra
apparentemente strappati a caso dalle rovine.
Sotto gli occhi di Piper, un nuovo gigante salì pesantemente le scale in fondo all’Acropoli.
Indossava una massiccia tuta di velluto con catene d’oro al collo e capelli unti, così da farlo
sembrare un gangster di quindici metri – se questi avessero avuto piedi di drago e pelle
bruciacchiata. Il gigante mafioso corse verso il Partenone e vi inciampò dentro,
appiattendo diversi mostri sotto i suoi piedi. Si fermò, ansimando, ai piedi del trono.
“Dov’è Prophyrion?” Chiese. “Ho notizie!”
Il vecchio nemico di Piper si fece avanti.
“In ritardo come al solito, Ippolito. Mi auguro che per la tua notizia valga la pena aspettare.
Re Porphyrion dovrebbe essere…”
“Re Porphyrion è qui,” annunciò il re.
Sembrava proprio come Piper lo ricordava dalla Casa del Lupo a Sonoma. Alto una ventina
di metri, sovrastando i suoi fratelli. In realtà, Piper si rese conto che era quasi delle stesse
dimensioni dell’Athena Parthenos che un tempo aveva dominato il tempio. Nelle sue trecce
brillavano armi dei semidei che aveva catturato. Il suo volto era verde e crudelmente
pallido, gli occhi bianchi come nebbia. Il suo corpo emanava una propria sorta di gravità,
facendo piegare gli altri mostri verso di lui. Il suolo e i ciottoli schizzavano via dal terreno,
attirati dai suoi enormi piedi di drago.
Il gigante Ippolito si inginocchiò.
“Mio re, porto una parole del nemico!”
Porphyrion prese il suo trono. “Parla.”
“La nave dei semidei sta percorrendo il Peloponneso. Hanno già distrutto i fantasmi ad
Itaca e catturato la dea Nike ad Olympia!”
La folla di mostri si mosse in un disagio collettivo. Un Ciclope si stava masticando le
unghie. Le dracaenae si scambiarono le monete come se stessero prendendo delle
scommesse per l’ufficio della lotteria-di-fine-Mondo.
Porphyrion rise. “Ippolito, desideri uccidere il tuo nemico Ermes e diventare messaggero
dei giganti?”
“Si, mio re!”
“Allora dovrai darmi notizie più fresche. Sapevo già tutto. Niente di tutto ciò è importante!
I semidei hanno preso la strada che ci aspettavamo avrebbero preso. Sarebbero stati
sciocchi a percorrerne un’altra.”
“Ma, sire, arriveranno a Sparta entro il mattino! Se riuscissero a scatenare la makhai –”
“Idiota!” la voce di Porphyrion scosse le rovine. “C’è nostro fratello Mimas ad attenderli a
Sparta. Non devi preoccuparti. I semidei non possono cambiare il loro fato. In un modo o
nell’altro, il loro sangue dev’essere versato sulle rovine di queste pietre per svegliare la
Madre Terra!”
La folla urlò con approvazione brandendo le proprie armi. Ippolito si inchinò e si ritirò, ma
un altro gigante si avvicinò al trono.
Con un sussulto, Piper realizzò che era una femmina.
Non era facile dirlo. La gigantessa aveva le stesse gambe drago – simili e gli gli stessi
capelli lunghi intrecciati. Era altrettanto alta e corpulenta, come i maschi, ma la sua
corazza era decisamente modellata per una donna. La sua voce era più alta e radiante.
“Padre!” piagnucolò. “Ve lo chiedo ancora: Perché qui, in questo posto? Perché non sulle
pendici del Monte Olimpo? Sicuramente –”
“Periboia,” ringhiò il re, “La questione è questa. Il Monte Olimpo originale è ora un picco
sterile. Non ci offre alcuna gloria. Qui, nel centro del mondo greco, le radici degli dei sono
veramente profonde. Ci possono essere i templi più grandi, ma questo Partenone detiene le
loro migliori memorie. Nella mente dei mortali, è il simbolo più potente degli dei
dell’Olimpo. Quando il sangue degli ultimi eroi verrà versato qui, l’Acropoli verrà rasa al
suolo. Questa collina si sbriciolerà, e tutta la città verrà consumata dalla Madre terra.
Saremo i padroni della Creazione!”
La folla urlò ed esultò, ma la gigantessa Periboia non sembrava convinta.
“Tu sfidi il destino padre.” Disse. “I semidei hanno amici qui così come nemici. Non è
saggio –”
“SAGGIO?” Porphyrion si alzò dal suo trono. Tutti i giganti fecero un passo indietro.
“Encelado, mio consigliere. Spiega a mia figlia che cosa sia la saggezza!”
Il gigante di fuoco si fece avanti. I suoi occhi brillavano come diamanti. Piper detestava il
suo volto. Lo aveva visto troppe volte nei suoi sogni, quando suo padre era stato catturato.
“Non dovete preoccuparvi, principessa,” disse Encelado. “Abbiamo preso Delphi. Apollo è
stato cacciato dall’Olimpo con vergogna. Il futuro è ignoto agli dei. Inciampano avanti alla
cieca. Quanto allo sfidare la sorte…” fece un cenno sulla sinistra, e un piccolo gigante si
fece Avanti.
Aveva i capelli grigi e logori, un volto e occhi rugosi che sembravano essere stati fatti con
una cataratta. Al posto dell’armatura, indossava una tunica stracciata. Le sue gambe di
drago erano bianche come il gelo. Non sembrava minaccioso, ma Piper notò che gli altri
mostri lo mantenevano a distanza.
Anche Porphyrion si sporse indietro dal vecchio gigante.
“Questo è Thoon,” disse Encelado. “Proprio come molti di noi, è nato per uccidere alcuni
dei, Thoon è nato per uccidere le Tre Parche. Strangolerà le vecchie signore a mani nude.
Distruggerà il loro filo e il loro telaio. Distruggerà le Parche stesse!”
Re Porphyrion si alzò e allargò le braccia in segno di trionfo. “Niente più profezie, amici
miei! Niente più future predetto! Il tempo di Gea sarà la nostra epoca, e faremo nostro il
destino!”
La folla applaudì così forte che Piper si sentì come se stesse crollando a pezzi.
Poi si rese conto che qualcuno la stava scuotendo per svegliarla.
“Ehy,” disse Annabeth. “Siamo a Sparta. Ti prepari?”
Piper si mise a sedere stordita, il suo cuore che ancora batteva.
“Si…” afferrò il braccio di Annabeth. “Ma prima c’è qualcosa che devi sentire.”
XIX
P
i
p
e
r
QUANDO RACCONTO’ il suo sogno a Percy, i servizi igienici della nave esplosero.
“In nessun modo voi due scenderete laggiù da sole,” disse Percy.
Leo urlò lungo il corridoio agitando la chiave inglese.
“Amico, mi hai mica distrutto l’impianto idraulico?”
Percy lo ignorò. L’acqua corrse lungo la passerella. Lo scafo brontolò mentre altri tubi
scoppiavano e i lavandini traboccavano. Piper immaginò che Percy non avesse intenzione
di causare tanti danni, ma la sua espressione torva le faceva venire voglia di lasciare la nave
il più velocemente possibile.
“Staremo bene,” gli disse Annabeth. “Piper ha previsto che saremo noi due ad andare
laggiù, ed è questo che succederà.”
Percy fissò Piper come se fosse tutta colpa sua. “E questo tizio, Mimas? Penso sia un
gigante?”
“Probabilmente,” disse lei. “Porphyrion l’ha chiamato ‘nostro fratello’. ”
“E la statua di bronzo circondata dal fuoco,” disse Percy. “E quelle… alche cose che hai
menzionato. Mackies?”
“Makhai,” disse Piper. “Penso che sia un modo per dire battaglia in greco, ma non so come
si applichi, esattamente.”
“È quello che intendo!” disse Percy. “Non sappiamo cosa ci sia laggiù. Vengo con voi.”
“No.” Annabeth gli portò una mano sul braccio. “Se i giganti vogliono il nostro sangue,
l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che un ragazzo e una ragazza scendano lì assieme.
Ricordi? Lo vogliono per il loro grande sacrificio.”
“Allora vado con Jason,” disse Percy. “E noi due–”
“Testa d’alghe, così vuoi dire che due ragazzi sarebbero in grado di gestire meglio la
situazione che due ragazze?”
“No. Voglio dire… no. Ma–”
Annabeth lo baciò. “Torneremo prima che te ne accorga.”
Piper la seguì al piano superiore prima che l’intero ponte inferiore si potesse inondare di
acqua dei bagni.
Un’ora più tardi, le due erano su una collina che dominava le rovine dell’antica Sparta.
Avevano già esplorato la città moderna, che, stranamente, a Piper ricordò di Albuquerque
– un groppo di bassi e squadrati edifici bianchi seminati su una pianura ai piedi di alcune
montagne violacee. Annabeth aveva insistito sul controllare il museo archeologico, poi la
gigante statua del guerriero spartano nella piazza pubblica, poi il Museo Nazionale delle
Olive e dell’Olio di Oliva (si, c’era davvero). Piper aveva imparato cose sull’olio d’oliva che
non avrebbe avuto mai voglia di sapere, ma i giganti non le avevano attaccate. Non
trovarono alcuna statua di divinità incatenate.
Non c’era molto da vedere. Secondo Annabeth, sulla collina si trovava un tempo l’acropoli
di Sparta – il punto più alto e la fortezza principale – ma non c’era niente che ricordasse
quella ateniese che Piper aveva visto nei suoi sogni.
La pendenza era coperta da erba secca, rocce e alberi rachitici di ulivo.
Di seguito, le rovine si estendevano per quasi un quarto di miglio: blocchi calcarei, alcuni
muri rotti e alcuni blocchi tegolati nel terreno che facevano da pozzi.
Piper pensò al più famoso film di suo padre, King of Sparta, e di come gli Spartani fossero
ritratti come superuomini invincibili.
Trovò triste che la loro eredità fosse ridotta ad un campo di macerie ed una piccola città
moderna con un museo sull’olio d’oliva.
Si asciugò il sudore dalla fronte. “Pensi che se ci fosse un gigante di quindici metri nei
dintorni lo vedremmo?”
Annabeth fissò la forma lontana dell’Argo II galleggiare sopra il centro di Sparta.
Toccò il ciondolo di corallo rosso della sua collana – un dono che Percy le aveva dato
quando avevano iniziato a frequentarsi.
“Stai pensando a Percy,” indovinò Piper.
Annabeth annuì.
Da quando era tornata dal Tartaro, Annabeth aveva detto a Piper un sacco di cose
spaventose che erano accadute laggiù. In cima alla sua lista: Percy aveva controllato una
marea di veleno e soffocato la dea Akhlys.
“È normale.” Disse Piper. “Sorrise molto più spesso. Lo sai che si preoccupa per te più che
mai.”
Annabeth si sedette, il volto improvvisamente impallidito. “Non so perché mi ferisca così
duramente tutto d’un tratto. Non riesco a tenere quel ricordo lontano dalla mente… di
come sembrava Percy quando era sul bordo del Caos.”
Forse Piper faceva sentite Annabeth solamente più a disagio, ma cominciò a sentirsi a
disagio pure lei.
Pensò a quello che le aveva detto Jason la sera prima: ‘Una parte di me avrebbe voluto
chiudere gli occhi e smettere di combattere.’
Aveva cercato di fare del suo meglio per rassicurarlo, ma era preoccupata. Come quel
cacciatore Cherokee era tramutato in un serpente, tutti i semidei avevano una parte di
spiriti maligni al loro interno. Difetti fatali. Alcune crisi li portavano facevano sbagliare.
Alcune linee non dovevano venire attraversate.
Se questo era vero per Jason, come non potrebbe essere stato vero per Percy? Il ragazzo era
sopravissuto letteralmente all’inferno e ritorno. Anche quando non stava cercando di farlo,
finiva per far esplodere servizi igienici. Cosa sarebbe successo se Percy avesse voluto
agire.
“Dagli tempo.” Si sedette vicino ad Annabeth. “Quel ragazzo è pazzo di te. Ne avete passate
tante insieme.”
“Lo so…” gli occhi grigi di Annabeth riflettevano il verde degli ulivi. . “È solo… Bob il
Titano, mi ha avvertita che non ci sarebbero più stati sacrifici in avanti. Voglio credere che
possiamo vivere una vita normale, un giorno… Ma mi sono permessa questa speranza
l’estate scorsa, dopo la guerra contro i Titani. Poi Percy è sparito per mesi. Poi siamo caduti
in quel baratro…” Una lacrima tracciò la sua strada lungo la sua guancia. “Piper, se avessi
visto il volto del dio Tartaro, tutto il buio vorticoso, che divorava i mostri e li vaporizzava –
mi sono sentita così impotente. Ho provato a non pensarci…”
Piper prese le mani della sua amica. Stavano tremando. Ricordò il suo primo giorno al
Campo Mezzosangue, quando Annabeth le aveva fatto fare un tour. Annabeth era scossa
dalla scomparsa di Percy e, anche se Piper era piuttosto disorientata e spaventata, si sentì
confortata quando Annabeth l’aveva fatta sentire utile, come se lei avesse potuto
effettivamente avere un posto tra quegli increbilmente potenti semidei.
Annabeth Chase era la persona più coraggiosa che conoscesse. Se anche lei avesse avuto
bisogno di una spalla su cui piangere di tanto in tanto… beh, Piper era lieta di poterle
offrire la sua.
“Hey,” disse gentilmente. “Non provare a trattenere i tuoi sentimenti. Non ne saresti in
grado. Lasciali uscire e scaricati. Sei spaventata.”
“Dei, si, sono spaventata.”
“Sei arrabbiata.”
“Con Percy per contrastarmi,” disse. “Con mia madre per avermi inviata in quell’orribile
missione a Roma. Con… beh, praticamente con tutti. Gea. I Giganti. Gli dei per essere dei
cretini.”
“Con me?” Chiese Piper.
Annabeth fece una risata tremante. “Si, per essere così fastidiosamente calma.”
“È tutta una bugia.”
“E per essere una buona amica.”
“Ha!”
“E per avere le idee chiare sui ragazzi e le relazioni e–”
“Scusami. Ma mi hai vista?”
Annabeth le diede un pugnetto sul braccio, ma senza forza. “Sono una stupida, sedermi a
parlare dei miei sentimenti quando abbiamo una missione da compiere.”
“Il battito del dio incatenato può aspettare.”
Piper provò a fare un sorriso, ma la paura sgorgò dentro di lei – per Jason e i suoi amici
sull’Argo II, per sé stessa, se non fosse stata in grado di fare ciò che Afrodite le aveva
consigliato.
‘Alla fine, avrai solo il potere per una parola. Dev’essere la parola giusta, o perderai tutto.’
“Qualunque cosa accada,” disse ad Annabeth, “Io sono tua amica. Solo… ricordatelo,
okay?”
‘Specialmente se non in giro per ricordartelo ’, pensò Piper.
Annabeth fece per dire qualcosa. All’improvviso un suono ruggente venne dalle rovine.
Una delle cave rivestite di pietra, che Piper aveva scambiato per pozzi, eruttò geyser di
fiamme alte tre metri e si spense altrettanto rapidamente.
“Che cavolo…?” chiese Piper.
Annabeth sospirò. “Non lo so, ma ho la sensazione che sia qualcosa che dovremmo
controllare.”
Tre pozzi erano sistemati fianco a fianco come buchi su un registratore. Ognuno era
perfettamente rotondo, di mezzo metro di diametro, piastrelle calcaree lungo il bordo;
ognuno immerso dritto nel buio. Ogni pochi secondi, apparentemente a caso, uno dei tre
pozzi sparava una colonna di fuoco nel cielo. Ogni volta, il colore e l’intensità delle fiamme
erano diversi.
“Non lo avevano fatto prima.” Annabeth percorse un ampio cerchio intorno ai fori. Li
guardò tremante e pallida, ma la sua mente era evidentemente impegnata ad analizzare il
problema in questione. “Non sembra esserci uno schema. Il tempo, il colore, l’altezza del
fuoco… non capisco.”
“Li abbiamo attivati noi in qualche modo?” chiese Piper. “Forse l’ondata di paura che hai
sentito sulla collina… Uh, intendo, che tutte e due abbiamo sentito.”
Annabeth sembrava non averla sentita. “Ci dev’essere un qualche tipo di meccanismo…
una piastra di pressione, un allarme di movimento.”
Le fiamme vennero sparate dalla fossa centrale. Annabeth contò in silenzio. La volta dopo,
un geyser eruttò sulla sinistra. Lei aggrottò la fronte. “Non ha senso. È incoerente. Deve
seguire una sorta di logica.”
Le orecchie di Piper iniziarono a fischiare. Qualcosa su quei fossi… Ogni volta che uno di
loro prendeva fuoco, un brivido orribile la attraversava – la paura, il panico, ma anche un
forte desiderio di avvicinarsi alle fiamme.
“Non è razionale,” disse. “È emozionante.”
“Come fa del fuoco ad essere emozionale?”
Piper sporse la mano sulla buca destra. Immediatamente, le fiamme balzarono su. Piper
ebbe appena il tempo di ritirare le dita. Le unghie fumavano.
“Piper!” Le urlò Annabeth. “A che stavi pensando?”
“Non pensavo. Sentivo. Quello che vogliamo è laggiù. Questi pozzi è lì che arrivano. Dovrò
saltare.”
“Sei impazzita? Anche se non rimarrai bloccata nel tubo, non hai idea di quanto sia
profondo.”
“Hai ragione.”
“Verrai arsa viva!”
“Forse.” Piper slacciò la spada e la gettò nella buca di destra. “Ti faro sapere se è sicuro.
Attendi la mia chiamata.”
“Non ti azzardare,” la avvertì Annabeth.
Piper saltò.
Per un momento rimase sospesa nel buio, ai lati della fossa di pietra calda che le bruciava
le braccia. Poi ritrovò uno spazio aperto tutt’intono a lei. Istintivamente si nascose e rotolò,
attutendo la maggior parte dell’impatto quando si ritrovò a colpire il terreno di roccia.
Le fiamme divamparono di fronte a lei, bruciandole le sopracciglia, ma Piper estrasse la
sua spada, sguainandola e agitandola prima smettere di rotolare. Una testa di drago di
bronzo, ordinatamente decapitato, vacillò suo pavimento.
Piper si alzò, cercando di orientarsi. Guardò la testa di drago e per un momento si sentì in
colpa, come se avesse ucciso Festus.
Ma quello non era Festus.
Tre statue di drago di bronzo erano disposte in fila, allineate con i buchi nel soffitto. Piper
aveva decapitato quella centrale, i due draghi intatti erano alti almeno due metri, il muso
puntato verso l’alto e le loro bocche fumanti erano aperte. Erano chiaramente la fonte delle
fiamme, ma non sembravano essere degli automi.
Non si muovevano o cercavano di attaccarla. Piper fece tranquillamente a fette le teste
degli altri due.
Attese. Niente più fiamme sparate verso l’alto.
“Piper?” La voce di Annabeth echeggiò da lontano sopra di lei, come se stesse urlando giù
da un camino.
“Si!” urlò Piper.
“Grazie agli dei! Stai bene?”
“Si. Dammi un secondo.”
La sua vista di abituò al buio. Scrutò la camera. L’unica luce proveniva dalla sua lama
incandescente e le aperture soprastanti. Il soffitto era alto circa una quindicina di metri.
Probabilmente, Piper si sarebbe potuta rompere ambedue le gambe in quella caduta, ma
non aveva intenzione di lamentarsi.
La camera era circolare, delle dimensioni di un elicottero. Le pareti erano fatte di grezzi
blocchi di pietra cesellati con iscrizioni greche – erano a migliaia, come graffiti.
In fondo alla stanza, su una pedana di pietra, si trovava una statua di bronzo di dimensioni
umane di un guerriero – il dio Ares, indovinò Piper – con catene di bronzo pesantemente
avvolte attorno al suo corpo, ancorandolo al pavimento.
Su entrambi i lati della statua vi erano due porte scure, alte due metri, con una facciata di
pietra raccapricciantemente scolpita su ogni arco.
I volti ricordarono a Piper le gorgoni, tranne per il fatto che avevano delle criniere leonine
invece che serpenti per capelli.
Piper si sentì improvvisamente molto sola.
“Annabeth!” chiamò. “È lunga la discesa, ma è sicuro venire giù. Forse… uh, se hai una
corda la potresti fissare in modo da poter tornare di sopra?”
“Certo!”
Pochi minuti dopo una corda scese dal pozzo centrale. Annabeth si calò giù.
“Piper McLean,” borbottò, “È stato senza dubbio il rischio peggiore che abbia mai visto
correre da qualcuno, e ne ho incontrata di gente imprudente. ”
“Grazie.” Piper diede un calcio al drago senza testa più vicino. “ Immagino siano I draghi
di Ares. Sono i suoi animali sacri, giusto?”
“E da qualche parte c’è pure il dio incatenato in carne ed ossa. Dove pensi che porti quel
pertugio –?”
Piper la prese per mano. “ Hai sentito.”
Il suono ricordava le percussioni di una batteria… con un eco metallico.
“Viene dall’interno della statua,” Constatò Piper. “ Il battito del cuore del dio incatenato.”
Annabeth sfoderò la sua spada drakon-bone. Nella fiocca luce, il suo viso appariva pallido e
spettrale ed i suoi occhi privi di colore. “ Non – non mi piace come si sta mettendo, Piper.
Dobbiamo andarcene.”
La parte razionale di Piper concordava. Le venne la pelle d’oca. Le sue gambe fremevano
per correre, ma qualcosa in quella stanza era stranamente famigliare…
“Il santuario diffonde le nostre emozioni,” disse. “È come quando mi trovo vicina a mia
madre, a parte il fatto che questo posto emana paura, non amore. Ecco perché ci sentivamo
sopraffatte su quella collina. Quaggiù è mille volte più forte.”
Annabeth osservò le pareti. “Okay…dobbiamo escogitare un piano per portare fuori la
statua. Potremmo trascinarla con una corda, però–”
“Aspetta” Piper studiò i grugni di pietra sopra le porte. “Un tabernacolo che incute timore.
Ares aveva due figli divini, no?”
“Ph–phobos e Deimos.” Annabeth rabbrividì. “Panico e Paura. Una volta Percy li ha
incontrati a Staten Island.”
Piper pensò che fosse meglio non chiedere altro sul motivo per cui i divini gemelli del
panico e della paura si trovassero a Staten Island. “Penso che quelli sulle porte siano i loro
volti. Questo posto non è dedicato ad Ares. È il tempio della paura.”
Una profonda risata attraversò la camera.
Alla destra di Piper, apparve un gigante. Non passò dalla porta. Semplicemente emerse
dalle tenebre come se fosse stato nascosto tutto il tempo dentro il muro.
Era piccolo per essere un gigante – era alto circa due metri, il ché gli lasciava abbastanza
spazio per roteare la sua mazza tra le mani. La sua armatura, la sua pelle ed il suo drago –
erano tutti color carbone.
Fili di rame e circuiti fracassati scintillavano tra i suoi unticci capelli neri intrecciati.
“Bene, figlia di Afrodite.” Il gigante sorrise. “ Questo è davvero il tempio della paura. Ed io
sono qui per far di voi delle credenti.”
XX
P
i
p
e
r
PIPER CONOSCEVA LA PAURA, MA QUESTO ERA DIVERSO.
Ondate di terrore si schiantarono su di lei. Le sue articolazioni si trasformarono in
gelatina. I suoi ricordi peggiori affollarono la sua mente – suo padre legato e percosso sul
Monte Diablo; Percy e Jason a combattere fino alla morte nel Kansas; loro tre che stavano
per annegare nel Ninfeo di Roma; lei stessa che si ritrovava da sola contro Khione e i
Boreadi. Peggiore di tutto, rivisse la sua conversazione con la madre su quello che sarebbe
avvenuto.
Paralizzata, osservò mentre il gigante sollevava la mazza per distruggere il pavimento sotto
di loro. All’ultimo momento, lei saltò di lato, portando Annabeth con sé.
Il martello incrinò il pavimento, disseminando la schiena di Piper con schegge di pietra.
Il gigante ridacchiò. “Oh, così non è giusto!” Sollevò di nuovo la mazza.
“Annabeth, alzati!” Piper l’aiutò a rimettersi in piedi. Lei la spinse verso il fondo della
stanza, ma Annabeth si muoveva lentamente, gli occhi spalancati e sfocati.
Piper capì il perché. Il tempio amplificava le loro paure personali. Piper aveva visto alcune
cose orribili, ma non era niente in confronto a quello che Annabeth aveva passato.
Se stesse rivivendo un flashback del Tartaro, assieme a tutti i suoi brutti ricordi, la sua
mente non era in grado di reggere. Sarebbe potuta letteralmente impazzire.
“Sono qui,” promise Piper, riempiendo la sua voce con rassicurazione. “Usciremo da tutto
questo.”
Il gigante rise. “Una figlia di Afrodite che sostiene quella di Atena! Ora ho visto proprio
tutto. Come potresti sconfiggermi, ragazza? Con il make up e la moda?”
Pochi mesi prima avrebbe trovato quel commento irritabile, ma Piper era passata oltre. Il
gigante si diresse verso di loro. Per fortuna, era lento e portava un martello pesante.
“Annabeth, fidati di me,” disse Piper.
“U-un piano,” balbettò lei. “Io vado a sinistra. Tu a destra. Se noi –”
“Annabeth, niente piani.”
“C-cosa?”
“Niente piani. Seguimi e basta!”
Il gigante vorticò il suo martello, ma loro lo schivarono facilmente. Piper balzò in avanti
colpendolo con la spada dietro al ginocchio. Mentre il gigante urlava di indignazione, Piper
tirò Annabeth verso il tunnel più vicino. Immediatamente vennero inghiottite dal buio più
totale.
“Sciocche!” ruggì il gigante da qualche parte dietro di loro. “Quella è la direzione
sbagliata!”
“Continuiamo a muoverci.” Piper tenne stretta la mano di Annabeth. “Va tutto bene. Dai.”
Non riusciva a vedere nulla. Anche il bagliore della sua spade era spento. Avanzava a
tentoni comunque, confidando nei suoi sensi. Dall’eco dei loro passi, lo spazio intorno a
loro doveva essere una vasta caverna, ma non ne poteva essere sicura. Andava
semplicemente nella direzione in cui sentiva che la paura fosse più acuta.
“Piper, è come la Casa della Notte,” disse Annabeth. “Dobbiamo chiudere gli occhi.”
“No!” rispose Piper. “Tienili aperti. Non possiamo nasconderci.”
La voce del gigante arrivò da qualche parte davanti a loro. “Perse per sempre. Inghiottite
dal buio.”
Annabeth si bloccò, costringendo anche Piper a fermarsi.
“Perché ci stiamo addentrando?” domandò Annabeth. “Ci siamo perse. Abbiamo fatto
quello che voleva! Avremmo dovuto aspettare un momento propizio, parlare con il nemico,
trovare un piano. Ha sempre funzionato!”
“Annabeth, non ho mai ignorato un tuo consiglio.” Piper tenne un tono di voce
rassicurante. “Ma questo volta devo farlo. Non possiamo sconfiggere questo posto con la
ragione. Non puoi pensare ad una via di uscita con le tue emozioni.”
La risata del gigante echeggiò profonda come una carica di un detonatore. “Disperati,
Annabeth Chase. Io sono Mimas, nato per uccidere Efesto. Io sono il distruttore dei piani,
il distruttore delle macchine ben oleate. Niente può andare per il verso giusto in mia
presenza. Le mappe vengono fraintese. I dispositivi si rompono. I dati vengono persi. Le
menti migliori si riducono a poltiglia!”
“Ho – ho affrontato cose peggiori di te!” gridò Annabeth.
“Oh, capisco!” il gigante sembrava molto più vicino ora. “Non hai paura?”
“Giammai!”
“Certo che siamo spaventate,” corresse Piper. “Terrificate!”
L’aria si spostò. Appena in tempo, Piper spinse Annabeth di lato.
CRASH!
Improvvisamente erano di nuovo nella stanza circolare, la luce fioca era quasi accecante
ora.
Il gigante era vicino, cercava di tirare su il suo martello dal pavimento dove si era
incastrato. Piper si lanciò e guidò la sua lama nella coscia del gigante.
“AROOO!” Mimas lasciò andare il martello e inarcò la schiena.
Piper e Annabeth si lanciarono dietro la statua di Ares incatenato, che ancora pulsava con
un battito cardiaco metallico: thump, thump,thump.
Il gigante Mimas si voltò verso di loro. La ferita alla gamba si stava già chiudendo.
“Non puoi sconfiggermi,” ringhiò. “Nell’ultima guerra, ci sono voluti due dei per piegarmi.
Sono nato per uccidere Efesto, e lo avrei fatto se Are non fosse intervenuto contro di me!
Dovreste essere paralizzate dalla paura. La vostra morte sarà molto più veloce.”
Giorni prima, quando aveva affrontato Khione sull’Argo II, Piper aveva iniziato a parlare
senza riflettere, seguendo il suo cuore, non importava cosa le dicesse il cervello. Ora
avrebbe fatto la stessa cosa.
Si spostò davanti alla statua, di fronte al gigante; anche le la sua parte razionale urlò
‘CORRI, IDIOTA!’
“Questo tempio,” disse. “Gli spartani non hanno incatenato Ares perché volevano che il suo
spirito rimanesse nella loro città.”
“Tu non credi?” Gli occhi del gigante brillarono divertiti. Avvolse le mani intorno alla sua
mazza e la tirò via dal pavimento.
“Questo è il tempio dei miei fratelli, Deimos e Phobos.” La voce di Piper era scossa, ma
cercò di nasconderlo. “Gli spartani venivano qui per prepararsi alla guerra, per affrontare
le loro paure. Ares era incatenato per ricordargli che la guerra ha delle conseguenze. Il suo
potere – gli spiriti della battaglia, i makhai – non dovevano mai essere liberati se non si
capiva quanto terribili fossero, a meno che non avessi sentito paura.”
Mimas rise. “Una figlia della dea dell’amore che mi da lezioni sulla guerra. Cosa sai dei
makhai?”
“Vedremo.” Piper corse dritto verso il gigante, sbilanciando la sua posizione. Alla vista
della sua lama frastagliata venire verso di lui, i suoi occhi si spalancarono e inciampo
all’indietro, schioccando la testa contro il muro. Una crepa frastagliata serpeggiò verso
l’alto tra le pietre. La polvere venne giù dal soffitto.
“Piper, questo posto è instabile!” la avvertì Annabeth. “Se non lasciamo–”
“Non pensare di scappare!” Piper corse verso la corda, che pendeva dal soffitto. Balzò verso
l’alto mentre cercava di tagliarla.”
“Piper, hai perso il senno?”
‘Probabilmente’, pensò lei. Ma Piper sapeva che quello era l’unico modo per sopravvivere.
Doveva andare contro la ragione, seguire l’emozione, far vacillare l’equilibrio del gigante.
“Che male!” Mimas si grattò la testa. “Ti rendi conto che non puoi sconfiggermi senza
l’aiuto di un dio, e Ares non è qui! Lo ridurrò in briciole. Non avrei dovuto combattere
contro di lui, innanzitutto, se quello sciocco e codardo di Damasen avesse fatto il suo
lavoro–”
Annabeth produsse un grido gutturale. “Non insultare Damasen!” Lei corse contro Mimas,
che a malapena riuscì a parare la sua drakon-blade con il manico del suo martello. Cercò di
afferrare Annabeth, e Piper si lanciò, facendo passare la sua lama per il lato del volto del
gigante.
“GAHHH!” sbraitò Mimas.
Un mucchietto di rasta cadde a terra insieme a qualcos’altro – una grande cosa carnosa
che giaceva in una pozza di icore dorato.
“Il mio orecchio!” gemette Mimas. Prima che potesse riprendersi, Piper afferrò il braccio di
Annabeth e insieme si tuffarono nella seconda porta.
“Farò crollare questa stanza!” tuonò il gigante. “La Madre Terra non sarà d’accordo, ma la
distruggerò!”
Il pavimento scosse. Il suono della pietra che si rompeva riecheggiò intorno a loro.
“Piper, ferma.” La pregò Annabeth. “Come – come fai a farlo con tutto questo? Con la
paura, la rabbia–”
“Non cercare di controllarlo. È questo che vuole il tempio. Devi accettare la paura,
adattarti, seguirla come le rapide di un fiume.”
“Come fai a saperlo?”
Da qualche parte nelle vicinanze, un muro si sbriciolò con un suono simile ad uno scoppio
di artiglieria.
“Hai tagliato la corda,” disse Annabeth. “Moriremo qui!”
Piper prese il volto dell’amica tra le mani. Tirò Annabeth avanti finché le loro due fronti
non si toccarono. Attraverso la punta delle dita, sentiva il battito accelerato di Annabeth.
“Non hai motivo di aver paura. Non c’è nessuno da odiare. È come l’amore. Sono due
emozioni identiche. Ecco perché Ares e Afrodite si assomigliano. I loro gemelli – Paura e
Panico – sono stati generate sia dalla guerra che dall’amore.”
“Ma io non… questo non ha senso.”
“No,” concordò Piper. “Smettila di pensarci. Sentilo e basta.”
“Lo odio.”
“Lo so. Non puoi pianificare I tuoi sentimenti. Ciò che provi per Percy, e il tuo futuro – non
puoi tenere tutto sotto controllo. Devi accettarlo. Lascia che ti spaventi. Abbi fiducia e tutto
andrà bene.”
Annabeth scosse la testa. “ Non so se ci riesco.”
“Proprio per questo ora concentrati sul vendicare Damasen. Vendicati per Bob.”
Ci fu un momento di silenzio. “Sto bene ora.”
“Grandioso, perché ho bisogno del tuo aiuto. Correremo là fuori insieme.”
“E poi?”
“Non ne ho idea.”
“Dei, odio quando prendi tu le redini.”
Piper rise, il che sorprese anche lei.
La paura e l’amore erano davvero correlati. In quel momento si aggrappava all’amore che
provava per la sua amica. “Andiamo!”
Corsero senza seguire una direzione e si ritrovarono di nuovo nella stanza del Santuario,
proprio dietro al gigante Mimas. Entrambe gli ferirono una gamba costringendolo a terra.
Il gigante urlò. Altri pezzi di pietra caddero dal soffitto.
“Deboli mortali!” Mimas faticò a stare in piedi. “Nessun piano non può sconfiggermi!”
“Questo è un bene,” disse Piper. “Perché non ne abbiamo uno.”
Corse verso la statua di Ares. “Annabeth, tieni il nostro amico occupato!”
“Oh, lui è occupato!”
“GAHHHHH!”
Piper fissò il volto crudele di bronzo del dio della Guerra. La statua pulsava con un suono
metallico proveniente dal basso.
‘Gli spiriti della battaglia,’ pensò. ‘stanno lì dentro, in attesa di essere liberati. ’
Ma non si sarebbero mossi – non finché lei non ci avesse provato.
La camera scosse di nuovo. Altre crepe comparvero lungo i muri. Piper guadò gli altorilievi in pietra sopra le porte: i volti accigliati di Phobos e Deimos.
“Fratelli miei,” disse Piper. “Figli di Afrodite.. vi dono un sacrificio.”
Posizionò la sua cornucopia ai piedi di Ares.
Il corno magico era entrato così tanto in sintonia con le sue emozioni che avrebbe potuto
amplificare la sua rabbia, amore, o dolore, ed eruttare la sua generosità indietro in
conseguenza.
Sperava che potesse stuzzicare gli dei della paura. O forse apprezzavano avere solo alcuni
tipi di frutta e verdura fresca nelle loro diete.
“Sono terrorizzata,” confessò. “Odio farlo. Ma capisco che sia necessario.”
Rigirò la sua lama e tagliò la testa di bronzo della statua.
“No!” urlò Mimas.
Delle fiamme ruggirono dal collo reciso della statua. Turbinarono attorno a Piper,
riempiendo la stanza con una tempesta di emozioni: l’odio, la sete di sangue e di paura, ma
anche l’amore – perché nessuno poteva affrontare una battaglia senza preoccuparsi di
qualcosa: i compagni, la famiglia, la casa.
Piper tese le braccia e il suo makhai comparì al centro del turbine.
Risponderemo alla vostra chiamata, sussurrarono nella sua mente. Una volta sola, quando
avrete bisogno di noi. Distruzione, proteste, carneficina sarà la nostra risposta. Noi
completeremo la vostra cura.
Le fiamme svanirono assieme alla cornucopia, e la statua di Ares incatenato si sbriciolò in
polvere.
“Sciocca!” Mimas caricò, con Annabeth alle calcagna. “I makhai ti hanno abbandonata!”
“O forse hanno abbandonato te,” disse Piper.
Mimas alzò il martello, ma si era dimenticato di Annabeth. Lei lo colpì alla coscia e il
gigante barcollò in avanti, perdendo l’equilibrio. Piper è intervenuta con calma e lo
pugnalò allo stomaco.
Mimas cadde con il volto rivolto verso la porta più vicina. Si girò proprio mentre il volto di
pietra di Panico incrinò il muro sopra di lui e si rovesciò giù per un bacio di una tonnellata.
Il grido del gigante venne tagliato. Il suo corpo si accasciò ancora. Poi si disintegrò in un
mucchio di dieci metri di cenere.
Annabeth fissò Piper. “Che cosa è successo?”
“Non ne sono sicura.”
“Piper, sei stata incredibile, ma quegli spiriti rilasciati –”
“I makhai.”
“Come ci aiuteranno a trovare la cura che stiamo cercando?”
“Non lo so. Hanno detto che potevo chiamarli quando sarà il momento. Forse Artemide e
Apollo possono spiegarcelo –”
Una sezione del muro crollò come un ghiacciaio. Annabeth inciampò e quasi non scivolò
sull’orecchio mozzato del gigante. “Dobbiamo uscire di qui.”
“Ci sto lavorando,” disse Piper.
“E, uh, penso che questo orecchio sia il tuo bottino di guerra.”
“È troppo grosso.”
“Potrebbe diventare uno scudo delizioso.”
“Zitta, Chase.” Piper fissò la seconda porta, la quale aveva ancora il volto di Phobos appesa
al di sopra. “Grazie, fratelli, per avermi aiutata ad uccidere il gigante. Ho bisogno di un
altro favore – una via di fuga. E, credetemi, sono terrorizzata. Vi offro questo, uh, un bel
orecchio come sacrificio.”
Il volto di pietra non rispose. Un’altra sezione di parete crollò. Una fessura luminosa
apparve sul soffitto. Piper afferrò la mano di Annabeth. “Attraverseremo quel varco. Se
funziona, potremo ritrovarci di nuovo in superficie.”
“e se non è così?”
Piper guardò il volto di Phobos. “ Andiamo a scoprirlo.”
La stanza crollò intorno a loro mentre si immergevano nel buio.
XXI
R
e
y
n
a
ALMENO NON ERANO FINITI SU UN’ALTRA NAVE DA CROCIERA.
Il salto dal Portogallo li aveva fatti atterrare nel mezzo dell’Atlantico, dove Reyna aveva
trascorso tutta la sua giornata sul ponte del lido della Azores Queen, scacciando bambini
piccoli alla larga dall’Athena Parthenos, che sembravano aver pensato che fosse uno scivolo
acquatico.
Purtroppo, il salto successivo portò Reyna a casa.
Erano apparsi tre metri in aria, in bilico sul cortile di un ristorante che Reyna aveva
riconosciuto.
Lei e Nico erano caduti su una gigante gabbietta per uccelli, che prontamente ruppero,
ritrovandosi in un gruppo di felci in vaso insieme a tre pappagalli molto allarmati. Coach
Hedge finì sulla tettoia di un bar. L’Athena Parthenos era finita in piedi con un tonfo,
appiattendo un tavolino e facendo volare in aria un ombrello verde scuro, che si stabilì
sulla mano di Atena, in modo tale che la dea della saggezza sembrava brandire un
bicchierino di una bevanda tropicale.
“Mi piace!” sbiascicò mentre si gettava un pezzo di ananas via dalla bocca. “Ma la prossima
volta, ragazzino, possiamo atterrare sul suolo e non tre metri al di sopra di esso?”
Nico si trascinò fuori dalle felci. Si accasciò sulla sedia più vicina e sventolò una mano per
cacciare via un pappagallo blu che stava cercando di atterrare sulla sua testa. Dopo la lotta
con Licaone, Nico aveva buttato via la giacca da avviatore, che era rimasta tutta tagliuzzata.
La sua maglietta con il cranio non era più messa molto bene. Reyna aveva ricucito i tagli
sui bicipiti, che davano a Nico un aspetto un po’ raccapricciante alla Frankenstein, ma i
tagli erano ancora gonfi e rossi. A differenza dei morsi, i segni degli artigli di lupo mannaro
non sono in grado di trasmettere la licantropia, ma Reyna sapeva bene che guarivano più
lentamente e bruciavano come acido.
“Devo dormire.” Nico sembrava in stato confusionale. “Siamo al sicuro?”
Reyna scrutò il cortile. Il posto sembrava deserto, anche se non ne capiva il motivo. Quel
posto di notte, sarebbe dovuto essere pieno. Sopra di loro, il cielo della sera brillava sulla
terracotta scura, lo stesso colore delle pareti dell’edificio. L’atrio e i balconi del secondo
piano erano vuoti tranne per le azalee in vaso appese alle ringhiere di metallo bianco.
Dietro ad un muro di porte di vetro, l’interno del ristorante era buio. Gli unici suoni erano
quelli della fontana gorgogliante e il verso di un pappagallo scontento.
“Questo è il Barrachina,” disse Reyna.
“Che genere di orso è?” Hedge aprì il suo vasetto di ciliegie al maraschino e ne mandò giù
una.
“Si tratta di un ristorante famoso,” spiegò Reyna, “Nel cuore della Vecchia San Juan.
Hanno inventato qui la piña colada, nel 1960, penso.”
Nico si lasciò cadere dalla sedia, si rannicchiò sul pavimento ed iniziò a russare.
Coach Hedge ruttò. “Beh, sembra che dovremo starcene qui per un po’. Se non hanno
inventato altri drink dagli anni ’60, sono un po’ indietro. Vado a lavorare!”
Mentre Hedge si mise a frugare dietro il bar, Reyna fischiò ad Aurum e Argentum.
Dopo la loro lotta con i lupi mannari, i cani sembravano messi un po’ peggio e usurati di
prima, ma Reyna li mise di guardia. Controllò l’ingresso e la strada dell’atrio.
I cancelli in ferro battuto decorativi erano stati bloccati.
Una segnaletica in spagnolo ed in inglese annunciava che il ristorante era chiuso per una
festa privata. Il che sembrava strano, dato che il posto era deserto. Nella parte inferiore del
cartello c’erano scritte delle iniziali: HTK. Il che infastidì Reyna, anche se non era sicura del
perché.
Guardò attraverso i cancelli. Le Calle di Fortaleza erano insolitamente tranquille. La
pavimentazione di ciottoli blu era priva di traffico e pedoni. Le vetrine color pastello chiuse
e buie. Era Domenica? O una sorta di festività? Il disagio di Reyna crebbe.
Dietro di lei, Coach Hedge fischiettava felicemente mentre sistemava una fila di frullatori. I
pappagalli si erano appollaiati sulle spalle dell’Athena Parthenos. Reyna si domandò se i
greci si sarebbero offesi se la loro statua sacra fosse arrivata coperta di guano di uccelli
tropicali.
Di tutti i posti in cui Reyna sarebbe potuta finire proprio… San Juan.
Forse era una coincidenza, ma non ci credeva. Puerto Rico non era proprio sulla via
dall’Europa a New York. Era troppo a sud.
Inoltre, Reyna aveva prestato a Nico la sua forza per giorni. Forse lo aveva influenzato
inconsciamente. Lui attraeva i pensieri dolorosi, la paura, il buio. E la più buia, e dolorosa
memoria di Reyna era a San Juan. La sua paura più grande? Tornare lì.
I suoi cani di raccolsero vicino a lei, captando la sua agitazione. Si aggiravano per il cortile,
ringhiando alle ombre.
Il povero Argentum girava in cerchio, cercando di puntare la testa di lato, in modo da poter
vedere anche per l’occhio di rubino mancante.
Reyna cercò di concentrarsi sui ricordi positivi. Le mancava il suono delle piccole rane
coquí,che cantavano per il quartiere come un coro di bottiglie stappate. Le mancava l’odore
del mare, le magnolie in fiore e gli alberi di agrumi, il pane appena sfornato delle
panetterie locali. Anche l’umidità la facevano sentire a suo agio e qualcosa di familiare –
come l’aria profumata di un essiccatore.
Una parte di lei avrebbe voluto aprire i cancelli ed esplorare la città. Voleva visitare la Plaza
de Armas, dove gli anziani giocavano a domino e il chiosco del caffè vendeva un espresso
così forte che faceva fischiare le orecchie. Voleva passeggiare lungo la vecchia strada, Calle
San Jose, tenendo il conteggio dei gatti randagi, ipotizzando una storia per ognuno di essi,
in modo in cui era solita fare con la sorella. Voleva entrare nella cucina del Baracchina e
cucinare qualche vero mofongo con banane fritte, pancetta ed aglio – un gusto che le
ricordava la domenica pomeriggio, quando lei e Hylla potevano sfuggire da casa per un po’
e, se erano fortunate, mangiare lì nella cucina dove lo staff che le conosceva aveva pietà di
loro.
D’altra parte, Reyna voleva andarsene immediatamente. Avrebbe voluto svegliare Nico,
non importava quanto fosse stanco, e costringerlo ad un altro viaggio-ombra fuori di lì –
ovunque che non fosse San Juan.
Essere così vicina alla sua vecchia casa fece sentire Reyna costretta come un argano di una
catapulta.
Guardò Nico. Nonostante la notte calda, rabbrividiva sul pavimento piastrellato. Tirò fuori
una coperta dal suo zaino e lo coprì.
Reyna era più sicura di prima di voler proteggerlo. Nel bene o nel male, avevano condiviso
qualcosa ora. Ogni volta che viaggiavano nell’ombra, la stanchezza e il tormento la
ricoprivano e capiva che per lui era un po’ meglio.
Nico era devastantemente solo. Aveva perso sua sorella Bianca. Aveva cacciato via tutti gli
altri semidei che avevano cercato di avvicinarlo. Le sue esperienze al Campo Mezzosangue,
nel labirinto e nel Tartaro lo avevano lasciato sfregiato, aveva paura a fidarsi di qualcuno.
Reyna dubitava che potesse cambiare i suoi sentimenti, ma voleva supportare Nico.
Tutti gli eroi lo meritavano Era il punto fisso di tutta la dodicesima legione. Ti sei unito alle
forze per combattere una causa superiore. Non sei solo. Ti sei fatto degli amici e hai
guadagnato il loro rispetto. Anche quando te ne sei tirato fuori, avevi un posto nella
comunità. Nessun semidio dovrebbe soffrire da solo nel modo in cui aveva fatto Nico.
Quella era la sera del 25 luglio. Altri sette giorni al 1° agosto. In teoria, c’era un sacco di
tempo per raggiungere Long Island. Una volta compiuta la loro missione, se fossero riusciti
a farlo, Reyna si sarebbe assicurata che Nico sarebbe stato riconosciuto per il suo coraggio.
Si sfilò lo zaino. Cercò di sistemarlo sotto la testa di Nico come un cuscino improvvisato,
ma le sue dita passarono attraverso di lui come se fosse un’ombra. Lei ritrasse la mano.
Provò un freddo terrore, di nuovo. Questa volta, fu in grado di sollevargli il collo e far
scorrere sotto il cuscino. La sua pelle era fredda, ma per il resto era normale.
Se fosse stata un’allucinazione?
Nico aveva speso molte energie per viaggiare attraverso le ombre… forse stava
cominciando a svanire definitivamente. Se avesse continuato a spingersi al limite per altri
sette giorni…
Il suono di un frullatore la fece trasalire, allontanandola dai suoi pensieri.
“Vuoi un frullato?” Chiese il coach. “Questo è all’ananas, mango, arancia e banana, sepolto
qui sotto c’e un cumulo di cocco. Io lo chiamo ‘Hercules’!”
“So-sono a posto, grazie.” Alzò lo sguardo verso i balconi sopra l’atrio. E anche non le
sembrava chiaro il perché il ristorante fosse vuoto. Una festa privata. HTK. “Coach, penso
che andrò ad esplorare il secondo piano. Non mi piace–”
Un filo di movimento catturò la sua attenzione. Il balcone di destra – una sagoma scura. Al
di spora, sul bordo del tetto, diverse altre sagome apparvero contro le nuvole arancioni.
Reyna sguainò la spada, ma era troppo tardi.
Un lampo di argento, un debole whoosh, e una punta di un ago le si conficcò nel collo.
La sua visione si offuscò. Le sue membra diventarono come degli spaghetti.
Collassò accanto a Nico.
Mentre gli occhi si oscuravano, vide i suoi cani correre verso di lei, ma si bloccarono e
rovesciarono.
Al bar, il coach urlò “Ehy!”
Un altro whoosh. Il Coach crollò con un dardo d’argento nel collo.
Reyna provò a dire, ‘Nico, svegliati.’ La sua voce non funzionò. Il suo corpo era stato
disattivato completamente così come i suoi cani di metallo.
Delle figure scure si allinearono sul tetto. Una mezza dozzina balzò nel cortile,
silenziosamente ed in modo aggraziato.
Uno si chinò su Reyna. Poteva solo distinguere una macchia grigia.
Una voce soffocata disse: “Prendetela.”
Un sacco di tela le fu infilato in testa.
Reyna si chiese se sarebbe stato così che sarebbe morta – senza nemmeno combattere.
Non aveva importanza. Diverse coppie di mani ruvide la sollevarono con un pesante
mobile e la sua mente andò alla deriva in stato di incoscienza.
XXII
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a
LA RISPOSTA LE ARRIVO’ prima che fosse tornata completamente cosciente.
Le iniziali sulla segnaletica al Baracchina: HTK.
“Non è divertente,” mormorò Reyna a sé stessa. “Non è per niente divertente.”
Anni prima, Lupa le aveva insegnato come dormire con un sonno leggero, svegliarsi in
allerta ed essere pronta ad attaccare. Ora, mentre i suoi sensi tornavano, fece il resoconto
della sua situazione.
Il sacco di tela le ricopriva ancora la testa, ma non sembrava essere stretto intorno al collo.
Era legata allo schienale di una sedia – in legno, ipotizzò toccandolo. I lacci erano stretti
contro le sue costole. Le sue mani erano legate dietro di sé, ma le sue gambe erano libere
tranne le caviglie.
O i suoi rapitori erano degli ingenui, oppure non si aspettavano che si sarebbe risvegliata
così presto. Reyna divincolò le dita e i piedi. Qualsiasi tranquillizzante avessero usato,
aveva fatto il suo effetto.
Da qualche parte davanti a lei, dei passi echeggiarono lungo un corridoio. Il suono era in
avvicinamento. Reyna fece rilassare i suoi muscoli. Appoggiò il mento contro il petto.
Scattò una serratura. Una porta si aprì.
A giudicare dall’acustica, Reyna era in una piccola stanza con pareti di mattoni o cemento:
forse un seminterrato o una cella. Una persona entrò nella stanza.
Reyna calcolò la distanza. Non più di un metro e mezzo.
Si buttò verso l’alto, in modo da far capovolgere le gambe della sedia contro il suo rapitore.
La forza impiegata ruppe la sedia. Il suo rapitore cadde con un grugnito di dolore.
Altre grida provennero dal corridoio. Altri passi.
Reyna scosse il capo fino a disfarsi del panno.
Si lasciò cadere rotolando all’indietro, tirando le mani e le gambe liberandosi. Il suo
rapitore – una ragazza adolescente in una mimetica grigia – giaceva stordita sul
pavimento, un coltello alla cintura.
Reyna afferrò il coltello e la scavalcò, premendo la lama contro la gola della rapitrice.
Altre ragazze si affollarono alla porta. Due ragazze estrassero i loro coltelli, la terza
posizionò una freccia nel suo arco. Per un attimo, tutte si bloccarono.
L’arteria carotide del suo ostaggio pulsava sotto la sua lama. Saggiamente, la ragazza non
provò a muoversi.
Reyna cercò di farsi un’idea di come superare quelle tre sulla porta. Tutte loro indossavano
magliette grigie, jeans neri e sbiadite scarpe da ginnastica nere e cinture multiuso come se
stessero andando a fare campeggio o un’escursione a piedi… o cacciare.
“Siete le cacciatrici di Artemide,” realizzò Reyna.
“Calma,” disse la ragazza con l’arco.
I suoi capelli apparivano come se dello zenzero vi si fosse stato tritato sopra. Aveva la
costituzione di un lottatore professionista. “Hai avuto l’impressione sbagliata.”
La ragazza sul pavimento respirava affannosamente, ma Reyna conosceva quel trucco –
stava cercando di allentare la presa del nemico. Reyna premette il coltello ancora di più
contro la gola della ragazza.
“Voi mi avete dato l’impressione sbagliata,” disse Reyna, “Se pensate di poter attaccarmi e
rinchiudermi. Dove sono i miei amici?”
“Incolumi, proprio dove li hai lasciati,” promise la ragazza dai capelli rossi. “Guarda, sono
le 00:57 e le tue mani sono libere.”
“Hai ragione,” ringhiò Reyna. “Fate arrivare altre sei di voi qui e potrebbe anche diventare
una lotta equa. Esigo di vedere il vostro tenete, Thalia Grace.”
La ragazza dai capelli rossi sbatté le palpebre. Le sue compagne strinsero i coltelli a
disagio.
Sul pavimento, l’ostaggio di Reyna cominciò a tremare. Reyna pensò che potesse essere un
modo per liberarsi. Poi si rese conto che la ragazza stava ridendo.
“C’è qualcosa che ti diverte?” chiese Reyna.
La voce della ragazza era un sussurro profondo. “Jason mi aveva detto che fossi divertente.
Non aveva detto quanto lo fossi.”
Reyna portò la sua attenzione sul suo ostaggio. La ragazza sembrava essere intorno ai
sedici anni, con i capelli neri a ciuffi e dei sorprendenti occhi blu. Sulla sua fronte brillava
una coroncina argentata.
“Tu sei Thalia?”
“E sarei felice di spiegarti,” disse Thalia, “Se gentilmente non mi tagliassi la gola.”
Le cacciatrici la guidarono attraverso un labirinto di corridoi. Le pareti erano costituite da
blocchi di cemento armato dipinto di verde, prive di finestre. L’unica luce proveniva da
lampadari al led distanziati ogni dieci metri. Fecero diversi intrecci, si girarono e
raddoppiarono, ma la ragazza dai capelli rossi, Phoebe, prese il comando. Sembrava sapere
dove stessero andando.
Thalia Grace le zoppicava affianco, tenendosi le costole dove Reyna l’aveva colpita con la
sedia. La cacciatrice doveva star male, ma i suoi occhi brillavano divertiti.
“Ancora una volta, le mie scuse per averti rapita.” Thalia non sembrava molto dispiaciuta.
“Questo è un covo segreto. Le Amazzoni hanno certi protocolli–”
“Le Amazzoni. Lavorate per loro?”
“Con loro,” la corresse Thalia. “Abbiamo una comprensione reciproca. Alle volte le
Amazzoni ci inviano delle reclute. Altre volte, se ci imbattiamo in ragazze che non vogliono
più essere fanciulle per sempre, le mandiamo alle Amazzoni. Le Amazzoni non hanno voti
del genere. ”
Una delle altre Cacciatrici sbuffò con disgusto. “Tengono degli schiavi uomini in dei collari
e tute arancioni. Preferisco girare con un branco di cani ogni giorno.”
“I loro maschi non sono schiavi, Celyne,” la rimproverò Thalia. “Le servono
semplicemente.” Guardò Reyna. “Le Amazzoni e le Cacciatrici non vanno d’accordo su
tutto, ma dal momento che Gea ha iniziato ad agitarsi abbiamo collaborato a stretto
contatto. Con il Campo Giove e il Campo Mezzosangue di mezzo, beh… qualcuno ha anche
a che fare con i mostri. Le nostre forze sono dissipate per tutto il continente.”
Reyna si massaggiò i segni della corda sui polsi. “Pensavo, da quello che aveva detto Jason,
che tu non sapevi nulla del Campo Giove.”
“Questo era vero allora. Ma quei giorni sono finiti, grazie alle macchinazioni di Era.”
L’espressione di Thalia si fece grave. “Come sta mio fratello?”
“Quando l’ho lasciato ad Epiro, stava bene.”
Reyna disse quello che sapeva. Trovò gli occhi di Thalia una distrazione: un blu elettrico,
intensi e allarmati, così come quelli di Jason. Per il resto, i fratelli non sembravano
assomigliarsi per niente. I capelli di Thalia erano mossi e scuri. I suoi Jeans erano laceri,
tenuti assieme con spille da balia Indossava delle catene metalliche attorno al collo e ai
polsi, e la sua camicia mimetica grigia sfoggiava un cartellino con la scritta IL PUNK NON E’
MORTO. TU LO SEI.
Reyna aveva sempre pensato che Jason Grace fosse il tipico ragazzo Americano. Thalia
sembrava più la ragazza che derubava i tipici ragazzi Americani nei vicoli.
“Spero stia ancora bene,” rifletté Thalia. “Qualche rissa fa ho sognato nostra madre. E…
non è stato piacevole. Poi ho ricevuto il messaggio di Nico nei miei sogni – su Orione che vi
da la caccia. Quello è stato ancora meno piacevole.”
“Ecco perché siete qui. Per il messaggio di Nico.”
“Beh, non siamo venute a Puerto Rico per una vacanza. Questa è una delle roccaforti più
sicure delle Amazzoni. Abbiamo scommesso che saremmo state in grado di intercettarvi.”
“Intercettare…come? E perché?”
Davanti a loro, Phoebe si fermò. Il corridoio era concluso con un insieme di porte
metalliche. Phoebe batté contro esse con il suo coltello – una complicata serie di colpi,
come un codice Morse.
Thalia si strofinò le costole ammaccate. “Dovrò lasciarvi qui. Le cacciatrici pattugliano la
città vecchia, in attesa per Orione. Devo tornare al fronte.” Tele la mano in attesa. “il mio
coltello, per favore?”
Reyna lo restituì. “E che fine hanno fatto le mie armi?”
“Ti saranno restituite quando te ne andrai. So che sembra stupido – il rapirti e bendarti e
tutto il resto – ma le Amazzoni prendono sul serio la loro sicurezza. Il mese scorso hanno
avuto un incidente al loro centro principale a Seattle. Forse ne hai sentito parlare. Una
ragazza di nome Hazel Levesque ha rubato un cavallo.”
La cacciatrice Celyn sorrise. “Naomi e io abbiamo visto il filmato di sicurezza.
Leggendario.”
“Epico,” concordò la terza Cacciatrice.
“In ogni caso,” continuò Thalia, “stiamo tenendo d’occhio Nico e il satiro. I maschi non
sono autorizzati ad accedere a nessuna parte di questo posto, ma gli abbiamo lasciato una
nota in modo che non si preoccupino.”
Dalla sua cintura, Thalia dispiegò un pezzo di carta. Lo porse a Reyna. Era una fotocopia
con scritta una nota:
Abbiamo noi il vostro pretore Romano.
Vi verrà restituita sana e salva.
Fate i bravi.
In caso contrario verrete uccisi.
XOX, le Cacciatrici di Artemide.
Reyna riconsegnò la lettera indietro. “Giusto. Questo non li farà preoccupare per niente.”
Phoebe sorrise. “È figo. Ho coperto la vostra Athena Parthenos con una nuova rete mimetic
che ho progettato. Dovrebbe impedire ai mostri – e ad Orione – di trovarla. Inoltre, se le
mie ipotesi sono giuste, Orione non sta inseguendo la statua ma sta pedinando voi.”
Reyna si sentì come se le fosse stato appena dato un pugno in mezzo agli occhi. “Come hai
fatto a saperlo?”
“Phoebe è la mia recettrice migliore,” disse Thalia. “E miglior guaritrice. E…beh, ha
generalmente ragione su molte cose.”
“La maggior parte delle cose?” Phoebe protestò mentre Thalia alzò le mani in segno di
resa. “Per quanto riguarda il motivo per cui vi abbiamo intercettato, lo lascerò spiegare alle
Amazzoni. Phoebe, Celyn, Naomi – accompagnate Reyna dentro. Io andrò a vedere le
nostre difese.”
“Ti aspetti un combattimento,” notò Reyna. “Ma hai detto che questo posto è segreto e
sicuro.”
Thalia rinfoderò il coltello. “Tu non conosci Orione. Mi sarebbe piaciuto avere più tempo,
Pretore. Mi piacerebbe conoscere il tuo campo e come tu sia finita lì. Mi ricordi tanto tua
sorella, e tuttavia–”
“Conosci Hylla?” Chiese Reyna. “È al sicuro?”
Thalia inclinò la testa. “Nessuno di noi è al sicuro in questi giorni, Pretore, quindi devo
proprio andare. Buona caccia!” Thalia scomparve in fondo al corridoio.
Le porte di metallo si aprirono. Le tre Cacciatrici portarono Reyna all’interno.
Dopo alcuni tunnel claustrofobici, la dimensione del magazzino fece mancare il respiro a
Reyna.
Un nido di rulli trasportatori attraversava i corridoi che arrivava fino al soffitto. Le file
degli scaffali si estendevano in lontananza. I carrelli robotizzati attraversavano i corridoi
recuperando scatole. Una mezza dozzina di giovani donne in tailleur neri stavano una
affianco all’altra, controllando le note sui loro tablet.
Di fronte a loro c’erano dei pacchi etichettati: FRECCE ESPLOSIVE E FUOCO GRECO (16 OZ. EZOPEN
PACK) e FILETTI DI GRIFONE (FREE-RANGE ORGANIC).
Direttamente di fronte a Reyna, dietro ad un tavolo per le conferenze pieni di reporti e
armi a corto raggio, sedeva una figura familiare.
“Sorellina.” Sorrise Hylla. “Siamo di nuovo qui, a casa. Di fronte nuovamente a morte
certa. Dobbiamo smetterla di incontrarci in questo modo.”
XXIII
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I SENTIMENTI DI REYNA NON ERANO MOLTO MISTI.
Era come se fossero stati gettati in un frullatore con della ghiaia e del ghiaccio.
Ogni volta che vedeva sua sorella, non sapeva se abbracciarla, piangere o andarsene.
Ovviamente voleva bene a Hylla. Reyna sarebbe morta un sacco di volte, se non fosse stato
per lei. Ma il loro passato assieme era stato oltre modo complicato.
Hylla circumnavigò il tavolo. Stava bene nei suoi pantaloni di pelle nera e il top di gilet
nero. Intorno alla vita brillava una cintura fatta di maglie d’oro concatenate in un motivo a
labirinto. – la cintura della regina delle Amazzoni.
Aveva ventidue anni ora, ma poteva essere quasi scambiata per la gemella di Reyna.
Avevano gli stessi lunghi capelli scuri, gli stessi occhi castani. Indossavano lo stesso anello
d’argento con lo stemma della torcia incrociato alla lancia di loro madre, Bellona. La
differenza più evidente tra loro era la lunga cicatrice bianca sulla fronte di Hylla. Era quasi
scomparsa negli ultimi quattro anni. Chi non lo sapeva, poteva scambiarla per una ruga di
espressione. Ma Reyna ricordò il giorno in cui Hylla si era procurata quella cicatrice in un
duello a bordo di una nave pirata.
“Beh,” richiese Hylla. “Non ci sono delle parole dolci per tua sorella?”
“Grazie per avermi rapita,” disse Reyna. “Per avermi sparato un dardo tranquillizzante,
avermi messo un sacco sulla testa e legata ad una sedia.”
Hylla alzò gli occhi. “Le regole sono regole. Come pretore, dovresti comprenderlo. Questo
centro di distribuzione è una delle nostre basi più importante. Dobbiamo controllare ogni
accesso. Non possiamo fare eccezioni, sopratutto per la mia famiglia.”
“Penso che la cosa ti diverta.”
“Anche per questo.”
Reyna si chiese se sua sorella fosse fredda e contenuta come sembrava. Lo trovava
incredibile, e un po’ temibile, per quanto velocemente Hylla si fosse adattata alla sua nuova
identità.
Sei anni prima, era una sorella maggiore spaventata, che faceva del suo meglio per
proteggere Reyna dall’ira del padre. La sua abilità principale era quella di trovare dei posti
in cui nascondersi.
Poi, sull’isola di Circe, Hylla aveva lavorato duramente per essere notata. Indossava degli
abiti e portava dei trucchi vistosi. Sorrideva, rideva e rimaneva sempre allegra, come se
agire in modo felice la rendesse felice. Era diventata una delle assistenti preferite da
Circe.
Dopo che la sua isola era stata bruciata, furono fatte prigioniere a bordo della nave pirata.
Ancora una volta Hylla cambiò. Aveva duellato per la loro libertà, sconfitto i pirati uno ad
uno, guadagnandosi il rispetto dell’equipaggio così che Barbanera finalmente le lasciò a
terra per non permettere ad Hylla di prendere il controllo della sua nave. Ora si era reinventata ancora una volta come regina delle Amazzoni.
Naturalmente, Reyna aveva capito perché sua sorella fosse così camaleontica. Se
continuava a cambiare, non sarebbe mai diventata come loro padre… “Quelle iniziali sul
cartello di prenotazione al Barrachina,” disse Reyna. “HTK. Hylla Twice-Kill, il tuo nuovo
soprannome. È uno scherzo?”
“Cercavo solo di vedere se ci avresti prestato attenzione.”
“Sapevi che saremmo atterrati in quel cortile. Come?”
Hylla si strinse nelle spalle. “Il viaggio-ombra è una magia. Molte delle mie seguaci sono
figlie di Ecate. È stata una cosa abbastanza semplice per loro tirarvi fuori rotta, soprattutto
perché io e te condividiamo una connessione.”
Reyna cercò di mantenere la sua rabbia sotto controllo. Hylla, tra tutte quelle persone,
avrebbe dovuto sapere come si sarebbe sentita ad essere costretta a tornare a Puerto Rico.
“Ti sei cacciata in un sacco di guai,” le fece notare Reyna. “La regina delle Amazzoni e il
tenente di Artemide che corrono a Puerto Rico di fretta per intercettarci – credo che non è
perché ti mancassi.”
La ragazza dai capelli rossi – Phoebe – ridacchiò. “è intelligente.”
“Certamente,” disse Hylla. “Le ho insegnato io tutto quello che sa.”
Le alter amazzoni iniziarono ad avvicinarsi, probabilmente sentendo un potenziale inizio di
un dibattito. Le Amazzoni amavano l’intrattenimento violento quasi quanto i pirati.
“Orione,” indovinò Reyna. “Questo è quello che vi ha portate qui. Il suo nome ha ottenuto
la vostra attenzione.”
“Non potevo lasciare che ti uccidesse.” Disse Hylla.
“C’è di più.”
“La vostra missione di trasportare l’Athena Parthenos–”
“–è importante. Ma c’è anche di più. È qualcosa di personale per te. E per le Cacciatrici. A
che gioco stai giocando?”
Hylla si passò il pollice lungo la cintura d’oro. “Orione è un problema. A differenza degli
altri giganti, Orione percorre la terra da secoli. Ha un particolare interesse nell’uccidere le
Amazzoni, o le Cacciatrici, o qualsiasi donna che osi essere forte.”
“E perché dovrebbe?”
Un’ondata di terrore sembrò passare attraverso tutte le ragazze intorno a lei. Hylla guardò
Phoebe. “Vuoi spiegarmi? Già che sei qui.”
Il sorriso delle Cacciatrici svanì. “Nei tempi antichi, Orione si unì alle Cacciatrici. Era il
migliore amico di Lady Artemide. Non aveva rivali – fatta eccezione per la dea stessa, e
forse suo fratello, Apollo.”
Reyna rabbrividì. Phoebe non sembrava avere più di quattordici anni. Pensare che lei
conoscesse Orione da tre o quattrocento anni…
“Che cosa è andato storto?” chiese.
Le orecchie di Phoebe si arrossarono.”Orione ha superato il limite. Si innamorò di
Artemide.”
Hylla sniffò. “Succede sempre con gli uomini. Promettono amicizia. Promettono di trattare
tutti alla pari. E alla fine, tutto quello che vogliono è possederti.”
Phoebe si fece piccola. Dietro di lei, le altre due Cacciatrici, Naomi e Celyn, retreggiarono a
disagio.
“Lady Artemide lo respinse, naturalmente,” continuò Phoebe. “Orione è diventato crudele.
Iniziò a fare viaggi sempre più lunghi e più a lungo da solo nel deserto. Infine… non sono
sicura di cosa sia successo. Un giorno Artemide è tornata al campo e ci ha ditto che Orione
era stato ucciso. Si è rifiutata di parlarne.”
Hylla aggrottò la fronte, il che accentuò la cicatrice bianca sulla fronte. “In ogni caso,
quando Orione è risorto dal Tartaro, diventò l’acerrimo nemico di Artemide. Nessuno può
odiarti con così tanta intensità quanto qualcuno che ti ha amato.”
Reyna lo capì. Ripensò ad una conversazione che aveva avuto con la dea Afrodite due anni
prima a Charleston…
“Se è un problema del genere,” disse Reyna, “Perché Artemide semplicemente non lo
uccide di nuovo?”
Phoebe fece una smorfia. “È più facile a dirsi che a farsi. Orione è subdolo. Ogni volta che
Artemide è con noi, resta lontano. Ogni volta che noi Cacciatrici restiamo da sole, come
ora… colpisce senza preavviso e scompare di nuovo. Il nostro ultimo tenente, Zoë
Nightshade, ha speso secoli cercando di rintracciarlo e ucciderlo.”
“Anche le Amazzoni lo hanno cercato.” Disse Hylla.
“In altre parole,” disse Reyna seccamente. “sta cercando di sabotare i vostri piani per la
dominazione del mondo.”
Hylla si strinse nelle spalle. “Esattamente.”
“Ecco perché ti sei precipitate ad intercettarmi,” disse Reyna. “Sapevi che Orione mi veniva
dietro. Hai programmato un agguato. Sono l’esca.”
Le altre ragazze cercarono di guardare ovunque tranne che il volto di Reyna.
“Oh, per favore,” le rimproverò Reyna. “non svilupperete il senso di colpa proprio ora. È un
buon piano. Come si procede?”
Hylla diede alle compagne un sorriso sbilenco.
“Ve l’ho detto a mia sorella che era una dura. Phoebe, vuoi darci di dettagli?”
La Cacciatrice si sistemò l’arco sulla spalla. “Come ho detto, credo che Orione stia
inseguendo te, non l’Athena Parthenos. Sembra particolarmente bravo a rivelare la
presenza delle semidee. Immagino che si possano definire la sua preda naturale.”
“Affascinante,” disse Reyna. “Quindi i miei amici, Nico e Gleeson Hedge – sono al sicuro?”
“Ancora non riesco a capire perché tu viaggia con dei maschi,” brontolò Phoebe, “ma la
mia ipotesi è che siano più al sicuro senza di te in giro. Ho fatto del mio meglio per
camuffare la statua. Con fortuna, Orione ti seguirà qui, direttamente nella nostra linea di
difesa.”
“E allora?” chiese Reyna.
Hylla le lanciò il suo solito sorriso freddo che usava fare ai pirati di Barbanera quando
erano nervosi. “Thalia e la maggior parte delle sue Cacciatrici sono a sorvegliare il
perimetro di Viejio San Juan. Appena Orione si avvicina, lo sapremo. Abbiamo sistemato
delle trappole ad ogni approccio. Ho le mie migliori combattenti in allerta. Metteremo quel
gigante in trappola. Poi, in un modo o nell’altro, lo rimanderemo nel Tartaro.”
“Può essere ucciso?” domandò Reyna. “Pensavo che la maggior parte dei giganti potessero
essere distrutti solo se un dio e un semidio lavorano insieme.”
“Abbiamo intenzione di scoprirlo,” disse Hylla. “Una volta che Orione sarà fuori gioco, la
vostra missione sarà molto più facile. Vi invieremo sul vostro cammino con la nostra
benedizione.”
“Potremo utilizzare qualcosa di più delle vostre benedizioni,” disse Reyna. “Le Amazzoni
hanno navi in tutto il mondo. Perché non ci offrite un trasporto sicuro per l’Athena
Parthenos? Arriveremo al Campo Mezzosangue molto prima del primo Agosto–”
“Non posso,” disse Hylla. “Se potessi, sorella, lo farei, ma sicuramente avrete sentito la
rabbia ira quella statua. Noi Amazzoni siamo figlie onorarie di Ares. L’Athena Parthenos
non tollererebbe mai la nostra interferenza. Inoltre, si sa come funzionano le Parche.
Perché la vostra missione abbia successo, è necessario che consegnate la statua
personalmente.”
Reyna doveva aver fatto uno sguardo mortificato.
Phoebe le urtò la spalla come un gatto che si struscia in segno di amicizia. “Ehy, non è così
triste. Vi aiuteremo il più possibile. Il servizio di assistenza di Amazon ha riparato i tuoi
cani di metallo. E noi abbiamo alcuni regali di addio molto fichi!”
Celyn consegnò a Phoebe una cartella in cuoio. Phoebe ci frugò dentro.
“Vediamo… pozioni curative. Tranquillizzante come quello utilizzato su di te. Hmm, che
altro? Oh, si!” Phoebe tirò fuori trionfante un triangolo di stoffa argentata piegato.
“Un fazzoletto?” domandò Reyna.
“Meglio. Controlla un po’.” Phoebe gettò il panno sul pavimento. Immediatamente si
espanse in una tenda da campeggio.
“C’è l’aria condizionata,” disse Phoebe. “Quattro posti letto. Un tavolo per buffet e sacchi a
pelo al suo interno. Qualsiasi bagaglio extra dovessi inserire nella tenda si ridurrebbe
assieme ad essa. Um, entro limiti ragionevoli… non cercate di metterci quella statua
gigantesca.”
Celyn ridacchiò. “Se i tuoi compagni di viaggio uomini dovessero drti fastidio, puoi sempre
lasciarli dentro.”
Naomi aggrottò la fronte. “Non penso che funzioni… giusto?”
“Comunque sia,” disse Phoebe, “queste tende sono grandi. Ne ho una uguale; la utilizzo
sempre. Quando sei pronta a chiuderla, il comando è actaeon.”
La tenda si ridusse ad un piccolo rettangolo. Phoebe lo raccolse, lo infilò nella borsa e
consegnò il tutto a Reyna.
“Io… non so cosa dire,” balbettò lei. “Grazie.”
“Aww…” Phoebe si strinse nelle spalle. “È il minimo che posso fare per–”
Ad una ventina di metri, una porta laterale si spalancò.
Un Amazzone corse dritto verso Hylla. La nuova arrivata indossava un tailleur in pantaloni
neri, i suoi lunghi capelli ramati erano raccolti in una coda di cavallo.
Reyna la riconobbe dalla battaglia al Campo Giobe. “Kinzie, non è così?”
La ragazze le fece un cenno distratto. “Pretore.” Sussurrò qualcosa all’orecchio di Hylla.
L’espressione di Hylla si indurì. “Capisco.” Guardò Reyna. “Qualcosa non va. Abbiamo
perso il contatto con le difese esterne. Ho paura che Orione–”
Dietro di Reyna, le porte di metallo esplosero.
XXIV
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REYNA FECE AFFERRARE LA SUA SPADA – poi realizzò di non averne una.
“Usciamo da qui!” Phoebe preparò il suo arco.
Celyn e Naomi corsero verso la porta fumante, solo per essere colpite da delle frecce nere.
Phoebe urlò per la rabbia. Tornò a fare fuoco e assieme alle amazzoni si precipitò davanti
con lo scudo e la spada.
“Reyna!” Hylla la tirò per un braccio. “Dobbiamo andare!”
“Non possiamo–”
“Le mie guardia ci faranno guadagnare tempo!” Gridò Hylla. “La tua missione deve avere
successo!”
Reyna lo odiava, ma corse al seguito di Hylla.
Raggiunsero una porta laterale e Reyna si guardarono indietro. Decine di lupi – grigi come
quelli in Portogallo – assalirono il magazzino. Le Amazzoni si affettarono ad intercettarli.
Sul portale pieno di fumo erano accatastati corpi inermi: Celyn, Naomi, Phoebe. La
cacciatrice dai capelli rossi che aveva vissuto centinaia di anni, ora era con gli occhi
spalancati per lo shock, una freccia nera e rossa di enormi dimensioni era conficcata nel
suo ventre. L’Amazzone Kinzie caricò in avanti, i lunghi coltelli brillarono. Balzò sui corpi
sparendo nel fumo.
Hylla tirò Reyna attraverso il passaggio. Assieme si misero a correre.
“Saranno tutti morti!” urlò Reyna. “Ci deve essere qualcosa che–”
“Non essere ingenua, sorella!” Gli occhi di Hylla erano lucidi per le lacrime. “Orione ci ha
aggirato. Ha trasformato l’imboscata in un massacro. Tutto quello che possiamo fare ora è
trattenerlo per farti fuggire. È necessario che la statua arrivi dai Greci e sconfiggere Gea!”
Condusse Reyna su per una rampa di scale. Attraversarono un altro labirinto di corridoi,
poi girarono ad un angolo arrivando ad uno spogliatoio. Si ritrovarono faccia a faccia con
un grande lupo grigio, ma prima che la bestia potesse persino ringhiare Hylla gli sferrò un
pugno in mezzo agli occhi. Il lupo si accasciò.
“Da questa parte.” Hylla corse verso la fila di armadietti più vicina. “Le tue armi sono lì
dentro. Fai in fretta.”
Reyna afferrò il suo pugnale, la spada e lo zaino. Poi seguì la sorella su una scala a
chiocciola in metallo. La risalirono fino al termine del soffitto. Hylla si voltò e le rivolse uno
sguardo severo. “Non ho tempo di spiegarti, d’accordo? Sii forte. Stammi vicina.”
Reyna si chiese cosa poteva essere peggio della scena che avevano appena lasciato. Hylla
aprì la botola e vi si arrampicò attraverso… arrivarono nella loro vecchia casa.
La sala principale era proprio come Reyna la ricordava.
I lucernari opachi brillavano sui soffitti di sei metri. Le pareti bianche erano prive di
decorazione. I mobili erano in rovere, acciaio e pelle bianca – impersonali e maschili.
Entrambi i lati della stanza si estendevano delle terrazze, che avevano fatto sempre sentire
Reyna come se fosse osservata (perché spesso lo era).
Il padre aveva fatto tutto il possibile per tenere quella hacienda secolare come una casa
moderna. Aveva aggiunto i lucernari, dipinto tutto di bianco per renderlo più luminoso e
arioso. Ma era soltanto riuscito ad ottenere che il posto risultasse un cadavere ben curato
in un vestito nuovo.
La botola si apriva nel massiccio camino. Perché avessero un caminetto a Puerto Rico,
Reyna non lo aveva mai capito, ma lei e Hylla lo utilizzavano come nascondiglio segreto
dove il padre non poteva trovarle. Si immaginavano che passandoci attraverso potevano
andare in altri posti.
Ora, Hylla lo aveva reso reale. Aveva legato il suo covo sotterraneo alla loro casa di
infanzia.
“Hylla –”
“Te l’ho detto, non c’è tempo.”
“Ma–”
“È mio l’edificio adesso. Ho messo l’atto a mio nome.”
“Hai fatto cosa?”
“Ero stanca di scappare dal passato, Reyna- Ho deciso di ri-acquistarla.”
Reyna la fissò sbalordita. Si poteva recuperare un telefono o una borsa persa in un
aeroporto. Si poteva anche recuperare una discarica di rifiuti tossici. Ma quella casa e
quello che vi era successo? Non c’era nulla che vi si potesse recuperare.
“Sorella,” disse Hylla. “Stiamo perdendo tempo. Vieni o no?”
Reyna guardò i balconi, quasi come aspettandosi che delle forme luminose sfarfallassero
presso alla ringhiera.
“Li hai visti?”
“Alcuni.”
“Papà?”
“Certo che no,” scattò Hylla. “Lo sai che se n’è andato per sempre.”
“Non so nulla del genere. Come hai potuto tornare indietro? Perché?”
“Per capire!” gridò Hylla. “I tuoi amici sono a pochi isolati di distanza. Vieni con me, o
devo dire loro che sei morta perché ti sei persa nel passato?”
“Io non sono l’unica che si è persa in questo posto!”
Hylla girò sui tacchi e uscì dalla porta principale.
Reyna si guardò attorno ancora una volta. Ricordava il suo ultimo giorno lì, quando aveva
dieci anni. Poteva quasi sentire il ruggito arrabbiato di suo padre echeggiare nella stanza
principale, il coro di lamenti dei fantasmi sui balconi.
Corse verso l’uscita. Venne colta dal caldo del sole pomeridiano estivo e scoprì che la strada
non era cambiata – le case fatiscenti di colori pastello, i ciottoli blu, decine di gatti che
dormivano sotto le macchine o all’ombra degli alberi di banana.
Reyna avrebbe provato nostalgia… se solo sua sorella non si trovasse a pochi metri di
distanza, di fronte ad Orione.
“Bene.” Il gigante sorrise. “Due figlie di Bellona assieme. Eccellente!”
Reyna si sentì personalmente offesa. Si era figurata Orione con un brutto demone
imponente, anche peggiore di Polibote, il gigante che aveva attaccato il Campo Giove.
Invece Orione avrebbe potuto passare per umano – un uomo alto, muscoloso, un umano
bellissimo.
La sua pelle aveva il colore del grano tostato. I capelli neri erano lunghi, ricadendo in
ciocche sopra le spalle. Con i pantaloni neri e la giacca di pelle, il coltello da caccia e il suo
arco con faretra, avrebbe potuto essere il fratello malvagio e più bello di Robin Hood. Solo i
suoi occhi rovinavano il tutto. A prima vista, sembrava indossare degli occhiali militari per
la visione notturna. Poi Reyna si rese conto che non erano occhiali. Erano l’aggeggio di
Efesto – occhi meccanici di bronzo inseriti nelle orbite del gigante.
Anelli di fuoco sputavano e fiammeggiavano mentre si concentrava su di Reyna. Le fiamme
passarono da un colore rosso al verde. Reyna ebbe la scomoda impressione che vedesse
molto più che la sua figura – la riconosceva dal calore che emanava, il suo battito cardiaco,
il suo livello di paura.
Al suo fianco teneva composto l’arco nero quasi sofisticato quanto i suoi occhi. Più stringe
correvano attraverso una serie di pulegge che sembravano ruote di vapore terreno in
miniatura. La presa era di lucido bronzo, tempestato di quadranti e pulsanti.
Non aveva una freccia incoccata. Non faceva mosse minacciose. Il suo sorriso era così
abbagliante che rendeva difficile ricordarsi che fosse il nemico – qualcuno che aveva ucciso
almeno una mezza dozzina di Cacciatrici ed Amazzoni per arrivare lì.
Hylla brandiva i suoi coltelli. “Reyna, vai. Mi occuperò io di questo mostro.”
Orione ridacchiò. “Hylla Twice-Kill, hai coraggio. Così come tutte le tue luogotenenti. Tutte
morte.”
Hylla fece un passo Avanti. Reyna la afferrò per un braccio. “Orione!” disse. “Hai già
abbastanza sangue di Amazzoni sulle mani. Forse è arrivato il momento che tu provi quello
romano.”
Gli occhi di un gigante cliccarono e si dilatarono. I punti rossi di laser galeggiarono
attraverso la corazza di Reyna.
“Ah, la giovane pretore. Lo ammetto, sono incuriosito. Prima che ti uccida, illuminami.
Perché una bambina di Roma dovrebbe percorrere tale tragitto per aiutare I greci? Hai
perso il tuo rango, abbandonato la tua legione, sei diventata una fuorilegge – e per cora?
Jason Grace ti ha umiliata. Percy Jackson ti ha rifiutata. Non eri… qual è la parola giusta…
abbastanza? ”
Le orecchie di Reyna ronzarono. Si ricordò degli avvisi di Afrodite, due anni prima a
Charleston: Non troverai l’amore che desideri o speri. Nessun semidio può
guarire il tuo cuore.
Si costrinse ad incontrare lo sguardo del gigante.
“Non mi definisco con i ragazzi che possono o meno piacermi.”
“Parole coraggiose.” Il sorriso del gigante era esasperante. “Ma tu non sei diversa dalle
Amazzoni , o delle Cacciatrici, o da Artemide stessa. Lei parla di forza e indipendenza. Non
appena vi trovate faccia a faccia con un uomo di vera prodezza, la vostra fiducia si sgretola.
Vi sentite minacciate dal mio dominio e da come esso vi attrae. Quindi scappate, o vi
arrendente, o morite.”
Hylla si scrollò dalla mano di Reyna. Ti ucciderò Gigante. Ti ridurrò a pezzi così piccoli–“
“Hylla,” la interruppe Reyna. Qualsiasi altra cosa fosse successa lì, lei non sarebbe rimasta
a guardare sua sorella morire. Reyna doveva mantenere il gigante concentrato su di lei.
“Orione, tu pretendi di essere forte. Ma non hai potuto mantenere i voti della caccia. Sei
stato respinto. E ora stai eseguendo i comandi di tua madre. Allora dimmi ancora una
volta, esattamente come cerchi di minacciarci?”
I muscoli della mascella di Orione si serrarono. Il suo sorriso era diventato più freddo e
sottile.
“Bel tentativo.” Ammise. “Speravi di sbilanciarmi. Pensi, forse, che se continui a parlarmi,
mi convinca a risparmiarti. Ahimè, Pretore, non avete più rinforzi. Ho bruciato la tana
sotterranea di tua sorella con il suo fuoco Greco. Non è sopravissuto nessuno.”
Hylla ruggì e attaccò. Orione la colpì con il carico del suo arco. Lei venne scaraventata
all’indietro in mezzo alla strada. Orione tirò una freccia fuori dalla sua faretra.
“Fermo!” urlò Reyna. Il cuore le martellava nella cassa toracica. Aveva bisogno di trovare la
debolezza del gigante. Baracchina era solo a pochi isolate di distanza. Se fossero riuscite ad
arrivarci, Nico avrebbe potuto essere in grado di trasportarle via di lì con il viaggio-ombra.
E le cacciatrici non potevano essere tutte morte… Stavano pattugliando tutto il perimetro
della città vecchia.
Sicuramente alcune di loro erano ancora là fuori… “Orione, mi hai chiesto che cosa mi
motiva.” Cercò di mantenere calmo il suo tono di voce. “Non vuoi avere una risposta prima
che ci uccida? Sicuramente ti farà sentire a pezzi, il fatto che le donne rifiutino un gran bel
ragazzo come te.”
Il gigante incoccò la freccia. “Ora mi stai scambiando per Narciso. Non mi può lusingare.”
“Certo che no,” disse Reyna. Hylla aveva uno sguardo omicida in volto, ma Reyna la
raggiunse con i suoi sensi, cercando di condividere con la sorella il più difficile tipo di forza
– la moderazione. “Deve farti… ancora infuriare. Prima sei stato ignorato da una
principessa mortale–”
“Merope.” Sogghignò Orione. “Una ragazza bella, ma stupida. Se avesse avuto cortezza,
avrebbe capito che stavo flirtando con lei.”
“Fammi indovinare,” disse Reyna. “Urlava e ha chiamato le guardie, invece.”
“Ero senza le mie armi, in quel momento. Non portavo il mio arco e i coltelli mentre
corteggiavo la principessa. Le guardie mi hanno portato via facilmente. Suo padre, il re, mi
accecò ed esiliò.”
Appena sopra la testa di Reyna, un ciottolo schizzò giù dal tetto di tegole di argilla. Poteva
essere stata la sua immaginazione, ma si ricordò che suonava come tutte quelle notti in cui
Hylla sgattaiolava fuori dalla sua stanza e strisciava lungo il tetto per vegliare su di lei.
Ci volle tutta la forza di volontà di Reyna per non alzare lo sguardo.
“Ma hai degli occhi nuovi,” disse al gigante. “Efesto ha avuto pietà di te.”
“Si…” Lo sguardo di Orione divenne confuso. Reyna poteva scommetterci, perché gli
obbiettivi in laser scomparvero dal suo petto. “Sono finito su Delos, dove ho incontrato
Artemide.Sapete come sia strano incontrare il proprio nemico mortale e finire per essere
attratto da lei?” Rise. “Pretore, che sto dicendo? Ovvio che lo sai. Forse tu provi per I
Greci, lo stesso che io ho sentito per Artemide – un fascino colpevole, un’ammirazione che
si trasforma in amore. Ma l’amore non è tanto diverso dal veleno, soprattutto quando
l’amore non viene ricambiato. Se non lo hai già capito, Reyna Ramirez-Arellano, lo farai
presto.”
Hylla zoppicò in avanti, i suoi coltelli ancora in mano. “Sorella, perché permetti a questa
bestia di parlarti? Abbattiamolo.”
“Ci proveresti?” rifletté Orione. “In molti ci hanno provato. Anche il fratello di Artemide,
Apollo, non è stato in grado di uccidermi nei tempi antichi addietro. Doveva usare dei
trucchi per cercare di sbarazzarsi di me.”
“Non gli piaceva il fatto che uscissi con sua sorella?” Reyna cercò di captare altri suoni sui
tetti, ma non sentì nulla.
“Apollo era geloso.” Le dita del gigante si arricciarono attorno alla sua corda. Poi le
ritrasse, sciogliendo il nodo del fiocco. “Temeva che potessi affascinare Artemide e che ella
dimenticasse i suoi voti di castità. E chi lo sa? Senza l’interferenza di Apollo, forse ci sarei
riuscito. Sarebbe stata più felice.”
“Come tua serva?” ringhiò Hylla. “La tua piccola e paziente casalinga?”
“Poco importa ora,” disse Orione. “In ogni caso, Apollo mi contaminò con la follia – la sete
di sangue di uccidere tutte le bestie della terra. Ne macellai a migliaia prima che mia
madre, Gea, finalmente mise fine alla mia furia. Ha convocato uno scorpione gigante dalla
terra. Mi pugnalò alla schiena e il suo veleno mi uccise. Le sono grato per questo.”
“Sei grato a Gea,” disse Reyna, “per averti ucciso.”
Gli occhi meccanici di Orione si ridussero in minuscoli punti luminosi. “Mia madre mi ha
mostrato la verità. Stavo combattendo contro la mia natura, e stavo per essere condotto
verso la miseria. I Giganti non sono fatti per amare i mortali o le divinità. Gea mi ha
aiutato ad accettare quello che sono. Alla fine tutti dobbiamo tornare a casa, pretore.
Dobbiamo abbracciare il nostro passato, per quanto amaro e scuro.” Puntò il mento verso
la villa dietro di lei. “Proprio come hai fatto tu. Hai la tua dose di fantasmi, eh?”
Reyna sfoderò la sua spada. ‘Non puoi imparare qualcosa dai fantasmi’, le aveva la
sorella. Forse non poteva neppure imparare qualcosa dai Giganti.
“Questa non è casa mia,” disse. “E noi non siamo uguali.”
“Ho visto la verità,” il Gigante suonò veramente divertito. “Ti aggrappi alla fantasia che i
tuoi nemici possano amarti. Non puoi, Reyna. Non c’è amore per te al Campo MezzoSangue.”
Le parole di Afrodite riecheggiarono nella sua testa: Nessun semidio può guarire il
tuo cuore.
Reyna studiò il bel viso crudele del gigante, i suoi ardenti occhi meccanici. Per un terribile
momento, poté capire come anche una dea, anche una ragazza eterna come Artemide,
potesse cadere alle parole smielate di Orione. “Avrei potuto ucciderti una ventina di volte a
quest’ora,” disse il Gigante. “Te ne rendi conto, non è vero. Permettimi di risparmiarti. Una
semplice dimostrazione di fedeltà è tutto ciò che mi serve. Dimmi dove si trova la statua.”
Reyna quasi non lasciò cadere la spade. Dov’è la statua… Orione non aveva localizzato
l’Athena Parthenos. Il camuffamento delle Cacciatrici aveva funzionato. Per tutto quell
tempo, il gigante aveva monitorato Reyna, il che significava, che anche se fosse morta
proprio in quel momento, Nico e Coach Hedge sarebbero stati al sicuro. La ricerca non era
stata condannata.
Si sentiva come se la sua armatura fosse aumentata di diversi chili. Lei rise. Il suono
riecheggiò fino in fondo alla strada di ciottoli.
“Phoebe ti ha superato in astuzia,” disse. “Per monitorare me, hai smarrito la statua. Ora i
miei amici sono liberi di continuare la loro missione.”
Orione arricciò le labbra. “Oh, li troverò, Pretore. Dopo che mi sarò occupato di te.”
“Allora suppongo,” disse Reyna, “che dovremo scontraci con te per prima cosa.”
“Questa è mia sorella,” disse Hylla con orgoglio.
Insieme gliela avrebbero fatta pagare.
Il primo colpo del gigante avrebbe infilzato Reyna, ma Hylla fu veloce. Tagliò la freccia a
mezz’aria e si lanciò su Orione. Reyna lo accoltellò al petto. Il gigante intercettò entrambi i
loro attacchi con il suo arco. Diede un calcio ad Hylla facendo finire contro il cofano in una
vecchia Chevy. Una mezza dozzina di gatti scapparono fuori di essa. Il gigante scattò, un
pugnale fermo in mano, e Reyna riuscì appena a schivare la lama.
Lo pugnalò di nuovo, strappandogli la giacca in pelle, ma riuscì solamente a sfiorargli il
petto.
“Combatti bene, Pretore,” ammise. “Ma non abbastanza bene da sopravvivere.”
Reyna fece estendere la sua lama in un pilum. “La mia morte non significa niente.”
Se i suoi amici fossero riusciti a continuare il loro viaggio in pace, era pienamente pronta a
scendere in battaglia. Ma prima aveva intenzione di ferire il gigante in modo così brutale
che non avrebbe dimenticato il suo nome.
“E che dire della morte di tua sorella?” chiese Orione. “Questo significa qualcosa?”
Prima che Reyna potesse sbattere le palpebre, lui scoccò una freccia facendola volare verso
il petto di Hylla. Un urlò scappò dalla gola di Reyna, ma in qualche modo Hylla aveva
catturato la freccia.
Hylla scivolò giù dal cofano della macchina e spezzò la freccia con una mano. “Io sono la
regina delle Amazzoni, idiota. Indosso la cintura regale. Con la forza che mi dà, vendicherò
le Amazzoni che hai ucciso oggi.”
Hylla afferrò il paraurti anteriore della Chevy e scaraventò l’intera macchina verso Orione,
con facilità, come se lo stesse spruzzando con l’acqua di una piscina.
La Chevy spinse Orione contro il uro di una casa vicina. Lo stucco si incrinò. Un albero di
banane si rovesciò. Altri gatti fuggirono.
Reyna corse verso il relitto, ma il gigante urlò e spinse via la macchina.
“Morirete insieme!” Promise. Due frecce apparvero dall’incoccata del suo arco, la corsa
completamente tirata indietro.
Poi i tetti esplosero con un rumore. “MUORI!” Gleeson Hedge cadde dietro Orione,
facendo schioccare la sua mazza da baseball sulla testa del gigante così forte da incrinare il
Lousville Slugger a metà.
Allo stesso tempo, Nico di Angelo cadde davanti ad Orione. Fece passare la sua spada dello
Stige attraverso la corda dell’arco del gigante, facendo scricchiolare gli ingranaggi e
facendo finire la stringa di centinaia di libre contro il naso di Orione come fosse una frusta.
“OOOOOOOOW!!” Orione barcollò all’indietro, lasciando cadere il suo arco.
Le Cacciatrici di Artemide apparvero lungo i tetti, riprendendo Orione di frecce d’argento
fino a farlo assomigliare ad un porcospino incandescente. Barcollò alla cieca, tenendosi il
naso, la faccia inzuppata da icore oro.
Qualcuno afferrò il braccio di Reyna. “Andiamo!” Thalia Grace era tornata.
“Vai con lei!” ordinò Hylla.
Il cuore di Reyna si sentiva come se fosse una cosa sconvolgente. “Sorella–”
“Dovete andarvene! ORA!” Era esattamente quello che Hylla le aveva ditto sei anni prima,
la note che erano fuggite dalla casa del loro padre. “Ritarderò Orio più a lungo possibile.”
Hylla afferrò una delle gambe del gigante. Gli fece perdere l’equilibrio e lo lanciò a diversi
isolati lungo la Calle San Jose, causando la costernazione generale di diverse decine di
gatti. Le cacciatrici gli corsero dietro, lungo i tetti, scoccando frecce che esplodevano con
del fuoco greco, inghirlando il gigante in fiamme.
“Tua sorella ha ragione,” disse Thalia. “Dovete andare.”
Nico e Hedge le arrivarono accanto, sembrando molto soddisfatti del loro lavoro. Erano
apparentemente stati a fare spese al negozio di souvenir del Baracchina, dove avevano
sostituito le loro vesti sporchi e a brandelli con indumenti tropicali.
“Nico,” disse Reyna, “Sembri–”
“Nessuna parola sulla camicia,” la avvertì. “Non una parola.”
“Perché siete venuti a cercarmi?” domandò lei. “Sareste potuti andare liberamente via. Il
gigante stava monitorando me. Se voi mi avesse lasciata–”
“Prego, Cupcake,” borbottò l’allenatore. “Non abbiamo intenzione di andarcene senza di te.
Ora diamoci una mossa… ” Lanciò un’occhiata oltre la spalla di Reyna e la sua voce vacillò.
Reyna si voltò.
Dietro di lei, I balconi del secondo piano della sua casa di famiglia erano affollati da figure
incandescenti: un uomo con la barba biforcuta e un’armatura arrugginita; un altro uomo
barbuto in abiti da pirata settecenteschi, la camicia costellata di fori da arma da fuoco; una
signora in una camicia da notte sanguinosa; un capitano americano Navy nelle sue vesti
bianche; e un’altra dozzina di persone che Reyna ricordava dalla sua infanzia – tutti che la
fissavano con espressione accusatorie, farfugliando con le loro voci nella loro mente:
Traditrice. Assassina.
“No…” Reyna sentiva come se fosse tornata ad avere dieci anni. Voleva rannicchiarsi in un
angolo della sua stanza e premersi le mani contro le orecchie per fermare il sussurro.
Nico la prese per un braccio. “Reyna, chi sono? Che stanno–”
“Non posso,” disse. “Io – non posso.”
Aveva trascorso così tanti anni a sviluppare un muro per tenere lontana la paura. Ora, si
era rotto. La sua forza se ne era andata.
“Va tutto bene.” Nico alzò lo sguardo verso I balconi. I fantasmi scomparvero, ma Reyna
sapeva che non se ne erano realmente andati. “Ti porteremo via da qui,” promise Nico.
“Muoviamoci.”
Thalia prese l’altro braccio di Reyna. Loro quattro corsero verso il ristorante e l’Athena
Parthenos. Dietro di loro, Reyna sentì Orione ruggire per il dolore, il fuoco greco esplodere.
E nella sua mente le voci ancora sussurrarle: ‘Assassina. Traditrice. Non sarai mai
libera dai tuoi crimini.’
XXV
J
a
s
o
n
JASON ERA PASSATO DALLO STARE SU UN LETTO DI MORTE al poter affogare assieme a tutto il
resto dell’equipaggio.
La nave si era inclinata così violentemente che dovette risalire il pavimento per uscire
dall’infermeria. Lo scafo scricchiolò. Il motore gemette come un bufalo morente. Tagliando
attraverso il rombo del vento, la dea Nike gridava dalla scuderia: “PUOI FARE DI
MEGLIO, TEMPESTA! MOSTRAMI IL CENTODIECI PER CENTO!”
Jason si arrampicò per le scale verso il ponte centrale. Le gambe tremanti. La testa gli
girava. La nave si scontrò con il porto, scaraventandolo contro il muro opposto.
Hazel barcollò fuori dalla sua cabina, tenendosi lo stomaco. “Odio l’oceano!”
Quando lo vide, i suoi occhi si spalancarono. “Cosa stai facendo fuori dal letto?”
“Vado di sopra!” insistette. “Posso aiutare!”
Hazel sembrava voler ribattere. Poi la nave si raddrizzò e lei barcollò verso il bagno, la
mano sulla bocca.
Jason si fece strada verso le scale. Non usciva dal letto da un giorno e mezzo, da quando le
ragazze erano tornate da Sparta ed era inaspettatamente crollato. I suoi muscoli si
ribellavano alla fatica. Sentiva l’intestino come se Michael Varus fosse in piedi davanti a
lui, accoltellandolo ripetutamente e gridando, ‘Muori come un Romano! Muori come
un Romano!’
Jason fu costretto a terra dal dolore. Era stanco che le persone si prendessero cura di lui,
sussurrando come se fossero preoccupati. Era stanco di sognare di essere su uno spiedo
per kebab. Aveva trascorso abbastanza tempo a curare la ferita nel ventre. Che lo avrebbe
ucciso o meno. Non aveva intenzione di aspettare e lasciare che fosse la ferita a deciderlo.
Doveva aiutare i suoi amici.
In qualche modo riuscì ad arrivare sul ponte superiore.
Quello che vide gli fece quasi venire la nausea come ad Hazel. Un’onda delle dimensioni di
un grattacielo si schiantò sul ponte di prua, lavando le balestre anteriori e metà del porto
per poi tornare nel mare. Le vele erano ridotte a brandelli. I lampi balenavano tutt’intorno,
colpendo il mare come fossero faretti. La pioggia bagnò il volto di Jason. Le nubi erano così
scure che non poteva dire con sicurezza se fosse giorno o notte.
L’equipaggio stava facendo quello che poteva… che non era molto.
Leo si era scagliato alla console con una corda elastica per il cablaggio. Poteva sembrare
una buona idea quando la rimetteva a posto, ma ogni volta che un’onda la colpiva lo
spazzava via, per poi rispedirlo alla scheda di controllo come un paddleball umano.
Piper e Annabeth stavano cercando di salvare il carico. Da quando erano state a Sparta
erano diventate una vera squadra – erano in grado di lavorare insieme senza nemmeno
parlare, il che era un’ottima cosa, dal momento che non avrebbero potuto sentirsi con il
rumore della tempesta.
Frank – o almeno Jason aveva assunto che fosse Frank – si era trasformato in un gorilla.
Stava oscillando a testa in giù cercando di tenere la nave dritta, usando la forza massiccia e
suoi piedi flessibili per cercare di tenere assieme alcuni remi rotti. A quanto pareva
l’equipaggio stava cercando di far alzare la nave in volo, ma, anche se fossero riusciti a
decollare, Jason non era sicuro che il cielo sarebbe stato più sicuro.
Anche Festus la polena stava cercando di aiutare. Eruttava fuoco alla pioggia, anche se
questo non sembrava scoraggiare la tempesta.
Solo Percy stava avendo qualche fortuna. Era posto vicino all’albero maestro al centro,
tendendo le mani come se fosse su una corda teta. Ogni volta che la nave si inclinava, la
spingeva nella direzione opposta stabilizzando lo scafo. Richiamava giganti pugni di acqua
dall’oceano e li fiondava nelle onde più grandi prima che potessero raggiungere il ponte,
facendo sembrare che il mare si stesse colpendo ripetutamente in faccia da solo.
Con una tempesta così brutta come davvero era, Jason si rese conto che la nave si sarebbe
già capovolta o sarebbe stata fatta a pezzi se Percy non fosse stato pronto ad intervenire.
Jason barcollò fino all’albero. Leo urlò qualcosa – probabilmente ‘Torna di sotto!’ – Ma
Jason gli fece solamente un cenno di rimando. Arrivò al fianco di Percy e gli afferrò la
spalla.
Percy annuì come ‘si. Non sembrava sconvolto, o ansioso di chiedere a Jason di ritornare
in infermeria, e Jason lo apprezzò.
Percy sarebbe potuto rimanere asciutto concentrandosi, ma evidentemente aveva cosa più
importanti di cui preoccuparsi in quel momento. I suoi capelli scuri gli erano incollati in
faccia. Gli abiti erano zuppi e strappati.
Urlò qualcosa all’orecchio di Jason, ma lui riuscì a sentire solamente qualche parola:
“COSA… GIU’… FERMALA!”
Percy puntò sul lato opposto.
“Qualcosa sta causando la tempesta?” chiese Jason.
Percy strinse i denti e si tappò le orecchie. Ovviamente, non riusciva a sentire una parola.
Fece un gesto con la mano come quello per le immersioni in mare. Poi batté sul petto di
Jason.
“Vuoi che me ne vada?” Jason lo sentì come una specie di onorificenza. Tutti gli altri lo
stavano trattando come un baso di vetro, ma Percy… beh, sembrava capire che se Jason era
sul ponte era perché era pronto all’azione.
“Ne sarei felice!” gridò Jason. “Ma io non riesco a respirare sott’acqua!”
Percy si strinse nelle spalle. ‘Spiacente, ma non posso sentirti.’
Poi Percy corse a poppa, spingendo un’altra massiccia ondata lontano dalla nave e saltò
fuori dal bordo.
Jason guardò Piper e Annabeth. Entrambe si tenevano aggrappate al corrimano, fissandolo
sconvolte. L’espressione di Piper diceva, ‘Sei fuori di testa?’
Le fece un segno di ‘okay’, in parte per rassicurarla che sarebbe stato bene (anche se non
ne era sicuro), in parte perché era d’accordo sul fatto di essere folle (cosa di cui era sicuro).
Barcollò alla ringhiera e osservò la tempesta.
I venti infuriavano. Le nuvole si mescolavano. Jason percepì un intero esercito di venti
vorticare sopra di lui, troppo arrabbiati e agitate per prendere una forma fisica, ma
affamati di distruzione.
Alzò il braccio e richiamò un lasso di vento. Jason aveva imparato da tempo che il modo
migliore per controllare una folla di bulli fosse quello di parlare con il più cattivo, il
ragazzone più grosso, e costringerlo a sottomettersi. Poi gli altri sarebbero caduti uno
dietro l’altro. Scagliò un’ondata di vento, alla ricerca del più forte, il ventus più scontroso
nella tempesta.
Raccolse un certo numero di cumulonembi e li trasse a sé. “Oggi mi servite.”
Le nubi sembravano protestare, il ventus lo circondò. La tempesta sopra la nave sembrò
diminuire un po’, come se gli altri venti stessero pensando, ‘Oh,cavolo. Quel ragazzo
è notevole.’
Jason levitò dal ponte, racchiuso nel suo tornado personale. Come stappato da un
cavatappi, si tuffò in acqua. Jason pensò che le cose sarebbero state più tranquille lì sotto
Non fu così.
Naturalmente, poteva essere a causa della sua modalità di viaggio. Formare un ciclone sul
fondo dell’oceano gli donò una turbolenza inaspettata. Si lasciò affondare e si buttò senza
una logica apparente, le sue orecchie si tapparono, il suo stomaco si pressò contro le
costole.
Finalmente scivolò fino a fermarsi accanto a Percy, il quale stava sulla sporgenza di un
baratro profondo.
“Ehy,” gli disse Percy.
Jason riusciva a sentirlo perfettamente, anche se non era sicuro del come. “Cosa succede?”
Nel suo bozzolo di aria di ventus, la sua voce suonava come se stesse parlando attraverso
un aspirapolvere.
Percy indicò nel vuoto. “Aspetta.”
Tre secondi dopo, un raggio di luce verde si fece largo attraverso l’oscurità, come un
riflettore, poi scomparve.
“C’è qualcosa laggiù,” disse Percy, “sta fomentando la tempesta.” Si voltò e fece aumentare
le dimensioni del tornado di Jason. “Ottima idea. Riesci a tenerlo assieme anche se
andiamo in profondità?”
“Non ho neppure idea di come ci stia riuscendo.” ammise Jason.
“Okay,” disse Percy. “Beh, basta che tu non perda i sensi.”
“Zitto, Jackson.”
Percy sorrise. “Vediamo cosa c’è laggiù.”
Andarono talmente in profondità che Jason non riuscì a vedere nulla, tranne Percy che
nuotava accanto a lui nella penombra delle loro lame di oro e bronzo.
Ogni tanto il faro verde veniva sparato verso l’alto. Percy nuotò dritto verso di esso.
Il ventus di Jason crepitava e ruggiva, sforzandosi di fuggire. L’odore dell’ozono lo stordì
un po’, ma mantenne lo scudo di aria intatto.
Alla fine, l’oscurità diminuì sotto di loro.
Piccole e flebili macchie luminose, come un gruppo di meduse, galleggiarono sotto gli occhi
di Jason. Mentre si avvicinavano al fondo marino, si rese conto che le macchie brillavano
in campi di alghe che circondavano un palazzo. Il fango roteava attraverso i cortili vuoti
con pavimenti in abalone. Le colonne greche comparivano nell’oscurità. Al centro del
complesso vi era una cittadella più grande della Grand Central Station, le pareti
incastonate da perle, il tetto a cupola dorato crepato come un uovo.
“Atlantide?” Chiese Jason.
“Quello è un mito,” disse Percy.
“Uh… non abbiamo a che fare con dei miti?”
“No, voglio dire che è un mito inventato. Non è come un mito vero e proprio.”
“Quindi questo è il motivo per cui è Annabeth il cervello dell’operazione?”
“Zitto, Grace.”
Nuotarono attraverso la cupola rotta finendo nell’ombra.
“Questo posto sembra familiare.” La voce di Percy divenne tagliente. “Quasi come se fossi
già stato qui–”
Il faro verde balenò direttamente sotto di loro, accecando Jason.
Si lasciò cadere come una pietra, atterrando sul pavimento di marmo liscio. Quando la sua
visione si schiarì, vide che non erano soli.
In piedi davanti a loro c’era una donna di dieci metri di altezza in un vestito verde, stretto
in vista da una cintura di conchiglie abalone. La sua pelle era lattea e luminosa come i
campi di alghe. I suoi capelli ondeggiavano e brillavano come volute di meduse.
Il suo viso era bello, ma soprannaturale – i suoi occhi erano troppo luminosi, i suoi
lineamenti troppo delicati, il suo sorriso troppo freddo, cose se avesse studiato i sorrisi
umani e non riuscisse ancora a padroneggiarne l’arte.
Le sue mani si posarono su un disco di lucido metallo verde di circa tre metri di diametro,
seduta su un tripode di bronzo. Ricordò a Jason di un fusto di acciaio che aveva visto una
volta usare in uno spettacolo stradale al Embarcadero a San Francisco.
La donna girò il disco di metallo come fosse un volante. Un raggio di luce venne sparato
verso l’alto, tagliando l’acqua, scuotendo le mura del vecchio palazzo. Dei frammenti di
cupola rotta caddero giù a rallentatore.
“Stai causando una tempesta,” disse Jason.
“Invero, è così.” La voce della donna era melodica – eppure aveva una strana risonanza,
come se si estendesse oltre la gamma dell’udito umano.
La pressione premeva gli occhi di Jason. Quasi temeva che sarebbero potuti esplodere.
“Va bene, ci provo io.” Disse Percy. “Chi sei, e cosa vuoi?”
La donna si voltò verso di lui. “Perché sono tua sorella, Perseus Jackson. E volevo
incontrarti prima di morire.”
XXVI
J
a
s
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JASON VIDE DUE OPZIONI: LOTTARE O PARLARE.
Di solito, di fronte ad un’inquietante signorina alta dieci metri con capelli di meduse, si
sarebbe orientato sul combattimento. Ma dal momento che aveva chiamato Percy
fratello – quello lo fece esitare.
“Percy, conosci questa… questo individuo?”
Percy scosse la testa. “Non assomiglia a mia mamma, quindi penso che siamo imparentati
sul lato divino. È una figlia di Poseidone, signorina…uh…?”
La signorina pallida strisciò le unghie contro il disco di metallo, producendo un suono
stridente come una balena sotto tortura. “Nessuno mi conosce,” sospirò. “Perché dovrei
assumere che il mio stesso fratello mi avrebbe riconosciuto? Sono Kymopoleia!”
Percy e Jason si scambiarono un’occhiata.
“Dunque…” disse Percy. “Ti chiameremo Kym. E tu saresti una, hmm, Nereide, quindi?
Una dea minore?”
“Minore?”
“Nel senso,” disse in fretta Jason, “che non hai ancora l’età per bere! Perché ovviamente sei
giovane e bella.”
Percy gli lanciò un’occhiata: ‘Bel salvataggio’.
La dea rivolse la sua attenzione su Jason. Puntò l’indice e tracciò la sua sagoma nell’acqua.
Jason sentì il suo spirito dell’aria incresparsi attorno a lui, come un solletichino.
“Jason Grace,” disse la dea. “Figlio di Giove.”
“Già. Sono un amico di Percy.”
Kym strizzò gli occhi. “Dunque è vero… di questi tempi si stringono amicizie strane e ci si
fanno nemici inaspettati. I Romani non mi hanno mai adorato. Per loro ero una paura
senza nome – un segno della grandezza di Nettuno. Non hanno mai adorato Kymopoleia,
la dea del maremoto violento!”
Girò il disco. Un altro fascio di luce verde balenò verso l’alto, trapassando l’acqua e
scuotendo le rovine.
“Uh, già,” disse Percy. “I romani non sono grandi navigatori. Avevano, qualcosa come una
barca a remi. Che ho fatto affondare. Parlando di temporali violenti, stai facendo un lavoro
di prim’ordine al piano di sopra.”
“Grazie,” disse Kym.
“Il fatto è che, hai coinvolto la nostra nave, e sta per distruggersi. Sono sicuro che non
volevi–”
“Oh, si invece.”
“Volevi.” Percy fece una smorfia. “Beh… che cavolo. Non credo che tu ci lasci stare, allora,
anche se te lo chiediamo con gentilezza?”
“No,” concordò la dea. “Anche adesso, la nave è vicina al naufragio. Sono piuttosto
sorpresa che l’abbiate tenuta insieme così a lungo. Ottima fattura.”
Delle scintille svolazzarono dalle braccia di Jason nel tornado. Pensò a Piper e al resto
dell’equipaggio che stavano cercando freneticamente di tenere salda la nave. Andando lì,
lui e Percy avevano lasciato gli altri indifesi. Dovevano fare presto. Inoltre, l’aria di Jason
stava diventando stantia. Non era sicuro se fosse possible utilizzare un ventus per inalare,
ma, se avesse dovuto combattere, era meglio battere Kym prima di restare senza ossigeno.
Il problema era… combattere una dea nella sua stessa casa non sarebbe stato facile. Anche
se sarebbero riusciti a sconfiggerla, non vi era alcuna garanzia che la tempesta si sarebbe
fermata.
“Quindi…Kym,” disse, “Cosa potremmo fare per farti cambiare idea e lasciare andare la
nostra nave?”
Kym gli fece quel sorriso alieno e raccapricciante. “Figlio di Giove, sai dove sei?”
Jason era stato tentato di rispondere ‘sott’acqua.’ “Vuoi dire queste rovine. Un antico
palazzo?”
“Infatti,” disse Kym. “Il palazzo originale di mio padre, Poseidone.”
Percy fece schioccare le dita, il che sembrò un’esplosione soffocata. “Ecco perché l’ho
riconosciuto. Il nuovo domicilio di Papà nell’Atlantico è un po’ tipo questo.”
“Non saprei,” disse Kym. “Non sono mai stata invitata ad andare a trovare i miei genitori.
Posso passeggiare solo per le rovine dei loro vecchi domini. Trovano la mia presenza…
dirompente.”
Girò di nuovo la ruota. L’intera parete posteriore dell’edificio collassò, inviando una nuvola
di limo e alghe per la camera. Fortunatamente il ventus agì come un ventilatore, soffiando i
detriti lontano dal volto di Jason.
“Dirompente?” disse Jason. “Tu?”
“Mio padre non mi accoglie nella sua corte,” disse Kym. “Limita i miei poteri. La tempesta
qui sopra? Non ho potuto divertirmi tanto da un sacco di tempo, ma è solo un piccolo
assaggio di quello che posso fare!”
“Poco ma sicuro.” disse Percy. “Comunque sia, la domanda di Jason riguardo al farti
cambiare idea–”
“Mio padre mi diede in sposa,” disse Kym, “Senza il mio consenso. Mi diede via come un
trofeo a Briareo, un gigante centimano , come ricompensa per il sostegno agli dei nella
guerra contro Crono eoni fa.”
Il volto di Percy si illuminò. “Ehy, conosco Briareo. È un mio amico! L’ho liberato da
Alcatraz.”
“Si, lo so.” Gli occhi di Kym scintillarono freddamente “Odio mio marito. Non ero affatto
contenta di riaverlo.”
“Oh. Allora… Briareo è qui in giro?” chiese Percy speranzoso.
La risata di Kym sembrò il verso di un delfino.
“È al Monte Olympo a New York, controlla le difese per gli dei. Non che importi. Quello che
voglio dire, caro fratello, è che Poseidone non mi ha trattata lealmente. Mi piace venire qui,
nel suo vecchio palazzo, perché mi piace vedere le sue opere in rovina. Un giorno, presto il
suo nuovo palazzo sarà simile a questo, e il mare si scatenerà incontrollato.”
Percy guardò Jason. “Questa è la parte in cui ci dice che sta lavorando per Gea.”
“Si,” concordò Jason. “E che la Madre Terra le ha promesso un accordo migliore una volta
che gli dei saranno distrutti, blah, blah, blah.” Si rivolse a Kym. “Sei consapevole che Gea
non manterrà le sue promesse, vero? Ti sta usando, proprio come fa con i giganti.”
“Sono commossa per la vostra preoccupazione,” disse la dea. “Gli dei dell’olimpo, d’altra
parte, non mi hanno mai usata, eh?”
Percy allargò le braccia. “Almeno gli Olimpici ci hanno provato. Dopo l’ultima Guerra
contro i Titani, hanno cominciato a prestare più attenzione agli altri dei. Molti di loro
hanno delle cabine al Campo Mezzosangue adesso: Hecate, Hades, Hebe, Hypnos… uh, e
probabilmente alcuni che non iniziano per H. Diamo loro delle offerte ad ogni pasto, cose
fighe, speciali riconoscimenti alla fine del programma-estivo –”
“E io otterrei tali offerte?” chiese Kym.
“Beh… no. Non sapevamo della tua esistenza. Ma–”
“Allora sono parole a vuoto, fratello.” I capelli di meduse di Kym galleggiarono verso di lui,
come se fossero ansiose di paralizzare la loro nuova preda. “Ho sentito tanto parlare del
grande Percy Jackson. I giganti sono abbastanza ossessionati dalla tua cattura. Devo dire…
che non vedo quale sia il problema.”
“Grazie, sore. Ma, se hai intenzione di cercare di uccidermi, devo avvertirti su chi ci ha
provato prima. Ho affrontato un sacco di dee ultimamente – Nike, Akhlys, anche Nyx
stessa. Comparata a loro, tu non mi fai paura. Inoltre, ridi come un delfino.”
Le delicate narici di Kym svasarono. Jason preparò la spada.
“Oh, io non ti ucciderò,” disse Kym. “La mia parte del patto era semplicemente quella di
catturare la vostra attenzione. C’è qualcun altro è qui, però, che vuole uccidervi.”
Sopra di loro, sul bordo del tetto rotto, apparve una sagoma scura – molto più alta rispetto
a Kymopoleia.
“Figlio di Nettuno,” tuonò una voce profonda.
Il gigante galleggiò giù. Le nuvole scure di fluido viscoso – veleno, forse – si arricciarono
dalla pelle blu. La sua corazza verde era stata modellata per assomigliare ad un gruppo di
bocche affamate aperte. Nelle sue mani erano strette delle armi a retiarius – un tridente e
una piccola rete.
Jason non aveva mai incontrato quel particolare gigante, ma aveva sentito alcune storie.
“Polibote,” disse, “l’anti-Poseidone.”
Il gigante scosse i suoi rasta. Una dozzina di serpenti nuotarono in libertà – ognuno verde
lime con una corona svolazzante intorno alla testa. Basilischi.
“Infatti, figlio di Roma,” disse il gigante. “Ma, se vuoi scusarmi, il mio immediate interesse
va a Perseus Jackson. L’ho seguito attraverso tutto il Tartaro. Ora, qui nelle rovine di suo
padre lo schiaccerò una volta per tutte.”
XXVII
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s
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n
JASON ODIAVA I BASILISCHI.
I piccoli ventose-a-freccia amavano scorrazzare sotto i templi a Nuova Roma. Quando
Jason era centurione, la sua coorte aveva sempre il ripugnante compito di disinfestare i
loro nidi.
Un basilisco non era poi chissà che cosa – solo un serpente della lunghezza di un braccio,
con gli occhi gialli e una macchia bianca dalla forma di un diadema – ma si muove
velocemente e può uccidere qualsiasi cosa che tocca. Jason non ne aveva mai affrontato più
di uno per volta. Ora ce ne erano una dozzina che nuotavano attorno alle gambe del
gigante. L’unica cosa buona: sott’acqua i basilischi non sarebbero stati in grado di sputare
fuoco, ma la cosa non li rendeva meno letali.
Due dei serpenti circondarono Percy. Lui li tagliò in due. Gli altri dieci si misero a
turbinargli intorno, appena fuori dalla portata della lama. Si contorcevano avanti e
indietro con ritmo ipnotico, alla ricerca di un varco. Un solo morso, un solo tocco era tutto
ciò che bastava.
“Ehy!” Gridò Jason. “Che ne dite di un po’ di amore anche qui?”
I serpenti lo ignorarono. Così come il gigante, che stava indietro a guardare con un sorriso
compiaciuto, apparentemente felice che i suoi animaletti domestici compissero l’uccisione.
“Kymopoleia.” Jason fece del suo meglio per pronunciare correttamente il suo nome. “Devi
fermare tutto questo.”
Lei lo guardò con i suoi luminosi occhi bianchi. “Perché dovrei? La Madre Terra mi ha
promesso un potere illimitato. Potresti farmi un’offerta migliore?”
Un’offerta migliore…
Sentiva la possibilità di un’uscita – spazio per negoziare. Ma cosa potrebbe volere una dea
della tempesta? I basilischi si chiusero attorno a Percy. Lui li fece balzare via grazie alle
correnti acquatiche, ma loro continuarono a volteggiargli attorno.
“Ehy, basilischi!” gridò Jason.
Ancora nessuna reazione. Poteva correre ad aiutarlo, ma anche se fossero stati assieme non
avrebbero potuto battere dieci basilischi in una volta. Aveva bisogno di una soluzione
migliore.
Alzò gli occhi. Il temporale imperversava sopra di loro, ma erano a centinaia di metri più in
basso.
Non poteva evocare fulmini sul fondo del mare, giusto? Anche se avesse potuto, l’acqua
avrebbe condotto l’elettricità un po’ troppo bene. Avrebbe potuto friggere Percy.
Ma non riusciva a pensare ad una soluzione migliore. Sfoderò la spade. Nell’immediato la
lama diventò rovente.
Una nube di luce gialla si dissolse nelle profondità, come se qualcuno avesse versato del
neon liquido nell’acqua. La luce colpì la spada di Jason spruzzando verso l’esterno dieci
viticci che andarono a colpire i basilischi. I loro occhi si oscurarono. I loro diademi si
disintegrarono. Tutti e dieci i serpenti si capovolsero a pancia in su, galleggiando morti
nell’acqua.
“La prossima volta,” disse Jason. “Guardatemi quando sto parlando.”
Polibote fece un sorriso indurito “Sei ansioso di morire, Romano?”
Percy alzò la spada. Si scagliò contro il gigante, ma Polybote mosse la mano nell’acqua,
rilasciando un arco di oleoso veleno nero. Percy avanzò ancora prima che Jason avesse il
tempo di urlare: Amico, a cosa stai pensando?
Percy calò Vortice. Trasalì, con un groppo in gola. Il gigante gettò la sua enorme rete e
Percy crollò a terra, impigliato mentre il veleno si addensava intorno a lui.
“Lascialo andare!” la voce di Jason si incrinò per il panico.
Il gigante ridacchiò. “Non preoccuparti, figlio di Giove. Il tuo amico ci metterà molto
tempo per morire. Dopo tutti i guai che mi ha provocato, non mi sognerei mai di ucciderlo
in fretta.”
Altri nubi nocive si svilupparono attorno al gigante, inondando le rovine come un denso
fumo di sigaro.
Jason balzò all’indietro, non abbastanza velocemente, ma il suo ventus si rivelò un utile
filtro. Come il veleno lo avvolse, il tornado in miniatura volteggiò più veloce, respingendo
la nube. Kymopoleia arricciò il naso e agitò una mano scacciando l’oscurità, ma per il resto
non sembrò influenzarla.
Percy si contorse nella rete, il volto stava diventando verde. Jason si avvicinò per aiutarlo,
ma il gigante lo bloccò il suo enorme tridente.
“Oh, non posso lasciarti rovinare il mio divertimento,” lo rimproverò Polibote. “Il veleno lo
ucciderà alla fine, ma prima arriva la paralisi e ore di dolore lancinante Io voglio che lui
provi l’intera esperienza! Potrà guardare mentre io ti distruggo, Jason Grace!”
Polibote avanzò lentamente, dando a Jason tutto il tempo per contemplare i tre strati di
armatura e muscoli questi si piombarono su di lui.
Schivò il tridente e, usando il suo ventus per balzare in avanti, conficcando la sua spada
nella gamba rettile del gigante. Polibote ruggì e inciampò, dell’icore dorato sgorgò dalla
ferita.
“Kym!” gridò Jason. “È davvero questo che vuoi?”
La dea della tempesta sembrò piuttosto annoiata, pigramente girò il suo disco di metallo.
“Poteri illimitati? E perché no?”
“Ma sarebbe così divertente?” chiese Jason. “Così distruggeresti la nostra nave.
Distruggerai l’intera linea costiera del mondo. Una volta che Gea avrà spazzato via l’intera
umanità, chi rimarrà per temerti? Rimarrai comunque sconosciuta.”
Polibote si girò. “Sei un parassita, figlio di Giove. Verrai schiacciato!”
Jason cercò di invocare altri fulmini. Non successe niente. Se mai avesse conosciuto suo
padre, avrebbe dovuto presentare una petizione per avere la possibilità di usare più
fulmini.
Jason riuscì ad evitare nuovamente il tridente, ma il gigante lo roteò in modo da colpirlo
con l’altra estremità nel petto. Jason indietreggiò, stordito e dolorante.
Polibote avanzò per ucciderlo. Poco prima che il tridente lo perforasse, il ventus di Jason
agì da solo. La spirale si allargò, scaraventando Jason a una ventina di metri per il cortile.
‘Grazie, amico,’ pensò Jason. ‘ti devo un deodorante per ambienti.’
Se al ventus piacesse quell’idea, Jason non sapeva dirlo.
“In realtà, Jason Grace,” disse Kym, studiandosi le unghie. “Ora che me lo dici, mi piace
essere temuta dai mortali. Non sono temuta abbastanza.”
“Per questo posso aiutarti!” Jason schivò un altro colpo del tridente. Estese il suo gladio
in un giavellotto e lo conficcò nell’occhio di Polibote.
“AUGH!” il gigante barcollò.
Percy si contorse nella rete, ma i suoi movimenti erano sempre più lenti. Jason aveva
bisogno di fare in fretta. Doveva arrivare Percy in infermeria, e se la tempesta sarebbe
continuata a infuriare sopra di loro non ci sarebbe più stata alcuna infermeria in cui
portarlo.
Volò al fianco di Kym. “Sai che gli dei dipendono dai mortali Più vi onoriamo, più diventate
potenti.”
“Non saprei. Non sono mai stata onorata!” Lei ignorò Polibote, che ora fuggì vicino a lei,
cercando di tirare fuori Jason dal suo vortice. Jason fece del suo meglio per mantenere la
dea tra di loro.
“Posso cambiare la situazione,” promise. “Organizzerò personalmente un santuario per te
sulla Collina dei Templi a Nuova Roma. Il tuo primissimo tempio Romano! Ne farò uno
anche al Campo Mezzosangue, proprio sulle rive del Long Island Sound. Immaginalo,
essere onorata-”
“E temuta.”
“ – e temuta sia dai greci che dai Romani. Sarai famosa!”
“Smettila di parlare!” Polibote mosse il suo tridente come una mazza da baseball. Jason si
chinò. Kym non lo fece. Il gigante colpì la sua cassa toracica così forte che le ciocche di
capelli di medusa si sciolsero e andarono alla deriva attraverso l’acqua avvelenata.
Gli occhi di Polibote si spalancarono. “Mi dispiace, Kymopoleia. Non sarebbe dovuta
andare in questa direzione!”
“IN QUESTA DIREZIONE?” la dea si raddrizzò. “Io sarei in questa direzione.”
“Lo hai sentito,” disse Jason. “Non sei altro che uno strumento per i giganti. Verrai messa
da parte una volta che avranno finito di distruggere i mortali. Poi non ci saranno più
semidei, più santuari, nessuna paura, nessun rispetto.”
“MENZOGNE!” Polibote cercò di inforcarlo, ma Jason si nascose dietro la veste della dea.
“Kymopoleia, quando Gea dominerà, scatenerai la tua ira e la tua tempesta senza ritegno!”
“Ci saranno mortali da terrorizzare?” domandò Kym.
“Beh…no.”
“Navi da distruggere? Semidei ad inchinarsi per onorarmi?”
“Um…”
“Aiutami,” la esortò Jason. “Insieme, una dea e un semidio possono uccidere un gigante.”
“No!” Polibote improvvisamente sembrò molto nervoso. “No, questa è una pessima idea.
Gea ne sarà molto dispiaciuta!”
“Se Gea si svegliasse,” disse Jason. “La possente Kymopoleia può aiutarci a fare in modo
che questo non accada mai. Poi tutti i semidei la onorerebbero per un sacco di tempo!”
“Si inchineranno?” chiese Kym.
“Faranno un sacco di inchini! Inoltre il tuo nome apparirà nel programma estivo. Avrai un
banner personalizzato. Una cabina al Campo Mezzosangue. Due santuari. Ci butto anche
un action-figures di Kymopoleya.”
“No!” gemette Polibote. “Non puoi farti comprare così!”
Kymopoleia si girò verso il gigante. “Mi spaventa ciò che Gea mi ha offerto.”
“Inaccettabile!” gridò il gigante. “Non ti puoi fidare di questo vile romano!”
“Se non onoro il patto,” disse Jason. “Kym potrà sempre uccidermi. Con Gea, lei non ha
alcuna garanzia per nessuno.”
“Questo,” disse Kym, “è difficile da mettere in discussione.”
Come Polibote cercò di rispondere, Jason caricò in avanti e lo pugnalò con il giavellotto
nell’addome.
Kym sollevò il disco di bronzo dal suo piedistallo. “Di addio, Polibote.”
Lei posizionò il disco verso il collo del gigante. Lo girò, rendendolo tagliente. Polibote
trovò difficile dire addio, dato che non aveva più la testa.
XXVIII
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n
“IL VELENO E’ UNA PESSIMA ABITUDINE.” Kymopoleia agitò la mano e le nubi oscure si
dissiparono. “Il veleno di seconda mano può uccidere una persona,sapete?”
Jason non era molto simpatizzante nemmeno per il veleno di prim’ordine, ma decise di
non parlarne. Tirò Percy fuori dalla rete e lo sistemò contro il muro del tempio,
avvolgendolo nel guscio di aria del ventus. L’ossigeno si assottigliò, ma Jason sperava di
riuscire ad aiutare il suo amico ad espellere il veleno dai polmoni.
E sembrava funzionare. Percy si piegò in due e cominciò a vomitare. “Ugh. Grazie.”
Jason sospirò sollevato. “Mi hai fatto preoccupare, fratello.”
Percy sbatté le palpebre. “Sono ancora un po’ confuso. Ma hai promesso… un actionfigures di Kym?”
La dea si avvicinò a loro. “In effetti lo ha fatto. E mi aspetto che lui lo faccia.”
“Lo farò,” disse Jason. “Quando vinceremo questa guerra, mi assicurerò che tutti gli dei
vengano riconosciuti.” Mise una mano sulla spalla di Percy. “Il mio amico qui ha iniziato
questa cosa la scorsa estate. Ha fatto promettere agli dei dell’Olimpo di fare più attenzione
a voi ragazzi.”
Kym sniffò. “Sappiamo quanto valga una promessa olimpica.”
“Ed è per questo che finirò il lavoro.” Jason non sapeva da dove giungessero quelle parole,
ma l’idea gli sembrò assolutamente giusta. “Mi assicurerò che nessuno degli dei si
dimentichi dei due Campi. Forse creeranno templi, o cabine, o almeno dei santuari - ”
“O carte collezionabili,” suggerì Kym.
“Certamente.” Jason sorrise. “Farò avanti e indietro tra i due campi fino a quando il lavoro
non sarà compiuto.”
Percy fischiò. “Stai parlando di decine di divinità.”
“Centinaia,” lo corresse Kym.
“Bene, allora,” disse Jason, “richiederà del tempo. Ma sarai la prima della lista, Kymopoleia… la dea della tempesta che decapitò un gigante e salvò la nostra missione.-”
Kym si accarezzò i capelli di meduse. “Molto bene.” Lei considerò Percy. “Anche se sono
ancora dispiaciuta per non vederti morire.”
“Me lo hanno detto molto spesso,” disse Percy. “Ora, a proposito della nostra nave –”
“Ancora tutto d’un pezzo,” disse la dea. “Non proprio in forma, ma dovrebbe essere in
grado di portarvi a Delos.”
“Grazie,” disse Jason.
“Già,” disse Percy. “E, davvero, tuo marito Briareo è un bravo ragazzo. Dovresti dargli una
possibilità.”
La dea sollevò il suo disco di bronzo.
“Non sfidare la tua fortuna, fratello. Briareo ha cinquanta facce; tutte brutte. Ha un
centinaio di mani, e sono tutte molto sbadate.”
“Va bene,” cedette Percy. “Non sfiderò la mia fortuna.”
Kym girò il disco, rivelò delle cinghie sul lato inferiore, come quelle di uno scudo. Se lo
sistemò sulle spalle, stile Capitan America.
“Osserverò i vostri progressi. Polibote non si stava vantando, quando mi aveva annunciato
che il vostro sangue avrebbe risvegliato la Madre Terra. I giganti ne sono davvero
convinti.”
“Il mio personale sangue?” domandò Percy.
Il sorriso di Kym era ancora più angosciante del solito. “Non sono un Oracolo. Ma ho
sentito quello che il veggente Finea ti ha detto nella città di Portland. Dovrai affrontare un
sacrificio che non sarai in grado di compiere, e ti costerà il mondo. Devi ancora affrontare
il tuo difetto fatale, fratello mio. Guardati intorno. Tutte le opere degli dei e degli uomini
alla fine si tramuteranno in rovina. Non sarebbe più facile fuggire in profondità con quella
tua fidanzata?”
Percy portò una mano sulla spalla di Jason e faticò per rimettersi in piedi. “Giunone mi ha
offerto una scelta del genere, quando ho trovato il Campo Giove. Ti darò la stessa risposta:
Io non scappo quando i miei amici hanno bisogno di me.”
Kym alzò i palmi delle mani. “E questo è il tuo difetto: non sei in grado di allontanarti. Io
mi ritirerò in profondità ad osservare gli sviluppi di questa battaglia. Dovete sapere che le
forze del mare sono in guerra. La vostra amica Hazel Levesque ha fatto una buona
impressione sulle sirene e sui loro mentori, Aphros e Bythos.”
“I tizzi pesci-pony.” Mormorò Percy. “Non hanno voluto incontrarmi.”
“Anche adesso che stanno guidando una guerra in vostro favore,” disse Kym, “Cercano di
allontanare gli alleati di Gea da Long Island. Anche se riusciranno o meno a sopravvivere…
è tutto da vedere. Quanto a te, Jason Grace, il tuo fato non sarà facile quanto quello del tuo
amico. Sarai ingannato. Dovrai affrontare un dolore insopportabile.”
Jason cercò di evitare di scintillare. Non era sicuro che il cuore di Percy potesse prendere la
scossa. “Kym, non avevi detto che non sei un Oracolo? Dovrebbero darti il lavoro. Sei
sicuramente abbastanza deprimente.”
La dea scatenò la sua risata da delfino. “Mi diverti, figlio di Giove. Spero che tu sopravviva
e sconfigga Gea.”
“Grazie,” disse. “Hai qualche consiglio per sconfiggere una dea che non può essere
sconfitta?”
Kymopoleia inclinò la testa. “Oh, ma già conosci la risposta. Sei un figlio del cielo, con
temporali nel tuo sangue. Un dio primordiale è già stato sconfitto prima. Sapete di chi
parlo.”
Gli interni di Jason iniziarono a vorticare più veloce del ventus. “Urano, il primo dio del
cielo. Ma questo significa –”
“Si.” Le caratteristiche aliene di Kym assunsero un’espressione quasi simpatiche.
“Speriamo che non si arrivi a questo. Se Gea non si sveglia… beh, il vostro compito non
sarà facile. Ma, se vincerete, ricorda la tua promessa, Pontifex.”
Jason si prese un momento per elaborare le sue parole. “Io non sono un prete.”
“No?” Gli occhi bianchi di Kym brillarono. “A proposito, il suo servo ventus dice che vuole
essere liberato. Dal momento che ti ha aiutato, spera che lo lascerai andare una volta
raggiunta la superficie. Promette che non vi disturberà una terza volta.”
“Una terza volta?”
Kym fece una pausa, come se stesse ascoltando. “Dice che unì una tempesta spora di voi
per vendicarsi, ma se avesse saputo quanto sei diventato forte dopo il Grand Canyon non si
sarebbe mai avvicinato alla vostra nave.”
“Il Grand Canyon…” Jason si ricordò del giorno sullo Skywalk, quando uno dei suoi
strambi compagni di classe si era rivelato essere uno spirito del vento.
“Dylan? Mi prendi in giro? Sto respirando Dylan?”
“Si,” disse Kym. “Sembra essere il suo nome.”
Jason rabbrividì. “Ti lascio andare, non appena raggiungo la superficie. Nessun problema.”
“Addio, allora,” disse la dea. “Che le Parche possano vegliare su di voi… assumendo che le
Parche sopravvivano.”
Avevano bisogno di andare. Jason era a corto di aria. ( di Dylan-aria - orribile ) e i ragazzi
sull’Argo II si sarebbero preoccupati per loro. Ma Percy era ancora stordito dal veleno,
quindi si sedettero sul bordo della cupola d’oro in rovina per alcuni minuti per riposare in
modo che Percy potesse riprendere fiato… o acqua, qualunque cosa un figlio di Poseidone
prendesse quando era sul fondo del mare.
“Grazie, uomo,” disse Percy. “Mi hai salvato la vita.”
“Ehy, è questo che si fa per gli amici.”
“Ma,uh, il ragazzo di Giove che salva quello di Poseidone in fondo all’oceano… possiamo
tenere i dettagli per noi? Altrimenti non ne vedrò mai la fine.”
Jason sorrise. “Capito. Come ti senti?”
“Meglio. Io… devo ammettere che, quando stavo soffocando in quel veleno, continuavo a
pensare a Akhlys, la dea della miseria nel Tartaro. L’ho quasi distrutta con il veleno.”
Rabbrividì. “Mi sentivo bene, ma in un brutto modo. Se Annabeth non mi avesse fermato-”
“Ma lei lo ha fatto.” Disse Jason. “Questa è un’altra cosa che fanno gli amici.”
“Già… il fatto è che, mentre stavo soffocando ora, continuavo a pensare: questo è la
ricompensa per Akhlys. Il Fato è morire allo stesso modo in cui ho cercato di uccidere
quella dea. E… onestamente, una parte di me si sentiva come se me lo meritassi. Ecco
perché non ho provato a controllare il veleno del gigante per allontanarlo da me. Il che
probabilmente è folle.”
Jason ripensò ad Itaca, quando era disperato per la visita dello spirito di sua madre. “No.
Penso di aver capito.”
Percy studiò il suo volto. Quando Jason non disse altro, Percy cambiò argomento.
“Che cosa intendeva dire Kym sullo sconfiggere Gea? Ha parlato di Urano…”
Jason il limo vorticare tra le colonne del vecchio palazzo. “Il dio del cielo… i Titani lo
sconfissero chiamandolo sulla terra. Lo hanno tenuto lontano dal suo territorio, teso
un’imboscata, trattenuto e tagliato.”
Sembrò che la nausea di Percy fosse tornata. “Come possiamo farlo con Gea?”
Jason ricordò il verso della profezia: ‘Fuoco o Tempesta il mondo cader faranno.’
Aveva un’idea su che cosa volesse dire adesso… ma, se avesse avuto ragione, Percy non
sarebbe stato in grado di aiutare. In realtà, avrebbe potuto involontariamente rendere le
cose più difficili.
‘Non scappo quando i miei amici hanno bisogno di me,’ aveva detto Percy.
‘E questo è il tuo difetto fatale,’ lo aveva avvertito Kym, ‘Non essere in grado di
allontanarti.’
Oggi era il 27 Luglio. Tra cinque giorni, Jason avrebbe saputo se aveva ragione.
“Andiamo prima a Delos,” disse. “Apollo e Artemide potrebbero darci qualche consiglio.”
Percy annuì, anche se non sembrava soddisfatto da quella risposta. “Perché Kymopoleia ti
ha chiamato Pontiac?”
Jason rise ripulendo letteralmente l’aria. “Pontifex. Significa ‘sacerdote’.”
“Oh.” Percy aggrottò la fronte. “Suona come una sorta di macchina. ‘La nuova Pontifex
XLS.’ Dovrai indossare un collare e benedire le persone?”
“Nah. I romani sono soliti avere un Pontifex Maximus, che si cura dei sacrifici e
quant’altro. Per assicurarsi che nessuno degli dei si arrabbi. Per quello che mi sono offerto
di fare… credo che suonasse come un ruolo da Pontifex.”
“Quindi che volevi dire?” chiese Percy. “Costruirai veramente dei santuari per tutti gli dei
minori?”
“Si. Non ci avevo mai pensato prima, ma mi piace l’idea di fare avanti e indietro tra i due
campi – assumendo, sai, che nella prossima settimana esistano ancora i due campi. Quello
che hai fatto l’anno scorso sull’Olimpo, rinunciando all’immortalità e chiedendo agli dei
quelle belle cose – quello è stato nobile, uomo.”
Percy grugnì. “Credimi, qualche volta mi pento della mia scelta. ‘Oh, vuoi rifiutare la
nostra offerta? Ok, bene! ZAP! Eccoti senza memoria! Vai al Tartaro!’ ”
“Hai fatto quello che un eroe dovrebbe fare. Ti ammiro per questo. Il minimo che io possa
fare, se sopravvivremo, è continuare il lavoro – assicurarci che tutte le divinità ottengano
un qualche riconoscimento. Chi lo sa? Se gli dei andranno più d’accordo, forse potremo
fermare lo scoppiare di queste guerre.”
“Sarebbe sicuramente un bene,” concordò Percy. “Sai, sembri cambiato… in meglio. La tua
ferita ti fa ancora male?”
“La mia ferita…” Jason era così tanto stato occupato con il gigante e la dea che si era
dimenticato della ferita da spada nel suo intestino, anche se era in stato morente
nell’infermeria solo un’ora prima.
Sollevò la camicia e si tirò via le bende. Niente fumo. Niente sangue. Nessuna cicatrice.
Nessun dolore.
“Se n’è andata…” disse, confuso. “Mi sento del tutto normale. Che cavolo?”
“Caspita, amico!” rise Percy. “Hai trovato la tua cura.”
Jason lo tenne in considerazione. Immaginò essere vero. Forse mettendo da parte il suo
dolore per aiutare i suoi amici era il trucco giusto. O forse era stata la sua decisione di
onorare gli dei in entrambi i campi ad averlo guarito, dandogli un percorso chiaro verso il
futuro. Romano o greco… la differenza non aveva importanza. Come aveva detto ai
fantasmi ad Itaca, la sua famiglia era diventata più grande. Ora vide quale fosse il suo
posto. Avrebbe mantenuto la promessa alla dea della tempesta. E per quello, la spada di
Michael Varus aveva perso di significato.
Muori come Romano.
No. Se sarebbe dovuto morire, sarebbe morto come figlio di Giove, come figlio degli dei – il
sangue dell’Olimpo. Ma lui non aveva intenzione di sacrificarsi – almeno non senza
combattere.
“Andiamo.” Jason batté una mano sulla schiena del suo amico. “Andiamo a controllare la
nostra nave.”
XXIX
N
i
c
o
SCEGLIERE tra la morte e lo Zippy Mart di Buford, Nico non aveva mai avuto un momento
tanto difficile. Almeno sapeva come muoversi attraverso la Terra dei Morti. Inoltre il cibo
era più fresco.
“Non ho ancora capito,” mormorò Coach Hedge mentre vagavano nella navata centrale.
“Hanno chiamato un’intera città come il tavolino di Leo?”
“Penso che ci fosse prima la città, Coach,” disse Nico.
“Huh.” Il coach prese una scatola di preparato in polvere per ciambelle. “Forse hai ragione.
Questi cosi sembrano avere almeno un centinaio di anni. Mi mancano quei farturas
portoghesi.”
Nico non riusciva a pensare al Portogallo senza che le braccia non gli facessero male. Sui
suoi bicipiti, i segni degli artigli del licantropo erano ancora rossi e gonfi. La commessa
aveva chiesto a Nico se avesse fatto una lotta con una lince rossa.
Presero un kit per il pronto soccorso, altra carta da lettere (così che Coach Hedge potesse
mandare dei messaggi-aerei a sua moglie), un po’ di cibo spazzatura e soda (il tavolo della
nuova magica tenda di Reyna forniva solo cibo sano e acqua minerale naturale) e alcune
forniture per il campeggio per le inutili ma incredibilmente complicate trappole per i
mostri di Coach Hedge.
Nico sperò di trovare dei vestiti puliti. Dopo i due giorni in cui erano fuggiti da San Juan,
era stanco di andare il giro con la camicia tropicale ISLA DEL ENCANTORICO, specialmente
perché Coach Hedge ne aveva una uguale.
Sfortunatamente, lo Zippy Mart aveva solo magliette con bandiere confederate e scritte
banali come KEEP CALM AND FOLLOW THE REDNECK. Nico decise che avrebbe tenuto quella con i
pappagalli e le palme.
Tornarono al campeggio lungo una strada a due corsie sotto il sole cocente. Quella parte
del South Carolina sembrava costituita da campi, punteggiato da pali del telefono, alberi e
vigneti di Kuzdu. La città di Buford stessa era una raccolta di capannoni metallici mobili –
sei o sette, che erano probabilmente anche la popolazione della città.
Nico non era esattamente un persona solare, ma per una volta era felice del calore. Lo
faceva sentire più sostanziale – ancorato al mondo mortale. Con ogni viaggio-ombra,
tornare era sempre più difficile. Anche in pieno giorno la sua mano passava attraverso
oggetti solidi. La sua cintura e la sua spada continuavano a cadergli intorno alle caviglie
senza alcun apparente motivo. Una volta, quando non stava guardando dove andava, era
andato dritto attraversando un albero.
Nico ricordò qualcosa che gli aveva detto Jason Grace l palazzo di Notus: ‘Forse è il
momento di uscire dall’ombra.’
‘Se solo potessi’, pensò. Per la prima volta nella sua vita, aveva cominciato a temere il
buio, perché ci si sarebbe potuto fondersi in modo permanente.
Nico e Hedge non ebbero problemi a trovare la via del ritorno al campo. L’Athena
Parthenos era il punto di riferimento più alto per chilometri lì intorno. Nella sua nuova
rete mimetica, che brillava in argento come un fantasma si trenta metri estremamente
appariscente.
Apparentemente, l’Athena Parthenos aveva voluto visitare un posto con del valore
educativo, perché era atterrata proprio accanto a un marcatore storico con scritto IL
MASSACRO DI BUFORD, su una piazza di ghiaia in mezzo al nulla.
La tenda di Reyna era sistemata in un boschetto di alberi ad una ventina di metri dalla
strada. Nelle vicinanze c’era un tumulo rettangolare – centinaia di pietre accatastate a
forma di una tomba di grandi dimensioni con un obelisco in granito come lapide. Sparse in
giro c’erano delle corone e mazzi di fiori in plastica, che rendevano quel posto desolato
ancora più triste.
Aurum e Argentum giocavano ad acchiapparella nella foresta con uno dei guantoni da
baseball del coach. Da quando erano stati riparati dalle Amazzoni, i cani di metallo erano
pimpanti e pieni di energia – a differenza della loro padrona.
Reyna sedeva a gambe incrociate all’ingresso della tenda, fissando l’obelisco memoriale.
Non aveva detto molto da quando erano fuggiti da San Juan due giorni prima. Inoltre, non
avevano incontrato nessun mostro, il che fece provare a Nico un senso di disagio. Non
avevano ricevuto alcun messaggio dalle Cacciatrici o dalle Amazzoni. Non sapevano cosa
fosse successo a Hylla, o a Thalia, o al Gigante Orione.
Nico non provava simpatia per le Cacciatrici di Artemide. La tragedia le seguiva come i loro
cani inseguivano gli uccelli rapaci. Sua sorella Bianca era morta dopo l’adesione alle
Cacciatrici. Poi Thalia Grace divenne la loro leader e iniziò a reclutare anche le ragazze più
giovani per la loro causa, il che infastidì Nico – come se la morte di Bianca potesse essere
dimenticata. Come se potesse essere sostituita. Quando Nico si era risvegliato al
Barrachina e aveva trovato la nota delle Cacciatrici riguardo alla cattura di Reyna, aveva
distrutto il cortile in preda alla collera. Non voleva che le cacciatrici rapissero un’altra
persona importante per lui.
Fortunatamente, aveva recuperato Reyna, ma non gli piaceva come fosse diventata
rimuginante. Ogni volta che cercava di chiederle qualcosa a riguardo dell’incidente di Calle
San Jose – su quei fantasmi sul balcone, tutti a fissarla, sussurrandole accuse – Reyna lo
interrompeva.
Nico sapeva qualcosa sui fantasmi. Permettere loro di entrare nella propria mente era
pericoloso. Voleva aiutare Reyna, ma dal momento che la sua strategia era quella di
affrontare da solo i suoi problemi, respingendo chiunque cercasse di avvicinarsi, non
poteva esattamente criticare Reyna perché faceva lo stesso.
Lei alzò lo sguardo mentre si avvicinavano. “Ci sono arrivata.”
“Su che luogo storico sia questo?” chiese Hedge. “Bene, perché mi sta facendo impazzire.”
“La battaglia di Waxhaws,” disse.
“Ah,giusto…” Hedge Annuì fermamente. “È stato un piccolo scontro un po’ vizioso.”
Nico cercò di rivelare degli eventuali spiriti nella zona, ma non sentì nulla. Insolito per un
campo di battaglia. “Ne sei sicura?”
“Nel 1780,” disse Reyna. “La Rivoluzione Americana. La maggior parte dei leader coloniali
erano dei semidei greci. I generali inglesi erano semidei romani.”
“Per questo l’Inghilterra era come Roma all’ora,”indovinò Nico. “Un impero in crescita.”
Reyna raccolse un mazzolino di fiori schiacciato. “Penso di sapere parchè siamo atterrati
qui. È colpa mia.”
“Ah, andiamo,” la canzonò Hedge. “Lo Zippy Mart di Buford non è colpa di nessuno. Certe
cosa accadono.”
Reyna raccolse i fiori più sbiaditi e plasticosi. “Durante la Rivoluzione, quattrocento
Americani attaccarono la cavalleria Britannica. Le truppe coloniali cercarono di arrendersi,
ma gli inglesi erano per lo spargimento di sangue. Massacrarono gli americani anche dopo
che avevano gettato le armi. Solo in pochi sopravvissero.”
Nico suppose che sarebbe dovuto essere scioccato. Ma dopo aver viaggiato attraverso gli
inferi, e aver udito tante storie sul male e la morte, un massacro in tempo di guerra non gli
sembrava interessante. “Reyna, come può essere colpa tua?”
“Il comandante Britannico era Banastre Tarleton.”
Hedge sbuffò. “Ne ho sentito parlare. Un pazzo. Lo chiamavano Benny il Macellaio.”
“Si…” Reyna prese un respiro tremante. “Era un figlio di Bellona.”
“Oh.” Nico guardò la gigantesca tomba. Era ancora infastidito dal fatto di non poter sentire
gli spiriti. Centinaia di soldati massacrati in quel posto… avrebbe dovuto inviare una sorta
di atmosfera mortuaria.
Si sedette accanto a Reyna e decise di rischiare. “Così pensi che siamo arrivati qui perché
hai una sorta di connessione con i fantasmi. Così com’è successo a San Juan?”
Per una decina si secondi non disse nulla, rigirando il bouquet di plastica in mano. “Non
voglio parlare di San Juan.”
“Dovresti.” Nico si sentì come un estraneo nel proprio corpo. Perché stava incoraggiando
Reyna a confidarsi? Non era nel suo stile o nel suo interesse. Tuttavia, continuò a parlare.
“La cosa principale dei fantasmi – la maggior parte di loro perde la voce. Negli Asfodeli,
milioni di loro girovagano senza meta, cercando di ricordarsi chi fossero. Non si sono mai
espressi, quindi non sono mai stati ascoltati. La voce è la propria identità. Se non la usi,”
disse con una scrollata di spalle, “sei già a metà strada per gli Asfodeli.”
Reyna aggrottò la fronte. “È questa la tua idea di inizio per una discussione?”
Coach Hedge si schiarì la gola. “Questa roba sta diventando un po’ troppo psicologica per i
miei gusti. Vado a scrivere qualche lettera.” Prese il suo taccuino e si diresse verso il bosco.
L’ultimo giorno o giù di lì, aveva scritto molto – a quanto pareva non solo a Mellie.
L’allenatore non aveva condiviso i dettagli, ma aveva lasciato intendere che stava
contattando qualcuno per avere degli aiuti per la missione. Per quanto ne sapeva Nico,
poteva scrivere anche a Jackie Chan.
Nico aprì la borsa della spesa. Tirò fuori una scatola di Little Dobbie Oatmeal Crème Pies e
la offrì a Reyna. Lei arricciò il naso. “Quella roba sembra stantia dai tempi dei dinosauri.”
“Potrebbe anche essere. Ma ho una grande fame in questi giorni. Qualsiasi tipologia di cibo
ha preso un buon sapore… tranne forse i semi di melograno. Con quelli ho chiuso.”
Reyna prese una tortina alla crema e le diede un morso. “ I fantasmi di San Juan… erano i
miei antenati.”
Nico aspettò. La brezza scompigliava la rete mimetica sull’Athena Parthenos.
“La famiglia Ramìrez-Arellano esiste da molto tempo,” continuò Reyna. “Non so tutta la
storia. I miei antenati vivevano in Spagna quando era una provincia romana. Il mio bis-bisqualcosa-nonno era un conquistatore. Arrivò a Puerto Rico con Ponce de Leòn.”
“Uno dei fantasmi sul balcone indossava un’armatura da conquistador,” ricordò Nico.
“Era lui.”
“Quindi… tutta la tua famiglia discende da Bellona? Pensavo che tu e Hylla foste sue figlie,
non discendenti.”
Troppo tardi, Nico realizzò che non avrebbe dovuto parlare di Hylla. Uno sguardo di
disperazione passò per il volto di Reyna, anche se riuscì a nasconderlo in fretta. “Noi siamo
sue figlie,” disse Reyna. “Siamo le prime vere bambine di Bellona nella famiglia RamìrezArellano. E Bellona ha sempre favorito il nostro clan. Millenni fa, decretò che avremmo
svolto ruoli importanti in numerose battaglie.”
“Come stai facendo tu ora,” disse Nico.
Reyna si spazzolò le briciole dal mento.
“Forse. Alcuni dei miei antenati sono stati degli eroi. Alcuni erano molto cattivi. Hai visto il
fantasma con le ferite da arma da fuoco nel petto?”
Nico annuì. “Un pirata?”
“Il più famoso nella storia di Puerto Rico. Era conosciuto come il Pirata Cofresì, ma il suo
cognome era Ramìrez de Arellano. La nostra casa, la villa di famiglia, è stata costruita con i
soldi del tesoro che ha sepolto.”
Per un attimo, Nico si sentì di nuovo bambino. Fu tentato di sbottare: ‘che cosa figa!’
Anche prima di Mitomagia, era stato ossessionato con i pirati. Probabilmente era quello
uno dei motivi per cui era rimasto così colpito da Percy, il figlio del dio del mare. “E gli altri
fantasmi?” domandò.
Reyna prese un altro boccone di torta alla crema. “Il tipo con la divisa degli US Navy… lui è
il mio bis-prozio dalla Seconda Guerra Mondiale, il primo comandante Latino di un
sottomarino. Ti sei fatto l’idea. Un sacco di guerrieri. Bellona è stata la nostra dea
protettrice per generazioni.”
“Ma non ha mai avuto figli semidei nella famiglia – prima di voi.”
“La dea… lei si innamorò di mio padre, Julia. Era un soldato in Iraq. Era -” la voce di
Reyna si ruppe. Gettò da parte il bouquet di fiori di plastica. “Non posso farlo. Non posso
parlare di lui.”
Una nube passò sopra di loro, coprendo i boschi con la propria ombra.
Nico non voleva costringere Reyna. Che diritto ne aveva? Posò la sua oatmeal creme pie… e
notò che la punta delle sue dita aveva cominciato a fumare La luce del sole tornò. Le sue
mani ritornarono solide, ma i nervi di Nico tintinnarono. Si sentiva come se fosse stato
indietro dal bordo di un alto balcone.
‘La tua voce è la tua identità,’ aveva detto a Reyna. ‘Se non la usi, sei già a metà
strada per gli Asfodeli.’ Odiò quando dovette applicare il suo consiglio per sé stesso.
“Mio pare mi ha dato un dono, una volta,” disse Nico. “Era uno zombie.”
Reyna lo fissò. “Che cosa?”
“Si chiama Jules-Alberte. È francese.”
“Uno… zombie francese?”
“Ade non è il miglior papa, ma a volte ha questi momenti ‘voglio conoscere mio figlio’.
Credo che abbia pensato che uno zombie fosse un’offerta di pace. Ha detto che Jules-Albert
sarebbe potuto essere il mio chauffeur.”
L’angolo della bocca di Reyna si contrasse. “Uno chauffeur-zombie francese.”
Nico si rese conto di quanto suonasse ridicolo. Non aveva mai detto a nessuno di JulesAlbert – neppure a Hazel. Ma continuò a parlare. “Ade ha avuto questa idea che io, sai,
provassi a comportarmi con un adolescente moderno. Fare amicizia. Conoscere il
ventunesimo secolo. Ha vagamente capito che i genitori mortali portassero un sacco in giro
i loro figli. Ma lui non poteva farlo. Così la sua soluzione è stata uno zombie.”
“Per portarti al centro commerciale,” disse Reyna. “O portarti in un Fast-food.”
“Suppongo di si.” I nervi di Nico cominciarono a stabilirsi. “Perché nulla aiuta a fare
amicizia velocemente se non un cadavere in decomposizione con un accento francese.”
Reyna rise. “Mi dispiace… non dovrei prenderti in giro.”
“Tutto a posto. Il punto è … Non piace nemmeno a me parlare di mio padre. Ma a volte,”
disse, guardandola negli occhi. “bisogna farlo.”
L’espressione di Reyna si fece seria. “Non ho mai conosciuto mio padre nei suoi giorni
migliori. Hylla dice che era più dolce quando lei era molto piccola, prima che io nascessi.
Era un buon soldato – intrepido, disciplinato, controllato. Era bello. Poteva essere stato
molto affascinante. Bellona lo benedisse, come aveva fatto con molti dei miei antenati, ma
quello non fu abbastanza per mio padre. La voleva come moglie.”
In mezzo al bosco, Coach Hedge mormorò tra sé e sé, mentre scriveva. Tre aeroplani di
carta erano già stati spediti verso l’alto nella brezza, nella direzione che solo gli dei
avrebbero potuto conoscere.
“Mio padre si dedicò completamente a Bellona,” continuò Reyna. “ Una cosa è rispettare il
potere della guerra. Un’altra è innamorarsene. Non so come abbia fatto, ma riuscì a
conquistare il cuore di Bellona. Mia sorella è nata poco prima che lui andasse in Iraq per il
suo ultimo turno di servizio. È stato congedato con onore, tornato a casa come eroe. Se…se
fosse stato in grado di adattarsi alla vita civile, sarebbe andato tutto bene.”
“Ma non ci riuscì.” Indovinò Nico.
Reyna scosse la testa. “Poco dopo che era tornato, ebbe un ultimo incontro con la dea… è
stato, um, per quello che sono nata io. Bellona gli ha permesso uno sguardo sul futuro. Gli
spiegò il motivo per cui la nostra famiglia era così importante per lei. Ha detto che l’eredità
di Roma non avrebbe mai fallito finché la nostra linea di sangue sarebbe rimasta, la lotta
per difendere la nostra patria. Quelle parole… credo che li volesse essere rassicurante, ma
mio padre si fissò.”
“La guerra può essere difficile da superare,” disse Nico, ricordandosi di Pietro, uno dei suoi
vicini nella sua infanzia in Italia. Pietro era tornato dalla campagna d’Africa di Mussolini
tutto intero, ma, dopo aver bombardato i civili etiopi, la sua mente non fu più la stessa.
Nonostante il caldo, Reyna avvolse il mantello attorno a sé. “Parte dei problemi sono stati
causati dallo stress post-traumatico. Non riusciva a smettere di pensare alla guerra. E poi
c’era il dolore costante – una bomba gli aveva lasciato delle schegge nella spalla e al petto.
Ma c’era di più. Nel scorso degli anni, mentre stavo crescendo, lui… è cambiato.”
Nico non rispose. Nessuno gli aveva mai parlato così apertamente prima, tranne forse per
Hazel. Si sentiva come se stesse guardando uno stormo di uccelli stabilirsi su un campo.
Un suono forte li avrebbe potuti spaventare e far volare via.
“Diventò paranoico,” disse Reyna. “Pensava che le parole di Bellona fossero un
avvertimento che la nostra linea famigliare sarebbe stata sterminata e l’eredità di Roma
avrebbe fallito. Vide nemici ovunque. Raccolse delle armi. Trasformò la nostra casa in una
fortezza. Di note, segregava me e Hylla nelle nostre camera. Se provavamo a sgattaiolare
fuori, ci urlava e ci lanciava addosso delle cose e..beh, ci terrorizzava. A volte, pensava
anche che eravamo noi i nemici. Si convinse che lo stessimo spiando, cercando di minarlo.
Poi cominciarono ad apparire i fantasmi. Credo che siano sempre stati lì, ma sentendo
l’agitazione di mio padre iniziarono a manifestarsi. Gli sussurravano, alimentando i suoi
sospetti. Alla fine, un giorno… non posso dire con certezza quando, mi sono resa conto che
aveva smesso di essere mio padre. Era diventato uno dei fantasmi.”
Una marea di freddo pervase il petto di Nico. “Un mania,” ipotizzò. “Ne ho visti prima.
Umani che corrodono finché non sono più umani. Rimangono solo i loro aspetti peggiori.
La sua follia…”
Dall’espressione di Reyna era chiaro che la sua spiegazione non era di aiuto.
“Comunque sia,” disse Reyna, “Diventò impossibile vivere con lui. Hylla e io scappavamo
di casa ogni volta che potevamo, ma alla fine tornavamo… indietro… e il suo volto era
colmo di rabbia. Non sapevamo che altro fare. Era la nostra unica famiglia. L’ultima volta
che tornammo, lui – era così arrabbiato che era diventato letteralmente fumando. Non
poteva più toccare fisicamente le cose, ma poteva muoverle… come un poltergeist,
immagino. Strappò le piastrelle dal pavimento. Scaraventò il divano. Alla fine gettò una
sedia e colpì Hylla. Lei cadde. Era solo in stato di incoscienza, ma pensai che fosse morta.
Aveva passato molti anni a proteggermi… persi la testa. Presi la prima arma che trovai –
un cimelio di famiglia, una sciabola del pirata Confresi. Io – io non sapevo che fosse oro
imperiale. Mi sono battuta con lo spirito di mio padre e…”
“Lo hai vaporizzato,” indovinò Nico.
Gli occhi di Reyna erano pieni di lacrime. “Ho ucciso il mio stesso padre.”
“No. Reyna, no. Quello non era lui. Era un fantasma. Anzi, peggio: un mania. Hai protetto
tua sorella.”
Lei si rigirò l’anello al dito. “Non capisci. Il patricidio è il peggior crimine che un romano
possa commettere. È imperdonabile.”
“Tu non hai ucciso tuo padre. Quell’uomo era già morto,” insistette Nico. “Hai dissipato un
fantasma.”
“Non importa!” singhiozzò Reyna. “Se questa cosa si venisse a sapere al Campo Giove–”
“Verresti giustiziata,” disse una nuova voce.
Ai margini del bosco c’era un legionario romano in armatura completa, in mano un pilum.
Un ciuffo di capelli castani gli ricadeva sugli occhi. Il naso era stato evidentemente rotto
almeno una volta, il che donava al suo sorriso un aspetto ancora più sinistro. “Grazie per la
tua confessione, ex-pretore. Mi hai reso il lavoro molto più facile.”
XXX
N
i
c
o
COACH HEDGE SCELSE QUEL MOMENTO per fuoriuscire dalla radura, agitando un aereo planino
di carta e urlano, “Buone notizie, ragazzi!” Raggelò quando vide il romano. “Oh, non
importa.” Rapidamente accartocciò l’aereo e se lo mangiò.
Reyna e Nico si alzarono. Aurum e Argentum corsero al fianco di Reyna e ringhiarono
contro l’intruso.
“Bryce Lawrence,” disse Reyna. “Il nuovo cane da attacco di Ottaviano.”
Il romano inclinò la testa. I suoi occhi erano verdi, ma non verde-mare come quelli di
Percy… più come verde laghetto-stantio.
“L’augure ha molti cani d’attacco,” disse Bryce. “Io sono solo il fortunato che ti ha trovato.
Il tuo amico Graecus qui–” indicò Nico con un cenno del mento. “ è stato facile da
rintracciare. Puzza di inferi.”
Nico sfonderò la spada. “Conosci gli inferi? Vuoi che ti organizzi una gita?”
Bryce rise. I suoi denti davanti erano di due diverse tonalità di giallo. “Pensi di potermi
spaventare? Io sono un discendente di orcus, il dio dei voti infranti e dell’eterna punizione.
Ho sentito le urla nei Campi della Pena in prima persona. Sono musica per le mie orecchie.
Presto, aggiungerò un altro dannato al coro.” Sorrise a Reyna. “Patricidio, eh? Ottaviano
amerà questa notizia. Sei in arresto per molteplici violazioni del diritto romano.”
“Il fatto che tu sia qui è contro il diritto romani,” disse Reyna. “I romani non vanno in
missione da soli. Una missione deve essere guidata da un centurione o da qualcuno di
grado superiore. Sei in probatio, e anche darti quel rango è stato un errore. Non hai il
diritto di arrestarmi.”
Bryce si strinse nelle spalle. “In tempi di guerra, alcune regole devono essere flessibili. Ma
non preoccuparti. Una volta che ti avrò portata a giudizio, sarò ricompensato con la piena
adesione alla legione. Immagino che verrò anche promosso a centurione. Senza dubbio ci
saranno dei posti vacanti dopo la battaglia a venire. Alcuni ufficiali non sopravvivranno,
soprattutto se la loro lealtà non è riposta nel posto giusto.”
Coach Hedge sollevò la mazza. “Non conosco la giusta etichetta romana, ma posso colpire
questo ragazzo adesso?”
“Un fauno,” disse Bryce. “Interessante. Avevo sentito che i greci si affidano ai loro uominicapra.”
Hedge belò. “Sono un satiro. E puoi fidarti sul fatto che ti infilerò questo bastone nel
cranio, piccolo delinquente.”
L’allenatore avanzò, ma, non appena il suo zoccolo toccò il terreno, le pietre si misero a
tremare come se fossero andati in ebollizione. I guerrieri scheletrici scoppiarono fuori dalla
tomba – Sparsi nei resti dei brandelli di uniformi rosse dei britannici.
Hedge scappò via, ma i primi due scheletri lo afferrarono per le braccia sollevandolo da
terra. L’allenatore lasciò cadere la mazza e li prese a calci con gli zoccoli. “Lasciatemi, voi
stupidi teste di ossa!” Urlò.
Nico guardò, paralizzato, mentre la tomba sputava altri soldati britannici morti – cinque,
dieci, moltiplicandosi così rapidamente che Reyna e i suoi cani di metallo vennero
circondati prima che Nico potesse anche solo alzare la spada. Come poteva non aver
percepito così tanti morti, così a portata di mano?
“Mi ero dimenticato di dire,” disse Bryce, “Che non sono da solo in questa missione. Come
puoi notare, ho dei supporti.” Queste giubbe rosse promisero un quartiere ai coloni. Poi li
massacrarono. Personalmente, mi piacciono le stragi, ma, poi hanno infranto il loro
giuramento, i loro spiriti sono stati dannati e sono perennemente sotto il potere di Orcus.
Il che significa che sono anche sotto il mio controllo.” Indicò Reyna. “Prendete la ragazza.”
Gli spartoi avanzarono. Aurum e Argentum si misero in prima linea, ma vennero subito
buttati a terra, le mani scheletriche serrate sui loro musi. Le giubbe rosse afferrarono le
braccia di Reyna. Per essere creature morte, erano sorprendentemente veloci.
Infine, Nico tornò in sé. Scagliò un colpo contro gli spartoi, ma la sua spada li attraversò.
Cercò di esercitare la sua volontà, ordinando agli scheletri di disfarsi, ma loro agirono
come se non esistesse.
“Qualcosa non va figlio di Ade?” La voce di Bryce era piena di sarcasmo. “Hai perso la
presa?”
Nico cercò di spingere la sua spada attraverso gli scheletri. Ce ne erano troppi. Era come se
Bryce, Reyna e Coach Hedge fossero dietro ad un muro di metallo.
“Nico, vattene da qui!” disse Reyna. “Prendi la statua e vattene!”
“Si, vai!” concordò Bryce. “Naturalmente, ti rendi conto del fatto che il tuo prossimo
viaggio-ombra sarà l’ultimo. Sai che non hai la forza di sopravvivere ad un altro. Ma, ad
ogni modo, prendi l’Athena Parthenos.”
Nico abbassò lo sguardo. Teneva ancora la sua spada di ferro dello Stige, ma le sue mani
erano scure e trasparenti come il vetro. Anche alla diretta luce del sole, si stava
dissolvendo. “Fai finire tutto questo!” disse.
“Oh, ma io non sto facendo niente,” disse Bryce. “Ma sono curioso di vedere cosa
succederà. Se prenderai la statua, scomparirai assieme ad essa per sempre, proprio nel
dimenticatoio. Se non la prenderai… beh, io ho l’ordine di portare Reyna viva per essere
processata per tradimento. Non ho l’ordine di portare vivo te, o il fauno.”
“Satiro!” gridò il coach. Prese a calci uno scheletro nell’inguine, che sembrò far male più
Hedge che la giubba rossa. “Ow! Stupidi morti britannici!”
Bryce abbassò il giavellotto e lo sbatté nello stomaco del coach. “Mi chiedo quanto riesca a
tollerare il dolore. Ho sperimentato ogni tipologia di animale. Ho anche ucciso il mio
centurione una volta. Non ho mai provato un fauno…scusami, un satiro. Vi reincarnate,
non è vero? Quanto dolore puoi provare prima di trasformarti in un cespuglio di
margherite?”
La rabbia di Nico divenne fredda e buia come la sua lama. Lui stesso era stato trasformato
in alcune piante, e non aveva apprezzato. Odiava le persone come Bryce Lawrence, che
infliggevano dolore solo per divertimento.
“Lascialo stare,” lo avvertì Nico.
Bryce sollevò un sopracciglio. “Oppure cosa? Ad ogni modo, prova qualcosa di ‘infernale’,
Nico. Mi piacerebbe vederlo. Ho la sensazione che accadrà qualcosa di importante e in
modo permanente. Vai avanti.”
Reyna lottò. “Bryce, dimenticati di loro. Se mi vuoi come tua prigioniera, bene. Verrò
volentieri e mi sottoporrò a quello stupido processo di Ottaviano.”
“Una buona offerta,” Bryce rigirò il suo giavellotto, posizionando la punta a pochi
centimetri dagli occhi di Reyna. “Davvero non sai che cosa abbia previsto Ottaviano? È così
impegnato a chiedere favori e a spendere i soldi della legione.”
Reyna strinse i pugni, “Ottaviano non ha alcun diritto –”
“Ha il diritto di potere.” Disse Bryce. “Hai rinunciato alla tua autorità quando sei scappata
nelle terre antiche. Il primo Agosto, i tuoi amici greci al Campo Mezzosangue
conosceranno che portentoso nemico sia Ottaviano. Ho visto i progetti per i suoi
macchinari… Persino io ne sono rimasto impressionato.”
Le ossa di Nico sembravano come essersi trasformate in elio, così come aveva provato
quando il dio Favonio lo aveva trasformato in una pannocchia.
Poi guardò gli occhi di Reyna. La sua forza lo attraversò – un’ondata di coraggio e di
resistenza che lo fece sentire nuovamente sostanziale, ancorato al mondo mortale. Anche
circondata da morti e rischiando di essere giustiziata, Reyna Ramìrez-Arellano aveva un
enorme serbatoio di coraggio da condividere.
“Nico,” disse, “fai quello che devi fare. Ti copro le spalle.”
Bryce ridacchiò, chiaramente divertito. “Oh, Reyna. Gli copri le spalle? Sarà così
divertente trascinarti davanti ad un tribunale, costringerti a confessare di aver ucciso tuo
padre. Spero che ti puniranno nella maniera antica – cucita dentro un sacco con un cane
rabbioso, poi gettata nel fiume. Ho sempre desiderato vederlo. Non posso aspettare fino a
quando il tuo piccolo segreto non verrà fuori.”
Fino a quando il tuo piccolo segreto non verrà fuori.
Bryce spinse la punta del suo pilum lungo il volto di Reyna, lasciandole una linea di sangue.
E la rabbia di Nico esplose.
XXXI
N
i
c
o
PIU’ TARDI, GLI RACCONTARONO QUELLO CHE ERA SUCCESSO. Tutto quello che ricordava erano le
urla.
Secondo Reyna, l’aria tutt’intorno a lui era scesa a zero. Il terreno si era annerito.
Con un terribile grido aveva scatenato una marea di dolore e rabbia in tutti nella radura.
Reyna e il coach avevano sperimentato il suo viaggio attraverso il Tartaro, la sua cattura da
parte dei giganti, i suoi giorni di deperimento dentro quella giara di bronzo.
Sentirono l’angoscia di Nico dai suoi giorni sull’Argo II e il suo incontro con Cupido tra le
rovine di Salona. Sentirono la sua aria di sfida verso Bryce Lawrence, forte e chiara: ‘Vuoi
dei segreti? Eccoli.’
Gli spartoi si disintegrarono in cenere. Le rocce del tumulo diventarono bianche per la
brina. Bryce Lawrence inciampò, tenendosi la testa, entrambe le narici sanguinanti.
Nico marciò verso di lui. Afferrò la spilla del probatio e la strappò dal suo petto.
“Non sei degno di questa.” Ringhiò Nico.
La terra si spaccò sotto i piedi di Bryce. Affondò fino alla vita. “Fermo!” Bryce si aggrappò
al terreno e al bouquet di plastica, ma il suo corpo continuò a sprofondare.
“Hai fatto un giuramento alla legione.” Nico respirava vapore freddo. “Hai infranto le
regole. Hai inflitto dolore. Ucciso il tuo centurione.”
“Io – non l’ho fatto! Io–”
“Saresti dovuto morire per i tuoi crimini,” proseguì Nico. “Quella era la punizione. Invece
sei stato esiliato. Saresti dovuto rimanere lontano. Tuo padre Orcus non può approvare la
rottura dei giuramenti. Ma mio padre Ade davvero non approva chi sfugge alla sua
punizione.”
“Per favore!”
Quelle parole non avevano senso per Nico. Gli inferi non avevano pietà. Avevano solo
giustizia.
“Tu sei già morto,” disse Nico. “Sei un fantasma senza lingua, senza memoria. Non vuoi
condividere alcun segreto.”
“No!” Il corpo di Bryce diventò scuro e fumante. Si conficcò nel terreno, fino al petto. “No,
io sono Bryce Lawrence! Sono vivo!”
“Chi sei tu?” chiese Nico.
Il suono che provenne dopo dalla bocca di Bryce fu un sussurro. Il suo volto divenne
indistinto. Sarebbe potuto essere chiunque – solo uno spirito senza nome tra milioni.
“Vattene,” Disse Nico.
Lo spirito si dissipò. La terra si chiuse.
Nico guardò indietro e vide che i suoi amici erano al sicuro. Reyna e il coach lo fissarono
con orrore. Il viso di Reyna sanguinava. Aurum e Argentum giravano in tondo, come se i
loro cervelli meccanici fossero andati in corto circuito.
Nico crollò.
O suoi sogni non avevano senso, il che era quasi un sollievo.
Uno stormo di centinaia di corvi in un cielo scuro. Poi i corvi si tramutarono in cavalli al
galoppo attraverso la spuma. Vide sua sorella Bianca seduta nel padiglione del pranzo al
Campo Mezzosangue con le Cacciatrici di Artemide. Sorrideva e rideva con il suo nuovo
gruppo di amiche. Poi Bianca si trasformò in Hazel, che baciò Nico sulla guancia e disse:
“Voglio che tu sia l’eccezione.”
Vide l’arpia Ella con i suoi arruffati capelli e le piume rosse, gli occhi scuri come il caffè.
Stava appollaiata sul divano del soggiorno della Casa Grande. Accanto a lei c’era la magica
testa del leone Seymour impagliata.
Ella dondolava in avanti e indietro, dando da mangiare dei cheetos al leopardo. “Il
formaggio non va bene per le arpie,” mormorò. Poi arricciò il viso e cantò una delle frasi di
una profezia che aveva memorizzato. “La caduta del sole, verso finale.” Poi diede a
Seymour altri Cheetos. “Il formaggio va bene per le teste di leopardo.”
Seymour ruggì con assenso.
Ella si trasformò in una ninfa del vento con i capelli scuri evidentemente incinta, che si
stava contorcendo dal dolore su un letto a castello. Clarisse La Rue era seduta accanto a lei,
asciugando la fronte della Ninfa con un panno umido. “Mellie, andrà tutto bene,” disse
Clarisse, anche se sembrava preoccupata.
“No, non va per niente bene!” gemette Mellie. “Gea sta per risvegliarsi!”
La scena si spostò. Nico era con Ade sulle colline di Berkeley, il giorno in cui per la prima
volta lo aveva portato al Campo Giove. “vai da loro,” disse il dio. “Presentati come figlio di
Plutone. È importante che tu ti inserisca tra loro.”
“Perché?” chiese Nico.
Ade si dissolse. Nico si ritrovò nel Tartaro, in piedi davanti ad Akhlys, la dea della miseria.
Il sangue che gli macchiava le guance. Le lacrime agli occhi, che gocciolavano sullo scudo
di Ercole in grembo. “Figlio di Ade, cosa potrei fare per te? Tu sei perfetto! Così tanto
dolore e pena!”
Nico inspirò .
I suoi occhi si aprirono.
Era disteso sulla schiena, fissò la luce del sole tra i rami degli alberi.
“Grazie agli dei.” Reyna si chinò su di lui, la mano fresca sulla sua fronte. Il taglio
sanguinante sul viso era completamente scomparso.
Accanto a lei, Coach Hedge aggrottò la fronte. Purtroppo, Nico ebbe un’ottima visuale delle
sue narici.
“Bene,” disse il coach. “Ancora poche somministrazioni.” Teneva una grande benda
rivestita di una brodaglia marrone e la piazzò sopra il naso di Nico.
“Che cos’è…? Ugh.”
La brodaglia puzzava di terriccio, patate al cedro, succo di grappa e un pizzico di
fertilizzante. Nico non ebbe la forza per rimuoverlo.
I suoi sensi iniziarono a funzionare di nuovo. Si rese conto che stava sdraiato su un sacco a
pelo fuori dalla tenda. Non indossava nient’altro che i boxer e centinaia di bende marroni
per tutto il corpo. Le braccia, le gambe e il torace erano tutto un prurito a causa del fango
in essicazione.
“State – state cercando di piantarmi?” mormorò.
“È una medicina sportiva, con un po’ di magia della natura,” disse il coach. “Parte dei miei
hobby.”
Nico cercò di focalizzarsi sul volto di Reyna. “Tu lo approvi?”
Sembrava che stesse per svenire dalla stanchezza, ma riuscì a sorridere. “Coach Hedge ti ha
riportato indietro dal baratro. Il corno di unicorno, l’ambrosia, il nettare… non potevamo
usarli. Stavi svanendo.”
“Svanendo…?”
“Non devi più preoccupartene adesso, ragazzo.” Hedge pose una cannuccia vicino alla
bocca di Nico. “Prendi del Gatorade.”
“Non – non voglio–”
“Devi prendere del Gatorade,” insistette il coach.
Nico prese del Gatorade. Rimase sorpreso di quanto fosse assetato.
“Che cosa mi è successo?” domandò. “E a Bryce… e quegli scheletri…?”
Reyna e il coach si scambiarono uno sguardo preoccupato.
“Ci sono notizie buone e notizie cattive,” disse Reyna. “Ma prima mangia qualcosa. Hai
bisogno di recuperare le forze prima di sentire le cattive notizie.”
XXXII
N
i
c
o
‘TRE GIORNI?’
Nico non era sicuro di aver sentito bene la prima dozzina di volte.
“Non riuscivamo a spostarti,” disse Reyna. “Intendo… letteralmente, non ti si riusciva a
spostare. Non eri fatto di alcuna sostanza. Se non fosse stato per Coach Hedge–”
“Nessun problema,” lo rassicurò il coach. “Una volta nel bel mezzo del play-off di una
partita ho dovuto steccare la gamba di un quarterback solamente con dei rami e del nastro
adesivo.”
Nonostante la sua nonchalance, il satiro aveva le borse sotto gli occhi. Le sue guance erano
infossate. Sembrava stare quasi come si sentiva Nico.
Nico non poteva credere che fosse stato incosciente per tanto tempo. Raccontò dei suoi
sogni strani – i borbottii dell’Arpia Ella, lo scorcio di Mellie la ninfa del vento (che fece
preoccupare il coach) – ma Nico sentì come se le sue visioni fossero durate solo pochi
secondi. Secondo Reyna, era il pomeriggio del 30 Luglio. Era stato in un coma-ombra per
giorni.
“I Romani attaccheranno il Campo Mezzosangue dopodomani.” Nico sorseggiò altro
Gatorade, che era buono e ghiacciato, ma senza sapore. Le sue papille gustative
sembravano essere rimaste nel mondo delle ombre permanentemente. “Dobbiamo fare in
fretta. Devo prepararmi.”
“No.” Reyna premette la mano contro il suo avambraccio, facendo aderire ancora di più le
bende. “Qualsiasi altro viaggio-ombra potrebbe ucciderti.”
Lui strinse i denti. “Se mi uccide, mi uccide. Dobbiamo far arrivare la statua al Campo
Mezzosangue.”
“Hey, ragazzo,” disse il coach, “Apprezzo la tua dedizione, ma, se scompari nell’oscurità
eterna assieme all’Athena Parthenos non sarà di aiuto per nessuno. Bryce Lawrence aveva
ragione su questo.”
Alla menzione di Bryce, i cani metallici di Reyna drizzarono le orecchie e ringhiarono.
Reyna fissò il tumulo di pietre, i suoi occhi erano pieni di tormento, come se gli spiriti più
fastidiosi potessero emergere dalla tomba.
Nico prese un respiro, riempiendosi il naso del rimedio casalingo di Hedge. “Reyna, io…
non ci avevo pensato. Quello che ho fatto a Bryce –”
“Lo hai distrutto,” disse Reyna. “Lo hai tramutato in un fantasma. E, si, mi ha ricordato
quello che è successo a mio padre.”
“Non volevo spaventarvi,” disse Nico amaramente. “Non volevo… rovinare un’altra
amicizia. Mi dispiace.”
Reyna studiò il suo volto. “Nico, devo ammetterlo; il primo giorno che sei stato incosciente,
non sapevo cosa pensare o provare. Quello che hai fatto è stato difficile da guardare…
difficile da metabolizzare.”
Coach Hedge masticò un bastoncino. “Sono d’accordo con la ragazza su questo, ragazzo.
Fracassare la testa di qualcuno con una mazza da baseball, quella è una cosa. Ma
trasformare quel verme in fantasma? Quella è roba oscura.”
Nico si sarebbe dovuto sentire arrabbiato – gridargli contro perché stavano cercando di
giudicarlo. Era questo che faceva normalmente.
Ma la sua rabbia non si concretizzò. Provava ancora un sacco di rabbia verso Bryce
Lawrence, e Gea e I giganti. Voleva trovare l’augure Ottaviano e strangolarlo con la sua
cintura. Ma non era arrabbiato con Reyna o il coach.
“Perché mi avete riportato indietro?” domandò. “Sapevate che non potevo più aiutarvi.
Avreste potuto trovare un modo di andare avanti con la statua. Ma avete perso tre giorni
per vegliare su di me. Perché?”
Coach Hedge sbuffò. “Fai parte della squadra, idiota. Non abbiamo intenzione di lasciarti
indietro.”
“È più di questo.” Reyna pose una mano su quella di Nico. “Mentre dormivi, ho pensato un
sacco. Quello che ti ho detto di mio padre… non lo avevo mai condiviso con nessuno. Credo
che sapessi che eri la persona giusta con cui confidarmi. Mi hai alleggerita un po’ dal mio
peso. Mi fido di te, Nico.”
Nico la fissò, contemplativo. “Come puoi fidarti di me? Entrambi avete sentito la mia
rabbia, visto i miei peggiori sentimenti…”
“Ehy, ragazzo,” disse Coach Hedge, con il suo tono morbido. “Siamo tutti arrabbiati. Anche
un cuore tenero come me.”
Reyna sorrise. Strinse la mano di Nico. “Il coach ha ragione, Nico. Non sei l’unico che si
lascia sfuggire una parte oscura di tanto in tanto. Ti ho parlato di quello che è successo con
mio papà, e tu mi hai supportata. Hai condiviso le tue esperienze più dolorose; come
possiamo non aiutare te? Siamo amici.”
Nico non era sicuro di cosa volesse dire. Avevano visto i suoi segreti più profondi.
Sapevano chi era, quello che era. Ma non sembrava importargliene. No… non gli importava
più.
Non lo stavano giudicando. Erano preoccupati. Niente di tutto quello aveva più senso per
lui.
“Ma Bryce. Io…” Nico non poté continuare.
“Hai fatto quello che andava fatto. Adesso l’ho capito,” disse Reyna. “Solo promettimelo:
niente più tramutazioni di persone in fantasmi se non é necessario.”
“Già,” disse coach Hedge. “A meno che non mi lasci schiacciarli prima. Inoltre, non ci
sono solo brutte notizie.”
Reyna annuì. “Non abbiamo visto alcun segno di altri romani, quindi sembra che Bryce
non abbia detto a nessuno su dove andasse. Inoltre, non c’è stato alcun segno di Orione.
Speriamo significhi di è stato sconfitto dalle Cacciatrici.”
“E Hylla?” chiese Nico. “Thalia?”
Le linee espressive si strinsero attorno alla bocca di Reyna. “Nessuna parola. Ma devo
credere che siano ancora vive.”
“Non gli hai detto la nuova migliore,” richiese il coach.
Reyna aggrottò la fronte. “Forse perché è difficile da credere. Coach Hedge pensa di aver
trovato un atro modo di trasportare la statua. È tutto quello di cui ha parlato negli ultimi
tre giorni. Ma finora non abbiamo visto alcun segno di–”
“Ehy, succederà!” Coach sorrise a Nico. “Ti ricordi dell’aeroplano di carta che brandivo
proprio prima che Stramboide Lawrence si mostrasse? Era un messaggio dai contatti di
Mellie nel palazzo di Eolo. Questa arpia, Nuggets – lei e Mellie girano assieme.
Comunque… lei conosce un tizio che conosce un tizio che sa di un cavallo che conosce una
capra che conosce un altro cavallo–”
“Coach,” lo rimproverò Reyna, “gli farai rimpiangere di essere uscito dal coma.”
“Bene,” sbuffò il satire. “Per farla breve, ho tirato su un sacco di favori. Ho fatto parola che
abbiamo bisogno di aiuto con i giusti tizi-ventosi. La lettera che ho mangiato? La conferma
che la cavalleria sta arrivando. Hanno detto che gli ci sarebbe voluto un po’ per
organizzarsi, ma dovrebbero essere presto qui – qualche minuto, di fatto.”
“Chi è?” chiese Nico. “Quale cavalleria?”
Reyna si alzò bruscamente. Fissò verso Nord, il suo viso era una insieme di stupore.
“Quella è la cavalleria…”
Nico la seguì con lo sguardo. Uno stormo di uccelli si stava avvicinando – grandissimi
uccelli.
Si avvicinarono, e Nico si rese conto che erano cavalli con le ali – almeno una mezza
dozzina in formazione a V, senza cavallerizzi.
A capo delle fila c’era uno stallone enorme con un mando dorato e le piume multicolore
come quelle di un aquila, la sua doppia apertura alare era larga quanto gli altri cavalli.
“Pegasi,” disse Nico. “Ne hai convocati abbastanza per portare la statua.”
Coach rise di gioia. “Non solo i pegasi, ragazzo. Sei di fronte ad una vera delizia.”
“Lo stallone a capo…” Reyna scosse la testa incredula. “Quello è Pegaso, il signore
immortale dei cavalli.”
XXXIII
L
e
o
TIPICO.
Proprio mentre Leo finiva le sue modifiche, arrivò una grande dea della tempesta che gli
distrusse parte dei macchinari sulla destra della sua nave.
Dopo il loro incontro con Kymopocome-si-chiama, l’Argo II ostentò attraverso l’Egeo,
troppo danneggiata per volare, troppo lenta per navigare più velocemente dei mostri.
Combatterono contro serpenti marini affamati circa ogni ora. Avevano attirato dei curiosi
pesci bianchi. A un certo punto si erano bloccati in uno scoglio, e Percy e Jason erano
dovuti scendere a spingere.
Il suono sibilante del motore aveva fatto venire a Leo voglia di piangere. Nel corso degli
ultimi tre lunghissimi giorni, aveva finalmente riportato la nave al suo stato di
funzionamento normale mentre raggiunsero l’isola di Mykonos, che probabilmente
significava che era arrivato il tempo per loro di cercare dei pezzi di ricambio.
Percy e Annabeth erano scesi ad esplorare mentre Leo era rimasto a bordo, a sintonizzare
la console di controllo. Era talmente assorto nel cablaggio che non si era accorto che la
squadra in perlustrazione era tornata fino a quando Percy non gli disse “Ehy, amico. Il
gelato.”
Immediatamente, la giornata di Leo migliorò. L’intero equipaggio era seduto sul ponte,
senza tempeste o attacchi di mostri di cui preoccuparsi per la prima volta da giorni, e stava
mangiando il gelato. Beh, a parte Frank, che era intollerante al lattosio. Lui si era preso
una mela.
La giornata era calda e ventosa. Il mare scintillava per le onde, ma Leo aveva fissato gli
stabilizzatori abbastanza bene in modo tale che Hazel non sembrasse soffrire troppo il mal
di mare.
Affianco alla nave c’era la città di Mykonos – un insieme di edifici in stucco bianco con i
tetti, le finestre e le porte blu.
“Abbiamo visto dei pellicani passeggiando per la città,” riferì Percy. “Come se stessero
passando per i negozi, fermandosi nei bar.”
Hazel aggrottò la fronte. “Mostri sotto mentite spoglie?”
“No,” disse Annabeth, ridendo, “Solo regolari vecchi pellicani. Sono le mascotte della città
o qualcosa del genere. E c’è una sezione ‘Piccola Italia’ nella città. Ecco perché il gelato è
così buono.”
“L’Europa è tutta sotto-sopra.” Leo scosse la testa. “Prima andiamo a Roma per Piazza di
Spagna. Poi andiamo in Grecia per il gelato italiano.”
Ma non poteva discutere per il gelato. Mangiò la sua delizia doppio cioccolato e cercò di
immaginare che lui e i suoi amici fossero lì solo per una vacanza. Il che gli fece desiderare
che Calypso fosse lì con lui, che gli fece desiderare che la guerra finisse e che tutti
rimanessero vivi… che lo rese triste. Era il 30 Luglio. Meno di quarantotto ore al G-Day,
quando Gea, la principessa dei fanghi, non si sarebbe risvegliata in tutta la sua sporcagloria.
La cosa strana era che, più si avvicinavano al 1° Agosto, più era ottimista che i suoi amici ce
l’avrebbero fatta.
O forse ottimista non era la parola giusta.
Sembrava che stessero facendo un ultimo giro – consapevoli che nei prossimi due giorni
sarebbero potuti venire distrutti. Non aveva senso girarci intorno quando eri stato faccia a
faccia con la morte imminente. La fine del mondo aveva fatto assumere al gelato un gusto
migliore.
Ovviamente, il resto dell’equipaggio non era stato nelle stalle con Leo, a parlare con la dea
della vittoria Nike nei tre giorni precedenti…
Piper posò la sua coppetta di gelato. “Quindi, l’isola di Delos è proprio davanti al porto.
Artemide e Apollo giocano in casa. Chi va?”
“Io,” disse subito Leo.
Tutti lo fissarono.
“Cosa?” domandò Leo. “Sono diplomatico e tutto il resto. Frank e Hazel sono volontari per
supportarmi.”
“Lo siamo?” Frank abbassò la mela mezza mangiucchiata. “Voglio dire… certo che lo
siamo.”
Gli occhi dorati di Hazel lampeggiarono alla luce del sole. “Leo, hai fatto qualche sogno a
riguardo o qualcosa del genere?”
“Si,” sbottò Leo. “Beh… no. Non esattamente. Ma… dovete fidarvi di me a proposito,
ragazzi. Ho bisogno di parlare con Apollo e Artemide. Ho un’idea che ho bisogno di
presentargli.”
Annabeth aggrottò la fronte. Sembrava che volesse obbiettare, ma Jason parlò per primo.
“Se Leo ha un’idea,” disse, “dobbiamo fidarci di lui.”
Leo si sentiva in colpa per questo, soprattutto considerando quale fosse la sua idea, ma fece
un sorriso. “Grazie, amico.”
Percy si strinse nelle spalle. “Bene. Ma un consiglio: quando vedrete Apollo, non
menzionare gli haiku.”
Hazel aggrottò le sopracciglia. “Perché no? Non è il dio della poesia?”
“Fidati di me.”
“Ricevuto.” Leo balzò in piedi. “E, ragazzi, se hanno un negozio di souvenir su Delos, vi
porterò delle teste-dondolanti a tema Apollo e Artemide!”
Apollo non sembrava essere in vena per gli haiku. E non vendeva nemmeno testedondolanti.
Frank si era trasformato in un’aquila gigante per volare fino a Delos, ma Leo si era
agganciato alla vita di Hazel sulla schiena di Arion. Senza offesa per Frank, ma dopo il
fiasco di Fort Sumter Leo era diventato contrario al cavalcare le aquile giganti. Avevano un
tasso di fallimento del cento per cento.
Trovarono l’isola deserta, forse perché il mare era troppo mosso per le imbarcazioni
turistiche. Le colline spazzate dal vento erano sterili, tranne che per le rocce, l’erba e i fiori
di campo – e, naturalmente, un gruppo di templi in rovina. Erano composte da colonne in
marmo, ma da quando erano stati ad Olypia, Leo era stufo di rovine antiche. Così come
delle colonne di marmo. Voleva tornare negli U.S., dove gli edifici più antichi erano le
scuole pubbliche e lo Ye Olde McDonald’s.
Camminarono lungo un viale con statue di leoni in pietra bianca, i volti quasi deformati
dalle intemperie.
“Sono inquietanti,” disse Hazel.
“Sentito dei fantasmi?” chiese Frank.
Lei scosse la testa. “La mancanza dei fantasmi mi inquieta. In tempi antichi, Delos era un
suolo sacro. A nessun mortale era permesso di nascere o morire qui. Letteralmente non ci
sono spiriti mortali su tutta l’isola.”
“Figo,” disse Leo “Vuol dire che a nessuno è permesso di ucciderci qui?”
“Non ho detto questo.” Hazel si fermò alla sommità di una bassa collina. “Guardate.
Laggiù.”
Sotto di loro, nella collina era stato scolpito un anfiteatro. Piante e arbusti spuntavano tra
le file di panche in pietra, in modo che sembrasse esserci un concerto per cespugli spinosi.
Giù in basso, seduto su un blocco di pietra in mezzo al palco, il dio Apollo era chino su un
ukulele, strimpellando una triste melodia.
Almeno, Leo aveva assunto che fosse Apollo. Il tizio si aggirava attorno ai diciassette anni,
con i capelli biondi e ricci e un’abbronzatura perfetta. Indossava dei jeans stracciati, una
maglietta nera e una giacca di lino bianco con scintillanti strass, come se stesse cercando di
assomigliare ad un ibrido di Elvis/Ramones/Beach Boys.
Leo non era solito pensare ad un ukulele come uno strumento triste. (Patetico, certo. Ma
non triste.)
Eppure il brano che strimpellava Apollo era così malinconico che fece sentire Leo distrutto.
Seduta in prima fila c’era una ragazzina di circa tredici anni, indossava dei leggings neri e
una tunica argentata, i capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo. Stava
tagliuzzando un lungo pezzo di legno – costruendo un arco.
“Sono quelli gli dei?” chiese Frank. “Non sembrano gemelli.”
“Beh, penso di si.” Disse Hazel. “Se sei un dio, puoi apparire come vuoi. Se tu avessi un
gemello–”
“Avrei scelto di apparire in qualsiasi modo ma non uguale a mio fratello,” concordò
Frank. “Allora, qual è il piano?”
“Non ci sparate!” gridò Leo. Sembrava una buona idea come apertura, di fronte a due
divinità del tiro con l’arco. Alzò le braccia e si diresse verso il palco.
Nessuno degli due dei sembrò sorpreso di vederli.
Apollo sospirò e tornò a suonare il suo ukulele. Quando arrivarono in prima fila, Artemide
mormorò “Eccovi qui. Stavamo iniziando a preoccuparci.”
Quello mise Leo sotto pressione. Si era preparato una presentazione, spiegargli che erano
venuti in pace, forse raccontato qualche battuta e offerto qualche mentina.
“Quindi ci stavate aspettando,” disse Leo. “Lo deduco dal fatto che siate entrambi così
eccitati.”
Apollo strimpellò una melodia che sembrava la versione funeraria di ‘Campotown Races’.
“Ci aspettavamo di trovarvi disturbati e tormentati. Non sapevamo chi. Potete lasciarci
nella nostra miseria?”
“Lo sai che non possono, fratello,” lo rimproverò Artemide. “Hanno bisogno del nostro
aiuto per la loro missione, anche se è del tutto senza speranza.”
“Siete proprio di buon umore,” disse Leo. “Perché vi state nascondendo qui, comunque?
Non dovreste essere… che so, a combattere i giganti o qualcosa del genere?”
Gli occhi chiari di Artemide fecero sentire Leo come una carcassa di cervo che sta per
essere sventrata.
“Delos è il posto in cui siamo nati,” disse la dea. “Qui non siamo influenzati dalla scisma
greco-romano. Credimi, Leo Valdez, se potessi, vorrei stare con le mie cacciatrici, a
fronteggiare il nostro vecchio nemico Orione. Purtroppo, se facessi un passo fuori da
quest’isola, sarei incapacitata dal dolore. Tutto quello che posso fare è guardare impotente
mentre Orione massacra le mie seguaci. In molte hanno dato la vita per proteggere i vostri
amici e quella maledetta statua di Athena.”
Hazel emise un suono strozzato. “Vuoi dire Nico? Sta bene?”
“Bene?” singhiozzò Apollo sul suo ukulele. “Nessuno di noi sta bene, ragazza! Gea sta per
sorgere!”
Artemide fissò Apollo. “Hazel Levesque, tuo fratello è ancora vivo. È un combattente
coraggioso, come te. Vorrei poter dire lo stesso di mio fratello.”
“Ti sbagli su di me!” piagnucolò Apollo, “Sono stato forviato da Gea e quell’orribile
ragazzino romano!”
Frank si schiarì la gola. “Uh, Apollo,signore, intende Ottaviano?”
“Non pronunciare il suo nome!” Apollo strimpellò in accordo minore. “Oh, Frank Zhang, se
solo tu fossi mio figlio. Ho sentito le tue preghiere, sai, tutte quelle settimane in cui avresti
voluto essere riconosciuto. Ma, ahimè! Marte si piglia tutti quelli buoni. Io ottengo… quella
creatura come mio discendente. Mi ha riempito la testa con complimenti. Mi ha detto quali
grandi templi avrebbe costruito in mio onore.”
Artemide sbuffò. “Ti senti lusingato per poco, fratello.”
“Perché ho tante qualità sorprendenti da lodare! Ottaviano mi ha detto di voler costruire
un nuovo forte per i romani. Ho detto, bene! E gli ho dato la mia benedizione.”
“Se non ricordo male,” disse Artemide, “Ha anche promesso di renderti il dio più
importante della legione, superando anche Zeus.”
“Beh, chi sono io per discutere un’offerta del genere? Zeus ha un abbronzatura perfetta?
Può suonare un ukulele? Io non credo! Ma non ho mai pensato che Ottaviano avrebbe
iniziato una guerra! Gea deve star offuscando i miei pensieri, mi sussurra all’orecchio.”
Leo ricordò il tizio pazzo del vento, Eolo, che era diventato un assassino per aver sentito la
voce di Gea. “Allora risolvi il problema,” disse. “Di ad Ottaviano di dimettersi. Oppure, sai,
sparagli una delle tue frecce. Andrebbe bene anche quello.”
“Non posso!” gemette Apollo. “Guarda!”
Il suo ukulele si trasformò in un arco. Lo puntò verso il cielo e tirò. La freccia d’oro navigò
circa duecento metri, poi si disintegrò in fumo.
“Per utilizzare il mio arco, dovrei andare via da Delos,” piagnucolò Apollo. “Ma diventerei
incapace, o Zeus mi colpirebbe. Non sono mai piaciuto a mio padre. Non si è mai fidato di
me per millenni!”
“Beh,” disse Artemide, “ad essere onesti, non è che il tempo in cui hai cospirato con Era gli
abbia fatto cambiare idea.”
“È stato un malinteso!”
“E hai ucciso alcuni dei Ciclopi di Zeus.”
“Avevo una buona ragione per farlo! In ogni caso, ora Zeus mi incolpa per tutto –
Ottaviano, la caduta di Delfi-”
“Aspetta.” Hazel fece segno di time-out. “La caduta di Delfi?”
L’arco di Apollo si trasformò di nuovo in ukulele.
Prese un altro accordo drammatico. “Quando lo scisma tra i greci e i romani iniziò, mentre
lottavo in confusione, Gea ne approfittò! Innalzò il mio vecchio nemico Python, il grande
serpente, per impadronirsi dell’Oracolo di Delfi. Quell’orribile creatura è ora avvolta nelle
antiche caverne, bloccando la magia della profezia. Sono bloccato qui, quindi non posso
nemmeno combattere contro di lui.”
“Che peccato,” disse Leo, anche se segretamente pensava che nessun altra profezia potesse
essere una buona cosa. La sua lista di cose da fare era già abbastanza piena.
“Un peccato davvero!” Sospirò Apollo. “Zeus era già arrabbiato con me per la nomina di
quella nuova ragazza, Rachel Dare, come mio Oracolo. Zeus sembra pensare che io mi
astenga nella guerra con Gea per quello che sto facendo, dato che Rachel ha emesso la
profezia dei Sette, non appena l’ho benedetta. Ma le profezie non funzionano in questo
modo! Padre ha sono bisogno di qualcuno da incolpare. Così, naturalmente,, ha scelto il
più bello, il più talentuoso, un dio irrimediabilmente impressionante. ”
Artemide fece un gesto di tapparsi la bocca.
“Oh, smettila, sorella!” Disse Apollo. “Anche tu sei nei guai!”
“Solo perché sono rimasta in contatto con le mie cacciatrici contro la volontà di Zeus,”
disse Artemide. “Ma posso sempre implorare Padre per il mio perdono. Non è mai stato in
gradi di stare adirato con me. Sei tu che mi preoccupi.”
“Anch’io sono preoccupato per me!” concordò Apollo. “Dobbiamo fare qualcosa. Non
possiamo uccidere Ottaviano. Hmm. Forse dovremo uccidere questi semidei.”
“Calmo lì, ragazzo della musica.” Leo resistette alla tentazione di nascondersi dietro Frank
e urlare, ‘Fai il grosso ragazzo Canadese!’ “Siamo dalla tua parte, ricordi? Perché
ucciderci?”
“Potrebbe farmi sentire meglio!” disse Apollo. “Devo fare qualcosa!”
“Oppure,” disse in fretta Leo, “Potreste aiutarci. Vedi, abbiamo questo piano…”
Raccontò di come Era li aveva diretti a Delos, e di come Nike aveva descritto gli ingredienti
per la physician’s cure.
“La physician’s cure?” Apollo si alzò e fracassò il suo ukulele sulle pietre. “Sarebbe questo il
vostro piano?”
Leo alzò le mani. “Ehy, uhm, di solito sono per il fracassare gli ukulele, ma –”
“Non posso aiutarvi!” piagnucolò Apollo. “Se vi rivelassi il segreto della physician’s cure,
Zeus non mi perdonerà mai!”
“Sei già nei guai,” sottolineò Leo. “Come potrebbe andare peggio?”
Apollo lo fulminò con lo sguardo. “Se sapessi quello di cui è capace mio padre, mortale,
non lo chiederesti. Sarebbe più semplice se solo vi facessi fuori tutti. Potrebbe far piacere a
Zeus–”
“Fratello…” disse Artemide.
I gemelli si guardarono negli occhi in un argomentazione silenziosa.
Apparentemente vinse Artemide. Apollo sospirò e calciò il suo ukulele rotto per il palco.
Artemide si alzò. “Hazel Levesque, Frank Zhang, venite con me. Ci sono delle cose che
dovreste sapere sulla dodicesima legione. Quanto a te, Leo Valdez -” La dea puntò quegli
argentei occhi freddi su di lui. “Apollo ti ascolterà. Vedi se riuscite a trovare un accordo.
Mio fratello ha sempre amato i buoni affari.”
Frank e Hazel lo guardarono, come per dire ‘Per favore, non morire.’ Poi seguirono
Artemide sui gradini dell’anfiteatro, poi sulla cresta della collina.
“Beh, Leo Valdez?” Apollo incrociò le braccia. I suoi occhi brillavano di luce dorata.
“Stringiamo un affare, allora. Cosa potresti offrirmi che possa convincermi ad aiutarvi
piuttosto che uccidervi?”
XXXIV
L
e
o
‘UN AFFARE.’ Le dita di Leo si contrassero. “Già. Assolutamente.”
Le sue mani si misero a lavorare ancora prima che la sua mente capisse quello che stessero
facendo. Iniziarono a tirare cose fuori dalle tasche dalla sua magica cintura degli strumenti
– filo di rame, alcuni bulloni, un imbuto in ottone.
Per mesi non aveva mai buttato via pezzi di macchine, perché non sapeva mai di cosa
avrebbe potuto aver bisogno. E più utilizzava la cintura, più intuitivo diventava.
Gli sarebbe bastato raggiungere la cintura e l’oggetto giusto sarebbe apparso.
“Quindi,” disse Leo mentre le sue mani divagavano, “Zeus è già arrabbiato con te, giusto?
Se ci aiutassi a sconfiggere Gea, potresti renderlo felice.”
Apollo arricciò il naso. “Suppongo sia possibile. Ma sarebbe più facile colpire te.”
“Che tipo di ballata vorresti fare?” Le mani di Leo lavoravano furiosamente, agganciando
leve, fissando l’imbuto metallico ad un vecchio tubo. “Sei il dio della musica, giusto.
Vorresti ascoltare una canzone chiamata ‘Apollo percuote un Piccolo Ometto Semidivino’?
Io no. Ma ‘Apollo sconfigge la Madre Terra e salva il mostruoso Universo’… quello suona
come una Billboard chart-topper!”
Apollo guardò in aria, come se stesse immaginando il suo nome su un tendone. “Che cosa
vuoi esattamente? E cosa potrei fare a riguardo?”
“Per prima cosa ho bisogno di: consulenza.” Leo infilò alcuni fili attraverso alla bocca
dell’imbuto. “Voglio sapere se il mio piano funzionerà.”
Leo spiegò quello che aveva in mente. Aveva masticato quell’idea per giorni, da quando
Jason era tornato dal fondo del mare e Leo aveva iniziato a parlare con Nike.
Un dio primordiale è stato sconfitto una volta, aveva detto Kymopoleia a Jason.
Sapete di chi parlo.
Le conversazioni di Leo con Nike lo avevano aiutato a mettere a punto il piano, ma doveva
ancora vedersela con l’opinione di un altro dio. Perché, una volta che Leo si impegnava,
non sarebbe tornato sui suoi passi.
Una parte di lui sperava che Apollo ridesse e gli dicesse di lasciar perdere. Invece, il dio
annuì pensieroso. “Io ti darò questo consiglio. Potreste essere in grado di sconfiggere Gea
nel modo che dici tu, simile al modo in cui Urano è stato sconfitto eoni fa. Tuttavia,
qualsiasi mortale nelle vicinanze verrebbe…” La voce di Apollo vacillò “Che cos’è quella
roba che hai fatto?”
Leo guardò l’aggeggio che aveva in mano. Strati di fili di rame, molteplici set di corde di
chitarra, incrociati attraverso l’imbuto. File di perni controllavano le leve all’esterno del
cono, fissato ad una base di metallo quadrata con delle manovelle.
“Oh, questo…” La mente di Leo correva furiosamente. La cosa sembrava essere un carillon
fuso con un fonografo vecchio stile, ma che cosa sarebbe dovuto essere?
Merce di scambio.
Artemide gli aveva detto di stringere un accordo con Apollo.
Leo si ricordò di una storia che i ragazzi della Cabina Undici usavano per vantarsi: di come
loro padre, Ermes, aveva evitato una punizione per aver rubato le vacche sacre di Apollo.
Quando Ermes era stato catturato, aveva costruito uno strumento musicale – la prima lira
– e lo aveva dato ad Apollo, che subito lo perdonò.
Pochi giorni prima, Piper aveva menzionato di aver visto la grotta su Pilo dove Ermes
aveva nascosto quelle mucche. Doveva aver innescato il subconscio di Leo.
Senza neppure volerlo, aveva costruito uno strumento musicale, il che lo sorprese, dato che
non ne sapeva nulla di musica.
“Um, beh,” disse Leo, “Questo è semplicemente lo strumento più incredibile di sempre!”
“Come funziona?” chiese il dio.
‘Bella domanda’, pensò Leo.
Girò le manovelle, sperando che quella roba non gli esplodesse in faccia. Risuonarono
alcuni toni leggeri – metallici ma caldi. Leo manipolò le leve e gli ingranaggi. Riconobbe la
canzone che ne scaturì – la stessa melodia malinconica che Calypso aveva cantato per lui
su Ogigia sulla nostalgia e il desiderio. Ma, tirando alcune corde attraverso il cono in
ottone, la melodia suonò ancora più triste, come fosse una macchina per il cuore spezzato
– il modo in cui avrebbe suonato Festus se avesse potuto cantare.
Leo si era dimenticato che Apollo fosse lì. Fece suonare la canzone fino alla fine. Quando
ebbe finito, i suoi occhi bruciavano. Poteva quasi sentire l’odore del pane appena sfornato
dalla cucina di Calypso. Poté quasi assaggiare l’unico bacio che gli avesse mai dato.
Apollo fissò lo strumento in soggezione. “Devo averlo. Come si chiama? Cosa vuoi in
cambio?”
Leo ebbe l’improvviso istinto di nascondere lo strumento e tenerlo per sè. Ma inghiottì la
sua malinconia. Aveva un compito da portare a termine.
Calypso… Calypso aveva bisogno che lui avesse successo.
“Questo è il Valdezinator, ovviamente!” Gonfiò il petto. “Funziona, uhm, traduce i propri
sentimenti in musica, mentre si manipolano gli ingranaggi. È veramente complicato per
me, un figlio di Efesto, da usare, però. Non so se tu puoi –”
“Sono il dio della musica!” piagnucolò Apollo. “Posso di certo padroneggiare il
Valdezinator. Devo! È mio dovere!”
“Quindi cerchiamo di stipulare un patto, ragazzo-della-musica,” disse Leo. “Io ti do questo;
tu mi dai la physician’s cure.”
“Oh…” Apollo si morse il divino labbro. “Beh, attualmente non ho la physician’s cure.”
“Pensavo fossi il dio della medicina.”
“Si, ma sono il dio di molte cose! La poesia, la musica, di Delfi–” finì in un singhiozzo e si
coprì la bocca con un pugno. “Mi dispiace. Sto bene, sto bene. Come dicevo, ho diversi
campi di influenza. Come, ovviamente, ho il ruolo di ‘dio del sole’, che ho ereditato da Elio.
Il punto è, che io sono un po’ come un medico generico. Per la physician’s cure, hai bisogno
di uno specialista – l’unico che abbia mai curato la morte con successo: mio figlio Asclepio,
il dio dei guaritori.”
Il cuore di Leo sprofondò fino alle sue calze. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era di un
altro tentativo per cercare un altro dio che avrebbe probabilmente richiesto una sua
maglietta commemorativa o un Valdezinator.
“Che peccato, Apollo. Speravo che avremmo potuto stipulare un accordo.” Leo accese le
leve del suo Valdezinator, facendone scaturire un brano ancora più triste.
“Fermo!” gemette Apollo. “È troppo bello! Ri darò le indicazioni per Asclepio. È davvero
molto vicino!”
“Come facciamo a sapere che ci aiuterà? Abbiamo solo due giorni prima che Gea si
risvegli.”
“Ti aiuterà!” promise Apollo. “Mio figlio è molto utile. Basta presentarsi in mio nome. Lo
troverai nel suo vecchio tempio ad Epidauro.”
“Qual è il tranello?”
“Ah… beh, niente. Tranne, naturalmente, chi gli fa da guardia.”
“Viene custodito da cosa?”
“Non lo so!” Apollo allargò le braccia impotente. “So solo che Zeus tiene Asclepio sotto
scorta in modo che non vada in giro a correre per il mondo a far risorgere le persone. La
prima volta che Asclepio resuscitò i morti… beh, fece molto scalpore. È una lunga storia.
Ma sono sicuro che puoi convincerlo ad aiutarti.”
“Non suona molto come un affare,” disse Leo. “Che mi dici dell’ultimo ingrediente – la
maledizione di Delos. Che cos’è?”
Gli occhi di Apollo guardavano avidamente il Valdezinator. Leo era preoccupato che il dio
potesse anche prenderlo, e come avrebbe potuto fermarlo? Colpire il dio del sole con il
fuoco, probabilmente non sarebbe andata molto bene.
“Posso darti l’ultimo ingrediente,” disse Apollo. “Così avrete tutto il necessario perché
Asclepio possa fondervi la pozione.”
Leo provò un altro verso. “Non saprei. Scambiare questo bel Valdezinator per della
maledizione di Delos–”
“Non è una maledizione in realtà! Guarda…” Apollo volò verso il cespuglio di fiori di campo
più vicino e ne raccolse uno giallo da una fessura tra le pietre. “È questa la maledizione di
Delos.”
Leo lo fissò. “Una margherita maledetta?”
Apollo sospirò esasperato. “È solo un soprannome. Quando mia madre, Leto, era pronta
per dare alla luce Artemide e me, Era si arrabbiò, perché Zeus l’aveva tradita di nuovo. Così
andò in giro per ogni singola massa di terra. Fece promettere agli spiriti della natura di
ogni luogo di scacciare via mia madre, così’ che non potesse partorire da nessuna parte.”
“Suona proprio come il genere di cose che Era farebbe.”
“Infatti, no? Comunque sia, Era strinse la promessa da ogni terra che affondasse le sue
radici – ma non a Delos, perché allora era un’isola galleggiante. Gli spiriti della natura di
Delos accolsero mia madre. Diede alla luce me e mia sorella, e l’isola era così felice di
essere la nostra nuova casa sacra che si ricoprì di questi piccoli fiori gialli. I fiori sono una
benedizione, perché siamo incredibili. Ma sono anche il simbolo di una maledizione,
perché una volta nati Delos rimase radicata al suo posto e non fu più in grado di andare
alla deriva intorno al mare. Ecco perché le margherite gialle sono chiamate ‘la maledizione
di Delos’.”
“Così potrei prendermi una margherita da me e andarmene.”
“No, no! Non per la pozione che hai in mente. Il fiore dovrebbe essere scelto da mia sorella
o da me. Allora, cosa ne dici, semidio? Le indicazioni per Asclepio e il tuo ultimo
ingrediente magico in cambio di quel nuovo strumento musicale – abbiamo un accordo?”
Leo odiava dover dare via un buon perfetto Valdezinator in cambio di un fiore di campo,
ma non vedeva altra scelta. “Sei bravo negli affari, ragazzo-della-musica.”
Fecero lo scambio.
“Eccellente!” Apollo girò le leve del Valdezinator, che fece un suono simile al rumore di un
auto in una fredda mattina. “Hmm… forse ci vorrà un po’ di pratica, ma lo prendo! Ora
cerchiamo di trovare i tuoi amici. Prima partirete, meglio è!”
Hazel e Frank erano in attesa al porto di Delos. Artemide non era in giro.
Quando Leo si voltò per dire addio ad Apollo, anche il dio se ne era già andato.
“Ragazzi,” mormorò Leo, “Era davvero ansioso di far pratica con il suo nuovo
Valdezinator.”
“Il suo cosa?” chiese Hazel.
Leo gli raccontò del suo nuovo hobby come geniale inventore di imbuti musicali.
Frank si grattò la testa. “E in cambio hai ottenuto una margherita?”
“È l’ingrediente finale per la cura dalla morte, Zhang. È una super-margherita! E voi
ragazzi? Imparato qualcosa da Artemide?”
“Sfortunatamente, si.” Hazel guardò verso l’acqua, dove ancora era ancorata l’Argo II.
“Artemide sa molto sulle armi da tiro. Ci ha detto che Ottaviano ha commissionato alcune
sorprese… per il Campo Mezzosangue. Ha usato la maggior parte dei tesori della legione
per acquistare degli onagri dai Ciclopi.”
“Oh, no, non gli onagri!” disse Leo. “Che poi, cos’è un onagro?”
Frank aggrottò la fronte. “Tu costruisci macchinari. Come fai a non sapere cosa sia un
onagro? È solo la più grande catapulta mai utilizzata dall’esercito romano.”
“Bene,” disse Leo. “Ma onagro è un nome stupido. Avrebbero dovuto chiamarlo
Valdezpulta.”
Hazel roteò gli occhi. “Leo, è una cosa seria. Se Artemide avesse ragione, sei di questi
macchinari punteranno su Long Island domani sera. È questo che Ottaviano stava
aspettando. All’alba del primo Agosto, avrà abbastanza potenza di fuoco per distruggere
completamente il Campo Mezzosangue senza che nessun romano ci vada di mezzo.
Penserà che questo lo renderà un eroe.”
Frank imprecò in latino. “Inoltre ha convocato tantissimi mostruosi ‘alleati’ che la legione è
completamente circondata da centauri selvaggi, tribù di cinocefali con teste di cani, e
chissà cos’altro. Non appena la legione avrà distrutto il Campo Mezzosangue, i mostri si
accaniranno su Ottaviano e distruggeranno la legione.
“E poi Gea sorgerà.” Disse Leo. “E accadranno molte brute cose.”
Nella sua testa, gli ingranaggi girarono mentre registrava le nuove informazioni. “Va
bene… questo rende solo il mio piano ancora più importante. Una volta che avremmo
ottenuto questa physician’s cure, avrò bisogno del vostro aiuto. Di entrambi.”
Frank guardò nervosamente la margherita gialla maledetta. “Che tipo di aiuto?”
Leo raccontò loro del suo piano. Più parlava, più scioccati sembravano, ma nessuno dei
due disse che fosse pazzo. Una lacrima brillò lungo la guancia di Hazel.
“Deve andare così,” disse Leo. “Nike lo ha confermato. Apollo lo ha confermato. Gli altri
non lo accetterebbero mai, ma voi ragazzi… siete romani. Ecco perché ho voluto che
veniste su Delos con me. Capite il significato del sacrificio – fare il proprio dovere, saltare
sulla propria spada.”
Frank tirò su col naso. “Credo che tu intenda ‘Cadere sulla spada’.”
“Comunque sia,” disse Leo. “Sapete quale deve essere la risposta.”
“Leo…” Frank deglutì.
Leo stesso avrebbe voluto piangere come un Valdezinator, ma mantenne la calma. “Ehy,
ragazzone, sto contando su di te. Ricordi quella cosa che mi hai detto su Marte? Tuo padre
aveva detto che avresti dovuto fare un passo avanti, giusto? Avresti dovuto fare la chiamata
che nessun altro sarebbe stato disposto a fare.”
“O la guerra andrà male,” ricordò Frank. “Però –”
“E Hazel,” disse Leo. “Incredibile nebbiosa-magica Hazel, tu dovrai coprirmi. Sei l’unica
che può farlo. Il mio bisnonno Sammy aveva visto quanto fossi speciale. Mi ha benedetto
quando ero bambino, perché penso che in qualche modo sapesse che saresti tornata per
aiutarmi. Le nostre intere vite, mi amiga , ci hanno guidati fino a questo.”
“Oh, Leo…” Lei scoppiò in lacrime. Lo afferrò e lo abbracciò, che fu la cosa più dolce prima
che anche Frank iniziasse a piangere ed avvolse entrambi con le sue braccia. Il che fece
diventare tutto un po’ strano.
“Ok, beh…” Leo si liberò delicatamente. “Allora siamo d’accordo?”
“Odio questo piano,” disse Frank.
“Io lo disprezzo,” disse Hazel.
“Pensate a come mi sento io,” disse Leo. “Ma sapete che è la nostra carta migliore.”
Nessuno di loro lo sostenne. Parte di Leo avrebbe voluto che lo facessero.
“Torniamo alla nave,” disse. “Abbiamo un dio guaritore da trovare.”
XXXV
L
e
o
LEO SCOPRi’ L’ENTRATA SEGRETA IMMEDIATAMENTE.
“Oh, questo si che è bello.” Manovrò la nave sulle rovine di Epidauro.
L’Argo II in realtà non era nelle condizioni di volare, ma Leo l’aveva messa in volo dopo
una sola notte di lavoro. Con il mondo che avrebbe avuto termine l’indomani mattina, era
molto motivato.
Aveva innescato i lembi dei remi. Aveva riempito il serbatoio con acqua dello Stige. Aveva
rinfrescato la polena Festus con il suo miscuglio preferito – olio per motori e salsa di
tabasco. Anche Bufford il Meraviglioso Tavolino era indaffarato, crepitava per il
sottocoperta mentre il suo anagramma del mini-Hedge gridava: ‘DAMMI TRENTA PUSHUPS!’ per ispirare il motore.
Ora, finalmente, si erano librati in aria sopra il tempio del dio guaritore Asclepio, dove
avrebbero probabilmente potuto trovare la cura del medico e forse anche un po’ di
ambrosia, nettare e Fonzies, perché le forniture di Leo stavano esaurendo.
Accanto a lui sul castello di prora, Percy che guardava oltre il parapetto.
“Sembrano più delle macerie,” osservò.
Il suo volto era ancora verde dal suo avvelenamento subacqueo, ma almeno non correva
nel bagno molto spesso. Tra lui e il mal-di-mare di Hazel, era impossibile trovare un bagno
libero in quegli ultimi giorni.
Annabeth indicò una struttura a forma di disco ad una cinquantina di metri dal loro lato.
“Là.”
Leo sorrise. “Esattamente. Vedi, l’architetto conosce il suo campo.”
Il resto dell’equipaggio si riunì lì intorno.
“Cosa stiamo cercando?” chiese Frank.
“Ah, Señor Zhang,” disse Leo, “Lo sai che è come se tu dicessi sempre: ‘Leo, sei l’unico vero
genio tra i semidei’?”
“Sono abbastanza sicuro di non averlo mai detto.”
“Beh, trovami altri veri geni! Perché uno di loro deve aver creato quell’opera d’arte laggiù.”
“È un cerchio di pietre,” disse Frank. “Probabilmente delle fondamenta per un tempio
antico.”
Piper scosse la testa. “No, è più di questo. Osserva le creste e i solchi scavati intorno al
bordo.”
“Sono come denti di un ingranaggio,” suggerì Jason.
“E quegli anelli concentrici,” Hazel indicò il centro della struttura, dove le pietre curve
formavano una sorta di occhio. “Il modello mi ricorda il ciondolo di Pasifae: il simbolo del
Labirinto.”
“Huh.” Leo aggrottò la fronte. “Beh, non ci avevo pensato. Ma penso sia meccanico.
Frank, Hazel… dove abbiamo visto altri cerchi concentrici prima?”
“Nel laboratorio sotto Roma,” disse Frank.
“La serratura della porta di Archimede,” ricordò Hazel. “C’erano anelli dentro altri anelli.”
Percy sbuffò “Mi stai dicendo che è un blocco di pietra massiccia? È, tipo, trenta metri di
diametro!”
“Leo potrebbe aver ragione,” disse Annabeth. “Nei tempi antichi, il tempio di Asclepio era
come l’Ospedale Generale della Grecia. Tutti venivano qui per la cura migliore. Sopra la
terra, aveva le dimensioni di una grande città, ma presumibilmente le vere azioni
avvenivano sottoterra. Questo perché gli alti sacerdoti usavano la loro terapia intensiva
super-magica con un loro composto, accessibile da un passaggio segreto.”
Percy si grattò l’orecchio. “Quindi se quella grossa roba rotonda è la serratura, come
facciamo ad averne la chiave?”
“Vai Avanti, Aquaman,” disse Leo.
“Okay, non chiamarmi più Aquaman. Che è anche peggio di water boy.”
Leo si rivolse a Jason e Piper “Vi ricordate dell’artiglio gigante di Archimede di cui vi ho
parlato mentre costruivo?”
Jason sollevò un sopracciglio. “Pensavo che scherzassi.”
“Oh, amico mio, io non scherzo mai sugli artigli giganti!” Leo strofinò le mani in attesa. “È
ora di andare a pesca di premi!”
Rispetto alle altre modifiche che Leo aveva fatto alla nave, l’artiglio era un pezzo di torta.
Originariamente, Archimede lo aveva progettato per afferrare le navi nemiche fuori
dall’acqua. Ora Leo gli aveva trovato un nuovo uso.
Aprì un cassettone ed estrasse il braccio, guidato dal monitor della console e Jason, che era
volato fuori, che urlava le direzioni.
“A sinistra!” chiamò Jason. “Un altro paio di centimetri – si! Va bene, giù. Ci stai
arrivando. Ci sei.”
Usando i controlli, Leo aprì l’artiglio. I suoi denti si stabilirono intorno alle scanalature
della struttura circolare in pietra sotto di loro. Controllò gli stabilizzatori aerei e i video
segnaletici nel monitor.
“Bene, piccoletto.” Leo accarezzò la sfera di Archimede incorporata nel timone. “Ora tocca
a te.”
Attivò la sfera. L’artiglio cominciò a girare come un cavatappi. Ruotò l’anello di pietra
esterno, mentre la terra brontolava, ma per fortuna non si spezzò. Poi l’artiglio si spostò e
si fissò intorno al secondo anello di pietra girandolo nella direzione opposta.
In piedi accanto a lui, davanti al monitor, Piper lo baciò sulla guancia. “Sta funzionando.
Leo, sei incredibile!”
Leo sorrise. Stava per fare un commento sulla propria fantasticità, poi si ricordò del piano
che aveva elaborato con Hazel e Frank – e il fatto che avrebbe potuto non rivedere mai più
Piper dopo l’indomani.
Lo scherzo gli si strozzò in gola. “Si, beh… grazie, Beauty Queen.”
Sotto di loro, l’ultimo anello di pietra si voltò e si stabilì con un sibilo profondo. L’intero
piedistallo di quindici metri sprofondò verso il basso in una scala a chiocciola.
Hazel sospirò. “Leo, anche da qui, sento della roba malvagia in fondo a quelle scale. C’è
qualcosa di… grande e pericoloso. Sei sicuro che non vuoi che venga anche io?”
“Grazie, Hazel, ma staremo bene.” Accarezzò la schiena di Piper. “Io, Piper e Jason – siamo
vecchi professionisti delle cose grandi e pericolose.”
Frank gli porse la fiala di menta Pylosiana. “Non romperla.”
Leo annuì gravemente. “Non romperò la fiala di veleno mortale. Uomo, sono contento che
lo abbia detto. Si sa mai che mi occorra.”
“Zitto, Valdez.” Frank gli diede un abbraccio. “E fate attenzione.”
“Le costole,” squittì Leo.
“Scusa.”
Annabeth e Percy gli augurarono buona fortuna. Poi Percy si scusò e andò a vomitare.
Jason convocò i venti e portò Piper e Leo fino a terra.
Le scale a chiocciola andavano in basso per circa cinquanta metri prima di aprirsi in una
camera grande quanto il bunker nove – ovvero, gigantorme.
Le piastrelle bianche e lucide ricoprivano le pareti e il pavimento riflettendo la luce della
spada di Jason così bene che Leo non ebbe bisogno di produrre del fuoco.
File di lunghe panche di pietra riempivano tutta la camera, che ricordò a Leo uno di quelle
mega-chiese che venivano sempre pubblicizzate a Houston. In fondo alla stanza, dove ci
sarebbe dovuto essere l’altare, c’era una stanza di dieci metri di altezza di puro alabastro
bianco – una giovane donna in una veste bianca, un sorriso sereno sul volto. In una mano
brandiva un coppa, mentre un serpente d’oro le si avvolgeva attorno al braccio, la testa in
bilico sul bordo, come se fosse pronta a bere.
“Grande e pericoloso,” indovinò Jason.
Piper scansionò la stanza. “Questa doveva essere la sala da notte.” La sua voce produsse un
eco un po’ troppo forte per i gusti di Leo. “I pazienti stavano qui durante la notte. Il dio
Asclepio probabilmente li mandava qui a dormire, dicendo loro cosa fosse necessario per la
cura.”
“Come fai a saperlo?” chiese Leo. “Te lo ha detto Annabeth?”
Piper lo guardò offesa. “Conosco queste cose. Quella statua lì è Igea, la figlia di Asclepio. È
la dea della buona salute. È da lì che proviene la parola igiene.”
Jason studio la statua con circospezione. “Che cosa simboleggiano il serpente e la coppa?”
“Uh, non ne sono sicura,” ammise Piper. “Ma una volta questo luogo – l’Asclepeion – era
una scuola di medicina più che un ospedale. Tutti i migliori medici-sacerdoti venivano
istruiti qui. Venivano adorati sia Asclepio che Igea.”
Leo avrebbe voluto dire, ‘Okay, bel tour. Ora andiamo.’
Il silenzio, le luccicanti piastrelle bianche, l’inquietante sorriso sul volto di Igea… tutto gli
aveva fatto venire voglia di strisciare fuori dalla sua pelle. Ma Jason e Piper si diressero
lungo il corridoio centrale verso la statua, così Leo capì che era meglio seguirli.
Sparse sulle panchine c’erano vecchie riviste: Highlights for Children, Autumn, 20 B.C.E.;
Hephaestus-TV Weekly –Aphrodite’s Latest Baby Bump; A: The Magazine of Asclepius –
Ten Simple Tips to Get the Most out of Your Leeching!
Qua e là, mucchi di polvere e ossa erano sparsi sul pavimento, il che non incoraggiava sul
tempo medio attesa.
“Controlliamo.” Jason indicò. “C’erano quei segni quando siamo entrati? E quella porta?”
Leo non ci aveva pensato. Sulla parete a destra della statua, sopra una porta di metallo
chiusa, c’erano due cartelli elettronici. La parte superiore conteneva una scritta: IL
DOTTORE E’: INCARCERATO.
La nota sottostante diceva: NUMERO DI SERVIZIO ATTUALE: 0000000
Jason strizzò gli occhi. “Non riesco a leggerlo da così lontano. Il dottore è…”
“Incarcerato,” disse Leo. “Apollo mi aveva avvertito che Asclepio era tenuto sotto
sorveglianza. Zeus non voleva condividere i suoi segreti medici o qualcosa del genere.”
“Venti dollari e una scatola di Froot Loops che quella statua è il guardiano,” disse Piper.
“Non ci scommetto.” Leo guardò la pila di polvere più vicina nella sala d’attesa. “Beh…
credo che dovremmo prenderci un numero.”
La gigantesca statua aveva ben altra idea.
Quando arrivarono entro i cinque metri, la testa si girò a guardarli. La sua espressione
rimase bloccata. La sua bocca non si mosse. Ma una voce provenne da qualche parte,
riecheggiando attraverso la stanza.
“Avete un appuntamento?”
Piper non perse tempo. “Salve, Igea! Ci ha mandati Apollo. Abbiamo bisogno di vedere
Asclepio.”
La statua di alabastro scese dal suo piedistallo. Avrebbe potuto essere maccanica, ma Leo
non riusciva a sentire nessun punto mobile. Per esserne certo, avrebbe dovuto toccarla, ma
non voleva avvicinarsi.
“Capisco.” La statua continuò a sorridere, anche se non sembrava contenta. “Posso avere
una copia delle vostre carte assicurative?”
“Ah, beh…” Piper vacillò. “Non le abbiamo con noi, ma-”
“Non avete le carte assicurative?” La statua scosse la testa. Un sospiro esasperato echeggiò
attraverso la sala. “Suppongo che non le avete preparate per la vostra visita. Vi siete lavati
accuratamente le mani?”
“Uh… si?” disse Piper.
Leo si guardò le mani, che, come al solito, erano striate di grasso e sporcizia. Le nascose
dietro la schiena.
“Indossate della biancheria pulita?” chiese la statua.
“Ehy, signorina,” disse Leo, “sta andando un po’ troppo sul personale.”
“Bisognerebbe indossare della biancheria pulita nell’ufficio del dottore,” lo rimproverò
Igea. “Temo che tu sia un rischio per la tua salute. Dovreste sterilizzarvi prima di
procedere.”
Il serpente dorato si arricciò e si lasciò cadere dal suo braccio. Sollevò la testa e sibilò,
facendo brillare le zanne a sciabola.
“Uh, sai,” disse Jason, “venire sterilizzati da un grande serpente non è contemplato nei
nostri piani medici. Accidenti.”
“Oh, non ha importanza,” lo rassicurò Igea. “La sanificazione è un servizio alla comunità. È
gratuito!” Il serpente si lanciò.
Leo aveva fatto un sacco di pratica nello schivare mostri meccanici, il che era una buona
cosa, perché il serpente d’oro era veloce. Leo balzò di lato e il serpente lo mancò per un
soffio. Si girò e si avvicinò, le mani ardenti.
Mentre il serpente attaccava, Leo lo incendiò negli occhi, facendolo virare a sinistra e
scontrare con una panchina.
Piper e Jason si occuparono di Igea.
Tagliarono le ginocchia della statua, abbattendola come un albero di Natale di alabastro.
La testa colpì una panchina. Il suo calice schizzò via fumando acido per tutto il pavimento.
Jason e Piper si spostarono per ucciderla, ma prima che potessero colpire, le gambe di Igea
tornarono indietro come se fossero dei magneti. La dea si alzò, sempre sorridendo.
“Inaccettabile,” disse. “Il dottore non vi vedrà fino a quando non sarete adeguatamente
sanificati.”
Scosse la coppa verso Piper, che saltò via mentre l’acido spruzzava le panchine vicine,
sciogliendo la pietra in una nube di vapore con un sibilo.
Il serpente, nel frattempo, recuperò i suoi sensi. I suoi occhi di metallo fusi si erano riparati
in qualche modo. La sua faccia serbava più un’automobile ammaccata.
Colpì Leo, che si abbassò e cercò di afferrargli il collo, ma era come cercare di afferrare la
carta vetrata a 60 miglia all’ora. Il serpente si girò e tornò, la sua ruvida pelle metallica
lasciò le mani di Leo raschiate e sanguinanti.
Il contatto momentaneo diede a Leo una conferma, però. Il serpente era una macchina.
Aveva sentito il suo funzionamento interno e, se la statua di Igea operava in uno schema
simile, Leo avrebbe potuto avere qualche possibilità…
Dall’altra parte della stanza, Jason era salito in aria e aveva staccato la testa della dea.
Purtroppo, il capo volò nuovamente nella sua posizione.
“Inaccettabile,” disse Igea con calma. “La decapitazione non è una scelta di vita sana.”
“Jason, vieni qui!” urlò Leo. “Piper, guadagna un po’ di tempo!”
Piper lo guardò come se dicesse ‘Più facile a dirsi che a farsi.’ “Igea!” urlò. “Ho
l’assicurazione!”
Ottenne l’attenzione della statua. Anche il serpente d’oro di girò verso di lei, come se
l’assicurazione fosse un gustoso roditore.
“L’assicurazione?” disse la statua con entusiasmo. “Chi è il tuo provider?”
“Um… la Lighting Blue,” disse Piper. “Ho la carta giusto qui. Dammi un secondo.”
Fece un grande spettacolo svuotandosi le tasche. Il serpente scivolò più vicino per
guardare. Jason corse al fianco di Leo, ansimando. “Qual è il piano?”
“Non possiamo distruggere questa roba,” disse Leo. “Sono progettati per l’auto-guarigione.
Sono immuni a qualsiasi tipologia di danno.”
“Grandioso,” disse Jason. “Quindi…?”
“Ti ricordi lo schema di quel vecchio gioco di Chirone?” chiese Leo.
Gli occhi di Jason si spalancarono. “Leo… questo non è Mario Party Six.”
“È lo stesso principio, però.”
“modalità idiota?”
Leo sorrise. “Ho bisogno che tu e Piper corriate in direzioni opposte. Io riprogrammerò il
serpente, poi Big Bertha.”
“Igea.”
“Quello che è. Pronto?”
“No.”
Leo è Jason corsero verso il serpente.
Igea stava bombardando Piper con domande sull’assistenza sanitaria. “La Lighting Blue è
un HMO? Qual è il tuo permesso? Chi è il tuo medico curante?”
Mentre Piper dava risposte improvvisate, Leo saltò sula schiena del serpente. Questa volta
sapeva cosa cercare, e per un momento il serpente non sembrò nemmeno accorgersi di lui.
Leo aprì un pannello di servizio vicino alla testa del serpente. Si teneva aggrappato con le
gambe, cercando di ignorare il dolore e il sangue appiccicoso sulle mani mentre
riprogrammava il serpente.
Jason gli stava appresso, pronto ad attaccare, ma il serpente sembrava preso dai problemi
di Piper con la copertura della Lighting Blue.
“Allora il consiglio dell’infermiera era che dovevo chiamare il centro di assistenza,” riferì
Piper. “E i farmaci non erano coperti dal mio piano! E -”
Il serpente barcollò mentre Leo collegava gli ultimi due fili. Leo saltò giù e il serpente d’oro
cominciò a tremare in modo incontrollabile.
Igea si girò di scatto verso di loro. “Cos’hai fatto? Il mio serpente richiede assistenza
medica!”
“Ce l’ha l’assicurazione?” chiese Piper.
“COSA?” La statua si girò verso di lei, e Leo saltò. Jason convocò una folata di vento, che
condusse Leo sulle spalle della statua come un bambino in una parata. Lui aprì la parte
posteriore della testa della statua, mentre barcollava intorno, spruzzando acido.
“Scendi giù!” urlò. “Questo non è igienico!”
“Ehy!” gridò Jason, volando in cerchio intorno a lei. “Ho una domanda sulle mie deroghe!”
“Igea!” gridò Piper “Ho bisogno di una fattura da presentare al Medicare!”
“No, per favore!”
Leo trovò il cip regolatore della statua. Cliccò alcuni interruttori e tirò alcuni fili, cercando
di far finta che Igea fosse solo un grande e pericoloso sistema di gioco Nintendo.
Ricollegò alcuni circuiti e Igea cominciò a girare, gridando e agitando le braccia. Leo saltò
via, a mala pena evitando un bagno di acido.
Lui e i suoi amici si raccolsero mentre Igea e il suo serpente subirono una violenta
esperienza religiosa.
“Che cosa hai fatto?” chiese Piper.
“modalità idiota,” disse Leo.
“Scusami?”
“Al campo,” spiegò Jason, “Chirone aveva questo vecchio sistema di gioco nella stanza dei
giochi. Leo e Io eravamo soliti giocarci a volte. Dovevi competere contro degli avversari
controllati dal computer, come - ”
“ – E c’erano tre opzioni di difficoltà.” Disse Leo. “Facile, medio e difficile.”
“Ho giocato a dei videogiochi,” disse Piper. “Quindi cosa hai fatto?”
“Beh… mi ero stufato di quelle impostazioni.” Leo si strinse nelle spalle. “Così ho inventato
un quarto livello di difficoltà: modalità idiota. Rende il gioco più stupido e divertente.
Viene scelta sempre la cosa sbagliata da fare.”
Piper fissò la statua e il serpente, che erano finiti entrambi a terra e avevano iniziato a
fumare. “Sei sicuro di averli settati sulla modalità idiota?”
“Lo sapremo tra un minuto.”
“E se li avessi impostati a difficoltà estrema?”
“Allora anche quello lo sapremo.”
Il serpente si fermò rabbrividendo. Si arrotolò e si guardò intorno come se fosse
disorientato. Igea si bloccò. Uno sbuffo di fumo andò alla deriva dal suo orecchio destro.
Guardò Leo. “Devi morire! Salve! Devi morire!”
Alzò la coppa e si verso l’acido sul viso. Poi si voltò e marciò contro la parete più vicina. Il
serpente si impennò e sbatté la testa ripetutamente contro il pavimento.
“Bene,” disse Jason. “Penso che abbiamo raggiunto la modalità idiota.”
“Salve! Muori!” Igea si allontanò dal muro e sbatté la faccia nuovamente.
“Andiamo.” Leo corse verso la porta di metallo vicino al piedistallo. Afferrò la maniglia.
Era ancora chiusa, ma Leo avvertì i meccanismi all’interno – i fili percorrevano l’itero
telaio, collegato al… fissò i due cartelloni lampeggianti sopra la porta.
“Jason,” disse, “devi darmi una spinta.”
Un’altra raffica di vento lo fece levitare verso l’alto.
Leo si mise a lavorare con le sue pinze, riprogrammando le indicazioni fino a far brillare
quella superiore: IL DOTTORE E’: IN CASA.
Il cartello sottostante cambiò in: ORA IN SERVIZIO: TUTTE LE RAGAZZE AMANO LEO!
La porta di metallo si aprì, e Leo tornò a terra.
“Visto, l’attesa non era poi così male!” Leo sorrise ai suoi amici. “Il dottore ci vedrà ora.”
XXXVI
L
e
o
ALLA FINE DELLA SALA c’era una porta con una placca di bronzo:
ASCLEPIUS MD, DMD, DME, DC, DVS, FAAN, OMG, EMT, TTYL, FRCP, ME, IOU, OD, OT, PHARMD, BAMF, RN,
PHD, INC., SMH
Ci potevano essere più sigle, ma a quel punto il cervello di Leo esplose.
Piper bussò. “Dottor Asclepio?”
La porta si aprì. L’uomo all’interno aveva un sorriso gentile, delle pieghette attorno agli
occhi, capelli corti e brizzolati e una barba curata. Indossava un camice bianco su un
tailleur e uno stetoscopio attorno al collo – la sua attrezzatura medica era stereotipata,
tranne per una cosa: Asclepio teneva un bastone nero lucido con un pitone verde vivo
avvolto intorno ad esso.
Leo non era molto felice nel vedere un altro serpente.
Il pitone lo guardò con gli occhi gialli e pallidi, e Leo ebbe la sensazione che non fosse stata
impostata la modalità idiota.
“Salve!” disse Asclepio.
“Dottore.” Il sorriso di Piper era così caldo che avrebbe sciolto un Boreado. “Saremmo
molto grati per il suo aiuto. Abbiamo bisogno della physician’s cure.”
Leo non era nemmeno il suo bersaglio, ma la lingua ammaliatrice di Piper lo aveva travolto
irresistibilmente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla per quella cura. Sarebbe andato
a scuola di medicina, preso dodici dottorati e comprato un grande pitone verde su un
bastone.
Asclepio si mise la mano sul cuore. “Oh, mia cara, sarei felice di aiutarti.”
Il sorriso di Piper vacillò. “Lo faresti? Voglio dire, certo che si.”
“Si accomodi! Prego!” Asclepio li introdusse nel suo ufficio.
L’uomo era così gentile che Leo si immaginò che il suo ufficio sarebbe stato pieno di
strumenti di tortura, ma sembrava… beh, un ambulatorio medico: una grande scrivania di
acero, scaffali ripieni di libri di medicina, e alcuni di quei modellini di organi in plastica
con cui Leo amava giocare da bambino. Ricordava di essere finito nei guai una volta perché
aveva scambiato i reni e le gambe di uno scheletro con quelle di un mostro spaventando
l’infermiera. La vita era più semplice allora.
Asclepio prese posto nella grande sedia del medico e posò la sua attrezzatura medica e il
serpente sulla scrivania. “Prego, sedetevi!”
Jason e Piper presero posto in due sedie sul lato del paziente. Leo dovette rimanere in
piedi, che per lui andava bene. Non voleva essere alla stessa altezza degli occhi del
serpente.
“Dunque,” Asclepio si appoggiò allo schienale. “Non posso dirvi quanto sia bello parlare
con dei pazienti. Negli ultimi mille anni, il lavoro di ufficio mi ha tenuto occupato.
Cestinare, cestinare, cestinare. Compilare moduli. Trattare con la burocrazia. Per non
parlare del guardiana gigante in alabastro che ha ucciso tutti nella sala d’attesa. Ha rubato
tutto il divertimento dalla medicina!”
“Già,” disse Leo. “Igea ha una specie di handicap.”
Asclepio sorrise. “La mia vera figlia Igea non è così, ve lo assicuro. È molto dolce. In ogni
caso, hai fatto bene a riprogrammare la statua. Hai le mani di un chirurgo.”
Jason rabbrividì. “Leo con un bisturi? Non lo incoraggi.”
Il dio ridacchiò. “Ora, quale sarebbe il problema?” si sporse in avanti e scrutò Jason.
“Hmmm… Ferita da spada di oro imperiale, ma che è guarita bene. Niente cancro o
problemi cardiaci. Un neo sul piede sinistro, ma sono sicuro che è benigno.”
Jason sbiancò. “Come ha fatto-”
“Oh, ma certo!” disse Asclepio. “Sei un po’ miope! Semplice.”
Aprì il cassetto, tirò fuori un ricettario e un paio di occhiali. Scarabocchiò qualcosa sul
blocco, poi diede gli occhiali e la nota a Jason. “Tieni la prescrizione come riferimento in
futuro, ma questi dovrebbero andare bene. Provali.”
“Aspetti,” disse Leo. “Jason è miope?”
Jason aprì la custodia. “Io – ho avuto un po’ di difficoltà nel vedere da lontano ultimante.”
Ammise. “Pensavo fosse solo stanchezza.” Inforcò gli occhiali, che avevano una sottile
montatura in oro imperiale. “Wow, si. Così va proprio meglio.”
Piper sorrise. “Sembri molto distinto.”
“Non so, amico,” disse Leo. “Io sarei più per le lenti a contatto – di un incandescente
arancione con le pupille da gatto. Quelle sarebbero fighe.”
“Gli occhiali vanno bene,” decise Jason. “Grazie, uh, Dottor Asclepio, ma non è per questo
che siamo venuti.”
“No?” Asclepio congiunse le dita. “Bene, vediamo allora…” si rivolse verso Piper. “Tu
sembri stare bene, Mia cara. Ti sei rotta un braccio a sei anni. Caduta da cavallo?”
Piper spalancò la mascella. “Come fa a saperlo?”
“Dieta vegetariana,” continuò. “Nessun problema, basta che ti assicuri di assumere
abbastanza ferro e proteine. Hmm… Un po’ debole la spalla sinistra. Presumo tu sia stata
colpita da qualcosa di pesante un mese fa circa?”
“Un sacco di sabbia a Roma,” disse Piper. “Incredibile.”
“Del ghiaccio in gel e un impacco caldo se ti dovesse dare fastidio,” consigliò Asclepio. “E
tu…” si girò verso Leo. “Oh, mio…” L’espressione del dottore divenne cupa. Il suo luccichio
amichevole scomparve dai suoi occhi. “Oh, capisco…”
L’espressione del medico diceva. ‘Sono talmente tanto dispiaciuto.’
Il cuore di Leo si riempì di cemento. Se avesse nutrito qualche ultima speranza di evitare
quello che sarebbe avvenuto, ora era completamente svanita.
“Cosa?” i nuovi occhiali di Jason lampeggiarono. “che cosa c’è che non va con Leo?”
“Ehy, doc.” Leo lo zittì con lo sguardo. Sperando che conoscessero la riservatezza tra
medico e paziente anche nell’antica Grecia. “Siamo venuti per la physician’s cure. Puoi
aiutarci? Ho un po’ di menta Pylosiana qui e una bella margherita gialla.” Mise gli
ingredienti sulla scrivania, evitando accuratamente la bocca del serpente.
“Aspetta,” disse Piper. “C’è qualcosa che non va con Leo o no?”
Asclepio si chiarì la gola. “Io… non importa. Dimenticate che abbia detto qualcosa. Ora,
volete la physician’s cure.”
Piper aggrottò la fronte. “Ma -”
“Sul serio, ragazzi,” disse Leo. “Sto bene, tranne per il fatto che Gea stia per distruggere il
mondo domani. Concentriamoci.”
Non sembravano contenti, ma Asclepio andò avanti. “Quindi questa margherita è stata
colta da mio padre, Apollo?”
“Si,” disse Leo. “E le manda baci e abbracci.”
Asclepio colse il fiore e lo annusò. “Mi auguro che papà attraversi bene questa guerra. Zeus
potrebbe essere… un poco irragionevole. Ora, l’ingrediente che manca è il battito del cuore
del dio incatenato.”
“Ce l’ho,” disse Piper. “Almeno… posso evocare il makhai.”
“Eccellente. Solo un momento, cara.” Guardò il pitone. “Spike, sei pronto?”
Leo soffocò una risata. “Il nome del tuo serpente è Spike?”
Spike lo guardò minacciosamente. Sibilò, rivelando una corona di spine intorno al collo
come quelle di un basilisco. La risata di Leo strisciò di nuovo giù per la gola per morire.
“Ho sbagliato,” disse. “Naturalmente che il tuo nome sia Spike.”
“È un po’ scontroso,” disse Asclepio.
“Le persone scambiano sempre la mia attrezzatura con quella di Ermes, che ha due
serpenti, ovviamente. Nel corso dei secoli, le persone hanno chiamato la strumentazione di
Ermes come simbolo della medicina, quando naturalmente dovrebbe essere la mia
strumentazione. Spike si sente offeso. George e Martha prendono tutta l’attenzione.
Comunque…” Asclepio pose la margherita e il volendo di fronte a Spike. “Menta Pylosiana
– morte certa. La maledizione di Delos – l’ancoraggio a ciò che più essere ancorato. Ora
l’ingrediente finale: il battito del cuore del dio incatenato – il caos, la violenza, la paura
della mortalità.” Si rivolse a Piper. “Mia cara, puoi rilasciare il makhai.”
Piper chiuse gli occhi.
Del vento roteò attraverso la stanza. Delle voci adirate gemettero. Leo sentì lo strano
desiderio di schiaffeggiare Spike con un martello. Voleva strangolare il buon dottore con le
proprie mani.
Poi Spike fece scattare la mascella e inghiottì il vento arrabbiato. Il collo divenne smisurato
mentre gli spiriti della battaglia andavano giù per la gola. Trangugiò la margherita e la fiala
di menta Pylosiana per dessert.
“Il veleno non gli darà male?” domandò Jason.
“No, no,” disse Asclepio. “Aspetta e vedrai.”
Un attimo dopo Spike eruttò un nuovo flacone – un tubo in vetro con un tappo non più
grande di un dito di Leo. Del liquido rosso scuro brillava al suo interno.
“Physician’s cure.” Asclepio prese il flacone e lo rigirò sotto la luce. La sua espressione si
fece seria, poi sconcertata.
“Aspetta… perché ho accordato a farla?”
Piper mise il palmo della mano sulla scrivania. “Perché ne abbiamo bisogno per salvare il
mondo. È molto importante. Tu sei l’unico che ci possa aiutare.”
La sua lingua ammaliatrice era così potente che anche il serpente Spike si rilassò. Si
raggomitolò intorno al suo bastone e si addormentò. L’espressione di Asclepio si addolcì,
come se stesse rilassandosi in un bagno caldo.
“Certamente,” disse il dio. “Avevo dimenticato. Ma dovete fare attenzione. Ade odia
quando riporto le persone dalla morte. L’ultima volta che ho dato a qualcuno questa
pozione, il signore degli inferi se ne lamentò con Zeus, e mi ha ucciso con un fulmine.
BOOM!”
Leo trasalì. “Sei messo piuttosto bene per essere morto.”
“Oh, ho visto giorni migliori. Questo era parte del compromesso. Vedete, quando Zeus mi
uccise, mio padre Apollo era rimasto molto turbato. Non riusciva a non essere rancoroso
nei confronti di Zeus; il re degli dei era troppo potente. Così Apollo si vendicò sui
produttori di fulmini, invece. Uccise alcuni dei Vecchi Ciclopi. Per questo Zeus punì
Apollo… abbastanza severamente. Infine, per fare la pace, Zeus accettò di fare di me dio
della medicina, con la consapevolezza che non avrei potuto riportare chiunque altro in
vita.” Gli occhi di Asclepio erano pieni di incertezza. “Eppure eccomi qui… che vi sto dando
la cura.”
“Perché ti rendi conto di quanto questo sia importante,” disse Piper. “È disposto a fare
un’eccezione.”
“Si…” A malincuore, Asclepio consegnò la fiala a Piper. “In ogni caso, la pozione deve
essere somministrata appena possibile dopo la morte. Può essere iniettata o versata in
bocca. E ce n’è abbastanza per una sola persona. Mi avete capito?” Guardò verso di Leo.
“Abbiamo capito,” promise Piper. “Sei sicuro di non voler venire con noi Asclepio? Il tuo
custode è fuori servizio. Ci saresti molto utile a bordo dell’Argo II.”
Asclepio sorrise a malincuore. “L’Argo… quando ero un semidio, ho navigato sulla nave
originale, sapete. Ah, essere uno sventurato avventuriero di nuovo!”
“Già…” mormorò Jason. “Spensierato.”
“Ma, ahimè, non posso. Zeus sarà già abbastanza arrabbiato con me perché vi ho aiutati.
Inoltre, il custode si riprogrammerà da solo al più presto. Dovreste andare.” Asclepio si
alzò. “I miei auguri, semidei. E, se vedete di nuovo mio padre, per favore… portategli il mio
rammarico.”
Leo non era sicuro di cosa volesse dire, ma si avviò con gli altri.
Mentre passavano attraverso la sala d’attesa, la statua di Igea era seduta su una panchina,
versandosi dell’acido sul viso e cantando “Brilla, Brilla, mia Stellina”, mentre il suo
serpente dorato le stritolava il piede. La scena pacifica era quasi sufficiente per risollevare
lo spirito di Leo.
Tornati sull’Argo II, si riunirono nella sala mensa e convocarono il resto dell’equipaggio.
“Non mi piace,” disse Jason. “Il modo in cui Asclepio ha guardato Leo-”
“Aw, ha solo percepito il mio cuore malato.” Leo cercò di sorridere. “Sai, muoio dalla voglia
di vedere Calypso.”
“È davvero molto dolce,” disse Piper. “Ma non credo che sia questo.”
Percy aggrottò la fronte verso il flacone rosso incandescente che stava al centro del tavolo.
“Ognuno di noi potrebbe morire, giusto? Quindi dobbiamo solo tenere la pozione a portata
di mano.”
“Assumendo che solamente uno di noi muoia,” sottolineò Jason. “Ce n’è una sola dose.”
Hazel e Frank fissarono Leo. Lui ricambiò lo sguardo, come per dire ‘fatela finita’.
Gli altri non avevano visto il quadro completo. Fuoco o tempesta il mondo cader faranno –
Jason o Leo. Ad Olympia, Nike li aveva avvertiti che uno dei quattro semidei presenti
sarebbe morto: Percy, Hazel, Frank o Leo. Solo un nome corrispondeva a due elenchi: Leo.
E, se il piano di Leo avrebbe funzionato, non ci poteva essere nessun altro vicino quando vi
avesse dato inizio.
I suoi amici non avrebbero mai accettato la sua decisione.
Lo avrebbero sostenuto. Avrebbero cercato di salvarlo. Avrebbero insistito sulla ricerca di
un’altra soluzione.
Ma questa volta, Leo era convinto, non c’era altro modo. Come aveva sempre detto loro
Annabeth, lottare contro una profezia non aveva mai funzionato. Avrebbe creato più
problemi. Doveva assicurarsi che quella guerra si concludesse, una volta per tutte.
“Dobbiamo mantenere le nostre menti aperte,” suggerì Piper. “Ne abbiamo bisogno, come,
un medico designato per portare la pozione – qualcuno che possa agire rapidamente e
guarire chi viene ucciso.”
“Buona idea, Beauty Queen,” mentì Leo. “Io nomino te.”
Piper sbatté le palpebre. “Ma… Annabeth è più saggia. Hazel può muoversi più
velocemente su Ario. Frank può trasformarsi in degli animali -”
“Ma tu hai cuore.” Annabeth strinse la mano dell’amica. “Leo ha ragione. Quando sarà il
momento saprai cosa fare.”
“Già,” concordò Jason. “Ho la sensazione che tu sia la scelta migliore, Pipes. Sarai lì con
noi alla fin fine, qualunque cosa accada, fuoco o tempesta.”
Leo prese la fiala. “Tutti d’accordo?”
Nessuno obbiettò.
Leo scambiò uno sguardo con Hazel. ‘Sai cosa deve accadere.’
Tirò un panno di camoscio fuori dalla sua cintura degli attrezzi e fece un grande spettacolo
avvolgendo la physician’s cure. Poi porse il pacchetto a Piper.
“Bene, allora,” disse. “Attendiamo domain mattina, gang. Preparatevi a combattere
qualche gigante.”
“Si…” mormorò Frank. “So che io dormirò bene.”
Dopo la cena si lasciarono, Jason e Piper cercarono di fermare Leo. Volevano parlare di
quello che era successo con Asclepio, ma Leo li eluse.
“Ho da lavorare sul motore,” disse, il che era vero.
Una volta in sala macchine, con Buford il Meraviglioso Tavolino come unica compagnia,
Leo fece un respiro profondo. Raggiunse la sua cintura degli strumenti e tirò fuori la vera
fiala di physician’s cure – non la versione fasulla che aveva consegnato a Piper.
Buford gli soffiò contro del vapore.
“Ehy, amico, ho dovuto,” disse Leo.
Buford attivò il suo ologrammatico Hedge. “METTITI DEI VESTITI ADDOSSO!”
“Guarda, è l’unico modo. Altrimenti moriremo tutti.”
Buford emise u grido lamentoso, poi roterellò nell’angolo con il broncio.
Leo fissò il motore. Aveva trascorso così tanto tempo per metterlo insieme. Aveva
sacrificato mesi di sudore, dolori e solitudine.
Ora l’Argo II si stava avvicinando alla fine del suo viaggio. Tutta la vita di Leo – la sua
infanzia con Tìa Callida; la morte di sua madre in quel magazzino in fiamme; i suoi anni
come bambino adottivo; i mesi al Campo Mezzosangue con Jason e Piper – tutto sarebbe
arrivato al culmine l’indomani mattina nella battaglia finale.
Aprì il pannello d’accesso.
La voce di Festus scricchiolò al citofono.
“Si, amico,” concordò Leo. “È il momento.”
Un altro scricchiolio.
“Lo so,” disse Leo. “Insieme fino alla fine?”
Festus cigolò affermativamente.
Leo controllò l’antico astrolabio di bronzo, che era stato dotato del cristallo di Ogigia. Leo
poteva solo sperare che funzionasse.
“Tornerò da te, Calypso.” Mormorò. “Lo promesso sul Fiume Stige.”
Premette l’interruttore e accese il dispositivo di navigazione. Impostò il timer per
ventiquattro ore.
Alla fine aprì la linea del ventilatore del motore e spinse dentro la fiala della physician’s
cure. Scomparve nelle vene della nave con un ‘thunk’ decisivo.
“Troppo tardi per tornare indietro ora,” disse Leo.
Si arricciò sul pavimento e chiuse gli occhi, deciso a godersi il ronzio familiare del motore
per la sua ultima notte.
XXXVII
R
e
y
n
a
‘TORNIAMO INDIETRO!’
Reyna non era molto entusiasta di dare ordini a Pegaso, il Signore dei Cavalli Volanti, ma
era ancora meno entusiasta di venire colpita in mezzo al cielo.
Mentre si avvicinavano al Campo Mezzosangue nelle prime ore dell’alba del 1° Agosto,
aveva avvistato sei onagri romani.
Anche al buio, la placcatura di oro imperiale brillava. Le loro massicce braccia di lancio
piegate indietro come l’albero di una nave che annunciava la tempesta.
Gli equipaggi di artiglieri correvano intorno alle macchine, caricando le cinghie,
controllando la torsione delle corde.
“Che cosa sono quelli?” chiamò Nico.
Volava a circa sei metri sulla sua sinistra sul pegaso nero Blackjack.
“Armi d’assedio,” disse Reyna. “Se ci avviciniamo ancora, potrebbero colpirci.”
“Così in alto?”
Sulla destra, Coach Hedge gridò dal posteriore del suo destriero, Guido, “Quelli sono
onagri, ragazzo! Quelle cose possono calciare in alto quanto Bruce Lee!”
“Lord Pegaso,” disse Reyna, appoggiando la mano sul collo dello stallone, “abbiamo
bisogno di un posto sicuro a terra.”
Pegaso sembrò comprendere. Virò a sinistra. Gli altri cavalli volanti lo seguirono –
Blackjack, Guido e gli altri sei che stavano trainando l’Athena Parthenos dietro di loro con
delle corde.
Mentre costeggiavano il bordo occidentale del campo, Reyna osservò la scena. La legione
allineata alla base delle colline orientali, pronta per un attacco all’alba. Gli onagri erano
schierati dietro di loro in un semicerchio sciolto ad intervalli regolari di duecento metri. A
giudicare dalle dimensioni delle armi, Reyna calcolò che Ottaviano aveva abbastanza
potenza di fuoco per distruggere ogni essere vivente nella valle.
Ma quella era solo parte della minaccia. Accampati lungo i fianchi della Legione c’erano
centinaia di forze auxilia. Reyna non riusciva a vedere bene al buio, ma avvistò almeno una
tribù di centauri selvaggi e un esercito di cinofali, gli uomini con la testa di cane con cui la
legione aveva fatto tregua secoli prima.
I romani erano in grave inferiorità numerica, circondati da un mare di alleati inaffidabili.
“Lì.” Nico indicò verso il sud di Long Island, dove le luci di un grande yatch brillavano per
un quarto di miglio dalla costa. “Potremmo atterrare sul ponte della nave. Il mare è
controllato dai Greci.”
Reyna non era sicura che i greci sarebbero stati più amichevoli dei Romani, ma a Pegaso
sembrava piacere l’idea. Scese verso le acque scure del Sound.
La nave era un imbarcazione da diporto bianco e lungo una trentina di metri, con eleganti
linee e porte dipinte di nero. Dipinto sulla prua, in lettere rosse c’era il nome MI AMOR.
Sul ponte di prua c’era un eliporto abbastanza grande per l’Athena Parthenos.
Reyna non vide l’equipaggio. Sperò che la nave fosse una regolare nave mortale ancorata
nella notte, ma se si sbagliasse e fosse una trappola…
“È la nostra unica possibilità,” disse Nico. “I cavalli sono stanchi. Dobbiamo scendere.”
Lei annuì con riluttanza. “Facciamolo.”
Pegaso disfese sul ponte di prua con Guido e Blackjack. Gli altri sei cavalli adagiarono
l’Athena Parthenos sulla piazzola di atterraggio e poi vi si stabilirono tutt’intorno. Con i
loro cavi e cablaggi, sembravano dei cavalli da giostra.
Reyna smontò. Come aveva fatto due giorni prima, quando aveva incontrato Pegaso, gli si
inginocchiò davanti. “Grazie, maestoso.”
Pegaso allargò le ali e inclinò la testa.
Anche adesso, dopo aver volato metà della costa orientale assieme, Reyna non credeva che
il cavallo immortale le avesse permesso di cavalcarlo.
Reyna se lo era sempre raffigurato di un solido bianco con le ali di colomba, ma il manto di
Pegaso era di un marrone ricco, chiazzato di rosso e oro intorno al muso – che Hedge
sosteneva essere i segni con cui lo stallone era emerso dal sangue e icore dalla
decapitazione di sua madre, Medusa. Le ali di Pegaso erano dello stesso colore di quelle
delle aquile – oro, bianco, marrone e ruggine – che lo faceva sembrare molto più bello e
regale di quelle bianche. Era il colore di tutti i cavalli, in rappresentanza di tutti i suoi figli.
Il signor Pegaso nitrì.
Hedge trottò verso di loro per tradurre. “Pegaso dice che deve andarsene prima che la
sparatoria abbia inizio. La sua forza vitale collega tutti i Pegasi, capite, quindi se si dovesse
infortunare tutti i cavalli alati sentirebbero il suo dolore. Ecco perché non esce molto
spesso. Lui è immortale, ma la sua prole non lo è. Non vuole che soffrano per lui. Ha
chiesto agli altri cavalli di rimanere con noi, per aiutarci a portare a termine la nostra
missione.”
“Capisco,”disse Reyna. “Grazie.”
Pegaso nitrì.
Gli occhi di Hedge si spalancarono. Soffocò un singhiozzo, poi pescò un fazzoletto dal suo
zaino e si asciugò gli occhi.
“Coach,” Nico aggrottò la fronte con preoccupazione. “Che cosa ha detto Pegaso?”
“Lui – lui ha detto che non è venuto da noi in persona a causa del mio messaggio.” Hedge
si rivolse verso Reyna. “Lo ha fatto grazie a te. Fa esperienza di tutti i sentimenti di tutti i
cavalli alati. Ha seguito la tua amicizia con Scipio. Pegaso dice che non è mai stato così
toccato dalla compassione di un semidio per un cavallo alato. Ti dona il titolo di Amica dei
Cavalli. È un grande onore.”
Gli occhi di Reyna bruciarono. Chinò la testa. “Grazie, signore.”
Pegaso scalpitò sul ponte. Gli altri cavalli alati nitrirono in segno di saluto. Poi loro padre si
lanciò verso l’alto e scomparve nella notte.
Hedge fissò le nuvole con stupore.
“Pegaso non si è mai mostrato in centinaia di anni.” Accarezzò Reyna sulla schiena. “Hai
agito bene, romana.”
Reyna non sentiva di meritare del credito per aver fatto attraversare a Scipio tanta
sofferenza, ma si costrinse a seppellire i suoi sensi di colpa.
“Nico, dovremmo controllare la nave,” disse. “Se c’è qualcuno a bordo-”
“Sono più avanti di te.” Lui accarezzò il muso di Blackjack. “Sento due mortali
addormentati nella cabina principale. Nessun altro. Non sono figlio di Ipno, ma ho inviato
dei sogni profondi verso di loro. Dovrebbe essere sufficiente per farli sonnecchiare fino ad
oltre l’alba.”
Reyna cercò di non guardarlo. Negli ultimi giorni era diventato molto più forte.
La magia della natura di Hedge lo aveva portato via dal baratro. Aveva visto Nico fare delle
cose impressionanti, ma manipolare i sogni… se fosse sempre stato in grado di farlo?
Coach Hedge si strofinò le mani con entusiasmo. “Così, quando possiamo scendere a terra?
Mia moglie mi sta aspettando!”
Reyna scrutò l’orizzonte. Una trireme greca stava pattugliando in mare aperto, ma non
sembrava aver notato il loro arrivo. Nessun allarme era suonato. Nessun segno di
movimento lungo la spiaggia.
Intravide una scia argentea nel chiarore della luna, a mezzo miglio a ovest. Poi si avvicinò,
e la mano di Reyna si strinse sull’elsa della sua spada.
Sulla prua della barca scintillava un disegno di una corona d’alloro con le lettere SPQR. “La
legione ci ha inviato un comitato d’accoglienza.”
Nico lo seguì con lo sguardo. “Pensavo che i romani non avessero una marina.”
“Non ce l’abbiamo, infatti,” disse lei. “A quanto pare Ottaviano si è impegnato più di
quanto pensassi.”
“Allora attacchiamo!” disse Hedge. “Perché nessuno si mette sulla mia via quando io sono
così vicino.”
Reyna contò tre persone sul motoscafo. I due nella parte posteriore indossavano degli elmi,
ma Reyna riconobbe le forme cuneiformi del viso e le spalle tozze del conducente: Michael
Kahale.
“Proveremo con un parlai,” decise Reyna. “è uno dei bracci destri di Ottaviano, ma è un
buon legionario. Forse sono in grado di farlo ragionare.”
Il vento spazzò i capelli scuri sul viso di Nico. “Ma se ti sbagli…”
La barca scura rallentò e li affiancò.
Michael chiamò: “Reyna! Ho l’ordine di arretrati e di confiscarti quella statua. Salgo a
bordo con altri due centurioni. Preferirei farlo senza spargimenti di sangue.”
Reyna cercò di controllare il tremore delle sue gambe. “Sali a bordo, Michael!”
Si rivolse a Nico e a Coach Hedge. “Se mi sbaglio, state pronti. Michael Kahale non sarà
facile da sconfiggere.”
Michael non era vestito per il combattimento. Indossava solo la sua maglietta viola del
campo, Jeans e scarpe da corsa. Non portava alcuna arma visibile, ma la cosa non fece
sentire meglio Reyna. Le sue braccia erano spesse come cavi di un ponte, la sua
espressione era accogliente come un muro di mattoni. Il tatuaggio della colomba sul suo
avambraccio sembrava un uccello da preda.
I suoi occhi brillavano cupamente mentre osservava la scena – l’Athena Parthenos legata al
suo team di pegasi, Nico con la sua spada di ferro dello Stige, Coach Hedge con la sua
mazza da baseball. I centurioni dietro a Michael erano Leila dalla quarta coorte e Dakota
dalla quinta. Una scelta strana… Leila, figlia di Cerere, non era nota per la sua aggressività.
Era solita ad usare la mente. E Dakota… Reyna non poteva credere che il figlio di Bacco, il
più bonario della maggior parte dei funzionari, si fosse schierato con Ottaviano.
“Reyna Ramìrez-Arellano,” pronunciò Michael, come se stesse leggendo un libro, “expretore-”
“Io sono pretore,” lo corresse Reyna. “A meno che non sia stata rimossa da un voto del
pieno Senato. È questo il caso?”
Michael sospirò pesantemente. Non sembrava essere felice del suo compito. “Ho l’ordine di
arrestarti e di portarti a giudizio.”
“Con quale autorità?”
“Le conosci - ”
“Su quali accuse?”
“Ascolta, Reyna - ” Michael strofinò il palmo della mano sulla fronte, come se potesse
spazzargli via il mal di testa. “Non mi piace questa faccenda tanto quanto a te. Ma ho i miei
ordini.”
“Ordini illegali.”
“È troppo tardi per discutere. Ottaviano ha assunto poteri di emergenza. La legione lo
segue.”
“Davvero?” guardò accuratamente Dakota e Leila. Leila cercò di non incontrare i suoi
occhi. Dakota strizzò l’occhio come se stesse cercando di trasmettere un messaggio, ma era
difficile dirlo con lui. Potrebbe averlo semplicemente fatto per i troppi zuccheri.
“Siamo in guerra,” disse Michael. “dobbiamo essere uniti. Dakota e Leila non erano dei più
entusiasti sostenitori. Ottaviano ha dato loro questa ultima possibilità di dimostrare la
propria validità. Se mi aiutano a riportarti – preferibilmente viva, ma anche morta, se
necessario – potranno mantenere il loro rango e dimostrare la loro fedeltà.”
“A Ottaviano,” osservò Reyna. “Non alla legione.”
Michel allargò le mani, che erano solo leggermente più piccole di un guantone da baseball.
“Non puoi incolpare gli ufficiali perché decadono. Ottaviano ha un piano per vincere, ed è
un buon piano. All’alba gli onagri distruggeranno il campo greco senza una sola perdita di
vite romane. Gli dei potranno guarire.”
Nico intervenne. “Spazzereste via metà dei semidei del mondo, metà della discendenza
degli dei, per guarirli? Lacererai l’Olimpo prima che Gea si risvegli. E lei si sta svegliando,
Centurione.”
Michael fece una smorfia. “Ambasciatore di Plutone, figlio di Ade… qualsiasi modo in cui ti
chiami, sei stato nominato come spia nemica. Ho l’ordine di esecuzione per te.”
“Puoi provarci,” disse Nico freddamente.
Il faccia a faccia fu così assurdo che sarebbe potuto risultare divertente. Nico era diversi
anni più giovane, mezzo metro più basso e cinquanta chili di meno. Ma Michael non fece
una sola mossa. Le vene sul collo che pulsavano.
Dakota tossì. “Um, Reyna… basta che tu venga con noi in pace. Per favore. Possiamo
parlarne.” Le stava facendo sicuramente l’occhiolino.
“Va bene, basta parlare.” Coach Hedge sovrastò Michael Kahale. “Fammi stendere questo
buffone. Ho dei guantoni più grandi.”
Michael sorrise. “Sono sicuro che sei un fauno coraggioso, ma -”
“Satiro!”
Coach Hedge balzò contro al centurione. Scagliò la sua mazza da baseball con tutta la sua
forza, ma Michael Kahale semplicemente la afferrò e la tirò via dalle mani del coach.
Michael ruppe la mazza sopra il ginocchio. Poi spinse il coach indietro, anche se Reyna
sapeva che Michael non stava cercando di fargli del male.
“È tutto qui!?” ringhiò Hedge. “Ora mi fai arrabbiare sul serio!”
“Coach,” lo avvertì Reyna, “Michael è molto forte. Avresti bisogno di essere un orco, o un-”
Da qualche parte a babordo, fino alla linea di galleggiamento, una voce gridò “Kahale! Per
che cosa stai perdendo così tanto tempo?”
Micheal trasalì. “Ottaviano?”
“Certo che sono io!” Gridò la voce dal buio. “Mi sono stancato di aspettare che tu esegua i
miei ordini! Tutti quanti su entrambi i lati, deponete le armi!”
Michael aggrottò la fronte. “Uh… signore? Tutti? Anche noi?”
“Se non sai risolvere un problema senza spade o un pugno, devi essere un idiota! Posso
gestire questa feccia di Graecus!”
Michael si guardò attorno insicuro, ma fece cenno a Leila e a Dakota, che deposero le loro
spade sul ponte.
Reyna guardò Nico. Evidentemente, qualcosa non andava. Non poteva pensare ad una
qualsiasi ragione per cui Ottaviano per cui Ottaviano sarebbe dovuto essere lì, mettendosi
in pericolo. Sicuramente non avrebbe ordinato ai suoi ufficiali di sbarazzarsi delle loro
armi. Ma l’istinto di Reyna le diceva di stare al gioco. Lasciò cadere la lama. Nico fece lo
stesso.
“Sono tutti disarmati, signore,” dichiarò Michael.
“Bene!” Esclamò Ottaviano.
Una silhouette scusa apparve in cima alla scala, ma era troppo grande per essere
Ottaviano. Una forma più piccola con le ali svolazzava dietro di lui – un’arpia? Con il
tempo Reyna si rese conto di quello che stava accadendo, il Ciclope aveva attraversato il
ponte in due grandi falcate. Sollevò Michael Kahale sulla testa. Il centurione cadde come
un sacco di patate.
Dakota e Leila indietreggiarono allarmati.
L’arpia svolazzò sul tetto della tuga. Alla luce della luna, le sue penne sembravano di un
color sangue secco. “Forte,” disse Ella, lisciandosi le ali. “Il ragazzo di Ella è più forte dei
Romani.”
“Amici!” esplose Tyson il Ciclope. Colse Reyna in un braccio e Hedge e Nico nell’altro.
“Siamo venuti a salvarvi. Urrà per noi!”
XXXVIII
R
e
y
n
a
REYNA NON ERA MAI STATA COSì FELICE di vedere un Ciclope, almeno fino a quando Tyson non
li lasciò andare e si girò verso Leila e Dakota. “Cattivi Romani!”
“Tyson, aspetta!” disse Reyna. “Non far loro del male!”
Tyson aggrottò la fronte. Era più piccolo di un Ciclope, era ancora un bambino, davvero –
poco più di sei metri di altezza, i suoi capelli castani increspati dall’acqua salata, il suo
grande e unico occhio del colore dello sciroppo d’acero. Indossava solo un costume da
bagno e una camicia di flanella di un pigiama, come se non riuscisse a decidere se andare
in piscina o andare a dormire. Emanava un forte odore di burro di arachidi.
“Non sono cattivi?” chiese lui.
“No,” disse Reyna. “Stavano solo seguendo cattivi ordini. Penso che siano dispiaciuti. Non
è vero, Dakota?”
Dakota alzò le braccia così in fretta che sembrò Superman nel momento del decollo.
“Reyna, stavo cercando di fartelo capire! Leila e io abbiamo pensato di passare dall’altra
parte per aiutarvi a stendere Michael.”
“Proprio così!” Leila quasi non cadde all’indietro oltre la ringhiera. “Ma, prima che
potessimo, il Ciclope lo ha fatto per noi!”
Coach Hedge sbuffò. “Una storia accettabile!”
Tyson starnutì. “Mi dispiace. Pelliccia di capra. Prurito al naso. Ci fidiamo dei Romani?”
“Io lo faccio,” disse Reyna. “Dakota, Leila, capite quale sia la nostra missione?”
Leila annuì “Vuoi riportare quella statua ai greci come offerta di pace. Lasciaci aiutare.”
“Già,” Dakota annuì vigorosamente. “La legione non è così unita come Michael ha
affermato. Non ci fidiamo di tutte quelle forze auxilia che Ottaviano ha raccolto.”
Nico rise amaramente. “Un po’ tardi per i dubbi. Siete circondati. Appena il Campo
Mezzosangue sarà distrutto, quegli alleati si rivolteranno contro di voi.”
“Quindi che cosa dovremmo fare?” chiese Dakota. “Abbiamo un’ora al massimo fino
all’alba.”
“Le cinque e cinquantadue del mattino,” disse Ella, ancora arroccata sulla darsena. “Alba,
costa orientale, il primo di Agosto. Orario della Meteorologia Navale. Un’ora e
dodici minuti è più di un’ora.”
L’occhio di Dakota ticchettò. “Giusto.”
Coach Hedge guardò Tyson. “Possiamo accedere al Campo Mezzosangue in modo sicuro?
Mellie sta bene?”
Tyson si grattò il mento pensieroso. “È molto rotonda.”
“Ma sta bene?” insistette Hedge. “Non ha ancora partorito?”
“ ‘La consegna arriva alla fine del terzo trimestre,’ ” suggerì Ella. “Pagina quarantatre, La
guida della Neo-Mamma per - ”
“Devo raggiungerla!” Hedge sembrava come se fosse pronto a saltare in mare e andare a
nuoto.
Reyna gli mise una mano sulla spalla. “Coach, ti faremo arrivare da tua moglie, ma
dobbiamo farlo per bene. Tyson, come avete fatto tu ed Ella ad arrivare su questa nave?”
“Arcobaleno!”
“Avete… preso un arcobaleno.”
“Il mio amico pesce-pony.”
“Un ippocampo,” spiegò Nico.
“Capisco.” Reyna rifletté per un momento. “Potete, tu ed Ella, scortare il coach fino al
Campo Mezzosangue, sano e salvo?”
“Si!” disse Tyson. “Possiamo farlo!”
“Bene. Coach, vada da sua moglie. Dica ai campeggiatori che ho intenzione di far volare
l’Athena Parthenos alla Collina Mezzosangue all’alba. È un regalo da Roma alla Grecia, per
guarire le nostre divisioni. Se potessero astenersi dallo spararmi in cielo aperto, ne sarei
grata.”
“Afferrato,” disse Hedge. “Ma che dire della legione romana?”
“Questo è un problema,” disse Leila gravemente. “Quegli onagri ti faranno finire fuori
rotta.”
“Abbiamo bisogno di una distrazione,” disse Reyna. “Qualcosa che ritardi l’attacco sul
Campo Mezzosangue e preferibilmente che metta fuori uso quelle armi. Dakota, Leila, le
vostre coorti vi seguiranno?”
“Io – io penso di si,” disse Dakota. “Ma se gli chiediamo di impegnarsi in un tradimento - ”
“Non è un tradimento,” disse Leila. “No, se agiamo su ordine diretto del nostro pretore. E
Reyna è ancora pretore.”
Reyna si rivolse a Nico. “Ho bisogno che tu vada con Dakota e Leila. Mentre creeranno
problemi nei ranghi, per cercare di ritardare l’attacco, è necessario trovare un modo per
sabotare quegli onagri.”
Il sorriso di Nico fece capire a Reyna che era dalla sua parte. “Il piacere è tutto mio. Ti
faremo guadagnare del tempo per trasportare l’Athena Parthenos.”
“Uhm…” Dakota strisciò i piedi. “Anche se riuscirai a far arrivare la statua alla collina, cosa
fermerà Ottaviano dal distruggerla una volta che sarà sul posto? Ha un sacco di potenza di
fuoco, anche senza gli onagri.”
Reyna scrutò il volto d’avorio di Atena, velata sotto la rete mimetica. “Una volta che la
statua verrà restituita ai Greci… penso che sarà difficile da distruggere. Possiede una
grande magia. Ha semplicemente scelto di non usarla ancora.”
Leila si chino lentamente e recuperò la spade, tenendo gli occhi sull’Athena Parthenos. “Ti
credo sulla parola. Che cosa ne facciamo di Michael?”
Reyna considerò la ronfante montagna di semidio hawaiano. “Mettetelo sulla vostra barca.
Non fategli del male e non legatelo. Ho la sensazione che Michael non abbia cattive
intenzioni. Ha solo avuto la sfortuna di essere sponsorizzato dalla persona sbagliata.”
Nico rinfoderò la sua spada nera. “Ne sei sicura, Reyna? Non mi piace l’idea di lasciarti da
sola.” Blackjack nitrì e leccò il lato del viso di Nico. “Gah! E va bene, mi dispiace.” Nico si
pulì dalla bava del cavallo. “Reyna non è sola. Ha una mandria di ottimi pegasi.”
Reyna non poté fare a meno di sorridere. “Starò bene. Con un po’ di fortuna, ci
rincontreremo abbastanza presto. Combatteremo fianco a fianco contro le forze di Gea.
Fate attenzione, e Ave Romae!”
Dakota e Leila ripeterono il saluto.
Tyson corrugò un sopracciglio. “Chi è Ave?”
“Vuol dire ‘andate, Romani’.” Reyna batté sull’avambraccio del Ciclope. “Ma, ad ogni
modo, andate, anche voi ,Greci.” Le suonava strano pronunciare quelle parole.
Si voltò verso Nico. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non era sicura che il gesto sarebbe
stato apprezzato. Tese la mano. “è stato un onore affrontare questa missione con te, figlio
di Ade.”
Nico la strinse forte. “Tu sei la semidea più coraggiosa che abbia mai incontrato, Reyna. Io
-” esitò, forse rendendosi conto che avevano un vasto pubblico. “Io non ti deluderò. Ci
vediamo alla collina Mezzosangue.”
Il cielo iniziò a schiarire ad oriente mentre il gruppo si separava. Presto Reyna si ritrovò sul
ponte della Mi Amor … da sola se non per otto pegasi e trenta metri di Atena.
Cercò di calmare i nervi. Finché Nico, Dakota e Leila non avrebbero interrotto l’attacco
della Legione, non avrebbe potuto fare nulla, ma odiava stare in piedi a girarsi i pollici.
Sulla linea scura di colline poco lontana, i suoi compagni della dodicesima legione si
stavano preparando per un inutile attacco. Se Reyna fosse rimasta con loro, non avrebbe
potuto guidarli meglio.
Avrebbe tenuto Ottaviano sotto controllo. Forse il gigante Orione aveva ragione: avrebbe
fallito i suoi doveri.
Si ricordò dei fantasmi sul balcone a San Juan – la puntavano, sussurrandole accuse:
Assassina. Traditrice. Ricordò la sensazione della sciabola d’oro nella mano mentre
trafiggeva lo spettro di suo padre – il suo volto pieno di indignazione e tradimento.
‘Sei una Ramìrez-Arellano!’ era solito sproloquiare suo padre. ‘Non abbandonare i
tuoi doveri. Non permettere a nessuno di farlo. Soprattutto non tradire mai
te stessa!’
Aiutando i Greci, Reyna aveva fatto tutte quelle cose. Un romano avrebbe dovuto
distruggere i suoi nemici. Invece Reyna aveva unito le forze con loro. Aveva lasciato la sua
legione nelle mani di un pazzo.
Che cosa avrebbe detto sua madre? Bellona, la dea della guerra…
Blackjack doveva aver percepito la sua agitazione. Le galoppò vicino e la strofinò.
Lei gli accarezzò il muso. “Non ho nessun dolcetto per te, ragazzo.”
Lui la spinse affettuosamente. Nico le aveva detto che Blackjack era solito cavalcare con
Percy, ma sembrava amichevole con tutti. Aveva portato il figlio di Ade senza protestare.
Ora stava confortando un romano.
Lei gli strinse le braccia intorno al collo potente. Il suo mantello odorava come quello di
Scipio – una miscela di erba appena tagliata e pane caldo.
Si lasciò sfuggire un singhiozzo che le si era formato nel petto. Come pretore, non poteva
mostrare debolezza o paura ai suoi compagni. Doveva rimanere forte. Ma al cavallo non
sembrò dispiacere. Nitrì delicatamente. Reyna non riuscì a capire il Cavallese, ma
sembrava dire, ‘Va tutto bene. Hai fatto bene.’
Lei guardò le stelle dissolversi.
“Madre,” disse, “Non ti ho pregata abbastanza. Non ti ho mai incontrata. Non ti ho mai
chiesto aiuto. Ma, per favore… questa mattina, dammi la forza per fare ciò che è giusto.”
Come un segnale, qualcosa balenò sull’orizzonte orientale – una luce attraversò il Sound,
avvicinando velocemente come un altro motoscafo.
Per un euforico momento, Reyna pensò che si trattasse di un segno di Bellona.
La sagoma scura si avvicinò. La speranza di Reyna si tramutò in timore. Aspettò a lungo,
paralizzata ed incredula, mentre una figura prese una forma umanoide, che correva verso
di lei sopra la superficie dell’acqua.
La prima freccia colpì il fianco di Blackjack. Il cavallo crollò in un gemito di dolore.
Reyna gridò ma, prima che potesse muoversi, una seconda freccia colpì il ponte tra i suoi
piedi. Attaccato all’oggetto c’era un orologio da polso al LED fluorescente, con un conto
alla rovescia.
5:00.
4:59.
4:58.
XXXIX
R
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y
n
a
“IO NON MI MUOVEREI, PRETORE!”
Orione stava sulla superficie dell’acqua, ad una quindicina di metri a dritta, una freccia
incoccata nell’arco.
Attraverso la foschia di rabbia e dolore, Reyna notò nuove cicatrici sul gigante. La sua lotta
con le Cacciatrici gli aveva lasciato delle chiazze rosa delle cicatrici sul tessuto grigio delle
braccia e del viso, così da farlo sembrare una pesca ammaccata sul processo di
decomposizione. L’occhio meccanico sinistro era spento. I suoi capelli erano bruciati,
lasciando solo dei rasta strappati. Il suo naso era gonfio e rosso a causa della corda che
Nico gli aveva fatto scattare contro la faccia. Tutto quello provocò in Reyna una fitta di
soddisfazione.
Purtroppo, il gigante aveva ancora il suo sorriso compiaciuto.
Ai piedi di Reyna, il timer sulla freccia segnava: 4:42.
“Le frecce esplosive sono molto permalose,” disse Orione. “Una volta che vengono scoccate,
anche il minimo movimento può farle scattare. Non vorrei farti perdere gli ultimi quattro
minuti della tua vita.”
I sensi di Reyna si assottigliarono. I pegasi scalpitarono gli zoccoli nervosamente intorno
all’Athena Parthenos. L’alba cominciò a spuntare. Il vento dalla riva aveva un vago
profumo di fragole. Sdraiato accanto a lei sul ponte, Blackjack gemeva e rabbrividiva –
ancora vivo, ma gravemente ferito.
Il suo cuore batteva così forte che pensava che i suoi timpani potessero esplodere. Estese la
sua forza a Blackjack, cercando di tenerlo in vita. Lei non voleva vederlo morire.
Avrebbe voluto gridare insulti contro il gigante, ma le sue prime parole furono
sorprendentemente calme.
“Cosa ne è stato di mia sorella?”
I bianchi denti di Orione lampeggiarono in mezzo al volto rovinato. “Mi piacerebbe dirti
che è morta. Mi piacerebbe vederti il dolore sul viso. Ahimè, per quanto ne so, tua sorella è
ancora viva. Così come Thalia Grace e le sue fastidiose Cacciatrici. Mi hanno sorpreso, lo
ammetto. Sono stato costretto a ritirarmi in mare per sfuggire da loro. Negli ultimi giorni
sono stato ferito e dolorante, la guarigione è stata lenta, ho dovuto costruirmi un nuovo
arco. Ma non preoccuparti, Pretore. Tu morirai per prima. La vostra preziosa statua verrà
bruciata in un grande incendio. Dopo che Gea si sarà destata, quando il mondo mortale
sarà finito, troverò tua sorella. Le dirò che sei morta dolorosamente. Poi ucciderò lei.”
Sorrise. “Quindi va tutto per il meglio!”
4:04.
Hylla era viva. Thalia e le Cacciatrici erano ancora là fuori da qualche parte. Ma niente di
tutto quello sarebbe stato un problema se la missione di Reyna fosse fallita.
Il sole stava sorgendo per l’ultimo giorno del mondo…
Il respiro di Blackjack diventò affannoso. Reyna raccolse il suo coraggio. Il cavallo alato
aveva bisogno di lei. Il signor Pegaso l’aveva nominata Amica dei Cavalli, e lei non lo
avrebbe deluso. Non riusciva a pensare a tutto il resto del mondo in quel momento. Doveva
concentrarsi su quello che le stava vicino.
3:54
“Quindi,” guardò Orione. “Sei stato danneggiato, ma non sei morto. Suppongo che significa
che avrò bisogno dell’aiuto di un dio per ucciderti.”
Orione ridacchiò. “Purtroppo, voi romani non siete mai stati molto bravi nell’evocare gli
dei in vostro aiuto. Credo che non pensano molto a voi, eh?”
Reyna fu tentata di concordare. Aveva pregato sua madre… ed era stata benedetta con
l’arrivo di un gigante omicida. Non esattamente un gran incoraggiamento.
Eppure… Reyna rise. “Ah, Orione.”
Il sorriso del gigante vacillò. “Hai uno strano senso dell’umorismo, ragazzina. Che hai da
ridere?”
“Bellona ha risposto alle mie preghiere. Lei non combatte le battaglie per me. Non mi
garantisce facile vittoria. Mi concede l’opportunità di dimostrare il mio valore. Ma da forti
nemici e potenziali alleati.”
L’occhio sinistro di Orione scattò. “Parli di sciocchezze. Una colonna di fuoco sta per
distruggere te e la vostra preziosa statua greca. Nessun alleato ti può aiutare. Tua madre ti
ha abbandonata, così come tu hai abbandonato la tua legione.”
“Ma lei non lo ha fatto,” disse Reyna. “Bellona non era solo la dea della guerra. Non era
come il greco Enyo, che era semplicemente l’incarnazione della carneficina. Il tempio di
Bellona era dove venivano accolti gli ambasciatori stranieri. Le guerre venivano lì
dichiarate, ma venivano anche negoziati i trattati di pace – la pace duratura, basata sulla
forza.”
3:01.
Reyna brandì il suo pugnale. “Bellona mi ha dato la possibilità di fare pace con i greci e
aumentare le forze di Roma. Io l’ho colta. Se muoio, morirò difendendo questa causa.
Quindi dico che mia madre è con me oggi. La sua forza si aggiungerà alla mia. Scocca le tue
frecce, Orione. Non importa. Quando questa lama attraverserà il tuo cuore, morirai.”
Orione stava immobile sulle onde. Il suo volto era una maschera di concentrazione. Il suo
unico occhio buono sbatté la palpebra.
“Un bluff,” ringhiò. “Ne ho uccise a centinaia come te: ragazze che giocavano a fare la
guerra, fingendo di essere al pari dei giganti! Non voglio concederti una morte rapida,
Pretore. Ti guarderò bruciare, nello stesso moto in cui le Cacciatrici bruciarono me.”
2:31.
Blackjack ansimava, scalciava con le zampe contro il ponte. Il cielo si stava rosando. Un
vento dalla riva scoprì l’Athena Parthenos portando via la rete mimetica, inviando il panno
argenteo ad ondeggiare per il Sound. L’Athena Parthenos brillò nella luce mattutina, e
Reyna pensò a quanto sarebbe parsa bella la dea sulla collina sovrastando il campo greco.
‘Deve accadere’, pensò, sperando che i pegasi potessero percepire le sue intenzioni.
‘Dovete continuare il viaggio senza di me.’
Inclinò la testa verso l’Athena Parthenos. “Mia signora, è stato un onore accompagnarvi.”
Orione la derise. “Parli con le statue nemiche adesso? Futile. Hai ancora circa due minuti
di vita.”
“Oh, ma io non rispetto il tuo periodo temporale, gigante,” disse Reyna. “Un romano non
aspetta la morte. Cerca di tirarsene fuori e risponde alle proprie condizioni.”
Scagliò il coltello. Lo colpì – proprio nel bel mezzo del petto del gigante.
Orione urlò in agonia, e Reyna pensò che fosse piacevole come ultimo suono da sentire.
Si gettò il mantello davanti e cadde sulla freccia esplosiva, determinata a proteggere
Blackjack e gli altri pegasi e, auspicalmente, di proteggere i mortali dormienti sottocoperta.
Non aveva idea se il suo corpo avrebbe contenuto l’esplosione, se il suo mantello avrebbe
potuto soffocare le fiamme, ma era la sua unica possibilità per salvare i suoi amici e la sua
missione.
Si irrigidì, in attesa di morire. Sentì la pressione della freccia che esplodeva… ma non era
quello che si aspettava. Contro le costole, l’esplosione fece sono un piccolo ‘pop’, come un
pallone che si sgonfiava. Il suo mantello diventò insopportabilmente caldo. Nessuna
fiamma si propagò.
Perché era ancora viva?
‘Alzati’, disse una voce nella sua testa.
In uno stato di trance, Reyna si alzò in piedi. Il fumo si arricciò dai bordi del suo mantello.
Si rese conto che c’era qualcosa di diverso nel tessuto viola. Scintillava come se vi fossero
stati tessuti attraverso filamenti di oro imperiale. Ai suoi piedi, la sensazione del ponte che
era stato ridotto ad un cerchio carbonizzato, ma il suo mantello non era neppure bruciato.
‘Accetta la mia egida, Reyna Ramìrez-Arellano,’ disse la voce. ‘Per oggi, ti sei
dimostrata un eroe dell’Olimpo.’
Reyna guardò con stupore l’Athena Parthenos, brillare con una lieve aura dorata.
L’egida… in tutti gli anni di studio di Reyna, si ricordò che era il termine egida non si
applicava solamente allo scudo di Atena. Indicava anche il mantello della dea. Secondo la
leggenda, Atena alle volte tagliava parti del suo mantello e li utilizzava per ricoprire le
statue nei suoi tempi, o per i suoi eroi scelti, per proteggerli.
Il mantello di Reyna, che aveva indossato per anni, era improvvisamente cambiato. Aveva
assorbito l’esplosione.
Cercò di dire qualcosa, per ringraziare la dea, ma la sua voce non sarebbe stata abbastanza.
L’incandescente aura della statua svanì. Il ronzio nelle orecchie di Reyna se ne andò. Si
accorse di Orione, che ancora ruggiva dal dolore mentre barcollava attraverso la superficie
dell’acqua.
“Hai fallito!” Impugnò il coltello dal petto e lo gettò nelle onde. “Sono ancora vivo!”
Estrasse il suo arco e scoccò, ma sembrò farlo a rallentatore. Reyna si sistemò il mantello
dinanzi. La freccia si frantumò contro il panno. Si arrampicò sulla ringhiera e saltò contro
il gigante.
Avrebbe dovuto saltare incredibilmente lontano, ma Reyna sentì un’ondata di potere nelle
sue membra, come se sua madre, Bellona, le stesse prestando la sua forza – un ritorno per
tutta la forza che Reyna aveva prestato agli altri nel corso degli anni.
Reyna afferrò l’arco del gigante e si girò come una ginnasta, atterrando sulla schiena del
gigante. Serrò le gambe attorno alla vita, poi torse il mantello in una corsa e vi cinse il collo
di Orione, tirando con tutte le sue forze.
Lui, istintivamente, fece cadere il suo arco. Strinse il tessuto scintillante, ma sulle sue dita
si formarono vapore e vesciche, quando lo toccò. Del fumo acre si innalzò dal suo collo.
Reyna lo tirò più forte.
“Questo è per Phoebe,” ringhiò lei in un suo orecchio. “Per Kinzie. Per tutte coloro che hai
ucciso. Morirai per mano di una ragazzina.”
Orione si dimenò e combatté, ma Reyna fu incrollabile. Il potere di Atena si era infuso nel
suo mantello. Bellona l’aveva benedetta con forza e determinazione. Non una, ma due
potenti dee la stavano aiutando, ma sarebbe stata Reyna a completare l’assassinio. E lo
fece.
Il gigante si accasciò e si inginocchiò affondando in acqua. Reyna non lo lasciò andare
finché non smise di muoversi il suo corpo non si fu sciolto in schiuma di mare. Il suo
occhio meccanico scomparve sotto le onde. Il suo arco cominciò ad affondare.
Reyna lo lasciò. Non aveva alcun interesse nel farne un bottino di Guerra – alcun desiderio
di lasciare che qualsiasi parte del gigante potesse sopravvivere. Come il mania di suo padre
– e tutti gli altri fantasmi rancorosi del suo passato – Orione non poteva insegnarle nulla.
Meritava di essere dimenticato. Inoltre, l’alba stava sorgendo.
Reyna nuotò fino allo yatch.
XL
R
e
y
n
a
NON C’ERA TEMPO PER GODERSI LA VITTORIA SU ORIONE.
Il muso di Blackjack stava producendo della schiuma. Le sue zampe avevano degli spasmi.
Il sangue colava dalla ferita da freccia al fianco. Reyna guardò nella borsa che Phoebe le
aveva dato. Tamponò la ferita con della pozione curativa. Versò del miscuglio di unicorno
sulla lama del suo coltello d’argento.
“Per favore, per favore,” mormorò tra sé.
In realtà, non aveva idea di quello che stesse facendo, ma pulì la ferita come meglio poteva
e afferrò l’asta della freccia. Se avesse una punta spinata, tirarla fuori avrebbe potuto
causare più danni. Ma, se era stata avvelenata, non poteva lasciarla lì. E non poteva
spingerla per farla attraversare, in quanto era stato colpito nel bel mezzo del corpo.
Avrebbe dovuto scegliere il male minore.
“Questo farà male, amico mio,” disse a Blackjack.
Lui sbuffò, come per dire, ‘Dimmi qualcos’altro che non so.’
Con il suo pugnale, tagliò una fessura su entrambi i lati della ferita. Tirò fuori la freccia.
Blackjack urlò, ma la freccia uscì senza problemi. La punta non era spinata. Sarebbe potuta
essere avvelenata, ma non c’era modo per esserne sicuri. Un problema per volta.
Reyna versò della pozione curativa sulla ferita e la fasciò. Fece pressione, contando
sottovoce. L’emorragia sembrò diminuire.
Versò del miscuglio di unicorno nella bocca di Blackjack.
Perse la cognizione del tempo. Il battito cardiaco del cavallo diventò più forte e costante. Il
dolore scomparve dai suoi occhi. Il suo respiro tornò regolare.
Con il tempo, Reyna si alzò, tremante per la paura e la stanchezza, ma Blackjack era ancora
vivo.
“Starai bene,” promise. “andrò a chiamare aiuto al Campo Mezzosangue.”
Blackjack emise un brontolio. Reyna avrebbe potuto giurare che avesse cercato di dire
‘ciambelle.’
Doveva stare delirando.
Tardivamente, si rese conto di quanto il cielo si fosse rischiarato. L’Athena Parthenos
brillava al sole. Guido e gli altri cavalli alati scalpitarono sul ponte con impazienza.
“La battaglia…” Reyna si voltò verso la riva, ma non vide segni di combattimento. Una
trireme greca galleggiava pigramente nella marea mattutina. Le colline sembravano verdi e
tranquille.
Per un momento, si chiese se i Romani avessero deciso di non attaccare. Forse Ottaviano
era rinsavito. Forse Nico e gli altri erano riusciti a conquistare la legione.
Poi un bagliore arancione illuminò le colline. Altre strisce di fuoco salirono verso il cielo
come delle dita di fuoco.
Gli onagri avevano sparato il loro primo colpo.
XLI
P
i
p
e
r
PIPER NON FU SORPRESA quando arrivarono gli uomini-serpente.
Per tutta la settimana, aveva ripensato al suo incontro con il bandito Scirone, quando in
piedi sul ponte dell’Argo II, dopo la fuga da una gigantesca tartaruga distruttrice aveva
fatto l’errore di dire, “Siamo al sicuro.”
Immediatamente una freccia aveva colpito l’albero maestro, ad un centimetro dal suo naso.
Piper aveva imparato una lezione importante: mai dare per scontato di essere al sicuro, e
mai, mai tentare le Parche, annunciando di pensare di essere al sicuro.
Così, quando la nave ormeggiò al porto di Pireo, alla periferia di Atene, Piper resistette alla
tentazione di tirare un sospiro di sollievo. Sani e salvi, avevano finalmente raggiunto la loro
destinazione. Da qualche parte nelle vicinanze – passate quelle file di navi da crociera,
oltre a quelle colline affollate di edifici – avrebbero trovato l’Acropoli.
Quel giorno, in un modo o nell’altro, il loro viaggio sarebbe finito. Ma questo non
significava che potesse rilassarsi. In qualsiasi momento, una brutta sorpresa sarebbe
potuta saltare fuori dal nulla.
E così fu. La sorpresa erano tre tizi con la coda di serpente al posto delle gambe.
Piper era di guardia mentre i suoi amici si preparavano per il combattimento – controllare
le proprie armi e armature, caricare le balliste e le catapulte. Individuò i gli uominiserpente strisciare lungo le banchine, facendosi largo tra la folla di turisti mortali che non
gli prestarono alcuna attenzione.
“Um…Annabeth?” chiamò Piper.
Annabeth e Percy giunsero al suo fianco.
“Oh, grandioso,” disse Percy. “Dracaenae”
Annabeth strinse gli occhi. “Non la penso così. Almeno non come quelle che ho visto. Le
Dracaenae hanno due gambe di serpente. Quei tizi ne hanno una sola.”
“Hai ragione,” disse Percy. “Sembrano anche più umani. Non sono tutti squamosi, verdi e
roba simile. Quindi ci parliamo o combattiamo?”
Piper fu tentata di dire ‘lotta’. Non la aiutava pensare alla storia che aveva raccontato a
Jason – riguardo al cacciatore Cherokee che aveva mangiato un sacco di carne di
scoiattolo. Stranamente, quello le fece ricordare di suo padre quando si era fatto crescere la
barba per il suo ruolo in King of Sparta. L’uomo-serpente tenne la testa alta. Il suo volto
era cesellato e bronzeo, i suoi occhi neri come il basalto, i suoi capelli ricci scuri e lucidi di
olio. La parte superiore del corpo era muscolosa, coperta solo da una clamide greca – un
mantello di lana bianca avvolta largamente e appuntata alla spalla. Dalla vita in giù, il suo
corpo era un gigantesco serpente – circa sei metri di coda verde ondeggiava dietro di lui
mentre si spostava.
In una mano brandiva un bastone sormontato da una pietra verde brillante. Nell’altra,
portava un piatto con una cupola argentea, come fossero ad un corso per servire ad una
cena elegante.
I due tipi dietro di lui sembravano guardie. Indossavano corazze di bronzo ed elmi decorati
da setole di crine. Le loro lance erano sormontate da spuntoni di pietra verde. I loro scudi
ovali erano ornati dalla lettera greca K – kappa.
Si fermarono a pochi metri dall’Argo II.
Il leader alzò gli occhi e studiò i semidei.
La sua espressione era intensa ma imperscrutabile. Avrebbe potuto essere arrabbiato, o
preoccupato, o aver bisogno di un bagno.
“Permetteteci di salire a bordo.” La sua voce stridula ricordò a Piper un rasoio che veniva
affilato con una lama – come dal negozio del barbiere di suo nonno ad Oklahoma.
“Chi sei?” chiese.
Lui posò i suoi occhi scuri su di lei. “Sono Cecrope, il primo ed eterno re di Atene. Vorrei
darvi il benvenuto nella mia città.” Sollevò il piatto coperto. “Inoltre, ho portato una Bundt
cake.”
Piper guardò I suoi amici. “Un trucco?”
“Probabile,” disse Annabeth.
“Almeno ha portato il dolce.” Percy sorrise agli uomini-serpente. “Benvenuti a bordo!”
Cecrope accettò di lasciare le sue guardie sopracoperta con il tavolino Buford, che ordinò
loro di stendersi in avanti e fare venti flessioni.
Le guardie sembrarono prenderla come una sfida.
Nel frattempo, il re di Atene venne invitato in mensa ad un incontro per fare conoscenza.
“Prego, si sieda,” lo invitò Jason.
Cecrope arricciò il naso. “gli uomini-serpente non si siedono.”
“Prego, rimanga in piedi,” disse Leo. Tagliò la torta e se ne infilò un pezzo in bocca prima
che Piper potesse avvertirlo che sarebbe potuta essere avvelenata, o immangiabile per i
mortali, o semplicemente cattiva. “Cavoli!” Sorrise. “Gli uomini-serpente sanno come fare
una Bundt cake. Un po’ di arancia, con un pizzico di miele. C’è bisogno di un bicchiere di
latte.”
“Gli uomini-serpente non bevono latte,” disse Cecrope. “Siamo rettili intolleranti al
lattosio.”
“Anche io!” disse Frank. “Voglio dire… sono intollerante al lattosio. Non un rettile. Anche
se potrei diventare un rettile a volte -”
“In ogni caso,” lo interruppe Hazel, “Re Cecrope, che cosa vi porta qui? Come facevate a
sapere che saremmo arrivati?”
“Io so tutto quello che succede ad Atene,” disse Cecrope. “Sono stato il fondatore della
città, il suo primo re, nato dalla terra. Io sono quello che ha giudicato la disputa tra Atena e
Poseidone, e ha scelto Atena per essere patrona della città.”
“Non ci ha pensato molto, credo,” mormorò Percy.
Annabeth gli diede una gomitata. “Ho sentito parlare di voi, Cecrope. È stato il primo ad
offrire sacrifici ad Atena. Ha costruito il suo primo santuario sull’Acropoli.
“Proprio così.” Cecrope sembrò aspro, come se si fosse pentito della sua decisione. “Il mio
popolo erano gli originali Ateniesi – i gemelli.”
“Come il segno zodiacale?” chiese Percy. “Io sono un Leo–”
“No, stupido,” disse Leo. “Io sono un Leo. Tu sei un Percy.”
“Volete piantarla?” li rimproverò Hazel. “Credo che significhi gemelli, come doppi –
mezzi uomini, mezzi serpenti. È così che si chiamava la sua gente. Lui è un Gemino, al
singolare.”
“Si…” Cecrope si protese lontano da Hazel, come se lo avesse in qualche modo offeso.
“Millenni fa, vivevamo sottoterra come uomini a due-gambe, ma conosco che le via della
città meglio di chiunque altro. Sono venuto per avvertirvi. Se proverete ad avvicinarvi
all’Acropoli sopra la terra, verrete distrutti.”
Jason si fermò dal sgranocchiare la sua torta. “Intendi dire… da te?”
“Dall’esercito di Porphyrion,” disse il re serpente. “L’acropoli è circondata da grandi armi
da assedio – onagri.”
“Altri onagri?” protestò Frank. “Hanno fatto una svendita o qualcosa del genere?”
I Ciclopi,“ indovinò Hazel. “Stanno rifornendo sia Ottaviano che i giganti.”
Percy grugnì. “Come se avessimo bisogno di ulteriori prove sul fatto che Ottaviano stia
dalla parte sbagliata.”
“Quella non è l’unica minaccia,” li avvertì Cecrope. “L’aria è piena di spiriti della tempesta
e grifoni. Tutte le strade verso l’Acropoli sono pattugliate dai nati-dalla-terra.”
Frank tamburellò con le dita sul coperchio della Bundt cake. “Quindi, cosa, dovremmo
rinunciare? Siamo arrivati troppo lontano per questo.”
“Vi offro un’alternativa,” disse Cecrope. “Il passaggio sotterraneo per l’Acropoli. Per il bene
di Atena, per il bene degli dei, io vi aiuterò.”
La nuca di Piper fremette. Ricordò quello che la gigantessa Periboia le aveva detto nel suo
sogno: che i semidei avrebbero trovato ad Atene amici e nemici.
Forse la gigantessa si riferiva a Cecrope e il suo popolo di uomini-serpenti. Ma c’era
qualcosa nella voce di Cecrope che a Piper non piaceva – quel tono rasoio-contro-lama,
come se si stesse preparando a fare un taglio netto.
“Qual è il trucco?” chiese.
Cecrope portò quegli imperscrutabili occhi scuri su di lei. “Solo una piccola parte di
semidei – non più di tre – può passare inosservata dai giganti. In caso contrario, il vostro
odore li attirerebbe. Ma i nostri passaggi sotterranei potrebbero portarvi dritti nelle rovine
dell’Acropoli. Una volta lì, potrete disattivare le armi d’assedio di nascosto e consentire al
resto della squadra di avvicinarsi. Con un po’ di fortuna, potreste prendere i giganti di
sorpresa. Potreste essere in grado di interrompere la loro cerimonia.”
“Cerimonia?” domandò Leo. “Oh… come, per svegliare Gea?”
“Anche adesso è cominciata,” li avvertì Cecrope. “Non sentite il tremor della terra? Noi, i
gemelli, siamo la vostra migliore possibilità.”
Piper sentì dell’entusiasmo nella sua voce – quasi famelico.
Percy si guardò intorno al tavolo. “Ci sono obbiezioni?”
“Solo alcune,” disse Jason. “Siamo alle porte del nemico. Ci viene chiesto di separarci. Non
è il modo in cui la gente viene uccisa nei film horror?”
“Inoltre,” disse Percy, “Gea vuole che raggiungiamo il Partenone. Vuole il nostro sangue
per bagnare le pietre e tutte il resto di quella roba psicopatica. Non vorremmo mica finire
dritti nelle sue mani?”
Annabeth incrociò lo sguardo di Piper, in una domanda silenziosa: ‘Che sensazione hai
a riguardo?’
Piper non vi era abituata – al modo in cui Annabeth l’aveva guardata per avere consiglio.
Fin da Sparta, avevano imparato che potevano affrontare insieme i problemi da due
differenti lati. Annabeth vedeva la cosa in modo logico, la mossa tattica. Piper aveva
reazioni più viscerali che erano tutt’altro che logiche. Insieme riuscivano a risolvere un
problema doppiamente più velocemente, o si confondevano irrimediabilmente tra loro.
L’offerta di Cecrope aveva senso. O almeno, sembrava l’opzione meno suicida. Ma Piper
era certa che il re serpente stava celando le sue vere intenzioni. Solo non sapeva come
dimostrarlo.
Poi si ricordò di una cosa che suo padre le aveva detto anni prima: ‘Sei stata chiamata
Piper perché nonno Tom pensava che avresti avuto una voce potente.
Potresti imparare tutte le canzoni Cherokee, anche il canto dei serpenti.’
Un mito da una cultura completamente differente, eppure eccola lì, di fronte al re degli
uomini-serpenti.
Iniziò a cantare: ‘Summertime’, una delle preferite da suo padre.
Cecrope la fissò meravigliato. Iniziò ad ondeggiare.
In un primo momento Piper era consapevole di sé, di star cantando di fronte a tutti i suoi
amici e un uomo-serpente. Suo padre le aveva sempre detto che aveva una bella voce, ma
non le piaceva attirare le attenzioni su di sé. Non le piaceva nemmeno partecipare alle
canzoni di gruppo al falò. Ora le sue parole stavano riempiendo la sala mensa. Tutti
l’ascoltavano, in una sorta di trance.
Finì il primo verso. Nessuno parlò per alcuni secondi.
“Pipes,” disse Jason, “Non ne avevo idea.”
“Era bellissima,” concordò Leo. “Forse non… sai, quella di Calypso era bella, ma…”
Piper teneva lo sguardo sul re serpente. “Quali sono le tue vere intenzioni?”
“Ingannarvi,” disse in uno stato di trance, ancora ondeggiando. “Speravo di condurvi nei
tunnel e distruggervi.”
“Perché?” domandò Piper.
“La Madre Terra ci ha promesso grandi ricompense. Se versiamo il vostro sangue sotto il
Partenone, sarà sufficiente per completare il suo risveglio.”
“Ma voi servite Atena,” disse Piper. “Tu hai fondato la sua città.”
Cecrope emise un baso sibilo. “E in cambio la dea mi ha abbandonato. Atena mi ha
sostituito con un re umano a due gambe. Fece impazzire le mie figlie. Si buttarono dalle
scogliere dell’Acropoli. Gli ateniesi originali, i gemelli, furono cacciati nell’entroterra e
dimenticati. Atena, dea della saggezza, ci voltò le spalle, ma la saggezza migliore viene dalla
terra. Siamo, prima di tutto, figli di Gea. La Madre Terra ci ha promesso un posto al sole
del mondo superiore.”
“Gea sta mentendo,” disse Piper. “Ha intenzione di distruggere anche il mondo superiore,
non darlo a nessuno.”
Cecrope scoprì le zanne. “Allora non staremo peggio di come siamo stati sotto gli dei
traditori!”
Alzò il suo scettro, ma Piper riprese un altro versetto di ‘Summertime’.
Le braccia del re serpente tremolarono. Gli occhi si sbarrarono.
Piper cantò un altro paio di strofe, poi provò con un’altra domanda: “Le difese dei giganti,
il passaggio sotterraneo per l’Acropoli – quanto di quello che ci hai detto è vero?”
“Tutto quanto,” disse Cecrope. “L’Acropoli è fortemente difesa, come ho descritto.
Qualsiasi approccio terreno sarebbe impossibile.”
“Quindi potresti guidarci attraverso le gallerie,” disse Piper. “Anche questo è vero?”
Cacrope aggrottò la fronte. “Si…”
“E se ordinassi al tuo popolo di non attaccarci,” disse lei, “ti obbedirebbero?”
“Si, ma…” Cecrope rabbrividì. “Si, mi ubbidirebbero. Al Massimo tre di voi potreste passare
senza attirare l’attenzione dei giganti.”
Gli occhi di Annabeth si incupirono. “Piper, saremmo pazzi a provarci. Ci ucciderà alla
prima occasione.”
“Si,” concordò il re serpente. “Solo la musica di questa ragazza mi controlla. Lo odio. Vi
prego, canta un altro po’.”
Piper andò avanti con qualche altro verso.
Leo entrò in azione. Prese un paio di cucchiai e tamburellò sul tavolo finchè Hazel non lo
schiaffeggiò sul braccio.
“Potrei andare io,” disse Hazel, “se si tratta del sottosuolo.”
“Mai,” disse Cecrope. “Una bambina del sottosuolo? La mia gente troverebbe la tua
presenza rivoltante. Nessuna musica ammaliante il tratterrebbe dall’ucciderti.”
Hazel deglutì. “O potrei restare qui.”
“Io e Percy,” suggerì Annabeth.
“Um..” Percy alzò la mano. “Anche solo buttarci di nuovo in tutto quest0. È esattamente
quello che vuole Gea – tu ed io, il nostro sangue a bagnare le pietre, eccetera.”
“Lo so.” L’espressione di Annabeth era truce. “Ma è la scelta più logica. I santuari più
antichi dell’Acropoli sono dedicati a Poseidone e ad Atena. Cecrope, potrebbe mascherare
la nostra presenza?”
“Si,” ammise il re serpente. “Il vostro… il vostro odore sarebbe difficile da discernere. Le
rovine irradiano sempre il potere delle due divinità.”
“E io,” disse Piper alla fine della sua canzone.
“Avete bisogno di me per mantenere il nostro amico dalla nostra.”
Jason le strinse la mano. “Odio ancora l’idea di separarci.”
“Ma è la nostra migliore arma,” disse Frank. “I tre che entrano di nascosto e disabilitano gli
onagri, causando una distrazione. Poi il resto di noi volerà con le balliste ardenti.”
“Si,” disse Cecrope, “questo piano potrebbe funzionare. Se non vi uccido io prima.”
“Ho un’idea,” disse Annabeth. “Frank, Hazel, Leo… parliamo. Piper, puoi mantenere il
nostro amico musicalmente incapacitate?”
Piper diede inizio ad una canzone diversa: ‘Happy Trails’, una melodia sciocca che suo
padre cantava con lei ogni volta che lasciavano Oklahoma per tornare a Los Angreles.
Annabeth, Leo, Frank e Hazel li lasciarono per andare a parlare di una strategia.
“Bene.” Percy si alzò e porse la mano a Jason. “Fino a quando non ci incontreremo di
nuovo all’Acropoli, fratello, sarò l’unico ad uccidere giganti.”
XLII
P
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r
IL PADRE DI PIPER ERA SOLITO DIRE che essere in aeroporto non contava come visitare la città.
Piper pensava lo stesso delle fogne.
Dal porto all’Acropoli, non aveva visto nulla di Atene, tranne gallerie putride e buie. Gli
uomini serpente li avevano condotti portati attraverso una grata di ferro nei pressi del
porto, direttamente nella loro tana sotterranea, la quale puzzava di pesce marcio, muffa e
pelle di serpente.
L’atmosfera le rese difficile cantare di tempi estivi, campeggi e vite semplici, ma Piper andò
avanti. Se si fosse interrotta per più di un minuto o due, Cecrope e le sue guardie avrebbero
iniziato a sibilare arrabbiati.
“Non mi piace questo posto,” mormorò Annabeth. “Mi ricorda di quando ero sotto Roma.”
Cecrope sibilò una risata. “Il nostro dominio è molto più antico. Molto, molto più antico.”
Annabeth infilò la mano in quella di Percy, che fece sentire Piper abbattuta. Avrebbe voluto
che Jason fosse lì con lei. Al massimo, avrebbe potuto accontentarsi anche di Leo…. Anche
se forse non gli avrebbe tenuto la mano. Le mani di Leo tendevano a prendere fuoco
quando era nervoso.
La voce di Piper echeggiò attraverso i tunnel.
Mentre viaggiavano attraverso il covo, altri uomini-serpenti si erano riuniti per sentirla.
Presto si creò una processione dietro di loro – decine di gemelli tutti ondeggianti e
striscianti.
Piper era sopravissuta fino alle previsioni di suo nonno.
Aveva imparato la canzone dei serpenti – che era stato un numero di George Gershwin dal
1935. Finora aveva anche trattenuto il re serpente dal mordere, proprio come nella vecchia
storia Cherokee. L’unico problema con quella leggenda: il guerriero che imparò la canzone
dei serpenti dovette sacrificare la propria moglie per ottenere il potere. Piper non voleva
sacrificare nessuno.
La fiala di physiacian’s cure era ancora avvolta nella sua pelle di camoscio, nascosta nella
sua custodia. Non aveva avuto tempo di consultarsi con Jason e Leo prima di andare.
Doveva solo sperare che si sarebbero riuniti sulla collina prima che qualcuno avesse
bisogno della cura. Se uno di loro fosse morto e lei non avrebbe potuto raggiungerli…
‘Continua solo a cantare,’ si disse.
Attraversarono le camerate di pietra greggia disseminate di ossa. Salirono pentii così ripidi
e scivolosi che era quasi impossibile mantenersi in equilibrio. Ad un certo punto,
sorpassarono una grotta calda delle dimensioni di una palestra piena di uova di serpente,
la cima ricoperta da uno strato di filamenti d’argento come fossero un viscido albero di
Natale.
Sempre più uomini-serpenti si unirono alla loro processione. Strisciandole dietro,
suonando come un esercito di calciatori con carta vetrata al posto dei tacchetti.
Piper si chiese quanti gemelli vivessero lì. Centinaia, forse migliaia.
Le parve di sentire il proprio battito cardiaco echeggiare attraverso i corridoi, sempre più
forte man mano che andavano in profondità. Poi si rese conto del persistente boom baboom che risuonava attraverso la pietra e l’aria tutt’intorno a loro.
‘Mi sto risvegliando’. La voce di una donna, chiara come il canto di Piper.
Annabeth congelò. “Oh, questo non va affatto bene.”
“È come Tartaro,” disse Percy, la voce tagliente. “Ti ricordi… il suo battito cardiaco.
Quando è apparso-”
“Non farlo,” disse Annabeth. “Solo, non farlo.”
“Mi dispiace. Nella luce della sua spade, il volto di Percy era come una grande lucciola – un
bilico, una macchia di luminosità momentanea nel buio.
La voce di Gea parlò di nuovo, più forte: ‘Finalmente.’
Il canto di Piper vacillò. La paura la travolse, come aveva fatto nel tempio Spartano. Ma gli
dei Phobos e Deimos erano suoi vecchi amici adesso. Aveva lasciato che la paura bruciasse
dentro di lei come fosse un combustibile, rendendo la sua voce ancora più forte. Cantò per
il popolo serpente, per la sicurezza dei suoi amici. Perché non anche per Gea?
Infine raggiunsero la cima di un ripido pendio, dove il sentiero si concludeva in una cortina
di muco verde.
Cecrope si dispose dinanzi ai semidei. “Al dì là di questo passaggio vi è l’Acropoli.
Rimanere qui. Controllerò che la via sia libera.”
“Aspetta,” Piper si voltò per affrontare la folla di gemelli. “C’è solo morte di sopra. Sarete
più sicuri nelle gallerie. Affrettatevi a tornare indietro. Dimenticatevi che ci avete visto.
Proteggetevi.”
La paura nella sua voce si incanalò perfettamente con la lingua ammaliatrice. Gli uominiserpente, comprese le guardia, si inoltrarono nell’oscurità, lasciando solo il re.
“Cecrope,” disse Piper. “Hai intenzione di tradirci non appena attraversata quella cortina.”
“Si,” ammise lui. “Avviserò i giganti. Loro vi distruggeranno.” Poi sibilò. “Perchè ve lo sto
dicendo?”
“Ascolta il battito cardiaco di Gea,” lo esortò Piper. “Riesci a percepire la sua rabbia, non è
vero?”
Cecrope vacillò. La sommità del suo scettro brillava flebilmente. “Ci riesco, si. Lei è
arrabbiata.”
“Distruggerà tutto,” disse Piper. “Ridurrà l’Acropoli ad un cratere fumante. Atene – la tua
città – sarà completamente distrutta, e il tuo popolo con essa. Mi credi, vero?”
“S–si.”
“Qualunque ostilità tu abbia verso gli umani, verso i semidei, verso Atena, noi siamo
l’unica possibilità per fermare Gea. Quindi tu non ci tradirai. Per il tuo bene, e per quello
del tuo popolo, potrai esplorare il territorio, e assicurarti che la via sia libera. Non dirai
nulla ai giganti. Poi tornerai qui.”
“Questo è…quello che farò.” Cecrope scomparve attraverso la membrana.
Annabeth scosse la testa con stupore. “Piper, sei incredibile.”
“Vedremo poi se ha funzionato.” Piper si sedette sul pavimento di pietra fredda. Pensò che
valeva la pena riposare finché poteva.
Gli altri si accovacciarono accanto a lei. Percy le porse la sua borraccia d’acqua. Fino a
quando non bevve, Piper non si era resa conto di quanto fosse secca la sua gola. “Grazie.”
Percy annuì. “Pensi che l’ammaliamento durerà?”
“Non ne sono sicura,” ammise. “Se Cecrope torna tra due minuti con un esercito di giganti,
allora no.”
Il battito del cuore di Gea echeggiò attraverso il pavimento. Stranamente, fece pensare
Piper al mare – come le onde che si increspavano lungo le scogliere di Santa Monica, a
casa.
Si chiese che cosa stesse facendo suo padre in quel momento. Era il bel mezzo della notte
in California. Forse stava dormendo, o rispondendo ad un’intervista serale per la TV. Piper
sperava fosse nel suo posto preferito: il portico fuori dal soggiorno, guardando la luna
sopra il Pacifico, godendosi un po’ di tranquillità. Piper voleva pensare che fosse felice e
contento in quel momento… nel caso in cui avessero fallito.
Pensò ai suoi amici della cabina di Afrodite al Campo Mezzosangue. Pensò ai cugini, ad
Oklahoma, il che era strano, dal momento che non aveva mai trascorso molto tempo con
loro. Non sapeva nemmeno riconoscerli bene. Ora ne era dispiaciuta.
Avrebbe voluto afferrare più vantaggi dalla sua vita, apprezzare maggiormente le cose.
Sarebbe sempre stata grata di avere la sua famiglia a bordo dell’Argo II – ma aveva tanti
altri amici e parenti che avrebbe voluto rivedere un’ultima volta.
“Voi ragazzi non pensate mai alle vostre famiglie?” chiese.
Era una domanda stupida, specialmente con l’avvicinarsi di una battaglia. Piper avrebbe
dovuto essere concentrata sulla loro missione, non distrarre i suoi amici. Ma loro non la
rimproverarono.
Lo sguardo di Percy divenne sfocato. Il suo labbro inferiore tremolò. “Mia madre… Io –
non l’ho nemmeno più ri-vista da quando Era mi ha fatto sparire. La chiamai dall’Alaska.
Ho dato a Coach Hedge alcune lettere da consegnarle. Io…” La sua voce si spezzò. “È tutto
quello che ho. Lei e il mio patrigno, Paul.”
“E Tyson,” gli ricordò Annabeth. “E Grover. E -”
“Si, certamente,” disse Percy. “Grazie. Mi sento molto meglio.”
Piper probabilmente non avrebbe dovuto ridere, ma era troppo nervosa e malinconica per
trattenersi. “E tu, Annabeth?”
“Mio padre… la mia matrigna e i miei fratellastri.” Rigirò la lama Drakon-bone in grembo.
“Dopo tutto quello che ho passato l’anno scorso, sembra stupido che io abbia avuto
risentimenti verso di loro per così tanto tempo. E i parenti di mio padre… Non penso a loro
da un sacco di anni. Ho uno zio e un cugino di Boston.”
Percy sembrò sconvolto. “Tu, con il cappello degli Yankees? Hai una famiglia nello stesso
paese dei Red Sox?”
Annabeth sorrise flebilmente. “Non li vedo mai. Mio padre e mio zio non vanno d’accordo.
Qualche vecchia rivalità. Non so. È stupido tenere lontana la gente.”
Piper annuì. Avrebbe voluto avere i poteri di Asclepio. Avrebbe volute poter vedere le
persone e capire cosa le faceva stare male, poi tirare fuori il ricettario e rendere tutto
migliore. Ma pensò che c’era una ragione se Zeus teneva Asclepio rinchiuso nel suo tempio
sotterraneo.
Alcuni tipologie di dolore non si può desiderare che vadano via così facilmente. Dovevano
essere affrontati, anche abbracciati. Senza l’agonia di quegli ultimi mesi, Piper non avrebbe
mai incontrato le sue migliori amiche, Hazel e Annabeth. Non avrebbe mai scoperto il
proprio coraggio. Di certo non avrebbe mai avuto il coraggio di esibirsi in un canto per un
popolo di uomini-serpente sotto Atene.
Nella parte superiore del tunnel, il moccio si spostò. Piper afferrò la spada e si alzò, pronta
per una marea di mostri. Ma Cecrope ne emerse solo.
“La via è libera,” disse. “Ma affrettatevi. La cerimonia è quasi stata completata.”
Spingersi attraverso ad una cortina di muco fu divertente quasi quanto Piper aveva
immaginato. Emerse sentendosi come se fosse appena rotolata attraverso la narice di un
gigante. Fortunatamente, non le era rimasto attaccato niente, ma la sua pelle fremeva
ancora con repulsione.
Lei, Percy e Annabeth si ritrovarono in un pozzo freddo e umido che sembrava essere il
seminterrato di un tempio. Tutt’intorno a loro, il terreno irregolare si allungava nel buio
verso un basso soffitto di pietra. Direttamente sopra le loro teste, un divario rettangolare si
apriva al cielo. Piper poté vedere i bordi dei muri e le cime delle colonne, ma nessun
mostro… per ora.
La membrana di moccio si richiuse alle loro spalle e si mescolò con il terreno. Piper vi
premette contro la mano. La zona sembrava essere solida roccia. Non avrebbero potuto
andarsene nello stesso modo nel quale erano arrivati.
Annabeth passò la mano lungo alcuni segni sul terreno – una forma di una zampa di corvo
di grandezza umana. La zona era bianca, come se fosse un tessuto cicatriziale di pietra. “È
questo il posto,” disse. “Percy, questi sono i segni del tridente di Poseidone.”
Esitante, Percy toccò le cicatrici. “Deve aver usato il suo tridente extra-extra-large.”
“Qui è dove ha colpito la terra,” disse Annabeth, “Dove ha fatto sorgere la sorgente di acqua
salata quando ha concorso contro mia mamma per sponsorizzare Atene.”
“Quindi è da qui che è iniziata la rivalità,” disse Percy.
“Già.” Percy tirò Annabeth e la baciò… abbastanza a lungo per far imbarazzare Piper, ma
lei non disse nulla. Pensò alla vecchia regola della cabina di Afrodite: che, per essere
riconosciuto come figlio della dea dell’amore, si doveva spezzare il cuore di qualcuno. Piper
aveva da tempo deciso di cambiare quella regola. Percy e Annabeth erano un perfetto
esempio del perché. Unire due cuori in uno; quella era una prova ancora migliore.
Quando Percy si staccò, Annabeth sembrava un pesce a corto di fiato.
“La rivalità finisce qui,” disse Percy. “Ti amo, sapientona.”
Annabeth emise un piccolo sospiro, come se qualcosa nella sua cassa toracica si fosse
sciolta. Percy guardò Piper. “Mi spiace, dovevo farlo.”
Piper sorrise. “Come può una figlia di Afrodite non approvare? Sei un fidanzato
grandioso.”
Annabeth emise un altro sbuffo. “Uh… comunque siamo al di sotto dell’Eretteo. È un
tempio si di Atena che di Poseidone. Il Partenone dovrebbe essere in diagonale a sud-est da
qui. Avremo bisogno di sgattaiolare lungo il perimetro e disabilitare il maggior numero di
armi d’assedio possibile, in modo da rendere possibile un percorso per l’Argo II.”
“È pieno giorno,” disse Piper. “Come facciamo a non farci vedere?”
Annabeth osservò il cielo. “Ecco perché ho escogitato un piano con Frank e Hazel.
Speriamo che… ah. Guardate.”
Un’ape volò sopra la loro testa. Uno sciame di altre dodici a seguito. Sciamarono intorno
ad una colonna, poi aleggiarono sopra l’apertura del pozzo.
“Dite ‘ciao’ a Frank, ragazzi,” disse Annabeth.
Piper fece un cenno. La nube di Api scattò via.
“Coma ha fatto a farlo?” domandò Percy. “Come… ogni dito è un’ape? Due api sono gli
occhi?”
“Non lo so,” ammise Annabeth. “Ma è la nostra distrazione. Appena passerà parola ad
Hazel, lei-”
“Gah!” guaì Percy. Annabeth gli portò una mano davanti alla bocca. Il che sembrò strano,
perché improvvisamente ognuno di loro si trasformò in un massiccio mostro a sei braccia.
“La foschia di Hazel.” La voce di Piper suonò profonda e grave. Guardò verso il basso e
realizzò che anche lei aveva un corpo da Preistorico – la pancia pelosa, un perizoma,
gambe tozze ed enormi piedi. Se si concentrava, poteva vedere le sue braccia normali, ma
quando le muoveva si increspavano come miraggi, separandosi in tre diverse serie di
muscolose sei braccia.
Percy fece una smorfia, facendo sembrare anche il suo nuovo e ripugnante volto. “Wow,
Annabeth… sono davvero contento di averti baciata prima del cambiamento.”
“Grazie tante,” disse lei. “Dovremmo andare. Mi muoverò in senso orario attorno al
perimetro. Piper si sposterà in senso antiorario. Percy, tu passerai nel mezzo -”
“Aspetta,” disse Percy. “Stiamo andando dritti verso la trappola del sacrificio dello
spargimento di sangue da cui siamo stati avvertiti, e tu vorresti dividerci ulteriormente?”
“Copriremo più terreno in questo modo,” disse Annabeth. “Dobbiamo dare in fretta.
Questo rumore…”
Piper non lo aveva notato fino a quel momento, ma ora lo sentiva: c’era un suono
inquietante in lontananza, come un centinaio di carrelli vuoti. Guardò a terra e notò i pezzi
di ghiaia tremolare, scattare verso sud-est, come se venissero attirati dal Partenone.
“Bene,” disse Piper. “Ci rincontreremo presso il trono del gigante.”
In un primo momento fu facile. C’erano mostri ovunque – centinaia di orchi, giganti e
ciclopi affiorarono tra le rovine – molti si erano riuniti nel Partenone, osservando la
cerimonia in corso. Piper vagò indisturbata per la scogliera dell’Acropoli.
Vicino al primo onagro, tre giganti stavano prendendo il sole sulla rocce. Piper si avvicinò a
loro e sorrise. “Ciao.”
Prima che potessero emettere un suono, li abate con la spade. Tutti e tre si sciolsero in
cumuli di fango. Tagliò il cavo che tendeva l’onagro per disabilitare l’arma, poi continuò a
muoversi. Era impegnata adesso. Doveva fare il maggior danno possibile, prima che il
sabotaggio venisse scoperto. Costeggiò una pattuglia di Ciclopi. Il secondo onagro era
circondato da un accampamento di orchi Lastrigoniani tatuati, ma Piper riuscì a
danneggiare la macchina senza destare sospetti. Lasciò cadere una fiala di fuoco greco
nella fionda. Con un po’ di fortuna, non appena avessero cercato di caricare la catapulta,
quella gli sarebbe esplosa in faccia.
Continuò a muoversi. Dei grifoni si erano appollaiati sul colonnato di un antico tempio. Un
gruppo di empousai si era ritirato in un arco scuro e sembravano essersi addormentati, i
capelli di fuoco tremolavano leggermente, le loro gambe di ottone luccicavano. Sperò che la
luce del solo li rendesse pigri se avrebbero dovuto combattere.
Ogni qual volta che poteva, Piper uccideva mostri isolati. Camminò passando attraverso i
gruppi più grandi.
Nel frattempo la folla al Partenone si ingrandì. Il rumore si fece più forte. Piper non riuscì
a vedere cosa stesse succedendo all’interno delle rovine – solo le teste di venti o trenta
giganti che stavano in piedi in cerchio, borbottando e ondeggiando, magari facendo
l’imitazione del mostro cattivo di ‘Kumbayah.’
Disattivò una terza arma da assedio tagliando le corde di torsione, che avrebbe dovuto dare
all’Argo II un approccio da nord più sicuro.
Sperava che Frank stesse guardando il suo progresso. Si Chiese quanto tempo ci sarebbe
voluto perché la nave arrivasse.
Improvvisamente, il suono si fermò. Un BOOM riecheggiò per tutta la collina. Nel
Partenone, i giganti ruggirono con trionfo. Tutt’intorno a Piper, I mostri salirono verso il
suono festoso. Il che non poteva essere una cosa buona.
Piper si mescolò alla folla di giganti puzzolenti. Si avvicinò il più possibile al tempio, poi
scalò una sezione di ponteggi di metallo in modo da poter vedere sopra le teste degli orchi e
dei Ciclopi.
La scena tra le rovine la fece quasi piangere a voce alta. Prima del trono di Porphyrion,
decine di giganti stavano accerchiati, gridando e agitando le armi verso ad altri due che
sfilavano intorno al cerchio, esibendo i propri premi. La principessa Periboia tratteneva
Annabeth per il colletto come fosse un gatto selvatico. Il gigante Encelado teneva Percy
avvolto nel suo enorme pugno. Annabeth e Percy lottarono entrambi disperatamente.
I loro rapitori li mostrarono all’orda di mostri che facevano il tifo, poi si rivolsero verso Re
Porphyrion, il quale sedeva sul suo trono improvvisato, gli occhi bianchi luccicanti di
malizia. “Giusto in tempo!” urlò il gigantesco re. “Il sangue dell’Olimpo per far risorgere la
Madre Terra.”
XLIII
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PIPER GUARDO’ CON ORRORE mentre il Re dei Giganti si alzava in tutta la sua altezza – quasi
quanto le colonne del tempio. Il suo volto era proprio come Piper lo ricordava – verde
come la bile, con un sogghigno contorto, i capelli erano alghe intrecciate con spade e asce
prese dai semidei morti.
Incombette sui prigionieri, guardandoli di scatto. “Sono arrivati proprio come avevi
previsto, Encelado! Ben fatto!” Il vecchio nemico di Piper chinò la testa, le ossa intrecciate
scrocchiarono nei suoi rasta. “È stato semplice, mio re.”
I disegni delle fiamme luccicarono sulla sua armatura.
La sua lancia bruciava di fuoco violaceo. Aveva bisogno di una sola mano per trattenere il
suo prigioniero. Nonostante tutta la potenza di Percy Jackson, nonostante tutto quello a
cui era sopravvissuto, alla fine era impotente contro la forza pura del gigante – e
l’inevitabilità della profezia.
“Sapevo che questi due sarebbero venuti all’assalto,” continuò Encelado. “Comprendo il
modo in cui pensano. Atena e Poseidone… erano proprio come questi bambini! Entrambi
vennero qui pensando di rivendicare questa città. La loro arroganza li ha sconfitti!”
Durante il boato della folla, Piper riuscì a malapena a sentire se stesse pensando, ma si
ripeté le parole di Encelado: ‘Questi due sarebbero venuti all’assalto.’ Il suo cuore
batteva. I giganti si aspettavano Percy e Annabeth. Non si aspettavano di lei.
Per una volta, essere Piper McLean, la figlia di Afrodite, quella che nessuno prendeva sul
serio, avrebbe potuto giocare a suo vantaggio.
Annabeth cercò di dire qualcosa, ma la gigantessa Periboia la scosse per il collo. “Sta zitta!
Non provare nessuno dei tuoi trucchi!”
La principessa brandì un coltello da caccia come quello di Piper. “Fammi fare gli onori,
Padre!”
“Aspetta, figlia.” Il re fece un passo indietro. “Il sacrificio deve essere attuato
correttamente. Thoon, distruttore delle Parche, fatti avanti!”
Il gigante grigio avvizzito avanzò, brandendo un enorme mannaia. Fisso i suoi occhi
lattiginosi su di Annabeth. Percy gridò. All’estremità dell’Acropoli, ad un centinaio di metri
di distanza, un geyser di acqua sparò verso il cielo.
Re Porphyrion rise. “Devi fare di meglio, figlio di Poseidone. La terra è troppo potente qui.
Anche tuo padre non sarebbe in grado di evocare più di una sorgente salta. Ma niente
paura. L’unico liquido di cui abbiamo bisogno da voi è il vostro sangue!”
Piper osservò disperatamente il cielo. Dov’era l’Argo II?
Thoon si inginocchiò e toccò la lama della sua mannaia facendo una riverenza verso la
terra. “Madre Gea…” la sua voce era incredibilmente profonda, scosse le rovine, facendo
tremolare l’impalcatura di metallo sotto i piedi di Piper. “Nei tempi antichi, il sangue si
mescolava al terreno per ottenere nuova vita. Ora, lascia che il sangue di questi semidei ti
restituisca il favore. Ti riporteremo alla piena veglia. Ti salutiamo come nostra eterna
padrona!”
Senza pensare, Piper balzò giù dal ponteggio. Superò i Ciclopi e gli orchi, atterrando nel
centro del piazzale e si fece strada tra il cerchio di giganti. Mentre Thoon alzò la sua
mannaia, Piper fece scattare verso l’alto la sua spada. Tagliò la mano di Thoon dal polso.
Il vecchio gigante si lamentò. La mannaia e la mano mozzata giacevano in polvere ai piedi
di Piper. Sentì la foschia di travestimento dissolversi fino a quando non tornò ad essere di
nuovo solo Piper – una ragazza in mezzo ad un esercito di giganti, la sua lama frastagliata
di bronzo era come uno stuzzicadenti in confronto alle loro armi massicce.
“CHE COS’E’ QUESTO?” tuonò Porphyrion. “Come osa questa debole, inutile creatura
interromperci?”
Piper seguì le sue sensazioni. Attaccò.
I vantaggi di Piper: era piccola, era veloce, ed era assolutamente folle. Lanciò il pugnale
Katoptris verso Encelado, sperando che non colpisse Percy per sbaglio. Si girò senza
aspettare una conferma, ma, a giudicare dall’ululato di dolore del gigante, aveva fatto bene.
Diversi giganti corsero verso di lei tutti in una volta. Piper li schivò, passandovi tra le
gambe e facendogli scontrare con le teste. Passò attraverso la folla, fendendo la spada nei
piedi di drago ogni qual volta ne avesse l’opportunità e urlando, “CORRETE! ANDATE
VIA!” seminando confusione.
“NO! FERMATELA!” gridò Porphyrion. “UCCIDETELA!”
Una lancia quasi la impalò. Piper la schivò e continuò a correre. ‘È proprio come la
caccia alla bandiera,’ si disse. ‘Solo che la squadra nemica è alta nove metri.’
Un enorme spada le tagliò il percorso. Rispetto alla sua pratica con Hazel, lo scontro fu
incredibilmente lento. Piper saltò sopra la lama e scattò verso Annabeth, che ancora
scalciava e si contorceva nella presa di Periboia. Piper doveva liberare la sua amica.
Purtroppo, la gigantessa sembrò anticipare il suo piano. “Non credo proprio, semidea!”
urlò Periboia. “Lei verrà sacrificata!” La gigantessa sollevò il suo pugnale.
Piper urlò usando la lingua ammaliatrice: “LASCIALA!”
Nello stesso istante, Annabeth calciò con le gambe e pugnalò il palmo della gigantessa.
“OWWW!”
Periboia lasciò cadere Annabeth – viva, ma non indenne. Il pugnale le aveva causato una
brutta ferita sul dorso della coscia. Mentre Annabeth rotolò via, il suo sangue si impregnò
nella terra. ‘Il sangue dell’Olimpo’, pensò Piper con terrore. Ma non poté fare nulla.
Doveva aiutare Annabeth.
Piper si lanciò contro la gigantessa. La sua lama frastagliata diventò improvvisamente
fredda come il ghiaccio nelle sue mani. La gigantessa guardò verso il basso sorpresa
mentre la spada di Borea le trafiggeva il ventre. Il gelo si diffuse sul suo pettorale di
bronzo. Piper estrasse la spada. La gigantessa si rovesciò all’indietro – emanando vapore
bianco e ghiacciato. Periboia cadde a terra con un tonfo.
“Figlia mia!” Re Porphyrion posizionò la lancia. Ma Percy aveva tutt’altra idea.
Encelado lo aveva lasciato cadere… probabilmente perché il gigante era occupato a
barcollare in giro con il pugnale di Piper conficcato nella fronte, dell’icore gli colava tra gli
occhi.
Percy non aveva armi – forse la sua spada era stata confiscata o persa durante il
combattimento – ma non lasciò che la cosa lo fermasse. Mentre il re dei giganti correva
verso Piper, Percy afferrò la punta della lancia di Porphyrion e la costrinse giù nel terreno.
Lo slancio del gigante lo sollevò da terra facendolo cadere di schiena.
Nel frattempo Annabeth si stava trascinando sul terreno. Piper le corse incontro. Si fermò
vicino all’amica, fendendo la sua lama avanti e indietro per tenere a bada i nemici. Il
vapore freddo e blu ora avvolgeva la sua lama.
“Chi vuole essere il prossimo Popsicle?” gridò, infondendo la rabbia nella sua lingua
ammaliatrice. “Chi vuole tornare al Tartaro?”
La cosa sembrò funzionare. I giganti si rimescolarono in disagio, guardando il corpo
congelato di Periboia. E perché Piper non avrebbe dovuto intimidirli? Afrodite era
l’olimpica più antica, nata dal mare e dal sangue di Urano. Era più vecchia di Poseidone, o
di Atena, o persino di Zeus. E Piper era sua figlia.
Inoltre, era una McLean. Suo padre si era costruito dal nulla. Ora era conosciuto in tutto il
mondo. I McLean non scappavano. Come tutti i Cherokee, sapevano sopportare la
sofferenza, mantenevano alto l’orgoglio e, se necessario, reagivano. E quello era il
momento di reagire.
A quaranta metri di distanza, Percy fece chinare il re dei giganti, cercando di tirare via una
spada dalle trecce dei suoi capelli. Ma Porphyrion non ne fu tanto sorpreso quando lo
lasciò alzarsi.
“Folli!” Porphyrion scacciò Percy con la mano come se fosse una mosca fastidiosa. Il figlio
di Poseidone finì contro una colonna con uno strano crunch.
Porphyrion si alzò. “Questi semidei non possono ucciderci! Non hanno l’aiuto degli dei.
Ricordatevi chi siete!”
I giganti si avvicinarono. Una dozzina di lance erano puntate al petto di Piper.
Annabeth lottò con i piedi. Recuperò il pugnale da caccia di Periboia, ma riusciva a stento a
stare in piedi, tanto meno a combattere. Ogni volta che una goccia del suo sangue colpiva il
terreno quello gorgogliava, diventando da rosso ad oro. Percy cercò di alzarsi, ma era
evidentemente stordito. Non sarebbe stato in grado neppure di difendersi. L’unica scelta
che aveva Piper era di mantenere i giganti concentrati su di sé.
“Avanti, allora!” Gridò. “Vi distruggerò tutti da sola se devo!”
L’odore metallico della tempesta riempì l’aria. Tutti i peli sulle braccia di Piper si
rizzarono.
“Il fatto è che, ” disse una voce dall’alto, “non devi farlo.”
Il cuore di Piper ebbe un fremito. Nella parte superiore del colonnato vicino c’era Jason, la
spada d’oro scintillava alla luce del sole. Frank stava al suo fianco, l’arco pronto. Hazel era
a cavalcioni di Arion, che ragliò e nitrì in tono di sfida.
Con uno scoppio assordante, un fulmine bianco saettò dal cielo, passò attraverso il corpo di
Jason che lo rivolse verso il re dei giganti.
XLIV
P
i
p
e
r
NEI TRE MINUTI SUCCESSIVI, LA VITA ANDO’ ALLA GRANDE.
Accaddero così tante cose che non un solo semidio affetto da ADHD potrebbe averne
tenuto traccia. Jason si lanciò su Re Porphyrion con forza tale da far accasciare il gigante
sulle ginocchia – fece ardere i fulmini e lo pugnalò nel collo con un gladio d’oro.
Frank scatenò una pioggia di frecce, respingendo i giganti che si avvicinavano a Percy.
L’Argo II sovrastò le rovine e tutte le baliste e le catapulte caricarono simultaneamente.
Leo doveva aver programmato le armi con precisione chirurgica. Un muro di fuoco greco
ruggì verso la parte alta del Partenone. Non toccarono l’interno, ma la maggioranza dei
piccoli mostri che lo attorniavano erano finiti inceneriti.
La voce di Leo rimbombò attraverso l’altoparlante: “ARRENDETEVI! SIETE
CIRCONDATI DA UN’ORDA DI SCOPPIETTANTI MACCHINE DA GUERRA!”
Il gigante Encelado ululò di indignazione. “Valdez!”
“CHE SUCCEDE, ENCHILADAS?” ruggì indietro la voce di Leo. “CARINA LA DAGA CHE
HAI IN FRONTE.”
“GAH!” Il gigante si tirò Katoptris fuori dalla testa. “Mostri: distruggete quella nave!”
Le forze rimaste fecero del loro meglio. Uno stormo di grifoni salì per attaccare. La polena
Festus fece fuoco e le grigliò in cielo. Alcuni giganti lanciarono una raffica di pietre, ma dai
lati dello scafo una decina di sfere di Archimede spruzzarono fuori, intercettarono i massi e
li polverizzarono.
“METTEVI DEI VESTITI ADDOSSO!” ordinò Buford.
Hazel spronò Arion ad uscire dal colonnato e si lanciò in battaglia. La discesa di dodici
metri avrebbe rotto le zampe di qualsiasi altro cavallo, ma Arion colpì il suolo correndo.
Hazel schivò i giganti, colpendoli con la lama della sua spatha.
Con pessimo tempismo, Cecrope e il suo popolo di uomini-serpenti scelse in quel momento
di unirsi alla lotta. Quattro o cinque di loro si posero intorno alle rovine, la terra si tramutò
in muco verde e ne fuoriuscirono dei gemelli armati, con Cecrope in testa.
“Uccidete i semidei!” Sibilò. “Uccidete gli imbroglioni!”
Prima che molti dei suoi guerrieri potessero eseguire gli ordini, Hazel puntò la lama al
tunnel più vicino. Il terreno fremette. Tutte le membrane appiccicose da cui spuntavano le
gallerie crollarono, creando volate di polvere. Cecrope guardò il suo esercito, ora ridotto a
sei uomini. “STRISCIARE VIA!” ordinò. Le frecce di Frank li abbatterono mentre
cercarono di ritirarsi.
La gigantessa Periboia si scongelò con una velocità allarmante. Cercò di acciuffare
Annabeth, ma, nonostante la sua gamba, se la cavò da sola. Pugnalò la gigantessa con il suo
pugnale da caccia e la condusse in un ultimo gioco mortale intorno al trono.
Percy era di nuovo in piedi, Vortice di nuovo nelle sue mani. Sembrava ancora stordito. Il
suo naso sanguinava. Ma sembrava stare meglio del vecchio gigante Thoon, che in qualche
modo si era riattaccato la mano e ritrovato la sua mannaia.
Piper si copriva le spalle assieme a Jason, combattendo ogni gigante che osasse avvicinarsi.
Per un attimo si sentì euforica. Stavano effettivamente vincendo!
Ma presto il loro elemento di sorpresa fallì. I giganti superarono la loro confusione. Frank
rimase a corto di frecce. Si trasformò in un rinoceronte e balzò in battaglia, ma più veloce
abbattevano i giganti, più in fretta questi tornavano in sesto. Le loro ferite sembravano
guarire più velocemente.
Annabeth perse terreno contro Periboia. Hazel fu disarcionata a 60 miglia orarie. Jason
convocò un altro fulmine, ma questa volta Porphyrion lo deviò con semplicità con la punta
della lancia. I giganti erano più grandi, più forti e più numerosi. Non potevano essere uccisi
senza l’aiuto degli dei. E non sembravano essere affaticati.
I sei semidei furono costretti ad un anello difensivo. Un’altra raffica di giganti scagliarono
delle rocce che colpirono l’Argo II. Questa volta Leo non riuscì a rispondere al fuoco
abbastanza velocemente. Le fila di remi si spezzarono. La nave tremolò e si inclinò nel
cielo. Poi Encelado gettò la lancia infuocata. Trafisse lo scafo della nave facendola
esplodere da dentro, inviando bocche di fuoco attraverso le aperture dei remi.
Una minacciosa nube nera si gonfiò dai rottami. L’Argo II iniziò ad affondare.
“Leo!” gridò Jason.
Porphyrion rise. “Voi semidei non imparate mai niente. Non ci sono gli dei ad aiutarvi.
Abbiamo bisogno di un’unica cosa da voi per rendere la nostra vittoria effettiva.”
Il Re dei giganti sorrise attendendo. Sembrava fosse alla ricerca di Percy Jackson.
Piper osservò. Il naso di Percy stava ancora sanguinando. Sembrava che fosse ignaro del
rivolo di sangue che si faceva strada per la sua faccia fino ad arrivare al mento.
“Percy, attento…” cercò di dire Piper, ma la sua voce venne meno. Una singola goccia di
sangue gli cadde dal meno. Colpì la terra tra i suoi piedi friggendo come acqua su una
padella. Il sangue dell’Olimpo aveva bagnato le antiche pietre.
L’Acropoli gemette e si mosse mentre la Madre Terra si risvegliava.
XLV
N
i
c
o
A CIRCA CINQUE MIGLIA AD EST DEL CAMPO, un SUV nero era parcheggiato sulla spiaggia.
Legarono la barca ad un molo privato. Nico aiutò Dakota e Leila a trasportare Michael
Kahale a terra. Il ragazzone era ancora solo mezzo-incosciente, borbottava qualcosa che
Nico assunse fossero termini del football: “Cartellino rosso. Destra trentuno. Fuori.” Poi
ridacchiò in modo incontrollabile.
“Lasciamolo qui,” disse Leila. “Solo, non leghiamolo. Povero ragazzo…”
“E la macchina?” chiese Dakota. “Le chiavi sono nel vano portaoggetti, ma, uh, sai
guidare?”
Leila aggrottò la fronte. “Pensavo che tu potessi guidare. Non hai diciassette anni?”
“Non ho mai imparato!” disse Dakota. “Ero occupato.”
“Ci penso io,” promise Nico. Entrambi lo guardarono.
“Tu non hai, tipo, quattordici anni?” chiese Leila.
Nico si rallegrò del modo nervoso in cui i romani agirono attorno a lui, come se fossero più
grandi, più grossi e combattenti più esperti di lui. “Non ho detto che ci sarei stato io al
volante.” Si inginocchiò e poggiò una mano sul terreno. Sentì le tombe più vicine, ossa
umane dimenticate e sepolte in modo sparso. Cercò più in profondità, estendendo i suoi
sensi fino agli inferi. “Jules-Albert. Vieni qui.”
Il terreno si divise. Uno zombie in un vestito da autista dell’ottocento consumato si fece
strada verso la superficie. Leila fece un passo indietro. Dakota strillò come una donnetta.
“Che cos’è quello, amico?” Protestò Dakota.
“È il mio autista,” disse Nico. “Jules-Albert è il primo arrivato nella gara automobilistica
Parigi-Rouen nel 1895, ma non gli è stato concesso il premio perché la sua auto a vapore
utilizzava un motore a scoppio.”
Leila lo fissò. “Di che cosa stai parlando?”
“È un animo inquieto, sempre alla ricerca di un’altra possibilità per guidare,” disse Nico.
“Negli ultimi anni è stato il mio autista ogni volta che ne avessi bisogno.”
“Hai uno chauffeur zombie,” disse Leila
“Io sto davanti.” Nico salì sul sedile del passeggero. A malincuore, i romani salirono nei
sedili posteriori.
Una cosa su Jules-Albert: non era mai stato emotivo. Poteva stare seduto in mezzo al
traffico cittadino tutto il giorno, senza perdere la pazienza. Era immune alla collera della
strada. Poteva anche proseguire dritto fino ad un accampamento di centauri selvaggi e
passarvi attraverso senza innervosirsi.
Nico non aveva mai visto nulla come quei centauri. Avevano il retro color palomino,
tatuaggi per tutte le braccia pelose e il petto, e delle corna torine sporgenti dalla fronte.
Nico dubitava che potessero confondersi con gli esseri umani, così facilmente come faceva
Chirone.
Almeno duecento di loro stavano facendo a botte senza tregua con spade e lance, o
arrostendo carcasse di animali sul fuoco (centauri carnivori… l’idea fece rabbrividire Nico).
Il loro campo versava attraverso una strada agricola che serpeggiava intorno al perimetro
sud-est del Campo Mezzosangue. Il SUV si spinse per la strada, suonando il clacson
quando necessario. Di tanto in tanto un centauro guardava verso il finestrino del
conducente, vedeva l’autista zombie e si allontanava scioccato. “Spallacci di Plutone,”
mormorò Dakota. “Sono arrivati ancora più centauri durante la notte.”
“Non permettete il contatto visivo,” avvertì Leila. “La prendono come sfida fino all’ultimo
sangue.”
Nico guardò dritto mentre il SUV vi si spingeva attraverso. Il cuore gli batteva, ma non
aveva paura. Era arrabbiato. Ottaviano aveva circondato il Campo Mezzosangue con dei
mostri.
Certo, Nico aveva sentimenti contrastanti riguardo al campo. Si era sentito rifiutato, fuori
luogo, indesiderato e non amato… ma ora che era sull’orlo della distruzione, si era reso
conto di quanto fosse importante per lui. Quello era l’ultimo posto che aveva condiviso
come casa con Bianca – l’unico posto in cui si fossero sentiti al sicuro, anche se solo per
poco.
Svoltarono ad una curva e i pugni di Nico si serrarono. Altri mostri…centinaia di mostri.
Uomini con la testa di cane che si aggiravano in gruppo, le loro asce scintillarono alla luce
del falò. Inoltre c’era una tribù di uomini a due teste vestiti di stracci e coperte come dei
senzatetto, armati con delle imbracature casuali, mazze e tubi di metallo.
“Ottaviano è un idiota,” sibilò Nico. “Pensa di poter controllare queste creature?”
“Si sono solamente riuniti qui,” disse Leila. “Prima che capissimo che… beh, guarda.”
Alla base della Collina Mezzosangue c’era schierata la legione, cinque coorti perfettamente
ordinate, i suoi membri brillanti e orgogliosi. Delle aquile giganti gli sorvolavano in cerchio
le teste. Le armi d’assedio – sei onagri d’oro delle dimensioni di delle case – erano disposte
in un semicerchio sciolto, tre su ogni fianco. Ma, nonostante l’impressione di disciplina, la
dodicesima legione sembrava pietosamente piccola, una macchia di semidei in mezzo ad
un mare di mostri famelici. Nico avrebbe voluto avere ancora lo scettro di Diocleziano, ma
dubitava che la legione di guerrieri morti avrebbe potuto intaccare quell’esercito.
Anche l’Argo II non avrebbe potuto fare molto contro quel tipo di forza.
“Devo disattivare gli onagri,” disse Nico. “Non abbiamo molto tempo.”
“Non riuscirai mai ad avvicinarti abbastanza,” lo avvertì Leila. “Anche se convinciamo tutta
la Quarta e la Quinta coorte a seguirci, le altre coorti cercheranno di fermarci. E quelle
armi da assedio sono presidiate dai seguaci più fedeli di Ottaviano.”
“Non ci avvicineremo con la forza,” concordò Nico. “Ma da solo posso farlo. Dakota, Leila –
Jules-Albert vi condurrà alle linee della legione. Uscite, parlate con le vostre truppe,
convincerli a seguire il vostro esempio. Ho bisogno di una distrazione.”
Dakota aggrottò la fronte. “Va bene, ma non ferirò nessuno dei miei compagni legionari.”
“Nessuno te lo sta chiedendo,” brontolò Nico. “Ma se non fermiamo questa guerra l’intera
legione sarà spazzata via. Avete detto che le tribù di mostri si offendono facilmente?”
“Si,” disse Dakota. “Intendo, per esempio, se fai qualsiasi commento riguardo l’odore di
quei ragazzoni a due teste e…oh.” Sorrise. “Se iniziassimo una rissa, per caso
ovviamente…”
“Conto su di voi,” disse Nico.
Leila aggrottò la fronte. “Ma cosa farai–”
“Userò le ombre,” disse Nico. E ne svanì all’interno.
Pensava di essere preparato. Non lo era.
Anche dopo tre giorni di riposo e le meravigliose proprietà curative della poltiglia
appiccicaticcia e marrone di Coach Hedge, Nico iniziò a svanire nel momento in cui era
saltato nell’ombra.
Le sue membra diventarono vapore. Il freddo gli flirtò nel petto. Le voci degli spiriti gli
sussurrarono nelle orecchie: ‘Aiutaci. Ricordaci. Unisciti a noi.’ Non si era nemmeno
reso conto di quanto avesse fatto affidamento su Reyna. Senza la sua forza, si sentiva
debole come un puledrino appena nato, barcollando pericolosamente, pronto a cadere ad
ogni passo.
‘No’, si disse. ‘Io sono Nico di Angelo, figlio di Ade. Controllo le ombre. Loro
non controllano me.’
Inciampò di nuovo nel mondo mortale sulla cima della Collina Mezzosangue.
Cadde in ginocchio, aggrappandosi al pino di Thalia come supporto. Il vello d’oro non c’era
più tra i suoi rami. Il drago guardiano era sparito. Forse si erano spostati in un punto più
sicuro con l’avvicinarsi della battaglia. Nico non ne era sicuro. Ma, guardando le forze
romane schierate al di fuori della valle, il suo animo vacillò.
L’onagro più vicino era ad un centinaio di metri giù dalla collina, circondato da una trincea
e sorvegliato da una dozzina di semidei. La macchina era stata caricata, pronta a far fuoco.
La sua enorme fionda era delle dimensioni di una Honda Civic, disseminata di schegge
d’oro. Con ferma certezza, Nico capì a cosa puntava Ottaviano. Il proiettile era un misto di
bombe incendiare e oro imperiale. Anche una piccola quantità di oro imperiale sarebbe
potuto essere incredibilmente fatale. Esposto a troppo calore o pressione, il tutto sarebbe
esploso con un impatto devastante, e , naturalmente, sarebbe stato mortale sia per i semide
che per i mostri. Se quell’onagro avesse sferrato un colpo al Campo Mezzosangue, nulla
nella zona dell’esplosione sarebbe rimasto illeso – vaporizzato dal calore, o disintegrato
dalle schegge. E i romani, di onagri, ne avevano sei, tutti riforniti con pile di munizioni.
“Malvagità,” disse Nico. “Questa è malvagità.”
Cercò di riflettere. L’alba stava per terminare. Non poteva abbattere tutte e sei le armi
prima che l’attacco iniziasse, anche se avesse potuto trovare la forza per viaggiare
nell’ombra tutte le volte. Se ci fosse riuscito già anche solo una volta, sarebbe stato un
miracolo.
Vide la tenda del comando Romano – dietro e a sinistra della legione. Ottaviano sarebbe
stato probabilmente lì, a gustarsi la colazione a distanza di sicurezza dai combattimento.
Non avrebbe accompagnato le sue truppe in battaglia. Quel piccolo sacco di feccia sperava
di distruggere il campo greco da lontano, attendere che le fiamme si spegnessero, poi
marciare incontrastato.
La gola di Nico si contrasse per l’odio. Si concentrò su quella tenda, immaginando il suo
prossimo ‘viaggio’. Se fosse riuscito ad assassinare Ottaviano, avrebbe potuto risolvere il
problema. L’ordine di attaccare non sarebbe mai stato dato. Nico stava per provarci
quando una voce alle sue spalle disse: “Nico?”
Si girò, la spada subito alla mano, e quasi non decapitò Will Solace.
“Mettila giù!” sibilò Will. “Che cosa ci fai qui?”
Nico era sbigottito. Will e altri due campeggiatori erano accovacciati nell’erba, binocolo al
collo e pugnali ai fianchi. Indossavano jeans e magliette nere, avevano del cerone nero sui
volti, come i militari.
“Io?” chiese Nico. “Voi cosa state facendo? Volete farvi ammazzare?”
Will si accigliò. “Ehy, stiamo sorvegliando il nemico. Abbiamo preso qualche precauzione.”
“Vestendovi di nero,” notò Nico, “con il sole che sta per sorgere. Dipingendoti la faccia di
nero non coprirà quella massa di capelli biondi. È come se sventolassi una bandiera gialla.”
Le orecchie di Will arrossirono. “Lou Ellen ci ha anche avvolto della foschia intorno.”
“Ciao.” La ragazza accanto a lui divincolò le dita. Sembrava un po’ agitata. “Tu sei Nico,
giusto? Ho sentito molto parlare di te. E questa è Cecil dalla cabina di Ermes.”
Nico si inginocchiò affianco a loro. “Coach Hedge è riuscito ad arrivare al campo?”
Lou Ellen ridacchiò nervosamente. “Eccome.”
Will le diede una gomitata. “Già. Hedge sta bene. Ha fatto appena in tempo per la nascita
del bambino.”
“Il bambino!” Nico sorrise, il che gli fece male ai muscoli del visto. Non era abituato a
quell’espressione. “Mellie e il bambino stanno bene?”
“Bene. Un piccolo satiro maschietto davvero carino.” Will rabbrividì. “L’ho fatto nascere io.
Hai mai fatto nascere un bambino?”
“Um, no.”
“Dovevo prendere una boccata d’aria fresca. Ecco perché mi sono offerto volontario per
questa missione. Dei dell’Olimpo, mi tremano ancora le mani. Vedi?” Prese la mano di
Nico, il che mandò una scarica elettrica lungo la schiena di Nico. La ritirò velocemente.
“Comunque,” sbottò. “Non abbiamo tempo per le chiacchiere. I romani attaccheranno
all’alba e devo –”
“Lo sappiamo,” disse Will. “Ma, se hai intenzione di viaggiare-nell’ombra fino a quella
tenda di comando, scordatelo.”
Nico lo fissò. “Scusami?”
Si aspettava che Will indietreggiasse o distogliesse lo sguardo. La maggior parte delle
persone lo avrebbe fatto. Ma gli occhi celesti di Will rimasero fissi sui suoi –
fastidiosamente determinati. “Coach Hedge mi ha raccontato tutto riguardo al tuo viaggioombra. Non puoi provarci di nuovo.”
“Ci ho appena provato di nuovo, Solace. Sto bene.”
“No che non stai bene. Sono un guaritore. Ho sentito le tenebre nella tua mano non appena
l’ho toccata. Anche se riuscissi a raggiungere quella tenda, non saresti abbastanza in forma
per combattere. Ma non dovresti farlo. Un altro salto, e non ternerai indietro. Tu non
sei un viaggiatore-dell’ombra. Ordini del dottore.”
“Il campo sta per essere distrutto –”
“E noi fermeremo i Romani,” disse Will. “Ma lo faremo a modo nostro. Lou Ellen
controllerà la foschia. Ci introdurremo nei dintorni, facendo più danni possibile a quegli
onagri. Ma nessun viaggio-ombra.”
“Ma –”
“No.”
Le teste di Lou Ellen e Cecil scorsero avanti e indietro come se stessero guardando una
partita di tennis davvero intensa.
Nico sospirò esasperato. Odiava lavorare con altre persone. Gli mettevano sempre i bastoni
tra le ruote, facendolo sentire a disagio. E Will Solace… Nico rivedette la sua impressione
per il figlio di Apollo. Aveva sempre pensato di Will come uno accomodante e rilassato. A
quanto pareva poteva anche essere testardo e irritante.
Nico guardò giù, verso il Campo Mezzosangue, dove il resto dei Greci si stava preparando
per la guerra. Oltre le truppe e le baliste, il lago delle canoe scintillava roseo nella prima
luce dell’alba. Nico ricordò la prima volta che era arrivato al Campo Mezzosangue,
caracollando nella macchina-solare di Apollo, che era stato convertito in un fiammeggiante
scuolabus. Ricordò Apollo, sorridente e abbronzato e completamente figo nel porsi.
Thalia aveva detto, ‘È uno splendore.’
‘È il dio del sole,’ aveva replicato Percy.
‘Non era quello che intendevo.’
Perché Nico era finito per pensarci adesso?
I ricordi casuali lo irritavano, lo facevano innervosire. Era arrivato al Campo Mezzosangue
grazie ad Apollo. Ora, in quello che sarebbe stato il suo ultimo giorno al campo, era rimasto
bloccato con un figlio di Apollo.
“Comunque sia,” disse Nico. “Ma dobbiamo agire in fretta. E seguirete le mie direzioni.”
“Bene,” disse Will. “Basta che non mi chiedi di far nascere altri piccoli satiri e andremo
molto d’accordo.”
XLVI
N
i
c
o
GIUNSERO AL PRIMO ONAGRO proprio mentre il caos si scatenava nella legione.
Sul fondo della linea, delle grida salirono dalla Quinta coorte. I legionari si sparsero
lasciando le loro pila. Una dozzina di centauri stavano facendo a botte tra i ranghi, urlando
e sferrando pugni, seguiti da un’orda di uomini a due-teste che sbattevano i loro scudi fatti
con coperchi di bidoni dell’immondizia.
“Che cosa sta succedendo laggiù?” chiese Lou Ellen.
“È la mia distrazione,” disse Nico. “Andiamo.”
Tutte le guardie si raggrupparono sul lato destro dell’onagro, cercando di vedere cosa
stesse succedendo in fondo alle fila, il che diede a Nico e ai suoi compagni un colpo sicuro
sulla sinistra. Passarono a pochi metri dal romano più vicino, ma il legionario non li notò.
La foschia magica di Lou Ellen sembrava stare funzionando.
Saltarono la trincea spinata e raggiunsero la macchina.
“Ho portato un po’ di fuoco greco,” sussurrò Cecil.
“No,” disse Nico. “Se creiamo un danno troppo evidente, non arriveremo mai alle altre in
tempo. Puoi ricalibrare la mira – tipo, farla tirare verso le altre linee di tiro? Gli altri
onagri.”
Cecile sogghignò. “Oh, mi piace il tuo modo di pensare. Mi hanno mandata qui perché sono
eccellente nel rovinare le cose.” Si mise a lavorare, mentre Nico e gli altri stettero di
guardia. Intanto, la quinta coorte era coinvolta in una rissa con gli uomini a due teste. La
quarta coorte si era fiondata in loro soccorso. Le altre tre coorti avevano mantenuto la
postazione, ma gli ufficiali stavano avendo qualche problema a mantenere l’ordine.
“Tutto a posto,” comunicò Cecil. “Muoviamoci.”
Si mescolarono nella folla verso il prossimo onagro.
Questa volta la foschia non funzionò tanto bene. Una delle guardie urlò, “Ehy!”
“Pendi questo.” Will scattò via – che era il diversivo più stupido a cui Nico potesse
immaginare – e sei guardie si misero al suo inseguimento.
Gli altri Romani anticiparono Nico, ma Lou Ellen apparve dalla foschia e urlò, “Ehy!
Prendetela!” Lanciò una pallina Bianca delle dimensioni di una mela. Il romano di mezzo
la afferrò istintivamente. Una sfera di venti metri di altezza di polvere saltò verso l’esterno.
Quando la situazione si placò, tutti e sei i romani erano diventati degli strillanti maialini
rosa.
“Bel lavoro,” disse Nico.
Lou Ellen arrossì. “Beh, è l’unica palla-maiale che ho. Quindi non chiedere un bis.”
“E, uh -” Cecil si placò. “è meglio che qualcuno aiuti Will.”
Anche nelle loro armature, i romani stavano cominciando a guadagnare terreno su Solace.
Nico imprecò e gli corse dietro. Non voleva uccidere altri semidei se poteva evitarlo. Per
fortuna non ce ne fu bisogno. Colpì il romano da dietro e gli altri si girarono. Nico balzò in
mezzo alla folla, sferrando calci nelle parti basse, colpendo teste con il piatto della spada,
colpendo elmi con l’elsa.
In dieci secondi, i Romani erano tutti storditi gemendo a terra.
Will gli diede una pacca sulle spalle. “Grazie per l’aiuto. Sei in un colpo solo, niente male.”
“Niente male?” Nico lo fissò. “La prossima volta mi limiterò a lascare che ti rincorrano,
Solace.”
“Ah, non mi avrebbero catturato.”
Cecil gli fece cenno dall’onagro, segnalando che il suo lavoro era stato compiuto.
Si spostarono tutti verso la terza macchina d’assedio.
Nelle file della legione, tutto era ancora nel caos, ma gli ufficiali cominciarono a riprendere
il controllo della situazione. Quinta e Quarta coorte vennero raggruppate, mentre la
seconda e la terza agirono in qualità di polizia antisommossa; spingendo via centauri,
cinocefali e uomini a due teste verso i rispettivi campi. La prima coorte stava più vicina
all’onagro – un po’ troppo vicino per i gusti di Nico – ma sembravano occupati con una
coppia di ufficiali che sfilavano dinanzi a loro, gridando ordini.
Nico sperò che riuscissero a sabotare anche la terza macchina d’assedio. Un altro onagro
reindirizzato avrebbe potuto dargli una qualche possibilità.
Sfortunatamente, le guardie li avvistarono a venti metri di distanza. Uno di loro urlò, “là!”
Lou Ellen imprecò. “Si aspettano un attacco ora. La foschia non funziona bene contro i
nemici in allerta. Ci mettiamo a correre?”
“No,” disse Nico. “Diamogli quello che si aspettano.”
Allargò le braccia. Davanti ai romani il terreno esplose, ne fuoriuscirono cinque scheletri.
Cecil e Lou Ellen corsero ad aiutare. Nico cercò di seguirle, ma sarebbe caduto in avanti, se
solo Will non lo avesse preso.
“Sei un idiota.” Will si circondò il suo braccio attorno al collo. “Ti ho detto niente più magia
dell’oltretomba.”
“Sto bene.”
“Zitto. Non stai bene.” Will cercò nella borsa e ne estrasse un pacchetto di gomme da
masticare. Nico avrebbe voluto staccarsi. Odiava il contatto fisico. Ma Will era molto più
forte di quanto sembrasse. Nico si ritrovò appoggiato contro di lui, usandolo come
sostegno.
“Prendi questo,” disse Will.
“Vuoi che mastichi una gomma da masticare?”
“È curativa. Dovrebbe mantenerti in vita e in allerta per almeno qualche altra ora.”
Nico si spinse la gomma in bocca. “Sa di catrame e frango.”
“Finiscila di lamentarti.”
“Ehy.” Cecil zoppicò fino a loro, sembrava che si fosse stirata un muscolo. “Vi siete persi un
po’ di combattimento.”
Lou Ellen la seguì sorridendo. Dietro di loro, tutte le guardie romane erano aggrovigliate in
un strano assortimento di corde di ossa. “Grazie per gli scheletri,” disse. “Un bel trucco.”
“Cosa che non rifarà,” disse Will.
Nico si rese conto di essere ancora appoggiato a Will. Lo spinse via e riprese l’equilibrio.
“Farò quello che dovrò fare.”
Will roteò gli occhi. “Bene, Death boy. Se vuoi suicidarti –”
“Non chiamarmi Death Boy!”
Lou Ellen si schiarì la gola. “Um, ragazzi –”
“GETTATE LE ARMI!”
Nico si girò. Il combattimento al terzo onagro non era passato inosservato. L’intera prima
coorte avanzava verso di loro, le lance spianate, gli scudi serrate. Di fronte a loro marciava
Ottaviano, con una veste porpora sopra l’armatura, dei gioielli in oro imperiale
scintillavano sul colletto e le braccia, e portava una corona di alloro sul capo, come se
avesse già vinto la battaglia. Accanto a lui c’era il portabandiera della legione, Jacob, che
brandiva l’aquila reale, e sei enormi cinocefali, con i canini scoperti, le spade di un rosso
incandescente.
“Bene,” ringhiò Ottaviano. “Sabotatori Graecus.” Si girò verso i guerrieri con le teste di
cane. “Fateli a pezzi.”
XLVII
N
i
c
o
NICO NON ERA SICURO se prendere a calci sé stesso oppure Will Solace.
Se non fosse stati così tanto distratto dai litigi con il figlio di Apollo, non avrebbe mai
permesso al nemico di avvicinarsi tanto.
Mentre gli uomini dalla testa di cane si facevano avanti, Nico alzò la spada. Dubitava di
avere abbastanza forza per vincere, ma, prima che potesse attaccare, Will emise un fischio.
Tutti e sei gli uomini-cani lasciarono cadere le proprie armi, premendosi le mani contro le
orecchie e cadendo a terra agonizzanti.
“Amico,” Cecil aprì la bocca per far stappare le orecchie. “Che diamine? Dacci un piccolo
avvertimento prima.”
“È ancora peggio per i cani.” Will si strinse nelle spalle. “Uno dei miei pochi talenti
musicali. Fischio degli ultrasuoni davvero terribili.”
Nico non se ne lamentava. Guardò verso gli uomini-cane, li colpì con la spada. Loro si
dissolsero in ombre.
Ottaviano e gli altri romani sembravano troppo storditi per reagire.
“Le mie – le mie guardie d’elite!” Ottaviano si guardò attorno. “Avete visto cosa hanno
fatto alle mie guardie d’elite?”
“Alcuni cani avevano bisogno di essere rimessi in riga.” Nico fece un passo avanti. “Così
come te.”
Per un bel momento, l’intera prima coorte vacillò. Poi si ricomposero e livellarono le loro
pila.
“Sarai distrutto!” strepitò Ottaviano. “Voi Graeci vi insinuate tutt’intorno, sabotate le
nostre armi, attaccate i nostri uomini–”
“Vuoi dire le armi che stavano per scattare contro di noi?” chiese Cecil.
“E gli uomini che stavano per tramutare il nostro campo in cenere?” aggiunse Lou Ellen.
“Proprio come un Greco!” strillò Ottaviano. “Cercano di distorcere le cose a loro favore!
Beh, non funzionerà!” Indicò i legionari più vicini. “Tu, tu,tu e tu. Controllate tutti gli
onagri. Assicuratevi che siano operativi. Voglio che sparino contemporaneamente il più
presto possibile. Andate!”
I quattro romani corsero.
Nico cercò di mantenere la sua espressione neutra.
Pregò che non controllassero la traiettoria di tiro. Sperava che Cecil avesse fatto bene il suo
lavoro. Una cosa era distruggere un’arma enorme. Un’altra era distruggere tutto così
sottilmente che nessuno potesse accorgersene prima che fosse troppo tardi. Ma se
qualcuno avesse un’abilità del genere doveva essere un figlio di Ermes, il dio dell’inganno.
Ottaviano marciò fino a Nico. A suo merito, l’augure non sembrava spaventato, anche se la
sua unica arma era un pugnale. Si fermò così vicino che Nico poteva vedere le vene
iniettate di sangue nei suoi occhi acquosi e pallidi. Il suo viso era scarno. Aveva i capelli
dello stesso colore degli spaghetti scotti.
Nico sapeva che Ottaviano era un eredità – un discendente di Apollo dopo molte
generazioni. Ora, non poteva fare a meno di pensare che Ottaviano sembrasse annacquato,
una versione malsana di Will Solace – come una foto che era stata copiata troppe volte.
Qualunque cosa rendesse particolare un figlio di Apollo, Ottaviano non ce l’aveva.
“Dimmi, figlio di Plutone,” sibilò l’augure, “perché stai aiutando i greci? Che cosa hanno
mai fatto per te?”
Nico ebbe voglia di pugnalare Ottaviano nel petto. Lo aveva sognato quando Bryce
Lawrence li aveva attaccati nel South Carolina. Ma ora che erano faccia a faccia, Nico esitò.
Non aveva dubbi del poter uccidere Ottaviano prima che la coorte potesse intervenire.
Soprattutto non è che a Nico importasse di morire a causa delle proprie azioni. La resa ne
sarebbe valsa la pena.
Ma, dopo quello che era successo con Bryce, l’idea di abbattere un semidio a sangue freddo
- anche Ottaviano – non gli stava bene. Inoltre non gli sembrava giusto condannare Cecil,
Lou Ellen e Will a morire con lui.
‘Non mi sembra giusto?’ si chiese un’altra parte di lui, ‘Da quando mi preoccupo
di cosa è giusto?’
“Sto aiutando sia i Greci che i Romani,” disse Nico.
Ottaviano rise. “Non provarci con me. Che cosa ti hanno offerto – un posto nel loro campo?
Non onoreranno il loro accordo.”
“Non voglio un posto nel loro campo,” ringhiò Nico. “O nel vostro. Quando questa guerra
sarà finita, lascerò entrambi i campi per il meglio.”
Will Solace emise un suono come se gli fosse appena stato dato un pugno. “Perché vuoi
farlo?”
Nico aggrottò la fronte. “Non sono affari tuoi, ma non mi concerne. È ovvio. Nessuno mi
vuole. Sono un figlio di –”
“Oh, per favore.” Will sembrava insolitamente arrabbiato. “Nessuno al Campo
Mezzosangue ti ha mai allontanato. Hai degli amici – o almeno persone a cui piacerebbe
esserlo. Sei tu che ti allontani. Se uscissi un po’ da quell’idea per una volta –”
“Basta!” scattò Ottaviano. “Di Angelo, posso superare qualsiasi offerta che i greci
potrebbero farti. Ho sempre pensato che tu potessi essere un potente alleato. Vedo la
spietatezza in te, e lo apprezzo. Posso assicurarti un posto a Nuova Roma. Tutto quello che
devi fare è metterti da parte e lasciare vincere i romani. Il dio Apollo mi ha mostrato il
futuro –”
“No!” Will Solace spinse Nico da parte per stare faccia a faccia con Ottaviano. “Io sono
figlio di Apollo, tu un anemico perdente. Mio padre non ha mostrato a nessuno il futuro,
perché il potere della profezia non funziona. Ma questo –” indicò vagamente verso la
legione assemblata, le orde dell’esercito di mostri sparse per tutto il pendio. “Questo non è
ciò che Apollo vorrebbe!”
Le labbra di Ottaviano si arricciarono. “Menti. Il dio mi ha detto personalmente che
sarei stato ricordato come il salvatore di Roma. Io porterò la legione alla vittoria, e vorrei
iniziare da –”
Nico si accorse del suono ancora prima di dirlo – un thunk-thunk-thunk riverberava
attraverso la terra, come se degli enormi ingranaggi stessero tirando su un ponte levatoio.
Tutti gli onagri spararono all’uni solo, e sei comete dorate vennero scagliate nel cielo.
“Distruggendo i Greci!” gridò Ottaviano con foga. “I giorni del Campo Mezzosangue sono
finiti!”
Nico non riuscì a pensare a niente di più bello di un proiettile fuori-rotta. Almeno, non
oggi. Dalle tre macchine sabotate, i carichi virarono lateralmente, percorsero un arco verso
gli altri tre onagri.
Le palle di fuoco non si scontrarono direttamente. Non ne avevano bisogno. Non appena le
pallottole furono vicine l’una all’altra, tutte e sei esplosero a mezz’aria, spruzzando una
cupola d’oro e fuoco che risucchiò tutto l’ossigeno dal cielo.
Il calore punse il viso di Nico. L’erba sibilò. Le cime degli alberi vaporizzarono. Ma, quando
I fuochi artificiali scomparvero, non era rimasto alcun danno grave.
Ottaviano reagì per primo. Calpestò i piedi in terra e gridò, “NO! NO! NO! RICARICATE!”
Nessuno nella Prima Coorte si mosse. Nico sentì uno scalpiccio di stivali alla sua destra. La
Quinta Coorte stava marciando verso di loro, Dakota in testa.
Verso la valle, il resto della legione stava cercando di formarsi, ma la Seconda, la Terza e la
Quarta coorte ora erano circondante dai mostruosi alleati. Le forze auxilia non sembravano
contenti dell’esplosione sopra le loro teste. Non c’era dubbio che avessero atteso che il
Campo Mezzosangue andasse a fuoco in modo da avere semidei grigliati per colazione.
“Ottaviano!” chiamò Dakota. “Abbiamo nuovi ordini.”
L’occhio sinistro di Ottaviano si contrasse così violentemente che sembrava quasi che
potesse esplodere. “Ordini? Da parte di chi? Non da me!”
“Da Reyna,” disse Dakota, abbastanza forte per assicurarsi che tutti nella prima coorte
potesse sentire. “Ci ha ordinate di farti arrendere.”
“Reyna?” Ottaviano rise, anche se nessuno sembrava aver capito la battuta. “Intendi che la
fuorilegge che ti ho mandato ad arrestare? L’ex-pretore che ha cospirato a tradire la sua
gente con questo Graecus?” Punto il dito al petto di Nico. “Prendi ordini da lei?”
La quinta coorte si formò dietro al loro centurione, a disagio di fronte ai loro compagni
della Prima.
Dakota incrociò le braccia ostinatamente. “Reyna è pretore fino a voto contrario del
Senato.”
“Questa è guerra!” urlò Ottaviano. “Vi ho portati sull’orlo della vittoria finale e voi volete
rinunciare? Prima Coorte: arrestate il Centurione Dakota e tutti coloro che stanno con lui.
Quinta Coorte: ricordate i vostri voti a Roma e alla legione. Obbedirete a me!”
Will Solace scosse la testa. “Non farlo, Ottaviano. Non forzare il tuo popolo a scegliere.
Questa è la tua ultima occasione.”
“La mia ultima occasione?” Ottaviano sogghignò, la follia che gli scintillava negli occhi. “Io
SALVERO’ ROMA! Ora, Romani, seguite I miei ordini! Arrestate Dakota. Distruggete
questa feccia di Graecus. E ricaricate gli onagri!”
Cosa avrebbero scelto di fare i romani, Nico non lo sapeva. Ma non aveva messo da conto i
greci.
In quel momento, l’intero esercito del Campo Mezzosangue apparve sulla cresta della
collina Mezzosangue. Clarisse La Rue in testa, su un carro da guerra rosso trainato da
cavalli di metallo.
Un centinaio di semidei era sistemata intorno a lei, con il doppio di satiri e spiriti della
natura guidati da Grover Underwood. Tyson avanzava pesantemente con altri sei Ciclopi.
Chirone era in modalità stallone bianco, l’arco proteso.
Fu uno spettacolo impressionante, ma tutto quello che Nico riuscì a pensare fu: ‘No. Non
adesso.’
Clarisse gridò, “Romani, avete sparato contro il nostro campo! Ritiratevi o sarete distrutti!”
Ottaviano si voltò verso le proprie truppe. “Vedete? Era un trucco! Ci hanno divisi in modo
da poterci lanciare un attacco a sorpresa. Legione, cuneum formate! CARICA!”
XLVIII
N
i
c
o
NICO AVREBBE VOLUTO URALRE: “Time out! Aspettate! Fermi!“
Ma sapeva che non sarebbero fatto niente di buono. Dopo una settimana di attesa,
agonizzanti e fumanti, i Greci e i Romani volevano sangue. Provare a fermare la battaglia
in quel momento sarebbe stato come cercare di respingere un fiume dietro ad una diga che
si sta rompendo.
Will Solace salvò la giornata.
Si portò le dita alla bocca e produsse un fischio ancora più fastidioso di quello precedente.
Molti greci fecero cadere le spade. Un onda attraversò la linea romana mentre l’intera
Prima Coorte tremava.
“NON SIATE STUPIDI!” urlò Will. “GUARDATE!”
Indicò a nord, e Nico sorrise da un orecchi all’altro. Decise che c’era qualcosa di più bello di
un proiettile fuori-rotta: L’Athena Parthenos scintillante al sorgere del sole, che volava
sopra la costa, tenuta sospesa da sei cavalli alati.
Le aquile romane vi girarono attorno, ma senza attaccarla. Alcuni vi piombarono incontro,
afferrarono i cavi e aiutarono a portare la statua.
Nico non vide Blackjack, il che lo fece preoccupare, ma Reyna Ramìrez-Arellano cavalcava
sul dorso di Guido. La sua spada alta. Il suo mantello viola stranamente luccicava,
catturando la luce del sole.
Entrambi gli eserciti la fissarono, sbalorditi, mentre la statua d’oro e avorio alta dodici
metri stava atterrando.
“SEMIDEI GRECI!” La voce di Reyna risuonò come se passasse attraverso la statua stessa,
come se l’Athena Parthenos fosse diventata una pila di casse da concerto. “Ecco la vostra
statua più sacra, l’Athena Pathenos, presa ingiustamente dai romani. La riporto a voi, ora,
come gesto di pace!”
La statua si stabilì sulla cima della collina, ad una decina di metri dal pino di Thalia.
Immediatamente la luce dorata increspò sul terreno, nella valle del Campo Mezzosangue e
giù per il lato opposto attraverso i ranghi romani. Il calore filtrò nelle ossa di Nico – una
confortante sensazione di pace non provava da quando… non riusciva neppure a
ricordarlo.
Una voce dentro di lui sembrò sussurrare: “Non sei solo. Sei una parte della
famiglia degli Olimpici. Gli dei non ti hanno abbandonato.”
“Romani!” urlò Reyna. “Lo faccio per il bene della legione, per il bene di Roma. Dobbiamo
stare assieme ai nostri fratelli greci!”
“Ascoltatela!” Nico fece un passo Avanti. Non era nemmeno sicuro del perché lo avesse
fatto. Perché entrambi i lati lo ascoltavano? Era il peggior messaggero , il peggior
ambasciatore di sempre.
Percorse a grandi passi tra le linee di battaglia, la spada in mano. “Reyna ha rischiato la
vita per tutti voi! Abbiamo trasportato questa statua per tutto il mondo, romani e greci che
lavorano assieme, perché dobbiamo unire le nostre forze. Se non lavoriamo assieme-”
‘MORIRETE.’
La voce scosse la terra. La sensazione di Nico di pace e sicurezza scomparve
immediatamente. Il vento spazzò per tutta la collina. Il terreno stesso diventò fluido e
appiccicoso, l’erba si spinse contro gli stivali di Nico.
‘UN GESTO INUTILE.’
Nico si sentì come se stesse in piedi sulla gola della dea – come se l’intera Long Island
risuonasse con le sue corde vocali.
‘MA, SE PUO’ RALLEGRARVI, MORIRETE ASSIEME.’
“No…” Ottaviano balzò indietro. “No, no…” si interruppe e corse via, spingendosi
attraverso le proprie truppe.
“CHIUDETE I RANGHI!” urlò Reyna.
I greci e i romani si mossero assieme, spalla a spalla mentre tutto intorno a loro la terra
tremava.
Le truppe Auxilla di Ottaviano si fecero avanti, circondando i semidei. Entrambi i campi
uniti erano una macchia minuscola in mezzo ad un mare di nemici.
Avrebbero attuato la loro ultima resistenza sulla collina Mezzosangue, con l’Athena
Parthenos come punto di incontro.
Ma anche lì si trovavano su un terreno nemico. Perché Gea era la terra, e la terra si stava
risvegliando.
XLIX
J
a
s
o
n
JASON AVEVA SENTITO PARLARE DI qualcuno che si era visto passare l’intera vita davanti agli
occhi. Ma non credeva che sarebbe stato così.
Stava in piedi con i suoi amici formando un cerchio difensivo, circondati dai giganti; poi
vide una cosa impossibile nel cielo – Jason ebbe una chiara visione di sé stesso cinquanta
anni nel futuro.
Era seduto su una sedia a dondolo sotto il portico di una casa sulla costa della California.
Piper stava servendo della limonata. I suoi capelli erano grigi. Delle linee profonde le
incidevano gli angoli degli occhi, ma era bella come sempre. I nipoti di Jason sedevano
intorno ai suoi piedi, e stava cercando di spiegare loro quello che era successo in quel
giorno ad Atene.
‘No, dico sul serio,’ disse. ‘Solo sei semidei a terra e un altro in una nave in fiamme sopra
l’Acropoli. Eravamo circondati da quindici metri di giganti che stavano per ucciderci.
Poi, il cielo si aprì, e gli dei ne discesero!’
‘Nonno,’ dissero i ragazzini, ‘sei totalmente andato.’
‘Non sto scherzando!’ protestò lui. ‘Gli dei dell’Olimpo caricarono dal cielo sui loro carri
da guerra, le trombe squillanti, le spade fiammeggianti. E il vostro bisnonno, il re degli
dei, guidò la carica, con un giavellotto di scoppiettante energia elettrica pura nella
mano!’
I suoi nipoti lo derisero. E Piper guardò la scena, sorridendo, come per dire ‘Tu ci
crederesti se non fossi stato lì?’
Ma Jason era lì. Alzò lo sguardo mentre le nuvole si aprivano sull’Acropoli, e quasi diffidò
delle nuove lenti che gli aveva dato Asclepio. Invece di un cielo azzurro, vide uno spazio
nero e costellato di stelle, i palazzi del Monte Olimpo rifletterono di oro e argento il
terreno. E un esercito di divinità discese dall’alto.
Era troppo da elaborare. E probabilmente era stato meglio per la sua salute non vedere il
tutto. Solo in un secondo momento Jason fu in grado di rielaborare i pezzi.
C’era il sommo Giove – no, quello era Zeus, nella sua forma originale – a guidare la
battaglia nel suo cocchio d’oro, un fulmine delle dimensioni di un palo del telefono gli
scoppiettava in una mano. A tirare il carro vi erano quattro cavalli fatti di vento, ognuno di
loro continuava a passare dalla forma equina a quella umana, cercando di liberarsi.
Per una fazione di secondi, uno assunse il gelido volto di Borea. Un altro indossava la
corona vorticosa di fuoco e vapore di Notus. Al terzo balenò il sorriso compiaciuto ma
pigro di Zefiro. Zeus aveva legato e imbrigliato i quattro dei venti stessi.
Sullo scafo dell’Argo II, le porte di vetro si infransero. La dea Nike ne ruzzolò fuori,
liberandosi dalla rete d’oro. Allargò le scintillanti ali e salì al fianco di Zeus, prendendo il
suo legittimo posto come cocchiera.
“LA MIA MENTE SI E’ RESTAURATA!” ruggì. “VITTORIA A GLI DEI!”
Sul fianco sinistro di Zeus cavalcava Era, il suo carro veniva trainato da degli enormi
pavoni, il loro piumaggio del colore dell’arcobaleno era così brillante che fece venire a
Jason un capogiro.
Ares urlava con foga, mentre tuonava giù sul dorso di un cavallo sputa fuoco. La sua lancia
luccicava di rosso.
All’ultimo secondo, prima che gli dei raggiungessero il Partenone, sembrava che si stessero
spostando da un posto all’altro, come se stessero turbinando nell’iperspazio.
I carri scomparvero. Improvvisamente Jason e i suoi amici si ritrovarono circondati dagli
Olimpici, ora a misura umana, molto più piccoli confrontarti ai giganti, ma irradianti di
potere.
Jason gridò e caricò su Porphyrion. I suoi amici si unirono alla carneficina.
Il combattimento dilagò per tutto il Partenone e si riversò nell’Acropoli. Con la coda
dell’occhio, Jason vide Annabeth lottare contro Encelado. Al suo fianco c’era una donna dai
lunghi capelli scuri e un’armatura dorata su delle vesti bianche. La dea trafisse il gigante
con la sua lancia, poi brandì il suo scudo con il temibile bronzo del volto di Medusa.
Insieme, Atena e Annabeth guidarono Encelado contro il muro più vicino con dei ponteggi,
i quali gli crollarono addosso.
Sul lato opposto del tempio, Frank Zhang e il dio Ares fracassarono un’intera folla di
giganti – Ares con la sua lancia e il suo scudo, Frank (come elefante africano) con le zampe.
Il dio della guerra si mise a ridere mentre accoltellava e sventrava come fosse un bambino
che stava distruggendo una piñata.
Hazel corse attraverso i combattimenti sulla schiena di Ario, scomparendo nella foschia
ogni volta che un gigante le si avvicinava, poi appariva dietro di lui e lo pugnalava alla
schiena. La dea Ecate le vorticava attorno seguendola, dando fuoco ai nemici con le due
torce ardenti.
Jason non vide Ade, ma ogni volta che un gigante inciampava e cadeva a terra questa si
apriva e il gigante ne veniva inghiottito.
Percy combatté contro i giganti gemelli, Otis e Efialte, mentre al suo fianco lottava un
uomo barbuto con un tridente e una larga camicia hawaiana. I giganti gemelli
inciamparono. Il tridente di Poseidone si trasformò in una manichetta antincendio, e il do
spruzzò i giganti via dal Partenone con un getto ad alta potenza a forma di cavalli selvaggi.
Piper fu forse la più impressionante. Si scontrò con la gigantessa Periboia, spada contro
spada. Nonostante il fatto che la sua avversaria fosse cinque volte più grande di lei, Piper
sembrava cavarsela. La dea Afrodite fluttuava intorno a loro su una piccola nuvola bianca,
spargendo dei petali sugli occhi della gigantessa e incoraggiando Piper. “Delizioso, mia
cara. Si, brava. Colpiscila ancora!”
Ogni volta che Periboia tentava di colpirla, delle colombe si innalzavano dal nulla e
svolazzavano nella faccia della gigantessa.
Quanto a Leo, correva per il ponte dell’Argo II, sparò con le baliste, lasciando cadere dei
martelli sulle teste dei giganti e incendiandogli i perizomi. Dietro di lui, al timone, un tizio
con una barba corpulenta in vesti di meccanico stava armeggiando con i comandi,
cercando furiosamente di mantenere in alto la nave.
La cosa più strana che vide fu il vecchio gigante Thoon, che stava venendo bastonato a
morte da tre vecchie signore – le Parche, armate per la guerra. Jason decise che non ci
fosse niente al mondo più terrificante di una banda di nonnine-pipistrello armate.
Notò tutte quelle cose, e una dozzina di altri dibattiti in corso, ma la sua attenzione venne
catturata dal nemico davanti a lui – Porphyrion, il re dei giganti – e il dio che combatteva
affianco a Jason – Zeus.
‘Mio padre’, pensò Jason incredulo.
Porphyrion non gli diede molte possibilità di assaporare il momento. Il gigante volteggiò la
sua lancia sferrando fendenti, colpendo e tagliuzzando. E tutto che Jason poté fare era
cercare di rimanere in vita. Inoltre… la presenza di Zeus era rassicurante e famigliare.
Anche se Jason non aveva mai incontrato suo padre, gli ricordò tutti i suoi momenti più
felici. – il picnic per il suo compleanno con Piper a Roma; il giorno in cui Lupa gli mostrò il
Campo Giove per la prima volta; i giochi a nascondino che faceva con Thalia nel loro
appartamento quando era piccolo; il pomeriggio sulla spiaggia, quando sua madre lo aveva
preso in braccio, baciato e gli aveva mostrato una tempesta in arrivo. ‘Non aver paura
di un temporale, Jason. Quello è tuo padre, ti fa sapere che ti ama.’
Zeus odorava di pioggia e brezza. Faceva bruciare l’aria di energia. Da vicino, la sua folgore
sembrava una lunga canna di bronzo lunga un metro, con in entrambe le estremità delle
lame di energia che si estendevano da entrambi i lati per formare un giavellotto di energia
elettrica bianca. Falciò tutte le via di fuga per il gigante e Porphyrion crollò sul suo trono
improvvisato, che crollò a sua volta sotto il peso del gigante.
“Non c’è trono per te,” ringhiò Zeus. “Né ora. Né mai.”
“Non potete fermarci!” gridò il gigante. “Ormai è fatta! La Madre Terra si è svegliata!”
In tutta risposta, Zeus fece saltare in aria le macerie del trono. Il re dei giganti volò fuori
dal tempio e Jason gli corse dietro, suo padre alle calcagna.
Sostennero Porphyrion sul bordo della scogliera, tutta la Atene moderna si estendeva al di
sotto. Il fulmine aveva sciolto tutte le armi impigliate nei capelli del gigante. Del liquido di
bronzo celeste colava lungo le sue trecce come caramello. La sua pelle emetteva vapore e gli
si erano formate delle vesciche.
Porphyrion ringhiò e sollevò la lancia. “La vostra è una causa persa, Zeus. Anche se tu mi
sconfiggessi, la Madre Terra potrà semplicemente farmi risorgere di nuovo!”
“Forse, allora,” disse Zeus, “Non dovresti morire tra le braccia di Gea. Jason, figlio mio…”
Jason non si era mai sentito così bene, così riconosciuto, come quando il padre aveva
detto il suo nome. Fu come l’inverno scorso al Campo Mezzosangue, quando i suoi ricordi
cancellati stavano finalmente tornando.
Jason improvvisamente capì un altro strato della sua esistenza – una parte della sua
identità che era sempre stata nuvolosa.
Ora non aveva dubbi: era figlio di Giove, il dio del cielo. Era figlio di suo padre.
Jason avanzò. Porphyrion si scagliò selvaggiamente con la sua lancia, ma Jason la tagliò a
metà con il suo gladius.
Caricò, trapassò la corazza del gigante, poi chiamò i venti per buttare Porphyrion giù dalla
scogliera.
Mentre il gigante cadeva, urlando, Zeus scagliò un fulmine. Un arco di puro calore bianco
vaporizzò Porphyrion a mezz’aria. Le sue ceneri andarono alla deriva verso il basso in una
piccola nube, spolverando le cime degli ulivi sulle pendici dell’Acropoli.
Zeus si rivolse a Jason. La sua folgore si spense, e Zeus tirò l’asta in bronzo celeste fuori
dalla sua cintura. Gli occhi del dio erano grigi tempesta. I suoi capelli del colore del sale e
del pepe, e la sua barba sembravano strati di nuvole. Jason trovò strano che il signore
dell’universo, il re dell’Olimpo, era di pochi centimetri più alto di lui.
“Figlio mio.” Zeus portò le mani sulle spalle di Jason. “Ci sono tante cose che vorrei dirti…”
Il dio fece un respiro pesante, facendo crepitare l’aria e appannando i nuovi occhiali di
Jason. “Ahimè, come re degli dei, non devo mostrare favoritismi verso i miei figli. Quando
torneremo dagli altri Olimpi, non sarò in grado di lodarti tanto quanto vorrei, o darti tanto
credito quanto meriti.”
“Non voglio lodi.” La voce di Jason tremò. “Anche solo un po’ di tempo assieme andrebbe
bene. Intendo, non ti conosco nemmeno.”
Lo sguardo di Zeus era più distante e lontano dello strato di ozono. “Io sono sempre con te,
Jason. Ho osservato i tuoi progressi con orgoglio, ma non sarà mai possibile per noi…”
Arricciò le dita, come se stesse cercando di cogliere le parole giusto nell’aria. Chiuso.
Normale. Davvero padre e figlio. “Fin dalla tua nascita, era destinato ad essere di Era –
per placare la sua ira. Anche il tuo nome, Jason, è stato scelto da lei. Non hai mai chiesto
questo. E io non volevo. Ma quando ti ho donato a lei… non avevo idea di quale bravo
ragazzo saresti diventato. Il tuo viaggio ti ha plasmato, ti ha reso sia gentile che grandioso.
Qualunque cosa accadrà quando torneremo al Partenone, so che questo non ti farà sentire
meglio. Ma ti sei dimostrato un vero eroe.”
Le emozioni di Jason erano un guazzabuglio nel petto. “Che cosa vuol dire con…
qualunque cosa accada?”
“Il peggio non è passato,” lo avvertì Zeus. “E qualcuno deve prendersi la colpa per quanto è
successo. Vieni.”
L
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NON ERA RIMASTO NULLA DEI GIGANTI tranne che i cumuli di cenere, alcune lance e qualche
treccia in fiamme.
L’Argo II era ancora alta, malamente ormeggiata alla cima del Partenone. Metà dei remi
della nave erano stati tagliati via o spezzati. Del fumo fuoriusciva da diverse enormi
spaccature sullo scafo. Le vele erano disseminate di buchi ardenti. Leo sembrava quasi
stare peggio. Era rimasto in mezzo al tempio con gli altri membri dell’equipaggio, il viso
coperto di fuliggine, i suoi vestiti fumavano.
Gli dei si disposero a semicerchio mentre Zeus si avvicinava. Nessuno di loro sembrava
particolarmente gioioso della loro vittoria.
Apollo e Artemide stavano assieme all’ombra di una colonna, come se cercassero di
nascondersi. Era e Poseidone stavano avendo una discussione accesa con un’altra dea in
vesti verdi e oro – forse Demetra. Nike stava cercando di mettere una corona d’alloro sul
capo di Ecate, ma la dea della magia la colpì scagliandola via. Ermes era nascosto vicino ad
Atena, cercando di metterle un braccio addosso. Atena girò la sua egida e Ermes sgattaiolò
via.
L’unico Olimpico che sembrava essere di buon umore era Ares. Rideva e pantomimava
l’eviscerazione di un nemico mentre Frank lo ascoltava, la sua espressione era gentile ma
nauseata.
“Fratelli,” disse Zeus, “siamo guariti, grazie al lavoro di questi semidei. L’Athena
Parthenos, che sorgeva in questo tempio, si trova ora al Campo Mezzosangue. Ha unito la
nostra prole, e quindi le nostre entità.”
“Signor Zeus,” Piper parlò, “Reyna sta bene? E Nico e Coach Hedge?”
Jason non riusciva a credere che Piper stesse chiedendo della salute di Reyna, ma lo rese
felice.
Zeus aggrottò le sopracciglia color nube.
“Hanno avuto successo nella loro missione. In questo momento sono vivi. Anche se non
stanno bene -”
“C’è ancora del lavoro da fare,” interruppe la Regina Era. Allargò le braccia come se volesse
abbracciare l’intero gruppo. “Ma, miei eroi… avete trionfato sui giganti come avevo
previsto. Il mio piano è riuscito impeccabilmente.”
Zeus si girò verso la moglie. Un tuono scosse l’Acropoli. “Era, non osare prenderti il
merito! Hai causato almeno parte dei problemi che hai aggiustato!”
La regina del cielo impallidì. “Marito, sicuramente lo capisci ora – questo era l’unico
modo.”
“Non c’è mai un unico modo!” tuonò Zeus. “Per questo ci sono tre Parche, non una. Non è
forse così?”
Vicino alle rovine del trono del Re dei giganti, le tre vecchie signore chinarono
silenziosamente il capo in segno di riconoscimento. Jason notò che gli altri dei rimasti se
ne stavano ben lontani dalla Parche e dai loro ferri di ottone lucente.
“Per favore, marito.” Era cercò di sorridere, ma era così chiaramente spaventata che Jason
fu quasi dispiaciuto per lei. “Ho fatto solo quello che -”
“Silenzio!” scattò Zeus. “Hai disobbedito ai miei ordini. Tuttavia… riconosco che hai agito
con intenzioni oneste. Il valore di questi sette eroi ha dimostrato che non eri del tutto priva
di saggezza.” Sembrò che Era volesse discutere, ma tenne la bocca chiusa.
“Apollo, però…” Zeus lo fulminò nell’ombra, dove stavano i gemelli. “Figlio mio, vieni qui.”
Apollo si spostò lentamente in avanti come se fosse impalato. Assomigliare così tanto ad
un semidio adolescente doveva essere snervante – non più di diciassette anni, indossava
dei jeans e una maglietta del Campo Mezzosangue, con una faretra sulla spalla e una spada
alla cintura. Con i suoi arruffati capelli biondi e gli occhi azzurri, sarebbe potuto essere il
fratello Jason più da lato mortale che da quello divino.
Jason si chiese se Apollo non avesse assunto quella forma per essere più appariscente, o
per sembrare ancora più pietoso a suo padre. La paura sul volto di Apollo sembrava
certamente reale, e anche molto umana.
Le tre Parche si riunirono intorno al dio, gli girarono attorno, con le mani appassite alzate.
“Mi hai sfidato ben due volte,” disse Zeus.
Apollo si inumidì le labbra. “Mio – mio signore -”
“Hai trascurato i tuoi doveri. Hai ceduto alle lusinghe e alla vanità. Hai incoraggiato il tuo
discendente Ottaviano a seguire il suo pericolosissimo piano, e hai rivelato la profezia che
potrebbe ancora distruggerci.”
“Ma-”
“Basta!” tuonò Zeus. “Parleremo della tua punizione più tardi. Per ora, attenderai
sull’Olimpo.”
Zeus agitò la mano, e Apollo si tramutò in una nuvola di brillantini. Le Parche turbinarono
intorno a lui, si dissolsero in aria, e il turbina di scintille si scagliò verso il cielo.
“Che ne sarà di lui?” Chiese Jason. Gli dei lo fissarono, ma a Jason non importava. Dopo
aver effettivamente incontrato Zeus, aveva trovato nuova simpatia verso Apollo.
“Non devi preoccupartene,” disse Zeus. “Abbiamo altri problemi da affrontare.”
Un imbarazzante silenzio calò sul Partenone. Non sembrava giusto lasciare stare la
questione. Jason non vedeva Apollo meritasse di essere punito.
‘Qualcuno deve prendersi la colpa’, aveva detto Zeus. Ma perché?
“Padre,” disse Jason, “Ho fatto voto di onorare tutti gli dei. Ho promesso a Kymopoleia che
una volta che questa guerra sarà terminata nessuno degli dei sarebbe rimasto senza
santuario in uno dei due campi.”
Zeus fece una smorfia. “Va bene. Ma… Kym chi?”
Poseidone tossicchiò nel pugno. “È una dei miei.”
“Il punto è che,” disse Jason “dare la colpa a qualcuno non serve a niente. È così che
Romani e Greci si divisero.”
L’aria divenne pericolosamente ionizzata. Lo scalpo di Jason fremette. Si rese conto di
rischiare l’ira di suo padre. Avrebbe potuto trasformarlo in brillantini o spedirlo fuori
dall’Acropoli. Aveva conosciuto suo padre per cinque minuti e gli aveva fatto buona
impressione. Adesso stava per mandare tutto a rotoli. Un bravo romano non avrebbe
continuato a parlare. Ma Jason lo fece comunque. “Il problema non è Apollo. Punirlo per il
risveglio di Gea è -”
Voleva dire ‘stupido’, ma optò per - “Poco saggio.”
“Poco saggio?” La voce di Zeus fu quasi un sussurro. “Dinanzi agli dei riuniti, mi
chiameresti poco saggio?”
Gli amici di Jason guardarono la scena pieni di allerta. Percy sembrava come pronto a
saltare a combattere al suo fianco. Poi Artemide fuoriuscì dall’ombra. “Padre, questo eroe
ha combattuto a lungo e duramente per la nostra causa. I suoi nervi saranno un po’ tesi.
Dobbiamo tenerne conto.”
Jason cominciò a protestare, ma Artemide lo placò con lo sguardo. La sua espressione
inviava un messaggio cosi chiaro che era come se gli avesse parlato nella mente: ‘Grazie,
semidio. Ma non forzare. Cercherò di far ragionare Zeus quando si sarà
calmato.’
“Di certo, Padre,” continuò la dea, “dovremmo affrontare i nostri problemi più urgenti,
come tu stesso hai sottolineato.”
“Gea,” intervenne Annabeth, chiaramente ansiosa di cambiare argomento. “Si è risvegliata,
vero?”
Zeus si girò verso di lei. Intorno a Jason, le molecole d’aria smisero di ronzare. Sentiva la
testa come se fosse appena uscita da un forno a microonde.
“È così,” disse Zeus. “Il sangue dell’Olimpo è stato versato. Lei ne è pienamente
consapevole.”
“Oh, andiamo!” si lamentò Percy. “Perdo un po’ di sangue dal naso e risveglio la Terra
intera? Non è giusto!”
Atena si sistemò l’egida sulle spalle. “Lamentarsi dell’ingiustizia è come biasimarsi, Percy
Jackson. Non porta a qualcosa di buono.” Diede a Jason uno sguardo di approvazione.
“Ora è meglio sbrigarci. Gea sorgerà per distruggere il vostro campo.”
Poseidone si appoggiò al suo tridente. “Per una volta, Atena ha ragione.”
“Per una volta?” protestò Atena.
“Perché Gea si sarebbe diretta al campo?” chiese Leo. “Il sangue dal naso di Percy è
avvenuto qui.”
“Amico,” disse Percy, “Per prima cosa, hai sentito Atena – non incolpare il mio naso.
Secondo: Gea è la Terra. Può apparire ovunque lei voglia. Inoltre, ce lo ha anche detto che
lo avrebbe fatto. Ci ha detto che la prima cosa da fare nella sua lista è distruggere il nostro
campo. La domanda è: cosa facciamo noi per fermarla?”
Frank guardò Zeus. “Uhm, signore, sua Maestà, non potreste voi dei venire laggiù con noi?
Avete dei carri, dei poteri magici e quant’altro.”
“Già!” disse Hazel. “Abbiamo sconfitto i giganti assieme in un attimo. Andiamoci tutti - ”
“No,” disse Zeus seccato.
“No?” chiese Jason. “Ma, Padre -”
Gli occhi di Zeus luccicarono di potere, e Jason realizzò di aver spinto abbastanza suo
padre, per quanto potesse fare oggi… e forse anche nei secoli a venire.
“È questo il problema delle profezie,” brontolò Zeus. “Quando Apollo ha permesso che si
divulgasse la Profezia dei Sette, e quando Era si è presa la libertà di interpretarne le parole,
le Parche hanno tessuto il futuro in modo che potesse evolversi in diverse maniere
possibili, con tante soluzioni. Voi sette, i semidei, siete destinati a sconfiggere Gea. Noi, gli
dei, non possiamo.”
“Non capisco,” disse Piper. “Qual è il vantaggio di essere dei se dovete fare affidamento su
dei gracili mortali per adempiere ai vostri interessi?”
Tutti gli dei si scambiarono sguardi scuri. Afrodite, tuttavia, rise delicatamente e baciò la
figlia. “Mia cara Piper, non pensi che noi stessi ci siamo posti questa domanda per
migliaia di anni? Ma è quello che ci tiene assieme, che ci rende eterni. Abbiamo bisogno dei
mortali tanto quanto voi avete bisogno di noi. Per quanto sia fastidiosa, è la verità.”
Frank si mosse a disagio, come se gli mancasse essere un elefante. “Quindi come facciamo
ad arrivare al Campo Mezzosangue in tempo per salvarlo? Ci sono voluti mesi per
raggiungere la Grecia.”
“I venti,” disse Jason. “Padre, potresti scatenare i venti e spedire indietro la nostra nave?”
Zeus lo guardò adirato. “Potrei schiaffeggiarvi indietro fino a Long Island.”
“Uhm, era uno scherzo, o una minaccia, o -”
“No,” disse Zeus. “Intendo dire, letteralmente. Potrei schiaffeggiare la vostra nave fino al
Campo Mezzosangue, ma la forza necessaria…”
Sopra le rovine del trono gigante, il dio nella tuta da meccanico scosse la testa. “Leo, il mio
ragazzo, ha costruito una buona nave, ma non sosterrà questo tipo di stress. Finirebbe a
pezzi all’arrivo, forse anche prima.”
Leo strinse la sua cintura degli attrezzi. “L’Argo II può farcela. Può resistere abbastanza da
farci arrivare a casa. Una volta lì, potremmo abbandonare la nave.”
“È pericoloso,” lo avvertì Efesto. “Forse fatale.”
La dea Nike fece roteare la corona di alloro su un dito. “La vittoria è sempre pericolosa. E
spesso richiede un sacrificio. Leo Valdez ed io ne abbiamo parlato.” Fissò acutamente Leo.
A Jason non piacque affatto. Ricordo l’espressione truce di Asclepio, quando il medico
aveva esaminato Leo. ‘Oh, cielo. Oh, capisco…’ Jason sapeva quello che dovevano fare
per sconfiggere Gea. Ne conosceva i rischi. Ma voleva essere lui ad assumersi tali rischi,
non lasciarli a Leo.
‘Piper avrà la physician’s cure’, si disse. ‘Terrà entrambi al sicuro.’
“Leo,” disse Annabeth, “Di cosa sta parlando Nike?”
Leo evitò la questione. “Il solito. Vittoria. Sacrificio. Blah, blah, blah. Non ha importanza.
Possiamo farcela, ragazzi. Dobbiamo farcela.”
Una sensazione di terrore piombò su Jason. Zeus aveva ragione su una cosa: il peggio
doveva ancora avvenire.
‘Quando giungerà il tempo di scegliere,’ gli aveva detto Notus, il vento del sud,
‘Fuoco o Tempesta, non disperare.’
Jason aveva fatto la sua scelta. “Leo ha ragione. Saliamo tutti a bordo per un ultimo
viaggio.”
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COSì TANTO PER UN ADDIO STENTATO.
L’ultima volta che Jason vide suo padre, Zeus era alto una trentina di metri, e teneva la
prua dell’Argo II. Tuonò, “TENETEVI FORTE!”
Poi sollevò la nave e la colpì con la mano come se stesse giocando a pallavolo.
Se Jason non si fosse tenuto stretto all’albero maestro con una delle cinture di sicurezza di
Leo, si sarebbe sfracellato. Mentre avveniva, il suo stomaco cercò di rimanere in Grecia e
tutta l’aria gli uscì dai polmoni.
Il cielo diventò nero. La nave scosse e cigolò. Il ponte si ruppe come del ghiaccio sottile
sotto I piedi di Jason e, con un sonoro ‘boom’, l’Argo II precipitò dalle nuvole.
“Jason!” urlò Leo. “Presto!”
Sentì le dita come plastica fusa, ma Jason riuscì a slacciare le cinghie. Leo era aggrappato
alla console di controllo, cercando disperatamente di raddrizzare la nave mentre questa
spiraleggiava verso il baso in caduta libera. Le vele erano in fiamme. Festus cigolava
allarmato. Una catapulta si era staccata e si era librata in aria. La forza centrifuga aveva
fatto volare via gli scudi come fossero dei Frisbees di metallo. Le crepe si allargarono
mentre Jason barcollava verso la presa, con i venti per mantenersi ancorato. Se non fosse
riuscito a farlo…
Poi il portello si aprì. Frank e Hazel incespicarono attraversandola, si tirarono lungo la
corda che avevano attaccato all’albero. Ne seguirono Piper, Annabeth e Percy, sembravano
tutti disorientati.
“Via!” gridò Leo. “Via, via, via!”
Per una volta, il tono di Leo era estremamente serio.
Aveva parlato del loro piano di evacuazione, ma quello ‘schiaffo’ per attraversare tutto il
mondo aveva rallentato la mente di Jason. A giudicare dalle espressioni degli altri, non
stavano molto meglio.
Buford il tavolino li salvò. Cadde sul ponte che il suo ologramma di Hedge a tutto volume,
“AVANTI! MUOVETEVI! FATELA FINITA!”
Poi la sua superficie si suddivise in delle pale da elicottero e Buford ronzò via.
Frank cambiò forma. Invece di un semidio stordito, ora era un drago grigio e stordito.
Hazel salì sul suo collo. Frank afferrò Percy e Annabeth con le zampe anteriori, poi allargò
le ali e si librò via.
Jason tenne Piper per la vita, pronto a volare, ma fece l’errore di guardare verso il basso.
La vista era come un caleidoscopio del cielo, la terra, poi di nuovo il cielo, e la terra. Il
terreno era terribilmente vicino.
“Leo, non ce la farai!” gridò Jason. “Vieni con noi!”
“No! Via di qui!”
“Leo!” Provò Piper “Per favore-”
“Salva la tua lingua ammaliatrice, Pipes! Te l’ho detto, ho un piano. Ora, via!”
Jason diede un ultimo sguardo alla nave in distruzione. L’Argo II era stata la loro casa per
così tanto tempo. Ora la stavano abbandonando – e lasciando indietro Leo.
Jason odiava farlo, ma vide la determinazione negli occhi di Leo. Proprio come il suo
incontro con il padre, Zeus, non c’era tempo per dirsi ‘addio’ per bene. Jason sfruttò i venti,
e lui e Piper si scagliarono verso il cielo.
Il terreno era molto meno caotico.
Mentre precipitavano, Jason vide un vasto esercito di mostri sparsi sulle colline –
cinocefali, uomini a due teste, centauri selvaggi, orchi e altri di cui non conosceva neppure
il nome – che circondavano due piccole isole di semidei. Sulla cresta della Collina
Mezzosangue, riuniti ai piedi dell’Athena Parthenos, c’era la cavalleria del Campo
Mezzosangue con la prima e la quinta coorte, radunate attorno all’aquila d’oro della
legione.
Le altre tre coorti romane erano disposte in una formazione difensiva a parecchie
centinaia di metri di distanza e sembravano accorgersi della gravità dell’attacco. Le Aquile
giganti svolazzarono attorno a Jason, stridendo con impellenza, come se stessero cercando
di ricevere degli ordini.
Frank il drago grigio gli volò affianco con i suoi passeggeri.
“Hazel!” gridò Jason. “Quelle tre coorti sono nei guai! Se non si riuniscono con il resto dei
semidei -”
“Capito!” disse Hazel. “Andiamo, Frank!”
Il Dragone Frank virò sulla sinistra mentre Annabeth esclamava “Andiamoci!” e Percy
nell’altro artiglio che gridava. “Odio volare!”
Piper e Jason virarono a destra verso la sommità della Collina Mezzosangue.
Il cuore di Jason si risollevò quando vide Nico di Angelo in prima linea con i greci,
facendosi strada attraverso una folla di uomini a due teste. A pochi passi di distanza, Reyna
era a cavalcioni di un nuovo pegaso, la spada sguainata. Urlava ordini alla legione, e i
romani obbedivano senza fare domande, come se non se ne fosse mai andata.
Jason non vide Ottaviano da nessuna parte. Bene. Non vide neanche la colossale dea della
terra devastare il mondo. Molto bene. Forse Gea si era alzata, aveva dato uno sguardo al
mondo moderno e deciso di tornare a dormire. Jason avrebbe voluto che fossero così
fortunati, ma ne dubitava.
Lui e Piper atterrarono sulla collina, le spade sguainate, un applauso salì dai greci e dai
romani.
“Era ora!” esclamò Reyna. “Sono contenta che vi uniate a noi!”
Con un sussulto, Jason si rese conto che si stava rivolgendo a Piper, non a lui.
Piper sorrise. “Abbiamo avuto alcuni giganti da uccidere!”
“Eccellente!” Reyna restituì il sorriso. “Vi aiuto con qualche barbaro.”
“Con piacere!”
Le due ragazze si lanciarono in battaglia una affianco all’altra.
Nico fece un cenno a Jason come se si fossero appena visti cinque minuti prima, poi tornò
a schivare uomini a due teste e cadaveri che invece non ne avevano. “Tempismo perfetto.
Dov’è la nave?”
Jason si impuntò. L’Argo II che schizzava nel cielo in una palla di fuoco, spargendo pezzi
dell’albero maestro, dello scafo e dell’armamento. Jason non vedeva come, anche con la
resistenza al fuoco, Leo sarebbe potuto sopravvivere a quell’inferno, ma doveva continuare
a sperarci.
“Dei,” disse Nico. “Stanno tutti bene?”
“Leo…” la voce di Jason si ruppe. “Ha detto di avere un piano.”
La cometa scomparve dietro le colline occidentali. Jason aspettava con timore il rumore di
un’esplosione, ma non sentì nulla sopra il fragore della battaglia.
Nico incrociò il suo sguardo. “Starà bene.”
“Certo.”
“Ma solo in caso… Per Leo.”
“Per Leo,” concordò Jason. E insieme si lanciarono in battaglia.
La rabbia di Jason gli diede nuova forza.
I greci e i Romani spinsero lentamente indietro i nemici. I centauri selvaggi si
rovesciarono. Gli uomini con le teste di lupo ulularono mentre venivano ridotti in cenere.
Apparvero altri mostri – gli spiriti karpoi del frumento vorticarono fuori dall’erba, i grifoni
emersero dal cielo, umanoidi di argilla grumosa fecero pensare a Jason a dei malvagi
uomini Play-Doh.
“Sono fantasmi con dei gusci di terra!” lo avvertì Nico. “Non lasciare che ti colpiscano!”
Ovviamente Gea aveva preparato alcune sorprese di riserva.
Ad un certo punto, Will Solace, il capogruppo della casa di Apollo, corse verso Nico e gli
sussurrò qualcosa all’orecchio. Sopra le urla e i tintinni delle lame, Jason non riuscì a
sentire una sola parola.
“Jason, devo andare!”disse Nico.
Jason non capì bene, ma annuì, e Will e Nico si lanciarono nella mischia.
Un attimo dopo, una squadra di campeggiatori figli di Ermes si riunirono intorno a Jason
per nessun motivo apparente.
Connor Stoll sorrise. “Che succede, Grace?”
“Tutto bene,” rispose Jason. “Tu?”
Connor schivò la clava di un orco e accoltellò uno spirito del grano, il quale esplose in una
nube di cereali. “Si, non mi lamento. Bella giornata.”
Reyna gridò, “Eiaculare flammas!” e un’ondata di frecce infuocate sovrastò il muro di scudi
della legione, distruggendo un plotone di orchi. I ranghi romani si spostarono in avanti,
impalando centauri e calpestando orchi feriti sotto i loro stivali con punte di bronzo.
Da qualche parte su un lato della collina, Jason sentì Frank urlare in latino: “Repellere
equites!”
Un massiccio branco di centauri si mischiò in preda al panico, mentre altre tre coorti della
legione li trafissero in perfetta formazione, le loro lance luccicarono di sangue di mostro.
Frank marciò davanti a loro. Alla sua sinistra, in groppa ad Arion, Hazel brillava di
orgoglio,
“Ave, Pretore Zhang!” esclamò Reyna.
“Ave, Pretore Ramírez-Arellano!” disse Frank. “Facciamolo. Legione, CHIUDETE I
RANGHI!”
Un boato salì tra i romani mentre le cinque coorti si fondevano assieme in un’unica
macchina per uccidere. Frank puntò la spada in avanti e, dallo stendardi dell’aquila reale,
dei viticci di fulmini scorazzarono tra i nemici, trasformando diverse centinaia di mostri in
toast.
“Legione, cuneum formate!” urlò Reyna. “Avanzare!”
Un altro esulto provenne dalla destra di Jason mentre Percy e Annabeth unirono le loro
forze con il Campo Mezzosangue.
“Greci!” gridò Percy. “Andiamo, um, ad affrontare questa roba!”
Loro urlarono come delle banche e dei pagani.
Jason sorrise. Amava i greci. Non avevano alcun tipo di organizzazione, ma compensavano
con il loro entusiasmo. Jason si sentiva bene in mezzo alla battaglia, ad eccezione per due
grandi dilemmi: Dov’era Leo? E Gea?
Purtroppo, ebbe per prima la seconda risposta.
Sotto i suoi piedi, la terra increspò mentre la Collina Mezzosangue diventava un materasso
ad acqua gigante. I semidei caddero. Gli Orchi scivolarono. I centauri finirono con la faccia
nell’erba.
“IL RISVEGLIO,” tuonò una voce attorno a loro.
Ad un centinaio di metri di distanza, sulla cima della collina successiva, l’erva e il terreno
rotearono verso l’altro, mentre la punta si ingrossava. La colonna di terra si addensò nella
figura femminile di una sedicina di metri – il suo vestito era tessuto da fili d’erba, la sua
pelle era diafana come il quarzo, i capelli castani erano aggrovigliati come le radici degli
alberi.
“Piccoli folli.” La Madre Terra Gea spalancò i suoi puri occhi verdi. “La misera magia
della vostra statua non può trattenermi.”
Proprio mentre lo diceva, Jason capì perché Gea non fosse apparsa fino a quel momento.
L’Athena Parthneos stava proteggendo i semidei, trattenendo l’ira della terra, ma
addirittura Athena non poteva competere così a lungo contro una dea primordiale.
La paura era palpabile mentre il freddo si abbatté sull’esercito di semidei.
“Presto!” gridò Piper, la lingua ammaliatrice chiara e forte. “Greci e Romani, possiamo
combatterla assieme!”
Gea rise. Allargò le braccia e la terra si piegò verso di lei – gli alberi si piegarono, le rocce
gemettero, il suolo si increspava in delle onde.
Jason salì sul vento, ma tutto intorno a lui sia i mostri che i semidei cominciarono ad
affondare nel terreno. Uno degli Onagri di Ottaviano si capovolse e scomparve dentro il
fianco della collina.
“La terra intera è il mio corpo,” tuonò Gea. “Come pensate di sconfiggere la
dea della-”
FOOOOMP!
In un lampo bronzeo, Gea venne spazzata via dalla collina, ringhiando nelle grinfie di un
drago di metallo di cinquanta tonnellate.
Festus, rinato, si innalzò verso il cielo con le sue ali scintillanti, eruttando fuoco dalle fauci
trionfante. Mentre saliva, il passeggero sulla sua schiena si fece piccolo e molto difficile da
distinguere, ma il sorriso di Leo era inconfondibile.
“Pipes! Jason!” Gridò verso il basso. “Venite? È qui che si terranno i combattimenti!”
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NON APPENA GEA PERSE IL CONTATTO, il terreno si solidificò.
I semidei smisero di affondare, anche se molti rimasero sepolti fino alla vita. Purtroppo, i
mostri sembrava che riuscissero a scavare più velocemente per uscirne. Caricarono verso le
file di greci e romani, approfittando della disorganizzazione dei semide.
Jason mise le braccia attorno alla vita di Piper.
Stava per decollare quando Percy urlò, “Aspetta! Frank può portarci tutti lassù! Possiamo
tutti -”
“No, amico,” disse Jason. “Hanno bisogno di voi qui. C’è ancora un esercito da sconfiggere.
Inoltre, la profezia -”
“Ha ragione.” Frank afferrò il braccio di Percy “Devi lasciarlo fare a loro, Percy. È come la
missione di Annabeth a Roma. O Hazel alle porte della morte. Questa deve essere solo per
loro.”
A Percy chiaramente la cosa non piaceva, ma in quel momento una marea di mostri
travolse le forze greche. Annabeth lo chiamò, “Ehy! Abbiamo problemi qui!”
Percy corse da lei.
Frank e Hazel si girarono verso di Jason. Alzarono le braccia in segno del saluto romano,
poi corsero via per riorganizzare la legione. Jason e Piper salirono in alto nel vento.
“Ho la cura,” mormorò Piper come una cantilena. “Andrà tutto bene. Ho la cura.”
Jason si rese conto che la ragazza aveva perso la sua spada durante la battaglia, ma
dubitava che avrebbe avuto importanza. Contro Gea, una spada non sarebbe servita a
nulla. Quella era una guerra di fuoco e tempesta… e un terzo potere, la lingua ammaliatrice
di Piper, che li avrebbe uniti. L’inverno precedente, Piper aveva rallentato le forze di Gea
alla Casa del Lupo, contribuendo a liberare Era da una gabbia di terra. Ora avrebbe avuto
un compito ancora più grande.
Mentre salivano, Jason raccolse vento e nuvole attorno a loro. Il cielo gli rispose con una
velocità spaventosa. Presto furono nell’occhio di un ciclone. I fulmini gli bruciarono gli
occhi. I lampi gli fecero vibrare i denti.
Direttamente sopra di loro, Festus brandiva la dea della terra. Gea continuava a perdere
pezzi, cercando di gocciolare di nuovo fino a terra, ma i venti la tenevano in alto. Festus le
scatenava addosso delle fiamme, che sembravano riuscire a costringerla a ristare in una
forma solida. Nel frattempo, dalla schiena di Festus, Leo continuava a lanciare delle
fiamme contro la dea assieme a degli insulti “Fanghi di cacca! Faccia sporca! QUESTO E’
PER MIA MADRE, ESPERANZA VALDEZ!”
Tutto il suo corpo si avvolse nel fuoco. La pioggia iniziò a riempire l’aria di tempesta, ma si
trasformava in vapore nell’accostarsi a lui.
Jason si fece più vicino.
Gea si trasformò in sabbia bianca, ma Jason convocò una squadriglia di venti che si
agitarono tutt’intorno a lei, in un vincolante bozzolo di vento.
Gaia combatté. Quando non si stava spezzando, scagliava raffiche di schegge di pietra e
terra contro di loro che Jason schivò appena.
Alimentò la tempesta, contenente Gea, mantenendo lui e Piper in alto… Jason non aveva
mai fatto nulla di tanto difficile. Si sentiva come se fosse ricoperto di pesi di piombo, e che
stesse cercando di nuotare solo con le gambe e tenendo un’automobile sopra la testa. Ma
doveva mantenere Gea lontana dalla terra.
Quello era il segreto a cui Kym aveva accennato quando avevano parlato sul fondo del
mare. Molto tempo prima, Urano, il dio del cielo, era stato ingannato da Gea e i Titani. Lo
avevano costretto a terra in modo che non potesse scappare e, con i suoi poteri indeboliti,
essendo talmente lontano dal suo territorio, erano stati in gradi di farlo a pezzi.
Ora Jason, Leo e Piper avrebbero dovuto invertire quello scenario. Dovevano tenere Gea
lontana dalla sua fonte di energia – la terra e indebolirla fino a che non l’avessero
sconfitta.
Insieme si innalzarono. Festus scricchiolò e gemette per lo sforzo, ma continuò a prendere
quota. Jason ancora non riusciva a capire come avesse fatto Leo a ricostruire il drago.
Poi si ricordò di tutte le ore che Leo aveva trascorso a lavorare all’interno dello scafo nelle
ultime settimane. Leo doveva aver pianificato tutto quello costruendo un nuovo corpo per
Festus con i frammenti della nave.
Doveva averlo intuito che l’Argo II sarebbe potuta cadere a pezzi. Una nave che si
trasforma in un drago… Jason suppose che non potesse essere più incredibile di quando il
drago si era trasformato in una valigia a Quebec.
Tutta via, successe, Jason fu euforico nel vedere il vecchio amico in azione ancora una
volta.
“NON POTETE SCONFIGGERMI!” Gea si sbriciolò in sabbia, solo per ricevere un’altra
ondata di fiamme. Il suo corpo si sciolse in un pezzo di vetro, si frantumò, e poi si riformò
di nuovo in una parte umana.
“IO SONO ETERNA!”
“Eternamente fastidiosa!” esclamò Leo, esortando Festus a salire. Jason e Piper lo fecero a
loro volta.
“Portami più vicino,” suggerì Piper. “Ho bisogno di starle accanto.”
“Piper, le fiamme e i colpi -”
“Lo so.”
Jason si mosse fino a quando non furono proprio accanto a Gea. I venti racchiudevano la
dea, mantenendola solida, ma tutto quello che Jason potesse fare era contenere le sue
raffiche di sabbia e terra. I suoi occhi erano di verde deciso, come se tutta la natura fosse
stata condensata in un contenitore di materiale organico.
“SCIOCCHI RAGAZZINI!” Il suo viso si contorse in dei terremoti in miniatura.
“Sei talmente stanca,” disse Piper alla dea, la sua voce irradiava gentilezza e affetto. “Secoli
di dolore e delusioni pesano su di te.”
“SILENZIO!”
La forza della rabbia di Gea era così grande che Jason momentaneamente perse il controllo
sul vento. Sarebbe finito in caduta libera, ma Festus afferrò lui e Piper con l’altro enorme
artiglio libero.
Incredibilmente, Piper riuscì a mantenere l’attenzione. “Millenni di sofferenza,” disse a
Gea. “Tuo marito Urano era possessivo. I vostri nipoti, gli dei, hanno rovesciato i tuoi
amati figli Titani. Gli altri tuoi figli, i Ciclopi e i Centemani, sono stati gettati nel Tartaro. Si
così stanca di avere il cuore spezzato.”
“MENZOGNE!” Gea si sbriciolò in un insieme di terriccio ed erba, ma la sua essenza
sembrava mutare più lentamente.
Se avessero guadagnato altra quota, l’aria sarebbe diventata troppo rarefatta per respirare.
Jason sarebbe diventato troppo stanco per controllarla. Il discorso di Piper aveva colpito
anche lui, minando la sua forza, facendo diventare il suo corpo pesante.
“Cosa altro vuoi,” continuò Piper, “oltre la vittoria, oltre che la vendetta… tu vuoi
riposare. Sei davvero molto stanca, così incomprensibilmente stanca di quegli ingrati di
mortali ed immortali.”
“IO- TU NON PARLI PER ME – NON PUOI -”
“Tu vuoi una cosa sola,” disse Piper con tono rassicurante, la sua voce risuonò attraverso le
osa di Jason. “Una parola. Vuoi il permesso di chiudere gli occhi e dimenticare i tuoi
problemi. Tu – vuoi – DORMIRE.”
Gea si solidificò in forma umana. La sua testa penzolò, gli occhi si chiusero, e lei si afflosciò
nell’artiglio di Festus.
Purtroppo Jason iniziò ad intorpidirsi, anche lui. Il vento si fermò. La tempesta si dissipò.
Delle macchie scure iniziarono a danzargli davanti agli occhi.
“Leo!” Piper ostentò dei respiri. “Abbiamo solo pochi secondi. La mia lingua ammaliatrice
non sarà -”
“Lo so!” Leo sembrava essere fatto di fuoco. Le fiamme gli increspavano sotto la pelle,
illuminandogli il cranio. Festus emetteva vapore e sbrilluccicava, i suoi artigli bruciarono la
camicia di Jason. “Non riuscirò a tenere il fuoco molto più a lungo. La vaporizzerò. Non
preoccupatevi. Ma voi ragazzi dovete andare.”
“No!” disse Jason. “Dobbiamo stare con te. Piper ha la cura. Leo, non puoi -”
“Ehy.” Leo sorrise, il che rese il tutto più snervante tra le fiamme, i denti erano come
lingotti di argento fuso.
“Vi ho detto che avevo un piano. Quando avrete intenzione di fidarvi di me? E ad ogni
modo – vi voglio bene ragazzi.”
L’artiglio di Festus si aprì, e Jason e Piper caddero.
Jason non ebbe la forza di fermarlo. Strinse Piper mentre piangeva il nome di Leo, e
crollarono verso la terra.
Festus diventò un punto di fuoco indistinto nel cielo – un secondo sole – che crebbe
diventando più caldo. Poi, nell’angolo dell’occhio di Jason, una cometa fiammeggiante
striò verso l’alto da terra con un acuto urlo, quasi umano.
Poco prima che Jason perdesse i sensi, la cometa entrò in collisione con la palla di fuoco
sopra di loro.
L’esplosione fece diventare dorato l’intero cielo.
LIII
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NICO AVEVA ASSISTITO A DIVERSE FORME DI MORTE. Non pensava che nulla potesse più
sorprenderlo. Si sbagliava.
A metà della battaglia, Will Solace era corso da lui e gli aveva sussurrato all’orecchio una
sola parola: “Ottaviano.” Il che ottenne la massima attenzione di Nico.
Aveva esitato quando aveva avuto la possibilità di uccidere Ottaviano, ma non c’era
possibilità che Nico lasciasse quel brutto ceffo di augure scappare alla giustizia.
“Dove?”
“Andiamo,” disse Will. “Presto.”
Nico si rivolse verso Jason, che stava combattendo accanto a lui. “Jason, devo andare.”
Poi si immerse nella confusione, seguendo Will. Oltrepassarono Tyson e i suoi Ciclopi, che
stavano urlando: “Cani cattivi! Cani cattivi!” mentre colpivano le teste dei cinocefali.
Grover Underwood e un gruppo di satiri danzavano in cerchio con i loro flauti di Pan,
suonando armonie così dissonanti che i fantasmi nei gusci di terra si disfecero. Travis Stoll
corse di fianco al fratello. “Cosa intendi dire con: abbiamo disseminato di mine la collina
sbagliata?”
Nico e Will erano a metà strada sulla collina quando il terreno tremò sotto i loro piedi.
Così come tutti gli altri – sia mostri che semidei – si bloccarono guardando con orrore
come una colonna turbinante di terra compariva sulla cima della collina a fianco, e Gea
apparve in tutta la sua gloria.
Poi qualcosa di grosso e bronzeo piombò dal cielo. FOOOOMP! Festus, il drago di bronzo,
afferrò la Madre Terra e volò via con lei.
“Che – come - ?” balbettò Nico.
“Non saprei,” disse Will. “Ma dubito che ci sia molto che possiamo fare a riguardo.
Abbiamo altri problemi.”
Will scattò verso l’onagro più vicino.
Mentre si avvicinavano, Nico scorse Ottaviano che regolava furiosamente le leve di tiro del
marchingegno. Il braccio di lancio era già stato caricato con oro imperiale ed esplosivi.
L’augure ci si mise sopra, inciampando tra gli ingranaggi e le punte di ancoraggio,
armeggiando con le corde. Ogni tanto gettava uno sguardo verso Festus il drago.
“Ottaviano!” gridò Nico.
L’augure non si fermò, poi si pose contro l’enorme sfera di munizioni. Le sue fini vesti
porpora si impigliarono alla corda di lancio, ma Ottaviano non se ne accorse. Dei riccioli di
fumo salirono dai controlli, come se fossero attratti dall’oro imperiale che aveva intorno
alle braccia e al collo, e dalla corona d’oro nei capelli.
“Oh, capisco!” La risata di Ottaviano era sottile e un po’ folle. “Cercate di rubarmi la gloria,
eh? No, no, figlio di Plutone. Sono io il Salvatore di Roma. Mi è stato promesso!”
Will alzò le mani in un gesto conciliante. “Ottaviano, allontanati da quell’onagro. Non è
sicuro.”
“Certo che non lo è! Ci abbatterò Gaia con questo macchinario!”
Con la coda dell’occhio, Nico vide Jason Grace scagliarsi verso il cielo con Piper in braccio,
che volavano dritti verso Festus. Intorno al figlio di Giove, si riunirono delle nubi
temporalesche, vorticando in un uragano. Un tuono rombò.
“Avete visto?” domandò Ottaviano. L’oro sul suo corpo stava decisamente fumando adesso,
attirato dai controlli della catapulta come un ferro che viene attirato da un magnete
gigante. “Gli dei approvano le mie azioni!”
“È Jason che sta creando quella tempesta,” disse Nico. “Se fai fuoco con l’onagro, potresti
uccidere lui, Piper, e - ”
“Bene!” esclamò Ottaviano. “Sono dei traditori! Tutti traditori.”
“Ascoltami,” provò nuovamente Will. “Questo non è quello che vuole Apollo. Inoltre, I tuoi
vestiti stanno -”
“Tu non sai un bel niente, Graecus!” Ottaviano avvolse la leva di sblocco con la mano.
“Devo agire prima che arrivino più in alto. Solo un onagro come questo potrebbe riuscirci.
Lo farò da solo -”
“Centurione,” disse una voce alle sue spalle.
Da dietro il macchinario d’assedio apparve Michael Kahale. Aveva un grande e rosso
bernoccolo sulla fronte dove Tyson lo aveva colpito. Incespicò mentre camminava. Ma in
qualche modo aveva trovato la maniera di arrivare fino a lì dalla riva, e lungo la strada si
era riuscito a procurare una spada e uno scudo.
“Michael!” Ottaviano strillò di gioia. “Eccellente! Fammi la guardia mentre aziono questo
onagro. Poi uccideremo questi Graeci assieme!”
Michael Kahale osservò la scena – le vesti del suo capo si erano impigliate nella corda di
tiro, i gioielli di Ottaviano fumavano per la vicinanza con il carico di oro imperiale. Alzò lo
sguardo verso il drago, ora in aria, circondato da anelli di nubi temporalesche, come dei
cerchi di un bersaglio per l’arco. Poi fece una smorfia verso Nico.
Nico preparò la sua spada. Sicuramente Michael Kahale avrebbe avvertito il suo capo di
allontanarsi dal onagro. Sicuramente li avrebbe attaccati.
“Ne sei sicuro, Ottaviano?” chiese il figlio di Venere.
“Si!”
“Ne sei assolutamente certo?”
“Si, stupido! Sarò ricordato come il Salvatore di Roma. Ora, tienili lontani mentre io
distruggo Gaia!”
“Ottaviano, non farlo,” implorò Will. “Non possiamo permettere che tu -”
“Will,” disse Nico, “non possiamo fermarlo.”
Solace lo fissò incredulo, ma Nico ricordò le parole che suo padre gli disse nella Cappella
delle Ossa: ‘Alcune morti non possono essere evitate.’
Gli occhi di Ottaviano brillarono. “Giusto, figlio di Plutone. Non aiutereste fermandomi! È
il mio destino! Kahale, stai di guardia!”
“Come desideri.” Michael si spostò davanti alla macchina, interponendosi tra Ottaviano e i
due semidei greci. “Centurione, faccia ciò che è necessario.”
Ottaviano si voltò e azionò il dispositivo. “Un buon amico fino all’ultimo.”
Nico quasi non perse le staffe. Se l’onagro avesse davvero fatto fuoco – se avesse segnato
un colpo contro Festus il drago, e Nico permettesse che i suoi amici venissero feriti o
uccisi… Ma rimase dov’era. Per una volta, decise di fidarsi della saggezza di suo padre.
Alcune morti non dovrebbero essere impedite.
“Arrivederci, Gaia!” gridò Ottaviano. “Arrivederci, Jason Grace il traditore!”
Ottaviano tagliò la corda di rilascio con il suo pugnale da augure. Poi scomparve.
Il braccio della catapulta balzò verso l’alto più velocemente di quanto gli occhi di Nico
potessero seguire, lanciando Ottaviano assieme al carica. L’urlo dell’augure non scomparve
finché non fu diventato semplicemente parte di una cometa ardente che impennava verso il
cielo.
“Arrivederci, Ottaviano.” Disse Micheal Kahale. Lanciò un’occhiata a Will e Nico un’ultima
volta, come se non avesse il coraggio di parlare. Poi si voltò di spalle e si trascinò via.
Nico avrebbe potuto sopravvivere alla fine di Ottaviano. Avrebbe potuto anche augurargli
‘buon viaggio.’ Ma il suo cuore affondò mentre la cometa continuava a guadagnare
quota. Scomparve nelle nubi tempestose, e il cielo esplose in una cupola di fuoco.
LIV
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IL GIORNO SEGUENTE, NON CI FURONO MOLTE RISPOSTE.
Dopo l’esplosione, Piper e Jason – in caduta libera e incoscienti – erano stati salvati dalle
aquile giganti e portati in salvo, ma Leo non si trovò. L’intera cabina di Efesto aveva
perlustrato la valle, trovando tutti i pezzi dello scafo dell’Argo II, ma nessun segno di
Festus il drago o del suo padrone.
Tutti i mostri erano stati distrutti o dispersi. Le vittime greche e romane erano messe male,
ma non così tanto quanto avrebbero potuto essere.
Durante la notte, i satiri e le ninfe erano scomparsi nel bosco per una convocazione del
Consiglio degli Anziani. Al mattino, Grover Underwood era ricomparso per annunciare che
non riuscivano più a percepire la presenza della Madre Terra. La natura era più o meno
tornata alla normalità.
Apparentemente, il piano di Jason, Piper e Leo aveva funzionato. Gea era stata separata
dalla fonte del suo potere, convinta a dormire e poi polverizzata nell’esplosione combinata
dal fuoco di Leo e la cometa artificiale di Ottaviano.
Un immortale non sarebbe mai potuto morire, ma ora Gea era come suo marito, Urano. La
terra avrebbe continuato a funzionare come al solito, proprio come faceva il cielo, ma Gea
era ormai così dispersa e impotente che non avrebbe mai più potuto riformare la propria
coscienza. Almeno, questo era quello che si sperava…
Ottaviano sarebbe stato ricordato per aver salvato Roma lanciandosi nel cielo in una palla
di fuoco mortale. Ma era Leo Valdez ad aver fatto il vero sacrificio.
La celebrazione della vittoria era stata annullata, a causa del dolore – non solo per Leo, ma
anche per i tanti altri che erano morti in battaglia. I semidei assieme, greci e romani,
vennero bruciati nelle fiamme, e Chirone aveva chiesto a Nico di celebrare i riti funebri.
Nico accettò immediatamente. Era grato per l’opportunità di onorare i morti. Anche le
centinaia di spettatori non gli diedero fastidio.
La parte più difficile avvenne dopo, quando Nico e i semidei dell’Argo II si erano riuniti
sotto il portico della Casa Grande.
Jason chino il capo, anche i suoi occhiali scomparirono nell’ombra. “Avremmo dovuto
essere lì fino alla fine. Avremmo potuto aiutare Leo.”
“Non è giusto,” concordò Piper, asciugandosi le lacrime. “Tutto quel lavoro per procurarci
la physician’s cure, per niente.”
Hazel scoppiò in lacrime. “Piper, dov’è la cura? Tirala fuori.”
Disorientata, Piper raggiunse la sua borsa. Prese il pacchetto fatto con il panno di
camoscio, ma quando lo aprì il panno era vuoto.
Tutti si girarono verso di Hazel.
“Come?” domando Annabeth.
Frank circondò Hazel con un braccio. “A Delos, Leo ci ha presi da parte. Ci ha supplicato di
aiutarlo.”
Attraverso le lacrime, Hazel spiegò come avesse contribuito a rendere la physician’s cure
un illusione – un trucco della Foschia – in modo che Leo potesse tenere il vero flacone.
Frank spiegò loro del piano di Leo per distruggere Gea indebolendola con una massiccia
esplosione di fuoco. Dopo aver parlato con Nike e Apollo, Leo era certo che una tale
esplosione sarebbe dovuta avvenire lontano da tutti.
“Voleva farlo da solo,” disse Frank, “Aveva pensato che ci sarebbe potuta essere una piccola
possibilità che lui, in quanto figlio di Efesto, potesse sopravvivere al fuoco, ma se qualcuno
fosse stato con lui… ha detto che io ed Hazel, essendo romani, avremmo compreso il suo
sacrificio. Ma sapeva che il resto di voi non lo avrebbe mai permesso.”
In un primo momento gli altri sembravano essere arrabbiati, come se volessero urlare e
gettare le cose. Ma, mentre Frank e Hazel parlarono, la rabbia sembrò scomparire dal
gruppo. Era difficile essere arrabbiati con Frank e Hazel quando entrambi stavano
piangendo. Inoltre … il piano sembrava esattamente del genere subdolo, contorto,
ridicolmente fastidioso e nobile come qualcosa che Leo Valdez farebbe.
Infine Piper emise un suono a metà tra un singhiozzo e una risata. “Se fosse qui ora, lo
avrei ucciso io. Come progettava di prendere la cura? Era da solo!”
“Forse ha trovato un modo,” disse Percy. “È di Leo che stiamo parlando. Potrebbe tornare
qui da un momento all’altro. Poi potremmo fare a turno per strangolarlo.”
Nico e Hazel si scambiarono un’occhiata. Entrambi lo sapevano bene, ma non dissero
nulla.
Il giorno seguente, il secondo dopo la battaglia, i romani e i greci lavorarono fianco a fianco
per ripulire la zona di guerra e la tenda dei feriti. Il pegaso Blackjack si stava riprendendo
bene dalla sua ferita da freccia. Guido aveva deciso di adottare Reyna come suo umano. A
malincuore, Lou Ellen aveva accettato di far tornare i suoi nuovi maialini da compagnia in
romani.
Will Solace non aveva più parlato con Nico dall’avvenimento dell’onagro. Il figlio di Apollo
aveva trascorso la maggior parte del suo tempo in infermeria, ma ogni volta che Nico lo
aveva incrociato mentre attraversava il campo per procurarsi delle riforniture mediche, o
fare qualche visita a domicilio a qualche semidio ferito, provava una strana fitta di
malinconia. Non c’era dubbio che Will Solace pensasse che Nico fosse un mostro ora, per
aver lasciato che Ottaviano si uccidesse.
I Romani si accamparono accanto ai campi di fragole, dove avevano insistito nel costruire
uno dei loro accampamenti standard. I greci si unirono a loro per aiutarli a sollevare le
pareti di terra e scavare le trincee. Nico non aveva mai visto nulla di meno estraneo e
freddo. Dakota aveva condiviso della Kool-Aid con i ragazzi della cabina di Dioniso. I
ragazzini di quella di Ermes e Mercurio ridevano e si raccontavano storielle mentre
sfacciatamente si rubavano le cose a vicenda.
Reyna, Annabeth e Piper erano inseparabili, andavano in giro per il campo come trio per
verificare l’andamento delle riparazioni. Chirone, scortato da Frank e Hazel, ispezionò le
truppe romane e li lodò per il loro coraggio.
In serata, l’umore generale era leggermente migliorato. Il padiglione della sala da pranzo
non era mai stato tanto affollato. I romani erano stati accolti come vecchi amici. Coach
Hedge vagava tra i semidei, raggiante e tenendo in braccio il suo bambino dicendo: “Ehy,
volete conoscere Chuck? È il mio ragazzo, Chuck!”
Le ragazze di Afrodite e di Atena andarono felicemente ad attorniare al piccolo satiro tutto
grinzoso, che agitava i pugnetti grassocci, calciava con i suoi piccoli zoccoli e belava,
“Baaaa! Baaaa!”
Clarisse, che era stata nominata la madrina del bambino, si trascinava dietro l’allenatore
come una guardia del corpo e, occasionalmente, mormorava, “Va bene, va bene. Date un
po’ di spazio al bambino.”
Al momento dell’annuncio, Chirone si fece avanti e alzò il calice. “Dopo ogni tragedia,”
disse, “arriva nuova forza. Oggi, ringraziamo gli dei per questa vittoria. Agli dei!”
Tutti i semidei si unirono al brindisi, ma il loro entusiasmo sembrava muto. Nico capiva
quello che provavano: ‘Abbiamo salvato di nuovo gli dei, e ora dovremmo pure
ringraziarli?’
Poi Chirone disse, “E abbiamo dei nuovi amici!”
“AI NUOVI AMICI!” Centinaia di voci di semidei riecheggiarono per le colline.
Al fuoco, tutti continuarono a guardare le stelle, come se si aspettassero che Leo tornasse
in qualche drammatica sorpresa dell’ultimo secondo. Forse sarebbe piombato lì, saltando
fuori dalla schiena di Festus e lanciato in uno dei suoi scherzi. Non successe.
Dopo un paio di canzoni, Reyna e Frank vennero chiamati di fronte a tutti. Ottennero un
fragoroso giro di applausi sia dai greci che dai romani. Sopra la Collina Mezzosangue,
l’Athena Parthenos brillava più chiara e vivace della luna, come per segnalare: ‘Questi
ragazzi stanno bene.’
“Domani,” disse Reyna, “Noi romani torneremo a casa. Apprezziamo la vostra ospitalità,
soprattutto perché vi abbiamo quasi uccisi -”
“E siete quasi stati uccisi,” la corresse Annabeth.
“Comunque sia, Chase.”
Oooooohhhhh! fece la folla all’uni solo.
Poi tutti cominciarono a ridere e a pungolarsi. Anche Nico sorrise.
“In ogni caso,” continuò Frank, “Reyna ed io concordiamo sul fatto che questo segnerà una
nuova era di amicizia tra i campi.”
Reyna gli diede una pacca sulla schiena. “Giusto. Per centinaia di anni, gli dei hanno
cercato di separarci per impedirci di combatterci. Ma c’è qualcosa di meglio della pace – la
cooperazione.”
Piper si alzò in mezzo al pubblico. “Sei sicura che tua madre sia la dea della guerra?”
“Si, McLean,” disse Reyna. “Ho ancora intenzione di combattere un sacco di battaglie. Ma
da ora in poi le combatteremo assieme!” Il che portò grande allegria.
Zhang alzò la mano per riportare la tranquillità. “Voi sarete tutti i benvenuti al Campo
Giove. Siamo giunti ad un accordo con Chirone: un libero scambio tra i campi – delle visite
nei fine settimana, programmi di formazione e, naturalmente, aiuti di emergenza in caso di
necessità - ”
“E le feste?” chiese Dakota.
“Senti, senti!” disse Connor Stoll.
Reyna allargò le braccia. “Non serve dirlo. Noi romani abbiamo inventato le feste.”
Un altro grande Oooohhhhhhhh!
“Quindi, grazie,” concluse Reyna. “A tutti voi. Avremmo potuto scegliere l’odio e la Guerra.
Invece abbiamo abbracciato accoglienza e amicizia.”
Poi fece qualcosa di così inaspettato che Nico pensò successivamente di esserselo sognato.
Camminò fino a Nico, che si trovava in un angolo in ombra, come al solito. Lo afferrò per la
mano e lo tirò delicatamente alla luce del fuoco.
“Avevamo una sola casa,” disse lei. “Ora ne abbiamo due.”
Strinse Nico in un grosso abbraccio e la folla ruggì con approvazione. Per una volta, Nico
non aveva voglia di tirarsi via. Nascose il volto nella spalla di Reyna e lasciò uscire le
lacrime.
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QUELLA NOTTE, NICO DORMI’ NELLA CABINA DI ADE.
Non aveva mai avuto il desiderio di usare quel posto prima, ma ora che lo condivideva con
Hazel era del tutto differente.
Lo rendeva felice vedere di nuovo con una sorella – anche se solo per pochi giorni, e anche
se Hazel aveva insistito sul separare la sua parte di stanza con dei separé facendola
sembrare una zona di quarantena.
Poco prima del coprifuoco, Frank era venuto a farle visita e aveva trascorso alcuni minuti a
parlare a sottovoce con Hazel.
Nico cercò di ignorarli. Steso nella sua cuccetta, che assomigliava piuttosto ad una bara –
una cornice di mogano lucidato, delle inferiate in ottone, cuscini e coperte di velluto rosso
scarlatto. Nico non era presente quando avevano costruito quella cabina. Sicuramente non
aveva suggerito quei letti a castello. A quanto pare avevano pensato che i figli di Ade
fossero dei vampiri, non dei semidei.
Infine Frank bussò sul muro accanto al letto di Nico.
Nico lo guardò. Zhang era talmente alto adesso. Sembrava così… Romano.
“Ehy,” disse Frank. “Ce ne andremo domain mattina. Volevo solo ringraziarti.”
Nico si sedette nella sua cuccetta. “Sei stato grandioso, Frank. È stato un onore.”
Frank sorrise. “Onestamente, sono un po’ sorpreso di essere riuscito ad uscirne vivo. Per
quella cosa del pezzo di legno magico…”
Nico annuì. Hazel gli aveva raccontato tutto riguardo al pezzo di legno da ardere che
controllava ancora la salvezza di Frank. Nico lo prese come un buon segno che Frank
riuscisse a parlarne apertamente ora.
“Non riesco a vedere il futuro,” gli disse Nico, “ma spesso posso sentire se la gente è vicina
alla morte. Tu non lo sei. Non so se quel pezzo di legna brucerà. Alla fine, siamo tutti
legna da ardere. Ma non accadrà presto, Pretore Zhang. Tu e Hazel… avete un sacco di
avventure che vi attendono. Siete solo all’inizio. Fai il bravo con mia sorella, okay?”
Hazel camminò accanto a Frank e mise la mano nella sua. “Nico, non starai mica
minacciando il mio ragazzo, vero?”
I due sembravano stare così bene assieme che la cosa rese Nico felice. Ma causò anche
dolore al suo cuore – un dolore spettrale, come una vecchia ferita di guerra che tornava a
farsi sentire con il maltempo. “Non c’è bisogno di minacciarlo,” disse Nico. “Frank è un
bravo ragazzo. O orso. O bulldog. O - ”
“Oh, falla finita.” Ridacchiò Hazel. Poi baciò Frank. “Ci vediamo domani mattina.”
“Si,” disse Frank. “Nico… sei sicuro che non vuoi venire con noi? Avrai sempre un posto a
Nuova Roma.”
“Grazie, Pretore. Reyna mi ha detto la stessa cosa. Ma…no.”
“Spero che ci rivedremo di nuovo.”
“Oh, certamente,” promise Nico. “Sarò il ragazzo dei fiori al tuo matrimonio, giusto?”
“Uhm…” Frank si agitò, si schiarì la gola e si fiondò fuori, scontrandosi con lo stipite della
porta mentre cercava di uscire.
Hazel incrociò le braccia. “Dovevi prenderlo in giro proprio per quel motivo?” Si sedette
sul letto a castello di Nico. Per un attimo rimasero in un confortevole silenzio… fratelli, figli
del passato, figli degli inferi.
“Mi mancherai,” disse Nico.
Hazel si chinò e gli appoggiò la testa sulla spalle. “Anche tu, fratellone. Ci farai visita.”
Batté sul nuovo distintivo da ufficiale che brillava sulla camicia della ragazza. “Centurione
della Quinta Coorte ora. Congratulazione. Non è contro le regole che i centurioni
frequentino i pretori?”
“Shhh,” disse Hazel. “Ci vorrà un sacco di lavoro per ri-sistemare la legione, riparare i
danni che ha creato Ottaviano. Le regole sulle relazioni saranno le nostre ultime
preoccupazioni.”
“Sei arrivata così lontano. Non sei più la stessa ragazza che ho portato al Campo Giove. Il
tuo potere della foschia, la tua fiducia -”
“È tutto grazie a te.”
“No,” disse Nico. “Avere una seconda vita è una cosa. È renderla migliore, che è il trucco.”
Appena lo disse, Nico si rese conto che avrebbe potuto dire lo stesso a sé stesso. Decise di
non andare avanti con il discorso.
Hazel sospirò. “Una seconda vita. Vorrei solo…”
Non aveva bisogno di terminare la frase. Negli ultimi due giorni, la scomparsa di Leo era
oscillata come una nube sopra tutto il campo.
Hazel e Nico erano stati riluttanti ad unirsi alle indagini su quanto fosse successo.
“Hai sentito la sua morte, vero?” gli occhi di Hazel si inumidirono. La sua voce si fece
sottile.
“Si,” ammise Nico. “Ma non lo so, Hazel. C’era qualcosa di diverso…”
“Non può aver presto la physician’s cure. Nulla poteva sopravvivere a quell’esplosione. Ho
pensato… ho pensato di stare aiutando Leo. Ho sbagliato.”
“No. Non è colpa tua.” Ma Nico non era così pronto a perdonare sé stesso. Aveva trascorso
le ultime 48 ore a ripensare alla scena di Ottaviano alla catapulta, chiedendosi se avesse
fatto qualcosa di sbagliato. Forse la potenza esplosiva di quel proiettile aveva contribuito a
distruggere Gea. O forse aveva inutilmente costato la vita di Leo Valdez.
“Vorrei solo che non fosse morto da solo,” mormorò Hazel. “Non c’era nessuno con lui,
nessuno a dargli quella cura. Non c’era neanche un corpo da seppellire …” La sua voce si
ruppe. Nico le mise attorno un braccio. La strinse mentre piangeva. Alla fine lei si
addormentò per la stanchezza. Nico la portò nel suo letto e la baciò sulla fronte.
Poi andò al santuario di Ade nell’angolo – un tavolino decorato con ossa e gioielli.
“Suppongo,” disse, “che c’è una prima volta per tutto.” Si inginocchiò e pregò in silenzio
per una guida da parte di suo padre.
LVI
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ALL’ALBA, NON ERA ANCORA SVEGLIO quando qualcuno bussò alla porta.
Si alzò, registrò un volto con dei capelli biondi, e per una frazione di secondo pensò che
fosse Will Solace. Quando Nico capì che era Jason, ne rimase deluso. Poi si sentì arrabbiato
con sé stesso per sentirsi in quel modo. Non parlava con Will dal momento dopo la
battaglia.
I ragazzi di Apollo erano troppo occupati con i feriti. Inoltre, Will probabilmente incolpava
Nico per la morte di Ottaviano. Perché non avrebbe dovuto? Nico lo aveva permesso…
qualunque cosa fosse successo. Un omicidio colposo. Un suicidio raccapricciante. Ormai,
Will Solace si era probabilmente reso conto di quanto fosse raccapricciante e rivoltante
Nico di Angelo. Naturalmente, a Nico non importava di quello che pensava. Però…
“Stai bene?” chiese Jason. “Sembri-”
“Bene,” scattò Nico. Poi addolcì il tono. “Se stai cercando Hazel, sta ancora dormendo.”
Jason aprì la bocca. ‘Oh’, e fece cenno a Nico di uscire fuori.
Nico uscì alla luce del sole, sbattendo le palpebre e disorientato. Ugh … Forse il designer
della cabina aveva avuto ragione sul fatto che i figli di Ade fossero come dei vampiri. Non
era una persona mattutina.
Jason sembrava non aver dormito molto bene. I suoi capelli avevano un ciuffo ribelle su un
lato e i suoi nuovi occhiali erano sistemati storti sul naso. Nico dovette resistere alla
tentazione di raggiungerli e drizzarli.
Jason indicò i campi di fragole, dove i romani stavano smontando il campo. Era strano
vederlo lì. Ora sarebbe stato strano non vederli più.
“Ti dispiace non andare con loro?” chiese Nico.
Il sorriso di Jason era obliquo. “Un po’. Ma farò avanti e indietro tra i due campi per un
sacco di tempo. Ho alcuni santuari da costruire.”
“Ne avevo sentito parlare. Il senato prevede di eleggerti Pontifex Maximus.”
Jason si strinse nelle spalle. “Non mi importa molto dei titoli. Mi interessa che gli dei
vengano ricordati. Non voglio altre lotte causate dalla gelosia, o che si sfoghino sui
semidei.”
“Sono dei,” disse Nico. “È la loro natura.”
“Forse, ma voglio provare a fare del mio meglio. Credo che Leo direbbe che mi sto
comportando come un meccanico, che sto facendo manutenzione preventiva.”
Nico percepì il dolore di Jason come una tempesta in arrivo. “Sai, non avresti potuto
fermare Leo. Non c’era niente che avresti potuto fare diversamente. Sapeva quello che
sarebbe dovuto succedere.”
“Io – lo immagino. Non credo che tu possa dirmi se lui -”
“È andato,” disse Nico. “Mi dispiace. Vorrei poter dire il contrario, ma ho percepito la sua
morte.”
Jason fissò in lontananza.
Nico si sentiva in colpa a schiacciare le sue speranza. Era quasi tentato di parlare dei suoi
dubbi… che la morte di Leo gli aveva dato una sensazione diversa, come se la sua anima
si fosse inventata una strada tutta sua per gli inferi, qualcosa che aveva coinvolto un sacco
di ingranaggi, leve e pistoni a vapore.
Tuttavia, Nico era sicuro che Leo Valdez fosse morto. E la morte era la morte. Non sarebbe
stato giusto dare a Jason false aspettative.
In lontananza, i romani stavano radunando le proprie cose e armi dall’altra parte della
collina. Dall’altro lato, perlomeno da quello che Nico aveva sentito dire, una flotta di SUV
neri era in attesa per trasportare la legione di nuovo in California. Nico pensò che sarebbe
stato un viaggio interessante. Immaginò tutta la dodicesima legione nella corsia del ristoro
al Burger King. Si immaginò un mostro sfortunato a terrorizzare qualche semidio a caso
nel Kansas, solo per ritrovarsi circondato da diverse decine vagonate di romani
pesantemente corazzati.
“Ella l’arpia andrà con loro, lo sapevi?” disse Jason. “Lei e Tyson. Anche Rachel Elizabeth
Dare. Lavoreranno assieme per cercare di ricostruire i Libri Sibillini.”
“Dovrebbe essere interessante.”
“Potrebbe richiedere anni,” disse Jason. “Ma con la voce di Delfi interrotta…”
“Rachel non riesce ancora a vedere il futuro?”
Jason scosse la testa. “Vorrei sapere cosa sia successo ad Apollo ad Atene. Forse Artemide
lo farà uscire dai guai con Zeus e il potere della profezia funzionerà di nuovo. Ma per ora i
Libri Sibillini potrebbero essere il nostro unico modo per avere una guida per le imprese.”
“Personalmente,” disse Nico, “Posso fare a meno delle profezie o di una guida delle
imprese.”
“Hai ragione.” Si raddrizzò gli occhiali. “Guarda, Nico, il motivo per cui volevo parlare con
te… so quello che hai detto al palazzo in Austria. So che hai già rifiutato un posto al Campo
Giove. Io – probabilmente non posso farti cambiare idea riguardo al lasciare il Campo
Mezzo-sangue, ma devo-“
“Resto.”
Jason sbatté le palpebre. “Cosa?”
“Al Campo Mezzosangue. La cabina di Ade ha bisogno di un capogruppo. Hai visto le
decorazioni? Sono disgustose. Dovrò rinnovare. E qualcuno dovrà celebrare i riti di
sepoltura correttamente, dato che i semidei insistono a morire eroicamente.”
“Questo – questo è fantastico, amico!” Jason aprì le braccia per un abbraccio, poi si bloccò.
“Giusto. Nessun contatto. Scusa.”
Nico grugnì. “Suppongo che possiamo fare un eccezione.”
Jason lo strinse così forte che Nico pensò che le sue costole potessero incrinarsi.
“Oh, ragazzi,” disse Jason. “Aspetta che lo dica a Piper. Ehy, visto che sono l’unico della
mia cabina anche io, potremmo condividere un tavolo a pranzo. Potremmo collaborare per
catturare la bandiera e nei concorsi canori, e -”
“Stai cercando di farmi scappare?”
“Scusa, scusa. Qualunque cosa, Nico. Sono solo felice.”
La cosa divertente era che Nico gli credette.
Fece cadere lo sguardo verso le altre cabine e vide qualcuno fargli un cenno con la mano.
Will Solace rimase sulla soglia della cabina di Apollo, uno sguardo severo in volto. Indicò la
terra ai suoi piedi, come per dire: ‘Tu. Qui. Subito.’
“Jason,” disse Nico. “potresti scusarmi?”
“Allora, dove sei stato?” domandò Will. Indossava un camice da chirurgo verde con i jeans
e le infradito, che non rientrava proprio nel protocollo ospedaliero standard.
“Cosa intendi dire?” chiese Nico.
“Sono stato bloccato in infermeria per, tipo, due giorni. Non sei mia venuto. Non ti sei mai
offerto di aiutare.”
“Io… cosa? Perché vorresti un figlio di Ade nella stessa stanza con delle persone che stai
cercando di guarire? Perché qualcuno dovrebbe volere una cosa del genere?”
“Non potresti aiutare un amico? Forse tagliare le bende? Portami una soda o uno
spuntino? O solo semplicemente un ‘Come va, Will?’ Non pensi che potrei sopportare di
vedere una faccia amichevole?”
“Cosa… la mia faccia?”
Quelle parole semplicemente non avevano senso assieme: Faccia amichevole. Nico di
Angelo.
“Sei così ottuso,” osservò Will. “Spero che abbandonerai quella sciocca idea di
abbandonare il Campo Mezzosangue.”
“Io – si. L’ho fatto. Voglio dire, rimango.”
“Bene. Quindi sei ottuso, ma non un idiota.”
“Come puoi parlarmi in questo modo? Non sai che posso invocare zombie, scheletri e-”
“In questo momento non riusciresti ad invocare neppure un osso forcella senza fonderti in
una pozza di oscurità, di Angelo.” Disse Will. “Te l’ho detto, niente più roba
dell’oltretomba, ordini del dottore. Mi devi almeno tre giorni di riposo in infermeria. A
partire da adesso.”
Nico si sentiva come se centinaia di farfalle scheletro gli fossero resuscitate nello stomaco.
“Tre giorni? Io – Suppongo che possa andare.”
“Bene. Adesso -”
Un forte whoop! tagliò l’aria. Oltre il fuoco centrale, Percy sorrise a qualcosa che Annabeth
gli aveva appena detto. Lei rise e gli schiaffeggiò giocosamente il braccio.
“Torno subito,” disse Nico a Will. “Prometto sullo Stige e tutto il resto.”
Si avvicinò a Percy e Annabeth, che stavano ancora entrambi sorridendo come dei pazzi.
“Ehy, amico,” disse Percy. “Annabeth mi ha appena dato una buona notizia. Scusa se ho
urlato un po’ forte.”
“Passeremo il nostro ultimo anno del liceo assieme,” spiegò Annabeth, “qui a New York. E
dopo il diploma-”
“College a Nuova Roma!” Percy alzò il pugnò come se stesse soffiando nella trombetta di
un camion. “Quattro anni senza mostri da combattere, nessuna battaglia, nessuna stupida
profezia. Solo me e Annabeth, che prendiamo la laurea, ordiniamo caffè, ci godiamo la
California -”
“E dopo…” Annabeth baciò Percy sulla guancia. “Beh, Reyna e Frank hanno detto che
possiamo vivere a Nuova Roma finché ci fa piacere.”
“Grandioso,” disse Nico. Era un po’ sorpreso di scoprire che diceva sul serio. “Anche io
resto, qui al Campo Mezzosangue.”
“È meraviglioso!” disse Percy.
Nico studiò la sua faccia – i suoi occhi verde-acqua, il suo sorriso, gli arruffati capelli neri.
In qualche modo Percy Jackson sembrava un ragazzo normale ora, non una figura mitica.
Non qualcuno da idolatrare o di cui avere una cotta.
“Quindi,” disse Nico, “dal momento che spenderemo un intero anno a vederci al campo,
penso che dovrei mettere in chiaro alcune questioni.”
Il sorriso di Percy vacillò. “Cosa intendi dire?”
“Per molto tempo,” disse Nico, “ho avuto una cotta per te. Volevo solo fartelo sapere.”
Percy guardò Nico. Poi verso Annabeth, come se cercasse di capire se avesse sentito bene.
Poi tornò a Nico. “Tu -”
“Già,” disse Nico. “Sei una persona grandiosa. Ma l’ho superato. Sono felice per voi
ragazzi.”
“Tu… quindi vuoi dire che-”
“Proprio così.”
Gli occhi grigi di Annabeth iniziarono a sbrilluccicare. Diede a Nico un sorriso di sbieco.
“Aspetta,” disse Percy. “Vuoi dire che-”
“Giusto,” ripeté Nico. “Ma va bene così. Noi andiamo bene così. Voglio dire, adesso
capisco… sei carino, ma non sei il mio tipo.”
“Non sono il tuo tipo… Aspetta. Quindi -”
“Ci vediamo in giro, Percy,” disse Nico. “Annabeth.”
Lei alzò la mano per ricevere un ‘cinque’. Nico si sentì obbligato. Poi tornò indietro e
attraversò il prato, dove lo stava aspettando Will Solace.
LVII
P
i
p
e
r
PIPER AVREBBE VOLUTO USARE LA LINGUA AMMALIATRICE FINO AD ADDORMENTARSI.
Poteva aver funzionato con Gea, ma nelle ultime due notti non aveva quasi mai chiuso
occhio.
Le giornate erano belle. Amava essere di nuovo con i suoi amici Lacy e Mitchell e tutti gli
altri figli di Afrodite. Anche la sua seconda in comando, Drew Tanaka, sembrava essere
sollevata, probabilmente perché Piper poteva stare dietro alle cose dando a Drew più
tempo per i pettegolezzi e per stare in cabina per i trattamenti di bellezza.
Piper si era tenuta occupata aiutando Reyna e Annabeth a coordinare i greci ei Romani.
Con grande sorpresa di Piper, le altre due ragazze avevano valutato le sue abilità di
interporsi ed appianare eventuali conflitti. Non ce ne furono molti, ma Piper riuscì a far
restituire alcuni caschi romani che erano misteriosamente finiti nel magazzino del campo.
Aveva anche tenuto testa ad una rissa scoppiata tra i figli di Marte e quelli di Ares riguardo
al modo migliore di uccidere un’idra.
La mattina in cui i romani avevano programmato di andarsene, Piper era seduta sul molto
del lago delle canoe, cercando di tranquillizzare le naiadi.
Alcuni degli spiriti del lago penavano che i ragazzi romani fossero talmente calorosi che
anche loro volevano partire per il Campo Giove. Chiesero di un gigantesco acquario per
pesci portatile per il viaggio verso ovest. Piper aveva appena concluso le trattative quando
Reyna la trovò.
Il pretore si sedette accanto a lei sul molo. “Lavori duro?”
Piper soffiò un ciuffo di capelli via da davanti agli occhi. “Le naiadi possono essere
impegnative. Penso che abbiamo raggiunto un accordo. Se vogliono comunque venire lì
alla fine dell’estate, allora lavoreremo ai dettagli. Ma le naiadi, uh, tendono a dimenticare
le cose dopo circa cinque secondi.”
Reyna percorse la superficie dell’acqua con le dita. “A volte vorrei poter dimenticare le cose
velocemente così .”
Piper studiò il volto del pretore. Reyna era l’unica semidea che sembrava non essere
cambiata durante la guerra con i giganti … non all’esterno perlomeno. Aveva ancora la
stessa forza, lo sguardo inarrestabile, la stessa regalità,un bel viso. Indossava la sua
armatura e il mantello viola con la stessa semplicità con cui una persona potrebbe
indossare dei pantaloncini e una maglietta.
Piper non riusciva a capire come potesse portare tanto dolore, così tanta responsabilità
sulle spalle, senza rompersi. Si chiese se Reyna avesse mai avuto qualcuno con cui
confidarsi.
“Hai fatto molto,” disse Piper. “Per entrambi i campi. Senza di te, niente di tutto questo
sarebbe stato possibile.”
“Tutti noi abbiamo fatto la nostra parte.”
“Certo. Ma tu… vorrei solo che avessi più meriti.”
Reyna rise dolcemente. “Grazie Piper. Ma non voglio ricevere attenzioni. Lo capisci, non è
vero?”
Piper lo capiva. Erano così diverse, ma capiva che non volesse attirare l’attenzione. Piper lo
aveva desiderato per tutta la vita, con la fama di suo padre, i paparazzi, le foto e gli scandali
della stampa. Aveva incontrato così tante persone che dicevano, ‘Oh, voglio diventare
famoso! Sarebbe una cosa grandiosa!’ Ma non avevano idea di cosa significasse
veramente. Aveva visto l’effetto che aveva dato a suo padre. Piper non voleva averci niente
a che fare.
Poteva anche capire il fascino del credo romano – mimetizzarsi, essere parte del gruppo,
lavorare come un’unica macchina bel oliata.
Anche così, Reyna era salita in cima. Non poteva rimanere nascosta.
“Il potere da parte di tua madre…” disse Piper. “Puoi dare forza agli altri?”
Reyna strinse le labbra. “È Nico che te lo ha detto?”
“No. L’ho solo percepito, dal modo in cui guidi la legione. Questa cosa deve svuotarti.
Come fa a… sai, ottenere forza di nuovo?”
“Quando mi tornerà della forza indietro, te lo farò sapere.” Lo disse come uno scherzo, ma
Piper percepì della tristezza nelle sue parole.
“Sei sempre la benvenuta qui,” disse Piper. “Se hai bisogno di una pausa, di scappare… hai
Frank adesso – può assumersi maggiori responsabilità per un po’. Potrebbe farti bene
prenderti un po’ di tempo per te stessa, quando nessuno verrà a cercarti come pretore.”
Reyna incontrò i suoi occhi, come se stesse cercando di valutare la serietà della sua offerta.
“Mi dovrò aspettare di cantare quella strana canzone su come la Nonna indossa
l’armatura?”
“A meno che tu non lo voglia veramente. Ma potremmo vietarti la partecipazione alla
‘Caccia alla Bandiera’. Ho la sensazione che potresti competere contro il campo intero e
batterci comunque.”
Reyna sorrise. “La considero un’offerta. Grazie.” Si aggiustò il pugnale, e per un attimo
Piper pensò alla propria arma, Katoptris, che ora era custodita nel suo baule nella sua
cabina. Fin da Atene, quando aveva usato il pugnale contro il gigante Encelado, le sue
visioni si erano completamente bloccate.
“Mi chiedo…” disse Reyna. “Tu sei figlia di Venere. Voglio dire, di Afrodite. Forse – forse
potresti spiegarmi una cosa che ha detto tua madre.”
“Ne sarei onorata. Ci proverò, ma devo avvertirti: mia madre non ha avuto senso un sacco
di volte neanche per me.”
“Una volta, a Charleston, Venere mi ha detto una cosa. Ha detto: ‘Non troverai l’amore
che desideri o speri. Nessun semidio può guarire il tuo cuore’. Io – io ho
combattuto con quel per…” Le sue parole si ruppero.
Piper sentì il forte bisogno trovare sua madre e prenderla a pugni. Odiava il modo in cui
Afrodite poteva rovinare la vita di qualcuno anche solo con una breve conversazione.
“Reyna,” disse, “Non so cosa volesse dire, ma so questo: sei una persona incredibile. C’è
sicuramente qualcuno là fuori per te. Forse non è un semidio. Forse è un mortale, o… o
non saprei. Ma, quando è destino che accada, succederà. E fino ad allora, ehy, hai degli
amici. Un sacco di amici, sia greci che romani. Essere fonte della forza di tutti alle volte ti
fa dimenticare che, alle volte, è necessario che anche tu attinga forza dagli altri. Io sono qui
per te.”
Reyna fissò il lago di traverso. “Piper McLean, ci sai fare con le parole.”
“Non sto usando la lingua ammaliatrice, lo giuro.”
“Non ti serve la lingua ammaliatrice.” Reyna le porse una mano. “Ho la sensazione che ci
rivedremo.”
Si strinsero le mani e, dopo che Reyna se ne fu andata, Piper capì che Reyna aveva ragione.
Si sarebbero incontrate di nuovo, perché Reyna non era più una rivale, non più una
sconosciuta o una potenziale nemica. Era un’amica. Era parte della famiglia.
Quella notte il campo sembrava vuoto senza i romani. Piper sentiva già la mancanza di
Hazel. Le mancavano le travi scricchiolanti dell’Argo II e delle costellazioni prodotte dalla
sua lampada sul soffitto della sua cabina a bordo della nave.
Sdraiata nel suo letto nella Cabina Dieci, si sentiva così inquieta che sapeva che non
sarebbe stata in grado di addormentarsi. Continuava a pensare a Leo. Rivide ancora e
ancora quello che era successo durante la lotta contro Gea, cercando di capire come avesse
potuto perdere Leo in modo così brusco.
Verso le due del mattino, era ancora lì a cercare di dormire. Si sedette sul letto e guardò
fuori dalla finestra. La luce della luna faceva sembrare il bosco argentato. Gli odori del
mare e dei campi di fragole si fondevano assieme nella brezza. Non poteva credere che solo
pochi giorni prima, la Madre Terra si fosse risvegliata e avesse quasi distrutto tutto ciò che
per Piper era più caro. Quella sera sembrava tutto così tranquillo… così normale.
Tap, tap, tap.
Piper quasi non colpì la parte superiore del suo letto a castello. Jason era in piedi fuori
dalla finestra, picchiettando sul telaio. Le sorrise. “Dai, andiamo.”
“Che cosa ci fai qui?” sussurrò lei. “È già passato il coprifuoco. La pattuglia di arpie ti ‘farà
a pezzi’. ”
“Vieni e basta.”
Il suo battito cardiaco accelerò, prese la mano del ragazzo e si arrampicò fuori dalla
finestra. Lui la portò alla Cabina Uno e la portò dentro, dove l’enorme statua di uno Zeus
Hippie fulminava nella penombra.
“Um, Jason… esattamente che cosa…?”
“Lo vedrai.” Lui le mostrò una delle colonne di marmo che percorrevano la camera
circolare. Sul retro, quasi nascosto contro il muro, dei pioli in ferro portavano verso l’alto –
una scala.
“Non posso credere di non averla mai notata prima. Aspetta di vedere!” Lui cominciò a
salire. Piper non era sicura del perché si sentisse tanto nervosa, ma le sue mani tremavano.
Lei lo seguì fino a su. In cima, Jason aprì una piccola botola.
Emersero su un lato del tetto a cupola, su una sporgenza piatta, verso nord. Tutta Long
Island Sound si estendeva all’orizzonte.
Erano così in alto, e in un tale angolo, che nessuno al di sotto avrebbe potuto
eventualmente vederli. Le arpie di pattuglia non volavano mai fino a quell’altezza.
“Guarda.” Jason indicò le stelle, che sembravano dei diamanti spruzzati nel cielo – persino
migliori dei gioielli che avrebbe potuto invocare Hazel Levesque.
“È bellissimo.” Piper si rannicchiò contro Jason che mise le mise il braccio sulle spalle. “Ma
non finirai nei guai?”
“Che importa?” chiese Jason.
Piper rise silenziosamente. “Tu chi sei?”
Lui si voltò, gli occhiali di bronzo sembravano pallidi alla luce delle stelle. “Jason Grace.
Piacere di conoscerti.” La baciò, e… va bene, si erano già baciati prima. Ma quello fu
diverso. Piper si sentì come un tostapane. Tutte le sue spire si riscaldarono e diventarono
roventi. Qualche grado di calore in più e avrebbe potuto iniziare ad odorare di toast
bruciato.
Jason si allontanò solo per guardarla negli occhi. “Quella notte alla scuola della Natura, il
nostro primo bacio sotto le stelle…”
“La memoria,” disse Piper. “Quello non è mai successo.”
“Beh… adesso si.” Fece il segno di allontanare il male, lo stesso che aveva usato per
scacciare il fantasma di sua madre, e lo spinse verso il cielo. “Da questo momento in poi,
stiamo scrivendo la nostra storia, con un nuovo inizio. E abbiamo appena avuto il nostro
primo bacio.”
“Ho paura di dirlo dopo solo il primo bacio,” disse Piper. “Ma, dei dell’Olimpo, ti amo.”
“Ti amo anche io, Pipes.”
Non avrebbe voluto rovinare quel momento, ma non riuscì a smettere di pensare al fatto
che Leo non avrebbe mai potuto avere un nuovo inizio. Jason doveva aver intuito i suoi
sentimenti.
“Ehy,” disse. “Leo sta bene.”
“Come puoi crederlo? Non ha preso la cura. Nico ha detto che è morto.”
“Una volta hai svegliato un drago utilizzando solo la tua voce,” le ricordò Jason. “Hai
creduto che il drago fosse vivo, giusto?”
“Si, ma –”
“Dobbiamo credere in Leo. Non c’è modo che sia morto con così tanta facilità. È un uomo
duro.”
“Hai ragione.” Piper cercò di calmare il suo cuore. “Quindi crediamoci. Leo deve essere
vivo.”
“Ti ricordi a Detroit, quando ha schiacciato Mamma Cinghia con il motore di un auto?”
“O con quei nani a Bologna. Leo li aveva sconfitti con una granata fumogena fatta a mano a
base di dentifricio.”
“Comandante Cintura degli Attrezzi,” disse Jason.
“Il Supremo Cattivo Ragazzo,” proferì Piper.
“Chef Leo l’Esperto nel Tofu Taco.”
Si misero a ridere raccontando le storie di Leo Valdez, il loro migliore amico. Rimasero sul
tetto fino alla fine dell’alba, e Piper iniziò a credere che avrebbero potuto davvero avere
un nuovo inizio. Avrebbero potuto anche iniziare a raccontare una nuova storia in cui Leo
era ancora là fuori. Da qualche parte…
LVIII
L
e
o
LEO ERA MORTO.
Lo sapeva con assoluta certezza. Solo non capiva perché facesse così tanto male.
Si sentiva come se ogni singola cellula del suo corpo fosse esplosa. Ora la sua coscienza era
intrappolata all’interno di un croccante e carbonizzato guscio di un semidio ucciso per
strada. La nausea era più forte di qualsiasi mal-d’auto che avesse mai avuto. Non riusciva a
muoversi. Non riusciva a vedere o a sentire. Provava solo dolore.
Iniziò ad andare nel panico, pensando che forse quella era la sua punizione eterna.
Poi qualcuno mandò indietro i cavi del suo cervello e riavviò la sua vita.
Prese una boccata d’aria e si mise a sedere.
La prima cosa che sentì fu il vento in faccia, poi il dolore lancinante al braccio destro. Era
ancora sulla schiena di Festus, ancora in aria.
I suoi occhi avevano iniziato a funzionare di nuovo, e notò una grossa siringa estrarsi dal
suo avambraccio. L’iniettore vuoto ronzò e si ritirò in un pannello sul collo di Festus.
“Grazie, amico.” Gemette Leo. “Ragazzi, essere morti fa schifo. Ma la physician’s cure?
Quella è addirittura peggio.”
Festus cigolò e comunicò con il codice Morse.
“No, amico, non sono serio,” disse Leo. “Sono felice di essere vivo. E, già, ti voglio bene
anche io. Sei stato impressionante.”
Un ronzio metallico percorse tutta la lunghezza del corpo del drago.
Per prima cosa: Leo osservò il drago alla ricerca di segni di danneggiamento. Le ali di
Festus funzionavano correttamente, anche se la sua membrana centrale sinistra si era
riempita di buchi. Il rivestimento sul suo collo si era parzialmente fuso, sciolto
dall’esplosione, ma il drago non sembrava essere in pericolo di schiantarsi subito.
Leo cercò di ricordare quello che era successo. Era abbastanza sicuro di aver sconfitto Gea,
ma non aveva idea di come avessero fatto i suoi amici a tornare al Campo Mezzosangue.
Sperò che Jason e Piper non fossero stati colpiti dall’esplosione. Leo aveva lo strano
ricordo di un missile che sfrecciava verso di lui urlando come una donzella… che diamine
era stato?
Una volta atterrato, avrebbe dovuto controllare il ventre di Festus. I danni più gravi erano
probabilmente avvenuti in quella zona, dome il drago aveva coraggiosamente combattuto
contro Gea mentre questa cercava di disciogliersi in fango.
Non c’era nulla da dire riguardo a quanto Festus fosse salito in alto. Aveva bisogno di
tornare presto giù. Il che sollevò la questione: ‘dove erano finiti?’
Attorno a loro c’era solo una solida coltre di nuvole bianche. Il sole splendeva diretto e
brillante nel cielo azzurro. Quindi era circa mezzogiorno … ma di quale giorno? Quanto
tempo Leo era stato morto?
Aprì il pannello di accesso nel collo di Festus. L’astrolabio era andato, il cristallo pulsava
come un cuore al neon. Leo controllò la bussola e il GPS, e un sorriso gli si fece largo sul
viso.
“Festus, buone notizie!” urlò. “Le nostre carte di navigazione sono completamente
incasinate!”
Festus disse, Creak?
“Già! Si scende! Portaci sotto queste nubi e forse–”
Il drago si precipitò così velocemente che l’aria venne risucchiata via dai polmoni di Leo.
Attraversarono la spessa coltre bianca e lì, sotto di loro, c’era un’unica isola verde in un
vasto male blu.
Leo urlò così forte che probabilmente lo sentirono fino in Cina. “EVVAI! CHI E’ CHE E’
MORTO? CHI E’ CHE E’ TORNATO? CHI E’ IL TUO PAZZO SUPERGRANDIOSO
SIGNOR-FANTASMAGORICO ORA, BABY?”
‘WOOOOOOOO!’
Planarono spiraleggiando verso Ogigia, il vento caldo passò per i capelli di Leo. Realizzò
che i suoi vestiti erano a brandelli, nonostante la magia con cui erano stati tessuti. Le sue
braccia erano coperte da un sottile strato di fuliggine, come se fosse appena morto in un
grosso incendio … cosa che, ovviamente, era avvenuta.
Ma non poteva preoccuparsi di tutto ciò.
Lei era in piedi sulla spiaggia, indossava dei jeans e una blusa bianca, i capelli ambrati
tirati all’indietro e legati.
Festus allargò le ali e atterrò con un passo falso. A quanto pareva le sue zampe si erano
rotte. Il drago si lanciò lateralmente e catapultò Leo di faccia nella sabbia. Un ingresso
proprio eroico.
Leo sputò un pezzo di alga che gli era entrato in bocca. Festus si trascinò lungo la spiaggia,
producendo un rumore che significava Ow, ow, ow.
Leo alzò lo sguardo. Calypso era proprio sopra di lui, con le braccia incrociate, le
sopracciglia arcuate. “Sei in ritardo,” annunciò. I suoi occhi erano lucidi.
“Scusa, luce-del-sole,” disse Leo. “C’era un sacco di traffico.”
“Sei ricoperto di fuliggine,” osservò lei. “E sei riuscito a rovinare i vestiti che ti ho fatto, che
erano impossibili da rovinare.”
“Beh, sai,” Leo si strinse nelle spalle. Qualcuno gli lanciò centinaia di palle da pachinko nel
petto. “Io faccio tutto quello che è impossibile.”
Lei gli offrì una mano e lo aiutò ad alzarsi.
Rimasero naso contro naso mentre lei controllava la situazione. Lei profumava di cannella.
Aveva sempre avuto quel piccolo neo vicino all’occhio sinistro? Leo aveva davvero voglia di
toccarlo.
Lei arricciò il naso. “Puzzi –”
“Lo so. Come se fossi morto. Probabilmente perché lo sono. Con un ultimo fiato e tutto
il resto, ma sto meglio adesso –”
Lei lo interruppe con un bacio.
Le palle pachinko sbatterono dentro di lui. Si sentiva talmente felice che dovette sforzarsi
di non andare a fuoco.
Quando finalmente lo lasciò andare, il suo viso era coperto di macchi di fuliggine. Lei non
sembrò farci caso. Fece passare il pollice sullo zigomo del ragazzo.
“Leo Valdez,” disse.
Nient’altro – solo il suo nome, come se fosse qualcosa di magico.
“Sono io,” disse lui, la sua voce uscì fuori strana. “Allora, um… vuoi andartene da
quest’isola?”
Calypso fece un passo indietro. Alzò una mano e comparvero dei venti. I suoi servi
invisibili portarono due valigie e le disposero ai suoi piedi. “Cosa te lo fa pensare?”
Leo sorrise. “Hai fatto i bagagli per un lungo viaggio, eh?”
“Non ho intenzione di tornare.” Calypso si guardò alle spalle, al percorso che portava al suo
giardino e alla sua casa-caverna. “Dove mi porterai, Leo?”
“Da qualche parte per aggiustare il mio drago, per prima cosa,” decise. “E poi… dovunque
tu voglia. Seriamente, quanto tempo sono stato via?”
“È difficile calcolare il tempo su Ogigia,” disse Calypso. “Sembrava essere sempre.”
Leo ebbe una fitta di dubbio. Sperava che i suoi amici stessero bene. Sperava che non
fossero passati centinaia di anni mentre era volato in giro morto e Festus aveva cercato
Ogigia. Avrebbe voluto saperlo. Aveva bisogno di far sapere a Jason, a Piper e a tutti gli
altri che stava bene. Ma ora… le priorità. E Calypso era la sua priorità.
“Quindi, una volta lasciata Ogigia,” disse, “resterai immortale o cosa?”
“Non ne ho idea.”
“E a te va bene così?”
“Più che bene.”
“Bene, allora!” Si voltò verso il suo drago. “Amico, ce la fai ad alzarti per un altro volo verso
nessun posto in particolare?”
Festus soffiò fuoco e zoppicò in circolo.
“Così ce ne andiamo senza un piano,” disse Calypso. “Senza nessuna idea di dove andremo
o quali problemi ci attenderanno al di fuori di quest’isola. Verso tante domande e nessuna
risposta?”
Leo alzò le mani. “È così che volo, Luce-del-sole. Posso prenderti i bagagli?”
“Certamente.”
Cinque minuti dopo, con le braccia di Calypso strette in vita, Leo spinse Festus in volo. Il
drago di bronzo allargò le ali, e salì verso l’ignoto.
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Eroi dell`Olimpo - Blood_Of_Olympus - ITA