di Silvano Lorenzoni
Nell’accettare il cortese invito dell’amico Fabio Calabrese di dare un commento al
suo scritto “Non muove foglia”, incomincio dando un pur breve riassunto delle
impressioni, anche se brevi, che io ho potuto avere in prima persona riguardo ai due
personaggi ai quali egli si riferisce, in modo principale, in quello scritto: essi sono
Franco Damiani, di professione insegnante, e Curzio Nitoglia di professione prete. Il
primo ebbi occasione di incontrarlo a Cittadella (Padova) con occasione di un
convegno indetto da Forza Nuova forse sette – otto anni or sono per manifestargli
solidarietà dopo che ebbe avuto dei problemi con i suoi superiori, dovuti a certe sue
prese di posizione antidarwiniste. Il secondo venne da me incontrato ad Altavilla
(Vicenza) durante un simposio organizzato dal Veneto Fronte Skinhead una decina di
anni fa, al quale era presente anche il compianto Dragos Kalajić.
Ne ebbi due impressioni diametralmente diverse. L’impressione che ebbi da
franco Damiani fu ottima: persona pacata e soprattutto coraggiosa che secondo me
merita ogni rispetto indipendentemente dalle differenze insormontabili fra i nostri
indirizzi dottrinale e le nostre Weltanschauungen.
Curzio Nitoglia, invece, mi ha dato l’impressione di essere un fanatico, non certo
carente di coraggio (per la qual cosa va anche rispettato), ma rappresentante di
forme estreme e aggressive di quell’indirizzo dottrinale che, a ben vedere le cose, sta
alla radice delle moderne patologie sociali e politiche – ricordiamoci, a questo punto,
quanto ebbe a dire René Guénon , secondo il quale quando i burattinai della
sovversione si accorgono che qualcuno si è accorto delle loro manovre, cercano di
neutralizzarlo, almeno parzialmente, indirizzando i suoi sforzi verso la difesa di una
qualche forma di sovversione ormai da loro lasciata indietro, perché ‘ha ormai
espletato il suo compito’, la quale viene spacciata per tradizione. In quell’occasione
Curzio Nitoglia intanto si scagliò contro coloro che “odiano il (cosiddetto) Vecchio
Testamento”, poi affermò che il vero cristiano rifiuta ogni forma di ‘razzismo’, sia
esso ‘biologico’ o anche ‘evoliano’ (razze dell’anima e dello spirito) perché
chiunque/qualunque – non-ebreo, ebreo, papuaso, boscimano ecc. – una volta
battezzato e quindi ammesso in seno alla ‘chiesa’ è identicamente uguale a
chiunque/qualunque altro appartenente alla medesima. Qui ci incontriamo con una
sottigliezza alla quale Curzio Nitoglia probabilmente non aveva pensato, e cioè come
si fa a decidere chi/cosa è ‘battezzabile’. Presumibilmente Curzio Nitoglia si riferiva
agli ‘umani’, ma decidere chi è ‘umano’ e chi non lo è, soprattutto adesso che gli
svariati Luigi Cavalli-Sforza e affini hanno tergiversato il concetto con l’uso e l’abuso
della genetica molecolare, non è tanto facile. (Vincenzo Tagliasco arrivava alla
conclusione che ‘umano’ non è altro che colui che viene ammesso come tale entro
una comunità che a sua volta si definisce ‘umana’ – interessante in riguardo la
condizione triste di certi pappagalli addomesticati presso determinate tribù
aborigene della zona di Darién.) In ultima, non resta se non fare riferimento al
Fabio Calabrese
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criterio dell’incrociabilità – e qui anche Curzio Nitoglia, probabilmente senza
rendersene conto, si sposta su quel campo minato dove la teologia deve mettere
mano alla zoologiaper decidere sulla ‘battezzabilità’. Curzio Nitoglia è anche autore
di una sfiziosa teoria secondo la quale, dai tempi di Gesù Cristo, ‘ebrei’ non ce ne
sono più: dopo Cristo, secondo lui, ci sono soltanto i cristiani, che sono i ‘veri
israeliti’, e quelli che vengono ‘erroneamente’ detti ebrei che in realtà sono gli
aderenti a una nuova religione, che lui chiama ‘rabbino-talmudica’. In questo modo,
presumibilmente, egli può arrampicarsi sugli specchi e pure dimostrandosi
occasionalmente ‘antisemita’ (egli è autore di un ottimo opuscolo nel quale espone e
documenta il sacrificio ebraico del sangue nel Medioevo) egli potrà sempre affermare
di non avere attaccato gli ‘ebrei’ (‘inesistenti’) ma i fantomatici ‘rabbino-talmudici’.
Resta in ogni caso il fatto che il ‘dio’ (si fa per dire) al quale fanno riferimento sia
Franco Damiani che Curzio Nitoglia è e rimane il ‘dio’ tribale ebraico Geova, con il
quale certo Mosé, ai tempi suoi, ‘firmò un contratto’; il quale promise agli ebrei di
rendere tutti gli altri popoli loro schiavi – da questo, non ci si esce (escludendo
magari quei contorsionismi dialettici che nel caso di Curzio Nitoglia devono essere
particolarmente difficili: se gli ebrei non esistono più e ognuno può essere
cristiano/’vero israelita’, chi resta da rendere schiavo?).
Lo scrivente aderisce pienamente a quanto ebbe a scrivere Theodor Fritsch
ancora negli anni Trenta: “Gli antiebrei cristiani sono come quegli aborigeni che
credono di essersi ‘sbiancati’ quando si mettono addosso qualche straccio di
vestiario europeo: essi rimangono di colore, ma intanto hanno rinunciato alla propria
identità. L’antisemitismo cristiano, in qualsiasi sua forma, non può perciò essere
visto se non come qualcosa di risibile”.
Un brevissimo appunto va fatto sulle osservazioni dell’amico Fabio Calabrese che
versano su se un cattolico (ma: un monoteista) possa essere visto come un camerata:
ci si ricordi di Celso che, nel II secolo dopo Cristo, dopo avere demolito il
cristianesimo in quel suo famoso scritto, si rivolgeva comunque ai cristiani per
cercare di averli come alleati per contrastare un decorso storico ben più grave e
importante di qualsiasi contrapposizione religiosa: si trattava dello sfacelo
dell’impero di Roma. Fu presto chiaro quali fossero i deludenti risultati di questa sua
iniziativa.
Ma andiamo avanti: Fabio Calabrese si è anche confrontato con le argomentazioni
‘filosofiche’ (si fa per dire) dei cattolici/monoteisti, i quali ‘concedono’ che certa
filosofia pagana avrebbe raggiunto la quasi pienezza della ‘verità teoretica’. – Qui, a
costo di sembrare noioso o magari pedante, voglio fare un excursus nella storia
comparata delle religioni che, secondo me, viene al caso. Faccio riferimento al
monumentale Der Ursprung der Gottesidee [l’origine dell’idea di dio] del gesuita
Wilhelm Schmidt, direttore negli anni Venti e Trenta dell’istituto antropologico di
Vienna, dove allora veniva concentrata tutta l’informazione raccolta dai
missionari/etnologi cattolici sparsi nel mondo sulle religioni e le lingue delle
popolazioni di più infimo livello ancora presenti fino all’ultima guerra nella fascia
tropicale e antartica del mondo. Wilhelm Schmidt ne deduceva la presenza
Fabio Calabrese
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onnipervadente di una strana figura, il ‘deus otiosus’, che egli identificava con il
padreterno biblico, sotto il presupposto che quelle popolazioni di infimo livello
(tasmaniani, papuasi, boscimani, fueghini, damara, ecc.) rappresentassero l’’uomo’
(‘Adamo ed Eva’) nella condizione in cui esso era non appena scacciato fuori con un
calcio in culo dal cosiddetto ‘paradiso terrestre’. (Mircea Eliade poi ridimensionò
questo concetto dimostrando che il ‘deus otiosus’ la forma finale di un processo
degenerativo in qualche caso storicamente documentabile attraverso il quale quello
che presso le popolazioni superiori era stato un culto uranico si era trasformato in un
ricordo impreciso e nebuloso.) – Questo, a parere dello scrivente, può senz’altro
essere messo in relazione con quanto diceva il satanologo prima luterano e poi
cattolico Egon von Petersdorff secondo il quale se qualche pensatore pre-cristiano –
sul tipo di Parmenide, Platone, Aristotele – qualcosa di ‘azzeccato’ avesse potuto
dire, sarebbe stato soltanto perché, per vie ‘subliminali’, qualche saggezza pre‘cacciata-dal Paradiso-terrestre’ gli sarebbe arrivata. Se poi, come asseriva Wilhelm
Schmidt, i rappresentanti di quella condizione ‘pre-cacciata’ dovevano essere visti
nei papuasi, damara, fueghini, tasmaniani, ecc., allora si impone la conclusione che
Aristotele ecc. erano debitori intellettuali dei medesimi – ognuno tiri le conclusioni
che vuole.
A questo punto, e primo di addentrarci nella problematica dell’etica e della
morale, parliamo brevemente del lato logico del discorso cristiano/monoteista, con il
quale quelli vorrebbero piegare la ragione del ‘non-credente’. In buona parte si tratta
di sofismi che si basano sulla confusione fra ‘dio’ (unico e personale, more
monoteistico) e il fondo ontologico dell’universo. Inoltre, quando si parli di logica,
bisogna intendersi su quale tipo di logica si tratti. Quella che normalmente viene
chiamata ‘logica’ tout court è la logica esistenziale dell’umano superiore, cioè la
logica aristotelica per la quale valgono i principi dell’identità, della non
contraddizione e del terzo escluso. Già questa logica, che regge l’esperienza
sensoriale di veglia dell’umano superiore, ci permette di escludere il concetto di ‘dio’
unico – dotato di una sua semitica psicologia – come qualcosa di assurdo. ‘Dio’ è
l’essere ‘necessario’ secondo i monoteisti; ma siccome niente è ‘necessario, (questo)
‘dio’ è assurdo. Che poi l’’essere infinito’ escluda altri ‘infiniti’ , come giustamente fa
notare l’amico Fabio Calabrese, è un falso – chi affermi tal cosa non ha conoscenze
neppure superficiali di matematica. – Per quel che riguarda la logica, ci sono un
numero letteralmente infinito di possibili logiche non-aristoteliche, le quali però non
corrispondono ad alcuna esperienza pratica comprensibile empirica per l’umano
superiore (per quel che riguarda gli umani meno superiori, le loro ‘logiche’ sono
‘sottomultipli’ di quella dell’umano superiore). Che ci potessero essere una o magari
varie logiche non-aristoteliche se n’era accorto ancora nel Medioevo un personaggio
tenuto in grande stima dai cristiani, Pietro Damiano, il quale però asseriva che esse
potessero essere valide soltanto nella mente di ‘dio’ e quindi avulse da qualsiasi
comprensibilitàa livello umano: ne segue che a volere mettere mano a queste
‘logiche’ non si potrebbe dimostrare niente di comprensibile per l’intelletto umano
normale di veglia. I monoteisti, in generale, non è che mostrino molta immaginazione
Fabio Calabrese
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che possa andare al di là delle discussioni di tipo rabbinico (un rappresentante
veramente classico, Albert Einstein). E comunque le logiche non-aristoteliche (così
come le geometrie non-euclidee) possono essere scelte soltanto come ‘rimbalzi
empirici’ di determinati dati di fatto – lo scrivente, per esempio, ha proposto in un
suo scritto recente che un qualche tipo di logica non aristotelica possa essere
applicata alla descrizione delle fenomenologie parapsicologiche.
L’argomento dell’etica – e quello della morale – viene proposto in modo valido
dall’amico Fabio Calabrese: la morale cristiana è una morale utilitaria come utilitario
è tutto ciò che deriva dalla ‘religione’-contratto ebraica. Ma c’è da aggiungere altro.
Ci sono stati e ci sono certuni che si dicono nemici della religione perché essa
‘non ha fatto niente per migliorare l’uomo’ (resta, al solito, imprecisato cosa sia
l’’uomo’). Coloro che parlano in quel modo non conoscono altra religione che il
monoteismo, con tutte le sue problematiche e, in particolare, la sua specifica pretesa
di fare derivare la morale dalla religione. (Sul problema del bene e del male, si veda
poco più avanti.) In ambito monoteista si ‘pecca’/si fa del ‘male’ non necessariamente
perché si abbia causato un danno obiettivo, ma perché si è fatto qualcosa contrario
alla volontà di quel ‘dio’ con il quale si è ‘firmato’ (o è stato per noi firmato) quel tale
contratto. Vero è altro: non è compito della religione quello di rendere l’’uomo’ (di
checché si possa trattare, vedi più sopra) ‘migliore’ o ‘peggiore’. La religione, nel
senso superiore della parola, è l’espressione della percezione esistenziale del sacro, e
con la morale non c’entra.Nello stesso modo che l’espressione della percezione del
sacro dipende da razza ed etnia, anche la morale di ogni compagine umana è
dipendente da razza ed etnia (si tratta di ‘etnoetica’, l’espressione è di Pierre
Chassard). I cosiddetti ‘valori cristiani’ non sono se non le virtù associative, sociali e
famigliari, dei popoli civili, poi contrabbandate come ‘cristiane’. Quale sia la morale –
proprio la morale e non la ‘morale’ fra virgolette – di tante popolazioni incivili può
essere appreso per esempio dalla lettura di qualche libro serio di antropologia
culturale sul tipo di Der Kannibalismus di Ewald Volhardt oppure Race di John Baker
oppure Sesso magico nell’Africa neradi Boris De Rachewiltz. La morale di queste
genti rimane sempre la stessa, anche dopo la loro ‘conversione’ e corrispondente
battesimo, il toccasana di Curzio Nitoglia e di chi gli va assieme (sia qui ricordato il
celebre caso dl reverendo Milingo, poi totalmente insabbiato).
Quanto all’’origine del male’, che l’amico Fabio Calabrese pone come punto-clave
Fabio Calabrese
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per differenziare fra monoteismo e politeismo, vale l’osservazione che si tratta di un
problema che insorge soltanto quando una religione monoteista viene adottata o
imposta su popolazioni che, secondo loro natura, dovrebbero avere una religione
propriacorrispondente a quella natura. Si ricordi che il monoteismo è monoblocco,
esso è sempre ebraismo variamente raffazzonato e il cui ‘dio’ corrispondente è
semprequel Geova veterotestamentario dalla psicologia semitica. Il cristianesimo, ma
anche l’islam, hanno affibbiato a quel figuro, ‘creatore del mondo’, la qualifica di
‘buono’ – e affibbiare quella qualifica a quel figuro, per una mente non obnubilata
dovrebbe sembrare come minimo ridicolo. Ma avendolo, d’ufficio, dichiarato ‘buono’,
risulta immediatamente il problema della presenza del male nel mondo (malesecondo
la qualità etnorazziale del popolo che tale ‘dio ha adottato o a cui esso è stato fatto
adottare) – maleanch’esso opera di quel ‘dio buono’. Sono state proposte diverse
‘soluzioni’, una più balorda dell’altra ma che in diversi casi hanno avuto conseguenze
pratiche disastrose, quando la ‘soluzione’ consistette nello sterminio fisico di chi non
accettasse le proposte teologiche del più forte (esempio spaventoso furono le guerre
contro catari e albigesi nella Francia meridionale). – Da questa problematica insorse
anche l’ipertrofica importanza che fu data, in certi periodi, al ‘diavolo’, l’’anti-dio’ per
eccellenza al quale però ‘dio’ da licenza di fare praticamente quel che vuole, al quale
possono essere addebitate tante malefatte ch sarebbero disdicevoli per il ‘dio’ buono.
Addirittura la creazione del mondo – di un mondo abborracciato – venne attribuita da
gnostici e albigesi a un ‘diabolico’-cattivo‘demiurgo’ (espressione è di Emil Cioran) ,
così scaricando ‘dio’ da certe responsabilità . Secondo altri il bene e il male vanno
obbligatoriamente abbinati in quanto immagine speculare l’uno dell’altro (questa
era l’opinione dell’antroposofo Edgar Dacqué) e così, messo al mondo l’uno, esso
deve essere necessariamente accompagnato dall’altro senza che ‘dio’ ci possa fare
niente.
Strettamente legata a questa casistica è quella della predestinazione: ‘dio’, che è
onnisciente, sa in anticipo chi andrà in paradiso e chi all’inferno, eppure da vita a
tantissime anime già condannate in anticipo – un atto poco confacente alla sua
‘bontà’. Inoltre, la predestinazione comporta la negazione del libero arbitrio, perché
l’uomo non può fare niente di suo per essere agente della sua propria ‘salvazione’. Di
questo, la chiesa cattolica se ne era accorta e aveva cercato, attraverso l’uso di ogni
Fabio Calabrese
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sorta di saltimbanchismi dialettici, di scaricare ‘dio’ anche da questa responsabilità
(si consulti un qualche manuale di teologia dogmatica per laici), arrivando alla
conclusione (mai resa esplicita) che, psicologicamente, ‘dio’ è schizofrenico: egli sa
che i suoi atti causeranno ogni sorta di mali e di sofferenze, ma agisce come se non
lo sapesse. I protestanti sono invece più ‘coerenti’ e senza cercare scantonamenti di
sorta tolgono all’uomo ogni ‘consolazione’: secondo Martino Lutero, uno che se ne
‘intendeva’, l’anima umana è come un asino che ‘dio’ e il diavolo cavalcano a turno e
a loro piacimento; e ‘dio’ ha creato l’uomo per avere uno schiavo da torturare e su
cui fare ricadere la sua ira becera e imprevedibile.
Si potrebbe andare avanti; ma penso che a questo punto si sia ampliato a
sufficienza lo scritto dell’amico Fabio Calabrese. Raccomandiamo al lettore
interessato due libri dello scrivente, Contro il monoteismo, Ghenos, ferrara, 2006 e
La figura mostruosa di Cristo e la convergenza dei monoteismi, Primordia, Milano,
2011. Per chi sappia leggere il tedesco di ottimo riferimento sono i testi di Dietrich
Schuler, in particolare Jesus, Europas falsches Gott, Volk in Bewegung, Erlangen, II
edizione 2009 e Kreatismus als geistige Revolution, Ahnenrad der Moderne, Bad
Wildungen, 2009.
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