METODOLOGIE
La pubblicizzazione dei risultati e la stratificazione
del rischio in Cardiochirurgia
Public release of outcomes and risk stratification in cardiac surgery
Plinio Pinna Pintor*
Riassunto
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Negli ultimi due anni il ministro della Sanità ha rilasciato diverse interviste sulle sue intenzioni di pubblicizzare i risultati
della Cardiochirurgia in Italia, provocando una serie di polemiche giornalistiche, di cui l’ultima ancora recentemente.
L’articolo riporta un breve accenno a questa controversia, una
dettagliata rassegna delle precedenti pubblicazioni e un excursus
sulla discutibile attendibilità delle informazioni riportate da quotidiani e da periodici italiani da un decennio a questa parte.
La rassegna di analoghe pubblicazioni negli Stati Uniti e in
Gran Bretagna dimostra l’attualità del problema di informare
correttamente il pubblico sulla qualità delle cure offerte da
ospedali e medici chirurghi. Si sottolinea il fatto che il diritto all’informazione, ormai affermato dalle leggi e dall’etica giornalistica, non può andare disgiunto da una rigorosa metodologia
per la raccolta e l’elaborazione dei dati che riguardano i risultati delle cure (outcome); si offrono inoltre alcuni esempi di come
il problema è stato affrontato e risolto da parte di enti pubblici,
agenzie private e organi di stampa negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna.
Infine l’Autore, considerato che la mortalità, a torto o a ragione, è uno degli outcome universalmente utilizzati per valutare la performance dei centri cardiochirurgici, descrive e confronta la predittività dei metodi più utilizzati per la predizione
del rischio e la stratificazione dei pazienti, presupposto necessario per il confronto fra centri e chirurghi.
Alla fine, si fa un breve accenno agli sviluppi futuri connessi
al rapido cambiamento della Cardiochirurgia nell’ultimo decennio e ai nuovi strumenti da introdurre per rendere ancora più sensibili le valutazioni della qualità delle cure in Cardiochirurgia.
A distanza di un anno dall’intervista rilasciata a Repubblica1, il ministro della Salute, in un lungo intervento sulla riforma della Sanità al forum di Cernobbio2, ribadisce
il programma di certificazione di Qualità dei servizi – una
sorta di “pagella delle strutture sanitarie” – e l’intenzione
di pubblicare periodicamente i risultati degli ospedali.
Lo scopo è lo stesso enunciato già lo scorso anno:
“soddisfare la richiesta, da parte di chi chiede di essere
curato, di sapere con precisione quali risultati garantisce
la struttura a cui si rivolge”.
Ciò sarà ottenibile “mettendo in Internet” – sosteneva
il ministro – i risultati degli interventi di bypass aortocoronarico dei centri cardiochirurgici italiani che hanno volontariamente partecipato al progetto.
Già in un’intervista analoga pubblicata due anni or so-
no su “Il Sole-24 Ore”3 il ministro annunciava i primi risultati del “Progetto bypass” avviato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con la SICCH dall’inizio del 2002, e destinato a descrivere l’attività di più di
100 centri cardiochirurgici italiani e, per ciascuno dei
centri, la mortalità a 30 giorni, creando così “le pagelle
degli ospedali”, allo scopo di offrire la possibilità ai cittadini di scegliere direttamente dalla pubblicazione on line
le strutture migliori in cui farsi curare.
Verrà illustrato in seguito perché la mortalità è universalmente considerata l’indicatore più affidabile della qualità dei centri cardiochirurgici.
Il programma del ministro di rendere pubblici i risultati della ricerca attraverso la rete o con altri media non si
è ancora avverato completamente, in quanto in Internet
sono state inserite solo statistiche descrittive pubblicate
anche su “Italian Heart Journal”4 ma incomplete per
quanto riguarda i risultati in termini di mortalità e di complicazioni. Questo ritardo ha scatenato una nuova polemica giornalistica con un breve articolo su “Repubbli-
* Fondazione Arturo Pinna Pintor
Via Vespucci, 61 – 10129 Torino
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Parole chiave: pubblicizzazione, “Progetto bypass”, mortalità.
P. Pinna Pintor La pubblicizzazione dei risultati e la stratificazione del rischio in Cardiochirurgia
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ca”5, in cui si fa il processo alle intenzioni sostenendo,
peraltro senza prove dirette, che “il ministro […] ha ritenuto, in accordo con l’Istituto Superiore di Sanità, di non
pubblicarle per stendere un velo su una realtà esplosiva”,
insinuando che la sospensione della pubblicazione sia da
attribuire al proposito di coprire risultati impresentabili di
cinque grandi centri italiani. Nell’articolo si afferma anche che la decisione di non pubblicare i risultati – e ciò
probabilmente corrisponde a verità ed è prova di senso
critico da parte dell’ISS – è dovuta ad alcuni buchi informatici (ospedali che hanno fornito dati carenti).
La risposta della Società Italiana di Cardiochirurgia,
che rappresenta ufficialmente gran parte dei cardiochirurghi e dei centri italiani, non si è fatta attendere. In un documento inviato dal ministro all’ISS e a tutti i centri italiani e all’editore, viene categoricamente smentito l’articolo di “Repubblica”, come malinformazione scandalistica, e si riconfermano il sostegno e la collaborazione dell’ISS e il proponimento di offrire con il registro dell’attività cardiochirurgica italiana uno strumento appropriato
per la verifica di qualità della Cardiochirurgia in Italia al
pari di quanto già realizzato dalla Società Cardiochirurgica Europea e degli Stati Uniti.
Il persistere ormai da alcuni anni nel nostro paese di
una tensione conflittuale tra la comunità giornalistica da
un lato e la comunità medico-scientifica e gli amministratori della Sanità dall’altra esprime il maturare anche
in Italia di una domanda di informazione, propria delle
democrazie evolute, da parte della cittadinanza, con un
certo ritardo. Le prime schermaglie si sono verificate negli Stati Uniti, come si leggerà più avanti, e risalgono a
una quindicina di anni fa.
La domanda di informazione riguarda tutte le specialità, ma è stata – e lo è tuttora – particolarmente pressante,
non solo in Italia, per la Chirurgia cardiaca e per il bypass
coronarico, che ne è la forma più comune.
Se il dilemma di rendere pubblici o meno i risultati dei
centri cardiochirurgici non può non essere risolto, presto
o tardi, se non in senso positivo, il problema di quali risultati pubblicare e di come pubblicarli per garantirne la
validità è ancora aperto.
Come si vedrà più avanti, la pubblicizzazione dei risultati ha rilevanti ripercussioni sulle scelte dei cittadini e ricadute di immagine, sulle capacità di attrazione e sul volume di attività dei centri ospedalieri e dei cardiochirurghi.
Merita pertanto di essere approfondita una volta per tutte,
per creare una conoscenza dei fatti condivisibile sotto il
profilo metodologico dalle società scientifiche, dagli enti
erogatori, dagli utilizzatori dei Servizi Sanitari e dai media.
Il proponimento del ministro, pertanto, di rendere pubblici i risultati delle ricerche del “Progetto bypass” sulla
performance di ospedali e chirurghi si inserisce in questa
realtà ed è innovativo per l’Italia, mettendoci al passo con
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gli altri paesi nelle iniziative per la disseminazione dell’informazione sanitaria. Il progetto, infatti, rappresenta
un innegabile progresso, in quanto le classifiche di cui si
propone la pubblicazione sarebbero basate su indicatori
più validi di quelli sino a oggi utilizzati da tutte le altre
pubblicazioni che da anni e ancora recentemente compaiono su quotidiani, rotocalchi e loro supplementi.
La pubblicazione su periodici o supplementi speciali
di rotocalchi di classifiche di medici e chirurghi, iniziata
da “Epoca” nel 19946, seguita da “Panorama” nel 19987,
ha suscitato già allora la vivace reazione dell’Ordine dei
Medici e relativo esposto alla Magistratura con l’accusa
di pubblicità subdola, e – ciò che più conta – la critica per
la mancanza di criteri scientifici alla base della classificazione8. Il successo editoriale di queste pubblicazioni, che
dimostra la richiesta di nuove fonti di informazione sanitaria per la popolazione, ha indotto altri periodici e quotidiani a continuare a produrre servizi giornalistici in cui
vengono classificati ospedali e medici.
Nell’ottobre 1999 l’“Espresso”9 pubblica un lungo articolo con un titolo drammatizzante in copertina: Dove salvarsi la vita. Gli ospedali migliori e quelli da evitare; e
“Panorama”, nel settembre 2002, un servizio dal titolo:
Come salvarsi il cuore. Guida completa ai migliori centri
italiani10. Dal 1° giugno 2003 sono stati distribuiti supplementi settimanali “Salute”11 del “Corriere della sera”, dedicati agli “ospedali di eccellenza” in sei specialità.
I limiti fondamentali di queste pubblicazioni, come di
quelle che le hanno precedute, stanno nella scelta dei criteri utilizzati per la classificazione; in particolare, per
quanto riguarda la pubblicazione sull’“Espresso” del
1999, che ha maggior attinenza con il programma di divulgazione del ministro, in quanto riporta i dati di mortalità per gli interventi cardiochirurgici di quasi tutti i centri cardiochirurgici italiani (78), senza tenere conto della
stratificazione del rischio della popolazione degli operati.
Nella pubblicazione di “Panorama” del 2002 vengono
elencati gli “ospedali del cuore” del Nord, Centro e Sud
Italia con le loro caratteristiche strutturali (numero letti,
le loro sub-specializzazioni, nome dei responsabili di
Cardiologia e Cardiochirurgia), ma nessun dato sui risultati, né vengono indicati i criteri in base ai quali è stata effettuata la selezione, che di fatto considera quasi esclusivamente i centri ospedalieri pubblici e universitari e le
strutture private più importanti. E in quelle più recenti del
supplemento “Salute” del “Corriere della sera” vengono
indicati per ogni specialità solo i sei centri caratterizzati
dalla qualità della produzione scientifica (numero di pubblicazioni e impact factor medio), sia pure con la riserva
da parte degli Autori che non sempre a importanti risultati scientifici corrispondono buoni risultati clinici.
In Italia, dunque, da un decennio, all’ineludibile e crescente richiesta di informazioni sulla qualità degli ospe-
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QA
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dali e dei medici è stato risposto con una serie di pubblicazioni non ufficiali, con le caratteristiche di servizi e
scoop giornalistici, più che di relazioni tecnico-scientifiche, il cui effetto è stato in alcuni casi fuorviante. Ciò infatti è successo dopo la pubblicazione di graduatorie basate sulla mortalità grezza dei centri cardiochirurgici italiani nel 1999, che ha compromesso per un certo tempo la
reputazione di alcuni centri cardiochirurgici ed è stata una
severa punizione, anche se non ufficialmente sanzionata,
in molti casi immeritata sia per gli ospedali sia per i chirurghi, per la perdita di referenti cardiologi e di pazienti.
Merita a questo proposito ricordare l’autorevole affermazione di Kassirer12, ex direttore del NEJM: “il pubblico ha il diritto di conoscere la qualità del suo medico, ma
è irresponsabile diffondere informazioni di dubbia validità suscettibili di essere interpretate in modi diametralmente opposti, o troppo tecniche per essere apprese dai
profani”; tale affermazione dovrebbe costituire, almeno
per il futuro, un severo monito contro la divulgazione di
informazioni di qualsiasi natura sulla performance degli
ospedali e dei chirurghi che non abbiano una validità
scientificamente provata.
A confronto con le notizie prive di documentazione
scientifica fornite dalla stampa periodica in Italia sino a oggi, il “Progetto bypass” costituisce un innegabile salto di
qualità, sia per l’autorevolezza della fonte dei dati, sia per
l’introduzione del criterio di tenere conto, per il confronto
fra i centri, della mortalità corretta in base alla gravità dei
pazienti. Alcune riserve vanno tuttavia rivolte alla validità
della metodologia proposta e sviluppata sino a ora. Innanzitutto per la volontarietà del reclutamento dei centri, che
costituisce un forte bias di selezione ai fini della determinazione del profilo nazionale della Cardiochirurgia13, 14, sia
per la struttura composita della scheda15, sia per la definizione di mortalità a 30 giorni che si tende a considerare oggi un criterio inattendibile16-18, sia infine per la mancanza
di un limite minimo di interventi per il reclutamento dei
chirurghi, come è richiesto in tutti i modelli diffusamente
adottati nella comunità internazionale dei cardiochirurghi.
A questo punto, una breve storia della pubblicizzazione dei risultati, delle controversie che essa ha suscitato e
dell’esperienza ricavata in altri paesi può essere utilizzata per il miglioramento del progetto in corso d’opera, a
beneficio dei pazienti e del Servizio Sanitario.
La pubblicizzazione dei risultati dell’attività ospedaliera – espressa dalla mortalità – ha avuto inizio 15 anni
or sono negli Stati Uniti e, dopo una controversia legale
tra la Health Care Financing Administration e il “New
York Times”, che ha avuto la meglio in base alla legge
Freedom of Information Act, i dipartimenti della Sanità e
gli ospedali sono stati costretti a rilasciare periodicamente i cosiddetti report cards dei singoli centri, cioè i dati
sui risultati.
METODOLOGIE
Ciò che per altro non ha mancato di provocare proteste dei medici e degli ospedali per l’imprecisione dei metodi di predizione della mortalità19.
Da quell’epoca la pubblicizzazione è di fatto resa obbligatoria nella gran parte degli Stati Uniti e attualmente
la National Association of Health Data Organization
(NAHDO) ha ricevuto l’incarico da 37 stati di raccogliere dati sullo stato della Sanità della popolazione20.
Pubblicizzazioni governative
Negli Stati Uniti la pubblicizzazione dei risultati di centri
ospedalieri di ogni specialità, e in particolare di quelli
cardiochirurgici, è promossa, realizzata e pubblicata direttamente dai dipartimenti della Sanità, sia on line sia su
opuscoli annuali o biennali.
In alcuni stati è iniziata già da più di 10 anni (New
York, 198921; New Jersey, 198922; Pennsylvania, 199223);
in altri molto più recentemente: California, 199724; Maryland, 199925; Texas, 200026; Virginia, 200127).
Di seguito sono menzionate le principali caratteristiche delle pubblicazioni governative sulla performance di
ospedali e chirurghi negli Stati Uniti.
• Obbligatorietà. Le pubblicazioni governative di interesse per la presente trattazione sono quelle che riportano i dati della performance degli ospedali e dei chirurghi sugli interventi di bypass o di cardiochirurgia
in generale e, tra quelle attualmente disponibili, sono
in linea già da molti anni. La caratteristica comune di
queste pubblicazioni è il fatto di basarsi su una raccolta di dati obbligatoria affidata o direttamente al dipartimento (New York, New Jersey) o ad agenzie indipendenti (NAHDO), come in Pennsylvania, o da
agenzie private (Pacific Business Group) e statali
(Health Planning and Development), come in California, unico stato, peraltro, in cui la raccolta di dati è su
base volontaria.
• Volume di attività discriminante. Un’altra importante caratteristica nel metodo di raccolta dei dati è
che vengono presi in esame e analizzati solo quelli dei
chirurghi con un numero minimo di interventi all’anno o nel triennio di riferimento: ad esempio, nel CSRS
di New York21, la cui ultima edizione è del 2002 e riguarda il periodo 1997-99, la soglia per il reclutamento dei chirurghi è di 200 interventi nel periodo di tre
anni ed è stato così dall’inizio della pubblicazione;
nella classificazione del New Jersey22, il numero minimo è di 100 pazienti nei due anni di osservazione,
ultimo dei quali è del 1998-99. Nella classificazione
della Pennsylvania Guide to coronary bypass graft
surgery23, la cui ultima edizione del 2000 riporta i dati del periodo 1998-2000, il numero minimo per la
classificazione è di 115 interventi all’anno.
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Il California coronary artery bypass graft surgery
(CABG) mortality reporting Program, la cui ultima
edizione fa riferimento al periodo 1997-9824, riguarda
soltanto la mortalità specifica degli ospedali.
• Tipo di outcome. In quasi tutti i progetti l’outcome
valutato è la mortalità indicizzata basata su modelli
predittivi elaborati su un numeroso campione di casistica propria; così avviene per quelli di New York
(18 814 casi), New Jersey (16 584 casi), Pennsylvania
(27 448 casi) e California (30 814 casi).
La metodologia statistica è basata, in generale, su una
regressione logistica in cui vengono inserite le principali caratteristiche pre-operatorie dei pazienti; il loro
peso nella predizione della mortalità viene valutato
come coefficiente e utilizzato per la definizione della
mortalità attesa per ciascun paziente e per il gruppo
che presenta quelle caratteristiche di rischio e quelle
probabilità di morte.
• Metodo per la classifica. Il punteggio è effettuato sia
calcolando il rapporto fra mortalità osservata e attesa
nominativa di ciascun chirurgo e ciascun centro (New
York e New Jersey), sia con la definizione dicotomica
per ogni centro e per ogni chirurgo se è al di sopra o
al di sotto della mortalità attesa. Analogamente, nel
progetto californiano, in cui il modello predittivo è
elaborato in regressione logistica, la classificazione
della performance degli ospedali viene affidata a stellette: tre per gli ospedali in cui la mortalità è inferiore
a quella attesa, due per quelli in cui sta nei limiti di
quella attesa, una negli ospedali con mortalità superiore a quella attesa.
Pubblicizzazioni non governative
Le più importanti, anche se meno note, sono quella dell’Agenzia Health Grades28 e quella raccolta e pubblicata
da “US News” 29 di cui si dirà più avanti.
Fra le pubblicazioni non governative di rilievo negli
Stati Uniti figura quella dell’agenzia indipendente Health
Grades – The Health Care Quality Experts28, una corporazione privata che raccoglie tutti i dati obbligatoriamente
registrati per legge dal Center of Medicare and Medicare
e da Med Pars Data Base di tutti i ricoverati negli Stati
Uniti, esclusi gli ospedali della Veteran Administration.
A differenza delle precedenti pubblicazioni governative, che riguardavano esclusivamente la Cardiochirurgia,
queste hanno documentato la classificazione degli ospedali per tutte le specialità medico-chirurgiche.
Il periodo di osservazione è di tre anni dal 1999 al 2002
per garantire una sufficiente numerosità ai fini statistici.
Gli outcome della performance sono la mortalità e le
complicazioni indicizzate sulla base di modelli statistici
specifici, sviluppati per ciascuna coorte di pazienti e cia-
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scun outcome, usando una regressione logistica.
La classificazione viene effettuata – come nel modello
californiano – sul rapporto tra performance osservata e attesa: se è migliore cinque stellette, se non è diversa statisticamente da quella attesa tre stellette, se è peggiore di
quella attesa una stelletta. I dati sono in linea e forniscono
per ogni specialità e per ogni chirurgo la numerosità dei
casi e le stellette inerenti la classificazione sulla mortalità.
La più nota pubblicazione non governativa sulla qualità degli ospedali degli Stati Uniti è quella della rivista
“US-News and World Report”29, che dal 1990 pubblica
una rubrica dal titolo America’s Best Hospitals. Si tratta
della prima classifica, in ordine di tempo, dei 50 migliori
ospedali degli Stati Uniti in 17 specialità.
La classificazione è basata su un punteggio composito
relativo alle tre dimensioni della qualità (struttura, processo e outcome), e non solo sull’outcome, come in tutte
le classificazioni governative degli Stati Uniti precedentemente citate.
I dati utilizzati per la classificazione sono stati ricavati dalla pubblicazione annuale dell’AHA del 2000 e dal
centro dei servizi Medicare (Medicare, MEDPARS database), che contiene tutte le informazioni sui pazienti dimessi.
La metodologia per le misure di qualità è stata elaborata da un servizio dell’Università di Chicago (National
Opinion Research Center, NORC)30, mentre la raccolta,
l’elaborazione e la classificazione dei dati, cioè delle report cards, è stata promossa e pubblicata dalla rivista
“US-News and World Report”29.
Nel 2003 il periodico pubblica la 13a edizione dell’America’s Best Hospitals, classificando i 50 migliori ospedali su 205 centri terziari selezionati da 6045 in 17 specialità.
Gli indicatori utilizzati per il punteggio e la classificazione, come accennato in precedenza, sono i seguenti:
– la reputazione dell’ospedale, basata sul giudizio
espresso da 180 specialisti interpellati a caso sui migliori cinque ospedali della loro specialità;
– la mortalità indicizzata, espressa dal rapporto fra mortalità osservata e quella attesa stratificando i pazienti
in base alle loro caratteristiche fornite dall’APRDRG;
– vengono infine considerati il volume di attività, indicato dal numero di dimessi nel corso dell’anno, il rapporto infermieri/letti e la disponibilità di alte tecnologie.
A seconda delle specialità, alcuni indicatori del punteggio possono essere diversi, così come la posizione in
graduatoria degli ospedali. Ad esempio, la Cleveland Clinic da molti anni è al primo posto per la Cardiologia e la
Cardiochirurgia, mentre il John Hopkins di Baltimora per
le malattie digestive.
Si può concludere che negli Stati Uniti ormai da molti
anni sia la pubblica amministrazione sia agenzie private e
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periodici forniscono copiose informazioni in rete e su
pubblicazioni cartacee contenenti graduatorie nominative
di ospedali e chirurghi in diverse specialità, ma in particolare in Cardiochirurgia, basate sulla mortalità indicizzata come outcome primario.
Anche se molte sono le differenze culturali, di costume, economiche e politiche fra la nostra società e quella
statunitense, alcuni princìpi universali come il diritto all’informazione del cittadino ci accomunano e giustificano
la scelta di emulazione, da parte del ministero nel merito,
nel pubblicizzare i risultati degli interventi, con le riserve
metodologiche di cui si è fatto cenno in precedenza.
Inghilterra
90
Altre esperienze di pubblicizzazione più recenti sono
quelle inglesi. Si tratta di cinque supplementi del “Times”
pubblicati nel novembre 2001 (le edizioni più recenti sono consultabili su Internet) dal titolo Hospital Consultant
Guide31, ognuno dei quali dedicato a una specialità medica o chirurgica. I dati riportati nei supplementi sono ricavati dalle pubblicazioni annuali del ministero della Sanità inglese, definite “Hospital Episode Statistics”, che riguardano tutti i ricoveri per acuti con dati ricavati dalle
schede di dimissione. Il primo di questi supplementi è dedicato alla Cardiochirurgia e pubblica i dati sul volume di
attività di tutti gli ospedali che effettuano almeno 1000
bypass nel corso di cinque anni. La mortalità è indicizzata sulla base di una regressione logistica contenente numerose variabili demografiche, cliniche (comorbilità) e
chirurgiche. Non è specificato tutto il procedimento e la
classificazione degli ospedali non è espressa da punteggi
ma dal rapporto tra la mortalità osservata e attesa di ogni
singolo centro e la mortalità nazionale basata sui dati degli ultimi tre anni. Per ogni centro ospedaliero viene indicato se la mortalità indicizzata è superiore, inferiore o paritaria alla media nazionale. La guida contiene inoltre l’elenco di tutti gli specialisti basata sul numero di pubblicazioni prestigiose su riviste con alto impact factor e,
inoltre, un elenco di tutti gli specialisti operanti nel NHS
con i loro curricula e dati di recapito, liste d’attesa ecc.
La diffusione recente anche in Gran Bretagna della divulgazione delle performance dei centri cardiochirurgici
è un’ulteriore conferma dell’opportunità e dell’attualità
della scelta del ministero. A proposito delle modalità di
classificazione va notato che in Italia non si dispone attualmente di una media nazionale o regionale della mortalità chirurgica per bypass coronarico da utilizzare come
standard di riferimento. Gli unici dati riguardano i 2637
pazienti inerenti tutta la Cardiochirurgia, dei quali 1324
bypass, raccolti in 23 centri italiani per l’elaborazione
dell’EuroSCORE nel 199532. Come è noto, da allora la
mortalità è diminuita e il rischio medio dei pazienti è aumentato in tutto il mondo occidentale; inoltre i 23 centri
METODOLOGIE
che hanno partecipato alla raccolta dei dati costituivano
allora poco più di un terzo di tutti i centri cardiochirurgici italiani (più di 60) e quindi è presumibile che siano stati forniti soprattutto i dati dai centri con migliori risultati.
Pertanto questi valori di mortalità nazionale, i migliori in
Europa per i bypass (2,4%)33, sono il frutto di un bias di
selezione che è tipico del reclutamento volontario. Anche
questo è un limite metodologico delle modalità di reclutamento del “Progetto bypass”.
Indipendentemente dalla diversità dei metodi impiegati sia per la definizione della mortalità indicizzata sia per
le dimensioni dei campioni utilizzati per la classificazione dei centri, la mortalità rimane, almeno per il momento
– nell’ambito della Cardiochirurgia e della Chirurgia coronarica in particolare – l’indicatore ufficiale per la valutazione esterna della qualità dei centri e dei chirurghi.
PERCHÉ LA MORTALITÀ
La mortalità è l’evento più grave e inequivocabile e di facile accertamento. Per questi motivi, da due decenni gran
parte delle ricerche è stata dedicata alla valutazione e all’individuazione dei suoi fattori di rischio34.
Vi sono diversi motivi, tuttavia, che rendono l’uso della mortalità globale o grezza di ciascun centro un indicatore inaffidabile della qualità della Chirurgia.
La mortalità è un evento relativamente raro ed è soggetto ad ampie fluttuazioni causali, che incidono specialmente sulle coorti di piccole dimensioni: ad esempio, in
un centro che opera solo 100 pazienti all’anno, ci aspettiamo che si verifichino quattro decessi; non ci dobbiamo
aspettare che avvenga un decesso esattamente ogni 25 pazienti operati. Se tutti e quattro i decessi avvenissero tra i
primi 25 pazienti operati, evenienza possibile, la mortalità sarebbe mostruosa (pari al 16%); se invece non se ne
verificasse alcuna – evenienza altrettanto possibile –, il
centro potrebbe essere considerato di eccellenza, non
avendo riscontrato alcun decesso.
Tanto più numerosa è la casistica, tanto più affidabile è la
stima degli eventi che si osservano.
In secondo luogo la mortalità globale non è un buon indicatore e non può essere utilizzata per i confronti se non
è correlata alla gravità dei pazienti, in quanto i pazienti
più gravi hanno un maggiore rischio di mortalità perioperatoria.
La mortalità non è l’unico evento rilevante e l’attenzione
dei ricercatori negli ultimi anni si è rivolta a considerare
altri rischi, quali le complicazioni, la durata della degenza, il rientro in ospedale a breve termine, la capacità di
superare le complicazioni e i costi.
Infine la mortalità in Cardiochirurgia non è risultata un
evento stabile nel corso degli anni, come si descriverà con
maggiori dettagli in seguito.
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METODOLOGIE
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Può interessare il cardiochirurgo che dovrà utilizzare
modelli per la valutazione del rischio un breve accenno
alla metodologia comunemente utilizzata per la loro elaborazione, che consiste in:
– individuazione delle caratteristiche dei pazienti cardiochirurgici associate al rischio di mortalità ospedaliera, ovvero i fattori di rischio di mortalità;
– utilizzo di tali caratteristiche per formare classi o strati di pazienti omogenei rispetto ad esse;
– creazione di un modello predittivo di mortalità attesa
per ciascuno strato, ricavato da un campione di popolazione di operati di dimensioni sufficienti per l’analisi statistica;
– validazione della predittività del modello in un altro
campione di operati, generalmente nello stesso centro
in cui il modello è stato derivato retrospettivamente,
suddividendo in due metà la casistica, o su un secondo campione raccolto in modo prospettico nello stesso centro.
QA
I modelli attualmente utilizzati per la stratificazione
del rischio dei pazienti operati di cuore in Europa e in
Nordamerica sono una decina (Tab. 1), ma presentano
difformità che ne rendono difficile il confronto; le difformità risiedono nei seguenti punti:
1. numero dei centri che hanno partecipato all’elaborazione dei modelli;
2. periodo di raccolta dei dati per l’individuazione dei
fattori di rischio:
3. numerosità del campione;
4. tipo di chirurgia (coronarica, valvolare o combinata);
5. eventi considerati come variabili dipendenti (mortalità, complicazioni, durata della degenza);
6. numero dei fattori di rischio, definiti anche variabili
indipendenti;
7. diversità dei criteri di definizione e dei relativi punteggi.
Tabella 1 – Caratteristiche generali dei 10 modelli analizzati
Autori o
titoli
ricerche
N. centri
partecipanti
Periodo
raccolta
dati
Classi
rischio
N. pazienti
per
determinare
il fattore
di rischio
Evento
Tipo di
chirurgia
N. fattori
di rischio
Kennedy (CASS)35
15
1975-78
–
6176*
M
Solo CABG
20
Parsonnet36
1
1982-87
5
3500
M
Tutta
15
Higgins37
1
1986-88
9
5051
O’Connor38
M
Solo CABG
+ complicanze
9
5
1987-89
–
3055
M
Solo CABG
8
STS39
374
1995
7
138 762
M
Solo CABG
28
Hannan40
30
1989-92
–
57 187
M
Solo CABG
14
Tuman41
1
1990
6
3156
M
+ LOS
+ complicanze
Tutta
11
Tu (Ontario) 42
9
1991-93
3
6213
M
+ LOS
+ ICU
+ OSP
Tutta
6
Roques43
42
1993
4
7182
M
Tutta
8
EuroSCORE44
128
1995
3
13 302
M
Tutta
18
* Il numero dei pazienti è quello su cui sono stati individuati i fattori di rischio. Il numero delle variabili si
riferisce a quelle risultanti dopo l’analisi multivariata e mutualmente esclusive.
M = mor talità
LOS = durata della degenza (Length Of Stay)
ICU = Unità di terapia intensiva (Intensive Care Unit)
OSP = ospedalizzazione protratta
CABG = Chirurgia coronarica (Coronar y Ar ter y Bypass Graft)
91
QA
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Le differenze dei punti 6 e 7 sono quelle che maggiormente ostacolano il confronto della validità dei modelli.
Ad esempio, per la variabile “età” (Tab. 2) la tendenza a
operare nel corso del decennio pazienti sempre più anziani può spiegare l’innalzamento della soglia.
Altre rilevanti differenze che possono incidere in maniera determinante sul punteggio di rischio di ogni paziente sono variabili categoriche, come la priorità chirurgica (Tab. 3).
Secondo i criteri STS Ontario – EuroSCORE, se per
emergenza si intende l’intervento da effettuare entro le 24
ore, il punteggio di rischio è rispettivamente di 5, 4, 2 volte quello della Chirurgia elettiva. Se per emergenza si intendono quelli dovuti alle complicazioni dell’angioplastica, delle coronarografie, o alla riparazione della rottura
del setto, il punteggio sale a 10.
È ipotizzabile che la diversità dei criteri utilizzati per
la definizione delle emergenze possa far spostare i pazienti da una classe all’altra di rischio, viziando il giudizio sulla qualità della Chirurgia. È proprio sulla classificazione dei casi di emergenza che si basa in gran parte la
differenza di mortalità grezza dei centri.
Se si prescinde dalla diversità dei valori numerici dei
punteggi e si considera l’equivalenza biologica di alcuni
di essi, tuttavia, si può constatare che alcune variabili
principali sono state definitivamente confermate come
fattori di rischio indipendenti da tutti gli Autori (Tab. 4).
METODOLOGIE
È parso superfluo ormai da alcuni anni costruire nuovi
modelli, ma sempre più utile confrontare gli esistenti per
accertare le differenze di predittività e individuare i migliori per adottarli nella pratica.
Tabella 2 – Differenze di classificazione
e di punteggio della variabile “età”
Autore
N.
Classi età
Punti
2
<60; >60
Imprecisato
3
<65; 65-74;
≥75
1-2
Higgins37
3
<65; 65-74;
≥75
1-2
O’Connor38
6
<55; ≥75
1-4,7
Parsonnet36
4
<70; 70-74;
75-79; ≥80
7; 12,20
Roques43
4
<70; 70-74;
75-79; ≥80
3; 4,5
STS39
3
<50; 50-70;
>70
1,4%;
2,6%; 6%
Coefficiente AB
(età)2: 100
Kennedy35
Tuman41
Hannan40
Tu42
3
<65; 65-74;
≥75
0,2-3
EuroSCORE44
2
<60; >60
1 ogni 5 anni
Tabella 3 – Criteri adottati dai diversi Autori per la definizione della priorità chirurgica
Emergenza
Kennedy
(CASS)35
Parsonnet36
Tuman41
Tu (Ontario)42
O’Connor38
STS39
92
Punti
Intervento da effettuare
lo stesso giorno della
coronarografia
Urgenza
Punti
Intervento da eseguire
entro 6 giorni
–
Intervento per complicazioni
da cateterismo o PTCA
10
–
–
Intervento per compromissione
emodinamica acuta, angina
intrattabile, complicazione
di PTCA con lesione arteriosa
4,8
–
–
Intervento da effettuare
entro 24 ore
dall’invio del paziente
4
Da effettuare per la gravità
e l’instabilità dell’angina,
dell’anatomia coronarica
o per il rischio ischemico
1
Condizioni della cardiopatia,
intervento nell’ordine di ore
per evitare complicanze
e morte del paziente
4,4
Quando il paziente
non può essere dimesso
prima dell’operazione
2,1
Intervento entro un’ora
dal cateterismo
e in ogni caso entro 24 ore
5
Entro due giorni
–
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METODOLOGIE
Volume 15, Numero 2, Giugno 2004:86-99
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Tabella 4 – Fattori di rischio comuni nei modelli analizzati
Fattori di rischio
Parsonnet Higgins O’Connor
STS
NY
Tuman
Tu
Roques
Euro
SCORE
Età avanzata
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Sesso femminile
+
–
+
+
+
+
+
+
+
Disfunzione
ventricolare grave
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Reintervento
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Disfunzione renale
+
+
+
–
+
+
–
–
–
Valvulopatia
+
+
–
–
+
–
–
–
–
Emergenza
+
+
+
+
+
+
+
+
+
CONFRONTO TRA MODELLI
di di sette pazienti deceduti, per nessuno di essi risultava
un punteggio predittivo al 100% di mortalità (Tab. 6) .
La nostra conclusione è che, mentre i modelli sono in
grado di classificare con accuratezza la frequenza di mortalità in una coorte di pazienti, non lo sono nella predizione individuale, cosa che si spiega con il concetto bayesiano della probabilità pre-test. La scarsa predittività
individuale, quindi, non dipende dal tipo di modello di
stratificazione scelto, ma rappresenta un limite intrinseco
di ogni tentativo di predire eventi che si verificano con
un’incidenza molto bassa. Infatti è ben noto che, in base
al teorema di Bayes, il valore predittivo positivo è molto
basso quando la prevalenza dell’evento è bassa, anche se
il test ha un’elevata sensibilità e specificità. Nel caso della Cardiochirurgia, in cui l’incidenza della mortalità si attesta intorno al 2-4%, è quasi impossibile prevedere il decesso del singolo individuo, perché permane un margine
di imponderabilità non codificabile anche individuando
altri fattori di rischio pre-operatori.
Per chi deve adottare un modello, è importante valutare le
capacità predittive a confronto con gli altri modelli disponibili. A questo proposito sono ormai numerosi i confronti fra diverse combinazioni di modelli.
In un nostro recente studio45, in cui abbiamo messo a
confronto CCF, NJ, FS, EuroSCORE nella nostra casistica, tutti i modelli utilizzati hanno dimostrato eccellente
accuratezza nella predizione dell’incidenza di mortalità di
tutta la coorte (Tab. 5), con un punteggio di accuratezza
(indice di Shannon) vicino all’unità in tutti i quattro modelli confrontati, anche se – utilizzando le curve ROC – il
modello di Parsonnet ha dimostrato una minore accuratezza nella classificazione dei pazienti (area sotto la curva 0,60 verso CCF 0,977, FS 0,975, EuroSCORE 0,97).
Al contrario, nessuno dei modelli ha dimostrato la benché minima accuratezza nell’individuare la mortalità dei
singoli. Infatti, se si considerano i punteggi di rischio me-
Tabella 5 – Mortalità osservata e attesa in base alle probabilità calcolate con regressione logistica, area sotto
le curve ROC, numero di pazienti correttamente classificati e punteggi di accuratezza dei 4 modelli
NBI Score*
(%) ± SD
CCF Score°
(%) ± SD
French Score§
(%) ± SD
EuroSCORE
(%) ± SD
Punteggi medi
1,12 ± 1,59
1,45 ± 1,87
1,82 ± 2,39
2,32 ± 2,0
Intervallo dei punteggi
da 0 a 9,74
da 0 a 11
da 0 a 11
da 0 a 11
2,2 (p = 0,10)
10,3 (p = 0,0013)
5,8 (p = 0,01)
5,2 (p = 0,02)
0,60
0,86
0,82
0,81
48
82
79
76
0,978 ± 0,12
0,977 ± 0,12
0,975 ± 0,12
0,970 ± 0,11
Probabilità
Area sotto la curva ROC
Pazienti classificati correttamente
Punteggi di accuratezza
* Punteggio del New Jersey Beth Israel (Parsonnet).
° Punteggio della Cleveland Clinic Foundation.
§
Punteggio francese (Roques).
93
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Tabella 6 – Punteggi e indice di accuratezza dei pazienti deceduti entro 30 giorni dall’intervento e dei sopravvissuti
Punteggi
Pazienti deceduti
CCF
Score
French
Score
Euro
SCORE
NBI
Score
CCF
Score
French
Score
Euro
SCORE
0
1
4
5
0,06
0,04
0,08
0,04
2
0
2
4
4
0,10
0,10
0,06
0,04
3
0,03
5
3
3
0,14
0,08
0,04
0,08
4
2,2
4
4
5
0,16
0,08
0,04
0,07
5
6,05
4
2
5
0,12
0,10
0,14
0,10
6
1,1
5
7
4
0,20
0,18
0,10
0,15
7
5,46
9
5
6
0,29
0,14
0,04
0,16
Media ± DS
dei pazienti deceduti
2,1 ±
2,6
4,2 ±
2,5
4,1 ±
1,6
4,6 ±
1,0
0,15 ±
0,07
0,10 ±
0,05
0,07 ±
0,04
0,09 ±
0,05
Media ± DS
1,1 ±
dei pazienti sopravvissuti 1,5
1,3 ±
1,7
1,7 ±
2,2
2,2 ±
1,9
0,99 ±
0,001
0,99 ±
0,001
0,99 ±
0,002
0,99 ±
0,001
P
0,008
0,042
0,001
0,0001
0,0001
0,0001
0,0001
1
0,045
L’opinione diffusa dagli specialisti è pertanto che non si
potrà probabilmente ottenere un’accuratezza predittiva dei
modelli tale da individuare – ai fini delle scelte cliniche –
i pazienti che sicuramente andranno incontro alla morte e
che ragionevolmente non dovrebbero essere operati.
Fatte queste precisazioni, rimane sempre indiscussa
l’“utilità” della stratificazione del rischio e del calcolo
del rischio medio della coorte di pazienti operati per il
controllo interno ed esterno della qualità dei centri, basandosi sempre sul rapporto fra mortalità osservata e
mortalità attesa, che per essere accettabile dovrebbe essere = 1.
Sviluppi futuri e paradosso del rischio
L’osservazione dei dati contenuti nei registri di Cardiochirurgia nazionali e plurinazionali ha dimostrato che, a
partire dalla metà degli anni Ottanta, si sono verificati
contemporaneamente un aumento del rischio pre-operatorio di mortalità (Tabelle 7 e 8) e una lieve diminuzione
della mortalità operatoria: il paradosso del rischio46, 47.
94
Accuratezza
NBI
Score
Tabella 7 – Aumento del rischio medio di mortalità
secondo il modello di Parsonnet
e di Higgins
Punteggio medio del rischio di mortalità
Anni
Newark
Beth
Israel
Hospital
(Parsonnet)48
1988
6,5
1989
6,7
1990
7,1
1991
8,9
1992
9,3
1993
9,6
1994
9,6
National
Cleveland
Adult
Clinic
Cardiac
Foundation
Surgical
(Higgins)50
Database
(Parsonnet)49
1995
1996
5,0
2,9
1997
5,0
3,0
1998
5,5
3,1
1999
6,0
3,1
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Tabella 8 – Riduzione della frazione di eiezione media e aumento della prevalenza di alcuni fattori di rischio
di mortalità per la Chirurgia coronarica dal 1980 al 2000
Prevalenza di pazienti con:
Anni
Età
Frazione di
eiezione media
(%)
Tronco
comune
(%)
Chirurgia
non elettiva
(%)
Insufficienza
renale
(%)
1980
58
62
1985
62
54
7
5
2,5
9
20
2,6
1990
64
1995
64
52
11
26
2,7
50
18
34
2000
65
3,8
49
20
40
4,2
Questo divario è causato dalla tendenza dei modelli di
predizione pre-operatoria a sovrastimare il rischio di mortalità rispetto alla mortalità osservata (Figure 1 e 2)51, 52.
Infatti, questi modelli sono stati elaborati 10-15 anni fa e
sono espressione di una tecnologia chirurgica non in grado di far sopravvivere una quota di pazienti ad alto rischio, che invece, con le attuali tecnologie, non muoiono
nel periodo peri-operatorio. Il decorso di questi pazienti è
usualmente caratterizzato da complicazioni, da una lunga
degenza in terapia intensiva (Tab. 9), da un’alta mortalità
tardiva, da una scadente qualità della vita e da uno sproporzionato consumo di risorse53. Pertanto, l’attenzione
della comunità dei cardiochirurghi e degli organizzatori
della Sanità si è rivolta alla ricerca dei fattori di rischio
pre-operatori e peri-operatori che determinano l’insorgenza di complicazioni e il prolungamento della degenza.
A questo proposito abbiamo recentemente verificato l’accuratezza predittiva dell’EuroSCORE, che nella nostra
casistica si è dimostrato in grado di predire non solo la
mortalità, ma anche i costi e la durata della degenza in terapia intensiva (Fig. 3)54, 55.
Tale tipo di previsioni può servire a sensibilizzare gli
operatori sul problema dell’appropriatezza delle indicazioni all’intervento e sull’opportunità di individuare i pazienti cui sconsigliare la Cardiochirurgia e proporre l’alternativa di terapie mediche o interventistiche.
Figura 1 Mortalità annuale attesa (quadratino chiaro) e osservata (quadratino scuro) dopo bypass aortocoronarico isolato
95
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METODOLOGIE
Figura 2 Mortalità attesa (quadratino chiaro) e osservata (quadratino scuro) dopo bypass aortocoronarico isolato dal 1994 al 1997
Tabella 9 – Destino dei pazienti lungodegenti in terapia intensiva
Soglia degenza
in terapia
intensiva
Pazienti (%)
Ryan56
>14 giorni
Bashour57
<10 giorni
>10 giorni
Holmes
Pinna
96
Pintor53
Mortalità
ospedaliera
(% pazienti)
Mortalità
nel follow-up
(% pazienti)
3,8 (307)
42
–
94,6
5,4
1,5
33,1
–
34 a 12 mesi
>48 h
7,2
33,3
9,3 a 12 mesi
<48 h
>48 h
>5 giorni
>10 giorni
78,7
21,3
6,1
3,3
0,8
12,5
36,6
50
1,6 a 3 mesi
25,3 a 3 mesi
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METODOLOGIE
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Figura 3 Correlazione tra EuroSCORE logistico, costi e LOS-ICU. Per un incremento di 1 punto EuroSCORE si ha un
aumento dei costi del 2,6% e di 4,5 ore di degenza in terapia intensiva (LOS-ICU).
CONCLUSIONI GENERALI
• Il diritto all’informazione dei cittadini sulla qualità
dei centri cardiochirurgici e dei cardiochirurghi va garantito.
• Di concerto vanno anche garantite l’affidabilità e la
validità delle informazioni.
• Se la mortalità è l’indicatore più comune della qualità
dei centri, solo quella relativa ai diversi strati di rischio deve essere pubblicizzata.
• Il progressivo cambiamento degli scenari clinici (riduzione della mortalità precoce, aumento della durata
di degenza per i pazienti ad alto rischio) suggerisce
l’utilizzazione di nuovi strumenti predittivi per la gestione di questi pazienti e nuovi criteri di valutazione
della Qualità.
• Solo un impianto metodologico robusto che consideri
i limiti di precisione dei modelli, le modalità di raccolta dei dati, le dimensioni dei campioni, e non solo
la mortalità a breve termine, potrà garantire la pubblicazione di giudizi giusti.
Desidero esprimere vivo apprezzamento per il faticoso
lavoro di trascrizione dei miei manoscritti e di ricerca bibliografica svolti dalla mia segretaria sig.ra Piera Colonna.
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Summary
Over the last two years, the Minister of Health has given a
number of interviews regarding the public release of cardiosurgical outcomes in Italy, provoking various discussion in
the press which has continued to date. This article offers a
brief account of this debate and details of preceding publications, noting the inadequacy of the information given in Italian periodicals and newspapers over the last ten years.
A review of the comparable publications in the U.S.A. and
in the United Kingdom shows that keeping the public informed on the quality of care offered by hospitals and the medical services is a highly topical issue. Clearly, the public right
to information that is now well established both legally and in
good journalistic practice goes hand in hand with rigorous
methods for the collection and analysis of data on the outcomes of medical treatment; the article offers some examples of
how the problem has been dealt with by both public and pri-
vate institutions and in the press, in the States and in the UK.
Finally, since, rightly or wrongly, mortality rates remain
one of the outcomes universally used in evaluating the performance of heart surgery in different centres, the author describes and compares the predictive value of the various methods used to estimate risk for different categories of patient,
which is fundamental to any comparison of performance by
centres or surgeons.
The article concludes with a brief outline of future developments in line with the rapid changes in cardiac surgery in
the last decade, and of the new strategies that need to be
adopted in order to refine the evaluation of quality of care in
this field.
Key words: public release, bypass project, mortality.
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La pubblicizzazione dei risultati e la stratificazione del rischio in