Dalmazia: paradiso perduto
Pagine 2 e 3
DEL POPOLO
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IL PROLOGO
Il pallido ricordo delle mulattiere
di Dario Saftich
S
embrano ormai lontani anni luce i tempi in cui
per raggiungere la Dalmazia era necessario percorrere delle autentiche mulattiere. La costruzione dell’autostrada Zagabria-Spalato ha avvicinato la regione dalmata all’Europa centrale, avviando
forse un cambiamento inesorabile del volto di questa
terra. Oltre all’autostrada che proseguirà negli anni a
venire la “sua corsa” verso meridione, in direzione di
Ragusa, non mancano anche altre novità importanti in campo stradale. Da Carlopago in direzione sud
è stata rimessa a nuovo la litoranea adriatica: niente più buche che mettono a dura prova le sospensioni, ma un manto d’asfalto perfetto. Per completare
il quadro manca soltanto l’allacciamento tra Fiume
dalmazia
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n. 6 • S
abato, 9 giugno 2
e l’autostrada verso Spalato, che dovrebbe realizzarsi tra qualche anno. Ma già così i collegamenti hanno
compiuto un balzo di qualità sufficiente a far lievitare
alle stelle i prezzi degli immobili in Croazia. E progetti di nuove cementificazioni della costa spuntano come
funghi dopo la pioggia. Evidentemente non è tutto oro
ciò che luccica...
2 dalmazia
Sabato, 9 giugno 2007
STORIA La magia di una terra troppe volte devastata
Dalmazia: paradiso perduto
Ragusa
G
ià negli anni Trenta del secolo scorso la Dalmazia,
lembo solare della Mitteleuropa, era stata una meta privilegiata
del settembrino turismo d’élite.
Ospitalità cosmopolita, con tavolozza gastronomica multietnica e speziata, in un susseguirsi di
arcaiche città murate che nell’ora
del crepuscolo evocavano allegorici squarci böckliniani; costa frastagliata, dirupi profondi, fiordi corsari, mare azzurrissimo tempestato
d’isole lussureggianti di verzura e
aromi mediterranei.
Un “Paradiso terrestre” esaltato dal miscredente George Bernard
Shaw e bordeggiato a lungo, nell’estate del grande scandalo dinastico del 1936, da Edoardo VIII in
procinto di gettare alle ortiche la corona e di sposare l’enigmatica Wallis Warfield Simpson. Avevo nove
anni e ogni mattina, appena alzato,
correvo a contemplare dal balcone
della nostra villa di San Piero della
Brazza un lungo veliero al largo dell’isola, immobile nel silenzio che a
quei tempi rarefatti, privi di stridori volgari, regnava assoluto nei siti
marini esclusivi. Si percepiva appena, dalla poppa lontana, il battito regolare di due bandiere nel maestrale intermittente: vi si mescolavano
il rosso e il blu dell’Union Jack e
del vessillo monarchico jugoslavo.
Due sagome appoggiate al parapetto del naviglio, scontornate su un
abbaglio di controluce, parevano in
quella vastità silente fissare soltanto
me. Un mattino il papà che mi stava
accanto cercò di spiegarmi qualcosa
che non riuscivo a capire bene: “Il
signore vestito di bianco, che vedi
sulla sinistra della signora, è il re
d’Inghilterra. Fra qualche mese la
signora sarà sua moglie e lui non
sarà più re”.
Altri regnanti, noti artisti e scrittori, attori di fama mondiale, ricchi
mercanti boemi di scarpe e di birra
circolavano nelle canicole estive sui
loro yacht fra la dioclezianea Spalato, gli arcipelaghi boscosi, le violastre e austere bocche di Cattaro.
Sapevo anche che un celebre regista di Hollywood, dal buffo e saltellante nome canino di Hitchcock,
che io pronunciavo Hikokko, aveva
scelto come sua annuale residenza
estiva l’albergo Argentina nell’antica Ragusa. Molto più tardi un amico dalmata, l’indistruttibile raguseo
Ottavio Missoni, m’informò che
Alfred Hitchcock usava dire della
sua preziosa città natale, ribattezzata Dubrovnik dagli slavi: “Non c’è
perla più rara sulla crosta terrestre.
Tra queste mura vorrei morire, e poi
rinascere”.
La guerra oscurò da un giorno
all’altro quel luminoso e appartato
mondo di frontiera e lo desertificò.
La morte e il dolore consumarono il
primo terribile atto della loro opera distruttiva e fratricida. Si rivide
l’ancestrale coltello balcanico saettare fra il viavai delle truppe d’oc-
cupazione, Spalato offrì in sacrificio le rovine romane agli Stukas
tedeschi, cinquantaquattro furiosi
quanto incomprensibili bombardamenti angloamericani fecero di
Zara la Dresda dell’Adriatico; poi
esodi in massa, crolli di secolari ditte commerciali, attentati terroristici,
cadaveri appesi per la gola su arpioni di patiboli medievali, saccheggi, genocidii, memoricidii culturali
nel retroterra morlacco e bosniaco
completarono lo svuotamento dell’identità locale avviando un inarrestabile processo di mutazione antropologica della vecchia Dalmazia
slavolatina.
S’avverava come ineludibile
profezia una triste sentenza di Niccolò Tommaseo. Quel filologo principe della lingua italiana, che da Firenze inviava alla madre a Sebenico
lettere in serbo-croato, già un secolo prima s’era rivolto amaramente
alla sua terra incompiuta e promiscua quasi rimproverandola: “Illiria
perduta, patria viva non ha chi di te
nacque!”.
Negli anni d’orrore della Seconda guerra mondiale anche il simbolo più alto dell’autonomismo dalmatico, l’aristocratica Repubblica
marinara di Ragusa, dal Quattrocento non più serva di Venezia né
tributaria della Sublime Porta, appariva assediata e muta dietro le sue
imponenti fortificazioni come una
Troia in attesa del cavallo di Ulisse. La parola “Libertas”, vergata sui
gloriosi stendardi delle torri rinascimentali, che in tempi di pace prestavano la loro scenografia naturale all’Amleto di Shakespeare, sembrava ormai una beffa. Dopodiché,
la Dalmazia e in particolare Ragusa
conobbero il grigiore di un depresso
turismo di massa. Risento gli afrori poveri e vischiosi del socialismo
autogestionario inventato da un maresciallo comunista che intanto, col
bianchissimo yacht Galeb, scorrazzava per le sue lussuose residenze
«Buon compleanno Montenegro»
Un legame profondo con la Serenissima
H
a compiuto il primo compleanno. Auguri sinceri per
una vita gloriosa! Il 3 giugno 2006 veniva infatti proclamata l’indipendenza della Repubblica del Montenegro, a
seguito del referendum del 21 maggio col quale i 650.000
abitanti del Montenegro hanno votato a maggioranza per la
separazione dalla Serbia. Poche settimane più tardi è stato
ufficialmente accolto in seno al consesso mondiale delle nazioni, diventando così il 192° membro effettivo dell’O.N.U.
Più che una “nascita”, quella dello scorso anno è stata in realtà una “rinascita”! Il Montenegro venne infatti riconosciuto come Stato sovrano indipendente per la prima volta il 13
luglio 1878 (giorno della festa nazionale) dal Congresso di
Berlino. Ed indipendente rimase fino al 1918, quando entrò
a far parte del neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni retto dalla dinastia serba dei Karađorđević, poi ribattezzato nel 1929 Regno di Jugoslavia. I legami con l’Italia furono sempre molto stretti, soprattutto quando nel 1896
Elena Petrović Njegoš, figlia di Nicola principe del Montenegro (nel 1910 autoproclamatosi re) sposò il futuro re Vittorio Emanuele III. L’animo nobile, generoso e colto della
bella regina Elena ha lasciato tracce incancellabili nella memoria storica delle due popolazioni. Dall’aprile 1941 al settembre 1943 il Montenegro subì l’occupazione militare delle truppe italiane. Non riuscì allora il tentativo del Governo
di Roma di istituire lo Stato autonomo del Montenegro e riportare sul trono i Petrović Njegoš, andati in esilio nel 1918.
Terminate le cruente vicende della seconda guerra mondiale
e della campagna di liberazione, nel 1945 insieme a Serbia,
Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia costituì la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia guidata dal maresciallo Tito. A seguito dello sfaldamento fisico ed
ideologico della Jugoslavia avvenuto nel 1991, quattro delle
sei Repubbliche scelsero la strada dell’indipendenza; la Serbia ed il Montenegro rimarranno invece unite fino al 3 giugno 2006.
Oggi il Montenegro è un Paese fortemente proiettato nella dimensione europea; sebbene non faccia ancora parte dell’UE - il lungo percorso di avvicinamento è stato tuttavia
intrapreso - ha gia adottato l’euro come moneta nazionale
e questo agevola enormemente sia gli scambi commerciali
con gli altri Paesi che l’attrazione di investimenti stranieri. I
confini con Serbia, Albania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, cui si aggiunge il tratto di mare Adriatico che lo separa
dalla dirimpettaia Puglia, rendono il Montenegro un Paese
balcanico di piccole dimensioni con una posizione fortemente strategica. E questa è oggi la formula per un rapido sviluppo economico. Più del 74 p.c. dei montenegrini è di religione
cristiano ortodossa. Un profondo, seppur poco conosciuto,
legame “storico” e “spirituale” unisce da tempo il Paese alla
cultura italiana: le città costiere della Dalmazia montenegrina hanno fatto parte per circa quattro secoli dei possedimenti della gloriosa Repubblica di Venezia, fino alla sua caduta
nel maggio 1797, quando si arrese, senza muovere armi, alle
truppe francesi di Napoleone Bonaparte che, dopo averne
violato la neutralità, la cedettero subito dopo all’Austria. Il
23 agosto dello stesso anno, al termine di una solenne quanto commovente cerimonia, alla presenze di tutte le milizie e
di tutto il popolo, il Gonfalone della Serenissima Repubblica fu sepolto dal conte Giuseppe Viscovich, capitano della
guardia, sotto l’altare del duomo di Perasto, proprio in Montenegro, pronunciando le seguenti parole: “Sapranno da noi i
nostri figli e, la storia farà sapere a tutta l‘Europa, che Perasto
L’isolotto della Madonna dello Scalpello
nelle Bocche di Cattaro
ha degnamente sostenuto sino all’ultimo l’onore del Veneto
Gonfalone … Per 337 anni i nostri beni, il nostro sangue, le
nostre vite sono state sempre per te, o San Marco...Tu con
Noi, Noi con Te.”.
Custode di meravigliose bellezze naturali (tra mare, montagne e parchi naturali) ed architettoniche di stile veneziano,
il Montenegro, è un’area storica europea di altissimo profilo.
Le incantevoli città di Cattaro, nell’omonima baia, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, Budva, Santo Stefano, situate lungo i 200 km di costa sull’Adriatico, e l’antica capitale Cetinje, sono da anni ambite mete per il turismo
internazionale. L’attuale capitale Podgorica ha invece una
funzione prevalentemente istituzionale. A Cattaro, in particolare, vive una comunità organizzata di circa 500 italiani
autoctoni, discendenti degli antichi abitanti illiri, latini e veneti, che nel corso del tempo ha mantenuto sempre forte la
propria identità e il legame con l’Italia.
Vittorio Giorgi
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Sabato, 9 giugno 2007
disseminate da Brioni a Spalato fino
a Herzeg Novi e all’Antivari del
Montenegro. Tito si occultava come
un fantasma godereccio dietro le
murate del suo yacht, invisibile alle
fiumane umane dilaganti sulla pietra
levigata dello Stradone di Ragusa, o
“Stradun”, che taglia in due il cuore
cittadino, dedito nell’età d’oro della
repubblica allo splendore delle arti
e dei traffici. Sudori grevi, vociumi
starnazzanti, panini oleosi, abnormi
gelati schipetari, calde bottigliette di
Pepsi-cola in stridente contrasto con
i palazzi modellati da Michelozzo e
le tele di Tiziano, Pordenone, Vasari,
custodite fra incunaboli e pergamene nelle basiliche domenicane e nei
monasteri francescani. C’erano anche i nuovi ricchi, mescolati a qualche indefesso nuotatore eurocomunista come Santiago Carrillo. Questi
privilegiati del capitalismo e del socialismo pranzavano negli storici alberghi Argentina ed Excelsior, contemplando dalle terrazze ombreggiate l’isolotto botanico di Lokrum:
lì, fra rare piante esotiche, l’arciduca
Massimiliano d’Absburgo, proveniente dal castello triestino di Miramare, aveva pernottato prima di ripartire su una nave da guerra per il
Messico dove lo aspettavano Benito
Juarez e il plotone d’esecuzione.
Giunse poi il secondo ciclo della distruzione. L’ultima cosiddetta
“guerra balcanica”. Ragusa, ormai
conosciuta dalla pigra comunità internazionale col nome di Dubrovnik, doveva entrare per prima, fin
dal 1991, nella lista sempre più tragica delle città martiri Vukovar, Sarajevo, Srebrenica - assediate dalle
soldataglie agli ordini della cricca
nazionalcomunista di Belgrado. La
protezione garantita dall’Unesco
alla millenaria città d’arte, “patrimonio dell’umanità”, non bastò a proteggerla dalle cannonate della marina serbizzata, dai mortai delle artiglierie “federali”, dai cecchinaggi e
saccheggi perpetrati nel circondario
da selvagge bande armate montenegrine. Per diversi mesi la popolazio-
ne, privata di luce elettrica, d’acqua,
di cibo, visse assetata e affamata
sotto le granate nei sotterranei della
cittadella oscurata e prigioniera. La
compattezza petrosa di una struttura urbana piena di vicoli ravvicinati,
di palazzi, scalinate, chiese, conventi quasi incastrati gli uni negli altri
tutti lontani dai cimiteri fuoriporta,
non concedeva alla gente sfinita spazi per la sepoltura delle vittime dell’assedio.
L’appello lanciato allora al mondo da due ministri europei, l’italiana Margherita Boniver e il francese
Bernard Kouchner, attivi in missione umanitaria fra le macerie, dipingeva un quadro terrificante: “La situazione attuale ci mostra bambini
morti sotto le bombe, pietre secolari che si sbriciolano. Le donne e gli
uomini accerchiati, privi d’acqua da
45 giorni, non hanno più speranza
nell’aiuto dei loro simili. Dobbiamo
salvare la storica Dubrovnik, isola di
pace, città bianca e la sua regione”.
Mi chiedo quanto e cosa sanno,
di quell’orrendo calvario raguseo,
avvenuto quindici anni fa nel cuore di un’Europa tranquilla, i molti
e danarosi visitatori che, sulle tracce
dei duchi di Windsor, stanno riscoprendo oggi la malia di una delle più
belle e struggenti località mediterranee. Le cronache estive, esaltando
l’improvviso boom turistico di Dubrovnik, “Atene degli slavi meridionali”, estraggono da una massa di
anonimi 600 mila viaggiatori alcuni nomi fuori serie: Carlo d’Inghilterra, Carolina di Monaco, Rania di
Giordania, la principessa Sayako, a
cui s’aggiungono in sott’ordine vip
cinematografici e salottieri come
Michael Douglas, Catherine ZetaJones, Tom Cruise, Christopher
Walken, John Malkovich, il magnate russo Roman Abramovich. Torno
a domandarmi: tutti questi astri del
variopinto firmamento mondano
sanno qualcosa del sacco medievale che nel 1991, per volontà serba,
incombeva su una città indifesa, a
netta maggioranza croata, che da se-
coli non era più un porto importante
né una decisiva postazione strategica? Si può ben dire che l’ignoranza, a proposito di Ragusa-Dubrovnik, è davvero generalizzata poiché
si espande con ottusa distrazione
dal passato recente ai secoli andati.
Quanti miliardari italiani, che ancorano le loro barche nel porticciuolo
di Gruz, sanno che il latino e l’italiano erano lingue d’ufficio negli atti
della repubblica ragusea? Quanti
sanno che Ruggero Boscovich, fondatore dell’osservatorio astronomico di Brera, alla cui memoria Milano ha dedicato una via importante,
era un illuminato gesuita nato nel
1711 a Ragusa? Quanti britannici
ricordano che la parola inglese “argosy”, nave mercantile, deriva dal
nome dei galeoni di Ragusa? Chi
ormai conosce Ivan Gundulić, autore di poemi epici cinquecenteschi
da cui crebbero, da una radice latina, i primi tronchi della letteratura
croata.
Ma la cosa più sconcertante resta
l’amnesia ipocrita di serbi e montenegrini. Ecco. I signori della guerra
montenegrini che per conto dei serbi bombardavano Dubrovnik, fingevano di non sapere che lo jugoslavismo, l’ideale della fratellanza fra
serbi e croati, aveva avuto proprio
nel raguseo Frano Supilo il missionario geniale che, parlando alla
pari con Woodrow Wilson e Georges Clemenceau, seppe imporre con
successo la causa unitaria degli slavi
meridionali sul tavolo di Versailles.
Concludendo, vale la pena di ricordare come il pugnace jugoslavista Supilo descriveva i contrasti, per
così dire tommaseani, convergenti
nella sua sfaccettata e ricca personalità: “Sono un dalmata che talora
traduce in italiano sentimenti slavi,
e talaltra in slavo pensieri italiani”.
È la storia stessa di Ragusa e della
Dalmazia che si definisce così e si
confessa nelle parole di uno dei suoi
figli migliori.
Enzo Bettiza
da “La Stampa”
Traù
Parco della natura
Lagosta «ripulita»:
niente più carcasse
LAGOSTA – “Via le carcasse da Lagosta”. Grazie all’iniziativa intitolata “Ripuliamo
la Croazia dai rottami”, avviata congiuntamente da Renault,
Cios i Auto blic in tre anni dai
parchi nazionali e dai parchi
della natura in Croazia sono state rimosse oltre 10.000 automobili abandonate. L’iniziativa ha
riguardato anche il più “giovane” Parco della natura, quello
dell’isola di Lagosta (Lastovo) e
del suo arcipelago. Pure lì qualcuno aveva lasciato arrugginire
delle carcasse...
San Benedetto del Tronto e Spalato
Un solido ponte culturale
tra le due sponde adriatiche
SPALATO - Continuano i
rapporti di amicizia tra le città di San Benedetto del Tronto
e Spalato. Infatti, si sono tenute
nel capoluogo dalmata le giornate dedicate al convegno internazionale per tema “La Francia e l’Adriatico (1807-1814)”,
organizzato dall’Istituto di Ricerche delle Fonti per la Storia
della Civiltà Marinara Picena
di San Benedetto, l’Archivio di
Stato di Ascoli Piceno, l’Università di Spalato, la Biblioteca Universitaria di Spalato e la “Dante
Alighieri di Spalato”. L’iniziativa ha rappresentato il terzo appuntamento, dopo i primi due
di San Benedetto del 1995 e del
2000, teso a costruire un ponte
culturale tra le diverse sponde
dell’Adriatico, nell’approfondimento della comune storia che
caratterizza le regioni che si affacciano su questo mare.
L’occasione di questo ultimo
incontro è stata la ricorrenza del
200.esimo anniversario dell’avvento del Regno Napoleonico
che ha prodotto profondi e decisivi cambiamenti nelle istituzioni e nella vita delle popolazioni
soggette.
La delegazione italiana era
guidata da Gabriele Cavezzi,
presidente dell’Istituto di Ricerche sambenedettese ed era
composta dall’ammiraglio Albero Silvestro, uno degli studiosi
più conosciuti d’Italia per la storia della marineria pontificia e
non solo, dalla dottoressa Laura
Ciotti dell’Archivio di Stato di
Ascoli, dalla professoressa Lucia
De Nicolò dell’Università di Bologna, certamente la più apprezzata studiosa italiana di storia
marinara, in particolare di quella romagnola, dal dottor Giuseppe Merlini, archivista e storico sambenedettese, dall’architetto Maurizio Cavezzi, studioso
del personaggio Dandolo, e dalla
dottoressa Maria Perla De Fazi
che ha letto un intervento del
professor Marco Severi sulle
fonti dell’Archivio di Stato Milano. Erano presenti con i loro
interventi e contributi scientifici,
per la parte croata, il professor
Josep Milat, preside della facoltà di Filosofia dell’Università di
Spalato, la professoressa Ljerka
Šimunković titolare della cattedra di italianistica dell’Università di Spalato e di quella di Zara,
nonché presidente della “Dante
Alighieri” della stessa città, la
dottoressa Nataša Baić-Žarko,
direttrice dell’Archivio di Stato di Spalato, la dottoressa Dubravka Dujmović della Biblioteca Universitaria, la dottoressa
Ranka Radić direttrice del Museo di Traù, nonché altri studiosi. Hanno presentato i saluti di
benvenuto alcune autorità locali, tra le quali Ante Sanader,
presidente della Regione spalatina-dalmata. Quest’ultimo si è
a lungo intrattenuto con Cavezzi esprimendo i più vivi complimenti per l’opera svolta in tanti
anni dall’Istituto da lui presieduto, nelle relazioni tra le due
sponde, dichiarando un forte
interesse a sviluppare ulteriormente tali incontri sul piano
istituzionale con la Provincia di
Ascoli Piceno ed i sindaci della
costa marchigiana.
Le relazioni presentate dagli
studiosi, tutte di grande significato storico, verranno raccolte
in un volume che sarà edito entro la fine dell’anno.
Nel corso delle manifestazioni collaterali al convegno è stata
di vivo interesse la visita al Museo della Marineria di Spalato;
per l’occasione Cavezzi ha consegnato ai responsabili dell’istituto un quadro del sambenedettese Nicola Romani, conosciuto
uomo di mare e testimone di numerose storie di pesca. (ab)
San Benedetto del Tronto
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dalmazia
Sabato, 9 giugno 2007
Sabato, 9 giugno 2007
SPORT L’Hajduk è stato e rimane l’autentica squadra simbolo della regione (15 e fine)
Dalmazia: terra di stelle calcistiche
Una lista infinita di nomi di spicco
In questa lunga carrellata di
campioni che hanno reso grande
l’Hajduk e che si sono fatti vale-
di Igor Kramarsich
Sono stati tantissimi i calciatori di cui abbiamo riportato le “storiche gesta”. Tanti altri, purtroppo, sono rimasti fuori giacché la
lista dei campionissimi dalmati è praticamente infinita. I nomi da noi passati in rassegna
rimarranno impressi in maniera indelebile
nella storia del calcio dalmata. L’Hajduk soprattutto grazie a loro ha scritto pagine memorabili di storia calcistica. E quel che più
conta ai fini del nostro discorso è il fatto che
i successi sono stati inanellati grazie in primo
luogo a talenti nati sulla costa dalmata o nell’entroterra. D’altronde l’Hajduk è sempre
stato il magnete irresistibile per tutti i calciatori in erba della Dalmazia e delle regioni
contermini: visto il serbatoio ampio dal quale
poter attingere, un serbatoio che ha sfornato
talenti in continuazione, non è difficile spiega-
re le ragioni di questa continua permanenza
nell’Olimpo calcistico da parte della squadra
spalatina. E anche il fatto che il cuore dei tifosi dalmati, anche quando si sono trasferiti
lontano dalla loro terra d’origine, magari a
Fiume o Zagabria, ha sempre continuato a
battere per la compagine spalatina per antonomasia. Che è stata e rimane un’autentico
simbolo, una bandiera per la Dalmazia.
Aljoša Asanović
Branko Miljuš, da forte attaccante
a possente difensore di fascia
Giocatore polivalente. Un vero
jolly in difesa che sapeva pure
progredire parecchio sulle fasce in
attacco. Nato a Knin il 17 maggio
1960, Branko Miljuš è stato nazionale jugoslavo.
Le sue prime esperienze calcistiche le ha nella piccola società di
Ustanik nel paesino di Srb. A soli
14 anni diventa un perno insostituibile della prima squadra! Beniamino del pubblico, trova nel
locale dentista la sua carta vincente. Infatti come grande tifoso dell’Hajduk Slavko Skeja non indugia a chiamare la sua squadra del
cuore e a raccomandare Miljuš.
Gli spalatini mandano due leggende, Franjo Matošić e Andrija
Anković a visiore questo giovane di belle speranze. Rimangono
convinti della sua bravura e di lì
a poco Miljuš firma il suo primo
contratto da professionista.
Arriva a Spalato nell’estate del
1975. Con le selezioni giovanili
conquista tutto il possibile e per
farlo crescere ancora di più prima
di prenderlo in prima squadra la
dirigenza nel 1981 lo manda a gio-
Branko Miljuš
care in seconda lega nelle file del
Solin. Ma vi rimane per soli sei
mesi tanto sono ottime le sua gare;
ritorna a Spalato per entrare subito
in prima squadra nell’Hajduk. Rimarrà un giocatore insostituibile
fino al 1988. Non riesce mai a vincere il campionato della Jugoslavia, anche se nella stagione 1978/
79 partecipa a parecchie amiche-
voli, ma vince due coppe Jugoslavia: 1983/84 e 1986/87.
In totale ha giocato ben 357
partite e segnato due reti.
Nell’estate del 1988 è passato
nella file degli spagnoli del Real
Valladolid. Si è fermato per tre
anni prima di andare per due anni
in Portogallo nelle file del Vitoria
Setubal.
Nella nazionale seniores della Jugoslavia ha collezionato 14
presenze. Ha debuttato il 2 giugno 1984 in un’amichevole contro il Portogallo per chiudere contro l’Eire il 27 aprile 1988. Con la
nazionale ha partecipato agli Europei del 1984 e alle Olimpiadi di
Los Angeles dove ha vinto la medaglia di bronzo.
Con l’Hajduk ha partecipato
alla stagione d’oro nella Coppa
Uefa nel 1984 quando per un soffio i dalmati non arrivarono nella
finale, “grazie” al Tottenham.
Una carriera iniziata come attaccante puro e finita come grande, possente terzino, non importa
di che fascia. Quanto basta per
renderlo famoso.
Robert Jarni, si è messo in luce
sia nel calcio sia nel calcetto
Robert Jarni è stato uno degli ultimi grandi difensori dell’Hajduk. Nazionale croato sia di
calcio, sia di calcetto, una vera
rarità.
Robert Jarni nasce a Čakovec
il 26 ottobre 1968. I primi passi
li compie nella squadra della città natia, l’MTČ. Nel 1985 arriva
a Spalato e solo un anno dopo avviene il suo debutto in prima squadra al Trofeo Marjan. Per l’Hajduk
gioca come seniores per cinque
anni fino al 1991. In totale per lui
232 presenze e 48 reti. Due i trofei vinti con l’Hajduk: due coppe
Jugoslavia nel 1986/87 e 1990/91.
Una volta lasciato l’Hajduk comincia il suo girovagare per l’Europa. Prima tappa è l’Italia, ovvero il Bari. Dopo due anni passa
a Torino, prima nel 1993 per un
anno tra i granata e poi pure per
un anno per la Juventus.
Con la Juventus vince sia lo
scudetto che la Coppa Italia. Nell’estate del 1995 va in Spagna.
Prima per tre anni è membro del
Real di Betis e dopo per un anno,
dal 1998, del Real di Madrid con
il quale vince la coppa Intercontinentale. Seguono due stagioni al
Las Palmas e poi in Grecia con il
Panathinaikos.
Nella sua lunga carriera ha
giocato pure per la nazionale del
mondo. Con la nazionale juniores
della Jugoslavia ha vinto nel 1987
i campionati mondiali.
Ha giocato per la nazionale
della Jugoslavia collezionando un
totale di sette presenze e una rete.
Da segnalare la sua partecipazione
ai mondiali italiani del 1990. Seguiranno altri due mondiali con la
Croazia nel 1998 (dove ha vinto la
medaglia di bronzo) e nel 2002.
Con la nazionale della Croazia
ha esordito nel 1990 e ha chiuso
ai mondiali del 2002. Per lui pure
la partecipazione agli Europei del
1996. Per la nazionale croata ha
disputato 81 partite e segnato una
rete (pesante visto che è stata segnata ai mondiali del 1998). Per
sei anni dal 2000 al 2006 è stato il
giocatore con più presenze in nazionale.
Robert Jarni
Da non dimenticare pure la
sua carriera di giocatore di calcetto coronata con svariati successi a
livello nazionale con il MNK Split
e coronata nel 2003 pure con diverse presenze nella nazionale.
5
re pure a livello nazionale ed internazionale diversi sono stati inevitabilmente «saltati». Come non
ricordare:
- Aljoša Asanović nazionale della Croazia (62 presenze, terzo
posto ai mondiali in Francia) e
della Jugoslavia
- Zoran Simović portiere 10 volte
in nazionale della Jugoslavia
- il difensore e oggi selezionatore della nazionale della Croazia, Slaven Bilić (44 presenze, terzo posto ai mondiali in
Francia)
- l’attaccante Ivica Mornar (22
presenze)
- l’attuale portiere della nazionale Stipe Pletikosa (60 presenze)
- il polivalente Igor Štimac, giocatore, allenatore, direttore ed al-
Stipe Pletikosa
tro (53 presenze, terzo posto ai
mondiali in Francia)
- Igor Tudor (55 presenze, terzo
posto ai mondiali in Francia).
Ivan Pudar, un grande portiere
purtroppo vittima di molti infortuni
Grande portiere dell’Hajduk
degli anni ’80. Ivan Pudar nasce a Zemun il 16 agosto 1961
e inizia la sua carriera nelle file
dello Jadran di Castel San Giorgio (Kaštel Sučurac) dove passa
la trafila dei pulcini e dei cadetti.
Viene notato dall’Hajduk e nell’estate del 1979 viene chiamato
a militare nelle fine della compagine spalatina.
Subito arriva il primo successo: come nazionale juniores conquista gli Europei di categoria.
Nel 1980 arriva il suo debutto in
prima squadra e già nella seconda partita ufficiale si mette in luce
per alcune ottime parate ad Amburgo in Coppa Campioni.
Per lui una carriera fulminea.
Gia nel 1982, a due anni dal debutto seniores, viene chiamato ai
campionati mondiali in Spagna.
Anche se rimane sempre in panchina è un’esperienza da ricorda-
Ivan Gudelj, un campione
«bloccato» dall’epatite
Ivan Gudelj ha chiuso la carriera calcistica a soli 26 anni, ma
dietro di lui rimane un ricco carnet, pieno di successi.
Nato a Imotski il 21 aprile
1960 è stato un centrocampista difensivo e nazionale jugoslavo. La sua carriera comincia
nel Mračaj di Runovići, all’epoca la più importante società dell’Imotska krajina.
Il balzo decisivo nella sua
carriera avviene nell’estate del
1975 quando su raccomandazione di uno degli allenatori
delle sezioni giovanili passa all’Hajduk. Solo un anno dopo Josip Duvančić lo prende in prima
squadra. Il suo debutto avviene
al trofeo Marjan nel 1977. La
prima rete un anno dopo, nel
1978 contro il Budućnost di Titograd.
In totale per la prima squadra
dell’Hajduk ha disputato 362
partite segnando 93 reti.
Passa tutte le nazionali giovanili. È capitano della nazionale juniores che vince nel 1979 i
campionato europei ed è l’uomo guida della nazionale che
nel 1980 partecipa ai mondiali
in Giappone. Nello stesso anno
prende parte alle Olimpiadi di
Mosca.
Nella nazionale seniores debutta il 10 settembre 1980 contro il Lussemburgo, mentre l’ultima partita la disputa il 19 maggio 1986 contro il Belgio. In totale 33 presenze e tre reti. Nel
1982 entra nella storia della nazionale della Jugoslavia come il
più giovane capitano, a soli 22
anni.
La sua carriera è davvero fulminea e raggiunge l’apice nel
1982 quando diversi giornali
dell’ex Jugoslavia lo proclamano miglior calciatore della Jugoslavia e la Slobodna Dalmacija lo proclama miglior sportivo della Dalmazia. Nello stesso
1982 partecipa ai Mondiali di
Spagna e il giornale francese
Equipe lo inserisce nella squadra ideale. Come capitano è pure
alla testa della nazionale agli Europei del 1984.
Nel suo Hajduk ha giocato in
praticamente in tutte le posizioni e ha assaporato pure la gioia
di vincere un campionato nel
1978/79 e due Coppe Jugoslavia
nel 1983/84 e 1986/87. A livello
internazionale nelle competizioni per i club con l’Hajduk ha giocato i quarti di finale della Coppa Campioni nel 1980, i quarti
nella Coppa Coppe nel 1978 e
le semifinali della Coppa UEFA
nel 1984.
Poco prima del ritiro aveva
ottenuto parecchie offerte dall’estero tra cui spiccava quella
del Real Madrid che gli aveva
offerto un contratto preliminare
ben tre anni prima del possibile
passaggio, che all’epoca era fissato ai 28 anni d’eta. Però Gudelj lo aveva rifiutato.
L’ultima partita ufficiale l’ha
giocato il 13 settembre 1986.
Per affaticamento totale è stato sostituito nell’intervallo da
Adamović. Dopo un po’ è arri-
re. Due anni dopo, nel 1984 partecipa come portiere titolare alle
Olimpiadi di Los Angeles dove la
Jugoslavia conquista la medaglia
di bronzo.
Ha percorso tutta la trafila delle nazionali dell’ex Jugoslavia.
Però anche se la sua esperienza
con la nazionale seniores è lunga,
alla fine colleziona solo una presenza, quella alla Coppa Nehru
nel 1985 in una partita contro la
Cina il 29 gennaio.
Con l’Hajduk ha vinto due
coppe nazionali: 1983/84 e 1986/
87. È stato pure portiere titolare
nella grande stagione 1985/86
quando l’Hajduk è arrivato ai
quarti di finali della Coppa Uefa.
In totale la statistica fa registrare
per lui 286 partite e quattro reti.
Praticamente al culmine della sua carriera, nel 1986, è stato
vittima di un gravissimo incidente stradale. Tanto grave da tener-
lo lontano dai campi di calcio per
ben 14 mesi. Rimessosi, per sei
mesi ha giocato per il Spartak di
Subotica. Tornato subito a Spalato vi è rimasto fino al 1990. Infine
è arrivata pure l’esperienza internazionale tutta in Portogallo, prima al Sao Joao da Madeira e poi
al Boavista di Porto.
Però alla fine gli infortuni
sono diventati troppi e ha deciso di chiude anzitempo la carriera
di calciatore. Secondo molti una
carriera che doveva essere migliore se non ci fossero stati tanti
infortuni.
Decise subito di intraprendere la carriera di allenatore. Un
carriera iniziata in squadra di
secondo livello come Omiš, Val,
Uskok Klis, Solin Građa e Mosor
di Žrnovnica. Ci furono pure tappe dove allenerà le squadra giovanili dell’Hajduk. Il grande successo arriva nella stagione appe-
Ivan Pudar
na conclusa. Inizia con il Šibenik
che porta a fare un strepitoso
campionato. Prima del 26 turno
arriva la chiamata dell’Hajduk,
in piena crisi. Pudar non ci pensa
molto e accetta la sfida che i media davano per sicura per il prossimo anno.
Zoran Vulić, un autentico jolly
che si è fatto valere in diversi ruoli
Ivan Gudelj
vata la diagnosi: epatite B! Dopo
svariate cure è sempre tornato
sui campi di calcio ma prematuramente visto che la malattia
tornava sempre. Capendo che
ormai non c’era nulla da fare si
è ritirato a soli 26 anni.
Avendo il calcio nel sangue
ha deciso di proseguire come allenatore. A soli 27 anni su raccomandazione di Miljan Miljanić
è diventato selezionatore della
nazionale Olimpica. In seguito
ha diretto il Primorac di Stobreč
che ha portato allo storico traguardo della Prima lega. Poi è
stata la volta dello Zadar, degli
austriaci del Vorwarts Steyer e
del Dubrovnik. Infine è diventato allenatore e selezionatore
delle nazionali giovanili della
Croazia. Ruolo che ricopre tutt’ora. Nel frattempo una breve
parentesi di allenatore del suo
Hajduk, ma per soli 10 turni, la
scorsa stagione.
La famiglia Vulić è stata sempre legata al mondo del calcio e
in primo luogo, da vera famiglia
spalatina, all’Hajduk.
Il padre di Zoran è stato portiere titolare della compagine dalmata per eccellenza, nella quale
ha giocato dal 1951 al 1962. Ha
disputato 339 partite e segnato
ben 29 reti! Un’impresa per un
portiere: ovviamente le reti sono
state tutte messe a segno ai calci
di rigore.
Se il padre ha fatto molto, il figlio non è stato da meno. Zoran è
cresciuto legato al mondo del calcio: da giovanissimo suo padre lo
portava allo stadio. L’amore per il
pallone era inevitabile.
Nato il 4 ottobre 1961 a Spalato Vulić ha iniziato come attaccante per finire la carriera e rimanere ricordato come un ottimo difensore.
Inizia a giocare a calcio per
il Lavčević, oggi Dalmatinac; in
parallelo si esibisce pure nelle
giovanili dell’Hajduk. Si fa notare tanto che Tomislav Ivić lo
chiama in prima squadra a nem-
meno 18 anni, una rarità all’epoca. Il debutto nella stagione 1979/
80 nella partita contro il Partizan,
come centravanti!
Essendo un giocatore polivalente, dotato di un’ottima visione del gioco. con il passare degli anni ricopre tutti i ruoli, meno
quello del padre: in altre parole
non ha mai fatto il portiere. Con
l’Hajduk ha vinto tanti trofei. Ha
vinto la coppa Jugoslavia in due
occasioni: 1983/84 e 1986/87. In
Croazia ha vinto due campionati:
1993/94 e 1994/95 e la coppa nel
1994/95.
In totale nel suo carnet ci sono
ben 417 partite giocate e 84 reti
segnate.
Nell’estate del 1988 è andato a giocare all’estero. Per prima
per tre anni ha giocato in Spagna
nella file del Mallorca. Prima del
ritorno a casa ha trascorso due
anni in Francia, nel Nantes dove
per un breve periodo è stato pure
capitano.
Per la nazionale jugoslava ha
giocato 25 volte segnando una
rete. Ha debuttato il 30 aprile
1986 contro il Brasile per finire il 16 maggio 1991 a Belgrado
contro le Far Oer. Un anno prima,
la sua unica presenza ai Mondiali, quelli italiani.
È riuscito a giocare pure per la
nazionale della Croazia. In totale tre presenze, tra cui quella prima partita storica disputata a Zagabria contro gli Stati Uniti il 17
ottobre 1990.
Finita la carriera di calciatore,
Vulić è rimasto legato al mondo
del calcio in primo luogo come
allenatore. Le prime esperienze
le ha avuto nella scuola calcistica
dell’Hajduk, fino al 1997 quando
è stato chiamato a dirigere la prima squadra nelle ultime cinque
partite.
Nel 2000 è stato di nuovo
chiamato a reggere le sorti della prima squadra. Ed è stato un
successo, visto che ha portato
la squadra a vincere lo scudetto.
Tre anni dopo ha fatto il bis, anche se è stato esonerato a tre turni
dalla fine. Una vittoria pure nella Coppa Croazia conquistata nel
2002/03.
Zoran Vulić
La sua ultima esperienza sulla
panchina dell’Hajduk al 25.esimo turno del campionato appena
concluso. Per Vulić un rapporto
molto tormentato, ma il suo legame d’amore con l’Hajduk non è
mai venuto meno.
6 dalmazia
Sabato, 9 giugno 2007
ONDA BLU Viaggio nelle bellissime isole della Dalmazia centrale, ricche di storia,
La Civitas Vetus conserva
l’orgoglio della primogenitura
di Giacomo Scotti
S
empre sul lungomare, partendo dall’Arsenale e andando verso Sud, si arriva
in località Sridnji Rat, un promontorio
emergente fra due insenature, sul quale sorge,
accanto all’antica rustica chiesa di santa Croce, il Convento francescano. Siamo di fronte a un complesso che comprende l’annessa
chiesa della Madonna della Misericordia. La
costruzione del convento cominciò nel 1461
e si concluse tre anni dopo, quella della chiesa si protrasse dal 1465 al 1471. Nel 1479 fu
costruito il chiostro conventuale in stile rinascimentale. Altre opere complementari si protrassero fino al 1489, anno scolpito al limite
dell’arco di volta all’entrata del chiostro. All’inizio del XVI secolo fu innalzato il campanile (il più antico della città) e nello stesso
secolo, esattamente nel 1574, la chiesa subì
un restauro per riparare i danni causati dall’irruzione dei Turchi nell’agosto di tre anni
prima. Sulla facciata della chiesa, nella lunetta, si vede il rilievo della “Madonna con
Gesù”, opera di Nicolò Fiorentino all’epoca
sotto l’influsso del grande Donatello. La navata centrale è divisa in due parti dal monumentale jubè dorato somigliante a un’iconostasi. Gli stalli del coro sono in stile rinascimentale, opera di artisti dalmati. Sull’altare
maggiore e sui due altari appoggiati sul lato
occidentale del jubè si vedono dipinti del pittore veneziano Francesco da Santacroce, tre
polittici del 1583. Sullo stesso lato per tutta la
lunghezza dell’iconostasi, sovrastando i due
altari e la monumentale porta che, nel mezzo,
porta al coro, si susseguono sei scene del martirio di Cristo. Altri quadri di notevole valore
sono “San Francesco che riceve le stimmate”
di Palma il Giovane, nella navata centrale, l’
“Ecce homo” di un anonimo pittore dell’Italia settentrionale, due icone della scuola italo-bizantina e un “San Diego” che forse è di
Decimosesto, con i colori di un Veronese e la
luce di un Tintoretto. A questo dipinto è legata
una leggenda. Dice che a bordo di una nave in
viaggio dalla Dalmazia per Venezia si trovava
un passeggero gravemente ammalato, il pittore. Era stato colpito da un male infettivo, per
cui i marinai lo scaricarono sulla riva di Lesina abbandonandolo al suo destino. Sfinito dal
male, l’uomo errò per la città bussando di casa
in casa, ma le porte rimasero chiuse oppure
venivano rapidamente serrate quando egli si
avvicinava. Si temeva la peste. Allo stremo
delle forze, il pittore raggiunse finalmente
il convento francescano. I frati gli aprirono
la porta, lo accolsero, lo curarono, lo sfamarono, lo guarirono. Per esprimere loro la sua
immensa gratitudine, il pittore dipinse gratuitamente quell’ “Ultima cena” nella quale tutte
le figure sono in grandezza naturale e sembra
che parlino, tanto sono vive. La leggenda aggiunge che l’ultimo apostolo sul lato sinistro
della tavola è l’autoritratto del pittore. Il quadro è siglato, e la sigla, letta MATT, fu attribuita a Matteo Ingoli. Nel corso della seconda
guerra mondiale, per impedire che il quadro
cadesse in mano ai Tedeschi dopo il ritiro dall’isola delle truppe italiane in seguito all’armistizio del settembre 1943, i partigiani impacchettarono attentamente la tela e la portarono
al sicuro sull’isola di Lissa e di lì in Italia. Nel
dopoguerra è stata rimessa all’antico posto,
vestalmente custodita dai francescani.
La collezione francescana comprende numerose altre tele, delle quali meritano menzione: “Il fidanzamento di santa Caterina” di
Biagio da Traù (XV sec.), la “Deposizione
dalla Croce” di ignoto del XVI secolo, la “Testa di Cristo” dello stesso secolo, “San Vincenzo Ferrer”, opera del Tiepolo, “San Pietro
di Alcantar” del XVIII secolo, una “Madonna” del secolo Decimosettimo. Fra i rilievi in
Cittavecchia
Palma il Giovane. Nella cappella di Nord-Est,
con un recinto marmoreo, spicca un crocifisso
di Leandro Bassano. Il sepolcro sotto l’altare
maggiore è del poeta Annibale Lucio-Lučić.
Convento francescano:
il refettorio oggi
è un museo
Dalla chiesa, per una porta secondaria, si
entra nel chiostro nel quale si vede la massiccia vera del pozzo su un postamento quadrato.
Il pozzo può contenere 300 mila litri di acqua.
L’acqua veniva fornita anche alle navi ed alla
cittadinanza attraverso un canale di cui si vedono tuttora le tracce davanti alla chiesa, nel
muro dell’orto sotto i pini.
Dal chiostro si passa nel refettorio del convento, oggi museo. Un’intera parete è coperta dalla maestosa tela dell’“Ultima cena” che
ha reso celebre Lesina. Lungo otto e alto due
metri e mezzo, il dipinto è attribuito dai critici moderni al ravennate Matteo Ingoli (15851631), mentre prima era stato considerato
opera di Matteo Rosselli. Non manca però
chi vede nel quadro un capolavoro di Palma
il Giovane aiutato dai suoi discepoli. Il quadro risale all’epoca di transizione fra il XVI
e il XVII secolo, l’intera gamma espressiva
rivela la tarda pittura veneziana del secolo
legno risaltano l’Annunciazione, San Giovanni (cromato in oro, XVI sec.), San Girolamo.
Tra le rarità bibliografiche ci sono un breviario del XV secolo, un Corano del XVII secolo, l’Atlante di Tolomeo stampato nel 1524 a
Norimberga, un portolano del Mar Caspio del
1595, cinque antifonari miniati del XV secolo. A questi preziosi oggetti si aggiungono
bellissimi ricami del secolo Decimoquarto e
del periodo barocco, una collezzione numismatica di monete coniate a Lesina. Ben 53
incunaboli si contano infine nella grande biblioteca i cui inizi risalgono alla costruzione
del convento. In una sala speciale è sistemato l’Archivio.
Un cipresso secolare spicca, fra piante esotiche, nel giardino del convento, il cui
muro di cinta risale al 1545. Le cappellette
barocche che dalla città portano al convento
furono fatte costruire da Marino Capello, comandante della flotta adriatica nel 1720.
A Lesina numerosi
i monumenti sacri
Altri monumenti sacri di Lesina sono
la Chiesa di s. Spirito in Città, la chiesa e il
Convento benedettino femminile, la Chiesa dell’Annunziata in Borgo. Quest’ultima è
del XV secolo con una facciata rinascimenta-
Lesina
le sulla quale si ammira la lunetta col rilievo
dell’Annunciazione che rivela la mano o l’influsso di Nicolò Fiorentino. Un dipinto raffigurante la Madonna, del XVI secolo, è posto
sull’altar maggiore, mentre una santa Barbara di scuola veneziana e magnifici candelabri
da processione si vedono sull’altare sul lato
destro. La chiesa di santo Spirito, secolo Decimoquinto, ha un interessante arco spezzato
sul portale e una figura romanica di santo al
posto della lunetta; la rosetta è fuori dall’asse
dell’edificio. Nell’interno si vedono un dipinto d’altare di Alessandro Varotari di Padova
(1580-1650) e un piccolo quadro del Boschetus del XV secolo, la “Discesa dello Spirito
Santo”. Chiesa e convento benedettino femminile si trovano nella Villa di Annibale Lucio, situata nella parte orientale della città,
fuori le mura, un complesso rinascimentale
ammirevole, sede del Centro per la tutela del
patrimonio culturale di Lesina. Il complesso rappresenta la più pura creazione artistica
di Lesina nel secolo Decimosesto. Consta di
un alto pianoterra rappresentativo con loggia,
cantina e terrazza sovrastata da un pergolato
circondato da colonne di pietra, il tutto meravigliosamente inserito in un giardino nel mezzo del quale sorge il pozzo. Dal tutto emana
la luminosità rinascimentale. Non è una villafortezza come quella di Ettoreo che incontreremo a Cittavecchia nè un palazzo suburbano
dal quale il padrone poteva vigilare il podere
circostante, ma un alloggio non sfarzoso, nè
grande, armonioso, sereno, grazioso, per trascorrervi i giorni d’estate nel verde, con accanto una casetta per i servitori che oltre alla
villa badavano anche al giardino. Questa villa del patrizio scrittore, autore delle più belle poesie d’amore ai primordi della letteratura croata, autore del primo dramma profano
in lingua croata, vissuto fra il 1485 e il 1553,
passò in eredità a suo figlio Antonio e dalla
moglie di costui, Giulia Mazzari, fu lasciata
in legato ai benedettini. Questi, al tempo del
vescovo farense Milani (1644-1667), vi costruirono la chiesa e il convento in stile barocco, con una facciata ornata da motivi araldici.
Nell’interno della chiesa si trova un notevole
quadro di Liberale Cozza del 1750.
Il Palazzo vescovile
Concludiamo con una visita a uno degli
edifici che sono all’origine della nuova città
sorta su quella antica: il Palazzo vescovile, già
convento benedettino. Fra le molte date incise
a ricordo di restauri e riparazioni susseguitisi
per secoli ve n’è una del 1249. I mobili delle
sale sono in parte del XVIII e in parte del XIX
secolo, risalenti questi all’ultima ricostruzione
del 1870. La maggiore biblioteca dell’isola, la
Biblioteca del Capitolo, insieme all’archivio
capitolare, è sistemata in una sala sopra la sacrestia. La fondò nel 1461 il vescovo Tommasini. Certamente non abbiamo visto tutto
quello che meriterebbe di essere ammirato.
Chi ne ha voglia, per esempio, può raggiungere fuori città la località di Kameni Križ (letteralmente: Croce di Pietra) ed ammirare un
gigantesco crocifisso scolpito sulla roccia nel
XVI secolo, gettando nell’occasione, da quel
punto, uno sguardo d’insieme sul bellissimo
panorama della città. Ma è anche necessario
concedersi un po’ di riposo, in vista del viaggio attraverso le altre località dell’isola – per
cui consigliamo una sosta in uno dei boschetti
di pini, o fra le palme, i pini, i gelsi, i tamarindi, le agave e le aloe del lungomare, del quale
un tratto che porta al convento francescano, è
chiamato “Viale egiziano”.
Gite nei dintorni
Percorrendo il lungomare, passando davanti al convento francescano, con una passeggiata di un chilometro e mezzo, o facendo
in barca un miglio e mezzo di mare, si arriva
a Pokonji dol, una insenatura adatta per i bagni.
Una passeggiata “obbligatoria” è da farsi
fino a Capo Pellegrin. Si va dalla Fortezza al
porto dei traghetti di Vira a Nord e, più avanti,
fino alla vecchia vedetta austriaca di Smokovnik sul dorsale della penisola che termina appunto con Capo Pellegrin. Questo è nudo, ma
la penisola è coperta da un meraviglioso bosco. In questa zona si trova la preistorica grotta Markova Spilja, che ha fornito agli esploratori-archeologi eccezionali reperti a testimonianza della vita dei cavernicoli. Ci si arriva
ovviamente anche per mare; la grotta si apre
proprio presso l’approdo della baia di Parja.
Sul lato meridionale della penisola, attraversando una piccola galleria, si arriva all’albergo “Sirena” alle baie di Vela e Mala Grčka
(letteralmente: Grande e Piccola Grecia) che
nel Medio Evo servivano da rifugio a galee e
velieri. Il richiamo alla Grecia insito nel nome
dalmazia 7
Sabato, 9 giugno 2007
cultura e monumenti di valore (21 e fine)
delle baie e soprattutto il suono di quello di
Parja così simile a Pharia, dovrebbero farci capire che siamo nella zona in cui sorse la prima
colonia ellenica sull’isola; siamo infatti nella
zona di Cittavecchia/Stari Grad. Via terra, partendo da Lesina città, vi si arriva percorrendo
la camionabile che attraversa e costeggia la
valle di un torrente asciutto, toccando i villaggi di Brusje, Grablje e Selca. Avviamoci.
Poco prima di toccare il primo villaggio
si vedono sulla destra della strada le rovine di
una cinquecentesca villa estiva patrizia, Njivice. Al quinto chilometro dalla partenza s’incontra Brusje, un villaggio costruito all’inizio del Cinquecento da pastori che decisero di
abbandonare le loro capanne sparse in collina
e riunirsi. Ospitalissimi, per permettere ai pescatori di compiere i loro doveri religiosi anche quando si trovavano fuori di casa, costruirono nel 1569 a proprie spese una chiesetta
dedicata alla Vergine Maria del Rosario nella
baia di Vela Vira che serviva da porto sussidiario di Lesina città. Di quella chiesetta restano
le rovine. Al 1731 risale la chiesa parrocchiale, due volte ampliata, sulla cui facciata si vede
un san Giorgio a cavallo. All’interno vi è un
notevole quadro d’altare – “Sant’Antonio abbate ed altri santi” – di B.Zelotti (1532-1592)
qui portato dal convento domenicano di Lesina. Un altro quadro, sull’altare maggiore, raffigura san Giorgio a cavallo con sullo sfondo
le isole di Brazza e Solta e il canale di Spalato, opera del pittore contemporaneo Ivo Dulčić
nativo di Brusje. Si ammira poi la villa estiva
del vescovo Bonajuti (1736-1759) costruita a
forma di padiglione, oggi casa parrocchiale.
Famosi gli olii aromatici
Dal poggio sul quale sorgono questi edifici
si ha una bella vista sul panorama circostante
pressocchè interamente ricoperto da folte macchie di sempreverde rosmarino, di lavanda e
di piretro. Brusje è famosa per la produzione
di olii aromatici ed essenziali. Le distese di
questi frutici, piante e fiori profumatissimi che
crescono spontanei in vicinanza del mare (e
il nome stesso di rosmarino – da ros marinus
– significa “rugiada di mare” – corrono fino a
Grablje ed oltre. Di cinque “cooperative di rosmarino” sorte in Dalmazia all’inizio del XIX
secolo, quattro avevano sede nell’isola di Lesina:Brusje (fondata nel 1903), Grablje, Piccolo Grablje e Sveta Nedija/Santa Domenica,
producendo fino a 120 vagoni all’anno di solo
rosmarino disseccato. I contadini di Brusje,
quando comincia la stagione della falciatura
del rosmarino, traslocano sui terreni e vi restano fino alla conclusione dei lavori senza tornare a casa. Ovunque, sulla costa dalmata e sulle
isole, non ci sono nozze senza rosmarino, ma
sull’isola di Lesina che ne è la patria, gli sposi
e gli ospiti si adornano di felci qui molto rare.
Poco dopo Brusje, a sinistra della strada,
ecco le rovine di un’altra villa patrizia estiva, Moncirovo. Cinque chilometri più avanti, il villaggio di Velo Grablje. Sorse nel Tredicesimo secolo in seguito all’insediamento di
due famiglie patrizie, gli Ozori e i Gazzari. Se
si vuole fare una passeggiata seguendo il letto
asciutto di un torrente, si arriva a Malo Grablje, due chilometri più in basso; sembra un
covo di pirati, completamente circondato da
rocce. In realtà è un villaggio abbandonato, la
popolazione si è trasferita in nuove abitazioni
nell’assolata baia di Milna, che raggiungeremo anche noi, ma seguendo la via del mare.
Riprendendo la strada che da Velo Grablje por-
ta a Cittavecchia arriviamo allo spartiacque di
Ozrin a un’altezza di 400 metri, da dove la
strada scende nell’abitato di Selca (significato: piccolo villaggio) che rimane sulla destra.
Di qui si può compiere un’escursione sulla
Gomilica che è la massima vetta dell’isola,
più comunemente detta di san Nicolò. Continuando invece da Selca per alcuni chilometri in discesa si arriva nella piana di Ploča da
dove si entra finalmente nella prima città sorta nell’isola.
Una storia intessuta
di polemiche roventi
Un capitolo molto interessante potrebbe
essere la storia della storia della cittadina di
Cittavecchia/Starigrad (e dell’isola), intessuta di polemiche, a cominciare dall’opuscolo
“Lettera del signor dottor Giulio Bajamonti
sopra alcune particolarità dell’Isola di Lesina”
pubblicato a Napoli nel 1790. Per arrivare agli
“Studi storici sull’isola di Lesina” di Giacomo
Boglić (Zara 1873) ed alla “Corrispondenza
archeologica fra Matteo Capor da Curzola a
Pietro Nisiteo da Cittavecchia” (Zara 1887).
Qui ci limitiamo soltanto a una controversia
fra gli storici Šime Gliubich e Giovanbattista
Machiedo. Quest’ultimo sosteneva che l’antica Pharos era sorta a Lesina-città, ereditandone
il nome, (articolo “Pharia, Città Lesina e non
Città-vecchia” ne “La Dalmazia”, 30-33, Zara
1846); il secondo controbatteva nella “Gazzetta di Zara” (73-75/1846) con la “Risposta all’articolo” eccetera, sostenendo, giustamente,
che Pharia era sorta a Cittavecchia; e scriveva
sull’argomento un opuscolo: “Faria Città Vecchia e non Lesina” che sarà pubblicato a Zagabria nel 1873. Cittavecchia/Starigrad conta
circa 1400 abitanti, sorge nella baia, profonda
6 chilometri che da essa prende il nome, nella sua estrema parte orientale. Pur essendo stata spodestata nel ruolo di capoluogo dell’isola,
alla quale ha dato il nome ed a sua volta perdendolo, la Civitas Vetus conserva l’orgoglio
della primogenitura e, grazie alla sua attività di
centro marittimo e commerciale, fino a pochi
decenni or sono è stata la borgata con il maggior numero di abitanti dell’isola.
Numerosi reperti
archeologici
Oltre a numerosi reperti archeologici (tombe, epigrafi, monete con le effigi di pino, di capra e di vasi), si sono conservati undici metri
delle mura di cinta greche in via dei Ciclopi:
grandi blocchi di pietra a secco. Altri resti della cinta perimetrale si vedono dietro la chiesa di san Giovanni. Pietre delle mura vennero
inoltre immurate nel XVII secolo nelle fondamenta del campanile della chiesa parrocchiale.
Una iscrizione sul campanile ricorda che esso
sorge nel punto in cui si apriva la porta d’entrata alla città di Pharos dal mare: dederunt
huius primordia molis de moenibus urbis reliquiae et quae dederat gressum in urbem janua.
È chiamato “greco” dal popolo un pozzo posto
in uno dei giardini al centro dell’antica città…
Al periodo romano ci richiama un’iscrizione
immurata nella scalinata della chiesa di san
Rocco, sotto la quale c’erano le terme. Visitando in seguito altre chiese troveremo tracce dell’epoca romana paleocristiana.
Cittavecchia continuò
a prosperare
Dopo il rapido sviluppo di Lesina città,
continuò a prosperare anche Cittavecchia: ad
essa faceva capo il commercio dei prodotti
agricoli della fertile vallata della parte Nord
dell’isola. Al fiorente commercio, soprattutto
del vino nella seconda metà del XIX secolo, si
aggiunse la marineria. Nell’anno 1830 Cittavecchia registrava 40 velieri di piccolo cabotaggio e nel 1890 sei velieri di lungo corso e
28 di navigazione costiera. Nel 1850 contava
oltre tremila abitanti. Poi la crisi del vino e della navigazione a vela alla fine del XIX secolo
provocarono emigrazioni in massa nei paesi
d’Oltremare e quindi la riduzione del numero
degli abitanti. Nel secondo dopoguerra c’è stata una lenta ripresa con la viticoltura, la piccola industria, il turismo. Una moderna cantina
vinicola accoglie annualmente due milioni di
litri di ottimo “Vugava”. Tre sono gli alberghi
cui si aggiunge un villaggio di “bungalows”.
La baia è un paradiso per i turisti nautici e i pescatori dilettanti, le numerose piccole insenature celano altrettante piccole spiagge.
Cittavecchia di Lesina
Il Battistero
paleocristiano
Ed ora una visita ai monumenti. Cominciamo dal Battistero paleocristiano accanto alla
medievale chiesa di san Giovanni del XII secolo. Questa fu costruita sulle fondamenta di
un tempio paleocristiano del VI o VII secolo
dei quali si è appunto conservato il battistero che a sua volta era sorto sulle rovine di un
tempio pagano. Il fonte battesimale, profondo
115 centimetri con due diramazioni a forma di
croce, è stato parzialmente otturato per ragioni di sicurezza. La chiesa, già di Santa Maria,
fu sede primaria del vescovo farense ed è il più
antico luogo di culto cristiano sull’isola. La
forma attuale è parzialmente gotica, l’abide e
la pianta sono romaniche. La Chiesa parrocchiale di santo Stefano fu costruita nel 1605
sul posto di una precedente omonima chiesa.
La piccola piazzetta sulla quale si affaccia, la
facciata e il campanile del 1753, distaccato,
creano un ambiente intimo e armonioso. Il pittore Francesco da Santacroce vi ha lasciato un
bellissimo trittico raffigurante la Madonna, san
Girolamo e san Giovanni Battista. Ammirevoli pure gli stalli del coro ed il fonte battesimale ereditato dalla precedente chiesa. Un rilievo
del campanile raffigura un’antica nave oneraria. Interessante sotto il profilo architettonico
è l’ex chiesa di san Girolamo rinascimentale,
sulla strada che porta allo stabilimento balneare. Era parte integrante di un ospizio di religiosi glagoliti.
Il Convento domenicano fu fondato nel
1482 e incendiato dai Turchi nel 1571, venne poi fortificato con torri laterali e un campanile. Nel 1893 fu costruita la nuova chiesa le
cui dimensioni sproporzionate hanno rovinato
l’armonia dell’insieme. In compenso l’interno
si pregia di alcune notevoli tele: “San Giacinto” di Baldissera d’Anna, un “San Domenico
con santi” di ignoto e un’eccezionale “Deposizione di Cristo nel sepolcro” del grande pittore veneziano Jacopo Robusti-Tintoretto. Raffigura un vecchio, una giovane donna, il poeta
Pietro Ettoreo che fu il donatore e sua figlia
Lucrezia. Sull’altare maggiore spicca un crocifisso ligneo, opera di scuola locale del Seicento. Un altro piccolo crocifisso, ottima fattura
artigianale del veneziano Giacomo Piazzetta è
del 1703. Nel convento si possono visitare il
lapidario e, al piano sovrastante, una vecchia
biblioteca e l’archivio, una collezione di quadri, una collezione numismatica e una raccolta di fossili.
Una donna
si fece immurare viva
Non molto distante dal convento, sulla
strada per il cimitero, sorge la chiesa di san Nicolò. Vi si trovano ex voto di marinai ed opere
scultoree dell’artigianato artistico veneziano e
di Antonio Porri. Nel XVI secolo una donna si
fece immurare viva, per voto fatto al santo dei
marinai, sullo spiazzo davanti alla chiesa. Cibandosi di quanto le forniva la pietà del popolo, rimase in quella terribile posizione di prigioniera fino alla morte.
Pietro Ettoreo e «La pesca»
Cittavecchia ha dato i natali al poeta Pietro Ettoreo-Hektorović (1487-1572) di famiglia patrizia. Fu coinvolto nei sanguinosi moti
dei popolani del 1510 e del 1514, fu testimone di due incursioni turche sull’isola nel 1539
e 1571, viaggiò in Italia, tradusse le poesie
d’amore di Ovidio, egli stesso scrisse poesie
erotiche, ma il suo capolavoro resta il poema
“Ribanje” (La pesca). Tra il 1520 e il 1569 si
fece costruire un palazzo-fortezza che si conserva in tutta la sua mole nel centro della cittadina, con spiritose iscrizioni sulla facciata, una
piscina circondata da un colonnato ad archi, il
giardino. Sull’ingresso fece scrivere: “Petrus
Hectoreus Marini filius proprio sumptu et industria ad suum et amicorum usum construxit”. L’acquario ha mantenuto il suo aspetto
originario con pesci che vengono continuamente rinnovati. Anche il giardino è rimasto
intatto, mentre l’interno dell’edificio, ad eccezione dell’atrio d’ingresso, ha subito trasformazioni. Nell’ala destra della villa-fortezza è
sistemata una collezione etnografica. Davanti
all’edificio c’è il busto del poeta. Fra le case di
abitazione si distinguono quelle dei GelineoBervaldi, dei Bucic-Machiedo (Sei-Settecento), dei Politeo (Seicento). Pittoresca è la piazza “Skor”, nella parte orientale della città, tipica della concezione urbanistica barocca. Nel
palazzo Bianchini (Juraj Bianchini, bano della
Croazia, nato nel 1847 e morto nel 1928) è sistemata una Galleria d’arte con opere di pittori slavi contemporanei. Nello stesso palazzo
si può ammirare una Collezione marittima: la
“Camera del capitano”, la biblioteca, l’archivio della Capitaneria di porto di Cittavecchia,
ritratti dipinti di illustri navigatori di tutta l’isola, dipinti di velieri, armi da fuoco che servirono per la difesa contro i pirati.
Per mare. In motobarca, da Lesina città a
Cittavecchia si arriva in tre ore; sono ventidue
chilometri di mare, quasi il doppio di quanto
se ne fanno via terra. Usciti dal porto di Lesina, si naviga nel canale lungo la costa con alla
sinistra le Spalmadori, si doppia il Capo Pellegrin, estremo punto occidentale dell’isola, incontrando le biaette di Podstine, Mala Garčka
e Vela Garčka; doppiato l’estremo punto occidentale dell’isola che è Capo Pellegrin con
l’omonima baia, si passa sull’opposta costa
dove, proseguendo verso oriente s’incontrano
ancora le baie di Duga Luka con l’isolotto di
Duga, Sokolica, Vela Vira. In questa località
vi sono i resti di una villa vescovile del Cinquecento, le rovine di due cappelle, i ruderi di
una villa rustica romana e di un ospizio francescano, tracce di castellieri illirici e necropoli. “La sistemazione concentrica dei tumulus –
chiarisce lo storico Niko Duboković Nadalini
– aveva un significato rituale, in quanto gli spiriti degli avi stavano a protezione, a guardia”.
Dopo Vira viene la più boscosa di tutte le insenature, Jagodna. Sulla Punta Kosmaca c’è una
suggestiva pineta. In località Carnica c’è una
grotta carsica con sale sotterranee. L’insenatura di Stinica è il porticciolo del villaggio Brusje. Una maestosa gola annuncia poi l’ingresso
al seno di Tatinja. Rocciosa è anche Grabovac
seguita dall’insenatura di Lucisce con le rovine di ville patrizie e una cappella ben conservata. La successiva baia di Gračišće prende
il nome dal sovrastante colle sul quale c’era
una fortificazione preistorica. Un altro castelliere del secondo millennio a.C. sorgeva sulla penisoletta di Lompić che chiude la baia (vi
sono state trovate ceramiche illiriche e dell’età
classica). Stava a sentinella del golfo di Cittavecchia nel quale stiamo ormai addentrandoci.
Costeggiamo altre baie (Radočindol, Konopljikova, Maslinica) con le residenze estive di
patrizi e capitani di mare. Sul lato opposto del
golfo ci saluta il promontorio di Kabal.
8 dalmazia
Sabato, 9 giugno 2007
TURISMO Inaugurati il belvedere e il luogo per escursioni e gite di Kamenjak
Rilancio per il lago di Vrana
I
l Parco della natura del lago
di Vrana si è arricchito di
nuovi importanti contenuti,
in funzione turistica, che dovrebbero consentire la completa valorizzazione di quest’area dalla
bellezza unica. Alla presenza dei
dipendenti del Parco della natura,
degli abitanti del comprensorio
e dei rappresentanti delle Contee di Zara e di Sebenico e Knin,
il ministro della Cultura Božo
Biškupić ha inaugurato di recente
il belvedere e il centro per escursionisti e gitanti di Kamenjak. Il
lago di Vrana è una delle attrattive della Dalmazia centrosettentrionale, è stato inserito nell’elenco delle paludi di rivelanza mondiale. Con la realizzazione del
belvedere è stata migliorata l’offerta turistica ed è stata permessa
una migliore presentazione delle
attività legate all’agriturismo nell’area del Parco della natura. La
zona è stata arricchita con indicazioni turistiche, piste, ponti,
nonché punti d’osservazione dai
quali ammirare le varietà di volatiti che popolano l’area paludosa.
Nel porticciolo di Prosika sono
stati effettuati pure interventi per
permettere un’accoglienza quanto migliore dei visitatori. Il belvedere e il luogo prediletto per le
gite di Kamenjak sono ora i punti centrali cui fanno capo le visite turistiche nella zona del Parco
della natura. Sono stati realizzati
nell’ambito del progetto denominato “Sviluppo sostenibile del turismo nel Parco della natura del
lago di Vrana e nei suoi dintorni”. Il costo del progetto è stato
di 225mila euro: i fondi sono stati
stanziati dall’Unione europea per
il tramite del programma CARDS e dal Ministero della cultura
di Zagabria.
Dino Saffi
Tante le manifestazioni e i progetti comuni
Quarant’anni di amicizia tra Ragusa
e la Provincia di Ravenna
Dulcigno
Fa gola la costa montenegrina
Gli oligarchi russi
all’assalto di Dulcigno
CATTARO – Il Montenegro
ha da poco conquistato la sua indipendenza politica, ma economicamente si sta ritrovando sotto a un padrone ben più potente
di Belgrado: i magnati russi stanno investendo capitali in quantità specie lungo la costa adriatica,
per assicurarsi il controllo del turismo, delle industrie più redditizie e delle infrastrutture.
Il litorale montenegrino fa
gola soprattutto al gigante dell’economia russa, il numero uno
Roman Abramovich: ha in mente di trasformare parte della costa adriatica in una nuova Dubai dedicata al turismo di lusso:
punta innanzi tutto all’acquisto
della spiaggia di Velika Plaža,
nella zona di Dulcigno (Ulcinj),
una delle più suggestive della
Dalmazia meridionale con i suoi
13 chilometri di litorale inconta-
minato. L’asta verrà annunciata solo prossimamente, ma gli
emissari del patron del Chelsea
hanno già cominciato a comprare dai privati case e terreni nella
zona, per mettere Abramovich in
pole position rispetto ai due possibili concorrenti, la società ungherese Trigranit e un fondo di
investimenti degli Emirati arabi uniti.
Il Montenegro sta diventando, dunque, la spiaggia favorita
dei ricchi russi: nel 2005, altri
vari imprenditori hanno investito 73 milioni di euro in proprietà immobiliari, terreni, imprese commerciali e quant’altro.
L’interesse russo, come sempre,
fa lievitare i prezzi: negli ultimi
dodici mesi il costo di un metro
quadro di terra nella zona di Dulcigno è quintuplicato, passando
da 50 a 250 euro.
RAVENNA – Il 29 settembre
1967, l’allora presidente della
Provincia di Ravenna, Giuseppe Gambi (in carica dal 15 marzo 1965 al 10 maggio 1968), e il
sindaco di Ragusa (Dubrovnik),
Nikola Grill, sottoscrissero il gemellaggio tra le rispettive istituzioni i cui territori s’affacciano
sul mare Adriatico. “Prendiamo
impegno di sviluppare ogni iniziativa atta a mantenere legami
permanenti fra le rispettive comunità amministrate, a favorire
una reciproca conoscenza e una
diretta collaborazione sui singoli
problemi di carattere economico, sociale e culturale e a contribuire al crearsi di una salda
amicizia tra le genti”, si legge nel
protocollo del 1967 che si chiude
con queste parole: “Il presente patto, suggellato fra due enti
territoriali appartenenti a Paesi con struttura sociale diversa,
acquista valore nell’affermazione dei principi di democrazia, di
autodecisione e di pacifica coesistenza”. A parte il riferimento
ormai superato ai sistemi sociali
diversi, sembrano parole scritte
oggi, che non perdono assolutamente pregnanza politica. Quarant’anni dopo quel genellaggio
presso il Palazzo della Provincia
di Ravenna, si è tenuta una seduta straordinaria del consiglio
alla presenza di ospiti illustri anche dalla Croazia. L’inizio della
seduta solenne è stato preceduto, come avvenne quarant’anni fa a Ragusa (Dubrovnik), da
un’esibizione del gruppo musici
e sbandieratori del Rione Rosso
di Faenza, nato negli anni Sessanta e conosciuto in tutt’Europa, davanti a 100 alunni della
scuola elementare San Vincenzo de’ Paoli di Ravenna. Nell’ambito dei festeggiamenti per
il quarantesimo anniversario
del gemellaggio, in collaborazione con l’associazione Collegium Musicum Classense e i
Comuni di Cervia e di Ravenna, si sono svolti due concerti
del coro Libertas di Ragusa di-
verde urbano come elemento
importante per la qualità urbana, per uno sviluppo maggiormente sostenibile e per una promozione turistica integrata delle
città della regione adriatica.
Ragusa e la Provincia ravennate collaborano pure nel Progetto NAP, relativo alla valorizzazione delle aree Parco del-
Ravenna
retto da Viktor Lenert. “Le città di Ravenna e di Ragusa hanno entrambe ricevuto il riconoscimento dell’UNESCO come
città patrimonio dell’umanità.
Inoltre, la Municipalità di Ragusa è partner della nostra Provincia in diversi progetti finanziati
con il programma comunitario
INTERREG IIIA Transfrontaliero Adriatico 2000-2006” spiega il presidente della Provincia
ravennate Giangrandi. Si tratta
del Progetto B.A.R.C.A. relativo
alla ricerca e conservazione dei
Beni archeologici dell’Adriatico. Poi c’è il Progetto INFIORE,
finalizzato alla messa in rete di
territori dell’area adriatica per
un’azione comune sul tema del
l’Adriatico: tra cui le riserve
naturali presso Ragusa. Obiettivo principale del progetto è la
valorizzazione della vocazione
eco-turistica e la fruizione ecocompatibile aumentando l’attrattività della regione adriatica. Infine, il Progetto FAREADRI col quale s’intende contribuire al rafforzamento della
rete istituzionale dei rapporti fra
le due sponde del mare comune.
A seguito del kick-off meeting
organizzato dalla Regione Emilia-Romagna (lead partner del
progetto) è stato fissato l’incontro a Ragusa per il mese di ottobre su tre importanti tematiche:
turismo, cultura e trasporti (sia
aereo che marittimo).
Anno III / n. 6 9 giugno 2007
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: DALMAZIA
Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Andrea Malnig
Collaboratori: Giacomo Scotti, Dino Saffi e Igor Kramarsich
Foto: Ivo Vidotto
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Dalmazia: paradiso perduto