NICOLA ZINGARELLI
NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO
DELLA LETTERATURA ITALIANA »
(con stralci di una corrispondenza medita)
1. La collaborazione di Nicola Zingarelli al « Giornale Storico »
non va oltre un articolo nel volume 48°, 1906: 13 pagine (pp. 368380) di Appunti lessicali danteschi (una nota, più che un saggio vero e
proprio, anzi un « articoletto », per dirla col Renier che gliene annunziava la pubblicazione e l’invio dei 30 estratti di rito) e due recensioni, all’edizione della Vita nuova di Barbi (volume 520, 1908, pp.
202-210) ed al libro di Robert de Labusquette Auteur de Dante. Les
Beatrices (volume 770, 1921, pp. 288-298): di tono elogiativo, e si direbbe quasi riguardoso, com’era naturale, la prima sul lavoro del Barbi; severa, analitica, interpretativa, secondo il suo stile recensorio, la
seconda 1 .
* Relazione presentata al Convegno Nazionale « Piemonte e letteratura nel ‘900 »
(S. Salvatore Monferrato, 18-20 ottobre 1979) compresa nel voi, degli Atti di quel Convegno. Esprimo la mia gratitudine al dott. Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale
di Foggia, e al personale di quella biblioteca, per le cortesie prodigatemi nella consultazione delle carte del Fondo Zingarelli.
1
Si veda la serie ininterrotta, ed ormai vicina al centenario, del « Giornale storico
della letteratura italiana », Torino, Loescher, dal 1883,
1
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Un po’ poco, se si pensa alla immensa bibliografia del romanista
lessicografo pugliese distesa con ben 357; titoli in oltre 50 anni di attività erudita e letteraria su più disparati argomenti di materia neolatina,
romanza dantesca, linguistica e letteraria, in volumi, saggi, note recensioni nelle maggiori riviste, dalla « Rassegna critica della letteratura
italiana » a « Romania » a « Studi medioevali » al « Bullettino della
Società dantesca italiana» ai e Rendiconti del Regio Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere » all’ « Archivio glottologico » al « Giornale dantesco » a « La cultura » di De Lollis, e via dicendo, non senza frequenti puntate divulgative sulle terze pagine dei quotidiani, soprattutto «
La stampa » e « Il giornale d’Italia » di Bergamini2 .
Un po’ poco anche se si considerano le sollecitazioni che gli venivano dai direttori del « Giornale », dal Renier, dal Novati, e soprattutto dal Cian, come si può leggere nella corrispondenza di cui dirò tra
poco, nella quale è anche, sia pure nelle forme della civiltà epistolare
tra gente di lettere, non poca cordialità ed affermazioni di stima.
Certamente Zingarelli aveva le sue pigrizie epistolari e certe lentezze di lavoro, che sembravano contraddire una laboriosità e capacità
e l’utilissimo e precisissimo Indice compilato da C. DIONISOTTI, per i primi 100 volumi (1883-1932), Torino, Loescher, 1948.
2
Per la bibliografia dello Zingarelli si veda il volumetto di E. FLORI, Bibliografia
degli scritti di N. Zingarelli, MDCCCLXXXIV-MCMXXXII, Milano, Hoepli, 1933, offertogli in occasione dei cinquant’anni di insegnamento.
Intorno allo Zingarelli si vedano i profili di A. PIROMALLI, N. Z. e di F. PICCOLO, Z. filologo e critico, nella serie I critici dell’Editore Marzorati, Milano, 1969, II; la
bibliografia già accennata; il Saggio bio -bibliografico, di M. PENZA, nel vol. N. Zingarelli, Scritti vari e inediti nel primo centenario della nascita, 1860-1960, a cura di un
Comitato per le onoranze in Cerignola, Bari, Cressati, 1963; E. LOIODICE, Le tradizioni popolari nella Capitanata e N. Zingarelli nei ricordi dell’autrice, Foggia, Amministrazio ne Provinciale, 1974; A. VALLONE, Correnti letterarie e studiosi di Dante in
Puglia, Foggia, Studio editoriale dauno, 1966; dello stesso Vallone, le pagine relative
nel Dante, rifatto per la Storia dell’editore Vallardi e La critica dantesca nel 900, Firenze, Olschki, 1977; La critica dantesca nell’800, Firenze, Olschki, 1978; 1 Manoscritti
della Biblioteca provinciale di Foggia, a cura di P. DE Cicco, Foggia, Amministrazione
Provinciale, 1977.
2
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sedentaria rimaste proverbiali; ma nel caso nostro esse non potrebbero
spiegare (o forse potrebbero fin troppo) tante cadute di offerta, la lentezza svogliata di certe recensioni, silenzi e rinvii di impegni pur assunti senza entusiasmo.
E’ vien quasi da chiedersi se non ci fosse qualcosa di non casuale,
di intimamente discordante, anche se mai dichiarato. Se non ci fosse,
insomma tra lo studioso ed il « Giornale » dall’una parte e dall’altra,
una certa freddezza e diffidenza resistenti negli anni e mai cadute
completamente.
Nel fondo dei manoscritti della biblioteca Zingarelli, acquisita dalla Biblioteca Provinciale di Foggia, ed attentamente catalogato, si possono leggere le lettere del Gaspary e di quasi tutti i personaggi grandi
e piccoli della romanistica e della filologia italiana ed europea, tra fine
Ottocento ed i primi trentacinque anni del Novecento: una corrispondenza di un cinquantennio, diligentemente conservata ed ora ordinata,
che getta luce su molti particolari di quella vita ed esperienza di studio, ed anche, tra le pieghe, su talune vicende non prive di interesse
della cultura e della vita accademica italiana. Su un tale carteggio si
era soffermato il Vallone pubblicando qualche lettera nel suo studio
sulle Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, ed ora si annunzia imminente la pubblicazione di tutta la corrispondenza con il Barbi
ed altri maestri della filologia italiana, a cura della Prencipe - Di Donna3 .
3
Lo studio del Vallone è indicato nella nota precedente. La pubblicazione della
Prencipe-Di Donna, annunziata come imminente, non è ancora disponibile all’atto della
presente relazione. La cortesia dell’autrice mi ha offerto copia del volume (N. Z. Carteggi, a cura di C. PRENCIPE DI DONNA, Foggia, Apulia, 1979) che ho potuto consultare mentre correggevo queste bozze per gli Atti, trovando molte conferme a quanto
avevo scritto. Il volume, preceduto da una breve introduzione, e accompagnato da note
precise, pubblica le lettere di Zingarelli al Barbi e a Pascarella e quelle di alcuni studiosi
allo Z. Dello stesso volume, successivamente, ho avuto incarico di fare la presentazione
in una serata organizzata in Foggia dell’Istituto Dauno di Cultura e della Biblioteca
Provinciale, e mi è occorso di recensirlo in « Rapporti », 16-17 (1980) pp. 108-110.
3
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Mi limiterò, pertanto, a dare solo qualche saggio di questa corrispondenza, che potrà lumeggiare il rapporto Zingarelli - « Giornale
storico », dal quale potrà trarsi forse, qualche considerazione su taluni
aspetti non trascurabili della storia della cultura italiana nei suoi contrastati svolgimenti ed opposizioni di scuole ed aree culturali.
2. Zingarelli, come si sa, pugliese di nascita e napoletano di studi,
era stato nei suoi giovani anni, intorno al 1880, allievo del D’Ovidio e
dello Zumbini, in una università quale Napoli che ancora risentiva del
rinnovamento desanctisiano e di una tradizione culturale romanticohegeliana, e che anche nei maestri della nuova generazione, quali
D’Ovidio e Zumbini appunto, e poi via via, Torraca, Montefredini,
Percopo e Scherillo, si mostrava attenta alle nuove dottrine del metodo
storico passate in Italia dopo il ‘70 per la suggestione della grande filologia tedesca e francese; ma non perdeva (e forse non poteva perdere) il collegamento con la tradizione « filosofica » più che « filologica
» di cui era nutrita fin dal Sei-Settecento; tentava perciò di elaborare
forme di metodo intermedio nell’ideale di una « critica intera », per
dirla con l’aspirazione del D’Ovidio, in cui glottologia, filologia, critica letteraria ed estetica si fondessero con pienezza di risultato. Così
non era raro negli scritti del D’Ovidio stesso e del Torraca e dello
Scherillo, tracce di resistente consenso e radicati semi fruttuosi
dell’insegnamento non solo del De Sanctis, ma di Settembrini, Villari,
De Meis, Spaventa4 .
4
Per quanto attiene alla cultura letteraria e filosofica napoletana nell’Ottocento, si
rimanda tra l’altro al vol. di G. OLDRINI, La cultura filosofica dell’Ottocento, Bari, Laterza, 1973; al saggio di M. SANSONE, La letteratura a Napoli, dal 1800 al 1860, nel
vol. IX della Storia di Napoli, Napoli, 1972; e, naturalmente, agli scritti del De Sanctis,
del Croce, del Nicolini, del Gentile, del Galasso, del Dotti, del Vallone e di quanti altri
hanno studiato quella cultura ed i relativi fenomeni. Mi sia consentito citare anche tre
miei contributi alla storia di quella cultura: M. DELL’AQUILA, Critica e letteratura in
tre hegeliani di Napoli, Bari, Adriatica, 1969; La cultura nell’Ottocento, nell’opera di
AA. VV., Storia delta Puglia,
4
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E forse varrà non dimenticare che già quei maestri e
quell’hegelismo erano stati essi stessi partecipi e per sino iniziatori di
quel rinnovamento, e proprio di Pasquale Villari è quel noto saggio
sulla Filosofia positivi ed il metodo storico, pubblicato nel e « Politecnico » di Milano nel 1866, in una rivista dunque di un’area culturale
ben diversa da quella napoletana, richiamantesi alla lezione dei Cattaneo; saggio al quale si fa comunemente risalire la costituzione da noi
di un indirizzo « storico » degli studi.
Senza dire dei saggio desanctisiano su La scienza e la vita, del
1872, così denso di forti sollecitazioni.
Ma i pronunciamenti e le fratture d’ordine metodologico di quei
primi anni unitari della cultura italiana sono noti. I casi appunto di
Montefredini e dello Zumbini nei confronti del De Sanctis e del Settembrini risultano esemplari della inquietudine della cultura napoletana che avvertiva il suo crescente isolamento nella matrice « filosofica» spregiata dalla nuova filosofia e dall’orientamento predominante
verso forme di studio documentario e analitico, contrarie ad ogni tentativo di sintesi affrettata e ad ogni fumosità filosofica e divagazione
letteraria.
Nè va sottovalutato il fatto, che il Dionisotti ha ben rilevato, la
straordinaria congiura del silenzio (se non per le irose insofferenze
carducciane) che accompagnò per decenni la Storia desanctisiana da
parte della cultura accademica ormai monopolizzata dalla nuova scuola, e l’ambito ristrettamente napoletano della disputa intorno alla Storia del Settembrini, lasciata cadere come disputa su cosa di poco rilievo e fatto di una cultura ancora attardata5 .
Ed. RAI-Adda, Bari, 1978, II; Foscolo nel progetto pedagogico del De Sanctis, in Atti
del Convegno nazionale su Foscolo e la cultura napoletana, Napoli, Soc. Ed. Napoletana, 1980 e, più ampiamente, in « Italianistica » 1979, 2 e 1980, 2.
5
C. DIONISOTTI, La scuola storica, in Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, UTET, III°, 1973. La scuola storica è anche il titolo di un recente studio di
D. CONSOLI, Ed. La Scuola, Brescia, 1979.
5
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Ma, si sa bene, i discepoli sopravanzano i maestri. E se Zumbini e
D’Ovidio e Torraca a Napoli, e Villari e De Meis a Pisa e a Firenze,
pur nelle diverse posizioni assunte, non tagliavano i legami con una
matrice filosofico-hegeliana; proprio in Firenze e a Pisa, tra il ‘70 e
1’80 e poi nei decenni successivi, si costituì e venne rafforzandosi una
tradizione di comparatistica neolatina, di studi filologici e letterari, un
metodo di ricerca che aveva i suoi maestri nel Bartoli, nei Vitelli, nel
Comparetti, nello stesso Villari e poi nel D’Ancona, Rajna, Del Lungo, Barbi.
I nomi dei maestri e dei discepoli di quella scuola, rifluiti poi nelle
università d’Italia, sono nella mente di tutti e ciò mi esime dal ricordarli.
Non era ancora una grande filologia, nel senso mo derno e « germanico » del metodo: ed anzi molti entusiasmi ed energie negli stessi
maestri risultavano disarmati di una sicura strumentazione, che sarà
acquisita solo più tardi, dai discepoli della seconda o terza generazione. Ma era la rottura con le fumosità e l’ideologismo tardoromantico. Era la ripresa, in prospettiva, con supporti scientifici e metodo
storico, di molte istanze della grande tradizione erudita tardoumanistica e settecentesca: la sola di cui i nostri maestri avessero reale
conoscenza e la sola sulla quale potessero fondarsi in attesa di assimilare i metodi della nuova filologia europea.
A quella scuola venne Zingarelli, piccolo e vivacis simo pugliese di
Cerignola, per un biennio di. specializzazione nel 1883-4, dopo una
laurea con D’Ovidio su Parole e forme della Divina Commedia aliene
dal dialetto fiorentino che il Monaci gli avrebbe pubblicato due anni
dopo negli « Studi di filologia romanza »; e vi trovò i maestri che si è
detto e conobbe tra gli scolari anche quasi tutti quelli che gli sarebbero
stati compagni nella carriera degli studi e dell’insegnamento. E da Firenze passò a Breslavia e Berlino, discepolo di Gaspary, di Tobler, di
Schwann, e fu corrispondente di Meyer e di Gaston Paris.
Un cursus, almeno a stare ai dati esterni, di alto livello, del tutto
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conforme al rigore degli studi ed alla progressione disciplinare che era
propria dei giovani d ingegno avviati alla carriera universitaria: di tutti
quei giovani-maestri nati, come Zingarelli, intorno al ‘60 e laureati intorno ai primi anni ‘80, il Renier, il Novati, con i quali sarebbe venuto
in contatto, ma con un diaframma di necessaria riverenza dovuta ad
una dismisura, di superiorità, per quelli, saliti presto in cattedra, e di
inferiorità per lo Zingarelli impaludatosi nell’insegnamento medio.
Un divario e diaframma che ritroveremo, nell’identico rapporto,
iniquo per il nostro, anche nei confronti di giovani della generazione
seguente, quali il Bertoni, il De Benedetti, laureatisi intorno al 1901,
quando Zingarelli saliva in cattedra a Palermo, eppure presto avviati
anch’essi con maggior rigore e disciplina agli studi.
Cosa era accaduto dunque ai piccolo pugliese di Cerignola per un
tal declassamento psicologico nei Confronti dei coetanei e poi dei giovanissimi leoni della moderna filologia?
Il ripiegamento, dopo gli anni in Germania, sull’insegnamento
medio era stato un grave handicap: un ripiegamento necessario per
ragioni economiche e familiari; ma quel lavoro e almeno le prime sedi, Santa Maria Capua Vetere, Campobasso, non agevolarono certo il
collegamento con gli studi e con i centri ove essi avevano dimora. Più
tardi, i licei di Ferrara e di Napoli, gli consentirono una ripresa, che
ormai non poteva essere più velocissima.
Dagli anni della borsa di studio in Germania e dalla frequentazione del
Gaspary aveva portato, oltre gli insegnamenti, anche l’impegno per la
traduzione della Storia della letteratura italiana dello studioso tedesco. La traduzione del primo volume dell’opera, portata avanti proprio
in quegli anni ingrati del primo insegnamento medio, gli procurò,
com’è noto, non poche amarezze. Innanzi tutto la relazione con il Gaspary andò deteriorandosi in seguito alle aspre critiche che il maestro
rivolgeva al suo traduttore, accusato di volta in volta di infedeltà, di
inesattezze grossolane, di scarsa conoscenza della lingua tedesca.
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Così, quella traduzione che Zingarelli aveva pensato potesse costituire un passo decisivo per un inserimento nel mondo accademico e
degli studi, diventava per lui una brutta vicenda di angustie e di critiche.
E v’era di peggio: il timore, rivelatosi poi fondato, che non gli venisse tolto di mano il secondo volume dell’opera, con gran danno e disdoro. Di qui la resistenza nei confronti del Gaspary; ma, com’è noto,
fu battaglia perduta.
Il Gaspary nelle sue lettere è implacabile e perfino collerico. E potrà farsi forte anche dei rilievi duri di non poche riviste (tra le quali il
« Giornale storico ») e di studiosi con cui fu accolta la traduzione del
primo volume 6 .
6
In alcune di queste lettere, pubblicate dal Vallone nello studio cit. Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, si parla di « grandissima negligenza », di inesattezza
nel riporto delle citazioni, di « frettolosa trasandatezza » e perfino di poca conoscenza
del tedesco: «Inoltre si vede di nuovo che Lei non conosce bene il tedesco, lavora col
dizionario, e ogni finezza le sfugge »; e si rasenta il litigio: « Pur troppo lo prevedevo
che più presto o più tardi la nostra amicizia pericolerebbe per causa di questa benedetta
traduzione, e perciò ho tentato in tutti i modi di distogliercela. Lei allora pieno d’ardore
per un lavoro di cui non sentiva bene tutte le noie e difficoltà, non ha voluto darmi retta.
Ed ora naturalmente Le dispiace di sentire da me la verità, perché è brutta ». Ed altre
cose terribili ancora, perfino nella competenza dantesca: « Ora che fa Lei, che pure s’è
occupato tanto di Dante? Mi corregge con una conseguenza mirabile il ‘Commedia’
sempre in ‘Divina Commedia’, e così io aveva continuamente a cancellare quella giunta
». Il tedesco conosceva l’italiano benissimo, e nel rivedere le bozze di traduzione forse
esagerava, nella durezza particolareggiata ed implacabile della reprimenda, come può
vedersi da quel carteggio, di cui un saggio ci ha offerto il Vallone. E Zingarelli ne era
stato mortificato e nello stesso tempo ne era stato furioso, aveva sentito la cosa come
una ingiustizia ed aveva replicato accusando il maestro di troppo amore per la sua opera. Ma il fatto dava ragione al Gaspary. Il primo volume si ebbe una accoglienza tiepida
e non mancarono le critiche anche severe soprattutto sulla traduzione italiana. Il « Giornale storico » uscì con una recensione assai dura nel fascicolo del vol. 120 del 1888; ma
anche il D’Ovidio non fu tenero, e giustamente il Gaspary poteva dire che « non mi
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3. Quell’accenno al giudizio del « Giornale storico che poteva essere stato e malevolo » secondo l’espressione del Gaspary, fu il primo
non gradevole impatto dello Zingarelli con quella che si veniva affermando fu dai primi fascicoli come la massima rivista della scuola storica. Si trattò di una recensione assai dura nei con fronti della traduzione e del traduttore, con rilievo noi di rado meticolosi e pungenti.
Insomma, l’opera di un dilettante presuntuoso e maldestro, del quale si
dimenticava il curriculum scientifico regolare per sottolineare una cura frettolosa e arruffata e non poche inesattezze ed errori anche di contenuto storico. E si auspicavi che il secondo volume gli fosse tolto di
mano, come poi avvenne, affidato, come si è detto, a Vittorio Rossi.
Zingarelli se ne amareggiò molto. Quelli, intorno all’87 erano anni
difficili per lui. La cosa poteva voler dire l’uscita definitiva da ogni
possibilità di lavoro scientifico e di reinserimento universitario.
fondo sul giudizio del « Giornale storico » che può essere malevole, né su altri giornali,
che non ho veduto nemmeno, ma solamente su quello che veggo io stesso e che dettò il
D’Ovidio, che certo non potete accusare di parzialità... » (lettera del 25-12-1887). Si intuisce un carteggio tempestoso. Zingarelli era mortificato, ma adirato nello stesso tempo. Inoltre temeva di uscire dal l’intera faccenda ancor più compromesso nella reputazione se la traduzione del secondo volume fosse stata affidata ad altri. Fece altri tentativi cercò perfino di forzare la mano adducendo ragioni editoriali. Gaspary fu irremovibile e furibondo. Decise di togliere l’incarico al suo vecchio discepolo. Consentì solo che
nei confronti dell’Editore rimanessero celate le vere ragioni del mutamento, che apparve
dovuto a rinuncia dello Zingarelli; ma anche su questa faccenda il Gaspary non fu tenero e forse non fu senza ambiguità neppure la condotta dello Zingarelli. Il tedesco come
nel suo temperamento, glielo rinfacciò con molta durezza. La traduzione passò nelle
mani di Vittorio Rossi, del quale Gaspary non mancò di mostrar soddisfazione con lo
stesso Zingarelli ribadendo il suo giudizio nei confronti dell’antico discepolo: « Voi non
eravate l’uomo per un tal lavoro; siete troppo impetuoso e impaziente, ve lo dissi sempre e se aveste seguito i miei consigli, vi sareste risparmiato alcune amarezze. Ma ora
son cose passate, e se guardando il volume forse vi annoia il pensiero che un altro l’ha
dovuto tradurre, pure gli vorrete bene per amor mio, e vi troverete dentro non poche cose aggiunte all’originale tedesco » (lettera del 6 gennaio 1891).
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E ad allontanarlo, in qualche modo, secondo la severa concezione
degli studi letterari d’allora esclusivamente identificati con la filologia, ed in gran parte con la medievistica, da quel mondo accademico e
delle riviste specialistiche era anche certa sua assidua frequentazione
con gli ambienti artistici e giornalistici napoletani, con scrittori, poeti,
critici militanti, artisti, gente della cultura viva e contemporanea, nella
cui cerchia rumorosa e cangiante veniva sfogando certi suoi umori, e
che, in qualche modo, accogliendolo ed offrendogli possibilità di discorso nei caffè, nei giornali e nelle sale di conferenze, lo risarcivano
quasi dell’esclusione dalla sfera accademica e scientifica, che egli sentiva irosamente, patendone.
Sia a Napoli, come poi a Palermo e a Roma, Zingarelli sarà frequentatore dei caffè letterari e delle redazioni dei giornali, e stringerà
relazioni affettuose con Ferdinando Russo, Di Giacomo, Pitrè, Salomone-Marino, Federico De Roberto, Ferdinando Martini, col De Bosis, Corrado Ricci, Bergamini e Pascarella.
D’altro canto, anche per indole, il vivacissimo piccolo Zingarelli,
era portato a certe forme di sdoppiamento: la severità e la passione
appartata e perfino certosina della ricerca o del lavoro, contrastava con
altre ostentazioni e forme di vita in cui si ritrovava l’umore del pugliese e del provinciale mescolato alla lepidezza napoletana e a irriducibili
orgogli di irregolare isolato.
Più tardi, in una sua prosa autobiografica, parlerà di « due vie »
che lo avrebbero portato alla comprensione dell’opera d’arte: quella
degli studi, e quella della diretta frequentazione degli artisti; complementari l’una all’altra per la interpretazione non solo del testo letterario, ma di quella matrice del testo che è la biografia dell’autore, che
sarà, com’è noto, uno dei suoi filoni di ricerca preferiti.
L’esempio delle ricerche biografiche su Dante, Petrarca, l’Ariosto,
sui trovatori provenzali, offerto da tanti suoi studi conferma questo filone d’interesse, nel quale, come sembra scorgere, l’inclinazione
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storico-positivista per la ricerca documentaria s’incontra e avrebbe
dovuto fondersi, nelle intenzioni dello studioso, con una valutazione
d’ordine estetico postulata da un interesse mai venuto meno in lui per
le cose dell’arte e per la particolare dimensione in cui si muovono gli
artisti.
Naturalmente l’equilibrio tra i due poli d’orientamento non era facile e Zingarelli non sempre riuscì raggiungerlo; ed inoltre la sua ricerca tendeva ad accumular materiali che poi non gli riusciva di scartare che facevano ingorgo e disperdevano o confondevano li linea del
disegno interpretativo. Come sarà per il primo mastodontico Dante,
del 1902, vera e propria enciclopedia dantesca, ma disordinata e senza
una struttura come d’altro canto non poche opere degli studiosi della
scuola storica, più adatti al taglio del contributo che non alla sintesi
dell’opera complessiva7 .
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Il carteggio e la relazione con il Barbi possono costituire la misura oltre che del
divario di statura critica tra i due studiosi, anche di questi dismisure e dispersioni erudite
dello Z., e della difficoltà ch’egli avevi a stringere in un discorso unitario, intorno a temi
essenziali e portanti tutto il discorso. La monografia su Dante, nella prima e nella secondi edizione, risulta indicativa dei caratteri e dei limit i di una tal forma d ricerca che
caratterizzò lo svolgimento dello studioso pugliese, e chi contrastava con i metodi della
nuova filologia, mentre rimaneva del tutto riprovata dalla critica estetica.
In tal senso anche il rapporto con il Croce, assai limit ato nel tempo e nella entità e
contraddistinto da freddezza e insofferenza dall’una parti e dall’altra, può essere rivelatore della dislocazione tutt’altro che felici e sicura dello Z. sia nei confronti della vera
filologia che nei confronti della critica d’indirizzo estetico. E può esser significativa una
letterina del giovane Croce in cui il filosofo, chiedendogli chi avesse trattato d proposito
la interpretazione dei versi danteschi Io mi son un che quando etc., aggiungeva: « Vedo
che nel vostro Dante non siete giunto a trattari la poetica dantesca ». (18-1-1901): con
invito sottinteso a venire al dunque dopo tanti preamboli eruditi. Ma com’è noto, sarebbe stata attesa vana ed il Croce stesso avrebbe poi scritto accennandone appena sull’«
Antologia » che « la non meno vasta e dotta monografia italiana dello Z., in vece dello
studio estetico della poesia dantesca, offre una classificazioni degli affetti e degli oggetti
che Dante ha rappresentati, e spogli filologici delle sue figure retoriche, e altrettali cose
»; provocando naturalmente il risentimento dello Z. che peraltro se ne lamentò solo con
gli amici
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In Zingarelli però un tal ingombro ed affastellamento di materiali
eterogenei nasceva da una sua intima natura e connaturata irriverenza
per le regole e i dogmi delle scuole; tenne sempre, infatti, a dichiararsi
seguace di studi « liberi e franchi », non senza una punta d’orgoglio,
ben comprensibile per la lunga emarginazione patita.
E v’era, inoltre, e sarebbe stato sempre più negli anni, a nuocergli,
l’ingombro di un equivoco di orientamento metodologico, le cui cause, spesso, non erano da ricercare se non in una sua « irregolarità » e
farragine connaturata, orientato com’era verso la neolatina e la comp aratistica medioevale con ampiezza e acume di ricerca ma senza precisione e rigore di metodo; e, per contro, interessato ai problemi della
valutazione estetica senza avere peraltro canoni precisi di riferimento.
Tenuto in sospetto, negli ambienti della ortodossia storico-erudita
quali erano Firenze e Torino, per certa sua origine e filiazione « napoletana », senza ch’egli fosse assolutamente partecipe di quella fruttuosa eredità, vide accresciuti i sospetti negli anni per certe sue aperture
d’interesse meramente esteriori nei confronti delle posizioni estetiche
del crocianesimo, senza peraltro ch’egli avesse assimilato una sola riga di quel pensiero (ed il suo Dante 1902 e 1931 lo dimostra).
Dall’altro canto, da crociani e neodesanctisiani era considerato un perfetto estraneo. La sua posizione, in realtà, era vicina ai filologi eruditi,
ma con qualche scostamento e non poche confusioni.
Insomma, non era D’Ancona né Renier, e non era, men che mai,
un crociano né uno storicista meridionale; era in sospetto agli uni e agli altri; ai primi soprattutto, ai quali era vicino; e prendeva colpi da
tutti, tanto più in un’epoca in cui le scuole ergevano steccati e gettavano fuoco greco su nemici e transfughi, anche quando essi erano solo
presunti.
Risulta così assai utile la conoscenza del carteggio zingarelliano con il Barbi che la
Prencipe Di Donna pubblica in questi giorni (N. Z. Carteggi, Foggia, Apulia, 1979), insieme alle lettere al Pascarella e di alcuni altri studiosi allo Z.
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Ma ne assestava anche, di colpi, con le sue recensioni puntigliose,
nutrite di una erudizione smisurata che intimoriva gli interlocutori.
Gli anni ingrati dell’insegnamento medio, intanto, trascorrevano
veloci; il piccolo operoso pugliese risaliva la china con le sue recensioni e gli studi su riviste dantesche e di studi romanzi. Nel 1896 prese
la libera docenza con il sostegno del suo maestro D’Ovidio. I suoi articoli (pubblicati soprattutto sul « Bullettino della Società Dantesca Italiana » per invito del Barbi, e sulla « Rassegna critica della letteratura italiana » da lui fondata a Napoli con il Percopo) riscuotevano consenso, anche se non ammirazione. Zingarelli ha la sensazione che potrà risalire la china e conquistare la cattedra che ritiene gli sia dovuta.
Nello stesso anno 1896 tenta il concorso bandito da Pavia, ma con
risultato negativo.
Il Novati, peraltro, che sarà poi suo patrocinatore nella carriera e
cui succederà nell’insegnamento a Milano, gli scrive con espressioni
incoraggianti, in qualche modo quasi una promessa per l’immediato
futuro: « Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia
stata tale da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che
il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir così, la somma del rammarico che i commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato —
almeno in apparenza — quegli studi ai quali s era rivolto dapprima
con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’ella
ha interpretato il giudizio come voleva essere interpretato; vale a dire
come un eccitamento a fare, e non dubito ch’ella potrà in breve dar
occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sentenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ».
Vincerà, con il sostegno del Novati, il concorso per la neolatina
bandito da Palermo e salirà in cattedra nel 1902.
13
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
4. Ma sarà bene tornare al rapporto tra Zingarelli e il « Giornale »
ed i suoi direttori e redattori: un rapporto contraddistinto nel tempo da
una estrema civiltà e perfino cordialità oltre che stima a livello personale ed epistolare, contraddette peraltro da prese di posizioni recensorie e critiche della rivista (e dunque dei suoi direttori e collaboratori)
non sempre benevole e non di rado contrarie alle affermazioni di consenso ed ammirazione di certa corrispondenza.
Dei tre fondatori e poi direttori del « Giornale », nel fondo zingarelliano cui accennavo non vi sono lettere del Graf.
D’altro canto il rapporto dello Zingarelli con il « Giornale » non
risulta esser stato precoce; quando esso accenna ad instaurarsi, nei
primi anni del ‘900, Graf aveva già ceduto da un pezzo il peso della
rivista agli altri due colleghi, soprattutto alle solide spalle del Renier
che la sorreggevano dal ‘90, dopo il crescente disimpegno del Novati.
Renier, come moltissimi uomini di cultura e d’insegnamento
dell’Italietta tra Otto e Novecento, e poi via via fino a questi nostri anni di corrispondenza telefonica più che epistolare, scriveva quasi sempre su cartoline postali: e scriveva schietto, preciso, funzionale.
Era uomo rigoroso, come si sa, lavoratore eccezionale, autorevole,
circondato da universale stima ed ammirazione; reggeva il « Giornale
» con uno stile di perseverante fermezza, temperato da un tratto di naturale cortesia senza affettazione.
Il gruppo delle missive conservate, in numero di 17 (ma dovettero
essercene altre), vanno dal 1901 al ‘09, che sono poi gli anni della
prima modesta collaborazione di Zingarelli al « Giornale » ed i più
importanti della sua carriera accademica: il concorso di Palermo vinto,
lo straordinariato, l’ordinariato, la possibilità, poi sfumata, di passare a
Bologna o a Genova.
Ma il Renier parlava poco di queste cose, assai meno del « padrino
» Novati. Inoltre, sebbene facesse parte di tutte le commissioni di neolatina e fosse autorevolissimo, mostrava di mantenersi lontano
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO »
dalle grandi manovre concorsuali verso le quali ostentava una olimpica superiorità. E però i suoi giudizi avevano peso, proprio perché erano fondati sulle cose della scienza e quasi per nulla sulle ragioni del
sentimento o del partito preso.
Nella commissione di quel concorso di Palermo avrebbe dovuto
esserci anche lui, e lo Zingarelli doveva avergli scritto le cose che si
scrivono in questi casi, inviandogli i suoi lavori. Poi Renier si ammalò
e non poté partecipare ai lavori della commissione. Ma scrisse informandone lo Zingarelli e non gli fece mancare il conforto del suo
giudizio:
« Non dubito del resto, che la vittoria sarà sua, qualunque possa
essere la commissione. Ciò parmi conforme a giustizia, come già
scrissi al Novati, perché ella in questi ultimi anni ha lavorato assai ed
ha sempre migliorato la sua produzione critica ».
La « macula » dell’abbandono degli studi e del « traviamento »
giovanile, veniva ricordata, come già aveva fatto Novati
nell’occasione di Pavia; anche se questa volta per rimarcare un riscatto
quasi compiuto.
Al Renier Zingarelli, ormai in cattedra a Palermo, chiede che intervenga presso il Loescher per una eventuale ristampa del suo primo
volume della Storia del Gaspary al quale avrebbe voluto apportare
miglioramenti. Ma la ristampa, per il momento, non si presenta necessaria. E il Renier, dandogliene notizia con la risposta dell’editore, aggiunge:
« Per parte mia questo posso dirle. Se la Casa chiederà il mio parere, mostrerò per Lei, quella sincera stima che ho realmente da questi
anni; malgrado le distrazioni dell’insegnamento medio, Ella ha fatto
molto cammino. Ad una seconda edizione del Gaspary Ella potrebbe
accingersi con ottima preparazione ed anche nella forma darà al libro
quell’aspetto che meglio corrisponde all’invidiabile scioltezza del testo tedesco ».
Era una maniera elegante e ferma nello stesso tempo per ribadire il
giudizio negativo espresso dal « Giornale » a suo tempo su quella tra-
15
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
duzione (al quale giudizio il Renier stesso, nell’86 non ancora direttore ma redattore e fondatore del « Giornale », non poteva non aver sottoscritto), di indicarne ancora i punti deboli, ma di auspicarne la revisione nella fiducia della accresciuta esperienza del traduttore. Per non
dire della menzione dell’antica « macula » dell’insegnamento medio,
indelebile anche quando cancellata o in via di cancellazione, agli occhi
di un « regolare » come era Renier.
Frattanto, proprio in quei mesi, era imminente la pubblicazione
dell’attesa monografia su Dante.
Renier se ne dichiara desideroso, ed intanto non esita a riconoscere
che « Ella si è accinto ad impresa difficilissima e potrà compiacersi di
aver dato all’Italia la prima opera d’insieme sul sommo poeta, che corrisponda agli studi progrediti » (lettera del 6/1/’03).
Il Dante di Zingarelli uscì, nella sua prima edizione nel 1903, dopo
essere apparso in dispense dal 1898 al 02, e confermò la sua natura,
già rivelatasi di fascicolo in fascicolo, di vera e propria enciclopedia
dantesca, forse farraginosa e certamente piena di infinite minuzie, corriva all’orientamento più esteriore degli studi della scuola storica, priva di una linea unitaria di sviluppo e forse senza un’idea centrale; ma
utilissimo testo di riferimento e quasi « libro da indice » per tutti gli
studiosi che in un modo o nell’altro ebbero a farvi i conti.
Il Renier, ricevutane una copia, ne affidò la recensione a Luigi
Rocca e ne dava comu nicazione allo Zingarelli, prevedendone la pubblicazione nel « Giornale » in un fascicolo dell’annata 1905 (come poi
puntualmente avvenne), assicurandolo nel contempo in risposta ad una
sua maggior premura, che « non sarà troppo tardi perché di quel volume non si può parlare a cuor leggero » (cart. del 30/10/04). Frattanto
lo esortava a collaborare al « Giornale » e agli « Studi medievali » la
nuova rivista da lui fondata con il Novati.
Questa recensione non riuscì gradita allo Zingarelli che se ne amareggiò a lungo. Ne aveva avuta una dal Barbi sul « Bullettino » nella
quale il grande maestro, pur non lesinando critiche e rilievi particolari
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_____________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO »
e nel far rilevare pregi e manchevolezze, non tralasciava dal segnalare
il poderoso sforzo di scrivere un volume sintetico e aveva concluso affermando « che nel complesso l’opera è buona e la critica non deve ritardare all’autore la lode che si merita » 8 .
Rocca, invece, nel « Giornale » era stato più esigente; i suoi rilievi
erano puntigliosi e penetranti, più sul versante dei difetti « che, purtroppo, non mancano, anzi sono parecchi e gravi, e danno nell’occhio
più facilmente che i pregi ». E ne indicava i « capitali difetti » nel disegno e piano dell’opera, in cui s’è voluta separare la trattazione della
vita da quella degli scritti; la qual cosa se permise di approfondire
questioni particolari, « obbligò peraltro ad inutili ripetizioni e ad uno
smembramento della materia, tanto più deplorevole quanto più intimamente congiunte sono la vita e gli scritti di Dante ».
Ma non si faceva a meno, nell’enumerare gli altri difetti, di sottolineare « una grande ineguaglianza di esecuzione, trattazione talvolta
eccessivamente lunga e minuta, talaltra troppo lesta e schematica, nella forma stessa che, ordinariamente trascurata, varia da una pagina
all’altra e giunge alle volte a un grado inesplicabile di rilassatezza »;
ed ancora: una quantità di piccole inesattezze, di sviste, di citazioni
sbagliate o incomplete, errori di stampa, dimenticanze e semplici irregolarità che offendono l’attento lettore 9 .
La conclusione, come molti anni dopo scriverà il Cian, era che il
Rocca considerava l’opera « ancora in fieri e ne aveva raccomandato
la compattezza » auspicandone quanto prima il rimpasto.
Ma le espressioni con cui Rocca esprimeva un tale concetto erano
8
La recensione del Barbi si può leggere in «Bullettino della Società dantesca italiana » XI, 1904, pp. 1-58, e nel vol. Problemi di critica dantesca, Firenze, Sansoni, 1934.
9
La recensione del Rocca si legge nel vol. 460, 1905 del « Giornale storico della
letteratura italiana », pp. 136-176.
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
più dure di quanto Cian avesse voluto ricordare; e assai più duro
l’articolo che vi si concludeva.
Zingarelli ne era stato assai amareggiato, e se ne sfogava con gli
amici. Arturo Farinelli, che non aveva molta simpatia per i sacerdoti
regolari della scuola storica, lui anima di girovago e di artista, oltre
che di filo. logo e di critico, e dunque in qualche modo vicino a Zingarelli, anche per certa stessa tendenza all’accumulo del materiale di ricerca e difficoltà nell’ordinarlo in disegno comp atto, gli scrisse, scusandosi di non aver recensito il volume dantesco e dolendosi per la recensione di Rocca « calcata in modo davvero infantile su quella di
Barbi, poco utile, poco giusta ed è peccato che sia stata accolta nel «
Giornale ». Quel bravo sacerdote poteva spacciare altrove la merce
sua ».
Ma questa storia delle recensioni all’opera zingarelliana nel «
Giornale » non era alla prima amarezza, e non sarebbe stata quella
neppure l’ultima.
Dopo le dure osservazioni alla traduzione della Storia del Gaspary,
di cui si è detto, il « Giornale » nel suo fascicolo autunnale del voi.
300, 1897 (pp. 328-29) aveva recensito brevemente l’articolo di Zingarelli su La personalità storica di Folchetto di Marsiglia nella Commedia di Dante. Se ne lodava la dottrina, lo studio analitico, ma si sollevava qualche riserva, a mio avviso di rilevante importanza, non tanto
in sé, quanto come spia di un atteggiamento e di una dislocazione nei
confronti non solo di un certo tipo di lavoro dello Zingarelli, ma soprattutto delle sue matrici culturali e di gusto letterario.
« A qualche lettore — notava il recensore — sembrerà che intorno
al soggetto siano qui spese parole più del necessario; né a tutti garberà
il modo come le notizie sono disposte, né quel carattere di variazioni
sul tema che da qualche tempo vengono assumendo gli scritti critici di
alcuni letterati meridionali. Troverà qualcuno che se una simile maniera di scrivere di erudizione riesce assai bene, talora persino mirabilmente, a qualche reputato maestro, non tutti i discepoli possono avervi
18
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
acconcia la penna e abbastanza disciplinato lo ingegno ».
La nota, come tante altre di indicazioni ed annunzi bibliografici,
non era firmata. Ma lo stile sembra essere di Renier. D’altro canto
quasi tutte le note prive di firma o di sigla si ascrivono a lui, negli anni
della sua direzione. E l’osservazione era, nel merito, irreprensibile,
soprattutto per quanto atteneva alla scrittura disordinata dello Zingarelli che non poteva riuscire in quelle variazioni sul tema in cui altri
riusciva. E l’allusione alle suggestioni desanctisiane ed estetizzanti
ancor vive in D’Ovidio e in Torraca era trasparente, e perfino, nella
stoccata, diplomaticamente riguardosa. Ma la cosa che risalta è proprio quella freddezza del maggior sacerdote del tempio torinese della
scuola storica, nei confronti dei residui di quella cultura critica meridionale guardata con condiscendenza e ristretta a prove di bello stile, a
piacevoli variazioni sul tema con spreco di parole ed ornamento di
svolazzi, come non pochi — bisogna dire — s’eran ridotti a fare.
Sarà inutile dire che quella cultura era stata ben altro, con i suoi
maestri e dis cepoli; e proprio i torinesi, per aver avuto ospiti molti esuli di quelle parti, lo sapevano bene. Ma i tempi erano mutati; anche
se di lì a poco, con Croce e Gentile, essa avrebbe preso nuova forza
per contestare l’egemonia degli eruditi e dei filologi.
Intanto il povero Zingarelli ne pativa, anche se non senza ragioni
ascrivibili alla sua farragine e dismisura, ma non solo per quelle; così
la « macula » di un peccato originale gli rimaneva addosso e non accennava a cancellarsi nella reputazione dei sacerdoti del tempio.
Ma Renier era galantuomo.
Nel 1899 Zingarelli aveva ripubblicato il suo Falchetto, con non
poche modificazioni. E puntualmente una noterella non firmata appariva nel « Giornale » (vol. 340, 1899, p. 424) con espressioni di compiacimento per aver l’autore tratto profitto dalle discussioni e critiche
19
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
sollevate dalla prima edizione; con questa giunta sintetica ma eloquente: « Così va fatto ».
Altre brevi segnalazioni di scritti zingarelliani, tra il 1900 ed il
1904, rimarcano la solita diligenza di ricerca ed erudizione ampia.
Ma nel 1903 ( Zingarelli era già in cattedra a Palermo) una nuova
stoccata: breve recensione non firmata al Documentum liberalitatis,
un lavoro su testi francesi antichi, provenzali ed italiani, che aveva
avuto calorosi giudizi e ringraziamenti epistolari da molti. Ma il «
Giornale » non tralascia di notare con una punta di durezza: « Nocque
allo Zingarelli non essersi curato di quello che fu già scritto da diversi
sulla liberalità nel Medioevo francese. Pare che sia rimasta ignota (o
almeno non la menziona mai) persino la stessa grande e classica opera
di Alwin Schultz, che per ogni indagine intorno alla storia del costume
nell’età di mezzo è veramente fondamentale. » (Vol. 42, anno 1903,
2° semestre).
Ma dal Renier gli venivano anche sollecitazioni ad una collaborazione al « Giornale » e agli « Studi medievali », la nuova rivista da lui
fondata con Novati.
Forse è restrittivo pensare che quel poco di collaborazione zingarelliana alle due riviste, per ripetuta sollecitazione dei due direttori
coincidesse con l’anno 1906, che fu anche quello tra la prova di ordinariato dello Zingarelli, e l’occasione di passare a Bologna o a Genova
(ed anche per questo i sostegni erano indispensabili). Ma è un fatto
che dopo tale data la collaborazione s’interruppe.
Lo Zingarelli, intemperante com’era, commise perfino l’errore,
una volta spedito l’articolo degli Appunti lessicali danteschi, di sollecitarne la pubblicazione, certamente in quanto premuto dalle scadenze
dell’ordinanato, ricevendone un cortese ma fermo diniego: « subito
non mi è possibile inserirli; ma ritengo che nel fascicolo autunnale potranno entrare. Abbia pazienza, giacché il “Giornale” è sempre molto
occupato ».
20
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Ma poi l’articolo uscì in tempo per l’ordinariato10 .
E quando si trattò di sostenerlo per il passaggio a Bologna (andato
in porto, com’è noto, sia pure con molte difficoltà, ma poi revocato
dal Ministro, « non essendo la cattedra per ordinario »), gli chiedeva
di esserne informato ed aggiungeva: « A Bologna si tratta di fondare
l’insegnamento di neolatina che in verità non vi fu mai, tanto che non
hanno idea di quel che sia la materia nostra né i professori, né gli scolari. Sarebbe desiderabile che Ella ci andasse ».
Renier, il galantuomo che non aveva peli sulla lingua e sapeva dire
le cose giuste al momento giusto.
Renier poteva chiedergli con vivace entusiasmo una recensione per
la Vita Nuova di Barbi: « Mi dica. Le spiacerebbe di fare per il “Giornale” una recensione della Vita Nuova del Barbi? Ne avrei sincero
piacere, perché a me ormai il tema è venuto a noia. Mi dica si, se può,
e lasci che nella sua « Rassegna » ne parli altri. Me ne scriva qui, la
prego. A me basterebbe ricevere l’articolo in gennaio o giù di lì ».
Per Barbi non poteva dire di no, né menar la cosa per le lunghe. La
recensione uscì l’anno appresso, nel volume 52° 1908, 2° semestre
(pp. 202-210).
La sua « Rassegna » questa volta poteva aspettare.
10
« Giornale storico della letteratura italiana o, voi. 480 (1906), pp. 368-380. Il Renier si mostrava interessato alla sua pubblicazione sui Canzoniere di Dante: « questa
pubblicazione m’interessa immensamente e desidero assai di averla. Io stesso poi me ne
occuperò ». Ma sul « Giornale » non apparvero recensioni a riguardo.
Renier ebbe parole di sdegno e di solidarietà per gli attacchi denigratori di cui Zingarelli era stato oggetto da parte del Cesareo, suo terribile collega in Palermo, in alcuni
articoli della « Rivista d’Italia o, (si tratta della recensione di G. A. Cesareo al Dante di
Z.: L’ultimo Dante, in « Riv. d’Italia », 1906, fasc. 6, pp. 913-931) forse sferrati in concomitanza del ventilato passaggio a Bologna per una manovra di sbarramento accademico.
« Restai addolorato e indignato pei violenti articoli contro di Lei sulla « Riv.
d’Italia ». La ingiustizia, l’arroganza, l’insensatezza di questi articoli ne annullano ogni
valore agli occhi del pubblico serio o. Analoghe espressioni di stima e di solidarietà gli
scrisse il Rajna (lettera del 9-6-1907).
21
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
5. La relazione con il Novati, riccamente documentata
dall’epistolario di questo fondo, ed estesa per tutto l’arco 1896-1915,
non riguarda direttamente il « Giornale » né l’ambiente torinese (Novati, com’è noto fu professore in Milano), riferendosi piuttosto ad una
serie di rapporti accademici e di studio di non poco interesse generale
e particolare.
Essa tra tutte è la più continua ricoprendo, con le missive conservate in questo fondo tutto il periodo dal 1896 al 1915, fino a pochi
mesi dalla morte del maestro-collega del quale lo Zingarelli avrebbe
occupato la cattedra succedendogli nell’Accademia milanese. Zingarelli era quasi coetaneo del Novati, come lo era quasi del Renier: solo
qualche anno, anagraficamente, li divideva; ma ciò che costituiva la
distanza e poneva lo Zingarelli nelle condizioni del discepolo o quanto
meno, almeno nei primi tempi, del magister additus, non erano quei
due o tre anni di età, ma quei quasi vent’anni che il Renier ed il Novati
avevano potuto non trascorrere nell’insegnamento medio e che potevano ora vantare di anzianità accademica, oltre che di autorità scientifica.
Il Novati poi, non solo nei primissimi anni della loro relazione, ma
in ogni fase successiva, per la sua autorevolezza, per le cariche ricoperte, per la direzione delle riviste, dall’e Archivio storico » agli «
Studi medievali » allo stesso « Giornale storico », per la direzione di
importanti collane editoriali, per la presidenza o vicepresidenza di sodalizi famosi e benemeriti come la Società storica lombarda », la «
Società bibliografica italiana », il « R. Istituto lombardo di scienze e
lettere », la e Deputazione di storia patria per le antiche provincie e la
Lombardia », la « Società etnologica italiana », la e Società nazionale
per la storia del Risorgimento » etc., e soprattutto per le sue molte aderenze ministeriali ed accademiche, si offrì in veste di mentore e protettore dei quasi coetaneo professore che saliva con qualche ritardo gli
scalini della carriera.
Dallo scorcio del secolo, fino al ‘15 non vi è avvenimento importante della vicenda accademica e dell’attività scientifica dello Zingarelli che non trovi il Novati in veste di consigliere sagace e di sostenitore.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Certo la sua attività era largamente incentrata nella Milano tra i
due secoli, protesa a riconquistare un suo ruolo di capitale culturale e
nello stesso tempo imprenditoriale e a differenziarsi per questa strada
anche da Torino, rimasta più periferica, anche se la sua università poteva dirsi la roccaforte di quel metodo storico che li univa tutti, non
solo i letterati, ma gli storici, i filosofi, gli scienziati. D’altro canto,
com’è noto, il « Giornale » era nato dai discorsi dei giovani Graf, Renier e Novati a Firenze, alla scuola del Bartoli e del D’Ancona, anche
se poi divenne gloria e patrimonio torinese. In fondo una fede ed uno
spirito di scuola li teneva tutti uniti, al disopra della rivalità e delle dispute accademico-scientifiche. Si riconoscevano tutti, nelle diversificazioni ed ammodernamenti che gli anni avevano imposto, nell’antico
ceppo di Villari, D’Ancona, Comparetti, Bartoli, Rajna; avevano in
quegli ultimi vent’anni conquistato la cultura e l’università italiana. E
proprio al Novati il Renier poteva dedicare un suo ritratto con la dedica significativa e al compagno di battaglia e di vittoria », secondo la
testimonianza del Benedetto, giovane caro al Renier che ne seguiva
con ammirazione i progressi e la precocità sorprendenti11 .
Certo Novati era a Milano, come altri erano a Napoli, a Pavia, a
Roma, a Bologna, a Firenze, a Pisa, ed altrove, nei punti chiave del dispositivo accademico italiano, a governano e regolano affinché esso si
identificasse sempre più con e la scuola » e fosse esso stesso e scuola
»per la quale era giusto allevar giovani come il Benedetto, e recuperare studiosi valenti come lo Zingarelli, che si facessero onore « e facessero onore alla nostra scuola (la frase è di Renier in una cartolina allo
Zingarelli). L’orgoglio della scuola sopravvisse anche nella sua lunga
decadenza.
11
Si può leggere nella prolusione di L. F. BENEDETTO, Ai tempi del metodo storico, tenuta all’Università di Torino nel 1951, ora nel vol. Uomini e tempi, Milano - Napoli, Ricciardi, 1953.
23
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Studioso di infaticabile attività, di grandissima onestà intellettuale
e morale, scrittore e parlatore brillante, polemista vivace e qualche
volta ostinato nella difesa del suo punto di vista, il Novati, studioso
dell’umanesimo tre-quattrocentesco e del Salutati, era però anche lo
studioso delle origini, dei provenzali e di Dante, filologo romanzo oltre che cultore di studi francesi, non solo medioevali, e basterà citare i
suoi lavori su Stendhal.
Il suo rapporto con lo Zingarelli, nel corso di tanti anni, rimane
semp re sereno, improntato a stima, benevolenza e poi ad affettuosa
amicizia, senza scatti d’umore, senza esagerazioni o effusioni eccessive; il « lei » rimane fino all’ultimo, come con il Renier; ma era lo stile
degli uomini d’allora, più contegnosi di quanto non s’usi fare (non so
con qual vantaggio) tra conoscenti oggidì12 .
12
La prima lettera di questo fondo, del Novati, è del ‘96, in risposta ad una dello
Zingarelli allora professore al liceo « Genovesi » di Napoli. Vi si legge delle premure
esercitate dal Novati nei confronti del Vallardi affinché fosse affidato allo Zingarelli il
volume su Dante che poi uscirà in fascicoli dal ‘98 al 02, nella vallardiana Storia letteraria «a cura di una società di professori ».
In effetti il Novati scrisse al Renier affinché sollecitasse il Vallardi all’ « osservanza delle sue promesse », stante il fatto che «i miei rapporti col cav. Cecilio sono in questo momento così poco amichevoli che io non ho nessuna voglia di scrivergli » (cart. del
12-6-98).
Si fa riferimento inoltre al tentativo andato a vuoto dello Zingarelli nel concorso per
la cattedra di Pavia. Un risultato che non deve scoraggiarlo essendo la intenzione della
commissione di attendere ancora che i suoi studi si consolidassero prima di chiamarlo
all’insegnamento di ruolo. Novati trova modo di dirgli la cosa con sobrietà, distacco ed
incoraggiamento: « In quanto al concorso di Pavia io non gliene scrissi quand’Ella me
ne chiedea per non dare origine a discorsi, i quali avrebbero finito per lasciar il tempo
che trovavano. Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia stata tale
da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir
così, la somma del rammarico che i Commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato — almeno in apparenza — quegli studi ai quali s’era rivolto dapprima con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’Ella ha interpretato il giudizio
come voleva essere interpretato; vale a dire come un eccitamento a fare e non dubito
ch’Ella potrà in breve dar occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sen24
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Quegli anni di straordinariato furono anche di lavori intenso per
Zingarelli, Qualcuna delle sue cose, come si è visto andava al « Giornale »; ma più spesso a « Studi medievali » cui lo sollecitava il Novati, ed alla napoletana « Rassegna » che in qualche modo sentiva più
sua. E poi, naturalmente, l’« Archivio glottologico » il « Bullettino
dantesco » e via dicendo.
tenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ». Una cartolina del
12-4-1898 contiene suggerimenti e osservazioni intese a render più compatto l’ormai
compiuto lavoro dantesco di imminente pubblicazione: « Egregio professore, son contentissimo ch’Ella abbi riconosciuta la opportunità di restringere alquanto que’ capitoli
proemiali e vado certo che la compagine del lavoro ne diverrà più vigorosa. E anche rispetto alle note, creda pure che farebbe ottima cosa raggrupparle insieme per ogni capitolo; il Rossi ha fatto così; ed anzi ha stese le note ad opera finita; in questo modo è rimasto padrone di citar i vari lavori colà dove gli tornava più comodo. E così conto di fare ancor io ».
Un consiglio che sarebbe potuto valere per tutta l’opera e la vita dello Z., e di cui
non sempre questi seppe tener conto.
Entra poi nel merito di una osservazione fatta dallo Zingarelli all sue Noterelle dantesche circa Francesco da Buti, mantenendo il suo punto di vista e chiarendo la specificazione colta di quel commentatore, passato dal commento degli antichi, Valerio Massimo, Persio o Seneca, ai occuparsi di un poeta volgare.
La corrispondenza di quegli ultimi anni del secolo ci mostra un Novati che si lamenta delle sue molte occupazioni (sarà un leitmotiv di quasi tutti gli incipit della corrispondenza), chiede scusa dei ritardi nelle risposte, registra l’intensità e la qualità del lavoro dello Zingarelli, vera mente senza soste in quegli anni precedenti il concorso di Palermo, sia nel suo filone provenzale che in quello francese ed alto-italiano, oltre che
dantesco.
Questa volta, con il sostegno di Novati e degli altri, e per merito d quel suo prodigioso lavoro di recupero, risulterà vincitore. Ma la soddisfazione della vittoria verrà attenuandosi per certe accoglienze palermitane, dove pure aveva trovato colleghi valenti
che gli saranno affettuosamente vicini, come il Gentile.
Il filosofo siciliano gli scrisse infatti una lettera che merita di esser ricordata:
« Castelvetrano 15-3-1908. Ho appreso con molto ritardo, e per caso la tua vittoria
nel concorso di Bologna; e mentre mi rallegro sincera mente e cordialmente della bella e
e meritata e opportuna soddisfazioni che hai avuta, devo anche esprimerti un senso di
non meno sincero i cordiale rincrescimento pel sospetto che l’importanza dell’università
e i fastidio delle tante noie sofferte a Palermo possano indurti a lasciare la nostra Facoltà, nonostante la difficoltà dello straordinariato. Intendo che tu devi unicamente consi25
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Le cartoline dell’amico-maestro di quegli anni contengono esportazioni, ringraziamenti, indicazioni e sollecitazioni di bozze. La nuova
rivista « Studi medievali era stata fondata dal Renier e dal Novati, ma
era in gran parte sulle spalle di quest’ultimo, come il « Giornale » era
su quelle del primo. I primi fascicoli tengono impegnato il direttore,
che ne parla come di una creatura ai primi passi, chiede abbonamenti,
collaborazione, consensi, pareri.
Ma non mancano riconoscimenti, pur nel gran daffare, per il gran
lavoro dello Zingarelli.
« Il documentum liberalitatis è bel documento — mi permetta il
bisticcio — della grande padronanza che Ella possiede della vita e del
pensiero provenzale. Mi auguro che Ella faccia altri studi dello stesso
tipo: essi riusciranno utili agli studi e Le faranno onore ».(cart. del
21/3/03).
gliarti con gli interessi futuri della tua carriera d’insegnante e di studioso; e temo appunto per ciò di dover perdere quanto prima la tua compagnia. Ma desidero che tu creda,
che in Palermo lasceresti in me uno degli amici più affezionati e uno dei colleghi che
sentirebbero di più il tuo allontanamento [ ...] G. Gentile
Un’eco di questa situazione palermitana si coglie in una lettera del Novati di
qualche anno dopo, del 06, (« Quanto Ella mi ha detto nell’ultima sua riguardo agli att riti che hanno luogo nella Facoltà sua, non m’è stato cagione d’alcuna meraviglia. Conosco abbastanza il professore di lettere italiane dell’università di Palermo [il Cesareo]
per immaginarmi ch’egli non doveva aver preparato al suo collega di neolatina un letto
di rose ». Lo Zingarelli, anche per rendere più urgente e necessario il suo passaggio ad
altra facoltà (allora appunto sfumava l’occasione Bo logna) ed averne l’appoggio del
Novati, forse esagerava nel, rappresentare quelle contrarietà e l’ostilità del Cesareo nei
suoi confronti.
Ma Novati con molt a filosofia aggiungeva « Ma dal più al meno, tutto il mondo è
paese ed i prepotenti e vanagloriosi non mancano in nessun luogo. Il peggio è quando
alla prepotenza si accoppia il valore scientifico! Allora la vita è dura. Ella può credermi
in parola: Ella non ignora certo la lotta ventennale che ho sostenuta io qui. Ma il Cesareo? non è uomo che debba in fondo esserle capace di preoccupazioni Ad ogni modo
penso bene che ella preferirebbe essere lontano ». E gli proponeva Genova, ove forse si
sarebbe reso vacante un posto per il passaggio del De Lollis a Roma. « Certo Genova
non è Bologna, ma meglio di Palermo. Cosa ne pensa? ».
Lui, Novati, vent’anni prima era passato appunto da Palermo a Genova, prima di
approdare a Milano.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Ma il giudizio più categoricamente positivo riferendosi ad un suo
contributo agli e Studi » lo aveva pronunciato Renier, ed il Novati lo
confiderà all’amico, sicuro di fargli il più gran piacere: « Il Renier ha
trovato il suo lavoro ‘eccellente’, ed aggiunge: ‘Parmi che abbia
un’importanza superiore al soggetto specifico, perché addita la via che
la critica deve battere per rendersi conto del valore reale delle biografie trovadoriche’. Credo che questo giudizio le farà piacere ». (cart.
del 20/7/1905)
Con tali garanti sottoporre la sua produzione al vaglio della commissione per l’ordinariato era andar a colpo sicuro, anche in tempi in
cui quel vaglio era severissimo, sovente puntiglioso, ed era campo,
non di rado, della fiera guerra delle scuole.
Lo Zingarelli ebbe anche qualche apprensione, e non mancò qualche rilievo, come gli racconta il Novati. Ma era ben sostenuto e la sua
opera era solida e varia.
Insomma, prova superata con pienezza di voti. E il Novati non rinunzia a riconoscersene qualche merito, se non altro per il sostegno
nella discussione e nella stesura della relazione: « La relazione è stata
stesa da me: ho, naturalmente, dovuto tener conto, dettandola, de’ vari
umori; ma siccome eran tutti bene disposti, così spero che Ella non la
troverà sgradita ». (lettera del 4/1/06)
Le lettere di Novati fanno cenno ad un progetto di viaggio in Sicilia, per una conferenza a Palermo su invito dello Zingarelli: progetto
sfumato per una serie di contrattempi.
E poi ancora la intricata vicenda e la stressante attesa per il passaggio a Bologna; le lettere di Novati parlano di prudenza,
dell’autorità del Carducci in sostegno di un suo scolaro, di pressioni
del Pascoli perché l’insegnamento gli sia lasciato per incarico; finché
la Facoltà, per troncare tutto, decide di mettere la cattedra a concorso.
Zingarelli, com’è noto, parteciperà e vincerà.
27
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Ma il Ministero non gli riconoscerà il passaggio, e non essendo la
cattedra per ordinario ».
Rimase a Palermo e continuò i suoi studi.
Continuamente dal Novati e dal Renier (ma anche dal Barbi per il
« Bullettino ») era sollecitato per collaborazioni e recensioni e si lodavano con schiettezza i suoi lavori, anche se non mancava di detrattori
e di critici difficili.
Novati nelle sue cartoline alternava scuse per i ritardi epistolari,
dichiarazioni di stanchezza (qualche volta sincera e pensosa, come avviene qualche volta anche a quanti si lamentano non senza una qualche compiacenza: « Io sono oppresso dalle troppe faccende che non
mi lasciano il tempo necessario a mandar innanzi i miei lavori. Purtroppo si perde una preziosissima parte della vita a far ciò che non
piace... Perché poi?! » (cart. del 16/6/07) e richieste di lavori (« Io le
raccomando molto Vivamente gli e Studi » che hanno bisogno di collaboratori volenterosi per potersi mantenere in vita, altrimenti andrà a
finire che, morto l’Arch. Glottol. morto tutto, resterà solo in piedi il
monumentale edificio della Soc. filologica Romana che non è poi così
eccelso da fare inorgoglire l’Italia di possederlo ». (cart. dell’8 gennaio 1907)
Questi inviti di collaborazione si estenderanno fino al ‘15, l’anno
della morte del Novati, che seguì di un anno appunto quella del Renier. In quell’ultimo anno, nonostante gli altri impegni, Novati si era
preso il fardello del « Giornale ».
In una lettera del 18 agosto del ‘15, nell’esprimere rammarico per
un mancato incontro a Milano in una visita fattagli dallo Zingarelli,
aggiungeva: « Il mio dispiacere è anche maggiore perché non mi è
possibile più di affidarle la recensione del recente volume del Barbi:
non appena il libro era uscito, alla fine di luglio, passò di qui il prof.
Debenedetti che si assunse l’ufficio di parlarne nel Giornale. Sarei
stato veramente lieto di rivederla tra i collaboratori del periodico nostro che ha bisogno più che mai di veder stringerglisi attorno gli amici
fidi ed illustri. Veda, caro Professore, di risarcirmi di questo danno,
28
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
inviandomi presto qualche cosa di suo: o articolo o recensione. Ella mi
farà un vero e proprio regalo ».
Si tratta di uno degli ultimi scritti del Novati in questo fondo.
Novati, com’è noto, sarebbe morto negli ultimi giorni di quel primo anno di guerra 1915. Il « Giornale » sarebbe passato per due anni
al Gorra, succeduto al Renier sulla cattedra di Torino, ed alla morte di
questi, nel 1918 al Cian. A succedere al Novati sulla cattedra di neolatina l’Accademia milanese avrebbe chiamato lo Zingarelli.
6. Vittorio Cian tenne la direzione del « Giornale storico » dal
1917 al 1937, gli anni in cui la seconda generazione della scuola storica doveva far sempre più i conti con il mutamento degli orientamenti
critici imposti dal Croce e con la progressiva supervisione politica della cultura imposta dal fascismo.
Quasi coetaneo dello Z., veneto di nascita, come il Renier ma torinese di studi e di vita, allievo del Graf e del Renier, il Cian fu come gli
altri lavoratore infaticabile, legato nella ricerca agli strumenti del metodo storico ma non del materialismo positivistico, che anzi nella contaminazione metodologica e nei confusi presupposti filosofici della
sua critica non si mostrava insensibile ad uno spiritualismo imprecisato e ai miti, non solo postrisorgimentali, del nazionalismo: la Torino
liberale, l’insegnamento desanctisiano ripreso, sia pure per mostrare al
Croce che esso apparteneva a Napoli quanto a Torino, alla scuola estetica quanto alla storica, e soprattutto una sincera ma retorica e qualche
volta perfino grottesca ideologia nazionalistica.
In cattedra a Messina fin dal ‘95 per letteratura italiana, e non neolatina come quasi tutti gli altri, passò poi a Pisa e a Pavia, ed infine nel
1913 a Torino, fino al ‘35. Deputato e poi senatore dal ‘29 non risparmiò, da posizioni nazionalistiche dichiarate, apologie
all’imperante fascismo.
29
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Nella sua corrispondenza un tal orientamento si sente assai più di
quanto non si sentisse in altri, come il Bertoni ed il Farinelli, che pure
avevano accettato cariche e funzioni dal regime.
La corrispondenza nei documenti di questo fondo zingarelliano si
estende dal ‘14 al ‘34 e risulta abbastanza continua soprattutto per vicende legate alla collaborazione sollecitata ma piuttosto svogliata dello Zingarelli al « Giornale ».
Ma vi sono anche numerose manifestazioni di stima, ringraziamenti, scambi di opuscoli ed estratti (« hai voluto fare — scriveva, ringraziando lo Zingarelli che gli aveva contraccambiato con alcuni opuscoli
un suo dono — come Romeo col suo Signore, sette e cinque per diece
»); c’è un riferimento al Pascarella e alla sua raccolta di sonetti di Storia nostra, un poema cui si dedicherà fino agli ultimi anni di vita, rivelatore del nazionalismo ch’era l’orientamento spirituale del Cian (« E
credi tu ch’egli possa darci più il ‘pomera della storia nostra’ ora che
ce l’hanno dato i nostri giovani cari con le armi, mentre il povero amico si è chiuso e sepolto in oscuro neutralismo tanto dis astroso quanto
inesplicabile? Ne hai tu notizie? »).
Ma soprattutto vi è una ripresa pressante di inviti alla collaborazione, destinati, anche questi a non produrre se non una breve recensione nel ‘21 al volume dantesco di Labusquette.
Zingarelli ormai era passato a Milano sulla cattedra di neolatina liberatasi con la morte del suo caro Novati. Ed in quegli anni collaborava intensamente a molte riviste autorevoli ed era impegnato in una intensa attività di dantista, di romanis ta e di lessicografo.
Cian, con inviti sempre più pressanti e confideziali, lo esortava a
dargli qualcosa; e Zingarelli non diceva di no; ma prendeva tempo e
altro tempo, fino a far cadere la cosa13 .
13
Ecco qualche esempio:
« Attendo l’adempimento delle tue belle promesse pel « Giornale » (14-12-1918).
30
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Naturalmente, aveva le sue buone ragioni, neppure polemiche, ma
di lavoro e di salute.
Era immerso sino al collo nel lavoro di revisione e di stampa del
Vocabolario, che sarebbe uscito in prima edizione, presso il Bietti, nel
1922.
Ma a scorrere la Bibliografia degli scritti, ci si avvede che anche in
quegli anni in cui si dichiarava impedito, non san pochi i suoi scritti su
riviste e quotidiani autorevoli.
Le richieste di collaborazione s’interrompono.
Il « Giornale » di Cian non trascura di segnalare, sia pur sobriamente i lavori dello Zingarelli. Lo farà anche per il Vocabolario.
28-7-1919: accoglie un saggio di un segnalato per il « Giornale ». « Ma più lieto sarei di
avere qualche cosa del mio Z., e tanto più lo spero da che mi dai la buona notizia che
lavori molto. Qualche briciola di codesto tuo lavoro, serbala al « Giornale ». E a proposito, mi vien un’idea. Giorni sono scrissi al Torraca proponendogli di prepararmi, fra un
anno circa, uno studio sintetico — 2 o 3 fogli di stampa — sopra Un mezzo secolo di
studi danteschi in Italia (1865-1921) destinato a quel numero straordinario del Suppl.
del Giorn. che vagheggio di dare in luce pel ‘21. Ora nel caso che il Torraca non
s’assumesse l’impegno, potresti sobbarcarti tu? Ne sarei lietissimo. Anche ho offerto al
Torraca di recensirmi il Dante del Granz (la D. C.) Qualora egli non accettase potrei fare assegnamento sull’amico Z.? Rispondimi etc. ».
Nel ‘20 una serie di cartoline sulla laboriosa correzione De Labusquette, che poi
uscirà nel vol. 77°, 1921, pp. 288-298.
6-7-1921. Sembra che Z. abbia accettato la rassegna di cinquant’anni di studi danteschi. Cian lo sollecita a consegnare l’articolo. Il vol. si comincia a stampare, con i contributi di Galletti, Zonta: « Attendo con impazienza il tuo che vorrei mettere in testa.
Vedi di fare uno sforzo e d’accontentarmi ».
C’è anche qualche impennata per mancate risposte: « Poiché non ho avuto l’onore
di una risposta ti riscrivo nella fiducia d’essere questa volta più fortunato ».
Nel ‘21 sollecitazioni per l’articolo pel Suppl. dantesco del « Giornale » del 1921.
(14.-sett.-21). « Bada poi, caro amico, che io vagheggio l’idea di affidare a te la rassegna cumulativa di quanto si pubblicherà di dantesco in occasione del centenario ».
21-8-21. Ancora sulla rassegna dantesca: « ora che hai offerto il tributo del tuo nobile dantismo al Monastero di Fonte Avellana (come t’ho invidiato!) spero bene che
penserai sul serio anche a me e al tuo contributo dantesco al quale tengo assaissimo.
Dunque ti prego, testina non lente ».
31
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Ma uscivano anche certe noterelle piuttosto polemiche dello specialista di studi petrarcheschi, prima il Chirboli, poi il Calcaterra, su
alcuni lavori zingarelliani, che, pur nel tono riguardoso che sembrava
ispirarli non risparmiavano qualche frecciatina su certe « forzature » e
precisazioni cronologiche e che non persuadono »; ed il Calcaterra entra anche in qualche garbata polemica personale.
Intanto usciva la seconda edizione del Dante vallardiano, accresciuto smisuratamente, migliorato sotto l’aspetto della precisione, ma
non certo sotto quello della compattezza e della struttura.
E v’era stato, com’è noto, tra le due edizioni, tutto un rinnovamento della critica dantesca, e la polemica, vivacissima, intorno al volume
crociano del 1921.
Zingarelli era molto timoroso di non incorrere in qualche nuovo
infortunio. Certo ormai, negli studi danteschi di un certo tipo la sua
fama era consolidata; ma era bene che il « Giornale » questa volta lo
sostenesse.
Infatti il « Giornale » non mancò di sostenere, con la penna stessa
del suo direttore Cian, il vecchio dantista ancora instancabile.
Glielo aveva promesso: 22/4/1931 « Il ‘Giornale’ ne parlerà degnamente, con lo scopo di informare con coscienziosa obiettività i
suoi lettori delle differenze che corrono fra la I e questa II edizione del
suo Dante. S’intende le differenze più notevoli. Farò di tutto per accontentarti.
Così nel volume 99°, 1932, uscì nel « Giornale » la recensione del
Cian, questa volta positiva e sotto ogni aspetto affettuosa. Si faceva
l’elogio di una lunga professione di dantismo scientifico e militante,
del coraggio di stringere in una monografia tutta la dantologia disponibile, si indicavano i miglioramenti della seconda edizione sulla prima; si dichiarava aperto e totale consenso; si cercava un collegamento
con certe posizioni desanctisiane sulla necessità di non trascurare in
Dante l’uomo e l’esule, la forza morale di certe sue posizioni; etc.
32
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Ma in quella difesa dello Zingarelli, così inusitata mente senza riserve, Cian e il « Giornale » sapevano di difendere il metodo storico e
certo orientamento della critica biografico-erudito, contro la montante
marea esteticocrociana e contro qualche resistente posizione della critica teologico-simbolica, di cui Pascoli e qualche pascoliano erano esempi.
Tutta la scuola storica e il « Giornale » erano sulla difensiva in
quegli anni trenta, arroccati nelle cittadelle universitarie, ma ormai insidiati anche in quelle; ed aveva dovuto accettare non pochi compromessi e capitolazioni, come Dionisotti stesso nel suo magistrale saggio
non ha mancato di rilevare 14 .
Valeva la pena allora spezzare una lancia in difesi di uno Zingarelli, che alla fin fine, in quegli anni noi certo floridi, usciva con
un’opera che, tutto sommato, sarebbe sempre stata una pietra di paragone con cui confrontarsi e alla quale ricorrere.
Così si spiega — e non va trascurato — quell’accenno al De Sanctis, il cui recupero, tentato in estremis da non pochi, e dal Cian innanzi tutto, era inteso nel segno nazionalistico ed anticrociano, come
un recupero dell’ethos contro l’invadenza dell’estetica della forma; ed
un maldestro tentativo di salvataggio di tante ricerche biografiche che
invece erano e rimanevano erudite.
La corrispondenza con Cian non presenta che qualche altro spunto.
Un ringraziamento per l’edizione del Furioso « semplicemente delizioso e, che per la sua originalità ed eleganza squisita è tale da far onore a te e al grande editore Hoepli. Naturalmente il ‘Giornale’, per la
penna del suo redattore più competente, il Debenedetti, compira il dover suo » (30/1/1934). Debenedetti, tra l’altro amico cordiale dello
Zingarelli, scriverà invece la recensione acidetta che vedremo.
Infine i rallegramenti per il passaggio, che egli stesso Cian, nella
sua qualità di presidente di sezione del Consiglio Superiore aveva
proposto di approvare, di Zingarelli alla cattedra di letteratura italiana
14
C. DIONISOTTI, La scuola storica, cit.
33
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di Milano, liberatasi nel 1931 dopo la morte dello Scherillo: « di proporre toto corde l’approvazione della proposta fatti con così bella e
giusta unanimità da codesta Facoltà pel trasferimento dell’amico
Nicola, il quale, in grazia d questo trasferimento, avrà il bollo ufficiale
come aveva titoli di figurare fra gli italianisti. Al futuro collega li italianità letteraria i miei rallegramenti e auguri cordiali ». (18/2/IX°
1931)
7. La corrispondenza e le relazioni con San torre Debenedetti e con
Giulio Bertoni si può dire comincino, tra il 1913 e il ‘20, quando quelle con il Reniere e con i Novati finivano.
E d’altro canto il Debenedetti ed il Bertoni appartenevano ad
un’altra generazione, di diciotto anni più giovani dello Zingarelli, si
laureavano entrambi alla scuola del Renier e degli altri maestri di Torino nel 1901, quando lo Zingarelli saliva in cattedra straordinario a
Palermo.
L’uno e l’altro, discepoli d’ingegno di quella gran. de scuola, dominata ora dal Rajna, erano andati a perfezionarsi a Firenze ed avevano subito il fascino di quella più duttile scuola filologica, tanto che il
Debenedetti pupillo del Renier al quale pure rimase legato da riconoscenza e da affetto, non esitò a dichiarare in uno dei suoi lavori maturi
che « se da queste pagine traspare un certo spirito d’abnegazione e
qualche oscura virtù di sacrifizio, sappia il lettore ch’io debbo tutto ai
miei Maestri di Firenze »15 . La crudeltà dei discepoli, non di rado,
com’è noto, è almeno pari all’egois mo dei maestri. Entrambi si erano
affinati nella frequentazione di università straniere ed avevano ascoltato i grandi maestri tedeschi, francesi, il Tobler, il Meyer, il Grober,
prendendo consuetudine con i metodi della grande filologia europea.
De Benedetti dopo il periodo all’Archivio di Stato di Firenze farà
il suo noviziato d’insegnamento universitario a Strasburgo allora tedesca, dall’08 al ‘13, quando conseguita la docenza e passata la tempesta
15
34
S. DEBENEDETTI, prefazione a Il Sollazzo, Torino, Bocca, 1922.
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della guerra, passò come incaricato a Pavia e poi, dal ‘23 ordinario, infine a Torino nel ‘28, ove ebbe pure responsabilità di redattore (1929)
e il condirettore (1938) del « Giornale ».
Le vicende dell’ultimo decennio di Debenedetti, costretto ad abbandonare l’insegnamento ed il « Giornale » per le leggi razziali
(1938 e ‘39) sono note, così il suo ritiro a Giaverno, la partecipazione
alla Resistenza ed alla lotta antifascista, il ritorno all’insegnamento
dopo la Liberazione, la sua solitudine, la sua morte nel ‘48: una vicenda che non tocca la relazione con lo Zingarelli che s’interrompe nel
‘35 per la morte di questi.
Così come è nota la sua fisionomia intellettuale, il suo gusto per la
ricerca, la sagacia dei suoi studi, il rigore e la sobrietà dello stile,
l’ideale aristocratico di discrezione ed eleganza che lo portava a scartare immensi materiali di scavo per trarne lavori apparentemente esigui, ma di estremo interesse e lucidezza. Con Zingarelli poteva incontrarsi ed ammirare la erudizione la vastità della ricerca, la curiosità intellettuale, non certo il disordine e la copia lutulenta di certi scritti e la
trasandatezza dello stile che caratterizza tante cose del piccolo pugliese.
Epperò la loro relazione fu rispettosa e misurata nei primi anni, via
via sempre più affettuosa e sciolta16 .
16
Ringraziamenti per pubblicazioni ricevute, contraccambi, richieste di giudizi e di
pareri, come in una cartolina del 27-2-27 in cui si ringrazia di un giudizio favorevole e
si chiede una opinione sull’articolo Intorno ad alcuni versi di Dante; si lodano alcuni
lavori che « hanno, oltre agli altri pregi, quello di essere molto coscienziosi, e perciò si
ricorre a lei volentieri ». (1922) si loda un articolo zingarelliano su Monti: « Dei contributi che sono apparsi in questo felice centenario (fra l’altro me lo vogliono far passare
per un gran poeta!) il tuo è uno dei più seri, importanti e conclusivi. Tutto quello che si
riferisce alla storia della lingua ha per noi — naturalmente senza scorze di pedanteria —
il massimo interesse ».
Lo invita ad una visita a T orino: « A Torino c’è una esposizione di cui si parla in
tutto il mondo: e tu la lasci passare senza nemmeno farci una capatina » (cart. del 14-1028).
Quando nel ‘28 è chiamato a Torino ne dà comunicazione affettuosa all’amico: «
Carissimo, Ricevo ora il telegramma che mi chiama a Torino a succedervi al Bertoni
sulla cattedra di filologia romanza.
35
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Affetto, simpatia, stima, dunque.
E tanto più stupisce la recensione puntigliosa e decisamente acida
che Debenedetti avrebbe scritto per il « Giornale » al Furioso uscito
presso Hoepli per le cure dello Zingarelli in edizione elegante ma destinata ad un vasto pubblico.
La votazione diede ottimi risultati: quindici votanti, quindici voti. Mi affretto a comunicano al mio ottimo amico, etc. » (cart. del 13-11-28); notizie sulla lunga preparazione della edizione del Furioso, « quando sia libero dalla influenza e dal Furioso, cioè
dalle due influenze, vengo a Milano a passarvi una sera con te. (Cart. del 2-4-28) sollecitazioni di corrispondenza ed augurio di lavoro: « Mio carissimo, da un secolo non ho
tue notizie, e per quanto sappia che hai sulle spalle grandi pesi, fra l’altro la nuova ed.
della Vita di Dante, non posso non dolermi di così lungo silenzio. La nuova Vita di Dante avrà certo un magnifico successo. Non è un augurio, ma una fermissima fiducia. Ho
letto in questi giorni quella un po’ romanzesca di Gallarati Scotti. Molto fervore, un
senso d’arte non comune, una visione nobile ed elevata della vita spirituale rendono agile il libro; ma troppi errori l’ingombrano che potevan senza gran fatica evitarsi e non
mancano le inclinazioni per far colpo. Io preferisco quelli che chiamano pane il pane, e
acciughe le acciughe ». (Cart. del 9-6-29). Chiede notizie del Dante: «A che punto è il
tuo Dante? Desidero che appena venga fuori il « Giorn. Storico » ne parli quando e come si conviene... Finito il Dante, prenditi qualche giorno di riposo a Torino ». (cart. del
16-10-29); si parla del Dante di Cosmo: « Il Dante di Cosmo, se già non ti è pervenuto è
in viaggio »: Z. ne avrebbe dovuto fare la recensione. Notizie di viaggi e di vacanze, la
Spagna, la Grecia. Si associa alle commemorazioni e necrologie dello Schenillo e « del
nostro Rajna »: «gli volevo bene anch’io e molto, e le tue parole così affettuose, pur nel
tono temperato e austero d’una pubblica commemorazione, mi hanno veramente commosso » (cart. del 19-2-31). Una commossa attestazione di amicizia: « Mio carissimo,
grazie di tutto e con cuore profondamente amico. Vorrei anch’io poterti una buona volta
servire in qualche cosa, e aspetto da lungo tempo tuoi ordini (mi si fanno troppe ordinazioni) con vivo desiderio. Ci siamo conosciuti tardi, e da pochi anni si è stretta la nostra
amicizia, ma quando ti penso, mi pare che risalga alle prime, alle più lontane, alle migliori ».
Ma quando, nel ‘33, si fecero onoranze solenni a Milano per i cinquant’anni di insegnamento dello Zingarelli, Debenedetti non fu invitato dal Comitato e se ne lamentò
con l’amico. Dopo una conferenza tenuta dallo Zingarelli a Torino per la Società di Cultura gli scrive affettuosamente: « Carissimo amico, quante volte ritorni nelle nostre conversazioni il tuo nome non ti saprei dire. La tua visita ha avuto un grande significato per
noi che non sapevamo più staccarci da te (fu una vera persecuzione!), e nei Soci della
Cultura che, dopo tanti chiacchiericci han sentito finalmente un oratore che dice delle
cose buone, lungamente meditate e conquistate con acume e fatica ».
36
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Mario Casella gli aveva scritto ringraziandolo del « tuo elegantissimo Ariosto con bella e sintetica (sic!) prefazione, dove hai saputo
adunare ed esporre con ammirevole chiarezza questioni intricate di
storia letteraria e d’arte » (lettera del 12/2/1934).
Cian, che era ancora direttore del « Giornale », se ne era dichiarato
assai contento, lo aveva detto « delizioso » e ne aveva lodato eleganza
ed originalità. Ma passato poi nelle mani dello specialista Debenedetti,
« perché il ‘Giornale’ compisse il dover suo », eccone la recensione,
cioè alcuni passi, tra ironia e sufficienza:
« Bella carta, bei caratteri, e soprattutto molta roba (ma già comincia in nota ad indicare imprecisioni e sconvenienze). Settantacinque
pagine d’introduzione. Poi il testo accompagnato da sunterelli che non
l’abbandonano mai, e finalmente un Indice del Furioso che è insieme
un Indice dell’Innamorato, etc.... Il Proemio discorre della Chanson
de Roland e dei suoi derivati, nonché dei poemi amorosi di Chrétien
de Troyes; discorre della poesia franco-veneta e della letteratura romanzesca toscana da cui trassero ispirazione il Pulci e il Boiardo. Poi
parla anche di Ariosto (da pag. 43). L’informazione è amplissima e
certo questo capitolo potrà giovare. Solo dispiacciono qua e là certe
osservazioni curiose... (e si Citano una serie di « ingenuità » che vanificano quella ombra di apprezzamento e consenso che sembrava pure
ci fosse). Al testo lo Z. dedica un paio di pagine e ce da rammaricare
che un uomo di tanto valore, certo per colpa della fretta, non ci abbia
dato intorno a questo punto quanto ci s i poteva ben aspettare da lui. Lo
Z. sa che certe correzioni ne implicherebbero non so quante altre; sa
Sulla « fretta » con cui era stata compilata l’edizione, Z. stesso non poteva non essere d’accordo, se aveva scritto al Barbi: « Causa (del ritardo) è stata l’ed. del Furioso,
sulla quale mi sono impegnato sei o sette mesi fa. Non ho potuto attendere ad altro, ho
trascurato corrispondenza di sorta. Ora è finita, rimangono le ultime revisioni... » (Z. 111-1933).
37
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che è doveroso dar le ragioni di quello che si fa; dice e ripete che edizione critica significa ‘fatta con criterio’. E poi... (ed anche qui esempi
su esempi di correzioni al testo ritenute arbitrarie e non coerenti).
Poi v’è la questione dei morti resuscitati: alcuni re che muoiono in
alcuni canti e si ritrovano resuscitati in altri (Furioso, XL, 73 e XVI,
81-83). Z. con molta ingenuità dichiara, almeno per alcuni, di rifarsi
alla « errata » della edizione 1521, e poi per l’ultimo di essi, che non
poteva giustificare altrimenti, tira fuori l’invenzione che l’Ariosto si
sarebbe rimesso « al benevolo lettore », non potendo far capire nel
verso altro dei nomi disponibili. La qual cosa pare « enorme » al Debenedetti, che si sostiene sulla tesi del Rajna circa le edizioni del Furioso, e non può consentire con una forzatura di tal fatta. La svista è
svista del poeta, e non valgono giustificazioni posticce.
La recensione prosegue con l’indicazione di qualche altra ingenuità del testo (XV, 23, etc.). Ironizza su certi sunti non corrispondenti al
fatto. Infine conclude:
« Molte altre cose si potrebbero osservare, ma non è opportuno. Al
libro, come già s’accennava, ha nociuto la troppa fretta. Ma anche così
com’è può rendere servizi, sia per quei sunterelli cui ho accennato (se
nelle scuole si fanno di questi esercizi) sia infine per l’amplissimo indice ». (« Giornale storico » vol. 105, 1935, pp. 181-184).
Certo Debenedetti era scrittore e critico assai meno currenti calamo dello Zingarelli. La sua edizione del Furioso per i classici di Laterza, uscita nel ‘28, era un miracolo di attenzione e di scrupolo critico; e più sarebbe stata, se l’editore non si fosse opposto alla documentazione completa di tutte le fasi di elaborazione del poema nelle successive edizioni curate dall’Ariosto (come sarà fatto poi nella sua edizione dal Segre del 1960, basata sui materiali debenedettiani). Inoltre
quella introduzione di Zingarelli era ben fragile ed affastellata e non
priva di forzature ed ingenuità.
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La recensione, tra ironia e sufficienza, era ineccepibile. Ma non era
né affettuosa né amichevole, come pure era stato l’autore in tanta corrispondenza.
Si sa bene, Amicus Plato, sed magis amica veritas.
E poi il Debenedetti era di quelli che amavano « chiamar pane il
pane e acciughe le acciughe ». Il « Giornale », e in questo caso Debenedetti, sapeva ben fare queste spiacevoli scelte. E Zingarelli non era
alla prima amarezza 17 .
Con arguzia e cordialità aveva invece toccato il problema dei morti
resuscitati il Bertoni, il quale, sia pure in una corrispondenza privata e
non in una pagina a stampa, se ne era quasi complimentato con lo
Zingarelli, anche se non senza ironia:
« E’ saporitissimo (l’Ariosto novissimo): nella introduzione, nella
stampa, nei finissimi riassunti, nella magistrale appendice che tu
chiami Indice, mentre è una cosa preziosa da consultare. Ho subito notato varie novità. Per es. il disseppellimento, almeno di due morti operato dall’Ariosto pare divenga, per merito tuo, una fiaba. Te ne son
grato per messer Ludovico » (10/3/34).
Bertoni era modenese, ma torinese ed europeo di studi; allievo del
Graf, del Renier, anche lui aveva percorso il curriculum regolare a Firenze col Rajna, a Parigi, a Berlino, a Strasburgo, con maestri tedeschi
e francesi.
Più giovane di diciott’anni dello Zingarelli, la sua libera docenza è del
1905, l’insegnamento a Friburgo in Svizzera dura dal ‘05 al ‘21,
quando lo Zingarelli era già ordinario a Palermo e poi a Milano. Nel
‘22 è a Torino, sulla cattedra di Renier; dal ‘29 a Roma, su quella di
De Lollis. Una carriera pienamente realizzata, non ostacolata da in tralci politici; autorevole studioso, fu Accademico d’Italia, coordinatore di sezione della Enciclopedia Italiana.
17
La figura del Debenedetti è stata recentemente ricordata da C. DIONISOTTI in
un articolo in « Medioevo romanzo » 1978, 2-3, di cui ho avuto notizia solo dopo la
stesura di questa relazione. Il Dionisotti mi raccontava anche un aneddoto su certa «incomunicabilità » tra il gigantesco Cesareo e il piccolissimo Zingarelli che non si rivolgevano parola, per antiche ruggini accademiche palermitane; ed il Debenedetti, segretario nella commissione di concorso, che era costretto a far da tramite tra i due reciprocamente muti ed accigliati.
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Le missive sue a Zingarelli sono 25, cominciano dagli anni di Friburgo e sciolgono progressivamente la reverenza iniziale verso «
l’illustre professore » « nel caro collega e amico » degli ultimi anni;
né presentano particolare interesse per il nostro discorso, riducendosi a
testimonianze di vita accademica e di civiltà tra letterati.
Ma proprio negli anni del suo maggior « rispetto » Bertoni non si
astenne dal venir fuori nel vol. 590, 1912, del « Giornale » con una recensione a due lavori zingarelliani, quello su Rambaldo di Vaqueiras e
l’altro sul Bei cavaliere, con due osservazioni sul primo: « Lo Z. intorno a questo breve e difficile componimento ha scritto alcune pagine
che a me paiono molto infelici, sopra tutto per questo: che, messo su
una falsa strada da una cattiva identificazione, s’è lasciato trascinare,
dietro vane parvenze, a conclusioni quanto mai arrischiate, anzi, debbo dire, erronee ». E passava ad esemplificare argutamente i suoi rilievi.
La stessa considerazione vale per le cinque cartoline di Ferdinando
Neri, un altro di quei prodigiosi laureati dell’anno 1901 della Università di Torino (De Benedetti, Bertoni, come si è visto, etc.), arrivati
speditamente in cattedra e redattore e poi direttore del « Giornale ».
Non contengono se non notizia di scambi di saluti e di opuscoli e un
accenno alla controversa questione della attribuzione del Fiore a Dante.
8. La corrispondenza con Arturo Farinelli, il germanista e filologo
romanzo di fama e frequentazioni europee, si estende dal 1905 al ‘34 e
copre dunque un arco di tempo più esteso. Farinelli era quasi coetaneo
di Z., di soli sette anni più giovane, e per giunta senza quel curriculum
regolare e prodigioso che faceva dei vari Debenedetti, Bertoni, Neri,
dei prodotti finiti della scuola, sempre e comunque diversi anche perché più giovani, rispetto a chi da quella regolarità era stato distolto da
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ragioni di vita e solo più tardi era tornato agli studi.
Farinelli aveva cominciato con studi tecnici, era stato allievo del
Politecnico di Zurigo e solo dopo molti trascorsi avventurosi e romanticamente inquieti era approdato alla filologia romanza ed alla germanistica, passando da Zurigo a Parigi ad Innsbruck ove tenne un incarico d’insegnamento e da cui venne a Torino chiamato da quella università per la letteratura tedesca.
Inoltre la quasi ossessiva necessità d’indipendenza del Farinelli
s’incontrava con la incapacità e diffidenza dello Z. verso schematismi,
discipline scolastiche e accademiche. Farinelli aveva notato egli stesso
il contrasto ch’era in lui « di una fantasia accesa per un nulla sino al
delirio e di una ragione dimessa, fatta di prosa e di caparbietà che dai
voli del cielo (lo) conduceva prontamente alla terra.. .il piccolo pedante . . .a lato dell’entusiasta ardente che si riteneva non mai contenuto
da freni e da briglie... » 18 .
Senza i romantici atteggiamenti e fervori del germanista, Zingarelli
mescolava sovente nella vita e nel lavoro l’attività del certosino paziente e laborioso ricercatore con certi atteggiamenti ed ostentazioni di
sregolatezza e di indisciplina formale; e certi « pasticci » e « zibaldoni
» in cui spesso si risolvevano le sue ricerche più lunghe e che gli venivan rimproverati dalla critica, si dovevano in parte al rifiuto di quella
disciplina e di quella misura che eran dono di altri.
Farinelli, inoltre, dopo i suoi primi lavori nati da infaticabili ricerche particolari, da una congerie di erudizione e da una esasperazione
del metodo positivo, dopo l’incontro con Croce intorno al 1905-06,
veniva sempre più rendendosi conto che « scovar fonti, registrar confronti,. senza un pensiero alla creazione intima, desta dall’urto interiore, accesa dalle scintille cadute, è ozioso trastullo » (prefaz. al Dante
in Francia, Milano 1908, p. IX). E via via venne assumendo atteggiamenti
18
A. FARINELLI, Episodi di una vita. Milano, Garzanti, 1946, p. 36.
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e non lesinò dichiarazioni di indipendenza rispetto al metodo storico
(anche se in realtà la sua polemica finiva col rivolgersi contro i suoi
eccessi) e non rinunciando mai alla precisione ed alla cura inesausta
della ricerca, si avvicinò come molti altri in quegli anni, al filosofo
dell’Estetica e non fu alieno da atteggiamenti crociani, anche se meramente esteriori e sempre sotto l’equivoco di certe forme romanticoestetizzanti che gli erano proprie.
Un tal carattere e temperamento di studioso poteva forse essere di
esempio allo Z., proprio per certe Comuni debolezze delle quali, peraltro lo Z. non ebbe mai chiara coscienza e non seppe certo liberarsi.
Così Farinelli diventava più che lo specchio della coscienza, come
avrebbe potuto, l’amico cui sfogare certi malumori e dal quale avere
certi risarcimenti che gli ortodossi della scuola storica gli negavano19 .
19
Le prime corrispondenze di Farinelli sono degli anni di Innsbruck, cioè i primissimi del 900: e fin da allora il tono è appassionato, affet tuoso, qualche volta eccessivo
ed enfatico: « dammi ormai familiarmente del tu — mio diletto — stimatissimo amico.
Pur troppo debbo ripetere a te quello che nel marzo scorso scrissi al Galletti: Non parteciperò mai a nessun concorso in Italia neppure se mi promettessero l’oro di Creso o
quella pace ancor più preziosa che io sventuratissimo cercherò invano sino alla morte.
Diavolo, ch’io debba essermi mendico nella patria mia! (Da Vienna, 7-5-06, ove era andato per cercare di parare il colpo che lo escludeva da Innsbruck, dopo i moti antitaliani).
L’esempio sembra eloquente e indicativo del temperamento dell’uomo. Ma da Farinelli, insieme a quelle appassionate dichiarazioni di affetto e di sdegno, gli venivano
anche lodi per gli Appunti lessicali danteschi, per l’articolo sul Ventadorn; solidarietà
per « la disavventura della recensione del Rocca, per gli attacchi della « Rivista d’Italia
», per certe vicende accademiche e concorsuali, etc. ed ancora notizie di sé, foscoliani
atteggiamenti di esule desideroso di affetti, (« Ricordo le ore troppo fugaci che passai
ottimamente con te a Milano e poi a Roma e pare davvero che sia nei nostri spiriti una
specie di sicura consonanza non mai l’ombra di un disaccordo, malgrado la mia turbolenza e gli uragani che l’anima mia patisce ». 30-1-1918); alcune feroci accuse al De
Lollis, per certe ruggini e risentimenti accademici (pare si fosse opposto alla sua chiamata a Roma) (« Al D. L. ormai degeneratissimo, incapace di far altro che l’uom geniale poggiato sul nulla aggrappato ad un lembo dell’Estetica del Croce, che non assimila e
non comprende, presuntuoso quanto ignorante...») (16-11-1908): esempi di intemperanza e detriti di vita accademica, senza varianti negli anni.
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9. Intanto, lo Zingarelli, dopo il secondo Dante vallardiano del
‘31 e l’Ariosto di Hoepli del ‘34, compiuti i cinquant’anni di insegnamento, si spegneva nel giugno del 1935, quando s’accingeva a pronunciare la sua ultima lezione.
Quel volume di Scritti di varia letteratura nel quale gli amici avevano raccolto le sue cose più rappresentative per fargliene dono in
quel giorno che doveva essere di festa, si ebbe dal « Giornale » una recensione postuma nell’annata 1080 del 1936 in un breve annuncio a
firma di E. Testa nel quale in due righe si accennava ad un « omaggio
alla sua cara memoria» e al « compianto maestro ».
Nè il « Giornale », ancora diretto dall’amico Cian, ritenne doveroso pubblicarne un necrologio, come pure era costume ricorrente della
rivista e testimonianza di omaggio e riconoscimento. Ma il piccolo
pugliese di Cerignola certo non vi aveva fatto mai affidamento. Aveva
imparato a diffidare, e aveva mostrato di non aver mai scambiato i segni di civiltà e buon costume epistolare tra gente di lettere, con la pienezza del consenso.
Tra lui e il tempio della « scuola storica » — anzi, tra lui e i diversi
templi in cui la ricerca letteraria ormai si organizzava e si articolava la
feroce guerra delle « scuole » — vi sarebbe stata sempre la « macula»
di una origine ibrida, di certe frequentazioni e trascorsi, oltre, beninteso, e certamente innanzitutto, le sue bizzarrie e intemperanze di studioso.
M ICHELE DELL’A QUILA
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Nicola Zingarelli e il «Giornale storico della letteratura italiana