d’Italia
CENT’ANNI FA NASCEVA GIORGIO ALMIRANTE. LA GRANDEZZA
UMANA E POLITICA DEL LEADER STORICO DEL MSI
ANNO LXII N.150
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
Franco Mugnai
La Fondazione Alleanza nazionale
ricorda con commozione e partecipazione la figura di Giorgio Almirante nel centenario della nascita. È
una ricorrenza di grande rilievo, non
solo per la vicenda della destra italiana ma per la storia politica del nostro Paese della seconda metà del
Novecento. L’evoluzione sociale e
culturale dell’Italia, la caduta degli
steccati e delle barriere ideologiche
del passato, fanno sì che l’opera e
l’insegnamento di Almirante siano
oggi riconosciuti dalla generalità
dell’opinione pubblica (a parte, naturalmente, i residui settori della veterosinistra ancora
legata
idealmente alla stagione dell’odio)
come un’opera e un insegnamento
appartenenti a tutti gli italiani. Almirante dunque e innanzitutto come
grande italiano. Ed è proprio questo
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il leit motiv delle testimonianze, delle
interviste, degli interventi pubblicati
nello speciale del Secolo d’Italia dedicato al grande leader della destra. La
figura di Almirante emerge nella sua
grandezza umana e politica attraverso
i ricordi di chi lo ha conosciuto e le
analisi degli studiosi che si sono interessati alla storia e alla cultura del Msi.
Nel ricordare oggi il leader missino
non si può fare a meno di evidenziare
la forza morale e la coerenza ideale
con le quali seppe guidare la comunità
umana e politica della destra in anni
difficili ma anche esaltanti (pensiamo
solo allo straordinario succeso nelle
elezioni amministrative del 1971 e in
quelle politiche del 1972), anni in cui
la sua figura si impose al rispetto e alla
considerazione di tutti gli italiani
Dalle spiritosaggini dei politici
ai politici-barzelletta. Attenti, il passo è breve
Girolamo Fragalà
Vogliono fare gli ironici, i battutisti. Parecchi esponenti politici
pensano di essere divertenti, di
far ridere, di diventare simpatici
con un colpo di bacchetta magica. Sono convinti di poter trasformarsi in comici pungenti,
stile Grillo, senza accorgersi
che persino lui, il leader dei Cinquestelle, non riesce a far ridere
più nessuno e quindi imitarlo è
fatica sprecata. Del vecchio
Grillo, quello che faceva tremare i vertici della Rai pippobaudesca, l’attuale Beppe non
ha neppure il dito mignolo. Però
– è il pensiero di una larga fetta
di deputati e senatori – tentar
non nuoce, magari a furia di
provarci s’indovina la battuta
buona e il gioco è fatto. Peraltro,
con il sorriso sulle labbra si dicono le cose peggiori. A dare il
via alla nuova moda è stato proprio il premier, prima con i vestiti
alla Fonzie, la partecipazione
ad Amici, le foto con la bandana
e poi con il tristemente famoso
hashtag
«Enricostaisereno,
nessuno vuole prendere il tuo
posto», destinato a Letta. Un
tweet che poi ha fatto il giro del
web, essendo accaduto l’esatto
contrario. L’ultimo in ordine cronologico è proprio il post pubblicato sul blog di Beppe Grillo,
«Silviostaisereno», con l’aggiunta poco elegante: «I prossimi incontri per le riforme li
potrai fare comunque in streaming nell’ora d’aria o nel parlatorio». Precedentemente, a
usare la stessa battuta (o presunta tale) erano stati in tanti,
tutti dilettanti comici. «Genovesestaisereno» era stato scritto
dal cinquestelle Cozzolino, ai
tempi dell’autorizzazione all’arresto, «Pd e Sel ti salvano facendo ostruzionismo». Guerini,
del Pd, scriveva «D’Alema stai
sereno, il tesseramento si farà».
Tommaso Currà, “colpevole” di
aver criticato il blog di Grillo per
il fotomontaggio dei cancelli di
Auschwitz, disse la fatidica
frase «Beppe stai sereno»,
sempre la stessa e sempre con
l’identica convinzione di dire
qualcosa di pungente e ironico.
Il vizietto della battuta è contagioso. Non si è riuscita a sottrarre Nunzia De Girolamo, che
ha preso spunto dal morso
“mondiale” di Suarez per dire
che in Forza Italia «un morsichino delicato» lo darebbe «a
Raffaele Fitto». Durante il vertice con il M5S, Renzi ha voluto
fare il divertente inventando un
nomignolo per la proposta grillina di legge elettorale: il “democratellum”, come lo definiscono i
pentastellati, viene chiamato dal
premier Toninellum”, dal nome
dell’estensore della proposta
Danilo Toninelli. Una battuta da
guinness dei primati. Ma, alla
fine dell’incontro, lo bolla come
“complicatellum” e “grande fratellum”. Da morir dal ridere (almeno così era convinto Renzi).
Il vantaggio dello stile pseudocomico è di cavarsela con una
battuta. Il rischio è di diventare
politici da barzelletta.
sabato 28/6/2014
(anche di molti avversari), nonostante
i tentativi di criminalizzazione da parte
dei settori più intolleranti e fanatici
della politica italiana. In quella intensa
e aspra stagione, Almirante riuscì a
superare, nella società, quella conventio ad excludendum che era decretata contro il Msi dall’establishment
politico italiano. Quel risultato fu possibile grazie alla forza del suo carisma,
al messaggio di pacificazione nazionale espresso dalla sua figura, alle
sue notevoli doti di grande comunicatore. Si tratta di ideali e di esperienze
che hanno caratterizzato una lunga
fase della vita italiana e che sono
parte integrate del patrimonio ideale e
politico della nazione. Ed è con questo
spirito che la Fondazione Alleanza nazionale e il Secolo d’Italia rendono
omaggio all’uomo che ha intimamente
legato la sua vita a quella della destra
italiana.
La vendetta precoce di Letta, pronto
a prendere il posto di Van Rompuy.
Renzi permettendo
Oreste Martino
Nemo propheta in patria. La vecchia locuzione latina si adatta alla perfezione a Letta,
l’ex premier scalzato in malo modo da Renzi
ed oggi invocato da Inghilterra e Francia
come miglior soluzione per succedere a Van
Rompuy, il belga che dal 2009 presiede il
Consiglio Europeo. Per Letta, che passò il testimone con una gelida cerimonia di consegna della campanella che durò appena 17
secondi, è una grande soddisfazione, ma
anche una vendetta precoce.
Appena Cameron e Hollande hanno ipotizzato di affidargli quel ruolo è partita anche la
sponsorizzazione italiana, un po’ per interesse nazionale e per stima, un po’ per creare
un contrappeso e un problema a Renzi, che
invece vorrebbe chiudere la partita accontentandosi della Mogherini commissario alla
politica estera europea. Prima Napolitano
con la solita moral suasion, poi Bersani con
un pizzico di perfidia, hanno invitato il premier
ad approfittare dell’endorsement anglo-francese per conquistare l’importante postazione.
Ma per Renzi la nomina di Letta sarebbe una
cocente sconfitta, perché avrebbe un rivale a
presiedere l’organismo che riunisce due volte
all’anno i capi di stato e di governo dell’Unione europea. Delle due l’una: o il premier
pensa a se stesso o all’Italia e chi lo conosce
propende per la prima ipotesi.
Quando Napoli “impazzì”
per Almirante sindaco
2
Mario Landolfi
Giorgio Almirante e Napoli: un grande
amore e molto di più, sebbene fosse
nato – il leader della destra – a Salsomaggiore. Da una “famiglia di guitti”,
come a lui stesso piaceva ricordare. La
madre lo partorì dietro le quinte di un
palcoscenico, circostanza all’epoca affatto inusuale per la gente di spettacolo.
Nacque lì solo perché in quei giorni vi si
esibiva la compagnia degli Almirante.
Ancora un po’ di tempo e sarebbe nato
altrove. Ma non v’è dubbio che se
avesse potuto indicarlo lui il luogo in cui
venire alla luce, avrebbe scelto Napoli.
Troppo intenso, a tratti persino viscerale
e comunque indissolubile, è stato il rapporto tra il capo del Msi e la capitale del
Sud per poter essere derubricato a pacata simpatia o per scolorire in una tiepida quanto pelosa gratitudine di matrice
elettorale. Napoli, simbolo di un Mezzogiorno da riscattare e da restituire alla
nazione con la sua millenaria civiltà, e Almirante, incarnazione politica e retorica
di un’idea di patria e di popolo, erano fatti
l’una per l’altro. Il “caldo e vivificante
vento del Sud” contrapposto al “freddo e
mortifero vento del Nord”, non era il vagito di un protoleghismo rovesciato ma,
Secolo
d’Italia
al contrario, l’esito dell’amara consapevolezza che solo da quella parte d’Italia –
cui la storia e la sorte avevano concesso
il privilegio di non conoscere l’orrore della
guerra civile – poteva sorgere una nuova
unità nazionale finalmente depurata dai
miasmi mefitici dell’odio fratricida. Non è
dunque per caso se fu proprio Napoli la
sede congressuale da cui la destra, nel
1979, lanciò la sfida di quella “Nuova Repubblica“, che Almirante riuscì a caricare
di potenza profetica semplificandola in
“Repubblica dell’avvenire” con l’obiettivo
di spezzare le catene della partitocrazia
attraverso l’elezione diretta. Obiettivo da
perseguire soprattutto a Napoli ed al Sud,
i terreni ritenuti più idonei a sperimentare
nuove formule politiche. Il seme che sarebbe germogliato solo nel decennio suc-
cessivo, negli anni ’90, con l’elezione di
tanti sindaci tricolore, fu lanciato allora.
L’occasione arrivò l’anno dopo. Correva
l’anno 1980 e ai piedi del Vesuvio si votava per il rinnovo del consiglio comunale. Cinque anni prima anche Napoli
con Maurizio Valenzi, come Roma con
Giulio Carlo Argan, era diventata una
città “rossa”. Non se l’aspettava nessuno
e persino gli americani – da sempre sensibili al fascino partenopeo – ne furono
colti di sorpresa. Ma era davvero così.
Quella che l’Unità aveva trionfalmente
salutato come “l’impetuosa avanzata del
Pci” alle amministrative del 1975 non
aveva risparmiato neppure la città di San
Gennaro. Che addirittura si vedeva trasformata in una sorta di testa di ponte
per la conquista del Sud da parte dei co-
munisti. Davvero troppo per considerarla
una elezione di routine. E infatti tutto
cambia e per la prima volta il Msi non
scende in campo “dall’opposizione, per
l’opposizione” ma come “alternativa di
governo”. In una fase in cui si votavano
i consiglieri, la destra punta su “Almirante sindaco”. Una vera rivoluzione, che
accende la speranza dei sostenitori e
mette i brividi agli avversari. La stampa
fa a gara nel demonizzare l’uomo del
“doppiopetto”, che per tutta risposta va a
fare campagna elettorale nei bassi
senza sole. I napoletani apprezzano. La
“valanga nera” – come i media definiranno in quei giorni appassionati il consenso di oltre 150mila elettori – sembra
inarrestabile. Il Msi è la terza forza ad
un’incollatura dalla Dc e dal Pci ed ha tre
volte i voti dei socialisti. Ma è primo nel
cuore antico della città: Duomo, Mercato-Pendino, Vicarìa, Forcella, ma
anche Santa Lucia e Vomero. Ma la vittoria è politica: lo slogan “Almirante sindaco” ha ormai sdoganato l’elezione
diretta. Il leader missino non ne coglierà
i frutti, ma è stato lui a scrollare l’albero
E l’albero era Napoli. Una Napoli capitale decaduta, ma non ingenerosa come
ad Almirante appariva quell’Italia del
Nord incapace di riaccogliere i suoi figli
“vinti” nello scontro fratricida. Ma anche
Napoli come immenso teatro, che non
poteva lasciare indifferente un “figlio di
guitti” nato tra le tavole di un palcoscenico. Ed, infine, Napoli, città monarchica
e regale sin nella sua essenza popolana
e plebea che in quel patriota dagli occhi
chiari e puri e dalla parola affilata come
lama di sciabola aveva riconosciuto ed
abbracciato uno dei suoi re.
stare il nostro o il mio personale diritto a
parlare di questo problemi, perché è
stato detto da taluno – che parla e si
sbraccia troppo, e non sa come si sono
svolte le cose in questo Parlamento e
in questa Italia da trent’anni a questa
parte – che anche a Trieste noi mandiamo i ragazzi allo sbaraglio, ebbene,
io mi permetto sommessamente di ricordare a me stesso che, nelle tragiche
giornate del novembre 1953, quando 6
nostri ragazzi furono assassinati dagli
inglesi (in piazza non c’erano soltanto i
ragazzi, ma c’erano anche gli anziani)
io, che non ero allora segretario del partito, ero a Trieste; e mi permetto di raccontare, ai pochi colleghi presenti, che
per entrare a Trieste dovevo servirmi allora di documenti falsi, perché facevo
parte di una lista nera del comando
anglo-americano di Trieste e scendevo
a Monfalcone per ricevere il famoso
passaporto rosa (per fortuna, la mia
faccia allora non era nota come tristemente lo è diventata in seguito, e quindi
mi potevo permettere di usare espedienti di questo genere). Andavo a Trie-
ste clandestinamente, quanto al passaggio della frontiera; ma mi trovavo a
Trieste in mezzo alla gente, con i nostri
ragazzi….
Ecco Giorgio Almirante, l’uomo della
prima linea, grande agitatore di anime e
passioni che prima di tutto e intensamente viveva egli stesso. Il suo rapporto con Trieste era quasi carnale. Gli
abbracci, quasi le carezze a quelli che,
generazione dopo generazione, per lui
erano sempre “i ragazzi di Trieste”, da
Francesco Paglia, capo del Fuan caduto sotto il piombo inglese nel novembre 53 e che lui ricordava come
“bersagliere volontario del btg. Mussolini”, ultimo caduto della Rsi e primo del
Msi ad Almerigo Grilz, capo del Fronte
della Gioventù morto da giornalista in
prima linea in Mozambico nel maggio
1987, in onore del quale lascerà –
come è strano il destino – il suo ultimo
scritto, esattamente un anno dopo.
Per chi la ricorda, la foto “classica” di
Giorgio Almirante nel suo studio al Partito a Roma, aveva alle spalle un labaro
diviso in quattro con gli stemmi di Trieste, bordato col Tricolore e dell’Istria,
Fiume e Dalmazia perdute listati a
lutto. È un’immagine che parla da sola.
Tanti nel capoluogo giuliano portano
ancora nel cassetto della memoria
quella Piazza dell’Unità d’Italia piena di
gente, che lui salutava con l’immanca-
bile “Italiani di Trieste”, con affetto e
commozione, con amore e con rabbia,
come quando gli vietarono i comizi con
provvedimenti polizieschi o gli impedirono di parlare agli esuli dell’Istria nel
grande raduno del quarantennale dell’abbandono di Pola.
Per tanti altri è pure rimasto indelebile il
ricordo di quelle memorabili sedute del
Comune di Trieste, del quale volle essere consigliere per vivere in prima persona la rivolta della città contro il trattato
di Osimo, contendendone la guida con
l’arrembante “Melone” (la “Lista per
Trieste”,prima grande esperienza civica
italiana) che eleggerà sindaco Manlio
Cecovini, scontrandosi duramente con i
comunisti, i filoslavi, i democristiani “osimanti”, persino Pannella venuto pure lui
in quella specie di polveriera al confine
tra due mondi.Ma c’era anche un altro
Almirante, quello silenzioso e profondo,
che chiedeva di andare in pellegrinaggio al mattino presto, alla Foiba di Basovizza (dove il monumento nazionale
non esisteva ancora) per portare i fiori e
dire una preghiera sopra quell’immenso
«Calvario con il vertice sprofondato
nelle viscere della terra» come ripeteva
citando le parole del grande vescovo
istriano di Trieste, Antonio Santin.
Lì, nel silenzio, per chi lo sa ascoltare,
sentiva come noi perché a Trieste si è
più italiani che altrove.
Il legame indissolubile con Trieste,
dove «si è più italiani che altrove»
Roberto Menia
In un’aula vergognosamente semivuota, il 17 dicembre 1976, la Camera
dei Deputati discute la ratifica del Trattato di Osimo, una delle pagine più nere
della recente storia repubblicana: l’Italia
cede alla Jugoslavia la parte nordoccidentale dell’Istria ed ipotizza la creazione di una zona industriale mista
italoyugoslava sul Carso triestino, che
poi non si realizzerà per la rivolta civile
dell’intera città. Giorgio Almirante pronuncia una grande discorso, che è assieme un grido di denuncia e
rivendicazione nazionale, ma anche un
inno d’amore verso Trieste.
Trieste per la destra non è solo il “cavallo di battaglia” che anima passioni e
ricordi, ma l’essenza viva, simbolica e
presente della militanza politica: non
una cosa da evocare e guardare da
lontano ma la battaglia vissuta e da vivere. C’è un passo, in quel discorso,
che contiene storie e risvolti personali, e
colpisce proprio per questo: «Poiché
qualcuno in quest’aula – dice Almirante
– si è permesso addirittura di conte-
SABATO 28 GIUGNO 2014
“Schiena dritta e coraggio”: il ricordo di Alemanno,
Matteoli, La Russa, Gasparri e Meloni
SABATO 28 GIUGNO 2014
Secolo
d’Italia
Gloria Sabatini
Ricordi personali, emozioni che
riaffiorano, riflessioni postume intorno a un protagonista indiscusso del d0poguerra, al leader
storico della destra italiana dallo
sguardo che strega, al politico di
razza, al pioniere che ha lasciato
il segno nella storia non solo di
una comunità ma della nazione.
Gianni Alemanno lo ricorda
così: «Di Almirante non potrò mai
dimenticare quegli occhi carismatici, di un azzurro intenso,
che quando ti guardavano ti passavano da una parte all’altra. Era
la sua “arma” per coinvolgerti,
per spingerti a fare di più nel partito, o per sfidarti. Non scorderò
mai come mi puntò addosso lo
sguardo quando passai con Pino
Rauti, era il congresso di Sorrento. E poi – aggiunge – i comizi
a piazza del Popolo, da quel
palco ti faceva davvero innamorare dell’Italia, di Roma… E ancora la sua lungimiranza
impressionante, penso alla campagna per l’elezione diretta del
sindaco e alla battaglia contro le
regioni, insomma, alla capacità di
scrivere un riformismo istituzionale per oltre vent’anni». Non
manca qualche neo. «Certo –
ammette l’ex sindaco della Capitale – c’è il capitolo sulla pena di
morte, che venne utilizzato come
una clava nella comunicazione.
Personalmente non ero d’accordo ma oggi ne comprendo le
ragione, quell’essere politicamente scorretto per arrivare agli
italiani e marcare le distanze. In
pochi ricordano il coraggio di Almirante di schierare l’intero partito
sulle
posizioni
anti-nucleariste del Fdg. Quando
disse di no pensava alla centrale
di Latina, alla storia della città di
fondazione, al suo patrimonio…».
Altero Matteoli volge lo sguardo
all’indietro e prova soprattutto
”una certa” emozione. «Di fronte
alla politica attuale ricordare la figura di Almirante mette i brividi.
Lui, Berlinguer… sembra di parlare di secoli fa. Erano gli anni del
grande scontro di idee, dei confronti sanguigni ma corretti, oggi
è tutta una marmellata indistinta». Sono tanti i ricordi personali, l’ex ministro ne sceglie uno:
«Ricordo agli inizi degli anni ’70
la raccolta di firme per l’istituzione della pena di morte, convincemmo oltre due milioni di
italiani. All’epoca ero segretario
provinciale di Livorno e, anche se
in disaccordo con quella scelta,
mi impegnai sodo nell’organizzazione dei banchetti tanto che in
consiglio comunale la sinistra mi
attaccò duramente con un ordine
del giorno. In quell’occasione mi
alzai e dissi di difendere la scelta
del partito ma di essere personalmente contrario, Panorama riportò la notizia e venni chiamato
da Almirante a Roma. Mi chiese
conto della mia contrarietà, io gli
espressi la mia convinzione che
nessun nessun uomo può decidere la vita e la morte di un altro
uomo. Poco tempo dopo mi
chiese di fare il segretario regionale della Toscana, “te la senti?’”,
mi disse. E quello fu il mio trampolino di lancio. Quando entrai
per la prima volta in Parlamento,
nell’83, e lo incontrai, prima mi
fece i complimenti poi mi disse
testualmente “Qui facciamo cose
serie, se sei bravo ci metti cinque anni per capire come funziona, se non sei bravo ancora di
più».
Ignazio La Russa capisce davvero chi è Almirante nel 1969,
fino ad allora – dice – “era un
amico di mio padre che vedevo
da ragazzo e non era ancora il
segretario del Msi”. «Quandò
morì Arturo Michelini, ricordo che
tutto il partito, al di là delle componenti, capì che rappresentava
l’unica via d’uscita e lo elesse
compattamente alla segreteria.
Erano gli anni duri della contestazione: a Milano nella nostra
sede, a due passi da San Babila,
ogni giorno appendevamo dal
balcone che affacciava sul cortile
un lenzuolo bianco con scritto il
numero degli arrestati e dei feriti.
Ricordo perfettamente un giorno
di autunno, pioveva a dirotto, in
cui Almirante piombò in sezione:
ci avvertirono poco prima, davanti a due-trecento ragazzi iniziò a parlare, parlare, parlare non
curante della pioggia battente.
Sapeva bene che l’esempio vale
molto più delle parole, così iniziò
il invitandoci a “inventare” un
nuovo linguaggio, a svecchiare le
vecchie liturgie, poi si interruppe
e disse, “che fate con questi ombrelli, toglieteli”. Parlò ininterrottamente per cinquanta minuti
sotto l’acqua».
Il giovane Maurizio Gasparri,
da segretario provinciale del
Fronte della Gioventù di Roma,
ha avuto molto a che fare con il
leader del Msi, anche nei momenti più difficili e bui per la comunità accerchiata dei militanti
di destra. «Ricordo che seguiva
tutto di persona, si informava, era
presente. Soprattutto nella fase
più drammatica, quella degli attentati, dopo la strage di Acca Larenzia veniva spesso da solo
senza autista con la sua 126
bianca, per dare un esempio a
tutti noi, si esponeva ai nostri
stessi rischi, anzi di più esasendo
molto più “riconoscibile”. Oggi lo
ricordano e lo omaggiano tutti,
anche quanti all’epoca si trovavano su altri fronti interni. Ricordo
che nei primi anni ’80 insieme ad
altri, Luciano Laffranco, Nino Sospiri, Ugo Martinat, Ignazio La
Russa, tentammo di costruire un
gruppo di giovani tra i 25 e i 40
anni che guardasse alla prospettiva di un ricambio generazionale.
Dietro di noi avevamo Pinuccio
Tatarella, mentre Fini anche al-
3
lora era molto cauto. Chiedemmo
ad Almirante un incontro ufficiale
in cerca di legittimazione, ma
quando sulla stampa uscì la notizia, lui, sempre molto severo
nella gestione del partito, sconvocò la riunione». Infine un ricordo personalissimo. «Ho avuto
tra le mani l’ultimo scritto di Almirante prima di morire. Nella primavera 1988 io e Robeto Menia
facemmo un libro di testimonianze su Almerigo Grilz, morto a
Mogadiscio un anno prima, e
chiedemmo al segretario di scrivere qualcosa su Almerigo, che
conosceva bene avendo anche
fatto il consigliere comunale a
Trieste. Era già molto malato e
stanco, ma non mancò all’impegno. Ci incontrammo a via della
Scrofa e mi dette il “pezzo”
scritto con la macchina da scrivere, anche con qualche errore di
battitura».
Per Giorgia Meloni, classe 77,
Giorgio Almirante è stato un gigante e un grande italiano. «Era
un uomo schietto, intento a
cambiare radicalmente l’impostazione culturale delle istituzioni
che amava profondamente. Se
oggi si può parlare di pacificazione, si può chiudere una pagina della storia nazionale e
aprirne una nuova, lo si deve
anche al suo contributo politico e
morale. Gli piaceva dire “noi possiamo guardarti negli occhi” e
l’Italia, soprattutto in questo momento ha un disperato bisogno di
persone che possano dire al popolo: “Possiamo guardarti negli
occhi». Per l’ex ministro della
Gioventù Almirante resta l’unico
vero leader della destra italiana
che ha avuto il “torto” di avere ragione prima degli altri. «Pensiamo al presidenzialismo, una
sua battaglia storica sulla quale
nel 1979 presentò una articolata
proposta di legge. Una visione a
lungo termine al servizio dell’Italia, certo non legata alle contingenze
politiche
e
alle
convenienze elettorali». Giorgia
Meloni pensa soprattutto alla
“sua disperata volontà di rompere
l’isolamento della destra nonostante il periodo storico “proibitivo”.
«Uno dei suoi pregi maggiori fu
quello di immettere nel Msi personalità provenienti da altre aree
culturali, dando sempre l’impressione di un partito effervescente,
dinamico e protagonista».della
Chiesa al riguardo".
Cina, legale denuncia l'ennesimo giro di vite
contro la minoranza musulmana degli uighuri
Secolo
4
d’Italia
Redazione
La Cina non smette di reprimere la dissidenza e negli ultimi tempi ha attuato un vero e proprio giro di vite repressivo. L' economista uighuro Ilam Tohti avrebbe dato vita
ad uno sciopero della fame nella prigione nella quale è
detenuto da gennaio nel nordovest della Cina. In seguito,
gli sarebbe stato negato il cibo per dieci giorni e ora il suo
stato di salute sarebbe estremamente precario. Lo ha denunciato Li Fangping, l' avvocato che difende Tohti che lo
ha visitato recentemente. Li ha precisato che l' intellettuale uighuro, che è stato accusato di "separatismo", ha
iniziato la sua protesta il 16 gennaio, chiedendo cibo
"halal", cioè cucinato in modo da rispettare le credenze
religiose dei musulmani. Tohti, che prima di essere arrestato insegnava all' Università delle minoranze di Pechino, ha promosso con discorsi e scritti il dialogo tra gli
uighuri, musulmani e turcofoni, e la maggioranza etnica,
i cinesi "han". Lo sciopero si è concluso dopo dieci giorni
con un compromesso: la direzione del carcere si e' rifiutata di cucinare cibo apposta per Tohti ma ha accettato di
fornirgli semplici pasti a base di pane e uova. Dal primo
marzo, ha affermato l' avvocato, la direzione ha smesso
di inviargli cibo. Tohti sopravvive bevendo acqua e sarebbe dimagrito di 16 chili, ha aggiunto Li. Sempre negli
ultimi giorni, le autorità comuniste cinesi hanno annunciato le condanne a pesanti pene detentive di nove persone davanti a circa tremila persone, riunite all'aperto
nella instabile regione del Xinjiang. Dal mese scorso in
Cina è stata infatti rispolverata la barbara usanza dell' annuncio pubblico delle sentenze, in vigore ai tempi della
Rivoluzione Culturale quando le parole d' ordine erano
quelle di "umiliare" e "annientare" il "nemico". In maggio,
New York, de Blasio
sconfitto: no al divieto
di vendere le bibite
extralarge
55 condanne, tre delle quali alla pena capitale, sono state
annunciate in uno stadio davanti a 7.000 persone. I condannati hanno tutti nomi uighuri, l'etnia musulmana di lingua turcofona che vive nello Xinjiang. La rivolta degli
uighuri è in corso dal 2009, quando quasi 200 persone
furono uccise in scontri a sfondo etnico a Urumqi, la capitale della regione. Dall'inizio dell'anno si sono moltiplicati gli attentati che spesso colpiscono civili cinesi.
Secondo la stampa locale, nel solo mese di maggio sono
stati celebrati nello Xinjiang contro presunti terroristi più di
300 processi. Decine di questi si sono conclusi con condanne a morte, 13 delle quali sono state eseguite nell'indifferenza più totale di Usa e Ue, Italia compresa, di solito
così pronte a protestare quando si tratta di dare addosso
a chi non sia loro alleato.
L'odissea della sudanese Meriam: ora è rifugiata
nell'ambasciata americana a Karthoum
Redazione
«Meriam, la donna cristiana sudanese
arrestata, rilasciata, riarrestata e di
nuovo liberata, è - per ora - libera e si è
rifugiata nell'ambasciata Usa di Khartoum. Lo ha riferito l'avvocato della
donna cristiana che era stata condannata alla pena di morte, poi annullata,
per apostasia. «Meriam si trova all'ambasciata Usa in questo momento. Lei e
il marito pensano che sia un posto sicuro», ha detto Me Muhanad Mustafa a
poche ore dalla seconda scarcerazione
della donna. Il legale non ha voluto aggiungere ulteriori dettagli mentre un
portavoce della sede diplomatica americana non ha voluto commentare. Meriam è dunque libera per la seconda
volta. La giovane donna, 26 anni, è
stata rilasciata dopo essere stata fermata martedì in aeroporto mentre tentava di lasciare il Sudan per
raggiungere gli Usa e trattenuta per
circa 48 ore. Tuttavia non può ancora
lasciare il Paese: deve aspettare il nulla
SABATO 28 GIUGNO 2014
osta della Corte d'appello che ratifichi
l'annullamento della sentenza di condanna, secondo quanto ha riferito Antonella Napoli, presidente dell'Ong
Italians for Darfur. L'ottenimento del
nulla osta richiederà alcuni giorni. Ancora una volta insomma Meriam è libera, pur non avendo ancora lasciato il
Paese. Secondo il Daily Mail, la donna
e la sua famiglia avrebbero andare in
Sud Sudan e da lì partire per gli Stati
Uniti. In ogni modo il riparo nell'ambasciata di Washington sembra metterla,
quanto meno per ora, al riparo. Dopo la
condanna a morte per apostasia e a
100 frustate per adulterio a maggio, la
Corte d'appello aveva annullato pochi
giorni fa la sentenza e rimesso in libertà
Meriam. Il giorno dopo l'annullamento
la donna e la sua famiglia si sono recati
in aeroporto a Khartoum per lasciare il
Paese e raggiungere gli Usa. Giunta ai
controlli, 50 membri dei servizi segreti
l'avevano però fermata e trasferita, insieme al marito e ai figli, in un centro di
detenzione vicino all'aeroporto. Lì era
stata interrogata, con l'accusa di aver
utilizzato dei documenti irregolari per
lasciare il Paese: un visto americano e
un documento rilasciato dall'ambasciata del Sud Sudan. Il caso ha poi suscitato una piccola tensione
diplomatica con la convocazione degli
ambasciatori americano e sud sudanese. Sembra d'altronde che i documenti non fossero l'unica motivazione
del fermo: in un'intervista rilasciata al
giornale sudanese Al Intibaha e riportata dal Telegraph, il fratello di Meriam,
Al Samani Al Hadi Mohamed Abdullah,
ha dichiarato di essere andato dalla polizia per denunciare il "rapimento" di
Meriam da parte del marito, poco prima
che lei cercasse di partire per gli Stati
Uniti. Si tratta dello stesso parente della
donna che pochi giorni fa aveva dichiarato che «se non si fosse pentita (e
convertita all'islam), avrebbe dovuto
morire».
Redazione
Bruciante sconfitta per l'inedito duo Bloomberg-de Blasio: la Corte d'Appello dello
Stato di New York ha infatti
bocciato definitivamente il divieto di vendita delle maxi-bibite zuccherate nella Grande
Mela. L'ex sindaco di New
York e l'attuale primo cittadino hanno dovuto quindi alzare bandiera bianca nei
confronti dell'industria e dei
commercianti del settore. In
un documento di 20 pagine, il
giudice Eugene F. Pigott, ha
motivato la decisione sottolineando che il Consiglio cittadino della salute «ha
superato l'ambito della sua
autorità di regolamentazione». La norma di cui si era
fatto paladino l'ex sindaco Michael Bloomberg, e sostenuta anche da Bill de Blasio,
vietava le bevande extralarge
a base di soda - quelle al di
sopra del mezzo litro - in ristoranti, cinema, stadi, teatri
e carretti ambulanti. Sfidando
una delle abitudini più radicate tra gli americani, soprattutto tra i più giovani. Ma il
provvedimento, fortemente
voluto nell'ambito della lotta
all'obesità, ha scatenato le ire
di molti, a partire da quelle
delle industrie produttrici e di
gran parte della categoria dei
rivenditori. Pressioni che
hanno sortito il loro effetto,
visto che a poche ore dall'entrata in vigore del testo, nel
marzo 2013, fu bloccato da
un giudice perché definito
"arbitrario". Poco tempo fa de
Blasio aveva ribadito la linea
del suo predecessore, auspicando che il tribunale rispettasse
l'autorità
e
la
competenza della città. Ma
alla fine è stata una disfatta.
Pedofilia, il Sant'Uffizio condanna alle dimissioni
l'ex nunzio Wesolowski. Ora rischia l'arresto
SABATO 28 GIUGNO 2014
Secolo
d’Italia
Antonio Pannullo
Il primo grado di processo canonico
contro l'ex nunzio nella Repubblica Dominicana, monsignor Jozef Wesolowski, per abusi sessuali su minori, si è
concluso in questi giorni presso l'ex
Sant'Uffizio con una condanna alla dimissione dallo stato clericale. Ora l'arcivescovo ha due mesi per proporre
appello. La sala stampa vaticana comunica che, non appena sarà definitiva
la sentenza canonica presso la Congregazione della Dottrina della Fede,
proseguirà anche il procedimento penale presso gli organi giudiziari vaticani.
Wesolowski era stato richiamato in Vaticano da papa Francesco nell'estate
scorsa in seguito alle accuse dalla Repubblica dominicana sui presunti abusi
su minori. Dopo aver goduto di "relativa
libertà di movimento" in attesa che l'ex
Sant'Uffizio ne verificasse le accuse di
pedofilia, l'ex nunzio ora rischia l'arresto
o comunque una limitazione della libertà. «Saranno adottati tutti i provvedimento adeguati alla gravità del caso»,
dice la sala stampa vaticana. Con riferimento ad alcune notizie apparse recentemente sui mass media (Wesolowski è
stato visto recentemente dal vescovo
ausiliare di Santo Domingo passeggiare
per una via di Roma), «si precisa che finora monsignor Wesolowski - comunica
la sala stampa vaticana - ha usufruito di
una relativa libertà di movimento in attesa che la Congregazione per la Dottrina della Fede procedesse a verificare
il fondamento delle accuse mosse a suo
carico». «Tenuto conto della sentenza
ora pronunciata dal summenzionato Dicastero - viene aggiunto -, saranno
adottati nei confronti dell'ex Nunzio tutti
i provvedimenti adeguati alla gravità del
caso». Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha spiegato ai giornalisti che «si prenderanno misure perché
sia residente in un posto preciso, limitato, senza libertà di movimento, poiché
è una persona giudicata colpevole di un
reato grave e in attesa di un ulteriore
procedimento giudiziario». Monsignor
Wesolowski, 66 anni, polacco, alle
spalle una lunga carriera diplomatica,
era nunzio a Santo Domingo dal gennaio 2008. Papa Francesco lo ha dimesso da nunzio e richiamato a Roma
nell'agosto 2013 in seguito alle accuse
di abusi su minori emerse nella Repubblica Dominicana. In Vaticano è stato
quindi sottoposto prima al giudizio canonico, il cui primo grado si è concluso
in questi giorni con la riduzione allo
stato laicale, e non appena la sentenza
sarà definitiva partirà anche il processo
penale davanti agli organi giudiziari vaticani, essendo l'ex nunzio un cittadino
dello Stato vaticano.
Redazione
«Mark Zuckerberg ha capitalizzato cinquanta miliardi di dollari
puntando sulla nostra paura di
essere soli, ed ecco Facebook:
mai nella storia umana c'è stata
così tanta comunicazione, la
quale però non sfocia nel dialogo, che resta oggi la sfida culturale più importante». È il
pensiero del filosofo e sociologo
Zygmunt Bauman, giunto a Lignano Sabbiadoro per ricevere
il Premio Hemingway 2014, conferitogli per “L'avventura del
pensiero». «Usando Facebook
o Twitter mi metto in una cassa
di risonanza – ha spiegato –
dove mi aspetto che tutti mi
diano ragione. È una sorta di
stanza degli specchi in cui non
ci si confronta, non ci si espone
realmente al dialogo che, invece
- ha precisato - presuppone che
io voglia espormi a qualcuno
che la pensa in modo diverso,
correndo anche il rischio di
avere torto». Il filosofo e sociologo che ha analizzato la postmodernità e teorizzato la
''società liquida'', ha indicato che
invece «un esempio di vero dialogo lo ha dato Papa Francesco
nella sua prima intervista: ha
cercato il dialogo, avendo deciso di confrontarsi con Eugenio
Scalfari, giornalista italiano noto
per essere dichiaratamente
ateo». Bauman è poi intervenuto sulla Grande Guerra, di cui
si è alla vigilia dell'anniversario.
«Per evitare nuovi conflitti occorre impegnarsi per imparare
l'arte del dialogo, l'unica che può
aiutarci ad abbattere i nuovi
muri costruiti dopo la caduta del
muro di Berlino. Ma dialogare ha ribadito - vuol dire parlare
con qualcuno che ha opinioni diverse, e a volte che aborriamo.
Una sfida comunque obbligatoria, visto che viviamo in un
mondo interdipendente dove
non possiamo evitare di confrontarci con gli altri». Bauman
oggi ritirerà il premio Hemingway (trentesima edizione) insieme con lo scrittore Abraham
Yehoshua, vincitore 2014 per la
letteratura; Guido Guidi sarà invece premiato per la fotografia e
la reporter Alice Albinia per il
giornalismo.
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Arrestata una trans
di 49 anni per “stalking”
a un ex fidanzato,
bersagliato da 5000 sms
Bauman: «Facebook? Zuckerberg
ha puntato sulla paura della solitudine»
Redazione
Cinquemila sms all'ex fidanzato
in pochi mesi, minacce di morte
al giovane e ai suo genitori,
l'auto data alle fiamme e la minaccia di incendiare anche l'abitazione. Una trans di 49 anni è
stata arrestata nel suo appartamento di Campo di Carne a Cerveteri, in provincia di Roma, dai
Carabinieri del Nucleo Operativo
della Compagnia di Frascati, per
atti persecutori nei confronti di
un ventenne romano di Tor Vergata, colpevole di averla lasciata
dopo una breve relazione. Alla
stalker i militari hanno notificato
un'ordinanza del gip del Tribunale di Roma che ha disposto la
misura degli arresti domiciliari
per i reati di stalking, incendio ed
esercizio arbitrario delle proprie
ragioni. Il provvedimento è arrivato al termine di un'indagine
che ha permesso di raccogliere
tutti gli elementi necessari. Dopo
la fine della relazione circa due
anni fa, la trans non si era rassegnata e così aveva reiteratamente molestato e minacciato
l'ex fidanzato ed i suoi genitori.
Spinta da uno spirito di vendetta
e da una gelosia ossessiva, era
persino arrivata a telefonare alla
scuola frequentata dal fratello
minore del suo ex, riferendo che
quest'ultimo era morto in un incidente stradale. Intentando una
finta azione legale nei suoi confronti, la trans era addirittura riuscita a farsi consegnare dal
giovane più di 8.000 euro.
Morì per il vaccino tetravalente, i genitori
denunciano il ministero della Salute
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Redazione
Il primo vaccino trivalente (antipolio, antidifterico-tetano e antiepatite B) le fu somministrato il
10 ottobre 1989, quando aveva
meno di un anno, con repliche nei
mesi e anni successivi sino al
1997. Ma già nei giorni seguenti
alla prima vaccinazione Marianna
Tupputi, nata a Barletta, manifestò problemi: non riusciva a reggere il capo sul collo, aveva una
ipotonia diffusa. Marianna è
morta a 17 anni, il 24 ottobre
2007. I genitori da due anni attendono il pagamento di un indennizzo di poco più di 151mila
euro, riconosciuto loro da due tribunali con sentenza di primo
grado e d'appello. Ora, attraverso
il loro legale di fiducia, hanno pre-
Secolo
d’Italia
sentato una denuncia-querela
alla procura di Roma contro il ministro della Salute e alcuni dirigenti del dicastero: ipotizzano il
reato di omissione di atti d'ufficio.
La denuncia-querela è stata presentata dall'avvocato Francesco
Terruli, del foro di Taranto, per
conto di Luigi Giovanni Tupputi, di
51 anni, e Mariangela Dibenedetto, di 47 anni, genitori di Marianna. La sentenza di condanna
in primo grado del ministero della
Salute, che stabilisce anche l'indennizzo per i genitori della ragazza deceduta, è stata emessa
il 18 aprile 2012, e confermata
dalla Corte di appello di Bari,
dopo ricorso dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, il 24
aprile scorso. Peraltro nel suo ri-
corso l'Avvocatura, secondo
quanto risulta dagli atti, aveva
fatto riferimento a un altro paziente, che aveva contratto l'epatite in seguito ad una trasfusione,
e non a Mariana Tupputi. Tanto
che la Corte di appello, rigettando
il ricorso, aveva definito "non pertinenti" le censure mosse alla
sentenza di primo grado. Nel giudizio dinanzi al tribunale di Trani i
genitori di Marianna avevano citato anche la Regione Puglia e la
Asl Bat (provincia di Barletta-Andria-Trani), ma i giudici hanno riconosciuto la responsabilità del
solo ministero. Marianna cessò di
vivere, secondo quanto indicato
nella sua cartella sanitaria, per
«sindrome encefalitica con tetraparesi
ipotonica-distonicaatassica.
Deficit
della
comunicazione e della relazione
ad insorgenza vaccinale». Il
nesso di causalità, viene ricordato
nella denuncia, tra «le somministrazioni vaccinali e le conseguenti patologie neurologiche di
cui era risultata affetta la minore
Marianna Tupputi», era stato accertato già nel giudizio di primo
grado con una consulenza tecnica eseguita da un medico legale
e disposta dal tribunale di Trani.
pubblicata sul Journal of the American Chemical Society. Gli studiosi sono riusciti a costruire delle
nanoparticelle che "intrappolano"
molecole dalla struttura complementare a quella delle molecole
che si trovano all'interno delle cellule. Come minuscoli sottomarini,
navigano nell'ambiente acquoso
che circonda le cellule attraversando la membrana che le protegge e penetrando all'interno per
consegnare il loro carico. «Una
volta nella cellula – spiega Francisco Raymo, coordinatore dello
studio – le particelle si mescolano
e scambiano il loro carico. Questa
interazione consente di trasferire
energia tra le molecole assorbite». Questi "nano-sommergibili"
sono davvero minuscoli: hanno
un diametro di 15 miliardesimi di
metro e sono costituiti da polimeri
anfifilici, cioè catene di molecole
che hanno sia una parte che si
scioglie in acqua sia una che non
si scioglie. In questo modo intrappolano le molecole complementari con la parte che non è solubile
in acqua, e con l'altra navigano
nell'ambiente acquoso che circonda la cellula. Il che li rende dei
"nano-veicoli" ideali per trasferire
molecole che altrimenti sarebbero
insolubili in acqua, in un ambiente
liquido. «Questi "nano-corrieri"
sono molto interessanti – continua Raymo – e possono portare
allo sviluppo di importanti strategie per attivare i farmaci dentro le
cellule». L'esperimento è stato
condotto in colture cellulari, e non
si sa ancora quindi se le nanoparticelle possono viaggiare attraverso
la
circolazione
sanguigna. Il prossimo passo
sarà dimostrare che questo metodo può essere usato per indurre
reazioni chimiche nelle cellule, invece di trasferire energia, come
fatto ora.
La realtà supera la fantasia,
un nano-sommergibile
entra nelle cellule
Redazione
Non è più solo un'idea da fantascienza il sommergibile miniaturizzato che attraversa il corpo
umano, così come immaginato
nelle pellicole "Viaggio allucinante" del 1966 e poi "Salto nel
buio" nel 1987 e raccontato da
Isaac Asimov. Ricercatori delle
università di Miami e dell'Ulster
hanno infatti costruito un "nanosommergibile" che, anche se non
in grado di trasportare nel corpo
umano medici miniaturizzati, con
il suo diametro di 15 miliardesimi
di metro può viaggiare all'interno
delle cellule, attraversando la
membrana che le protegge. A
volte dunque la realtà può raggiungere, se non superare la fantasia, come emerge dalla ricerca
SABATO 28 GIUGNO 2014
Ogm, 97 le piante modificate
e utilizzate in agricoltura
Redazione
Sono 97, nel mondo, le specie di
piante geneticamente modificate
utilizzate nell'agricoltura e mentre queste ricerche stanno andando avanti in molti Paesi, in
altri «ci si dimentica del valore di
queste ricerche». Lo ha rilevato
a Roma uno dei massimi esperti
dio biotecnologie vegetali, Francesco Salamini della Fondazione "Edmund Mach" di Trento,
a margine della conferenza di
chiusura dell'anno accademico
dell'Accademia dei Lincei. Le 97
specie di piante geneticamente
modificate, indicate dal National
Science Council degli Stati Uniti,
«sono un numero significativo,
considerando che sono complessivamente undici le principali specie vegetali», ha detto
Salamini. «Mentre negli Stati
Uniti le piante geneticamente
modificate sono in uso da vent'anni, il dibattito sull'adottarle o
meno è aperto», ha detto Salamini durante la sua relazione.
«È possibile – ha rilevato ancora
l'esperto italiano – che un
Paese avanzato si dimentichi di
questo settore di ricerca, ma il
pericolo è che questa grande
massa di lavoro ci torni indietro:
se si continua a non fare sperimentazioni si rischia di ritrovarsi
a poter utilizzare soltanto la matita quando il resto del mondo
usa il computer».
La saga dei Clinton in scena a Broadway. A movimentare
il racconto ci sarà anche Monica Lewinsky
Secolo
SABATO 28 GIUGNO 2014
d’Italia
Luca Maurelli
In attesa di sapere se Hillary correrà o meno per la Casa Bianca,
i Clinton sbarcano a Broadway.
O meglio: a salire sul palco sarà
un gruppo di attori che metterà in
scena gli anni più turbolenti della
ex first family, quelli che verranno
ricordati soprattutto per lo scandalo Lewinsky, che al presidente
stava per costare l'impeachment.
Per questo è difficile pensare
che Bill e Hillary siano contenti di
“Clinton: The Musical”, lo spettacolo dei fratelli australiani Michael e Paul Hodge che rimette il
dito nella piaga dolorosa di una
delle famiglie più famose e potenti d'America. Uno spettacolo
che debutterà negli Stati Uniti in
occasione del New York Musical
Theater Festival, in programma
dal 18 al 25 luglio. Insomma, lo
spettro di Monica sembra non
voler abbandonare i Clinton che,
nel caso Hillary decida di candidarsi alla presidenza, rischia di
piombare ancora una volta sulla
sua campagna elettorale, a di-
stanza oramai di oltre quindici
anni. Ma dallo spettacolo l'ex
presidente non esce in maniera
del tutto negativa. Per l'occasione Bill si sdoppia, ed è infatti
interpretato da due attori: da una
parte l'uomo del cambiamento,
che vuole trasformare l'America;
dall'altro l'uomo più potente della
terra che cede alle sue debolezze, fino a mettere a repentaglio la sua leadership. «È già
abbastanza duro essere presidente. E il problema di Bill Clin-
A Stromboli il primo festival del teatro
“ecologico”, senza luci e senza microfoni
Redazione
Un festival di teatro, musica e danza senza corrente elettrica. Un festival di teatro, musica e danza
senza alcun sussidio economico dalle istituzioni o
da sponsor privati, con un programma di 9 giorni di
eventi, interamente autofinanziato e sostenuto dal
lavoro di artisti e organizzatori. Un festival di professionisti che hanno scelto di credere in un pro-
getto, nell’idea di rimettere al centro della scena la
relazione naturale fra l’artista e lo spettatore. Questa è la Festa di Teatro Ecologico, iniziata sabato
21 giugno e che chiuderà i battenti domani sera
sull’isola di Stromboli, con un cartellone di eventi di
spettacolo "nature”, ecosostenibile, senza luci e
senza microfoni. Quali energie si liberano se si rinuncia all’elettricità? Da questa domanda è nata
Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale
Editore
SECOLO D’ITALIA SRL
Fondatore
Franz Turchi
d’Italia
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
Consiglio di Amministrazione
Tommaso Foti (Presidente)
Alberto Dello Strologo (Amministratore delegato)
Alessio Butti
Antonio Giordano
Antonio Triolo
Ugo Lisi
7
ton è che ce ne sono due», si
legge nell'opuscolo che pubblicizza il musical. Tra i personaggi
interpretati nello spettacolo - nominato come miglior nuovo musical all'Edinburgh Festival
Fringe, il festival sulle arti più
grande al mondo - chiaramente
ci sono anche Monica Lewinsky
e l'allora speaker della Camera, il
repubblicano Newt Gingrich. Il
tutto andrà in scena all'Alice Griffin Jewel Box Theater, nel Theatre
District
di
Midtown
Manhattan, e lo si potrà vedere
alla modica cifra di 25 dollari a
biglietto. Difficile che tra il pubblico compaiano i Clinton. Anche
perché in quei giorni Hillary dovrebbe essere in Europa per proseguire
Oltreoceano
la
promozione del suo libro di memorie “Hard Choices”. Un tour
visto da molti come una vera e
propria preparazione alla campagna elettorale. Anche se ancora oggi l'ex first lady si è
schernita: «Bisogna essere un
po' matti per fare il presidente».
l’idea di organizzare una manifestazione culturale
che, partendo dal tema della sostenibilità ambientale, rappresentasse anche una precisa presa di
posizione artistica e filosofica: riportare al centro
dell’azione scenica l’uomo, la sua voce, il suo corpo
e la sua capacità di mettersi in relazione senza filtri o effetti artificiali. E come spesso accade ai progetti audaci, intorno all’idea di Teatro Eco Logico si
sono raccolti artisti, organizzatori, spettatori, ecologisti, un gruppo di irriducibili sognatori che ha scelto
di portare avanti questo progetto riuscendo, non
senza difficoltà, a dare vita alla prima edizione di
un festival di spettacoli, performance, concerti, workshop ed eventi unici di arte e natura, senza corrente elettrica aggiunta e senza sussidi economici.
L'edizione 2014 della Festa di Teatro Eco Logico è
incentrata sul tema del Sole, traendo spunto dal
mito di Fetonte dal Libro delle Metamorfosi di Ovidio, dai versi di fuoco di Emily Dickinson, fino a
Shakespeare e ai riti misteriosi che abitano la notte
delle streghe, dopo il tramonto.
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7 agosto 1990 n. 250
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cent`anni fa nasceva giorgio almirante. la grandezza umana e