Anno VI
ISSN 1970-741X
Fattori
di Crescita
Ricerca sui
Biomateriali
EDITORIALE
Numero 3/2011
ORTHOviews
la Ricerca nel Mondo
Banche
dei Tessuti
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Poste Italiane Spa - Sped. in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. I comma I, DCB Milano Taxe Perçue
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Corsi
e Congressi
Il Quesito
Diagnostico
a
Italiche strategie
di lungo termine
Massimo Berruto
Molti si sono stracciati le vesti sulla riforma GelminiTremonti, che affosserebbe la scuola pubblica a favore
di quella privata. E di fatto è così. La tendenza, se può
consolare, è la medesima in molti Paesi d’Europa: si
contengono i costi dell’istruzione pagata dal contribuente, incentivando le restanti scuole. A ben guardare, però, in Italia potrebbe trattarsi di un’avveduta strategia interministeriale - all’incrocio del Ministero
dell’Economia con quelli dell’Istruzione e dell’Industria
- e vi spiego perché.
Da almeno un decennio in Italia è in atto un significativo processo di accentuazione dell’overeducation, ovvero di “eccesso di istruzione” rispetto alla domanda di
lavoro qualificato espressa dalle imprese. Acquisita la
laurea, si svolgono attività non adeguate alle competenze acquisite o, soprattutto nel caso del
Mezzogiorno, si emigra. L’eccesso di offerta di lavoro
qualificato dipende essenzialmente dalla bassa crescita e duttilità delle imprese italiane. È chiaro che in un
Paese nel quale non si produce innovazione - se non
per rare eccezioni - il finanziamento della ricerca scientifica è solo un costo, al quale le nostre imprese neppure riescono a far fronte reclutando dall’estero manodopera qualificata.
Per conseguenza, negli ultimi anni schiere di giovani
ricercatori, non trovando nulla da fare, sono stati
costretti a emigrare in altri Paesi: per esempio negli
Stati Uniti, dove i nostri ragazzi guadagnano bene
mettendo a frutto le loro competenze e creando progetti su cui l’industria è pronta a investire. In altri termini,
gli americani non spendono nulla per la scuola pubbliContinua a pag. 2
Lesioni osteocondrali:
terapie al vaglio
della pratica clinica
5-7 maggio
XXXIV Congresso Nazionale
della Società Italiana
di Chirurgia Vertebrale (GIS)
Vicenza
Presidente del congresso: Massimo Balsano
Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl
Tel. 051.765357 - Fax 051.765195
[email protected] - www.csrcongressi.com
GRIFFIN EDITORE
www.griffineditore.it - [email protected]
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FACTS&NEWS
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Difetti osteocondrali del ginocchio: molte terapie allo studio,
da verificare la loro applicabilità clinica in sala operatoria
Dottor Berruto, ci fa una
breve panoramica dei
difetti osteocondrali del
ginocchio e delle loro
conseguenze?
un’unica evoluzione: l’artrosi progressiva a carico
del distretto o dei distretti
in cui sono localizzate.
Anzitutto differenzierei le
lesioni che coinvolgono la
cartilagine del ginocchio in
due grandi categorie: le
lesioni condrali pure - quelle cioè che coinvolgono il
solo piano cartilagineo - e
le lesioni osteocondrali,
nelle quali è coinvolto il
sistema osso-cartilagine.
Le prime sono classificabili
in gradi che vanno dal
primo al quarto a seconda
della profondità e dell’estensione.
Nell’ambito delle lesioni
osteocondrali differenziamo
invece: le osteocondriti dissecanti, patologia che interessa soprattutto adolescenti e giovani, differenziabile
in quattro gradi a seconda
che la pastiglia sia ancora
adesa oppure totalmente
distaccata; le lesioni osteocondrali acute e infine le
osteonescrosi. Queste ultime sono una patologia a
parte che interessa soprattutto pazienti di età superiore ai 50 anni.
Tutte queste lesioni hanno
Quali risultati ci
permettono di ottenere i
trattamenti biofisici?
A oggi non c’è nulla di
scientificamente dimostrato circa l’efficacia di questi
trattamenti.
Certamente non "guariscono" né riparano la lesione e
non prevengono neppure
l’evoluzione artrosica. Ma
certamente hanno un’azione sul dolore e quindi sono
indicati in quei pazienti di
confine, in cui la chirurgia
non è in grado di dare delle
risposte efficaci e in cui
però le esigenze funzionali
sono ancora elevate. Si
tratta di quella fascia di 4560enni, ancora attivi, con
una cartilagine articolare
usurata ma non tanto da
dover essere sottoposti a
interventi di sostituzione
protesica. Pazienti che
richiedono al proprio
ginocchio certe prestazioni
e che non sono disposti ad
avere un livello di vita
diminuito dal dolore.
FACTS&NEWS
In copertina
Terapie e tecniche
per le lesioni del ginocchio
In un’articolazione complessa come quella del
ginocchio, la cartilagine svolge la funzione
essenziale di fornire una struttura adatta ad
assorbire le sollecitazioni più varie: compressioni,
torsioni, attrito e forze dissipative. Si tratta di
forze ripetute che possono talvolta raggiungere
l’equivalente di decine di volte la forza-peso del
corpo umano. Non c’è da stupirsi se lesioni
traumatiche e degenerative si presentano come
problema frequente e di difficile soluzione,
tenendo conto anche della particolare fisiologia
della cartilagine, a cui manca l’apporto nutritivo
del flusso sanguigno e che deriva il suo nutrimento
principalmente dal fluido sinoviale.
Ricercatori e clinici di tutto il mondo sono oggi
molto attivi nell’elaborare nuove metodiche di
intervento, ma è proprio questo fermento a rendere
difficile l’affermazione di soluzioni condivise. Lo
stato dell’arte in merito alle tecniche riparative
delle lesioni osteocondrali del ginocchio
costituisce uno scenario in movimento: è difficile
da fotografare ma proviamo a coglierne le linee
evolutive con un esperto, Massimo Berruto.
Responsabile della Struttura semplice
dipartimentale di chirurgia articolare del
ginocchio presso l'Istituto Ortopedico Gaetano
Pini di Milano, il dottor Berruto è membro della
Commissione biotecnologie della Società italiana
ginocchio, artroscopia, sport, cartilagine e
tecnologie ortopediche (Sigascot), membro delle
più importanti società internazionali di chirurgia
artroscopica e del ginocchio e ha al suo attivo più
di 100 relazioni a congressi nazionali e
internazionali e più di 90 pubblicazioni su riviste
scientifiche riguardanti l'artroscopia e la
chirurgia del ginocchio.
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Massimo Berruto è
nato a Torino e si è laureato e specializzato
all’Università degli Studi
di Milano.
Dal 1987 opera presso
l'Istituto
Ortopedico
Gaetano Pini di Milano.
Aiuto primario per 10
anni del professor
Mario Bianchi, uno dei
padri della moderna chirurgia del ginocchio, Berruto ha
completato la propria formazione presso il Dipartimento di
chirurgia e artroscopia del ginocchio dell'Università del
Vermont (Usa), dove ha condotto importanti ricerche sul
legamento crociato anteriore, e presso l'Alabama Sports
Medicine Institute di Birmingham (Usa).
Massimo Berruto esegue annualmente più di 300 interventi artroscopici sul ginocchio e più di 50 interventi di artroprotesi di ginocchio. Attualmente ha esteso il suo campo
di interesse alla chirurgia ricostruttiva della cartilagine, di
cui è stato uno dei primi impiantatori in Italia.
Segue da pag. 1
Trapianto autologo di condrociti su scaffold in acido
ialuronico (Hyalograft C) su grave lesione condrale di rotula
Impianto per via artroscopica di trapianto autologo
di condrociti su scaffold di acido ialuronico
in lesione condrale del condilo femorale mediale
Quali sono le indicazioni
e l’efficacia del trapianto
autologo di condrociti?
A più di 15 anni dal primo
impianto e con follow-up
che ormai superano in
molti casi i 10 anni, possiamo dire che certamente
i trapianti di condrociti
forniscono risultati soggettivamente e funzionalmente buoni in circa l’80% dei
pazienti operati. Si tratta
inoltre di risultati che, su
lesioni ampie, sembrano
più duraturi di altre metodiche - come ad esempio la
tecnica delle microfratture
di Steadman, in cui vengono praticate dei minuscoli
fori nell’osso sottostante.
La medicina basata sull’evidenza non dimostra chiaramente una superiorità di
questa tecnica rispetto ad
altre utilizzate nel trattamento delle lesioni condrali. Tuttavia su lesioni
condrali ampie, soprattutto
a carico dei condili femorali, in pazienti a più elevate
esigenze funzionali, possiamo considerare soddisfacenti i risultati dei trapianti
di condrociti, in particolare
quelli di seconda generazione, in cui vengono utilizzati scaffold di acido ialuronico o di collagene. A oggi
tuttavia non sappiamo
ancora se con tale tecnica si
ca, però pagano bene chi fa ricerca in modo egregio
(giovani italiani ma anche francesi, russi, cinesi). In
questo modo potenziano il proprio settore industriale,
foraggiandolo con progetti freschi e innovativi. Progetti
partoriti da cervelli in fuga, che dopo essere stati “allevati” per anni da Paesi che hanno investito su di loro e
sulla loro preparazione centinaia di milioni di euro,
non hanno ritenuto che fosse coerente e opportuna la
creazione di strutture produttive in grado di mettere a
buon frutto tanti e tali sforzi economici e didattici.
Non male la strategia Usa: si sa che gli americani che
se lo possono permettere vanno a trascorrere i loro ultimi splendidi inverni dalle parti di Miami, confortati
dalle cure d’eccellenza dei medici cubani che il regime
castrista ha provveduto di un’ottima istruzione ma ai
quali, ahimé, non ha dato grandi speranze di carriera
professionale adeguata.
Da noi, la nostra Sicilia avrebbe potuto diventare la
Florida d’Europa se avessimo provveduto l’isola di un
apparato sanitario adeguato, anche non necessariamente pubblico (si sono invece creati un bel po’ di
posti di lavoro per infermieri sottoccupati e un certo
numero di primariati e cattedre in eccesso, ma questo
è un altro discorso).
Ingegneri italiani che qui a stento insegnerebbero
materie tecniche alle medie inferiori progettano le strategie produttive di linee industriali nordamericane, così
come giovani genetisti spagnoli trovano impiego nelle
new.co. biotech di Silicon Valley e dintorni.
A questo punto il nostro Ministro dell’Economia avrà
ben comunicato a quello dell’Istruzione che, non prevedendosi a medio termine particolari sviluppi industriali
nel nostro Paese (si prevede anzi che pure l’industria
tenda ad emigrare), tanto vale non far regali ad altri e
non dissipare soldi ed energie nel coltivare giovani
talenti, destinati a spendersi altrove.
Del tutto inutile ancorché dannoso dare vantaggi competitivi alla produzione straniera: perché lasciare che
Big Pharma colonizzi l’Italia di siti produttivi grazie ai
brevetti ottenuti con il lavoro dei ricercatori che abbiamo mantenuto agli studi grazie alle nostre tasse? Ma
lasciamo che ognuno faccia delle proprie nuove generazioni ciò che vuole. Noi, che abbiamo esportato nel
passato minatori e manovali, più di recente ottimi cervelli e molti dirigenti d’alto rango, oggi abbiamo forse
in animo di ritornare all’Italietta agreste delle canzoni
dei nostri nonni, ai greggi e ai pescherecci: pizza e
mandolino anziché biotecnologie, insomma. Ma, perlomeno, risparmiando soldi.
E i fortunati che faranno studi d’eccellenza negli atenei
privati? Se ne andranno comunque all’estero, come del
resto è inevitabile. Ma viviamo nell’epoca della globalizzazione, e un appartamento nell’Upper West Side,
in fondo, vale molto di più di tanti nostri bei paesaggi.
(Paolo Pegoraro)
Preparazione di fattori di crescita (Prp)
da infiltrazione intraarticolare
riesce a prevenire l’evoluzione artrosica a distanza
delle lesioni condrali, ma
abbiamo una certezza:
anche se non siamo ancora
in grado di ricreare appieno
una cartilagine nativa, con
il trapianto autologo di
condrociti riusciamo ad
avvicinarci a questo obiettivo, ricostruendo una cartilagine simil-ialina.
Come mai questa
tecnica, innovativa solo
fino a poco tempo fa, è
ora considerata quasi
obsoleta?
Le ragioni sono molte: in
primo luogo di tipo economico, poiché il trapianto
autologo di condrociti è
considerato una tecnica
cara, ma anche perché, per
qualche anno, in Italia
non è stato possibile ricorrere a questa tecnica per
restrizioni legislative, che
oggi sono state superate. Si
tratta inoltre di una tecnica two-step, che richiede
quindi un doppio intervento. C’è poi un’ultima
ragione essenziale: in questi ultimi anni la ricerca
si è indirizzata verso la
creazione di biomateriali
o verso il trattamento con
cellule. Queste tecniche
rappresentano l'evoluzione del trattamento con
condrociti autologhi.
Quali sono le nuove
prospettive in merito ai
biomateriali?
Sono senza dubbio prospettive interessanti, ma ancora
in progress.
Oggi la filosofia è quella di
guardare alle lesioni cartilaginee come ad un problema
non della sola cartilagine
ma del complesso osso-cartilagine. Si è cercato quindi
di costruire in laboratorio
scaffold biomimetici, in
grado cioè di riprodurre la
struttura biologica dei
diversi strati del complesso
osso-cartilagine, in modo
da indirizzare la differenziazione delle cellule dell’ospite verso l’osso o verso la
cartilagine a seconda dei
componenti su cui esse si
depositano. Il concetto è
quello di sfruttare e indirizzare l’intelligenza cellulare.
Scaffold biomimetico osteocondrale
Applicazione dello scaffold biomimetico osteocondrale
su lesione osteocondrale del condilo femorale mediale
Cosa pensa invece
riguardo alle potenzialità
offerte dai fattori di
crescita e dalla terapia
genica?
Anche nel campo dei fattori di crescita siamo in
fase sperimentale. Oggi si
parla di Prp (Plasma
Reach Platelet) o di estratti dal sangue infiltrati nel
ginocchio; si usano cellule
staminali prelevate dal
midollo e impiantate
direttamente sulla lesione
o seminate su scaffolds sintetici. Insomma le linee di
ricerca e applicazione
sono varie e stimolanti.
Tuttavia, i risultati devono ancora essere valutati
con molta attenzione. Per
quanto concerne la terapia
genica, invece, siamo
ancora ai primi vagiti.
Riusciremo a riprodurre
la cartilagine nativa? Ci
può parlare delle
ricerche in corso in
questo ambito?
Oggi la riproduzione della
cartilagine nativa è soltanto una speranza, ma è un
potente stimolo per la ricerca: la cartilagine finora prodotta è simil-ialina e non
ha le caratteristiche nobili
di quella nativa.
La ricerca oggi si pone il
problema se continuare a
produrla in laboratorio e
poi applicarla - in condizioni ambientali che non
sono quelle in cui è stata
creata - oppure se sia più
opportuno creare sistemi
con cui far riprodurre
direttamente la cartilagine
nello stesso ambiente articolare.
Bisogna poi capire meglio
le interazioni fra l’osso e la
cartilagine e infine quale
sia l’effettiva influenza
dell'ambiente articolare
sulle qualità biologiche
della cartilagine stessa.
Insomma gli scogli da
superare sono ancora molti
e impegneranno ancora a
lungo le nostre energie.
Pazienti di età differenti
e con diversi tipi di
lesione: la diversità degli
approcci permette un
trattamento differenziato
e personalizzato?
Tecnica delle microfratture: esecuzione di fori con apposito strumento a punta
nella sede della lesione condrale, successivo sanguinamento con formazione
di supercoagulo nella sede della lesione e rigenerazione successiva di cartilagine di riparazione
Certamente la linea di tendenza su cui ci muoviamo
oggi è proprio questa. Per
ottenere risultati più soddisfacenti, stiamo imparando
a modulare il trattamento
in rapporto alla sede, alle
dimensioni e alla profondità della lesione e anche in
base all’età, al livello di
attività e alle esigenze complessive del paziente.
Esistono linee guida che,
caso per caso, aiutano
nella scelta del
trattamento più indicato?
Le società scientifiche
hanno elaborato nel corso
di questi anni delle flowchart di trattamento, che
tuttavia sono in evoluzione
proprio per la continua
introduzione di nuove
metodiche e di nuovi materiali e approcci.
Come abbiamo visto, si
tratta di un settore estremamente dinamico, in cui da
parte dell'operatore si rendono necessari molta prudenza e buon senso.
Correre ad abbracciare ogni
novità proposta può essere
pericoloso, soprattutto per
il paziente. Utilizzare ciascuna tecnica con un
approccio scientifico e ponderato, limitando e calibrando le indicazioni, può
invece consentire una corretta valutazione delle
potenzialità e dei risultati di
ciascuna di esse.
Renato Torlaschi
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FOCUS ON
Rigenerare i tessuti
con i fattori di crescita
Iniziano ad emergere le prime evidenze in letteratura sull’utilizzo del Prp,
ma sono necessari altri dati di follow up per validare a pieno il trattamento
Ogni anno nuovi studi scientifici propongono
innovative soluzioni ortobiologiche per una
guarigione migliore delle lesioni ortopediche, in
particolare dei tendini. L'uso del Prp (Platelet
Rich Plasma), una frazione del sangue ricca di
fattori di crescita, è una delle linee di ricerca più
attive in questo campo.
Tuttavia, la letteratura scientifica non ha ancora
confermato definitivamente tutte le potenzialità
della procedura, spiega Walter Pascale,
professore a contratto dell'Università di Milano,
Direttore dell'unità operativa di artroscopia e
chirurgia del ginocchio II dell'Irccs Istituto
Ortopedico Galeazzi di Milano.
Tabloid di Ortopedia ha intervistato il chirurgo
milanese per fare il punto su queste terapie di
ultima generazione.
Dottor Pascale, quali sono
questi nuovi approcci che
fanno uso del Prp?
Con le abbreviazioni Prp e
Acp si indicano prodotti che
si ricavano dal sangue, in cui
abbiamo molte componenti
come il calcio, la trombina e
le piastrine.
Alcuni effetti di queste
sostanze sono dovuti ai
trombociti, che rilasciano
fattori di crescita che cercano di garantire un naturale
processo di guarigione dei
tessuti.
Di che cosa si tratta?
Normalmente la guarigione
da un qualsiasi tipo di insulto passa per la produzione di
alcune sostanze. Quando
usiamo questa frazione
molto concentrata si attivano particolari cellule, come i
condrociti, gli osteoblasti, le
cellule staminali, i fibroblasti.
Ma la vera novità dell'uso
del Prp è la possibilità di
modulare la rigenerazione
dei tessuti, oltre che di incrementarla. È un rimodellamento che forziamo attraverso questi derivati piastrinici, indirizzando il tessuto
danneggiato verso la guarigione naturale.
Il rimodellamento è legato
alle fasi del processo: per
esempio in un danno muscolare abbiamo un'infiammazione, durante la quale si
attivano i trombociti che
distribuiscono i fattori di
Mini glossario
Prp: il Platelet Rich Plasma è una frazione di plasma,
ricavata dal sangue autologo, contenente una maggiore
concentrazione di piastrine
Acp: Autologous Conditioned Plasma, un altro modo
per indicare il Prp, usato commercialmente
Fattori di crescita: i principali fattori di crescita
contenuti nel Prp sono l'IGF-1 (insulin-like growth
factor), il TGFß (transforming growth factor beta), il
VEGF (vascular endothelial growth factor), il PDGF
(platelet-derived growth factor), il ßFGF (fibroblast
growth factor).
crescita e le citochine, poi si
attivano i macrofagi e dopo
tre-sette giorni abbiamo una
rigenerazione dovuta ai fattori di crescita. Dopo le due
settimane abbiamo un rimodellamento, una differenziazione nel tessuto target
modulata dai fattori di crescita.
Come si ottengono i Prp?
Dobbiamo distinguere due
campi di trattamento, ambulatoriale e operatorio.
Nel primo caso si preleva dal
sangue venoso del paziente il
campione sanguigno dal
quale si ricava, con un processo di centrifugazione
attraverso una macchina
dedicata e non una normale
centrifuga, il siero ricco di
fattori di crescita. A questo
punto è possibile iniettare
direttamente nelle articolazioni il Prp, per il trattamento ambulatorio delle lesioni
tendinee. Si tratta quindi di
un'autoinoculazione.
Un altro tipo di procedura,
che porta a un Prp diverso,
prevede il prelievo di midollo osseo dalla cresta iliaca.
Per centrifugazione si ricavano i fattori di crescita, che
vengono introdotti per via
chirurgica. A differenza di
altri trattamenti, in questi
non si ricavano cellule da
iniettare.
In questi casi non parlerei di
cellule staminali, e quindi di
un inizio di differenziazione
cellulare. Le staminali sono
infatti presenti nei Prp, ma
sono in percentuale minima
e il loro ruolo è trascurabile.
Quali sono i fattori di
crescita coinvolti?
Alcuni fattori importanti
sono l'IGF1 e il TGFß contro l'infiammazione, il
VEGF per la proliferazione,
il PDGF e il ßFGF, sempre
per la proliferazione, sono
importanti per l'attivazione
macrofagica.
A livello cellulare i principali effetti comprendono l'angiogenesi, un effetto sull'attivazione macrofagica, sulla
chemiotassi fibroblastica,
sull'attivazione della migrazione cellulare.
L'uso del Prp è supportato
da studi scientifici?
Dietro questa scelta terapeutica c'è una grande letteratura che si è sviluppata da
alcuni anni. L'evidenza clinica comincia adesso ad
apparire in letteratura, ma
non abbiamo ancora dati
significativamente interessanti e importanti.
Nel 2007 è però stato pubblicato sull'American Journal
of Sports Medicine uno studio
di comparazione della riparazione del tendine di
Achille, con e senza l'uso di
questi fattori, da cui si è già
visto nel risultato che c'è
una buona risposta.
Anche
al
meeting
dell’European society of
sport traumatology, knee
surgery and arthroscopy
(Esska) dello scorso anno,
una delle riunioni più
importanti delle società
scientifiche di artroscopia
del ginocchio, abbiamo
avuto la presentazione di
studi recentissimi sulla proliferazione condrocitaria spinta dall'Acp, sulla proliferazione degli osteoblasti e dei
mioblasti.
Diciamo che siamo ancora
agli inizi di questa scienza.
Stiamo cercando di mettere
insieme gruppi di lavoro
negli Stati Uniti e in Europa
per costruire insieme un
database. In Italia per esempio molti sono interessati
alle applicazioni per la spalla, per le lesioni della cuffia
dei rotatori. Si stanno
cominciando a raccogliere le
evidenze sia per l'uso chirurgico sia ambulatoriale.
Quindi i protocolli non
sono definitivi?
I protocolli non sono definitivi ma si riescono a standardizzare: per il prelievo la procedura è standardizzata,
mentre ancora non è stato
definito in modo assoluto il
numero delle sedute necessarie nei trattamenti non
chirurgici.
Alcuni sostengono che si
possono effettuare quattro o
cinque infiltrazioni al massimo, a distanza ravvicinata di
una settimana. Altre scuole
cercano di trovare, sulla base
della letteratura, per ogni
patologia il numero migliore
di infiltrazioni. Nelle operazioni viene invece effettuata
una sola applicazione, quindi
il problema non si pone.
Quali sono le
indicazioni?
Per ora si usano soprattutto
per le tendiniti, le tendinopatie, le lacerazioni muscolari di grado lieve, le lesioni
croniche e postraumatiche,
di lieve entità.
Walter Pascale
La procedura viene usata
soprattutto per stimolare la
rigenerazione tissutale nelle
lesioni legamentose dei
pazienti giovani, nei quali la
risposta è migliore. Anche
riguardo a questo aspetto si
sta provando a trovare uno
standard di protocollo.
L'alternativa è che rischiamo di illudere i pazienti non
più giovani, che potrebbero
venire in ambulatorio chiedendo il fattore di crescita
per curare l'artrosi. Questo
sarebbe un errore etico.
Però, poiché il Prp trova una
sua utilità nell'indirizzare il
metabolismo, il trattamento
infiltrativo può essere di
aiuto anche a una certa età.
Ma certamente non fa ricrescere nulla, questo deve essere chiaro.
Come si misura nel follow
up l'efficacia del
trattamento?
La risposta si controlla con
la risonanza magnetica,
soprattutto nella parte chirurgica. Per esempio nel
trattamento delle lesioni del
legamento crociato possiamo vedere se abbiamo una
risposta.
Per quanto riguarda i dati di
follow up non siamo ancora
certi che la clinica sia migliore con l'uso dei fattori. Per i
trattamenti infiltrativi l'unico dato per ora è la funzionalità. Forse in futuro avremo
altri modi di verifica, è un
mondo in piena crescita.
Questo trattamento è
mutuabile?
Purtroppo no, non abbiamo
ancora i Drg a cui riferire le
iniezioni dei fattori di crescita. Però è allo studio la
possibilità di inserirli, una
volta che la letteratura
scientifica darà le conferme
necessarie.
Quali sono i vantaggi che
derivano dall'uso del Prp?
Questi trattamenti sono
indicati solo per una
fascia di età?
Ci sono risultati migliori sul
dolore, ma non abbiamo
ancora l'evidenza medica.
Però ci sono tanti lavori in
questo senso, a partire da
quello
del
professor
Maurilio Marcacci del
Rizzoli di Bologna.
Quali sono i centri
specializzati in Italia?
In realtà tutti i centri ortopedici e traumatologici che
abbiano un buon rapporto
con un centro trasfusionale,
possono effettuare la procedura con le dovute garanzie.
Ovviamente il medico non
può effettuare le infiltrazioni
nel proprio studio privato,
in quanto il sangue deve
essere prelevato ed elaborato con una centrifuga particolare. Per questo motivo
occorre un buon rapporto
con un centro trasfusionale.
Come è possibile
imparare questa
procedura in Italia?
Siamo supportati, purtroppo
e per fortuna, dalle aziende
che producono le centrifughe, con le quali abbiamo
un rapporto di collaborazione e organizziamo corsi di
aggiornamento. Ma la curva
di apprendimento è veloce,
anche perché, trattandosi di
infiltrazioni, la procedura è
tecnicamente semplice e
veloce.
Per dare un'idea, in un singolo centro si possono
anche eseguire venti trattamenti al giorno. Auspico
anzi che ogni centro trasfusionale del Paese sia
dotato di questa centrifuga
per poter effettuare la procedura.
Qual è il consiglio per
l'ortopedico che si voglia
accostare alla
procedura?
È quello di leggere la letteratura aggiornata, avvicinarsi
ai centri che già effettuano
la tecnica, e cominciare. La
procedura è facile.
Claudia Grisanti
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FOCUS ON
Biomateriali per la
medicina del benessere
Grazie alla scienza dei materiali sono molte le innovazioni biomediche
per il settore ortopedico, dalle soluzioni protesiche ai bisturi
G
ià dal 1991, facendo
riferimento particolarmente ai bioceramici (ovvero i ceramici per
applicazione medica) in
confronto con altri materiali, sono state promosse tredici edizioni di convegni dal
titolo “Ceramici, cellule e
tessuti”. La loro organizzazione è stata possibile grazie
a incontri professionali
nazionali e internazionali, a
collaborazioni interdisciplinari con diverse specialità
mediche e di scienza dei
materiali e a partecipazioni a
consessi europei.
Queste
manifestazioni
hanno inteso indirizzare
sempre più il settore biomedico verso l’innovazione nell’ideazione di protesi e dispositivi biomedicali.
Attraverso un’attenta analisi
delle esigenze e interpretando la situazione odierna,
attraverso opportuni colloqui con le principali professionalità mediche nazionali
e internazionali, si è giunti
alla conclusione che la
“ceramica riprogrammata”
possa assicurare soluzioni
credibili e sostenibili in confronto con altri materiali.
Soluzioni ortopediche
nel XX secolo
Nell’ambito della chirurgia
ortopedica, una delle più
importanti innovazioni del
XX secolo consiste nella
sostituzione protesica dell’articolazione dell’anca, che ha
permesso di migliorare in
modo rilevante la qualità di
vita dei pazienti affetti da
patologie degenerative o da
fratture traumatiche del
collo del femore, consentendo la riduzione del dolore, il
recupero dell’articolazione e
la ripresa funzionale.
Sono seguiti studi sempre
più specialistici nella ricerca
dei migliori materiali e dei
migliori design fino anche a
impiegare compositi polimero-ceramica metallo, rivestiti e non.
Successivamente, le ricerche
si sono orientate e sviluppate verso altri settori ortopedici per la sostituzione di
giunti di ginocchia, spalla,
caviglia, metatarso e metacarpo falangeo, capitello
radiale, scafoide, spaziatori
cervicali e vertebrali, cercando, ogni volta, di superare i problemi connessi specialmente a usura e design,
per assicurare biocompatibilità, bioadattabilità e biofunzionalità.
È ormai accertato come i
ceramici presentino una
combinazione di proprietà
meccaniche, tribologiche,
termiche e chimiche che li
rendono realmente adatti
ad alte prestazioni in
ambienti severi, quali ad
esempio quelli del corpo
umano.
Allumina e ossido di zirconio (zirconia) da soli, o in
opportune
composizioni
composite, hanno permesso
di raggiungere risultati eclatanti nel settore ortopedico
grazie alla loro resistenza
meccanica (300-600 MPa),
a compressione (3000-5000
MPa), modulo di Young
(400-200 MPa), tenacità (29 MPa/√m), durezza (20501300 Knoop), espansione
termica (5,6-9 x 10-6 °C -1),
densità (3,9-5,9 g/cm3) ed
energia di frattura (8-30 jm2).
Molti altri materiali ceramici
per applicazione in ortopedia
sono ancora in fase di studio:
dal nitruro di titanio (TiN),
al carburo di titanio (TiC) e
al nitruro di silicio (Si3N4).
Il ciclo di rimodellamento osseo
Migliori prestazioni sono poi
state assicurate nel tempo
grazie a una maggior purezza
delle materie prime, alla
riduzione della porosità dei
prodotti ottenuta grazie
all’inferiore dimensione dei
grani nei processi di sinterizzazione, con prestazioni biologiche sempre migliori, assicurate anche dalle giuste
rugosità superficiali e, infine,
dall'ottima resistenza all’usura e perfetto design acquisibile grazie a processi computerizzati, con adatte condizioni di bagnabilità e lubrificazione in esercizio.
Verso l’ortopedia
del XXI secolo
Quanto riportato per le protesi del settore ortopedico
appare corretto per interventi limitati nel tempo,
permangono infatti problematiche da affrontare nei
minimi dettagli, in particolare quando le protesi del XX
secolo
devono
essere
impiantate in tessuti più o
meno danneggiati di giovani
pazienti.
Le nuove possibilità per un
prossimo futuro appaiono
ottimistiche. La strategia
seguita dagli ortopedici per
curare le nuove generazioni
dovrà concentrarsi sulla promozione di nuovi modelli,
partendo dal concetto che
l’osso è un biomateriale
composito di matrice extracellulare mineralizzata e
cellule viventi con eccezionali potenzialità di sintesi e
rimodellamento de novo. La
riparazione e la rigenerazione dell’osso ricapitolano gli
stadi dello sviluppo dell’osso
embrionico, delineando le
maggiori fasi della morfogenesi ossea che consiste nell’aggancio, nella proliferazione e nella differenziazione
(A. Hari Reddy et al. Bone
graft & bone substitute).
Grazie all’attività legata alla
preparazione di nuovi biomateriali (un esempio per
tutti i vetro-ceramici silicocalcio fosfati multidopati), la
bioingegneria delle sostituzioni ossee e l’identificazione
di fattori di accrescimento e
differenziazione renderanno
possibile la realizzazione, ora
in progress, dei migliori design per la costruzione di
nuove protesi ossee con
modelli strategici diversi.
Infatti, nel XXI secolo si
dovrà fare particolare affida-
Protesi articolari metacarpali in titanio
CERAMICI, CELLULE E TESSUTI
Nanomedicina rigenerativa, ingegneria
tissutale, genetica e materiali ceramici
al centro del convegno di Faenza
Dal 17 al 20 maggio si terrà a Faenza, presso la
Banca di Romagna in Via Paolo Costa 3, la tredicesima edizione del convegno internazionale “Ceramici,
cellule e tessuti”, che verterà in particolare sulle tematiche legate alla nanomedicina rigenerativa, concentrandosi sull’ingegneria tissutale e genetica e proponendo
nuovi materiali come scaffold porosi, rivestimenti e
cementi iniettabili.
Tra i principali argomenti trattati: i recenti sviluppi nell’ingegneria dei tessuti, nelle applicazioni dentali e
ortopediche dei ceramici; i materiali biomimetici e compositi bio-ibridi; le cellule staminali per la rigenerazione ossea; il ruolo del campo elettromagnetico nei processi biologici; i recenti sviluppi nel campo del cemento osseo; i problemi posturali in relazione con l’invecchiamento; i microrobot per la medicina rigenerativa;
le nuove superfici vetro-ceramiche; dall’uomo bionico...
al tessuto e all’ingegneria genetica e altro ancora.
Il convegno è organizzato dall’Agenzia Polo Ceramico
e supportato dall’Istec-Cnr di Faenza.
Segreteria organizzativa: Agenzia Polo Ceramico
Referenti: Anna Beltrani, Laura Saragoni
Tel. 0546.670311 - [email protected]
http://cct.agenziapoloceramico.it
Segreteria Scientifica: Rossella Ravaglioli - [email protected]
Mezzi di osteosintesi in ossido di zirconio
rivestiti con biosmalto
Dispositivi per la sintesi vertebrale (regione cervicale)
in allumina rivestiti con biosmalto
I principali impieghi biomedici dei materiali ceramici
7
FOCUS ON
Alcuni materiali ceramici di impiego biomedico
Allumina
L'ossido di alluminio (o allumina) è l'ossido ceramico dell'alluminio. Questo materiale, all'apparenza molto fragile e poco utilizzabile, nasconde proprietà interessanti in
campo industriale, quali la resistenza agli acidi e la scarsa conducibilità termica. Viene impiegato in moltissimi
campi, quali l'elettronica e la meccanica, oltre a essere
usato nella biomedica come materiale di innesto.
Nitruro di titanio
È un materiale ceramico estremamente duro, impiegato
per ricoprire leghe di titanio, acciaio, carburi e componenti di alluminio per migliorare le proprietà superficiali
dell'oggetto.
Applicato in strato sottile, è usato per indurire e proteggere superfici di taglio e di scorrimento, per scopi decorativi, e come finitura superficiale non tossica in protesi
mediche.
Carburo di titanio
Viene utilizzato nella fabbricazione di inserti per utensili
adatti al taglio dei metalli ad alta velocità, cioè i cosiddetti inserti in "metallo duro". Si tratta di un materiale resistente alle sollecitazioni e all’usura, adatto a impieghi precisi.
mento sui principi biologici
dell’induzione e dello sviluppo osseo, grazie all’ingegneria dei tessuti e in base ai
processi biologici molecolari
di chemiotassi, adesione cellulare, proliferazione e differenziazione.
Sarà anche possibile, in un
prossimo futuro, incorporare
proteine morfogenetiche
ossee in nuovi materiali da
ingegnerizzare.
Si dovrà inoltre ottimizzare la
biomeccanica delle protesi,
sviluppando e impiegando
dispositivi di seconda generazione con la possibilità di
intervenire sull’osteogenesi
grazie alle tecniche Ilizarov
(A. Karlov. Interlevel nanomicro and mesobioengineering
and abilities of interlevel control: experience of clinical use.
12th Ceramics, Cells and
Tissues Proceedings, 2009).
Un forum aperto
su ceramici, cellule
e tessuti
È proprio verso questa direzione di studi e ricerche che
muovono gli incontri scientifici di “Ceramici, Cellule e
Tessuti”, allargando l’interesse ad altre discipline biomediche attente agli sviluppi dei consessi scientifici
sempre più specialistici di
volta in volta coinvolti.
In particolare, l'edizione di
quest’anno affronterà la
tematica “Nanomedicina
rigenerativa. Ingegneria tissutale e genetica e il ruolo
dei materiali ceramici”,
proponendo nuovi materiali
come scaffold porosi, rivestimenti e cementi iniettabili,
promuovendo adatte composizioni, giustificando l’aggiunta di singoli elementi e
in sinergia, in quantità e
qualità, non solo facendo
affidamento a fasi, microfasi
e nanofasi, ma esaminandoli anche a livello molecolare, grazie ai progressi delle
nano scienze e nanotecnologie.
Al Convegno inoltre verranno riportate le prime
risultanze su un nuovo bio-
materiale silico-calcio fosfatico multi dopato su cui
saranno applicate cellule di
diversa specializzazione e
conseguenti geni, sostanze
extracellulari (dalle proteine
agli enzimi), coinvolgendo
la nano medicina rigenerativa nonché l’ingegneria tissutale e genetica.
Un gruppo di studio
multicentrico
È stato promosso un gruppo
di studio interdisciplinare il Gruppo biomateriali per
la medicina del benessere composto da membri di 5
università e istituzioni di
ricerca italiane (Università
Federico II di Napoli;
Università Tor Vergata e
Istituto della materia del
Cnr di Roma; Istituto geoscienze e georisorse di
Padova; Politecnico di
Torino - Dipartimento di
scienza dei materiali e ingegneria; Istituto Tirrenico di
Lucca) allo scopo di ottenere vetro-ceramici che
garantiscano la corretta
chimica biologica (non
garantita ad esempio dalla
idrossiapatite dopata e
non), e che, per forma,
struttura, composizione e
architettura siano in grado
di assicurare una cessione
controllata di ioni e/o di
quant’altro questi possano
ospitare, allo scopo ultimo
di rivitalizzare un tessuto
danneggiato o di farne
attecchire uno proposto,
ottenuto per sintesi biologica mediante ricostruzione
bioingegneristica.
Tali sistemi dovranno essere
“gestiti” in modo tale che
possano essere fruibili nella
maggior parte dei settori biomedici: dall’ortopedia all’odontoiatria, fino alla cardiochirurgia. Inoltre, gli stessi
materiali potranno essere
impiegati come rivestimento
di materiali inerti e come
cemento iniettabile.
Antonio Ravaglioli
Research Director "Ceramics,
science and technology"
Ossido di zirconio
L’ossido di zirconio (o zirconia) viene impiegato particolarmente in campo odontoiatrico. Visto il suo elevato
grado di biocompatibilità e leggerezza, sta divenendo
oggi il materiale d'eccellenza nella realizzazione di
restauri dentali di alta qualità. Va inoltre menzionato il
vantaggio estetico nel raffronto coi metalli. Notevoli la
compatibilità biologica e la stabilità ionica, nonché il
peso specifico ridotto. Altro grande pregio è la durezza,
ma soprattutto la sua resistenza alla flessione.
Nitruro di silicio
È una ceramica monolitica che gode di eccezionale
durezza e resistenza alle fratture.
Grazie alle sue caratteristiche di robustezza, stabilità
termica e resistenza all’usura è infatti utilizzato come
materiale per la realizzazione di utensili da taglio e
per particolari lavorazioni meccaniche della ghisa ad
alta velocità.
Risulta di eccezionale efficacia in applicazioni sottoposte a shock termico e sollecitazioni dovute a carichi
elevati, è particolarmente utile in trattamenti eseguiti a
temperature elevate e con esigenza di adeguato isolamento elettrico.
Prototipo monoblocco di bisturi ceramico
in zirconia rivestito (sola lama) con nitruro di titanio
per tecnica RF Magnetron Sputtering
Prototipo di lama per bisturi in zirconia
per applicazioni in chirurgia coronarica
8
FOCUS ON
Scopi e attività
delle banche dei tessuti
Realtà sempre più importanti in ambito sanitario, le banche dei tessuti
sono in crescita per numero e per volumi di distribuzione, come
dimostrano i numeri della Banca di Treviso
Dottor Paolin, la Banca
di Treviso è una delle
prime a essere stata
creta nel nostro Paese.
Come si è evoluta la
sua attività nel corso del
tempo?
A oggi è una delle principali banche dei tessuti,
data l’entità della distribuzione di tessuti che ha
registrato un costante
incremento dal 2000 a
oggi. I buoni risultati clinici ottenuti nei pazienti
hanno portato i chirurghi
a utilizzare sempre più
spesso tessuto omologo per
interventi, che in alcuni
casi si sono dimostrati salvavita e non solo salvafunzione.
Nel corso degli anni le
normative italiane ed
europee sono diventate
sempre più stringenti in
tema di sicurezza e tracciabilità e pertanto i chirurghi si sono sempre più affidati al servizio garantito
dalla banca pubblica.
In che modo svolgono e
coordinano la loro
attività le strutture
presenti in Italia?
In tutto il Paese attualmente operano una trentina di banche dei tessuti
e sono prevalentemente
banche degli occhi.
Tutte le banche si attengono alle linee guida emanate
del
Centro
Nazionale Trapianti. Le
linee-guida stabiliscono
dei rigorosi standard di
lavorazione che vanno dai
principi di selezione del
donatore, ai criteri di processazione del tessuto, alle
caratteristiche
degli
ambienti di laboratorio,
alle modalità di conservazione.
Le linee guida tracciano
anche un chiaro metodo
nei rapporti tra le banche
che operano nel territorio
nazionale.
Con le banche dell’osso di
Bologna e Firenze (le altre
due banche, oltre alla
nostra, di rilievo nazionale) i rapporti sono di collaborazione e scambio di
esperienze. Con le altre
banche regionali i rapporti sono spesso stati di
tutoraggio e con alcune,
come con la banca di
Verona e di Milano,
abbiamo stretto dei rapporti di convenzione.
Lo staff della Banca del Tessuto di Treviso,
una delle più importanti a livello nazionale
Dando un’occhiata ai
vostri numeri si capisce
che l’attività non è
strettamente legata al
Veneto: quali sono i
vostri rapporti con il
territorio?
Infatti il Triveneto e le
Marche sono le regioni di
riferimento per il reperimento di donatori (sia
cadaveri che viventi).
Negli ospedali di queste
regioni esiste un piano di
reperimento condiviso tra
la Banca, il Coordinatore
locale ai trapianti e lo staff
di Direzione sanitaria. In
questo modo si considerano potenzialità e fattibilità
degli interventi e conseguentemente si forma il
personale coinvolto nel
processo, con l’opportuno
addestramento.
In questi anni abbiamo
stretto collaborazione con
più di 60 Ospedali, da
Tolmezzo a Macerata.
Inoltre, per quanto concerne la distribuzione,
copriamo tutte le regioni
italiane con ben 130 ospedali di riferimento. È chiaro che la mission della
banca è migliorare la vita
dei cittadini attraverso
l’uso di tessuto omologo.
La distribuzione per noi è
sicuramente la ragione di
esistere.
Quali sono le
particolarità legate al
trattamento dei tessuti
ossei?
Gli interventi che richiedono innesto di tessuto omologo sono molteplici: si va
dalla ricostruzione dei legamenti del ginocchio, alla
sostituzione di segmenti
ossei complessi come le
articolazioni o le ossa lunghe. Lo stretto rapporto che
si è stabilito negli anni tra
FOCUS ON
BANCHE CERTIFICATE
DI CONSERVAZIONE DEL TESSUTO
MUSCOLO-SCHELETRICO IN ITALIA
Ci avvaliamo di una rete di
corrieri che copre il territorio nazionale e consegna
direttamente in sala operatoria il tessuto richiesto
pronto
per
l’utilizzo.
All’interno della confezione, il chirurgo trova anche
tutta la documentazione
relativa all’origine e alla
sicurezza di quanto andrà a
impiantare.
(Fonte: Centro Nazionale Trapianti - aggiornamento: novembre 2010)
La certificazione si riferisce alle seguenti attività:
Raccolta di tessuto muscoloscheletrico
(donatore cadavere e vivente)
Processazione e deposito di tessuto muscolo scheletrico
Distribuzione di tessuto muscolo scheletrico
Città
“La nostra missione consiste nel migliorare la
qualità della vita nelle persone che necessitano
di tessuti omologhi”. È questa la dichiarata
r a g i o n d ’ e s s e r e d i u n a d e l l e p i ù i m p o r t a n t i b a nche dei tessuti italiane, quella di Treviso. Con il
suo Direttore, il dottor Adolfo Paolin, proviamo
a capire come funzionano queste particolari
strutture sanitarie, così utili e così poco note.
La Banca dei Tessuti di Treviso è una struttura
dell’Azienda Ospedaliera Ulss 9 di Treviso,
s o r t a n e l l a m e t à d e g l i a n n i N o v a n t a e f o r m a l i zzata dalla regione Veneto nel dicembre del
2 0 0 0 . T r a t u t t e q u e l l e p r e s e n t i i n I t a l i a , è l ’ u n ica banca multitessuto, in quanto è deputata al
p r e l i e v o , p r o c e s s a z i o n e , c o n s e r v a z i o n e e d i s t r ibuzione di tessuti cardiovascolari, muscoloscheletrici e membrana amniotica.
9
Denominazione
Responsabile
Centro di
riferimento
e indirizzo
Bologna
Banca del tessuto
muscoloscheletrico
Istituto Ortopedico
Piermaria Fornasari Rizzoli
Via Pupilli, 1
Firenze
Banca dei tessuti
e cellule Regione
Toscana – Centro
conservazione
tessuto osseo
Iris Mancini
Rodolfo Capanna
Az. Ospedaliera
Careggi
Piastra dei servizi
Viale Morgagni, 85
Banca Regionale
del Tessuto
Muscolo-Scheletrico
Maristella Faré
Istituto Ortopedico
Gaetano Pini
Piazza Cardinal
Ferrari, 1
Torino
Banca dei Tessuti
Muscolo-Scheletrici
Regione Piemonte
Anna Maria Biondi Via Zuretti, 29
Treviso
Banca Tessuti
di Treviso
Adolfo Paolin
AO Ca’ Foncello
Piazza Ospedale, 1
Verona
Banca Tessuti
di Verona
Giuseppe Aprili
Ospedale Civile
Maggiore
Piazzale Stefani,1
Milano
la banca e gli utilizzatori ha
permesso di rispondere in
modo sempre più puntuale
ai loro bisogni, effettuando
prelievi e lavorazioni di tessuto su richiesta specifica,
in ambienti controllati e
sicuri da contaminazione.
non tale da compromettere
l’integrità dell’innesto.
Esistono problemi di
compatibilità tra
donatore e paziente?
La scelta di lavorare il tessuto anche in forma liofilizzata
e demineralizzata ci è stata
suggerita dagli stessi utilizzatori. Molti ortopedici hanno
la necessita di usare materiali sicuri che garantiscano
struttura e a volte la necessità di materiale non è prevedibile. Allora serve tessuto
di stoccaggio come il liofilizzato che può essere conservato a temperatura ambiente. Per molti altri interventi
L’utilizzo di tessuti omologhi non causa problemi di
compatibilità, poiché la
conservazione alle basse
temperature o la liofilizzazione riducono notevolmente i recettori di istocompatibilità, determinando una risposta immunologica trascurabile e quindi
Per quali motivi
conservate i tessuti sia
alle basse temperature
che con la
liofilizzazione?
LA COLLABORAZIONE CON TISSUELAB
Tissuelab SpA è un’azienda impegnata
nella ricerca e sviluppo di tecnologie biomediche e sistemi per la chirurgia dell'apparato muscolo-scheletrico. Tissuelab
processa donazioni di tessuto osseo per
conto della Banca del tessuto di Treviso
per produrre tessuto liofilizzato, sterile e
virus inattivato. Il tessuto prelevato dalla
Banca di Treviso è ottenuto da donatori
italiani controllati dalla banca stessa e in
conformità con le più rigide normative di
sicurezza e qualità.
Tissuelab preleva il tessuto da Treviso e
lo processa in ambienti con qualità farmaceutica, ottenendo una serie di prodotti che vanno dalle chips di spongiosa
e corticospongiosa, alla polvere corticale DBM, dal putty ai segmenti quali stecche corticali, blocchi iliaci, microstecche,
fino ai blocchi spongiosi. Il tessuto osseo
è sottoposto a lavaggi con soluzione
fisiologica e perossido di idrogeno al
3%, viene poi sagomato, morcellizzato o
polverizzato a seconda delle esigenze.
Successivamente viene trattato con una
soluzione radioprotettiva, poi liofilizzato
e infine sterilizzato e virus inattivato ai
raggi gamma.
Il tessuto non subisce variazioni traumatiche di temperatura, le proteine collagene restano integre come anche la struttura trabecolare del tessuto spongioso e
sono preservate le proprietà meccaniche
del tessuto osseo e di quello tendineo
(nel caso di tessuti molli).
La demineralizzazione è un processo
atto a rimuovere la componente minerale dell’osso il cui contenuto di calcio si
riduce al di sotto del 5%. Ciò rende
disponibili le proteine osteogeniche
BMPs per la loro azione biologica di
osteoinduzione e osteogenesi.
Presso Tissuelab sono disponibili tutti gli
studi di convalida riguardanti le proprietà meccaniche del tessuto, le proprietà biologiche in vivo e in vitro, la validazione del processo di sterilizzazione e
inattivazione virale.
Avete anche una
notevole attenzione alla
formazione, quali i
motivi di questa scelta?
i due tessuti si integrano,
assicurando al paziente sedute operatorie più brevi e
tempi di recupero molto più
veloci.
Voi conoscete i pazienti
che vengono trattati con
i vostri tessuti?
Il chirurgo si rivolge alla
banca specificando nome,
età, patologia del paziente e
l’assegnazione del tessuto
avviene con criteri di assoluta tracciabilità, così come
dopo l’intervento è obbligatorio che lo specialista ci
informi sulle condizioni
chirurgiche e cliniche del
paziente. Siamo una struttura sanitaria ed è evidente
che tutte le nostre documentazioni rispettano la
normativa sulla privacy.
Dottor Paolin, la banca
dei tessuti è una struttura
complessa e con diversi
ambiti di intervento.
Come siete organizzati?
L’attività della banca ha
diversi settori, l’area di
laboratorio si interfaccia
strettamente con la logisti-
ca, con la comunicazione e
con il gruppo del prelievo.
Le professionalità non possono che integrarsi in una
sorta di intreccio reciproco.
La struttura si avvale della
collaborazione di 22 persone di diversa formazione.
Attraverso la collaborazione quotidiana si può svolgere il vero lavoro a cui siamo
chiamati. Fortunatamente
l'equipe è giovane e costituita da molte donne tenaci
e motivate.
Come avviene la
distribuzione?
La nostra formazione è
indirizzata ai professionisti
delle varie specialità con
l’obiettivo di divulgare la
possibilità di utilizzo di tessuto omologo, e al personale dei Coordinamenti locali
trapianti per una corretta
selezione dei potenziali
donatori di tessuti.
I risultati di questi anni ci
dicono chiaramente che la
popolazione è generosa e
crede nella cultura della
donazione; importante è
che noi operatori sanitari ci
proponiamo correttamente.
Infine, il benessere dei
pazienti che sono stati trattati con tessuti omologhi
sono la risposta inequivocabile del senso del nostro
lavoro.
Renato Torlaschi
DONATORI E TESSUTI
DISTRIBUITI DALLA BANCA DI TREVISO
Anno
Numero di donatori
Numero di tessuti
distribuiti
2003
673
858
2004
1158
1697
2005
1417
2431
2006
2081
3144
2007
1976
4024
2008
1368
4378
2009
2010
1376
1517
5017
5131
Tipi di donatori
I donatori di tessuti omologhi si suddividono in tre classi principali.
• Donatori multitessuto a cuore battente (HB), la cui morte
è stata accertata con criteri neurologici, senza arresto cardiaco
• Donatori multi tessuto a cuore fermo (NHB), con arresto cardiaco
• Donatori viventi
ANDAMENTO SERVIZIO DISTRIBUTIVO (2003-2010)
Qui sopra la crescita del servizio distributivo della Banca
di Treviso, attivo su tutto il territorio nazionale
11
FACTS&NEWS
Come contenere
le cadute ospedaliere
Anche se il problema è complesso, esistono strumenti che hanno
dimostrato di essere efficaci. Negli Stati Uniti si guarda all’information
tecnology; in Italia si valutano esperienze sul campo già significative
“Le cadute sono un problema di salute pubblica in
tutto
il
mondo.
L’ospedalizzazione aumenta
i rischi di cadute a causa
dell’ambiente non familiare, delle malattie, dei trattamenti. Le cadute dei pazienti e le ferite che ne conseguono hanno conseguenze
devastanti per i pazienti
stessi, per i medici e per il
sistema sanitario nel suo
complesso. Una singola
caduta può generare la
paura di cadere e scatenare
una spirale discendente di
mobilità ridotta, peggioramento della funzionalità e
incremento del rischio di
cadute ulteriori. Le persone
anziane riportano più spesso
delle ferite conseguenti alle
cadute e queste ferite incrementano i costi e la durata
delle degenze ospedaliere”.
Queste brevi e lapidarie frasi
riassumono tutte problematiche legate a un fenomeno
grave e tuttavia piuttosto
trascurato, forse perché difficile da affrontare. Una serie
di considerazioni che introducono, sulle pagine di Jama
- The Journal of the American
Medical Association - i risultati di uno studio randomizzato in cui alcuni medici
americani, oltre ad analizzare il fenomeno delle cadute
ospedaliere, propongono
uno strumento che si è
dimostrato efficace a ridimensionarlo (Dykes PC,
Carroll DL, Hurley A,
Lipsitz S, Benoit A, Chang F,
Meltzer S, Tsurikova R,
Zuyov L, Middleton B. Fall
prevention in acute care
hospitals: a randomized trial.
Jama
2010
Nov
3;304(17):1912-8).
Data la complessità delle
possibili cause, un ridimensionamento è forse tutto
quello che si può ottenere,
ma non è un obiettivo di
poco conto viste le implicazioni che la dottoressa
Patricia C. Dykes, coordinatrice del gruppo di lavoro,
individua così bene: vi si
intrecciano aspetti medici,
organizzativi, economici,
sociali e psicologici.
L'esperienza italiana
Anche in Italia, negli anni
scorsi, sono stati condotti
alcuni progetti rilevanti di
studio e di prevenzione.
Uno è stato sviluppato a
Bologna,
presso
il
Policlinico S. OrsolaMalpighi di Bologna.
Coordinato dal dottor
Paolo Chiari, il team bolognese ha prodotto un documento che fornisce agli
operatori sanitari le più
aggiornate raccomandazioni
multiprofessionali e multidisciplinari, basate sulle evidenze scientifiche e sul consenso del team di progetto,
per ridurre il numero delle
cadute tra le persone ricoverate in ospedale. Il protocollo include informazioni
riguardo i fattori di rischio,
gli strumenti di valutazione,
gli interventi e la valutazione degli esiti che si riferiscono al paziente nei reparti di
degenza.
Un altro progetto ha superato i confini del singolo
Istituto e si è esteso a tutta
una regione. In Toscana,
infatti, la campagna di prevenzione delle cadute dei
pazienti ha avuto inizio con
la costituzione di un gruppo
di lavoro a livello regionale
coordinato dal Centro Grc
per la fase sperimentale, con
il coinvolgimento dei
Clinical Risk Manager di
alcune aziende ospedaliere,
che già avevano avviato
progetti di studio o di prevenzione delle cadute, e di
esperti della materia.
Il gruppo di lavoro
Sulla base dell’analisi dei
sinistri, della letteratura e
della ricognizione di esperienze esistenti in Toscana,
il gruppo di lavoro ha deciso di articolare le attività
del progetto in tre capitoli,
sviluppati da altrettanti sottogruppi. Il primo, si è posto
l’obiettivo di definire una
raccomandazione sulle scale
di valutazione dei pazienti a
rischio di cadute da adottare nel Servizio Sanitario
Regionale; il secondo si è
occupato di definire una
raccomandazione sui requisiti minimi di sicurezza e di
fornire una checklist di
valutazione degli ambienti e
dei presidi rispetto al rischio
di cadute; il terzo gruppo,
infine, si è proposto di censire gli strumenti in uso per
la rilevazione delle cadute,
la modalità di gestione delle
informazioni e l’attuazione
di azioni di prevenzione per
definire una raccomandazione di buona pratica a
tutte le strutture del
Servizio
Sanitario
Regionale.
A coordinare il progetto è
stato nominato il dottor
Tommaso Bellandi, che già
in passato ne aveva parlato
a Tabloid di Ortopedia.
Torniamo ora ad affrontare
il problema delle cadute
ospedaliere con due nuove
interviste pubblicate in
queste pagine, una a Paolo
Chiari e una a Tommaso
Bellandi.
Un aiuto dall’Health
Information Technology
Ma torniamo per il momento
Patricia Dykes e ai suoi colleghi, che per combattere il
fenomeno delle cadute ospedaliere hanno deciso di affidarsi alla tecnologia e hanno
creato un apposito kit che
hanno chiamato Fptk (Fall
Prevention Tool Kit).
Si tratta di un approccio che
rientra in un ambito ancora
poco utilizzato ma in grande
sviluppo, ovvero la tecnologia dell’informazione applicata alla medicina (Hit Health
Information
Technology). Il sistema elaborato dai ricercatori americani
si basa su una scala di misurazione del rischio delle cadute, su un supporto decisionale e su una comunicazione
personalizzata che arriva fino
al letto di ogni paziente.
Al lavoro teorico è immediatamente seguita la verifica
pratica della soluzione elaborata: l’efficacia dell’Fptk è
stata messa alla prova con
uno studio randomizzato e i
risultati hanno premiato l’idea della dottoressa Dykes:
“a nostra conoscenza, questo
è il primo studio clinico a
fornire l’evidenza scientifica
della capacità di un apposito
strumento tecnologico di
prevenire le cadute ospedaliere”.
Lo studio è stato condotto
nei reparti di degenza di
quattro strutture ospedaliere
nell’area di Boston e ha comportato una prima fase di
esame delle barriere presenti
negli ambienti e di identificazione delle persone che
potevano assumere un ruolo
di facilitatori nella comunicazione con i pazienti.
Si è passati poi allo sviluppo
del prototipo del kit, facendo
uso della scala Morse, uno
degli indici più noti per la
valutazione del rischio, che
considera sei fattori. Vale la
pena di entrare nel dettaglio,
perché la scala Morse permette di focalizzare con chiarezza alcuni degli elementi in
gioco nella problematica
delle cadute ospedaliere.
La misura presuppone infatti
un’anamnesi delle cadute,
tramite la quale si verifica se
il paziente è già caduto nei
tre mesi precedenti all’ammissione; se ha più di una
diagnosi medica (per esempio diabete o neoplasia); il
suo grado di mobilità; la sua
andatura; se è in terapia
endovenosa e infine il suo
stato mentale. Il software
Fptk sviluppato è in grado di
evidenziare automaticamente, sulla base dei dati raccolti, una serie di interventi preventivi affidati al personale
infermieristico. La loro
attuazione è stata tuttavia
individualizzata sulla base del
confronto diretto con ogni
singolo paziente.
Prevenire con una corretta
comunicazione al paziente
Il progetto ha assegnato alla
comunicazione un’importanza centrale: molte figure
- pazienti inclusi - sono
state coinvolte per lo studio
di icone efficaci, la cui realizzazione è stata poi affidata a un illustratore. Sono
stati realizzati poster e
appesi accanto a ciascun
letto, in modo che ai
degenti fossero ricordati i
rischi delle cadute e alcune
misure elementari di prevenzione. Alcuni opuscoli
sono stati invece concepiti
per i familiari dei pazienti
ricoverati.
I ricercatori si sono poi proposti di valutare l’efficacia
dello strumento durante un
periodo di sei mesi, durante i
quali metà dei pazienti esaminati ha sperimentato le
misure di prevenzione, mentre agli altri sono state applicate le usuali procedure
vigenti nei quattro ospedali.
Si è trattato in tutto di
10.264 pazienti per un periodo complessivo di 48.250
giorni
di
ricovero.
Naturalmente si è prestato
attenzione al fatto che la
composizione dei pazienti
inseriti nel gruppo di intervento fosse del tutto simile ai
soggetti assegnati al gruppo
di controllo.
Come già anticipato, i risultati sono stati eccellenti. Le
azioni preventive hanno
abbassato la media delle
cadute a 3,15 per 1.000 giorni di ricovero, inferiore
rispetto al 4,18 misurato nel
gruppo di controllo e anche
al 3,99 che rappresenta il
valore della media calcolata
su tutte le degenze dello stato
del Massachusetts - anche se
quest’ultimo confronto, nella
sua eterogeneità, ha soltanto
un significato indicativo.
Lo studio ha confermato
alcune caratteristiche tipiche
del fenomeno, ossia che le
cadute aumentano con l’età
avanzata dei pazienti e che
sono generalmente superiori
nei reparti geriatrici e di
medicina generale rispetto
alle unità chirurgiche. Ma
anche nelle situazioni a maggior rischio il kit elaborato
dai medici di Boston è risultato efficace, anzi: i benefici
maggiori si sono avuti proprio tra i ricoverati di età
superiore ai 65 anni.
Giampiero Pilat
REGIONE LOMBARDIA: LE CIFRE
DELLE CADUTE OSPEDALIERE
Nel documento di Mappatura del rischio del
Sistema Sanitario Regionale emesso dalla Regione
Lombardia, le cadute ospedaliere sono trattate in
modo molto preciso.
Nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009, sono
state segnalate complessivamente 40.055 cadute.
La maggior parte degli eventi ha riguardato i
pazienti, con un totale di 39.455 cadute, mentre
le restanti 600 cadute hanno coinvolto visitatori.
Nel corso degli anni le segnalazioni hanno fatto
registrare un continuo incremento, passando progressivamente dalle 6.822 del 2005 alle 9.490
del 2009.
Nell’83% dei casi le cadute dei pazienti sono
avvenute nelle Aziende Ospedaliere, mentre le
altre segnalazioni sono giunte dalle Asl per il 9%
e dalle Fondazioni per l’8%.
La specialità nei cui reparti si è registrato di gran
lunga il maggior numero di segnalazioni di cadute è quella di medicina generale (11.246), seguita dalle specialità di chirurgia generale (2.302) e
di neurologia (2.181).
Le persone anziane sono le più colpite e le fasce
d’età comprese tra 75 e 84 anni e tra 65 e 74
anni sono quelle che risultano maggiormente coinvolte, al contrario dei neonati, che sono i meno
colpiti.
Cadono più gli uomini (52%) delle donne e nei
giorni feriali più che nei giorni festivi. Una grande
quantità delle cadute segnalate avviene di notte,
mentre il mattino è il periodo relativamente più
sicuro.
Spesso le conseguenze sono minime: la maggior
parte dei pazienti caduti non ha riportato nessun
grado di lesione (zero giorni di prognosi), seguito
da un grado di lesione lieve (fino a tre giorni di
prognosi). Ma purtroppo non è sempre così, infatti in 436 casi la prognosi è stata superiore ai 40
giorni e 38 cadute hanno addirittura portato a un
decesso.
L’aspetto economico non è affatto trascurabile:
l’importo medio liquidato nel 2008 a fronte delle
cadute ospedaliere è stato di circa 11.000 euro.
12
FACTS&NEWS
Il progetto regionale toscano
Tommaso Bellandi
Fa parte dello staff del Centro
per la gestione del rischio
clinico e sicurezza del paziente
della Regione Toscana.
Svolge l'attività di coordinatore
di progetti nell'ambito delle
campagne per la sicurezza del
paziente e del sistema di
gestione del rischio clinico ed è
docente di gestione del rischio
clinico presso l'Università degli
studi di Firenze.
È inoltre membro della
Commissione tecnica per la
gestione del rischio clinico e
sicurezza del paziente del
Ministero della Salute.
Dottor Bellandi, ci
inquadra il problema
delle cadute in ospedale,
anche da un punto di
vista dell’impatto sociale
ed economico?
Le cadute sono la prima
causa di morte accidentale
negli anziani, secondo i dati
Istat. In ospedale le cadute
dei pazienti sono tra le
prime cause di richiesta di
risarcimento e mediamente
colpiscono dallo 0,5% al
2% dei pazienti ricoverati
secondo la specialità e lo
studio considerato. Nel
nostro studio regionale è
emerso che le cadute comportano una durata della
degenza superiore di 4,5
giorni, con i relativi costi
economici per la degenza
stessa, per gli accertamenti
diagnostici e gli eventuali
interventi chirurgici.
L'Organizzazione Mondiale
della Sanità individua la
prevenzione delle cadute
negli anziani come una
priorità di politica sociosanitaria, in quanto un
anziano che cade ha una
probabilità doppia di cadere
nuovamente nell'anno successivo e di perdere quindi
autonomia e mobilità.
Ci può descrivere il
progetto portato avanti in
Toscana?
Lo studio toscano ha riguardato circa 18.000 pazienti
ricoverati in 150 reparti
distribuiti in 16 aziende
sanitarie. In questo studio
sono stati valutati sia i fattori di rischio del paziente che
i rischi connessi con
ambienti e presidi, sono
state
sistematicamente
segnalate e analizzate le
cadute seguendo l'approccio
sistemico tipico della gestione del rischio clinico.
Lo studio è stato l'occasione
per mettere a punto una
buona pratica per la prevenzione delle cadute che include una scala originale per la
valutazione del rischio del
paziente, una check list per
la valutazione di ambienti e
presidi, un protocollo per la
segnalazione e analisi delle
cadute, nonché un pacchetto formativo per gli operatori e un indicatore sintetico
per valutare la capacità di
controllo delle cadute da
parte delle aziende sanitarie.
La buona pratica è attualmente in fase di implementazione in tutto il servizio
sanitario regionale. Stiamo
inoltre estendendo il progetto alle strutture di lungodegenza.
Quali strumenti abbiamo
a disposizione per
rilevare il rischio delle
cadute e quali strumenti
per diminuire questo
rischio?
La letteratura e la nostra
esperienza suggeriscono che
è necessario promuovere un
intervento sistemico e multifattoriale, che preveda la
formazione degli operatori,
la valutazione del profilo di
rischio dei pazienti e delle
strutture sanitarie, il moni-
Fattori di rischio
e interventi infermieristici
Dall'esperienza del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, gli accorgimenti
adottati (con successo) per contenere gli episodi di caduta in ospedale
Dottor Chiari, quali criteri
avete stabilito per
l’accertamento del rischio?
Abbiamo introdotto una
scala di valutazione del
rischio di nome “Conley”,
ma solo nel dipartimento
dove sono presenti le geriatrie, i reparti post-acuti e
alcune medicine. L’abbiamo
fatto dopo confronto con
un’altra scala, la “Stratify”.
Ambedue le scale non sono
strumenti molto sensibili e
specifici, ma abbiamo scelto
la Conley perché è più semplice e abitua gli infermieri a
osservare certi fattori collegati alle cadute dei pazienti.
Uno dei fattori di rischio è
la presenza di certe
patologie. Quali sono le
principali e come vanno
gestiti i pazienti che ne
soffrono?
In realtà oggi il problema più
rilevante non è legato a
poche e specifiche patologie,
ma ad alcune sintomatologie
che purtroppo sono comuni a
molte patologie diverse: il
disorientamento spazio-temporale, la difficoltà a mantenere l’equilibrio, i tremori, i
deficit visivi, la difficoltà di
deambulazione, l’ipotensione
ortostatica, la necessità di
andare spesso in bagno come
in caso di incontinenza.
Come vede sintomatologie
presenti in moltissime pato-
logie diffuse nella popolazione anziana in genere.
L’ipotensione è uno dei
sintomi che comporta
particolari rischi. Come
deve avvenire la
mobilizzazione dei
pazienti con ipotensione?
Quando si aiuta il paziente ad
alzarsi dalla posizione seduta
occorre osservare i seguenti
accorgimenti: far alzare il
paziente lentamente; quando
seduto, invitare il paziente a
flettere alternativamente i
piedi, prima di camminare;
invitare il paziente a spostare
il proprio peso da un piede
all’altro, dondolando, prima
di rimanere fermo in piedi o
prima di camminare; far sedere immediatamente il paziente, alla comparsa di vertigini;
dopo i pasti, se insorge ipotensione postprandiale, invitare il paziente a riposare
prima di deambulare.
Quali accorgimenti si
dovrebbero adottare per
la deambulazione dei
pazienti a rischio?
Prima della deambulazione
bisognerebbe controllare che
il paziente indossi abiti e scarpe della giusta misura; evitare
le ciabatte e le calzature con
suola scivolosa; se il paziente
è portatore di pannolone,
controllare che sia ben posi-
zionato; utilizzare gli ausili
idonei alla persona e, in collaborazione con il fisioterapista, fornire l’addestramento
necessario; non utilizzare carrozzine con predella fissa o
senza freni; se il paziente è in
carrozzina utilizzare apposite
cinture di sicurezza e cuscini
antidecubito che impediscano lo scivolamento.
Quali interventi formativi e
informativi possono essere
messi in atto?
È importante mostrare alla
persona la stanza di degenza,
il bagno, il reparto e mostrare
come si suona il campanello.
In particolare, quando il
rischio di caduta è alto,
occorre spiegare l’importanza
di informare l’infermiere ogni
volta che si reca in bagno o si
allontana dal reparto.
L’educazione sanitaria deve
riguardare: i fattori di rischio
presenti; le modalità con cui
eseguire i passaggi posturali in
sicurezza; le modalità con cui
alzarsi in presenza di ipotensione ortostatica.
Quali interventi sono possibili a livello infermieristico?
Al primo posto occorre porre
l’indicazione di “favorire
sempre la presenza dei familiari”; inoltre, collocare il
paziente a rischio di caduta
vicino alla guardiola e quello
con urgenza evacuativa vicino al bagno, infine accompagnare periodicamente i
pazienti deambulanti a
rischio di caduta in bagno.
Qualora il paziente effettui
terapia infusionale, e non vi
sia la necessità di infondere i
liquidi in modo continuativo
nelle 24 ore, è bene programmare la somministrazione
lasciando libero il periodo di
riposo notturno.
Quali strategie ambientali
possono servire a ridurre
la probabilità delle
cadute?
Elencherei le seguenti misure
fondamentali: rimuovere i
mobili bassi, come poggiapiedi o tavolini, che possono
costituire inciampo alle persone accanto al paziente ad
alto rischio; garantire un’adeguata illuminazione per
aumentare la visibilità
soprattutto durante la notte,
vicino al letto e al bagno;
rendere stabili i letti e il
mobilio o allontanare il
mobilio non fermo dal
paziente a rischio.
Pur mettendo in atto tutte
le possibili strategie di
prevenzione, non tutte le
cadute possono essere
evitate. Come deve essere
gestito il paziente vittima
di una caduta?
toraggio delle cadute e
l'informazione al paziente ed
ai familiari su rischi e misure
preventive da adottare
durante il ricovero e dopo le
dimissioni.
Qual è l’importanza della
formazione e a chi deve
essere rivolta?
La formazione è fondamentale sia per gli operatori sanitari che per i pazienti ed i
caregiver informali.
Dev’essere una formazione
continua e basata sul monitoraggio delle cadute, incluse quelle senza conseguenze
per i pazienti, che possono
rappresentare delle lezioni
gratuite in merito ai fattori
di rischio che le hanno
determinate.
Quali sono le
problematiche legate agli
ambienti e alle
attrezzature?
I principali problemi riguardano le caratteristiche e l'u-
Prima di mobilizzare il
paziente, raccomandiamo di
valutare se ha riportato lesioni, specialmente in caso di
trauma cranico, o traumi
determinanti fratture; registrare i parametri vitali; documentare le circostanze della
caduta relativamente al
luogo, all’orario, all’attività
svolta.
Occorre comunicare tempestivamente al medico la
caduta del paziente al fine di
consentire una rapida valutazione clinica; informare la
famiglia della caduta; osservare la persona per le complicanze tardive nel caso di trauma cranico o frattura; compilare la scheda di denuncia
post-caduta e inoltrarla alla
struttura preposta, trattenendone copia in cartella; documentare le azioni di followup. Ma, in particolare,
occorre sempre ricordare
che il paziente vittima di una
caduta è da ritenere a rischio
di ulteriore caduta.
Dopo il progetto portato
avanti qualche tempo fa,
come continua il vostro
impegno su queste
problematiche?
Negli ultimi anni il
Dipartimento di medicina
interna, dell’invecchiamento
e delle malattie nefrologiche
ha sviluppato un progetto per
fornire ai familiari dei pazienti poche e semplici indicazioni di comportamento, ma
utili per prevenire le cadute
dei loro cari.
I suggerimenti posti su
poster e in pieghevoli informativi sono focalizzati su
cinque punti: lasciare i
pavimenti asciutti e liberi
da ostacoli; assicurare che il
campanello sia funzionante
e accessibile; aiutare il
paziente durante gli sposta-
tilizzo dei letti, che ancora
troppo spesso hanno un design poco attento al rischio di
cadute, che ricordo colpiscono prevalentemente pazienti
autonomi nell'atto di salire o
scendere dal letto.
Ci sono poi aspetti più banali ma altrettanto rilevanti
come la disponibilità dei
corrimano nei bagni, i campanelli di chiamata raggiungibili nei bagni e nei testa
letto, l'illuminazione notturna di stanze e corridoi.
C’è una necessità di
uniformare gli strumenti
per affrontare questo
problema?
Ovviamente è auspicabile
che ogni azienda o regione
promuova l'utilizzo di strumenti standard, per garantirne la validità, l'affidabilità e la sostenibilità. È
necessario che gli operatori
abbiano a disposizione strumenti semplici e funzionali
alla prevenzione del rischio,
non procedure complesse e
inapplicabili nella realtà
quotidiana.
Renato Torlaschi
Paolo Chiari
Ricercatore presso il Dipartimento
di medicina interna,
dell'invecchiamento e delle
malattie nefrologiche
dell'Università di Bologna
Dirigente delle professioni
sanitarie presso la Direzione del
servizio infermieristico tecnico e
riabilitativo dell'Azienda
Ospedaliero-Universitaria di
Bologna.
Responsabile del Centro Studi
EBN dell'Azienda OspedalieroUniversitaria di Bologna.
menti; accendere la luce
nelle ore notturne prima di
scendere dal letto; indossare
calzature chiuse. Le indicazioni sono fornite ai familiari anche per essere utilizzate
al proprio domicilio.
È stato fatto un bilancio
dei risultati ottenuti?
Attualmente continua l’attenzione alla prevenzione
delle
cadute
nel
Dipartimento, anche con
supporto alle famiglie. In
molti reparti si è passati dalla
logica “il reparto è chiuso
tranne che nelle ore di visita
autorizzate” alla nuova logica
in cui il reparto è sempre
aperto, tranne in alcuni
momenti molto limitati. Su
tutto l’ospedale continua la
rilevazione del fenomeno.
Renato Torlaschi
ORTHOviews
Review della letteratura internazionale
EVIDENCE BASED MEDICINE
Autismo e vaccini: un caso
clamoroso di frode scientifica
Non era cattiva scienza,
non si trattava di risultati
basati su metodi approssimativi, né di conclusioni
tratte da un campione troppo piccolo. La scoperta dell’associazione tra autismo e
vaccino trivalente contro
morbillo, parotite e rosolia
era più semplicemente il
risultato di una frode.
La storia inizia nel 1998
quando The Lancet pubblica
un articolo scritto da un
chirurgo gastroenterologo
londinese,
Andrew
Wakefield, in cui viene
descritto un gruppo di 11
bambini e una bambina
affetti da disturbi intestinali e del comportamento
(per lo più autistici), i cui
sintomi sarebbero comparsi, secondo quanto riportato dai genitori, pochi giorni
dopo la somministrazione
del vaccino trivalente.
Nell’articolo gli autori suggerivano che quella descritta fosse con ogni probabilità una nuova sindrome e
che potesse essere stata causata proprio dalla vaccinazione.
Molto scarsa la valenza
scientifica dello studio
L’articolo riportava una
cosiddetta case series
(serie di casi clinici),
ovvero un tipo di studio
molto in basso nella
gerarchia della ricerca clinica, privo di un gruppo
di controllo, che non è in
grado di dimostrare alcunché in termini scientifici,
in particolare per quanto
riguarda le cause e i fattori di rischio delle malattie.
Inoltre le condizioni
descritte erano piuttosto
comuni, tanto da poter
essere contemporaneamente presenti nello stesso individuo anche per
puro caso. Considerazioni
che indussero alcuni dei
revisori incaricati di valutare il valore dell’articolo,
a sconsigliarne la pubblicazione.
Isteria di massa
Eppure questo articolo
così poco scientifico, grazie anche alla facile presa
che una malattia grave e
misteriosa come l’autismo
ha sulla pubblica emotività, scatenò una tempesta mediatica capace di
occupare, per buona parte
del decennio appena passato, le prime pagine dei
quotidiani. I titoli dei
telegiornali inglesi coinvolsero anche l’allora
primo ministro Tony Blair
che,
rifiutandosi
di
rispondere alla domanda
se il figlio neonato fosse
stato vaccinato, contribuì
a far crescere l’isteria
anti-vaccino.
La smentita non arriva
dalla comunità scientifica
Un personaggio molto
importante di questa storia è stato (fortunatamente) Brian Deer, giornalista
del Sunday Times, quindi
estraneo al mondo della
ricerca medica e accademica, che in questi anni
ha investigato con caparbietà sull’attività del dottor Wakefield e su come
venne svolta la ricerca.
Consultando documentazioni cliniche, intervistando i protagonisti della
storia e confrontano i dati
raccolti esaminando le
cartelle cliniche con
quanto scritto nell’articolo, il giornalista ha messo
insieme una trama lunga e
complicata, riassunta nei
tre articoli pubblicati lo
scorso gennaio sul British
Medical
Journal
(www.bmj.com). Grazie a
questo lavoro oggi sappiamo che nessuno dei 12
casi è stato descritto accuratamente nel lavoro pubblicato su The Lancet e che
la storia relativa ai disturbi di tutti i piccoli pazienti è stata modificata in
modo che meglio potesse
sostenere le conclusioni a
cui si voleva arrivare.
Una vera e propria truffa
Anche la selezione dei
pazienti si è rivelata
diversa da quanto riportato dagli autori.
Il dottor Wakefield collaborava (lautamente pagato) con uno studio legale
che rappresentava gli
interessi di un gruppo di
genitori intenzionati a
citare in giudizio i produttori del vaccino trivalente, perché convinti del
legame con l’autismo.
I 12 piccoli pazienti non
erano quindi stati ammessi consecutivamente al
Royal Free Hospital, ma
rappresentavano un campione selezionato ad hoc:
un po’ come se, invece di
sparare ad un bersaglio, si
sparasse contro un muro e
si disegnasse intorno il
bersaglio.
Il dottor Wakefield aveva
altri conflitti d’interesse
oltre alla relazione con
quello studio legale.
Come ci racconta Brian
Deer, il chirurgo fin dalla
prima conferenza stampa
convocata per presentare
l’articolo, dichiarò che
probabilmente la somministrazione di tre vaccini
separati sarebbe stata più
sicura. Proprio il tipo di
vaccino a cui avrebbe iniziato a lavorare la compagnia di cui vennero poste
le basi due giorni dopo e
che lo vedeva fra i fondatori.
Adesso Wakefield è stato
radiato dall’ordine dei
medici inglese dopo la più
lunga udienza disciplinare
svolta al General Medical
Council (217 giorni) e
nel 2010 l’articolo è stato
ritrattato da The Lancet.
Ma quali sono state le
conseguenze di questa
frode?
Principalmente
un’ingiustificata e prolungata paura nei confronti
del vaccino trivalente.
Come
spiega
Fiona
Goodle, editor in chief
del BMJ “[…] il danno per
la salute pubblica continua […]. Benché i tassi di
vaccinazione nel Regno
Unito siano risaliti dal
minimo dell’80% raggiunto nel 2003-4, essi sono
ancora al di sotto del 95%
r a c c o m a n d a t o
dall’Organizzazione mondiale della sanità […]. Nel
2008, per la prima volta
in 14 anni, il morbillo è
stato dichiarato endemico
in Inghilterra e Galles”.
Responsabilità
da dividere
Nonostante le colpe dimo-
strate, buttare la croce
addosso al solo dottor
Wakefield è semplicistico e
quindi non ci aiuta a capire
cosa sia successo e perché.
Ricercatori e co-autori, editor di riviste mediche e
giornalisti, pazienti e familiari, lettori e spettatori,
medici e politici, aziende e
istituzioni. Ce n’è per tutti.
Speriamo almeno che non
si perda l’occasione per
meditarci sopra, come individui e tra individui, come
categorie e tra categorie.
Giovanni Lodi
Università di Milano
16
ANCA
ONCOLOGIA
Protesi d'anca
e insorgenza
di malattie
Tumore della
Quale trattamento
prostata e problemi per le tendinopatie
alle ossa
del bicipite?
Le artroprotesi totali dell’anca possono avere un
qualche ruolo nelle cause
di morte del paziente? E
sulla sua aspettativa di
vita?
La risposta a entrambe le
domande
sembrerebbe
affermativa, stando ad
un’indagine finlandese
condotta
dal
dottor
Tuomo Visuri e dai suoi
colleghi, che hanno
monitorato il decorso
post-operatorio di 579
pazienti (operati tra il
1967 e il 1973) con protesi totale dell’anca metallo
su metallo (MM) e 1.585
(operati tra il 1973 e
1985) con protesi metallo
su polietilene (MP), tutti
affetti da osteoartrite primaria.
Alla fine del 2005 il
91,1% dei pazienti del
primo gruppo (MM) risulta essere deceduto, mentre nei pazienti del secondo (MP) la percentuale si
ferma all’82%.
Nel raffronto fra i tassi di
mortalità tra le due classi
di pazienti e la popolazione normale si riscontra:
una significativa diminuzione del dato entro il
primo decennio successivo all’innesto protesico,
una sostanziale parità
dopo la prima decade,
mentre un deciso aumento lo si può registrare
dopo vent’anni dall’avvenuto intervento.
Per quanto riguarda l’incidenza di patologie specifiche, la situazione appare
più articolata e complessa. A tal proposito un fattore sembra avere un
ruolo di maggiore responsabilità. Infatti è comprovato che i pazienti portatori di artroprotesi sono
esposti a particelle e ioni
La terapia ormonale
antiandrogena, un trattamento utilizzato contro il
cancro della prostata, si
conferma associata a deterioramento osseo, secondo un recente studio
australiano di cui dà notizia il Journal of Clinical
Endocrinology
&
Metabolism, la principale
rivista scientifica di endocrinologia.
Anche se condotta su un
numero
ristretto
di
pazienti, la ricerca presenta diversi motivi di interesse, dalla metodologia
innovativa utilizzata al
fatto che i pazienti sottoposti a questo tipo di terapia sono sempre più
numerosi - se ne stimano
600.000 nei soli Stati
Uniti - anche in ragione
della diffusione del cancro
alla prostata, il secondo
fra i tumori che più frequentemente colpiscono
gli uomini.
Questa neoplasia, per svilupparsi, ha bisogno degli
ormoni sessuali maschili e
la terapia ormonale funziona proprio perché ne
blocca la produzione o
l’attività. Ma la carenza di
testosterone negli uomini
ha pesanti implicazioni: si
accompagna a osteoporosi, fratture e a una riduzione della massa muscolare.
E gli agonisti GnRH, che
costituiscono
la
più
comune forma di terapia
ormonale, riducono il
testosterone a livelli
minimi, inferiori al 5%
dei valori normali, e i
valori di estradiolo al
20%.
Un calo di densità minerale ossea, misurata con la
assorbimetria a raggi X a
doppia energia (Dexa),
era già stato documentato
negli uomini con tumore
alla prostata trattati con
gli agonisti GnRH. La
causa potrebbe anche
risiedere nei concomitanti cambiamenti corporei,
con il tipico aumento
della massa grassa a scapito di quella magra, ma la
densitometria non chiarisce la base strutturale del
deficit.
Ed ecco dunque la novità
introdotta dal team di
ricercatori dell’Università
di Melbourne, che per la
prima volta sono riusciti a
esaminare in profondità i
cambiamenti che avvengono nella struttura ossea
durante la terapia ormonale.
La sperimentazione è
stata condotta su 26
uomini con tumore alla
prostata non metastatico,
di cobalto e cromo, rilasciati dalla protesi stessa e
che si disseminano nell’organismo raggiungendo
in particolare linfonodi,
fegato, milza e midollo
osseo.
L’esposizione nel lungo
termine a tali metalli
pesanti, attraverso esperimenti effettuati sia in vitro
che in vivo, ha dimostrato
effetti genotossici che si
traducono in aberrazioni
cromosomiche e conseguenti danni al Dna.
Anche in relazione a ciò,
lo studio ha analizzato le
cause di morte in entrambe le classi di pazienti,
tenendo presente che il
numero di particelle
metalliche riscontrate nei
pazienti MM è superiore di
circa 1.000 volte rispetto a
quello dei pazienti MP.
Balza subito all’occhio
che i disturbi cardiovascolari hanno causato la
morte nel 57% dei pazienti del primo gruppo e nel
54% dei pazienti del
secondo; nel raffronto con
la popolazione normale la
mortalità per complicanze
cardiovascolari è rispettivamente: più bassa nel
primo decennio, simile tra
i dieci e i vent’anni,
molto più alta dopo la
seconda decade. La mortalità da patologie neoplastiche nel primo gruppo è
simile a quella della popolazione normale, mentre
si riduce significativamente nel secondo gruppo. E ancora, la mortalità
riferibile a diabete si mantiene
sostanzialmente
bassa in entrambe le classi di pazienti, così come
quella da affezioni respiratorie.
Infine,
Alzheimer
e
demenza senile in generale si manifestano con
maggiore frequenza tra i
pazienti MP rispetto a
quelli MM. Ma per approdare a conferme definitive, e unanimemente riconosciute dalla comunità
internazionale, va ribadita con forza la necessità di
studi scientifici corposi,
compiuti su più larga
scala.
Vincenzo Marra
Visuri T, Borg H, Pulkkinen P,
Paavolainen P, Pukkala E. A
retrospective
comparative
study of mortality and causes
of death among patients with
metal-on-metal and metal-onpolyethylene total hip prostheses in primary osteoarthritis after a long-term follow-up.
BMC Musculoskelet Disord
2010 Apr 23;11:78.
A RTO S U P E R I O R E
inclusi nello studio mentre stavano iniziando la
terapia con gli agonisti
GnRH e seguiti nel corso
dei successivi 12 mesi.
Sono stati esclusi di proposito pazienti in cura
con farmaci anti-osteoporotici, per evitare che i
risultati ne potessero essere influenzati. Ed ecco le
cifre ottenute: dopo i 12
mesi di terapia, la densità
volumetrica totale è diminuita del 5.2±5.4% al
radio distale e del
4.2±2.7% alla tibia distale. Entrando in maggiore
dettaglio e traducendo le
percentuali in concetti
clinicamente significativi,
gli autori spiegano che la
maggiore fragilità ossea
nei pazienti in trattamento con terapia ormonale
antiandrogena
risulta
maggiormente correlata
con le carenze nei livelli
di testosterone che non a
quelli di estradiolo.
“Abbiamo sfruttato una
tecnologia innovativa che
permette di controllare la
microstruttura
ossea”
dicono i dottori Emma
Hamilton
e
Mathis
Grossmann, che hanno
coordinato lo studio. Si
tratta della tomografia
computerizzata quantitativa periferica ad alta risoluzione (HR-pQCT), che
effettua una sorta di “biopsia ossea virtuale”, evidenziando in vivo l’architettura trabecolare e la
densità minerale ossea
volumetrica alla tibia e al
radio.
“È una tecnologia - spiegano gli autori - che in
futuro potrà essere utile
per prevedere le fratture
nei pazienti e per aiutare
ad elaborare le strategie
terapeutiche più opportune”.
R. T.
Hamilton EJ, Ghasem-Zadeh
A, Gianatti E, Lim-Joon D,
Bolton D, Zebaze R, Seeman
E, Zajac JD, Grossmann M.
Structural decay of bone
microarchitecture in men
with prostate cancer treated
with androgen deprivation
therapy. J Clin Endocrinol
Metab 95: E456–E463, 2010.
Ogni anno, solo negli
Stati Uniti, circa quattro
milioni di persone si rivolgono al medico o al chirurgo per traumi e lesioni alle
braccia e dieci milioni per
problemi alla spalla. In
questo ambito, le tendinopatie del capo lungo del
bicipite brachiale compongono uno spettro di
patologie che va dalla tendinite infiammatoria alla
tendinosi degenerativa e si
accompagnano spesso con
altre patologie della spalla.
Un improvviso e acuto
dolore alla parte alta del
braccio; uno schiocco o un
colpo secco alla spalla o al
gomito; crampi ai bicipiti
dopo un uso energico del
braccio; un senso di
ammaccatura dalla parte
mediana o superiore del
braccio fino al gomito;
dolore o accentuata sensibilità o debolezza a spalla e
gomito; difficoltà a ruotare, sollevare o abbassare il
palmo della mano, la comparsa di un rigonfiamento
al di sopra del gomito
(segno di Popeye): sono
tutti sintomi che i pazienti
tipicamente riportano al
medico in questi casi.
Le cause possono essere
diverse: ferite, traumi,
sovraccarico, infiammazione o degenerazione. Di
conseguenza, il percorso
diagnostico deve prevedere un’accurata ricostruzione della storia clinica del
paziente, l’esame fisico e la
valutazione radiografica.
Quanto al trattamento,
nei casi più favorevoli può
bastare un approccio non
chirurgico, con opzioni
che vanno dal riposo alla
somministrazione di farmaci anti-infiammatori
non steroidei, alla terapia
fisica, alle infiltrazioni. Ma
quando il quadro si aggrava è spesso opportuno
ricorrere alla chirurgia.
Alla semplice tenotomia,
che consiste nel distacco
del tendine dall’inserzione
articolare, si può aggiungere la reinserzione del tendine alla doccia bicipitale,
ossia
la
tenodesi.
Storicamente sono state
proposte diverse tecniche
di tenodesi e, accanto ai
tradizionali interventi in
chirurgia aperta, si stanno
ora affermando anche
approcci di tipo artroscopico.
Proprio di queste problematiche si occupa un articolo
scritto da un gruppo di
ortopedici americani che
operano in centri di
Boston, di San Diego e del
Connecticut e pubblicato
recentemente sulle colonne
del Journal of the American
Academy of Orthopaedic
Surgeons.
Shane Nho, esperto delle
patologie di spalla della
Divisione di medicina dello
sport presso il Rush
University Medical Center
di Chicago, ritiene che l’obiettivo che si deve porre il
chirurgo nel trattamento di
qualsiasi tendinopatia del
capo lungo del bicipite
debba consistere nel ridurre
il dolore del paziente rispettandone lo stile di vita.
“Abbiamo visto – dichiara
Nho - che esiste una notevole quantità di eccellenti
opzioni chirurgiche e non
chirurgiche. Nel realizzare
la nostra revisione, abbiamo scoperto che c’è la
necessità di condurre ricerche comparative che possano aiutare il medico a operare la scelta migliore a
seconda del tipo di patologia e delle caratteristiche
del paziente”.
Relativamente alle tecniche chirurgiche, le statistiche ricavate dagli ultimi
studi pubblicati in letteratura, indicano che non si
hanno differenze significative nel recupero della funzionalità e nella soddisfazione testimoniata dai
pazienti tra le due principali opzioni, la sola tenotomia
del bicipite o la tenodesi.
Gli autori della revisione
concordano nell’indicare
che la tenodesi dovrebbe
essere principalmente utilizzata nei pazienti più giovani e attivi. Comunque,
entrambi i trattamenti delle
tendinopatie del capo
lungo del bicipite vantano
elevate percentuali di successo e presentano una
bassa frequenza di complicazioni, al di sotto dell’1%.
G. P.
Nho SJ, Strauss EJ, Lenart BA,
Provencher MT, Mazzocca
AD, Verma NN, Romeo AA.
Long Head of the Biceps
Tendinopathy: Diagnosis and
Management. J Am Acad
Orthop Surg Vol 18, No 11,
November 2010, 645-656.
18
L AVO RO O R I G I N A L E
Riduzione incruenta
per la lussazione di spalla
La lussazione anteriore di
spalla è molto frequente e
può verificarsi sia per trauma diretto che indiretto.
La dislocazione scapoloomerale rappresenta più
del 60% di tutte le lesioni
traumatiche e il 95% di
queste dislocazioni sono
antero-inferiori.
I meccanismi patogenetici
responsabili di tale lesione
sono costituiti da:
trauma diretto a livello
della spalla;
caduta sul braccio in
abduzione. In questa posizione al momento della
caduta si osserva un’espulsione della testa in avanti
con lesione del bordo
anteriore della glena e del
cercine;
rotazione forzata all’esterno con braccio in
abduzione;
iperestensione sul braccio in abduzione. La traslazione anteriore della testa
lede prima la capsula e,
poi, stacca il cercine dall’inserzione ossea.
Le lussazioni di spalla possono essere classificate in
anteriori e posteriori.
In particolare le lesioni
anteriori possono essere:
sottocoracoidea;
sottoglenoidea;
intracoracoidea;
sotto clavicolare;
sopracoracoidea.
Le lesioni posteriori possono essere invece:
sotto acromiale;
sotto spinosa.
Il trattamento delle lussazioni anteriori della scapolo-omerale, avvenute in
un breve delta temporale,
è quasi sempre incruento e
si avvale di metodiche già
codificate che ne permettono la perfetta riduzione.
Essa viene solitamente
attuata in narcosi, onde
abolire le contratture
muscolari riflesse che fissano la testa omerale nella
sede anomala.
Questa patologia può,
quindi, essere trattata con
diversi tipi di riduzione tra
cui ricordiamo:
la sola trazione descritta
da Stimson;
la manovra di Kocher;
il metodo ippocratico;
la tecnica di Cooper e
Milch.
Il metodo di Stimson prevede il posizionamento del
paziente in posizione
prona. La trazione è garantita da un leggero peso
applicato al polso.
La manovra di Kocher è
stata descritta per la
prima volta nel 1869 e
non prevede il ricorso alla
trazione. Tale manovra
prevede, invece, che il
paziente venga posto con
il braccio a contatto con
il corpo e con il gomito
flesso. L’operatore deve
procedere con una rotazione esterna fino a quando non incontra resistenza. Segue, poi, l’elevazione sul piano saggittale
sempre fino ad incontrare
resistenza. Si prosegue
con una leggera rotazione
interna. La tecnica di
Kocher è stata accettata
come metodo di riduzione
fino al 1927 quando Roux
affermò che tale tecnica
aveva successo solo in
caso di lussazione subcoracoide. In seguito è stata
spesso modificata nel tentativo di aumentare il
numero dei succesi e
ridurre le complicanze.
Nel 1883 Jersey affermò la
necessità di aggiungere la
trazione a tale manovra.
La manovra di Ippocrate
viene attuata a paziente
supino sul letto; l’operatore traziona l’arto superiore
in basso, imprimendo leggeri movimenti di abduzione e adduzione, mentre
con il calcagno spinge la
testa omerale nella sede.
Nel 1825 Cooper descrisse
una manovra in cui il massimo livello di rilassamento muscolare è raggiunto
nella “posizione zero”, così
definita da Soha.
Tali manovre non prevedono, però, un approccio
filsiologico e a causa delle
violente forze applicate
sono spesso associate a
complicanze. Tra le possibili complicanze ricordiamo le lesioni capsulari,
legamentose, vascolari e
nervose.
UNA METODICA
ALTERNATIVA
DI RIDUZIONE
DELLA LUSSAZIONE
Una metodica alternativa,
che non ha pretese di essere considerata al pari delle
precedenti, non ancora
codificata e qui esposta
solo sul piano teorico può
essere la seguente.
Il paziente viene sottoposto a un accurato esame
clinico per verificare l’eventuale presenza di lesio-
ni neuro-muscolari periferiche.
In seguito si pone diagnosi
di lussazione anteriore di
spalla tramite l’indagine
radiografica eseguita nelle
proiezione antero-posteriore e laterale.
Accertata la natura della
lussazione ed esclusa la
presenza di fratture ossee a
livello omerale e del cingolo scapolare si procede
con la manovra riduttiva.
Il paziente viene fatto
sedere all’estremità inferiore del lettino mente il
medico si posiziona lateralmente al fianco del
malato all’altezza della
spalla lussata.
Successivamente si somministra una dose di antidolorifico (spesso indispensabile), mentre non si
ritiene opportuno l’uso di
anestetici.
Il paziente viene informato attentamente riguardo i
vari passaggi della procedura in modo da ottenere
il massimo rilassamento
muscolare e la migliore
collaborazione.
Inizialmente pone il gomito flesso a 90° mentre la
spalla è abdotta di circa
45°.
Il medico pone il proprio
avambraccio sotto l’ascella
lesionata mentre afferra
con la mano il polso del
paziente omolaterale alla
lesione.
La sua mano libera viene
posta a livello del gomito
del paziente, dove si applica un leggera trazione in
senso caudale.
Un secondo operatore
pone una mano a livello
della spalla in modo da
bloccare l’articolazione
acromio-clavicolare
e
impedire la risalita dell’articolazione stessa; a
questo punto il medico
esercita una forza, tramite
il proprio avambraccio,
diretta contro l’ascella in
direzione antero-rostrale
mentre con le mani poste
a livello del polso e del
gomito extraruota la spalla trazionando verso l’esterno il braccio del
paziente, riducendo così
la lussazione.
Ancora ampiamente aperta al dibattito, appare sul
piano teorico una manovra efficace e sicura se eseguita da mani esperte.
Severe complicanze sono
riportate nelle riduzioni di
spalla soprattutto nei
pazienti anziani.
Tra le principali si ricordano cambiamenti degenerativi nei vasi che possono
essere suscettibili a ripetuti eventi trombotici; tramite la manovra di Kocher
sono state descritte riscontrare frattura della testa
omerale in pazienti osteoporotici, lesioni ai vasi e
nervi della capsula articolare.
L’utilizzo della Stimson
richiede una maggiore collaborazione da parte del
paziente e un maggior sforzo da parte dell’operatore.
Il metodo ippocratico può
causare lesioni vascolonervose così come danni ai
legamenti della spalla
quando viene eseguito con
eccessiva forza o non correttamente.
Questa nuova metodica
proposta vede in sé alcuni
possibili vantaggi: rapida
velocità di esecuzione calcolata in un tempo compreso tra i 5 e 15 secondi,
massima fisiologia dei
movimenti con minimo
traumatismo dei tessuti,
senza riscontri negativi per
pazienti con massa muscolare elevata o per soggetti
di età avanzata.
Il non utilizzo di procedure
anestesiologiche, facilita
l’esecuzione della manovra
grazie anche alla collaborazione attiva del malato.
Tale tecnica presenta inoltre il vantaggio di poter
essere effettuata anche da
un singolo operatore.
In conclusione, senza
nulla togliere alle manovre descritte e codificate
in passato, che hanno
riportato ottimi risultati
sia in letteratura che “sul
campo”, vogliamo solo
suggerire come la medicina in continua evoluzione
possa anche essere applicata in campi già noti:
spingendo avanti la ricerca non solo verso nuove
procedure ma anche rivalutando e mettendo in
discussione
procedure
affermate da anni.
Lorenzo Castellani
Matteo Laccisaglia
Osteocondrite dissecante del ginocchio
Ascesso di Brodie
L’osteocondrite dissecante del ginocchio si può definire come un processo patologico che vede come risultato finale il distacco (quasi sempre parziale) di una cartilagine articolare.
Quasi tutte le articolazioni possono essere interessate
da questa problematica, ma esiste una netta predominanza a livello dei condili femorali.
La diagnosi, oltre che basarsi sui segni clinici (pochi e
non specifici) trova nella risonanza magnetica il gold
standar per lo studio della patologia.
Uno stretto follow-up porta quasi sempre a una corretta
e completa guarigione, in particolare nei soggetti in
accrescimento. In pazienti giunti alla completa maturità
ossea su può invece assistere a complicazioni, portando
la patologia verso una degenerazione periartrosica.
anche di immobilità. La combinazione di questi due
fattori, attraverso l’impiego di tutori per circa 8-10 settimane, può portare a guarigione della sintomatologia
e al ripristino di una corretta superficie articolare.
In caso di persistenza della sintomatologia e/o di instabilità del frammento (valutato tramite risonanza
magnetica di controllo) è necessario ricorrere all’approccio chirurgico. Il trattamento varia a seconda del
grado di instabilità del frammento. Per frammenti stabili, con persistenza della sintomatologia, perforazione
e/o condroabrasione artroscopia della cartilagine possono portare a completa guarigione. In caso di instabilità marcata del frammento è necessario un vero e proprio fissaggio con mezzi di sintesi (fili di kirshner, viti
canulate o altro), che potranno essere rimossi a distanza di 6-8 settimane.
A tutt’oggi esiste un forte dibattito su quale sia la tecnica migliore da impiegare a seconda dei casi e soprattutto su come poter gestire il “potenziale” insito nel
trapianto di condrociti. Risultati in corso, e trial clinici da definire faranno chiarezza su come sarà possibile
poter ripristinare una superficie cartilaginea integra e
meccanicamente funzionante.
Descritto come una forma di osteomielite cronica, l’ascesso di Brodie, è caratteristico dell’età infantile adolescenziale. Presenta come sede di elezione la metafisi
delle ossa lunghe e trova la sua causa principale nel trasposto attraverso il sangue di agenti infettanti. Si presenta come una cavità osteolitica ben definita, a margini netti di forma spesso ovalare o rotondeggiante. L’osso
circostante la lesione, attraverso una reazione para fisiologica, diventa maggiormente compatto (tentativo di
aumentare la resistenza meccanica) e può manifestare
una reazione periostale.
Il primo sintomo è sicuramente il dolore locale, caratterizzato da un andamento intermittente con possibile tumefazione e ipertermia cutanea locale. Gli esami ematici non
sono patognomonici: è possibile notare un leggero rialzo
della VES accompagnato da modesta leucocitosi. La diagnosi, o meglio il sospetto diagnostico, deve essere posto
confrontando la clinica con le immagini radiografiche
(che fondamentalmente rispecchiano il quadro tipico
descritto in precedenza).
Il trattamento è sostanzialmente chirurgico: curettage e
pulizia della lesione. I risultati sono ottimi sia da un punto
di vista clinico che funzionale.
Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia
Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia
QUALE TRATTAMENTO?
La terapia consiste nel trattamento non cruento (ove
possibile) o nel ricorso alla chirurgia per il ripristino
della cartilagine articolare e risoluzione della sintomatologia.
Il trattamento conservativo consiste principalmente
nel mantenere l’articolazione in scarico assoluto e, nel
periodo di maggior espressione della sintomatologia,
21
FORMAZIONE CONTINUA
?
LA
?
Il Q u e s i t o D i a g n o s t i c o
SOLUZIONE A PAGINA
A cura di Giorgio Castellazzi
30
Antonella è una signora di 50 anni che vive a
Roma, assieme alla figlia: ha sempre lavorato nel
negozio di famiglia, una salumeria in pieno centro.
Sin da bambina ha sofferto di una forma di asma
medio-grave e di dermatite seborroica soprattutto
al cuoio capelluto. Ha subito due interventi chirurgici sinora, uno per meniscectomia mediale a
destra (15 anni fa), l’altro di quadrantectomia al
seno sinistro per carcinoma mammario (10 anni
fa), con negatività di tutti gli esami di follow-up
seguenti.
Da qualche mese avverte lombalgia da sforzo, saltuaria ma di discreta entità, per cui ha deciso di
recarsi dal medico di famiglia.
RX (1), proiezione
latero-laterale,
particolare su L2
Esami Strumentali
e di Laboratorio
Dopo la visita, il medico di famiglia ha prescritto
alla donna una radiografia (RX) della colonna lombare (1). A un primo colpo d’occhio non vi sono
reperti di rilievo. Guardando tuttavia con maggior
attenzione, si possono notare sfumate calcificazioni nel soma di L2, sul versante dorsale, mentre l’altezza del muro posteriore e la distanza tra le limitanti somatiche rimangono conservate.
È dunque stata eseguita un’indagine di Risonanza
Magnetica (RM) della colonna lombare (2), con e
senza mezzo di contrasto paramagnetico. Quel
che balza all’occhio è un’alterazione singola nel
soma di L2, tondeggiante, ipointensa in tutte le
pesate, e senza significativo enhancement postcontrasto, dunque a contenuto in prima ipotesi calcifico.
L’indagine di Tomografia Computerizzata (TC)
mirata alla vertebra in questione (3) conferma
lesione focale addensante del versante posteriore
del soma, a margini netti.
Gli esami del sangue hanno evidenziato un lieve
rialzo degli indici di flogosi, delle transaminasi
epatiche e della fosfatasi alcalina.
È stata poi eseguita biopsia mirata (4) con controllo radiografico.
RX (1), proiezione frontale
RX (1), proiezione latero-laterale
RM (2), sezione sagittale,
T1-pesata
RM (2), sezione sagittale, STIR
Ipotesi Diagnostiche
Di
•
•
•
•
•
cosa potrebbe trattarsi?
Metastasi singola da carcinoma mammario
Linfoma
Paget
Spondilite
Sapho
TC (3), sezione assiale
RX (4), particolare in proiezione frontale
RM (2), sezione sagittale,
T1-pesata post-gadolinio
RX (4), particolare in proiezione latero-laterale
23
CORSI E CONGRESSI
Chirurgia vertebrale
sempre più di confine
Un congresso incentrato su deformità e patologia degenerativa
sarà l’ennesima occasione di confronto e aggiornamento clinico
per chirurghi vertebrali di diversa estrazione
L’interesse del professor Pier Paolo Mura per la
chirurgia della colonna vertebrale è cominciata
venticinque anni or sono. “Da allora - ricorda - ho
seguito un lungo percorso chirurgico, scientifico,
di ricerca, di education”.
Uno dei frutti di questo percorso è il congresso che
presiederà i prossimi 8 e 9 aprile presso il Su
Gologone Country Resort a Oliena, in provincia di
Nuoro.
Il professor Mura non è nuovo a questo tipo di
eventi in terra di Sardegna, che offre location
indubbiamente suggestive ma richiede di
superare le difficoltà di una posizione decentrata,
anche se i collegamenti aerei con il resto del
mondo - grazie agli aeroporti di Cagliari e Olbia la rendono molto più facilmente raggiungibile di
quanto si pensi. Le ragioni di questa scelta sono
intuibili e ce le spiega lo stesso Pier Paolo Mura.
La scelta di fare il congresso in Sardegna è
chiara, perché il Presidente è sardo e ama la
propria isola, dove tanti anni fa ha cominciato a
praticare questa delicata chirurgia. “In
Sardegna, vicino a Cagliari, c’è un parco
scientifico tecnologico dove si fa ricerca ad
altissimi livelli, dove io sono presente e dove ho
organizzato il congresso nel 2009” ci ha spiegato il
chirurgo.
Professor Mura, quale il
significato del titolo del
Congresso, “Chirurgia
vertebrale: deformità e
patologia
degenerativa”?
Il congresso ha l’intento
di favorire un confronto
tra colleghi relativamente
a tutto ciò che quotidianamente facciamo per il
bene dei nostri malati,
valutando l'indicazione al
trattamento, i risultati
ottenuti e le eventuali
possibili complicanze, per
cercare di comprenderne
poi il significato.
È stato organizzato mettendo insieme un gruppo
di esperti del settore al
fine di affrontare gli argomenti specifici ai più alti
livelli e per cercare un
consenso.
A proposito di
argomenti: nello
scorrere il programma
si nota la presenza
contemporanea di
numerose tematiche
diverse…
L’eterogeneità degli argomenti scaturisce dal fatto
che, ormai da alcuni anni,
si è stabilito un rapporto
professionale sempre più
frequente e intenso, in termini di chirurgia vertebrale, tra i chirurghi vertebrali di estrazione ortopedica
e neurochirurgica su argomenti come la spondilolistesi e la stenosi, mentre a
tutt’oggi le deformità vengono trattate dall’ortopedico: ho ritenuto pertanto
che fosse interessante fare
un mix in questo senso.
La formula ideale per un
evento scientifico probabilmente non esiste. La
struttura a tavola rotonda
con la presentazione di
casi clinici offre la possibilità di concentrarsi sul dialogo e sul confronto diretto e immediato su fatti
concreti e di attualità clinica.
Ritengo che non siano
ancora sufficientemente
diffuse conoscenza e informazioni corrette e adeguate in merito alla chirurgia
vertebrale, non solo nel
cosiddetto
cittadino
comune, ma anche presso
figure professionali di
estrazione differente. Per
questa ragione, ritengo
indispensabile trovare i
canali giusti per fare una
corretta informazione.
In tema di
spondilolistesi, è
ancora viva la memoria
del congresso di Pula
del 2009. Due anni
non sono molti, ma il
settore è in continua
evoluzione…
Per quanto concerne la
spondilolistesi non vi
sono novità eclatanti, ma
la conoscenza migliora
sempre, come pure la
competenza in termini di
indicazione al trattamen-
CHIRURGIA VERTEBRALE: DEFORMITÀ
E PATOLOGIA DEGENERATIVA
Pier Paolo Mura è direttore del Dipartimento di ortopedia
e responsabile dell’Uoc di chirurgia vertebrale e centro
scoliosi kinetika sardegna del Policlinico Sant'Elena di Quartu
Sant’Elena (Cagliari). È inoltre docente presso l’Università
di Roma “La Sapienza”, Polo Pontino.
Mura nel 2007 ha organizzato e presieduto il 30esimo congresso
della Società Italiana di Chirurgia Vertebrale (Gis), che per la prima
volta nella sua storia si è svolto in Sardegna, a Cagliari.
8-9 aprile
Oliena (NU), Su Gologone Country Resort
Segreteria organizzativa: My Meeting srl
Tel. 051.796971 - Fax 051.795270
[email protected] - www.mymeetingsrl.com
to, mentre le metodiche
chirurgiche
diventano
sempre meno invasive e
gli strumentari protesici
sempre più sofisticati, con
percentuali più elevate di
buoni risultati.
Un altro argomento su
cui si discuterà al
congresso è la scoliosi
dell’adulto, piuttosto
trascurato in passato
Il discorso sulla scoliosi dell’adulto è di estremo interesse, in quanto si tratta di una
patologia di sempre più frequente osservazione nei
nostri pazienti. Questa scoliosi può determinare dei
sintomi
particolarmente
gravi e invalidanti che
hanno un carattere progressivo e in cui le cure farmacologiche,
fisioterapiche,
motorie e ortopediche non
danno alcun beneficio.
Sono questi i casi che hanno
un’indicazione chirurgica,
anche se prima ovviamente
si prova ad affrontare la scoliosi dell’adulto con le cure
meno complicate. Si tratta
di una patologia di acquisizione relativamente recente,
ma cominciano a essere
disponibili protocolli di
maggiore chiarezza.
La percentuale di rischio in
questi trattamenti è elevata
perché si tratta di pazienti
anziani, in cui alla scoliosi
degenerativa si associano
osteoporosi, stenosi, instabilità, discopatie, ernie del
disco e comorbilità di vario
genere. Tuttavia va detto
che valide alternative alla
chirurgia in pazienti gravemente sofferenti, oggi non
esistono.
Una tavola rotonda
verrà poi dedicata agli
interventi di revisione
nelle patologie
degenerative lombari.
Quali le peculiarità di
questa chirurgia?
Gli interventi di questo
tipo sono sempre particolarmente complessi e difficili, con minori percentuali di successo rispetto a
quanto si può ottenere con
la chirurgia primaria. Il
chirurgo cerca di prevedere tutto il prevedibile, ma
non sempre questo è possibile. E anche l’errore
umano, se pur raro, esiste.
Le complicanze non si possono evitare completamente, ma si possono
minimizzare aumentando
la conoscenza e la competenza, rifinendo ulteriormente l'indicazione al
trattamento.
Relativamente alle cifosi,
si parlerà dei trattamenti
che oggi appaiono più
promettenti?
Per quanto riguarda l’approccio chirurgico, le correzioni mediante tecniche
di osteotomia vertebrale e
sistemi di stabilizzazione
con viti - anche viti specifiche per il paziente osteoporotico e viti canulate
per l'introduzione di
cemento laddove sia
necessario - permettono
di ottenere risultati eccellenti con notevole riduzione dei tempi di degenza
in ospedale e di riabilitazione.
L’approccio multidisciplinare è sempre auspicabile
perché il paziente ne trae
maggiori vantaggi. Anche
dalle diverse culture ed
esperienze portate dal chirurgo, dal fisiatra e fisioterapista e dal posturologo,
il paziente avrà ulteriori e
più rapidi benefici.
Questo vale sempre
anche per le scoliosi
operate…
Sì, questo vale sempre e
inoltre, nel trattamento
chirurgico delle scoliosi
dell’adulto, vale la pena
di focalizzarsi sulle nuove
tecniche
percutanee
mini-invasive.
Ci si può oggi avvalere di
accessi che fanno soffrire
meno i tessuti muscolari
rispetto a quelli tradizionali, che possono venire
scollati e trazionati con
minore sanguinamento e
dolore nel post-operatorio.
chirurgia di revisione
nelle deformità.
Gli interventi di revisione
nella chirurgia delle deformità devono con maggiore
frequenza affrontare la
mobilizzazione
degli
impianti protesici in vertebre osteoporotiche oppure
per la frattura della vertebra
sovrastante la fissazione
protesica, sempre per motivi di osteoporosi.
Le problematiche in questi
casi sono molto impegnative
e comportano la necessità di
estendere la strumentazione
chirurgica e di adottare tutti
i particolari di tecnica per
aumentare la tenuta degli
impianti stessi.
Infine, il tema della
sesta sessione sarà la
Renato Torlaschi
Agenda Eventi
CHIRURGIA VERTEBRALE:
I PROSSIMI APPUNTAMENTI IN ITALIA
15-16 aprile, Cioccaro di Penango, Asti
Rachide cervicale C0-C7: chirurgia e pitfalls
nella patologia degenerativa e traumatica
5-7 maggio, Vicenza
XXXIV Congresso Nazionale GIS
5-7 giugno, Firenze
60° Congresso Nazionale SINch
15 ottobre, Selva di Fasano (Brindisi)
XII Congresso regionale Aploto
La colonna lombare stenotica
16-18 ottobre, Roma
Spinal surgery across mediterranean
1-2 dicembre, Roma
Congresso Rome Spine
24
CORSI E CONGRESSI
25
CORSI E CONGRESSI
Congresso della Società italiana
di fissazione esterna
Traumi del piede
e della caviglia
Un convegno internazionale
sulla degenerazione articolare
Apre a Bari (Hotel Sheraton Nicolaus) giovedì 12 maggio il congresso della Società
italiana di fissazione esterna (Sife), che si
occuperà delle deviazioni assiali dell’arto
inferiore e della fissazione esterna in traumatologia dell’arto inferiore. "Nelle due giornate
di congresso sarà dedicato ampio spazio
alla discussione interattiva con televoto di casi
clinici complessi di ortopedia e traumatologia" ci ha spiegato Vito Nicola Galante,
Presidente del Congresso e Direttore di ortopedia e traumatologia all'Asl di Taranto.
I lavori si apriranno con un corso di istruzione sulle deviazioni assiali dell'arto inferiore: "Una formula, quella del
corso precongressuale, che intende semplificare e rendere chiaro a tutti i partecipanti un argomento di non facile
interpretazione" ha detto Galante. Oltre alle tematiche cliniche si parlerà anche di etica comportamentale e di scelte terapeutiche che possono essere oggetto di risvolti
medico-legali significativi. Spazio infine a una sessione
Da martedì 12 a giovedì 14 aprile, presso l'Ospedale
CTO di Torino (via Zuretti 29) si terrà un corso teorico
pratico di chirurgia dei traumi del piede e della caviglia. Accreditato Siot, il corso distribuirà 27 crediti
Ecm e vedrà la partecipazione in qualità di relatori e
operatori chirurgici alcuni ortopedici proprio del CTO
di Torino, come Bruno Battiston, Teresa Benigno, Raul
Cerlon, Walter Daghino, Daniela Decaroli, Massimo
Navissano e Gabriele Vasario, e Luigi Milano
dell'Istituto Clinico Humanitas.
Tre le sessioni previste nel programma: le lesioni traumatiche della caviglia, del retropiede e del mesopiede/avampiede, ognuna con una parte di esercitazioni
pratiche, per le quali è prevista la possibilità di seguire a turno gli interventi al tavolo operatorio. Una sala
adiacente sarà collegata audio/video con la sala
operatoria per consentire a tutti i discenti di comunicare interattivamente durante l’intervento. Ma soprattutto
i partecipanti potranno eseguire in prima persona le
tecniche chirurgiche oggetto del corso su modelli
appositamente costruiti nei workshop, con l’assistenza
di tutor dedicati.
"La degenerazione articolare nel giovane attivo: un
tema apparentemente inflazionato da numerosi congressi ma che continua ad essere di estrema rilevanza per
gli ampi interrogativi che sempre più frequentemente ci
pone". È con queste parole che Francesco Falez, dell'unità operativa complessa di ortopedia dell'Ospedale
Santo Spirito di Roma, presenta il convegno internazionale che si terrà a Roma il 12 e 13 maggio. Presso
l’Auditorium Parco della Musica (viale P. De Coubertin
10) si cercherà allora di dare una risposta a questi interrogativi con sedute di relazioni contenute seguite dagli
ormai collaudati “incontri socratici“, nei quali ci sarà
ampio spazio per la discussione che, basata sulla
maieutica socratica, cercherà di dar luce a delle risposte condivise. Novità di questa edizione saranno le
“fighting arena”: sessioni di “combattimento” nelle quali
due relatori si confronteranno con posizioni opposte
sullo stesso argomento, cercando di fornire alla platea
elementi scientifici per validare la loro posizione.
Ma torniamo al tema congressuale. È lo stesso Falez a
presentare nel dettaglio gli aspetti clinici che sono ancora da investigare: "Le biotecnologie sembrano di fatto
offrirci valide soluzioni in grado di allontanare interventi sostitutivi, ma quando questi ultimi rimangono la sola
opzione ci si trova ad affrontare tematiche complesse:
come identificare il paziente giovane e attivo, quali
per infermieri e terapisti della riabilitazione,
i preziosi collaboratori del chirurgo.
Presidente onorario del congresso sarà il
professor Francesco Pipino, che agli inizi
degli anni Ottanta aveva compreso come
con la metodica della fissazione esterna, se
ben utilizzata, era possibile trattare con successo diverse patologie ortopediche e traumatologiche.
Presieduta da Maurizio Catagni e Franco
Lavini, la Sife nasce dalla fusione
dell'Associazione per lo studio e l’applicazione del metodo di Ilizarov (Asami) e del Gruppo italiano fissazione esterna (Gife) e si appresta ora a dare vita al suo
primo congresso.
Per informazioni
MDM Congress srl
Tel. 080.5218500 - Fax 080.5234333
[email protected] - www.mdmcongress.it
Congresso Sotimi-Sato
Da giovedì 5 a sabato 7 maggio a Sorrento (Centro
Congressi Hilton Sorrento Palace) si terrà il 104esimo congresso della Società ortopedica e traumatologica
dell'Italia meridionale e insulare (Sotimi), che insieme alla
prestigiosa Società spagnola di ortopedia (Sato) farà il
punto su cartilagine, osteoporosi e fattori di crescita.
"Si tratta di temi non solo attuali ma in continua evoluzione scientifica e tendenti a spiegare e interpretare le tematiche biologiche e cliniche del futuro" ha commentato
Franco Laurenza, primario della divisione di ortopedia e
traumatologia dell’Azienda ospedaliera San GiovanniAddolorata di Roma e presidente del congresso.
Le relazioni cercheranno di offrire risposte ai tuttora numerosi quesiti aperti in questi ambiti. Nella giornata di
venerdì si parlerà di cartilagine e osteoporosi, mentre
nella mattinata di sabato l'attenzione si sposterà sui fattori di crescita. "Sono inoltre previste due tavole rotonde - ci
ha spiegato Laurenza -. Una sul trattamento delle infezioni meticillo resistenti, l'altra sull’evoluzione dei concetti
della traumatologia. La giornata di giovedì e in parte quel-
Per informazioni
la del sabato saranno dedicate alle sessioni di comunicazione libere, così da permettere un'ampia partecipazione
a tutti i giovani colleghi, come da tradizione della nostra
Società".
Una novità di questa edizione sarà la presenza, giovedì
mattina, di tre corsi rivolti soprattutto a specializzandi e
giovani medici. Paolo Tranquilli Leali affronterà tematiche
di scienza di base; Michele D’Arienzo parlerà di chirurgia della mano; Raffaele Russo introdurrà i temi della patologia di spalla.
Particolarmente curiosa poi la relazione degli ortopedici
spagnoli, prevista per la giornata di venerdì, che faranno
una panoramica tra storia e clinica sull'evoluzione della
protesi d'anca.
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Il piede diabetico
complicato
-
Ipersensibilità ai metalli
in chirurgia protesica
ti, confrontandosi sulle prime esperienze e
Venerdì 27 maggio a Caramanico Terme
soluzioni nelle articolazioni più frequente(PE), presso l'Hotel La Réserve si terrà una giormente protesizzate.
nata congressuale su una tematica molto inte"Questa giornata di lavoro ci aiuterà a
ressante e spesso trascurata: l'ipersensibilità ai
fornire delle soluzioni per pazienti con
metalli nella protesica in ortopedia, con partiipersensibilità ai metalli - ha detto
colare attenzione alla diagnosi, prevenzione,
Scarchilli -, per fare il punto su una causa
esperienze cliniche e soluzioni possibili.
di fallimento negli impianti, per troppo
I lavori saranno presieduti
da Alberto
tempo ignorata".
Scarchilli, da anni impegnato nella chirurgia
Per concludere verranno discussi gli aspetprotesica, coadiuvato da Giovanni Di Ianni,
Alberto Scarchilli
ti medico-legali e la riabilitazione postCasa di Cura Pierangeli(PE).
operatoria. Prima di concludere i lavori,
"Le tematiche affrontate nei congressi riguardo
verrà inoltre presentato da Giovanni Bollea il progetto di
la chirurgia protesica sembrano ormai ristagnare su probleuno studio italiano multicentrico nel paziente allergico con
matiche sempre dibattute ma ormai analizzate in ogni miniimpianto di protesi di ginocchio. Un'iniziativa senza dubmo dettaglio" ci ha spiegato Alberto Scarchilli. Ecco allora
bio fondamentale per ampliare le conoscenze sull'allergia
l'idea di dedicare un'intera giornata di studio all'allergia ai
ai metalli nella chirurgia protesica in ortopedia.
materiali protesici, sempre più attuale ed epidemiologicamente significativa. L’aspetto della diagnosi e della prevenPer informazioni
zione nell’allergia agli elementi costituenti le protesi verrà
analizzata grazie al contributo di specialisti allergologi e
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immunologi dell’Università “La Sapienza”, mentre sulla cliniTel. 06.2148068
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sono gli elementi decisionali e il giusto timing che devono guidarci tra scelte terapeutiche conservative e sostitutive? Quali accorgimenti chirurgici e tecnologici dobbiamo porre in atto per permettere prestazioni elevate e
prolungate nel tempo?" si chiede il chirurgo romano,
che poi sottolinea come i cambiamenti sociali hanno di
fatto modificato la tipologia e le esigenze dei pazienti.
"Oggi richieste funzionali e prestazioni elevate sono
proprie non solo di pazienti molto giovani ma anche di
pazienti nella loro sesta-settima decade di vita - ha detto
Falez -, mentre pazienti in età lavorativa chiedono di
poter tornare sul posto di lavoro in tempi sempre più
brevi, con limitazioni funzionali ridotte e tempi di durata degli impianti quanto maggiori possibile".
Tutti temi che verranno ampiamente dibattuti al convegno, che conterrà anche due simposi su temi di estrema
attualità quali la prevenzione della TVP con antiaggreganti orali o convenzionali e le metodiche di contenimento del sanguinamento perioperatorio biologiche o
meccaniche.
L'approccio multidisciplinare al piede diabetico sarà il
tema del prossimo corso monotematico organizzato
dalla Società Italiana della Caviglia e del Piede (Sicp),
in programma per la giornata di sabato 26 marzo a
Parma presso l'Ospedale Maggiore.
"Le complicanze del diabete a livello del piede coinvolgono il lavoro di numerose figure professionali - spiega
Francesco Ceccarelli, Presidente del corso -. È ormai
ampiamente riconosciuto in letteratura che l’applicazione di strategie multidisciplinari in centri dedicati rappresenta lo sforzo organizzativo principale necessario
per il trattamento di queste problematiche. Nell’ambito
di tali strategie, tutte le figure professionali coinvolte
devono intervenire nella prevenzione, diagnosi e trattamento in maniera coordinata e specifica a seconda
delle necessità, con uno scopo comune rappresentato
dal salvataggio dell’arto" ha concluso Ceccarelli, che
è Direttore della struttura complessa di patologia dell'apparato locomotore dell'Azienda OspedalieroUniversitaria di Parma.
Il corso monotematico riunisce figure professionali
diverse e di grande esperienza in questa patologia,
per aprire un dibattito multidisciplinare sull'argomento
e delineare le prospettive future di diagnosi e terapia.
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Il bioreattore per applicazioni di medibase dei tessuti biologici, di tipologia
cina rigenerativa inventato e brevettato
e caratteristiche ottimali.
da un giovane ricercatore dell’IRCCS
Rispetto alle tradizionali colture celluIstituto Ortopedico Galeazzi di Milano,
lari in vitro, questo rivoluzionario
l’ingegner Matteo Moretti, in colladispositivo permetterà di raggiungere
borazione con il Massachusetts Institute
risultati qualitativamente superiori e
of Technology (MIT), sarà tra i protagodi realizzare applicazioni cliniche più
nisti di Stazione Futuro, mostra allestita
sicure ed economicamente sostenibili
a Torino nell’ambito di Esperienza
nell’ambito della medicina rigeneratiItalia, la manifestazione che celebra i
va e delle terapie cellulari.
150 anni dell’unità nazionale.
Al momento il bioreattore è stato utiMatteo Moretti
Il bioreattore è stato scelto come una
lizzato per applicazioni in ambito
delle novità più interessanti in ambito
muscoloscheletrico e cardiaco, ma è
scientifico in Italia. Si tratta di un dispopotenzialmente estendibile ad altri
sitivo che permette di coltivare cellule
tessuti ed organi. "Una parte imporin modo automatizzato, controllato e
tante della ricerca dell'IRCCS
riproducibile, al fine di ottenere un tesGaleazzi è indirizzata verso la medisuto biologico adatto all’impianto. È
cina rigenerativa - spiega il professor
uno strumento di contenute dimensioni,
Giuseppe Banfi, Direttore scientifiin cui vengono introdotte le cellule preco
IRCCS
Istituto
Ortopedico
levate dal paziente stesso e tramite una
Galeazzi –. Lo sviluppo di una tecnoparticolare oscillazione, le cellule venlogia presso il nostro Istituto, come
gono trattenute da un supporto polimequella scelta da Esperienza Italia,
rico poroso tridimensionale, tecnicasarà fondamentale, in collaborazione
Giuseppe Banfi
mente definito “scaffold”, attraverso cui
con altri istituti e con l'industria, per
viene perfuso un liquido nutriente che permetterà di
facilitare e standardizzare la produzione di tessuti,
ottimizzare e migliorare la crescita cellulare in 3D e
a partire dalle cellule del paziente, da impiantare in
di produrre la matrice extracellulare, componente
seguito nello stesso soggetto che ne ha necessità".
Gli unici esemplari al
mondo sono attualmente in
uso presso l’IRCCS Galeazzi
ed il MIT di Boston, che collaborano in questo ambito.
La fase di industrializzazione è realizzata da SKE,
impresa italiana, licenziataria del brevetto, che si occupa di soluzioni tecnologiche
innovative per le terapie
avanzate, con cui l’IRCCS
Istituto Ortopedico Galeazzi
lavora in sinergia per portare sul mercato questo prodotto.
Evidence Based
Meeting Isico
È giunto alla sua settima edizione l’Evidence Based
Meeting “R&R 2011 - Rachide e Riabilitazione multidisciplinare” che quest’anno si svolgerà sabato 26
marzo presso il Centro Congressi di Assago (Milano).
Il Congresso, organizzato dall'Istituto Scientifico
Italiano Colonna Vertebrale (Isico), è diventato un
appuntamento fisso in Italia per chi si occupa, a livello diagnostico, terapeutico o preventivo, di riabilitazione delle disabilità che hanno origine da problemi della
colonna vertebrale. E, anche nella sua settima edizione, sarà un’occasione di aggiornamento e formazione
per i partecipanti, che ormai superano le 700 presenze in sala. Il meeting sarà presieduto da Stefano
Negrini e Michele Romano.
L’essenza del congresso sta nella capacità di coniugare scienza e pratica: oltre a costituire la chiave del suc-
cesso dell’evento, è la caratteristica di Isico, la struttura che promuove l’iniziativa con il supporto del
Gruppo di Studio della Scoliosi e patologie vertebrali
(GSS), una realtà consolidata dal 1978 sulla riabilitazione delle patologie della colonna. Come è avvenuto
nel corso degli anni le lezioni magistrali degli ospiti
stranieri saranno accompagnate dalle sessioni parallele, una parte pratica operativa, oltre naturalmente allo
spazio dato alla ricerca con “Isico Award”. La parte
pratica in particolare sarà dedicata a temi di immediato riscontro quotidiano: le indicazioni della terapia con
esercizi (con sessione video pratica); la terapia manuale; il trattamento ortesico delle fratture vertebrali.
Una novità di quest’edizione è la “parola al chirurgo”
che vedrà come protagonista un chirurgo italiano di
fama: Franco Postacchini, presidente della Società
Italiana di Chirurgia Vertebrale (Gis). Gli ospiti internazionali saranno l’americana Mehrsheed Sinaki, professoressa di medicina di fisica e riabilitazione presso la
Mayo Clinic, un vero “mostro sacro” nell’ambito dell’osteoporosi. L’indiano Rajasekaran Shanmugabathan è
invece un esperto sulle potenzialità di ricostruzione della
vertebra in età di crescita, mentre il polacco Tomasz
Kotwicki, past president Sosort, è ortopedico specializzato in chirurgia pediatrica e vertebrale.
Per informazioni
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Fax 02.93661376
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26
FOCUS ON
Traumatologia di guerra
e fase postbellica
Un’esperienza
professionale unica
e stimolante
Lavorare in uno di questi
ospedali costituisce un’esperienza professionale e
umana di valore inestimabile.
Il grande afflusso di
pazienti
traumatizzati,
spesso con fratture esposte o gravi lesioni delle
parti molli costituisce per
un giovane ortopedico un
momento di impatto
inconsueto in Italia, ma
mette anche a volte a
dura prova le competenze
di un più maturo specialista. La necessità di prendere in tempi brevi decisioni operative che condizioneranno poi tutto l'iter
terapeutico, la difficoltà di
raccogliere un’anamnesi
attendibile, la complessità
delle lesioni, che possono
richiedere un approccio
integrato con il chirurgo
generale, sono tutti elementi affascinanti di un’esperienza che oltre a mettere alla prova le proprie
competenze e accrescerle,
è determinante nel destino
di quel traumatizzato.
Se infatti in Italia spesso
convivono più divisioni
di ortopedia e traumatologia anche a poche decine
di chilometri l'una dall'al-
L'esperienza di Emergency raccontata dal dottor Sebastiano Girmenia,
chirurgo ortopedico dell’Ospedale di Macerata, attualmente in missione
presso l'Ospedale di Emergency a Freetown, in Sierra Leone
La fase postbellica:
impossibile bonificare
dalle mine antiuomo
La fase postbellica si
caratterizza per le sequele
traumatiche, tra cui
osteomieliti e infezioni
croniche delle parti molli,
pseudartrosi, vizi di consolidazione, ecc. C'è poi
un altro aspetto che caratterizza le guerre moderne
e che ha un impatto
drammatico sulla popola-
zione civile e sull'economia di questi Paesi. Si
tratta delle mine antiuomo o anticarro, ancora
largamente impiegate dai
contendenti, nonostante i
vari trattati di messa al
bando della produzione,
commercializzazione
e
impiego delle stesse.
Molto spesso le mine vengono poste in luoghi strategici come strade, perimetri abitativi e sorgenti
d'acqua, restando attive
in attesa delle vittime per
decenni,
trasportate
magari anche lontano
dalle piogge, senza che
venga il più delle volte
stilata una mappa delle
loro posizioni, in modo da
consentire un tentativo di
bonifica che sarà sempre
parziale. Si aggiunga che
oggi la quantità di munizionamento inesploso è in
costante aumento per
l'impiego di cluster bombs
che in alcuni casi (fino al
45%) restano inesplose
ma attive nel terreno, in
agguato per colpire la
popolazione civile alla
ripresa per esempio delle
attività agricole.
La riduzione che viene a
volte riferita di vittime di
mine è spesso legata,
come personalmente verificato in Cambogia, più
dall'abbandono di estese
aree coltivabili da parte
dei contadini, fatto che
“
La giornata inizia con un briefing
tra il personale internazionale e i
medici locali per discutere dei casi;
poi sala operatoria, giro delle corsie,
ambulatori, sempre pronti ad
affrontare una nuova urgenza, che
immancabilmente arriva quando si
credeva finita la giornata in
ospedale.
La sera tutti insieme a cena, il
momento delle conversazioni e del
relax, poi ognuno nel suo alloggio.
Questo accade in tutto il mondo in
tutti gli ospedali di Emergency, dalla
Cambogia all'Afghanistan, dal
Sudan alla Repubblica
Centrafricana, alla Sierra Leone
“
N
ella valutazione
della
patologia
ortopedico-traumatologica in Paesi in
guerra o nella fase postbellica occorre tener
conto di alcune fondamentali differenze. La
chirurgia traumatologica
di guerra, quella cioè che
si realizza nel pieno degli
eventi bellici, ha infatti
dinamiche
logistiche
molto complesse: trasferimento dei feriti in un
posto di primo soccorso,
triage, bilancio lesionale,
stabilizzazione dei parametri vitali e delle lesioni,
trasferimento in un ospedale
adeguatamente
attrezzato per il trattamento chirurgico necessario.
Questa sequenza di operazioni inoltre deve prevedere anche una flessibilità
per poter gestire eventi
che si verificano su fronti
molto spesso mobili, dai
confini incerti, come
avviene sempre più di frequente
nelle
guerre
moderne, in cui la popolazione civile è tragicamente coinvolta, con un rapporto di morti e feriti in
crescita
esponenziale
rispetto ai combattenti.
contribuisce all'inurbamento e all'incremento
della motorizzazione, con
conseguente crescita dei
traumi della strada.
La crescita esponenziale
delle infezioni
Un altro aspetto che ha
ripercussioni in ambito
ortopedico è costituito dal
fatto che durante il conflitto inevitabilmente si
arresta tutta la catena vaccinale. Da qui la ripresa di
infezioni come la poliomielite, che in guerre
come quelle moderne,
sempre più lunghe, può
interessare anche più di
una generazione, con esiti
invalidanti che richiedono una complessa chirurgia ricostruttiva ortopedica, non disponibile in
Paesi del Terzo Mondo.
Strutture ospedaliere
e formazione di personale
medico locale
La guerra, con la distruzione delle già fragili strutture sanitarie (distruzione
delle infrastrutture ambulatoriali e ospedaliere,
uccisione o fuga di medici
e personale sanitario,
ecc.) lascia il paese completamente privo anche di
quel poco di sanità pubblica preesistente, come ho
sperimentato in Ruanda,
Cambogia, Sierra Leone.
Questa seconda fase postbellica richiede pertanto
un approccio ancora più
complesso, che va dalla
costruzione di nuovi ospedali alla formazione di una
nuova classe medica e più
in generale di operatori
sanitari in grado di affrontare sia le patologie esito
della guerra, sia quelle che
si producono nella fase di
ripresa disordinata della
vita civile, dove sostanziali cambiamenti sociali
(inurbamento, incremento di veicoli circolanti,
incerta percezione del
valore della vita, mancanza di tutele dei lavoratori)
si accompagnano a una
nuova epidemia costituita
dalla traumatologia della
strada e del lavoro.
Tutto ciò si realizza oltretutto in Paesi del Terzo
Mondo che presentano
un’intrinseca
fragilità
delle strutture economiche, politiche e sociali,
con carenze infrastrutturali drammatiche, prive di
tutti quei servizi, dalla
sanità
gratuita
agli
ammortizzatori
sociali,
27
con basso tasso di alfabetizzazione, spesso con economie di sussistenza, che
nei paesi occidentali e in
parte nei paesi emergenti
sono ormai patrimonio
acquisito dato per scontato: paesi nei quali pertanto il precario equilibrio in
cui vive la maggior parte
della popolazione si rompe
con effetti drammatici.
Il contributo delle Ong:
gli ospedali di Emergency
In questo contesto diventa
fondamentale l'intervento
di tutela della salute che
può venire dagli organismi
non governativi che, sia
per l'esperienza specifica
acquisita sul campo che
per la posizione di assoluta
neutralità, possono svolgere più efficacemente un
compito così delicato.
Sin dalla sua nascita nel
1994 Emergency ha sviluppato una lunga esperienza nell'assistenza alle
vittime civili delle guerre
e della povertà, offrendo
spesso, come in Sierra
Leone, cure ortopediche
gratuite altamente specializzate non disponibili in
altri ospedali del Paese.
Emergency
costruisce
ospedali secondo una logica che tiene conto delle
particolari
condizioni
della regione. In particolare si occupa di allestire
un pronto soccorso in
grado di affrontare ogni
emergenza, sale operatorie
operative 24 ore al giorno,
ambienti di degenza di
dimensioni
adeguate,
ambulatori,
farmacia
interna, servizi di radiologia, laboratorio analisi e
annessa banca del sangue,
servizio di fisioterapia idoneo a favorire il più precoce recupero funzionale dei
traumatizzati, scuola per i
bambini degenti e cucine
che garantiscano sia i
pasti per i pazienti che la
mensa per tutto il personale in servizio. Oltre a
queste strutture e servizi,
trovano posto i locali per
la manutenzione (dalla
lavanderia alle officine di
manutenzione di ogni
sezione dell'ospedale), per
la logistica, oltre agli uffici amministrativi. In molti
di questi ospedali è inoltre
prevista una foresteria che
accoglie i parenti dei
pazienti provenienti dalle
regioni più lontane.
FOCUS ON
tra, in Sierra Leone quello
di Emergency è l'unico
centro di riferimento per
la patologia ortopedicotraumatologica di un
Paese di oltre cinque
milioni di abitanti, per i
quali esserci o meno può
fare la differenza tra la
vita e la morte, tra un’invalidità permanente che
non consente di provvedere al sostentamento
della propria famiglia e il
recupero funzionale di
quell'arto.
C'è poi l'esperienza stimolante del rapporto con i
giovani medici locali, che
Emergency assume in
accordo con la controparte governativa, e che dal
personale internazionale
vengono formati nei vari
ambiti specialistici, perché poi trasferiscano questa esperienza nella cura
della popolazione locale
nei vari ospedali regionali
in cui vengono successivamente assegnati.
Certo occorre quella dote
di flessibilità, intuito e
competenza nell'affrontare chirurgicamente situazioni nelle quali a volte
sembra difficile trovare
valide soluzioni; la frattura esposta che appare di
semplice trattamento può
nascondere una lesione da
schiacciamento
delle
parti molli che potrà rendere necessaria la successiva copertura con lembi
fasciomiocutanei;
una
frattura sovracondiloidea
di omero in un bambino
che presenta un gomito
gonfio e coperto di flittene potrà testimoniare di
un inutile tentativo di
cura con impacchi caldi di
erbe, pratica diffusa in
molti Paesi del Terzo
Mondo.
Nel giro mattutino tra le
corsie o nelle poche battute scambiate in sala
operatoria con il paziente
prima dell'intervento, si
ritrova anche quella relazione di fiducia che oramai appare persa nel
Primo Mondo e che non
ammette leggerezza, ma
costringe a uno scrupolo
ancora più vigile.
Dott. Sebastiano Girmenia
EMERGENCY
RICERCA CHIRURGHI ORTOPEDICI PER LE SUE MISSIONI
IN AFGANISTAN, CAMBOGIA E SIERRA LEONE
La missione in Sierra Leone
REQUISITI:
È proprio in Sierra Leone che torno per la seconda
missione di un anno. L’ospedale sta per essere completamente ristrutturato, dopo 10 anni dalla sua
costruzione, appena terminata la lunga guerra per
il controllo delle miniere diamantifere, risorsa preziosa e dannazione di questo Paese.
Il Paese adesso è apparentemente stabile, anche se
con gli indicatori di sviluppo umano tra i più drammatici del pianeta. Le regole di Emergency prevedono che a guidare le macchine ufficiali sia solo l'autista, ed è meglio così: oggi la nuova guerra si combatte ogni giorno sulle strade del Paese, in un affollamento di motociclette che sfidano le leggi della
fisica su strade dove neanche i fuoristrada si trovano a loro agio.
Di fronte a questo scenario non meraviglia il dato
dell'Oms che rivela come l'85% degli incidenti della
strada si concentri nel Terzo Mondo, con una mortalità che supera quella di Aids, malaria e tubercolosi
insieme! Credo che basti questo freddo dato a spiegare il bisogno di ortopedici in questi Paesi:
per me che ho sempre lavorato da trent'anni nel servizio sanitario nazionale è apparso naturale interessarmi già agli inizi della
professione di quanto accadeva in quest'altra parte di mondo, nella convinzione che il
diritto a cure adeguate e gratuite faccia
parte dei diritti fondamentali dell'essere
umano. La passione per la chirurgia ortopedica, in
particolare la traumatologia degli arti, continua a
rendere ogni giorno più stimolante questa esperienza con Emergency, un’esperienza che mi sento di
raccomandare ad ogni ortopedico che senta lo stimolo di una crescita professionale ed umana, che
oltre ad arricchirlo lasci al suo rientro non solo un
elenco di pazienti che hanno potuto beneficiare
delle sue competenze ma, forse ancora più significativo, una trasmissione del sapere di inestimabile
valore.
Dott. Sebastiano Girmenia
• Laurea in Medicina & Chirurgia, Specializzazione in Ortopedia & Traumatologia;
• Significativa esperienza in traumatologia, soprattutto d’urgenza, con un buon livello di
autonomia in tutte le procedure di traumatologia cruenta ed incruenta, e di ortopedia
ricostruttiva.
COMPLETANO IL PROFILO:
Capacità di adattamento a lavorare secondo protocolli clinici e operativi standardizzati.
Capacità di adattamento alle norme di lavoro e di sicurezza.
Predisposizione alla vita comunitaria.
Rispetto della cultura e delle tradizioni locali.
Buona conoscenza della lingua inglese scritta e parlata.
Ogni espatriato è portatore di un prezioso contributo, non solo mettendo in pratica le sue competenze professionali, ma anche insegnando, formando e supervisionando: Emergency pone infatti
molta attenzione alla formazione dello staff locale, cui un giorno poter affidare in totale autonomia
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valutazione del curriculum vitae e di un questionario specifico, colloquio finale di selezione presso la
sede di Milano con prova di inglese.
28
FOCUS ON
Questione di classe
CLASSE SOCIALE E SALUTE
DAL GIAPPONE ALL'EUROPA
Anche il tasso di mortalità è influenzato dal livello socioeconomico
di una persona: le fasce più basse corrono rischi maggiori
L
'appartenenza a fasce
di popolazione svantaggiate dal punto di
vista sociale, economico e
culturale, ha un'influenza
negativa anche sulla salute
(e sui tassi di mortalità).
Secondo il dottor Dunstan
di Melbourne, la mortalità
aumenta in chi guarda
troppo la tv. Kim T. B.
Knoops dichiara che la
dieta mediterranea dimezza
la mortalità tra gli anziani.
Cioccolato
fondente,
papaya,
alimentazione
vegetariana, fare le scale a
piedi... ognuno ha una sua
ricetta per vivere bene e
più a lungo. Quel che in
genere manca sono i dati a
supporto di queste tesi. E
servono ricerche rigorose,
che isolino i fattori considerati e che siano estese a
un numero sufficientemente ampio di persone.
Mortalità e condizione
economica
Uno studio che soddisfa
questi criteri porta la firma
italiana
di
Silvia
Stringhini, è stato effettuato sulla popolazione londinese ed è finito sulle pagine
della più popolare rivista
americana di medicina:
Jama - The Journal of the
American
Medical
Association.
Le conclusioni dello studio
hanno una componente
sociale e politica molto
forte: il livello socioeconomico di una persona è associato al tasso di mortalità.
Può sembrare la scoperta
dell'acqua calda, visto che
dovrebbe essere evidente a
chiunque l'influenza che la
disponibilità economica e
il contesto in cui si vive
determinano nell'offrire
accesso alle informazioni e
nel favorire l'adozione di
comportamenti salutari.
Ma sono le cifre a rendere
significativa l'affermazione.
A cominciare dal campione studiato e dalla durata
delle osservazioni effettuate: circa 10.000 persone per
24 anni, dal 1985 al 2009.
I risultati mostrano differenze rilevanti tra la popolazione e una superiore
mortalità nelle fasce svantaggiate dal punto di vista
socio-economico.
Un totale di 654 partecipanti è deceduto durante i
24 anni di follow-up. I
ricercatori hanno riscontrato che, nelle analisi
aggiustate per i fattori sesso
e anno di nascita, le persone che appartengono alle
Condizione
socio-economica
Mortalità
complessiva
Mortalità
dovuta
a cancro
Mortalità dovuta
a malattie
cardiovascolari
Mortalità
dovuta ad altre
cause
Elevata
2,99
1,57
0,63
0,78
Intermedia
3,68
1,86
0,95
0,88
Bassa
4,93
1,56
2,21
1,16
Tab. 1: mortalità rilevata in funzione della posizione socio-economica.
OSTEOPOROSI E ALIMENTAZIONE
Prima di influire sulle percentuali di mortalità, i comportamenti
e lo stile di vita hanno un effetto sulla salute: anche in ortopedia...
Katherine L. Tucker, dello Human
Nutrition Research Center on Aging
presso la Tufts University di Boston, ha
approfondito il ruolo dell'alimentazione nella prevenzione dell'osteoporosi.
Se molti attribuiscono una grande
importanza al calcio e alla vitamina D,
alcune ricerche recenti hanno permesso di comprendere che anche altre
sostanze, presenti negli alimenti più
comuni o facilmente reperibili come
additivi, possono avere un'influenza
sulla genesi e sull'evoluzione di questa
patologia.
Anzi, secondo la Tucker, la fiducia
riposta nel calcio e nella vitamina D
sarebbe eccessiva, mentre l'assunzione
di frutta, verdura e latticini assicurerebbe elementi protettivi essenziali per la
salute delle ossa. La ricercatrice li
passa in rassegna in un articolo pubblicato su Current Osteoporosis Reports,
basando le proprie affermazioni su un
esame dei contributi comparsi di recente in letteratura.
Tra gli elementi nutrizionali che si stanno dimostrando più importanti di quanto si pensasse finora, ci sono il magnesio, il potassio, la vitamina C, la vitamina K, diverse vitamine del gruppo B e
i carotenoidi.
Mentre assistiamo alla crescente
popolarità di certe diete ipoproteiche,
sembra invece che un buon apporto
di proteine svolga un'azione utile per
le ossa, soprattutto nelle persone
anziane.
Un consumo regolare di bevande alla
cola risulta essere dannosa, contrariamente a una moderata assunzione di
alcool, che avrebbe effetti benefici particolamente nelle donne anziane.
Se gli studi continueranno, in futuro
potremo forse disporre di una dieta
ritagliata su misura per la prevenzione
dell'osteoporosi.
Katherine L. Tucker. Osteoporosis Prevention and
Nutrition. Current Osteoporosis Reports 2009,
7:111–117.
classi socioeconomiche più
svantaggiate hanno un
rischio di morte superiore
del 60% rispetto a chi ha la
fortuna di far parte delle
classi più elevate - indipendentemente dalla causa del
decesso!
Fattori concomitanti
Si conferma l'effetto sulla
salute prodotto da fattori
quali il fumo, l'alimentazione scorretta, l'insufficiente
attività fisica, il consumo
di alcool: e questi comportamenti sono risultati più
diffusi tra le persone a
basso reddito e bassa scolarità.
Queste differenze nello
stato di salute tra le varie
fasce sociali vengono attribuite dagli studiosi alle abitudini comportamentali, a
fattori psicosociali e alla
disponibilità economica.
Possono entrare in gioco
anche elementi come l'esposizione a rischi ambientali e lavorativi oppure
l'accesso alle cure mediche,
anche se il campione preso
in esame in questo studio
mostrava differenze minime da questo punto di
vista.
I risvolti politici
dello studio
Lo studio ha evidentemente risvolti politici messi
bene in evidenza dagli stessi autori.
“I nostri risultati possono
non comportare implicazioni politiche dirette, tuttavia mettono in evidenza
che le politiche sanitarie e
gli interventi focalizzati sui
comportamenti degli individui hanno il potenziale di
migliorare la salute delle
persone e di ridurre sostanzialmente le forti disuguaglianze che tuttora esistono
a questo riguardo”.
La tabella mostra i tassi di
mortalità per 1000 persone-anno, standardizzati per
Fattori socioeconomici e salute: una correlazione esiste, si esprime a vari livelli e con modalità differenti ed
è oggetto di crescente interesse da parte degli studiosi
di tutto il mondo.
Un'ampia ricerca descrive il fenomeno in una società
avanzata ma per molti aspetti diversa dalla nostra:
quella giapponese. Il Giappone è una delle nazione
più egualitarie al mondo e gli indici che misurano la
salute generale della popolazione sono tra i più
elevati.
Tuttavia i risultati dello studio indicano che, anche in
questo caso, i differenti contesti socioeconomici e le
disuguaglianze influenzano la mortalità, i tassi di morbilità e i fattori di rischio biologici e comportamentali.
In particolare, tra i giapponesi è particolarmente forte
l'influenza negativa sulla salute esercitata dallo stato
occupazionale e dal livello di scolarità e i fattori culturali sembrano incidere al pari di quelli strettamente economici.
Persino la forma fisica degli adolescenti risente della
fascia sociale di appartenenenza. L'indagine stavolta è
stata condotta nel nostro continente, da studiosi spagnoli che hanno controllato l'influenza del Family
Affluence Scale (un indice composito che incorpora lo
status economico, sociale e professionale) su alcuni
indicatori di salute e forma fisica come l'agilità, la
forza muscolare e l'efficienza cardio-respiratoria.
Anche in questo caso è stata misurata una correlazione positiva, che si conferma anche indipendentemente
da altri fattori come l'obesità o la regolare attività
fisica.
Bibliografia
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Socioeconomic status influences physical fitness in European adolescents independently of body fat and physical activity: the HELENA study. Nutr Hosp. 2010 Mar-Apr;25(2):311-6.
età e sesso. Sono stati presi
in considerazione i decessi
avvenuti in seguito a cancro, a patologie cardiovascolari e per altre cause
non riconducibili alle due
più frequenti.
Le analisi di dettaglio,
troppo specifiche per essere
qui riportate, incrociano le
cause di mortalità, suddivise nelle tre macrocategorie
citate, con i comportamenti che hanno una valenza
per la salute: abitudine al
fumo (i soggetti analizzati
sono stati suddivisi tra non
fumatori, fumatori occasionali e fumatori abituali),
consumo di alcool (assente,
moderato o forte), attività
fisica (sedentarietà, attività
moderata, attività intensa)
e tipo di alimentazione
(salutare,
mediamente
equilibrata, non equilibra-
ta). In generale si è riscontrata una correlazione statistica tra i singoli comportamenti e percentuali di mortalità, con poche eccezioni:
l'associazione tra la dieta e
la mortalità per malattie
cardiovascolari e quella tra
l'attività fisica e la mortalità per cancro non sono
state stabilite e dovranno
essere
eventualmente
approfondite da ulteriori
studi. Sono per certi versi
sorprendenti i dati relativi
al'uso di alcool: i forti consumatori si sono mostrati a
maggior rischio di mortalità per cancro, ma i completamente astemi, nel
campione
esaminato,
hanno avuto percentuali
più elevate di decesso per
patologie cardiovascolari.
Giampiero Pilat
30
CORSI E CONGRESSI
L’Agenda dell’Ortopedico
1-2 aprile
EFORT Instructional Course Sommerfeld 2011
HIP replacement in the young patient
13-16 aprile
Clinica e imaging del trauma muscolo-scheletrico
in urgenza
14 maggio
Corso di chirurgia artroscopica dell'anca
Berlino, Germania
Torino, Aula Magna CTO M. Adelaide
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2-3 aprile
Convegno Exercise is medicine
15 aprile
Skeletal Endocrinology
Merano
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8-9 aprile
Chirurgia vertebrale: deformità
e patologia degenerativa
Oliena (NU), Su Gologone Country Resort
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Tel. 051.796971 - Fax 051.795270
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Napoli, Hotel Excelsior
14 maggio
XI corso di aggiornamento reumatologico
Le terapie termali nelle malattie reumatiche:
fenomeno di costume o realtà terapeutica?
Porretta Terme, Bologna
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16 aprile
Il ginocchio degenerativo e traumatico
dell’anziano
15-19 maggio
Isakos 2011
Catanzaro
Rio De Janeiro, Brasile
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www.isakos.com/meetings/2011congress
12-14 aprile
Corso teorico-pratico di chirurgia dei traumi
del piede e della caviglia
28-29 aprile
Nordic Advanced Instructional ClubFoot Course
18-20 maggio
24th Annual Meeting of the European MusculoSkeletal Oncology Society (EMSOS) and 12th
Symposium of the EMSOS Nurses Group
Torino, Ospedale CTO
St. Olavs Hospital, Trodheim, Norvegia
Het Pand, Ghent, Belgio
Segreteria organizzativa: Osru - Settore formazione
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Segreteria Organizzativa: [email protected]
www.emsos2011.be
1-3 maggio
Corso Cadaver Lab SIA-SIGASCOT
18-20 maggio
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Basics I/II in childrens orthopaedics
Rosemont, USA
Anno VI - numero 3 - marzo 2011
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5-7 maggio
Congresso congiunto Sotimi e Sato
Osteoporosi - cartilagine: fattori di crescita e
nuove tecnologie in ortopedia
Sorrento (NA), Centro Congressi Hilton Sorrento Palace
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5-7 maggio
XXXIV Congresso Nazionale della Società Italiana
di Chirurgia Vertebrale (GIS)
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6-7 maggio
Le infezioni in chirurgia ortopedica
Pietra Ligure, Ospedale Santa Corona
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Tel. 019.6234932 - Fax 019.6234943
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9-14 maggio
8th International Symposium on Experimental
Spinal Cord Repair and Regeneration
Spine and spinal cord international week
Vienna, Austria
www.efort.org/ic/epos2011/basic1
19-21 maggio
Clinical Orthopaedics and Related Research (CORR)
Writing Workshop @ IOR Bologna 2011
Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli
Clinica ortopedica dell’Università di Bologna
Tel. 051.6366669 - Fax 051.334342
19-21 maggio
42° Congresso Nazionale Ortopedici e
Traumatologi Ospedalieri d'Italia (OTODI)
Milano
Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl
Tel. 051.765357 - Fax 051.765195
[email protected]
26 maggio
Corso teorico pratico avanzato sull'accesso
anteriore intermuscolare all'anca con paziente in
decubito laterale
Siena, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese
Segregteria Organizzativa: Dr. Mattia Fortina - [email protected]
26-28 maggio
XI Congress of European Federation for Research
in Rehabilitation
Riva Del Garda, Congress Palace
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Brescia
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Sig.ra Lucia Rossetti - Tel. 030.3385131
Fax 030.3387595 - [email protected]
11-14 maggio
Annual Meeting of The Pediatric Orthopaedic
Society of North America (POSNA)
27-28 maggio
Corso avanzato di riabilitazione della spalla
Milano, Istituto Clinico Humanitas
Segregteria Organizzativa: Velox Point
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Montreal, Quebec, Canada, Fairmont Queen Elizabeth
8-9 giugno
Mendrisio Medical Meeting
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Mendrisio, EspoCongressi Hotel Coronado
12-13 maggio
1° Congresso Nazionale SIFE
Deviazioni assiali e traumatologia dell'arto inferiore:
tecniche e indicazioni alla fissazione esterna
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Bari
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12-13 maggio
Attualità e prospettive nelle protesi di anca e
ginocchio. La degenerazine articolare nel giovane
attivo: dalla conservazione alla sostituzione
Roma, Auditorium Parco della Musica
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Risposta al quesito
di questo numero
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La biopsia della lesione ha dato come risultato “metastasi
da carcinoma mammario”.
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Lesioni osteocondrali