3
RASSEGNA
DEGLI
ARCHIVI DI STATO
nuova serie - anno III - n. 1
roma, gen.-apr. 2007
4
Ministero per i beni e le attività culturali. Direzione generale per gli archivi. Servizio III,
Valorizzazione, promozione, formazione e relazioni internazionali, Roma.
Direttore generale per gli archivi: Luciano Scala, direttore responsabile.
Comitato scientifico: il direttore generale per gli archivi, presidente, Paola Carucci,
Antonio Dentoni-Litta, Ferruccio Ferruzzi, Patrizia Ferrara, Cosimo Damiano
Fonseca, Guido Melis, Claudio Pavone, Leopoldo Puncuh, Isabella Ricci, Antonio
Romiti, Isidoro Soffietti, Giuseppe Talamo.
Redazione: Ludovica de Courten (segretaria); Antonella Mulè De Luigi.
La « Rassegna degli Archivi di Stato », rivista quadrimestrale dell’Amministrazione
archivistica, è nata nel 1941 come « Notizie degli Archivi di Stato » ed ha assunto
l’attuale denominazione nel 1955.
I testi degli articoli, i volumi da segnalare e la richiesta di fascicoli in omaggio
o scambio vanno indirizzati a « Rassegna degli Archivi di Stato », Ministero per i
beni e le attività culturali. Direzione generale per gli archivi. Servizio III, via Gaeta 8/a
00185 Roma, tel. 06492251. Sito Internet: http://www.archivi.beniculturali.it; e-mail:
[email protected]
I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione,
totale o parziale, degli articoli pubblicati, senza citarne la fonte. Gli articoli firmati rispecchiano le opinioni degli autori: la pubblicazione non implica adesione, da parte
della rivista, alle tesi sostenute.
VENDITE E ABBONAMENTI: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., Funzione
arte/editoria, Libreria dello Stato, piazza G. Verdi 10, 00198 Roma, tel. 0685081 fax 0685084117; e-mail: [email protected] (versamenti in c/c postale 387001, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., o richiesta contrassegno).
Un fascicolo € 28,00, abbonamento annuo € 65,00; estero: € 41,00 e € 93,00. Fascicolo
doppio o arretrato, prezzo doppio.
5
CONVEGNO: « DOCUMENTI
ANTICHI DAGLI ARCHIVI FRIULANI.
SPETTIVE DEL PROGETTO »
RISULTATI E PRO(Società filologica friulana, Palazzo Mantica,
Udine, 31 marzo 2006)
7
Pierpaolo Dorsi, Dalla guida al censimento: strumenti conoscitivi per la tutela degli archivi nel Friuli Venezia Giulia, p. 9; Federico Vicario, Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto, p. 19; Luisa Villotta, La ricognizione dei fondi conservati presso l’Archivio di Stato di Udine, p. 32;
Gabriella Cruciatti, Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007),
p. 36; Nicole Dao, Gli archivi della Carnia, p. 61; Miriam Davide, Gli archivi del Friuli occidentale, p. 65; Beatrice Pitassi, Il Fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli, p. 83; Edizione di documenti in volgare
friulano tra XIII e XV secolo, a cura di Federico Vicario, p. 100
MARIA EMANUELA MARINELLI - SONJA MOCERI, Gli archivi di stato civile fra
passato e futuro. Un excursus normativo
121
MARIA EMANUELA MARINELLI, Le privatizzazioni e i loro riflessi sulla tutela degli archivi
171
NOTE E COMMENTI
Un nuovo strumento di corredo per l’archivio di Sidney Sonnino (R. Baglioni)
180
La Sezione iconografica dell’archivio del Banco di Roma (M.T. Fulgenzi)
189
Un’opera « monumentale » sui rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel
Cinquecento (G. Cipriano)
195
Viaggio nel mondo di Francesco Rosi attraverso le carte del suo archivio (M.
Procino)
214
NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO
Archivio Nesci. Inventario, di M. P. Mazzitelli (p. 223); M. Giro, Saggi intorno alle cose sistematiche dello Studio di Padova, a cura di P. del Negro
e F. Piovan (p. 224); Il libro dei vagabondi. Lo « Speculum cerretanorum »
6
di Teseo Pini, « Il vagabondo » di Rafaele Frianoro e altri testi di « furfanteria », a cura di P. Camporesi (p. 228); A. Mautone, Trentini e italiani
contro l’Armata rossa. La storia del Corpo di spedizione in Estremo Oriente e dei « Battaglioni neri » 1918-1920 (p. 235); M. Petralla - G. Sapori, La
chiesa parrocchiale di Santa Maria di Arrone: documenti e opere (p. 236);
P. Schulte, Scripturae publicae creditur. Das Vertrauen in Notariatsurkunden im kommunalen Italien des 12. und 13. Jahrhunderts (p. 237).
LIBRI RICEVUTI
241
NOTIZIARIO LEGISLATIVO
245
CONVEGNO:
DOCUMENTI ANTICHI DAGLI ARCHIVI FRIULANI.
RISULTATI E PROSPETTIVE DEL PROGETTO
(Società filologica friulana, Palazzo Mantica, Udine, 31 marzo 2006)
––––––––––
Il convegno di studi « Documenti antichi dagli archivi friulani. Risultati e prospettive del progetto », del quale qui si presentano gli atti, curati da Federico Vicario, si è
tenuto il 31 marzo del 2006 a Udine a palazzo Mantica, sede della Società filologica
friulana. Il convegno, promosso dalla stessa Società filologica friulana e dalla Soprintendenza archivistica per il Friuli-Venezia Giulia, ha fornito l’occasione per presentare
il bilancio di tre anni di un lavoro condotto su alcuni tra i più importanti fondi archivistici e bibliotecari del Friuli: un vasto progetto di ricerca mirato alla ricognizione degli
archivi della regione e alla segnalazione di documenti tardomedievali in volgare friulano svolto dalla Società, con il sostegno finanziario e scientifico dell’Amministrazione
archivistica, con la quale era stata stipulata una convenzione triennale.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
8
Pierpaolo Dorsi
Strumenti conoscitivi per la tutela degli archivi nel Friuli Venezia Giulia
9
DALLA GUIDA AL CENSIMENTO: STRUMENTI CONOSCITIVI
PER LA TUTELA DEGLI ARCHIVI NEL FRIULI VENEZIA GIULIA
Un saluto a tutti gli intervenuti, alle autorità e in particolare alla Società filologica friulana che si è fatta promotrice di un progetto in cui il mio ufficio, la
Soprintendenza archivistica per il Friuli Venezia Giulia, ha creduto fin da
principio.
Del progetto Documenti antichi dagli archivi friulani, dei suoi obiettivi e
dei problemi che comporta, tratteranno ampiamente gli interventi successivi,
mentre io vorrei tracciare – quasi in premessa – una sorta di profilo storico,
mostrare come esso rappresenti un elemento di continuità nell’evoluzione che
ha interessato finora il lavoro sugli archivi nella nostra regione, mostrare come
il progetto abbia proprio qui antecedenti illustri negli ultimi due secoli.
Tutte le iniziative con cui ci si è proposti, oggi come in passato, di descrivere una porzione, più o meno estesa, del patrimonio archivistico nazionale
appaiono motivate e insieme condizionate – in forma più o meno consapevole
ed esplicita – da un duplice ordine di esigenze: da un lato vi è l’intendimento di
diffondere la conoscenza della documentazione reperita e disponibile, come
servizio da rendere ai ricercatori o – in termini più attuali – ai potenziali utilizzatori di archivi; dall’altra parte vi è il proposito di costruire un quadro della
qualità, della consistenza e della distribuzione territoriale di questo patrimonio,
ad uso degli organismi cui è affidata la tutela degli archivi e, più in generale, di
tutti i soggetti – autorità e cittadini – ai quali spetta la responsabilità di provvedere, ciascuno nel proprio ambito, perché queste fondamentali testimonianze di
civiltà siano curate e salvaguardate e, soprattutto, non vadano colpevolmente
disperse.
Sono due prospettive complementari, quella della conoscenza e quella della tutela, che convergono utilmente verso l’obiettivo, comune a tutti noi, della
migliore conservazione e valorizzazione degli archivi.
Il sorgere della moderna scienza storica intesa come disciplina sperimentale, che procede attraverso la formulazione di ipotesi e la loro verifica grazie a
quei laboratori di ricerca che sono gli archivi, portò con sé lo sviluppo delle
scienze del documento, quali la diplomatica, la paleografia, la stessa archivistica, ma anche l’interesse per una più vasta diffusione della conoscenza delle
fonti documentarie. È l’epoca delle grandi edizioni di fonti d’archivio, in
trascrizione o regesto, pubblicate sistematicamente – nella forma del corpus –
10
Pierpaolo Dorsi
secondo un trattamento di raccolta e descrizione che non si allontanava
molto da quello praticato per le epigrafi, i reperti numismatici, i codici delle
biblioteche.
Nei casi più ambiziosi, e fortunati, il programma era quello di presentare in
maniera sistematica e unitaria il panorama delle fonti inerenti la storia di una
città o di una regione, anche quando conservate in sedi diverse e lontane. Simili
raccolte non si possono considerare ancora degli strumenti archivistici nel senso
nostro, anche se riescono tuttora utilissime quando si tratta di ricavare notizie
sulla sussistenza storica di determinati fondi o di singoli documenti, che in
seguito possono essere andati dispersi o distrutti: strumenti di conoscenza
dunque, e in quanto tali piuttosto datati, ma contenenti in nuce degli elementi,
sempre attuali, utili al lavoro di tutela.
Per l’area che ci interessa, esemplari classici di questo tipo di operazione
sono i lavori ottocenteschi che dobbiamo a Giuseppe Bianchi 1, Francesco di
Manzano 2, Pietro Kandler 3, Giuseppe Valentinelli 4.
Al centro delle raccolte di questi « annalisti », certamente meritorie e di vasto respiro se si pensa all’epoca in cui furono concepite e ai mezzi con cui
poterono essere realizzate, si trovano i singoli documenti, intesi come reperti da
descrivere e collocare in una catena cronologica, e non gli archivi dai quali essi
sono stati ricavati. E ancor più del documento interessa l’evento che da esso trae
testimonianza: l’ordine sistematico è fornito infatti dalla cronologia degli
eventi, la data è la chiave di ricerca fondamentale per simili raccolte, eventualmente affiancata da repertori onomastici. Le indicazioni sul contesto archivistico entro il quale va situato il documento descritto sono ridotte al minimo: talora
solo la località di conservazione, o solo la proprietà. Sono quasi sempre assenti
quei riferimenti alla collocazione che possano permettere una ricostruzione
dell’effettiva provenienza e delle connessioni interne all’archivio: scarse dunque le possibilità concesse per verifiche, da condurre sugli originali, o per
un’estensione della ricerca a documentazione collegata.
Molti sono, in queste raccolte, i documenti che vengono presentati sulla
base di informazioni indirette, filtrate attraverso precedenti trascrizioni e edizioni, o fornite da corrispondenti del curatore della raccolta: d’altra parte
imprese consimili – se vogliamo – ancor oggi sono frutto di lavoro collettivo.
Spesso manca una sicura distinzione tra originali e copie. Soprattutto è da
osservare la scarsa chiarezza nell’esporre i criteri secondo i quali i documenti
1
Documenti per la storia del Friuli dal 1317 al 1325, a cura di G. BIANCHI, Udine, Turchetto,
1844; Documenti per la storia del Friuli dal 1326 al 1332, a cura di G. BIANCHI, Udine, Turchetto,
1845.
2
Annali del Friuli ossia raccolta delle cose storiche appartenenti a questa regione, a cura di
F. DI MANZANO, Udine, Rampanelli, 1858-1868, voll. 6.
3
Codice diplomatico istriano [a cura di P. KANDLER], Trieste, Lloyd austriaco, 1862-1865,
pubblicato a dispense.
4
Diplomatarium Portusnaonense. Series documentorum ad historiam Portusnaonis spectantium, a cura di G. VALENTINELLI, Wien, Hof- und Staatsdruckerei, 1865.
Strumenti conoscitivi per la tutela degli archivi nel Friuli Venezia Giulia
11
vengono selezionati per la pubblicazione. L’abate Bianchi afferma di aver
« posto ogni cura per non ommetterne alcuno » 5, relativamente al periodo che
si è proposto di scandagliare. Di Manzano pubblica, in forma di regesti, i
suoi Annali riferiti a due millenni di storia del Friuli, utilizzando in primo
luogo materiali editi, e solo in rari casi segnala documenti che ha potuto esaminare personalmente. Pietro Kandler per il Codice diplomatico istriano si
avvale di estese collaborazioni, anche dall’estero; le sue trascrizioni riguardano
documenti rilevanti per la storia di Trieste e dell’Istria, e perciò includono
ampia documentazione di provenienza aquileiese e goriziana. Il prodotto più
evoluto in questa serie sembra essere il Diplomatarium Portusnaonense di
Valentinelli, direttore della Biblioteca Marciana, che nella chiara premessa
metodologica espone il criterio di selezione adottato, affermando di aver privilegiato le fonti notevoli per la storia politica e per il diritto pubblico della città
di Pordenone nella fase di dominio asburgico e di avere trascurato, intenzionalmente, nella sua edizione la gran massa dei documenti ritenuti d’interesse
privato, pure disponibili 6; la raccolta di Valentinelli, a differenza delle altre che
ho nominato, è ricca di trascrizioni eseguite sulla base di un esame diretto degli
originali.
Con le opere citate finora ci troviamo, come si vede, ancora lontani da quel
che si definisce oggi « guida » archivistica, una sorta di fotografia complessiva
di un patrimonio documentario reperibile in un determinato ambito territoriale,
indipendente da qualsiasi giudizio di valore sul grado di rilevanza dei materiali.
Ci spostiamo sensibilmente sul versante della tutela se prendiamo in considerazione il contributo rappresentato da un lavoro innovativo, e in certa parte
tuttora attuale, apparso alle stampe negli anni 1880 e 1881, la Statistica degli
archivii della Regione veneta 7, risultato di una rilevazione che coinvolse direttamente, tra l’altro, sia la Venezia Giulia che il Friuli. Che la prospettiva della
tutela sia in questo caso dominante, si spiega col carattere ufficiale dell’iniziativa, sostenuta dai mezzi del Ministero dell’interno – allora competente in
materia di archivi – e ancor più dall’operosità e dalla dedizione di Bartolomeo
Cecchetti 8, regio sovrintendente agli Archivi veneti. Nel suo indirizzo Al
lettore 9 Cecchetti, dopo aver constatato l’imponenza della documentazione
censita e insieme la gravità delle perdite rilevate, rivendica proprio al « Governo », nella legge archivistica che allora si trovava in corso di studio, il compito
di « invigilare sul prezioso patrimonio e toglier per sempre che si rinnovino fatti
deplorevoli » a danno di un bene che trascende il mero interesse locale; e
5
Documenti per la storia del Friuli dal 1317 al 1325... cit., p. 3.
6
Diplomatarium Portusnaonense... cit., pp. IV-V.
Statistica degli archivii della Regione veneta [a cura di B. CECCHETTI], Venezia, Naratovich, 1880-1881, voll. 3.
7
Cfr. P. PRETO, Cecchetti Bartolomeo, in Dizionario biografico degli italiani, XXIII, Roma,
Istituto dell’enciclopedia italiana, 1979, pp. 227-230.
8
9
Statistica degli archivii... cit., I, pp. V-VII.
Pierpaolo Dorsi
12
sottolinea, con accenti ancora romantici, risorgimentali, il valore morale e
politico di una simile missione: « questo affetto al passato non può non essere la
religione di tutti »; « adesso questo patrimonio (…) è tutto nostro: serbiamolo
come il più grande, il più glorioso monumento della nazione ».
Nel primo dei tre volumi che formano l’opera, l’indagine approfondisce –
per distretto e per Comune – la situazione degli archivi dell’allora provincia di
Udine, al di qua e al di là del Tagliamento 10, e ne registra – anche se solo
parzialmente, come vedremo subito – la notevolissima consistenza, evidenziando i particolari addensamenti che interessano, subito dopo il capoluogo, la città
di Cividale, e poi Tolmezzo, Spilimbergo, San Daniele, Sacile, Pordenone 11.
Vengono presentati anche i dati, ottenuti per le vie ufficiali, sugli archivi di
Trieste e dell’Istria, all’epoca austriache 12, mentre non vi è menzione degli
archivi della contea di Gorizia.
Ogni censimento, ogni guida d’archivio non può che interessare una selezione di archivi o documenti – individuati su base ora tematica, ora geografica,
ora settoriale – posto che una descrizione « universale » del patrimonio documentario non appare praticabile. Conformemente all’orientamento proprio
dell’archivistica del tempo, la Statistica di Bartolomeo Cecchetti si concentra
quasi esclusivamente sugli archivi pubblici. Quanto alla documentazione ecclesiastica, sono rappresentati regolarmente solo gli archivi diocesani e capitolari e
i fondi delle congregazioni soppresse, mentre rarissime sono le notizie che
riguardino archivi parrocchiali all’infuori delle sedi vescovili; quasi assenti gli
archivi privati, salvo qualche modesto accenno a fondi o collezioni in possesso
di studiosi o di nobili famiglie; non si trova nulla a proposito di altre categorie
di archivi, ad esempio quelli economici o scolastici. Per una sessantina di
Comuni friulani manca poi ogni tipo di informazione.
Nonostante la modestia programmatica espressa dal titolo Statistica degli
archivii, Cecchetti non si limita a registrare dei dati quantitativi, ma li correda
regolarmente di una descrizione. Tuttavia non vi è uniformità nella scala prescelta per la descrizione degli archivi selezionati: unità di riferimento prevalente
è la serie, ma in certi casi – come per alcuni manoscritti cividalesi – si scende al
livello del singolo pezzo, mentre altrove – al contrario – un’unica formula
descrittiva basta a coprire l’intero patrimonio di un ente. Il curatore è conscio di
questa e di altre mancanze, dovute alle difficoltà di un’indagine condotta in
contesti territoriali diversi e in rapporto con diverse autorità locali, ma sottolinea che « restano molte notizie, le quali, se pure non esattissime, attestano (…)
del luogo, della qualità e quantità di molti archivi; sono in somma un “qualche
cosa” nell’immane congerie degli archivi italiani » 13.
10
Ibid., I, pp. 350-469.
11
Ibid., III, pp. VI, 143.
12
Ibid., II, pp. 489-536.
13
Ibid., I, p. XI.
Strumenti conoscitivi per la tutela degli archivi nel Friuli Venezia Giulia
13
Nel decennio successivo viene avviata una nuova iniziativa di rilevazione e
descrizione generale degli archivi, questa volta sul piano nazionale, ad opera di
Giuseppe Mazzatinti, un nome che troviamo più spesso menzionato per i suoi
fondamentali contributi nel campo della bibliografia 14. La raccolta da lui fondata Gli archivi della storia d’Italia 15 nelle intenzioni manifestate e nelle prime
realizzazioni si presenta più ricca e accurata rispetto alla Statistica di Cecchetti,
e non solo per l’estensione all’intero territorio nazionale; ad un bilancio complessivo risulterà però anch’essa non più di un « qualche cosa » nel tentativo di
dar forma a una guida generale del patrimonio archivistico italiano. Conoscenza
e tutela vanno di pari passo tra gli obiettivi espressi da Mazzatinti: « necessità
urgente di conoscere, magari per via d’un sommario inventario, il ricco patrimonio degli Archivi, per la maggior parte inesplorato », ma anche « dichiarare
pubblicamente il pregio e la quantità delle carte (…) sì che queste siano tenute
con maggior cura e ne sia così impedita la dispersione e la vendita (posso citare
esempi) a’ bottegai » 16.
Mazzatinti non intende escludere dall’indagine alcun tipo di archivio (« di
qualunque Istituto, di qualunque Sodalizio, di qualunque privato ») né privilegiare la documentazione più antica rispetto a quella d’interesse per la storia
contemporanea, si mostra attento anche agli archivi ecclesiastici e al materiale
documentario conservato dalle biblioteche. Le voci dedicate ai diversi Istituti di
conservazione sono introdotte da cenni storici e corredate da bibliografia; la
descrizione viene condotta generalmente per serie archivistiche, talvolta anche
sulle singole unità se ritenute assai notevoli per antichità o per l’appartenenza a
specifiche classi diplomatiche. La sistematica su base territoriale già adottata
per la regione veneta da Cecchetti viene mantenuta, ma unicamente rispetto al
Comune di ubicazione dell’archivio; i materiali via via disponibili vengono
pubblicati, Comune per Comune, senza seguire un ordine prefissato.
Ma veniamo al risultato per quanto concerne il Friuli: sono solo quattro i
Comuni friulani censiti nel complesso della raccolta 17. Per Cividale Mazzatinti
rinvia a Cecchetti, ma corregge e amplia notevolmente gli elementi riferiti
all’Archivio « ex-capitolare » esistente presso il Museo nazionale, valendosi
dell’inventario del direttore Alvise Zorzi, come migliora la descrizione dell’antico Archivio municipale. Su Gemona rimanda a Cecchetti per i fondi amministrativi più recenti, mentre – grazie alle informazioni di Valentino Baldissera –
riesce ad accrescere e correggere le notizie riportate da Cecchetti a proposito
Non mancano incursioni nel territorio archivistico anche nella sua principale opera bibliografica, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, Forlì, Bordandini, 1890-1906, voll. 13.
Per questa regione si veda il vol. III, 1893, pp. 100-238, con i capitoli dedicati a San Daniele,
Cividale e Udine.
14
Gli archivi della storia d’Italia, a cura di G. MAZZATINTI - G. DEGLI AZZI, Rocca San Casciano, Cappelli, 1897-1915, voll. 9.
15
16
Ibid., I, pp. 5-6.
17
Ibid., I, pp. 7-15.
Pierpaolo Dorsi
14
dell’Archivio comunale; per primo introduce gli archivi parrocchiale e del
Duomo, rilevando la presenza dei noti libri battesimali « dal 1379 ». Per Maniago le notizie ottenute da Vincenzo Joppi permettono a Mazzatinti di inserire la
descrizione analitica dell’archivio « Maniago ora Attimis ». Una voce autonoma
viene dedicata a Porpetto, dove il curatore ha avuto modo di esaminare personalmente e descrivere l’archivio Frangipane, che Cecchetti si era limitato a
menzionare.
Dopo i primi cinque volumi, nella seconda serie de Gli archivi della storia
d’Italia, curata da Giustiniano degli Azzi, muta l’impostazione: al centro dell’interesse sono pochi grandi istituti di conservazione, Archivi di Stato e archivi
storici cittadini, dei quali vengono pubblicate ampie guide e inventari. Sembra
venire alla luce così la contraddizione tra la volontà, o meglio l’illusione di
stampo positivista, di rendere disponibili rapidamente – attraverso una sommaria ricognizione generale – il maggior numero possibile di dati di fatto sul
maggior numero di archivi e, dall’altra parte, la necessità innegabile di procedere preliminarmente a una vasta opera di concreta organizzazione e chiarificazione di un patrimonio poco noto e, in molti casi, preda dell’incuria.
Le imprese ardite e precorritrici di Cecchetti e Mazzatinti servirono indubbiamente, al di là della messe di dati comunque pubblicati, a rendere evidente la
dimensione del problema della salvaguardia degli archivi, a far comprendere
come fosse indispensabile disciplinare la materia con strumenti normativi più
stringenti, presidiare anche sotto quest’aspetto un territorio così ricco di testimonianze, ampliare la rete ancora ridotta degli istituti specializzati di conservazione. La pubblicazione de Gli archivi della storia d’Italia si arrestò alla vigilia
del primo conflitto mondiale. Da allora, per mezzo secolo, non si diede avvio a
iniziative paragonabili; si lavorò invece diffusamente e proficuamente all’inventariazione e all’elaborazione di guide particolari di singoli istituti archivistici, finché – a partire dagli anni Sessanta del Novecento – non fu concepita
quella che sarebbe stata la Guida generale degli Archivi di Stato 18, in qualche
modo il frutto del lavoro svolto nei decenni precedenti all’interno degli istituti.
Promotrice della Guida generale era l’Amministrazione degli Archivi di Stato,
centralizzata e forte di una tradizione scientifica ormai consolidata.
Ma nemmeno la Guida generale ambiva a fornire quella rappresentazione
onnicomprensiva del patrimonio documentario distribuito sul territorio nazionale che era stata perseguita, con scarso successo, dalle compilazioni di matrice
ottocentesca. Vi si trovano descritti i fondi esistenti presso gli Archivi di Stato,
dunque una parte assai rilevante sotto i profili quantitativo e qualitativo di tale
patrimonio, ma non certo la totalità. Quattro sono gli istituti del Friuli Venezia
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVIGuida generale degli Archivi di Stato italiani, Roma 1981-1994, voll. 4. Un precedente da
citare, anche se di tutt’altra scala, è il volume MINISTERO DELL’INTERNO, UFFICIO CENTRALE DEGLI
ARCHIVI DI STATO, Gli Archivi di Stato italiani, Bologna, Zanichelli, 1944.
18
STICI,
Strumenti conoscitivi per la tutela degli archivi nel Friuli Venezia Giulia
15
Giulia ad essere rappresentati in questo lavoro, gli Archivi di Stato, appunto,
funzionanti nei capoluoghi di provincia 19; ma gli ampi capitoli dedicati nella
Guida generale alla storia delle istituzioni nella nostra regione possono essere
di utile riferimento per chiunque in quest’ambito territoriale si occupi di lavori
archivistici.
Dagli anni Ottanta è sempre l’Amministrazione archivistica, sulla scia dell’esperienza maturata con la Guida generale, a curare per le proprie collane, in
collaborazione con varie istituzioni o rappresentanze di categoria, diverse guide
settoriali che conferiscono giusto rilievo a importanti tipologie di documentazione d’archivio non statale, diffusa sul territorio. Vengono a comporsi così, ma
solo per gradi, alcuni tasselli di quella descrizione complessiva degli archivi che
si erano prefissi, coraggiosamente ma anche – a giudizio di noi posteri – ingenuamente, Cecchetti e, ancor più, Mazzatinti.
Tra le guide settoriali apparse in quella fase ricordiamo, dal momento che
interessano almeno parzialmente la nostra regione, la Guida agli archivi della
Resistenza 20, la Guida degli archivi diocesani d’Italia 21, la Guida degli archivi
capitolari 22, la Guida agli archivi storici delle Camere di commercio 23. Una
menzione particolare spetta all’opera Archivi di famiglie e di persone 24, il cui
sottotitolo Materiali per una guida vuol esprimere il carattere di provvisorietà
insito in una simile operazione, soprattutto per una materia delicata e quasi
sfuggente come quella degli archivi privati: il capitolo relativo al Friuli Venezia
Giulia presenta 169 voci riferite a nuclei documentari prodotti da famiglie o
individui, indipendentemente dalla sede – privata o pubblica – di conservazione.
E proprio a questo proposito sarà bene ricordare anche l’importante iniziativa
del Centro di studi storici Giacomo di Prampero che dieci anni prima, con la sua
19
Guida generale... cit., II, pp. 355-375 (Gorizia); III, pp. 807-821 (Pordenone); IV, pp. 757798 (Trieste), pp. 799-838 (Udine).
Guida agli archivi della Resistenza, a cura della Commissione Archivi - Biblioteca
dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, Roma 1983. In particolare: pp. 509-524 (Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia
Giulia); pp. 525-548 (Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione). Si veda ora in
Guida agli archivi della Resistenza, a cura di A. Torre, n. mon. « Rassegna degli Archivi di Stato »,
n.s., II (2006), pp. 263-283 (Friuli Venezia Giulia).
20
21
ASSOCIAZIONE ARCHIVISTICA ECCLESIASTICA, Guida degli archivi diocesani d’Italia, Roma 1990-1998, voll. 3. In particolare: I, pp. 292-294 (Trieste); II, pp. 110-113 (Gorizia), pp. 272274 (Udine); III, pp. 120-125 (Concordia-Pordenone).
22
Guida degli archivi capitolari d’Italia, Roma 2000-2006, voll. 3. In particolare: I, pp. 135137 (Concordia-Pordenone), pp. 315-320 (Trieste); III, pp. 161-167 (Udine).
UNIONE ITALIANA DELLE CAMERE DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTUGuida agli archivi storici delle Camere di commercio italiane, a cura di E. BIDISCHINI - L.
MUSCI, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1996. In particolare: pp. 54-56 (Gorizia), pp.
120-125 (Trieste), pp. 125-126 (Udine).
23
RA,
24
Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, I. Abruzzo-Liguria, Roma 1991;
II. Lombardia-Sicilia, Roma 1998. Sugli archivi del Friuli Venezia Giulia, I, pp. 127-158.
Pierpaolo Dorsi
16
Guida agli archivi e biblioteche privati 25, pubblicò le schede di ben 127 archivi
privati della regione.
Successivamente, il graduale introdursi delle applicazioni informatiche nel
campo del lavoro archivistico ha permesso di delineare nuove soluzioni tecniche e nuove prospettive metodologiche nei confronti del problema, sempre
attuale, di una rilevazione e descrizione ad ampio raggio degli archivi diffusi sul
territorio. Lo strumento tradizionale della guida, intesa come prodotto a stampa,
si è rivelato a questo punto limitato nelle sue potenzialità rispetto al censimento
archivistico, praticato già in precedenza ma con valore ridotto, di ricognizione
sommaria e preparatoria, da considerarsi ora invece come la forma usuale di
rilevazione di un patrimonio diffuso, del quale vengono ricavati gli elementi
essenziali – ma non necessariamente provvisori e incompleti – che vengono a
implementare gradualmente una banca dati archivistica.
A paragone della guida d’archivio, per definizione prodotto concluso in se
stesso 26, le banche dati create attraverso il censimento si presentano come
strumenti dinamici e versatili. Nella fase di formazione consentono di sfruttare e
coordinare in maniera ottimale il contributo di più collaboratori che operino
ciascuno autonomamente sul campo; permettono di rendere disponibili già in
corso d’opera i dati raccolti, a beneficio degli stessi collaboratori ma anche,
eventualmente, di un pubblico più vasto di interessati. Aggiornamenti e revisioni si possono apportare regolarmente, senza che venga pregiudicata l’economia
complessiva del lavoro: ed è questo un vantaggio capitale se si considera che gli
archivi per loro natura sono destinati all’incremento, che è sempre prevedibile
emergano nuclei documentari inizialmente non individuati, o che dagli interventi di riordinamento risultino elementi nuovi in merito alla struttura e al contenuto di fondi già censiti. Aggiungiamo la possibilità di consultare la banca dati
mediante chiavi di ricerca multiple, anche incrociate, e la possibilità di una sua
diffusione in rete, con piene funzionalità di consultazione 27.
Guida agli archivi e biblioteche privati del Friuli e Venezia Giulia, a cura di M. DI PRAMP.C. IOLY ZORATTINI - L. DE BIASIO, Udine, Centro di studi storici Giacomo
di Prampero, 1982.
25
PERO DE CARVALHO -
26
Non è un caso che della stessa Guida generale degli Archivi di Stato italiani sia stata realizzata
poi una versione informatizzata, inevitabilmente condizionata dalla concezione editoriale originaria, ma
funzionale a più raffinate esigenze di interrogazione e in grado di accogliere regolari aggiornamenti.
27
Benché corredata da supporti informatici pienamente sostitutivi del testo a stampa, si presenta ancora come un prodotto editoriale convenzionale La mappa archivistica della Sardegna, a
cura di S. NAITZA - C. TASCA - G. MASIA, Cagliari, La Memoria storica, 2001-2004, voll. 3, pubblicata per iniziativa della Regione sarda. L’opera fornisce i risultati ancora parziali di un vero e
proprio censimento archivistico condotto nell’isola a partire dal 1996, secondo una scala di rilevazione eccezionalmente minuta: esclusi i soli archivi statali, si scende a descrivere la documentazione
di una quantità di enti « minori », quasi mai soggetti a tutela, quali piccole imprese, istituti educativi
e assistenziali, associazioni locali d’ogni genere. I quattro ponderosi tomi finora pubblicati riescono
a coprire solamente la città di Sassari e due microaree rurali, ma bastano a dare la misura della
vastità e della molteplicità della produzione documentaria, anche contemporanea, formata al di fuori
delle istituzioni « consolidate ».
Strumenti conoscitivi per la tutela degli archivi nel Friuli Venezia Giulia
17
La prima banca dati archivistica territoriale che abbia interessato il Friuli
Venezia Giulia sorse negli anni Novanta. Si trattò di Anagrafe, la banca dati
nazionale degli Archivi soggetti alla « vigilanza » – oggi si dice piuttosto
« tutela » – dell’Amministrazione archivistica, creata attraverso il lavoro delle
Soprintendenze archivistiche a fini esclusivamente gestionali, con lo scopo cioè
di programmare meglio e incrementare l’attività di tutela grazie a una migliore
conoscenza del patrimonio esistente in ciascuna regione; le informazioni raccolte e organizzate nell’ambito di Anagrafe non erano destinate alla diffusione né
alla consultazione all’esterno dell’Amministrazione. Nella nostra regione la
Soprintendenza archivistica ha censito per questo progetto tutti gli archivi
comunali e buona parte di quelli parrocchiali.
In seguito, e siamo intorno agli anni 1997-1998, si volle fare un passo ulteriore, decidendo di estendere la funzionalità dei dati allora raccolti, e di quelli
che si sarebbero aggiunti via via, dal piano gestionale, che resta valido
all’interno delle Soprintendenze archivistiche, al piano descrittivo, destinato alla
diffusione a distanza e quindi alla ricerca e alla consultazione da parte del
pubblico. Questa evoluzione ha richiesto una fase di studio e di adattamento,
che ha portato alla creazione – a partire da Anagrafe – di un più vasto sistema
informativo, esteso a tutto il territorio nazionale, che ora viene implementato
ulteriormente dalle Soprintendenze delle varie regioni ed è consultabile su
Internet (http://siusa.signum.sns.it): è il Sistema Informativo Unificato delle
Soprintendenze Archivistiche (SIUSA), che a regime conterrà elementi descrittivi essenziali, ma non minimali, di tutti gli archivi privati e pubblici che dalla
nostra legislazione sono considerati « beni culturali ». È previsto che, in futuro,
questa banca dati si integri col Sistema Informativo degli Archivi di Stato
(SIAS), attualmente in costruzione, in vista di quel Sistema Archivistico Nazionale che dovrà realizzare, o almeno avvicinarsi, all’obiettivo, così a lungo
inseguito, di una rappresentazione generale del patrimonio documentario.
A proposito della regione Friuli Venezia Giulia va ricordato che sono in
via di costituzione due banche dati specializzate (o « di settore ») dedicate agli
archivi parrocchiali: quella avviata nel 2000 dall’Istituto Pio Paschini per le
parrocchie dell’Arcidiocesi di Udine, che si trova allo stadio finale, e quella
curata, a partire dal 2004, per l’Arcidiocesi di Gorizia dall’Istituto di scienze
sociali e religiose di quella città. Sono due iniziative che si valgono degli
standard archivistici e dei mezzi tecnologici più aggiornati a disposizione oggi
per simili indagini, e interessano un patrimonio di eccezionale rilievo: da qui la
consulenza e la collaborazione fornite dalla Soprintendenza archivistica, in
particolare al momento di formulare la griglia degli elementi oggetto di rilevazione.
Estesa a tutto il territorio regionale e ad ogni tipologia di archivio è invece
l’indagine Documenti antichi dagli archivi friulani, sulla quale verte in modo
particolare l’incontro di oggi, che si sta sviluppando in collaborazione e col
sostegno finanziario dell’Amministrazione archivistica. Sono interessati da
questo censimento gli archivi privati, pubblici, ecclesiastici del Friuli Venezia
18
Pierpaolo Dorsi
Giulia che conservino materiali anteriori al 1500; all’interno di questi viene
rilevata con speciale attenzione la presenza di documenti contenenti testi in
lingua friulana o comunque in volgare.
In questo caso sono i testi dei documenti a costituire il tema centrale
d’interesse, un tema linguistico, che tiene fede alla tradizione scientifica della
Società filologica friulana promotrice della rilevazione. Ma l’indagine sul
campo, come la banca dati che ne risulta, e la guida – appunto – tematica che si
intende produrre a conclusione, non si limitano a isolare i materiali rilevanti
sotto il profilo linguistico. Com’è indispensabile nella prospettiva dell’archivista ma anche dello storico, viene rilevato e descritto l’intero contesto di
produzione e di conservazione di tali documenti: fondo documentario, ente
produttore e soggetto conservatore sono voci cardine della scheda che viene
redatta, secondo lo schema elaborato con la consulenza tecnico-archivistica
della Soprintendenza.
È questo il motivo che ha indotto, a suo tempo, l’ufficio da me diretto a
presentare il progetto della Filologica alla Direzione generale per gli archivi e a
sollecitarne la concreta adesione. L’Amministrazione archivistica ha riconosciuto all’indagine che veniva proposta il carattere di un valido strumento conoscitivo, in grado di fornire supporto all’attività istituzionale di tutela, nella consapevolezza che costruire, gradualmente e grazie alla collaborazione tra diversi
soggetti, un’evidenza delle fonti, se di per sé non basta a risolvere i problemi
della salvaguardia, costituisce certamente una premessa indispensabile per
raggiungere quello scopo cui tutti, da varie prospettive, tendiamo.
PIERPAOLO DORSI
Soprintendenza archivistica
per il Friuli Venezia Giulia
DOCUMENTI ANTICHI DAGLI ARCHIVI FRIULANI.
IL PROGETTO ∗
1. Premessa. – Una convenzione stipulata tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Società filologica friulana, nel febbraio del 2003, ha dato
avvio al progetto di ricerca Documenti antichi dagli archivi friulani. Una parte
senza dubbio fondamentale, per giungere alla stipula della convenzione, ha
avuto la Soprintendenza archivistica per il Friuli-Venezia Giulia. Ai promotori
dell’iniziativa si sono poi aggiunti alcuni istituti ed enti culturali della regione
che, in forme diverse, hanno sostenuto la ricerca e collaborato al buon esito
della stessa. Tra questi segnalo in particolare l’Istituto « Pio Paschini » per la
storia della Chiesa in Friuli, che sta ultimando il censimento degli archivi
parrocchiali dell’Arcidiocesi di Udine e che ci ha dato accesso, con generosità,
alle sue banche dati; la Biblioteca civica « V. Joppi » di Udine, che ha contribuito alla schedatura analitica dei documenti antichi in volgare conservati nelle sue
cospicue raccolte documentarie; l’Archivio diocesano di Concordia-Pordenone,
che ci ha favorito nella consultazione dei molti fondi parrocchiali del Friuli
occidentale versati presso tale istituzione. Oltre a questi devo accennare, quanto
meno, all’ottima accoglienza e collaborazione che ci hanno accordato alcuni
grossi enti conservatori della regione, in primis l’Archivio di Stato di Udine, la
Biblioteca del Museo archeologico nazionale di Cividale del Friuli e la Biblio∗
Costituisce motivo di viva soddisfazione poter ora presentare alla comunità scientifica, in
questa prestigiosa sede editoriale della « Rassegna degli Archivi di Stato », i risultati ottenuti in
questi anni di lavoro; negli Atti sono raccolte, in particolare, tutte le comunicazioni svolte durante il
convegno, nell’ordine in cui sono state presentate, con l’aggiunta di una Appendice documentaria
nella quale si portano alcuni esempi di scripta volgare di area friulana. Il mio ringraziamento va a
tutti quelli che mi hanno aiutato e consigliato durante lo svolgimento del progetto, in particolare a
Pierpaolo Dorsi e Anna Gonnella, della Soprintendenza regionale, a Mauro Tosti-Croce, referente
del lavoro alla Direzione generale per gli archivi, che ha seguito con costante attenzione tutte le fasi
di realizzazione della ricerca, alla redazione della « Rassegna degli Archivi di Stato », e a tutti i
collaboratori e amici che si sono impegnati per il miglior esito dell’iniziativa. Un ringraziamento
particolare va a Katia Bertoni, bibliotecaria della Società filologica friulana, che da anni mi assiste,
con impegno, competenza e passione, nello svolgimento di questo e di altri lavori riguardanti il
patrimonio documentario e linguistico della nostra regione. L’auspicio che mi sento di formulare, in
questa occasione, riguarda la prosecuzione del progetto, che promette di offrire ulteriori dati di
grande interesse per lo studio della storia e della società friulana.
Federico Vicario
20
teca comunale « V. Baldissera » di Gemona del Friuli, che conserva serie di
Cameraria quasi complete a partire dal Trecento 1. Una menzione a parte, in
questo quadro, spetta poi alla Provincia di Udine, che ha concretamente sostenuto, nella fase iniziale del lavoro, lo svolgimento di alcune ricognizioni di
fondi archivistici del territorio di sua competenza, come anche al Centro di
catalogazione e restauro di Villa Manin di Passariano, emanazione della Regione autonoma, che ha finanziato la realizzazione di alcune schede censimento. In
definitiva, e di ciò non possiamo che esserne lieti, il progetto ha raccolto
un’adesione e una partecipazione importanti, a diversi livelli, e ha avuto una eco
significativa nell’ambiente culturale della nostra regione.
2. Obiettivi del progetto. – Il progetto si proponeva, al suo avvio, di realizzare una vasta azione di ricognizione degli archivi e dei fondi presenti sul
territorio regionale e di intraprendere, contestualmente, l’individuazione e la
segnalazione delle fonti antiche in volgare dalle origini alla fine del XV secolo 2.
L’opera di individuazione, di schedatura e di edizione dei documenti antichi in
volgare – volgare che nella nostra regione può essere, come noto, sia il friulano
che il cosiddetto « tosco-veneto » – costituisce un programma di studio senza
dubbio molto impegnativo, data l’estensione dell’area da investigare, e interessa, per altro, discipline diverse come l’archivistica, la paleografia e la filologia.
Tale azione si configura, fatto questo di non secondaria rilevanza, come preliminare e necessaria in previsione della realizzazione, o magari della ripresa, di
fondamentali opere di linguistica e di lessicografia storica.
Il termine temporale della ricerca è stato fissato, come detto, alla fine del
XV secolo. Ciò è stato stabilito valutando la progressiva rarefazione, nel Quattrocento, dei documenti di uso pratico in volgare friulano e la sempre maggiore
presenza, di converso, di documenti in tosco-veneto. Come si sa, la caduta del
Patriarcato di Aquileia ad opera della Repubblica di Venezia, nel 1420, porta
all’occupazione di gran parte del Friuli da parte della Serenissima; da questo
momento è sempre più frequente, e non solo nella scripta (lingua scritta),
l’adozione di quel volgare venezianeggiante, il tosco-veneto appunto, che
meglio si addiceva, rispetto al friulano, alla comunicazione con la Dominante e
con le altre regioni della Cisalpina, con le quali i rapporti andavano gradualCfr. Il registro battesimale di Gemona del Friuli 1379-1404, a cura di F. DE VITT, Udine,
Deputazione di storia patria per il Friuli, 2000; Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine,
Società filologica friulana - Comune di Gemona del Friuli (UD), 2001, voll. 2.
1
2
Il progetto è presentato per linee essenziali in F. VICARIO, Documenti antichi dagli archivi
friulani. Un progetto tra Ministero per i beni culturali e Società filologica friulana, in « Ce fastu? »,
LXXX (2004), pp. 143-150; per lo stato di avanzamento dei lavori si veda ancora F. VICARIO, Il
progetto « Documenti antichi dagli archivi friulani ». Materiali per lo studio del friulano delle
origini, in « Bollettino dell’Atlante linguistico italiano », 29 (2005), pp. 213-221; ID., « Documenti
antichi dagli archivi friulani ». Risultati del progetto (2003-2006), in « Ce fastu? », LXXXII (2006),
pp. 275-282.
Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto
21
mente intensificandosi 3. Verso la fine del Quattrocento, per quanto ne sappiamo, non si trovano praticamente più documenti contabili e amministrativi in
friulano se non nelle località di Tricesimo, Tolmezzo e Montenars, mentre nelle
tre città principali della regione, Udine, Cividale del Friuli e Gemona del Friuli,
la scripta in volgare resta prerogativa del tosco-veneto 4. La data della fine del
XV secolo, per la sistematica ricognizione e schedatura dei fondi, risulta d’altra
parte quasi obbligata, se si considera che la produzione scritta nel Friuli del
Cinquecento, e ancor più nei secoli seguenti, si fa talmente vasta da risultare
praticamente ingovernabile, aumentando considerevolmente il rischio di non
riuscire a concludere, con successo, il lavoro intrapreso.
Il patrimonio documentario preso in esame è costituito in gran parte da
scritture di carattere contabile e amministrativo – elenchi di confraternite, note
di camerari, atti di cancelleria, registri di affitti e livelli, confinazioni, donazioni, testamenti, processi ecc. – conservate in archivi e biblioteche della regione
friulana 5. Tra i principali fondi oggetto della ricerca, si segnalano le ricchissime
raccolte di carte, anche in volgare e per lo più inedite, delle amministrazioni
civili e religiose, nonché delle confraternite storiche, dei principali centri della
regione: Cividale del Friuli, Cordenons, Gemona del Friuli, Gorizia, Monfalcone, Muggia, Pordenone, Portogruaro, San Daniele del Friuli, Spilimbergo,
Tolmezzo, Trieste, Udine, Venzone. La ricognizione archivistica non ha riguardato naturalmente solo queste località, per i fondi delle quali già disponiamo in
alcuni casi di analitici strumenti di corredo, ma anche i centri minori, dove
molto numerose sono le raccolte documentarie, più o meno antiche e consistenti, in particolare alcuni archivi parrocchiali o privati. Il complessivo lavoro di
ricerca condotto sui fondi porterà alla pubblicazione di uno o più volumi, con la
descrizione delle ricerche compiute e dei dati raccolti; si prevede inoltre, con il
sostegno degli enti interessati alla valorizzazione dei propri fondi, la produzione
3
Con « tosco-veneto » designiamo, quindi, il volgare non friulano in uso nella scripta del
Friuli di questo periodo, un volgare che presenta una serie di tratti veneziani, depurati dagli elementi
avvertiti come troppo municipali, e tratti toscaneggianti, cfr. F. VICARIO, Carte venezianeggianti
dagli Acta Camerariorum Communis di Cividale del Friuli (anno 1422), « Atti dell’Istituto veneto
di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti », CLIX (2001), 2, pp. 509-541;
ID., Elementi tosco-veneti e tendenze demunicipalizzanti in antiche carte friulane, in Alpes Europa.
Neves enrescides soziolinguistiches tl Europa. Nuove ricerche sociolinguistiche in Europa. Neue
soziolinguistiche Forschungen in Europa, a cura di F. CHIOCCHETTI - V. DELL’AQUILA - G.
IANNACCARO, Trento/Trient, Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, 2002, pp. 307-322.
Sui fenomeni di interferenza tra diversi codici, in questo periodo, si rimanda a F. VICARIO,
Interferenze lessicali in un testo friulano medievale (1350-1351), in « Studi di lessicografia italiana », 18 (2001), pp. 69-121; ID., Cividale 1340. Note di cameraria tra friulano e tosco-veneto, in
« Revue de linguistique romane », 2006, 279-280, pp. 471-518.
4
5
Sullo stato delle ricerche sui documenti friulani antichi, in generale, cfr. Il registro della
Confraternita dei Pellicciai di Udine, a cura di F. VICARIO, Udine, Società filologica friulana, 2003,
pp. 13-30, ID., Fonti documentarie tardomedievali e studi lessicografici sul friulano, in Lessicografia dialettale. Ricordando Paolo Zolli. Atti del convegno, Venezia, 9-11 dicembre 2004, a cura di F.
BRUNI - C. MARCATO, Roma-Padova, Antenore, 2006, pp. 189-200 (Biblioteca Veneta 23-24).
22
Federico Vicario
di strumenti di descrizione dei singoli complessi archivistici investigati. Particolare attenzione viene riservata, a tale proposito, alla segnalazione e allo studio
delle fonti provenienti dalle aree friulane laterali, quindi all’area carnica, concordiese e tergestina. Nella raccolta troveranno posto, oltre a quelli in friulano,
anche i più notevoli documenti in volgare tosco-veneto (o italianeggiante), al
fine di rappresentare più compiutamente i caratteri della scripta volgare nel
Friuli del tardo Medioevo.
3. Le schede di rilevazione. – L’operazione di identificare e schedare i documenti di interesse viene condotta, come si diceva, sui fondi documentari della
regione, pubblici, ecclesiastici e privati, che raccolgono scritture, latine e
volgari, di epoca tardomedievale, dalle origini alla fine del XV secolo. Per gli
archivi comunali, parrocchiali e privati si è provveduto così, di concerto con la
Soprintendenza archivistica, all’approntamento di una apposita scheda censimento, con specifiche indicazioni sugli estremi cronologici dei fondi, la consistenza e la tipologia del materiale, lo stato di conservazione di tutto l’archivio.
Per i fondi archivistici conservati presso gli Archivi di Stato, che raccolgono
documentazione molto varia, o presso le biblioteche civiche più importanti del
Friuli (per esempio quelle di Udine o di Gorizia), è stata predisposta una scheda
informativa, che colloca il materiale all’interno delle raccolte dell’ente, con
l’integrazione di note storiche.
Al fine di pianificare meglio il lavoro di censimento archivistico e di seguirne lo stato di avanzamento è stata approntata anche una Tabella degli
archivi con l’elencazione completa e la precisa classificazione, per tipologia,
delle raccolte presenti nell’area di interesse 6.
Per lo svolgimento del programma di ricognizione e di inventariazione delle fonti documentarie di interesse, e dei relativi enti conservatori, si sono adottate, le seguenti schede di rilevazione: scheda Archivio (ente produttore ed ente
conservatore), scheda Fondo, scheda Serie e scheda Documento.
Nella scheda Archivio per l’ente conservatore sono previste le seguenti voci: denominazione, ubicazione, responsabile, condizioni di accesso, condizioni
dei locali, stato di conservazione delle carte, consistenza della documentazione
(metri lineari), note. Nella scheda Archivio sono previste, in particolare: denominazione e note storico-istituzionali per l’ente produttore (vetustà, variazioni),
descrizione dell’archvio (spostamenti, dispersioni, eventi bellici e calamitosi /
interventi archivistici / strumenti di corredo), serie rilevabili, fondi rilevabili,
libri catapani 7 prediche in friulano, note. Nella scheda Fondo si riportano:
6
La Tabella degli archivi è stata predisposta da Maura Cragnolini e aggiornata successivamente da Katia Bertoni. Questa Tabella costituisce anch’essa una novità, possiamo dire, dal
momento che non erano disponibili per il Friuli analoghe rassegne generali dei fondi archivistici
presenti sul territorio regionale.
7
Il termine catapan denomina in Friuli un libro in cui si registravano dati di grande importanza per l’amministrazione di una chiesa, come rendite e lasciti, in cambio dei quali la chiesa benefi-
Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto
23
intitolazione, estremi cronologici, consistenza, descrizione, serie rilevabili, note.
Nella scheda Serie, la più essenziale, si registrano: intitolazione, estremi cronologici, consistenza, note. La scheda Documento è quella più articolata e delicata, dato lo specifico obiettivo del progetto di ricerca, e contiene la puntuale
indicazione della lingua nella quale è vergato il pezzo. Essa contiene anche:
segnatura, intitolazione (sul dorso / sulla coperta / sulla guardia / sul frontespizio), datazione cronica / estremi cronologici, datazione topica, definizione
archivistica, supporto, dimensioni, cartulazione, legatura, condizionamento,
forma di trasmissione (originale o copia), contenuto / regesto, ornamentazioni e
simboli, lingua, stato di conservazione, restauri, note. Nel campo « lingua » il
raccoglitore dovrà indicare l’eventuale presenza nel documento del volgare,
magari anche limitata ad alcuni inserti, distinguendo possibilmente tra friulano e
tosco-veneto 8 e segnalare, per alcune specifiche tipologie documentarie, la
massiccia presenza di elementi onomastici (toponomastica e antroponimia) in
documenti vergati in latino. In tutte le schede sono contemplati, infine, i campi
per la bibliografia. Le schede, una volta prodotte e raccolte, sono state alla fine
immesse in un database generale 9.
4. Le trascrizioni. – Contestualmente alla schedatura di archivi e fondi documentari, si è provveduto, come accennato, a selezionare e a trascrivere alcuni
documenti inediti di particolare rilevanza 10. A semplice titolo di esempio, si
segnalano i pezzi conservati nel fondo Documenti storici friulani dell’Archivio
di Stato di Udine: il frammento di quaderno del cameraro di Cividale, di mano
ciata era tenuta a celebrare delle messe negli anniversari della morte del donatore, ma venivano
anche poste annotazioni relative ad eventi storici di grande importanza o a singolari fatti di cronaca.
Normalmente questi dati sono registrati all’interno di un calendario che rappresenta quindi la
struttura portante del codice stesso.
8
Il contatto linguistico produce fenomeni di interferenza e di contaminazione che rendono talora problematica la sicura attribuzione di un dato volgare ad uno dei due codici, così da ottenere
testi che rappresentano tutta una gamma di sfumature dallo schietto friulano, al volgare friulaneggiante, venezianeggiante o italianeggiante; si noti, in ogni caso, che una maggiore aderenza alle
forme popolare viene di norma conservata nelle forme onomastiche personali, mentre più esposta
alla pressione esterna risulta, in genere, la morfologia nominale.
Le schede prodotte nei sei semestri della convenzione, divise per tipologia, sono state complessivamente le seguenti:
9
Semestre
I - 2003
II - 2003
I - 2004
II - 2004
I - 2005
II - 2005
Totale
10
Archivio
15
5
29
40
91
57
180
Fondo
1
2
30
16
12
25
86
Serie
60
53
217
105
200
28
663
Documento
515
544
679
325
478
316
2855
Alcuni di questi sono presentati in questa sede, in Appendice agli Atti.
Totale
591
604
955
486
781
426
3843
Federico Vicario
24
di un certo Nicolussio, risalente al 1340 11, e il quaderno di Ermanno di Cividale, cameraro del Comune, del 1380. Sempre presso l’Archivio di Stato di Udine,
nel fondo delle Congregazioni religiose soppresse, si trova depositato il quaderno di Bortolomio di Zenone de Milan, della confraternita di S. Maria
dell’Annunciata dei Calegari, vergato tra il marzo del 1440 e il febbraio del
1441, documento che fa parte di un fondo molto ricco di carte per lo più proprio
in friulano 12. Ulteriori pezzi di rilevante interesse linguistico sono stati prodotti
dalla Pieve di S. Maria di Gemona del Friuli, cui appartiene la più cospicua
serie cameraria della regione per il Trecento; questi quaderni sono ora conservati, dopo il restauro di alcuni pezzi danneggiati dal terremoto del 1976, presso la
Biblioteca comunale « V. Baldissera » della cittadina 13. Sono stati inoltre trascritti i quaderni di Mattia, cameraro dal marzo 1371 al febbraio 1372, di
Daniele q. Marco Giusti, cameraro dal marzo 1382 al febbraio 1383, di Nicolao
Frassino, cameraro dal marzo 1384 al febbraio 1385 e di Guarnerio, cameraro
dal marzo 1386 al febbraio 1387.
Molto interessanti, per la nostra ricerca, sono anche alcuni archivi parrocchiali di Udine. Tra questi vi è l’archivio della parrocchia del Ss. Redentore,
dove si conserva il fondo antico della confraternita di S. Lucia dei Borghi
superiori di Udine. Della serie cameraria antica, ricca di decine di quadernetti
per lo più in volgare friulano, si sono trascritti due registri, rispettivamente per
gli anni 1407-1413 e per gli anni 1421-1423, ambedue di mani diverse. Provenienti da fondi meno investigati del Friuli, e fino ad ora mai segnalati, sono poi
il Libro di rendite di Codroipo (UD), risalente al XV secolo e depositato presso
l’archivio parrocchiale della medesima località, e il Libro di rendite di Artegna
(UD), sempre depositato presso il locale archivio parrocchiale, degli anni 15541575 14.
La scelta dei documenti da pubblicare, alla fine della raccolta, sarà operata
in base a criteri di antichità, interesse linguistico e storico, rappresentatività
geografica delle diverse aree della regione e dei fondi documentari investigati;
si darà preferenza, in particolare, ai documenti in friulano provenienti dalle aree
11
Questo frammento, già segnalato da V. JOPPI, Testi inediti friulani dei secoli XIV al XIX, in
« Archivio glottologico italiano », IV (1878), pp. 185-342, è ora pubblicato e commentato in F.
VICARIO, Cividale 1340... cit.
12
Alcuni tra i documenti in friulano della stessa confraternita dei Calzolai, già in parte pubblicati, sono depositati presso la Biblioteca civica « V. Joppi » di Udine, cfr. I rotoli della Fraternita
dei Calzolai di Udine, a cura di F. VICARIO, Udine, Biblioteca civica, 2001-2005, voll. 5.
Il primo a interessarsi di questi documenti fu, per altro, proprio Valentino Baldissera (cfr.
V. BALDISSERA, Saggi di antico dialetto friulano tratti dall’Archivio comunale di Gemona, in
« Pagine friulane », 1, 1888, 3, pp. 38-39; 7, pp. 105-106), cui la Biblioteca è dedicata; i primi
tredici registri in volgare, del Trecento, sono pubblicati in Quaderni gemonesi del Trecento. Pieve di
Santa Maria, a cura di F. VICARIO, I, Udine, Forum, 2007.
13
14
Quest’ultimo pezzo risulta particolarmente interessante proprio considerando la permanenza del friulano per la scripta usuale, a distanza di quasi un secolo e mezzo dal passaggio del Friuli
centro-occidentale alla Repubblica di Venezia.
Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto
25
laterali e finora meno rappresentate (soprattutto l’area carnica e quella concordiese).
Non sfugge, naturalmente, il fatto che una guida ai fondi antichi friulani
costituisca patrimonio degli studi storici del Friuli, in generale, e apra la strada a
ricerche e a lavori che vanno ben al di là dello specifico obiettivo del progetto
Documenti antichi dagli archivi friulani, che qui si presenta. Specifiche pubblicazioni si potranno naturalmente programmare e intraprendere, in momenti
successivi, per illustrare ulteriori lavori condotti sui singoli fondi indagati e si
potrà procedere inoltre alla pubblicazione di documenti in latino e in volgare
tosco-veneto di rilevante interesse storico e culturale, tra i quali si segnalano, ad
esempio, i numerosi statuti antichi di comuni o di confraternite, i libri catapani
delle chiese, gli atti dei processi civili ed ecclesiastici, i catastici, i registri
canonici e quant’altro 15.
5. I collaboratori. – I programmi di ricognizioni e schedatura dei singoli
archivi e fondi sono stati condotti da archivisti e paleografi di provata esperienza, collaboratori della Soprintendenza archivistica, del Centro regionale di
catalogazione e restauro di Villa Manin di Passariano (UD) e delle principali
istituzioni che si occupano della valorizzazione e dello studio del patrimonio
documentario antico del Friuli. Una condizione di particolare favore, da questo
punto di vista, è costituita anche dalla possibilità di avvalersi delle competenze
dei laureati del corso in Conservazione dei beni culturali dell’Università di
Udine, il primo attivato in Italia per questo specifico indirizzo, nonché dei
diplomati della Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio
di Stato di Trieste 16.
6. L’area investigata. – Il progetto di ricerca si estende un po’ oltre i confini amministrativi del Friuli di oggi, che comprende in buona sostanza le tre
province di Udine, Pordenone e Gorizia. Occupandoci di documenti tardomedievali, e segnatamente della presenza del volgare (friulano o friulaneggiante) in
questi documenti, si è ritenuto di considerare il territorio friulano come si
presentava tra Tre e Quattrocento, includendo quindi anche il vecchio mandamento di Portogruaro, dalla metà dell’Ottocento staccato dalla Patria del Friuli e
Si segnala che proprio dal Friuli, e precisamente da Gemona del Friuli, vengono tre registri
battesimali del XIV e del XV secolo, pezzi di straordinaria rilevanza archivistica, addirittura i primi
in Europa per tale tipologia documentaria, cfr. Il registro battesimale… cit. e F. DE VITT, I più
antichi registri battesimali di Gemona del Friuli (1379-1482), in Archivi gemonesi, a cura di F.
VICARIO, I, Udine, Società filologica friulana, 2001, pp. 15-52.
15
16
Hanno collaborato al progetto i seguenti archivisti e paleografi: David Asquini; Manuela
Beltramini; Katia Bretoni; Enrica Capitanio; Michela Ceschia; Roberta Corazza; Maura Cragnolini;
Gabriella Cruciatti; Miriam Davide; Mauro Flati; Annarita Lepre; Maria Elena Mauro; Luca Olivo;
Beatrice Pitassi; Paola Sist; Luisa Villotta. A questi si aggiungono inoltre Gilberto Dell’Oste,
Giuliana di Brazzà, Manuela Marzocco e Alba Zanini, che hanno collaborato solo alle ricognizioni
promosse dalla Provincia di Udine.
26
Federico Vicario
annesso nella provincia di Venezia. Sono di interesse del progetto anche il
comune di Motta di Livenza, con la frazione di Lorenzaga, in provincia di
Treviso, località entrambe appartenenti alla Diocesi di Concordia-Pordenone, e
il comune di Sappada, in provincia di Belluno, tuttora sotto l’arcidiocesi di
Udine. La decisione di allargare il campo di ricerca ai territori storicamente o
linguisticamente friulani, ha portato inoltre a considerare anche l’odierna provincia di Trieste, con le importanti località di Muggia e della stessa Trieste,
dove un volgare friulano – il muglisano e il tergestino rispettivamente – si
parlava fino alla seconda metà dell’Ottocento.
I lavori di ricognizione e schedatura hanno riguardato, per lo più, la vasta
provincia di Udine, la provincia di Gorizia, e la provincia di Pordenone. La
maggior parte degli archivi oggetto di ricognizione sono parrocchiali; non
mancano però i fondi privati conservati negli Archivi di Stato e alcuni archivi
comunali. Per quanto riguarda nello specifico la provincia di Trieste, oggetto di
investigazione sono stati gli archivi parrocchiali di Duino Aurisina (con le
frazioni di Duino, Aurisina e Sistiana, ad esclusione della frazione di Malchina),
nonché alcuni archivi di famiglia conservati presso l’Archivio di Stato di Trieste
(famiglia della Torre Valsassina di Duino e Tasso). Per quanto riguarda le altre
zone del Friuli storico, si è lavorato in alcuni archivi parrocchiali di Portogruaro, in particolare negli archivi delle parrocchie di S. Andrea e S. Agnese, a
Portogruaro città, nella parrocchie di S. Margherita, frazione di Villanova di
Fossalta, e nella parrocchia di S. Giorgio nell’omonima frazione. Ancora non
investigati sono gli archivi dei comuni di Sappada e di Motta di Livenza,
rispettivamente in provincia di Belluno e di Treviso.Si fornisce in Appendice un
prospetto degli archivi esaminati nelle singole aree.
7. Osservazioni conclusive. – I lavori di ricognizione degli archivi friulani
e di edizione di manoscritti antichi in volgare friulano o tosco-veneto, dalla
seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri, non sono mancati. Dopo i pionieristici studi di Michele Leicht (1867) e di Alessandro Wolf (1874) 17, non possiamo non ricordare l’industrioso impegno di eruditi locali come Vincenzo Joppi
(1878) 18, a lungo direttore della Biblioteca civica di Udine, di Giovan Battista
Corgnali (1937; 1965-1967), di Giuseppe Marchetti (1962; 1964), come anche
l’apporto di riconosciute autorità della disciplina quali Alfredo Schiaffini (1921;
1922), Giovanni Frau (1971; 1991) e altri ancora. Ciò nonostante, la maggior
parte delle scritture antiche in friulano resta ancora poco o affatto conosciuta,
dal momento che non esiste alcun censimento affidabile di tale patrimonio,
neanche per i principali fondi della regione, e molte delle edizioni disponibili
17
Il lavoro di Wolf fu commentato sull’« Archivio glottologico italiano » da Ascoli; cfr. G.I.
ASCOLI, Ricordi bibliografici, in « Archivio glottologico italiano », II (1876), pp. 41-442.
18
Anche questo lavoro fu commentato, puntualmente, da Ascoli; cfr. G.I. ASCOLI, Annotazioni ai “Testi friulani”, in « Archivio glottologico italiano », IV (1878), pp. 343-356.
Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto
27
sono, oltretutto, di scarso valore scientifico 19. Una prima risposta per colmare
questa lacuna è affidata ora al nostro progetto Documenti antichi dagli archivi
friulani, che deve segnalare con precisione la collocazione, la consistenza e
l’interesse linguistico di questi manoscritti, ponendo solide basi per un successivo programma di sistematiche e accurate edizioni, iniziativa che sola può
consentire la costituzione di un vasto corpus di forme antiche. Questa pare la
strada maestra da percorrere perché futuri progetti di redazione di un dizionario
etimologico, di un repertorio dell’onomastica antica, di una storia della lingua o
di una grammatica storica, possano essere intrapresi ed avere successo. Si
auspica, a questo proposito, che una nuova forte azione possa presto superare la
sfortunata vicenda editoriale del Dizionario etimologico storico friulano
(DESF), opera avviata ormai più di vent’anni fa da Giovan Battista Pellegrini e
interrottasi dopo la pubblicazione dei primi due volumi. La prospettiva di lavoro
è sicuramente di una certa complessità e durata, tanto per la parte strettamente
documentaria che per quella linguistica, un lavoro per il quale si dispongono
però delle competenze e delle esperienze necessarie e che non pare presentare,
d’altra parte, alternative alla sua esecuzione.
Dal punto di vista più propriamente archivistico, il progetto raggiungerà un
altro importante risultato, certo non meno significativo del primo: offrire un
quadro tendenzialmente organico e completo del variegato panorama archivistico della nostra regione grazie al censimento dei numerosissimi enti conservatori
presenti sul territorio, individuando e segnalando, oltretutto, le ancor più numerose fonti bibliografiche prodotte sui singoli fondi o documenti di interesse.
Poter disporre, alla fine, di puntuali informazioni sul patrimonio documentario
antico della regione, soprattutto per l’epoca tardomedievale, non mancherà di
avere positive ricadute sul progresso di numerose discipline, prima di tutto su
quelle storiche e sociali.
In conclusione, la convenzione tra la Direzione generale per gli archivi e la
Società filologica friulana, che ha sostenuto il progetto Documenti antichi dagli
archivi friulani, ha consentito di svolgere una sistematica e accurata investigazione di archivi e fondi del Friuli. Tale ricognizione, mirata in particolare all’individuazione e alla schedatura di documenti tardomedievali in volgare (friulano
e tosco-veneto), ha segnato, ci pare di poter dire, un significativo progresso
nella complessiva conoscenza delle raccolte e degli archivi friulani, riuscendo a
coprire circa la metà del territorio e dei fondi presenti in regione.
FEDERICO VICARIO
Società filologica friulana
19
In questo panorama poco confortante, fa eccezione la Biblioteca civica di Udine, per la quale possediamo invece, come accennato dianzi, un elenco recente e attendibile dei documenti antichi
in volgare friulano; presso questo ente è in corso ormai da alcuni anni, grazie alla sensibile attenzione del direttore Romano Vecchiet, un progetto di edizione dei documenti più notevoli, cfr. Il
quaderno dell’Ospedale di Santa Maria Maddalena, a cura di F. VICARIO, Udine, Biblioteca Civica,
1999, pp. 13-17 (Premessa).
28
Federico Vicario
APPENDICE
ARCHIVI CENSITI
In provincia di Udine:
– Parrocchiali. Sul totale di 402 archivi parrocchiali (comprese le frazioni di comune) presenti sul territorio provinciale sono stati investigati 190 archivi.
– Comunali. Sono stati studiati tre archivi comunali: l’archivio comunale antico di
Gemona del Friuli (conservato presso la Biblioteca comunale « V. Baldissera »),
l’archivio comunale di San Daniele del Friuli e l’archivio comunale di Tolmezzo
(conservato presso Museo Gortani). Sono stati schedati, inoltre, l’archivio dell’ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale del Friuli, l’archivio dell’ospedale civile di S. Daniele del Friuli e l’archivio del Pio Istituto elemosiniere di Venzone. È
stato inoltre schedato l’archivio del Monastero di S. Maria in Valle di Cividale.
– Privati. Sono stati investigati gli archivi di Maria Chiussi, di Michele Gortani,della
famiglia Morassi, della famiglia Morassi-Croce, della famiglia Muner, della famiglia Pitt, della famiglia Vidale, tutti conservati presso la Fondazione Museo Carnico delle arti e tradizioni popolari di Tolmezzo.
In provincia di Pordenone:
– Parrocchiali. Sul totale di 164 archivi parrocchiali presenti sul territorio provinciale, sono stati schedati in totale 21 archivi. Alcuni degli archivi storici delle parrocchie sono depositati, come accennato, presso l’Archivio della Curia della Diocesi di
Concordia-Pordenone, essendo rimasta in loco, alle volte, solo la documentazione
corrente.
– Comunali. Sono stati schedati gli archivi comunali di Sacile e quello antico di Pordenone città.
– Privati. È stato schedato l’archivio privato Montereale Mantica a Zoppola di Pordenone e l’archivio della famiglia Valvasone, nell’omonima località. Altri due sono
gli archivi privati individuati, che potrebbero contenere documentazione di interesse: l’archivio della famiglia di Spilimbergo-Domanins e l’archivio Pancera.
In provincia di Gorizia:
– Parrocchiali. Sul totale dei 57 archivi parrocchiali della provincia, ne sono stati
investigati complessivamente 28.
– Comunali. Due sono gli archivi comunali oggetto di ricognizione: l’archivio storico
del Comune di Cormons e quello del Comune di Monfalcone.
Ulteriori lavori di ricognizione sono stati compiuti presso alcuni grandi istituti di
conservazione del Friuli, che conservano documentazione talora molto varia, proveniente
da più località:
Archivio di Stato di Gorizia:
– Archivio notarile del distretto di Gorizia.
– Atti politico-amministrativi e giudiziari di Gradisca d’Isonzo.
– Famiglia Coronini-Cronberg.
Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto
29
Archivio di Stato di Pordenone:
– Si è proceduto alla schedatura delle pergamene dell’archivio Montereale-Mantica.
Archivio di Stato di Udine:
– Comune di Cividale del Friuli.
– Comune di Moggio.
– Comune di Forni di Sopra.
– Confraternita dei Calzolai.
– Ospedale dei Battuti di Udine (per la parte presente in archivio, la restante documentazione si trova nella Biblioteca civica e nel Seminario arcivescovile).
– Corporazioni religiose soppresse.
– Monasteri soppressi della Patria del Friuli.
– Giurisdizioni feudali.
– Luogotenenti della Patria del Friuli.
– Famiglia Barnaba.
– Famiglia Colloredo-Mels.
– Famiglia d’Arcano.
– Famiglia Florio-Beltrame.
– Famiglia Gaetano Perusini.
– Famiglia Popaite.
– Famiglia Savorgnan-Moro.
Archivio della Curia arcivescovile di Udine:
– Capitolo di Udine.
– Capitolo di Aquileia.
– Magnifica Comunità di Cividale.
– Ospedale dei Battuti.
– Famiglia De Portis.
– Famiglia Podrecca.
– Fondo Manoscritti « Vale ».
Archivio storico provinciale di Gorizia:
– Stati provinciali di Gorizia.
Archivio della Curia arcivescovile di Gorizia:
– Sono state schedate 39 serie e alcuni documenti.
Biblioteca civica isontina:
– Manoscritti.
Museo archeologico nazionale di Cividale del Friuli:
– Famiglia Boiani.
– Famiglia Paciani.
30
Federico Vicario
BIBLIOGRAFIA
Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine, Società filologica friulana-Comune di
Gemona del Friuli, 2001, voll. 2
ASCOLI G.I., Ricordi bibliografici, in « Archivio glottologico italiano », II (1876), pp.
41-442
ASCOLI G.I., Annotazioni ai “Testi friulani”, in « Archivio glottologico italiano », IV
(1878), pp. 343-356
BALDISSERA V., Saggi di antico dialetto friulano tratti dall’Archivio Comunale di
Gemona, in « Pagine friulane », 1 (1888), 3, pp. 38-39; 7; 105-106
CORGNALI G.B., Testi friulani, in « Ce fastu? », XIII (1937), pp. 6-15
CORGNALI G.B., Scritti e testi friulani, a cura di G. Perusini, in « Ce fastu? », XL (19651967), pp. 41-43
Dizionario etimologico storico friulano (DESF), Udine, Casamassima, 1984-1987, voll. 2
Esercizi di versione dal friulano in latino in una scuola notarile cividalese (sec. XIV), a
cura di P. BENINCÀ-L. VANELLI, Udine, Forum, 1998
DE VITT F., I più antichi registri battesimali di Gemona del Friuli (1379-1482), in
Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, I, Udine, Società filologica friulana, 2001,
pp. 15-52
DELLA PORTA G.B., Voci e cose del passato in Friuli, manoscritto inedito conservato in
BIBLIOTECA CIVICA DI UDINE, Fondo Principale, ms. 2694, 1919-1940
FRAU G., Carte friulane del sec. XIV, in Studi di filologia romanza offerti a Silvio
Pellegrini, Padova, Liviana, 1971, pp. 175-214
FRAU G., Altre carte friulane del secolo XIV, in Per Giovan Battista Pellegrini. Scritti
degli allievi padovani, a cura di L. VANELLI - A. ZAMBONI, Padova, Unipress, 1991,
pp. 327-408
GRION G., Guida storica di Cividale e del suo distretto, Cividale, Strazzolini, 1899
JOPPI V., Testi inediti friulani dei secoli XIV al XIX, in « Archivio glottologico italiano »,
IV (1878), pp. 185-342
LEICHT M., Terza centuria di canti popolari friulani, Venezia, Naratovich, 1867
MARCHETTI G., I quaderni dei camerari di S. Michele a Gemona, in « Ce fastu? »
XXXVIII (1962), pp. 11-38
MARCHETTI G., Il più antico quaderno di amministrazione in friulano, in « Sot la nape »,
XVI (1964), 2, pp. 37-46
PASCHINI P., Curiosità tolmezzine e vecchi libri di conti del Quattrocento, in « Memorie
storiche forogiuliesi », XVI (1920), pp. 153-168
PICCINI D., Lessico latino medievale in Friuli, Udine, Società filologica friulana, 2006
PIRONA G.A - CARLETTI E. - CORGNALI G.B., Il Nuovo Pirona, Vocabolario friulano, con
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Il quaderno della Fraternita di Santa Maria di Tricesimo, a cura di F. VICARIO, Udine,
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Il quaderno dell’Ospedale di Santa Maria Maddalena, a cura di F. VICARIO, Udine,
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SCHIAFFINI A., Frammenti grammaticali latino-friulani del secolo XIV, in « Rivista della
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Documenti antichi dagli archivi friulani. Il progetto
31
SCHIAFFINI A., Esercizi di versione dal volgare friulano in latino nel secolo XIV in una
scuola notarile cividalese, in « Rivista della Società filologica friulana », III (1922),
pp. 87-117
SORRENTO L., Un testo friulano inedito del secolo XIV, in « Rendiconti del Reale Istituto
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Il registro battesimale di Gemona del Friuli 1379-1404, a cura di F. DE VITT, Udine,
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I rotoli della Fraternita dei Calzolai di Udine, a cura di F. VICARIO, Udine, Biblioteca
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VICARIO F., Carte venezianeggianti dagli Acta Camerariorum Communis di Cividale del
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VICARIO F., Interferenze lessicali in un testo friulano medievale (1350-1351), in « Studi
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Elementi tosco-veneti e tendenze demunicipalizzanti in antiche carte friulane, in Alpes
Europa. Neves enrescides soziolinguistiches tl Europa. Nuove ricerche sociolinguistiche in Europa. Neue soziolinguistiche Forschungen in Europa, a cura di F.
CHIOCCHETTI - V. DELL’AQUILA - G. IANNACCARO, Trento/Trient, Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, 2002, pp. 307-322
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VICARIO F., Documenti antichi dagli archivi friulani. Un progetto tra Ministero per i
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VICARIO F., « Documenti antichi dagli archivi friulani ». Risultati del progetto (20032006), in « Ce fastu? », LXXXII (2006), pp. 275-282
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linguistique romane », 2006, n. 279-280, pp. 471-518
VICARIO F., Fonti documentarie tardomedievali e studi lessicografici sul friulano, in
Lessicografia dialettale. Ricordando Paolo Zolli, Atti del convegno, Venezia, 9-11
dicembre 2004, a cura di F. BRUNI - C. MARCATO, Roma-Padova, Antenore, 2006,
pp. 189-200 (Biblioteca Veneta 23-24)
Quaderni gemonesi del Trecento. Pieve di Santa Maria, a cura di F. VICARIO, I, Udine,
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WOLF A., Un testo friulano dell’anno 1429, in « Annali scientifici del Regio Istituto
tecnico di Udine », 7 (1874), pp. 3-27
ZUDINI D. - DORSI P., Dizionario del dialetto muglisano, Udine, Casamassima, 1981
LA RICOGNIZIONE DEI FONDI
CONSERVATI PRESSO L’ARCHIVIO DI STATO DI UDINE
La ricognizione dei fondi presso l’Archivio di Stato di Udine, al fine di individuare i documenti di interesse linguistico, si è svolto, in considerazione
anche delle caratteristiche proprie dell’ente conservatore e, vista l’ingente mole
della documentazione ivi conservata, ponendo come presupposto per l’indagine
un rigido discrimine cronologico, considerando solo i fondi con documentazione anteriore al 1500.
Tra questi sono stati privilegiati i complessi contenenti documentazione
prodotta per fini eminentemente pratici, nell’ambito di gestioni familiari o
private, tralasciando la documentazione a carattere ufficiale in cui la lingua
d’uso comune era mediata troppo pesantemente dalle convenzioni tipiche della
produzione scritta. Sono, pertanto, stati esaminati scoderini piuttosto che rotoli 1,
registri di conti familiari, corrispondenza privata, eccetera, relegando in secondo piano la documentazione a carattere pubblico e ufficiale (atti notarili di varia
natura) con ogni probabilità poco influenzata dalla lingua popolare.
Dall’analisi degli inventari dei fondi conservati sono emersi, come rilevanti
ai fini della ricerca i seguenti complessi archivistici: Congregazioni religiose
soppresse; Monasteri soppressi; Documenti storici friulani; Confraternita di S.
Maria dei Calegari di Udine; Atti del Pio Ospedale Maggiore di S. Maria dei
Battuti di Udine; Comune di Cividale; Comune di Forni di Sopra; Comune di
Moggio; Comune di Venzone; Patriarcato di Aquileia; Luogotenenti della
patria del Friuli; Giurisdizioni feudali; Notarile antico e moderno; Pergamene
notarili (diplomatico); Pergamenaceo miscellaneo (notarile); Collegio notarile
di Udine.
Per ogni complesso documentario è stata redatta una scheda Fondo che ne
illustrasse le caratteristiche e fornisse le indicazioni per chi, in un secondo
momento, dovesse accingersi alla trascrizione dei documenti individuati.
A titolo esemplificativo si riporta la scheda Fondo delle Congregazioni religiose soppresse:
Di solito l’amministratore annotava sullo « scoderino » (in forma talvolta abbreviata) le entrate, le uscite e annotazioni di vario genere collegate alla gestione economica; in un secondo
momento riportava, in forma ordinata e secondo le regole in uso, le registrazioni sui « rotoli »
suddividendole per partite di spesa.
1
La ricognizione dei fondi conservati presso l’Archivio di Stato di Udine
33
– numero scheda: 1;
– intestazione scheda: Archivio delle Congregazioni religiose soppresse - inventario
n. 106 2;
– consistenza: bb. 860;
– descrizione: La documentazione del fondo copre un arco cronologico che spazia dal
XIII al XIX secolo e raccoglie porzioni di archivi ecclesiastici quali monasteri, abbazie, confraternite soppresse dalla Repubblica di Venezia nella seconda metà del
XVIII secolo e dai decreti napoleonici del 1806. Si tratta quasi esclusivamente di
documentazione cartacea che riguarda prevalentemente l’aspetto patrimoniale degli
enti religiosi (libri di conti o di istrumenti, documentazione processuale, confinazioni e catastici; alcuni registri di deliberazioni delle confraternite);
– serie rilevabili: non ci sono serie in quanto il fondo è stato riordinato in ordine
alfabetico di luogo 3;
– bibliografia essenziale: ZENAROLA PASTORE I., Inventario Congregazioni religiose
soppresse, Udine, Archivio di Stato di Udine, 1957; ID., Gli archivi delle confraternite udinesi, in « Atti dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Udine », 83
(1990), pp. 175-189; GOMBOSO R., Congregazioni religiose soppresse. « A » (Ordinamento e inventariazione), tesi di laurea in Conservazione dei beni culturali, beni archivistici e librari, Facoltà di lettere e filosofia, Università di Udine, a.a. 19891990.
La descrizione del fondo è stata resa nel modo più sintetico possibile. Si è
cercato di fornire sempre adeguate indicazioni bibliografiche per l’approfondimento in sede di trascrizione dei documenti.
Individuati i pezzi di interesse, per ogni unità archivistica esaminata è stata
prodotta una scheda Documento dove, in particolare, segnalare la presenza o
meno di elementi linguistici di rilievo per la ricerca.
Anche in questo caso si riporta, a titolo esemplificativo, una scheda. Si
tratta di un registro contabile conservato nell’archivio della famiglia Di Colloredo Mels:
–
–
–
–
–
produttore: Famiglia Di Colloredo - Mels;
riferimento numero inventario: b. 30, 1, III;
serie: Rotoli del 1400 4;
tipologia documentale: amministrazione contabile - entrate e uscite 5;
titolo / coperta: « 1339 Colloredo - Registro di entrate tenute per mano del sig.
Vittardo di Colloredo »;
– data / estremi cronol.: 1339;
– definizione archivistica: registro cartaceo di cm. 11x29x1,4, cc. 1-48 n.o.;
2
Trattandosi di un ente di conservazione si è preferito completare l’intestazione della scheda
con l’indicazione dello strumento disponibile per l’accesso ai documenti.
3
In questo specifico caso è stato allegato un elenco dettagliato del contenuto del fondo
4
La denominazione delle serie è ripresa dagli inventari o elenchi di versamento.
La tipologia documentale è stata indicata, in linea di massima, sulla base di un vocabolario
controllato concordato nell’ambito del gruppo di lavoro.
5
Luisa Villotta
34
–
–
–
–
forma di trasmissione: originale;
stato di conservazione: buono;
lingua: volgare;
legatura/condizionatura: legatura eseguita con spago sottile e due doppi nervi di
cuoio in corrispondenza dei rinforzi sul costolo; coperta in cartoncino rivestito in
pergamena.
Il dato relativo alla lingua viene fornito come: latino, volgare, tusco veneto,
friulano; in alcuni casi si è reso opportuno segnalare la commistione linguistica.
In alcuni casi, inoltre, si è ritenuto necessario fornire dati circa lo stato di
conservazione del pezzo, in particolar modo quando questo si presentasse
danneggiato, come nel caso di un registro contabile dell’archivio della famiglia
Di Colloredo Mels deterioratosi, verosimilmente, nel corso di un incendio del
castello:
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
produttore: Famiglia Di Colloredo - Mels;
riferimento numero inventario: b. 31, 1, III;
serie: Rotoli del 1400;
tipologia documentale: amministrazione contabile - affitti;
titolo / coperta: « 1464 »;
data / estremi cronologici: 1464;
definizione archivistica: registro cartaceo di cm. 22x29x4,6; cc. 1-168 n.a.;
forma di trasmissione: originale;
stato di conservazione: non buono;
lingua: volgare;
legatura/condizionatura: legatura eseguita con spago sottile e due doppi nervi di
cuoio in corrispondenza dei rinforzi sul costolo; coperta in pergamena;
– annotazioni: stato di conservazione non buono in quanto il pezzo si presenta fortemente deteriorato. Presenza diffusa di muffe ed evidenti segni di bruciatura in prossimità del costolo.
In alcuni casi la ricerca ha rilevato pezzi di particolare interesse per la
complessità linguistica del testo o per i contenuti di rilevanza storiografica; per
questi si provvederà ad un approfondimento successivo; è il caso di alcuni
registri contabili quattrocenteschi presenti nell’archivio della famiglia Di Colloredo Mels riferibili all’attività di compagnie mercantili con la registrazione
delle merci oggetto delle transazioni commerciali.
Non meno interessanti appaiono le carte relative ai possedimenti della famiglia Barnaba nella zona di Buja: instrumenti, confinazioni, stime, carte giudiziarie e rotoli di riscossione d’affitto ci offrono uno spaccato sulla gestione del
patrimonio fondiario di una famiglia friulana.
Meritevole di approfondimento sembrerebbe anche la documentazione
processuale rinvenuta nell’archivio del Comune di Moggio come, ad esempio,
la causa relativa ai « privilegi d’esenzione della muda 6 di Resiutta » (risalente al
6
Dazio, dogana
La ricognizione dei fondi conservati presso l’Archivio di Stato di Udine
35
XV secolo) o il « processo di carte prodotte » nell’ambito della causa che vide
opporsi « Abbazia e Quartieri contra Pramperi », tra il 1453 e il 1677.
Resta inoltre da chiedersi se elementi di lingua parlata (e solo lo studio
successivo potrà rivelarlo) possano essere rinvenuti nei due « quaterni » di
« note imbriviate » del notaio Ermanno e del notaio Giovanni quondam Ermanno di Venzone (XIV secolo) piuttosto che nei libri delle locazioni del convento
di S. Pietro Martire in Udine o nei libri dei beni del convento di S. Francesco di
Dentro.
Allo stato attuale dei lavori l’intervento ha coinvolto i seguenti complessi:
Corporazioni religiose soppresse; Monasteri soppressi; Comune di Cividale;
Comune di Forni di Sopra; Comune di Moggio; Comune di Venzone; Patriarcato di Aquileia; Luogotenenti della Patria del Friuli; Luogotenenti della Patria
del Friuli; ed è stata intrapresa l’analisi di 27 archivi di famiglia 7 valutati di
interesse ai fini della ricerca Allo stato attuale è stato ultimato l’esame degli
archivi Barnaba e Colloredo - Mels, per cui sono state prodotte le relative
schede Fondo e schede Documento.
Si segnala, nell’archivio della famiglia Barnaba, la documentazione processuale redatta dal notaio De Superbis pervenuta in originale nonché, nell’archivio della famiglia Colloredo - Mels, alcuni registri contabili sui quali meriterebbe effettuare un intervento sia sotto il profilo linguistico che sotto il profilo
storico in quanto le vicende del complesso archivistico sono state alquanto
movimentate.
Meritevole d’indagine il cosiddetto archivio Ciceri depositato presso l’Archivio di Stato di Udine ma escluso dalla consultazione. Si tratta della raccolta
di libri e documenti antichi di Andreina Nicoloso e Luigi Ciceri. I coniugi,
entrambi studiosi di lingua friulana e tradizioni locali, avevano acquistato sul
mercato antiquario esemplari di atti pubblici e privati, codici, proclami e volumi
che spaziano dal XIV al XX secolo.
LUISA VILLOTTA
Società filologica friulana
7
Agricola - Gallici, secc. XV-XIX; Asquini, 1450; Barnaba, secc. XIII-XIX; Bertoli, secc.
XV-XIX; Colloredo - Mels, secc. XIII-XIX; D’Arcano, secc. XV-XVIII; De Portis, 1348-1893; De’
Onestis, secc. XIV-XIX; Della Porta - Stainero, secc. XIII-XX; Della Torre Valsassina, secc. XIIIXVIII; Denti di Piraino, secc. XIV-XVIII; Di Spilimbergo, secc. XV-XIX; Di Varmo, secc. XIVXIX; Florio - Beltrame, secc. XIV-XIX; Follini, secc. XV-XIX; Gortani Giovanni, secc. XIII-XIX;
Liruti, secc. XV-XIX; Lovaria, secc. XV-XIX; Manin, secc. XIII-XIX; Manini, secc. XV-XIX;
Mantica, secc. XV-XIX; Panigai, secc. XIII-XIX; Perusini Gaetano, secc. XV-XX; Popaite, secc.
XV-XIX; Savorgnan - Moro, secc. XIII-XIX; Sbruglio, secc. XV-XVIII; Zucco - Partistagno, secc.
XIII-XIX.
ARCHIVI GEMONESI. UN PERCORSO DI RICERCA (1965-2007)
Nell’introdurre questo contributo sugli archivi storici di Gemona del Friuli
e sulle fonti investigate nell’ambito del progetto Documenti antichi dagli
archivi friulani mi è sembrato opportuno fare riferimento alla pubblicazione
Archivi gemonesi edita nel 2001 dal Comune di Gemona e dalla Società filologica friulana 1. Nel volume, che sviluppa un tema già trattato nel 1965 dal
gemonese Giuseppe Marchetti (1902-1966) 2, sono presentate le vicende e lo
stato dei fondi documentari prodotti da soggetti pubblici e privati che operarono
in quella comunità nei secc. XIII-XIX. Il mio intervento deve molto alle informazioni raccolte ed elaborate dagli autori dei saggi in esso contenuti: Anna
Gonnella e Luisa Villotta per l’Archivio storico comunale, Liliana Cargnelutti,
Maria Cristina Cosatti, Serena Croatto, Flavia De Vitt, Federico Vicario per
l’Archivio plebanale, Katia Bertoni per i fondi conservati presso l’Archivio
capitolare 3.
In apertura è collocata una scheda descrittiva dei complessi archivistici
prodotti da Comune e Pieve, che rielabora gli inventari redatti rispettivamente
da Beatrice Pitassi e Liliana Cargnelutti. Segue, quindi, l’analisi del lavoro
svolto sinora su questi archivi nell’ambito del progetto di ricerca delle fonti per
l’antico friulano ed una presentazione meno strutturata dei nuclei di documenti
individuati in altre sedi.
1
Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine, Società filologica friulana, 2001. Il volume
affiancava la tradizionale pubblicazione edita dalla Società filologica in occasione del suo congresso
annuale che nel 2001 si tenne, appunto, a Gemona: Glemone, a cura di E. COSTANTINI, Udine,
Società filologica friulana, 2001.
2
G. MARCHETTI, Archivi gemonesi, in Glemone, Udine, Società filologica friulana, 1965, pp.
23-28.
3
Archivi gemonesi… cit. I contributi si articolano come segue: F. DE VITT, I più antichi registri battesimali di Gemona del Friuli (1379-1482), pp. 15-52; A. GONNELLA, L’archivio antico di
Gemona: una ricognizione delle fonti per la storia dell’antica Comunità, pp. 53-74; F. VICARIO, I
quaderni dei camerari gemonesi Giacomo Foncasio (1336-1337) e Intrigo Baldassi (1350-1351),
pp. 75-110; G. CRUCIATTI, Fondi gemonesi tra Archivio di Stato e Biblioteca civica di Udine, pp.
111-164; K. BERTONI, Il fondo Bini nell’Archivio capitolare di Udine, pp. 165-192; S. CROATTO,
Notizie sulle recenti acquisizioni dell’archivio della pieve di Gemona, pp. 193-202; L. VILLLOTTA,
Le vicende dell’Archivio comunale di Gemona nel XX secolo, pp. 203-218; M. C. COSATTI, Appunti
sul fondo musicale dell’archivio della pieve di Gemona del Friuli, pp. 219-232. L’Inventario
dell’archivio della pieve di S. Maria Assunta, a cura di L. CARGNELUTTI, costituisce il secondo
tomo del volume.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
37
ARCHIVIO STORICO COMUNALE
Sede: Civica biblioteca glemonense « don Valentino Baldissera ».
Indirizzo: via dei Conti, 9, 33013 Gemona del Friuli.
Telefono: 0432 980495.
e-mail: [email protected]
Responsabile: Loredana Bortolotti.
Consultazione: su appuntamento.
Estremi cronologici: secc. XIII-XX.
Consistenza: bb. e regg 1691 (parte antica); bb. e regg. 2356 (parte moderna).
Storia dell’ente. – Gemona, situata nell’area collinare a nord di Udine sull’asse viario che collega la pianura friulana con i centri d’oltralpe, ottiene dal
Patriarca di Aquileia il titolo di libero Comune nel secolo XIII, svincolandosi
così dal dominio dei nobili giusdicenti, i signori di Prampero, ed assumendo la
struttura del Comune medievale. L’amministrazione civile vien affidata ai tre
Consigli – d’Arengo, Maggiore e Minore – e quella giudiziaria è ripartita tra
giudici locali ed un Capitano di nomina patriarcale che sovrintende, quale
rappresentante del principe ecclesiastico, alla gestione comunale. È soprattutto
con la concessione del diritto di mercato e, dopo la metà del Duecento, del
dazio commerciale denominato niederlech che il paese si ricava un ruolo di
centralità nell’area collinare e pedemontana. Nonostante il ridimensionamento
politico-economico, seguito all’affermazione di Udine come centro della Patria
del Friuli 4, nel secolo XV entro le mura vive un consistente numero di famiglie
in parte di origine locale in parte arrivate da oltre confine e dalla Toscana sulla
scia dei traffici mercantili 5; esternamente i borghi rurali si allargano su un vasto
territorio che arriva, ad ovest, sino alla roggia dove si raccolgono le acque del
fiume Tagliamento. La vita sociale è regolata dagli statuti pubblicati nel 1381 e
dai successivi aggiornamenti. L’avvento del governo veneto (sec. XV) conserva
l’ordinamento preesistente: al Capitano patriarcale si sostituisce quello nominato dal Luogotenente generale, ma nella quotidianità della gestione pubblica non
ci sono cambiamenti di rilievo. Il riassetto della struttura amministrativogiudiziaria, conseguente alla caduta della Repubblica Veneta (sec. XVIII),
riconosce la preminenza della cittadina sulle comunità del territorio circostante.
Dopo l’aggregazione al Regno italico, Gemona – che in base alle « Istruzioni
per le municipalità » (20 agosto 1806, n. 9563) rientra tra i comuni di II classe –
è creata capoluogo del IV Distretto amministrativo (denominato Cantone in
seguito alla costituzione del Dipartimento di Passariano). Dal 1815 al 1866,
quando il Friuli è provincia del Regno Lombardo Veneto, il comune è capofila
di una circoscrizione che ne comprende otto (Gemona, Artegna, Bordano, Buia,
4
Sulla dimensione di quest’area e sul dibattito relativo si veda C. SCALON, La formazione del
concetto di “Patria del Friuli”: un contributo al dibattito sull’identità friulana, in « Atti dell’Accademia di scienze lettere ed arti di Udine », LXXXIV (1991), pp. 175-194.
5
A. LONDERO, Per l’amor di Deu. Pietà e profitto in un ospedale friulano del Quattrocento,
Udine, Società filologia friulana, 1994, p. 12.
Gabriella Cruciatti
38
Montenars, Osoppo, Trasaghis, Venzone). Gli uffici municipali, la cui attività è
regolata dalla notificazione emanata il 4 aprile 1816, si relazionano con quelli
governativi di nuova istituzione: la Cancelleria del censo (rappresenta in loco
l’autorità governativa in particolare per ciò che riguarda il controllo sulla
gestione delle finanze comunali, la sicurezza e l’ordine del distretto) e la Pretura
che continua l’attività dei giudici di pace di epoca napoleonica (la normativa
austriaca del 1818 classificava Gemona pretura forense di III classe). Nel 1866,
con l’annessione dei territori al Regno d’Italia, si ha l’estensione della nuova
legislazione comunale e provinciale emanata nel 1865.
Storia dell’archivio. – All’inizio del secolo XIX un’inchiesta sugli archivi
politici ed amministrativi condotta dall’amministrazione austriaca 6 individua a
Gemona due archivi. Di questi il primo – definito « politico, amministrativo,
comunale » – è conservato nel palazzo comunale e costituito dai registri delle
deliberazioni del consiglio 7, da quelli della contabilità relativa all’amministrazione propria e dei corpi juspatronati, dagli atti amministrativi e processuali.
Questo nucleo documentario che conta, secondo l’indagine, 120 unità archivistiche sembra conservarsi integro anche negli anni successivi, perché quando
Bartolomeo Cecchetti, sovrintendente agli Archivi Veneti, procede ad una
nuova e più dettagliata analisi degli archivi del Regno (siamo negli anni 18751880) rileva in quello gemonese atti della stessa tipologia per un totale di 117
buste 8. Si può ipotizzare che questi dati siano stati comunicati all’archivista
veneziano dal bibliotecario comunale, don Valentino Baldissera, che negli stessi
anni aveva ripreso il lavoro di riordinamento degli archivi locali iniziato nel
secolo XVIII da mons. Giuseppe Bini, arciprete di Gemona dal 1737 al 1773.
Baldissera riordina cronologicamente le serie dei massari, dei camerari ed i
documenti membranacei; produce tavole genealogiche, indici e spogli dettagliatissimi organizzati cronologicamente e per materia 9.
Una sintesi dell’inchiesta realizzata tra il 1820 ed il 1828 è pubblicata in B. CECCHETTI, Statistica degli archivi della regione veneta, Venezia, Naratovich, 1880, I, pp. XLIV-LXXXVI.
6
7
Solo per questa serie sono forniti gli estremi cronologici: 1300-1805. B. CECCHETTI, Statistica degli archivi… cit., I, p. LXXIX.
8
B. CECCHETTI, Statistica degli archivi… cit., I, p. 463. Cecchetti distingue l’archivio comunale da quello dell’Ospedale di S. Michele. Per il primo individua le serie: Cameraria della chiesa
di S. Maria di Gemona (1300-1700, bb. 24); Massari della Comunità di Gemona (1340-1650, bb.
17); Deliberazioni del Consiglio di Gemona (1368-1805, bb. 64); Lettere di patriarchi, principi e
città alla comunità di Gemona (1367-1580, una busta); Libro degli statuti della Comunità (una
busta); Ducali e bolle patriarcali (1350-1585, una busta); Giurisdizione del capitano (1373-1724,
una busta); Atti dello Spedale di S. Spirito d’Ospedaletto (1233-1745, una busta); Questioni di
giurisdizione spirituale tra le chiese di Gemona e Venzone (1394-1453, una busta); Documenti ed
atti privati (1236-1575, una busta); per il secondo le serie: Documenti originali della fraterna
dell’Ospedale di S. Michele (1257-1469, bb. 3), Testamenti e legati (1259-1761, bb. 2).
9
I manoscritti in cui Baldissera ha raccolto i dati sull’archivio comunale, sono conservati parte nell’archivio comunale e parte nella Sezione manoscritti della Biblioteca civica gemonese.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
39
Gli eventi bellici del secolo XX costringono l’amministrazione ad intervenire drasticamente per mettere in salvo le carte antiche conservate nell’edificio
comunale. Nel 1917 l’archivio storico è trasferito a Firenze, nel 1944 è nuovamente prelevato da palazzo e messo in salvo – come all’epoca della minacciata
invasione turca – nella chiesa parrocchiale. In entrambe le occasioni vengono redatti degli elenchi che ci forniscono la consistenza dei documenti 10.
Certamente questi passaggi lasciano il segno sulla configurazione originale
del complesso, ma è il più recente evento sismico che determina la struttura dell’archivio attuale. Dopo il maggio del 1976 i documenti sono presi in
custodia dalla Sovrintendenza archivistica: si può facilmente immaginare lo
stato di disordine in cui i materiali versavano 11. Alla fine degli anni Novanta, terminata l’inventariazione, la Sezione moderna (1815-1976) è stata
trasferita in un deposito archivistico ricavato all’interno dell’edificio che ospita
gli uffici culturali del Comune, Palazzo Elti. Una mostra documentaria curata da
Beatrice Pitassi, responsabile dell’intervento archivistico sulla sezione antica
(secc. XIII-XIX), ha inaugurato nel marzo 2005 il nuovo archivio storico
comunale 12.
Contenuto. – La parte antica dell’archivio (di seguito denominata ASCG/I)
è organizzata nelle serie: 1. Statuti della comunità di Gemona; 2. Deliberazioni
dei consigli della comunità; 3. Carteggio; 4. Amministrazione dei beni della
comunità; 5. Amministrazione della giustizia; 6. Amministrazioni beni ecclestiaci e opere pie; 7. Documenti membranacei; 8. Mappe; 9. Archivi aggregati;
10. Strumenti di corredo. La parte moderna (di seguito denominata ASCG/II) è
organizzata nelle serie: 1. Deliberazioni, 2. Atti amministrativi, 3. Amministrazione 13, 4. Opere pie e beneficenza, 5. Ufficio vigilanza municipale, 6. Polizia
urbana e rurale, 7. Sanità e igiene, 8. Finanze, 9. Elezioni, 10. Grazia, giustizia
e culto, 11. Giudice conciliatore, 12. Leva e truppe, 13. Istruzione pubblica, 14.
Lavori pubblici, 15. Agricoltura, industria e commercio, 16. Stato civile, anagrafe e statistica, 17. Esteri, 18. Oggetti diversi, 19. Pubblica sicurezza, 20.
Protocollo.
10
Per l’analisi di questo periodo si veda L. VILLOTTA, Le vicende dell’archivio… cit.
In quanto epicentro del sisma Gemona fu uno dei paesi più colpiti: il percorso fotografico
« prima e dopo » proposto sul sito dell’amministrazione comunale rende con immediatezza la
gravità dei danni subiti dagli edifici del centro storico tra cui anche quelli che ospitavano complessi
archivistici come il palazzo comunale e la canonica situata alla sinistra del duomo, proprio sotto la
torre campanaria. « Percorso fotografico. Frammenti di memoria » (www. gemonaweb.it).
11
12
L’archivio ritrovato. Gemona ed il suo territorio attraverso i documenti dell’Archivio storico comunale antico (secc. XIII-XIX). Mostra documentaria, a cura di B. PITASSI, Gemona del Friuli,
Città di Gemona del Friuli, 2005.
13
L’esistenza di due serie distinte denominate Atti amministrativi ed Amministrazione va ricondotta ad una tradizione dell’area veneta. La prima comprende il carteggio (organizzato per
referati ed in seguito per categorie), la seconda fascicoli separati relativi alla categoria I.
40
Gabriella Cruciatti
Strumenti di ricerca: Archivio storico comunale di Gemona. Parte antica
(sec. XIII-1815), a cura di B. PITASSI; SOVRINTENDENZA ARCHIVISTICA DEL
FRIULI VENEZIA GIULIA, Archivio storico comunale di Gemona. Parte moderna
(1815-1976) 14. Entrambi gli inventari, dattiloscritti, sono consultabili in sede e
presso la Soprintendenza archivistica.
BIBLIOGRAFIA: G. G. LIRUTI, Notizie di Gemona, Venezia 1771; Gemona e il suo
distretto. Notizie storiche, statistiche e industriali, Venezia, Tipografia del Commercio,
1859; B. CECCHETTI, Statistica degli archivi della regione veneta, Venezia, Naratovich,
1880; G. MARCHETTI, Gemona e il suo mandamento, Udine, Doretti, 1958; Glemone,
Udine, Società filologica friulana, 1965; Mobilia e stabilia. Economia e civiltà materiale
a Gemona nel ’400, a cura di M. ZACCHIGNA e A. LONDERO, Gemona, Liceo scientifico
« L. Magrini », 1989; A. LONDERO, Per l’amor di Deu. Pietà e profitto in un ospedale
friulano del Quattrocento, Udine, Società filologia friulana, 1994; Archivi gemonesi, a
cura di F. VICARIO, Udine, Società filologica friulana, 2001; L’archivio ritrovato.
Gemona ed il suo territorio attraverso i documenti dell’Archivio storico comunale antico
(secc. XIII-XIX). Mostra documentaria, a cura di B. PITASSI, Gemona del Friuli, Città di
Gemona del Friuli, 2005; Valentino Baldissera, a cura di G. MARINI, Gemona, Comune
di Gemona, 2006; Statuti di Gemona, a cura di G. MASTROROSATO e S. GOMBA, Udine,
Forum, 2006.
ARCHIVIO STORICO DELLA PIEVE DI S. MARIA ASSUNTA
Sede: Parrocchia di S. Maria Assunta.
Indirizzo: via Bini, 1, 33013 Gemona del Friuli.
Telefono: 0432 980608.
Responsabile: don Gastone Candusso.
Consultazione: venerdì 15-18.
Estremi cronologici: secc. XIII-XX.
Consistenza: bb. 327.
Storia dell’ente. – La pieve, sorta anteriormente al 1000, era una delle più
vaste del Friuli centro-collinare; nel secolo XIV amministrava un territorio di
circa 65 kmq. i cui confini erano ad ovest la pieve di Osoppo, alla destra del
fiume Tagliamento, ad est il monte Chiampon, a sud le pievi di Buia ed Artegna 15. Tra le numerose chiese dipendenti era compresa sino al 1391 la chiesa di
S. Andrea di Venzone che, dopo una lunga contesa sostenuta dai giusdicenti e
dalla comunità in concorrenza con quella gemonese per il controllo del traffico
commerciale verso il Norico, ottenne dal papa Bonifacio IX il titolo di parrocchia. In epoca medievale i pievani non risiedevano abitualmente in loco, nel
14
Il lavoro fu realizzato da alcuni collaboratori esterni dell’ente, tra cui Manuela Plossi, Sandi
Deschmann, Paola Triadan, Franco Corsi, Maria Angela Fantini
15
F. DE VITT, Istituzioni ecclesiastiche e vita quotidiana nel Friuli medievale, Venezia,
Deputazione di storia patria per le Venezie, 1990, p. 40.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
41
qual caso il piviere era affidato a vicari che ne esercitavano le funzioni, mentre
il titolare si recava in sede solo in alcune occasioni (per portare un messaggio
del Patriarca alla Comunità, per l’amministrazione di un sacramento ad un
nobile locale o per la sottoscrizione di un atto notarile). La celebrazione delle
messe ed i redditi beneficiali in dotazione alle cappelle del Duomo erano
prerogativa di un consorzio di cappellani, che sino al secolo XX difese la
propria autorità giuridica civile ed ecclesiastica contro le rivendicazioni plebanali. Originariamente le cappelle erano otto: S. Croce e S. Michele, S. Tommaso
e Tre Re, SS. Pietro e Paolo, S. Michele e S. Giovanni Evangelista, S. Maria
degli Angeli ed annessa rettoria di S. Maria Formosa, S. Antonio di Vienna e
annessa rettoria di S. Valentino, S. Margherita e annessa rettoria di S. Agnese,
SS. Daniele e Agostino e annessa rettoria di Ognissanti 16. Nonostante le cappelle fossero state fondate da soggetti privati, l’amministrazione comunale aveva il
giuspatronato sulla nomina dei cappellani, così come era suo diritto l’elezione
del cameraro, cioè il tesoriere/cassiere della chiesa; a tutti gli effetti un funzionario comunale a cui era affidata, nel secolo XIV, anche la custodia dei registri
battesimali 17. Su richiesta della Comunità di Gemona, nel 1604, la Santa Sede
concesse il decreto di erezione in Collegiata, ma a causa di divergenze insorte
sul diritto di giuspatronato la pratica venne annullata. Dagli studi di mons.
Giuseppe Bini, arciprete dal 1737 al 1773, si ricava che all’epoca oltre alla
parrocchiale esistevano quattro chiese filiali con cappellano proprio, cinque
rettorie (il cui titolare era un cappellano del Consorzio), dodici chiese ed oratori
senza sacerdote proprio e cinque chiese di regolari. Tra le chiese secolari intra
moenia figurano quelle di S. Giovanni Battista, S. Leonardo e S. Michele,
l’antico ospedale cittadino eretto sulla stessa piazza del Duomo. Attualmente la
parrocchia di S. Maria è sede di vicariato foraneo; nel secolo XX sono state
smembrate le parrocchie di Campolessi ed Ospedaletto.
Storia dell’archivio. – Nei secoli XVIII e XIX i sacerdoti ed eruditi Giuseppe Bini e Valentino Baldissera, investigatori di documenti antichi e memorie
patrie, hanno dedicato molto tempo all’archivio plebanale e sono intervenuti
sulla carte elaborandone regesti ed indici. Rimane fondamentale riferimento per
la comprensione dell’archivio originale il lavoro del Bini. Mentre ancora vive
presso le corti di Roma, Vienna e Milano – consultando e raccogliendo documenti nelle biblioteche e negli archivi di quelle città – il Bini accetta l’incarico
del patriarca Dionisio Delfino di riordinare gli archivi diocesani. Rientrato in
Friuli definitivamente, l’arciprete continua la sua attività di archivista riordinando, nel suo piviere, l’archivio del Duomo, dell’ospedale di S. Michele e del
Comune e, ad Udine, l’archivio e la biblioteca vescovile.
16
Inventario dell’archivio della pieve di S. Maria Assunta… cit., p. 10.
F. DE VITT, Il registro battesimale di Gemona del Friuli 1379-1404, Udine, Deputazione di
storia patria per il Friuli, 2000, p. 33.
17
Gabriella Cruciatti
42
Nell’archivio di S. Maria, che ha trovato in stato di disordine, il Bini vuole
evitare l’ulteriore perdita di documenti e per questo raccoglie in volumi le
pergamene ed i fascicoli delle registrazioni anagrafiche, indicizza i registri più
antichi e trascrive un cospicuo numero di atti utili alla ricostruzione della storia
della pieve e della comunità. Tuttavia né lui né i suoi successori compilano un
inventario analitico dell’archivio, cosicché non è oggi possibile quantificare con
esattezza le perdite causate dal sisma del 1976 18. In quell’occasione le carte
sono state in buona parte trasferite presso la biblioteca del Seminario arcivescovile di Udine e qui riordinate a cura della Sovrintendenza archivistica. Completati i lavori di ristrutturazione della sede archivistica gemonese, nel 1992, il
fondo è stato ricollocato sulla base dell’ordinamento ricostruito da Liliana
Cargnelutti. Nel 2000, il trasloco dell’Archivio capitolare di Udine dalla biblioteca del Seminario alla nuova sede degli archivi diocesani, ha fatto emergere un
ulteriore nucleo di documenti (pergamene, carte sciolte dei secc. XVII-XX,
materiale bibliografico) che sono stati parzialmente ricondotti alle serie già
individuate dall’inventario del 1992. Un intervento specifico è stato dedicato ai
documenti membranacei: dopo il restauro delle pergamene rinvenute nel nucleo
documentario giacente nei locali del Seminario di Udine si è dato inizio ad un
progetto di identificazione finalizzato ad una valutazione patrimoniale del fondo
e alla creazione di strumenti di corredo che possano agevolare le ricerche degli
studiosi. L’avvio del lavoro di schedatura ha dato priorità ai materiali recentemente acquisiti, di cui non esisteva alcuna indicazione tipologica o cronologica.
Contenuto. – L’archivio è organizzato nelle serie: I. Pieve e vicariato foraneo di Gemona (secc. XIV-XIX); II. Autorità ecclesiastica (secc. XVI-XX); III.
Autorità civile (secc. XVII-XX); IV. Anagrafe (secc. XIV-XX); V. Confraternite, sodalizi, associazioni (secc. XV-XX); VI. Chiesa parrocchiale, legati,
luoghi pii (secc. XV-XX); VII. Patrimonio ed amministrazione dei beni (secc.
XIV-XX); VIII. Consorzio dei cappellani del duomo di Gemona (secc. XIIIXX); IX. Miscellanea(secc. XVII-XX); XI. Istrumenti e legati raccolti da G.
Bini (secc. XIII-XVI).
Strumenti di ricerca: L. CARGNELUTTI, Inventario dell’archivio di Santa
Maria Assunta, in Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine, Società
filologica friulana, 2001.
Bibliografia: G. BINI, De Parochia Glemonensi, Gemona, Bonanni, 1887; G. VALE,
I pievani e gli arcipreti di Gemona, Udine, Tipografia del Patronato, 1901; F. DE VITT,
Istituzioni ecclesiastiche e vita quotidiana nel Friuli medievale, Venezia, Deputazione di
storia patria per le Venezie, 1990; A. LONDERO, Per l’amor di Deu. Pietà e profitto in un
Recentemente è stato individuato un inventario sommario dell’intero complesso realizzato
da Valentino Baldissera nel 1883. Il sacerdote descrive i documenti con riferimento alla tipologia e
al contenuto, ma non quantifica la consistenza dell’archivio. ARCHIVIO STORICO PLEBANALE DI
GEMONA (ASPG), b. 320.
18
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
43
ospedale friulano del Quattrocento, Udine, Società filologia friulana, 1994; F. DE VITT,
Il registro battesimale di Gemona del Friuli 1379-1404, Udine, Deputazione di storia
patria per il Friuli, 2000; Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine, Società filologica friulana, 2001.
Prima di passare alla descrizione del progetto è necessario sottolineare che,
nonostante i due archivi si siano formati in epoca medievale, l’articolarsi nel
tempo dei rapporti tra uffici politico-amministrativi, enti ecclesiastici e ambiente notarile ha prodotto una certa commistione tra le loro carte 19. Per comprendere appieno la situazione gemonese bisogna tenere in considerazione più fattori
tra cui il particolare ruolo esercitato dall’amministrazione comunale nei confronti della parrocchiale e di altri istituti sottoposti al giuspatronato della comunità, l’attività di controllo svolta dalla Repubblica Veneta e dai governi successivi sui patrimoni pubblici e privati, la connotazione di deposito di sicurezza dei
documenti ritenuti importanti per la vita pubblica e privata assunta dall’archivio
plebanale sin dal sec. XVI 20.
L’esempio più evidente del legame creatosi tra i due complessi è dato dalla
documentazione prodotta dai camerari della pieve di S. Maria: i registri di
contabilità annuale, in quanto prodotti da ufficiali del Comune, si trovano nell’archivio comunale, mentre le raccolte di atti notarili attestanti titoli di possesso, in cui i camerari agiscono in rappresentanza dell’ente ecclesiastico, nell’archivio plebanale. Altre testimonianze che confermano l’incrociarsi dei percorsi
archivistici sono state rintracciate nel carteggio tra gli uffici parrocchiali e
comunali ed il rappresentante governativo locale, l’I.R. Commissario distrettuale. Nel 1823 alla richiesta di documentazione rivolta dal Commissario alla
Fabbriceria di S. Maria viene risposto in questi termini:
« Dall’epoca dell’instituzione delle Fabbricerie fino ad oggi tali documenti restarono e sono ancora di presente presso l’archivio di cotesta Deputazione ius patronante della
parrocchiale … la scrivente però nell’accompagnare queste carte non puol dispensare di
fare col dovuto rispetto alcune osservazioni, le quali se venissero da cotesta superiorità
approvate non potrebbe che un vero vantaggio a questa parrochial chiesa … il primo e
massimo vantaggio dunque sarebbe quello di riordinare l’archivio comunale in quella
parte che riguarda la chiesa. 2° di riconoscere quali documenti esistano, quali vi manchino. 3° di estrarre se fia possibile dal pubblico archivio o da alcuni particolari appresso
cui esistono pubbliche carte tutti li mancanti documenti » 21.
19
Un altro caso di commistione di documentazione prodotta in ambito comunale e plebanale è
stato individuato a San Daniele. A.M. TONEATTO, Contributo per una storia dell’archivio dell’antica comunità di San Daniele del Friuli, in « Quaderni Guarneriani », II (1991), pp. 53-96. La
Toneatto, oltre a ricordare che per un lungo periodo l’archivio comunale di deposito fu trasferito
presso la sede parrocchiale, ipotizza che in epoca antica l’archivio comunale avesse garantito
integrità di conservazione anche alla documentazione di pertinenza della pieve, in particolare a
quegli istrumenti notarili che attestavano diritti e prerogative di carattere economico.
20
A. GONNELLA, L’archivio antico di Gemona … cit., p. 55.
21
ASPG, b. 299/1, lettera della Fabbriceria della chiesa di S. Maria all’I.R. Commissario distrettuale, 14 agosto 1823.
Gabriella Cruciatti
44
Il suggerimento dei fabbriceri viene accolto molti anni dopo, nel 1842,
quando la Deputazione amministrativa del Comune di Gemona consegna alla
Fabbriceria le carte di spettanza della chiesa parrocchiale presenti presso l’archivio comunale; nell’inventario di consegna figurano diversi documenti tra cui
un colto (raccolta) di istrumenti (1700-1756) ed uno di locazioni (1531-1757),
un rotolo di pergamene (di cui la più antica è dell’anno1431) ed infine quarantatre registri della Cameraria (1674-1794), che corrispondono a quelli dei nn. 201221 dell’inventario attuale 22.
IL PROGETTO DOCUMENTI ANTICHI DAGLI ARCHIVI FRIULANI
L’importanza degli archivi gemonesi per gli studi sul volgare friulano delle
origini comincia a delinearsi verso la fine del sec. XIX 23. Alcuni stralci tratti da
quaderni dei camerari di S. Maria, relativi agli anni 1360-1374, sono pubblicati
da Vincenzo Joppi 24 nell’ampio contributo intitolato Testi inediti friulani dei
secoli XIV al XIX 25 a cui seguono i Saggi di antico dialetto friulano tratti
dall’Archivio comunale di Gemona di Valentino Baldissera 26. Si tratta, però, di
lavori di carattere erudito, in cui l’interesse linguistico si alterna al gusto per il
dato storico-sociale, come la redazione dello Statuto o le spese per la processione religiosa. La prima edizione integrale e scientificamente curata di un testo
volgare, il quaderno di Muzirino cameraro dell’ospedale di S. Michele di
ASPG, b. 299/2, lettera della Deputazione amministrativa di Gemona alla Fabbriceria, 12
gennaio 1842.
22
23
Brevi citazioni di testi gemonesi volgari si trovano, comunque, anche in epoca precedente.
Nel volume Gemona ed il suo distretto… cit., p. 60, n. 2, si ricordano alcuni estratti presenti nel
manoscritto di G.G. LIRUTI, De origine linguae forojulensis, conservato nella Biblioteca Marciana
di Venezia.
Vincenzo Joppi fu conservatore del Civico Museo e Biblioteca di Udine. Sulla sua figura si
veda Vincenzo Joppi, 1824-1900. Atti del convegno di studi, Udine, 30 novembre 2000, a cura di F.
TAMBURLINI e R. VECCHIET, Udine, Forum, 2004.
24
25
V. JOPPI, Testi inediti friulani dei secoli XIV al XIX, in « Archivio glottologico italiano »,
IV (1878), pp. 185-342. In questo lavoro Joppi proponeva una selezione di brani in volgare friulano
tratti da documenti conservati in archivi e biblioteche di Udine, Cividale e Gemona; mancano però
riferimenti più specifici come segnatura del pezzo archivistico, nomi degli estensori, indicazione del
numero delle carte. I testi gemonesi sono segnati con il n. 6, p. 190-191. Una parziale ristampa,
riveduta ed ampliata, dei Testi dello Joppi fu pubblicata sulla rivista « Ce fastu? », 44-45 (19651967), 1-6, pp. 130-152, ma non comprese il n. 6. Ora è possibile confrontare questa prima ricognizione con la trascrizione integrale dei quaderni dei camerari della pieve per gli anni 1311-1370 in
Quaderni gemonesi del Trecento. Pieve di Santa Maria, a cura di F. VICARIO, Udine, Forum, 2007.
Rispetto al lavoro ottocentesco sono state individuati scritti del cameraro Salomone (1360-1361) e
del cameraro Giacomo fu Giusto (1366-1367), mentre non si è trovata la corrispondenza per i testi
che Joppi attribuisce all’anno 1367.
26
V. BALDISSERA, Saggi di antico dialetto friulano tratti dall’Archivio comunale di Gemona,
in « Pagine friulane », I (1888), 1, pp. 38-39, 105-106.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
45
Gemona dell’anno 1380, esce solo nel 1962 27. Il curatore, Giuseppe Marchetti,
premette al testo alcuni approfondimenti: la descrizione delle fonti documentarie prodotte dagli uffici civili ed ecclesiastici più interessanti ai fini dello studio
del friulano, lo spoglio della serie Camerari di San Michele con note sulla
consistenza e sullo stato di conservazione dei registri, l’analisi linguistica dei
termini ricorrenti e degli usi ortografici. In questo saggio e nel successivo
Archivi gemonesi 28 Marchetti fornisce i dati cronologici e la consistenza delle
tre serie dei libri di amministrazione conservate nell’archivio comunale –
Massari del Comune, Camerari della Pieve e Camerari dell’ospedale di San
Michele – e ne sottolinea l’importanza:
Per quanto uniformi e monotone siano queste note di spese e di riscossioni, è ovvio
che in tanto abbondante messe documentaria si può raccogliere un nutrito lessico, si può
desumere una buona parte delle norme morfologiche della parlata e, soprattutto, si può
notare e seguire il graduale abbandono della lingua friulana negli atti amministrativi e i
modi di infiltrazione del veneto, prima, e dell’italiano più tardi. Talché una storia della
nostra lingua riuscirebbe probabilmente monca, quando non venissero presi in esame –
insieme con gli altri atti contabili, sodalizi, chiese ecc. – anche questi quaderni 29.
Il giudizio è sicuramente corretto per quanto riguarda la ricchezza di documenti in volgare conservati a Gemona rispetto a quelli presenti sul resto del
territorio provinciale. A quattro anni dall’inizio della ricognizione degli archivi
friulani, esaminata un’alta percentuale dei siti previsti dal progetto, emerge con
chiarezza che il nucleo gemonese è uno dei più antichi e rilevanti sia per la
consistenza dei documenti dei secoli XIV e XV sia per la completezza delle
serie amministrative e contabili, cioè della tipologia documentaria che, dalle
ricerche sinora condotte, si è dimostrata tra le più ricche di elementi linguistici
volgari 30. Prendendo in esame la sola Cameraria plebanale, il confronto con
altre chiese locali fondate anteriormente al 1000 ci permette di comprendere la
reale dimensione del patrimonio conservato. Nella chiesa di S. Michele Arcangelo di S. Daniele del Friuli i documenti più antichi sono i registri battesimali
che datano dall’epoca del Concilio Tridentino, un unico catastico 31 di fine
G. MARCHETTI, I quaderni dei camerari di S. Michele a Gemona, in « Ce fastu? », 38
(1962), 1-6, pp. 11-38. Due anni dopo Marchetti pubblica parte del più antico quaderno in volgare
della serie Camerari della Pieve di Gemona: G. MARCHETTI, Il più antico quaderno di amministrazione in friulano (Pieve di Gemona, 1336), in « Sot la nape », XVI (1964), 2, pp. 37-46.
27
28
G. MARCHETTI, Archivi gemonesi… cit.
29
G. MARCHETTI, I quaderni dei camerari… cit., p. 11.
Così Vicario nella sua premessa a Il quaderno dell’ospedale di Santa Maria Maddalena, a
cura di F. VICARIO, Udine, Comune di Udine, 1999, p. 13.
30
Per catastico si intende « Inventario, e spesso quasi protocollo di scritture riguardanti i possessi di privati, ed anche di tutti i documenti di un ufficio o di un’amministrazione, e, anticamente,
degli averi e degli aggravi del Governo ». B. CECCHETTI, Saggio di un dizionario del linguaggio
archivistico veneto, Venezia, Naratovich, 1888 (rist. anast., Bologna, Forni, 1978), p. 18.
31
Gabriella Cruciatti
46
secolo XVIII è da ricondurre al lavoro dei camerari; la pieve arcipretale di S.
Lorenzo di Buia possiede istrumenti notarili dal secolo XIV, ma la serie dei
camerari data dall’inizio del secolo XVI; la pieve di Tricesimo conserva alcuni
pezzi del secolo XIV – un obituario, un libro di legati ed alcuni istrumenti
notarili – mentre i registri della Cameraria plebanale e delle chiese filiali partono dal 1436 32; il documento più antico dell’archivio parrocchiale di Fagagna è il
registro che apre la serie Cameraria, dell’anno 1487; in un’altra antica pieve
della stessa forania, quella di S. Margherita del Gruagno, solo alcuni registri in
frammento documentano la gestione economica del territorio plebanale nel
secolo XIV, mentre per il secolo successivo alle scritture dei camerari della
pieve si aggiungono quelle della confraternita di S. Nicola. In genere, dunque,
anche nelle pievi più antiche la documentazione seriale non data prima degli
anni Trenta-Quaranta del secolo XV 33. Certo se ci spostiamo nelle sedi patriarcali, Aquileia, Cividale ed Udine, troviamo importantissimi archivi capitolari 34,
ma si tratta di istituzione complesse in cui la produzione scritta è legata ad uffici
e competenze più strutturate e ad un diverso ambiente linguistico. Più vicini a
quello gemonese sono, invece, gli archivi delle confraternite religiose che dal
secolo XIV amministrarono la vita economica delle parrocchie cittadine assicurando assistenza ai poveri. In particolare per Udine si segnalano, sempre con
riguardo ai citati criteri di completezza e antichità delle scritture, le fraterne di
S. Giacomo 35, di S. Lucia, di S. Cristoforo 36 a cui va aggiunto l’archivio della
L’edizione di un documento trecentesco (Il quaderno della Fraternità di Santa Maria di
Tricesimo, a cura di F. VICARIO, Udine, Biblioteca civica, 2001), è stata condotta su un registro
conservato presso la Biblioteca civica di Udine. Sull’archivio plebanale si veda L’archivio della
pieve di Tricesimo, in Tresésim, Udine, Società filologica friulana, 1982, pp. 221-230. L’obituario è
stato recentemente edito in L’obituario di Tricesimo, a cura di M. BELTRAMINI, Udine, Istituto Pio
Paschini, 2004.
32
33
Tra le pievi più antiche del Friuli, se pur con tutt’altra dimensione e collocazione geografica
rispetto a Gemona, va ricordata anche la pieve di Gorto che possiede un fondo pergamenaceo con
istrumenti del secolo XIII. Carte del vicariato foraneo di Gorto in Carnia (1270-1497), a cura di G.
DELL’OSTE, Tolmezzo, Coordinamento circoli culturali della Carnia, 1999.
34
I principali fondi del Patriarcato sono confluiti nelle due sedi capitolari di Udine e Cividale e,
in modo frammentario, in altri istituti di conservazione. Per uno sguardo d’insieme si rimanda a R. DA
NOVA, Fondi archivistici riguardanti il patriarcato di Aquileia, in Aquileia ed il suo Patriarcato. Atti
del convegno (Udine, 21-23 ottobre 1999), a cura di S. TAVANO - G. BERGAMINI - S. CAVAZZA,
Udine, Regione autonoma Friuli Venezia Giulia - Deputazione di storia patria per il Friuli, 2000, pp.
597-605. Negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo i due archivi capitolari sono stati oggetto di
importanti interventi di riordino ed inventariazione. Una dettagliata descrizione della storia dell’archivio cividalese e l’inventario dei fondi sono disponibili all’indirizzo www.patriarcatoaquileia.it Il sito
è curato dall’« Archivum Forojuliense » a cui fa capo il progetto di creazione di una banca dati che
riunisca virtualmente le fonti per la storia del Patriarcato. Per Udine si rimanda ugualmente al sito degli
Archivi storici diocesani, www.webdiocesi.chiesacattolica.it e alla bibliografia ivi contenuta.
L’archivio della fraterna possiede una serie Cameraria di oltre duecento registri che partono dall’anno 1326.
35
36
La descrizione dell’archivio parrocchiale di S. Cristoforo e della serie Cameraria, a cura di
E. CAPITANIO, è contenuta in F. VICARIO, Carte friulane del Quattrocento dall’archivio di San
Cristoforo di Udine, Udine, Società filologica friulana, 2001, pp. 21-27.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
47
fraterna dei Calzolai 37 e quello dell’ospedale di S. Maria amministrato dalla
fraterna dei Battuti 38. Pochi anche gli archivi comunali della provincia udinese
che annoverano serie trecentesche. Sono, chiaramente, attestati nelle medesime
località, Udine 39, Cividale e San Daniele del Friuli, che in epoca patriarcale
furono i principali centri politico-amministravi del territorio soggetto al principe
ecclesiastico.
Fondi conservati a Gemona
L’archivio storico comunale. – L’indagine sistematica sui documenti gemonesi dei secc. XIV-XV è partita nel 2002 dalle carte della Comunità ed ha
coinvolto due operatori 40. A questa data l’inventario della Sezione antica
dell’archivio comunale non era ancora stato completato, per cui è stato possibile
intervenire solo grazie alla disponibilità di Anna Gonnella, che ha selezionato i
pezzi d’interesse. Sono state schedate complessivamente 265 unità archivistiche. Oltre alle tre serie Cameraria della Pieve di S. Maria Maggiore, Quaderni
della Cameraria dell’Ospedale di S. Michele, Massari comunali, sono state
vagliate due buste intitolate « Regesti e Lettere secc. XIII-XIX » e « Notai » che
riuniscono carte sciolte e registri a partire dal secolo XIV. Ora che l’archivio ha
trovato la sua definitiva collocazione e che è disponibile un inventario analitico,
37
In epoca medievale, per il peso dell’autorità patriarcale, non ebbero molta diffusione in
Friuli le corporazioni di mestiere. L’archivio della fraterna è conservato nell’Archivio di Stato di
Udine e in parte nella Biblioteca civica. Sulla documentazione in volgare friulano ivi presente cfr. I
rotoli della Fraternita dei calzolai di Udine: ms. 1348, fasc. 3, Fondo principale, a cura di F.
VICARIO, Udine, Biblioteca Civica « V. Joppi », 2001-2005.
38
Nell’ambito del progetto Documenti antichi dagli archivi friulani sono stati schedati i più
antichi documenti del fondo dell’ospedale dei Battuti, attualmente conservato presso la Biblioteca
del seminario arcivescovile « P. Bertolla » ma di cui è prossimo il trasferimento all’archivio della
Curia. Anche in questo caso si tratta della serie Cameraria: sono stati esaminati ventisei registri
relativi agli anni 1344-1478. Di questi solo un terzo è redatto in volgare, inoltre, nei registri del
secolo XIV, il volgare compare prevalentemente negli antroponimi e nei toponimi. Per questi
registri e per una storia dell’assistenza cittadina in epoca medievale rimando a Ospitalità sanitaria
in Udine. Dalle origini all’ospedale della città. Secoli XIV-XVII, a cura di L. MORASSI, Udine,
Casamassima, 1989. L’edizione de Il quaderno dell’ospedale di Santa Maria Maddalena, a cura F.
VICARIO, Udine, Comune di Udine, 1999, è stata condotta su un esemplare conservato presso la
Biblioteca civica di Udine.
39
La sezione antica dell’archivio comunale di Udine (secc. XIV-XVII) è conservata quasi interamente dalla Biblioteca civica; solo una piccola parte è confluita nell’Archivio di Stato di Udine
dove, invece, sono state depositate le carte relative all’amministrazione municipale di epoca
napoleonica ed austriaca. Sulla sezione antica si veda Archivium civitatis Utini, a cura di P.C. IOLY
ZORATTINI, Udine, Del Bianco, 1985. La serie della Cameraria data dal secolo XIV: sinora è stata
curata l’edizione di due quaderni scritti in lingua latina, La cameraria di Maffeo di Aquileia (13481349), a cura di R. GIANESINI, Udine, Comune di Udine, 1991 e I quaderni dei camerari del
Comune di Udine, 2. Le camerarie di Oldorico notaio, Francesco e magistro Marino (1297-1301),
a cura di R. GIANESINI, Udine, Comune di Udine, 1996
40
Gabriella Cruciatti ha schedato la serie Camerari della Pieve di S. Maria, Beatrice Pitassi
tutte le altre.
Gabriella Cruciatti
48
sarà possibile estendere la ricognizione alle altre serie cronologicamente pertinenti al progetto, tra cui le Deliberazioni dei Consigli della Comunità. I dati
relativi alle unità archivistiche e documentarie in volgare, friulano e toscoveneto, individuate sono riassunti in questa tabella
Serie
Camerari Pieve
Estremi
cronologici
1311-1817
Consistenza
totale
regg. 378
fasc. 1
fino al sec. XV
in volgare
regg. 128
regg. 99
Camerari
S. Michele
Massari comunali
Regesti e Lettere
1327-1726
regg. 196
regg. 57
regg. 51
1349-1794
secc. XIII-XIX
regg. 76
b. 1
regg. 11
regg. 2
Notai
secc. XIV-XVI
regg. 240
b. 1
regg. 15
fasc. 1
regg. 10
regg. 9
Fornisco di seguito alcune osservazioni relative alla serie Cameraria della
Pieve di S. Maria, di cui ho curato lo spoglio, con l’avvertenza che, in linea di
massima, le mansioni del cameraro e l’organizzazione delle registrazioni si
ripetono anche nella serie Massari dell’Ospedale di S. Michele 41.
I primi quattordici registri della serie, oggi contrassegnati con i nn. 986999 d’inventario, si presentano numerati e corredati da una scheda introduttiva
moderna, inserita in apertura di ogni quaderno, e da un indice allegato alla busta
che originariamente li conteneva. Dall’analisi di queste note e di quelle che si
trovano nelle prime carte dei quaderni, attribuibili in parte a don Valentino
Baldissera, si ricavano alcuni dati (nome del cameraro e anno delle registrazioni) che oggi non sono leggibili in tutti i quaderni, ma che probabilmente furono
ricavati dalle coperte originali (gravemente danneggiate e in gran parte sostituite durante l’intervento di restauro post 1976 42) o individuati attraverso una
ricerca effettuata sulle altre fonti disponibili, come i verbali del Consiglio di
Rengo in cui veniva registrata l’elezione del cameraro. Nel caso del reg. 988
(anno 1331-1332, cameraro Giovanni q. Pietro Mirisoni) l’archivista dichiara di
aver ricavato la paternità del cameraro da un’iscrizione incisa sulla statua di San
Cristoforo, mentre per il reg. 998 sono le note relative allo stato dei lavori del
campanile che gli permettono di collocare il quaderno nell’anno 1349-1350 ed
alla gestione del cameraro Blasuto. Nell’indice moderno viene specificata la
lingua usata: per il reg. 991 (anno 1336-1337, cameraro Giacomo Foncasio) il
41
Per un’analisi più dettagliata dell’attività della Cameraria di S. Michele rimando ad A.
LONDERO, Per l’amour di Deu… cit.
In 52 dei 128 registri schedati (38 del sec. XIV, 14 del sec. XV) è stata sostituita la coperta
originale. Un unico registro non ha avuto bisogno degli interventi di rinforzo della legatura ed
integrazione delle carte che si notano in tutti i quaderni. Parte del restauro è stato realizzato nel 1999
dal Centro studi e restauri di Gorizia.
42
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
49
dialetto, per il reg. 999 (anno 1350-1351, cameraro Indrigo Baldassi) il volgare,
per tutti gli altri il latino. Oltre a quello di Baldissera si rilevano interventi
successivi che integrano la cartolazione o specificano la lingua del testo; tra
questi la mano moderna che utilizza un lapis viola è attribuibile a Marchetti 43.
I quaderni, di piccolo formato, hanno consistenze diverse: 15-20 carte, per
quelli che contengono la sola sezione delle entrate o delle uscite oppure contabilità speciali, 50-60 carte per quelli in cui confluisce l’intera contabilità annuale.
Lo specchio di scrittura è irregolare, le voci sono elencate una sotto l’altra in
forma stringata seguite dall’indicazione della somma in debito/credito; quest’ultima è spesso ripetuta in una colonna alla destra della carta, utilizzata per
conteggiare velocemente il totale della pagina riportato in calce alla stessa. Il
carattere pratico di queste registrazioni non lascia emergere la personalità di
coloro che vi si impegnavano e che in genere appartengono al ceto artigianomercantile 44; solo in alcuni casi si trovano brevi motti in lingua latina del tipo
« Non est amicus noster qui nostra bona tulit et sine denariis nichil reputatum
homo » 45 o « Bonus qui bene agit in hoc mundo in alio erimus h(omin)es sive
boni sive mali et transcendenti erit iudicare in eternum » 46. Ritorna, invece, con
frequenza l’elemento tipico dei quaderni d’amministrazione, il signum camerarii, cioè il contrassegno collocato sul piatto anteriore di coperta e raffigurante la
professione o più semplicemente il nome del cameraro. Data l’epoca, il nome di
battesimo è spesso completato da quello del padre – es. Quaternus Facini filii
Venuti calcifici 47 – ma sono presenti anche alcuni membri di famiglie già
qualificate da un cognome noto, come i Franceschinis, i De Cramis ed i Vintani 48. L’incarico, annuale, non veniva in genere rinnovato; si è comunque rilevato che diversi personaggi esercitarono l’ufficio sia nella Cameraria della pieve
che in quella dell’ospedale 49.
Tra le scritte di mano posteriore sono state identificate anche due note di possesso del secolo XVIII. La prima recita: « Giacomo de Brolo de Gemona » e la seconda: « Questo libro è di me
Gion Francesco di Brolo di Gemona, se per sorte le perdere bona catadura li dare(rò?). Gion
Francesco di Brolo di Gemona. 1776 ». ASCG/I, nn. 1032 e 1032, c.Ir.
44
Cfr. MARCHETTI, I quaderni dei camerari… cit., p. 13. Nei registri esaminati non compare
spesso l’indicazione della professione. Sono stati individuati alcuni conciatori di pelli, uno stazionario, ma anche tre notai: Biagio q. Giovanni Bono (1329-1330), Tommaso q. Andrea di Galleriano
(1449-1450), Giovanni notaio di San Daniele e cittadino di Gemona (1460-1470). ASCG/I, nn. 987,
1083, 1096.
45
ASCG/I, n. 1057, piatto posteriore di coperta.
46
ASCG/I, n. 1061, c. 84r. Altre brevi note anche in ASCG/I, nn. 1040 (1395-1396), 1056
(1410-1411).
47
ASCG/I, n. 993
48
L. SERENI, Le famiglie notevoli di Gemona, in Archivi gemonesi… cit., pp. 37-41. Un discendente della famiglia Vintani, che annovera diversi antenati tra gli amministratori della comunità, ha
curato personalmente la trascrizione e la ristampa anastatica dei quaderni da questi prodotti. Compendio de I quaderni dei Vintani massari e camerari in Gemona, a cura di G.B. VINTANI, s.l., 2000.
49
Lo storico gemonese Luigi Billiani (1851-1896) ha elaborato un elenco nominativo di personaggi che hanno esercitato le funzioni di cassiere nei tre enti (Pieve, Comune, S. Michele); il manoscritto, segnalatomi da Loredana Bortolotti, è conservato presso la Biblioteca civica glemonense.
43
Gabriella Cruciatti
50
L’anno amministrativo, che inizia nel giorno di san Michele, il 29 settembre, si apre con il passaggio di consegne tra il cameraro uscente e quello entrante. Questo momento è formalizzato nel quaderno dalla redazione di un inventario dei beni mobili e delle somme assegnate alla Cameraria da legati testamentari, destinate all’acquisto di beni o per la celebrazione di messe in suffragio. L’inventario è scritto spesso in latino da una mano diversa rispetto a quella
che compila il registro 50. Alla fine del secolo XIV nell’elenco dei beni sono
annotate, tra le altre cose, una statua della Vergine in marmo, una croce
d’argento appartenente alla Cameraria di S. Michele, un messale, un turibolo e
due coppe d’argento dorati esternamente, una decina di calici e vasi, paramenti
diversi e settantotto pezzi di biancheria da tavola. Le voci di spesa e le entrate
sono organizzate in sezioni diverse, alternate indifferentemente le une alle altre.
Le spese ordinarie comprendono la manutenzione degli edifici, i salari del
personale, fisso ed occasionale, le spese sostenute dai sacerdoti per viaggi ed
ambascerie, l’acquisto di tutto ciò che è necessario agli uffici religiosi, dalle
candele all’acqua santa. Tra le rendite si distinguono quelle per la celebrazione
di messe in suffragio e quelle per riscossione di diritti legatizi ed affitti, suddivise per località 51. Talvolta tra le prime voci di spesa figurano quelle necessarie
alla tenuta della contabilità annuale. Nel 1367, per esempio, Nicolò de Cramis
scrive: « Item dei per questo quaderno di carta den. xij ». Ben maggiori le spese
sostenute da Giorgio della Villa nel 1390: all’acquisto del quaderno « Item
spendey per questo quaderno in lo qual si son scrite le spese e li recepti de la
deta Camera sol. xvij » e dell’inchiostro: « Item spendey per una inpola di
inclostro granda la qual io tegno in la Camera sol iiij », Giorgio deve aggiungere
la spesa della redazione di un nuovo rotolo delle rendite: « Item spendey per
doy quaderni di carta di bambas per far registrar lu rodul sol. xij (…) dey a
Gasparin figlo del taschar per far scriver un rodul novo in carta di bambas sol. c
(…) dey a Michul in preço chi ello stea per leçer lu rodulo dela glesia quando io
lu façeva far nuovo sol. xxvij »52 e quelle per la redazione di un discreto numero
L’intervento della figura di un notaio come estensore di alcune parti fisse del registro è attestata dal cameraro Aloisio di Altaneto (1377-1378) che attribuisce la redazione del suo registro al
notaio Leonardo di Gorizia e dal cameraro Nicola q. Cristoforo Formentoni (1463) che indica nel
notaio Antonio Pizul il redattore dell’inventario. ASCG/I, nn. 1022, 1090. La conferma dell’uso di
inserire l’inventario all’inizio del registro ci è data anche dal cameraro Bartolomeo di ser Antonio
(1450-1451) che scrive « lo inventario che me fo consegnado per lo mio precessore ser Thomasino
fo notado per man de ser Zuan de Sant Daniel e registrado in un quaderno longo de carta regale cum
la coverta rossa fat per mi in lo detto milennio e per zo io non metei lo detto anventario in lo
principio di questo quaderno segondo che usa a meter altri camerari ». ASCG/I, n. 1084, c. 2r.
50
51
Marchetti ha calcolato che nell’anno 1370-1371 la pieve aveva nel suo libro crediti oltre
550 proprietà tra case, negozi, forni, cantine, stalle, orti, vigne, terreni incolti su cui percepiva censi
diretti ed indiretti. G. MARCHETTI, Gemona nel MCCC, in Glemone… cit., pp. 71-79.
52
ASCG/I, nn. 1013, c. 2r e 1033, c. 5r, 9rv. Nel 1463 il cameraro Nicola q. Cristoforo Formentini specifica di aver acquistato due quadernetti, uno per le rendite ed uno per le spese. ASCG,
n. 1090, c. 3r.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
51
di atti notarili 53. Certo, nel complesso, queste sono poca cosa in confronto a
quello che la Cameraria dovette sborsare in quell’anno per i lavori al tetto e la
realizzazione di una nuova campana.
Proprio la completezza della serie e la rilevante presenza di testi in volgare
stanno alla base della scelta fatta dal Comitato scientifico del progetto di curare
l’edizione integrale di tutti i quaderni friulani prodotti da questo ente. Contestualmente al lavoro di schedatura è stato condotto, quindi, quello di trascrizione. Il primo volume è stato pubblicato nel 2007 e contiene l’edizione dei primi
tredici registri in volgare della serie 54.
La ricognizione condotta da Beatrice Pitassi sulla serie Massari del Comune ha, invece, confermato l’analisi del Marchetti: la lingua di scrittura – dove
non è latina – è un volgare tosco-veneto che lascia spazio al friulano soprattutto
nell’indicazione di antroponimi e toponimi 55; un unico quaderno, quello del
massaro Leonardo Bruni (anno 1366), è stato redatto completamente in volgare
friulano. Tra i materiali visionati dalla Pitassi sono presenti, come si è detto,
anche due buste miscellanee. Nella seconda, collocata nella sezione Archivi
aggregati, serie Notai ed identificata dal titolo ottocentesco « Notai Sibelli 1301
ecc. e Bonifaccio da Gemona. Carte varie secc. XIV-XV », sono contenuti nove
registri redatti in volgare friulano e tosco-veneto 56. Quasi tutti sono in condizioni di conservazione non buone, tanto che per quattro di loro non si può parlare
di registro vero e proprio essendo sopravvissuto un solo fascicolo. L’attribuzione ad una produzione notarile fa riferimento non al contenuto ma probabilmente alla responsabilità della redazione. Si tratta, ancora, di scritture contabili,
di provenienza in parte privata in parte pubblica; dei due chiaramente attribuibili ad un soggetto istituzionale il primo è un registro dei deputati incaricati della
manutenzione delle roste (argini) del Tagliamento, il secondo un registro di
lavori di manutenzione al Duomo 57. Nella serie Notai dell’archivio comunale di
Gemona sono presenti due soli protocolli notarili, uno di Francesco Sibelli
(1309) 58 ed uno del cancelliere patriarcale Odorico (1359-1367) 59, redatti completamente in lingua latina. L’archivio notarile è infatti conservato nell’Archivio di Stato di Udine 60.
53
Solo per gli atti notarili, redatti dai notai Bonifacio, Enrico Rampolini, Enrico Tramontana
ed Enrico di Tolmezzo, il cameraro Giorgio della Villa spese la somma di 1 marca, 285 soldi e 168
denari.
54
F. VICARIO, Quaderni gemonesi… cit.
55
G. MARCHETTI, I quaderni dei camerari… cit., p. 14.
56
ASCG/I, Archivi aggregati, Notai, n. 1.
Con buona probabilità questo registro apparteneva originariamente alla serie Cameraria
della pieve di Santa Maria.
57
58
ASCG/I, Archivi aggregati, Notai, n. 1.
59
ASCG/I, Archivi aggregati, Notai, n. 2.
Nella sezione manoscritti della Biblioteca civica di Udine è conservato un volume di note
estratte da protocolli notarili proveniente dall’archivio privato di Prampero, BCU, Manoscritti.
Fondo Joppi, ms. 106, Breviarium rerumnotabilium ex scripturis notariorum Glemone 1270-1334.
60
Gabriella Cruciatti
52
L’archivio storico plebanale. – In questa sede documentazione seriale che
abbia inizio prima del sec. XVI è presente, oltre che nella serie IV. Anagrafe,
che conserva i registri dei battesimi a partire dal 1379 (i più antichi in area
europea), nella serie V. Confraternite, sodalizi, associazioni, limitatamente alla
confraternita della chiesa di S. Leonardo, e nella serie IX Istrumenti e legati. Lo
spoglio ha tralasciato, per ora, i libri canonici ed il corpus membranaceo concentrandosi sulle carte dell’associazione laicale. Per S. Leonardo sono presenti i
quaderni della contabilità a partire dalla metà del secolo XV. Le cattive condizioni di conservazione non hanno permesso uno studio approfondito, ma
l’indagine ha potuto comunque rilevare che i quindici registri (completi o in
frammento) che riguardano gli anni 1458-1499 sono stati redatti in volgare 61.
Sempre per la stessa confraternita è stato individuato un altro piccolo quaderno,
nel quale mani diverse hanno annotato elenchi nominativi relativi, ancora, alla
gestione finanziaria: si tratta del Libro delli dinari cavati di banco sotto il
camerarato di Francesco Galzut, dell’anno 1490 62. Per gli altri gruppi laicali
eretti nella parrocchiale e nelle chiese filiali non si hanno atti anteriori al sec.
XVII.
Per i secoli XIV-XV la documentazione conservata è costituita in parte da
catastici e piccoli nuclei di atti attestanti titoli di diritto, in parte da documentazione in copia posteriore. Rispetto alla prima tipologia, quella dei registri in cui
sono descritte le partite di rendita a credito dell’ente, sono stati schedati i pezzi
più antichi che riguardano le chiese di S. Maria e S. Caterina ed il convento di
S. Chiara. Gli atti su pergamena sono vergati in latino, probabilmente da una
figura di ambito notarile; solo nelle integrazioni di epoca posteriore compare la
lingua volgare, ma si tratta di voci compilate in epoca in cui il volgare (non
friulano) è oramai prevalente anche nelle fonti scritte 63. Anche la ricca documentazione relativa al Consorzio dei cappellani non ha offerto grandi risultati:
ad eccezione di alcuni istrumenti notarili originali e di due registri di rendite dei
secoli XIV-XV, redatti in latino, prevale documentazione di età moderna che
riguarda l’amministrazione delle singole cappellanie ed i rapporti del Consorzio
con le altre istituzioni (Comune, Curia).
ASPG, b. 177. 1. cameraro Lorenzo fabro (1458-1461); 2. cameraro non identificato (14621464); 3. cameraro non identificato (1465-1467); 4. cameraro Simone Ferrandi di Gemona (14681470); 5. cameraro […] Zilia di Gemona (1476); 6. cameraro Giacomo Cibiuth (1477); 7. cameraro
Pietro Zilli di Gemona (1482); 8. camearo Mullione (1486); 9. cameraro Michele Todesco (1490);
10. cameraro Durigo della Marina (149[1]); 11. cameraro Nicolò Patriarca (149[2]); 12. cameraro
Domenico Zuliani (1497); 13. cameraro Michele Todesco (1498); 14. cameraro Michele Todesco
(1499); 15. cameraro Michele Todesco (1499).
61
62
ASPG, b. 179.2. L’intitolazione è di mano posteriore.
Per la Pieve sono stati visionati i registri in ASPG, nn. 195/1 e 279; per S. Caterina il n.
228/3; per S. Chiara il n. 229/ bis.
63
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
53
Fondi gemonesi conservati in altre sedi
Fondi notarili. Dall’inchiesta condotta dall’amministrazione austriaca negli anni 1820-1828 sappiamo che un archivio di oltre 1.200 unità definito tipologicamente « archivio notarile, giudiziario » era custodito nella chiesa parrocchiale « del Comune » 64. La responsabilità degli atti, « contratti tra particolari e
protocolli notarili », prodotti dall’« ex tribunale politico e giudiziario di Gemona », era affidata al notaio Francesco Ongaro, che altrove è qualificato « custode
del comunale notarile archivio » 65 o « archivista notarile di detto Comune » 66.
L’indagine attesta, dunque, una tradizione conservativa che differenzia Gemona
dagli altri centri friulani, in cui gli archivi notarili erano depositati nel municipio
o presso privati (in genere notai o ex cancellieri giurisdizionali). Una tradizione
che risale, a detta della stessa Comunità, al secolo XVI. La conferma
dell’istituzione in loco di un archivio notarile si trova negli atti di una vertenza
che contrappone il Collegio notarile di Udine alla Provincia della Carnia,
rivendicante completa autonomia nella gestione dei propri archivi (sec. XVIII):
Si fa certa et indubbitata fede per l’officio di questa cancelleria qualmente in essecuzione del Sovrano decreto 1565 19 settembre emmanato sopra ricorso umiliato al trono
del Serenissimo Prencipe del magnifico Parlamento è stato erretto entro il termine
prefisso dal detto decreto l’archivio da questa communità in questo nostro Duomo, dove
per anco presentemente esiste, dove sono state riposte et attualmente si ripongono le
pubbliche carte de nodari di questa giurisdizione deffonti, senza havere lasciati eredi, né
mai sono state portate nell’archivio del spettabile collegio delli nostri nodari d’Udine, in
conformità anche del prescritto dalle leggi sindicali 1722 che abbilitano portarle alle
cancellerie, dove sono soggette e viene disposto anche dallo statuto della Patria al
Capitolo quarto (…) Gemona dall’offitio suddetto li 6 9mbre 1759. Lodovico Locatello
cance. de mandato 67.
Pochi anni dopo l’inchiesta i documenti conservati nella parrocchiale furono trasferiti ad Udine presso l’Archivio notarile distrettuale, all’epoca collocato
in un locale del castello. Di qui seguirono vari passaggi di sede, causati in primo
luogo dagli eventi bellici. Il definitivo deposito presso l’Archivio di Stato di
Udine si realizza a metà degli anni Cinquanta del XX secolo: il notarile è,
infatti, uno dei primi fondi ad entrare nell’edificio appena inaugurato dall’Am64
B. CECCHETTI, Statistica degli archivi… cit., I, p. LXXIX.
ARCHIVIO DI STATO DI UDINE (ASUD), Congregazioni religiose soppresse, b. 228, « Gemona. Monastero di S. Chiara, Libro istrumenti (1800-1805) ». La qualifica del notaio è ricavata
dalle sottoscrizioni in calce ad estratti notarili inseriti in fondo al registro e datati al 1827.
65
66
Ibid., b. 231, « Gemona. Confraternita della Concezione della B.V. Maria, Libro testamenti
(1610-1719) ». Il documento segnato n. 1 – anno 1695, notaio Antonio Gallina – riporta in calce, di
mano dell’Ongaro, la dicitura « estratto dall’originale esistente in questo comunale archivio ».
67
ASUD, Collegio dei notai di Udine, b.15, Libro I: Per il collegio de ss.ri nodari d’Udine
contro la Provincia della Cargna, c.120.
Gabriella Cruciatti
54
ministrazione archivistica 68. Il nucleo di atti notarili gemonesi che oggi si
conserva nell’Archivio di Stato è piuttosto rilevante, poiché comprende la
produzione di 129 notai ed un arco cronologico di sei secoli (XIII-XIX) 69.
Per l’epoca più antica, secc. XIII-XV, si contano quattrocento unità archivistiche (protocolli, filze di istrumenti notarili ed atti processuali). Tra i 41
personaggi responsabili delle scritture sono presenti sia notai originari del posto
e di altre località 70 che rogano a Gemona, sia notai gemonesi che rogano fuori
dal paese d’origine. Da un punto di vista storico, quindi, questi documenti non
sono tutti pertinenti al territorio gemonese, ma ai fini dell’analisi linguistica
questo aspetto non è immediatamente rilevante. La programmazione del progetto Documenti antichi prevede, inoltre, che la ricognizione sull’intero fondo
notarile dell’Archivio di Stato si realizzi in futuro in modo sistematico, con
l’ausilio di più operatori che procedano contemporaneamente all’analisi di tutta
la produzione dei notai friulani attivi nel periodo d’interesse 71.
68
L’archivio fu versato dall’Archivio notarile distrettuale nel 1957. Per un approfondimento
sulla vicenda dell’archivio notarile gemonese e, in generale, degli archivi notarili in Friuli rimando
ad A. CRUCIATTI, Fondi gemonesi… cit., ed alla relativa bibliografia.
69
La consistenza della serie è di bb. 364, per complessivi ml. 18.
Così i notai Romano ed Alessio che rogano anche a Venzone, paese immediatamente a nord
di Gemona. Il gemonese Bartolomeo Caravello, invece, roga quasi esclusivamente ad Udine anche
se tra gli attori dei suoi atti compaiono diversi abitanti di Gemona e Tricesimo, paese di origine
della madre. Un altro gemonese Gio. Antonio Battaglia opera nel secolo XV nel paese natale e
successivamente si sposta a Porcia, una località del pordenonese. ASUD, Archivio notarile antico,
nn. 2220, 2229, 2244, 2247. Si riportano di seguito i nominativi dei notai di Gemona rogatari degli
atti conservati in ASUD, ANA per i secoli XIV-XV: Sec. XIII: Romano (1281-1292); Secc. XIIIXIV: i Giovanni Bonomo (1288-1305), Bortolomio (1293-1313), Ermanno (1297-1303), Martino
Gallucci (1286-1302), Giacomo Nibisio (1266-1302); Sec. XIV: Alessio (1348-1378), Giovanni
Artuico (1321-1329), Bartolomeo (1325-1336), Giovanni Biachino (1301-1337), Nicolò Boccapelosa (1320-1325), Giovanni De Biagio (1324-1342), Enghelperto (1338-1355), Filippo Formentin
(1340-1379), Leonardo di Gorizia (1358-1380), Nicolussio di Spilimbergo (1347-1356), Pacis
(1300-1303), Giacomo Pellegrini (1310-1337), Stefano Romano (1319), Stefano Savio (1360-1375),
Francesco Sibelli (1302-1349), Nicolò Sibelli (1327-1349), Enrico Tramontano (1380-1396),
Stefano Valconi (1320-1348), Ermano Zamboni (1305-1306); Secc. XIV-XV: Bonifacio (13731406), Enrico Rampolini (1386-1422); Sec. XV: Bartolomeo Caravello (1462-1466), Leonardo
Codorossi (1416-1428), Flandano Flandani (1401-1412), Tommaso Galleriano (1432-1467),
Giovanni Giacomo (1461-1463), Pietro Paolo Locatelli (1447-1453), Mattense Lodovico (14831487), Nicolò q. Bonifacio (1414-1429), Orsetti Giovanni (1468-1471), Venerio Antonio (14601486), Giovanni Venerio (1440-1493), Boemo Zegliaco (1471-1486); Secc. XV-XVI: Gio. Antonio
Battaglia (1496-1534), Biagio Pichissini (1488-1527).
70
71
Il lavoro che si prospetta sull’Archivio notarile antico è in parte diverso da quello svolto sinora: da un lato per la mole di carte da esaminare, dall’altro per l’analiticità richiesta dalle stesse. A
differenza dei registri contabili, infatti, in cui la lettura è agevolata da un testo che si dispone in
modo esteso sullo specchio di scrittura e dalla brevità delle voci elencate che fa emergere con
chiarezza le singole parole, nei protocolli notarili l’individuazione dei termini idiomatici si presenta
meno immediata. Pur scrivendo con un tratto più ordinato, il notaio riempie, in genere, tutto lo
spazio della pagina, annotando sui bordi della stessa integrazioni vergate in caratteri ancora più
piccoli di quelli con cui redige l’atto.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
55
Sono proprio le note a margine e quelle sui versi degli istrumenti notarili
che, secondo l’esperienza maturata in questi anni di studio sulle fonti per lo
studio del volgare, presentano maggiore interesse per il linguista. Esempi come
quelli studiati da Benincà e Vanelli in Esercizi di versione dal friulano in latino
in una scuola notarile cividalese (sec. XIV) e da Vicario in Il quaderno di
Odorlico da Cividale 72 non sono frequenti e, come già la prima edizione dei
testi friulani dello Joppi aveva evidenziato 73, i testi volgari provenienti dall’ambiente notarile sono quantitativamente meno consistenti. Ciò non toglie che,
rispetto al contenuto, possano riservare importanti sorprese. Mi riferisco ai più
antichi esempi letterari in friulano, Piruz myo doz e Biello dumlo.
Fondi ecclesiastici. Rispetto alla documentazione degli enti ecclesiastici va
rilevato che, nel territorio provinciale, l’azione di concentrazione delle scritture
deriva dalle operazioni di identificazione e rilevazione patrimoniale attuata
nell’ambito delle iniziative di soppressione dei conventi e delle corporazioni
religiose. La Repubblica Veneta nel 1768 ed il Regno italico nel 1806 acquisirono tutta la documentazione utile all’amministrazione dei beni man mano
incamerati e venduti. Questi materiali, raccolti inizialmente negli archivi delle
magistrature finanziarie, pervennero in seguito agli uffici del Regno subentrati
nelle loro competenze. Per le complesse vicende storico-istituzionali che caratterizzano l’area friulano-veneta alla fine dell’età moderna, la documentazione
prodotta dagli enti ecclesiastici del Friuli si raccolse in due nuclei distinti. Una
parte, quella relativa alle soppressioni venete, fu depositata nell’Archivio di
Stato di Venezia e trasferita ad Udine dopo l’istituzione della locale Sezione di
Archivio di Stato (1941); la parte relativa alle soppressioni napoleoniche,
conservata sino alla fine del sec. XIX dall’Intendenza di finanza di Udine, entrò
a far parte delle raccolte del Civico Museo e Biblioteca. In questa sede, i documenti che maggiormente potevano rendere conto delle vicende storiche dei
singoli enti e quelli considerati « preziosi » (statuti e documenti membranacei)
vennero, nel tempo, separati dai fondi originari ed integrati nelle collezioni di
manoscritti della biblioteca.
Per quanto riguarda gli enti ecclesiastici gemonesi, nella Biblioteca civica
sono tuttora conservati alcuni pezzi provenienti dalla parrocchiale di S. Maria 74,
dalla chiesa e fraterna di S. Giovanni Battista 75, dai conventi di S. Antonio 76 e
72
Esercizi di versione dal friulano in latino in una scuola notarile cividalese (sec. XIV), a cura di P. BENINCÀ - L. VANELLI, Udine, Forum, 1998; F. VICARIO, Il quaderno di Odorlico da
Cividale.Contributo allo studio del friulano antico, Udine, Forum, 1998.
73
Nel contributo dello Joppi i testi non di carattere amministrativo provenienti da fondi notarili sono sei. Cfr. V. JOPPI, Testi inediti friulani … cit., sec. XIV nn. 6, 10, 13; sec. XV nn. 7, 15, 19.
74
75
76
BCU, Manoscritti. Fondo principale, mss. 1129, 1198/1, 2201 e 2225.
Ibid., ms. 1272.
Ibid., ms. 1265/5.
Gabriella Cruciatti
56
S. Chiara 77, dal monastero di S. Agnese 78. Tra questi rientrano nell’area cronologica presa in esame dal progetto tre volumi di istrumenti membranacei (mss.
1268, 1269 e 1306) con documentazione a partire dal secolo XIII. Sono stati già
esaminati alcuni inventari di oggetti sacri e libri del convento e chiesa di S.
Antonio (sec. XV), editi da Scalon 79, nei quali è stata riscontrata l’assenza di
elementi in volgare, mentre rimangono da esaminare le raccolte di pergamene.
Nell’Archivio di Stato di Udine è conservato il complesso archivistico denominato Congregazioni religiose soppresse trasferito dalla Biblioteca civica
nel 1955, che rappresenta la parte più consistente del materiale consegnato
dall’Intendenza alla Biblioteca 80. Rientrano nel progetto gli archivi di due
conventi, S. Chiara e S. Maria delle Grazie, e di dieci fraterne 81; a queste carte
vanno collegate quelle del convento di S. Antonio, presente nel fondo Monasteri soppressi, che riunisce le carte provenienti dall’Archivio di Stato di Venezia.
Come è stato detto prevalgono in questi archivi quelle scritture che dovevano
servire alla verifica di titoli di diritto su beni mobili ed immobili 82: catastici,
libri di istrumenti (compravendite di beni e responsioni livellarie, locazioni,
legati) e registri contabili, ma sono presenti anche atti processuali ed altre
tipologie documentarie.
La ricognizione condotta da Luisa Villotta ha evidenziato la presenza di un
limitato numero di documenti originali relativi al periodo d’interesse: due
registri di testamenti e legati delle fraterne di S. Giovanni Battista e S. Leonardo
(con registrazioni dal sec. XV), alcuni atti sciolti del convento di S. Antonio.
GABRIELLA CRUCIATTI
77
Ibid., mss. 1269, 1306.
78
Ibid., ms. 1268.
C. SCALON, Produzione e fruizione del libro nel basso medioevo. Il caso Friuli, Padova,
Antenore, 1995, nn. 347, 500, 519, 514.
79
80
Per un approfondimento sulla vicenda dell’archivio degli enti ecclesiastici di Gemona rimando ad A. CRUCIATTI, Fondi gemonesi… cit., ed alla relativa bibliografia.
81
ASUD, Congregazioni religiose soppresse, bb. 226-242, Gemona. Le fraterne sono: della
Beata Vergine del Carmine, della Concezione della Beata Vergine e S. Monica erette nel convento
di S. Maria delle Grazie dei minori osservanti, del SS. Crocifisso eretta nella chiesa di S. Rocco, di
S. Giovanni Battista, S. Giuseppe, S. Lucia eretta nella chiesa di S. Caterina, S. Leonardo, Ss.
Rosario eretta nel convento di S. Antonio dei minori conventuali, S. Valentino eretta nella chiesa di
S. Valentino detta anche di S. Nicolò in borgo Godo.
82
Verifica che, per l’epoca veneta, fu competenza di una magistratura denominata Deputazione alle cause pie. L’incarico di rilevare il patrimonio ecclesiastico fu affidato al perito Alvise
Francesco Duodo; i suoi disegni sono in parte conservati tra la documentazione dei relativi enti.
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
57
APPENDICE
Registri contenenti testi in volgare conservati nell’archivio storico della Pieve di
Gemona, Camerari della Pieve di S. Maria, secc. XIV-XV
In corsivo i registri in cui sono stati individuati testi in volgare; la voce « n.i » indica i soggetti non identificati. L’elenco segue la progressione dell’inventario, ma si
segnala che non tutte le unità corrispondono alla gestione amministrativa annuale. In
alcuni casi, come il n. 1072, si tratta di volumi che raccolgono frammenti di registrazioni
contabili riunite in epoca moderna; in altri, nn. 1029-1030, in sede di restauro sono stati
confusi i fascicoli appartenenti a registri distinti.
1n. 986
1n. 987
1n. 988
1n. 989
1n. 990
1n. 991
1n. 992
1n. 993
1n. 994
1n. 995
1n. 996
1n. 997
1n. 998
1n. 999
n. 1000
n. 1001
n. 1002
n. 1003
n. 1004
n. 1005
n. 1006
n. 1007
n. 1008
n. 1009
n. 1010
n. 1011
n. 1012
n. 1013
n. 1014
n. 1015
Antonio Bava (1327-1328)
Biagio q. Giovanni Bono notaio (1329-1330)
Giovanni q. Pietro Mirisoni (1331-1332)
Simone Varintussio (1332-1333)
Fazza (1333-1334)
Giacomo q. Nicolussio Foncasio di Gemona (1336-1337)
n.i. [1337-1338]
Facino figlio di Venuto di Gemona (1340-1341)
Giacomo de Cramis (1343-1344)
Venuto (1344-1345)
Giuliano q. Giacomino (1345-1346)
Odorico q. Giuseppe (1348-1349)
[Blasuto] (1349-1350)
Indrigo Baldassi (1350-1351)
n.i. (1353-1354)
Francesco q. Antonio Iseri di Gemona (1356-1357)
Nucio Venturini (1357-1358)
n.i. (1358-1359)
Giovanni Frassini (1359-1360)
Salomone (1360-1361)
Pellegrino (1361-1362)
Daniele q. Giacomo della Massaria (1362-1363)
n.i. [1362]
Leonardo q. Bruno (1363-1364)
Tribosio (1364-1365)
Nicolò Pivirutti (1365-1366)
Giacomo q. Giusto (1366-1367)
Nicolò q. Giacomo de Cramis (1367-1368)
Nicola Pinta (1368-1369)
n.i (1370-1371)
58
n. 1016
n. 1017
n. 1018
n. 1019
n. 1020
n. 1021
n. 1022
n. 1023
n. 1024
n. 1025
n. 1026
n. 1027
n. 1028
n. 1029
n. 1030
n. 1031
n. 1032
n. 1033
n. 1034
n. 1035
n. 1036
n. 1037
n. 1038
n. 1039
n. 1040
n. 1041
n. 1042
n. 1043
n. 1044
n. 1045
n. 1046
n. 1047
n. 1048
n. 1049
n. 1050
n. 1051
n. 1052
n. 1053
n. 1054
n. 1055
n. 1056
n. 1057
n. 1058
n. 1059
Gabriella Cruciatti
Nicola Pinta (1369-1370)
Matiusso Ursutto (1371-1372)
Nicolò Franceschini (1372-1373)
n.i. (1373-1374)
Geremia pelliparius di Gemona (1374-1375)
Domenico (1375-1376)
Aloisio di Altaneto (1377-1378
Iacucio q. Leonardo Montisani di Gemona (1378-1379)
Tommaso q. ser Franceschino della Villa (1380-1381)
Fabiano pelliparius (1381-1382)
Daniele q. Marco Giusti di Gemona (1382-1383)
Mattiusso q. Lorenzo di S. Daniele fabbro (1383-1384)
Nicolò Frassini (1384-1385)
Nicola della Masseria e Guarnerio di Enrico di Gemona (1385-1386, 1386-1387)
Nicola della Masseria e Guarnerio di Enrico di Gemona (1385-1386, 1386-1387)
Bertrando q. Franceschino della Villa (1388-1389)
Nicolò di Costanzo di Gemona (1390-1391)
Giorgio della Villa (1390-1391)
Giorgio della Villa (1390-1391)
Cristoforo q. Mattiusso Orsetti di Gemona (1391-1392)
Cristoforo q. Roberto di Gemona (1392-1393)
Giovanni q. ser Iacucio Fortini di Gemona (1393-1394)
n.i. [1394-1402]
Francesco Aros (1394-1395)
Nicolò di Mattiusso Orsetti di Gemona (1395-1396)
Pietro Mullonei di Gemona (1396-1397)
Nicolò q. Daniele de Cramis di Gemona (1397-1398)
Andrea q. Roberto di Firenze (1398-1399)
Candido Coletti (1399-1400)
n.i. [secc. XIV-XV]
n.i. [secc. XIV-XV]
Simone q. Guarnerio (1400-1401)
Franceschino q. Nicola della Villa di Gemona (1401-1402)
Nicolò Pupissi (1402-1403)
n.i. [1403]
Francesco detto Abat (1404-1405)
Giacomo q. Nicolò Frassini (1405-1406)
Stefano di Candido di Amaro detto Bleon (1406-1407)
Leonardo Mullione (1407-1408)
Francesco Zinulini (1408-1409)
Marcuccio q. Coletti (1410-1411)
Giacomo q. Nicolò di Gemona (1411-1412)
Gabriele di Nicola di Godo (1413-1414)
Antonio Frassini (1414-1415)
Archivi gemonesi. Un percorso di ricerca (1965-2007)
n. 1060
n. 1061
n. 1062
n. 1063
n. 1064
n. 1065
n. 1066
n. 1067
n. 1068
n. 1069
n. 1070
n. 1071
n. 1072
n. 1073
n. 1074
n. 1075
n. 1076
n. 1077
n. 1078
n. 1079
n. 1080
n. 1081
n. 1082
n. 1083
n. 1084
n. 1085
n. 1086
n. 1087
n. 1088
n. 1089
n. 1090
n. 1091
n. 1092
n. 1093
n. 1094
n. 1095
n. 1096
n. 1097
n. 1098
n. 1099
n. 1100
n. 1101
n. 1102
n. 1103
Biagio q. Tommaso di Luico (1415-1416)
Daniele Patussi (1416-1417)
Giacomo chapelar (1417-1418)
Francesco q. Nicola di Montegnacco (1419-1420)
Nicolò q. Daniele Patussi di Gemona (1422-1423)
Biagio Pinta q. ser Nicolò (1423-1424)
Pantaleone Franceschini (1424-1425)
Candido di Stefano di Amaro detto Bleon (1427-1428)
n.i., succede a Nicolò [1433]
Ser Nicolò di ser Giorgio Franceschini (1434)
Cristoforo Formentini (1435)
Cristoforo detto « Peroç » di Gemona (1436-1437)
n.i. [1437]
Franceschino di Montegnacco (1437-1438)
Antonio Carbone (1438-1439)
Antonio Carbone (1438-1439)
Antonio Carbone (1438-1439)
Ser Antonio q. ser Francesco Franceschini di Gemona (1441-1442)
Giacomo stationarius q. Nicola (1442-1443)
Nicolò di Montegnacco (1443-1444)
Giovanni q. Biagio Pinta (1444-1445)
Melchiorre q. Simone Glemonassi di Gemona (1445-1446)
Cristoforo di Latisana ab. Gemona (1447-1448)
Tommaso not. q.Andrea di Galleriano ab. Gemona (1449-1450)
Bartolomeo di ser Antonio (1450-1451)
Antonio Rampolini (1451)
Antonio Rampolini (1451-1452)
Nicola Pigna (1454-1455)
Giovanni Rampolini (1456-1457)
Pantaleone cerdo (1457-1458)
Nicolò q. Cristoforo Formentini (1463-1464)
Gerolamo q. Leonardo Franceschini di Gemona (1464-1465)
Antonio Mutisini q. Serafini (1465-1466)
Daniele Patussi di Gemona (1466-1467)
Cristoforo Poller (1467-1468)
Biachino de Brugnis di Gemona (1468-1469)
Giovanni notaio di San Daniele (1469-1470)
Leonardo [1471]
Leonardo Sandri di Amaro (1471)
n.i. [1472]
pergamena anno 1374 allegata al reg. anno 1479
Giovanni Orsetti di ser Leonardo notaio (1474-1475)
n.i. [1478-1479]
ser Nicolò « Ioachin » di Spilimbergo (1478-1479)
59
60
n. 1104
n. 1105
n. 1106
n. 1107
n. 1108
n. 1109
n. 1110
n. 1111
n. 1112
Gabriella Cruciatti
Cristoforo Orsetti (1480-1481)
Cristoforo Orsetti, prima nota (1480-1481)
Prospero Carbone, fascicolo contabilità Prospero e Bernardo Franceschini (1485)
Giovanni q. ser Nicolò di Montegnacco (1488-1489)
Gerolamo q. ser Pietro Pignan (1490-1491)
Corrado Snuerer (1491-1492)
Bernardino Franceschini (1492-1493)
Gio. Antonio di Prampero (1497-1498)
Gioacchino Franceschini di Gemona (1498-1499)
GLI ARCHIVI DELLA CARNIA
La presente relazione intende dare conto dei primi risultati emersi nel corso
della ricognizione degli archivi nella zona della Carnia e del Canal del Ferro
nell’ambito del progetto Documenti antichi dagli archivi friulani.
Inizierò esponendo alcuni dati relativi alla portata della ricerca nella zona
della quale mi sono occupata con altri collaboratori della Società filologica,
zona che dal punto di vista territoriale coincide con i ventotto comuni della
Carnia e con cinque comuni della Val Canale (Chiusaforte, Moggio, Pontebba,
Resia e Resiutta).
Le schede prodotte sono oltre 250, delle quali 163 relative a singoli documenti. Alle schede Documento sono collegate una ventina di schede Serie, una
dozzina di schede Fondo e oltre 90 schede Archivio.
La ricerca ha riguardato archivi comunali, archivi privati e archivi parrocchiali.
Tra gli archivi comunali, quello di Tolmezzo è l’unico, nel territorio della
Carnia, a conservare documenti non solamente anteriori al sec. XVI ma anche
con le caratteristiche di una, sia pure lacunosa, serialità. La parte antica
dell’archivio (1367-1803) è suddivisa tra atti giudiziari ed amministrativi,
ordinati cronologicamente; i documenti originali di data precedente all’anno
1500, raccolti in quattro buste, sono in parte relativi all’amministrazione della
città, in parte sono stati invece prodotti dalla gastaldia, che esplicava la sua
potestà su buona parte della Carnia, oltre che in Tolmezzo 1.
Gli archivi privati sono sette, tutti di proprietà della fondazione Museo carnico delle arti e tradizioni popolari « Michele Gortani » di Tolmezzo. Nell’ambito del presente discorso non sembra utile soffermarsi sugli archivi Chiussi 2,
Morassi, recentemente riordinato ed inventariato per cura della Sovrintendenza
archivistica regionale, Muner, Pitt e Vidale. Alcune parole invece meritano gli
1
Il gastaldo, funzionario fiduciario del patriarca, ne rappresentava e tutelava gli interessi in
Carnia. Risiedeva nel castello di Tolmezzo dove la sua presenza stabile è ricordata dalla prima metà
del XIII secolo. Tra le sue competenze si annoverava l’amministrazione della giustizia civile e
penale. Sulla storia di Tolmezzo si vedano: C. PUPPINI, Tolmezzo: storia e cronache di una città
murata e della contrada di Cargna. I. Dalle origini al XVII secolo, Udine, Co.El., 1996 (prezioso
anche per tutti i riferimenti bibliografici) e II. Il Settecento, a cura di G. FERIGO - C. LORENZINI,
Udine, Co.El., 2001.
2
Su Maria Chiussi si veda: D. MOLFETTA, Orazione funebre per Maria Chiussi, in « Sot la
nape », XXXX (1988), 2, pp. 93-94.
62
Nicole Dao
archivi Gortani e Roia che, coll’archivio Morassi, sono i più rilevanti, anche dal
punto di vista della consistenza. Il primo, che testimonia delle molteplici attività
in campo scientifico naturalistico, politico e storico di Michele Gortani (18831966), consta di 111 unità e comprende una piccola serie di tre buste, intitolata
« Storia locale » 3. I documenti che ne fanno parte provengono da diverse realtà
del territorio – prevalentemente località della valle del But – nelle quali si
esplicò l’attività di raccolta di testimonianze storiche svolta da Michele Gortani,
direttamente o tramite la rete dei suoi collaboratori. Gli interessi di storico del
Gortani erano prevalentemente indirizzati nei confronti della cultura materiale,
come ben rappresenta il museo di Tolmezzo, ma in qualche occasione egli
raccolse documenti archivistici, quali pergamene, carte, registri. Mentre la
collezione dei manufatti, organizzata sistematicamente e criticamente, ha dato
luogo ad un museo etnografico rappresentativo della cultura carnica, i documenti, privati dell’originario vincolo archivistico, restano oggi come testimoni più
del lavoro del loro raccoglitore che dei soggetti che li hanno prodotti.
Il caso dell’archivio Roia è del tutto analogo, benché su scala maggiore,
poiché, com’è noto, per don Antonio Roia (1875-1943) i documenti erano uno
dei principali interessi 4. Quello che un po’ impropriamente chiamiamo archivio
Roia, infatti, è piuttosto una raccolta o collezione di documenti che comprende
materiali di diversa provenienza ed estremamente miscellanei. Complessivamente si tratta di 150 buste per un arco cronologico che va dal 1396 alla metà
del XX secolo, tra le quali molte sono anche le copie, i regesti, le genealogie e
le compilazioni curate personalmente dall’infaticabile don Antonio Roia. Anche
in questo caso il complesso della documentazione appare maggiormente rappresentativo degli interessi del raccoglitore piuttosto che della storia dei diversi enti
in seno ai quali si erano formati i singoli documenti, per lo più parrocchie, in
numerose delle quali don Antonio Roia esercitò il proprio ministero pastorale.
La figura di don Antonio Roia ci accosta al paragrafo degli archivi parrocchiali dell’Arcidiocesi di Udine, che forse per la prima volta sono stati oggetto
di una simile indagine. Nell’Alto Friuli la ricerca dei documenti antichi ha
infatti interessato 73 archivi parrocchiali della Carnia e della forania di Moggio
Udinese. È stato possibile comprendere nell’indagine anche questa tipologia di
archivi, la più capillarmente presente sul territorio, grazie alla disponibilità
dell’Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli, promotore e curato3
Su Michele Gortani e sul museo di Tolmezzo si vedano: La figura e l’opera di Michele Gortani ricordate nel ventesimo anniversario della sua scomparsa, a cura di L. MARTINIS, Tolmezzo,
Treu Arti grafiche, 1986; E. DORIGO, Michele Gortani, Pordenone, Studio Tesi, 1993; G.P. GRI,
Michele Gortani e il Museo Carnico, in « Quaderni dell’associazione della Carnia Amici dei musei
e dell’arte », 3 (1996), pp. 5-11; M. GORTANI, L’arte popolare in Carnia, Udine, Società filologica
friulana, 20003; D. BARON, Michele Gortani e il fascismo carnico, Tolmezzo, Museo carnico delle
arti e tradizioni popolari, 2003; A.P. PERATONER, Michele Gortani e l’attività assistenziale a favore
dei profughi carnici: 1917-1919, Tolmezzo, Museo carnico delle arti e tradizioni popolari, 2004.
4
Sulla figura di don Antonio Roia si veda: G. SPANGARO, Antonio Roia, sacerdote e cultore
di patrie memorie, 1875-1943, Comeglians 1962.
Gli archivi della Carnia
63
re del censimento degli archivi parrocchiali dell’Arcidiocesi di Udine, che ha
consentito l’utilizzo alla Società filologia friulana di alcuni dati del censimento, del
quale ricordiamo per sommi capi le caratteristiche 5. Iniziato nell’anno 1999 ed
ormai concluso, il censimento ha riguardato i 373 archivi parrocchiali della diocesi
di Udine, che diventano 489 quando si includano nel conteggio le parrocchie
soppresse. L’indagine, condotta con criteri scientifici, ha permesso di conoscere e
quindi poter meglio tutelare e valorizzare un patrimonio archivistico di valore
notevole, buona parte del quale ancora sconosciuto alla collettività degli storici e
dei ricercatori e talvolta agli stessi soggetti che ne garantiscono l’integrità.
Lo schema di rilevazione utilizzato nel censimento si apre con le informazioni generali sull’archivio, seguite da una breve nota storico-istituzionale e
da una descrizione dei fondi e delle serie archivistiche. Di ciascuna di queste
ultime viene data la consistenza, ed indicati gli estremi cronologici. L’individuazione delle serie è la parte più complessa e qualificante del lavoro, poiché
molti archivi parrocchiali non sono dotati di alcuno strumento di corredo; per
essi la scheda redatta in occasione del censimento costituisce la sola chiave di
conoscenza e di accesso. La collaborazione con la Società filologica friulana
nell’ambito della ricerca sulla fonti antiche del Friulano costituisce quindi una
prima forma di valorizzazione sia di alcuni specifici fondi archivistici sia del
censimento nel suo complesso.
I documenti scritti in friulano negli archivi parrocchiali appartengono generalmente a due tipologie principali: i libri contabili e i testi omiletici o di
catechesi. Questo secondo gruppo di documenti non è rappresentato nella nostra
ricerca, poiché gli esempi più antichi di prediche in friulano non risalgono oltre
la metà del Settecento, ben oltre, quindi, i termini cronologici dell’indagine. I
libri contabili invece sono molto meglio rappresentati: oltre la metà dei documenti schedati nelle parrocchie appartengono alle serie relative alla gestione
patrimoniale delle camerarie e delle confraternite. In questo gruppo di scritture,
dalle finalità assolutamente pratiche e redatte dai camerari (artigiani o commercianti la cultura dei quali aveva un taglio altrettanto pratico) è meno raro trovare
l’impiego del volgare e la presenza al suo interno di numerosi friulanismi. Tra i
documenti degni di essere ricordati in questa categoria c’è il registro delle
rendite e dell’amministrazione dei camerari della chiesa di S. Martino di Tolmezzo, di oltre 200 carte e che comprende note dal 1469 al 1568 6. Molto più
antico, invece, il frammento del registro delle rendite della chiesa dei SS.
Filippo e Giacomo di Esemon di Sopra, filiale della pieve di S. Maria Maddalena di Invillino, che riporta annotazioni a partire dall’anno 1404 ed ancora più
antico uno dei quaderni dei camerari di S. Maria Assunta di Resia, che inizia nel
1338 e finisce nel 1363.
5
La presentazione del progetto è consultabile sul sito web dell’istituto
(http://www.istitutopiopaschini.it), nella sezione « ricerche ».
6
Il registro, già studiato da Pio Paschini nel 1920 è stato nuovamente preso in considerazione
da Claudio Puppini nel 1996. Si vedano rispettivamente: P. PASCHINI, Curiosità tolmezzine e vecchi
libri di conti, in « Memorie storiche forogiuliesi », XVI (1920), pp. 153-180, e C. PUPPINI Tolmezzo: storia e cronache… cit., pp. 159-173.
Nicole Dao
64
Con ogni probabilità erano collegati alla gestione patrimoniale delle camerarie delle chiese anche i numerosi istrumenti notarili che, garanti di donazioni,
lasciti o legati, si trovano in discreta quantità negli archivi di Michele Gortani e
di don Antonio Roia. Tra i tanti, interessanti documenti di questo gruppo dalla
provenienza incerta, voglio ricordare un friulanissimo atto notarile col quale il
13 aprile 1366, il tolmezzino Stefano q. Romano si impegnava a dare quattro
marche di soldi alla moglie Giovanna, a titolo di morgengabe 7.
Di sicura provenienza parrocchiale sono i frammenti di obituario segnalati
negli archivi Roia e Gortani, rispettivamente della fine del XIV e dei primissimi
anni del XV secolo e provenienti dagli archivi delle camerarie delle chiese di
Forni di Sotto e di Verzegnis.
Su 163 documenti messi in luce per la loro pertinenza all’oggetto della ricerca ben 106 appartengono al sec. XV, 27 (un sesto del totale) si ascrivono al
Trecento ed è stato segnalato anche un documento del 1206. Si tratta indubbiamente di uno dei più antichi documenti conservati nei nostri archivi parrocchiali, per quanto non si possa dire esattamente friulano, trattandosi di una sentenza
del vescovo di Belluno, nominato arbitro in una causa tra le chiese di Forni di
Sopra e Forni di Sotto.
Per quanto attiene alla lingua dei documenti, la grande maggioranza è in lingua latina (117, pari a circa il 70% del totale) mentre 31 documenti (19%) sono
in volgare. Il rimanente 10% circa (una quindicina di documenti) è redatto in una
forma mista (latino/tosco-veneto/friulano). Tra questi ultimi annoveriamo anche
il caso curioso di un documento conservato nell’archivio parrocchiale di Resia 8,
un registro contabile delle rendite della cameraria della chiesa di Santa Maria
Assunta. Esaminando questo registro ho notato l’esistenza di una pagina redatta
in una lingua che non è stato possibile riconoscere. La scrittura è peraltro
piuttosto incerta, come di chi non avesse particolare consuetudine all’uso della
penna. Dell’eventualità che possa trattarsi di una antica testimonianza scritta nel
dialetto sloveno della Val Resia dirà il professor Han Steenwijk dell’Università
di Padova, da lungo tempo studioso del resiano e subito interpellato dal parroco.
Oppure potrebbe essere l’espediente di un cameraro non esattamente dotto che,
dovendo dimostrarsi all’altezza della situazione, ha bluffato con i contemporanei,
sicuramente senza immaginare a quanti secoli di distanza altri avrebbero ancora
preso in così seria considerazione le sue enigmatiche annotazioni.
NICOLE DAO
Società filologica friulana
Di questa forma di assegno maritale in favore della donna (morgengabe è il « dono del mattino » e in Friuli prende anche il nome di dismontadure) ha trattato P.S. LEICHT Storia del diritto
italiano: il diritto privato. I. Diritto delle persone e di famiglia: lezioni, Milano, Giuffrè, 1960, pp.
155-160 e Diritto romano e diritto germanico in alcuni documenti friulani dei secoli X, XI, XIII,
Udine, Doretti, 1897, pp. 12-15. Si veda in proposito anche: Matrimoni e patti dotali: documenti
friulani del secolo 13, a cura di A. DI PRAMPERO, Udine, Doretti, 1887.
8
È un registro cartaceo, di 94 pagine, in precario stato di conservazione, che contiene annotazioni datate dal 1479 al 1554.
7
GLI ARCHIVI DEL FRIULI OCCIDENTALE
Il patrimonio documentario del Friuli occidentale dell’epoca medievale e
della prima età moderna è molto ricco, e non si esaurisce in quanto è conservato
presso l’Archivio di Stato di Pordenone, la cui parte antica ha peraltro subito
gravi danni in seguito alle alluvioni del Noncello degli anni 1965 e 1966 1. Una
parte della documentazione conservata è ora infatti purtroppo in parte illeggibile
con numerosi registri totalmente sbiancati dall’acqua. L’Archivio di Stato di
Pordenone, istituito nel 1964 in seguito alla creazione della nuova provincia,
disponeva di un patrimonio iniziale costituito da fondi già conservati presso
l’Archivio di Stato di Udine, la cui serie più cospicua e di maggiore estensione
quanto a territori interessati è rappresentata dagli atti dei notai. Oltre a Pordenone, cui si riferiscono una trentina di registri 2 contenenti atti dal Tre al Cinquecento, figurano per lo stesso arco cronologico, con consistenze più modeste,
Arba, Aviano, Cordovado, Fanna 3, Maniago con la data d’inizio più antica
(1289), Meduno, Sacile 4 San Vito al Tagliamento, Spilimbergo, Tramonti e
Valvasone 5.
1
Guida generale degli Archivi di Stato italiani, III, Roma 1986, pp. 807-821.
Gli atti notarili trecenteschi sono raccolti in 3 volumi, quelli quattrocenteschi fino al 1505
sono costituiti da 27 volumi e 2 vacchette, numerosi sono infine i registri cinquecenteschi.
2
3
La documentazione di Fanna include anche quella del vicino Comune di Cavasso che fino
alla metà del Cinquecento in molti atti notarili viene indicato come una contrada di Fanna. Vi sono
inoltre conservati numerosi contratti rogati nelle altre località della Pedemontana e della val
Tramontina.
4
Nell’Archivio di Stato di Pordenone sono conservati per Sacile solamente un volume che
copre gli anni 1471-1479 e 142 volumi e 2 filze cinquecenteschi. La maggior parte della documentazione è infatti conservata nell’Archivio storico comunale di Sacile.
5
Per Arba è conservato un registro relativo al periodo 1490-1497 e 14 volumi cinquecenteschi; per Aviano 2 registri e 21 minutari quattrocenteschi e 47 volumi che vanno dal 1502 al 1636;
per Cordovado un registro relativo agli anni 1467-1473 e 69 registri del XVI secolo; per Fanna 17
volumi e 23 minutari a partire dalla metà del Cinquecento; per Maniago una vacchetta frammentaria
che copre un arco temporale dal 1289 al 1340, un registro e un minutario del decennio 1367-1377 e
16 volumi relativi al Cinquecento; per Meduno una vacchetta del 1343 e una vacchetta del 1492, 20
volumi e una filza tra la seconda metà del Cinquecento e i primi del XVII secolo; per San Vito al
Tagliamento 14 volumi e una vacchetta coprenti l’arco temporale 1473-1500 e un cospicuo numero
di registri cinquecenteschi. Gli atti notarili relativi a Spilimbergo iniziano con un volume e due
vacchette inerenti al periodo 1321-1369; il materiale quattrocentesco conservato è costituito da 10
66
Miriam Davide
Tra le carte delle opere pie e degli enti religiosi soppressi vanno segnalate,
per la prima metà del Quattrocento, quelle dell’Ospedale di S. Maria degli
Angeli e dei conventi di S. Francesco di Pordenone e di S. Maria degli Angeli di
Sacile. Atti più antichi, risalenti al Duecento, si ritrovano nella documentazione
del convento di S. Giacomo di Polcenigo e nel fondo miscellaneo di pergamene
Conventi diversi. Quanto agli archivi familiari, l’unico che contenga documenti
tardomedievali è quello della famiglia comitale degli Altan di San Vito al
Tagliamento.
Anche la documentazione prodotta negli altri centri principali della Destra
Tagliamento vede per il tardo Medioevo e la prima Età moderna una presenza
preponderante della produzione notarile. La maggior parte del patrimonio
archivistico conservato è costituita da una produzione su supporto cartaceo,
mentre le pergamene rimangono in uso soprattutto per scritture pubbliche di una
certa solennità quali ad esempio gli statuti 6, e per opere di carattere letterario e
dottrinale, ciò che del resto è conforme al paesaggio delle scritture italiane dell’epoca.
I registri notarili conservati per la provincia di Pordenone in gran parte coprono un arco temporale breve, presentano una grande varietà di forme contrattuali e sono spesso scritti da più notai.
volumi e due vacchette a partire dalla metà del secolo e dai primi del Cinquecento la consistenza
documentaria diventa particolarmente ricca. Gli atti notarili conservati per la Val Tramontina sono
costituiti da 3 volumi dal 1452 al 1474 e altri 3 volumi dal 1559 al 1595. Il materiale notarile di
Valvasone è infine costituito di 5 volumi e una vacchetta per il XV secolo e 126 volumi e 24
minutari cinquecenteschi.
6
Parte della produzione statutaria della Destra Tagliamento è stata studiata e pubblicata: E.
DEGANI, Gli statuti civili e criminali della Diocesi di Concordia (MCCCL), Venezia, Tipografia
Fratelli Gallino, 1882 (Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria,
serie 4, Miscellanea); Statuti del Comune di Maniago 1380- opera dedicata a Lucrezia di Maniago
nel giorno delle sue nozze con Candido Liuzzi, a cura di A. MEDIN, Padova, s.e., 1891; Statuta et
leges spectabilis Universitatis Terrae Valvasonis - A.1396, in Valvason/Voleròn, a cura di L.
CICERI, Udine, Società filologica friulana, 1979 (riedizione del primo opuscolo pubblicato nel
1858); Statuti di Pordenone del 1438, a cura di G. OSCURO, con il Protostatuto asburgico del 1291,
a cura di M. POZZA, introduzione di G. RÖSCH, Roma, Jouvence, 1986 (Corpus statutario delle
Venezie, 3); Statuti di Aviano del 1403, a cura di S. MANENTE, presentazione di G. ORTALLI, Roma,
Jouvence, 1989 (Corpus statutario delle Venezie); Gli statuti di Brugnera tra signori e comunità, in
Brugnera, feudo e comune, a cura di M. BACCICHET - P.C. BEGOTTI - E. CONTELLI, BrugneraFiume Veneto, GEAP, 1990; Gli statuti di Cordovado del 1337, a cura di P. C. BEGOTTI, Cordovado 1992; G. VENTURA, Lo Statuto di Istrago dato dai signori di Zucco (1526, aprile 20), in « Sot la
nape », XLV (1993), 1, pp. 5-21; W. DI SPILIMBERGO, Uno statuto friulano del Trecento, in « Sot la
nape », XX (1960), 1, pp. 18-20; Gli statuti di Spilimbergo del 1326 con le aggiunte fino al 1421, a
cura di P.C. BEGOTTI, Spilimbergo, Pro Spilimbergo, 2001. Nell’introduzione Begotti mette in luce
l’uso di parole friulane all’interno degli statuti spilimberghesi. Sulla produzione statutaria del Friuli
occidentale si veda ora il lavoro d’insieme di Pier Carlo Begotti, Statuti del Friuli occidentale
(secoli XIII-XVII. Un repertorio), premessa di G. Ortalli, Roma 2006 in cui è confluito parte del
lavoro svolto nella tesi di laurea: Statutaria del Friuli Occidentale, rel. Gherardo Ortalli, Università
degli Studi di Venezia, a.a. 1994-1995.
Gli archivi del Friuli occidentale
67
Il caso di Sacile è emblematico come esempio di una cittadina che conosce a
partire dalla metà del Duecento un grande sviluppo della pratica notarile 7. Il
materiale conservato presso l’Archivio storico del Comune, in gran parte organizzato in base ai suoi interessi e studi dallo storico locale Giuseppe Marchesini
(1877-1965) dopo anni in cui versava in uno stato di incuria, comprende scritture
a partire dal XIII secolo. L’Archivio, collocato nei locali della sede comunale
dalla fine della seconda guerra mondiale fu poi trasportato, dopo il terremoto del
1976, in parte nella sede dell’ex pretura e in parte nel palazzo Carli e si trova ora
riunito nella Biblioteca comunale. Si deve però sottolineare la dispersione di una
parte della documentazione, avvenuta soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento: un fondo dell’archivio, la collezione Ovio dal nome di un’antica famiglia
sacilese, è stato rinvenuto presso la Biblioteca civica Joppi di Udine. Numerose
sono infine le carte dell’Archivio storico danneggiate o distrutte durante il primo
conflitto mondiale8. Il riordinamento dell’archivio è stato condotto sotto il
controllo della Soprintendenza archivistica per il Friuli Venezia Giulia.
L’Archivio storico comunale, che è stato riordinato a partire dal 1982, conserva atti del contenzioso civile tra la Comunità di Sacile, i privati ed enti
ecclesiastici (ad esempio la Fabbrica del Duomo di S. Nicolò, l’Ospedale di S.
Gregorio 9) oltre a cause giudiziarie tra soli privati 10.
In particolare gli atti concernenti la Fabbrica del Duomo, che datano dal
XIV secolo, riguardano tra l’altro vertenze per i pagamenti delle decime, pignoramenti per canoni livellari non soddisfatti, elenchi di beni e di affitti di campi e
di immobili, cause intentate da privati contro l’ente ecclesiastico, come nel caso
di Giustina vedova di Barberio di Sacile contro Antonio Ferrario e la Fabbrica
del Duomo per la costituzione di una servitù edilizia 11.
Su Sacile si veda: G. MARCHESINI, Hospitales Sancti Gregorii de Burgo Sacili, Sacile, Tipografia Bellavitis, 1913; ID., Annali per la storia di Sacile anche nei suoi rapporti con le Venezie,
Sacile, Tipografia Bellavitis, 1957; G.B. SANTIN, Appunti sulla comunità di Sacile e la sua politica
annonaria sotto il governo veneto, in Economia e società nella Repubblica veneta tra ’400 e ’700,
Venezia 1970, pp. 21-35 (Studi e ricerche, II); La storia ritrovata (1411-1797). Frammenti di vita
sacilese tratti da documenti restaurati degli archivi storici comunale e parrocchiale. Catalogo della
mostra Sacile, Chiesa di San Gregorio, 20 novembre-12 dicembre 1993, a cura di N. ROMAN,
Pordenone, Sartor, 1993; Nobili di Sacile 1481-1797. Momenti di vita pubblica e privata tratti da
documenti d’archivio, a cura di N. ROMAN, Pordenone, Sartor, 1994; Il Monte di Pietà di Sacile nel
contesto dell’economia locale sotto il Dominio Veneto (1566-1797), a cura di N. ROMAN e G.
ZOCCOLETTO, Pordenone, Assessorato alla cultura, 1995.
7
8
N. ALBANO, Note informative sull’archivio storico comunale di Sacile, in La storia ritrovata (1411-1797)... cit., pp. 27-36.
ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI SACILE, reg. 14. La documentazione data dal XV secolo,
e contiene anche gli elenchi di affitti dei beni di proprietà dell’ospedale
9
10
Ibid., regg. 4, 5. I processi tra la comunità e i privati coprono un arco cronologico che va
dal 1286 al XVIII secolo; sono tra l’altro conservati gli atti dell’interessante vertenza tra il consiglio
dei nobili e la comunità dei popolari. La documentazione è stata gravemente danneggiata dalle
muffe e dai topi.
11
Ibid., regg. 16, 17, 18. La causa citata si trova nell’ultimo registro.
Miriam Davide
68
La ricca produzione documentaria della Comunità di Sacile copre un arco
cronologico che va dal XIII al XIX secolo. Le carte più antiche che si conservano sono quelle che attestano i diritti della Comunità: sono qui documentati tra
l’altro il diritto da parte del Comune di avere fiere e mercati sul suo distretto, i
privilegi concessi prima dai patriarchi e confermati poi dai duchi veneziani e le
contese per i confini territoriali, quali quelle con la potente famiglia dei da
Camino 12. Gli atti del podestà partono dal XIV secolo 13. Dal XV secolo datano
i registri contenenti le entrate e le spese annotate dai massari 14.
Una serie di notevole interesse è quella costituita dai Libri dei parti, contenenti le decisioni prese nell’Arengo e nel Consiglio della città, che coprono un
arco temporale che va dal tardo Quattrocento al Settecento 15.
La produzione notarile di carattere privato, piuttosto consistente, riguarda
soprattutto atti di compravendita e di locazione, pratiche creditizie e testamenti,
con atti risalenti agli inizi del XIII secolo 16. Molte sono infine le copie di
documenti duecenteschi attestanti diritti delle casate nobiliari conservati nella
miscellanea creata da Giuseppe Marchesetti 17.
Nell’ambito del progetto Documenti antichi dagli archivi friulani è stata
presa in esame anche la documentazione conservata negli archivi parrocchiali,
parte dei quali è stata riordinata successivamente al sisma che ha colpito il Friuli
nel 1976. Alcuni, quali ad esempio quelli di Maniago e di Aviano 18, sono stati
riordinati ed inventariati in loco e l’accesso avviene attraverso accordi con i
parroci; altri, in numero piuttosto elevato, tra i quali si segnalano quelli della
Val Tramontina, della Val d’Arzino e di diversi paesi della Pedemontana, sono
stati versati nell’Archivio diocesano, dove solamente in parte sono stati riordinati, anche se gli inventari esistenti si presentano piuttosto lacunosi e di difficile
utilizzo. Un più ristretto numero di archivi parrocchiali, non riordinati, si trova
invece depositato in parte nelle canoniche e in parte in case private, come nel
caso di quelli di Pofabbro e di Frisanco, per i quali sembra peraltro che vi sia in
cantiere un progetto di riversamento di tutto il materiale in una sede unica,
probabilmente il Comune 19.
12
Ibid., regg. 44, 45, 46. La contesa contro i Da Camino per motivi territoriali è conservata
nel reg. 44, insieme ai patti conclusi nel 1467 tra la magnifica Comunità di Sacile e i prestatori ebrei
per l’apertura di banchi di prestito in città e nel distretto.
13
Ibid., reg. 30.
14
Ibid., regg. 27, 28, 29.
15
Ibid., regg. 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38.
16
Ibid., regg. 47, 48, 49, 50, 51, 52.
17
Ibid., Miscellanea Giuseppe Marchesini, cartt. 58 e 59.
Su Aviano si vedano i contributi raccolti in Avian. 52nd congres: 21 setembar 1975, a cura
di L. CICERI, Udine, Società filologica friulana, 1975.
18
L’archivio di Pofabbro ha conosciuto diversi spostamenti successivamente al terremoto del
1976 ed è ora conservato in una stanza attigua all’ufficio del parroco nella canonica, mentre l’archivio parrocchiale di Frisanco è suddiviso in più nuclei conservati presso le abitazioni di famiglie
del paese. La maggior parte dei documenti antichi conservati nell’archivio di Pofabbro data dal
19
Gli archivi del Friuli occidentale
69
Il sisma e le successive fasi di trasporto del materiale hanno causato la perdita di parte della documentazione: ad esempio due catapani, uno di Meduno e
uno di Fanna. Il riordinamento degli archivi non sempre è stato garanzia per la
conservazione del patrimonio: è il caso dell’archivio parrocchiale di Maniago in
parte disperso dopo il riordinamento del 1983.
Cospicua, soprattutto dagli inizi del Cinquecento, nell’area montana così
come in quella pedemontana, è la documentazione prodotta dalle confraternite
religiose, soprattutto quelle dei Battuti, di S. Rocco e della Beata Vergine,
redatta nella maggior parte dei casi in lingua volgare e costituita per lo più da
testamenti con legati a favore di enti ecclesiastici e delle stesse confraternite 20.
Oltre alle fonti prodotte dalle confraternite religiose nella zona montana
sono stati conservati frequentemente i documenti relativi all’amministrazione
patrimoniale degli enti ecclesiastici, quali gli elenchi di tipo catastale dei beni
fondiari posseduti e dei redditi e dei censi che erano riscossi sugli stessi, chiamati con il nome di catastici o catapani 21. I censi riscossi dalle chiese della
XVII secolo mentre numerosi sono i registri, in copia o in originale, del Cinquecento. Si tratta
generalmente di documenti di tipo amministrativo e giudiziario concernenti il possesso e l’usufrutto
di alcuni possedimenti, soprattutto di natura boschiva e pascoli, nelle adiacenze del Comune. Sono
conservati inoltre dei registri fiscali che riportano i fitti e i censi dovuti alla locale chiesa di S.
Nicolò vescovo e i registri della fabbriceria in cui sono riportati i testamenti in cui erano previsti dei
lasciti precisi a favore della chiesa. Cinquecenteschi sono infine anche i registri di giustizia criminale e civile nei quali sono contenute numerose cause riguardanti l’usurpazione di diritti esistenti su
numerosi beni, in gran parte boschi, del territorio di Pofabbro e Frisanco appartenenti alla casata dei
conti di Maniago.
P. CAMMAROSANO, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma, Carocci, 20027, pp. 249-254. Sulle Confraternite dei Battuti e sull’uso del volgare friulano, cfr. R.
PELLEGRINI, I Battuti in Friuli tra scritture pratiche e poetiche, in Ospitalità sanitaria a Udine
dalle origini all’ospedale della città, secoli XIV-XVIII, a cura di L. MORASSI, Udine, Casamassima,
1989, pp. 13-55. Negli ultimi anni sono stati curate alcune importanti edizioni delle fonti in friulano
provenienti dalla confraternite: Il quaderno della Fraternita di Santa Maria di Tricesimo, a cura di
F. VICARIO, Udine, Biblioteca civica V. Joppi di Udine, 2002 (Quaderni della Biblioteca civica V.
Joppi. Fonti e Documenti, 4); Il registro della Confraternita dei Pellicciai di Udine, a cura di F.
VICARIO, Udine, Forum, 2003 (Biblioteca di lingua e letteratura friulana, 4).
20
21
I catapani conservati per queste aree sono sia dei registri contenenti i diritti e i redditi derivanti dalle investiture, incluse le locazioni di beni immobili e le donazioni testamentarie, che dei
documenti in forma di calendario perpetuo in cui sono segnate a date precise le annuali processioni,
le feste maggiori e gli obblighi che gravavano sull’ente ecclesiastico stesso. I catapani sono inoltre
usati come necrologi con l’elenco dei defunti della comunità e delle confraternite e della pieve in
seguito alle norme emesse al Concilio di Trento che aveva ordinato di tenere i registri anagrafici o
perlomeno di coloro che avevano beneficiato la chiesa stessa. I documenti superstiti si sono
conservati sia nella loro forma originale sia in copie posteriori in genere seicentesche o settecentesche. Sui catapani si veda: P. LONDERO, Il “catapan” di Trivignano, in « Sot la Nape », XIV (1962),
pp. 39-44; Il catapan di Fagagna. Anno 1450, a cura di I. ZENAROLA PASTORE, Fagagna (UD)
1983; G. RIBIS, Il catapan di Rizzolo del Friuli, 1307-1610, Udine, Istituto Pio Paschini, 2002
(Fonti per la storia della Chiesa in Friuli, 6); Il catapan di San Lorenzo di Sedegliano, a cura di E.
CAPITANIO, Sedegliano (UD) 2001; A. TILATTI, I Catapan di Trivignano Udinese (secoli XIV-XVI)
(Fonti per la storia della Chiesa in Friuli dell’Istituto Pio Paschini. Serie Medievale, 3).
Miriam Davide
70
Pedemontana pordenonese erano versati parte in denaro e parte in natura e
venivano riscossi su terreni e immobili che spesso erano situati in paesi diversi
da quello in cui sorgeva l’ente ecclesiastico e sovente anche in località molto
distanti.
Un’altra tipologia di fonti che è stata conservata negli archivi delle zone
montane è rappresentata dalle visite pastorali che diventano numerose e maggiormente documentate in tutta Italia nel XV secolo 22.
Nella Val Tramontina i due archivi che conservano materiale più antico
sono quelli di Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto. L’archivio parrocchiale
della chiesa di S. Floriano di Tramonti di Sopra è costituito in larga parte da
materiale posteriore al Seicento: solamente durante questo secolo iniziano qui
ad essere conservati i registri battesimali, dei matrimoni e dei morti 23. Nella
parrocchia della Beata Vergine Maria di Tramonti di Sotto 24 sono conservati
registri di censi e di livelli a partire dalla metà del Quattrocento e un rotolo sulle
visite pastorali di monsignor Bressa agli inizi del Cinquecento. Sono conservati
inoltre registri che attestano i lasciti a favore della locale Confraternita di S.
Rocco e le donazioni alla chiesa di S. Giovanni Battista dalla fine del Quattrocento. I lasciti erano costituiti sia da terreni che da livelli gravanti su terreni. Di
notevole interesse è il catapano redatto tra il XV e il XVIII secolo, in cui
all’elenco dei morti si accompagna la registrazione precisa delle donazioni a
favore della chiesa. Il catapano, redatto in lingua latina su supporto membranaceo, dovrebbe essere sottoposto quanto prima ad una operazione di restauro per
le molte macchie di umidità che precludono sovente la lettura 25. Nel Quattrocento fu redatto un secondo catapano, definito con il nome di « catapan novo »,
di cui è conservata solamente in una copia settecentesca compilata dal notaio
Leonardo Mincelli. In questo registro erano segnalate le donazioni a favore di
quattro chiese: rispettivamente quelle di S. Floriano, di S. Giovanni, S. Maria e
S. Rocco 26. Gli altri archivi parrocchiali della Val Tramontina, di Chievolis e di
Campone, conservano invece materiale che parte dal Settecento e, versati
22
Sulle visite pastorali si veda: Le visite pastorali. Analisi di una fonte, a cura di U. MAZZONE A. TURCHINI, Bologna, Il Mulino, 1985 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico. Quaderno 18).
23
I libri battesimali e quelli dei matrimoni presentano come data d’inizio il 1642, mentre i registri dei morti iniziano più tardi, verso il volgere del secolo, nel 1680. Tra il materiale conservato
nell’archivio parrocchiale di S. Floriano di Tramonti di Sopra si trova inoltre un registro degli ultimi
anni dell’Ottocento della pieve di Arlans, cittadina presso Nevers in Francia, testimonianza della
forte emigrazione verso questi territori avvenuta nel XIX e nel XX secolo. Il registro proveniente
dalla diocesi di Arlans riporta in gran parte i battesimi dei figli degli emigranti dell’intera Val
Tramontina che erano emigrati per motivi di lavoro in quella cittadina.
Anche in questo archivio le annotazioni dei battesimi partono dal 1642 e sono riportate in
un solo registro che arriva ai primi anni dell’Ottocento.
24
Il catapano è conservato nell’archivio della parrocchia della Beata Vergine di Tramonti di
Sotto, b. 2.
25
26
Il « catapan novo » è conservato nella medesima busta.
Gli archivi del Friuli occidentale
71
anch’essi presso l’Archivio diocesano di Pordenone, attendono ancora un inventario 27.
Ricco ed interessante è il patrimonio documentario della parrocchia di S.
Martino di Clauzetto 28, ora versato all’Archivio diocesano 29.
Particolarmente interessante è la documentazione relativa alla potente famiglia dei Savorgnan che su queste terre vantava i suoi diritti. Giunta in copia
cinquecentesca è l’investitura del territorio di Clauzetto del 1328 da parte del
patriarca 30; in un registro che inizia nei primi del Cinquecento è contenuto
l’elenco dei privilegi della famiglia dei Savorgnan nella zona di Clauzetto e di
Pinzano e le imprese notevoli degli esponenti più importanti della famiglia. Si è
conservato un registro della Cameraria della locale Confraternita di S. Rocco,
restaurato nel settembre del 1997, che copre un arco temporale che va dal 1575
al 1682 e contiene l’elenco delle spese e delle entrate oltre a notizie inerenti
l’elezione di nuovi membri 31. Del catapano del 1388 redatto in lingua volgare,
di cui si sono perse le tracce agli inizi del secolo scorso, esiste una copia. Nel
catapano venivano registrati i legati percepiti dalla pieve di Vito d’Asio, dalle
chiese di S. Martino e di S. Giacomo di Clauzetto e dalla chiesa di S. Francesco
nel Canal d’Arzino 32.
27
Presso l’Archivio diocesano di Pordenone si conservano inoltre fotocopie di documenti dei
primi del Cinquecento, riguardanti la località di Canal di Cuna della Val Tramontina. L’archivio
parrocchiale di Chievolis, che non era una pieve ma una curatia, dipendente da Tramonti di Sopra,
comprendeva anche le località di Faidona, Tamaret e Mointa. L’archivio, riordinato nell’ottobre del
1998, è ancora privo di un inventario. La documentazione conservata ha inizio solo dal XVIII
secolo e molto probabilmente il materiale precedente è confluito in parte nell’archivio parrocchiale
di S. Floriano di Tramonti di Sopra. L’archivio parrocchiale di Campone, in parte riordinato nel
1999 ma ancora privo di un inventario, contiene materiale a partire dal 1777, essendo confluito il
materiale precedente nell’archivio parrocchiale della Beata Vergine di Tramonti di Sotto.
28
Nell’archivio parrocchiale di Clauzetto erano conservate alcune pergamene relative alla
parrocchia di S. Martino e alla chiesa di Pradis ora confluite nell’Archivio diocesano.
29
I libri dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali iniziano nel 1609 e sono per un certo periodo raccolti in un unico registro, ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di
Clauzetto, Anagrafe ecclesiastica, IV, I e IV, 2-1.
30
Ibid., Autorità ed enti civili, Giurisdicenti Savorgnan, 3, I, 1. In copia ottocentesca, redatta
da monsignor Luigi Zannier, ci è giunta la pretesa di giuspatronato dei Savorgnan sulle pievi di Vito
d’Asio e di Valeriano, in Cappellanie e giuspatronato, IX, 1, 2. Sui Savorgnan in Friuli e sul loro
ruolo a Clauzetto, Pinzano al Tagliamento e Vito d’Asio si veda M. ZACCHIGNA, I Savorgnano di
Udine. L’espansione fondiaria (secoli XIII-XIV), in « Metodi e Ricerche », II (1981), 2-3, pp. 43-56;
ID., Pinzano: un castello del Friuli alla metà del sec. XV, in « Metodi e Ricerche », n.s. II, (1983), 1,
pp. 24-39; I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo, Udine, Provincia-Assessorato
alla cultura, 1984.
31
ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di Clauzetto, Confraternite,
sodalizi e associazioni, VI, 5, 3, 2. Nell’archivio sono conservate anche lettere cinquecentesche
inviate alla Confraternita di S. Rocco da parte di pievani, ibid., Autorità ed enti civili, 3, I, 1;
sull’organizzazione delle confraternite operanti in paese può essere utile quanto scritto dal pievano
Cavalutti in un suo promemoria redatto nel Seicento, ma giunto a noi in una copia settecentesca,
ibid., Parrocchia, I, 2.
32
Ibid., Amministrazione dei beni, VIII, 1, 6.
Miriam Davide
72
L’archivio parrocchiale della chiesa di S. Michele di Vito d’Asio, conservato presso l’Archivio diocesano di Pordenone, presenta una consistente documentazione soprattutto a partire dal Cinquecento 33 ed è purtroppo corredato da
un inventario quanto mai impreciso e lacunoso che rende sovente difficile la
consultazione. Si è conservato solamente in una copia settecentesca, eseguita
dall’arciprete don Leonardo Zannier, il catapano della pieve redatto tra il 1436 e
il 1692 in lingua latina. Analogamente anche del catapano della curatia di Vito
d’Asio, redatto a partire dal 1465, si è conservata solo una copia ottocentesca 34.
Di notevole interesse è la serie dei camerari della chiesa di S. Michele 35: alcuni
registri, danneggiati dall’umidità, avrebbero bisogno quanto prima di un intervento di restauro. Gli affitti venivano percepiti sia su terreni nel territorio del
comune di Vito d’Asio che in località montane, come Tramonti, e villaggi nell’immediata Pedemontana, come Travesio.
In una miscellanea sono raccolte le copie di documenti anteriori al Cinquecento relativi ai lasciti alle confraternite e alla chiesa di S. Michele 36; si segnala
un contratto dotale cinquecentesco 37.
Nell’archivio sono confluiti inoltre i documenti relativi alla famiglia Ciconi. In copia settecentesca è pervenuto un registro che parte dal 21 settembre del
1398, nel quale sono riportate le confinazioni dei terreni di proprietà della
famiglia 38. Gli atti di famiglia, raccolti dai primi del Cinquecento fino al Settecento e di natura soprattutto amministrativa, sono anch’essi stati copiati durante
il Settecento 39. In originale sono invece giunti a noi i documenti in cui sono
33
Su Vito d’Asio si veda San Martino d’Asio. Un’antica pieve ritrovata, a cura di F. PIUZZI,
Cosenza - Vito d’Asio, Media House - Pro Loco di Vito d’Asio, 1988; Vito d’Asio. Immagini per
una storia, a cura di N. CANTARUTTI e R. VETTORI, Udine, R. Vettori, 1988; Âs inte giere. Il
territorio dell’antica pieve d’Asio, a cura di M. MICHIELUTTI, Udine, Società filologica friulana,
1992; La chiesa di San Michele Arcangelo a Vito d’Asio, a cura di T. PASQUALIS e M. SFERAZZA,
Pordenone, La Tipografica, 1998.
34
ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di Vito d’Asio, Amministrazione beni-Beni della Chiesa, Catapani, Catastici, inventari, VIII, I, 1. Sulla scorta dei catapani
della pieve, redatti tra il 1413 e il 1613, sono state tratte delle note relative alla famiglia Ciconi,
ibid., Miscellanea-Fondo Ciconi, IX, 2. Notizie desunte dal catapano redatto da monsignor Leonardo Zannier sono ora reperibili in linea nel sito della Val d’Arzino: http://web.tiscalinet.it/valdarzino.
35
La serie dei camerari copre un arco temporale che va dal 1581 al 1687. I registri sono conservati in ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di Vito d’Asio, Prime note,
rotoli, registri cassa, VIII, 2.
36
Ibid., Storia-Memorie e altri manoscritti, X, 1.
Il contratto dotale stipulato il 6 settembre del 1507 tra il magister Domenico del fu Giacomo di Vito d’Asio e Caterina del fu Giovanni Liberale è uno dei pochi contratti di questo tipo
conservati negli archivi parrocchiali. La dote era costituita parte in denaro, 200 ducati e 614 piccoli,
parte in beni mobili e vestiti. Il contratto include, come prassi, i riferimenti alla normativa in uso, in
tal caso quella veneta, ibid., Instrumenti diversi, VIII, 1,7.
37
38
Ibid., Miscellanea-Fondo Ciconi, XI, 2.
Ibid.; il registro è arricchito con l’albero genealogico della famiglia Ciconi. Sulla famiglia e
sul suo esponente più noto, il conte Giacomo, si veda Giacomo Ceconi. Un impresario friulano, a
cura di L. D’ANDREA - A. VIGEVANO, Udine, Edizioni « De la Panarie », 1994; Il conte Giacomo
39
Gli archivi del Friuli occidentale
73
registrate le contese giudiziarie per i terreni tra la famiglia in questione e i
Savorgnan 40.
La documentazione degli archivi parrocchiali della fascia pedemontana, di
cui fornirò alcuni esempi, si presenta articolata e ricca di materiale quattrocentesco. L’archivio parrocchiale di Maniago 41 conserva un registro di confinazioni
dei beni della chiesa di S. Mauro del 1450, redatto in lingua latina, nel quale
però i nomi dei terreni presi in esame sono riportati nella loro forma friulana
antica 42. Numerosi sono i riferimenti topografici friulani anche nel documento
in cui sono annotati i pagamenti della famiglia Rosa di Casasola, nei pressi di
Frisanco, del 1436 43. Le altre più antiche scritture presenti nell’archivio, giunte
talora in copia, risalgono alla metà del Trecento 44.
L’archivio parrocchiale di S. Maria Maggiore di Meduno 45, costituito da
41 cartolari, conserva registri di confinazioni a partire dalla metà del Quattrocento fino a tutto il Cinquecento, nei quali vengono annotati le locazioni e i
livelli su terreni; anche in questo caso i nomi e toponimi vengono riportati con
in antico friulano. In un separato registro venivano annotati i testamenti che
includevano lasciti a favore della parrocchia 46. Si conserva inoltre l’inventario
Ciconi di Montececon, a cura di L. ZANINI, Udine, Camera di commercio, industria, artigianato,
agricoltura, 1930.
40
La summa arbitraria del 7 maggio del 1543, che si concludeva con la sentenza, tra Domenico Savorgnan e gli esponenti della famiglia Ciconi, riguardava la locazione e la successiva vendita
di un terreno sito a Vito d’Asio. Ibid., Miscellanea-Fondo Ciconi, XI, 2.
I registri battesimali e dei morti iniziano ad essere redatti verso la fine del Cinquecento e
sono conservati presso l’archivio parrocchiale di Maniago, Registri battezzati, b. 1 e Registri
matrimoni e funerali, b. 37. Il materiale contenuto nell’Archivio parrocchiale di Maniago è stato in
parte esaminato e studiato in vari contributi: E. DEGANI, Annali della terra di Maniago - nel solenne
ingresso dell’arciprete Giovanni Battista Ciriani già parroco di San Giovanni di Polcenigo alla
pieve di S. Mauro di Maniago, Portogruaro, s.e., 1884; ID., Annali di Maniago, in Monografie
friulane, Portogruaro, Tipografie Polo, 1888; ID., Memorie ecclesiastiche della Pieve di Maniago,
Portogruaro, Tipografie Polo, 1889; P.L. ZOVATTO, Il Duomo di Maniago: con appendice di
altre notizie storiche, opere, statistiche, associazioni e confraternite della Pieve di S. Mauro
martire, Udine 1952; G. D’ARONCO, Mille anni di storia a Maniago, in « Ce fastu? », 56 (1980), pp.
9-34 e 57 (1981), pp. 25-44; G. BERGAMINI - P. GOI, Il Duomo di Maniago e le chiese minori,
Maniago, Lema, 1980; Maniago, pieve, feudo e comune, Maniago, Comitato per il millenario 9811981, 1981.
41
42
I riferimenti topografici in friulano antico sono piuttosto numerosi, soprattutto in relazione
ai terreni di proprietà della Chiesa nella Val Tramontina: ibid., b. 111.
43
Ibid., b. 225 bis.
44
Si tratta delle registrazioni degli acquisti fatti dalla locale chiesa di S. Mauro: b. 225 bis.
Nell’archivio parrocchiale di Meduno, versato nell’Archivio diocesano di Pordenone, sono
confluiti i registri della chiesa di S. Pellegrino di Navarons successivamente alla soppressione della
parrocchia. I registri più antichi sono seicenteschi. Su Meduno si veda: Meduno: memoria e appunti
di storia, arte, vita sociale e religiosa, a cura di P. GOI, Meduno, Cassa rurale ed artigiana di
Meduno, 1991.
45
46
ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di Meduno, b. 22, VIII, 1, 5;
b. 4, VIII, 1, b. 26,VIII, 1, 6; b. 28, IX, 1.
Miriam Davide
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dei beni della chiesa eseguito nel XVI secolo per volontà di Giovanni Battista di
Mello, vicario generale del vescovo di Concordia Francesco Argentini, da un
notaio imperiale di Marostica, tale Prosdocimo del fu Paolo di Belluno. I terreni
di proprietà dell’ente erano ubicati nel territorio del Comune, nella Val Tramontina, nella vicina Fanna, nella zona di Toppo e Travesio e ad Aurava e Barbeano, vicino a Spilimbergo, ed infine a Casarsa 47. Nell’archivio si è inoltre conservata in copia la raccolta delle confessiones fatte dai fittavoli della chiesa
stessa nell’anno 1535: i fittavoli presentandosi davanti al vicepievano di Meduno Osvaldo del fu Giovanni Colussi dichiaravano l’entità dei fitti (costituiti
nella maggior parte dei casi da cereali, soprattutto frumento, segale e avena, da
spalle di maiali, galline e uova 48) pagati sui terreni della chiesa, indicati sovente
con toponimi friulani.
Nel caso di Fanna 49 la documentazione dell’antica abbazia è andata totalmente persa e anche i registri battesimali e dei morti conoscono una data di
partenza tarda, verso la fine del XVI secolo 50. In un registro di fitti e livelli di
fine Cinquecento si trovano riferimenti a un catapano redatto nel corso del
Quattrocento, andato perso dopo il terremoto del 1976 51. La maggior parte della
documentazione è costituita da registri di epoca cinquecentesca, giunti per lo
più in redazione originale, contenenti le annotazioni relative alle entrate di fitti e
la registrazione di locazioni della chiesa di S. Martino. In tutti i registri dei
camerari, redatti in genere in volgare, sono annotati i nomi dei debitori della
chiesa 52.
47
Ibid., b. 26, VIII, 1, 6.
48
Ibid., b. 46, VIII, 1.
Su Fanna si vedano i contributi: E. DEGANI, La cronaca di prè Antonio Pugliese vice abate
di Fanna 1508-1532, s.l., s.e., 1888; A. MARCHI, Fanna, le sue origini e la sua storia, in 10°
Congresso della Società filologica friulana: Maniago, 6 ottobre 1929, Udine 1929, pp. 46-50; A.
MARCHI, L’abbazia benedettina di S. Martino di Fanna: vicende di una secolare contesa, in « Ce
fastu? », 12 (1936), 3-4, pp. 63-71; A. FORNIZ, Memorie dell’antica abbazia di Fanna, in « Il
Noncello », 1983, 55, pp. 145-150; D. PENZI, Vicende socio-economiche del contado di FannaCavasso nel 1700, Pordenone, Tipografia Sartor, 1997; M.G.B. ALTAN, Fanna Cavasso nel feudo di
Polcenigo, Fanna, Circolo culturale « Castel Mizza », 1999; A. FLORAMO, Fanna 1493. Scenari
notturni tra miracoli divini e malizie del demonio, in L’incerto confine:vivi e morti, incontri, luoghi
e percorsi di religiosità nella montagna friulana, Udine-Tavagnacco, Arti grafiche friulane, 2000,
pp. 63-68; Fanna la sua terra, la sua gente, a cura di P. GOI, Fanna 2007.
49
50
Il liber baptizatorum dell’Abbazia di S. Martino di Fanna inizia ad essere redatto nel 1593,
mentre il registro dei morti iniziò ad essere compilato solamente nel Seicento. Sono conservati
nell’archivio parrocchiale di Fanna, rispettivamente in b. 3, IV, 2,1 e b. 9, IV, 5, 1.
51
Ibid., b. 18, VIII, 1, 1. Il registro di fitti e di livelli redatto sul volgere del XVI secolo contiene le annotazioni relative ai debiti e ai crediti della locale chiesa. Molti dei debitori provenivano
dagli altri paesi. Ogni qualvolta si fa riferimento ad un bene si dice che era stato registrato in un
catapano redatto nel secolo precedente.
52
Ibid., b. 19, VIII, 1, 3. Tra la documentazione cinquecentesca è conservato inoltre un processo intentato dalla Chiesa di San Martino contro i nobili Polcenigo per l’alienazione di una serie
di beni immobili, b. 31, VIII, 1, 5.
Gli archivi del Friuli occidentale
75
Più antica, risalente cioè al XIV secolo, è la documentazione della vicina
località di Cavasso Nuovo 53 nel cui archivio, versato dopo il sisma del 1976
nell’Archivio diocesano, sono presenti registri e carte di confraternite. I registri
degli estratti della Confraternita della Madonna, chiamata precedentemente con
il nome di Confraternita dei Battuti, coprono un arco temporale che va dal 1553
al 1686 54; i registri battesimali relativi alla pieve di S. Remigio di Cavasso
iniziano nel 1547 55. I registri matrimoniali iniziano invece nel 1582 56. Si è
conservato anche il bel catapano cinquecentesco, con annotazioni del secolo
successivo, redatto dal prete Antonio di Porcia conservato presso l’Archivio
Diocesano di Pordenone staccato dal resto dell’Archivio Parrocchiale di Cavasso Nuovo. Il testo non contempla solamente l’elenco dei legati alla Chiesa
essendo corredato di annotazioni e memorie 57.
Nell’archivio parrocchiale di Cavasso si trova inoltre un cospicuo gruppo
di instrumenta della Pieve di Fanna che datano a partire dalla prima metà del
Quattrocento, recentemente restaurati 58. A partire dai primi del Cinquecento si
sono invece conservati dei registri di fitti e di livelli della stessa pieve 59.
Più cospicua rispetto a quanto registrato nell’area montana e pedemontana
è la produzione documentaria ecclesiastica dei centri urbani del Friuli Occidentale, ora conservata presso gli archivi parrocchiali. Particolarmente ricca e
articolata è ad esempio la documentazione dell’archivio parrocchiale di Sacile,
che come abbiamo visto è in parte depositata presso l’Archivio storico del
Comune 60. L’archivio ha conosciuto molti spostamenti e dispersioni; non esiste
un inventario ma solamente alcune schede. Nel 1981 è stato effettuato un
restauro a cura della Sovrintendenza.
Tra i documenti più antichi si segnalano i registri in pergamena delle
entrate della fabbrica di S. Nicolò, di epoca quattrocentesca, e i registri notarili
53
ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di Cavasso Nuovo, Tit. VIII,
1/3, cartelle 27-34. Su Cavasso si veda R. DELLA VALENTINA, Storia e origini di Cavasso Nuovo,
Maniago, Tipografia Mazzoli, 1988; D. PENZI, Vicende socio-economiche del contado di FannaCavasso nel 1700... cit.; M.G.B. ALTAN, Fanna Cavasso nel feudo di Polcenigo…cit. Sulla storia di
Cavasso Nuovo si veda Cavasso Nuovo Cjavàs. Storia-Comunità-Territorio, a cura di P.C. BEGOTTI, Meduno 2008.
54
Ibid., Tit. VI, 2/3, cartella 22.
55
Ibid., Tit. IV, 2/1, cartelle 7 e 8.
Ibid., Tit IV, 4/2, cartella 11. I registri dei morti iniziano invece solamente nella seconda
metà del XVII: tit. IV, 5/1, cartella. 13.
56
ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Catapano. Sul catapano di Cavasso Nuovo si veda
M. DAVIDE, Le vicende ecclesiastiche e religiose, in Cavasso Nuovo Cjavàs. Storia-ComunitàTerritorio… cit., pp. 185-228, a pp. 189-193.
57
58
ARCHIVIO DIOCESANO DI PORDENONE, Archivio parrocchiale di Cavasso Nuovo, Tit. VIII,
1/6, cartelle 49, 51, 52, 53.
59
Ibid., Tit. VIII, 2/5, cartelle 55, 56, 57.
Sulla storia dell’archivio parrocchiale di Sacile si veda il contributo di F. CALOVINI, Fonti
di storia nell’archivio parrocchiale di Sacile, in La storia ritrovata (1411-1797)… cit., pp. 37-48.
60
Miriam Davide
76
dei censi e dei fitti della chiesa. Il Libro de le intrade de la fabbrica di San
Nicolò de Sacile, contiene l’elenco delle entrate e delle spese registrate dai
massari del comune a partire dal 28 dicembre 1475. Come è attestato in altri
casi in fondo al codice è stato rilegato in senso contrario un codicetto cartaceo
che contiene degli elenchi di censi in natura ricavati dai masi di proprietà
dell’ente ecclesiastico e dei censi livellari riscossi invece sulla proprietà di
alcune case 61.
Della stessa epoca si sono conservati inoltre i testamenti, contenenti legati
in favore della chiesa, specificamente destinati ai lavori interni o all’acquisto di
materiali ed arredi, come l’organo 62. Numerosi sono i testamenti che includono
nei lasciti dei legati a favore della fondazione di un altare dedicato alla Beata
Vergine. Sono conservati anche atti di locazione e di vendita di immobili, case e
mulini, sia da parte della Fabbrica del Duomo sia da parte di privati di fine
Quattrocento e di inizi Cinquecento.
Numerosi sono i frammenti degli scodaroli, libri di debitori e creditori che
registrano le riscossioni di censi, prodotti nel XIV e XV secolo, in un forte stato
di deterioramento e solo in parte restaurati 63.
Per opera del pievano Roberto Maggi l’anagrafe parrocchiale di Sacile inizia nel 1532, in epoca precedente alla normativa stabilita negli anni Quaranta in
seguito al Concilio di Trento; i registri battesimali e di matrimonio coprono un
arco temporale che va dal 1532 al 1610 64.
L’archivio conserva inoltre numerose pergamene a partire dal Trecento e
fino al XVI secolo, tra le quali si segnala il documento con cui nel luglio del
1388 il patriarca Giovanni di Moravia confermava l’aggregazione a Sacile delle
gastaldie di Cavolano e Bibano 65. Molte sono inoltre le copie di altri atti emessi
dalla cancelleria patriarchina, tra cui un diploma del patriarca Antonio Caetani
61
ARCHIVIO PARROCCHIALE DI SACILE, b. 235. A c. 214r in una nota apposta sul margine
sinistro si fa riferimento ad un libro del Consiglio redatto il 3 marzo del 1458, testimonianza di
una redazione dei registri del Consiglio antecedente al primo dei registri superstite che risale al
1521.
62
In una miscellanea contenente numerosi atti di natura privata è conservato il testamento di
un tal Bernardo, deputato della Fabbrica di S. Nicolò, redatto il 17 febbraio 1496, in cui è contemplato un lascito di 60 fiorini per la costruzione dell’organo, b. 413/R. Altri testamenti sono conservati nelle buste 418/R e 419/R.
63
Gli scodaroli sono contenuti nelle buste contrassegnate con i numeri 270/R, 869, 870, 873,
875, 876, 879, 880.
64
Ibid., Registri battesimo e matrimoni. Si tratta di una serie restaurata. Nel registro che riporta i battesimi eseguiti tra il 1532 e il 1578 è inoltre conservata una memoria del prete Rizzardo
Lupin circa la sua partecipazione al sinodo di Aquileia del 1565.
Ibid., pergamena del 13 luglio 1388. Con l’atto il patriarca affida inoltre la custodia del
mercato di Santa Croce agli abitanti di Caneva. L’unione a Sacile delle gastaldie di Bibano e
Cavolano era già stata confermata dal patriarca Filippo di Alençon con una precedente pergamena
del 25 agosto 1381, F. DI MANZANO, Annali del Friuli, V, Udine, Tipografia Giuseppe Seitz, 1865,
p. 348; G. MARCHESINI, Annali per la storia di Sacile… cit., p. 594.
65
Gli archivi del Friuli occidentale
77
di conferma delle concessioni fatte a Sacile dai suoi predecessori 66, mentre sono
conservate in originale alcune lettere ducali quattrocentesche 67.
Infine, l’archivio parrocchiale di Spilimbergo conserva una delle serie più
importanti tra quelle degli archivi parrocchiali: la serie cameraria di S. Maria
Maggiore, oggetto di indagine all’interno del progetto.
Un caso particolare è infine costituito dagli archivi di famiglia che come
abbiamo visto sono talora confluiti negli archivi parrocchiali, ad esempio quello
della famiglia Ciconi nell’archivio di Vito d’Asio, o nell’Archivio di Stato di
Pordenone, dove, come abbiamo ricordato, è conservato l’archivio della famiglia Altan. Di notevole interesse è la documentazione conservata nell’archivio
privato familiare Valvasone nella località medesima 68.
Negli archivi presi in esame sono stati effettuati alcuni restauri e sarebbero
necessari ulteriori interventi 69; alcuni danni sono dovuti a maldestri restauri
condotti precedentemente con metodi non idonei 70.
Va ricordato infine come parte del materiale documentario prodotto nell’attuale provincia di Pordenone sia ancora conservata presso l’Archivio di
Stato di Venezia e in biblioteche e archivi della provincia di Udine, come ho
ricordato per il caso della collezione Ovio di Sacile confluita nel fondo della
Biblioteca civica V. Joppi di Udine e per parte dei registri di alcune confraternite, tra le quali quelli della confraternita del Ss. Sacramento di Cavasso Nuovo e
della confraternita della Beata Vergine Maria di Meduno, conservati nel fondo
Congregazioni religiose soppresse dell’Archivio di Stato di Udine.
Il progetto Documenti antichi degli archivi friulani ha dunque permesso di
studiare e di fare una ricognizione del patrimonio archivistico del Friuli Occidentale tale da poter permettere una selezione e la successiva eventuale edizione
di manoscritti. L’operazione è già iniziata per materiali conservati nella provin66
Ibid., pergamena del 18 aprile 1397.
Le lettere ducali potevano intervenire anche sulle sentenze arbitrali: in una ducale del 7 ottobre del 1415 il doge Tommaso Mocenigo chiedeva infatti alla comunità di Sacile di rivedere la
sentenza inerente alla lite tra Michele Magno e Urbano di Francesco che concerneva l’istituto dotale
della defunta Caterina, figlia di Magno, ibid., pergamena del 7 ottobre del 1415.
67
68
Nel corso del progetto Documenti antichi degli archivi friulani è stato schedato inoltre
l’archivio privato Montereale Mantica conservato a Zoppola di Pordenone. Attendono ancora una
ricognizione gli archivi familiari della famiglia degli Spilimbergo-Domanins e della famiglia
Pancera.
69
Gli inchiostri si mostrano infatti spesso sbiaditi per l’umidità che sovente ha provocato anche lo sbriciolamento dei margini delle carte. Diffusi sono inoltre la fioritura di muffe e i danni fatti
dai topi che sovente impediscono la lettura dei documenti.
70
Si segnalano ancora danni dovuti a maldestri restauri condotti in precedenza con metodi
non idonei: restauri eseguiti con colle vegetali o animali, che pur essendo compatibili con la carta o
la pergamena non garantiscono stabilità dal punto di vista biologico, o addirittura con semplice
nastro adesivo che ha provocato in molti casi la perdita del materiale sottostante, cfr. A. GONNELLA,
Il ripristino degli archivi storici sacilesi. Problemi e tecniche di restauro, in La storia ritrovata
(1411-1797)… cit., pp. 11-26.
Miriam Davide
78
cia di Udine quali i quaderni dei camerari redatti in lingua friulana e conservati
presso la biblioteca comunale V. Baldissera di Gemona del Friuli e alcuni altri
pezzi conservati presso l’Archivio di Stato di Udine 71. La ricognizione avendo
preso in esame tutta la documentazione antica friulana e non solo quella redatta
in lingua friulana potrebbe inoltre rappresentare un valido supporto per gli
storici che volessero approfondire la storia del Friuli occidentale dei secoli presi
in esame essendo state messe in luce sia le condizioni in cui versano gli atti
conservati nell’Archivio di Stato di Pordenone, che come abbiamo avuto modo
di ricordare sono spesso stati danneggiati in seguito alle alluvioni del Noncello,
che il patrimonio custodito dagli archivi parrocchiali e dagli archivi privati
sovente poco noto e poco studiato.
La lingua usata nei documenti del Friuli Occidentale è in larga parte il latino anche se non mancano esempi numerosi di atti redatti in volgare venezianeggiante o tosco-veneto mentre il friulano è usato soprattutto nella fascia
montana e pedemontana soprattutto nelle forme toponomastiche e onomastiche 72. La dominazione veneta, come ha avuto modo di sottolineare Federico
Vicario nella presentazione del progetto, finì per favorire l’uso del tosco-veneto
rispetto al friulano per facilitare i processi di comunicazione sia con Venezia
che con gli altri territori da essa retti ed è per tale motivo che la maggior parte
dei documenti a partire dalla fine del XV secolo non sono redatti in friulano
antico 73.
MIRIAM DAVIDE
Università di Trieste
Sono stati oggetti di trascrizione all’interno del progetto i registri dei camerari della pieve di
S. Maria di Gemona del Friuli, il Quaderno di Bortolomio di Zenone de Milan della Confraternita di
S. Maria dell’Annunciata dei Calegari del fondo Congregazioni religiose soppresse, il Frammento
di quaderno di cameraro di Cividale e il Quaderno di Ermanno di Cividale, tutti conservati presso
l’Archivio di Stato di Udine.
71
Sul volgare venezianeggiante si vedano i saggi di F. VICARIO, Carte venezianeggianti degli
Acta Communis di Cividale del Friuli (anno 1422), in « Atti dell’Istituto Veneto di scienze, lettere
ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti », 159 (2001), II, pp. 509-541; ID., Elementi toscoveneti e tendenze demunicipalizzanti in antiche carte friulane, in Alpes Europa. Nuove ricerche
sociolinguistiche in Europa, a cura di F. CHIOCCHETTI - V. DELL’AQUILA - G. IANNACARO,
Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol - Istitut cultural ladin « Majon di Fascegn »; Centre
d’études linguistiques pour l’Europe, 2002, pp. 307-322.
72
73
F. VICARIO, Documenti antichi degli archivi friulani. Risultati e prospettive del progetto,
Udine, Società filologica friulana, 2006, p. 4.
Gli archivi del Friuli occidentale
79
APPENDICE
Due esempi di schede compilate: la scheda Archivio e la scheda Documento
Per la raccolta dei dati sono state utilizzate quattro schede: la scheda Archivio (ente
produttore ed ente conservatore), la scheda Fondo, la scheda Serie e la scheda Documento.
ARCHIVIO PARROCCHIALE DI SACILE
Scheda Archivio
ente di conservazione:
ente produttore:
ubicazione:
responsabile:
condizioni di accesso:
condizioni dei locali:
stato di conservazione:
strumenti di corredo:
consistenza della
documentazione:
serie rilevabili / fondi
rilevabili:
nota storico-istituzionale /
descrizione dell’archivio:
Archivio della parrocchia di Sacile-Palazzo Carli
Parrocchia di Sacile
Sacile, Palazzo Carli, piazza Duomo n.8
Graziana Modolo
previo accordo con un rappresentante del Duomo di S.
Nicola e l’archivista responsabile l’archivio è consultabile
di mattina dalle 9.00 alle 12.00 e in alcuni pomeriggi tra le
14.30 e le 18.00
molto buone
buono
non esiste inventario
21 metri lineari
registri di battesimo e matrimonio
Il centro di Sacile sorse intorno ad una chiesa fondata nel
870 e fece parte del Patriarcato di Aquileia. Centro di castello fra il X e l’XI secolo, la cittadina ebbe uno sviluppo
importante sino ad affermare una sua autonomia comunale
prima della fine del secolo XII. Le ragioni del suo sviluppo
furono due. Innanzitutto una posizione sul Livenza che rendeva l’insediamento molto favorevole come luogo di transito commerciale e di cambio dei mezzi di trasporto: Sacile
era infatti all’incrocio tra le vie di mare e di terra e, pur
essendo in posizione più arretrata rispetto ad altri porti
dell’Adriatico, godeva della regolarità delle portata d’acqua
assicurata dalla prossimità con le risorgive. Poi influì la
posizione strategica sul confine occidentale del Patriarcato,
in una zona dove si incrociavano i poteri dei signori di Prata
e di Porcia, del comune di Treviso, dei duchi d’Austria che
signoreggiavano su Pordenone. L’importanza strategica
rende ragione delle concessioni di autonomia e di privilegio
80
Miriam Davide
commerciale con le quali i patriarchi aquileiesi cercarono di
assicurarsi la fedeltà della comunità locale. Risale probabilmente agli inizi del secolo XII l’acquisizione del diritto
di mercato. Il patriarca affidò l’amministrazione di Sacile e
del suo territorio ad un ufficiale patriarcale chiamato con il
nome di capitano o di gastaldo a cui furono affiancati un
proporzionato numero di ufficiali come consoli, notai, cancellieri e altre figure.
La cittadina conobbe un decisivo sviluppo economico durante il XIII e il XIV secolo aiutata dalla posizione geografica che la collocava lungo uno dei principali assi commerciali della regione. Nel 1217 il patriarca Wolfger decise in
favore di Sacile una controversia che la opponeva agli
uomini di Vigonovo e di altri villaggi della zona, i quali
furono obbligati a fornire settimanalmente un uomo per
ogni fuoco per le prestazioni di opere pubbliche deliberate
dal meriga di Sacile. Nel corso del Duecento si insediarono
a Sacile o nelle immediate vicinanze i Frati Minori, gli
Ospitalieri di San Giovanni, i Templari che tennero un
ospedale a San Leonardo di Comolli. Nel corso dei secoli
XIII e XIV numerosi feudi di abitanza in Sacile nelle sue
pertinenze furono concessi dai patriarchi, a notabili del
luogo (come Achillotto da Sacile e il figlio Odalrico) od
anche a persone provenienti da regioni diverse (come il
milanese Pruino, famulus del patriarca Gregorio di Montelongo. Nel 1291 è documentata l’entità del prelievo del
prelievo fiscale imposto per il transito a Sacile: 12 denari
frisiacensi per ogni cavallo che trainasse un carro. Nel 1306
Sacile figura tra le comunità che avevano una « voce » nel
Parlamento Friulano. In questi stessi secoli subì diversi
tentativi di conquista da parte degli stati confinanti. Nel
1335 la città fu conquistata dai conti di Gorizia e poi
recuperata dal Patriarca Bertrando. Nel 1380 un documento
testimonia dell’importanza di Sacile come luogo di transito
per le merci di prima necessità. A quest’epoca la comunità
era dotata di propri statuti, che sarebbero rimasti in vigore
anche dopo l’acquisizione del potere territoriale da parte
della Repubblica di Venezia nel Quattrocento. Nel 1441
infatti la cittadina fu conquistata da Venezia che diede avvio alla fortificazione e all’abbellimento della città. Sacile
continuò ad essere un dominio della Repubblica Veneta
fino al 1797. La città fu terreno di scontro nel 1809, durante
la quinta coalizione contro la Francia, tra le truppe francoitaliane del viceré Eugenio e gli Austriaci che tentavano di
arrivare al Piave. La città subì notevoli danni durante il
corso della prima guerra mondiale. Il Duomo di S. Nicola
fu ricostruito tra il 1474 e il 1496 su progetto di Beltrame e
Vittorio da Como e si presenta come una delle costruzioni
Gli archivi del Friuli occidentale
81
più caratteristiche del Rinascimento friulano, in parte modificato nel XIX e nel XX secolo. La casa Canonica nella
piazzetta del Duomo risale al secolo XVI-XVII. Altre
chiese cittadine sono la Chiesetta di S.Maria delle Grazie
nella frazione di Vistorta edificata nel XV, la chiesetta della
Madonna della Pietà e la chiesa di S. Giorgio costruite nel
Cinquecento. Molti furono i palazzi costruiti durante il
Cinquecento che rendono Sacile città rinascimentale per
eccellenza. La cittadine fu molto amata dai dominatori
veneziani al punto di definirla anticamente « il giardino
della Serenissima ». Tra i palazzi edificati nel XVI secolo si
deve annoverare Palazzo Carli sede prestigiosa dell’archivio parrocchiale. L’archivio ha conosciuto una lunga storia
di spostamenti. Nel 1966 per una rottura di un tubo nella
stanza in cui era situato l’archivio si decise di farlo custodire da un privato che lo ha custodito a lungo rifiutandosi di
renderlo indietro alla Parrocchia del Duomo. Da una ventina d’anni l’archivio ha sede nel Palazzo Carli anche se
ancora non sono rientrati tutti i materiali custoditi dai
privati. Una piccola parte dei materiali è stata restaurata.
Dal 1997 è stata assunta l’archivista Graziana Modolo.
bibliografia essenziale:
CICONI G. D., Cenni storico-statistici sulla città di Sacile,
in Monografia friulane, I, Udine, Tipografia Vendrame,
1847; POGNICI L., Sacile e il suo distretto, Udine 1868;
MARCHESINI G., Hospitalis Sancti Gregorii de Burgo Sacili,
Sacile 1913; NONO I., Sacile e le castella sul Livenza,
Sacile 1922; MARCHESINI G., Annali per la storia di Sacile
anche con i suoi rapporti con le Venezie, Sacile 1957; MOR
C. G., Nuove prospettive sulla più antica storia del Sacilese, in Sacile. 43° Congresso della Società filologica friulana, Pordenone, 11 settembre 1966, a cura di A. PERIN - L.
CICERI, Pordenone 1967, pp.9-14; SANTIN G. B., Appunti
sulla comunità di Sacile e la sua politica annonaria sotto il
governo veneto, in Economia e società nella Repubblica
veneta tra ’400 e ’700, Venezia, 1970 (Studi e ricerche, II),
pp. 21-35; CAMMAROSANO P. - DE VITT F. - DEGRASSI D.,
Il Medioevo, Udine, Casamassima, 1988 (Storia della società friulana, diretta da Giovanni Miccoli, I); La storia ritrovata (1411-1797). Frammenti di vita sacilese tratti da
documenti restaurati dagli Archivi storici comunale e
parrocchiale, a cura di N. ROMAN, Pordenone 1993; Nobili
di Sacile 1481-1797. Momenti di vita pubblica e privata
tratti da documenti d’archivio, a cura di N. ROMAN,
Pordenone 1994; Il Monte di Pietà di Sacile nel contesto
dell’economia locale sotto il Dominio Veneto (1566-1797),
a cura di N. ROMAN - G. ZOCCOLETTO, Pordenone 1995.
compilatore:
Miriam Davide
Miriam Davide
82
data di compilazione /
ore di compilazione:
19.01.2004 / 5 ore
annotazioni:
l’archivio è stato chiuso a lungo nel 2003 per lavori.
Scheda Documento
collocazione:
235
condizione giuridica:
produttore:
tipologia documentaria:
titolo/coperta:
data topica:
data cronica /
estremi cronologici:
definizione archivistica:
dimensioni:
cartulazione:
supporto:
forma di trasmissione:
stato di conservazione:
restauri:
lingua:
legatura/condizionamento:
il documento è di proprietà dell’ente produttore
Duomo di S. Nicola
registro contabile
Libro de la intrade de la fabrica de San Nicola de Sacile
Sacile
ornamentazione e simboli:
descrizione/regesto:
nessuno
si tratta di un libro contabile contenente la registrazione
delle entrate della fabbrica del Duomo di S. Nicola
Miriam Davide
compilatore:
data di compilazione /
ore di lavoro:
annotazioni:
1479-1505
registro
cm. 29,5, 21,8.
cc. 1-212 (compresa la coperta in pergamena).
membranaceo
originale
buono
il registro è stato restaurato verso la fine degli anni Ottanta
volgare veneto
si tratta di una legatura moderna per metà in tela e per metà
pergamena rigida sovrapposta a una originale legatura in
pergamena floscia
21.01.2004 / 1 ora
Il volume è composto da una serie di quaderni. La seconda
carta è stata asportata. Probabilmente tale carta fungeva da
coperta ad un registro cartaceo di cui si ha notizia nel
volume ma che risulta perduto. Il registro iniziava probabilmente nel 1464, data presa come riferimento nell’intitolazione del volume. I quaderni conservati iniziano invece
nel 1479 ottemperando, com’è è precisato nel testo, ad una
delibera consiliare del 1474.
IL FONDO ANTICO DELL’OSPEDALE DI CIVIDALE DEL FRIULI
L’indagine svolta. – L’interessante ricerca svolta nel corso degli ultimi tre
anni mi ha condotto attraverso numerosi archivi dislocati su un vasto territorio
che comprende le tre province di Udine, Pordenone e Trieste. Ne riassumerò
brevemente i risultati prima di passare ad esporre in maniera più dettagliata gli
esiti della ricerca condotta sulle preziose ed antiche carte dell’archivio storico
dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale del Friuli 1.
Ripercorrendo il mio itinerario a partire dalla provincia di Pordenone, nel
corso del sopralluogo effettuato presso l’archivio storico della parrocchia di S.
Maria maggiore di Spilimbergo ho rivolto le mie ricerche agli antichi quaderni
della Cameraria della Chiesa prodotti a partire dal 1419 2, recuperati al degrado
e resi consultabili agli studiosi grazie ad un intervento di restauro che si è svolto
negli anni Ottanta. Da un primo esame è emerso che le note contabili in essi
raccolte sono state vergate in prevalenza in latino o in un idioma volgare di
influenza veneta arricchito da interpolazioni di termini in friulano. Sono inoltre
presenti un ricco fondo pergamenaceo di atti prodotti dal 1288 al 1766, per un
totale di circa 231 pergamene, e alcuni esempi di registri cinquecenteschi,
denominati catapan nelle intitolazioni riportate nell’inventario 3.
All’interno del vasto territorio della provincia di Udine ho visitato l’archivio storico della pieve di S. Margherita del Gruagno, dove ho esaminato i
quaderni delle camerarie della pieve e delle sue filiali. In particolare sono stati
presi in considerazione i quaderni contabili prodotti dalla cameraria della
Confraternita di S. Nicolò a partire dal 1408 4, quelli prodotti dalla cameraria
1
Per maggiori dettagli relativi agli esiti generali delle ricerche svolte e per riferimenti bibliografici puntuali, si rimanda alle schede Documento, Serie, Fondo e Archivio realizzate nell’ambito
del progetto.
2
Sono stati individuati 65 registri prodotti dal 1419 al 1500.
Cfr.: Titolario. Archivio parrocchiale di S. Maria Maggiore. Duomo di Spilimbergo. Inventario manoscritto dei documenti conservati presso l’archivio storico parrocchiale, realizzato nel
corso della seconda metà del XX secolo. Ad un primo esame dei documenti è parso che i registri
inventariati sotto il titolo di catapan non siano veri e propri obituari, ma siano piuttosto dei registricontenitore in cui venivano riunite le annotazioni principali riguardanti gli interessi patrimoniali
della chiesa con le successive integrazioni. Sui libri catapani o obituari vedi: B. PITASSI, Il catapan
della chiesa di Santa Maria di Ribis, in Archivi del Rojale, a cura di F. VICARIO, Comune di Reana
del Rojale, 2003, I, pp. 15-47.
3
4
Della cameraria della Confraternita di S. Nicolò si conservano 94 quaderni dal 1408 al 1758.
Beatrice Pitassi
84
della Pieve di S. Margherita del Gruagno, vergati a partire dal 1382 5 ed infine i
rotoli prodotti dalle camerarie delle chiese filiali 6.
I quaderni esaminati sono stati scritti in prevalenza in un volgare di influenza veneta con interpolazioni di espressioni in volgare friulano; solamente
alcuni sono stati scritti in latino.
Presso l’archivio della pieve sono conservate inoltre 74 pergamene contenenti atti redatti tra i secc. XIII e XVIII, restaurate durante la seconda metà del
sec. XX, e un obituario membranaceo restaurato, risalente al sec. XV, redatto in
un latino arricchito di intere espressioni o singoli termini volgareggianti.
Le mie ricerche in provincia di Udine sono proseguite tra le carte
dell’archivio storico del Comune di Gemona del Friuli dove è presente documentazione particolarmente antica che si è conservata fino a noi quasi integralmente, in serie archivistiche omogenee e praticamente continue, grazie anche al
contributo di illustri studiosi. Gemonesi di nascita o di adozione, mossi da un
profondo interesse per la cultura del territorio, essi si sono occupati delle preziose fonti d’archivio e, attraverso interventi seppure pionieristici di riordino
delle serie più antiche avvenuti a partire dal ’700, hanno contribuito alla loro
salvaguardia e conservazione 7.
Presso questo archivio ho preso in considerazione alcune serie della sezione antica (sec. XIII-1815) 8. In particolare ho analizzato la serie Deliberazioni
5
Della cameraria della Pieve di S. Margherita del Gruagno si conservano registri dal 1382 al
1680 riuniti in una busta.
Tra i documenti prodotti dalle camerarie delle chiese filiali si segnalano in particolare i 16
quaderni delle chiese di Alnicco (1649-1786), Brazzacco (1603-1604), Ceresetto (1465-1645), S.
Marco (1541-1545), Talazaia (1441-1468) e Torreano (1449-1652; 1803).
6
7
Cfr. B. PITASSI, Archivio storico del Comune di Gemona. Parte antica (secolo XIII-1815),
inventario dattiloscritto redatto nel 2004. Diversi studiosi hanno dedicato il proprio interesse ed
attenzione agli archivi gemonesi. Si ricordano in particolare: nel corso del ’700 monsignor Giuseppe
Bini, successivamente il professor Wolf e, sullo scorcio del sec. XIX ed il principio del successivo,
il bibliotecario comunale don Valentino Baldissera. In particolare il Baldissera, conservatore della
biblioteca e responsabile dell’archivio comunale, diede una sistemazione organica alla documentazione anteriore al Regno lombardo-veneto. A monsignor Giuseppe Bini, arciprete della pieve di
Gemona dal 1737 al 1773, si deve la prima ricognizione e sistemazione dell’archivio plebanale.
Riguardo alla documentazione conservata presso l’archivio comunale, monsignor Bini si interessò
prevalentemente ai documenti pergamenacei. Stessa attenzione ebbe il professor Wolf il quale
raccolse un consistente numero di pergamene in cinque volumi. Per una panoramica relativa alla
storia e alle vicende dell’archivio del Comune di Gemona e del suo ente produttore e per le pubblicazioni relative al patrimonio documentale in esso conservato, si rimanda alla esauriente bibliografia ed ai contributi di vari studiosi contenuti in: Archivi Gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine,
Società filologica friulana, 2001.
8
Si ricorda che l’archivio storico antico del Comune di Gemona è stato, in precedenza, oggetto della ricerca particolarmente fruttuosa svolta da Gabriella Cruciatti, cfr. in questo numero della
« Rassegna degli Archivi di Stato », pp. 36-60. L’archivio gemonese, ad oggi tra i più antichi ed
integri della nostra regione, è stato reso accessibile agli studiosi grazie ad un importante intervento
di restauro, all’attuale organizzazione del servizio archivistico e, non ultimo, alla particolare cura ed
attenzione rivolte al proprio patrimonio culturale da parte delle Amministrazioni comunali che si
sono succedute nel corso degli anni a partire dal sisma del 1976.
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
85
del Consiglio che comprende registri redatti in latino prodotti a partire dal
1346 9; la serie dei Massari del Comune che comprende rotoli vergati a partire
dal 1349 10 prevalentemente in latino con alcuni esempi in volgare di influenza
veneta e in volgare friulano. Ho visionato inoltre i quaderni contabili dei Camerari dell’Ospedale di San Michele prodotti a partire dal 1327 11 e scritti solo
sporadicamente in latino, più spesso invece vergati in volgare veneto con
interpolati alcuni termini in friulano, oppure in volgare friulano.
Ho esaminato successivamente la documentazione conservata presso l’archivio storico dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale del Friuli, dove
ho analizzato e schedato la serie dei Camerari degli Ospedali di Santa Maria
dei Battuti redatti a partire dal 1406 12. Le annotazioni dei camerari risultano
vergate in volgare friulano o in una lingua mista tra il veneto ed il friulano
oppure ancora in volgare veneto con alcuni termini friulani interpolati. Ricorrono saltuariamente espressioni in latino.
Nella medesima provincia le mie ricerche si sono svolte infine presso
l’Archivio di Stato di Udine, dove era già stata svolta una ricognizione preliminare allo scopo di individuare i fondi che potevano risultare interessanti ai fini
del progetto 13. Mi sono concentrata sull’esame di alcuni fondi personali e
familiari e ho analizzato in particolare gli archivi delle famiglie d’Arcano, della
Torre Valsassina, Florio-Beltrame, Popaite, Savorgnan-Moro. La documentazione esaminata è redatta in latino e in italiano, ricorrono inoltre esempi in
volgare veneto con interpolazioni di termini in volgare friulano.
In provincia di Trieste ho svolto le mie ricerche presso l’Archivio di Stato
di Trieste dove ragioni cronologiche mi hanno indotto a circoscrivere le indagini al complesso di fondi denominato Miscellanea acquisti e doni (secc. XIVXX) ed in particolare all’archivio della famiglia della Torre e Tasso (1281-sec.
9
Della serie Deliberazioni del Consiglio si conservano registri dal 1346 al 1834 per una consistenza di 50 buste.
10
Della serie Massari del Comune si conservano registri dal 1349 al 1799 per una consistenza
di 17 buste.
Della serie Camerari dell’Ospedale di San Michele si conservano registri dal 1327 al secolo
XIX per una consistenza di 13 buste.
11
12
Solamente al termine delle prime operazioni di schedatura sistematica dei documenti della
sezione antica, prevista nel corso dell’intervento di riordino dell’archivio storico dell’Ospedale di
Cividale del Friuli è stato possibile ricostruire, tra le altre, le serie distinte dei Camerari dell’Ospedale di Santa Maria dei Battuti di cui si conservano in archivio i quaderni contabili prodotti
dal 1406 al 1807 per una consistenza di circa 345 registri, e quella dei Camerari dell’Ospedale di
Santo Spirito di cui si conservano quaderni contabili dal 1416 al 1705 per una consistenza di circa
215 registri.
13
Per i dettagli si rimanda alla voce Archivio di Stato di Udine curata da Ivonne Zenarola Pastore e Roberta Corbellini (relativamente ai catasti), contenuta in Guida generale degli Archivi di
Stato italiani, IV, Roma, 1994, pp. 829-835. Si rimanda inoltre al contributo di Luisa Villotta
contenuto all’interno di questo stesso numero della « Rassegna degli Archivi di Stato », alle pp. 3235, ed ai risultati della ricerca condotta da Enrica Capitanio nel medesimo luogo di conservazione,
ai fini del presente progetto.
Beatrice Pitassi
86
XX), che non hanno dato esiti particolarmente interessanti poiché i documenti
sono scritti prevalentemente in latino, tedesco e italiano ed eventualmente in
volgare veneto 14.
Presso l’archivio diplomatico del Comune di Trieste sono stati analizzati i
documenti contenuti nella serie Procuratori generali e Camerari (1330-1745),
redatti in un latino interpolato con termini volgareggianti o in volgare veneto.
Sempre nella stessa provincia ho infine svolto una ricognizione preliminare
presso l’archivio parrocchiale di Muggia, dove ad un primo esame è stato messo
in luce almeno un registro contabile presumibilmente redatto in volgare veneto
databile anteriormente al 1500 15.
Come è emerso dai dati finora presentati, la ricerca è stata indirizzata e
condotta con maggiore successo soprattutto su particolari serie archivistiche e
tipologie documentarie aventi caratteri ben definiti, quali i cosiddetti quaderni
delle entrate e delle uscite dei camerari 16.
Nel corso dei secoli rilevanti ai fini della presente ricerca, ossia quelli anteriori al 1500, tali registrazioni venivano tenute sia in latino che in volgare. Si
servivano dell’idioma colto, il latino, per redigere i propri quaderni gli amministratori che utilizzavano abitualmente quella lingua per esercitare la propria
professione; si trattava in questi casi di esponenti del clero e del tabellionato.
Tuttavia, come è spesso emerso nel corso delle ricerche, questi documenti
potevano essere redatti anche nella lingua parlata del luogo, il volgare; a volte
dalle pagine di quegli antichi registri traspare un idioma inequivocabilmente
friulaneggiante, a volte commisto con altri idiomi, altre ancora, a detta degli
esperti, emerge un volgare di influenza veneta (volgare tusco-veneto).
L’archivio storico dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale del
Friuli - Sezione antica (1228-1806). – Veniamo ora ad illustrare la sezione
antica dell’archivio storico dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale del
14
Si rimanda alla voce Archivio di Stato di Trieste, curata da Ugo Cova, in Guida generale
degli Archivi di Stato italiani, IV, Roma 1994, pp. 789-790; 792-793.
15
Per ulteriori approfondimenti su questo archivio si rimanda ad una ricerca futura.
Altrove denominati anche come rotoli, libri o quaderni contabili, questi registri di carattere
amministrativo contabile, venivano redatti da particolari ufficiali eletti in genere annualmente, che
amministravano le finanze di comunità più o meno vaste, denominati « camerari ». Essi avevano
cura di riportare puntualmente, seguendo una registrazione giornaliera a cadenza mensile, le proprie
note contabili allo scopo di rendicontare fino al minimo dettaglio i movimenti di denaro o di un
quantitativo equivalente di merci o beni di scambio, in entrata e in uscita dalle casse di istituzioni
religiose (pievi, parrocchie) o assistenziali di ispirazione religiosa (confraternite e ospedali) e di
istituzioni civili (comunità, comuni). In questo ultimo caso è possibile trovarli citati anche col
termine « massari ». Tali cariche venivano affidate a cittadini che godevano di un certo prestigio, ma
soprattutto della fiducia della comunità di cui facevano parte e il cui interesse erano chiamati a
rappresentare e a tutelare. Al termine del proprio incarico i camerari venivano chiamati a rispondere
della correttezza del proprio operato e a consegnare nelle mani dei successori i beni mobili ed
immobili amministrati durante il loro mandato, dei quali veniva in genere predisposto un inventario
dettagliato.
16
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
87
Friuli, cosa che mi appresto a fare di buon grado sia perché coinvolta personalmente nelle operazioni di riordino, sia perché ritengo si tratti di un archivio che
ha già fornito in un passato non molto lontano dei risultati piuttosto interessanti
ai ricercatori ed agli studiosi, ma la cui conoscenza approfondita, che potrà
avvenire solo al termine delle operazioni di recupero e di riordino previsti,
contribuirà certamente a fare emergere nuovi aspetti che andranno ad arricchire
il panorama storico assistenziale e linguistico del nostro territorio 17.
L’archivio dell’Ospedale di Cividale è di proprietà della ASS n. 4 per il
Medio Friuli, Distretto di Cividale, che rappresenta l’ultimo erede del prestigioso ed antichissimo ente di assistenza e cura del quale, seppure in un moderno
contesto, ha ereditato le funzioni e gli archivi.
Dopo aver subito in passato alcuni trasferimenti in diversi luoghi di conservazione, l’ingente patrimonio documentario è adesso collocato in una sede
provvisoria, dove è in corso un intervento di schedatura e riordinamento al
termine del quale troverà una destinazione più idonea, consona alla conservazione ed alla giusta valorizzazione del bene, che sarà resa possibile anche
attraverso la messa a disposizione delle carte, opportunamente inventariate, agli
studiosi.
Gli ospedali intesi come luoghi di accoglienza e di cura hanno origini molto antiche. Ma fu solo in epoca cristiana che allo spirito prevalentemente utilitaristico di quelle prime strutture si sostituirono lo spirito della pietà e della
solidarietà cristiane che ispirarono la creazione di luoghi di ricovero e di assistenza per pellegrini esausti ed ammalati indigenti 18. Con il monachesimo
benedettino si giunse alla realizzazione di strutture stabili ed organizzate, vere e
proprie infermerie.
A partire dal sec. X anche in Friuli sorsero, lungo le principali direttrici di
transito che collegavano i valichi alpini ai porti dell’Adriatico, strutture atte a
fornire assistenza e ospitalità ai rari viaggiatori di passaggio. Accanto a queste
sorsero i cosiddetti « hospitali » ed « ospitii », luoghi pii e di assistenza in grado
di fornire oltre che accoglienza temporanea ai viandanti anche le opportune cure
a feriti e malati occasionali 19. Sorsero in luoghi strategici, ideali alla sosta dei
viaggiatori, ossia nei pressi dei passi alpini, dei guadi, degli scali fluviali,
lagunari e marini. Furono frequentati dai mercanti di passaggio, dai crociati
17
Il riordinamento dell’archivio storico dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale, tuttora in corso, è stato avviato da chi scrive in collaborazione con la collega Luisa Villotta per conto
della FriulArchivi s.r.l., azienda di servizi archivistici di cui sono socie fondatrici. L’intervento è
stato reso possibile grazie all’interessamento ed al contributo dell’Amministrazione comunale di
Cividale che ha ricevuto in comodato d’uso dalla ASS n. 4 del Distretto sanitario di Cividale
l’ingente patrimonio archivistico, impegnandosi a sua volta al recupero, alla conservazione ed alla
messa a disposizione delle carte agli studiosi.
18
P. CARACCI, Antichi ospedali del Friuli, Udine, Arti grafiche friulane, 1968, pp. 13 e se-
guenti.
19
G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi lungo le vie percorse da pellegrini, da romei e da crociati, in Storia della solidarietà in Friuli, Milano, Jaca Book, 1987, pp. 38-39.
88
Beatrice Pitassi
diretti in Terra Santa e dai numerosi pellegrini che percorsero quelle vie diretti
verso importanti ancorché distanti luoghi di culto e devozione.
Allo scopo di assistere e sostenere i soldati crociati ed i pellegrini diretti in
Palestina erano sorti gli ordini cavallereschi 20, primo fra tutti l’Ordine del
Tempio di Gerusalemme, sciolto agli inizi del sec. XIV, i cui beni in Friuli
furono devoluti all’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme di Rodi, conosciuto
oggi come Ordine di Malta.
In Friuli, come nelle altre regioni italiane, sorsero ospedali cosiddetti di vasta carità, intesi cioè come luoghi di ricovero e di assistenza in senso ampio e
destinati, pertanto, ad accogliere non solo i pellegrini di passaggio, ma anche
malati, orfani e senzatetto. Numerosi di essi sorsero nel corso del sec. XIV
anche grazie all’impulso ed all’operato delle confraternite ispirate al principio
cristiano della « charitas ». Sebbene sorte con finalità penitenziali e di preghiera,
esse finirono per indirizzare la loro attività all’assistenza ed alla cura del prossimo creando strutture nosocomiali stabili ed organizzate destinate, in molti
casi, a perdurare nel tempo.
La documentazione che si conserva presso gli archivi storici più antichi
della nostra Regione testimonia ampiamente le spese di cui si fecero carico le
casse pubbliche per assumere medici fisici e chirurghi da porre al servizio
almeno di una parte della comunità, nonché i provvedimenti e le azioni intraprese per prevenire e gestire le numerose epidemie che afflissero la piccola patria
del Friuli 21.
Durante i primi anni di dominio della Serenissima non è documentata una
particolare politica del governo veneto nei confronti delle strutture ospedaliere
della provincia 22. L’obbligo di adottare alcune misure sanitarie e la politica
riguardo alla pratica medica non furono quasi mai al centro dell’interesse di
Venezia che non se ne curò nemmeno quando tale pratica ricadde nelle mani di
guaritori e ciarlatani che ricorrevano a pratiche e rimedi non propriamente
scientifici.
Venezia si impegnò tuttavia seriamente nella politica di controllo della peste, avvertita, a ragione, come un grave pericolo non solo per la Repubblica ma
per l’intera penisola. Durante le frequenti epidemie di peste che si abbatterono
tra la fine del sec. XV ed il sec. XVI, i consigli cittadini eleggevano particolari
funzionari, i Provveditori alla sanità, cui spettava il compito di assumere provvedimenti in caso di peste, quali stabilire le guardie alle porte della città o
impedire di recarsi nei luoghi sospetti. Dal sec. XVI in avanti tuttavia questi
provvedimenti locali furono sempre più soggetti alle autorità veneziane, i
20
Per una panoramica sugli ordini religiosi cavalleresco ospedalieri vedasi G.B.M. ALTAN,
Ospizi e xenodochi… cit., pp. 44 e seguenti.
21
A. PASTORE, Introduzione, in Sanità e società. Friuli Venezia Giulia secc. XVI-XX, Udine,
Casamassima, 1986, pp. 3-31.
22
R. PALMER, Sanità pubblica e pestilenza: la politica veneziana nel Friuli all’inizio
dell’epoca moderna, in Sanità e Società… cit., pp. 32-62.
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
89
Provveditori alla sanità di Venezia e gli alti Consigli centrali del governo
veneto, e non più solo al Luogotenente ed ai Rettori veneziani di Terraferma,
presenti in territorio friulano.
A Venezia fin dal 1490 era stato istituito un Ufficio della sanità permanente supervisionato da tre Provveditori alla sanità avente, inizialmente, competenze locali circoscritte alla città di Venezia. Il dilagare delle epidemie di peste e di
tifo nel corso del sec. XVI unitamente ad una nuova attenzione rivolta da
Venezia ai propri domini nell’entroterra, resero evidente la necessità di predisporre interventi coordinati su tutto il territorio della Serenissima. Nell’ambito
della sua politica sanitaria di prevenzione e di controllo delle epidemie, Venezia
conferì un ruolo importante ai Rettori di Terraferma presenti sul territorio.
In seguito alla gravissima epidemia di peste che colpì Cividale nel 1598
l’autorità veneta iniziò a nominare e ad inviare nella Patria del Friuli un particolare funzionario, il Provveditore generale o Provveditore sopra la sanità, dotato
di grande autorità in ogni giurisdizione e col potere di dare ordini ai Rettori
veneziani di Terraferma.
Per arginare il diffondersi delle epidemie era necessario il controllo delle
vie di comunicazione attraverso le quali si diffondeva il contagio. Fu deciso
pertanto nel 1623 di lasciare aperta un’unica strada principale sulle due rive del
Tagliamento e di controllarla ad ogni villaggio in particolari punti, i cosiddetti
« restelli » (cancelli o staccionate), sorvegliati di giorno e chiusi di notte. Per
attraversarli era necessario munirsi di una fede di sanità.
Sulla scia dei decreti di soppressione dei monasteri e delle corporazioni religiose emanati dal Senato veneto nel 1768, il governo napoleonico estese la
propria azione di controllo e di ridimensionamento anche alle società religiose
laicali, la cui soppressione fu decretata nel 1806 con la conseguente scomparsa
di numerose confraternite 23. In luogo degli enti soppressi vennero creati degli
istituti che furono affiancati ai comuni nella gestione dell’assistenza pubblica.
Nel1807 furono istituite pertanto le Congregazioni di carità al fine di creare un
ente unico per il coordinamento e l’amministrazione delle varie opere pie e di
beneficenza esistenti sul territorio, che provvedesse anche al loro riordinamento.
Le Congregazioni di carità furono soppresse nel 1821 e ripristinate nuovamente
nel 1862.
La dislocazione di Cividale lungo una delle principali vie di discesa dai
passi alpini per il Norico favorì il sorgere di centri di assistenza e cura per i
viandanti di passaggio e per la popolazione ivi residente 24.
G. CRUCIATTI, Fondi gemonesi tra Archivio di Stato e Biblioteca civica di Udine, in Archivi gemonesi, a cura di F. VICARIO, Udine, Società filologica friulana, 2001, pp. 111-163, alle pp.
112 e 119.
23
24
La nascita e l’evoluzione delle strutture assistenziali in Friuli si sviluppa maggiormente sulle arterie di transito ed in particolare sugli assi di discesa dai passi alpini comunicanti con il Norico
ossia il passo di Monte Croce Carnico e il passo di Tarvisio-Coccau. Dal passo di Tarvisio-Coccau
ebbero origine due direttrici. La prima passava per Pontebba, Canal del Ferro, Resiutta, e congiungendosi con quella che scendeva da Tolmezzo, proseguiva per Ospedaletto e attraverso Gemona,
90
Beatrice Pitassi
L’intervento di riordinamento in corso ha confermato le linee del panorama
che era stato tracciato nel corso del Novecento da ricercatori e cultori di storia
locale 25: cinque diversi istituti ospedalieri, sorti sul medesimo territorio per
l’espletamento di finalità assistenziali comuni, coesistettero l’uno accanto all’altro nel corso dei secoli, associandosi variamente tra di loro forse per far fronte,
tra l’altro, a particolari emergenze di natura epidemiologica e bellica (si pensi
alle frequenti epidemie di peste e di tifo), fino a giungere alla fusione definitiva
che avvenne agli inizi del sec. XIX (1806 circa).
Il complesso archivistico che ne è emerso è pertanto il risultato dell’azione
assistenziale ed amministrativa di soggetti diversi, che sono stati rilevati durante
la fase di schedatura della sezione antica dell’archivio storico.
Dalle intitolazioni dei quaderni contabili e dalle registrazioni in essi riportate emerge in primo luogo l’associazione degli Ospedali di S. Giacomo e S.
Martino, dei quali si conserva in archivio documentazione prodotta dal 1462 al
1589.
L’esistenza dell’Ospedale di S. Martino è attestata anteriormente al sec.
XIII, quando a Cividale davanti al « magister Anselmus imperialis auctoritate
notarius (…), dominus Bergonia miles de Spignimbergh (…) dedit, donavit et
tradidit inter vivos hospitali ecclesie Sancti Martini de Cividale predicta ultra
pontem ducentas et decem marchas Aquilegensis monetae » 26.
Già a partire dal 1561, quando ancora ricorreva associato a quello di S.
Martino, l’Ospedale di S. Giacomo compare in associazione con l’Ospedale di
S. Lazzaro, anche se la documentazione prodotta con questa seconda denominazione è presente in archivio prevalentemente tra il 1569 ed il 1725.
Udine e Aquileia giungeva fino a Grado. La seconda direttrice da Tarvisio scorreva attraverso il
Passo del Predil e proseguendo per Plezzo, Caporetto, Pulfero, Cividale arrivava ad Aquileia
attraverso Còrmons, Ruda ed alcune località intermedie. Cfr. G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi…
cit., pp. 38-39.
25
Cfr. P. CARACCI, Antichi ospedali… cit., e G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi… cit. Si rimanda inoltre agli studi di Mario Brozzi ed al suo Elenco dei cartolari dell’archivo storico
dell’Ospedale di Santa Maria dei Battuti di Cividale del Friuli, realizzato dallo studioso locale
durante il tentativo di dare una sistemazione organica alle carte dell’archivio del nosocomio
cividalese.
26
P.S. LEICHT, I primordi dell’Ospedale di Cividale (documenti e registri delle pergamene
dell’Ospedale Civile di Cividale dei secoli XII e XIV), in « Memorie storiche forogiuliesi », II
(1906), pp. 105-110, in particolare p. 105; G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi… cit., p. 64. L’atto
farebbe risalire al 1249 l’Ospedale di S. Martino di Cividale sito in Borgo di Ponte; in un altro
documento risalente al 1291 si accenna a un tale « Laurentius, qui moratur in hospitale Sancti
Martini », cfr. P. CARACCI, Antichi ospedali… cit., p. 72. Sulla base di quanto detto nello statuto o,
per meglio dire, nel piano disciplinare economico sanitario dell’ospedale risalente al 1837,
l’istituzione dell’Ospedale di S. Giacomo allo scopo di accogliere i pellegrini di passaggio, è stata
fatta far risalire al XII secolo da G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi… cit., p. 64 e P. CARACCI,
Antichi ospedali… cit., p. 70. Il Caracci cita tuttavia anche l’ipotesi avanzata dallo Sturolo, il quale
sostiene l’esistenza documentata di soli quattro luoghi di cura cividalesi databili al XV secolo,
mettendo in tal modo in discussione l’esistenza di una istituzione ospedaliera vera e propria
intitolata a S. Giacomo, ibid., pp. 70-72.
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
91
L’Ospedale di S. Lazzaro sorse come lebbrosario in epoca pre-patriarchina 27. Il lebbrosario con l’attigua chiesa dedicata a S. Lazzaro si trovava fuori
le mura della città, sul lato ovest di Borgo di ponte poco distante dalla Porta di
S. Lazzaro o dei Leprosi. Nei documenti l’istituto compare sempre in compresenza con altri istituti; dal sec. XVI risulta quasi sempre associato all’Ospedale
di S. Giacomo.
I lebbrosari persero importanza nel corso del sec. XVI con la scomparsa
della lebbra e vennero dapprima adibiti ad ospedali per sifilitici; riconvertiti
successivamente in nosocomi, svolsero saltuariamente funzione di ricoveri per i
malati di peste 28. Le epidemie di peste in Friuli costituirono un fenomeno piuttosto persistente, basti pensare che solamente nel corso del sec. XV la peste si
manifestò all’incirca una ventina di volte 29. La nostra Regione subì la pericolosa vicinanza con gli Stati turchi, veicolo di continui contagi di peste a causa
della leggerezza del governo turco che stentò a prendere provvedimenti radicali
per debellare il morbo.
Fino al sec. XVI i lazzaretti erano stati ricoveri temporanei, edificati in
fretta in luoghi isolati. Durante l’epidemia di peste che si abbatté su Cividale nel
1598 fu adibita a lazzaretto una struttura stabile quale il monastero di S. Giorgio 30. Nel corso di questa grave epidemia fu ordinata una quarantena generale
durante la quale gli abitanti dovettero rimanere isolati nelle loro case per un
periodo convenuto al fine di consentire agli ufficiali sanitari di verificare e
censire i nuovi casi di malattia. I malati venivano inviati presso un lazzaretto
fuori città che serviva da ospedale di cura, mentre i familiari sani venivano
inviati in quarantena in un lazzaretto separato 31.
La località di Leproso, situata nelle vicinanze di Cividale, potrebbe conservare traccia, nel nome, di un antico lebbrosario dipendente dall’Ospedale di S.
Lazzaro di Cividale o comunque di un luogo di isolamento per i malati di
lebbra 32.
Fu istituito e fu attivo a Cividale anche un Ospedale intitolato a Santo Spirito, del quale si conserva in archivio documentazione a partire dal 1425 fino al
1706.
27
Esso è attestato ufficialmente a Cividale a partire dal 1291, ibid.
M. GOTTARDI, Le guardie alla “gran porta d’Italia”: strutture sanitarie in Friuli tra Cinque e Settecento, in Sanità e società... cit., pp. 63-116, a p. 67; M. BROZZI, Il lebbrosario di
San Lazzaro a Cividale del Friuli, in « Memorie storiche forogiuliesi », LXXII (1992), pp. 39-46, a
p. 42.
28
29
Bisogna ricordare inoltre che spesso il morbo veniva confuso con altre malattie quali il
vaiolo o il tifo petecchiale, ibid., pp. 63 e seguenti.
30
Ibid., p. 95.
R. PALMER, Sanità pubblica e pestilenza: la politica veneziana nel Friuli all’inizio
dell’epoca moderna, in Sanità e società... cit., p. 45.
31
32
P. CARACCI, Antichi ospedali… cit., p. 73; G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi... cit., pp.
56, 64; M. BROZZI, Il lebbrosario di San Lazzaro... cit., p. 42.
Beatrice Pitassi
92
L’istituto è attestato in città a partire dal 15 agosto 1324, allorquando venne fondato dalla Confraternita di Santo Spirito o dei Fabbri, come riportato
anche nel piano disciplinare del 1837 33.
Nei primi tempi la Confraternita si riuniva nella Chiesa di S. Giovanni in
Xenodochio, poi di Borgo S. Pietro 34. È noto che i « fratres ferratores » praticavano attività assistenziale a domicilio agli infermi e in un « hospitale » sito in
Borgo S. Pietro annesso al proprio oratorio 35. La Confraternita, che fu l’unica di
tipo artigianale in città, venne soppressa con decreto napoleonico nel 1806.
Secondo Altan il nosocomio cividalese di Santo Spirito nacque ben prima
come punto di assistenza ai pellegrini 36. Nel 1347 Uberto degli Uberti « religiosamente ampliava in Cividale la Chiesa e l’Ospitale di Santo Spirito, divoto pio
luogo, il quale per adozione e per indulgenze de’ papi era filiale della nobilissima chiesa di Santo Spirito in Sassia di Roma » 37.
L’Ospedale di Santo Spirito compare successivamente associato con quello
di S. Giacomo. Sotto la denominazione di Ospedali di Santo Spirito e S. Giacomo i due ospedali hanno prodotto documentazione dal 1706 al 1805.
Veniamo infine all’istituto che anche successivamente darà il nome alla
prestigiosa istituzione ospedaliera cividalese, ossia l’Ospedale di S. Maria dei
Battuti, del quale si è conservata fino a noi documentazione prodotta dal 1406
fino al 1806.
Una Confraternita di S. Maria dei Battuti è documentata a Cividale a partire dal 1260, quando « (…) il giorno della festività di S. Andrea arrivò a Cividale
Asquino, decano di Aquileia, seguito da penitenti ignudi che si flagellavano. E
subito i Cividalesi presero pur essi a battersi (…) » 38. Lo statuto sarebbe invece
33
C. MATTALONI, Le confraternite di Cividale dal XIII al XX secolo, in Cividat, a cura di E.
COSTANTINI - C. MATTALONI - M. PASCOLINI, Udine, Società filologica friulana, 1999, I, pp. 473504, in particolare p. 487.
34
È attestata a Cividale l’esistenza dello Xenodochio (ricovero per pellegrini) di S. Giovanni
che fu edificato sul finire del VII secolo dal Duca Rodoaldo come istituzione finalizzata all’accoglimento e all’assistenza. Si tratta forse del primo esempio di ospedale in senso cristiano sorto in
Friuli; cfr. P. CARACCI, Antichi ospedali… cit., p. 69.
35
C. MATTALONI, Le confraternite di Cividale… cit., p. 488.
L’Ordine dei Cavalieri di Santo Spirito venne istituito da Guidone di Montpellier per il servizio agli infermi e venne approvato da papa Innocenzo III nel 1194. L’ordine adottò la regola di
Sant’Agostino e come segno distintivo ebbe un mantello decorato da una doppia croce bianca
portata in petto. Cfr. G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi… cit., pp. 50-51.
36
F. DI MANZANO, Annali del Friuli (1343-1387), Udine, G. Seitz, 1865, V, p. 55, citato in
G.B.M. ALTAN, Ospizi e xenodochi… cit., p. 52.
37
Citazione tratta da: M. BROZZI, La confraternita di Santa Maria dei Battuti a Cividale, in
« Ce fastu? », LIX (1983), pp. 7-22, a p. 7; vedi anche: C. ZIANI, Moimacco, la confraternita di
Santa Maria dei Battuti (il manoscritto F.P. 1352/2 della Biblioteca civica di Udine), Udine, La
Nuova Base, 1998, p. 17; F. DI MANZANO, Annali del Friuli (1255-1310), Udine, Trombetti e
Murero, 1860, III, p. 42.
38
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
93
databile al 7 settembre 1290; sappiamo inoltre che alla fine del sec. XIII la
Confraternita contava più di 500 iscritti 39.
Nel sec. XIV, come già ricordato, numerose confraternite, sorte con intendimenti di penitenza e di preghiera, unirono alla principale finalità di natura
spirituale interessi di ordine sociale economico e corporativo e così facendo
indirizzarono i loro pii intenti all’assistenza e alla cura del prossimo. Le confraternite ebbero un ruolo determinante nella formazione degli istituti ospedalieri
proprio per il fatto che avevano una funzione assistenziale che ben si accordava
con la prassi medica cristiana. La Confraternita dei Battuti o Flagellanti, sorta
come sodalizio di penitenti, compì un lungo cammino associativo progressivamente orientato all’assistenza generica prima e poi specificatamente sanitaria,
trasformandosi in sodalizio ospedaliero nel corso del Medioevo 40.
Tra il XIII e XIV secolo si configura in Cividale l’Ospedale della Confraternita di S. Maria dei Battuti sito in Borgo di Ponte. Il complesso fu rinnovato
nel 1865 e nuovamente ammodernato nel 1909. Nel 1957 venne costruito il
nuovo edificio in via S. Chiara 41. La centralità dell’istituto è testimoniata dal
fatto che a partire dal 1676 – secondo alcuni studiosi addirittura dal 1430 – gli
altri ospedali cividalesi versavano le rendite a quello di S. Maria.
Dalla fusione degli ospedali di Santo Spirito, S. Giacomo, S. Lazzaro e S.
Martino, variamente associati tra di loro nel corso dei secoli con l’ospedale di S.
Maria dei Battuti ebbe origine nel 1807 l’istituto ospedaliero unificato di S.
Maria dei Battuti di Cividale, denominato nei documenti anche come Ospedali
riuniti.
Descrizione del complesso archivistico. – L’archivio storico dell’Ospedale
di S. Maria dei Battuti di Cividale si articola in due sezioni. La sezione antica
(1228-1806) comprende gli archivi dei vari ospedali sorti sul territorio, che
conservano documenti prodotti a partire dal 1390 (in copia) fino al 1806 e un
fondo pergamenaceo di atti rogati con continuità a partire dal 1228 fino al 1593,
con pergamene e frammenti di pergamena prodotti fino al sec. XVIII. La
sezione otto-novecentesca (1807-1937) coincide con l’archivio degli Ospedali
riuniti di S. Maria dei Battuti di Cividale, il cui arco cronologico di produzione
lo pone al di fuori di questo progetto di ricerca.
Il fondo pergamenaceo (1228-1593) si compone all’incirca di 875 pergamene giunte fino a noi quasi tutte in buono stato di conservazione, contenenti
atti notarili riferibili agli interessi patrimoniali dell’Ospedale di S. Maria dei
Battuti e degli altri enti ospedalieri che hanno svolto analoghe funzioni di
assistenza e cura sul medesimo territorio. Sono vergate, come di consueto, in
39
C. ZIANI, Moimacco… cit., p. 18; L. ZANUTTO, I frati laudesi in Friuli, Udine, Tipografia
del Patronato, 1906, pp. 24; C. MATTALONI, Le confraternite… cit., p. 486; M. BROZZI. La
confraternita… cit., p. 8.
40
C. MATTALONI, Le confraternite… cit., p. 481.
41
Ibid., p. 487.
94
Beatrice Pitassi
lingua latina anche se presentano, come spesso accade in questi casi, termini
volgareggianti interpolati, che richiamano l’idioma volgare parlato nel nostro
territorio; si tratta di nomi di persona, famiglia, località, unità di misura, beni di
scambio, eccetera.
Dopo un rapido esame degli atti più ricorrenti è stato possibile osservare
che essi interessano beni immobili di varia natura quali terreni coltivati o
incolti, vigne, case con orti e proprietà varie, ubicati non solo in Cividale, ma su
un più vasto territorio al di fuori delle mura cittadine (extra moenia). Relativamente alle tipologie di atti rogati, in attesa di uno studio più approfondito, è
stato possibile mettere in luce la prevalenza di testamenti o estratti di essi
(« particole ») a favore degli ospedali, ma anche dei poveri ivi ricoverati; lasciti,
donazioni, legati che riguardano beni mobili e immobili di privati, in molti casi
relativi a quantitativi di vino, frumento e granaglie varie; contratti di locazione e
di compra vendita riguardanti terreni, vigne; contratti di enfiteusi; contratti di
livello; affrancazioni di livelli; rinnovo di contratti vari; atti di rinuncia di beni
da parte di privati a favore dell’ospedale; atti di permuta di beni; accordi (« concordi »); compromessi e sentenze.
BEATRICE PITASSI
Società filologica friulana
APPENDICE
Archivio dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale
Si fornisce di seguito lo schema sintetico di tutti i fondi individuati allo stato attuale
delle operazioni di riordino ed inventariazione del complesso archivistico dell’archivio
dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale. Per offrire un quadro completo si è
deciso di indicare tutte le serie individuate ad oggi anche se, in taluni casi, gli estremi di
produzione dei documenti travalicano il termine cronologico finale (1500) e non sono
stati presi pertanto in considerazione nell’ambito della ricerca. La stima delle consistenze
e gli estremi cronologici dei singoli fondi sono da ritenersi puramente indicativi poiché
rilevati quando l’intervento di riordino era ancora in corso.
Fondo pergamenaceo (1228-1593) - 875 unità
Ospedale di Santa Maria dei Battuti (1406-1806) - 430 unità
Statuti e deliberazioni (1462-1741)
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
95
Istrumenti (1551-1804)
Cameraria - quaderni di entrate e uscite (1406-1807) 42
Legati (1752-1774)
Processi e vertenze (1570-1806)
Ospedale di Santo Spirito (1425-1706) - 234 unità
Statuti e deliberazioni (1480-1706) 43
Istrumenti (1390 copie-1704) 44
Cameraria - quaderni di entrate e uscite (1416-1705) 45
Processi e vertenze (1525-1704)
Ospedale di Santo Spirito e di San Giacomo (1706-1805) - 103 unità
Cameraria - quaderni di entrate e uscite (1706-1805)
Processi e vertenze (1566-1756)
Ospedale di San Giacomo e di San Martino (1462 al 1589) - 21 unità
Cameraria - quaderni di entrate e uscite (1462-1589) 46
Ospedale di San Giacomo e di San Lazzaro (1569 al 1725) - 115 unità
Cameraria - quaderni di entrate e uscite (1569-1704)
- inventari (1628-1632)
Processi e vertenze (1594-1725)
Ospedali riuniti di Santa Maria dei Battuti di Cividale (post 1806) Vi confluirono nel 1808 l’Ospedale di Santo Spirito – al quale si erano uniti in precedenza quelli di S. Giacomo, S. Martino e S. Lazzaro – e l’Ospedale di S. Maria
dei Battuti.
ALCUNI ESEMPI DI SCHEDE DOCUMENTO
A titolo esemplificativo si forniscono alcune schede Documento realizzate al termine dell’analisi dei quaderni dei Camerari dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti,
particolarmente ricchi di elementi in volgare friulano.
numero scheda:
12
collocazione:
condizione giuridica:
temporanea
Azienda per i Servizi Sanitari n. 4 « Medio Friuli » Distretto Sanitario di Cividale
42
La serie comprende documenti redatti in volgare friulano, volgare d’influenza veneta, latino.
43
La serie comprende documenti redatti in volgare.
44
La serie comprende documenti redatti sia in volgare che in latino.
45
La serie comprende documenti redatti sia in volgare che in latino.
46
La serie comprende documenti vergati in volgare d’influenza veneta.
Beatrice Pitassi
96
soggetto produttore:
Camerari dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale
riferimento numero
inventario / segnatura:
b. 99
tipologia documentaria:
serie:
titolo / coperta:
quaderni dei camerari
Cameraria della confraternita dell’ospedale
« Millesimo cccc° vj.to de Officio Nicolai Chasnenich et
Johannis caligarij camerariorum fraternitatis Batutorum
Beatae Mariae Virginis »
titolo / guardia:
« Achi si comenzo la intrado dalg fiçs dela fradaglo di sento
Mario ascuduçs per mestri Culau Casnenich cortelar e per
mestri Zurin chaliar ziner di mestri Bertul di puarto bresano
sicu<t> cameras delo fradaglo di sento Mario sot lu rezement di Ser Aleri sicu<t> priul e di mestri Zani sot priul »
data / estremi cronologici:
definizione archivistica:
dimensioni:
cartulazione:
1406
registro
227x300x1
cc. 1-35; bianche: 1, 11v-12, 13v, 14v-25r, 27r, 29v, 32r,
34v-35
carta
pessimo
originale
no
volgare friulano
coperta in pergamena; legatura in filo a due capi ritorti
supporto:
stato di conservazione:
forma di trasmissione:
restauri:
lingua:
legatura /
condizionamento:
descrizione / regesto:
quaderno entrate uscite dei camerari « ser Nicoli Chasnenich et Johannis caligarij »
compilatore:
data compilazione:
annotazioni:
Beatrice Pitassi
giugno 2004
Le entrate annotate all’interno del registro sono relative ad
affitti versati in corrispondenti quantitativi di frumento
(blavo) e di denaro, e a denaro ricevuto per sepolture. Le
uscite sono relative a spese per olio e cera, ma anche per:
« lamor de Dio » (elemosine), « affitti della confraternita
pagati all’ospedale », « …a Martin per varda la cros la gnot
di viners sent », « …per drap di telo per far sacs », « … per
la carta di chest quadern », « …per far mena chialcino »,
« … per uno messo » (messa), « spesa de la fava de sent
Blas », « per li procesions », ecc.
numero scheda:
collocazione:
1
temporanea
Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
97
condizione giuridica:
Azienda per i servizi sanitari n. 4 « Medio Friuli » - Distretto Sanitario di Cividale
soggetto produttore:
riferimento numero
inventario /segnatura:
tipologia documentale:
serie:
titolo / coperta:
Camerari dell’Ospedale di S. Maria dei Battuti di Cividale
b. 98
quaderni dei camerari
Cameraria della confraternita dell’ospedale
« Achest e lu Quader delg fiç delo fradaglo di sento Mario
Scuduç e Riçuç per Mestri Zuan det Merchiedant. In
millesimo cccc.°xix.° Indicione xij.a »
titolo / guardia:
« Millesimo cccc° xix°. A chi comenzo la entrado dello
fradaglio di sento Mario di Cividat daustrio zoe delg fiz di
forment e delis altris blavis e delg dinars. Saynt Chiamerai
mestri Zuan merchiadant dello detto fradaglio. In Millesim
curino com apar di soro scrit (…) »
data / estremi cronologici: 1419
definizione archivistica:
registro
dimensioni:
222x295x0,5
cartulazione:
cc. 1-30; bianche: 1-2,15v, 17v, 18v, 19v, 20v, 21v, 22v,
25-30
supporto:
stato di conservazione:
forma di trasmissione:
restauri:
lingua:
legatura /
condizionamento:
carta
non buono
originale
no
volgare friulano
Coperta in pergamena con risvolto; tasselli di rinforzo sul
dorso; legatura in filo ritorto
descrizione / regesto:
quaderno entrate uscite del cameraro « mestri Zuan merchiedant »
Beatrice Pitassi
giugno 2004
Le entrate registrate all’interno del quaderno corrispondono
a quantitativi di denaro e frumento, e sono relative ad affitti
e lasciti; compaiono inoltre note relative a distribuzioni di
frumento e di vino.
compilatore:
data compilazione:
annotazioni:
BIBLIOGRAFIA
ALTAN M. GIOVANNI BATTISTA, Ospizi e xenodochi lungo le vie percorse da pellegrini,
da romei e da crociati, in Storia della solidarietà in Friuli, Milano, Jaca Book,
1987, pp. 38-72
98
Beatrice Pitassi
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pp. 49-89
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GOTTARDI MICHELE, Le guardie alla “gran porta d’Italia”: strutture sanitarie in Friuli
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LEICHT PIER SILVERIO, I primordi dell’Ospedale di Cividale (documenti e registri delle
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Il fondo antico dell’Ospedale di Cividale del Friuli
99
Piano disciplinare economico sanitario per l’Ospitale Civile di Cividale. Approvato
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PITASSI BEATRICE, Il catapan della chiesa di S. Maria di Ribis, in Archivi del Rojale, a
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TERRUGGIA ANGELA MARIA, Battuti della fraternità di S. Maria di Cividale, in « Centro
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VICARIO FEDERICO, Documenti antichi dagli archivi friulani. Un progetto tra il Ministero per i beni culturali e la Società filologica friulana, in « Ce fastu? », 80 (2004),
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VOLPE EMILIO, Statuta Civitatis Austriae, Udine, Tipografia Doretti, 1891
ZANUTTO LUIGI, I frati laudesi in Friuli, Udine, Tipografia del Patronato, 1906
ZIANI CRISTINA, Moimacco, la confraternita di S. Maria dei Battuti (il manoscritto F.P.
1352/2 della Biblioteca Civica di Udine), Udine, La Nuova Base, 1998
EDIZIONE DI DOCUMENTI IN VOLGARE FRIULANO TRA XIII E XV SECOLO
a cura di Federico Vicario
Si presenta in queste pagine l’edizione di cinque tra i documenti segnalati e raccolti
nel corso dello svolgimento del progetto; la trascrizione è parziale, ad eccezione del
primo pezzo, ed è intesa a fornire alcuni esempi di scripta volgare di area friulana tra
XIII e XV secolo.
L’edizione che qui si propone è interpretativa, cfr. Alfredo Stussi, Introduzione agli
studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 1994 (in particolare pp. 150-151). Nell’edizione si indica il recto e il verso del foglio, segnati con r e v dopo il numero della
carta rispettiva. La separazione delle righe è indicata da una barra verticale e si va a capo
ad ogni nuovo paragrafo. Si separano le parole vergate unite nell’originale; ciò riguarda
soprattutto articoli, preposizioni e congiunzioni, unite talvolta a sostantivi e aggettivi. Si
adopera il trattino orizzontale come segno di « a capo » per le parole che cominciano in
una riga e proseguono nella successiva, come anche nel caso di elisione di vocale. Si
uniscono le parole vergate separate. Le note all’edizione, con rimandi in numeri romani, sono riportate alla fine delle singole carte e ricominciano da « i » per ogni carta.
L’indicazione delle maiuscole segue l’uso moderno. La u e la v, rappresentate nei
manoscritti in genere da un unico grafema con due allografi, sono distinte anch’esse
secondo l’uso moderno. Per agevolare la lettura e la comprensione del testo, nell’edizione sono stati introdotti alcuni accenti gravi, talora con valore distintivo, p. es. dì
« giorno » (sostantivo) rispetto a di « di » (preposizione), è « è » (verbo) rispetto a e « e »
(congiunzione), là « là » (avverbio), rispetto a la « la » (articolo) ecc.
Le abbreviazioni che si incontrano nel testo sono le seguenti: il trattino diritto in
luogo della nasale n o m, il trattino ondulato per re, il trattino diritto sottoscritto per er,
il trattino ondulato sottoscritto per ro. Tra parentesi quadre sono segnate le lettere
perdute e le eventuali integrazioni ai testi; tra parentesi uncinate sono segnate le
cancellature operate dai singoli estensori.
1. Capitoli e ordinamenti dei frati minori e predicatori di Cividale
ARCHIVIO DI STATO DI UDINE, Documenti storici friulani, 114
Data: 7 settembre 1290
Consistenza: cc. 2 (restaurate e incollate)
Lingua: volgare misto tosco-veneto / friulano
Dimensioni: mm. 227 x 292
c. 1
Li infrascriti ordinamenti e statuti fati cum conseglo de savi frari minor | e
predicator e de altri savi e boni homini de Cividal in millo cco e no- | nanta adì
vijo intrant setembrio
Infra ly altri ordinamenti e statuti fo ordinato e statuto ni nisuno no de- | bia
Edizione di documenti in volgare friulano
101
esir reçevuto in la fradalia dely batuti de sancta Maria sotto nisuno pato | e
condicion si no lyberamentri queli chi vol observar ly statuti dela fradalia
Item chi çaschaduno frari debia quant el po batir lo sa corpo ogna dome- |
niga e ly festi di tuti ly apostoli e per ogna fiata chi ven fata profesione i dir |
xxv paternoster e xxv avemaria
Item ogna fiata chi alguno dela fradala ii mur u homo u femina dir xxv pater- |
[noster] xxv avemaria et esir perso[na]lmentri alo corpo del morto
Item ogna domeniga chi ven fata profesion per çascaduno frari u saror dela |
fradalia chi sarà lo so anevual dir v paternoster e v avemaria per l-anima lor
Item çaschaduno frati e saror dè pagar ogna anno in lo dì de sancta Maria | de
Candeli denari ij in aiutorio deli poviri
Item ogna fiata quant alguno dela fradagla si è infermo ed eli sia comandat | a
veglar elo dè andar a mandar per si a veglar
Item chi nisuno no debia esir revuto in la deta fradagla si inanço no à la sua |
capa cum la qual si dè batir
i
ii
c. 2
vergato prosesione
sic
Item chy çaschaduno dela fradalia dè reçevir una ora in anno lo corpo del |
nostro Signor Ihesum Cristo
Item chi çaschaduno dela fradalia dè aver pas e bona volontat cum lu so |
comfrari e per quelo chi romagnès dè aver pas e concordia sia dislito i dela |
fradagla e altri plusor ordinamenti chi è di grant consolaciom e hutili- | tat aly
animi e al corpo
i
sic; dislito « deliberato » o « delegato » (cfr. it. ant. dislegare « sciogliere, liberare »)
2. Quaderno di Bernardino di Borgo Ponte di Cividale
BIBLIOTECA DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI CIVIDALE
Magnifica Comunità - Camerari e Camerlenghi, b.1
DEL
FRIULI (UD), Archivio della
Data: 1382
Consistenza: cc. 78
Lingua: volgare friulano
Dimensioni: mm. 215 x 295
cc. 1-4r
bianche
c. 4v
Item costà lu quader dn. lvj
c. 5r
M° iijc lxxxij adì xxj lui
Achì comença la spesa fata per me Bernartin | l-ufici dela camareria del
cumun di Cividat | per definicion del co[n]selg e per comendament | delg
pervededòs | Item in lu det dì scrit di sora io espendey | per far conçar lu pont
di Sant i Stefan di | borgo Sant Pieri in primo yo expendey ii | per una columna
e per una traf dn. xxiiij
Federico Vicario
102
Item ancora per lbr. di cavilis <iiij> viiij in roson | d-un grus la livra montin s.
xxiiij | Item e per clauç di iiij p. l-un dn. vj
Item anchora per una brega di nogar dn. x | Item anchora per j manoal chi fes
la fo- | ran dela deta col[u]mna dn. viij
Suma acesta faça m. ÷ dn. xliiij iv p. viij
i
ii
c. 5v
Item anchora per ij mestris dn. xxviij
Suma la spesa fata per lu det pont m. ÷ dn. xvj
Item adì xxj di lui
Item yo dey a Çuan di Birtuluç ed a Niculùs | di Mini per comendament delg
perve[de]dòs str. di | forment j costa dn. lx lu qual forment gli | deç si
fa<s>çirint fari in pan uficial per | provar çoè gitava per poder far far lis
coullis | lu i pan di vendi rosoneul
Item adì xxiiij di lui
Item io dey a Pupìs per difinicion del consel | per so salari m. iij di dn.
Item anchora yo dey al det Pupìs per una | maça di drap di lin dn. viij | per
ramondar gli sampulg de la fontana
Suma acesta faca m. iij ÷ dn. xlij ii
i
ii
c. 6r
vergato lau
iij dn. xlij ÷ corretto su xxxij
Item adì xxiiij di <gi> lugl
Item yo dey a Çuan di Çuar per difinicion del | conselg per lu naulo di i ij
cav[a]lg di fin a Guriço dn. lvij | c-el fo mandat inbasador là di ser Indrì per
cha- | son d-uno rubirio cu iara fata sulg masars | dela veça di Prat e si gli dey
a det Çuan per | spesis di doy dìs m. ÷ dn. xvj
Item adì ultim di lugl
Item yo dey al fratuncel conestabil per di- | fincion del conselg marchis xxxvij
÷ di s. | per la paga d-un mes per xxx compagni
Suma acesta faça m. xxxiij dn. xv | mens p.ij
i
c. 6v
vergato Scant
x corretta su s
di aggiunto nell’interlineo superiore
Item lu det dì scrit di sora
Item yo dey a Dunin conestabil per difinicion | del conselg marchis xxxvij ÷
di s. | per la paga di xxx conpans per un mes
Adì iiij d-avost
Item yo dey per comendament delg pervededòs | ad i una guida <g> chi menà
gli soldadi | a Sofunbe[r]go dn. vj | gli qualg soldadi si furin mandadi al det
So- | funbergo per dubit di ser Fidrì di Savorgnan | chu iara vignut a Cucagna
cun lx ii cavalg | e si dè alg deç soldadi piloç lxxx per comen- | dament delg
deç parve[de]dòs
Adì vj d-avost
Item yo dey a Cuanin lu Lunc pervededòr dn. iiij | c-el dis c-el avè dat ala
Edizione di documenti in volgare friulano
103
garda del tor di So- | finberc per labea alada | Suma acesta faça m. xxxij dn.
<xxxj> | mens p. ij
i
ii
vergato adu
lx forse corretto su xxx
c. 7r
Item in lu det dì scrit di sora
Item yo dey a Nichulùs di Cararia per lu nauli di | ij cavalg dn. xx | di fin a
Sofunberc c-el fo mandat inbasador <[.]> per | difinicion del conselg
Adì vij d-avost
Item yo dey a Pupìs dn. iiij | per cason c-el çè a meti la fontana
Adì viij d-avost
Item achì comença la spesa fata per conçar lu ponto | del campo | Item yo
spe[n]dey dn. xij | per far conçar lu pont del campo per vj plancos
Item per una brega di nogar dn. <v> xij
Suma acesta faça dn. xlviij
c. 7v
Item per doy legni grandi cu si leva lu ponto dn. xxviij
Item anchora per una traf cu va per travars per | <sot gi doy [.]> legni dn. xvj
Item per far lavorar gli deti legni <e gli in> e | meter ovra si furin mestri iiij e
manoali j | e si lur dey dn. xiiij per mestri e dn. vij | al manoal monta dn. lxiij
Item anchora per lbr. di cavilis viiij dn. xx p. viij | in roson d-u[n] grus la livra
Item anchora per lxvij <g> clauç di p. iiij dn. iiij p. viij
Item lu det di scrit di sora
Item yo dey a ser Bogan ed a mestri Tomàs per difi- | nicion del conselg m. ÷
dn. xl | per cason c-elg furin mandadi inbasadòs | a Trasesim cum vj cavalg
Suma acesta faça m. j ÷ dn. xij p. vj
c. 8r
Adì viiij d-avost
Item yo dey a Niculà lu cancilir dn. vij | per iiij coder di carta e <dn.> per cera
dn. v
Adì x d-avost
Item yo dey a Çuan di Bertuluç per difinicion | del conselg m. j di s. | per
cason c-el fo mandat inbasador al si- | gnor a Port di Gruar a far chi savar | cu
Triest era perdut
Item lu det dì io dey al i[n]fant del gastalt i dn. ij | per cason c-el sonà lu
conselg
Item lu det dì scrit di sora yo dey a me- | stri Çuan muridò per comendament
del per- | vededors dn. iiij | per oris ii ch-el debeva far lu mur in Borç | di Sant
Pieri
Suma acesta faça m. ÷ dn. lxxv p. ij
i
ii
c. 8v
vergato galstat
vergato aris
Item in lu det dì scrit di sora
Item yo dey ad un muini per cason c-el sonà lu con- | selg intor l-Avamaria
dn. ij | in lu det conselg io conperay turtis di cera vj per vj s. | per veder a leir
una letira la qual ven di Mu- | gla e per far lu conselg sora la deta letira
Federico Vicario
104
Item yo dey per comendament delg pervededòs s. xij | al mes c-adùs la deta
letira
Item adì xj d-avost
Item si fo mandat per difinicion del conselg | Ponteleon di ser Ribisin e io
Bernart inbasadòrs | a Triest ed a Mugla cum iiij cavalg per | cason di cercar
son podeva aquistar lu det | Triest
Item yo dey per lu nauli delg cavalg dn. lxiiij | per caval monta lu nauli delg
deç cavalg m. j ÷ dn. xvj
Suma acesta faça m. j ÷ dn. xxxiij p. iiij
c. 9r
Item per lis spesis fati a v dìs per li deç iiij cavalg | e iiij bochis io spendey in
lu det viaç m. iij di dn.
Item in lu-det di yo dey per comendament del perve- | dedòrs a Po[n]tele[o]n
di ser Ribisin m. ÷ di s. | per cason c-el la nuela cu Triest era per- | dut per lu
nauli dela barca e per spesi fati
Adì xij d-avost.
Item yo dey a Çuan di Cuar per chi fo mandat | inbasador ad Udin per difinicion del conselg sora lu | fat del balisti e sora lu fat delis <domnas> | di
Monestet maior dn. xlviij
Adì xv d-avost
Item yo dey a Niculà di Domenia | per difinicion del conselg per cason ch-el
fo | mandat a Trasesim sora lu fat di meti | un vici capitani in lu det castel per
dubit | cu-l capitani no murìs
Suma acesta faça m. iiij dn. iiij p. viij
c. 9v
In lu det dì
Item yo dey a Pupìs | per cason c-el aremondà gli savampul de la | fontana dn. v
Adì xvj d-avost
Item yo dey a ser Çuan d-Atims ed a Çuanin | lu Lunç m. ÷ dn. xvj | per cason
c-elg fur mandat inbasadors | a Trasesim per difinicion del conselg
Adì xviiij d-avost
Item yo spendey per fa ingranar la stuva e | la sala del conselg e <ca> di
cumun vedri e nuf dn. iiij
Item lu det dì yo dey a ser Çuan d-Atims dn. xlviij | per cason c-el fo mandat
inbasadòr a Trasesim per | difinicion del conselg
Suma acesta faça m. ÷ dn.lxxiij
3. Inventario dei redditi della Confraternita di Santa Maria di Venzone
BIBLIOTECA CIVICA « V. JOPPI » (UD), Fondo principale, ms. 1275, fasc. II
Data: 1429
Consistenza: cc. 46
Lingua: volgare friulano
Dimensioni: mm. 195 x 250
c. 1r
(non si legge)
Edizione di documenti in volgare friulano
105
c. 1v
Nel mille e quatrocento xxviij | adì ij de juglo fo consacrata | la chiesia e
ospedale dela frater- | nitade de quela intercedente e glorio- | sa Virçine madre
de vita eterna | e advocata de noi pecatori | per lo veschovo Enrigo de Concor| dia sotto de Armano de Martino | chameraro
c. 2r i
[n] ii | [n] iiij | [n] x | [n] Martinùs x | [n] | [n] di Artigne xxxiij | [n] Alloi xxxvj
| [n] Pitacul [.]lvj | ser Andrea e ser Lunardo Mistruz xxvij
Bortolot Zamul di Puertis a ij | [n] vij | Burtulùs de Chianal vj | Burtulùs de
Chianal xliiij | Bortolot Pighurin viij | Bortolot Blasut x | Brindet churtisar x |
Brindet churtisar xij | Bortolot Bazeit xiij | Bortolot Bazeit xxxiiij | Birtuline
che fo di Muez xxj | Bortolomio arm[en]tar xliij | Bortholot Radif xvij |
Bortolot Blasut xj
Chiandit di Puertis a carte x | [n] | Chulaut di [n]
Dumini iii [n] | D[…]sot vij | D[umi]ni Papuz di [n] | [n] viij | [n] ij | [n] di
Ba[n] xliiij | [n] Chia[n] xj | [n] e Dumini fradis di Puertis xiij | [Dine]l
Varagnut xxj | [n] | Dumini di Pluern v | Dumini Galieni | Domenìs Salon xxx
| Domenìs Marabez xxx | Dinel del Mueni xiij | Domenìs Marchuz viiijor |
Danelùs Cicut xlv
Franziesch Pipiz di Puertis a x | Franziesch Pipiz […] | Pieri iv Franziesch
Zamul xxiiij | Fraisingar xxxiij | Franziesch Paiùs di Tumiez xlj | Fazi di
Preon di Chiargne | Francesca di Iacum Baffa xlvj
i
ii
iii
iv
c. 2v
comincia qui un lungo indice di nomi, disposto su due colonne, con rimandi ad
altre carte del registro indicate in numero romano (talvolta preceduto da una a per
a carte); una prima mano inizia l’elenco, una seconda mano, forse più di una, integra successivamente la lista
colonna di sinistra
colonna di destra
Pieri aggiunto sul margine sinistro da altra mano
Gregor i di Sant Dinel a xiiij | [Gregor] di Sant Dinel xxiij | Gasparùs di Buya
xij | Ganberùs Pirtiz xxiij | Ganberùs e la siridurarie iiij
Iacum Fidiùs e la Travisane | Iacum Fid[i]ùs e la Travisane ij | Iacum Baffe iij
| Iacum Baffe xxx | Iacum Baffe xxxij | Iacum di Mene iij | Iacum di Mene xxj
| Iacum di Montenars iiij | Iacum di Vendoi viiij | Iacum Blas Dirlì xj | Iacume
figla Stiefin Cacùs xxv | [n] xxij | Iacomaz di Pieri Menìs xxiij | Iacum
Barbeirùs e Ostach Chiaides xliij
Lenès ii Chunin a carte uno | Lenès Chunin | La mugler mestri Romio ij | La
mugler Iacum Bertul ij | Lenart Çischo […] | Lenart Çischo | Li eredi [n] | Lu
figliastri Ghianber vij | L[n] xij | La fradagle de qui xij | La fradagle xxxiij |
La fradagle xlij | La Portolane xiij | La Portolane xxxij | Li eredi Pizul Ghialuz
xiij | Lene Michul Chichian xiiij | Li eredi Martin Anichin xxj | La mogler
Pirugle x | La Tumizine | Lurinz Sinigot di Chiavaz | La badese di Glemone vj
| La mogler Valent di Puertis xiiij | Lucia mogler Michel Cargnel xvij
Marchulin a carte iij | Matio Chiandin xj | <Matio Marchagn viiij> | Matio
Marchagn xliij | Martin dela Berghine xiij | Martin dela Berghine xxj | Martin
dela Berghine xv | Matiùs del Uerz xxxj | Monet xxxij | Mariaxii di Indrì di
Inplan xvj
i
ii
colonna di sinistra
colonna di destra
Federico Vicario
106
c. 3r
Miniùs i la Tumiçine a carta xvj | Nichulau Pieri Menìs iij | Nichulau Milene
iiij | Nichulau Milene iiij | Nichulau Milene viij | Nit di Puertis vj | Nichulau
di Muez vij | Nichulau mestri Zuan viij | Nichulau Ninoi vij | Nichulau
Vueran e-l fradi xij | Nichulau Martinuz xiij | Michulau More xxj | Nichulau
fradi Indrì Parusin ii xxiiij | Nichulau Martinuz | Nichulau Çamul di Puertis
xlij | Nichulau Paculin viiijor
Paschul a carte une | Pieri Pazet iiij | Prandùs x | Pieri di Muglese di Puertis xv
| Pilirin mulinar xiiij | Pilirin mulinar xj | Pieri di Mugliese xxv | Pieri çener
Dumini di Midieis xxv | Pieri dal Blanch xxxj | Pieri Çamul di Puertis xxxj |
Pieri del Ser xvij
Pieri iii Çamul xxxiij | Puntùs di Quel Alt
Susane di Puertis iiij | Stiefin di Mene xxxiiij | Stiefin di Mene xlj | Stiefin di
Mene xlj | Stiefin di Mene xliiij | Sighi[s]munt Valop xlij | Simion Ninoi di
Puertis iiij xvj | Stiefin Cacùs xvj | Simed Candùs c. ja
Toni Muglisin a carte ij | Toni fari ij | Toni fari iij | Taront chialiar ij | Toni
Luchefort viij | Toni Luchefort xxiij | Toni Luchefort | Tomat bariglar iv vij |
Toni dela Uerzie xj | Toni del Serni xxij | Toni Chacùs xxiij | Toni Vichiari
xlij | Toni Vichiari xliij | Toni Monet e Catarine xvj | Toni Mora viiij
i
ii
iii
iv
c. 3v
colonna di sinistra
vergato Perusin
colonna di destra
vergato baliglar
Ulif i di Puertis a carte vj | Ulif di Puertis | Uliverùs di Pidrùs Neri […] |
Uliverùs vij | [n] xiiij | Vidot di Çuan di Chu[y]nys in | Cargna [n] | Ursula
Pugnet legat per lasat xvj
Çuan di Pluern a carte une | Çuan di Pluern iij | Çuan di Pluern xiiij | Çuan di
Pluern xxj | Çuan di Pluern xxxiiij | Çuan Saberlach ij | Çuan Saberlach | Çuan
di Pers ij | Çuan di Pers xlij | Çorz di Samonz xv | Çuan filgl Burtulùs di
Chianal iij | Çuan Bidernuç v | Çuan Menie di Puertis viij | Çuan di Dogne
xiiij | Çuan di Dogne xxij | Çuan Chiargnel di Puertis xxij | Çorz Aridivùs
xxiiij | Çorz Aridivùs xxij
Çuan ii chialiar iii di Rigugne xxij | Çuan Pagot xxiij | Çuan Muix xxv | Çichin
Limirut Andrea | Pitachul pagà xxxj | Çorz Ghialuz xxx | Çuan di Mantue xlij
| Çuan di Mantuexi | Çuanxii Florit xvj | Çorç di Iacum Francesch xxvj | Çulian
pilizar de Sant Danel xlvj
i
ii
iii
colonna di sinistra
colonna di destra
vergato chiariar
c. 4
bianca
c. 5r
Legat fat per Fortunàs Çambel di Puertis lasà ala fradagle vij | fit di fr. xx j
quali gli apaiave Durich e Dumini di Grigor dela | Barzane di Puertis per man
di Çuan de Rasmi in m iiij xxviij | rizut per Durich e Dumini di Grigor di
Puertis
Legat fat per [n] ala fradagle jo baiarz puest a pè dela mont | ala[n]t in Vinzons confine cun la vigne Iacum Micòs e la vie publiche | paiant lu dì de
Edizione di documenti in volgare friulano
107
Nunziazion di sancte Marie ss. xxxiiij scrit di davour in lis | compiris a carte ij
| rizut per la mogler Portolan
Legat fat per Çupan ala fradagle liris v de oio sora je so | chiase pueste in
Puertis pueste enfre gli areiz Çuan Çalandin e | gl-areiz [n] e la vie publiche |
rizut per gli areiz Pizul Ghialuz
Legat fat per Nichulau Çanparut ala fradagle une vigne pueste | in Vich in loc
det Quel Ziralt confine cun Vignut Claboch e cun Andree | e Matio Pitachul e
cun Franciesch Osovan e cun gli areiz Chuchu- | luz e la vie publiche second
che si conten per man di N. di Simon Paculin | in m ccco lxxxij di aprilis
paiant liris de fr. v in lu dì de sant | Çuan Batiste | rizut per Lenart Çischo
Legat fat per Uliane figle che fo di Pieri Iart lasà ala fradagle marche une | di
ss. sore la vigne di Prat di Lach second che si conten per man di Çuan Rasmi |
m iiijc xxviij | rizude per Fantùs Dinel di Manià | rizut per Lenart Bidernuç
c. 5v
Legat [n] | [n] | [n] | [n] | [n]
Legat [n] | [n] | [n] | [n] | rizude per Bortolot Ba[n]
Legat fat per Mantoan lasà ala fradagle [n] | lu dì de sant Çuan Batiste [n]
mitu- | de in Venzon confine cun Çuan Z[..]gorlin e cun la drete strade e | cun
Çuan Matio e del-altre part cun la chiase [n Nichu-] | lau Benvegne | rizude
per Nichulau
Legat fat per Franziesch di Tonut Flavit lasà ala fradagle | chi el debès iesi
comperadi liris iiij di ss. per Madalene Rizot so mari | e so reit perpetualmentri
Legat fat per Çuan curtisar ala fradagle marche di ss. xx che debès iesi
comperade je mar- | chie di fit perpetual e cun la mitat lu so niversari | liris iiij
lu niversari
c. 6r
Legat fat [n] | [n]
Legat far per [n] | [n] | [n]
Legat fat per [Pauli Claboch n] so chiase pueste in [n] | confine cun la chiase
[n] chiase Franzeschie Rizot e lo | mur del comun e la vie publiche paiant ss.
xl a sancto Andrea e ch[n] | deta [n] se [n] vegna ala deta fradagla cun questo
che cun la | m[n] chomo apar per man de mestri Zuan | [n] | rizude per Pilirin
mulinar e mo rizut per Zuan Marie
Item lu det Pauli Claboch lasà sovre je so chiase che fo di Dietrich | di Blasin
pueste in Venzon confine cun gli areiz Çuan Bonisant e Simon Mu- | glisin e-l
mur del comun e la vie publiche chom[o] apar per man de | mestri Zuan di
Arman | rizude per Çuan di Dogne e mo rizut per Luche de | Rapignan becar
Legat fat per Iacum di Martin bariglar i ala fradagle ss. xl paiant lu dì di |
sancte Marie di setember sore jo mas puest in la vile di Basegle in Forn per
man | di Radolf det Arman di Lazer in m ccco xlij setember | rizut per Vidùs
di Forn di Super
i
vergato baliglar
Federico Vicario
108
4. Rotolo della Confraternita di Santa Maria di Tricesimo
ARCHIVIO PARROCCHIALE DI TRICESIMO (UD), Cameraria, 378
Data: 1442-1447
Consistenza: cc. 91
Lingua: volgare friulano
Dimensioni: mm. 100 x 220
c. 1r
Cristoful spendè a Çividat et ad Udi[n] j pit di [...] | per honorà miser lu
vescul per ja quarta di vidiel s. [x]xvii[j ...] | et per spese a mj s. iiij
Item io Cristoful per fà in siela ja letire al [f]amel dal vescul s. [...]
Item per j caval da [U]din a Cividat s. xij
Item diey a ser Niculau di Tumieç s. xx
Item per <diey> ij dijs a mj s. a Çividat et ad Udin i s. x
Item diey a miser Rasmilg ja quarta di carn conperade dal fa[ri] di Montegnà |
s. xxxiiij
Item spendey io Cristoful ad Udin s. viij per li detis chi[o]sis
Item per me et Çuan Culau <Dene> Comon et Çuan Culau Iacum a Sant
Denel s. iij | et per j altri trat et io et Lenart Culian et Sirian a [Sant] Denel s.
xx[.] | et per j par di poleç donaç s. viij et per ij spadulis a Minigin s. xx[..] |
per Cuan Danel r. d-aresch per iiij libr. olio chi lasà la moglì Fantin | ja per an
non e fat scrivj s. xx<v>iij
Spese per Çuan Danel per alà ad Udin fo came[rar] et Danel Meçan s. xv
Item diey a Pieri <a pre> Piç libr. et a Danel Meçan chi alar ad Udin li[br.] iij
Item diey a Pieri Piç et Cristoful ad Udin s. xx
Item per j ÷ lira holio conperat di Tonie s. viiij
Item per j ÷ libra oli conperade di Toni s. viij
Item per alà a Sa[n]t Danel io Çuan et Cristoful [...] | in lu dì di sante Marie de
Nef s. x [...] | di den.ii
i
ii
c. 1v
vergato Udindin
lettura incerta
L[i]br.
Item viiij di cerys conperade di Cristof[ul] | spiciar di Merchiat Nuf libr. vij et
s. iiij | per l-anime dela moglì Çuan Cul[au] cun ij mesis s. viij | et al munj s. j
Item io Çuan Danel camerar prisint Mathio et | Cristoful d-Adorgnan in lu
baia[r]ç di Pieri Piç | ducaç d-aur v lu dì dal pali a r. per me Çuan
Item diey al det ser Çuan Toni di Sant Danel per reconperar forment st. j |
ducaç iij et s. xl et per fà cancelà la carta ser Laurinç | di Lovarie s. vj et licof ij
Item spendey jo et Cristoful ad Udin i s. viij
R. p[er] Çuan Danel dal Werç Meynart d-Adorgnan | forment p. j
R. di Durlì Agustin forment p. j
R. di Danel dal Petenat fave p. vij
R. di Iacum Flum forment st. j
[R.] di me Çuan Danel camerar forment st. ÷
[R.] di Cançian di Montegnà forment st. ÷
Edizione di documenti in volgare friulano
109
[R.] di pre Çuan di ser Macor per la casa s. xv
[R.] di Culau Catarùs forment p. ij
i
vergato ancora Udindin
c. 2r
M° iiij xlij adì domeniga di meça Cresima | davur la casa dela fradagla al
prisint fo | lu fari di Corglà Toni Chiandit di Feletan | Iacum di Liunà Çuan
Baron d-Are Çuan di | Laypà Filip Luys e Pieri Mian di Trasesim | et altris
asay personis
Io Martin filg Çuan d-Are camerar dela | fradagla di Sancte Marie dela plef di
Trasesim | per l-an prisint r. di Pieri Seveglane camerar | del an pasat marchis
xviiij s. et ducaç xij | fur conpe[r]aç di nuf fur mens s. xviij
c. 2v
Aresch scuduç per Martin
R. di Pieri Mian a non di Fantùs d-Adorgnan | per j° cu[n]cordi fat per Pilin di
Trasesim et per | Lenart Garcon d-Adorgnan per j° vasel | di vin lu qual avè
conperat Totil so fradi | chi era stat di Stiefin Furtin libr. xij s
R. di Beltram di Montegnà per j st. di siale s. lxiiij
R. dela moglì Matie d-Are s. <xv> xlv
R. di Fidrì çinir Culau Çan s. xxviij
R. di Bielost sora aresth fava st. j per s. lx | per vin chi io gli vendey
R. di Çuan Capo di Luserià per conpliment | dela so rason di Selfo camerar m.
ja et s. xiij
R. di Pieri da Riu a non di Quarin di | Cividat den. vj
R. Pieri Culùs di Fregelà <÷ st. di forment s. l> forment pesonal ij
R. di Pieri Seveglane a non di Simon Locilg forment p. j
R. di Vignut Sin per inprest chi gl-avè inprestaç | Çuan da Rinculin libr. iiij s.
c. 3r
R. dalg mes per lu det Martin d-Are
R. dal mes d-avril s. xvj
R. dal mes di may s. xiiij
R. dal mes di iung s. xx
R. dal mes di seselador s. xxj
R. dal mes di <sel> agost s. xxiij
R. dal mes di vendemis s. xvij
R. dal mes d-atom s. xx
R. dal mes <mes> di setenbri s. xvj
c. 3v
R. dal mes di bruma s. xxviij
R. dal mes di çanar s. xiiij
R. dal mes di fevrar marchis viij et s. lviij | cum l-ufertata chi diè per ja an
Çors chi sta | cun la barbere chi entrà in fradagla
R. dal mes di març s. xxxiij | et di Pieri Luvys s. xij
c. 4r
In <Adorgnan> Trasesim 1442
R. di Danel dal Petenat fava pesonal viij
R. di Bielost forment st. j
R. di Culau Waieie forment st. ÷
R. di Martinuç forment st. j°
110
Federico Vicario
R. di mestri Çuanut caliar per ÷ st. di forment s. xlviiij
R. di Vidon forment st. ÷
R. di Tomat di Merçaie forment st. ÷
c. 4v
R. di Pieri Piç forment st. ÷ | et fava st. ÷ | et per ja lira olio s. vj
R. di Çuane dal barbir forment st. ij | et melg st. ÷ | et vino conci j
R. di Pilin forment <st. ÷> pesonal j ÷
R. di Pauli so fradi forment pesonal j ÷
R. di Simon dela More fave st. ÷
R. di Domeni Tomat forment pesonal ij
R. di Culùs dal cleri forment pesonal ij | et fave st. j°
R. di Pieri <Meynart> Mian forment pesonal ij
c. 5r
R. di Sant Pauli per ja lira olio s. vj
R. di Çuan Mian per fit s. xij
R. di Valantin Pieri Faci per ÷ st. di forment s. xlviij
R. per pan chi noy volevin riçevi <[...]> chell | di Tarçint chi io vendey s.
xxxiij | Grior Lem à pagat entel an di Cristoful camerar | <ja oli> per ja lira
olio s. vj
c. 5v
In Adorgnan 1442
R. di Pieri Sant forment pesonal x
R. di Lenart Garçon forment st. ÷
R. di Durlì Agustin forment pesonal j° | et per j ÷ lira olio s. viiij
R. di Pauli dal Çiel forment pesonal j°
R. di Mini dal Barbe forment pesonal vij
R. di Çuan Culau Iacum per ÷ st. di forment s. xlviiij
R. di Fantùs forment st. ÷
c. 6r
R. di Veroniche forment pesonal ij | et per iij libr. olio s. xviij
R. di Culau Çuan Candit i forment pesonal j
R. dal <Brunch> Brun Danel Tiùs forment pesonal ij
R. di Catarine Pauli Pelos vino conci ÷
R. di Pieri Meynart den. iij ÷ | sora ja casa chi pagava lu Blanch da | Ribis ad
Udin
Item r. dal det Pieri per sè per j ÷ lira olio s. viiij
c. 6v
In Cortal et Val
R. di Tomat forment st. ij | et vino conçi ij | et marcha ja s.
R. di Pieri da Riu a non di Quarin chi sta | a Çividat vè Arivignàs den. vj
In Reana <Ribis> Rimugnan et Ribis
R. dela moglì Simion Marmòs forment pesonal iiij
R. di Cristoful di Laypà forment st. iij
R. di Culau Catarùs forment pesonal j ÷
R. di Iacum filg Toni Çuanin a non | di Candit dal Chiamp forment pesonal j
c. 7r
In Palut et Laypà
R. di Çuan Danel Virili forment st. ÷
Edizione di documenti in volgare friulano
111
R. di Iaroni et di Cristoful fradis per j ÷ pesonal | di forment s. xxiiij
R. di Iacum Flum forment st. j°
Cristoful Quarin in lu so an à scudut | di Çuan Mini di Laypà lu fit del <in> an
di Martin
In Monastet
R. di Iacum dal Sach forment st. ÷
c. 7v
In Laymà et Liunà
R. di Çuan Marquart forment pesonal v
R. di Paulat forment <pesonal v st. ÷> pesonal ij et per j pesonal s. xvj
R. di Çulian per ij libr. olio s. xij
R. di Domeni Tomat forment pesonal ij
R. di Çuan Capo a non di Çuan da | Rinculin forment pesonal ij
c. 8r
In Coloret da Prat 1442
R. di Toni Magri forment pesonal iiij | et siale pesonal iij | et avene st. ÷ s. xvij
R. di Iacum Birtuluç forment <st. ÷> pesonal iiij | et siale st. ÷ <÷> | et avene
pesonal j° ÷
R. di Çuan siale st. ÷ | et avene pesonal j ÷
R. di Birtuçs forment pesonal iiij
R. di mestri Çuan c[.]
In Paseglan <acone> fo pagat lu fit de chest an a Convalis
In Feletan
R. di Culau Iadi lira olio s. vj
c. 8v
In Arre
R. di Bertul per ij pesonal di forment s. xxxij | et per ja lira olio s. vj
R. di Çuan Mathie a non di Micul Warnir | forment pesonal ij <iij>
R. di Tomat <Arman> Arman forment st. ÷
c. 9r
In Montegnà 1442
R. di Beltram vaselar forment st. j ÷
R. di Francesh dela Temire forment ÷
R. di Micurìs forment st. j ÷ | et fave pesonal v
R. dal Neri aruvedar forment st. ÷
R. di Danel dal Blanch den. iiij
In Segnà
R. di Culùs Privan | per ÷ st. forment s. l
c. 9v
In Fregelà
R. di Drea Culùs Bolp per fit den. ij
R. di Francesch Beltram forment pesonal iiij
R. di Çuan vaselar per ÷ st. forment s. l
R. di Valantin per ij libr. olio s. xij
R. di Bertul Boriat olio lira j
R. di Pieri Culùs forment pesonal ij
In Tarçint
R. Matan d-Are camerar di Francesch di Brochiolose | per j ÷ lira olio s. viiij
et diè lu a Conv[a]lis camerar nuf | di po chi io fes la reson io Martin
Federico Vicario
112
c. 10r
Forment vindut
R. di j° cargnel | per j st. di forment s. c
R. di Linùs per ij st. di forment libr. x s. mens s. iij
c. 10v
bianca
c. 11r
La spese fate per Martin d-Are camerar
Prima per noy chi façirin la rason s. xj
Per chest quadern conperat ad Udin s. xij | di comandame[n]t dal conselg diey
a Rigilin forment pesonal ij | in non di Dio
Per vj cevris et di calcine et | <vij ÷ centenar di modo[n]> conperat in Blate s.
lxv
Diey a Lenart Wirlabal pan s. ij
Per fà inholeà lu det Lenart s. xj
Per fa la sapulture dal det Lenart s. xx | et al mu[n]i s. j
Per j ÷ lira olio conperat di Lonbart s. <x> viiij
Per ij libr. olio conperat di Lonbart s. xj
Per vij ÷ centenar di modo[n] conperat in Blate libr. vj
c. 11v
Per so fadie a Pontel di ser Host chi in- | bochià la casa lì dalis figuris et fes larmadure s. xvij
Per tirà fur j° testament chi fes Danel | Tiùs d-Adorgnan di ser Bortolomio
nodar s. xxij
Per cantons et licof al fig[l] Culùs Bolp s. viij
Per so fadie a mestri Pieri da Riu chi fes | lu campanili libr. viiij ÷ s. | et di
licof s. x
Per ja vora ascant ii s. viiij
Per ja carta a pre Niculau di Cerset s. xij
Per ja ÷ lira et holio s. viiij
c. 12r
Per j° vidiel conperat di Pieri Piç chi noy | donar ala Fradagla Maior dalg
Batuç | d-Udin libr. vij s.
Per alà a mestri Toni di Tomasin d-Udin io | et Çuan Convalis a fa pat cun lu
det s.iij
Per fà dipençi lu det mestri Toni marchis iij s. | et per fa lu menà ad Udin s. x |
et per fà lur fà li[s] spesis a Tonie di Lonbart libr. iiij et s. v
Per riçevi achel di casa chun vin s. xxj | et per pre Durlì chi fo a Mo[n]t cun
noy s. iij
Per cerchià aresch vieris et nus s. v | in dos horis
Per so fadie a mestri Cristoful d-Orgnan chi | menà j° povir al ospedal di
Glemone s. xvj
c. 12v
Per ij libr. olio conperat di Lonbart s. xij
Per la campane a mestri Grior caldelar chi | pesà libr. lxxxiij ducaç d-aur viij
et s. lxiiij
Per so fadie a Pontel chi fes lu cep s. viij | et per clauç et per altris spesis a
Tonie di Lonbart | et a Çuane dal barbir s. xxj
Per iij libr. olio conperat s. xxj
Per j ÷ lira olio conperat di Lonbart s. viiij
Edizione di documenti in volgare friulano
113
Per xxviij libr. olio conperat di Çuan Toni d-Udin m. ja et s. viij | et di chest
midiesim olio diey a Domeni | et Çuan mulinar fradis libr. xvj ÷ | per fà lu
debè di Striefin Furtin
c. 13r
Per ij pesonal di fave conperade di Çuan | et Domeni mulinar s. xx
Per ja mesa a pre Ançelot s. viij
Per sal et çevole et candele s. iiij
Per x libr. di carn di purçel conperade di Culau | Catarùs da Reane s. xxxj
Per l-aniversari fat per l-a[ni]ma Drea Cavali | d-Adorgnan cun iij mesis den. xij
Per l-aniversari fat per l-anima Drea Caval | cun iij mesis den. xij
Per cevole conperade s. xxviij
Per iiij pesonal di sal conperaiç di Culau Catarùs s. xxviij
i
segue da espunto
c. 13v
Per fà la muesine cun xxj st. di forment | per fà lu masanà a Stiefin Valent
forment st. j | per ja horna di holio conperade di Çuan di | Iochin d-Udin <libr.
xxvij ÷> s. | marchis iij et s. lj
Per fà buratà et conçà lu forment et altris spesis s. xl
Per so fadie ala moglì Pieri Mian chi | fes lu pan libr. iiij et s. iiij
Per iiij cars di lens conperaç di Çan da Rinculin s. lxiiij
Per peverade et çafaran s. viiij
Per lum brusade s. iiij
Per so fadie ala moglì Culau Waieie s. viiij
Per j car di lens s. xiiij
Per ceris conperaç et lavoraç di Çuan di | Iochin d-Udin marchis ij et s. ijj |
per s. xvj la l[i]re
Per fà dì vij mesis s. xlviiij | et al muni s. j
Per lu gustà per carn fresche a Culau Heler | libr. x et s. xiij | et per peverade
et çafaran s. viiij
c. 14r
Per l-aniversari fat per l-anima Vidon cun iiij | mesis s. xviiij | et al muni s. j
Per ij mesis fatis per l-anima Tintin s. viij
Per ricevj masarç di Coloret da Prat et altris s. viiij
Per fà inpegnà achel chi non volevin pagà s. xxiij
Per j vasel chi io fes io Martin libr. iij s.
Per so fadie a Matio di Luvìs per scrivi | et fà achel chi bisugnà riten
fo[rmen]t st. ÷ et s. x
Item chi io debè avè per carn di purçel s. v | di Çuan da Rinculin chi fo
camerar
c. 14v
bianca
c. 15r
1443
In m° iiij xliij adì domeniga di vera | Cresima in la glesie di Sancte Marie
daur l-oltar | al prisint Pieri Mian Lenart Pilin Blas muyni | Pieri Piç Filip
Luys di Trasesim mestri | Cristoful Pieri Seveglane d-Adorgnan Iaroni | di
Laypà Donat d-Are et Culau Pertolt | Çuan da Rinculin di Liunà et altris asay
Io Çuan Convalis camerar dela fradagla | di Sancte Marie dal Batuç dela plef
Federico Vicario
114
di | Trasesim per l-an prisint. R. di Martin | d-Are camerar del an pasat
marchis xviiij s. | et ducaç xiiij d-aur
R. in avantari forment st. iiij ÷
c. 15v
Aresch scuduc per Çuan Convalis
R. di Danel di Palut per conpliment dela reson | di Culau Çoy marcha ja s.
R. di Bielhost per conpliment dal vin chi al a-p s. xx
R. di Martin d-Are a non di Francesch | di Brochiolose per iij libr. olio s. xviij
| per l-an di Pieri Seveglane et mio
R. di Martin d-Are s. vj
R. di mestri Çuan caliar chi fo d-Adorgnan | et sta ad Udin a non di Çuan
Beltram | di Paseglan Slavanesch s. viij ÷ et p.
R. dal mes d-avril s. xv
Di may s. xvij
Di iung s. xxiij
Di seselador s. s. xvij
D-avosts. xv
Di vendemis s. xvj
D-atom s. xij
Di novenbri s. xvj
Di brume s. xvj
Di çanar s. xx
Di fevrar marchis viij et s. xlviij
Di març s. xiiij
D-avril s. xviij
5. Rotolo della Confraternita di Santa Maria di Tricesimo
ARCHIVIO PARROCCHIALE DI TRICESIMO (UD), Cameraria, 522
Data: 1487-1488
Consistenza: cc. 13
Lingua: volgare friulano
Dimensioni: mm. 210 x 310
c. 1r
bianca
c. 1v
[n] di Iacum Pauli Pilin di Tresesim camerar pasat | [n] de sente Marie e di
sent Sebastyan di Tresesim fate in man | di mestri Culau Fari di Tresesim
chamerar per l-an prisint di dut[i]s lis | <di dut> i chyosis <reces> recibudis e
spind[ud]is per ceschyedun mut fatis | <et per> computadis l-aricet cu la spese
in omnibus de dutis lu det Iacum | disborsà e dyè al prefat Culau Fari chiamerar i[n] dut ll. viiijor e sol. viij | fate in Tresesim i[n]te chyase de fradaglye
prisint lu det Culau chiamerar | costadi di Zuprian Luche chyaliar Agnul de
Fari Culau de Nadalye Domeni | cinausir a custor di Tresesim Cicut di
Co[r]glyà e algtris asay e dyegly lis | clas e quaders 15 e instrume[n]te 70
i
segue li espunto
Edizione di documenti in volgare friulano
c. 2r
Item r. di me Culau chiamerar oyo [n] | Item r. de me Chulau for.to p. viij | e
fave star j
Item r. da Culau di Zuanyti for.to star ÷
Item r. da Lunch for.to star j p. ij
Item r. da Lunch a non di Vignude di Martinuc for.to p. v
Item r. da Bastyan for.to star ÷ | e fave star ÷
Item r. del sora det Bastyan sora lu myec di bevorchye fave star ÷
Item r. da Lenart Valantin for.to star ÷
Item r. da Chyancian di Marzaye for.to star j p. ij
Item r. da Bertul de Vigiline for.to p. ij
Item r. de moglì Tresesim per for.to star ÷ fave star j
Item r. dal cumon di Leypà for.to star ÷ a non di Çuprian
Item r. da Paian d-Are a non di Zuprian for.to star ÷
Item r. da Lenart Vigiline vino conzo ÷
Item r. da Iacum Pauli for.to p. j ÷
Item r. da Luche vino conzo j sela j
Item r. [da] Domeni di Foschye vino conzo j
Item r. da Luche i su lu quel di Palut e su la piargule vino concy vij
Item r. da Culau de Nadalye fave star j
Item r. da Iacum Pauli vino conzo ÷
Item r. da Foschye di Vendas oyo ll. j
Item r. da Lenart muyni for.to star ÷
i
c. 2v
vergato dal che
Item r. [n] Culau [n] oyo ll. j
Item r. da Filip i per oyo ll. j sol. v
Item r. da Pieri Piz per oyo ll. j sol. v
Item r. da Culau Lacirut per fit sol. viij
Item r. da Marye Iacum Pauli per fit per oyo ll. ij sol. x
Item r. da Cristoful Martinuc per fit sol. x
Item r. d-Agnul di Foschye per fit for.to p. ij
Item r. [da] Vignude Martinuc per oyo ll. j sol. v
i
c. 3r
115
vergato Filis
[n]
Item r. da Matye Quarin for.to star ÷
Item r. da Lenart Filip a non i di Domeni Vignut for.to star j | e fave star ÷
Item r. da Lenart Filip a so non for.to p. j
Item r. da Iacum Pesant for.to p. iiijor
Item r. da Iacum Pesant a non di Iacum Sant for.to star j ÷
Item r. da Zuan Garzon for.to star j
Item r. da Culau Quarin a non d-ereditat del Brun for.to p. ij | e a so non for.to
p. j
Item r. da Gospar for.to p. v
Item r. da Grior Susane per meytat ii vino concy iij
Item r. da Iacum Durlý per for.to per lu prisint e lu pasat p. ij vino conzo j
Item r. da Iacum Pesant vino conzo j
Federico Vicario
116
Item. r. da Zuan Pauli vino sela j
Item r. da Lenart Filip per oyo ll. j sol. v
Item r. da Iacum Sant for.to p. j
Item r. da Iacum Sant a non d-ered[it]at di Catarinuze per oyo ll. j sol. v
i
ii
segue a non cassato
vergato meytata
c. 3v
bianca
c. 4r
[n]
Item r. da Tony Lurinc oyo ll. j
Item r. da Culau Toful per lu prisint e per lu pasat per for.to star ÷ | siale p.
iiijor
Item r. da Domeny dal Mis for.to j ÷
Item r. da Vit Virili for.to j ÷
Item r. da Miche[l] di Tondul for.to p. j ÷
Item r. da Toni Lurinc vino conzo j e sela j
Item r. da Tony Lurinc sora lu fit de chyanive sol. x | resta a dà sol. x
c. 4v
[n] in Lyunà e Luniryà [n]
Item r. da Toni [n] p. ij
Item r. da Cristoful Furlan for.to p. ij
Item r. da Lenart Ruculin for.to p. iiijor
Item r. da Domeni Fari for.to p. v
Item r. da Cristoful Furlan vino conzo ÷
c. 5r
R. in Are Monastetto 148[7 n]
Item r. da Filip for.to sora lu teren chi paiave Domeny Franzon p. [n]
Item r. da Paian for.to p. ij
Item r. da To[ni] Fari vino conzo j
Item r. da Zuan Benedet for.to pesenal j
Item r. da Zuan Slobarye per for.to star ÷ sol. xliiijor
Item r. da Pinzan per oyo ll. j sol. v
c. 5v
[n]yasa Conoglan
Item r. da Bertul Fil[ip n] oy[o] ll. j
Item r. Grior Silete oyo ll. ÷
R. in Udin e Bayvars e Coloret da Prat
Item r. dal masar de chiase d-Udin sol. xl
Item r. dal masar di Bayvars ll. di sol. iiijor
Item r. da Iacum nevot di Toni Margarit for.to p. iiijor | e siale pesenaly iij
Item r. [da] Domeni filg di Zulian for.to pesenalg iiijor | e siale pesenalg iij
Item r. da Vitor di Coloret for.to star ij
c. 6r
R. in Montegnà 1487
Item r. da Zuan di Cormons a non di chelg [n] for.to star ÷
Item r. da Iacum Micurel for.to star ÷ | e fave star ÷
Item r. da Simon Sgoter for.to star ÷
Edizione di documenti in volgare friulano
117
Item r. da Barnaba for.to star ÷
Item r. da Barnaba per lu myec ch-el mis sorch in Areiane for.to p. j
Item r. da <fo> da Iacum Micurel sora fave p. ij sol. xiiijor
c. 6v
[n] Freyelà
Item r. da Lenart [..]mblac for.to star j ÷
Item r. da Puntyn for.to p. iiijor
Item r. da Zuan di Blas per fit per oyo ll. j sol. v
Item r. [da] Dumini Savie per for.to star ÷ ll. di sol. xxx
R. in Quelalto
Item r. del masar di Quelalt for.to p. ij
c. 7r
R. in Cortal e Vergnà e Val 1487
Item r. da Zuan filg chu fo Pieri mulinar for.to star j ÷
Item r. da Zuan Valent for.to star ÷
Item r. da Zuan mulinar vino conzo j ÷
Item r. da Culau Bedon for.to p. j
Item r. da Bas di Val dnr. vj
Item r. da Zuan di Pieri mulinar per fit sol. xl
R. in Reyane e Ribis
Item r. del Çuet Gryurut a non di Toni Lombart per lu fit del mulin for.to star j
Item r. da Lenart Blasut for.to star ÷
Item r. da Zuan Avost for.to star ÷
Item r. de moglý Sabadin for.to p. ij
Item r. dal mulinar a non di Toni Lombart for.to p. iiijor
c. 7v
R. d[e] ufiarte del fradis
Item r. de ufiarte ll. di sol. xliij s. vj
Item r. da Toni Minigin per la so ufiarte spadule di purcel j
Item r. dapò da fradis d-ufiarte ll. di sol. v
c. 8r
R. per byava e vino vendudo
Item r. per for.to star j de moglý Costandin ll. di sol. iiijor s. [n]
Item r. per for.to star j ll. di sol. iiijor ÷
Item r. da Marie del Fari per for.to star j ll. di sol. iiijor ÷
Item r. da Marye del Fari per for.to star j ll. di sol. iiijor s. viij
Item r. da Marye de Fari per for.to star j ll. di sol. iiijor s. viij
Item r. da Pieri Piz per for.to p. j ÷ sol. xxxij
Item r. per for.to star j ll. di sol. iiijor s. vij
Item r. d-u[n] chyargnel per for.to star j ll. di sol. iiijor s. vij
Item r. per fave <f> p. j sol. xij
Item r. da Iacomuz per fave p. ij sol. xxj
Item r. da Toni de Zuan Tunyat per fave pesenal j sol. x
Item r. da Zuan filg Tony Fari per fave pesenal j sol. x
Item r. da Cumy[n] per for.to pe[se]nalg xx ll. di sol. xiij s. vj | e per siale star
j ll. di sol. iij
Item r. dal predi per fave star ÷ sol. xxx
Item r. d-un sclaf per fave star j ll. di sol. iij
Federico Vicario
118
Item r. d-un chyargnel per fave p. j sol. x
Item r. da Bertul Rigilin per for.to p. j [sol.] xiiijor
Item r. de Zunete di Domeni Ianzil per for.to star j ll. di sol. iiijor s. vj
Item r. da Pieri Piz per for.to p. ij sol. xxviiijor
Item r. da Zuan di Vicence per for.to star ÷ sol. xliij
Item r. da Lenart de Temire per fave star j sol. lviij
Item r. da Marye del Fari per for.to star j ll. di sol. iiijor
c. 8v
bianca
c. 9r
R. de r[e]sty pasadi
Item r. da Bastyan sora la so devide for.to star ÷
Item r. da Lenart Valantin for.to star ÷
Item r. da Cristoful Furlan for.to p. j
Item r. da Lenart Valantin sora la so devide vino conzo j ÷ | e oyo ll. ij
Item r. da Francesch da Riu d-ereditat Toni armentar vino conzo ij selis ij
Item r. da Cristoful Furlan sora la so devide vino conzo j
Item r. da Dumini de Savie sora la so devide vino conzo j
Item r. da Bas di Val del an di Iacum Pauli dnr. vj
cc. 9v-10r bianca
c. 10v
Spesa per lu capelan comenza[nt de] sent Bertolemeu
Item spendey for.to star j
<Item spendey per vino conzo j for.to star j>
Item spendey al predi for.to star j
Item spendey al predi vino concy v salvo lu sagumo del vasel
Item abudo carri de legni ij
Item abudi sol. xl
Item carro de legni j
Item abudo for.to star ij
Item spendey al predi per uno caro de legny sol. xij
Item spendey al predi for.to star ij
Item spesi caro de legny al predi j
Item spendey al predi per doy chiars di lens sol. xxiiijor
Item spendey al predi for.to star j
Item spendey per vin conzo j comperat pel predi ll. di sol. iiijor
Item spendey a pre Stiefin capelan ll. di sol. viij s. iiijor
Item spendey adì xxv di marc al predi sol. xx
Item spendey ll. di sol. iij
Item spendey a pre Styefin for.to star j
Item spendey al predi sol. xl
Item spendey per uno car di lens sol. x
Item spendey al predi sol. xl
Item spendey al predi for.to star ij
Item spende[y] per lu i chiar j sol. <s> x
Item spendey al predi adì xxiiijor di may ll. di sol. iiijor
i
vergato le
Edizione di documenti in volgare friulano
c. 11r
Spesa fata per Culà del Fari per la fradaglye
Item spendey lu dì chu me fo data la reson in man adi culor chu aiudar in | la
reson in spese di bochye sol. vij
Item spendey per alà a Udin dos oris per lu fat del mulin sol. iiijor
Item spendey a Lenart de Rigiline per lavorà a salezà la chiase sol. xx
Item spendey per alà a Udin contra pre Blas iò Iacum Pauli sol. v
Item spendey per ma[n]dà quatri chiars per planele sol. x
Item spendey per fà gliu lac delg balcons e-lg clostris sol. x
Item spendey per clauc chy fur mituc inte chiase sol. xl
Item spendey sore lu cop chi tols Iacum Paulyi del furnisir di blate | for.to star j
Item spendey per aricevi masars un pan sol. iiijor
Item spendey per vj cevrys di chyalcine comperade di me camerar per |
arindile ala glesie di sent Pieri di Zuch chi Iacum Pauli tols adì | prest sol. j
Item spendey cevris di chyalcine x compera[de] di me Culau per salezà la |
chyase e per cuplidin bochiale ll. di sol. iiijor ÷
Item spendey per oyo ll. ij sol. viij
Item spendey per aricevi masars sol. ij
Item spendey lu dì chu lu predi vens acasù per spese di bochye sol. x
Item spendey al furnisir ii di Mulinis for.to star ij | e siale p. iiijor | e fave star ÷
Item spendey per alà a Udin per lu tof del mulin per spese sol. iij | e per fà
scrivi la sentencye sol. iiijor
Item spendey per aricevi masars sol. ij
Item spendey per fà impegnà lu masar di Bayvars al cavalar sol. iiijor
Item spendey al furnisir di Mulinis for.to star j
i
ii
c. 11v
119
vergato Iacupauly
vergato fulrnisir
Item spendey per aricevi masars e per fà vendemà l-ue sol. x
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey per spesa di bochye alg mestris chu salezar lu | solar de chiase
ll. di sol. vij s. vij
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey per oyo ll. j sol. v
<Item spendey per fà salezà la chiase per spese di bochie alg mestris | ll. di
sol. vij s. vij>
Item spendey per lu dì chi iò fes menà lu cop e per aricevi masars sol. viij
Item spendey lu dì chi iò foy a Udin per lu tof del mulin per fà scrivi la |
sentencye e per spese i di bochie sol. iij
Item spendey al furnisir di Mulinis per cop ce[n]tenar iij ÷ ll. di sol. v
Item spendey per fà cruvì la chiase per spese di bochie sol. xij
Item spendey a Pieri Piz per scrivi ll. di sol. iij
Item spendey per fà lu pan delg fradis for.to star vj ÷
Item spendey per lens chiars ij sol. xxij
Item spendey per spese di bochye per fà lu pan e per fradis lu dì che | fo fata lufiarte per chyarn sol. xiiijor
Item spendey al furnisir di Mulinis per supliment di tredis centenar | di
planele e per lavurir chi tols Iacum Pauli ll. di sol. x
Item spendey a ser Pro[s]docim per fit per un par di gyalinis sol. xlj | e
spadule j s. iiijor
Federico Vicario
120
Item spendey per tirà l-in[s]trument de lire de vueli del Brun d-Adorgnan |
sol. xx
Item spendey per fà conzà lis vitc per pan e chyarn sol. xx
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey per termenà cul Neri di Quas al avocat sol. xij
Item spendey a Pieri Tusulin per conzà doy vaselg sol. xij
i
c. 12r
vergato spesie
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey a mestri Cumin per rest del an di Iacum Pauli ll. [di sol.] viij
Item spendey a mestri Cumin del myò an per lavorà la chiase de | fradagle ll.
di sol. xij
Item spendey al grant Iori sclaf sore lis i tras de chyase ll. di sol. iiijor ÷
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey a Pieri Piz ii per avoca[t] contra pre Andreye sol. xxxv
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey a pre Pauly per lu fit dnr. xx
Item spendey per oyo ll. j sol. v
Item spendey per meti la cros in salf ad Auleye sol. ij
Item spendey per una borse sol. iij
Item spendey a Toni Lurinc per cruvì la chiase del predi sol. x
Item spendey a Costandi[n] sora la devide di Iacum Pa[u]li for.to star ÷
Item spendey per ceris ij sol. xx
Item spendey a Iori sclaf sora lis tras ll. di sol. iij
Item spendey per oyo ll. ij sol. x
i
ii
vergato sores
con segno di abbreviazione superfluo sotto la p
c. 12v
bianca
c. 13r
<1489> 1488 dì xxiiij di may
Fo fata la reson di Culà del Fari chyamerar de fradagle di senta | Marye e di
sent Fabyan e sent Sebastian di Tresesim per modo chi scontado | la ricetta
contra la spesa lu soradetto Culau resta debitor ala soradeta | fradagle ll. di
sol. xlvij. Lu soradet Culau disborsà in man di | Costandin chy[a]merar per lan prisint ll. di sol. liij prisint ser Niculau | Tor Iacum <Pal> Pauli Culau
Nadalye e Lenart di Lunch e altris | personis asay
GLI ARCHIVI DI STATO CIVILE FRA PASSATO E FUTURO.
UN EXCURSUS NORMATIVO 1
La necessità di documentare con certezza le posizioni soggettive ritenute
giuridicamente rilevanti è una esigenza che risale fin al diritto romano, alla cui
affermazione hanno contribuito nel tempo usi religiosi e civili. Il progressivo
affermarsi del concetto stesso di Stato moderno quale forma di organizzazione
della società civile ha determinato il riconoscimento giuridico della condizione
dell’individuo nei suoi rapporti sociali così come oggi la conosciamo. In considerazione della permanente attualità e centralità del tema, si vuole qui proporre
un excursus normativo 2 a partire dai Canoni del Concilio di Trento (1563) fino
al recente decreto (d.p.r. 396/2000) che, al momento della sua piena attuazione,
porterà ad una radicale modifica della tradizione.
Lo stato civile costituisce il complesso delle posizioni giuridiche che la
persona assume nella società, come cittadino, o all’interno della famiglia, come
coniuge o figlio (stati di cittadinanza, capacità e famiglia). Il possesso dello
status, che si definisce come situazione di fatto che qualifica la condizione
giuridica delle persone fisiche, esiste a prescindere dalla certificazione resa dal
servizio di stato civile. Questo ha oggi il compito di accertare lo status in modo
solenne e formale, attraverso appositi pubblici uffici che sono tenuti a raccogliere – nei modi e nelle forme prescritti dalla legge – documentazione degli eventi
che incidono sugli individui al fine di dare certezza della loro situazione nei
rapporti con i terzi. Tale compito è imprescindibile in una società organizzata in
uno Stato moderno e progredito, in cui l’ordinamento e l’amministrazione statale si fanno garanti della verifica e dell’aggiornamento degli stati dei propri
cittadini. A questo si è arrivati attraverso un percorso storico di lunga durata di
cui si danno i principali passaggi.
1
Si ringrazia vivamente il personale funzionario e di sala della Biblioteca del Senato della
Repubblica « Giovanni Spadolini » per la sollecita assistenza alla ricerca e per aver reso disponibile
la consultazione dei repertori Le leggi degli antichi Stati italiani. Catalogo della raccolta di fonti
posseduta dalla Biblioteca del Senato, a cura di W. MONTORSI, Roma, Tipografia del Senato, 1986,
e Catalogo del Fondo Marinuzzi di antico diritto siciliano, supplemento a « Bollettino Bibliografico », 1954, 3, Roma, Senato della Repubblica. Si ringraziano inoltre Patrizia Andreangeli e Claudio
Fortuna per la cortese collaborazione.
2
L’excursus che qui si propone non si addentra nell’esame dell’istituzione matrimoniale in
epoca romana e medievale; è incentrato sui registri di stato civile e non tiene conto delle disposizioni particolari su cittadinanza, nascita, matrimonio e morte.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
122
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
In ragione della loro peculiare natura, gli archivi di stato civile sono contemporaneamente il luogo di raccolta della documentazione che riassume le
posizioni giuridiche dei cittadini, la cui validità sopravvive alla durata stessa
della vita umana, e un bene culturale che permette la conoscenza delle storie
individuali e dell’evoluzione della società. Entrambi gli aspetti qualificano gli
archivi di stato civile come patrimonio destinato alla conservazione permanente.
Il d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 dispone, all’articolo 10, la registrazione e la
conservazione in un unico archivio informatico degli atti registrati nei comuni
riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni e la morte dei cittadini. Al
momento della piena attuazione di questa norma gli archivi di stato civile si
verranno a configurare come un banco di prova ideale per tentare di coniugare,
in via sperimentale, il tema dell’accesso ai documenti per fini sia giuridici sia di
ricerca storica 3, con quello della conservazione a lungo termine dei documenti
digitali 4.
I registri parrocchiali. – In Italia, già nei secoli XV e XVI alcune città avevano istituito libri pubblici per registrare le vicende fondamentali della vita
dei cittadini. La Chiesa cattolica faceva frequentemente uso di registri su cui
annotare informazioni anagrafiche per il territorio di competenza delle parrocchie, ai fini della riscossione delle entrate o per altri scopi pastorali.
Con il Concilio di Trento (1542-1563) fu dato un impulso fondamentale alla diffusione, alla uniformità ed alla continuità nel tempo di tale documentazione. In particolare, con l’emanazione dei decreti di riforma del sacro vincolo del
matrimonio, nella sessione XXIV dell’11 novembre 1563, fu imposta ai parroci
la tenuta di appositi registri dove annotare gli atti di nascita, battesimo, cresima,
matrimonio e morte dei propri parrocchiani. I quinque libri, conservati dal XVI
secolo presso le parrocchie o le curie vescovili, costituiscono oggi, insieme ai
registri di stato civile conservati presso gli archivi comunali, una inesauribile
fonte di informazioni per la ricerca storica e demografica.
Seguendo le orme del Concilio Laterano IV (1215), il Concilio di Trento
comandava che, alla vigilia del contrarre il matrimonio, per tre volte, in tre
giorni festivi consecutivi, il parroco dichiarasse pubblicamente in chiesa,
durante la messa, tra chi dovesse contrarsi il matrimonio. Diversamente dal
Concilio Lateranense, però, prescriveva:
3
Le condizioni dell’accesso agli archivi di stato civile, che per disposizione del codice civile
(art. 450) sono pubblici, e alle informazioni di carattere personale sono state recentemente definite
da tre compilazioni normative: il d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 attuativo della legge 15 maggio
1997, n. 127 c.d. « Bassanini-bis », « Regolamento per la revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12 della legge 15 maggio 1997, n. 127 »; il
d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, « Codice in materia di protezione dei dati personali »; il d.lgs. 22
gennaio 2004, n. 42 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio.
4
Si segnala in proposito il volume di recente pubblicazione M. TALAMO - M.G. PASTURA - A.
PORZIO, Conservazione a lungo termine e certificazione. Lo stato civile in ambiente digitale, Roma,
Gangemi, 2009.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
123
Il parroco abbia un registro, in cui scriva accuratamente i nomi dei coniugi e dei testimoni, il giorno e il luogo in cui fu contratto il matrimonio, e lo conservi diligentemente presso di sé 5.
Il Capitolo II della medesima sessione, stabiliva inoltre:
Il parroco, prima di recarsi a conferire il battesimo, si informi diligentemente da
quelli cui spetta, quale o quali persone essi hanno scelto per ricevere il battezzato dal
sacro fonte, ed ammetta a tale ufficio soltanto quella o quelle; trascriva i loro nomi nel
registro, e li informi della parentela che hanno contratto, perché non possano essere
scusati da alcuna ignoranza 6.
Con l’emanazione del Rituale romano, nel 1614, si impose anche l’uso dei libri dei morti, delle cresime e degli stati delle anime. Si passò ad una registrazione
articolata e ricca di maggiori indicazioni stabilendo formule precise per la stesura
degli atti. I vescovi vigilavano affinché i parroci si attenessero alle disposizioni
impartite e, in occasione delle visite pastorali, apportavano, in calce ai libri, annotazioni con cui dichiaravano la conformità o meno alle formule prescritte. Per
lungo tempo, quindi, la funzione probatoria e di documentazione di fatti giuridici
rilevanti, quali la nascita, il matrimonio, la morte, venne svolta dall’istituzione
religiosa, non essendosi ancora affermato il concetto di Stato in senso moderno.
La legislazione di stato civile in Francia. – In Francia, nei secoli XVII e
XVIII vi furono vivaci proteste da parte dei non cattolici che non vedevano
riconosciuto il loro status, in quanto non certificato nei registri tenuti dalla Chiesa
cattolica. Fu questo uno dei motivi, insieme al profondo mutamento che si stava
verificando relativamente alla concezione giuridica dello Stato, e all’affermarsi
della libertà di culto, che rese necessaria l’istituzione di pubblici ufficiali cui
affidare la tenuta e la conservazione dei pubblici registri. Infatti, dopo la Rivoluzione francese, l’Assemblea costituente inserì nella Costituzione del 1791 un
articolo in cui si specificava che la compilazione degli atti di stato civile e la
tenuta dei registri erano esclusivamente di competenza delle autorità comunali.
Con questo articolo si affermava il principio che tutto ciò che attiene all’ordine
civile è di competenza dello Stato. Tale principio fu recepito nel Codice civile
napoleonico promulgato il 21 marzo 1804, dove la materia di stato civile, raccolta
nel Titolo II che si pubblica integralmente in appendice al presente articolo, aveva
una collocazione sistematica che privilegiava l’aspetto probatorio.
Nel primo capitolo, dedicato alle disposizioni generali, il Codice prescriveva che gli atti di stato civile dovessero essere inscritti, presso ogni comune, su
uno o più registri in duplice copia (art. 40):
Concilio di Trento, Sessione XXIV (11 novembre 1563), Canoni sulla riforma del matrimonio, Capitolo I. La citazione è tratta dal documento in lingua italiana disponibile on line all’indirizzo
http://www.totustuus.biz/users/concili/trentoe.htm
6
Ibidem.
5
124
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
Les actes de l’état civil seront inscrits, dans chaque commune, sur un ou plusieurs
registres tenus doubles.
Questi registri dovevano essere chiusi dall’ufficiale di stato civile alla fine
di ciascun anno e, entro un mese, delle due copie, l’una doveva essere depositata presso gli archivi comunali, l’altra presso la cancelleria del tribunale di prima
istanza (art. 43):
Les registres seront clos et arrêtés par l’officier de l’état civil, à la fin de chaque
année; et dans le mois, l’un des doubles sera déposé aux archives de la commune, l’autre
au greffe du tribunal de première instance.
Il Codice napoleonico venne introdotto negli Stati italiani preunitari durante le dominazione francese.
A Roma, negli anni in cui la capitale dello Stato Pontificio fu annessa al
Regno napoleonico, il Prefetto del Dipartimento del Tevere emanò una istruzione per:
Far conoscere le disposizioni delle Leggi, che regolano le funzioni, i doveri, e gli
obblighi dei Maires nella celebrazione e redazione degli Atti dello Stato Civile, e nella
tenuta de’ registri, destinati a contenere e racchiudere questi Atti 7.
Questa Istruzione recepiva integralmente le disposizioni del Codice napoleonico, riportando per ciascun articolo il riferimento al corrispondente del
Codice francese.
Gli Stati italiani preunitari: il Regno delle Due Sicilie. – Nel Regno delle
Due Sicilie, il decreto di Gioacchino Napoleone 8 stabiliva che, nei comuni del
Regno, il sindaco, ed in caso di assenza o di altro legittimo impedimento, quello
degli eletti che non era responsabile della polizia, fosse incaricato « dei registri
degli atti di nascite, di adozioni, di matrimonj, e di morti ». Il decreto era suddiviso in tre titoli: « Degli ufiziali incaricati dei registri degli atti dello stato civile,
e de’ loro doveri »; « Forme dei registri, loro depositi, e loro estratti »; « Delle
tavole annuali, e decennali ». In particolare, l’art. 12 del Titolo II prevedeva,
presso ogni comune, « tre differenti registri in carta bollata, il primo delle
nascite, e delle adozioni; il secondo dei matrimonj; il terzo delle morti » e che
ciascuno di tali registri fosse doppio: uno conservato nell’archivio del comune,
l’altro trasmesso alla fine di ogni anno al tribunale della provincia. I mandati di
procura e le altre carte relative agli atti contenuti nei tre suddetti registri dovevano essere riunite in modo da formare un volume a parte, con fogli numerati,
trasmesso anch’esso a fine anno nell’archivio del tribunale della provincia.
7
Istruzione data dal Prefetto del Dipartimento del Tevere ai signori Maires del Dipartimento,
Roma 29 dicembre 1809.
8
Decreto 29 ottobre 1808, n. 198: « Per lo stabilimento degli ufiziali incaricati del registro
degli atti civili, secondo il disposto nel titolo II del libro I del codice di Napoleone ».
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
125
Con la Restaurazione, mentre in altri Stati si tornò alla situazione precedente il periodo francese, quando i registri venivano tenuti dai parroci secondo le disposizioni del Concilio di Trento, il governo borbonico confermò
sostanzialmente il modello amministrativo franco-napoleonico. Il re Ferdinando I con la legge organica sull’amministrazione civile del 12 dicembre 1816,
n. 570, individuò la struttura amministrativa del Regno e fissò compiti ed
attribuzioni dei vari organi, non discostandosi molto dalle disposizioni già
emanate nel 1806 da Giuseppe Bonaparte. Nell’art. 56 del Titolo III, dedicato
alla composizione dell’amministrazione comunale e alle attribuzioni dei funzionari, veniva riconfermato che « il Sindaco è la prima autorità del comune (e)
uffiziale dello stato civile del comune » medesimo.
Con il « Decreto concernente l’esercizio delle funzioni di ufiziale dello stato civile » del 14 settembre 1819, n. 1719, il re Ferdinando I riconfermava l’attribuzione di tali funzioni ai sindaci « sotto la immediata e diretta vigilanza de’
regj procuratori de’ tribunali civili » (art. 4) nonché l’obbligo, per i sindaci, di
« corrispondere co’ medesimi per tutto ciò che ha rapporto ad un tale oggetto ».
Nel codice civile del Regno delle Due Sicilie, promulgato da re Ferdinando
I il 26 marzo 1819, si danno particolari norme per la celebrazione e conseguente
validità del matrimonio. Il capitolo III, dedicato agli atti di matrimonio, recitava
che gli sposi, eseguite le pubblicazioni, dovessero comparire davanti all’ufficiale di stato civile che leggeva loro le norme del codice alla presenza di quattro
testimoni (art. 77):
Nel giorno indicato dalle parti, che non potrà esser fissato prima del quarto giorno
dopo il termine delle notificazioni, l’ufiziale dello stato civile nella casa del comune, ed
in presenza di quattro testimonj, sieno o no parenti, farà lettura alle parti de’ documenti
soprammentovati relativi al loro stato, egualmente che del capitolo VI del titolo del
matrimonio intorno a’ diritti ed obblighi rispettivi degli sposi. Riceverà da ciascuna delle
parti, una dopo l’altra, la dichiarazione che elleno solennemente promettono di celebrare
il matrimonio avanti la Chiesa, secondo le forme prescritte dal sacro Concilio di Trento;
e ne stenderà immediatamente l’atto.
Gli sposi dovevano quindi pronunciare solenne promessa di celebrare matrimonio davanti alla Chiesa, promessa che veniva trascritta in un atto di stato
civile da esibire al parroco. Questi, celebrato il matrimonio, ne formava duplice
atto e ne trasmetteva uno all’ufficiale di stato civile per le necessarie annotazioni. Solo a questo punto il matrimonio si riteneva per legge solennemente celebrato (art. 80):
Il parroco in seguito della esibizione della copia dell’atto anzidetto, ed adempiute le
canoniche prescrizioni, procederà alla celebrazione del matrimonio. Delle due spedizioni
ne riterrà una per se; e farà fede in piede dell’altra della seguita celebrazione del matrimonio, indicando il giorno, il mese e l’anno, ed i nomi de’ testimonj. Rinvierà all’uffiziale dello stato civile questa spedizione, e ne domanderà riscontro. L’uffiziale dello
stato civile ne farà subito notamento nel suo registro in margine dell’atto: e quindi il
matrimonio sarà tenuto per legge solennemente celebrato.
126
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
Il parroco doveva rifiutarsi di celebrare il matrimonio senza l’esibizione
della copia dell’atto della solenne promessa fatta innanzi all’ufficiale di stato
civile, avvertendo i futuri coniugi che senza questa promessa il matrimonio non
avrebbe prodotto alcun effetto civile (art. 81).
Gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla. – Il codice civile del Ducato di
Parma, promulgato dalla duchessa Maria Luigia il 23 marzo 1820, istituiva i
registri di cittadinanza, nascita, matrimonio, morte, tenuti dall’ufficiale di stato
civile. « La prova della cittadinanza, del matrimonio, della nascita, della morte,
e delle tutele si trae da’ pubblici registri », recitava la Parte quarta: « Delle prove
dello stato delle persone » (art. 279) e prevedeva per il matrimonio la trascrizione della fede che attestava la celebrazione religiosa svoltasi davanti al curato.
Entro otto giorni da quello del matrimonio lo sposo presenta al pubblico ufficiale la
fede, colla quale il parroco attesta la celebrazione del matrimonio, indicandone il giorno,
mese ed anno, ed i testimonj che vi furono presenti.
L’ufficial pubblico trascrive per esteso sui registri del matrimonio la detta fede, e
ne conserva l’originale cogli altri documenti, che alla fine dell’anno devono depositarsi
negli archivj 9.
Il Regno di Sardegna. – Nel Regno di Sardegna l’autorità laica recupera
una parziale competenza in questa materia dal 1° gennaio 1838, in esecuzione
del Regolamento per la tenuta dei registri destinati ad accertare lo stato civile,
pubblicato da Carlo Alberto con regie patenti del 20 giugno 1837. Pur delegando al potere ecclesiastico le funzioni di accertare i mutamenti nello stato civile
dei cittadini, l’autorità laica mantiene infatti la facoltà di controllo e il diritto di
conservazione degli atti. In osservanza del sistema del doppio originale, i
parroci e gli altri ministri dei culti tollerati formano annualmente i registri dei
battesimi, dei matrimoni e delle morti in duplice esemplare: uno è conservato
dalla parrocchia o comunità acattolica, l’altro è trasmesso all’autorità civile,
mentre una copia è inviata per la conservazione negli archivi diocesani.
In fine di ogni anno i registri come sopra formati saranno chiusi e sottoscritti dal
paroco (sic) rispettivo: dentro il mese il paroco trasmetterà uno dei due registri originali,
ed insieme una copia di essi all’Ordinario diocesano, il quale, conservata la copia nella
sua cancelleria, invierà entro il mese successivo l’originale al Prefetto della provincia. Il
paroco dovrà nella copia attestare di averla collazionata, e di essere conforme all’originale 10.
A seguito delle annessioni, il sistema, correntemente definito « carloalbertino », fu progressivamente esteso ad altri Stati della penisola e restò in vigore
fino a tutto il 1865. Dopo tale anno i registri compilati a partire dal 1838 verran9
Titolo I: « Dei requisiti comuni ai registri di cittadinanza, di matrimonio, di nascita, e di
morte », Capo II: « Della forma particolare dei registri di matrimonio », artt. 308 e 309.
10
Art. 7.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
127
no conservati presso gli archivi dei comuni quali precedenti dei nuovi registri
dello stato civile italiano che iniziano ad essere formati dal 1° gennaio 1866.
Le Province dell’Umbria. – Nelle Province dell’Umbria, con decreto 31 ottobre 1860, n. 111, serie 92, emanato dal marchese Gioacchino Napoleone
Pepoli, regio commissario generale straordinario, si istituiva in ogni comune un
ufficio di stato civile. Il decreto « ordina promulgarsi, per avere effetto nelle
Province dell’Umbria col primo dicembre prossimo (1860) i Titoli V, VI, XIII del
Progetto di Revisione del Codice Civile Albertino, relativi i primi due al regolamento civile del Matrimonio, e il terzo all’adempimento e conservazione degli
Atti di Stato Civile » (art. 1). Il decreto, che anticipava quindi l’entrata in vigore
nel territorio regionale delle disposizioni in questione, stabiliva tra l’altro che:
In ogni Comune dell’Umbria le (...) Commissioni di Statistica, in unione col capo
del Municipio, dovranno immediatamente occuparsi d’istituire un Ufficio di Stato Civile,
ove cominceranno a registrarsi gli atti a datare dal primo del prossimo Decembre secondo le norme stabilite nei titoli predetti 11.
Il Regio Commissariato avrebbe inviato a ciascun comune « le module per
i Registri degli atti suddetti e le istruzioni per la formazione degli Ufficj » (art. 3).
I Parrochi e Direttori di pubblici istituti, e tutti coloro i quali finora hanno tenuti i
registri di Stato Civile [venivano obbligati] entro otto giorni da quello della pubblicazione del presente Decreto a depositare negli archivj dei respettivi Municipj da cui dipendono, tutti i registri e carte relative agli atti suddetti, compresi i registri di Stati d’anime da
essi annualmente compilati 12.
La richiesta provocò proteste da parte degli organi ecclesiastici ma, nonostante il rifiuto iniziale, i libri parrocchiali confluirono gradualmente nei comuni, nei cui archivi sono ancora in gran parte conservati.
Il Regno lombardo-veneto. – Anche nella zona dominata dall’Austria la
compilazione dei registri di stato civile era affidata ai ministri del culto delle
diverse confessioni.
Mentre altre leggi emanate da Napoleone cambiarono completamente l’organizzazione amministrativa dello Stato e costituirono l’ossatura della successiva normativa anche durante la Restaurazione, per quanto riguarda lo stato civile,
il Codice civile napoleonico esteso a questi territori il 6 gennaio 1806 non riuscì
ad operare il sostanziale cambiamento voluto dal legislatore, per il rifiuto in tal
senso da parte della popolazione, rispettosa di una tradizione ormai troppo
radicata.
11
Art. 2.
12
Art. 4.
128
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
Dopo la Restaurazione il regime austriaco con patente sovrana del 20 aprile 1815 soppresse i servizi municipali di matrimonio e ne restituì la competenza
ai parroci a partire dal primo gennaio successivo; con notificazione governativa
del 19 gennaio seguente anche la registrazione di nascite e morti fu affidata ai
parroci. Per questa ragione in molti archivi parrocchiali sono presenti sia i
« registri canonici » (battesimo, matrimonio, morte) sia quelli « civili » (nascita,
matrimonio, morte), che testimoniano le funzioni rispettivamente ecclesiastica e
di ufficiale dello Stato del parroco. Solo con il r.d. 15 novembre 1865, n. 2602,
entrato in vigore in territorio friulano dopo l’annessione del Lombardo Veneto
all’Italia avvenuta a seguito del plebiscito del 21 ottobre 1866, la competenza
dello stato civile passò ai Comuni. Ma nei comuni friulani la tenuta dei registri
prende avvio solo con la legge 20 giugno 1871, che regolamentava il secondo
censimento generale della popolazione, ed in cui si ribadiva (articoli 7 ed 8)
l’obbligatorietà della compilazione dei registri di stato civile.
Nelle province di Gorizia e Trieste, rimaste a lungo sotto il regime asburgico, la registrazione continuò ad essere compito dei parroci. L’obbligo di istituire l’anagrafe e di compilare i registri di stato civile venne esteso ai comuni di
questi territori dopo l’annessione al Regno d’Italia e anche in questo caso la
serie dei registri ha inizio con la data del primo censimento, l’anno 1921.
La legislazione di stato civile in epoca postunitaria. – Con il r.d. 15 novembre 1865, n. 2602 veniva istituito l’ordinamento dello stato civile nel Regno
d’Italia, attribuendo al sindaco la qualifica di ufficiale dello stato civile (art. 1):
Il sindaco, o chi ne fa le veci, è l’ufficiale dello stato civile. Egli può delegare le
funzioni stesse ad un assessore o ad un consigliere comunale. Per gli atti di nascita o di
morte può anche delegare il segretario comunale. La delegazione deve essere approvata
dal procuratore del Re.
In qualità di ufficiale del governo, posto in posizione di dipendenza gerarchica nei confronti del Ministero di grazia e giustizia e sotto la diretta vigilanza
del procuratore del re (art. 13), il sindaco – o un suo delegato – era preposto alla
ricezione degli atti dello stato civile, alla tenuta e alla conservazione dei relativi
registri (cittadinanza, nascita, matrimonio, morte), al rilascio di copie e certificati (art. 6):
L’ufficiale dello stato civile è incaricato: 1.° Di ricevere tutti gli atti concernenti lo
stato civile; 2.° Di custodire e conservare i registri e qualunque atto che vi si riferisca; 3.°
Di rilasciare gli estratti e i certificati negativi che concernono lo stato civile, e copia degli
atti esistenti nel proprio ufficio e dei loro allegati quando provengono da estero Stato.
I registri venivano preventivamente vidimati dal presidente del tribunale e
compilati in duplice originale, uno dei quali da trasmettersi alla cancelleria dello
stesso. La pretura effettuava verifiche periodiche della regolarità e legittimità
della loro tenuta (art. 126):
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
129
I pretori, nei primi quindici giorni di ciascun mese di gennaio, maggio e settembre,
procedono alla ispezione degli uffizi dello stato civile compresi nella propria giurisdizione per verificare: 1.° Se i registri sono tenuti con regolarità e precisione; 2.° Se
sono stati prodotti tutti i documenti richiesti dalla legge, se questi sono regolari e conformi alle leggi sul bollo e registro, e se sono inseriti nel volume degli allegati; 3.° Se gli
atti sono stati inscritti in ambedue i registri originali; 4.° E generalmente se sono state
osservate le norme stabilite dalle leggi e dai regolamenti.
Le trascrizioni degli atti venivano effettuate in modo diretto oppure redigendo processo verbale relativo all’inserimento dei documenti probatori nei
quattro volumi degli allegati ai registri; tali allegati venivano anch’essi trasmessi insieme al secondo originale alla cancelleria del tribunale.
Il codice civile del 1865, disciplinando gli aspetti relativi all’accertamento
e alla prova dello stato civile, aveva collocato la materia nel libro delle persone,
prevedendo numerose disposizioni. Il codice civile del 1942, ancora in vigore,
dedica allo stato civile soltanto pochi articoli (artt. 449-455), perlopiù relativi al
regime probatorio, rinviando per gli altri profili al r.d. 9 luglio 1939, n. 1238. In
seguito alla riforma introdotta da quest’ultimo 13, gli uffici dello stato civile si
configurano come organi amministrativi istituiti in ogni comune, preposti alla
formazione ed alla ricezione degli atti relativi allo stato civile, nonché alla
tenuta, alla custodia ed alla conservazione degli appositi registri, ed al rilascio
dei certificati in base ad essi. Il titolare dell’ufficio è il sindaco, che nella sua
qualità di ufficiale del governo agisce quale organo statale. L’ordinamento gli
attribuisce la funzione di ricevere e annotare gli atti che documentano lo stato
della persona, nonché tutti gli atti giuridici, sia pubblici che privati (sentenze,
decreti, testamenti, ecc.), che importino variazioni al nome, alla capacità o allo
stato delle persone fisiche.
L’annotazione effettuata dall’ufficiale è denominata iscrizione; la trascrizione è invece la registrazione degli atti compiuti da altra autorità, come nel
caso della trascrizione del matrimonio canonico nei registri dello stato civile.
Gli atti dello stato civile sono pubblici e fanno piena prova legale, fino a querela
di falso, di ciò che l’ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza. La veridicità di quanto è stato dichiarato alla sua presenza si presume invece fino a prova
contraria. È sempre ammesso l’accertamento giudiziale dei fatti, anche in contrasto con le attestazioni dei registri. Tali atti hanno efficacia dichiarativa in
quanto finalizzati a costituire certezze legali privilegiate ma non sono costitutivi
di fatti giuridici; una eccezione è rappresentata dall’efficacia costitutiva della
trascrizione del matrimonio canonico nei registri dello stato civile: tale registrazione ne condiziona l’efficacia nell’ordinamento italiano 14.
13
Oggi quasi interamente abrogato dal d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, attuativo della legge
15 maggio 1997, n. 127, c.d. « Bassanini-bis ».
14
Come stabilito dalle disposizioni di applicazione del Concordato Lateranense (11 febbraio
1929) e delle sue modificazioni del 18 febbraio 1984.
130
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
La riforma introdotta dal d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 ha semplificato
l’ordinamento dello stato civile, prevedendo lo snellimento delle procedure e
degli adempimenti a carico del cittadino. Ha inoltre disposto che (art. 10):
In ciascun ufficio dello stato civile sono registrati e conservati in un unico archivio
informatico tutti gli atti formati nel comune o comunque relativi a soggetti ivi residenti,
riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni e la morte.
Le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività in materia di stato
civile sono attualmente svolte dal Ministero dell’interno. Tra le novità introdotte
dal decreto, quella dell’istituzione presso il Ministero stesso di un Centro nazionale dei servizi demografici, dove verrà istituita una banca dati centralizzata,
affidata al Centro nazionale di raccolta dei supporti informatici contenente tutti i
dati registrati nei depositi digitali comunali. Tale banca dati si configurerà
anche come repository di sicurezza per la ricostituzione dei registri di stato
civile per i diversi comuni in caso di distruzione o perdita degli originali
cartacei.
Nonostante le indicazioni legislative prescrivano di giungere alla redazione
di registri esclusivamente su supporto digitale, anche per quelli destinati alla
conservazione permanente, il quadro legislativo e normativo esistente non
definisce ancora criteri, metodi o requisiti univoci per un sistema di conservazione dei documenti digitali. Inoltre, le numerose riflessioni teoriche che si sono
susseguite negli ultimi anni a livello sia nazionale sia internazionale 15, hanno
confermato una difficoltà oggettiva a garantire le condizioni per una conservazione – se non permanente almeno a lungo termine – dei documenti elettronici,
del loro carattere di autenticità e delle relazioni fra essi esistenti, pur attraverso
le frequenti migrazioni di formati e supporti rese necessarie dall’incalzante
processo di obsolescenza tecnologica.
Le questioni sopra accennate assumono un rilievo tanto più significativo
nel caso della documentazione sullo stato civile, che, come abbiamo visto,
testimonia dell’identità della persona e al contempo costituisce il fondamento
delle relazioni giuridiche e sociali tra i membri della popolazione di uno Stato
moderno.
MARIA EMANUELA MARINELLI
Soprintendenza archivistica per il Lazio
SONJA MOCERI
15
Fra i principali risultati conseguiti dalle prime due fasi di sperimentazione del progetto italo-canadese InterPARES (1998-2002), vi è l’impossibilità di conservare un documento elettronico
ma, piuttosto, la possibilità di mantenere la capacità di riprodurlo e, dunque, di (ri)produrne copie
autentiche. Cfr. in proposito L. DURANTI, Verso una teoria archivistica di conservazione digitale: i
risultati concettuali del progetto InterPARES, in « Archivi », gennaio-giugno 2006, I, 1, pp. 75-97.
Modulo della prima pagina e dell’indice decennale di un registro di stato civile
allegato al r.d. 15 novembre 1865, n. 2602.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
131
Modulo delle coperte per i fascicoli degli allegati e dell’indice annuale di un registro di stato civile
allegato al r.d. 15 novembre 1865, n. 2602
132
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
133
APPENDICE NORMATIVA
CODE CIVIL DES FRANÇAIS (1804)
TITRE II DES ACTES DE L’ÉTAT CIVIL
CHAPITRE I DISPOSITIONS GÉNÉRALES
34. Les actes de l’état civil énonceront l’année, le jour et l’heure où ils seront reçus,
les prénoms, noms, âge, profession et domicile de tous ceux qui y seront dénommés.
35. Les officiers de l’état ne pourront rien insérer dans les actes qu’ils recevront,
soit par note, soit par énonciation quelconque, que ce qui doit être déclaré par les comparans.
36. Dans les cas où les parties intéressées ne seront point obligées de comparaître
en personne, elles pourront se faire représenter par un fondé de procuration spéciale et
authentique.
37. Les témoins produits aux actes de l’état civil ne pourront être que du sexe masculin, âgés de vingt-un ans au moins, parens ou autres; et ils seront choisis par les
personnes intéressés.
38. L’officier de l’état civil donnera lecture des actes aux parties comparantes, au à
leurs fondés de procuration, et aux témoins.
Il y sera fait mention de l’accomplissement de cette formalité.
39. Ces actes seront signés par l’officier de l’état civil, par les comparans et les témoins; ou mention sera faite de la cause qui empêchera les comparans et les témoins de
signer.
40. Les actes de l’état civil seront inscrits, dans chaque commune, sur un ou plusieurs registres tenus doubles.
41. Les registres seront cotés par première et dernière, et paraphés sur chaque
feuille, par le président du tribunal de première instance, ou par le juge qui le remplacera.
42. Les actes seront inscrits sur les registres, de suite, sans aucun blanc. Les ratures
et les renvois seront approuvés et signés de la même manière que le corps de l’acte. Il
n’y sera rien écrit par abréviation, et aucune date ne sera mise en chiffres.
43. Les registres seront clos et arrêtés par l’officier de l’état civil, à la fin de chaque
année; et dans le mois, l’un des doubles sera déposé aux archives de la commune, l’autre
au greffe du tribunal de première instance.
44. Les procurations et les autres pièces qui doivent demeurer annexées aux actes
de l’état civil, seront déposées, après qu’elles auront été paraphées par la personne qui
les aura produites, et par l’officier de l’état civil, au greffe du tribunal, avec le double des
registres dont le dépôt doit avoir lieu audit greffe.
45. Toute personne pourra se faire délivrer par les dépositaires des registres d’état
civil, des extraits de ces registres. Les extraits délivrés conformes aux registres, et
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légalisés par le président du tribunal de première instance, ou par le juge qui le remplacera, feront foi jusqu’a inscription de faux.
46. Lorsqu’il n’aura pas existé de registres, ou qu’ils seront perdus, la preuve en sera reçue tant par titres que par témoins; et dans ces cas, les mariages, naissances et décès,
pourront être prouvés tant par les registres et papiers émanés des pères et mères décédés,
que par témoins.
47. Tout acte de l’état civil des Français et des étrangers, fait en pays étranger, fera
foi, s’il a été rédigé dans les formes usitées dans ledit pays.
48. Tout acte de l’état civil des Français en pays étranger sera valable, s’il a été reçu, conformément aux lois françaises, par les agens diplomatiques, ou par les commissaires des relation commerciales de la République.
49. Dans tous le cas où la mention d’un acte relatif à l’état civil devra avoir lieu en
marge d’un autre acte déjà inscrit, elle sera faite à la requête des parties intéressées, par
l’officier de l’état civil, sur les registres courans ou sur ceux qui auront été déposés aux
archives de la commune, et par le greffier du tribunal de première instance, sur les
registres déposés au greffe; à l’effet de quoi l’officier de l’état civil en donnera avis dans
les trois jours au commissaire du Gouvernement près ledit tribunal, qui veillera à ce que
la mention soit faite d’une manière uniforme sur le deux registres.
50. Toute contravention aux articles précédens de la part des fonctionnaires y dénommés, sera poursuivie devant le tribunal de première instance, et punie d’une amende
qui ne pourra excéder cent francs.
51. Tout dépositaire des registres sera civilement responsable des altérations qui y
surviendront, sauf son recours, s’il y a lieu, contre les auteurs desdites altérations.
52. Toute altération, tout faux dans les actes de l’état civil, toute inscription de ces
actes faite sur une feuille volante et autrement que sur les registres à ce destinés, donneront lieu aux dommages-intérêts des parties, sans préjudice des peines portées au Code
pénal.
53. Le commissaire du Gouvernement près le tribunal de première instance sera tenu de vérifier l’état des registres lors du dépôt qui en sera fait au greffe; il dressera un
procès-verbal sommaire de la vérification, dénoncera les contraventions ou délits commis par les officiers de l’état civil, et requerra contre eux la condamnation aux amendes.
54. Dans tous les cas où un tribunal de première instance connaîtra des actes relatifs
à l’état civil, les parties intéressées pourront se pourvoir contre le jugement.
CHAPITRE II DES ACTES DE NAISSANCE
55. Les déclarations de naissance seront faites, dans les trois jours de l’accouchement, à l’officier de l’état civil du lieu: l’enfant lui sera présenté.
56. La naissance de l’enfant sera déclarée par le père, ou à défaut du père, par les
docteurs en médecine ou en chirurgie, sages-femmes, officiers de santé ou autres personnes qui auront assisté à l’accouchement; et lorsque la mère sera accouchée hors de son
domicile, par la personne chez qui elle sera accouchée. L’acte de naissance sera rédigé
de suite, en présence de deux témoins.
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57. L’acte de naissance énoncera le jour, l’heure et le lieu de la naissance, le sexe
de l’enfant, et les prénoms qui lui seront donnés, les prénoms, noms, profession et
domicile des père et mère, et ceux des témoins.
58. Toute personne qui aura trouvé un enfant nouveau-né sera tenue de la remettre
à l’officier de l’état civil, ainsi que les vêtemens et autres effets trouvés avec l’enfant, et
de déclarer toutes les circonstances du temps et du lieu où il aura été trouvé.
Il en sera dressé un procès-verbal détaillé, qui énoncera en outre l’âge apparent de
l’enfant, son sexe, les noms qui lui seront donnés, l’autorité civile à laquelle il sera
remis. Ce procès-verbal sera inscrit sur les registres.
59. S’il naît un enfant pendant un voyage de mer, l’acte de naissance sera dressé
dans les vingt-quatre heures en présence du père, s’il est présent, et de deux témoins pris
parmi les officiers du bâtiment, ou, à leur défaut, parmi les hommes de l’équipage. Cet
acte sera rédigé, savoir, sur les bâtiments de l’État, par l’officier d’administration de la
marine; et sur les bâtiments appartenant à un armateur ou négociant, par le capitaine,
maître ou patron du navire. L’acte de naissance sera inscrit à la suite du rôle d’équipage.
60. Au premier port où le bâtiment abordera, soit de relâche, soit pour toute autre
cause que celle de son désarmement, les officiers de l’administration de la marine,
capitaine, maître ou patron, seront tenus de déposer deux expéditions authentiques des
actes de naissance qu’ils auront rédigés, savoir, dans un port français, au bureau du préposé à l’inscription maritime; et dans un port étranger, entre les mains du commissaire
des relations commerciales.
L’une de ces expéditions restera déposée au bureau de l’inscription maritime, ou à
la chancellerie du commissariat; l’autre sera envoyée au Ministre de la marine, qui fera
parvenir une copie, de lui certifiée, de chacun desdits actes, à l’officier de l’état civil du
domicile du père de l’enfant, ou de la mère, si le père est inconnu: cette copie sera
inscrite de suite sur le registres.
61. A l’arrivée du bâtiment dans le port du désarmement, le rôle d’équipage sera
déposé au bureau du préposé à l’inscription maritime, qui enverra une expédition de
l’acte de naissance, de lui signée, à l’officier de l’état civil du domicile du père de
l’enfant, ou de la mère, si le père est inconnu: cette expédition sera inscrite de suite sur
les registres.
62. L’acte de reconnaissance d’un enfant sera inscrit sur les registres, à sa date; et il
en sera fait mention en marge de l’acte de naissance, s’il en existe un.
CHAPITRE III DES ACTES DE MARIAGE
63. Avant la célébration du mariage, l’officier de l’état civil fera deux publications,
à huit jours d’intervalle, un jour de dimanche, devant la porte de la maison commune.
Ces publications, et l’acte qui en sera dressé, énonceront les prénoms, noms, professions
et domiciles des futurs époux, leur qualité de majeurs ou de mineurs, et les prénoms,
noms, professions et domiciles de leurs pères et mères. Cet acte énoncera, en outre, les
jours, lieux et heures où les publications auront été faites: il sera inscrit sur un seul
registre, qui sera coté et paraphé comme il est dit en l’article 41, et déposé, à la fin de
chaque année, au greffe du tribunal de l’arrondissement.
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64. Un extrait de l’acte de publication sera et restera affiché à la porte de la maison
commune, pendant les huit jours d’intervalle de l’une à l’autre publication. Le mariage
ne pourra être célébré avant le troisième jour, depuis et non compris celui de la seconde
publication.
65. Si le mariage n’a pas été célébré dans l’année, à compter de l’expiration du délai des publications, il ne pourra plus être célébré qu’après que de nouvelles publications
auront été faites dans la forme ci-dessus prescrite.
66. Les actes d’opposition au mariage seront signés sur l’original et sur la copie par
les opposans ou par leurs fondés de procuration spéciale et authentique; ils seront
signifiés, avec la copie de la procuration, à la personne ou au domicile des parties, et à
l’officier de l’état civil, qui mettra son visa sur l’original.
67. L’officier de l’état civil fera, sans délai, une mention sommaire des oppositions
sur le registre des publications; il fera aussi mention, en marge de l’inscription desdites
oppositions, des jugemens ou des actes de main-levée dont expédition lui aura été remise.
68. En cas d’opposition, l’officier de l’état civil ne pourra célébrer le mariage,
avant qu’on lui en ait remis la main-levée, sous peine de trois cents francs d’amende, et
de tous dommages-intérêts.
69. S’il n’y a point d’opposition, il en sera fait mention dans l’acte de mariage; et si
les publications ont été faites dans plusieurs communes, les parties remettront un certificat délivré par l’officier de l’état civil de chaque commune, constatant qu’il n’existe
point d’opposition.
70. L’officier de l’état civil se fera remettre l’acte de naissance de chacun des futurs
époux. Celui des époux qui serait dans l’impossibilité de se le procurer, pourra le
suppléer en rapportant un acte de notoriété délivré par le juge de paix du lieu de sa
naissance, ou par celui de son domicile.
71. L’acte de notoriété contiendra la déclaration faite par sept témoins de l’un ou de
l’autre sexe, parens ou non parens, des prénoms, nom, profession et domicile du futur
époux, et de ceux de ses père et mère, s’ils sont connus; le lieu, et, autant que possible,
l’époque de sa naissance, et les causes qui empêchent d’en rapporter l’acte. Les témoins
signeront l’acte de notoriété avec le juge de paix; et s’il en est qui ne puissent ou ne
sachent signer, il en sera fait mention.
72. L’acte de notoriété sera présenté au tribunal de première instance du lieu où
doit se célébrer le mariage. Le tribunal, après avoir entendu le commissaire du Gouvernement, donnera ou refusera son homologation, selon qu’il trouvera suffisantes ou
insuffisantes les déclaration des témoins, et les causes qui empêchent de rapporter l’acte
de naissance.
73. L’acte authentique du consentement des pères et mères ou aïeuls et aïeules, ou,
à leur défaut, celui de la famille, contiendra les prénoms, noms, professions et domiciles
du futur époux, et de tous ceux qui auront concouru à l’acte, ainsi que leur degré de
parenté.
74. Le mariage sera célébré dans la commune où l’un des deux époux aura son domicile. Ce domicile, quant au mariage, s’établira par six mois d’habitation continue dans
la même commune.
75. Le jour désigné par les parties après les délais des publications, l’officier de
l’état civil, dans la maison commune, en présence de quatre témoins parens ou non
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parens, fera lecture aux parties, des pièces ci-dessus mentionnées, relatives à leur état et
aux formalités du mariage, et du chapitre VI du titre du Mariage, sur les Droits et les
Devoirs respectifs des époux. Il recevra de chaque partie, l’une après l’autre, la déclaration qu’elles veulent pour mari et femme; il prononcera, au nom de la loi, qu’elles sont
unies par le mariage, et il en dressera acte sur-le-champ.
76. On énoncera dans l’acte de mariage,
1.° Les prénoms, noms, professions, âge, lieux de naissance et domiciles des
époux;
2.° S’ils sont majeurs ou mineurs;
3.° Les prénoms, noms, professions et domiciles des pères et mères;
4.° Le consentement des pères et mères, aïeuls et aïeules, et celui de la famille,
dans les cas où ils sont requis;
5.° Les actes respectueux, s’il en a été fait;
6.° Les publications dans les divers domiciles;
7.° Les oppositions, s’il y en a eu; leur main-levée, ou la mention qu’il n’y a
point eu d’opposition;
8.° La déclaration des contractans de se prendre pour époux, et le prononcé de
leur union par l’officier public;
9.° Les prénoms, noms, âge, professions et domiciles des témoins, et leur déclaration s’ils sont parens ou alliés des parties, de quel côté et à quel degré.
CHAPITRE IV DES ACTES DE DÉCÈS
77. Aucune inhumation ne sera faite sans une autorisation, sur papier libre et sans
frais, de l’officier de l’état civil, qui ne pourra la délivrer qu’après s’être transporté
auprès de la personne décédée, pour s’assurer du décès, et que vingt-quatre heures après
le décès, hors les cas prévus par les réglemens de police.
78. L’acte de décès sera dressé par l’officier de l’état civil, sur la déclaration de
deux témoins. Ces témoins seront, s’il est possible, les deux plus proches parens ou
voisins, ou, lorsqu’une personne sera décédée hors de son domicile, la personne chez
laquelle elle sera décédée, et un parent ou autre.
79. L’acte de décès contiendra de plus, autant qu’on pourra le savoir, les prénoms,
noms, profession et domicile des père et mère du décédé, et le lieu de sa naissance.
80. En cas de décès dans les hôpitaux militaires, civils ou autres maisons publiques,
les supérieurs, directeurs, administrateurs et maîtres de ces maisons, seront tenus d’en
donner avis, dans le vingt-quatre heures, à l’officier de l’état civil, qui s’y transportera
pour s’assurer du décès, et en dressera l’acte, conformément à l’article précédent, sur les
déclarations qui lui auront été faites, et sur les reinsegnemens qu’il aura pris.
Il sera tenu en outre, dans lesdits hôpitaux et maisons, des registres destinés à inscrire ces déclarations et ces reinsegnemens.
L’officier de l’état civil enverra l’acte de décès à celui du dernier domicile de la
personne décédée, qui l’inscrira sur les registres.
81. Lorsqu’il y aura des signes ou indices de mort violente, ou d’autres circonstances qui donneront lieu de le soupçonner, on ne pourra faire l’inhumation qu’après qu’un
officier de police, assisté d’un docteur en médicine ou en chirurgie, aura dressé procèsverbal de l’état du cadavre, et des circonstances y relatives, ainsi que des reinsegnemens
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qu’il aura pu recueillir sur les prénoms, nom, âge, profession, lieu de naissance et domicile de la personne décédée.
82. L’officier de police sera tenu de transmettre de suite à l’officier de l’état civil
du lieu où la personne sera décédée, tous les reinsegnemens énoncés dans son procèsverbal, d’après lesquels l’acte de décès sera rédigé.
L’officier de l’état civil en enverra une expédition à celui du domicile de la personne décédée, s’il est connu: cette expédition sera inscrite su les registres.
83. Les greffiers criminels seront tenus d’envoyer, dans les vingt-quatre heures de
l’exécution des jugemens portant peine de mort, à l’officier de l’état civil du lieu où le
condamné aura été exécuté, tous les renseignemens énoncés en l’article 79, d’après
lesquels l’acte de décès sera rédige.
84. En cas de décès dans les prisons ou maisons de reclusion et de détention, il en
sera donné avis sur-le-champ, par les concierges ou gardiens, à l’officier de l’état civil,
qui s’y transportera comme il est dit en l’article 80, et rédigera l’acte de décès.
85. Dans tous les cas de mort violente ou dans les prisons et maisons de reclusion,
ou d’exécution à mort, il ne sera fait sur les registres aucune mention de ces circonstances, et les actes de décès seront simplement rédigés dans les formes prescrites par
l’article 79.
86. En cas de décès pendant un voyage de mer, il en sera dressé acte dans les vingtquatre heures, en présence de deux témoins pris parmi les officiers du bâtiment, ou, à
leur défaut, parmi les hommes de l’équipage. Cet acte sera rédigé, savoir, sur les bâtimens de l’État, par l’officier d’administration de la marine; et sur les bâtimens appartenant à un négociant ou armateur, par le capitaine, maître ou patron du navire. L’acte de
décès sera inscrit à la suite du rôle de l’équipage.
87. Au premier porte où le bâtiment abordera, soit de relâche, soit pour toute autre
cause que celle de son désarmement, les officiers de l’administration de la marine,
capitaine, maître ou patron, qui auront rédigé des actes de décès, seront tenus d’en
déposer deux expéditions, conformément à l’art. 60.
A l’arrivée du bâtiment dans le port du désarmement, le rôle d’équipage sera déposé au bureau du préposé à l’inscription maritime; il enverra une expédition de l’acte de
décès, de lui signée, à l’officier de l’état civil du domicile de la personne décédée: cette
expédition sera inscrite de suite sur les registres.
CHAPITRE VI DE LA RECTIFICATION DES ACTES DE L’ÉTAT CIVIL
99. Lorsque la rectification d’un acte de l’état civil sera demandée, il y sera statué,
sauf l’appel, par le tribunal compétent, et sur les conclusions du commissaire du Gouvernement. Les parties intéressées seront appelées, s’il y a lieu.
100. Le jugement de rectification ne pourra, dans aucun temps, être opposé aux
parties intéressées qui ne l’auraient point requis, ou qui n’y auraient pas été appelées.
101. Les jugemens de rectification seront inscrits sur les registres par l’officier de
l’état civil, aussitôt qu’ils lui auront été remis; et mention en sera faite en marge de l’acte
réformé.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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PATENTE DI SUA MAESTÀ L’IMPERATORE D’AUSTRIA
DEL 20 APRILE 1815, N. 34, PRESCRIZIONI SUL DIRITTO DI MATRIMONIO
Mossi (...) dalle pressanti replicate domande sul contegno e sulle direzioni da tenersi in
affari matrimoniali, non meno che dalla grave e singolare importanza di quest’oggetto,
abbiamo determinato di far pubblicare fin d’ora separatamente, a tranquillità universale,
le norme risguardanti il diritto di matrimonio, quelle cioè per contrarlo, e così pure pei
personali diritti ed obblighi de’ conjugi che ne risultano.
PRESCRIZIONI SUL MATRIMONIO
26. Per la validità del matrimonio si richieggono la dinunzia e la dichiarazione solenne
del consenso.
27. La dinunzia consiste nella pubblicazione del futuro matrimonio, nella quale deve
esprimersi il nome, cognome, luogo di nascita, la condizione e la dimora d’ambidue gli
sposi, coll’avvertimento che chiunque conosca esservi qualche impedimento fra essi al
matrimonio, debba notificarlo. Questa notificazione deve farsi immediatamente, o col
mezzo del curato che pubblicò il matrimonio, a quel curato cui spetta di congiungere gli
sposi in matrimonio.
28. La dinunzia deve farsi in tre giorni di domenica o di festa all’adunanza ordinaria
nella chiesa parrocchiale del distretto, e se gli sposi abitano in diversi distretti, nella
chiesa pure parrocchiale del distretto di ciascuno di essi. La pubblicazione de’ matrimonj
fra non cattolici cristiani si deve eseguire non solo nelle loro congregazioni religiose, ma
anche nelle chiese parrocchiali cattoliche, nel distretto delle quali dimorano; quella de’
matrimonj fra cattolici ed accattolici cristiani dovrà farsi nella chiesa parrocchiale della
parte cattolica e nell’oratiorio della parte accattolica, quanto anche nella chiesa parrocchiale cattolica, nel cui distretto la parte accattolica dimora.
29. Se gli sposi od uno di essi non abbiano ancora dimorato sei settimane nel distretto
parrocchiale in cui deve contrarsi il matrimonio, la dinunzia deve farsi anche nel luogo
dell’ultima loro dimora, ove abbiano abitato per un tempo più lungo di quello ora
determinato, oppure essi devono continuare la dimora per sei settimane nel luogo dove si
trovano, affinché la dinunzia ivi fatta sia sufficiente.
30. Non chiudendosi il matrimonio entro sei mesi daché fu dinunziato, dovranno rinnovarsi tre volte le pubblicazioni.
31. Per la validità della dinunzia e per la validità del matrimonio da essa dipendente
basta bensì che i nomi degli sposi e il futuro matrimonio siano stati pubblicati almeno
una volta nel distretto parrocchiale tanto dello sposo che della sposa, ed una mancanza
occorsa nella forma o nel numero delle pubblicazioni non rende invalido il matrimonio;
ciò nondimeno tanto gli sposi o i rappresentanti loro, quanto i curati sono obbligati per
non incorrere in pene congrue ad aver cura che tutte le qui prescritte pubblicazioni siano
eseguite nelle debite forme.
32. La solenne dichiarazione del consenso deve farsi innanzi al curato ordinario dello
sposo o della sposa, comunque per la diversità della religione egli si chiami parroco,
pastore od altrimenti, oppure innanzi al sostituto di esso alla presenza di due testimonj.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
33. Può farsi questa solenne dichiarazione di consenso di matrimonio anche per mezzo di
procuratore, nel qual caso però deve ottenersene l’assenso dal governo, e nella carta del
mandato deve essere individuata la persona colla quale il matrimonio abbiasi a contrarre.
Il matrimonio contratto senza questo speciale mandato è invalido. Se il mandato sarà
stato revocato prima del contratto matrimonio, esso matrimonio è bensì invalido, ma il
mandante è risponsabile pel danno derivato dalla sua revoca.
34. Contraendosi matrimonio fra persone cattoliche ed accattoliche, deve il consenso
dichiararsi alla presenza di due testimonj avanti il parroco cattolico. Sulla istanza però
dell’altra parte può comparire a quest’atto solenne anche il pastore accattolico.
35. Se gli sposi non presentano l’attestato in iscritto della pubblicazione regolarmente
seguita; (...); o se quegli, la cui maggior età non è manifesta, non può insinuare le fedi
battesimali o la prova in iscritto della maggior età; o se lo straniero non possa debitamente giustificare la personale sua capacità (...) di conchiudere valido contratto di matrimonio; o se presentisi qualsivoglia altro impedimento al matrimonio, è proibito sotto grave
pena al curato di unire gli sposi, finché non siano prodotti tutti gli attestati necessarj e
siano tolte tutte le difficoltà.
36. Se gli sposi si credono gravati dall’essere stata loro ricusata l’unione in matrimonio,
possono portare le loro doglianze al governo, ed ove questo non esista, all’ufficio del
circolo.
37. Per prova permanente del conchiuso contratto di matrimonio sono obbligati i parrochi
ad inscriverlo di propria mano nel libro matrimoniale a ciò specialmente destinato.
Debbono chiaramente scriversi il nome e cognome, l’età, l’abitazione e la condizione dei
conjugi, coll’annotazione se fossero celibi o vedovi; il nome, cognome e la condizione
pure dei genitori e dei testimonj, il giorno inoltre del contratto matrimonio, finalmente il
nome anche del curato avanti il quale venne solennemente dichiarato il consenso, ed
indicarsi insieme i documenti coi quali fossero state tolte le occorse difficoltà.
38. Se il matrimonio avesse a conchiudersi in luogo terzo, alla cui parrocchia non
appartenga l’uno né l’altro degli sposi, il curato ordinario nel rilasciare il documento con
cui delega un altro a far le sue veci, è obbligato ad inscrivere questa circostanza nel libro
matrimoniale della sua parrocchia, indicando in qual luogo ed avanti qual parroco
precisamente debba essere conchiuso il matrimonio.
39. Il curato del luogo in cui segue il matrimonio è tenuto ad inscrivere la conclusione
nel libro de’ matrimonj della sua parrocchia, coll’annotazione da qual parroco sia stato
delegato, e fra otto giorni dal conchiuso matrimonio deve notificarlo al parroco da cui
ebbe la delegazione.
79. Dichiarandosi nullo o sciogliendosi un matrimonio, se ne fa annotazione nel libro
matrimoniale al luogo in cui era stato inscritto il matrimonio. A questo fine il giudice,
avanti il quale fu trattata la nullità o lo scioglimento del matrimonio, deve darne notizia
all’autorità incaricata d’invigilare sulla regolarità dei libri matrimoniali.
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DECRETO DEL 29 OTTOBRE 1808, N. 198
DI GIOACCHINO NAPOLEONE RE DELLE DUE SICILIE
PER LO STABILIMENTO DEGLI UFIZIALI INCARICATI DEL REGISTRO
DEGLI ATTI CIVILI, SECONDO IL DISPOSTO NEL TITOLO II DEL LIBRO I
DEL CODICE NAPOLEONE.
TITOLO I Degli ufiziali incaricati dei registri degli atti dello stato civile, e de’ loro doveri
1. Nei Comuni del Regno sono incaricati dei registri degli atti di nascite, di adozioni, di matrimonj, e di morti, i sindaci, ed in caso di assenza, o di altro legittimo impedimento di essi, quello degli eletti, che non è incaricato della polizia.
2. Ne’ paesi o molto distanti del loro capo-luogo, o che difficilmente possono collo
stesso comunicare in alcuni tempi dell’anno per cagione del mare, dei fiumi, o di qualsivoglia altro impedimento, il registro degli atti dello stato civile sarà presso di un aggiunto, il quale verrà scelto dall’intendente sulla nomina che ne farà il decurionato fra gli
abitatori del sito distante, e di difficile comunicazione. L’aggiunto non potrà corrispondere colle autorità superiori, ma solamente col sindaco del capoluogo, al quale rimetterà i
suoi registri.
3. Il Ministro dell’interno, prese le convenienti dilucidazioni, ci proporrà un progetto di decreto, nel quale vengano designati i luoghi, ove dovranno autorizzarsi, o stabilirsi
gli aggiunti, di cui è fatta menzione nel precedente articolo.
4. Per mezzo del nostro Ministro della guerra saranno subito date le disposizioni
opportune, perché si aprano i registri pei militari, che sono fuori del Regno, a norma del
capitolo 5 titolo 2 libro I del codice Napoleone, e nelle forme prescritte nel presente
decreto.
5. La copia dell’atto di nascita seguita in tempo di un viaggio di mare, che secondo
l’art. 60 del codice Napoleone dev’essere depositata nell’ufizio del preposto all’iscrizione marittima; in un porto del Regno, ove manchi questo preposto, sarà depositata
presso la deputazione della salute del porto, e questa trasmetterà l’altra copia del medesimo atto al Ministro da cui dipende, che ne farà le corrispondenti prevenzioni tanto al
Ministro della marina, che all’ufiziale dello stato civile.
6. In mancanza del preposto all’iscrizione marittima, si farà anche presso la Deputazione di salute il deposito del ruolo d’equipaggio ne’ casi prescritti negli articoli 61 e
87 del codice Napoleone, e si eseguirà lo stesso, ch’è prescritto nell’articolo precedente.
7. In caso che un fanciullo sia portato nelle ruote degli spedali de’ projetti per mezzo di persone non conosciute, coloro che hanno la direzione di tali stabilimenti saranno
tenuti di darne l’avviso fra le 24 ore all’ufiziale dello stato civile, e terranno un registro
di tutti i fanciulli che arrivano, colle necessarie individuazioni.
8. Nei casi di morte, che sieguano nelle prigioni, nelle case d’arresto, o di detenzione, negli spedali militari e civili, o in altre case pubbliche, l’atto che l’ufiziale dello stato
civile, secondo gli articoli 80, e 84 del codice Napoleone, dee trasmettere all’ufiziale
dell’ultima abitazione del defunto, perché lo scriva nei suoi registri, sarà trasmesso a
questo ufiziale per mezzo degl’intendenti, o dei sottindenti rispettivi.
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9. Gli ufiziali dello stato civile, quando avranno la dichiarazione della morte di persone, che lasciano per eredi pupilli, minori, o assenti, sono tenuti passarne subito l’avviso al giudice di pace, serbando però la regola stabilita nell’articolo 3.
Mancando a ciò saranno sospesi dal loro ufizio.
10. Gli ufiziali dello stato civile non hanno veruna forza coattiva, onde obligare alle
dichiarazioni, che prescrive la legge per iscriversi agli atti dello stato civile. Le loro
funzioni consistono nel ricevere e registrare le dichiarazioni, che spontaneamente vengon
loro presentate, e nell’adempire agli altri atti che sono dalla legge prescritti.
11. Per l’istruzione degli ufiziali incaricati del registro degli atti dello stato civile,
saranno impressi in seguito del presente regolamento gli articoli del codice Napoleone,
che prescrivono la forma dei registri, gli obblighi degli ufiziali, e le penali, nelle quali
incorrono in caso di contravvenzione.
La pena per le falsità, e per le contraffazioni dei registri, per la quale l’art. 52 del
codice Napoleone si riporta al codice penale, sarà in questo Regno quella stabilita nell’art. 157 della legge penale.
TITOLO II Forme dei registri, loro depositi, e loro estratti
12. In ogni Comune vi saranno tre differenti registri in carta bollata, il primo delle
nascite, e delle adozioni; il secondo dei matrimonj; il terzo delle morti: ciascuno di tai
registri sarà doppio: uno sarà conservato nell’archivio del Comune, un altro in fine
dell’anno sarà trasmesso al tribunale della provincia.
13. I mandati di procura, le altre carte relative agli atti contenuti nei tre suddetti registri, saranno uniti in modo che formino un volume a parte, che avrà i fogli numerati; ed
in fine dell’anno sarà anche trasmesso nell’archivio del tribunale della provincia conforme all’articolo 44 del codice Napoleone.
14. Sino a che non saranno istallati i nuovi tribunali stabiliti colla legge dei 20
maggio di questo anno sull’organizzazione giudiziaria, la cifra dei registri che secondo
l’art. 41 del codice Napoleone deve esser fatta dal presidente del tribunale di prima
istanza, o da chi ne faccia le veci, sarà eseguita dai rispettivi capiruota delle Regie
udienze provinciali e per Napoli, e terra di Lavoro dal presidente della Gran Corte della
Vicaria.
15. È fra i doveri del procuratore regio del tribunale della provincia il vigilare, perché da tutti i Comuni i registri sieno tenuti in regola, e trasmessi nelle forme e nel tempo
prescritto dalla legge. Egli può a quest’oggetto aver corrispondenza direttamente coi
sindaci, e scriver loro le istruzioni, e le osservazioni che crederà convenienti.
16. Acciocché si ottenga l’uniformità dei registri in tutto il Regno, i volumi contenenti i diversi atti dello stato civile saranno impressi in modo che agli uffiziali incaricati
del registro non rimanga altra parte, se non quella di supplire i nomi dei dichiaranti, e le
circostanze variabili degli atti. Saranno pure impressi i formolarj pe’ casi previsti negli
articoli 80, e 84 del codice Napoleone. Tutti questi modelli per mezzo dei rispettivi
intendenti, e sottintendenti saranno distribuiti per ciascun Comune del Regno, e ne sarà
pagato l’importo dalle Comuni medesime.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
143
Saranno parimenti impresse le formole delle dichiarazioni delle parti. Il sindaco di
ciascun Comune vigilerà che di tali esemplari ve ne sia sempre un sufficiente numero
vendibile per coloro che vorranno servirsene.
Saranno prese dal Ministro dall’interno le misure necessarie perché il prezzo tanto
dei fogli che devono andare a carico de’ Comune, quanto dei fogli, di cui vorranno
servirsi le parti, sia tenue e leggiero per quanto sarà possibile.
17. Gli atti di nascita, di matrimonio, e di morte fatti dal giorno, in cui avranno esecuzione i registri dello stato civile, non potranno esser provati che con certificati estratti
dai detti registri, o in loro difetto coi mezzi stabiliti nell’articolo 46 del codice Napoleone. Pei soli atti del tempo antecedente continueranno ad aver fede i registri ecclesiastici.
18. I parrochi anco dopo l’esecuzione dei registri dello stato civile seguiteranno a
tenere i loro libri di battesimo, di matrimonj, di morti.
Questi testificano solo l’amministrazione de’ sacramenti, e gli atti religiosi, nei
quali si conformeranno alle regole della chiesa cattolica, ma i parrochi non potranno in
nessun caso accordare la benedizione nuziale, se non a coloro che giustificheranno
d’aver fatto notare nei registri dello stato civile il lor matrimonio.
19. Qualunque atto si scriva nei registri dello stato civile, sarà fatto gratis. Ma per
ogni copia estratta di tali atti, l’ufiziale avrà dritto (sic) di esigere un carlino, purché
colui, che la chiede non sia povero. Ai poveri si daranno gratis. È nella facoltà dei
giudici di pace di ordinare che non si esigga alcun dritto (sic) per queste copie, o certificati, in tutti i casi, in cui lo crederanno necessario.
20. La legalizzazione del presidente del tribunale di prima istanza, mentovata nell’art. 45 del codice Napoleone, avrà luogo per quei registri, che si troveranno depositati
presso la cancelleria del tribunale, secondo il disposto nell’articolo 43 del codice medesimo. Gli estratti dei registri correnti dell’anno saranno legalizzati dal giudice di pace.
TITOLO III Delle tavole annuali, e decennali
21. Ne’ primi 15 giorni dell’anno nuovo, l’ufiziale, che avrà tenuti i registri
dell’anno scorso, prima di passargli negli archivj secondo la disposizione dell’art. 43 del
codice Napoleone, farà ridurre in tre tavole distinte le nascite, i matrimonj, e le morti,
che vi sono state, e chiuderà con tai tavole i registri dell’anno.
22. Questa tavole saranno rimesse dal sindaco di ciascun Comune all’intendente
della provincia, accompagnate da un foglio indicativo degl’individui, che vi sono contenuti per effetto delle disposizioni degli articoli 5, 6, 7, 8, e 9 del presente decreto.
23. L’intendente paragonerà questo foglio indicativo col risultato dei registri delle
carceri, case di detenzione, spedali, ed altri pubblici stabilimenti, e ritenendo le tavole
particolari di ciascuna Comune nel suo archivio ne rimetterà il risultato generale al
Ministro dell’interno.
24. Nel primo mese dell’anno, che succede al decennio compiuto dalle tavole annuali saranno composte tre tavole generali degli atti dell’intero decennio. Queste tavole
chiuderanno i registri dell’ultimo anno dello stesso decennio, che saranno inviati all’intendente, il quale ne manderà i risultati generali al Ministro dell’interno.
25. Il nostro Ministro dell’interno è incaricato della esecuzione del presente decreto.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
CODICE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE (1819)
PARTE PRIMA LEGGI CIVILI
LIBRO PRIMO DELLE PERSONE
TITOLO II Degli atti dello stato civile
CAPITOLO PRIMO Disposizioni generali
36. Gli atti dello stato civile esprimeranno l’anno, il giorno e l’ora in cui saranno ricevuti; i nomi, i cognomi, l’età, la professione ed il domicilio di tutti coloro che in essi
saranno nominati.
37. Gli uffiziali dello stato civile non potranno inserire cosa alcuna negli atti che riceveranno, sia per annotazione, sia per qualsivoglia indicazione, oltre quello che debbe
essere dichiarato da’ comparenti.
38. Le parti interessate, nel caso in cui non saranno tenute a comparire personalmente, potranno farsi rappresentare da persona munita di procura speciale ed autentica.
39. I testimonj presentati per gli atti dello stato civile non potranno essere che maschi in età almeno di ventun’anni, parenti o altri; e saranno scelti dalle persone interessate.
40. L’uffiziale dello stato civile farà lettura degli atti alle parti comparenti o a’ loro
procuratori, ed a’ testimonj.
In essi sarà fatta menzione dell’adempimento di questa formalità.
41. Questi atti saranno sottoscritti dall’uffiziale dello stato civile, da’ comparenti e
da’ testimonj; ovvero si farà menzione della causa che ha impedito a’ medesimi di
sottoscriversi.
42. Gli atti dello stato civile saranno inscritti in ciascun comune sopra uno o più registri tenuti in doppio.
43. I registri saranno numerati dal primo all’ultimo foglio; e ciascuno di questi sarà
cifrato dal presidente del tribunale civile, o dal giudice che ne farà le veci.
44. Gli atti saranno inscritti ne’ registri immediatamente e senza alcuno spazio in
bianco. Le cancellature e le postille saranno approvate e sottoscritte nello stesso modo
che il corpo dell’atto. Non vi saranno abbreviature, e non potrà mettersi veruna data in
cifre numeriche.
45. In fine di ogni anno i registri saranno chiusi e firmati dall’uffiziale dello stato
civile; e dentro un mese uno de’ registri sarà depositato negli archivj del comune, e
l’altro presso la cancelleria del tribunale civile.
46. Le procure e le altre carte che debbono restare unite agli atti dello stato civile,
dopo che saranno state cifrate dalla persona che le avrà prodotte, e dall’uffiziale dello
stato civile, saranno depositate presso la cancelleria del tribunale col doppio de’ registri,
il cui deposito dee farsi in detta cancelleria.
47. Qualunque persona potrà farsi rilasciare da’ depositarj de’ registri dello stato
civile gli estratti de’ medesimi. Questi estratti uniformi a’ registri e legalizzati dal presidente del tribunale civile, o dal giudice che ne sostiene le veci, faranno fede fino a che
non sieno sottoposti ad un giudizio di falso.
48. Alloraquando non esistessero i registri o si fossero smarriti, avrà luogo la pruova col mezzo tanto di documenti, che di testimonj; ed in questo caso i matrimonj, le
nascite e le morti potranno provarsi co’ registri e colle carte de’ genitori defunti, egual-
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
145
mente che con testimonj; salve le disposizioni contenute nel decreto de’ 16 di agosto
1815.
49. Qualunque atto dello stato civile di un nazionale o di uno straniero, fatto in un
paese straniero, sarà valido, qualora siensi osservate quelle formalità che sono in uso in
quel paese.
50. È lasciata a’ nazionali dimoranti fuori del regno la libertà di far distendere tali
atti per mezzo degli agenti diplomatici o de’ consoli ivi stabiliti dal Governo.
51. In tutti i casi in cui dovrà farsi menzione di un atto relativo allo stato civile in
margine di un altro atto di già inscritto, essa verrà fatta a richiesta delle parti interessate
dall’ufiziale dello stato civile ne’ registri correnti, o in quelli che saranno stati depositati
negli archivj del comune; e successivamente dal cancelliere del tribunale civile su’
registri depositati nella cancelleria: pel quale effetto l’ufiziale dello stato civile ne darà
avviso entro tre giorni al procuratore regio presso il tribunale, il quale invigilerà acciocché la menzione sia fatta in modo uniforme su i due registri.
52. Ogni contravvenzione agli articoli precedenti per parte de’ mentovati funzionarj, sarà dedotta innanzi al tribunale civile, e punita con una multa che non potrà
eccedere venticinque ducati.
53. Ogni depositario di registri sarà risponsabile civilmente delle alterazioni che vi
sopravverranno; salvo a lui il ricorso, se vi ha luogo, contro gli autori delle medesime.
54. Qualunque alterazione o falsità negli atti dello stato civile, qualunque inscrizione di questi atti fatta sopra un foglio volante, ed in altro modo che su i registri a ciò
destinati, darà luogo all’azione de’ danni ed interessi delle parti; restando però in vigore
le pene stabilite dalle leggi del regno.
55. Il procuratore regio presso il tribunale civile sarà tenuto di verificare lo stato de’
registri al tempo de loro deposito presso la cancelleria; formerà un processo verbale
sommario della seguita verificazione; denunzierà le contravvenzioni o i delitti commessi
dagli uffiziali dello stato civile; e farà le istanze per la loro condanna alle multe.
56. In tutti i casi in cui un tribunale civile pronunzierà intorno agli atti relativi allo
stato civile, le parti interessate potranno produrne l’appello.
CAPITOLO II Degli atti di nascita
57. Le dichiarazioni di nascita dovranno farsi ne’ tre giorni consecutivi al parto
all’uffiziale dello stato civile del luogo, cui dovrà presentarsi il fanciullo o la fanciulla.
58. La nascita del fanciullo sarà dichiarata dal padre, ed in mancanza di questo, da’
dottori di medicina o di chirurgia, dalle levatrici, dagli uffiziali di sanità, o da altre persone che abbiano assistito al parto; e qualora la madre avesse partorito fuori del suo
domicilio, dalla persona presso di cui si sarà sgravata.
L’atto di nascita sarà senza dilazione steso alla presenza di due testimonj.
59. S’indicheranno nell’atto di nascita il giorno, l’ora ed il luogo della nascita; il
sesso del fanciullo, ed i nomi che gli saranno stati dati; i nomi, i cognomi, la professione
ed il domicilio del padre e della madre, e quelli de’ testimonj.
60. Nel dichiararsi la nascita del fanciullo, il padre naturale può esprimere il suo
nome, tacendo quello della madre, quando la medesima non vi acconsenta.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
61. Chiunque trovasse un fanciullo recentemente nato, sarà tenuto a farne la consegna all’ufiziale dello stato civile, colle vesti e cogli altri effetti ritrovati presso il fanciullo; ed a dichiarare tutte le circostanze del tempo e del luogo in cui sarà stato ritrovato.
Se ne stenderà un circostanziato processo verbale, che enuncerà in oltre l’età apparente del fanciullo; il sesso; il nome che gli sarà dato dall’ufiziale dello stato civile;
l’autorità civile cui sarà consegnato; se abbia marche apparenti; la qualità delle vesti, e
quelunque altro segno abbia indosso. Questo processo verbale sarà inscritto ne’ registri.
62. Nel caso che un fanciullo fosse portato nelle ruote dello spedale de’ projetti, coloro che hanno la direzione di tali stabilimenti, saranno tenuti di darne l’avviso tra le
ventiquattro ore all’ufiziale dello stato civile; e terranno un registro de’ fanciulli che vi
pervengono, colle necessarie indicazioni espresse nell’articolo precedente. L’ufiziale
dello stato civile inscriverà nel registro il tenore del rapporto, indicando la data del
giorno in cui gli è pervenuto. Il rapporto cifrato dall’ufiziale dello stato civile sarà
depositato presso la cancelleria del tribunale civile, come è disposto nell’articolo 45.
63. Nascendo un fanciullo in tempo di viaggio per mare, l’atto di nascita sarà formato entro le ventiquattro ore in presenza del padre, qualora ivi si trovi, e di due testimonj presi fra gli uffiziali del bastimento, o in mancanza di questi, tra le persone dell’equipaggio. Un tale atto sarà steso, sui bastimenti del Re, dall’ufiziale dell’amministrazione della marina; e su’ bastimenti appartenenti ad un armatore o negoziante, dal
capitano, proprietario o padrone della nave. L’atto di nascita sarà inscritto appiè del
ruolo dell’equipaggio.
64. Nel primo porto ove approderà il bastimento, tanto per prender fondo, quanto
per qualunque altra causa, fuorché quella del suo disarmamento, gli ufiziali dell’amministrazione della marina, capitano, proprietario, o padrone, saranno tenuti a depositare due
copie autentiche degli atti di nascita che avranno formati, in un porto del regno, presso la
deputazione della salute del porto medesimo, ed in un porto straniero, nelle mani del
console.
L’una di queste copie resterà in deposito presso l’ufizio della deputazione della salute, o nella cancelleria del consolato: l’altra si trasmetterà al Ministro di Stato, da cui
quelle autorità dipendono; il quale farà pervenire una copia da lui certificata di ciascuno
di detti atti all’ufiziale dello stato civile del domicilio del padre del fanciullo, o della
madre, se il padre non è conosciuto. Questa copia sarà tosto inscritta ne’ registri in
continuazione e secondo l’ordine de’ fogli; facendone però una semplice indicazione nel
foglio corrispondente all’epoca della nascita.
65. All’arrivo del bastimento in un porto di disarmamento, il ruolo dell’equipaggio
sarà depositato presso la deputazione della salute, che trasmetterà una copia dell’atto di
nascita da essa sottoscritta al Ministro di Stato, da cui dipende; il quale farà pervenirla
all’ufiziale dello stato civile del domicilio del padre, o, essendo questi ignoto, a quello
della madre del fanciullo. Questa copia sarà immantinente inscritta ne’ registri.
66. L’atto di ricognizione di un fanciullo sarà inscritto sotto la sua data ne’ registri,
e se ne farà menzione in margine dell’atto di nascita, qualora esista.
CAPITOLO III Degli atti di matrimonio
67. Il matrimonio nel regno delle Due Sicilie non si può legittimamente celebrare,
che in faccia della Chiesa, secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento. Gli atti
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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dello stato civile sono essenzialmente necessarj, e preceder debbono la celebrazione del
matrimonio, perché il matrimonio produca gli effetti civili, tanto riguardo a conjugi che
a’ di loro figli.
Gli atti dello stato civile detti di sopra sono indicati ne’ seguenti articoli.
68. Prima della celebrazione del matrimonio, a richiesta delle parti contraenti, sarà
affisso sulla porta della casa del comune una notificazione in cui saranno indicati i nomi,
i cognomi, i domicilj e le professioni de’ futuri sposi; la loro qualità di maggiori o
minori; ed i nomi, i cognomi, le professioni ed i domicilj de’ loro genitori. Questo foglio
vi rimarrà affisso pel corso di quindici giorni, in modo che il giorno dell’affissione sia di
domenica, così ricadendo l’ultimo giorno del termine parimente in domenica. Spirato
detto termine, l’ufiziale dello stato civile farà un atto in cui sarà inserita la notificazione
anzidetta da parola a parola; e vi attesterà essere stata fatta l’affissione in tal giorno e
mese, e che sieno scorsi i giorni prescritti dalla legge. Questo atto sarà inscritto in un
registri tenuto colle prescrizioni dell’articolo 43. Non celebrandosi il matrimonio fra
l’anno da computarsi dalla scadenza del termine dell’affissione, dovrà la notificazione
rinnovarsi nel modo e forma di sopra stabilita.
69. Gli atti di opposizione al matrimonio saranno sottoscritti sull’originale e sulla
copia dagli opponenti, o da persone munite di loro procura speciale ed autentica. Essi
dovranno essere intimati colla copia della procura alla persona o al domicilio delle parti,
ed all’ufiziale dello stato civile, il quale apporrà il visto sull’originale. Indi l’ufiziale
dello stato civile farà senza ritardo una sommaria menzione delle opposizioni sul registro
delle notificazioni; ed in margine della inscrizione di dette opposizioni farà altresì
menzione de’ giudicati o degli atti della inibizione tolta, copia de’ quali gli sarà stata
rimessa.
70. Nel caso di opposizione l’ufiziale dello stato civile non potrà passar oltre, se
non gli sia presentato l’atto della tolta opposizione, sotto pena di ducati sessanta d’ammenda, e di tutti i danni ed interessi.
71. Non essendovi opposizione, ne sarà fatta menzione nel registro delle notificazioni; e se le notificazioni sono state fatte in più comuni, le parti produrranno un certificato dell’ufiziale dello stato civile di ciascun comune, onde consti che non esiste opposizione alcuna: e di detti certificati sarà fatta memoria nel registro anzidetto.
72. L’ufiziale dello stato civile si farà dare l’atto di nascita de’ futuri sposi. Quello
sposo che si troverà nella impossibilità di procurarselo, potrà supplirvi con presentare un
atto di notorietà dato dal giudice del circondario della sua nascita, o di quello del suo
domicilio.
73. L’atto di notorietà conterrà la dichiarazione di sette testimonj dell’uno o dell’altro sesso, sieno o non parenti, de’ nomi, de’ cognomi, della professione e del domicilio del futuro sposo, e di quelli de’ genitori, se sono conosciuti; del luogo, e, per quanto
sarà possibile, dell’epoca della sua nascita, e delle cause per le quali non può produrne
l’atto. I testimonj sottoscriveranno l’atto di notorietà, unitamente al giudice del circondario; e nel caso che non potessero o non sapessero scrivere, se ne farà menzione.
74. L’atto di notorietà sarà presentato al tribunale civile della provincia o valle del
comune dove si dee celebrare il matrimonio. Il tribunale, dopo aver sentito il procurator
regio, darà o ricuserà la sua omologazione, a misura che troverà sufficienti le dichiarazioni de testimonj, e le cause per le quali non si possa produrre l’atto di nascita.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
75. Richiederà ancora l’atto autentico del consenso de’ padri, delle madri, dell’avo
paterno, o in mancanza loro, di quello della famiglia. Questo atto conterrà i nomi, i
cognomi, le professioni, i domicilj del futuro sposo, e di tutti coloro che saranno concorsi
all’atto; come anche il loro grado di parentela.
76. Gli atti anzidetti saran fatti e presentati all’uffiziale dello stato civile del comune ove la futura sposa avrà il domicilio. Questo domicilio, per ciò che riguarda gli atti
dello stato civile, si avrà per istabilito con tre mesi di abitazione continua nel comune.
77. Nel giorno indicato dalle parti, che non potrà esser fissato prima del quarto
giorno dopo il termine delle notificazioni, l’ufiziale dello stato civile nella casa del
comune, ed in presenza di quattro testimonj, sieno o non parenti, farà lettura alle parti de’
documenti soprammentovati relativi al loro stato, egualmente che del capitolo sesto del
titolo del matrimonio intorno a’ diritti ed obblighi rispettivi degli sposi. Riceverà da
ciascuna delle parti, una dopo l’altra, la dichiarazione che elleno solennemente promettono di celebrare il matrimonio avanti la Chiesa, secondo le forme prescritte dal sacro
Concilio di Trento; e ne stenderà immediatamente l’atto.
78. Non adempiendosi dalle parti alla celebrazione del matrimonio, non vi sarà civilmente altra azione che pe’ danni, a termini dell’articolo 148.
79. L’atto di solenne promessa enunciato nell’articolo 77 conterrà
1°. I nomi, i cognomi, le professioni, l’età, il luogo di nascita ed il domicilio di
ciascuno degli sposi;
2°. Se sono maggiori o minori;
3°. I nomi, i cognomi, le professioni ed i domicilj de’ padri e delle madri;
4°. Il consenso de’ padri e delle madri, dell’avo paterno, e quello della famiglia, ne’ casi ove sono richiesti;
5°. Gli atti rispettosi, ove se ne sieno fatti;
6°. Le notificazioni a’ diversi domicilj;
7°. Le opposizioni, se ve ne sono state; la loro cessazione; ovvero la menzione,
che non vi è stata opposizione;
8°. La solenne promessa de’ futuri sposi di celebrare il matrimonio in faccia
della Chiesa, secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento;
9°. I nomi, i cognomi, l’età, la professione ed i domicilj de’ testimonj che sono
intervenuti alla promessa.
Di questo atto l’uffiziale dello stato civile ne darà copia a’ futuri sposi in doppia
spedizione, per esser presentata al parroco cui la celebrazione del matrimonio si appartiene.
80. Il parroco in seguito della esibizione della copia dell’atto anzidetto, ed adempiute le canoniche prescrizioni, procederà alla celebrazione del matrimonio. Delle due
spedizioni ne riterrà una per se; e farà fede in piede dell’altra della seguita celebrazione
del matrimonio, indicando il giorno, il mese e l’anno, ed i nomi de’ testimonj.
Rinvierà all’uffiziale dello stato civile questa spedizione, e ne domanderà riscontro.
L’uffiziale dello stato civile ne farà subito notamento nel suo registro in margine
dell’atto: e quindi il matrimonio sarà tenuto per legge solennemente celebrato.
81. Il parroco dovrà ricusarsi a celebrare il matrimonio senza l’esibizione della copia dell’atto della solenne promessa fatta innanzi all’uffiziale dello stato civile, avvertendo i futuri conjugi, che senza questa promessa il matrimonio non produrrebbe gli effetti
civili.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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CAPITOLO IV Degli atti di morte
82. Non si darà sepoltura, se non previa autorizzazione dell’uffiziale dello stato civile, da darsi su carta semplice e senza spese. L’uffiziale dello stato civile non potrà
accordarla, se non dopo che si sarà trasferito presso il defunto per assicurarsi della morte,
e dopo lo spazio di ore ventiquattro dalla morte medesima; a riserva de’ casi contemplati
da’ regolamenti di polizia.
83. Si stenderà l’atto di morte dall’uffiziale dello stato civile sulla dichiarazione di
due testimonj. Questi testimonj, se è possibile, saranno due più prossimi parenti, o vicini,
o, quando la morte di qualche persona accada fuori del di lei domicilio, quelli nella di cui
casa sarà essa defunta, ed un parente o altro testimonio.
84. L’atto di morte conterrà il nome, il cognome, l’età, la professione ed il domicilio del defunto; il nome e cognome del conjuge, se la persona defunta era congiunta in
matrimonio o vedova; i nomi, i cognomi, l’età, le professioni ed i domicilj de’ dichiaranti; ed il grado di loro parentela, se sono parenti. Lo stesso atto conterrà in oltre, per
quanto si potranno sapere, i nomi, i cognomi, la professione ed il domicilio del padre e
della madre del defunto, ed il luogo della sua nascita.
85. In caso di morte negli ospedali militari civili, o in altre case pubbliche, i superiori, direttori, amministratori o soprantendenti di queste saranno tenuti di darne l’avviso
entro ore ventiquattro all’uffiziale dello stato civile, il quale vi si trasferirà per assicurarsi
della morte, e ne stenderà l’atto, in seguito delle dichiarazioni che gli saranno state fatte,
e delle informazioni che avrà prese, in conformità del precedente articolo.
Negli spedali e nelle suddette case si terranno registri destinati ad inscrivere queste
dichiarazioni ed informazioni.
L’uffiziale dello stato civile trasmetterà l’atto di morte all’uffiziale dell’ultimo domicilio della persona defunta, il quale lo inscriverà ne’ registri.
86. Risultando segno o indizj di morte violenta, o essendovi luogo a sospettarla per
altre circostanze, non si potrà seppellire il cadavere, se non dopo che l’uffiziale di polizia
assistito da un medico o chirurgo abbia steso il processo verbale sullo stato del cadavere
e delle circostanze relative; come anche delle notizie che avrà potuto ricavare sul nome,
sul cognome, sulla età, sulla professione, sul luogo di nascita e sul domicilio del defunto.
87. L’uffiziale di polizia dovrà immantinente trasmettere all’uffiziale dello stato civile del luogo ove sarà morta la persona, tutte le notizie enunciate nel suo processo
verbale, in vista delle quali si stenderà l’atto di morte.
L’uffiziale dello stato civile ne trasmetterà una copia a quello del domicilio della
persona defunta, se è noto: questa copia sarà inscritta ne’ registri.
88. I cancellieri criminali saranno tenuti fra ventiquattr’ore dalla esecuzione di una
sentenza di morte a trasmettere all’uffiziale dello stato civile del luogo ove il condannato
avrà sofferta l’esecuzione, tutte le notizie enunciate nell’articolo 84, in vista delle quali si
stenderà l’atto di morte.
89. Morendo alcuno nelle prigioni, ovvero nelle case di arresto o di detenzione, ne
sarà dato immediatamente avviso da’ carcerieri o custodi allo uffiziale dello stato civile,
il quale ivi si trasferirà, come è detto nell’articolo 85, e stenderà l’atto di morte.
90. In qualunque caso di morte violenta, o di morte accaduta nelle prigioni e case di
arresto, o di esecuzione delle sentenze di morte, non si farà ne’ registri veruna menzione
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di tali circostanze: e gli atti di morte saranno semplicemente stesi nella forma prescritta
dall’articolo 84.
91. Succedendo la morte in un viaggio di mare, se ne formerà l’atto entro ventiquattro ore alla presenza di due testimonj presi fra gli uffiziali del bastimento, o in loro
mancanza fra gli uomini dell’equipaggio. Questo atto sarà steso, sopra un bastimento del
Re, dall’uffiziale di amministrazione della marina; e sopra un bastimento appartenente ad
un negoziante o ad un armatore, dal capitano, proprietario o padrone del naviglio. L’atto
di morte sarà inscritto appiè del ruolo dell’equipaggio.
92. Al primo porto a cui approderà il bastimento, sia per pigliar fondo, sia per qualunque altra causa, fuorché quella del suo disarmamento, gli uffiziali di amministrazione
della marina, capitano, proprietario o padrone, i quali avranno formato atti di morte,
saranno tenuti a depositarne due copie presso le autorità indicate nello articolo 64, le
quali eseguiranno ciò che quivi è prescritto.
Nell’arrivo del bastimento nel porto di disarmamento, il ruolo di equipaggio si depositerà all’uffizio della deputazione della salute. Questa ne trasmetterà al Ministero di
Stato, da cui dipende, una copia autentica, per praticarsi ciò che per gli atti di nascita è
disposto nell’articolo 65.
DECRETO DI FERDINANDO I RE DELLE DUE SICILIE,
CONCERNENTE L’ESERCIZIO DELLE FUNZIONI DI UFIZIALE
DELLO STATO CIVILE DEL 14 SETTEMBRE 1819, N. 1719.
Veduto il titolo II, libro I della parte I del codice per lo Regno delle Due Sicilie, sulla
proposizione del nostro Segretario di Stato Ministro di grazia e giustizia;
Abbiamo risoluto di decretare e, decretiamo quanto siegue.
Art. 1. Le funzioni di ufiziali dello stato civile nel nostro regno delle Due Sicilie
sono affidate a’ sindaci de’ rispettivi comuni.
2. I Sindaci nel caso di assenza o di altro legittimo impedimento saranno rimpiazzati nelle funzioni di uffiziali dello stato civile da’ secondi eletti.
3. Pe’ comuni riuniti, ne’ luoghi ne’ quali trovansi stabiliti particolari eletti, le funzioni di uffiziali dello stato civile saranno esercitate da’ medesimi sotto la dipendenza
de’ sindaci.
4. I sindaci eserciteranno le funzioni di uffiziali dello stato civile sotto la immediata
e diretta vigilanza de’ regj proccuratori de’ tribunali civili; e dovranno corrispondere co’
medesimi per tutto ciò che ha rapporto ad un tale oggetto.
5. I regj proccuratori, a fine di assicurare la regolarità ed esattezza de’ registri degli
atti dello stato civile, ne faranno verificare lo stato, una volta almeno in ogni bimestre,
per mezzo de’ regj giudici di circondario o di altri soggetti idonei che destineranno.
6. Le funzioni di uffiziali dello stato civile sono meramente gratuite. Sarà esatto solamente un carlino, o sia un tarì siciliano, per ogni copia estratta dagli atti dello stato
civile, purché colui che la chiede non sia povero.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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7. I nostri Segretarj di Stato Ministri di grazia e giustizia e degli affari interni, ed il
Ministero di Stato presso il Luogotenente generale ne’ reali dominj al di là del Faro sono
incaricati della esecuzione del presente decreto, ciascuno per la parte che riguarda.
CODICE CIVILE PER GLI STATI DI PARMA, PIACENZA E GUASTALLA
PROMULGATO DALLA DUCHESSA MARIA LUIGIA IL 23 MARZO 1820
PARTE QUARTA Delle prove dello stato delle persone
279. La prova della cittadinanza, del matrimonio, della nascita, della morte, e delle
tutele si trae da’ pubblici registri.
280. I registri sono formati e tenuti da un pubblico uffiziale destinato dal governo.
281. In ciascun foglio dei medesimi dev’essere il numero progressivo, e la soscrizione di chi vi ha apposti i detti numeri. La prima pagina del primo foglio indica di
quanti fogli sia composto ciascun registro, ed a qual classe appartenga.
282. I registri saranno compilati senza interruzione, senza abbreviature, e senza date in cifre numeriche.
283. in ogni registratura si esprime l’anno, il giorno, in cui viene fatta, il nome e
cognome, l’età, la professione, e il domicilio di tutti coloro che v’intervengono.
284. Le registrature verranno sottoscritte dalla persona incaricata di tenere i registri,
e da quelle che sono intervenute; e quando queste nol possano, si farà menzione della
causa, onde ne furono impedite.
Le cancellature, e le postille saranno per egual modo approvate, e sottoscritte.
285. Qualunque persona potrà farsi dar copia de’ registri dai loro depositarj.
Questa copia da essi autenticata farà prova fino a che sia proposta eccezione di falso.
286. Ogni contravvenzione agli articoli precedenti per parte del pubblico uffiziale,
ogni alterazione, o falsità darà luogo all’azione dei danni ed interessi delle parti, oltre
all’azion pubblica per ragione di delitto.
287. Qualunque registro relativo allo stato delle persone formato in paese straniero,
farà prova, se tenuto giusta le leggi e gli usi del paese medesimo.
288. Lo stato, che si attribuisce a ciascuno dai pubblici registri, e dal possesso conforme, si ritiene per tale fino a piena prova in contrario.
289. I procuratori ducali avranno cura onde i registri siano tenuti nelle forme prescritte dalla legge; potranno a quest’oggetto verificarne lo stato, e promuovere la punizione dei trasgressori.
TITOLO I Dei requisiti comuni ai registri di cittadinanza, di matrimonio,
di nascita, e di morte
290. Per formare e tenere questi registri tanto nelle città quanto nelle campagne, il
governo destina il capo del comune, e gli accorda la facoltà di delegare, previa però la
superiore approvazione.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
291. Vi è un particolare registro per ogni classe degli atti sovrindicati, e ciascun registro vien fatto in doppio.
292. Prima che sopra questo doppio registro sia scritto alcun atto, l’uno e l’altro
vien presentato al capo dell’archivio, cui sono sottoposti i comuni pel deposito degli altri
atti pubblici.
Questi sarà tenuto di ridurre i due originali alla forma prescritta nell’articolo 281.
293. I testimonj, la cui presenza è richiesta agli atti delle registrazioni, saranno maschi, cittadini, maggiori.
294. Il capo del comune o la persona delegata legge gli atti alle parti che intervengono ed ai testimonj, e fa menzione della lettura.
295. In fine d’ogni anno i registri sono chiusi e sottoscritti dal capo del comune, e
dentro un mese l’uno dei registri è depositato nell’archivio particolare di ciascun comune, e l’altro nell’archivio pubblico unitamente alle procure ed altri documenti relativi.
296. In ogni caso, in cui convenga far menzione di un atto concernente lo stato delle persone in margine ad un altro già inscritto, questa vien fatta dal capo del comune sui
registri che trovansi tuttora aperti, e dal capo del pubblico archivio se i registri vi furono
depositati.
CAPO I Della forma particolare dei registri di cittadinanza
297. Le dichiarazioni, di cui nell’art. 14, saranno fatte al pubblico ufficiale in presenza di due testimonj, o dalla persona stessa, che vuol godere della cittadinanza, o da un
suo procuratore speciale.
298. Nel caso dell’articolo 19 il forestiero, che ottiene dal Sovrano il rescritto di
cittadinanza, dovrà entro un mese dalla data del medesimo presentarlo o in persona o per
mezzo di speciale procuratore all’ufficial pubblico del comune, in cui egli sceglierà di
stabilire il domicilio: l’ufficiale dovrà trascriverlo per intiero nei registri.
299. Quando una tale trascrizione venga eseguita entro il termine stabilito all’articolo precedente, il rescritto avrà effetto dal giorno della sua data, e in caso contrario si
avrà per non ottenuto.
300. Se alcuno sia dichiarato dicaduto dai diritti di cittadinanza per sentenza passata in giudicato, un estratto autentico di questa sentenza dovrà presentarsi entro otto giorni
al pubblico ufficiale dal cancelliere del tribunale.
L’ufficiale lo trascriverà ne’ suoi registri, e lo terrà unito ai medesimi per l’oggetto,
di cui nell’articolo 295.
CAPO II Della forma particolare dei registri di matrimonio
301. Prima della celebrazione del matrimonio gli sposi dovranno presentarsi al
pubblico ufficiale del domicilio della futura sposa, e dichiarare la loro intenzione di
unirsi in matrimonio: dovranno pure colla esibizione delle fedi autentiche di nascita
giustificare la loro età, e con pubblico documento dar prova del consenso speciale delle
persone, di cui all’articolo 35, quando le stesse persone non lo prestino nanti il pubblico
ufficiale, non che della dispensa ottenuta, ove fosse stata necessaria.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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302. In caso di vedovanza si dovrà dal vedovo futuro sposo oltre la fede di nascita
produrre quella dell’anteriore suo matrimonio e della morte del conjuge precedente.
303. Lo sposo, o la sposa, cui non sarà possibile di procurarsi la fede di nascita, o le
altre, di cui si è parlato all’articolo precedente, potrà supplirvi col presentare un atto di
notorietà, da ottenersi dal pretore del luogo della nascita, o da quello del suo domicilio.
304. L’atto di notorietà si forma colla dichiarazione di sette testimonj ancorché sieno femmine, o parenti, i quali attestino i fatti, di cui mancano le prove.
Nell’atto stesso dovranno indicarsi le cause, per cui non possono esser prodotte le
fedi.
I testimonj sottoscriveranno unitamente al giudice l’atto medesimo, e nel caso che
non potessero o non sapessero scrivere, ne sarà fatta menzione.
305. L’atto di notorietà vien presentato al tribunal civile del luogo, in cui è per celebrarsi il matrimonio. Il tribunale accorda la sua omologazione se trova sufficienti le
dichiarazioni de’ testimonj, e le cause, per le quali non siansi potute produrre le fedi.
306. L’ufficial pubblico dopo di aver fatto su’ registri speciale menzione dell’esecuzione delle sovra esposte solennità, e dopo di avervi unite le procure, o altri documenti
prodotti, consegna alle parti un’attestazione in forma autentica, che comprova la detta
esecuzione.
307. Nel caso che all’ufficial pubblico fosse stata significata un’opposizione a
norma dell’articolo 48, egli sospende di ricevere le dichiarazioni, e di consegnare l’attestazione, di cui negli articoli precedenti.
308. Entro otto giorni da quello del matrimonio lo sposo presenta al pubblico ufficiale la fede, colla quale il parroco attesta la celebrazione del matrimonio, indicandone il
giorno mese ed anno, ed i testimonj che vi furono presenti.
Per gli ebrei, lo sposo presenterà la fede della persona, che avrà legittimamente presieduto al matrimonio.
309. L’ufficial pubblico trascrive per esteso sui registri del matrimonio la detta fede, e ne conserva l’originale cogli altri documenti, che alla fine dell’anno devono depositarsi negli archivj.
310. Lo sposo, che non presenta entro il prescritto termine la suddetta fede, incorrerà una multa non minore di venti lire nuove, né maggiore di duecento.
311. Se la significazione dell’atto di opposizione all’ufficial pubblico vien fatta dopo aver ricevute le dichiarazioni, e consegnata l’attestazione, di cui all’articolo 306, gli
resta proibito di più ricevere e registrare le fedi, di cui nell’articolo 308.
312. In caso di opposizione l’ufficial pubblico non potrà più né ricevere le dichiarazioni, né consegnare l’attestazione, di cui nell’articolo 306, né registrare le fedi, di cui
nell’articolo 308, se non dopo che siasi a lui fatto constare che l’opposizione è tolta o per
sentenza passata in giudicato, o per la desistenza dell’opponente.
La sentenza sarà presentata in copia autentica al pubblico ufficiale, che l’unirà ai
registri; la desistenza sarà provata o per la dichiarazione fatta dall’opponente al pubblico
ufficiale in presenza di due testimonj, o col produrre l’atto autentico che lo contenga.
313. Il pubblico ufficiale si farà presentare ogni mese una nota distinta de’ matrimonj dalle persone, nanti di cui saranno stati celebrati, onde riconoscere se da ciascuno
degli sposi siasi adempito quanto è disposto nell’articolo 308 per dar luogo all’azion
pubblica contro questi ultimi, ove abbiano contravvenuto.
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314. Ogni cittadino che contragga matrimonio in paese straniero, dovrà, sotto le
pene determinate dall’articolo 310, entro quindici giorni da quello del suo ritorno
presentarne il documento autentico al pubblico uffiziale del suo domicilio, che lo inserirà
nei registri.
CAPO III Della forma particolare dei registri di nascita
315. Le dichiarazioni di nascita deggiono farsi al pubblico uffiziale in presenza di
due testimonj entro i primi sei giorni dal parto.
316. La nascita del fanciullo viene dichiarata dal padre, ed in mancanza di esso dai
dottori di medicina, o chirurgia, dalle levatrici, o da altre persone, che abbiano assistito al
parto, e se la madre trovavasi fuori della propria casa, anche dalla persona presso cui
avrà partorito.
317. Saranno indicati nell’atto di nascita il giorno, l’ora, ed il luogo della medesima, il sesso del neonato, e i nomi che gli saranno stati dati, i nomi, cognomi, la professione, ed il domicilio del padre e della madre, e quelli de’ testimonj.
318. Le dichiarazioni di nascita che si volessero fare dopo il termine stabilito nell’articolo 315, non possono essere ricevute dal pubblico uffiziale, se non vi è autorizzato
da sentenza del pretore del luogo della nascita.
La detta sentenza, che viene pronunciata ad istanza delle parti interessate, deve
comprovare il tempo della nascita, e le circostanze indicate nell’articolo antecedente.
319. Chiunque trova un fanciullo recentemente nato ha l’obbligo di presentarlo al
pubblico uffiziale colle vesti, ed altre robe trovate con lui.
L’uffiziale riceve il fanciullo per consegnarlo insiem colle vesti, ed altre robe ai
pubblici ospizj, ne forma processo indicandovi anche le circostanze del tempo e del
luogo in cui fu trovato, la sua età apparente, il sesso, ed il nome che gli vien dato.
Questo processo sarà trascritto ne’ registri di nascita, e vi resterà unito.
320. I custodi de’ pubblici ospizj non possono ritenere alcun fanciullo ivi portato,
se non ne abbiano fatta la denunzia al pubblico uffiziale, che deve formarne processo da
registrarsi come nell’articolo precedente.
321. Se un fanciullo nasce in paese straniero debbono i genitori esibire la fede autentica di nascita all’ufficial pubblico del loro comune, che la trascriverà ne’ registri, e ve
la terrà unita; e devono inoltre fare le dichiarazioni, di cui all’articolo 317, quando non
leggansi nella fede esibita.
322. Ne’ registri degli atti di nascita, di cui è depositario quel pubblico ufficiale,
che avrà registrato, o dovrà registrare l’atto di matrimonio degli sposi, dovranno riceversi
le dichiarazioni che i medesimi facciano per la legittimazione de’ figli a termine dell’articolo 134.
323. Se queste dichiarazioni non furono fatte né per atto pubblico, né per scrittura
privata, dovranno farsi dagli sposi congiuntamente innanzi al detto pubblico uffiziale,
colla esibizione della fede di nascita del figlio, e quando non si potesse presentar detta
fede, colla indicazione di tutte le circostanze, di cui all’articolo 317.
324. Se la dichiarazione sarà stata fatta per atto pubblico, copia autentica, dell’atto
medesimo dovrà presentarsi dall’uno almeno dei conjugi, od anche dal figlio, che si è
voluto legittimare, sia in persona, sia col mezzo di speciale procuratore, coll’indicar
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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tuttavia le circostanze accennate nell’articolo precedente, qualora non fossero state
indicate nell’atto da presentarsi al pubblico uffiziale.
325. Se la dichiarazione sia stata fatta per privata scrittura, dovrà questa esibirsi
dalli due conjugi unitamente, o dall’uno di essi quando l’altro fosse premorto, nel qual
caso dovrà pure esibirsi la fede della sua morte.
326. Il pubblico ufficiale trascriverà ne’ registri le dette dichiarazioni, e vi unirà i
documenti presentati per gli effetti, di cui all’articolo 295.
327. Se il luogo della nascita del figlio legittimato è diverso da quello, in cui, a
termine dell’articolo 322, dovranno essere registrate le sovraddette dichiarazioni, un
autentico estratto delle medesime sarà dato dal pubblico uffiziale, e sarà poi fatto inserire
nei registri, ove trovasi iscritto l’atto di nascita, in margine del quale se ne dovrà far
menzione.
328. Se il pubblico ufficiale, che riceve le suddette dichiarazioni, è anche depositario de’ registri, ne’ quali è iscritto l’atto di nascita del figlio legittimato, sarà tenuto a far
menzione delle stesse dichiarazioni in margine all’atto di nascita.
329. Quando il matrimonio susseguente è stato celebrato in estero paese, la dichiarazione, di cui sopra, dovrà farsi innanzi al pubblico ufficiale del luogo del domicilio de’
conjugi. In questo caso dovrà presentarsi copia autentica dell’atto di matrimonio, e di
quello di nascita del figlio legittimato. Che se l’atto di nascita non si può presentare, vi
dovrà essere supplito dai dichiaranti coll’indicazione delle circostanze accennate nell’articolo 317.
330. In caso di legittimazione per rescritto del Principe, la persona che lo avrà ottenuto dovrà presentarlo al pubblico ufficiale del luogo del suo domicilio. Questi lo trascriverà per intiero ne’ registri degli atti di nascita facendone menzione in margine all’atto
di nascita del figlio legittimato, se questo di trova ne’ suoi registri.
Se il luogo della nascita del figlio sarà diverso da quello del domicilio dell’impetrante, avrà luogo la disposizione dell’articolo 327.
331. Negli stessi registri degli atti di nascita del luogo del domicilio dell’adottante
si dovrà trascrivere l’atto dell’adozione, che sarà presentato da una delle parti interessate
al pubblico ufficiale, da cui verrà unito ai registri.
332. La presentazione del rescritto di legittimazione, e quella dell’atto di adozione
dovrà farsi entro due mesi dal giorno dell’adozione, e del rescritto, altrimenti l’una e
l’altra rimarranno senza effetto.
CAPO IV Della forma particolare de’ registri di morte
333. Non si dà sepoltura se non previa la permissione del pubblico ufficiale, che
dovrà accordarla in iscritto, e senza spesa. Questi però dovrà prima trasferirsi nel luogo
dov’è il corpo del defunto per assicurarsi della morte, e lasciare scorrere ore ventiquattro
dalla morte medesima, a riserva de’ casi indicati dai pubblici regolamenti.
334. La dichiarazione di morte vien ricevuta dal pubblico ufficiale in seguito delle
deposizioni di due testimonj, i quali, se è possibile, saranno due prossimi parenti, o due
vicini. Se la persona sia morta fuori del proprio domicilio, quegli, nella di cui casa morì,
ed un altro qualunque di ciò informato, ne fanno la dichiarazione.
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335. La detta dichiarazione contiene il nome, cognome, domicilio, l’età, e professione del defunto; il nome, e cognome del conjuge, o premorto, o superstite; il nome,
cognome, l’età, la professione, e il domicilio de’ dichiaranti, ed il grado di loro parentela
col defunto.
Contiene inoltre per quanto si potranno sapere i nomi, cognomi, la professione, ed
il domicilio del padre e della madre del defunto, ed il luogo della sua nascita.
336. Allorché verrà presentato all’ufficial pubblico il cadavere di un neonato, di cui
prima non sia stata registrata la nascita, malgrado l’asserzione che si facesse da’ conjugi,
o da altri che il fanciullo sia nato vivo, egli non dovrà che far processo dello stato, in cui
lo trova, coll’aggiungere la dichiarazione de’ testimonj, che depongono del nome,
cognome, domicilio, e della professione del padre e della madre del fanciullo, e l’indicazione dell’anno, del giorno, e dell’ora, in cui il fanciullo si asserirà nato.
Questo processo non porterà pregiudizio alla questione dell’essere, o no nato vivo il
bambino.
337. In caso di morte negli spedali militari, o civili, ed in altre case di pubblica beneficenza, i superiori, direttori, amministratori di queste saranno tenuti di darne l’avviso
entro ventiquattr’ore al pubblico ufficiale, il quale vi si trasferirà per assicurarsi della
morte, e ne formerà l’atto in conseguenza delle dichiarazioni, che gli saranno fatte, e
delle informazioni, che avrà prese intorno alle circostanze, di cui nell’articolo 335.
Nei detti spedali e nelle dette case si terranno registri destinati ad inscrivere queste
dichiarazioni ed informazioni.
L’ufficial pubblico trasmetterà l’atto di morte all’ufficiale dell’ultima abitazione
della persona defunta, il quale lo inscriverà nei registri.
338. Apparendo segni, o indizj di morte violenta, od essendovi luogo a sospettarla
per altre circostanze, non si potrà seppellire il cadavere se non dopo che il pubblico
ministero, o un ufficiale di buongoverno assistito da un medico o chirurgo abbia compilato il processo sullo stato del cadavere, e sulle circostanze relative, come anche su le
notizie, che avrà potuto raccogliere intorno al nome, cognome, luogo di nascita, e intorno
all’età, professione, e abitazione del defunto.
339. Chi avrà compilato siffatto processo dovrà tosto comunicare al pubblico ufficiale del luogo, dove sarà morta la persona, tutte le notizie enunciate nel processo
medesimo, in vista delle quali si stenderà l’atto di morte.
Il pubblico ufficiale ne trasmetterà una copia a quello dell’ultima abitazione, se è
nota, che avea la persona defunta. Questa copia sarà inscritta nei registri.
340. I cancellieri criminali dovranno entro ventiquattr’ore dall’esecuzione di una
sentenza di morte comunicare al pubblico ufficiale del luogo, in cui il condannato avrà
subita la pena, tutte le notizie enunciate nell’articolo 335, in conformità della quale
comunicazione egli scriverà l’atto di morte.
341. Morendo alcuno nelle prigioni, ovvero nelle case di arresto e di detenzione, ne
sarà dato immediatamente avviso dai carcerieri o custodi al pubblico ufficiale, il quale vi
si trasferirà, e compilerà l’atto di morte nelle forme prescritte dall’articolo 337.
342. In qualunque caso o di morte accaduta ne’ luoghi indicati nell’articolo antecedente, o di esecuzione di sentenze di morte, non si farà ne’ registri alcuna menzione di
tali circostanze, e gli atti di morte saranno semplicemente compilati nella forma prescritta dall’articolo 335.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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343. Quando fosse stato sepolto un cadavere senza la previa licenza del pubblico
uffiziale non potrà essere ricevuto l’atto di morte sui pubblici registri se non dopo
sentenza del pretore del luogo pronunciata ad istanza delle parti interessate. La sentenza
dovrà essere inserita nei registri.
REGIE LETTERE PATENTI CON LE QUALI CARLO ALBERTO RE DI SARDEGNA,
APPROVA L’ANNESSO REGOLAMENTO PER LA TENUTA DEI REGISTRI
DESTINATI AD ACCERTARE LO STATO CIVILE, IN DATA 20 GIUGNO 1837.
Regolamento per la tenuta de’ registri destinati ad accertare lo stato civile
CAPO I Dei registri tenuti dai Paroci
Art. 1. I registri parochiali di nascita, battesimo, matrimonio e morte debbono essere tenuti in modo uniforme in tutti i dominii continentali di Sua Maestà. A quest’effetto i
paroci si serviranno dei registri che loro saranno rimessi dai rispettivi Ordinari diocesani,
cui il Reale governo li farà a tal uopo giungere, stampati in carta libera a spese de’
Comuni. Siffatti registri saranno vidimati dagli Ordinari medesimi, o dalla loro Curia
ecclesiastica, e dai Prefetti dei tribunali, o da chi ne fa le veci, ed in essi i paroci iscriveranno in doppio registro originale le nascite, i matrimoni ed i decessi, riempiendo a
penna i vacui dei relativi esemplari.
2. Gli atti saranno iscritti sul doppio registro senza interruzione, e senza alcuno
spazio; vi si esprimerà non in cifre numeriche, ma con lettere l’anno, il mese, il giorno e
l’ora dei rispettivi atti di nascita, matrimonio e decesso: altrettanto si praticherà se
occorra di notare qualunque altra data nel corpo degli atti suddetti.
3. Ciascun atto sarà sottoscritto dalle parti, o dai dichiaranti, non che dai testimoni
nei casi in cui sono necessari, e dal paroco o da chi ne fa le veci. Se taluno non sapesse o
non potesse scrivere si farà ciò risultare da apposita dichiarazione.
4. Nel riempire a penna i vani non si faranno abbreviazioni, si eviteranno per quanto si può le cancellazioni e le postille: ed in caso di necessità le prime si faranno in modo
che possa leggersi quanto fu cancellato, e le seconde si porteranno non in margine, ma a
piedi dell’atto, ed avanti le sottoscrizioni, dopo le quali non sarà lecito aggiungerne altre.
5. Negli atti succennati non si potrà inserire alcuna cosa sia per annotazione, sia per
qualsivoglia indicazione oltre ciò che si è prescritto.
6. I testimoni che sarà necessario adoperare pe’ medesimi atti saranno per quanto è
possibile scelti fra maschi, e maggiori di età.
7. In fine di ogni anno i registri come sopra formati saranno chiusi e sottoscritti dal
paroco rispettivo: dentro il mese il paroco trasmetterà uno dei due registri originali, ed
insieme una copia di essi all’Ordinario diocesano, il quale, conservata la copia nella sua
cancelleria, invierà entro il mese successivo l’originale al Prefetto della provincia. Il
paroco dovrà nella copia attestare di averla collazionata, e di essere conforme all’originale.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
8. Qualunque persona sarà in circostanza di richiedere alcun estratto di questi registri, dovrà indirizzarsi al paroco che glielo spedirà in carta libera, secondo la modula
contenuta negli esemplari in stampa.
9. Non sarà lecito di procedere a rettificazione di alcuno degli atti di nascita, matrimonio e morte senza che sia presentata la sentenza del tribunale ecclesiastico o civile,
secondo che le rettificazioni riguarderanno materia di rispettiva loro competenza, colla
quale sentenza venga la rettificazione ordinata in contraddittorio degli interessati: tale
sentenza non potrà in alcun caso nuocere a quelli che non furono né chiamati, né sentiti.
10. Le sentenze di rettificazione, di cui dovranno presentarsi al paroco due copie
autentiche, verranno da esso unite a ciascun doppio del registro corrente ed in fine di
esso. Il paroco farà in margine dell’articolo rettificato menzione della sentenza colla
indicazione del registro nel quale verrà inserita, senza cancellare né variare in alcuna
parte l’articolo del medesimo. Qualora il doppio del registro che contiene l’articolo da
rettificare, già si fosse trasmesso al Prefetto, eguale annotazione ed inserzione farà egli
eseguire in detto registro della sentenza pronunziata dal Tribunale sì civile che ecclesiastico.
11. Si uniranno pure dal paroco al registro corrente le fedi autentiche trasmessegli
dal Reale Governo in prova della morte di persone domiciliate nella di lui parochia, o
della nascita dei loro figli, avvenute entrambe all’estero, all’armata, od a bordo di
qualche bastimento. Similmente si unirà copia di dette fedi al fine del doppio del registro, da rimettersi come si è già indicato, e tanto sull’uno che sugli altri degli stessi
registri si farà menzione delle fedi sopra espresse colla data del giorno in cui il paroco le
avrà ricevute.
12. Negli atti di nascita si noteranno il giorno, l’ora ed il luogo della nascita, e del
battesimo, il sesso del neonato, i nomi che gli saranno stati imposti, i nomi, cognomi, la
professione ed il domicilio del padre e della madre, del padrino e della madrina.
13. Il padre, se intervenga al battesimo, o chi in suo nome si presenterà al paroco,
dovrà indicare la nascita. In mancanza di ambedue sarà indicata da quella persona da cui
il paroco sarà stato richiesto dell’amministrazione del battesimo.
14. Quando non sarà conosciuto il padre in dipendenza di legittimo matrimonio, se
non vi sarà espressa dichiarazione del medesimo non si potrà mai inserire riguardo alla
paternità la dichiarazione altrui, nemmeno quella della madre. In ciò per altro che
riguardo i matrimoni segreti detti di coscienza, e la nascita della prole da essi proveniente, non s’intendono punto innovate le regole vigenti; potrà bensì il Vescovo, quando
giudicherà non essere più necessario che tali matrimoni siano segreti, ordinare l’inserzione dei loro atti e delle rispettive nascite nei registri parochiali.
15. Se la nascita seguirà negli ospedali, ospizi, carceri, o altre case di ricovero e di
detenzione, il paroco nella di cui parochia si trovano siffatti stabilimenti riceverà la
dichiarazione che gli verrà fatta a diligenza del rettore, o preposto dei medesimi.
16. Il paroco cui venga presentato un neonato esposto, quando non gli consti essere
stato già battezzato nelle forme prescritte dalla Chiesa, deve far risultare negli atti del
battesimo il nome che gli sarà imposto con relazione al processo verbale che dovrà
essersi fatto dal sindaco, e la di cui copia dovrà unirsi ai registri. L’esecuzione però di
questi ed altri simili atti non deve mai impedire la sollecita amministrazione del battesimo nel caso in cui il neonato si trovasse in pericolo di morte.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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17. Presentandosi dal padre o dalla madre al paroco del loro domicilio l’estratto debitamente legalizzato dell’atto di nascita di un loro figlio accidentalmente nato e battezzato in altra parochia, si trascriverà da esso ne’ suoi registri sotto la data del giorno, nel
quale il suddetto estratto gli sarà presentato, e si farà menzione sul registro, o in principio
od in margine dell’atto, della persona che lo avrà presentato e del giorno della presentazione.
18. Negli atti di matrimonio si esprimerà:
1°. I nomi, cognomi, l’età, il luogo di nascita, ed il domicilio degli sposi;
2°. Se siano figli di famiglia maggiori, o minori;
3°. I nomi, cognomi, ed il domicilio del padre e della madre;
4°. Il consenso dei padri e delle madri, o di quelli che saranno in loro luogo,
ove ne consti al paroco;
5°. Se abbiano preceduto le pubblicazioni secondo le leggi ecclesiastiche, o se
siano state dispensate in tutto od in parte;
6°. Se vi sia intervenuta qualche altra pubblica dispensa canonica pel foro esterno;
7°. I nomi, cognomi, l’età ed i domicili dei testimoni, alla di cui presenza si
sarà celebrato il matrimonio.
19. Se il matrimonio avesse a celebrarsi fuori della parochia dello sposo e della
sposa in dipendenza di legittima delegazione, il paroco, nella di cui parochia seguirà tal
matrimonio, lo descriverà nel suo registro esprimendo da chi sarà stata fatta la delegazione, e dentro otto giorni dalla celebrazione del matrimonio ne spedirà l’estratto a spese
delle parti al paroco del loro domicilio, il quale lo descriverà ne’ suoi registri nel modo
indicato nell’art. 17, nulla però innovandosi delle regole vigenti, come si avvertì all’art.
14, in quanto ai matrimoni detti di coscienza.
20. Venendo presentata al paroco da persone che si stabiliscano nella sua parochia,
la fede debitamente legalizzata del loro matrimonio seguito all’estero giusta i riti della
Santa Chiesa, dovrà lo stesso paroco inserirla in fine del registro corrente uniformandosi
a quanto si è prescritto nell’art. 11.
21. Non si darà sepoltura che dopo scorse almeno ventiquattr’ore dalla morte; e dopo quarant’otto se la medesima sia accaduta improvvisamente per causa interna: avuto
riguardo in ogni caso ai regolamenti di polizia, e specialmente a quelli che vietano di
seppellire coloro i quali si sospetta essere periti di morte violenta, se non dopo che il
Giudice avrà eseguiti gli atti che gl’incumbono.
22. L’atto di morte esprimerà il nome, cognome, l’età, la professione, ed il domiclio del defunto; il nome e cognome del coniuge superstite se la persona mancata ai vivi
era congiunta in matrimonio; o del coniuge predefunto se era vedova; e per quanto si
potrà sapere, i nomi, cognomi, professione, ed il domicilio del padre e della madre del
defunto suddetto, il luogo della sua nascita, e finalmente se la morte sia stata preceduta
dall’amministrazione dei SS. Sacramenti, non che il giorno ed il luogo della sepoltura.
23. Si esprimerà eziandio nell’atto il giorno, l’ora ed il luogo del decesso dietro dichiarazione che ne sarà fatta al paroco da due testimoni che verranno pure indicati
nell’atto.
24. I decessi che seguiranno negli spedali, carceri ed altri luoghi di ricovero, o di
detenzione saranno notati nei registri dal paroco, nella di cui parochia trovansi tali
stabilimenti, sulla dichiarazione che gli verrà fatta a diligenza dei rettori o preposti dei
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medesimi. Nel caso di morte violenta, o di morte occorsa nelle prigioni e case di arresto,
o di esecuzione della sentenza di morte, non si farà nei registri menzione alcuna di tali
circostanze.
25. Quanto ai decessi che sieguono nelle case religiose i rispettivi superiori di esse
terranno i registri nella stessa forma prescritta pei paroci, e ne faranno la remissione
ingiunta all’art. 7.
26. Nel caso in cui un neonato per difetto di battesimo, od un adulto cattolico non
potesse godere della sepoltura ecclesiastica, il paroco del luogo ne stenderà l’atto con
tutte le indicazioni prescritte negli articoli 22 e 23 in un registro distinto dagli altri e non
stampato, sulla dichiarazione che gli verrà fatta dal capo di casa, o in mancanza di lui, da
uno della famiglia, ed in difetto di questo dai vicini di abitazione. Lo stesso si osserverà
nella morte di una persona non cattolica in una Città o Comunità, in cui l’esercizio della
sua religione non fosse tollerato.
27. Qualora occorra una nascita in una delle famiglie contemplate nell’ultimo periodo dell’articolo precedente, sulla dichiarazione che dovrà farsi dal padre, od in mancanza di lui dal capo o da altro individuo della casa, ed in difetto di questo, dai vicini, il
paroco del luogo della nascita n’estenderà l’atto sul registro accennato nell’articolo
suddetto con tutte le indicazioni prescritte nell’articolo 12, ad eccezione di quelle relative
al battesimo.
Il paroco dovrà rimettere all’Ordinario diocesano in un col doppio e colla copia degli altri registri anche due copie da lui certificate conformi all’originale di questo registro
particolare per gli atti di nascita e morte che avesse estesi nell’anno a mente del presente
articolo, e del precedente; una delle quali copie sarà parimente dall’Ordinario trasmessa
al Prefetto.
CAPO II Degli atti di nascita matrimonio e morte
non compresi nei registri tenuti dai paroci
28. Nascendo qualche fanciullo ne’ Corpi dell’esercito in ispedizione militare, sia
entro che fuori dei Regii Stati, l’atto di nascita verrà esteso nel modo, e dalla persona che
sarà ordinato nei regolamenti militari, e conterrà per quanto sia possibile le indicazioni
prescritte dagli articoli 12, 13, 14 del capo I, e sarà sottoscritto dal dichiarante, se sa
scrivere, e dall’estensore.
29. Gli atti di morte de’ militari ed altre persone addette ad un corpo militare, od al
seguito di esso in ispedizione come sovra, sia entro, sia fuori de’ Regii Stati, saranno
parimente estesi dalla persona incaricata dei registri nel regolamento militare, sulla
dichiarazione dell’Ufiziale di sanità che avrà proceduto alla ricognizione del cadavere, o
di quell’altro Ufiziale che, secondo le circostanze, fosse delegato a tale oggetto, e sulla
deposizione altresì dei testimoni che attesteranno la morte, e, se è possibile, l’identità
dell’individuo. Conterranno, per quanto si potrà, tali atti le indicazioni prescritte dagli
articoli 22 e 23 del capo I, e saranno sottoscritti da chi estenderà l’atto, non meno che dal
dichiarante e dai testimoni e si farà menzione degli illetterati.
30. Copia di ciascuno degli atti di nascita e di morte di cui né due precedenti articoli, sarà trasmessa dal Comandante del Corpo alla Regia Segreteria di Guerra, la quale la
farà pervenire in due esemplari al paroco per l’inserzione prescritta nell’art. 11.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
161
31. Contraendosi matrimonio da’ militari avanti il cappellano del loro Corpo, ove
vi sia autorizzato, il cappellano ne stenderà l’atto in conformità dell’art. 18 del capo I, e
ne trasmetterà per mezzo del Comandante del Corpo copia da lui autenticata alla Regia
Segreteria di Guerra, dalla quale saranno spediti due esemplari, come sovra, al paroco
del domicilio dell’uno o dell’altro degli sposi per l’inserzione nei registri a termini dell’art. 19 del capo I.
32. Nascendo qualche fanciullo a bordo di un bastimento, sarà cura dell’Uffiziale
comandante il legno, e del capitano o patrone di far adempiere ai doveri di religione, e si
formerà quindi l’atto di nascita entro le ventiquattr’ore alla presenza del padre, qualora
ivi si trovi, e di due testimoni presi tra gli Ufiziali del bastimento, ed in mancanza di
questi tra le persone dell’equipaggio.
L’atto verrà esteso su’ bastimenti della Regia marina dal Commissario di Marina o
da chi ne fa le veci, e su’ bastimenti di commercio dal capitano o patrone, o da chi verrà
da lui commesso, e si osserveranno nell’estenderlo le disposizioni degli articoli 12, 13,
14 del capo I; sarà inoltre l’atto sottoscritto dal padre, qualora sia presente, e dai testimoni, e se sono illetterati se ne farà menzione; esso verrà pure sottoscritto dall’estensore.
L’atto sarà conservato fra le carte più importanti di bordo, e sarà fatta menzione di esso
sul giornale di bordo, e sul ruolo di equipaggio.
33. Accadendo la morte di un individuo a bordo di un bastimento nazionale, se ne
stenderà pure l’atto entro le ventiquattr’ore, cioè, sui bastimenti della Regia Marina del
Commissario di Marina o da chi ne fa le veci, e sui bastimenti di commercio dal capitano
o patrone, o da chi verrà da lui commesso, alla presenza in tutti i casi di due testimoni
presi fra gli Ufiziali del bastimento, ed in loro mancanza fra le persone dell’equipaggio.
L’atto verrà steso secondo il disposto degli articoli 22 e 23 del capo I, e sottoscritto
dai testimoni che potranno scrivere, e dall’estensore; e sarà tale atto conservato e ne sarà
fatta menzione nello stesso modo che vien prescritto nell’articolo precedente.
34. Nel primo porto ove approderà il bastimento tanto per prender fondo, quanto
per qualunque altra causa, fuori quella di disarmamento, il Commissario di Marina o chi
ne fa le veci, il capitano o patrone i quali avranno formati atti di nascita o di morte a
mente de’ due articoli precedenti, saranno tenuti di depositare copia autentica di ciascuno
di essi, se in un porto dello Stato all’autorità marittima locale, e se in un porto straniero
al Regio Agente Consolare.
L’autorità locale che avrà ricevuta detta copia dentro il territorio dello Stato, la trasmetterà al Consiglio Superiore di Ammiragliato, dal quale sarà conservata ne’ suoi
archivi, e ne saranno trasmessi due esemplari, se per gli atti di nascita al paroco del
domicilio del padre ove questi sia conosciuto, od a quello del domicilio della madre; se
per gli atti di morte, al paroco del domicilio del defunto, per l’inserzione prescritta
nell’art. 11 del capo I.
Seguendo la rimessione della copia ad un Regio Agente Consolare, questi la conserverà ne’ suoi archivi, e ne trasmetterà due esemplari alla Regia Segreteria di Stato per
gli affari esteri, per essere indiritti al paroco, come sovra.
35. Arrivando il bastimento in un porto di disarmamento, l’atto di nascita o di morte sarà depositato presso l’autorità marittima, e questa ne trasmetterà un esemplare al
Consiglio superiore di Ammiragliato, il quale lo riterrà ne’ suoi archivi, e ne farà pervenire altri due esemplari al paroco, qualora non gli fossero ancora stati trasmessi a termini
dell’articolo precedente.
162
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
36. Gli atti di nascita e di morte dei Regii sudditi occorse all’estero potranno essere
formati dai Regii Agenti Consolari, che dovranno estenderli sovra un registro a ciò
specialmente destinato in presenza di due testimoni per quanto possibile Regii sudditi.
Si osserveranno per gli atti di nascita le disposizioni degli articoli 12, 13, 14, e per
gli atti di morte quelle degli articoli 22 e 23 del capo I.
37. All’estero ne’ luoghi ove esistono pubblici stabilimenti de’ registri di nascita e
di morte, l’estratto di simili atti riflettenti i Regii sudditi potrà essere presentato al Regio
Agente Consolare affinché ne estenda sul detto registro il verbale di presentazione in cui
trascriverà l’estratto suddetto.
Il verbale sarà esteso in presenza di due testimoni come sovra, i quali sottoscriveranno con chi presentò l’estratto, e se sono illetterati, se ne farà menzione. Il Regio Agente
Consolare unirà al suo registro l’estratto originale, e sottoscriverà parimente il verbale.
38. Due copie autentiche di ciascuno degli atti di nascita o di morte, di cui nell’art.
36, o del verbale, di cui nel precedente art. 37, saranno nei tre mesi successivi alla
formazione dei medesimi trasmessi dal Regio Agente Consolare alla Regia Segreteria di
Stato per gli affari esteri, che farà pervenire gli atti di nascita, o verbale relativo al paroco
del domicilio del neonato, e se quello sarà ignoto, al paroco del domicilio della madre, e
quelli di morte al paroco del domicilio del defunto.
39. Ne’ Comuni, in cui un culto non cattolico è tollerato, il ministro di tal culto terrà parimente i registri in doppio, e stampati, che gli verranno somministrati alla diligenza
degli Intendenti per iscrivervi gli atti di nascita, di matrimonio, e di morte dei non
cattolici del rispettivo circondario.
Il ministro si uniformerà per gli atti di nascita a quanto è stabilito negli articoli 12,
13 e 14 del capo I, e per gli atti di morte al disposto degli articoli 22 e 23 dello stesso
capo, e riguardo agli atti di matrimonio avvertirà di iscrivervi, oltre le indicazioni prescritte nei quattro primi numeri, e nel settimo dell’art. 18, tutte quelle altre che comproveranno la celebrazione del matrimonio secondo i riti del loro culto, i regolamenti e gli
usi che li riguardano.
In fine di ciascun anno, i detti registri saranno chiusi dal ministro, e verrà da lui il
doppio trasmesso al Prefetto della provincia nel mese di gennaio successivo.
40. In ciascuna università israelitica, il rabbino, o chi ne fa le veci, dovrà pure tenere i registri per gli atti di nascita, di matrimonio e di morte degli individui che professano
il culto israelitico.
Ciascun atto di nascita, di matrimonio o di morte conterrà le stesse indicazioni prescritte nell’articolo precedente, eccettuate quelle che si riferiscono al battesimo.
41. I registri verranno chiusi in fine dell’anno dal detto rabbino, o da chi ne fa le
veci, ed il doppio ne sarà da lui consegnato al Prefetto della provincia nel mese di
gennaio successivo.
DECRETO 31 OTTOBRE 1860, N. 111, SERIE 92, EMANATO DAL REGIO
COMMISSARIO GENERALE STRAORDINARIO PER LE PROVINCE DELL’UMBRIA
Art. 1. I titoli V e VI sul matrimonio e XIII sugli atti dello stato Civile, contenuti
nel progetto di Revisione del Codice Civile Sardo proposto dalla Commissione apposita,
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
163
sono mandati pubblicare, per aver effetto, come appresso, nelle Province amministrate da
questo Regio Commissario Generale.
2. In ogni Comune dell’Umbria le già nominate Commissioni di Statistica, in unione col capo del Municipio, dovranno immediatamente occuparsi d’istituire un Ufficio di
Stato Civile, ove cominceranno a registrarsi gli atti a datare dal primo del prossimo
Decembre secondo le norme stabilite nei titoli predetti.
3. Le module per i Registri degli atti suddetti e le istruzioni per la formazione degli
Ufficj saranno prima di detta epoca fatte pervenire da questo Regio Commissariato a
ciascun Comune; e questi saranno tenuti al rimborso delle spese a tale oggetto occorrenti.
4. I Parrochi e Direttori di pubblici istituti, e tutti coloro i quali finora hanno tenuti i
registri di Stato Civile sono obligati entro otto giorni da quello della pubblicazione del
presente Decreto a depositare negli archivj dei respettivi Municipj da cui dipendono, tutti
i registri e carte relative agli atti suddetti, compresi i registri di Stati d’anime da essi
annualmente compilati.
5. Le nascite e le morti, nonché i matrimonii che avverranno dal giorno della presente pubblicazione fino al primo del prossimo Decembre potranno essere inscritte, non
ostante le prescrizioni degli Art. 463 e 486 del detto titolo XIII, nei primi cinque giorni
del mese stesso.
6. Quanto agli atti di matrimonio, che si dovessero celebrare sollecitamente, le
pubblicazioni che, a forma degli Art. 133 e seguenti del detto Titolo VI, dovrebbero farsi
per cura dell’Ufficiale di stato civile, si faranno nelle Domeniche di Novembre a cura del
respettivo Capo del Municipio, osservate le norme dagli Articoli stessi prescritte.
È ordinato che il presente Decreto sia inserto nella Raccolta degli Atti Ufficiali del
Regio Commissario Generale mandando a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
REGIO DECRETO PER L’ORDINAMENTO DELLO STATO CIVILE
DEL 15 NOVEMBRE 1865, N. 2602
TITOLO II Delle norme generali relative ai registri ed agli atti dello stato civile
Art. 14 In ciascun ufficio di stato civile si debbono tenere i seguenti registri:
1°. Di cittadinanza;
2°. Di nascita;
3°. Di matrimonio;
4°. Di morte.
15. I registri debbono essere in tutto il regno conformi al modello annesso al presente regolamento.
16. Il sindaco di ogni comune trasmette nell’ottobre di ciascun anno al presidente
del tribunale i registri occorrenti per l’anno successivo perché siano vidimati.
Il presidente ha cura che i registri siano tosto vidimati e restituiti al sindaco entro i
primi quindici giorni di dicembre.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
17. Gli atti dello stato civile iscritti sui registri debbono in margine e di contro la
prima linea portare un numero d’ordine progressivo, e sotto il numero il nome e cognome della persona cui l’atto si riferisce.
18. Il primo atto che si riceve in un registro deve essere steso immediatamente dopo
la menzione fatta dal presidente o dal giudice delegato del numero dei fogli di cui si
compone il registro.
Gli altri atti sono stesi di seguito sul registro, senza alcuno spazio in bianco.
Qualora nell’atto una linea non rimanga scritta per intero, sarà alla presenza delle
parti e dei testimoni coperta con una riga d’inchiostro.
19. Qualunque quantità che si voglia esprimere con cifre numeriche sarà scritta in
lettere per disteso come le date.
20. I registri debbono essere scritti con carattere chiaro senza abbreviature, raschiature o parole sovrascritte ad altre, sia nella linea sia nello spazio intermedio alle linee.
Occorrendo di cancellare, variare od aggiungere una o più parole all’atto, l’ufficiale
dello stato civile circonderà le parole che si vogliono cancellare con una linea per modo
che le medesime possano in ogni tempo essere lette, noterà le variazioni o aggiunte appiè
dell’atto per postilla, e dichiarerà il numero delle parole cancellate e delle postille fatte
prima delle sottoscrizioni dei dichiaranti e dei testimoni.
21. I due originali saranno sottoscritti contemporaneamente dalle parti, dai testimoni e dall’ufficiale dello stato civile. La firma apposta dall’ufficiale dello stato civile
chiude l’atto. L’atto chiuso non può più essere variato.
22. Quando la legge richiede in modo espresso l’intervento del segretario comunale, questo deve anche firmare l’atto ricevuto dopo l’ufficiale dello stato civile.
23. L’ufficiale dello stato civile, quando riceve un atto, deve dichiarare la sua qualità. Se egli non è il sindaco, deve anche enunciare se riceve l’atto per assenza o per
impedimento di lui, ovvero se per delegazione avuta, nel qual caso indicherà la data
dell’atto di delegazione.
24. Se dopo aver ricevuto una dichiarazione sopravvenga una causa qualunque che
impedisca il compimento dell’atto, l’ufficiale dello stato civile deve fare menzione della
causa per la quale l’atto rimane incompleto, e delle circostanze speciali del caso.
25. I documenti, di cui occorre fare menzione nello stendere gli atti dello stato civile, debbono enunciarsi con precisione, indicandone la qualità, la data, l’autorità da cui
emanarono, e quelle altre particolarità che secondo i casi valgono a bene designare il
documento.
26. La trascrizione degli atti sopra i registri dello stato civile si compie in due modi,
o trascrivendo l’atto esattamente e per intero sopra ambedue i registri originali, oppure
inserendo il medesimo nel volume degli allegati. In questo secondo caso si fa constare
l’inserzione con un processo verbale steso sopra ambidue i registri originali. La trascrizione si opera nel primo degli accennati modi soltanto quando sia espressamente ordinata.
27. La trascrizione può essere chiesta da un privato che vi abbia interesse o dall’autorità governativa per mezzo del procuratore del Re. L’ufficiale dello stato civile farà in
ogni caso constare da chi gli provenga la richiesta.
28. Quando l’atto è scritto in lingua straniera, se ne trascrive la traduzione in lingua
italiana.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
165
29. Il mattino del primo gennaio di ciascun anno l’ufficiale dello stato civile stende
su ciascun registro ed immediatamente dopo l’ultimo atto il processo verbale, con cui
dichiara chiuso il registro, indicando quale sia il numero degli atti iscritti su ciascuno dei
medesimi.
30. Chiusi i registri, egli forma tosto per ciascuno di essi un indice in ordine alfabetico dei cognomi di coloro, cui gli atti si riferiscono in conformità del modello annesso al
presente regolamento, per essere depositato entro i primi quindici giorni di gennaio coi
registri stessi negli archivi del comune e presso la cancelleria del tribunale.
31. Oltre l’indice annuale sarà compilato, nel gennaio dell’anno successivo ad ogni
decennio, un indice dei dieci anni precedenti in doppio esemplare, giusta il modello
annesso al presente regolamento. Uno degli esemplari viene depositato negli archivi
dello stato civile del comune, e l’altro si trasmette al procuratore del Re. Nei comuni, in
cui vi sono più uffici di stato civile, l’indice decennale comprende i registri di tutti gli
uffici.
32. Se nel corso dell’anno l’ufficiale dello stato civile riconosce che qualche registro non è sufficiente alla registrazione degli atti sino al trentuno dicembre, trasmette un
supplemento di registro in doppio esemplare al presidente del tribunale perché ne faccia
la vidimazione. Il presidente fa espressa menzione nell’intestatura del registro che questo
è un supplemento ad altro registro corrispondente.
33. Il registro suppletivo si pone in uso solo dopo esaurito il registro principale.
L’ufficiale dello stato civile stende immediatamente dopo l’ultimo atto del registro
principale il processo di chiusura nel modo stabilito dall’articolo 29, enunciando inoltre
che al registro sussegue un supplemento. La serie progressiva dei numeri con cui
sono segnati in margine gli atti del registro principale, viene continuata nel registro
suppletivo.
34. Se il giudice istruttore ordina il trasporto dei registri all’ufficio di istruzione,
l’ufficiale dello stato civile si provvede tosto dei registri suppletivi secondo le norme
segnate dagli articoli precedenti.
Appena riavuto il registro principale, chiude il registro suppletivo e riscrive di nuovo gli atti successivi sul registro principale, continuando sempre la serie progressiva dei
numeri con cui gli atti sono segnati in margine.
35. Se nella tenuta dei registri si verifica una mancanza od una interruzione,
l’ufficiale dello stato civile ne fa tosto avvertito il procuratore del Re, perché vi possa
provvedere.
36. Se i due originali registri di una stessa classe che trovansi in corso vanno smarriti o distrutti, l’ufficiale ne avverte tosto il procuratore del Re, ed intanto si provvede,
secondo le norme sopra stabilite, di due nuovi registri originali per ricevere gli atti
successivi.
37. Se uno degli originali in corso va smarrito o distrutto, il procuratore del Re
provvede perché sotto la vigilanza del pretore venga fatta una copia esatta dell’originale
che ancora si conserva. Nello stesso modo si provvede dal procuratore del Re, quando
vada o smarrito l’originale già depositato presso la cancelleria. Se viene smarrito o
rimane distrutto l’originale già depositato negli archivi del comune, la copia da estrarsi
dall’originale depositata presso la cancelleria viene fatta sotto la vigilanza di un giudice
delegato dal presidente del tribunale.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
TITOLO IV Dei registri di cittadinanza
Art. 44. Nei registri di cittadinanza si ricevono:
1°. Le dichiarazioni di chi, essendo reputato straniero, può eleggere la cittadinanza italiana;
2°. Le dichiarazioni di chi, essendo riputato cittadino italiano, può eleggere la
qualità di straniero;
3°. Le dichiarazioni di rinunzia alla cittadinanza italiana;
4°. Le dichiarazioni di aver fissato o di voler fissare nel regno il domicilio;
5°. Le dichiarazioni di trasferimento di domicilio da un comune ad altro del
regno.
45. Nei detti registri si trascrivono i decreti reali con cui è concessa la cittadinanza.
46. Le dichiarazioni accennate nei numeri 1, 2 e 3 dell’articolo 44 si ricevono
dall’ufficiale dello stato civile della residenza del dichiarante, quando risieda nel regno, e
dagli agenti diplomatici o consolari se si trovi in paese estero.
I detti agenti trasmettono nei tre mesi successivi alla loro data copia delle dichiarazioni da essi ricevute al ministero degli affari esteri, per cura del quale si fanno pervenire
all’ufficiale dello stato civile del luogo dell’ultimo domicilio del dichiarante, od in
mancanza dell’ultimo domicilio del padre.
47. Le dichiarazioni accennate nel numero 4 dell’articolo 44 debbono farsi avanti
all’ufficiale dello stato civile del luogo nel quale il dichiarante ha la sua residenza, o nel
quale intende fissarla.
48. Le dichiarazioni accennate nei numeri 1 e 2 dell’articolo 44 debbono esprimere
le circostanze, per le quali il dichiarante crede di poterle fare.
Il dichiarante deve inoltre provare, colla produzione dell’atto di nascita o di quello
di notorietà, di essere entro l’anno dalla età maggiore determinata secondo le leggi del
regno.
49. La dichiarazione accennata nel numero 4 dell’articolo 44 deve contenere il motivo che la determina, e lo scopo che con essa si vuole raggiungere.
Quando la dichiarazione è fatta da una vedova a norma dell’articolo 14 del codice
civile, la medesima deve provare lo stato di sua vedovanza colla produzione dell’atto di
morte del marito.
50. L’ufficiale dello stato civile prima di trascrivere il decreto della concessa cittadinanza riceve il giuramento dello straniero, osservati i riti speciali della religione da lui
professata, di essere fedele al Re e di osservare lo statuto e le leggi del regno.
L’adempimento di questa formalità deve constare nel processo di trascrizione.
51. Se l’ufficiale viene richiesto della trascrizione del detto decreto quando sono
trascorsi sei mesi dalla data del medesimo, egli deve ricusarsi di ricevere il giuramento e
di registrare il decreto.
TITOLO V Dei registri di nascita
52. Nei registri di nascita si ricevono:
1°. Le dichiarazioni delle nascite;
2°. I processi relativi alla presentazione di bambini trovati;
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
3°.
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I processi di presentazione di bambini, dei quali non fu ancora dichiarata la
nascita, e che vengono portati morti all’ufficio dello stato civile.
53. Nei detti registri si trascrivono
1°. Gli atti di dichiarazione di nascita ricevuti all’estero;
2°. Gli atti di dichiarazione di nascita ricevuti durante un viaggio di mare;
3°. Gli atti di dichiarazione di nascita ricevuti dagli impiegati militari;
4°. Gli atti di dichiarazione di nascita ricevuti dall’ufficiale dello stato civile di
un comune, in cui un bambino nacque accidentalmente;
5°. Le dichiarazioni di consegna di fanciulli ai pubblici ospizii;
6°. Gli atti di riconoscimento di figli naturali;
7°. I decreti di adozione, legittimazione, cambiamento od aggiunta di nome e
cognome, di concessioni di titoli di nobiltà e di predicato;
8°. Le sentenze di rettificazione.
Gli atti accennati nei numeri 1, 2, 3, 4 e 5 debbono essere trascritti esattamente e
per intero.
54. In margine agli atti di nascita si farà annotazione dei decreti di adozione, di legittimazione, di cambiamento od aggiunta di nome e cognome, di concessione di titoli di
nobiltà e di predicato, degli atti di riconoscimento, degli atti di matrimonio e delle sentenze di rettificazione passate in giudicato che riguardano l’atto già inscritto sui registri.
55. Quando l’ufficiale dello stato civile riceve una dichiarazione di nascita senza
che ad un tempo si presenti il neonato, deve far constare il motivo per cui ha dispensato
il richiedente dalla presentazione del medesimo, e dichiarare di essersi altrimenti accertato della verità della nascita.
56. Se il bambino non è vivo al momento della dichiarazione di nascita, l’ufficiale
si limita ad esprimere questa circostanza nell’atto, e tralascia di stendere alcuna dichiarazione di morte nel registro a ciò destinato.
La dichiarazione di morte si stende però nel caso in cui il neonato venga a morire
nell’atto che si dichiara la nascita.
57. L’ufficiale non può tener conto della dichiarazione che dai comparenti si facesse che il bambino sia nato vivo o morto. Può bensì nell’interesse della statistica raccogliere notizie intorno alle varie condizioni dei nati morti, se cioè siano morti prima,
durante, o subito dopo il parto.
58. Nelle dichiarazioni di nascita di bambini, di cui sono ignoti i genitori, l’ufficiale
dello stato civile impone ai medesimi un nome ed un cognome, evitando che siano
ridicoli o tali da lasciar sospettare l’origine.
Deve del pari astenersi dal dar loro cognomi appartenenti a famiglie conosciute, e
dall’imporre cognomi come nomi o nomi di città come cognomi.
59. Trattandosi di bambini trovati o nati da genitori ignoti, i quali debbono portarsi
ad un pubblico ospizio, l’ufficiale dello stato civile indica nell’atto l’ospizio cui sono
mandati, e rimette alla persona di ciò incaricata una copia della dichiarazione di nascita,
perché sia consegnata al direttore dello stabilimento insieme col bambino e cogli altri
oggetti e contrassegni ritrovati presso il medesimo. Il direttore dello stabilimento fa
iscrivere almeno sommariamente l’atto nei registri dello stabilimento.
60. L’ufficiale a cui si presenti una persona per dichiarare una nascita dopo il termine dei cinque giorni fissati dalla legge o che venga egli stesso a conoscere la omessa
denunzia, deve farne rapporto al procuratore del Re.
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Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
61. L’ufficiale dello stato civile, che fu autorizzato con sentenza a ricevere la dichiarazione tardiva di nascita, trascrive sui registri la sentenza coll’atto stesso con cui
riceve la dichiarazione.
TITOLO VI Della celebrazione del matrimonio
CAPO V Dei registri di matrimonio
94. Nei registri di matrimonio si ricevono:
1°. Gli atti di celebrazione del matrimonio;
2°. Le dichiarazioni di riconoscimento dei figli naturali fatte dagli sposi contemporaneamente alla celebrazione del matrimonio.
95. Nei registri di matrimonio si trascrivono:
1°. Gli atti di matrimonio celebrati all’estero;
2°. Gli atti di matrimonio celebrati davanti un altro ufficiale dello stato civile
per delegazione fattagli a norma dell’articolo 96 del codice civile;
3°. Gli atti di matrimonio celebrati davanti un altro ufficiale incompetente, nel
caso espresso nel capoverso dell’articolo 366 del codice civile;
4°. Gli atti di matrimonio celebrati davanti un altro ufficiale competente per la
residenza o il domicilio di uno degli sposi;
5°. Le sentenze passate in giudicato colle quali si annulla un matrimonio, e
quelle con cui si dichiara la sua esistenza a norma degli articoli 121 e 122
del codice civile o si ordina la trascrizione di un atto altrove celebrato, ovvero si rettifica in altro modo un atto di matrimonio già iscritto sui registri.
Gli atti indicati nei numeri 1, 2, 3 e 4 sono trascritti esattamente e per intero.
Gli atti di matrimonio indicati nel numero 3 sono trascritti coll’atto stesso, con cui
si trascrive la sentenza che ordinò la trasmissione della copia.
96. In margine degli atti di matrimonio si fa annotazione delle sentenze di rettificazione passate in giudicato che li riguardano.
97. Il sindaco o chi ne fa le veci deve essere vestito in forma ufficiale per ricevere
la dichiarazione degli sposi, e pronunciare la loro unione in nome della legge.
98. Allo sposo che sia sordo o sordo-muto, ma che sappia leggere, l’ufficiale dello
stato civile presenta il codice civile affinché legga gli articoli 130, 131 e 132.
Lo sposo sordo-muto che sa scrivere deve fare per iscritto la dichiarazione di volere
maritarsi.
99. Se lo sposo sordo o sordo-muto non sa né leggere né scrivere, l’ufficiale dello
stato civile chiama un interprete fra i parenti o famigliari di lui, e fattogli prestare
giuramento, si vale del medesimo per indirizzargli le domande, ricevere le risposte, e
dargli comunicazione delle disposizioni di legge.
L’adempimento di tali formalità si fa constare nell’atto di matrimonio.
100. Quando nell’atto della celebrazione di matrimonio gli sposi intendano riconoscere figli naturali, l’ufficiale dello stato civile riceve la dichiarazione, e la fa constare
nell’atto stesso di matrimonio.
Se l’atto di nascita dei figli fu già ricevuto nei suoi registri, provvede perché sia fatta annotazione del riconoscimento su ambidue gli originali.
101. L’ufficiale dello stato civile, davanti al quale una vedova abbia contratto matrimonio, deve informarne prontamente il pretore.
Gli archivi di stato civile fra passato e futuro. Un excursus normativo
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102. Se uno degli sposi risieda nel distretto di altro ufficiale di stato civile, l’ufficiale che ha celebrato il matrimonio trasmette a lui nel giorno successivo copia autentica
dell’atto di matrimonio, al fine indicato nel numero 4 dell’articolo 95.
103. Quando un ufficiale, valendosi della facoltà concessa dall’articolo 96 del codice civile, richiede un altro ufficiale della celebrazione di matrimonio, deve nella richiesta
esprimere il motivo di convenienza o necessità che lo ha a ciò indotto.
I documenti sono tenuti dall’ufficiale delegante per essere uniti alla copia dell’atto
di matrimonio che gli viene trasmessa nel giorno successivo.
104. L’ufficiale dello stato civile che celebra il matrimonio deve darne prontamente
avviso al procuratore del Re presso il tribunale nella cui giurisdizione trovasi il comune
in cui ciascheduno degli sposi è nato, od in cui fu trascritto l’atto di nascita nei casi
indicati dai numeri 1, 2, 3 e 5 dell’articolo 53.
Se il matrimonio fu celebrato per delegazione, l’avviso viene dato dall’ufficiale delegante, dopo che avrà ricevuto la copia dell’atto di matrimonio di cui nel capoverso
dell’articolo precedente.
Questo avviso deve pure essere dato dagli ufficiali dello stato civile i quali trascrivono un atto di matrimonio celebrato all’estero, ovvero una sentenza passata in giudicato, colla quale si dichiara l’esistenza di un matrimonio.
Il procuratore del Re ricevuto l’avviso provvede tosto a norma dell’articolo 140 per
l’occorrente notazione sui due registri originali delle nascite.
TITOLO VII Dei registri di morte
105. Nei registri di morte si ricevono:
1°. Le dichiarazioni di morte fatte da due testimoni che ne siano informati;
2°. Gli atti di morte che l’ufficiale dello stato civile stende in seguito ad avvisi
o notizie avute da ospedali, collegi od altro qualsiasi istituto, da ufficiali di
polizia, da custodi o carcerieri di prigioni, case di arresto o di detenzione, o
dai cancellieri giudiziari nei casi espressi negli articoli 388, 390, 393, e 394
del codice civile.
106. Nei registri di morte si trascrivono:
1°. Gli atti di dichiarazione di morte ricevuti all’estero;
2°. Gli atti di dichiarazione di morte ricevuti durante un viaggio di mare;
3°. Gli atti di dichiarazione di morte ricevuti dagli impiegati militari;
4°. Gli atti di dichiarazione di morte accidentalmente avvenuta fuori dal luogo,
in cui il defunto aveva la sua residenza;
5°. I processi stesi dal sindaco o da altro pubblico ufficiale per morti avvenute
senza che sia stato possibile rinvenire o riconoscere i cadaveri;
6°. Le sentenze di rettificazione passate in giudicato.
Gli atti indicati nei numeri 1, 2, 3, 4 e 5 si trascrivono esattamente e per intero.
107. In margine degli atti di morte si fa annotazione delle sentenze di rettificazione
passate in giudicato che li riguardano.
108. I direttori di collegi, ospedali, istituti, gli ufficiali di polizia, i cancellieri, i carcerieri e custodi di prigione, di case di arresto e di detenzione, debbono curare che negli
avvisi, che trasmettono agli ufficiali di stato civile, si contengano tutte le indicazioni
richieste dall’articolo 387 del codice civile.
170
Maria Emanuela Marinelli - Sonja Moceri
109. Il sindaco od altro pubblico ufficiale, che stende il processo verbale indicato
nell’articolo 391 del codice civile, deve accennare esattamente le circostanze di tempo e
di luogo dell’avvenimento occorso, descrivere i cadaveri rinvenuti, gli oggetti e i segni
che su di loro si riscontrano, e raccogliere tutte le informazioni e deposizioni che possono servire ad accertare il numero ed i nomi dei morti.
110. L’ufficiale dello stato civile od il suo delegato, che nel verificare la morte di
una persona si accorga di qualche indizio di morte procedente da reato, deve tosto
avvertirne il pretore, dando intanto, se occorre, le disposizioni necessarie perché il
cadavere non sia rimosso dal luogo in cui si trova.
111. Se l’ufficiale dello stato civile è informato che senza la sua autorizzazione fu
seppellito un cadavere, ne farà tosto avvertito il procuratore del Re.
112. L’ufficiale che fu autorizzato con sentenza a ricevere la dichiarazione di morte
relativa a persona, alla quale siasi data sepoltura senza sua autorizzazione, trascrive la
sentenza sui registri coll’atto stesso che riceve la dichiarazione.
113. Ricevuta la dichiarazione di morte relativa ad una persona che abbia lasciato
figli in minore età, l’ufficiale dello stato civile ne informa prontamente il pretore.
114. L’ufficiale dello stato civile deve trasmettere entro i primi quindici giorni di
ogni trimestre al ricevitore del registro del distretto, sopra apposito modulo fornito dall’amministrazione del registro, un prospetto autentico di tutte le morti avvenute nel
trimestre precedente, facendo cenno nel medesimo della sostanza e degli eredi del
defunto, per quanto gli sarà stato possibile averne notizia.
La mancanza della denunzia è punita a norma dell’articolo 72 della legge 21 aprile
1862, numero 585.
115. L’ufficiale deve parimente notificare agli agenti del tesoro le morti degli impiegati e dei pensionari dello Stato.
116. Morendo uno straniero nel regno, l’ufficiale spedisce tosto copia autentica
dell’atto di morte al procuratore del Re per essere trasmessa, col mezzo del ministero di
grazia e giustizia, al governo del paese cui appartiene il defunto.
Se lo straniero non ha con se persone di sua famiglia maggiori di età, l’ufficiale
rende ad un tempo di ciò informato il procuratore del Re, affinché ne sia avvertito il
console del paese a cui esso appartiene.
117. In esecuzione dell’articolo 93 della legge di pubblica sicurezza, l’ufficiale dello stato civile non rilascia il permesso di sepoltura, se la morte non è accertata da un
medico necroscopo o da altro delegato sanitario, salvo i casi espressi nel successivo
articolo 94 della legge stessa.
118. L’ufficiale dello stato civile può rilasciare il permesso di sepoltura di un cadavere anche prima che siano trascorse le ore ventiquattro dalla morte, e le ore quarantotto
nei casi di morte violenta, quando ne sia riconosciuta e dichiarata l’urgenza per gravi
motivi di salute dalla commissione municipale, di cui è cenno nell’articolo 61 del
regolamento annesso al regio decreto 8 giugno 1865, numero 2322.
LE PRIVATIZZAZIONI E I LORO RIFLESSI
SULLA TUTELA DEGLI ARCHIVI
Le cosiddette « privatizzazioni » sono il risultato di provvedimenti giuridici
che hanno trasformato gli enti pubblici economici in società per azioni o modificato l’assetto giuridico di settori dell’amministrazione statale quali le amministrazioni autonome o le Aziende speciali dello Stato. Queste sono state in un
primo momento trasformate in enti pubblici, e successivamente, con un ulteriore provvedimento, in società per azioni 1. Le motivazioni che hanno portato alle
privatizzazioni, avvenute per la maggior parte dagli anni Novanta in poi, sono
da individuare nella situazione economica e nelle indicazioni della Comunità
europea, che imputava all’Italia troppo assistenzialismo statale per le imprese.
Si è trattato di un importante processo di riassetto delle competenze e dell’organizzazione giuridica ed economica dello Stato nel settore imprenditoriale,
che, fino a quel momento, aveva ancora le caratteristiche dategli da Alberto
Beneduce, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso 2. L’economista, insieme
ad un gruppo di colleghi e seguaci, ha dato un’incisiva impronta all’economia
italiana e alle leggi che l’hanno governata, tale da manifestare la sua influenza
per moltissimo tempo. Basti pensare che la legge bancaria della metà degli anni
Trenta 3, alla cui ideazione e redazione Beneduce ha partecipato in modo fondamentale, è rimasta in vigore fino al 1990; i grandi enti pubblici economici da
1
Cfr. G. VERONESI, voce Privatizzazioni, in Enciclopedia Garzanti del diritto, 2001.
Senza citare l’amplissima bibliografia su Beneduce e sui diversi enti che alla sua opera possono essere ricondotti, ricordiamo quanto la stampa periodica ha pubblicato qualche tempo fa, in
occasione dell’anniversario della morte dell’economista avvenuta il 26 aprile 1944: si veda
l’articolo di M. MUCCHETTI, Lo Stato, da imprenditore a cassettista, su « CorrierEconomia » del 25
aprile 2005, p. 4, e quelli di F. DEBENEDETTI, Poco da rimpiangere e di M. PINI, Io rimpiango,
sul numero successivo (« CorrierEconomia » del 9 maggio 2005, p. 9). Per qualche ulteriore notizia sugli « enti Beneduce » e sui loro archivi si veda M.E. MARINELLI, Un panorama sugli archivi
degli enti promossi da Alberto Beneduce, in Atti della 4. Conferenza organizzativa degli archivi
delle università italiane, Padova, 24 e 25 ottobre 2002 e della 5. Conferenza organizzativa degli
archivi delle università italiane, Padova, 8 e 9 giugno 2006, a cura di G. PENZO DORIA, Padova,
CLEUP, 2006, pp. 261-277. La recentissima crisi economica mondiale ha riportato in auge le idee
di governo dell’economia da parte dello Stato che sono state alla base dell’attività dell’economista
italiano.
2
3
R.d.l. 12 marzo 1936, n. 375; l. 7 marzo 1938, n. 141.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
172
Maria Emanuela Marinelli
lui fondati in quegli anni – e che in fondo erano stati pensati con una struttura
di tipo societario – sono stati per la maggior parte trasformati in società per
azioni nel 1992 4. Pur con tutte le modificazioni avvenute nel secondo dopoguerra, si può dire che l’assetto dato da Beneduce all’economia italiana ed agli
strumenti per governarla si è mantenuto, non solo formalmente, fino ai primi
anni Novanta 5.
Le privatizzazioni sono quindi un fenomeno politico e sociale, di governo
dell’economia e dell’organizzazione dello Stato. Le trasformazioni giuridiche
degli enti coinvolti hanno però avuto anche un grande impatto sulla situazione
dei loro archivi: sono cambiate le modalità di tutela da parte degli organi
dell’amministrazione archivistica, si sono create particolari condizioni per la
loro corretta conservazione ed un migliore utilizzo da parte degli studiosi.
Infatti, mentre nei casi in cui l’ente sia stato trasformato da ente pubblico
economico a società per azioni l’organo vigilante è rimasto la Soprintendenza
archivistica competente per territorio – anche se, come vedremo, sono cambiati
gli articoli di legge da applicare – nei casi in cui la trasformazione abbia interessato un settore dell’Amministrazione statale la competenza è passata dagli
Archivi di Stato alle Soprintendenze.
Ciò è importante anche per quanto riguarda le operazioni di selezione e
scarto della documentazione. Infatti occorre precisare che per gli atti prodotti da
amministrazioni dello Stato 6, quindi demaniali, per procedere alla distruzione
deve intervenire un provvedimento di « sdemanializzazione », e quindi di autorizzazione, che può essere emesso solo dalla Direzione generale per gli archivi.
Per gli atti prodotti dagli enti pubblici, che sono inalienabili, il provvedimento
di autorizzazione allo scarto deve provenire dalle Soprintendenze archivistiche.
Una prima norma significativa nel campo delle privatizzazioni si può considerare la l. 17 maggio 1985, n. 210, che istituisce l’Ente Ferrovie dello Stato
poi trasformato in Società per azioni nel dicembre del 1992. Fino a quel momento e a partire dal 1905 la gestione delle ferrovie italiane faceva capo al4
L. 30 luglio 1990, n. 218 e d.l. 20 novembre 1990, n. 356, relativi alla trasformazione degli
istituti di credito in società per azioni; d.l. 11 luglio 1992, n. 333, relativo alla trasformazione in
società per azioni di ENEL, IRI, ENI ed INA.
5
Non bisogna dimenticare l’istituzione, con l. 22 dicembre 1956, n. 1589, di un apposito Ministero, quello delle Partecipazioni statali, per la gestione degli enti e delle aziende. Il Ministero è
stato soppresso a seguito del referendum abrogativo con l. 23 giugno 1993, n. 202 di conversione
del d. l. 23 aprile 1993, n. 118 e la sua documentazione è stata versata all’Archivio centrale dello
Stato. La soppressione del Ministero delle partecipazioni statali ha portato alla scomparsa degli altri
enti di gestione, quali EFIM, EAGAM, GEPI. Recentemente è stato possibile recuperare – ed
avviare un intervento di censimento – su una cospicua parte dell’archivio dell’EFIM, la cui definitiva liquidazione è affidata ad una società controllata dalla Fintecna.
6
Si vedano gli artt. 822 ed 823 del Codice civile. Inoltre, l’art. 18 del d.p.r. 1409/1963 recitava: « Gli archivi che appartengono allo Stato fanno parte del demanio pubblico. Gli archivi che
appartengono alle regioni, alle province o ai comuni sono soggetti al regime del demanio pubblico. I
singoli documenti che appartengono allo Stato, alle regioni, alle province o ai comuni e gli archivi e
i singoli documenti che appartengono agli enti pubblici non territoriali sono inalienabili ».
Le privatizzazioni e i loro riflessi sulla tutela degli archivi
173
l’Azienda autonoma Ferrovie dello Stato dipendente dal Ministero dei trasporti.
Come si è detto, il passaggio da amministrazione speciale a ente pubblico
economico ha come conseguenza, dal punto di vista degli archivi, che non sono
più gli Archivi di Stato, attraverso le Commissioni di sorveglianza, ad esercitare
il controllo sulla documentazione, bensì le Soprintendenze archivistiche competenti per territorio. Nel caso delle Ferrovie dello Stato, che hanno la sede legale
a Roma, la competenza è della Soprintendenza archivistica per il Lazio. La
legge del 1985 costituì l’occasione per elaborare, in collaborazione con i responsabili interni all’Ente, una « normativa sui tempi di conservazione degli atti
e dei documenti negli archivi dell’Ente F.S. », che fu approvata dalla Soprintendenza ed emanata, dopo aver ottenuto parere favorevole dal Comitato di settore
per i beni archivistici, con delibera dell’Amministratore straordinario delle
Ferrovie 7.
Il vero processo di privatizzazione degli enti pubblici economici inizia però
con la cosiddetta legge Amato (l. 30 luglio 1990, n. 218) seguita dal d. lg. 20
novembre 1990, n. 356, che trasforma gli istituti di credito in società per azioni.
Molti di questi istituti di credito erano enti di diritto pubblico. Come conseguenza della trasformazione degli istituti di credito nascono le Fondazioni
bancarie, cui è attribuita la proprietà delle azioni.
Il secondo provvedimento legislativo di rilievo è il d. l. 11 luglio 1992, n.
333, relativo alla trasformazione in Società per azioni di ENEL, IRI, ENI, INA.
È da sottolineare il fatto che le azioni di queste società privatizzate sono
state attribuite in toto al Ministero del tesoro, che ne è stato unico proprietario.
Le azioni sono state poi poste sul mercato, ma ancora oggi la proprietà di molte
di queste società è in maggioranza del Tesoro, quindi dello Stato 8.
In seguito a queste leggi, l’amministrazione archivistica si è trovata ad affrontare un problema nuovo, con gli strumenti legislativi allora a disposizione.
Gli archivi degli enti pubblici economici ricadevano sotto la normativa contenuta negli artt. 30-35 del d.p.r. 1409/1963 (Vigilanza sugli archivi degli enti
pubblici). Poiché gli enti non erano estinti 9, non era applicabile quanto contemplato nell’art. 32 10. Una volta trasformati in società per azioni, gli enti vennero
ad assumere carattere di istituzioni private, sottoposte quindi a regime giuridico
privatistico, e i loro archivi ricadevano sotto la disciplina degli artt. 36-42 del
d.p.r. 1409 (Vigilanza sugli archivi privati di notevole interesse storico). Si è
proceduto allora a dichiarare i loro archivi di notevole interesse storico; la
Soprintendenza archivistica per il Lazio, competente in quanto la sede legale
7
Delibera n. 51/AS del 15 marzo 1989.
8
Cfr. G. VERONESI, voce Privatizzazioni... cit.
Un caso di estinzione è stato quello dell’ASST (Azienda di Stato per i servizi telefonici,
soppressa con l. 58/1992).
9
10
Art. 32: « Nel caso di estinzione di enti pubblici i rispettivi archivi sono versati nei competenti Archivi di Stato, a meno che non se ne renda necessario il trasferimento, in tutto o in parte, ad
altri enti pubblici ».
Maria Emanuela Marinelli
174
della quasi totalità degli enti privatizzati si trovava a Roma, ha provveduto ad
emettere una cospicua serie di provvedimenti di notifica. Sono stati dichiarati
gli archivi dell’ENEL (nel 1992), dell’IRI, dell’ENI, dell’INA (nel 1993), della
Banca di Roma (nel 1993) 11, della Banca nazionale del lavoro (nel 1994),
dell’Istituto mobiliare italiano (nel 1995). Le società per azioni risultanti dalle
trasformazioni si sono trovate ad essere « eredi » dei precedenti enti, di cui
hanno continuato a svolgere le funzioni, e « custodi » dei loro patrimoni documentari, demaniali o comunque inalienabili 12.
I provvedimenti di notifica del notevole interesse storico per gli archivi
degli enti e degli istituti di credito la cui natura giuridica è stata trasformata da
pubblica a privata sono intervenuti prima del parere del Consiglio di Stato del
1997 13. Tale parere riconosce il carattere di pubblicità ai complessi documentari
conservati dalle figure giuridiche subentrate agli enti pubblici economici: « in
via generale, la privatizzazione non è una vicenda successoria, perché non vede
l’estinzione di un ente e la costituzione, in suo luogo, e con devoluzione dei
rapporti giuridici, di un ente nuovo: ma è piuttosto una mera vicenda trasformativa della condizione giuridica di un soggetto che, nella sua vicenda esistenziale,
resta il medesimo, e di cui muta solo il regime degli atti e dei rapporti » e
quindi « la trasformazione della natura di un ente da pubblico a privato non
incide sul regime dell’archivio, il quale – malgrado la privatizzazione – resta
comunque assoggettato al regime pubblicistico degli artt. 30 e 31 del d.p.r. n.
1409 del 1963: vi è cioè una sorta di ultrattività in concreto della connotazione
pubblicistica, seppure limitata a questa specifica cosa »14. Le dichiarazioni di
notevole interesse storico si sono rese necessarie, ed in alcuni casi sono state
addirittura sollecitate dagli organi responsabili degli enti, per riconfermare gli
obblighi di conservazione nei confronti di patrimoni documentari di cui le
nuove figure giuridiche, subentrate per effetto delle disposizioni legislative,
erano e sono eredi e custodi, e soprattutto in assenza di una precisa indicazione
normativa che non è stata, purtroppo, prevista nelle leggi relative alle privatizzazioni. Va inoltre detto che gli stretti rapporti che si sono venuti a creare in
questi frangenti tra la Soprintendenza archivistica per il Lazio e i responsabili
degli enti hanno portato a risultati molto positivi: in tutti i casi, infatti, è stato
11
L’archivio della Banca di Roma – oggi Unicredit Banca di Roma – comprende i fondi del
Monte di Pietà di Roma, del Banco di Santo Spirito, della Banca di Roma, della Cassa di risparmio
di Roma, già ente di diritto pubblico.
Demaniali, come si è detto, per quegli enti, quali l’ASST, le Poste o le Ferrovie, che facevano parte dell’Amministrazione dello Stato. Si vedano ora gli artt. 53 e 54 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio, d. lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004.
12
13
Consiglio di Stato. Sezione seconda. Adunanza dell’8 ottobre 1997, parere n. 2653/94.
Sulla questione, si veda I.P. TASCINI, L’attività di vigilanza sugli archivi degli enti privati:
alcune riflessioni, in ANAI, Sezione Friuli-Venezia Giulia, Le carte preziose. Gli archivi delle
Banche nella realtà nazionale e locale: le fonti, la ricerca, la gestione e le nuove tecnologie. Atti del
Convegno. Trieste - Udine, 16-18 aprile 1997, Trieste 1999, pp. 267-274.
14
Le privatizzazioni e i loro riflessi sulla tutela degli archivi
175
possibile avviare progetti per la migliore conservazione e valorizzazione dei
complessi documentari.
I contatti presi in quelle occasioni sono stati molto proficui soprattutto perché all’epoca erano ancora presenti molti dirigenti consapevoli dell’importanza
della documentazione prodotta e conservata dalla loro organizzazione. Sono
stati infatti creati o riorganizzati gli archivi storici di ENEL 15, IMI, Banca
nazionale del lavoro 16, Banca di Roma, ENI, IRI, INA, e si è provveduto a
operare l’opportuna selezione ed avviare al necessario scarto la documentazione; in alcuni casi sono stati elaborati piani di classificazione o massimari di
conservazione 17.
Quando è poi intervenuto il parere del Consiglio di Stato si è venuta a creare una situazione particolare. L’archivio dell’ente trasformato veniva ad essere
sottoposto a regime pubblicistico (artt. 30-35 del d.p.r. 1409/1963), per la parte
prodotta prima della trasformazione, a regime privatistico per quella prodotta
successivamente. Per questa parte di documentazione, quindi, la Soprintendenza
avrebbe dovuto notificare il notevole interesse storico (art. 36 del d.p.r. 1409).
Questo parere non ha però modificato l’atteggiamento degli enti privatizzati nei confronti degli archivi, anche perché, nel caso del Lazio, come si è detto,
erano già stati quasi tutti sottoposti a vincolo, garantendo la corretta conservazione degli archivi storici una volta effettuate le procedure di scarto. Successivamente in alcuni casi è subentrata una minore attenzione alla corretta gestione
delle carte, con la scomparsa delle figure di riferimento all’interno di queste
organizzazioni. Ciò ha talvolta comportato la scomparsa di strutture centralizzate per la protocollazione e la classificazione dei documenti, disgregando l’unitarietà e la continuità dell’archivio, che difficilmente potrà in seguito essere
ricomposta 18.
In questo senso, un esempio da ricordare è quello dell’AGENSUD, Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, come è stata denominata
dopo la trasformazione la Cassa per il Mezzogiorno, soppressa con l. 19 dicembre 1992, n. 488 19, le cui residue competenze sono state affidate a diversi
Ministeri a seconda della materia. In questo caso è stata istituita una apposita
Commissione, di cui facevano parte archivisti della Direzione generale per gli
Recentemente, il 24 settembre 2008, l’ENEL ha inaugurato a Napoli il proprio archivio storico, dove sono stati concentrati i documenti prodotti dalle società elettriche precedenti la nazionalizzazione, avvenuta nel dicembre 1962, già conservati presso le sedi degli otto ex Compartimenti
sul territorio nazionale.
15
16
Ora acquistata dalla francese BNP-Paribas.
Da questa situazione favorevole ha avuto origine il gruppo di lavoro che ha prodotto le Linee guida per la selezione dei documenti negli archivi delle banche, Roma, Bancaria editrice, 2004,
promosso dall’Amministrazione archivistica e dall’ABI, che dà criteri per lo scarto negli archivi
bancari.
17
Questi eventi sono sempre estremamente pericolosi per la conservazione dei complessi documentari, che rischiano sia la dispersione, sia, nei casi più gravi, di essere distrutti per incuria.
18
19
Conversione del d. l. 22 ottobre 1992, n. 415.
176
Maria Emanuela Marinelli
archivi, dell’Archivio centrale dello Stato, della Soprintendenza archivistica per
il Lazio, e rappresentanti dei diversi Ministeri, sotto la guida del Commissario
governativo appositamente nominato. La Commissione, lavorando sugli elenchi
della documentazione appositamente compilati, ha individuato il materiale da
versare all’Archivio centrale, quello da avviare allo scarto, quello da consegnare
alle altre amministrazioni per il prosieguo dell’attività. L’aspetto negativo di
questa soluzione, pur obbligata, è stato che l’archivio della Cassa per il Mezzogiorno ha perso la sua unità. Unità che difficilmente potrà essere in futuro
ricostituita, in quanto ormai molto materiale documentario è entrato a far parte
degli archivi dei diversi Ministeri interessati. La Commissione ha espresso vive
raccomandazioni perché si facesse particolare attenzione alla documentazione
proveniente dalla Cassa al momento della valutazione da parte delle diverse
Commissioni di sorveglianza.
Altro caso particolare quello dell’Ente Tabacchi Italiano, istituito con d. l.
30 agosto 1996, n. 456, che gli attribuiva le attività produttive e commerciali
(tranne il lotto e le lotterie), già dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli
di Stato; l’Ente è stato poi trasformato in società per azioni e successivamente
venduto ad una società anglo-americana, la British American Tobacco.
L’Amministrazione delle Poste, facente parte integrante del Ministero delle
poste e telecomunicazioni insieme all’ASST, è stata trasformata in ente pubblico economico con d. l. 1° dicembre 1993, n. 487, poi convertito in l. 29 gennaio
1994, n. 71, che ha riorganizzato anche il Ministero stesso. Successivamente
l’ente pubblico Poste Italiane è stato trasformato in società per azioni, suddividendolo in diverse aziende. Anche in questo caso era stata istituita dall’Amministrazione archivistica un’apposita commissione per gestire il momento di
passaggio, che ha avuto vita breve, in quanto troppo spesso sono cambiati gli
interlocutori. Per le Poste italiane s.p.a qualche anno fa è stato portato a termine
un progetto per il censimento dei fascicoli del personale, che risalgono in alcuni
casi alla fine dell’Ottocento, ed era in corso un altro progetto per la schedatura
del materiale fotografico, al momento interrottosi quasi al suo compimento.
Le competenze dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici furono invece
attribuite all’IRITEL (società dell’IRI, fatta nascere appositamente, che ha
avuto circa due anni di vita), poi fusa per incorporazione nella Stet (dove era già
confluita la SIP; anch’essa società dell’IRI), dando origine alla Telecom Italia
s.p.a., che nei primi mesi del 2005 ha fuso in sé per incorporazione TIM. Dopo
molti contatti, protrattisi con alterne vicende per più di dieci anni, l’Amministrazione archivistica è riuscita a stipulare nel marzo del 2005 una convenzione con Telecom per la salvaguardia dell’archivio dell’ex ASST. È stato
completato il progetto che ha portato alla sommaria schedatura del materiale ex
ASST conservato nel deposito di Pomezia, che, dopo gli opportuni scarti, è stato
trasferito nell’archivio storico Telecom di Torino, passando così dalle competenze della Soprintendenza del Lazio a quelle del Piemonte. La Telecom si è
impegnata a schedare ed inventariare tutto il materiale storico proveniente
Le privatizzazioni e i loro riflessi sulla tutela degli archivi
177
dall’Azienda di Stato per i servizi telefonici. È da sottolineare la natura demaniale di questo materiale, come di quello delle Poste o delle Ferrovie.
Come si è già visto, la documentazione prodotta da enti o istituzioni facenti
parte dell’amministrazione statale è infatti di sua natura demaniale e quindi ad
essa non è applicabile il parere del Consiglio di Stato sopra ricordato. In questi
casi, per quella parte di documentazione non più utile ai fini gestionali delle
società subentrate, si sarebbe dovuto applicare l’art. 24 del d.p.r. 1409: « Gli
archivi degli uffici statali soppressi sono versati ai competenti Archivi di Stato ». Si è però potuto addivenire a questa soluzione in pochi casi, per diverse
ragioni, tra cui la cronica mancanza di spazio negli Archivi di Stato,
l’impossibilità di individuare un interlocutore con cui trattare, le difficoltà in cui
operano le Commissioni di sorveglianza.
Più recenti i provvedimenti legislativi relativi alle privatizzazioni che hanno portato all’istituzione delle Agenzie fiscali. A seguito del d.lg. 30 luglio
1999, n. 300, relativo alla riforma dell’organizzazione del Governo, il ministro
delle finanze, con decreto del 28 dicembre 2000, n. 1390, ha reso esecutive, a
partire dal 1° gennaio 2001, le quattro Agenzie fiscali: Agenzia delle entrate,
Agenzia del territorio, Agenzia del demanio, Agenzia delle dogane. Anche in
questo caso, presso questi archivi, prodotti fino al 2000 da uffici del Ministero
delle finanze, erano attive le Commissioni di sorveglianza. Secondo quanto
indicato da una disposizione della Direzione generale per gli archivi, le Commissioni devono essere integrate da personale delle Soprintendenze, mentre la
documentazione che si ritiene di interesse storico, non più necessaria alle nuove
Agenzie, andrà versata negli Archivi di Stato 20.
Si accenna qui solo brevemente ai tanti altri casi di privatizzazioni che sono intervenute in questi anni, come per Autostrade 21, Terni 22, Nuovo Pignone 23,
Mediocredito 24, Consorzio per il credito agrario di miglioramento o Meliorconsorzio 25. Anche l’ANAS (Azienda nazionale autonoma delle strade statali) è
stata trasformata in ente pubblico e la competenza sulle strade suddivisa tra
le diverse Regioni. Le trasformazioni sono intervenute anche a livello locale,
20
Tale procedura è stata applicata anche nel caso della ex Cassa Depositi e Prestiti, anch’essa
trasformata in Società per azioni, a capitale detenuto dal Ministero delle finanze, la cui Commissione di sorveglianza è stata integrata con un rappresentante della Soprintendenza archivistica per il
Lazio.
21
Società già controllata dall’ITALSTAT, altro ente di gestione, ora di proprietà privata.
22
Società già controllata dall’IRI.
23
Società già controllata dall’ENI.
Istituti di credito, di competenza regionale, acquistati da banche diverse. Il Mediocredito
del Lazio è stato acquisito dalla Banca di Roma, ora nel gruppo Unicredit.
24
25
Istituto di credito fondato nel 1926 a sostegno della piccola proprietà contadina, è stato recentemente acquistato da una banca privata di Milano. Poiché era un istituto pubblico, parte del suo
archivio era stato versato all’Archivio centrale dello Stato, mentre la parte più cospicua della
documentazione storica è stata affidata dai nuovi proprietari ad un outsourcer. Ad esempio, altri casi
di trasformazione sono quello dell’Istituto Luce, o quello del Centro sperimentale di cinematografia.
178
Maria Emanuela Marinelli
comunale, per le municipalizzate quali, a Roma, l’ACEA, l’ATAC, il COTRAL, la Centrale del latte. Un’altra importante privatizzazione, a livello
nazionale, è stata quella degli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), che
sono stati trasformati in enti pubblici con leggi regionali. Nel Lazio, la legge
della Regione del 3 settembre 2002, n. 30 ha istituito l’ATER (Agenzia territoriale edilizia residenziale) del Comune di Roma, l’ATER della Provincia di
Roma e quelle di Rieti, Viterbo, Latina, Frosinone. Per le ATER la Soprintendenza del Lazio ha portato a termine un progetto di censimento degli archivi che
contengono, tra l’altro, planimetrie dei quartieri di Roma, come la Garbatella o
il Tufello, disegni di architetti famosi chiamati a collaborare con gli Istituti
autonomi per la realizzazione delle case popolari, fascicoli di affittuari 26.
Uno dei risultati di tutto questo sommovimento è stato, nell’immediato, un
notevole aggravio di lavoro per le Soprintendenze. E sarà anche una sfida per
gli archivisti e gli studiosi del futuro riuscire a seguire le molteplici trasformazioni societarie, gli intrecci tra una azienda e l’altra, i mutamenti di natura
giuridica degli organismi e, di conseguenza, della documentazione.
Fortunatamente, i più recenti provvedimenti giuridici offrono strumenti più
chiari per tutelare gli archivi degli enti privatizzati. Mentre infatti il d. lg.. 29
ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali, non aveva potuto, in quanto la legge di delega non
permetteva di innovare la materia, affrontare il problema degli archivi di questi
enti, l’art. 13 del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, d. lg. 22
gennaio 2004, n. 42, dice espressamente che « la dichiarazione non è richiesta
per i beni di cui all’art. 10, comma 2 27. Tali beni rimangono sottoposti a tutela
anche qualora i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la
loro natura giuridica ».
Il parere del Consiglio di Stato sopra esaminato creava oggettivamente una
disparità di trattamento per gli archivi di questi enti pubblici privatizzati, in
quanto tutta la parte di documentazione posta in essere precedentemente alla
trasformazione ricadeva nel regime pubblicistico, mentre per quella prodotta
successivamente si ricadeva in regime privatistico e quindi era necessario, per
tutelare le carte, emettere un provvedimento di notifica. L’articolo del Codice
supera questa dicotomia, anche se a nostro parere sarebbe opportuna un’ulteriore precisazione, per cui si potrebbe aggiungere all’art. 13 un nuovo comma in
base al quale gli archivi di tali soggetti, fin dal momento della loro trasformazione, rimanessero sottoposti agli obblighi di cui all’art. 30, comma 4: conser26
Si veda, per i primi risultati del censimento, M.E. MARINELLI, Gli archivi dell’Istituto nazionale di urbanistica e degli Istituti autonomi per le case popolari di Roma e delle province di
Roma e Latina: una breve introduzione alle schede descrittive, in Guida agli archivi di architettura
a Roma e nel Lazio. Da Roma capitale al secondo dopoguerra, a cura di M. GUCCIONE - D. PESCE E. REALE, Roma, Gangemi, 2007, pp. 35-49.
27
Art. 10 comma 2: « Sono inoltre beni culturali: (...) gli archivi e i singoli documenti dello
Stato, delle regioni, degli enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente o istituto pubblico ».
Le privatizzazioni e i loro riflessi sulla tutela degli archivi
179
vare gli archivi nella loro organicità, ed ordinarli, nonché inventariare gli
archivi storici.
Infatti sarebbe opportuno avere una norma che salvaguardi, fin dalla loro
formazione, gli archivi dei gestori di pubblico servizio (quali sono le Poste,
l’ENEL, le Ferrovie, le Agenzie fiscali, ecc.), subentrati a quelli che una volta
erano enti pubblici economici o settori dell’Amministrazione dello Stato, e che
non sia conseguenza della dichiarazione di notevole interesse storico (d’altra
parte ora esclusa dal dettato dell’art. 13) ma scaturisca dal riconoscimento del
particolare valore che la documentazione da essi prodotta ha per la società
civile. Infatti tali istituzioni, ora società per azioni, continuano a svolgere un
servizio per la comunità, spesso in regime di monopolio. Il loro archivio, fin dal
momento della trasformazione, ha quindi per la società civile lo stesso valore di
memoria dell’archivio prodotto quando erano enti pubblici: la preservazione
della documentazione dovrebbe essere sancita da un obbligo giuridico simile a
quello che hanno gli enti pubblici, che valga a prescindere dall’intervento dell’organo vigilante 28.
MARIA EMANUELA MARINELLI
Soprintendenza archivistica per il Lazio
Il fenomeno delle privatizzazioni non si è ancora concluso. Molto recentemente la legge finanziaria del 2008 (l. 24 dicembre 2007, n. 244) ha disposto la trasformazione in enti di regime
privatistico (o la soppressione) di un non piccolo numero di enti pubblici di diverso genere, alcuni
dei quali svolgono ruoli di grande importanza nella vita civile e sociale, quali i Parchi nazionali.
28
Note
e
commenti
UN NUOVO STRUMENTO DI CORREDO
PER L’ARCHIVIO DI SIDNEY SONNINO *
Sono appena terminate le operazioni di analisi, riordinamento ed elaborazione di un nuovo strumento di consultazione 1 dell’archivio di Sidney Sonnino,
iniziate nel febbraio 2007 secondo la convenzione stipulata tra il Centro studi
Sidney Sonnino 2 e la Direzione generale per gli archivi. L’archivio personale
dello statista (Pisa, 11 marzo 1847 - Roma, 24 novembre 1922) 3 è conservato
presso il Castello di Montespertoli, un tempo appartenuto alla famiglia Machiavelli ed oggi proprietà degli eredi de Renzis Sonnino 4. Ricordiamo che esso
* L’inventario è stato curato, con la consulenza scientifica di Letizia Pagliai, da Roberto Baglioni. L’autore desidera ringraziare Elisabetta Insabato, della Soprintendenza archivistica per la
Toscana, per le preziose informazioni ricevute sull’archivio e per la disponibilità dimostratagli.
1
L’inventario è di prossima pubblicazione nei Quaderni Sidney Sonnino per la storia dell’Italia contemporanea. L’archivio è stato recentemente oggetto di due visite di presentazione al pubblico guidate dallo scrivente: la prima per la serie Archimeetings (ANAI - Sez. Toscana) il 31
maggio 2007, insieme a Rolando Nieri e Paola Carlucci, la seconda in occasione del Convegno di
studi « Sonnino e il suo tempo (1914-1922) », organizzato dal Centro studi Sonnino a Montespertoli
e Firenze, il 23-24 maggio 2008.
Il Centro Studi Sidney Sonnino ha sede presso il Castello di Montespertoli ed è sorto nel
2005, grazie all’iniziativa presa da un gruppo di studiosi dell’Università di Firenze, dell’Università
di Pisa e da alcuni membri della famiglia de Renzis Sonnino (http://sonnino.sp.unipi.it). Il Centro si
propone di promuovere iniziative di ricerca e di studio relative alla vita, all’opera e al pensiero dello
statista nella cultura europea del suo tempo, attraverso un programma di tutela e valorizzazione di
tutte le fonti archivistiche relative a Sonnino e alle personalità politiche dell’età liberale. Cura
inoltre la pubblicazione dei Quaderni Sidney Sonnino per la storia dell’Italia contemporanea.
2
Sidney Sonnino fu sottosegretario al Ministero del tesoro (3 gennaio - 9 marzo 1889), ministro delle finanze (15 dicembre 1893 - 13 giugno 1894), ministro del tesoro (15 dicembre 1893 - 10
marzo 1896), presidente del Consiglio dei ministri (8 febbraio - 29 maggio 1906; 11 dicembre
1909 - 31 marzo 1910), ministro dell’interno (8 febbraio - 29 maggio 1906; 11 dicembre 1909 - 31
marzo 1910), ministro degli affari esteri (5 novembre 1914 - 23 giugno 1919). Per un profilo
biografico si rimanda, oltre alla bibliografia essenziale che chiude il presente articolo, al recente
Sidney Sonnino (1847-1922). Nota biografica, di Paola Carlucci, in Quaderni Sidney Sonnino per la
storia dell’Italia contemporanea, 1, a cura di P.L. Ballini - R. Nieri, Firenze, Polistampa, 2008, pp.
9-21.
3
4
Si desidera ringraziare gli attuali detentori del fondo archivistico, i baroni Caterina e Alessandro de Renzis Sonnino, per la costante disponibilità e liberalità mostrata nel consentire la sua
valorizzazione.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
Un nuovo strumento di corredo per l’archivio di Sidney Sonnino
181
rimase per lungo tempo inaccessibile, in un ripostiglio sbarrato adiacente la sala
da pranzo della dimora di Montespertoli e, al suo ritrovamento, avvenuto nell’agosto 1967 per merito del professor Benjamin F. Brown 5 della University of
Kansas, consisteva in quattordici grossi bauli in legno contenenti fascicoli
intestati privi di uno specifico ordinamento e conservati in buste logore. È al
suo primo scopritore che si devono le operazioni di ricondizionamento e quegli
interventi, da lui stesso definiti « affrettati », di risistemazione e cartolazione di
gran parte della documentazione. Sua fu anche l’elaborazione di uno strumento
di corredo, di cui oggi ci rimane un dattiloscritto purtroppo lacunoso e privo di
reali criteri di ordinamento.
Nella primavera del 1968 fu inoltre condotta, in collaborazione con la
University of Michigan (Ann Arbor), una campagna di microfilmatura dei
telegrammi di Stato (ca. 50.000 unità) e di buona parte del carteggio prodotto da
Sonnino in qualità di ministro degli esteri, che portò alla realizzazione di 54
bobine 6.
Un anno più tardi, il 27 giugno 1969, l’archivio Sonnino ricevette la notifica di importante interesse dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana, che
ne riconobbe il valore come fonte inedita sia per la politica interna dell’Italia
liberale che per la politica estera mondiale dagli anni Sessanta dell’Ottocento
(gli anni della carriera diplomatica di Sonnino 7) fino ai trattati di pace successivi alla Prima guerra mondiale
Il riordinamento delle carte, curato da Brown, procedette rispettando l’impostazione originaria conferitagli da Sonnino, che vi si era dedicato negli ultimi
anni di vita. D’accordo con la Soprintendenza archivistica per la Toscana è stato
deciso di rispettare al massimo l’ordine delle carte, tenuto anche conto delle
seguenti peculiarità:
– numerazioni impresse a stampa da Brown sui singoli pezzi, riportanti i numeri delle buste e la cartolazione;
5
B.F. Brown aveva da poco conseguito il dottorato di ricerca con una tesi su Sonnino dal titolo Sidney Sonnino, 1847-1922. The Stranger in two Worlds. Nel 1974 vinse l’American Historical
Association’s Marraro Prize per la scoperta delle carte e la pubblicazione dei Complete Works of
Sidney Sonnino.
Una copia delle bobine è disponibile presso la Sala manoscritti della Biblioteca nazionale
centrale di Firenze alla segnatura 527, corredata dall’opuscolo a stampa curato da B.F. BROWN, A
Guide to the Microfilm Series: the Sonnino Papers, Ann Arbor, Michigan, University Microfilms,
[1968] contenente un elenco di consistenza sommario dei documenti microfilmati ed una nota
metodologica sulla descrizione della documentazione. L’autore ha reso disponibile tale opuscolo
anche nella traduzione italiana col titolo Carteggio Sonnino. Guida alla serie dei microfilms, dalla
quale si traggono le successive citazioni in nota. Tra le altre copie dei microfilms si menziona quella
che si trova presso l’Archivio storico diplomatico del Ministero degli affari esteri, significativamente messa a disposizione degli studiosi in occasione del 50° anniversario del Trattato di Versailles
(1969), e quella presso l’Archivio centrale dello Stato.
6
7
Sonnino prestò servizio in diplomazia dal 1867 al 1871: a Madrid (1867-1868 e 1871),
Vienna (1868), Berlino (1869-1870), Parigi (1870).
Roberto Baglioni
182
– citazioni storiografiche dei documenti pubblicati con riferimento a tali numerazioni;
– esistenza, per una consistente parte dell’archivio, di bobine di microfilm che
riproducono quell’ordinamento;
– intervento non sufficientemente documentato e dunque irreversibile di
Brown, il quale fece un uso immediato delle carte ai fini della ricerca, seguendo gli orientamenti storiografici del momento;
– diffusa frammentarietà delle carte e assenza di uno schema di classificazione
riunente i vari nuclei documentari originari 8.
Il fondo si compone di 149 buste. Di seguito diamo uno specchietto riassuntivo del suo contenuto e della sua articolazione.
Sezioni
Buste
1
bb. 1-16
2
bb. 17-74
3
bb. 75-103
4
bb. 104-138
5
bb. 139-149
Denominazione
Manoscritti della « Rassegna settimanale »
Carteggi, carte personali e professionali, manoscritti, materiali diversi e a
stampa. I partizione
Documenti diplomatici: Telegrammi
di Stato in arrivo e partenza
Carteggi, carte personali e professionali, manoscritti, materiali diversi e a
stampa. II partizione
Nucleo aggregato al carteggio: documenti personali e familiari; amministrazione del patrimonio
Estremi cronologici
1878, 1880
1830-1922
1914-1919
1914-1919
1803-1947
La quinta sezione consiste in un nucleo aggregato successivamente al riordinamento di Brown.
A completamento delle cinque sezioni menzionate se ne é aggiunta una sesta, contenente quattro album fotografici insieme ad alcune immagini sciolte
raffiguranti Sonnino in momenti particolarmente significativi della sua carriera
pubblica e la sua consistente biblioteca del palazzo di via delle Tre Cannelle a
Roma, successivamente smembrata e di cui oggi rimane un fondo librario
residuo a Montespertoli.
8
Alla morte di Sonnino, in assenza di strumenti legislativi che consentissero un intervento
dello Stato, non fu possibile mettere assieme la documentazione che si trovava divisa tra le residenze di Firenze (Palazzo di via Il Prato), Montespertoli (FI), Castello del Romito (LI) e Roma. Notizie
sulla storia archivistica delle carte Sonnino si trovano nel fascicolo prodotto dalla Sovrintendenza
archivistica per la Toscana oltre che nell’opera curata dal MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI,
COMMISSIONE PER LA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI DIPLOMATICI, I documenti diplomatici
italiani, Roma 1984, V serie: 1914-1918, vol. 2: 17 ottobre 1914 - 2 marzo 1915, pp. X-XI ed infine
nelle introduzioni ai tomi di B.F. BROWN, Opera omnia di Sidney Sonnino, Bari, Laterza, 19721981 (pubblicata sotto gli auspici della University of Kansas).
Un nuovo strumento di corredo per l’archivio di Sidney Sonnino
183
La prima sezione, Manoscritti della « Rassegna settimanale » 9 (bb. 1-16),
fino ad oggi priva di uno strumento di corredo, conserva, per le annate 1878 e
1880, raccolte in fascicoli distinti per numero e data del periodico, le bozze
definitive degli articoli e dei contributi editoriali pronti per essere mandati in
stampa. I fascicoli sono stati riordinati e ricondizionati.
Ogni singolo articolo, recensione o contributo alle diverse rubriche è stato
numerato, lasciando l’originaria cartolazione/paginazione data dagli autori dei
singoli pezzi. La politica editoriale del periodico imponeva, per i contributi
scritti dai redattori stabili, l’anonimato 10. Risultano invece firmati i contributi
ospitati dalla rivista provenienti da storici, letterati, politici, economisti e uomini
di scienza contemporanei 11. La nuova descrizione analitica fornisce i seguenti
elementi: riferimenti al numero del periodico e al numero del volume che lo
contiene, data topica e cronica del numero, pagine del periodico a stampa,
numero dell’unità archivistica, autore del manoscritto, titolo, lingua del testo,
numero delle carte che lo compongono.
La seconda sezione (bb. 17-74), Carteggi, carte personali e professionali,
manoscritti, materiali diversi e a stampa. I partizione, mancava anch’essa di
uno strumento di corredo. Essa presenta le caratteristiche della miscellanea e fu
riaccorpata dallo stesso Sonnino mediante la creazione di fascicoli intestati per
argomento, senza seguire una precisa struttura organizzativa e rivelando un
diffuso « disordine d’autore » frutto di una sedimentazione quotidiana e caotica
di cui non conosciamo, peraltro, i criteri selettivi volontari 12. In tale sedimentazione il successivo intervento di Brown ha evidentemente generato una frattura
dovuta all’intenzione di enucleare le carte raccolte da Sonnino in qualità di
ministro degli esteri, oggetto precipuo dei suoi interessi storico-politici. Tale
intervento invasivo ha determinato una bipartizione dei carteggi nelle due
sezioni attuali (sezioni 2 e 4).
Fra i nuclei documentari più consistenti della seconda sezione, spicca la
corrispondenza in entrata, parzialmente raccolta in buste suddivise per anno, a
9
La « Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere e arti » (1878-1881) fu fondata a Firenze da Sonnino, assieme a Leopoldo Franchetti e in seguito pubblicata a Roma. Sonnino ne fu
proprietario e direttore, mentre Angiolo Gherardini ne fu il gerente. Nel programma il periodico si
proponeva: « di esaminare attentamente le condizioni presenti delle classi bisognose nel nostro
Paese, studiando ogni provvedimento che sia inteso a migliorarle » (cfr. gennaio 1878, n. 1). Filippo
Turati ebbe modo di elogiare la « Rassegna » come esempio di periodico rivolto al sociale. Divenne
poi quotidiano, organo ufficiale dello schieramento sonniniano.
10
Solo per il primo anno, la rivista pubblica un elenco completo dei redattori stabili.
Tra gli autori degli articoli posseduti si possono menzionare Luigi Bodio, Tommaso Cambray-Digny, Giosuè Carducci, Renato Fucini, Antonio Salandra, Telemaco Signorini, Pasquale
Villari, Giuseppe Zanardelli.
11
12
Così Brown: « (...) ciò che apparve quando si aprirono detti bauli, non fu l’archivio attentamente curato e di solito impersonale che gli storici generalmente trovano, ma piuttosto una raccolta
di documenti che lo statista, oramai fuori carica, aveva iniziato a riordinare. Alcuni documenti
diedero addirittura l’impressione di essere stati messi da parte dopo una intensa giornata di lavoro,
altri apparvero ordinati e archiviati quasi in attesa di essere presi in mano dallo storico (...) », in B.F.
BROWN, Carteggio Sonnino. Guida… cit., p. 1.
Roberto Baglioni
184
partire dal 1884. Al loro interno ogni lettera riporta una numerazione progressiva stampigliata in alto (numero di busta a sinistra e numero di lettera a destra).
Si è rilevato che la numerazione delle lettere non rispetta scrupolosamente
l’ordine della data cronica 13. Per il periodo 1884-1890 la corrispondenza risulta
inedita, perché non utilizzata nella pubblicazione dell’Opera omnia curata da
Brown, la quale, peraltro, si presenta come una selezione di documenti ispirata a
criteri storiografici discrezionali del curatore.
La sezione raccoglie, in prevalenza, lettere provenienti dagli elettori del
collegio di Sonnino (collegio di San Casciano con i comuni di Greve in Chianti,
Barberino Val d’Elsa e Montespertoli), dagli enti, dagli istituti, dagli amministratori locali e da importanti esponenti del governo 14. Di minore entità risulta
la corrispondenza con personalità del mondo della cultura. Non manca, anche se
in misura ancora inferiore, la corrispondenza privata con amici e familiari.
Dopo aver verificato l’esatta consistenza si è proceduto, per ogni busta del
carteggio, all’elencazione dei corrispondenti seguiti dal rimando al numero di
corda delle relative lettere.
Sono conservati inoltre consistenti memorandum di natura politica, discorsi
parlamentari e memoriali di politica estera corredati da preziose mappe geopolitiche.
Tra i manoscritti si conservano, a partire dal 1866, il diario personale dello
statista insieme ad ampie raccolte di citazioni letterarie ed aforismi. Densi di
contenuto i suoi appunti disordinati, i suoi scritti su argomenti filosoficoletterari ed i contributi alle conferenze di studio dantesche. Di un certo rilievo,
infine, i documenti riguardanti il suo apporto alla pubblicistica, che includono
aspetti della gestione editoriale de « Il Giornale d’Italia »15, « La Rassegna settimanale » e « L’Opinione »16. Tutto questo materiale accompagna la corrispondenza, illuminando l’opera e la personalità del soggetto e rivelandone metodi di
studio e di lavoro, nonché i percorsi culturali e intellettuali.
La terza sezione Documenti diplomatici: telegrammi di Stato in arrivo e
partenza (bb. 75-103) raccoglie una rilevante serie di telegrammi (50.000 ca.) e
I criteri in base ai quali Sonnino organizzò la propria corrispondenza sono in parte esclusivamente cronologici ed in parte mediante aggregazioni alfabetiche in base ai toponimi dei comuni
che formarono il suo collegio elettorale. Sulla quasi totalità delle lettere riportava la data della
risposta e una breve annotazione contenutistica. A partire dall’anno 1893 (b. 32) unì alla corrispondenza i suoi manoscritti (compreso il suo diario), i memorandum, le carte personali e professionali, i
materiali diversi e a stampa a formare una raccolta piuttosto disordinata, testimone di un sostanziale
disinteresse ad organizzare con sistematicità i propri materiali di lavoro per confezionare
un’immagine di sé da trasferire ai posteri (ricordiamo la sua contrarietà, espressa nelle ultime
volontà, a rendere pubbliche le sue carte).
13
14
La ricchissima corrispondenza con i suoi elettori, meriterebbe, a nostro avviso, adeguati approfondimenti in quanto getta luce su di un meccanismo di consenso politico prolungatosi nel
tempo, in situazioni assai diverse.
15
Quotidiano fondato nel 1901 insieme a Alberto Bergamini.
La ricerca bibliografica sull’attività di pubblicista di Sonnino risulta assai complessa, in
quanto dispersa fra numerose collaborazioni a quotidiani e riviste.
16
Un nuovo strumento di corredo per l’archivio di Sidney Sonnino
185
comprende anche copie di documenti dattiloscritti e parte delle minute autografe prodotte da Sonnino nel corso della lunga permanenza alla carica di ministro
degli esteri (dal novembre 1914 al giugno 1919) 17. Si è proceduto quindi
all’elaborazione, busta per busta, dell’elenco delle ambasciate e legazioni cui si
inviarono o dalle quali si ricevettero i telegrammi, seguite dai numeri progressivi che identificano i pezzi. Le parti mancanti di questa serie si trovano presso
l’Archivio storico diplomatico del Ministero degli affari esteri a Roma 18.
La quarta sezione (bb. 104-138), Carteggi, carte personali e professionali,
manoscritti, materiali diversi e a stampa. II partizione, è l’unica dotata di un
preesistente strumento di corredo piuttosto analitico (il citato dattiloscritto di
Brown) ed ha richiesto una radicale revisione nella modalità di descrizione.
Come accennato sopra, le caratteristiche di questa sezione sono del tutto simili
alla miscellanea descritta nella seconda sezione, con il prevalere però della
documentazione di carattere politico, raccolta da Sonnino durante il suo lungo
incarico come ministro degli esteri 19. Essa risulta in gran parte pubblicata nell’Opera omnia e le bb. 104-126 sono riprodotte in microfilm. Data l’importanza
della materia trattata, si è proceduto ad una inventariazione analitica.
Estranea all’intervento di riordinamento di Brown è la quinta sezione, Documenti personali e familiari; amministrazione del patrimonio (bb. 139-149),
formatasi come raccolta postuma di documenti e riguardante, oltre lo statista,
alcuni componenti delle famiglie Sonnino e de Renzis. Essa contiene diplomi,
onorificenze, testamenti, pratiche d’affari e corrispondenza personale a partire
dal terzo decennio dell’Ottocento, che sono stati descritti a livello di fascicolo.
Infine, la sesta sezione, Album fotografici (album 1-4), è descritta considerando come unità archivistica l’album stesso, esplicitando le dimensioni del
supporto, i soggetti rappresentati, le dimensioni ed il numero degli esemplari ivi
contenuti. Le fotografie sciolte sono invece raccolte in fascicoli distinti per
oggetto della rappresentazione.
17
Le veline dei telegrammi conservate nell’archivio Sonnino rappresentano oggi la copia più
completa esistente degli esemplari originali prodotti dall’archivio dell’Ufficio cifra del Ministero
degli affari esteri. Gli originali vennero infatti distrutti a seguito di un discutibile intervento di
riproduzione a stampa delle stesse, mediocre e poco fedele, avvenuta alla fine degli anni Venti. Cfr.
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. COMMISSIONE PER LA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI DIPLOMATICI, I documenti diplomatici italiani, Roma 1984, V serie, vol. 2, pp. X-XI.
Si veda al riguardo Le scritture del Gabinetto Crispi e le carte Sonnino, a cura di F. BACIRoma, Ministero degli affari esteri, 1955. La documentazione fu rivendicata dallo Stato dopo la
morte di Sonnino, cfr. nota 20. Parte dei telegrammi di questa serie è stata pubblicata nell’edizione
de I documenti diplomatici italiani... cit., V serie, voll. 2-11 e VI serie, voll. 1-2.
18
NO,
Così Brown: « (...) questa è una parte dell’archivio che presenterà alcune difficoltà allo studioso, dato che risultò essere già stata parzialmente suddivisa dal Sonnino secondo un proprio
schema di classificazione. Sonnino tentò infatti una divisione per argomenti, ma la svariata natura
dei documenti e la sovrapposizione della maggioranza dei soggetti fa sì che, spesso, i titoli non
corrispondano del tutto all’argomento trattato. Ad ogni modo, dato che questo era il programma di
Sonnino, lo si è mantenuto ed il materiale che era rimasto da suddividere lo si è aggiunto nel miglior
modo possibile (...) »,B.F. BROWN, Carteggio Sonnino. Guida… cit., p. 3.
19
186
Roberto Baglioni
Per quanto riguarda l’esistenza di altra documentazione superstite, una
modesta quantità di carte relative all’ultima fase della vita di Sonnino è stata
rinvenuta a Roma, in quella che era la sua residenza di via delle Tre Cannelle.
La documentazione è stata rivendicata 20 dal Ministero degli affari esteri in
quanto relativa all’attività di ministro del Regno d’Italia 21.
Il fondo librario superstite di Sidney Sonnino
In due ampi locali attigui all’archivio è conservato anche un fondo librario
disposto su circa 350 metri lineari di scaffalature che raccoglie, per la maggior
parte, edizioni di storia, diritto ed economia a partire dalla seconda metà del
Settecento fino agli anni Venti del Novecento. Si tratta di quel che resta della
ricchissima biblioteca allestita da Sonnino nella sua residenza romana di via
delle Tre Cannelle, definita dall’amico Alberto Bergamini « la più grande
biblioteca privata che abbia visto dopo quella di Croce ». La sua imponenza è
20
L’art. 76 del Regolamento degli Archivi di Stato approvato con r. d. 2 ottobre 1911, n.
1163, al secondo comma recita: « Accadendo la morte di magistrati o funzionari pubblici o di
persone che abbiano avuti pubblici incarichi, massime diplomatici o ministeriali, presso cui si abbia
ragione di ritenere che si trovino atti di spettanza dell’amministrazione, il prefetto (...) avrà cura di
fare quanto è necessario perché tali atti vengano trasferiti tosto nell’Archivio al quale spettano per
ragione di materia o di luogo (...) ».
21
Di seguito si danno alcune indicazioni sommarie su altri percorsi archivistici per completare
la ricerca sulla figura di Sonnino. A Roma, presso l’Archivio storico diplomatico del Ministero
degli affari esteri, sono conservate le Carte Sonnino. Gabinetto, 1914-1919 e, tra gli archivi di
personalità, le carte di Robilant e Alberto Blanc; presso l’Archivio storico del Senato si veda il
fondo Guglielmo Imperiali, 1871-1942 ed il fondo Bergamini-Bacchiani, 1863-1944; presso l’Archivio centrale dello Stato sono conservate le carte Francesco Crispi, Agostino Depretis, Ferdinando Martini e Luigi Pelloux; presso l’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno si
trovano le carte Leopoldo Franchetti e le carte Giustino Fortunato, mentre le carte Pasquale Villari
sono presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. A Firenze, presso l’Archivio storico del Risorgimento sono conservate le carte Fenzi, presso la Biblioteca nazionale centrale si segnalano gli archivi
personali di Emilia Toscanelli Peruzzi, Ubaldino Peruzzi, Tommaso Cambray Digny, e, nel fondo
dei Carteggi vari, le carte, tra gli altri, di Biagi, Luigi Chiappelli, Angelo De Gubernatis, Leopoldo
Franchetti e Telemaco Signorini; presso la Biblioteca Marucelliana sono conservate le carte Martelli; altri interessanti documenti sono reperibili nell’archivio di Francesco Guicciardini conservato
presso la famiglia. A Pisa si trovano carte di Sonnino nel fondo Università di Pisa dell’Archivio di
Stato, mentre presso la Scuola normale superiore si trovano le carte dei corrispondenti Alessandro
d’Ancona e Francesco D’Ovidio. Ancora in Toscana testimonianze documentarie relative all’esperienza di amministratore locale di Sonnino sono reperibili presso l’Archivio storico comunale di San
Miniato (PI) e l’Archivio storico comunale di Montespertoli (FI). A Bologna fra i fondi dell’Archiginnasio, si trovano le carte Marco Minghetti, mentre presso la Biblioteca comunale Giulio Cesare
Croce di San Giovanni in Persiceto (BO) si trova l’archivio redazionale di Alberto Bergamini per
« Il Giornale d’Italia ». A Napoli, presso la Biblioteca Nazionale, si trovano le carte Torraca. A
Venezia, presso l’archivio dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti è conservata la corrispondenza di Sonnino con Luigi Luzzatti. A Foggia, presso la Biblioteca Ruggero Bonghi di Lucera si
segnalano le carte Salandra. A Milano presso il Museo del Risorgimento si trovano le carte
Agostino Bertani.
Un nuovo strumento di corredo per l’archivio di Sidney Sonnino
187
testimoniata dalla documentazione fotografica rinvenuta in archivio. Si segnalano, per importanza, molte rare edizioni in lingua inglese, la collezione completa
della « Revue des Deux Mondes » (1831-1884) e una raccolta completa del
« Giornale d’Italia ».
Il maggior numero delle opere del fondo è identificato dalla segnatura con
cui furono registrate in origine, riportata sulla carta di risguardia anteriore dei
volumi, o dalle note manoscritte di possesso. Nella biblioteca di Montespertoli
sono altresì presenti, sebbene in numero minore, volumi di vario genere, dal
letterario al religioso, provenienti dal fondo librario Sonnino un tempo presente
nel Castello del Romito presso Livorno ed identificabili dalla segnatura « Romito » impressa sulla costola delle opere.
Riconducibile al profondo interesse di Sonnino per Dante, come pure per
Mazzini e Carducci, la preziosa raccolta libraria della Divina Commedia che
comprende alcune pregevoli edizioni (dal 1484 al 1536) con il commento di
Cristoforo Landino, nonché copie anastatiche ottocentesche e opere storiografiche inerenti l’argomento.
ROBERTO BAGLIONI
BIBLIOGRAFIA
Baron Sidney Sonnino, Minister for Foreign Affairs, in Italian leaders of to-day, by H.
ZIMMERN, London, Williams & Norgate, 1915
Gli scopi degli alleati nella guerra presente: discorsi pronunciati dal Primo ministro
della Gran Bretagna on. D. Lloyd George e dal ministro italiano degli affari esteri
On. Barone Sidney Sonnino nella solenne adunanza tenuta in Londra al “Queen’s
Hall”, il giorno 4 agosto 1917, Milano, Istituto italo-britannico, 1917
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LA SEZIONE ICONOGRAFICA DELL’ARCHIVIO DEL BANCO DI ROMA
La sensibilità dimostrata negli ultimi anni nei confronti della fotografia, solo di recente considerata un bene culturale a pieno titolo, testimonia l’importanza del ruolo svolto dagli archivi fotografici per il recupero della memoria
storica e sottolinea il valore delle immagini come fonti autonome per lo studio
della storia contemporanea.
Oggi l’attività di salvaguardia degli archivi fotografici si svolge in osservanza delle nuove disposizioni legislative in materia di beni culturali che
riconoscono, pur se con notevoli ritardi rispetto ad altri paesi europei, la qualifica di bene culturale anche alle « fotografie con relativi negativi e matrici, aventi
carattere di rarità e di pregio artistico e storico »1.
Con il riconoscimento del valore culturale della fotografia, è passato in
primo piano il problema della gestione delle collezioni fotografiche, della loro
conservazione e tutela, dell’individuazione dei criteri generali e degli standards
di riferimento riguardanti l’attività di catalogazione e di gestione informatizzata
delle banche dati fotografiche: da qui l’impegno adottato negli ultimi anni dalle
Soprintendenze archivistiche per portare a termine il lavoro di censimento degli
archivi fotografici sia pubblici che privati, per promuoverne la valorizzazione e
per provvedere alla loro tutela in modo adeguato.
La documentazione descritta in questo articolo fa parte dei fondi iconografici di proprietà di un ente privato, Unicredit Banca di Roma. La Banca di
Roma, entrata nel gruppo Unicredit nell’ottobre 2007, era nata, a sua volta, nel
1992 a seguito di un processo di concentrazione tra il Banco di Roma, il Banco
di Santo Spirito e la Cassa di risparmio di Roma che, nel 1937, aveva già
incorporato il Monte di Pietà di Roma; in seguito alla costituzione della nuova
società fu istituito, nel 1993, l’Archivio storico, struttura preposta alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio archivistico prodotto dai quattro
istituti cessati: il Monte di Pietà di Roma (1539), il Banco di Santo Spirito
(1605), la Cassa di risparmio di Roma (1836) e il Banco di Roma (1880). L’archivio, dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica
per il Lazio, è sottoposto alla legge di tutela dei beni culturali 2.
1
Si vedano in proposito le norme previste dal d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490, « Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali » e, successivamente, dal d.lg. 22
gennaio 2004, n. 42, « Codice dei beni culturali e del paesaggio ».
2
Ulteriori notizie sui quattro fondi archivistici, sulla loro consultabilità e sulle modalità di accesso
alla sala di studio si possono trovare all’indirizzo Internet: www.bancaroma.it/it/chisiamo/archiviostorico/
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
190
Maria Teresa Fulgenzi
Le sezioni iconografiche comprese nei quattro complessi documentari precedentemente citati sono ricche di circa 80.000 immagini costituite in prevalenza da fotografie, ma anche da materiale propagandistico e pubblicitario, tra cui
bozzetti, manifesti, locandine e pannelli. Tra l’eterogeneo materiale di propaganda bisogna includere, inoltre, quello considerato comunemente « materiale
minore », che costituisce tuttavia un elemento importante per la conoscenza
degli enti e della loro attività nel campo della comunicazione, cioè cartoline,
oggettistica promozionale, carta intestata, modulistica figurata, opuscoli, calendari e altri articoli reclamistici utilizzati dalle aziende per diffondere sempre più
capillarmente la propria immagine.
Anche se di committenza esclusivamente aziendale, e quindi di contenuto
prevalentemente attinente al mondo economico e bancario, queste collezioni
iconografiche possono consentire anche ad un pubblico più vasto di conoscere
le vicende storiche degli enti, la loro progressiva evoluzione e gli aspetti meno
noti della vita lavorativa di una banca attraverso un tipo di documentazione che
spesso riesce ad illustrare il passato in modo più immediato e più facilmente
comprensibile rispetto ai documenti scritti. La raccolta offre inoltre un utile
contributo ad una conoscenza più approfondita della vita economica, politica e
sociale del Paese e ad illustrare alcuni degli avvenimenti più significativi del
Novecento.
Tra i fondi iconografici presenti nell’Archivio storico di Unicredit Banca di
Roma, quello del Banco di Roma costituisce senz’altro il nucleo più rilevante,
sia dal punto di vista quantitativo che dei contenuti.
L’archivio fotografico copre un arco cronologico compreso tra i primi del
Novecento e i nostri giorni ed è costituito da negativi di vario formato, sia su
lastre di vetro che su pellicola, stampe in bianco e nero e a colori e diapositive.
Le campagne fotografiche condotte dal Banco di Roma avevano prevalentemente lo scopo di diffondere l’immagine dell’istituto e di documentare la sua
espansione e l’intensa attività svolta in Italia e all’estero. La documentazione
prodotta doveva assicurare la diffusione all’esterno delle notizie riguardanti il
Banco, attraverso la stampa, le agenzie pubblicitarie, la televisione, i convegni e
le esposizioni, ma buona parte delle immagini era destinata anche alla comunicazione interna, attuata mediante la pubblicazione di volumi, bollettini aziendali, stampati e opuscoli.
Per documentare la progressiva espansione del Banco di Roma nel mondo
venivano effettuati frequenti servizi fotografici nella fitta rete di agenzie, filiali,
rappresentanze e filiazioni dislocate in Italia e all’estero, allo scopo di mostrare
l’immagine di una banca moderna e funzionale, che poteva disporre di sedi
adeguate alla posizione di prestigio raggiunta dall’istituto, di uffici ben arredati
e razionalmente organizzati, di servizi innovativi, efficienti e continuamente
potenziati.
Oltre alle agenzie e filiali in Italia, create dal Banco di Roma fin dai primi
anni di attività, l’istituto diede vita anche a numerose sedi all’estero: nel 1902,
mentre veniva incrementata la rete nazionale, che diveniva sempre più capillare,
La sezione iconografica dell’archivio del Banco di Roma
191
fu aperta la prima sede estera a Parigi. Di lì a pochi anni il Banco si estese
anche in altre città della Francia, a Malta, in Spagna, a Rodi, in Svizzera e,
contemporaneamente, rivolse la sua attenzione alle località costiere del Mediterraneo, centri attivissimi di scambi e di iniziative economiche con grandi prospettive produttive. Il primo insediamento nel bacino del Mediterraneo fu quello
di Alessandria d’Egitto, nel 1905, cui seguirono, tra il 1907 e il 1920, la Libia,
la Turchia, la Palestina, il Libano, la Siria e, a partire dal 1935, l’Eritrea, la
Somalia e l’Etiopia. L’espansione proseguì anche nel secondo dopoguerra e
l’ulteriore ampliamento della rete estera, a partire dagli anni Sessanta, portò il
Banco di Roma ad essere rappresentato in tutti i continenti 3.
Tra il materiale fotografico conservato in archivio, un posto rilevante è occupato proprio dalle immagini delle numerose sedi italiane ed estere: la maggior
parte degli scatti fotografici si riferisce ad inaugurazioni, a lavori di ristrutturazione, all’apertura di nuove filiali in edifici moderni e funzionali o in palazzi
storici di cui si effettuavano riprese dettagliate sia degli esterni che degli interni.
Da segnalare, in proposito, un significativo nucleo di foto raccolte negli album
relativi agli stabili delle filiali, che documentano tutte le modifiche apportate
agli edifici, ai locali e all’arredamento, dai primi del Novecento fino agli anni
Sessanta. Gli album, numerati in varie sequenze, sono organizzati cronologicamente e, all’interno di quelli pertinenti al medesimo periodo, le foto si susseguono secondo l’ordine alfabetico delle città sedi delle filiali. Scorrendo le
immagini ordinatamente raccolte in queste pagine, si resta colpiti, soprattutto,
dalla varietà architettonica e organizzativa delle sedi, inserite nel tessuto urbano
e quasi sempre influenzate dall’ambiente e dallo stile propri dei paesi in cui si
andarono a insediare: si passa, infatti, dai palazzi posti nei quartieri più prestigiosi al centro delle capitali europee, agli sportelli semplici ed essenziali, talora
quasi improvvisati, aperti nei desolati paesaggi africani. Un aspetto particolarmente interessante è rappresentato dalle fotografie riguardanti la presenza del
Banco di Roma nel bacino del Mediterraneo, in Oriente e in Africa Orientale,
che documentano vari aspetti dell’attività economica ed edilizia svolta in quelle
località e la partecipazione ai progetti di nuovi piani regolatori; le fonti iconografiche, insieme alle carte relative alle fasi di progettazione e realizzazione dei
lavori (capitolati, perizie, relazioni, planimetrie, carteggi) costituiscono delle
fonti preziose per ricostruire la storia urbanistica e architettonica nei territori
coloniali. I fotografi incaricati di documentare i tempi e i modi dell’espansione
in questi territori hanno prodotto anche numerose immagini di quelle regioni,
con vedute panoramiche, paesaggi desertici, insediamenti archeologici, piccoli
Sulla storia del Banco di Roma si veda l’esauriente monografia di L. DE ROSA - G. DE ROStoria del Banco di Roma, Roma, Banco di Roma, 1982-1984, voll. 3. Sull’architettura coloniale si vedano: Architettura italiana d’oltremare 1870-1940, Catalogo della mostra, Bologna,
26/9/1993-10/1/1994, a cura di G. GRESLERI - P.G. MASSARETTI - S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio,
1993; E. GODOLI - M. GIACOMELLI, Architetti e ingegneri italiani dal Levante al Magreb: 18481945: repertorio biografico, bibliografico e archivistico, Firenze, Maschietto, 2005, dove sono pubblicate planimetrie e immagini provenienti dalla Sezione iconografica del fondo Banco di Roma.
3
SA,
192
Maria Teresa Fulgenzi
agglomerati urbani e grandi città, personaggi e costumi locali, scene di vita
quotidiana.
Decisamente meno varie e significative sono le immagini prodotte dagli
anni Settanta in poi: in questi anni le campagne fotografiche venivano effettuate, quasi esclusivamente, per documentare l’allestimento di nuove filiali che
venivano aperte, in genere, nei moderni quartieri posti nelle zone periferiche
delle città; l’architettura degli edifici, lo stile e l’arredamento degli interni
diventano sempre più uniformi, la qualità delle fotografie si standardizza e le
riprese sono spesso ripetitive e prive di originalità.
Le fotografie costituiscono anche una testimonianza dell’evoluzione delle
diverse tecniche adottate nel corso del secolo, dai negativi su lastre di vetro a
quelli su pellicola in celluloide, rigidi e di grande formato (13x18), fino a quelli
più moderni su pellicole di piccole dimensioni, in bianco e nero e a colori; i
negativi sono pervenuti all’interno delle buste originali intestate « Banco di
Roma. Ufficio tecnico » (l’ufficio produttore), e corredate dall’indicazione del
soggetto raffigurato e della data di esecuzione. Tra i positivi si conservano
numerose stampe originali d’epoca di notevole qualità e alto valore professionale, dove è evidente un’accurata ricerca formale da parte degli autori.
Il ruolo svolto dal Banco di Roma nel campo della comunicazione pubblicitaria non si esplicò solo mediante la fotografia ma anche attraverso la produzione di materiale propagandistico, di cui l’Archivio storico di Unicredit Banca
di Roma conserva una interessante raccolta, prevalentemente compresa tra gli
anni Trenta e gli anni Quaranta: oltre a manifesti, locandine e cartoline a stampa, sono presenti anche pannelli e bozzetti originali, realizzati su diversi supporti e con diverse tecniche (acquerello, tempera, carboncino, olio, china). Questi
materiali costituiscono una cospicua fonte di informazioni per ampliare la
conoscenza del settore delle arti grafiche e delle forme di comunicazione di
massa, ma si rivelano anche utili per gli studi sociali sull’evoluzione del costume e per la ricostruzione del gusto di un’epoca. Le nuove esigenze prodotte
dalla civiltà industriale e dal commercio, alla fine del XIX secolo, favorirono
l’affermazione della cultura delle immagini; la diffusione della comunicazione
visiva, grazie anche all’utilizzazione e al perfezionamento di nuove tecniche
grafiche, ai bassi costi di produzione e alla semplicità della riproduzione meccanica, si svilupperà nel secolo successivo e raggiungerà, nel corso del Novecento, proporzioni fino a poco tempo prima impensabili. Negli anni Trenta fu
posta particolare attenzione nei confronti delle arti visive e fu adottato un
linguaggio figurativo caratterizzato da una forte componente simbolica; la
pubblicità si adeguò agli ideali del regime, di cui rifletteva lo stile e il linguaggio; la conquista dell’Etiopia, la nascita dell’Africa orientale italiana (AOI), le
imprese coloniali e l’ambiente africano in genere diventarono materia per l’illustrazione di quel periodo.
Nella raccolta di bozzetti e manifesti realizzati per il Banco di Roma meritano particolare attenzione proprio quelli realizzati negli anni Trenta per celebrare l’espansione e l’organizzazione dell’istituto in quei territori.
Fig. 1. Alessandria d’Egitto: cerimonia per la posa della prima pietra della sede del Banco
di Roma, 2 dicembre 1913. Foto: Aziz & Dorés, Alessandria.
Fig. 2. Missione mineralogica del conte Michele Sforza e dell’ing. Ignazio Sanfilippo in Tripolitania:
il conte Michele Sforza, vice capo della missione, e l’interprete Maffei trascrivono un’iscrizione
romana rinvenuta a Uadi Merdum, 1911.
Fig. 3. Filiale di Malta, primi del Novecento. Foto: R. Ellis.
Fig. 4. Filiale di Damasco, circa 1929.
Fig. 5. Tripoli d’Africa: mercato di Suk el Giuma, anni Venti.
Fig. 6. La filiale di Bengasi presso il palazzo dell’Albergo Italia, anni Venti.
Fig. 7. Filiale di Dessiè, circa 1936.
Fig. 8. Le truppe coloniali sfilano a Roma, in via dell’Impero, in occasione dei festeggiamenti per il primo anniversario dell’Impero, 1937. Foto: Romolo Del Papa, Roma.
Fig. 9. Pannello propagandistico per l’espansione del Banco di Roma in Siria, circa 1938. Autore: G.
Latini. Acquerello su legno.
Fig. 10. Filiale di Mogadiscio, circa 1936. Autore: Valle. Tempera su cartone.
La sezione iconografica dell’archivio del Banco di Roma
193
Negli anni dell’autarchia e della seconda guerra mondiale, i cartellonisti
furono impegnati nella produzione di manifesti specificamente bellici e di
propaganda, dove risalta in modo molto evidente lo stretto legame tra linguaggio politico e linguaggio pubblicitario.
Anche nell’archivio del Banco di Roma una parte rilevante della documentazione testimonia la vasta opera di promozione attuata nel periodo bellico a
favore della sottoscrizione di prestiti nazionali per il finanziamento delle imprese di guerra. Nei soggetti rappresentati risaltano, naturalmente, i valori etici e
sociali dell’Italia del tempo: la famiglia, il risparmio, il lavoro, la patria, con
riferimenti al passato tipici dell’ideologia e della propaganda di regime. I temi
iconografici ricorrenti sono le statuarie figure femminili allegoriche che campeggiano al centro della scena, i soldati armati raffigurati durante la battaglia o i
legionari intenti ad arare o a seminare nei territori africani, con la figura dell’imperatore romano o di altri simboli imperiali sullo sfondo; simbologie frequenti sono la nave, il timone, il salvadanaio, la cornucopia, le armi, le bandiere. Nelle scritte riportate sui manifesti grande enfasi viene data, naturalmente, al
nome della banca, in genere stampato a caratteri cubitali al centro dell’immagine.
Un altro gruppo di manifesti, realizzati nell’immediato dopoguerra, ricorda
inoltre l’attività svolta dall’istituto per promuovere i prestiti finalizzati a sostenere lo sviluppo del Paese nel difficile momento della ricostruzione.
Dai bozzetti si ricavavano cartoline, opuscoli, dépliants, locandine, manifesti e cartelloni: le numerose versioni, di differenti dimensioni, erano destinate
all’affissione nelle filiali, nei negozi, nelle strade e nelle piazze cittadine, alla
diffusione nell’ambito di esposizioni e fiere, o all’inserimento in allestimenti
pubblicitari appositamente costruiti, talvolta di dimensioni monumentali.
I manifesti rivestono notevole interesse anche dal punto di vista artistico,
poiché spesso venivano realizzati da personalità di alto livello che operavano
nel campo dell’illustrazione pubblicitaria. Gli autori rappresentati nell’archivio
del Banco di Roma sono infatti alcuni dei maggiori illustratori italiani della
prima metà del ’900: Gino Albieri, Alfredo Capitani, Giuseppe Latini, Luigi
Martinati, Ugo Ortona, Paolo Paschetto, Walter Roveroni, oltre a Francisconi,
Ortolani e Valle.
L’intervento effettuato finora sul materiale fin qui descritto ha compreso
una preliminare operazione di schedatura a livello di unità archivistica (album e
fascicoli di positivi sciolti), nel corso della quale è stata eseguita anche un’accurata indagine sullo stato di conservazione dei singoli pezzi per individuare
eventuali priorità per un intervento di pulitura e restauro.
Attualmente è in corso il lavoro di revisione della catalogazione e quindi di
riordinamento e inventariazione dell’intero fondo fotografico.
La descrizione di ciascuna unità comprende: l’intitolazione originale, o attribuita nel caso in cui manchi il titolo originale; eventuali integrazioni contenutistiche in cui siano descritti dettagliatamente i soggetti delle singole foto
comprese nell’album o nel fascicolo; il numero delle stampe, dei negativi, delle
194
Maria Teresa Fulgenzi
diapositive e delle lastre su vetro, in bianco e nero e a colori, contenute in
ciascuna unità; i nomi dei fotografi e della città dove operavano; gli estremi
cronologici dell’unità descritta.
La cronologia è ricavabile per lo più dalle indicazioni presenti sui contenitori originali, dove spesso è indicata nella forma di giorno, mese e anno; anche
le singole foto possono recare sul verso la datazione apposta a penna o con
timbro. Sono presenti, tuttavia, numerose foto prive di riferimenti cronologici,
per le quali sarà necessario attribuire una data presunta, più o meno generica,
prendendo in considerazione vari elementi ricavabili dall’analisi delle foto stesse:
eventuali riferimenti ad avvenimenti storici noti, lo stile dell’arredamento dei
locali, l’abbigliamento dei personaggi fotografati, la presenza di calendari,
manifesti, pubblicità o altri elementi datanti. Ulteriori informazioni sulla cronologia e sui contenuti potranno essere ricavate, inoltre, oltre che dalle fonti
bibliografiche, soprattutto dall’analisi dei documenti d’archivio; una parte consistente del materiale iconografico, infatti, costituisce parte integrante del complesso documentario, di cui chiarisce e completa il significato.
Un’altra fase molto importante per la redazione dell’inventario è quella relativa alla ricostruzione dei sistemi di ordinamento originali, individuabili attraverso l’analisi delle segnature archivistiche di cui si conservano tracce consistenti sulle buste e sui contenitori d’epoca o direttamente sul verso dei positivi.
Per quanto riguarda la catalogazione di manifesti, bozzetti, pannelli e altro
materiale pubblicitario la scheda descrittiva comprende la definizione dell’oggetto, la trascrizione integrale di slogan, legende o didascalie, una breve definizione del soggetto raffigurato e del tipo di evento, il nome dell’autore, la data, la
materia, la tecnica di esecuzione e il formato. Anche per queste tipologie di
materiali si rivela utile lo studio delle carte che, unito al confronto con le fonti
bibliografiche, potrà fornire ulteriori informazioni per una migliore comprensione della loro funzione e diffusione, per la ricostruzione del contesto storico e
per l’individuazione di eventuali relazioni con altre forme di pubblicità.
In futuro si dovrà provvedere a svolgere una serie di attività di studio e di
approfondimento descrittivo che rappresentano un presupposto fondamentale
per garantire una corretta conservazione, fruizione e valorizzazione di questo
tipo di materiale come, ad esempio, la schedatura analitica delle singole fotografie contenute nelle serie più significative o più consultate.
La soluzione ottimale che si prevede di adottare al termine del lavoro è
l’associazione dell’archivio delle immagini ottenute mediante la riproduzione
digitale, tuttora in corso di attuazione, alle singole schede descrittive contenute
nel data base, e la possibilità di rendere consultabile on-line l’intera banca dati.
MARIA TERESA FULGENZI
Unicredit Banca di Roma
UN’OPERA « MONUMENTALE » SUI RAPPORTI
TRA IL DUCATO DI MANTOVA E LA SICILIA NEL CINQUECENTO *
« Per questi merti la Bontà suprema
non solamente di quel grande impero
ha disegnato ch’abbia diadema
ch’ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo;
ma d’ogni terra e quinci e quindi estrema,
che mai né al sol né all’anno apre il sentiero:
e vuol che sotto a questo imperatore
solo un ovile sia, solo un pastore ».
(Orlando furioso, XV, 26)
Così, nella stesura « integrata » da diverse nuove ottave dell’edizione definitiva del Furioso in 46 canti del 1532, di poco precedente alla scomparsa del
poeta (6 luglio 1533), l’Ariosto, ispirandosi al tópos della renovatio imperii, che
si compie nel segno della monarchia universale, dispensatrice di pace e giustizia
per l’intero orbe « sotto il più saggio imperatore e giusto / che sia stato o sarà
mai dopo Augusto » (Orlando Furioso, XV, 24), celebra l’ascesa al trono
imperiale di Carlo V, incoronato in San Petronio a Bologna il 22 febbraio 1530
con una solenne cerimonia, cui il 24 dello stesso mese seguì l’incoronazione
come re d’Italia, da Clemente VII, che dopo la pace di Cambrai sembrava aver
abbandonato il « partito » francese 1.
A quest’iniziale notazione di Massimo Zaggia sull’influenza dell’« ideologia imperiale dominante » nel mondo delle lettere dopo il trionfo italiano
dell’Asburgo, rivolta ai « piani alti » della letteratura in cui si pone il poema
ariostesco, nello sviluppo del volume ne seguiranno molte altre, relative ai
livelli « inferiori » dell’ampia produzione di componimenti encomiastici d’occasione che segnarono le tappe del viaggio in Italia di Carlo V del 1535-1536.
Viaggio iniziato in Sicilia al ritorno dalla vittoriosa impresa di Tunisi e che
*
M. ZAGGIA, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento. I. La Sicilia sotto Ferrante Gonzaga,
1535-1546; II. La Congregazione benedettina cassinese nel Cinquecento; III. Tra Polirone e la
Sicilia. Benedetto Fontanini, Giorgio Siculo, Teofilo Folengo. Indici, Firenze, Leo S. Olschki editore, 2003, voll. 3, pp. IX, 1205 (Fondazione Banca agricola mantovana - Biblioteca mantovana, 2).
1
Negli ultimi anni del suo pontificato tornerà ad esserne sostenitore, suggellando, tra l’altro,
l’alleanza con le nozze tra la pronipote Caterina de’ Medici e il secondogenito di Francesco I e
futuro re di Francia, Enrico II.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
196
Giuseppe Cipriano
toccò le principali città della penisola con permanenze più o meno lunghe della
corte imperale in ciascuna di esse (a Napoli si fermò ben quattro mesi). Nel loro
insieme questi richiami a celebrazioni letterarie « effimere », come gli archi di
trionfo che accolgono l’illustre ospite in ogni centro, grande o piccolo, attraversato dal suo itinerario, ci offrono un esempio dell’estensione di campo dell’indagine storica condotta dall’autore, che pone gli eventi politico-militari e i loro
profili istituzionali nell’amplissimo panorama della produzione letteraria e
artistica e più generalmente della cultura globale di un’epoca.
Pertanto, il tema centrale dell’opera è rappresentato dai molteplici rapporti
che collegano il Ducato gonzaghesco di Mantova alla Sicilia del Viceregno
spagnolo, nel contesto dell’impero ispano-asburgico di Carlo V, rapporti riconducibili soltanto in parte all’azione d’un viceré dalla complessa personalità,
quale fu Ferrante Gonzaga, perché di nessi di collegamento ne scopriremo molti
altri, soprattutto per quanto riguarda la vita culturale e religiosa. Tali rapporti
rappresentano il filo conduttore di una ricerca multidisciplinare, che si è avvalsa
di un’estesissima ricognizione bibliografica, dell’intelligente scandaglio archivistico, dell’acuta indagine filologica, linguistica e bibliografica in ambito letterario, per giungere alla ricostruzione del quadro complessivo della produzione
e circolazione dei « beni culturali » in un’epoca attraversata dall’incerto confine
che separa il Rinascimento maturo dall’Età barocca: dall’architettura alle arti
figurative, alla letteratura maggiore e minore, alla musica, all’arredamento e
agli oggetti più rappresentativi della cultura materiale delle classi egemoni,
con una particolare attenzione rivolta alle vicende spesso intricate della committenza.
Il risultato di un così rilevante impegno di ricerca, che necessariamente deve essere stato di lungo periodo, è l’accumulazione di uno straordinario patrimonio di fonti eterogenee, raccolte con incredibile scrupolo di documentazione
e sempre oggetto di un’esegesi magistrale, che risultano pienamente fruibili
anche per lettori non specialisti, dato il procedere esemplarmente piano e
amabilmente colloquiale del dettato dell’autore in tutta l’opera. Il tono dominante, nelle oltre mille pagine che la compongono, non è mai quello uniforme
della « preziosità » erudita, fine a se stessa. Continui sono infatti i riferimenti ad
un contesto storico di estrema complessità, qual’è quello che risulta dalla
rinascita dell’Impero con Carlo V; dall’azione della Chiesa alle prese con la
Riforma protestante, con la conseguente ristrutturazione istituzionale e procedurale dell’Inquisizione e, per quanto riguarda la Sicilia, dalle rilevanti modificazioni del suo « paesaggio », causate dalla rifeudalizzazione delle terre nel XVI
secolo e dalla trasformazione del tessuto urbano, conseguenza della militarizzazione del territorio in funzione di difesa contro i turchi, promossa da Ferrante
Gonzaga con la costruzione di numerose piazzeforti sia all’interno dell’isola che
in prossimità dei porti principali, oltre che con il rafforzamento del sistema di
guardia delle torri costiere. In Sicilia, sempre nel decennio del viceregno gonzaghesco (1535-1546), si ottenne inoltre un’insperata limitazione alle sole materie
di fede degli ampi poteri giurisdizionali dell’Inquisizione spagnola, con l’esclu-
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
197
sione di tutti quei crimini, puniti con la pena capitale, che fino ad allora erano
stati di competenza della sua giurisdizione di « foro esclusivo » o « privilegiato », quando ne erano autori soggetti appartenenti ai suoi stessi ranghi, quali i
giudici, gli ufficiali e i « familiari » del Sant’Uffizio, questi ultimi particolarmente numerosi nell’isola 2. Concessa una prima volta per un periodo di cinque
anni da Carlo V durante la sua permanenza a Palermo nel settembre 1535,
dietro le pressanti istanze del Parlamento siciliano, questa sospensione degli
« esorbitanti » poteri dell’Inquisizione in Sicilia fu prorogata per un altro quinquennio, nel marzo 1540, per il diretto intervento di Ferrante presso la corte
imperiale, che in quel momento si trovava a Gand.
Quando Carlo V sbarca a Trapani il 22 agosto 1535, è reduce da una vittoria sul temibile Khayr ed-Din, il leggendario corsaro Barbarossa, che, dopo
essere divenuto padrone di Algeri e Grande Ammiraglio della flotta turca, ormai
regnava anche su Tunisi, dopo averne detronizzato il sovrano Muley Hassan,
discendente da un’antica dinastia berbera, con il quale gli Stati cristiani intrattenevano cordiali relazioni, soprattutto commerciali. Dopo la fuga del Barbarossa,
che comunque era riuscito a porre in salvo gran parte della sua flotta, Muley
Hassan tornerà sul trono sotto la « tutela » della guarnigione spagnola, stabilmente stanziata, in forza degli accordi sottoscritti nella fortezza della Goletta,
dalla quale si poteva dominare la città e il territorio circostante. Nel folto
seguito dell’imperatore di ritorno dall’Africa, tra quei « capitan di Carlo quinto », che, come « canta » sempre l’Ariosto (Orlando Furioso, XV, 23), « dovunque vanno », non possono che « aver per tutto vinto », è presente anche Ferrante
Gonzaga, fratello del primo duca di Mantova, Federico II (in precedenza ai
Gonzaga competeva soltanto il titolo marchionale) e del cardinale Ercole. Il
Gonzaga, abile generale, inquadrato in pianta stabile nell’armata imperiale,
oltreché stimato consigliere di Carlo V 3, dopo aver avuto una parte di rilievo
nella precedente campagna d’Italia, in particolare durante l’assedio di Firenze
del 1530, si era distinto nell’assedio della Goletta ed ora, al rientro in Sicilia, si
apprestava a ricevere l’investitura a viceré di quel regno, carica rimasta vacante
2
Lo status di « familiare » del Sant’Uffizio, che comportava l’immunità dalla giurisdizione
statale anche per gravi delitti, di certo non riconducibili all’ambito delle materie di fede o di morale,
compare in Sicilia con l’introduzione dell’Inquisizione spagnola alla fine del XV secolo, durante il
regno di Ferdinando d’Aragona. Col passare degli anni si formò un vero e proprio « esercito » di
questi « esenti » dalla giurisdizione regia, che il più delle volte avevano ottenuto « venalmente » l’attribuzione di quello status, come la maggior parte dei tanti esponenti della nobiltà che del « privilegio » godevano. Secondo la testimonianza contenuta in una lettera del viceré Marco Antonio
Colonna, del 3 novembre 1577, citata da Vito La Mantia nel suo fondamentale studio, Origini e
vicende dell’Inquisizione in Sicilia, Torino 1886, pp. 58-59, in quegli anni i « familiari » del
Sant’Uffizio in Sicilia erano ben 25.000 e nei piani degli inquisitori era previsto di portarne il
numero a 30.000. Inoltre, sempre secondo la lettera in questione, in quella « legione » militavano
tutti i nobili, i ricchi e i delinquenti dell’isola.
3
Pare che, nell’ordine delle « precedenze » di corte, venisse dopo, soltanto, al borgognone Nicolas Perrenot de Granvelle, subentrato nella direzione della cancelleria imperiale dopo la morte, nel
1530, di Mercurino Arborio da Gattinara.
198
Giuseppe Cipriano
dal marzo precedente (1535), quando si era spento Ettore Pignatelli, il primo dei
tre viceré di Sicilia nominati da Carlo V 4. All’atto di nomina, emanato a Palermo il 12 ottobre e sanzionato formalmente a Messina il 2 novembre, prima che
l’imperatore attraversasse lo stretto per raggiungere, risalendo la penisola, le
altre mete della sua visita, seguirà, il 4 novembre, la solenne cerimonia d’investitura nel duomo di quest’ultima città.
Da viceré di Sicilia, Ferrante, mostrando in questo molta cura del suo
« particulare », s’adoperò per acquistare dalla famiglia mantovana dei Torelli,
molto vicina ai Gonzaga, la contea di Guastalla, che, promossa al rango di
feudo imperiale, gli fu attribuita da Carlo V col titolo comitale nel 1541. Da lui
ebbe origine, così, il ramo collaterale dei Gonzaga, inizialmente conti e dal
1621 duchi di Guastalla. Nel 1546, infine, passò dall’esercizio del potere
vicereale in Sicilia al governo dello Stato di Milano, dove sviluppò una vigorosa
azione di consolidamento del dominio spagnolo e di duro contrasto rispetto alle
pretese territoriali e agli interessi economici delle « potenze » confinanti (Venezia, Ducato farnesiano di Parma e Piacenza, Ducato di Savoia, in quegli anni
occupato dai francesi); azione che, specialmente dopo la congiura ordita da
Ferrante per impadronirsi di Piacenza, costata la vita a Pier Luigi Farnese, figlio
di Paolo III, finì per allarmare lo stesso Carlo V, che nel 1554, preoccupato
dalla prospettiva di veder compromessa la sua politica di « equilibrio imperiale », lo sollevò dalla carica. Ormai ridotto il suo raggio d’azione ai soli incarichi
di « capitano imperiale », vedrà anche svanire, con il nuovo imperatore Filippo
II, la sua aspirazione a divenire viceré di Napoli. Dopo aver preso parte a varie
campagne nelle Fiandre, in subordine rispetto a Emanuele Filiberto di Savoia,
nuovo protagonista nel comando dell’armata imperiale, al quale andrà poi tutto
il merito per la vittoria, riportata a San Quintino, il 10 agosto 1557, sull’esercito
di Enrico II, re di Francia, guidato dal conestabile Anne de Montmorency,
Ferrante si spegnerà a Bruxelles il 15 novembre di quello stesso anno (era nato
a Mantova nel 1507)
Secondo Zaggia, l’inizio dalla Sicilia del viaggio trionfale di Carlo V nei
suoi domini italiani, che gli erano costati anni di durissima guerra (dopo lo
sbarco a Trapani, ci saranno la permanenza di un mese a Palermo, e poi Messina, Cosenza, Napoli, la tappa fondamentale di Roma e infine Siena, Firenze e
Lucca), segna per l’isola l’avvio di un processo che la porterà oltre l’ambito dei
traffici e della « cultura materiale » prevalentemente mediterranei, nel quale fino
ad allora era stata « confinata », attraverso un consolidamento della sua identità
di regione italiana, che, come provincia dell’impero ispanico, finirà anche col
collegarsi al « grande gioco » della politica europea. Per quanto riguarda, poi,
l’insularità culturale della Sicilia, il suo superamento coincide, nella seconda
metà del XVI secolo, con l’apparire di opere che si pongono senz’altro in un
contesto storiografico pienamente europeo per la raffinata erudizione che ha
4
L’ultimo sarà il « durissimo » nobile spagnolo Juan de Vega, già ambasciatore imperiale a
Roma dal 1543 al 1547.
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
199
presieduto alla loro stesura, quali il De rebus siculis decades duae (1558) del
domenicano, originario di Sciacca, Tommaso Fazello, e il Sicanicarum rerum
compendium (1562) del sacerdote messinese, maestro di scuola e matematico,
Francesco Maurolico. Contemporaneamente, nel 1561, una nuova edizione della
Descrittione di tutta Italia del domenicano bolognese Leandro Alberti sancisce,
secondo l’autore, con l’aggiunta dell’appendice relativa alle Isole appartenenti
all’Italia, l’ingresso della Sicilia nel novero delle « regioni italiane del Rinascimento maturo ».
Ma è sul piano linguistico che gli sviluppi di questo processo evolutivo
della realtà siciliana vengono seguiti con particolare attenzione. Infatti l’ampio
quadro della produzione letteraria minore, in particolare poemi e carmi encomiastici dedicati all’evento « straordinario » della visita di Sua Maestà imperiale, ci avverte dell’affermarsi in Sicilia, come lingua letteraria, di un volgare
toscano aulico, in diretta linea di discendenza da quel « siciliano illustre » in cui
si era espressa la precedente poesia d’amore d’impronta petrarchesca, in particolare in componimenti come le canzuni del palermitano Bartolomeo Corbera,
diffuse in tradizioni manoscritte, databili agli anni 1482-1483, e apparse antologicamente a stampa soltanto nel 1543 e nel trattato Osservantii di la lingua
siciliana di Claudio Mario Arezzo, nobile siracusano che, emigrato in Spagna
negli anni del regno di Ferdinando il Cattolico, avrebbe poi consolidato la sua
formazione umanistica nella cerchia della corte itinerante di Carlo V, dove suo
interlocutore privilegiato fu Mercurino Arborio da Gattinara. L’intervento
dell’Arezzo nella questione della lingua si pone in netto contrasto con la posizione espressa dal Bembo nelle Prose della volgar lingua, dove si afferma che
la « nazione » della lingua letteraria italiana delle origini va cercata piuttosto
nella Provenza della tradizione trobadorica che nella scuola poetica fiorita
presso la Magna Curia di Federico II a Palermo. In conclusione l’Arezzo finisce
col perorare una « primazia » del volgare siciliano, rispetto a quello toscano, nel
processo di formazione dell’idioma letterario italiano.
Ci troviamo, qui, nel vivo della linea di ricerca seguita da Zaggia, che, partendo dai « particolari » d’una stupefacente « collezione » di rarità bibliografiche, giunge agevolmente a formulazioni storiche d’indole e rilievo generali,
nella scia del metodo di « Geografia e Storia » consacrato dal filologo e italianista Carlo Dionisotti 5, sì, ma con una capacità tutta sua di penetrare e valorizzare
il sottosuolo « stratificato » d’uno sterminato patrimonio erudito, tale da lasciare
stupiti.
Altri significativi esempi dei risultati così ottenuti possiamo trovarli nell’Excursus, che nel capitolo IV del primo volume è dedicato all’incontro a
Roma di Carlo V con Paolo III, nella primavera del 1536. L’accoglienza riservata dal papa all’imperatore fu molto protocollare e in quell’occasione Paolo III
non mancò di rivendicare il primato e quindi la sostanziale neutralità della Sede
romana rispetto alla contesa in atto tra le due maggiori potenze dell’epoca
5
C. DIONISOTTI, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1999.
200
Giuseppe Cipriano
(Francia e Spagna). Zaggia, nell’evocare l’atmosfera complessiva di quell’incontro, anche con note di « colore locale »6, ne segnala però il valore cruciale
per i successivi sviluppi della storia europea, quali i rapporti tra cattolici e riformati, la convocazione del Concilio, l’irrigidimento della prassi inquisitoriale, i
nuovi episodi della guerra tra Francia e Spagna. Tra le testimonianze di cui si è
avvalso, l’autore ha dato un particolare rilievo, facendolo oggetto di attenta
indagine filologica, all’esemplare a stampa dei Carmina apposita ad Pasquillum, affisso alla celebre statua mutila subito dopo la partenza dell’imperatore,
che aveva trascorso la Pasqua a Roma. La « pasquinata » in questione, apparsa
puntualmente il 25 aprile, data tradizionale dell’uscita annuale di questa sorta di
« giornale murale » clandestino (si trattava in realtà di opuscoli o cartigli, a
seconda della lunghezza dei componimenti satirici che contenevano), non ebbe
però il consueto carattere libellistico di denuncia degli « arcani » e delle malefatte del potere papale. Pur nel latino « umoroso » della consolidata tradizione di
quel genere d’invettiva plebea e financo nell’intonazione parodica dell’« avviso », in volgare, di Mastro Marforio stampatore alli lettori, finì con l’unirsi al
generale coro di consenso e di lode per le tante vittorie riportate dal « novello »
Cesare. Nello stesso Excursus si possono poi seguire gli sviluppi della complessa azione politica svolta da Paolo III, che dopo aver conferito, nel solco del più
scontato nepotismo, la porpora ai nipoti Alessandro Farnese e Guido Ascanio
Sforza di Santafiora, a breve scadenza, chiamerà alla dignità del Sacro Collegio
il laico Gasparo Contarini, patrizio veneziano, che con il suo grande ascendente
intellettuale e morale diventerà un preciso punto di riferimento per la corrente
italiana dell’evangelismo 7, orientata, in piena sintonia con l’irenismo erasmiano, alla riforma della Chiesa dal suo interno e a un confronto costruttivo con i
luterani. Il suo maggiore centro d’irradiazione è rappresentato dal « circolo »
creatosi a Napoli intorno a Juan de Valdés, esule spagnolo, sfuggito alla persecuzione che, nella linea di rigore impressa all’azione del Sant’Uffizio spagnolo
dal neoistituito Consejo de la Suprema y General Inquisición, infuriava in
Spagna, oltre che contro i marrani e i moriscos, anche contro gli alumbrados 8,
alle cui file era stato accusato di appartenere il mistico e riformatore. Tra i più
6
Vi è, tra l’altro, un cenno al sontuoso pranzo con duecento portate di pesce, data la coincidenza della visita imperiale con il tempo di Quaresima, offerto all’ospite, si noti, dal card. Lorenzo
Campeggi e non dal papa!
7
« Evangelismo » è la definizione coniata nel secolo scorso (primo a trattare specificamente
delle sua manifestazioni in Italia, è stato Hubert Jedin, seguito poi da Delio Cantimori, che ne ha
ampiamente discusso in diversi saggi) per quel movimento, che dall’interno della Chiesa, senza
sconfinamenti in campo dogmatico, perseguiva il ritorno all’autenticità del messaggio evangelico
nella sua più antica tradizione, risalente agli apostoli e ai Padri della Chiesa, con mente scevra dagli
orpelli della scolastica.
8
Quello degli alumbrados, ossia gli « illuminati », era un movimento religioso, risalente al
secolo XV, che con la sua forte carica mistica si era sviluppato in Spagna nella tradizione del
« beghinaggio » medievale. Inoltre, secondo molti studiosi, appare anche come precursore del
quietismo seicentesco, del quale avrebbe anticipato le pratiche di abbandono totale dell’anima al
« flusso » dell’amore divino che la pervade.
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
201
fervidi adepti di quel circolo, totalmente conquistati dall’eloquio del « dolce
maestro », vi era Giulia Gonzaga, cugina seconda di Ferrante, cui era legata da
un rapporto di profondo affetto, peraltro reciproco, testimoniato dall’assiduo
scambio epistolare che intercorse tra i due, del quale ci sono rimaste un buon
numero di lettere 9
Giulia, andata sposa appena quattordicenne a Vespasiano Colonna, conte
di Fondi, del quale rimase precocemente vedova (era trascorso appena un anno
dalle nozze), si era rifugiata a Napoli nel 1535, dopo essere scampata, quasi per
miracolo, a un tentativo di rapimento da parte del corsaro Barbarossa, che, una
volta saccheggiata la città di Fondi, aveva deciso di impadronirsi della bellissima dama per farne « grazioso » dono all’harem del sultano Solimano il Magnifico, dal quale si attendeva in cambio grandi favori. Ma una volta giunta in
quella grande città, ecco che le si presentano una serie di straordinarie « occasioni », tali da mutare il corso dei suoi anni a venire: prima l’omaggio reso
all’imperatore e l’opportunità di rivedere Ferrante, che appena un mese dopo la
nomina a viceré di Sicilia aveva dovuto raggiungere il sovrano in itinere e
dimorava in casa della moglie, la nobildonna Isabella Di Capua, con la quale si
era sposato a Napoli nel 1530 10 e che diverrà grande amica di Giulia; poi le
prediche dell’Ochino, dalle quali rimane letteralmente affascinata; infine l’incontro con il Valdés, del quale diverrà allieva prediletta, al punto che nell’opera
forse più originale del riformatore, l’Alfabeto cristiano, un dialogo che trae
origine da una predica dell’Ochino, apparirà come deuteragonista ed infine nel
suo testamento sarà chiamata ad ereditarne i manoscritti.
Contestuale alla visita di Carlo V a Roma è la decisione, da parte del collegio cardinalizio, di convocare il Concilio, sanzionata, poi, dalla bolla Ad Dominici gregis curam del 2 giugno 1536, recante le disposizioni per l’apertura a
Mantova, fissata al 23 maggio 1537, che non avrebbe però avuto seguito anche
per le difficoltà opposte dal duca Federico; mentre di poco successiva è l’istituzione di una commissione per la riforma della Chiesa, presieduta dal Contarini, dai cui lavori uscirà il Consilium de emendanda Ecclesia. Il duro « atto di
accusa contro gli eccessi e gli abusi dell’istituzione ecclesiastica », contenuto in
quel memoriale, insieme all’apparire del trattato De unitate Ecclesiae, opera del
cardinale Reginald Pole, anch’egli nominato da Paolo III e che della commissione aveva fatto parte, composta nella scia dell’erasmiana De amabili Ecclesiae concordia, doveva accendere molte speranze, sia in campo cattolico che
protestante, nelle file dei fautori del dialogo, cui avrebbe dovuto seguire la
Settanta di quelle dirette da Giulia al cugino Ferrante, raccolte nell’Autografoteca Campori
della Biblioteca Estense di Modena, sono state edite alla fine dell’800 da Bruto Amante, nel testo
integrale o in regesto, insieme ad altre di risposta di Ferrante, nell’epistolario Giulia Gonzaga,
duchessa di Fondi, l’unico finora pubblicato per la copiosa corrispondenza della Gonzaga con
familiari ed amici (Giulia Gonzaga contessa di Fondi e il movimento religioso femminile nel secolo
XVI, con molti documenti inediti, Bologna, Zanichelli, 1895).
9
10
Dal matrimonio con Isabella Di Capua derivò a Ferrante il titolo di principe di Molfetta e di
Giovinazzo, la contea di Campobasso ed altri possessi.
202
Giuseppe Cipriano
riconciliazione. A spegnerle, ci sarà l’irrigidimento rigorista degli anni 15411542, che videro da un lato il fallimento dei colloqui di Ratisbona, cui aveva
partecipato lo stesso Contarini 11, dall’altro la pubblicazione della bolla Licet ab
initio del 21 luglio 1542, con l’istituzione a Roma del Tribunale « centrale » del
Sant’Uffizio, seguita, a distanza di due mesi, dalla convocazione del Concilio a
Trento con la bolla Initio nostri pontificatus, quando già era ripreso (10 luglio)
il conflitto tra Francia e Spagna. Intanto era partito l’ordine di presentarsi a
Roma (in sostanza un vero e proprio « mandato di comparizione »), firmato dal
cardinale Alessandro Farnese, per il generale dei cappuccini Bernardino Ochino. Le omelie di Ochino avevano suscitato grande ammirazione nelle maggiori
città d’Italia, compresa la Sicilia, dove egli era giunto nell’aprile del 1540,
proveniente da Napoli, sulla stessa nave del viceré Ferrante Gonzaga, che
abilmente era riuscito ad assicurarsi la presenza nel suo Stato del cappuccino
« più disputato » dai « reggitori » italiani, tra i quali lo stesso fratello del viceré,
Federico, duca di Mantova. La repentina decisione di fuggire a Ginevra, presa
dall’Ochino, mentre era già in viaggio per Roma 12, come conseguenza diretta
della convocazione, mise a rumore gli ambienti cattolici, che la interpretarono
come un segno inequivocabile del clima mutato nei rapporti con i riformati; si
era passati infatti dalle istanze più o meno diffuse del dialogo e della conciliazione alla linea dura del rigore e dell’intolleranza.
In un quadro già così affollato di eventi e di personaggi, l’abile « regia »
dell’autore inserisce, dandogli lo spazio dell’intero secondo volume, l’estesa
trattazione delle vicende dell’ordine benedettino tra XV secolo e prima metà del
XVI, colto in una fase critica della sua evoluzione storica ma anche di grande
fervore culturale, in perfetta consonanza quindi con quella che era la sua più
antica vocazione. In primo luogo viene data la più rigorosa e dettagliata informazione sul lungo processo di riforma dell’ordine, che ha inizio con la costituzione della nuova Congregazione di S. Giustina 13 presso il monastero annesso
all’omonima basilica padovana. Costituzione patrocinata dall’abate Ludovico
Barbo, patrizio veneziano, che, nella linea del movimento dell’« osservanza »14,
11
Il Contarini, in una prima fase dei colloqui, ottenne un importante accordo dottrinale sul
principio della « duplice giustificazione » sia attraverso la fede che mediante le opere ma nessun
risultato, alla fine, fu raggiunto riguardo alle controversie sui sacramenti e sull’autorità papale.
12
Proveniente da Verona, si trovava a Firenze, ospite di Caterina Cibo Varano; e qui ebbe
modo di incontrare Pietro Martire Vermigli, che, ormai decisamente orientato alla « conversione »,
presto lo avrebbe seguito sulla via dell’esilio, rifugiandosi a Strasburgo.
13
Fu approvata da Martino V nel 1419 come Congregatio de Unitate S. Iustine, denominazione mutata poi in de Observantia S. Iustine.
14
Il movimento dell’« osservanza », con le sue istanze di ritorno alla « purezza » ed al rigore
delle origini, attraversò come una benefica corrente di rinnovamento i vari ordini regolari (in
particolare benedettini, domenicani e francescani), a partire dalla fine del XIV e per buona parte del
XV secolo, determinando, nel caso dei francescani, la divisione dell’ordine in conventuali ed
osservanti. Dagli osservanti successivamente ebbe origine, per iniziativa di Bernardino da Siena,
Giovanni da Capistrano e Giacomo della Marca, il nuovo ordine dei cappuccini, approvato nel 1517
da Leone X con la bolla Ite et vos.
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
203
si proponeva di bandire dalla regola benedettina l’istituto della « commenda »,
che fino ad allora aveva consentito l’elezione, come abati, di prelati talvolta
anche estranei all’ordine e senza alcun obbligo di residenza, con la sola funzione, sembrerebbe, di lucrare l’appannaggio loro derivante dai cospicui benefici
che competevano alle varie abbazie. In breve la Congregazione estese il suo
« controllo » ai maggiori centri benedettini della Valle Padana, a partire dall’antico monastero matildino di S. Benedetto in Polirone (MN) (oggi San Benedetto
Po), e successivamente agli istituti sparsi sul resto del territorio italiano
(l’abbazia romana di S. Paolo fuori le Mura entrò a far parte della congregazione nel 1426). Intanto in Sicilia nel 1483 si era costituita la Congregatio Novella
Siculorum, approvata da Sisto IV con la bolla Etsi a summo pontefice. Già nel
1490, quando ne entrò a far parte, per ultimo, il monastero di S. Maria di Gangi
Vecchio, le sei maggiori abbazie dell’isola si erano riunite nella nuova Congregazione, erede peraltro della Congregatio Sicula Prima, che aveva avuto vita
breve tra il 1456 e il 1461. Ma proprio in queste abbazie nei primi anni del
Cinquecento si manifestarono forti pressioni, che sfociarono talvolta in veri e
propri « torbidi », per giungere all’unione con la Congregazione cassinese, erede
diretta di quella « dominante » di S. Giustina, che si era costituita nel frattempo
grazie anche all’attività svolta dall’intraprendente abate Ignazio Squarcialupi
(1448-1526). Alla brillante carriera monastica del nobile fiorentino 15 aveva
contribuito non poco la posizione di tutto rilievo che riuscì a mantenere, anche
dopo aver abbracciato i voti, prima nella cerchia della « clientela » medicea e
successivamente nell’entourage dei papi Leone X e Clemente VII, entrambi
membri della famiglia dei « principi » fiorentini. Alla Congregazione cassinese
alla fine si unì anche la casa madre dell’Ordine, l’Abbazia di Montecassino, in
quegli anni duramente provata dal passaggio degli armati, che si affrontavano
nelle « guerre d’Italia » per la conquista del Regno di Napoli, e l’unione fu
sanzionata da Giulio II con la bolla Super cathedram del 15 novembre 1504. In
conclusione si potrebbe dire che a Montecassino fu concesso l’« onore » del
nome, trasmesso alla nuova Congregazione.
Quella dello Squarcialupi è soltanto una delle tante figure di benedettini illustri del ’500, benemeriti degli studi biblici e patristici, letterari e storici (in
particolare storia benedettina), che compaiono come un’affollata nomenklatura
nell’opera di Zaggia, con sempre congrue note biografiche che ne illustrano la
partecipazione alla vita dell’ordine e, in alcuni casi, anche al travaglio del
mondo religioso in quell’epoca. Basti pensare ai tre abati, chiamati dal Capitolo
generale della Congregazione cassinese (di norma si riuniva annualmente nel
Lo Squarcialupi, oltre ad aver ricoperto la carica di abate nelle maggiori abbazie benedettine in Italia (S. Benedetto in Polirone, Badia fiorentina, S. Paolo fuori le Mura, Montecassino), fu
per quattro volte nominato presidente della Congregazione cassinese. Al nome dell’abate fiorentino
è legata, in particolare, la « rinascita » cinquecentesca dell’Abbazia di Montecassino, che seguì al
suo ritorno all’unità in una sola Congregazione con gli altri istituti dell’Ordine. Un risultato questo,
da attribuirsi in gran parte alla fattiva opera svolta dallo Squarcialupi, cui si accompagnò sempre
una grande abilità diplomatica.
15
204
Giuseppe Cipriano
monastero di S. Benedetto in Polirone), a rappresentarla al Concilio di Trento. I
tre, presenti a Trento con largo anticipo rispetto alla data prevista d’inizio dei
lavori, ma che non furono ammessi alla cerimonia d’apertura del 13 dicembre
1545, erano: don Isidoro da Chiari (meglio noto con il nome « aulicamente »
latinizzato in « Clario »), abate di S. Giacomo Maggiore a Pontida; don Luciano
degli Ottoni, abate di S. Maria di Pomposa; don Crisostomo Calvini, abate di S.
Angelo a Gaeta. Tutti e tre uomini di studio, non gravati da alte cariche nel
« governo » della Congregazione, prescelti soltanto per il loro elevato profilo
dottrinale. In particolare il Clario era l’autore di una nuova edizione della
Bibbia in latino, apparsa nel 1542, che in campo cattolico è tra le prime a
distinguersi dalle tante, che fino ad allora avevano riproposto integralmente la
vetus et vulgata editio di san Girolamo, ancora una volta dichiarata come
l’unica autentica dal decreto conciliare dell’8 aprile 1546, mentre l’edizione del
Clario sarà poi inserita nel primo Indice universale dei libri proibiti 16, quello
« paolino » del 1559, pubblicato a stampa con la piena approvazione del pontefice Paolo IV.
Nei Concilii Tridentini diarii, opera del segretario del Concilio, Angelo
Massarelli, alla data dell’11 gennaio 1546, è riportata una « confidenza », che
egli aveva ricevuto dal « padrone di casa », il principe-vescovo di Trento,
cardinale Cristoforo Madruzzo: « Un vescovo con certi abbati » si era recato dal
Madruzzo, chiedendogli con insistenza il consenso all’iniziativa sua, di altri
sette vescovi e degli abati presenti, d’inviare lettere d’invito a Melantone e a
Martin Bucer, seguaci dichiarati di Lutero, perché si recassero sollecitamente a
Trento per partecipare al dibattito conciliare, se non per una loro esigenza di
confronto e dialogo, almeno per consentire ai vescovi, che li invitavano, di
potersi esprimere liberamente, in quanto la loro presenza era l’unica garanzia
che ciò potesse realizzarsi. Il Madruzzo, che aveva già informato i legati pontifici, che presiedevano l’assemblea 17, della « grave » richiesta che gli era stata
rivolta, nel « colloquio confidenziale » col Massarelli non poté fare a meno di
aggiungere che nel Concilio « ci n’erano di marcii eretici », tra i quali certamente « da sette a otto vescovi lutheranissimi, li quali gli havean parlato in confessione » e dei quali, pertanto, non poteva rivelare il nome. Nella prima congregazione generale del 18 gennaio, comunque, lo stesso Madruzzo, come per
16
La Bibbia del Clario fu espunta dal successivo, più « mite » Indice tridentino, pubblicato, a
Concilio concluso, nel 1564, la cui redazione, sottratta alla competenza del Sant’Uffizio per volontà
del successore di Paolo IV, Pio IV, era stata affidata ad una commissione di padri conciliari,
nominata a Trento appena un mese dopo la riapertura (18 gennaio 1562) del Concilio, che lo stesso
pontefice aveva riconvocato con bolla del 29 novembre 1560. Ma la concessione dell’imprimatur
per le nuove edizioni dell’opera era subordinata ad un preciso adempimento da parte dell’autore: il
testo biblico doveva risultare sempre distinguibile dalla versione della Vulgata ed inoltre non
doveva essere preceduto da « paratesti » di sorta, compresa la prefazione dell’autore, né in alcun
modo commentato.
17
Si tratta dei cardinali, presenti all’apertura del Concilio insieme a 31 vescovi (in gran parte
italiani), Giovanni Maria Ciocchi Del Monte (futuro papa Giulio III), Marcello Cervini (papa
Marcello II) e Reginald Pole.
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
205
togliersi un peso di dosso, « ufficializzerà » la richiesta, attribuendola al vescovo di Capaccio, presente ai lavori, e proponendola all’approvazione dell’assemblea, che naturalmente la respinse con « riprovazione ».
Il vescovo di Capaccio in questione, era il giovane napoletano Enrico Loffredo, che continuò a partecipare ancora per un anno alle riunioni conciliari,
fino a quando il 6 marzo 1547, appena ventiseienne, si spense per aver contratto
il tifo esantematico; il che la dice lunga sulle difficoltà materiali, prima fra tutte
il rigido clima invernale, che dovevano affrontare, e sulle cattive condizioni
igieniche in cui vivevano, i padri conciliari riuniti a Trento 18. Quanto agli abati,
che accompagnavano il vescovo che aveva rivolto quella « delicatissima »
istanza al Madruzzo, sappiamo che non possono essere altri che i tre, che già
conosciamo, unici rappresentanti della Congregazione cassinese presso il Concilio nella sua fase iniziale. Nel proporci le loro figure, Zaggia ci indica, nel
contempo, anche la via seguita dall’eresia per penetrare nelle abbazie benedettine del XVI secolo, che è quella degli studi letterari, storici, biblici e patristici
che tra le loro mura si coltivavano; una via percorsa anche dalle opere di Erasmo che in quelle abbazie ebbero ampia diffusione, portandovi i semi di
un’« eloquenza laica », che, secondo il fronte cattolico più intransigente, era
divenuta il più subdolo « portavoce » di Lutero. Un tema questo, che poi svilupperà nel terzo volume, trattando della vita, della carriera monastica e delle opere
di Teofilo Folengo, Benedetto Fontanini e Giorgio Siculo.
Bisogna avvertire in primo luogo che le pagine dedicate al monaco e letterato mantovano, Teofilo Folengo (al secolo Gerolamo, nato nel 1491, ottavo dei
nove figli del notaio Federico, quattro dei quali lo avevano preceduto nell’abbracciare la regola benedettina), occupano l’intera parte IV dell’opera e si
estendono per ben nove capitoli. Esse costituiscono un saggio a sé stante di
storia e critica letteraria, nel quale lo Zaggia ha dato il meglio della sua grande
perizia in campo filologico, bibliografico e archivistico, offrendoci notizie
biografiche di un autore spesso trascurato dagli storici della letteratura italiana,
aggiornate in base a recenti scoperte documentarie, e una più che esauriente
bibliografia delle sue opere, con ampi riferimenti alle varianti delle successive
edizioni delle Macaronee (Paganino, Toscolanense, Cipadense), curate dallo
stesso Folengo, che segnano le « tappe » del lungo percorso delle « mutazioni »
(trasferimenti dei monaci da un monastero all’altro, decisi dal Capitolo generale
della Congregazione cassinese), che lo portarono dal monastero bresciano di S.
Eufemia, dove professò i voti nel 1509, a quello palermitano di S. Martino delle
Scale, dove dimorò dal 1539 al 1543, sia nella sede principale che nella « dipendenza » di S. Maria delle Ciambre, tra le montagne sopra Palermo. Una
datazione questa, di cui l’autore ha trovato piena conferma, per gli anni 1540Hubert Jedin si è soffermato ripetutamente sulla partecipazione del Loffredo ai lavori conciliari nella sua fondamentale Storia del Concilio di Trento. Zaggia, peraltro, ritiene che la prematura
scomparsa del vescovo di Capaccio abbia fornito « un argomento utile » ai fautori del trasferimento
della sede del Concilio a Bologna.
18
Giuseppe Cipriano
206
1543, nelle registrazioni delle spese sostenute per don Thiophilo de Mantua,
presenti nelle scritture contabili (Libro grande o mastro e giornali contabili)
dell’abbazia per quegli anni 19, oggetto di una sua « paziente esplorazione » nell’AS Palermo, Corporazioni religiose soppresse, San Martino delle Scale.
Al periodo della dimora in Sicilia del Folengo appartengono due sue opere,
minori rispetto al corpus delle Macaronee con la perla del Baldus ma percorse
da una forte ispirazione religiosa, che le pone al centro della discussione, ancora
in corso tra gli studiosi, sull’adesione o meno del loro autore alla Riforma: la
Palermitana e l’Atto della Pinta. La prima, il cui titolo deriva dal nome del
vegliardo Palermo, capo di una « santa arcadia » di monaci-pastori, dedita, sulle
rive del Giordano, ad una vita esemplare nel comune esercizio d’ogni virtù, è un
poema sacro in terzine, che, nella forma metrica e nel disegno strutturale, nel
prologo autobiografico, come nell’ispirazione teologica e profetica, sembra
rifarsi al modello della Commedia dantesca. Infatti il Folengo, che nel poema
compare in prima persona con il suo stesso nome di religione, Teofilo, una volta
raggiunta la Palestina, meta di un « cammino » di redenzione che lo ha portato
da Roma ad Atene e poi in Egitto, sarà condotto dal pastore Palermo ad assistere in un « luogo teatrale » molto particolare, il « Coliseo pastorale », ad una
rappresentazione della storia del mondo secondo le scritture e da lì, poi, per
l’intervento d’un angelo, insieme alla sua guida raggiungerà Betlemme e potrà
adorare Gesù nel presepe. Ma sono i frequenti intercalari dottrinali, « incastonati » nella trama narrativa, a rendere ancor più evidenti le « riprese dantesche »
nell’opera. « Digressioni dottrinarie » che, secondo Zaggia, appaiono di « scottante attualità » rispetto all’epoca in cui sono state formulate e potrebbero anche
testimoniare di un « inclinare » del Folengo verso le posizioni della Riforma,
come quella, presente nel canto XVIII, relativa alle questioni « della grazia e
libero arbitrio, della fede e delle opere, dell’eresie e mala vita de’ pastori »,
quando non si risolvano in dure invettive, appena velate, contro la Chiesa di
Roma, qual’è la « querela del benignissimo Dio contro la ingratitudine della sua
sposa Sinagoga », che, nei canti XXIV-XXV, introduce l’annuncio del ritorno
« glorioso » della Chiesa di Cristo con toni che in tutto ripropongono quelli
della polemica « antiromana » di Lutero rivolta al bersaglio della « nuova
Babilonia ». L’Atto della Pinta è invece un vero e proprio spettacolo teatrale,
una « sacra rappresentazione », centrata sul tema teologico della creazione
divina del mondo, che giunge al suo pieno compimento con l’Incarnazione
del Figlio di Dio annunciata alla Vergine dall’arcangelo Gabriele e ci è
stato tramandato in una stesura postuma, risalente alla prima rappresentazione,
che si tenne a Palermo, il 12 settembre 1562, nella chiesa di S. Maria della
Particolarmente significativa l’annotazione del pagamento, alla data del 16 novembre 1542,
di « tarì 4 a messer Hieronimo Romano per uno libro di carta netta per lo p. don Theophilo ». In
registrazioni successive (21 aprile e 4 agosto 1544), che non riguardano più spese sostenute per il
Folengo, messer Hieronimo è qualificato come libraro.
19
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
207
Pinta 20, sede dell’omonima Arciconfraternita, che avrebbe commissionato
l’opera al Folengo. Una redazione questa, che ha i suoi unici testimoni in due
manoscritti, di epoca diversa 21, della Biblioteca del monastero di S. Martino
delle Scale, che presentano anche versioni diverse del testo. Oltre alle due
« siciliane », tra le opere d’ispirazione religiosa del Folengo che depongono per
un suo orientamento favorevole alle posizioni espresse dalla pubblicistica della
Riforma, con la quale doveva essere sicuramente entrato in contatto, ve n’è una
d’epoca precedente, l’Humanità del Figliuolo di Dio, che con i suoi dieci libri
in ottave d’impronta ariostesca, interamente dedicati, dopo un prologo sulla
discesa di Cristo al limbo, alla vicenda terrena del Redentore secondo il racconto dei Vangeli, testimonia del suo particolare impegno sui temi biblici ed
evangelici al centro delle « controversie » tra cattolici e riformati. Apparsa a
stampa a Venezia nel 1533 con il nome dell’autore e non più con lo pseudonimo
Merlin Cocaio delle Macaronee, e con la premessa di un sonetto a firma del
fratello Giovanni Battista, anch’egli letterato di vaglia 22, precede di poco il
ritorno di Teofilo alla vita monastica. Nel 1534 il Folengo rientrò nella Congregazione cassinese, dalla quale si era allontanato nel 1525 con licentia dei
superiori, per raggiungere prima Venezia, dove s’impiegherà come precettore in
casa del condottiero Camillo Orsini, e successivamente, nel 1530, per unirsi, in
un eremo sul Conero presso Ancona, al fratello Giovanni Battista, che dopo di
lui, tra il 1528 e il 1529, aveva lasciato il chiostro. Infine, sempre insieme al
fratello, dopo varie tappe negli spechi dell’Appennino centrale, chiuderà la
parentesi della sua « fuga dal mondo » con un lungo ritiro nell’eremo di S.
Pietro a Crapolla, vicino a Punta Campanella nella penisola sorrentina.
Zaggia perviene alla riscoperta delle opere minori del Folengo seguendone
le tracce lungo un percorso bibliografico che va dai grandi repertori biografici
cinquecenteschi dell’ordine benedettino, quali l’Historia monastica distinta in
cinque giornate di Pietro Calzolai de’ Ricordati (1561) e Scriptores ecclesiastici
20
« Pinta », in dialetto siciliano, sta per « dipinta » e si riferisce ad un’immagine dell’Annunziata, che in quella chiesa si venerava.
21
Uno è databile tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600, mentre l’altro, che fa parte della raccolta manoscritta Raguagli storici dello storico benedettino Pietro Antonio Tornamira, è sicuramente successivo al 1675.
22
Di Giovanni Battista, la cui produzione, tutta in latino, appare di alto livello letterario, ci
sono pervenuti i Pomiliones, una raccolta di dodici dialoghi, l’ultimo dei quali, intitolato Remigratio, che si svolge tra l’autore e un tal Lucianus (probabilmente l’abate Luciano degli Ottoni),
rappresenta il bilancio della sua esperienza eremitica, conclusa dal ritorno nella Congregazione.
Apparvero con fittizie note tipografiche (In promontorio Minervae ardente Sirio, MDXXXIII), sotto
lo pseudonimo di Chrysogonus, in un volume che riunisce anche i 68 carmi del fratello (Teofilo vi
compare come autore), che compongono il Varium poema, seguiti dal poemetto Ianus, anch’esso
opera di Teofilo. Di grande rilievo anche il ponderoso commento ai Salmi, pubblicato nel 1549 in
un volume in folio di cc. 475 presso il grande editore di Basilea Michael Isengrin. La scelta di un
editore d’oltralpe, in contatto con diversi esuli religiosi italiani, tra cui il tipografo Pietro Perna, per
la pubblicazione dell’opera, è stata considerata da diversi studiosi, come la Seidel Menchi, un chiaro
sintomo dell’orientamento dei fratelli Folengo verso i temi e il dibattito della Riforma.
208
Giuseppe Cipriano
Ordinis Sancti Benedicti, lemmario centrale di quel « monumento » d’erudizione araldica ed ecclesiastica che è il Lignum vitae del fiammingo Arnoldo
Wion (1595), alla seicentesca Sicilia sacra del Pirri (1649) nelle sue successive
edizioni, l’ultima delle quali è quella postuma del 1733, curata con qualche
ampliamento dai fratelli Mongitore (Vito Maria Amico e Antonino), fino al
saggio di Isidoro La Lumia, Teofilo Folengo in Sicilia, apparso nel 1878 sulla
« Nuova Antologia ». Il risultato di tanto impegno di ricerca è un’esemplare biobibliografia del Folengo, dove, comunque, si evita un giudizio conclusivo sull’eterodossia del benedettino, quale quello espresso da Cesare Federico Goffis
nel saggio L’eterodossia dei fratelli Folengo (Genova 1950), dove il monacoletterato viene definito: « primo luterano d’Italia ». In alternativa, viene proposta
l’interpretazione che del rapporto del Folengo con la Riforma hanno dato, prima
il grande storico tedesco (protestante) Leopold von Ranke nella sua Storia dei
papi, pubblicata tra il 1834 e il 1836, e poi Delio Cantimori in Prospettive di
storia ereticale italiana del Cinquecento (Bari 1960). Il Ranke sosteneva che
l’ortodossia del Folengo non poteva essere messa in dubbio soltanto per quelle
« consonanze con il pensiero luterano », che, sicuramente presenti nella sua
opera, non è detto risalgano all’influenza del « verbo » riformato, in quanto
potrebbero anche derivare dal suo avere attinto a « un comune serbatoio di
pensiero cristiano »; il Cantimori a sua volta affermava che l’eventuale condivisione da parte del Folengo di alcune idee di Lutero non consente da sola, quando manchi ogni prova di una sua precisa volontà di rompere con la Chiesa, di
etichettarlo come luterano, in considerazione dell’epoca in cui egli visse (si
spegnerà il 9 dicembre 1544 nel monastero di S. Croce di Campese presso
Bassano), quasi interamente antecedente alla Licet ab initio (1542), che segna il
limite oltre il quale si definisce, almeno nel panorama italiano fino a quel
momento dominato dall’evangelismo e in cui, di conseguenza, è difficile
distinguere tra « gli orientamenti di riforma cattolica e gli spunti filoprotestanti », una netta linea di frattura fra cattolici e luterani con la conseguente loro
contrapposizione in campi avversi.
Quanto agli altri due benedettini « celebri », presenti in Sicilia durante il
viceregno di Ferrante Gonzaga, Benedetto Fontanini e Giorgio Siculo, è documentato che negli anni 1537-1542, l’Abbazia di S. Nicolò l’Arena presso
Nicolosi, alle falde dell’Etna, li ospitò entrambi. Il primo, mantovano come il
Folengo, col quale era entrato in dimestichezza da giovane professo a S. Benedetto in Polirone, vi era giunto in « mutazione » da S. Giorgio Maggiore (Venezia); il secondo, originario della Sicilia (era nato a San Pietro Clarenza,
nell’entroterra di Catania, da una famiglia della media nobiltà locale, i Rioli), a
S. Nicolò aveva professato i voti nel 1534. Tra i due, durante la convivenza
cenobitica, si devono essere stabiliti reciproci contatti « formativi », proprio
negli anni in cui il Fontanini attendeva alla stesura del Beneficio di Cristo.
L’opera, che doveva avere la più ampia diffusione negli ambienti della Riforma
in Italia e divenire, perciò, la più « ricercata » dall’Inquisizione, apparirà anonima a Venezia nel 1543, per i tipi di Bernardino Bindoni, in una stesura che era il
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
209
frutto di un intervento di integrale revisione da parte di Marcantonio Flaminio,
esponente di rango dell’Ecclesia Viterbiensis 23. Quest’ultima, riunita intorno al
cardinale Reginald Pole, con la presenza di figure come quella del cardinale
Giovanni Morone e, sia pure in posizione marginale, di Ercole Gonzaga, era
ormai era al centro delle « attenzioni » di inquisitori come il Carafa, il Ghislieri e
il rigidissimo Rebiba, cardinale messinese dalla « folgorante » carriera, e manteneva quindi viva tra sempre maggiori difficoltà la tradizione dell’evangelismo
italiano, nella memoria, ancora recente, della predicazione valdesiana.
Il Siculo nelle sue « mutazioni », risalendo la penisola, seguirà un percorso
inverso e senza ritorno al luogo di partenza, rispetto a quello del Folengo e del
Fontanini, le cui tracce sono state quasi interamente cancellate dalla damnatio
memoriae, che lo colpirà dopo la sua condanna a morte come eretico ostinato e
ribelle, decretata dal Sant’Uffizio di Ferrara ed eseguita il 23 maggio 1551.
Comunque ne troviamo attestata la presenza, nel 1546, presso il monastero di S.
Benedetto in Polirone e poi a Bologna, in contatto con il Collegio di Spagna,
che sarà uno dei centri di diffusione delle sue proposizioni ereticali insieme
all’ambiente monastico di S. Benedetto in Polirone; e, infine, nell’eremo di S.
Maria Maddalena, sopra Riva del Garda, dove dovrebbe aver preso forma la sua
Epistola alli cittadini di Riva di Trento, apparsa poi a stampa a Bologna nel
1550: una sorta di pamphlet d’ispirazione nettamente antiluterana sul caso,
all’epoca celebre, del riformato « pentito » Francesco Spiera che, dopo aver
abiurato nel corso di un procedimento inquisitoriale, fu colto da una grave crisi
di coscienza e, nella convinzione di essersi dannato per aver rinnegato Cristo,
roso dal rimorso, venne rapidamente a morte nell’angoscia della disperazione.
Anche gli scritti del Siculo, ed a maggior ragione, furono colpiti dalla stessa
damnatio memoriae, che ha reso tanto incerta la figura dell’autore, ma indipendentemente da essa c’è il fatto che il suo messaggio, secondo Zaggia, « era
divulgato anzitutto attraverso canali orali di persuasione personale che dovevano essere di forte efficacia. Agli adepti della “setta giorgiana” erano quindi via
via consegnati, a seconda del grado di iniziazione, i fascicoli di un Libro grande
che conobbe diverse redazioni manoscritte » e il cui titolo, Della verità cristiana
et dottrina appostolica rivellata dal nostro Signor Giesù Christo al servo suo
Georgio Siculo della terra di Santo Pietro, ci è stato tramandato soltanto dai
verbali di un processo inquisitoriale 24.
23
Con Ecclesia Viterbiensis, si è soliti indicare quella cerchia di persone che soggiornò per un
lungo periodo a Viterbo presso il cardinale inglese Reginald Pole, nominato legato pontificio al
Patrimonio di San Pietro nel 1541, e che condivise con lui un’esperienza non solo religiosa ma
anche politica. L’Ecclesia Viterbiensis si proponeva di portare avanti un programma politicoreligioso antitetico a quello propugnato dall’Inquisizione Romana che disconosceva qualunque
ideologia sostenuta dai Riformatori d’Oltralpe e guardava all’imminente concilio come unica
soluzione per ristabilire la chiarezza dottrinale. Gli « spirituali » viterbesi invece si proponevano di
portare avanti il dialogo con i protestanti nella convinzione che all’interno della Chiesa potessero
coesistere più orientamenti.
24
Si tratta del processo intentato dal Sant’Uffizio di Ferrara contro il medico di Argenta,
Francesco Severi, illustre clinico e docente presso la locale Università. Il processo si concluse con la
210
Giuseppe Cipriano
Delle successive redazioni del Libro grande, due delle quali di mano del
Siculo, tradotte in latino e stampate dopo la sua morte, non ci è pervenuto alcun
esemplare, in quanto, capillarmente ricercate dall’Inquisizione, finirono in uno
dei tanti roghi di libri, che sinistramente illuminarono le piazze d’Italia nella
seconda metà del XVI secolo. Una totale incertezza regna, poi, riguardo all’iniziale tradizione e diffusione delle opere del Siculo (iniziale, in quanto quelle
uscite a stampa in epoca successiva alla loro comparsa come manoscritti,
andarono tutte distrutte). Di una soltanto, il breve trattato in forma epistolare De
iustificatione, del quale di recente è stato trovato nella Biblioteca municipale di
Besançon un esemplare con dedica al cardinale Cristoforo Madruzzo, è possibile ricostruire la vicenda d’origine.
Il De iustificatione, commissionato dall’abate di Pomposa Luciano degli
Ottoni, che alla fine del 1546 era il nuovo rappresentante della Congregazione
cassinese al Concilio, doveva servire al Siculo per poter fare ammenda di un
suo precedente intervento nel dibattito conciliare in corso su un punto cruciale
dello scontro dottrinale con i riformati, quello delle tesi sulla giustificazione per
mezzo della sola fede o della fede assistita dalle opere, intervento che gli era
costato l’accusa di essere luterano. Il trattato fu confezionato celermente e nel
testo riveduto e tradotto in latino dallo stesso Ottoni e approvato dal monastero
di S. Benedetto in Polirone, fu portato a Trento dall’abate e comunicato nel
corso della sessione. Questa storia, apparentemente paradossale, dell’opera di
un arcieretico presentata con tutti i crismi dell’ortodossia al Concilio di Trento,
trova una sua spiegazione nel fatto che tutti gli scritti del Siculo furono oggetto
di revisione e successiva traduzione in italiano o latino dalla « lingua siciliana »
dell’originale stesura, da parte di vari « patroni », che finirono con lo svolgere,
rispetto ai « prodotti finali » della sua opera, un’attività che oggi si definirebbe,
con un termine inglese di moda, da ghostwriter. Oltre all’Ottoni, uno di questi
« scrittori-fantasma » è certamente il Fontanini, col quale il Siculo poté rinnovare l’antico sodalizio siciliano, quando don Benedetto, nel 1546, dall’Abbazia di
Pomposa, dov’era stato destinato al ritorno dalla Sicilia, fu trasferito a S. Benedetto in Polirone.
La veemente polemica antiluterana, soprattutto riguardo alla tesi della giustificazione mediante la sola fede, che aleggia nelle opere del Siculo, unita alla
sua accettazione della partecipazione ai riti del culto cattolico nel rispetto della
tradizione, è stata considerata da diversi studiosi del nostro tempo, in particolare
il Ginzburg, autore di un memorabile studio sulla simulazione/dissimulazione
religiosa nell’ambito dei vari movimenti della Riforma 25, una chiara manifestasua condanna a morte, quale relapso nell’eresia « giorgiana »; condanna eseguita a Ferrara il 7
settembre 1570. Infatti, in quanto recidivo (in precedenza, il Severi era stato già arrestato nel 1567,
condannato al carcere e quindi rimesso in libertà), l’atteggiamento di « collaborazione », che
mantenne durante il procedimento – tra l’altro rivelò agli inquisitori il coinvolgimento nella setta del
Fontanini e di altri due monaci polironiani – non gli servì a molto.
25
C. GINZBURG, Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell’Europa del
’500, Torino 1970.
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
211
zione di nicodemismo, secondo alcuni finalizzata anche a contrabbandare il
« veleno » antitrinitario che in quelle opere ampiamente circolava. Ma al di là di
questa sorta di alone che la circonda, l’eresia di Giorgio Siculo appare ispirata
da un profetismo visionario e millenarista d’impronta gioachimita, alimentato
dall’attesa d’un intervento divino, che, con il ritorno di Cristo sulla terra, porterà
nel mondo la giustizia come unica regola della vita sociale. Un esito, che,
secondo la valutazione espressa da Adriano Prosperi in un recente saggio 26,
« non era così eterogeneo rispetto all’annuncio di una cancellazione alla radice
del male e della colpa grazie al “beneficio di Cristo” »; « beneficio », che,
precisa Zaggia, va interpretato come « la giustificazione gratuita che il peccatore poteva ricevere per fede (...) » e non quale « ricompensa » per le sue opere. In
altri termini, sempre secondo Prosperi, nell’eresia del Siculo è possibile individuare quello stesso nucleo « pelagiano » di incondizionata fiducia nell’infinita
misericordia di Dio, che egli già aveva sostenuto essere al centro del Beneficio
di Cristo, in un saggio del 1975, di cui è coautore con C. Ginzburg 27. Sia pure
velato dall’impronta di rigore « calvinista », che la revisione del Flaminio aveva
impresso all’originale stesura del Beneficio, questo nucleo, peraltro, rimarrà
sempre centrale nelle « testimonianze » di fede degli adepti alla « setta giorgiana », epigoni del Siculo, che non mancarono nelle abbazie benedettine, dove
egli aveva diffuso il suo « verbo infuocato ». Essi furono tutti diligentemente
perseguiti dall’Inquisizione, che nei loro confronti spesso ignorò, con la tacita
approvazione di pontefici come Paolo IV e Pio V, i privilegi di esenzione dalla
giurisdizione del Sant’Uffizio, stabiliti in favore degli appartenenti agli ordini
regolari e validi fino a quando non ne fossero stati espulsi. Privilegi che, inizialmente previsti dalle « costituzioni » dei singoli ordini, soggette ad approvazione papale, saranno poi in più occasioni confermati da successivi documenti
pontifici. Il risultato di questa penetrante azione inquisitoriale fu l’estinzione
pressoché totale della « setta pestilenziale », almeno nell’ambiente dei monasteri
benedettini.
Per evitare che il lettore potesse smarrirsi nell’ingens silva dello sterminato
apparato di fonti, cui lo studioso ha fatto copiosamente e sempre puntualmente
riferimento nel progredire della sua esposizione, anche con ampie citazioni
testuali, il terzo volume è stato corredato di una serie di preziosi sussidi di
ricerca, riuniti nella parte V dell’opera sotto il titolo Per un ‘Monasticon Siciliae’: apparati documentari sulla storia delle abbazie cassinesi della Sicilia
nella prima metà del Cinquecento. Dopo un elenco delle fonti documentarie e
una bibliografia delle opere consultate per la storia della Congregazione benedettina cassinese in Sicilia, nel Monasticon compare un repertorio dei titolari
delle cariche nelle sei abbazie siciliane unite, dal 1483 al 1505, nella Congrega26
A. PROSPERI, L’eresia del Libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano
2000.
27
C. GINZBURG - A. PROSPERI, Giochi di pazienza. Un seminario sul ‘Beneficio di Cristo’,
Torino 1975.
212
Giuseppe Cipriano
tio Novella Siculorum. Il repertorio è ricavato dai verbali dei capitoli generali
annuali della Congregazione, nel corso dei quali si rinnovavano le cariche, oltre
che per le singole abbazie (abati, priori, decani, cellerari), anche all’interno
della stessa Congregazione (presidenti, definitori, visitatori); i verbali sono
contenuti in un registro membranaceo (ms. VII. D. 9), conservato nella Biblioteca dell’Abbazia di S. Martino delle Scale. Segue un’edizione critica delle
cedole di professione monastica (chartulae professionis) e dei registri (matriculae monachorum) dei professi, entrati nelle abbazie siciliane della Congregazione cassinese dal 1506 al 1550, dei quali si dà anche un elenco nominativo con
l’indicazione della data di professione e del luogo d’origine. Per lo stesso
periodo e le stesse abbazie, è stata compilata una ‘cronotassi’ degli abati, con
l’indicazione degli anni estremi del loro abbaziato e varie altre notizie, sempre
corredate di precisi riferimenti alle fonti da cui sono state desunte, relative
anche ai titolari delle altre cariche monastiche (in particolare decani e cellerari)
ed alle « professioni » ricevute nel periodo del loro governo abbaziale. Chiudono la serie dei sussidi, una nota sull’amministrazione del patrimonio dell’Abbazia di S. Martino delle Scale, con l’accurata descrizione delle relative
scritture contabili, costituite da libri mastri e giornali contabili (conservati
nell’AS Palermo), dei quali viene dato anche un inventario sommario, relativo
ai registri degli anni 1506-1550, e una breve storia dei possedimenti fondiari
dell’Abbazia di S. Martino nel territorio di Borgetto. Un feudo quest’ultimo,
ricevuto come lascito testamentario nel XIV secolo da Margherita de Blanco,
baronessa di Santo Stefano, e dove poi sarebbe sorto il monastero di S. Benedetto di Borgetto, dal quale nel secolo successivo ebbe origine, in una zona limitrofa, il monastero di S. Maria delle Ciambre, la cui gestione amministrativocontabile figura nei libri mastri dell’Abbazia di S. Martino, come capitolo di
entrata-uscita, sotto il titolo di Ordinario delle Ciambre, che contiene tra l’altro,
per il periodo dal 1540 al 1545, le registrazioni relative alla presenza in quel
monastero di Teofilo Folengo 28 (1540-1543) e Benedetto Fontanini (154228
Di questa dimora alle Ciarde vi è poi un’ulteriore attestazione nel breve carme d’addio Dulce solum, composto dal Folengo al momento di lasciare quel monastero alpestre, il cui testo ci è
stato « (...) trasmesso da una concorde tradizione monastica da metà Cinquecento in avanti (...) ».
Nei suoi distici si esprime, con formule consacrate dalla lirica latina (da Virgilio a Lucano), il
profondo rammarico, provato dal monaco-poeta in procinto di abbandonare l’ameno paesaggio
bucolico, nel quale da tempo viveva immerso. All’« intricata » tradizione manoscritta e a stampa del
carme, risalente ai secoli XVI-XVIII, si è aggiunto di recente un testimone, in gran parte concordante con quella tradizione, rappresentato dalla copia del breve componimento, sicuramente di mano
cinquecentesca, rinvenuta negli ultimi fogli del codice Zurita della Biblioteca Nacional de Catalunya di Barcellona. Il codice in questione (990 nell’attuale ordinamento della Biblioteca) è una
miscellanea quattro-cinquecentesca di testi, in latino e in volgare, di storia medievale siciliana ed è
stato portato in Spagna dallo storico aragonese Jerónimo Zurita, insieme a molto altro materiale
librario anche di pregio, al ritorno dal suo viaggio in Sicilia del 1550. Una « missione di studio »,
che aveva il fine di ricercare documenti, necessari per la stesura degli Anales de la Corona de
Aragón, di cui era stato ufficialmente incaricato, e che si concluse con una vera e propria « spoliazione » di diversi archivi e biblioteche siciliani, in particolare monastici. Spoliazione sicuramente
Rapporti tra il Ducato di Mantova e la Sicilia nel Cinquecento
213
1544), che vi era stato trasferito da S. Nicolò l’Arena. Oltre ai registri dell’Abbazia di S. Martino delle Scale, nell’AS Palermo è stato estesamente consultato il Diplomatico (Tabulari di S. Martino delle Scale; S. Maria di Gangi; S.
Maria Maddalena di Valle Giosafat e S. Placido di Calonerò), mentre per
quanto riguarda gli altri istituti investiti dalla ricerca ci limitiamo a segnalare
quelli che hanno offerto una maggior mole di documenti, come l’AS Catania col
suo Notarile e il Fondo Benedettini; l’AS Mantova, con l’Archivio Gonzaga, il
Notarile e le Corporazioni religiose soppresse; l’AS Modena con l’Archivio
notarile di Mirandola; l’AS Napoli con il fondo Monasteri soppressi; l’AS
Parma con l’Archivio Gonzaga di Guastalla ed Epistolario scelto; l’AS Siena
con il fondo Conventi. Quanto alle biblioteche, è talmente vasto il patrimonio
codicologico, librario e documentario che Zaggia vi ha rintracciato, traendone
ampia materia di riflessione per la sua opera, che nemmeno è possibile accennarvi sommariamente. Pertanto segnaliamo soltanto i nomi degli istituti dove
maggiormente si è concentrata la ricerca: Biblioteca statale del Monumento
nazionale di Montecassino; Biblioteca del Monumento nazionale dell’Abbazia
di Cava dei Tirreni; Biblioteca Apostolica Vaticana; Biblioteca nazionale
centrale e Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze; Biblioteca comunale di
Mantova; Biblioteca Ambrosiana (Milano); Biblioteca universitaria Alessandrina (Roma); Biblioteca dell’Abbazia di S. Martino delle Scale (Palermo).
GIUSEPPE CIPRIANO
agevolata dalla lettera di presentazione, firmata dell’allora viceré Juan de Vega, che lo « accreditava » presso tutti i bibliotecari dell’isola.
VIAGGIO NEL MONDO DI FRANCESCO ROSI
ATTRAVERSO LE CARTE DEL SUO ARCHIVIO
La vita di un regista sono i suoi film. Non tutta la sua vita certo, ma quella parte di
essa attraverso la quale ha espresso la sua relazione con il mondo, con le idee e con gli
uomini, con l’intenzione di poter contribuire, sia pure umilmente e anche se solo con lo
stimolo alla riflessione, a una società nella quale abbiano un ruolo preminente valori
come la libertà, la giustizia, la morale e la bellezza 1.
Nello studio della casa romana di Francesco Rosi, nel 2006, è iniziato il lavoro che ha portato ad un primo riordinamento della documentazione riguardante la vita artistica del regista. Questo intervento ha permesso di valutare l’importanza del fondo sia dal punto di vista storico e cinematografico che dal punto
di vista archivistico.
Alla fine del 2007 è stato realizzato un inventario sommario sotto la supervisione del Museo nazionale del cinema di Torino 2, la prestigiosa struttura
diretta da Alberto Barbera, che ha acquisito l’archivio 3. Si renderà così consultabile agli studiosi del cinema una straordinaria fonte storica, mettendo in
evidenza la peculiarità di un fondo che è insieme un archivio di persona e un
archivio dello spettacolo di grande pregio.
Francesco Rosi nasce a Napoli il 15 novembre 1922. Il padre Sebastiano,
pur lavorando in una compagnia di navigazione, non abbandona la sua passione
per la caricatura e la fotografia. Il giovane Francesco gli fa da modello per
tantissime fotografie e da interprete per i filmini di famiglia, ed è proprio con
uno di questi che Sebastiano Rosi vince un viaggio premio negli Stati Uniti, che
F. ROSI, Introduzione, in Francesco Rosi, a cura di V. GIACCI, Roma, Cinecittà International, 1995, p. 11.
1
2
Il lavoro è stato svolto con la supervisione del regista stesso, la collaborazione di Lorenzo
Codelli e sotto la direzione scientifica di Carla Ceresa e Donata Pesenti Compagnoni dell’istituto
torinese.
L’avventura del Museo nasce grazie alla passione e alla caparbietà di una studiosa torinese,
Maria Adriana Prolo che dal 1938 inizia ad interessarsi della cinematografia subalpina e della
raccolta di materiale cinematografico (www.museonazionaledelcinema.it). Per la storia dei fondi
archivistici si veda C. CERESA, Gli archivi del Museo nazionale del cinema: vicende e organizzazione, in Nero su bianco. I fondi archivistici del Museo nazionale del cinema, a cura di C. CERESA D. PESENTI CAMPAGNONI, Torino, Museo nazionale del cinema - Regione Piemonte - Lindau, 1997,
pp. 15-31.
3
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
Viaggio nel mondo di Francesco Rosi attraverso le carte del suo archivio
215
però non farà mai. Francesco infatti era risultato il bambino italiano più somigliante al « monello » Jackie Coogan 4.
Nel 1940 Rosi frequenta la Facoltà di giurisprudenza ma ormai la passione
per lo spettacolo ed in particolare per il cinema è fortissima. L’8 settembre
viene arrestato dai tedeschi, fugge in Toscana e in seguito ritorna a Napoli,
dove, nel 1945 scrive copioni per Radio Napoli controllata dagli americani:
Insomma abbandonati gli studi di giurisprudenza, mi misi subito a lavorare come
capitava, radio, teatro, piccole parti in un film, partecipazioni come apprendista e collaboratore alle sceneggiature 5.
In questi anni entra a far parte della redazione di « Sud »6, che appare a
Napoli come quindicinale di letteratura diretto da Pasquale Prunas 7. Rosi cura le
rubriche dedicate alla pittura.
Nel 1947 prende parte, come assistente, alla preparazione di Il voto di Salvatore Di Giacomo e Goffredo Cognetti, la regia è di Ettore Giannini. Il dramma viene messo in scena al Teatro Quirino di Roma, protagonisti Edda Albertini, Sarah Ferrati, Salvo Randone; recita in una rivista: E lui dice, regia di Oreste
Biancoli, con lui altri giovani, Vittorio Caprioli, Adolfo Celi, Paolo Panelli,
Luciano Salce, Alberto Sordi; prepara uno studio sui Malavoglia per partecipare
al concorso di ammissione al Centro sperimentale di cinematografia.
Il 28 ottobre 1947, chiamato da Luchino Visconti, firma il contratto con la
AR.TE.A.Film come assistente per La terra trema 8.
Nel dicembre 1993 in un intervento preparato per l’Istituto italiano di cultura di New York in occasione di una retrospettiva sul cinema italiano al Lincoln Center, ricorderà:
Luchino Visconti non è stato solo un grande regista, ma un vero maestro. Da lui ho
appreso che la ricerca di uno stile non corrisponde a una esigenza solo formale ma
piuttosto a una necessità. La terra trema mi ha insegnato a interpretare la realtà senza
falsarla.
4
Cfr. P. AGOSTI - G. BORGESE, C’era una volta un bambino, Milano, Baldini Castoldi Dalai,
1996.
5
F. ROSI, Il mio modo di fare cinema, lectio magistralis, pronunciata a Padova in occasione
della laurea in lettere honoris causa conferitagli dall’Università, in La sfida della verità. Il cinema
di Francesco Rosi, a cura di A. TASSONE - G. RIZZA - C. TOGNOLOTTI, Firenze, Aida, 2005, p. 115.
6
A « Sud » collaborano Antonio Ghirelli, Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese, Giuseppe
Patroni Griffi. « “Sud” non ha il significato di una geografia politica, né tantomeno spirituale; il
Sud, ha per noi il significato di Italia, Europa, Mondo. Sentendoci meridionali ci sentiamo europei ». P. PRUNAS, Avviso, in « Sud », 15 novembre 1945.
7
Pasquale Prunas, nato a Cagliari nel 1924 e morto a Roma nel 1985, crea il primo settimanale italiano di giornalismo fotografico, « Le Ore », negli anni Sessanta lavora al cinema come sceneggiatore ed è poi editore e direttore del quotidiano « Il Messaggero ».
8
I disegni giornalieri realizzati da Rosi durante la lavorazione del film sono oggi conservati
alla Cinémathèque Française.
Maria Procino
216
Negli anni Cinquanta lavora come assistente alla regia in Tormento di Raffaello Matarazzo e in Domenica d’agosto di Luciano Emmer. Ancora con
Matarazzo è aiuto regista nel film Le pentite e assistente alla regia per I figli di
nessuno; assistente e sceneggiatore con Emmer per Parigi è sempre Parigi.
Insieme a Suso Cecchi d’Amico, a Zavattini e a Luchino Visconti che ne è
anche regista, firma la sceneggiatura del film Bellissima.
I lavori si susseguono in questi anni: Processo alla città di Luigi Zampa, il
soggetto è di Rosi e di Ettore Giannini. Subentra nella regia di Camicie rosse
per l’abbandono di Goffredo Alessandrini. Come aiuto regista collabora con
Michelangelo Antonioni all’opera I vinti. Segue la lavorazione di Proibito di
Monicelli e di Senso di Visconti. Fa sua, rielaborandola, la grande lezione del
cinema italiano e del neorealismo.
Ci sentivamo protagonisti della ricostruzione fisica e morale del nostro Paese e
questo stato d’animo finiva per riflettersi nei nostri film. Che proprio per questo assumevano al di là della descrizione pura e semplice dei fatti e della denuncia politica, un
contenuto poetico 9.
Dopo dieci anni di apprendistato 10, nel 1958 debutta nella regia con La sfida, prodotto da Franco Cristaldi, premio speciale della giuria alla XIX Mostra
del cinema di Venezia. Nel 1959 gira in Germania il suo secondo film, I magliari; nel 1962 Salvatore Giuliano, che otterrà l’Orso d’argento per la miglior
regia al XII Festival di Berlino. Annoterà più tardi, durante la lavorazione di
Lucky Luciano:
Perché inventare quando la realtà offre le possibilità narrative che sono poi
all’origine di ogni invenzione? E soprattutto quando si può così offrire al pubblico la
possibilità di una verifica? 11.
Nel 1963 presenta alla Biennale di Venezia la sua prima regia teatrale: In
memoria di una signora amica di Giuseppe Patroni Griffi, musiche di Fiorenzo
Carpi, con Lilla Brignone, Pupella Maggio e tra gli altri straordinari interpreti
anche i giovani Giancarlo Giannini e Pasquale Squitieri.
Nello stesso anno realizza il film Le mani sulla città, che a Venezia vince il
Leone d’oro alla XXIV Mostra del cinema. Un film che si offre al pubblico
come una dura denuncia, penetrando nella speculazione edilizia che distrugge
9
G. SATTA, La Sicilia festeggia Rosi, in « Il Messaggero », 1° giugno 1991.
« Ma sono io che ho scelto di non fare subito il regista, non avevo la fregola dei cineasti di
oggi. Ritenevo fondamentale imparare facendo un po’ di tutto – il segretario, lo sceneggiatore,
l’aiuto, persino il direttore di doppiaggio – perché volevo debuttare con un film del quale potessi
sentirmi veramente autore », A. LEVANTESI, C’era una volta un futuro regista… Conversazione con
Francesco Rosi, in Francesco Rosi. Primo piano sull’autore. XXVI Rassegna del cinema italiano,
Assisi, Cinema Teatro Metastasio, 12-17 novembre 2007, Roma, ANCCI, 2007, p. 28.
10
11
ARCHIVIO FRANCESCO ROSI (d’ora in poi AFR), Film, Lucky Luciano, fasc. 7, Appunti manoscritti, 1972-1973. Le indicazioni archivistiche sono puramente indicative e non definitive.
Viaggio nel mondo di Francesco Rosi attraverso le carte del suo archivio
217
Napoli non solo a livello urbanistico ma anche nel tessuto culturale e umano
della città.
Il momento della verità girato in Spagna nel 1965 è un altro capolavoro:
La notte prima di girare una scena dormo poco. E mi sveglio di continuo. Mi capita
di pensare che, no, la macchina da presa non può essere collocata lì. La devo mettere da
un’altra parte perché... Ecco, quando arrivo in un posto per girare, ho già scelto come
raccontare la scena 12.
Nel 1967 Rosi s’immerge nel mondo della favola ispirandosi a Giovan
Battista Basile: nasce C’era una volta con Omar Sharif e Sofia Loren, girato
nella splendida Certosa di Padula.
Uomini contro, realizzato nel 1970, è tratto dal libro Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu 13. I giornali polemizzano perché Rosi propone immagini
dissacratorie della Grande Guerra senza alcuna istanza patriottica. Il film è
girato nelle terre dell’allora Jugoslavia, 50 gli attori e 15.000 comparse, tutti
militari dell’esercito jugoslavo che scavano trincee e recitano nel freddo e nella
neve. Scriverà Alberto Moravia:
La realtà orrenda della guerra non vi è verniciata come nei film di consumo; né filtrata come nei film estetizzanti 14.
Arriva nel 1972 Il caso Mattei, sulla figura del capo dell’Eni: un film dal
ritmo trascinante che rende lo spettatore partecipe delle scelte di Enrico Mattei e
lo porta a vivere le speranze economiche e sociali di un paese che ben presto
però cede agli interessi di pochi.
Proposi all’attenzione e al giudizio dello spettatore un altro dei misteri italiani irrisolti. Mattei è stato un grande e discusso personaggio di rottura nella storia d’Italia. Non
ho sposato nel film né le sue virtù né i suoi difetti: ho raccontato un uomo, la sua opera e
l’enigma della sua morte attraverso elementi obiettivi di giudizio che ho sottoposto al
pubblico perché se ne facesse un’idea autonoma, libera da una tesi preconcetta 15.
Nel 1974 esce Lucky Luciano:
Il mio modo di fare cinema su personaggi esistiti ripresentati con il loro nome e cognome e sugli avvenimenti da loro vissuti, storicamente verificati secondo documenti,
presuppone uno spettatore sollecitato a collaborare come interlocutore di un discorso che
12
Il mestiere del narratore. Conversazione con Francesco Rosi, in F. BOLZONI, I film di
Francesco Rosi, Roma, Gremese, 1986, p. 22.
13
« Mio padre, che vi aveva preso parte, raccoglieva documenti sulla grande guerra. Me li
mostrava raccontandomi come erano andate le cose. Erano racconti ripetuti più volte, che mi hanno
accompagnato a lungo e sono diventati, per così dire, un bagaglio culturale », ibid., p. 33.
14
A. MORAVIA, Quel matto generale, in « L’Espresso », 22 settembre 1970.
15
F. ROSI, Il mio modo di fare cinema... cit., p. 118.
Maria Procino
218
si propone di non esaurirsi nel racconto cinematografico. Uno spettatore attivo e non
passivo. (...) Film politico? Il mio scopo è di provocare una partecipazione dello spettatore trattando problemi che appartengono alla nostra realtà quotidiana. Io apro il mio
schermo come un dibattito 16.
Poi Cadaveri eccellenti nel 1976, tratto dal libro di Leonardo Sciascia Il
contesto, che provocò non poche polemiche nel Partito comunista di allora per
l’argomento che trattava: il potere e la sua capacità di corrompere chiunque.
Un film è il risultato di un lavoro di collaborazione (...) ma un film è anche un atto
responsabile soprattutto quando chi lo fa riesce a non tenere separato il suo ruolo di
artefice dell’opera dall’uomo che egli è, e l’atto creativo dal proprio coinvolgimento
morale 17.
Tre anni dopo, Cristo si è fermato a Eboli, tratto dall’omonimo romanzo di
Carlo Levi, sceneggiatura di Tonino Guerra, Raffaele La Capria e Rosi. Del
1981 è il film Tre fratelli 18.
Nel 1984 Francesco Rosi si cimenta con la Carmen di Bizet:
Prima di tutto ho ascoltato l’opera un’infinità di volte, fino a conoscerla a memoria,
pur elaborando man mano un’interpretazione visiva, sequenza per sequenza. Ho voluto
fare in modo che a ogni nota corrispondesse sempre un’immagine precisa che s’impone
allo spettatore come un’immagine giusta e naturale, accordata alla musica che egli
ascolta. Pur non essendo uno specialista ho studiato la partitura originale con i dialoghi e
tutte le indicazioni di interpretazione e di messa in scena, scritte dallo stesso Bizet. Poi
ho chiesto a Tonino Guerra di aiutarmi a mettere in forma, come per una sceneggiatura,
una materia già strutturata in origine (cosa curiosa per un’opera) in una successione di
scene, come per un film. (...) Quando parlo di realtà, non voglio dire realismo ad ogni
costo ma i legami tra realtà e cultura spagnola del tempo e le situazioni e i personaggi
della Carmen di Bizet 19.
Dopo Carmen un nuovo film, Cronaca di una morte annunciata, che uscirà nel 1987. Nel 1990 Dimenticare Palermo e nel 1992 Diario napoletano.
E questi sono gli umori, le testimonianze, le contraddizioni sconvolgenti tra un
mondo che avanza e un altro che resiste, dai quali mi sono lasciato pervadere in un mio
vagare per luoghi che amo, nel ricordo di una storia oggi mortificata da un degrado che,
assieme alle pietre dei palazzi del centro storico tra i più antichi e importanti del mondo,
16
AFR, Film, Lucky Luciano, fasc. 7, Appunti manoscritti, 1972-1973.
17
F. ROSI, Il mio modo di fare cinema... cit., p. 122.
« La sceneggiatura dei Tre fratelli nasce sotto la pressione dei terribili eventi prodottisi nella realtà italiana dei tardi anni ’70, e la necessità di comprenderli in relazione al più vasto quadro
della fine del mondo contadino », A. CATTINI, Figure della responsabilità (sul bivio degli anni ’80),
in T. GUERRA - F. ROSI, Tre fratelli. Sceneggiatura, Mantova, Circolo del cinema di Mantova,
1999, p. 7.
18
19
Dall’intervista a cura di S. Mizrahi, in Carmen, brochure preparata dalla Gaumont, 1984.
Viaggio nel mondo di Francesco Rosi attraverso le carte del suo archivio
219
si sta mangiando secoli di arte, di cultura e di memoria. Diario Napoletano è fatto di
immagini, di cronaca, di attualità, di memoria. Di incontri. Di riflessioni e di speranza.
Se l’Italia rinnovata dalle riforme si arrende a Napoli, si arrende ovunque 20.
Scriverà poi per la retrospettiva al Lincoln Center nel 1993:
Io non voglio essere definito come un cineasta politico, le etichette non mi piacciono, sono riduttive. I miei film sono testimonianza della realtà nella quale viviamo; la
realtà è sociale e politica, ma è fatta soprattutto di rapporti tra uomini, i loro sentimenti,
le loro speranze, le loro vittorie e le loro sconfitte che fanno nascere problemi; e del
rapporto tra gli uomini e i differenti poteri che ne condizionano l’esistenza.
Infine nel 1997, dopo aver superato tante difficoltà organizzative, gira La
tregua, tratto dallo splendido libro di Primo Levi:
Che cos’è fare un film? È dare corpo a un’idea, mettere assieme frammenti: di immagini, concetti, parole, suoni. Ombre, che a poco a poco diventano occhi, facce,
persone, muri, case, strade, mare, piante, fiori, animali, cose ed esseri di un mondo che,
racchiuso in un fotogramma, diventa vita 21.
Lavorare a stretto contatto con un artista come Rosi è stata una lezione
umana rara. Vista la problematicità degli archivi di persona che richiedono
spesso una integrazione di competenze e una sensibilità specifica, è stato un
privilegio riordinare le carte in presenza del soggetto che le ha prodotte: Francesco Rosi infatti ha seguito il lavoro con attenzione, pronto a dare conferme o a
sciogliere dubbi.
L’archivio è assai consistente: frutto dell’attività creativa di uno dei registi
più importanti e rappresentativi del cinema italiano e internazionale, ne rispecchia anche il rigore morale ed estetico.
La cura scrupolosa con cui Rosi ha conservato il materiale e l’ampio spettro di contenuti culturali presenti nel complesso documentario illustrano la
passione per il cinema, la disciplina lavorativa e il grande impegno con il quale,
nei suoi film, Rosi ha affrontato ogni tema, ogni problema: dalla corruzione
politica alla speculazione edilizia, dalla mafia alla guerra, sottolineando lo
smarrimento dell’individuo, la sua impotenza davanti agli avvenimenti.
La documentazione, con un ordine originario che conferma l’abitudine
classificatoria del regista, segue la genesi e la realizzazione di ogni opera e il
percorso dell’attività di Rosi.
Laddove è stato possibile sono state conservate le unità di condizionamento originali (cartelline, buste, scatole) usate da Rosi per conservare il materiale,
che recano spesso indicazioni preziose.
20
AFR, Film, Diario Napoletano, fasc. 5, Francesco Rosi, Appunti firmati, 1992.
21
AFR, Film, Salvatore Giuliano, fasc. 10, Salvatore Giuliano, Appunti manoscritti, 1962.
Maria Procino
220
I documenti cartacei e audiovisivi, i dossier, le lettere, le sceneggiature e i
libri e i ritagli stampa, erano stati sistemati in scaffalature dallo stesso artista
che li aveva suddivisi per film e disposti cronologicamente in buste e cartelline
per argomento e tipologia.
Il materiale è stato per ora raggruppato in alcune serie principali, nelle quali la documentazione si dispone naturalmente (Francesco Rosi 1947-2003; Progetti Film 1950-2000; Film 1958-1997; Teatro 1960-2007).
Nella serie Francesco Rosi sono stati raggruppati fascicoli riguardanti la
sua attività e le retrospettive dedicategli a partire dal Film Festival di New Yok
del 1964 al Festival di Berlino del 2008; sono stati raccolti la corrispondenza
con personaggi, amici e ammiratori, gli appunti per interventi e articoli; i saggi
e le interviste. La serie Film e la serie Teatro raggruppano per ciascun opera
cinematografica e teatrale la documentazione, la stampa, il materiale audiovisivo e bibliografico.
La documentazione riguarda non solo contratti, corrispondenza e rassegna
stampa sull’uscita e la presentazione del film, ma anche tutto il materiale raccolto dal regista prima della realizzazione dell’opera e frutto di attente indagini
e di studi puntigliosi, come per Salvatore Giuliano materiali degli anni Quaranta riguardanti il separatismo siciliano e il processo di Viterbo alla banda Giuliano; per Mani sulla città appunti e lettere e relazioni sulla speculazione edilizia a
Napoli; per Lucky Luciano documentazione su mafiosi italoamericani dell’epoca 22; per Carmen appunti manoscritti, disegni, materiale in spagnolo sulle
corride ed il brigantaggio in Spagna.
All’interno di ogni serie si trova materiale di diversa tipologia che attesta
l’impegno civile e artistico dell’uomo Rosi: documenti pubblicati e non pubblicati (carteggi, diari e appunti di preparazione; scalette; adattamenti originali e
revisioni; soggetti, sceneggiature di lavorazione, sceneggiature in italiano e in
altre lingue); la corrispondenza relativa ai momenti vissuti all’inizio di un progetto o durante le riprese o dopo (lettere dei produttori, di uomini di cultura, di
amici e ammiratori).
Ricco il materiale a stampa, con articoli utilizzati per indagare l’argomento
o il personaggio, spesso corredati da interessanti e minuziose note manoscritte,
ritagli stampa italiani e esteri sul film; interviste e interventi del regista. Ricco il
materiale bibliografico, parte integrante dell’archivio.
Un discorso a parte meriterebbe l’archivio fotografico già riordinato e catalogato dal Museo del cinema di Torino. Il fondo fotografico rappresenta la
testimonianza visiva del lavoro che c’è dietro ogni film ma anche una preziosa
testimonianza storica dell’Italia e degli italiani dagli anni Cinquanta in poi. Più
di 3.000 le fotografie. Foto delle locations, dalle montagne spagnole ai paesini
« Lucky Luciano è costruito sui verbali degli interrogatori, questa è la particolarità. Delle
sparatorie, delle scene più spettacolari, mi sono liberato subito, le ho fatte diventare un balletto
all’inizio del film. Scorsese ha perso la testa per questa soluzione narrativa », A. LEVANTESI, C’era
una volta un futuro regista… cit., p. 32.
22
Viaggio nel mondo di Francesco Rosi attraverso le carte del suo archivio
221
sperduti dell’Italia degli anni del dopoguerra; foto del vero Giuliano e della sua
morte, di un Enrico Mattei all’apice del successo. Foto di interni; volti di
sconosciuti italiani così diversi da noi eppure così vicini: foto di strade, di
ambienti che per ogni opera rappresentano eccezionali fonti d’ispirazione e di
riflessione. Infine le testimonianze fotografiche del set e del film, straordinaria
verifica del lavoro svolto; conferma dell’opera quasi da cesellatore fatta per
riprodurre quel paesaggio o quell’ambiente; l’atmosfera degli anni Sessanta e
l’Italia degli anni Settanta; le rughe in primo piano di Charles Vanel o di Lino
Ventura; i volti di attori che danno vita a inquietanti burattini e burattinai.
Preziose testimonianze iconografiche sono gli schizzi e i disegni realizzati
per ogni opera e per le commedie messe in scena: dai sei album che illustrano le
scene di Dimenticare Palermo (un vero e proprio story board) alla sceneggiatura di Cadaveri eccellenti, ricca di disegni che animano i personaggi ancora
prima del film. È un Rosi disegnatore e pittore ancora tutto da scoprire; il Rosi
inventore di storie e illustratore.
Dai diari emergono le riflessioni, le scelte, gli sforzi compiuti per portare
avanti l’idea stessa di un film. Il carteggio è ricchissimo e in buona parte già
suddiviso per anno di realizzazione dell’opera cinematografica: una piccola
parte di questa corrispondenza riveste carattere occasionale in quanto è dovuta a
rapporti di lavoro o conoscenze superficiali ma la parte più consistente testimonia i vivaci scambi di idee con altri personaggi della vita politica e culturale non
solo italiana.
La serie relativa ai progetti raccoglie la documentazione (appunti, soggetti,
sceneggiature, corrispondenza, articoli sull’argomento ecc.) riguardante film
mai realizzati, dal soggetto tratto dal libro La galleria di Burns a quello basato
su La lunga notte del dollaro di Erdman a Le carrette del mare, tratto dal
volume La nave morta di Traven.
La straordinaria complessità e completezza del fondo non solo lascia intravedere la personalità del suo creatore e la sua arte ma offre anche uno spaccato
sociologicamente e culturalmente interessante di un’Italia sfasata, ammalata che
pure cercava di tenersi strette alcune certezze e speranze.
Le carte, le foto, i diari parlano di progetti realizzati e non, delineano il dibattito su « cinema e impegno » che ha sempre trovato nel regista un testimone
attento e coinvolgente.
A completamento di questa documentazione è da segnalare un ricco corredo di manifesti e locandine dei film di Rosi e le retrospettive dedicategli nel
mondo: dalla Francia ad Israele all’Australia.
Francesco Rosi è uno di quegli artisti che conoscono perfettamente il valore della memoria e dunque l’importanza della conservazione dei documenti:
Il cinema ormai è storia, è la nostra memoria, sia il cinema della realtà che quello di
invenzione: costituisce un patrimonio di incommensurabile valore che va protetto e
preservato. Molto è stato fatto – e non basta mai – per fare accettare la necessità della
protezione e della preservazione di un film al pari di quella di un’opera d’arte: si è
Maria Procino
222
riusciti alla fine, non senza fatica, a far riconoscere che il negativo di un film è materiale
precario, il cui rischio è quello di scomparire per sempre senza lasciare traccia 23.
Rosi non si risparmia nemmeno nelle occasioni in cui è chiamato a partecipare. Si prepara all’intervista o al dibattito in modo accurato e scrupoloso, che si
tratti di un circolo giovanile, una scuola o un festival internazionale, che lo
chiamino in un piccolo centro o a Berlino; è capace di trascorrere intere giornate
a leggere e rileggere, scrivendo appunti e promemoria, sperando che i giovani,
soprattutto, si indignino e si ribellino, indaghino la realtà che vivono.
E che stia in un carcere minorile o in una scuola, discute, chiede e cerca
l’analisi, il pensiero. Così come ha sempre fatto attraverso i suoi film.
Proprio per l’intenso desiderio di provarsi, di conoscere continuamente, di
ricercare ed esplorare la realtà e l’umanità, Rosi si è dedicato in questi anni
ancora al teatro: per la Compagnia di teatro di Luca De Filippo ha messo in
scena due commedie di Eduardo, nel 2003 Napoli milionaria, nel 2006 Le voci
di dentro, nel 2008 Filumena Marturano.
Il 16 dicembre 2008 il Museo nazionale del cinema ha inaugurato una mostra fotografica dedicata a Francesco Rosi 24. La mostra permette un lungo ed
interessante viaggio nell’opera cinematografica dell’artista partenopeo. Attraverso proiezioni, foto, manifesti e documenti, essa presenta uno dei momenti
più alti del nostro cinema, gli affreschi sulla condizione umana creati da Rosi;
uno spaccato dell’Italia e del suo malessere. L’evento costituisce anche un’occasione per illustrare la ricchezza di un complesso documentario che, una volta
reso consultabile, potrà offrire molteplici occasioni di studio su un regista e un
uomo che con rigore e creatività, implacabile e struggente, non rinuncia a
provocare riflessione, come non rinuncia ad investire nella speranza.
MARIA PROCINO
23
Il cinema materia di studio nei programmi scolastici, intervento di F. Rosi per l’EFA, European Film Academy, 6-7 dicembre 2002.
Omaggio a Francesco Rosi (16 dicembre 2008 - 15 febbraio 2009) è reso possibile grazie
alla collaborazione con il Teatro Stabile di Torino. Nel capoluogo piemontese si potrà assistere allo
spettacolo teatrale Filumena Marturano e alla retrospettiva completa dedicata al regista, con alcuni
film restaurati.
24
Notiziario
bibliografico
Archivio Nesci. Inventario, di MARIA PIA
MAZZITELLI, appendice di pergamene
di SERENA SILLITTO, Reggio Calabria,
Iiriti, 2006, pp. 337.
Il balì frà Antonio Nesci, gran priore di
Napoli e Sicilia del Sovrano militare ordine ospedaliero di san Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e Malta, ha donato nel
2006 all’Archivio di Stato di Reggio Calabria l’archivio di famiglia, del quale ora
Maria Pia Mazzitelli presenta l’inventario
in un nutrito ed elegante testo per i tipi
dell’editore reggino Iiriti.
L’inventario si apre con una premessa
del donatore e con una nutrita introduzione della curatrice, suddivisa in una nota
storica e in una nota tecnica. Nella prima
la Mazzitelli, fondandosi sulle carte, fornisce preziose notizie di carattere genealogico sulle famiglie che hanno intrattenuto rapporti con i Nesci: i Melissari, i Campolo, i Silvestri, i Monsolino e i Filocamo,
tutte famiglie che hanno avuto un loro
ruolo nella storia di Reggio; nella seconda
da conto dei criteri seguiti nell’ordinamento delle carte. Data la natura della documentazione, il riordinamento ha visto
una prima fase di individuazione e organizzazione degli archivi familiari aggregati.
Ci troviamo in presenza di una tipologia documentaria assai diversificata: atti
notarili (compravendite, donazioni, successioni, capitoli matrimoniali ecc.), atti
giudiziari, alberi genealogici, dispacci reali, atti catastali, platee, bolle vescovili ecc.
In particolare, si è rivelata utile la presenza di diversi alberi genealogici, i quali
hanno facilitato la ricostruzione dei nessi
fra le varie famiglie.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
Dopo lo stemma a colori del Gran priore con la sua descrizione e le due tavole
con l’albero genealogico dei due rami
(Nesci di Palizzi e Nesci di Sant’Agata)
segue il vero e proprio inventario, con 51
buste di carte (1519-2004) e 9 pergamene;
chiudono il lavoro una bibliografia essenziale e gli indici onomastico e toponomastico. La maggior parte dei documenti (36
buste) riguarda la famiglia Nesci con carte
dal 1624 al 2004.
Dalle carte Nesci ricaviamo preziose
notizie sul passato delle terre di Motta San
Giovanni, Palizzi e suo casale di Pietrapennata, Bova, Brancaleone, Bruzzano,
Ferruzzano, Reggio, altre località di Calabria e relative università e corti locali.
Troviamo atti di supreme magistrature
come il Sacro Regio Consiglio, la Real
Camera della Sommaria, la Gran Corte
della Vicaria, la Regia Udienza di Calabria Ultra e la Gran Corte Criminale.
Vi compaiono Ferdinando IV di Napoli
poi I delle Due Sicilie e Ferdinando II, Pio
VI e Pio VII.
Degno di menzione ci sembra il fascicolo 1 della busta 11 (Giuseppe De Thomas, intendente, nel 1808 scrive a Giuseppe Nesci in Napoli per l’acquisto da
parte del Governo dei manoscritti dell’erudito canonico Morisani), come testimonianza dell’interessamento dello Stato,
siamo nel Decennio francese, per i fatti
della cultura.
Utili notizie si ricavano altresì dalle
carte posteriori al terremoto del 1783, da
quelle della Giunta di riedificazione e da
quelle relative ai fatti del 1860.
Per il palazzo Nesci di corso Garibaldi
troviamo (busta 26, fascicolo 14, 18731880) l’atto di vendita, per notar Luigi
224
Notiziario bibliografico
Lofaro di Reggio, da parte di Bartolo e
Francesco Saverio Melissari ai fratelli
Domenico e Antonio Nesci.
L’ultima busta del carteggio Nesci, infine, contiene la documentazione, recentissima, dei vari incarichi e onorificenze
del Gran priore frà Antonio Nesci.
Anche nelle carte Melissari appaiono la
Camera della Sommaria e la Regia Udienza, laddove tre fascicoli riguardano la
Cassa Sacra (attiva tra il 1784 e il 1796) e
uno contiene un carteggio relativo a una
controversia di natura economica tra il
latinista Diego Vitrioli (1818-1898) e
Francesco Saverio e Tarquinia Melissari.
Le carte Campolo conservano un decreto di Filippo II di Spagna, Napoli e Sicilia
del 1569. Le carte Silvestri includono due
decreti (uno in copia) di Ferdinando IV di
Borbone del 1768 e del 1801.
La sezione « Varie » del fondo contiene
il testo a stampa del concordato tra Carlo
VII di Borbone, re di Napoli e Sicilia, e
papa Benedetto XIV del 2 giugno 1741;
due decreti di Ferdinando IV di Borbone
del 1759 e 1783 e due rilevanti manoscritti: Antiquitatum veterum Bruttiorum di
Giuseppe Morisani (sec. XVIII); e la Breve e compendiosa topografia o sia compendiose notizie ecclesiastiche e civili della città di Bova… del sacerdote Domenico
Alagna… posti in bello da don Pasquale
Autelitano (sec. XIX).
Delle nove pergamene del fondo (tre
del secolo XVI, due del XVII, due del
XVIII e due del XX) le ultime, del 1960,
contengono le bolle di nomina a cavaliere
di Grazia e Devozione del Sovrano militare ordine ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme, di Rodi e di Malta, dei due
fratelli Domenico e Antonio Nesci.
Non è chi non veda, da questa scarna
elencazione, il rilievo che le carte Nesci
assumono per la storia della Prima Calabria Ulteriore e in particolare di Reggio,
specie in mancanza, per il periodo ante
1817, di idonee fonti documentarie che
non siano le carte di Cassa Sacra e della
Regia Udienza di Catanzaro e le carte superstiti del Grande Archivio di Napoli.
Prima di chiudere questa nota ci corre
l’obbligo di sottolineare la sensibilità culturale dimostrata dal Gran priore balì frà
Antonio Nesci con l’avere dotato l’Archivio di Stato della carte della sua famiglia
che, come accennato sopra, trascendono
l’ambito strettamente privato, gettando
luce sulla storia della città e della provincia reggina.
Superfluo rilevare, infine, poiché emergono dall’attenta lettura del testo, il merito
e il valore del lavoro della curatrice.
Ci auguriamo che l’archivio dell’altro
ramo della famiglia Nesci e altri archivi
nobiliari possano, in un non lontano futuro, essere donati allo Stato e resi così fruibili agli studiosi del nostro passato.
Domenico Coppola
MATTEO GIRO, Saggi intorno alle cose
sistematiche dello Studio di Padova, a
cura di PIERO DEL NEGRO e FRANCESCO
PIOVAN, Treviso, Antilia, 2003, pp.
XXXVI, 229.
Elegante e curato nella veste tipografica, il volume contiene l’edizione critica di
alcuni Saggi scritti da un cancelliere della
Universitas artistarum dello Studio di Padova nella seconda metà del Settecento e
si inscrive in un tradizionale filone di ricerca del Centro per la storia dell’Università di Padova, che ne ha promosso la
pubblicazione.
Matteo Giro, è un curioso personaggio,
nel quale si ritrovano atteggiamenti ed
esperienze culturali e professionali significativi, anche se talvolta in contrasto, tipici della sua epoca. Nato nel 1718 da
Santo e Antonia, studiò, a partire dal
1734, nel Seminario di Padova, un centro
culturale di eccellenza in quell’epoca.
Notiziario bibliografico
Fu « in publico Patavino Liceo, quoad
vixit (cioè fino all’aprile 1791), artistarum
cancellarius », si legge in un manoscritto
conservato nel Seminario. « Una vita modesta, spesa nell’adempimento dei suoi
doveri », per riprendere le parole di Palmira Foà (I concorsi Bettoni per novelle morali e i novellieri che vi parteciparono:
Matteo Giro, Venezia, F. Visentini, 1902)
o qualcos’altro? La nomina a cancelliere è
del 28 aprile 1762: quasi trent’anni spesi
al servizio di un’istituzione – come lo
Studio – sulla quale la Repubblica di Venezia stava investendo proprio in quegli
anni impegno politico, progettualità culturale, spirito riformistico e ammodernatore,
con varietà di posizioni individuali all’interno della classe dirigente e ampio dibattito.
Fra il 1738, anno in cui uscì dal Seminario, dopo aver conseguito una laurea in
utroque iure e aver discusso a metà percorso alcune tesi di fisica, e il 1762, anno
della nomina a cancelliere, poche sono le
notizie su Giro. « Nonnullos apologos
scripsit, qui et elegantes et laude digni
habentur »: un’esperienza letteraria di
scrittore, dunque, e anche abbastanza fortunata, come dà conto con puntualità
l’introduzione. Sono documentati anche
frequenti soggiorni nei poderi di famiglia
in quel di Este e dei Colli Euganei, dove si
rifugiava per sfuggire alla caotica vita cittadina.
La procedure della sua nomina a cancelliere, avvenuta con « terminazione »
(deliberazione) dei tre Riformatori allo
Studio, era già un segno dei tempi: il suo
predecessore Giuseppe Maria Minato era
stato scelto non dall’organo di vigilanza,
ma dall’Università degli scolari artisti.
Appena nominato, Matteo Giro fu coinvolto nel processo di riforma dello Studio,
naturalmente con il ruolo che gli spettava,
cioè quello di archivista e di burocrate,
smentendo quella immagine oleografica di
personaggio « modesto » che qualcuno
aveva suggerito. Viceversa Matteo Giro
225
svolse, oltre alle sue quotidiane e ordinarie incombenze al servizio dello Studio, la
funzione di sostegno di politici e amministratori, il che spiega la genesi e la natura
delle sue opere, in particolare quella qui
edita.
Sono anni cruciali per lo Stato veneto a
causa di una serie di questioni interne: si
pensi solo, ad esempio, al problema del
controllo dei beni degli enti ecclesiastici,
all’esigenza di riassetto delle codificazioni, alla necessità di porre ordine nella selva delle normative vigenti; questioni che
Venezia affronta sempre, prima di assumere le decisioni finali, promuovendo istruttorie approfondite. Sono gli anni in
cui la Repubblica ordina le inchieste sui
monasteri, in vista della soppressione di
alcuni, vara la riforma delle leggi criminali e lo studio di un codice di commercio e
istituisce nel 1767 la figura del compilatore delle leggi. In particolare quest’ultima
iniziativa di analisi, raccolta e ordinamento sistematico delle disposizioni normative vigenti va tenuta presente per inquadrare la vicenda di Matteo Giro.
Dunque nei primi mesi di incarico,
Matteo Giro si dedicò all’inventariazione
delle « carte tutte che si rifferiscono alla di
lui mansione », un lavoro che gli frutterà
gli elogi per la « lodevole attenzione e diligenza » da parte dei Riformatori e anche
una consistente e gradita ricompensa in
denaro. L’apprezzamento riscosso da questo intervento di riordino, che sottrasse
« dalla confusione » le « molte filze e plichi di carte volanti e confuse manoscritte,
senza serie e senza metodo alcuno (...)
ponendole per quanto è possibile con ordine de’ tempi e di date », sottolinea la
consapevolezza dimostrata dai Riformatori in merito alla necessità, per procedere a
riforme sensate, di disporre di conoscenze
certe delle situazioni, conoscenze ricavabili in modo autentico solo dall’archivio.
Ricordiamoci che siamo proprio negli anni in cui si fronteggiano sul campo della
riforma dello Studio il partito « progressi-
226
Notiziario bibliografico
sta » capeggiato da Marco Foscarini, responsabile della sistemazione del 1761
(uno dei tre Riformatori che avevano nominato il Giro) e il partito « conservatore »
guidato da Sebastian Giustinian, autore
della « controriforma » del 1762.
Dopo questa esperienza positiva, Matteo Giro presentò nel 1767 al magistrato
dei Riformatori, che lo accolse con « clementissimo compatimento », il memoriale
intitolato Stato economico dello Studio di
Padova, di cui si conservano due versioni:
la prima nell’Archivio storico dell’Università di Padova e la seconda, più ampia,
trasmessa nel 1769 al Museo Correr fra le
carte di Lorenzo Morosini. Significativa
questa collocazione archivistica del manoscritto più recente, perché evidenzia i legami stretti e duraturi fra il cancelliere e il
patrizio veneziano, proponente, nel 1768,
del progetto, poi approvato dal Senato, di
« contro-controriforma » dello Studio, che
riprendeva la riforma del 1761. L’attività
riformatrice del Morosini andava di pari
passo con le indagini archivistiche e storiche del Giro.
Quest’ultimo, incaricato il 23 maggio
1768 da Davidde Marchesini, segretario
dei Riformatori, di verificare l’osservanza
delle norme all’interno dello Studio da
parte degli studenti e dei professori e perfino l’efficienza della cancelleria pretoria
circa la competenza in materia, presentò la
sua relazione intitolata Informazione del
cancelliere artista, ora conservata al Museo Correr tra i manoscritti Morosini.
Interessante notare che Matteo Giro
nella relazione, oltre ad informare i Riformatori sulla realtà padovana, invocava
« più robusti provvedimenti co’ quali si
ponga rimedio agli enunciati disordini »
(p. XIV) e, in aggiunta agli interventi contingenti volti a reprimere gli abusi, in linea con le convinzioni del Morosini,
stigmatizzava, chiedendo riforme radicali,
il « corrente sistema, nel quale trovasi talmente sciolta e sollevata la scolaresca, che
sembra ormai questa Università più tosto
un ospizio alla gioventù passaggiera, di
quello che una destinata mansione alle
discipline e agli studi ».
Ecco come un’analisi fondata sulle fonti archivistiche e condotta da un burocrate,
impegnato nell’amministrazione dello Studio, ha potuto agevolare e supportare scelte politiche riformistiche. Un’ulteriore
« affinità elettiva » tra Giro e Morosini
viene individuata da Del Negro in ambito
ideologico, vale a dire in una certa vena
anticlericale, riscontrabile in alcune forti
affermazioni del Giro (p. XV).
L’archivista quindi al servizio (in senso
alto) del politico; ma non solo, anche l’archivista al servizio della storia o, almeno,
della storiografia ufficiale tanto cara e coltivata all’interno della Repubblica. Una
terminazione dei Riformatori, in data 11
maggio 1762, impose al cancelliere appena nominato l’« obbligo di somministrare
al publico professore istoriografo signor
abate [Iacopo] Facciolati le notizie tutte
delle cose attinenti al proseguimento della
storia di questo Studio ».
Matteo Giro eseguì l’ordine e portò a
termine il suo compito con la consueta
« diligenza ed esattezza » con attenzione
cosciente per le fonti archivistiche: afferma infatti di aver « somministrato » al
Facciolati « tutti i lumi e notizie concernenti la storia dello Studio, tratti dalle
perquisizioni ed indagini in questo archivio » (pp. XV-XVI), non solo notizie, ma
anche documenti in originale e in copia.
Naturalmente il Giro, con spirito molto
concreto, concluso il lavoro, nel 1768,
chiese di beneficiare dei « generosi effetti » riservati ai « ministri divoti e pontuali »: in poche parole chiede di essere ricompensato in modo tangibile, cosa che
« pontualmente » avvenne e in misura generosa, forse – come suggerisce Del Negro – per intervento pesante del Morosini.
Da sostegno di altri, da assistente del
Facciolati, Matteo Giro si lancia, forse per
incitamento del Morosini, forse « commosso dalla generosa gratificazione », ver-
Notiziario bibliografico
so un’opera storica sua, che annuncia ai
Riformatori con una Minuta della spesa
occorsa per la incominciata raccolta delle
cose sistematiche dello Studio di Padova,
presentata il 26 luglio 1769. Ecco come
nacque l’opera qui edita, che è conservata
in 4 manoscritti di mani diverse e con segnature non sequenziali nell’Archivio storico dell’Università di Padova.
Meritevole di menzione è l’utilizzo, per
la stesura dei Saggi, dei documenti dell’Università sistemati dal predecessore del
Giro nella carica di cancelliere-archivista,
cioè Giuseppe Maria Minato, l’unico che
era riuscito a concludere l’impresa iniziata
nel 1614 da Ingolfo Conti, morto però
l’anno dopo senza portare a termine l’incarico di riunire in un unico archivio i documenti sparsi, incarico proseguito poi dal
cancelliere artista Carlo Torta, limitatamente al periodo 1674-1711, e dal cancelliere « leggista » Bartolomeo Sellari durante gli anni 1709-1740. Anche se meritoria, l’opera del Giro non costituisce
un’eccezione, in quanto totalmente allineata con gli usi burocratici dell’epoca:
basti pensare al Sommario, o sia compilazione delle leggi, terminazioni, & ordini
del Magistrato alle acque realizzata da
Giulio Rompiasio nel 1733 e citata pure
da Del Negro. In effetti, il metodo di Matteo Giro si inserisce in un preciso filone,
che Del Negro definisce della storiacatastico, quella fatta dai cancellieriarchivisti, contrapposta ad una historia
letteraria dello Studio di Padova sostenuta
e auspicata soprattutto da Simone Stratico:
una storia delle istituzioni contrapposta ad
una storia della cultura, due modi di comprendere e ricostruire le vicende accademiche.
Nella presentazione dell’opera, che risale al 1769 e che è corredata dall’indice
alfabetico analitico, Matteo Giro sottolineò che sarebbe stato necessario uno
« spoglio di tutto l’archivio » per il quale
necessitava di un aiutante. L’elenco « preventivo » (quello che l’autore stese prima
227
di scrivere l’opera) è stato pubblicato nell’appendice III (pp. 129-137).
La stesura dell’opera, dopo uno slancio
iniziale si protrasse per molto tempo, sicuramente fino al 1780. Il primo tomo, quello contenuto nel manoscritto 857, è dotato
dell’indice alfabetico analitico redatto a
conclusione (pubblicato alle pp. 3-10) e
comprende i capitoli: Studio di Padova,
Rettore dello Studio, Sindico, Matricola,
Scolari, Scolari sudditi, Scolari esteri italiani, Oltremarini, Alemani, Cancellieri,
Bidelli leggisti, Bidelli speciali, Bidelli
artisti, Esenzioni, Cassa matricole, Terzarie (pp. 11-32), vale a dire la parte introduttiva e generale della trattazione sistematica del Giro: è redatto da un copista,
che spesso, non comprendendo il testo,
introduce varianti peggiorative. Nonostante l’aspetto professionale della scrittura,
non si tratta comunque della versione definitiva, perché ci sono annotazioni dell’autore per ricordarsi di inserire aggiunte
e precisazioni.
Il secondo tomo, quello compreso nel
manoscritto 586, fu scritto subito dopo il
primo (pp. 33-85): tratta dei collegi dottorali, del prorettore, del « comprorettore »
della nazione germanica, del cancelliere
pretorio, della cassa dello Studio e delle
funzioni del collaterale; informazioni sui
bagni di Abano, sulla Libreria pubblica,
sulla Biblioteca di S. Francesco grande,
sull’Accademia Delia e sull’Accademia
dei concordi, sulla cattedra di agricoltura,
sul Teatro anatomico e la pratica dell’anatomia nello Studio.
Il terzo tomo (manoscritti 587 e 856)
tratta dei dottorati (pp. 86-123). Fu scritto
in una prima versione nel 1773 e nella
seconda alla fine del 1775. La sua edizione deve aver messo a dura prova l’abilità
di Francesco Piovan come editore, che ha
scelto di inserire nell’edizione una delle
due versioni e di riportare in appendice
l’altra.
La finalità dell’opera è dichiarata dall’autore stesso: i Saggi dovevano contene-
228
Notiziario bibliografico
re « in via istorica quelle notizie che, appoggiate a statuti, a leggi, terminazioni e
decreti con le loro rispettive epoche
distinti ed alle materie adattati » potevano
« essere di lume alle giornaliere occorrenze » dei Riformatori e del loro segretario.
Si tratta quindi di un’opera concepita non
con taglio e intendimenti scientifici, ma a
supporto dell’attività amministrativa, non
esente – nonostante il ricorso apparentemente asettico ai documenti – da prese di
posizione interpretative, condizionate dalle situazioni contingenti e dalle opinioni
correnti, in particolare quelle del Morosini. L’opera si può definire incompiuta o,
sarebbe meglio dire, incagliata: l’entusiasmo iniziale del Giro si smorzò quasi
inspiegabilmente o forse, come suggerisce
Del Negro, per il senso di eccessivo dispendio di forze necessario per aggiornare
un quadro istituzionale e normativo in
continua evoluzione (alla riforma del 1768
aveva fatto seguito quella del 1771).
Sta di fatto che molti dei capitoli previsti nel progetto del 1769 sono spariti o
sono stati modificati: certo un elenco alfabetico dei capitoli, redatto dai curatori avrebbe ulteriormente agevolato i confronti
e la consultazione del testo.
I capitoli nel testo sono disposti – evidentemente – in ordine sistematico, spia
efficace della mentalità classificatoria e
istituzionale dell’autore. Vorrei citare un
esempio fra i tanti: sotto la voce « Collateraleria » il Giro registra procedure amministrative e pratiche di gestione documentale, tracciando un quadro dettagliato delle
vicende pregresse, che non tralascia neanche la segnalazione di fatti incresciosi e di
scandali.
L’edizione è arricchita da numerose tavole che rappresentano personaggi, luoghi
e oggetti legati alle vicende dello Studio e
sottolineano la pluralità di approcci con
cui si può consultare l’opera del Giro. La
struttura dei Saggi ha difatti un indubbio
vantaggio, perché, in alternativa ad una
lettura integrale e sistematica, consente
una lettura « a puntate », capitolo dopo
capitolo.
L’accesso al testo è facilitato da accurati indici posti a corredo del volume.
Giorgetta Bonfiglio Dosio
Il libro dei vagabondi. Lo « Speculum cerretanorum » di Teseo Pini, « Il vagabondo » di Rafaele Frianoro e altri testi
di « furfanteria », a cura di PIERO CAMPORESI. Prefazione di Franco Cardini,
Milano, Garzanti, 2003, pp. XXXIV, 574
(Saggi).
Quando nel 1621 viene edito a Viterbo,
con lo pseudonimo di Rafaele Frianoro, il
libro di Giacinto De Nobili, domenicano
del convento di S. Maria in Gradi nella
stessa città, Il Vagabondo, ovvero sferza
de Guidoni, i tempi erano maturi perché
potesse apparire ed aver successo questa
sorta di « manuale del vagabondaggio ».
Si trattava in realtà, come Piero Camporesi scoprirà, di un’astuta « compilazione »
da testi affini di epoche precedenti, primo
fra tutti lo Speculum cerretanorum del
chierico urbinate Teseo Pini, decretorum
doctor e vicario vescovile a Urbino e Fossombrone nel XV secolo, personaggio del
quale sappiamo assai poco, perché scarse
sono le tracce documentarie che ne sono
rimaste, salvo che trascorse i suoi giorni
nello scenario, ad un tempo corrusco e
ferrigno, del Montefeltro, negli anni del
ducato di Federico e del suo successore
Guidobaldo, col quale si estinse la dinastia, cui subentrarono nel governo ducale i
Della Rovere.
A riguardo, ci sembra significativo che
in Italia, dove è totalmente assente una
tradizione di letteratura picaresca, lo
« schedario » dei vari generi di mendicità
del Frianoro appaia quasi come un’appendice postuma rispetto alla classificazione
dei 155 tipi di mestieri, offerta ad un pub-
Notiziario bibliografico
blico di « spettatori » (l’opera è introdotta
da una lettera dell’autore, appunto, « agli
spettatori ») da Tomaso Garzoni nel 1585
con La piazza universale di tutte le professioni del mondo, di cui Camporesi riporta in appendice il Discorso LXXII, De’
Guidoni, o furfanti, o calchi. È il momento in cui le piazze delle città italiane hanno cessato di essere il « luogo » dell’incontro politico, quali erano state con i
« parlamenti » medievali, ed economico,
con il mercato, e pertanto non rappresentano più un esemplare microcosmo cittadino, essendosi trasformate in un « vuoto »
scenario di paura e tensioni sociali, destinato ad essere episodicamente « riempito »
dai « trionfi » dei cortei del principe. Ed è
nella linea di continuità « genetica » tra
l’opera del Garzoni e quella del Frianoro
che ci appare evidente come, ai cittadini,
ormai non più attivi partecipi delle decisioni sul governo della città, rimanga soltanto il ruolo di « spettatori », oltre che
delle esibizioni del potere, anche delle sue
pratiche di « normalizzazione » del vagabondaggio e di ogni tipo di marginalità. Si
trattava in particolare della « soluzione
asilare » (il grand renfermement, così bene descritto da M. Foucault), adottata nei
confronti di una mendicità che dilagava
con la miseria estesa a sempre più ampi
strati sociali: « Anche l’Italia rigurgita di
scapestrati, di vagabondi, di mendicanti,
personaggi tutti a cui guarderà la letteratura. (...) È uno spettacolo permanente, una
“struttura” » (F. Braudel, Civiltà e imperi
del Mediterraneo nell’età di Filippo II, II,
p. 784).
Dello « spettacolo permanente », della
« struttura », individuati dal Braudel nella
prediletta prospettiva della « lunga durata », certamente faceva parte anche l’allarme sociale, che era destinato a crescere,
a partire dalla seconda metà del XV secolo, quando con il trionfo del capitalismo
finanziario si avviò quel processo di mutamento di « mentalità » riguardo alla povertà, che, influenzato anche dalla Rifor-
229
ma protestante e dalla Controriforma cattolica, si sarebbe concluso in pieno XVI
secolo con l’acuirsi della grave crisi economica, innescata dall’arrivo sul mercato
europeo dell’argento americano e dalla
conseguente inflazione inarrestabile. Pertanto, come sostengono gli storici del pauperismo, primo fra tutti Bronisław Geremek, i poveri, che nella società medievale
avevano un loro posto ed una precisa
« funzione » come « mediatori della grazia » (un detto, universalmente diffuso in
età medievale, asseriva che « l’elemosina
è la scala che porta al cielo »), in quanto
con la sola loro presenza consentivano la
pratica « salvifica » per eccellenza del
soccorso all’indigente, dietro alla cui figura « miserabile » si nasconde il volto « glorioso » di Cristo, vengono ora a trovarsi in
una condizione di totale esclusione dal
tessuto sociale. Secondo il Camporesi,
però, quest’esclusione veniva da molto
lontano. Infatti già dai primi secoli dell’era cristiana, nonostante il rinnovarsi
dell’« inno » paolino (Lettere ai Corinzi, I,
13) alla carità, che « tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta », nella predicazione di padri della Chiesa, quali Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo,
a prevalere nel rapporto con i poveri era
una forma di « amore-odio », che rappresenta « uno dei nodi più angosciosi della
psicologia medievale, una delle più stridenti contraddizioni della società cristiana
(...) », attraversata dalla « dilaniante ambivalenza d’un sentimento che identifica, da
una parte, Cristo nel povero (...) », per poi
scacciare quest’ultimo « come un paria, un
reietto, un fuori-casta, un fuorilegge fino
al punto di respingerlo dal suo corpo e
gettarlo nelle braccia della “famiglia del
diavolo”, fuori dalla società cristiana e
“civile”, dalla “famiglia di Cristo” (...) ».
Comunque, è con l’Età moderna che si
giungerà alla relegazione sistematica ed
organizzata di ogni forma di emarginazione e « devianza » in « istituti », quali ospizi, ospedali o carceri vere e proprie. Ed è
230
Notiziario bibliografico
importante sottolineare, come fa il medievista Franco Cardini nella sua brillante
prefazione a questa nuova edizione dell’opera del Camporesi, che ciò avveniva
in una società, quella dell’incipiente assolutismo e della Controriforma, dove anche
le élites (funzionari, clero, militari ecc.)
erano destinate ad essere « rinchiuse » entro spazi e luoghi ben delimitati e sorvegliati, all’interno di edifici « funzionalmente » adatti alla loro particolare condizione ed alle loro esigenze, come i collegi, i seminari, le caserme, dopo l’imponente « mobilità », quasi al limite del « nomadismo », che aveva caratterizzato la
vita di tutti gli strati sociali in epoca medievale (fenomeno della « population flottante », secondo la definizione che ne dà J.
Le Goff, in La civilisation de l’Occident
médiéval). Nella nuova fase di stabilità e
radicamento sociale nel territorio, la
« mentalità » dominante nei confronti degli unici « nomadi », che sono ancora rimasti per stringenti necessità di sopravvivenza: i mendicanti, diviene quella del
sospetto generalizzato, che dietro ad ognuno di essi avverte la proterva minaccia
del vagabondo, ozioso o criminale che sia.
Ed anche l’antica querelle (si può dire risalga al mondo classico) sul « parassitismo » dei mendicanti, con la domanda, ad
essa sempre connessa, sull’opportunità
dell’elemosina elargita dal singolo, che
finisce col sottrarre risorse alle opere della
beneficenza organizzata (l’unica in grado
di meglio distinguere i veri « bisognosi »
dagli oziosi per vocazione), all’epoca ancora monopolio della Chiesa e delle confraternite e compagnie « regolari » o laicali, riprende vigore con la comparsa di
opere come appunto Il Vagabondo del
Frianoro. Frutto di un plagio mascherato,
sì, ma anche fruibile catalogo delle specializzazioni della mendicità più o meno truffaldina, che compongono un quadro d’insieme partecipe, a un tempo, del libero
mondo dei picari e della rigida gerarchia
delle « corti dei miracoli ». Nelle sue pa-
gine li vediamo sfilare con le loro « qualifiche professionali », derivate dalla traduzione letterale dei corrispondenti termini
latini usati nello Speculum, che ci richiamano alla mente quelle figure altamente
tipizzate di vagabondi che Jacques Callot
ha « fissato » nelle incisioni, dedicate ai
« diversi baroni o cialtroni » e ad altri rappresentanti del « regno dei pitocchi », durante i suoi soggiorni a Roma e Firenze
nella prima metà del Seicento: i « bianti »,
che promettono salvezza e perdono dei
peccati con la vendita di indulgenze, concesse da false bolle pontificie; gli « affrati », che indossano, per questuare, il saio
dei vari ordini mendicanti, senza mai averne fatto parte, e i « falsi bordoni », che
simulano con l’abito la condizione privilegiata dei pellegrini; gli « accattosi », che
fingono di essere reduci dalla prigionia
degli infedeli o dei pirati; gli « affarfanti »,
che intonano lamentazioni da peccatori
penitenti, percuotendosi il corpo in varie
guise, ma sempre con strumenti resi opportunamente inoffensivi; gli « accapponi », che esibiscono orribili piaghe, simulate dai grumi che si formano sulla pelle,
in precedenza « trattata » con sordidi unguenti, dando a intendere che è possibile
curarle solo con l’applicazione, a contatto
diretto delle ulcerazioni, della carne di un
cappone (ovviamente destinato a finire in
pentola a fine giornata), che ne tragga gli
umori velenosi; mentre i « cocchini » (espressione onomatopeica, che evoca il
tremore delle membra e il batter dei denti
per il freddo) esibiscono la loro nudità,
come una scelta ascetica; poi gli « alacrimanti », che piangono ininterrottamente;
gli « ascioni », che simulano la pazzia o
l’idiozia, o minorazioni quali la cecità e la
sordità; gli « attremanti » con i loro tremori incoercibili; gli « accadenti » e gli « attarantati », che inscenano rispettivamente le
crisi del mal caduco e le conseguenze
« coreiche » del morso della « taranta » o
tarantola. Infine una folla variopinta di
altri pitocchi, meno specializzati nelle arti
Notiziario bibliografico
sottili di gabbare il prossimo, come gli
« affamiglioli » con il loro seguito di infanti macilenti e gli « apezzenti », che si
limitano a chiedere del pane, che poi in
gran parte rivendono. Tutta questa variegata « nomenclatura », oltre a introdurci
all’Idioma cerretanum, il glossario che
conclude lo Speculum cerretanorum manifesta anche quella peculiare attenzione
al « furbesco », al gergo, alla lingua criptica della malavita e dei « diversi », che di
quando in quando affiora in ambito letterario con l’opera di scrittori che così tendono a dimostrare una loro ambigua partecipazione al mondo dell’emarginazione.
Da notare che il Camporesi ha inserito
nella sua opera altri vari sussidi lessicografici riguardo al gergo dei cerretani,
quali, il Nuovo modo de intendere la lingua zerga, edito a Ferrara nel 1545; Le
Jargon o le language de l’argot réformé,
edito a Troyes nel 1628 e le pagine dedicate alla Lingua furbesca o janadattica del
Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini, pubblicato a Milano nel
1839.
Il gergo ci segnala, inoltre, l’esistenza
di una precisa strutturazione del mondo
dei bassifondi, con una divisione dei compiti ed una gerarchia di categorie e funzioni, tra le quali primeggia la « didattica »
dell’accattonaggio e del furto, che, si può
dire, riproducano nella marginalità, sia
pure a livello parodico, la divisione del
lavoro e l’organizzazione normativa della
società legale.
Il percorso seguito dal Camporesi nell’edizione de Il libro dei vagabondi per
l’Einaudi, che risale al 1973 e di cui l’attuale riedizione per i tipi di Garzanti si
può considerare un’accurata ristampa, merita un cenno di chiarimento, che ne illustri brevemente i punti salienti. Nella particolare temperie culturale che caratterizza
i primi anni ’70 del ’900 in Italia, l’influenza della scuola delle « Annales » si
manifesta, anche con l’edizione della Storia d’Italia Einaudi, nell’orientamento,
231
che presto diverrà dominante, verso un
nuovo « sistema » storiografico, basato sull’integrazione delle « scienze umane », che
con il loro apporto « sincretico » produrranno un’estensione del campo d’indagine
della storiografia dagli eventi politici, militari e diplomatici alle strutture « elementari » dello spazio e del tempo, agli « ecosistemi », al « quotidiano » della cultura
materiale, alle « mentalità ». Rispetto a
questo « contesto ambientale », che Braudel definirebbe di « imperialismo culturale », l’A., docente di letteratura italiana a
Bologna, singolare saggista e grande investigatore di archivi, si è posto come un
outsider, del tutto scevro da ogni condizionamento intellettuale. Da un lato ha
mantenuto il suo forte legame con la ricerca filologica di « antico » stampo positivistico, dall’altro ha concentrato il suo
interesse sul rapporto tra letteratura, miti
folklorici e storia dell’alimentazione attraverso la frequentazione degli studi del
Bachtin sull’opera di Rabelais, rivisitata
dal grande critico russo all’insegna delle
categorie della « bassa corporeità » che la
caratterizzano; memorabile rimane l’Introduzione che curò per un’edizione del
1970 de La scienza in cucina e l’arte di
mangiar bene di Pellegrino Artusi.
Camporesi si è rivolto con il consueto
acume e fervore di ricerca, alla letteratura
dei e sui « marginali », di cui certo non
mancano esempi sin dal Medioevo. Il primo testo cui presta la sua attenzione è Il
vagabondo... del Frianoro, già ampiamente noto agli studiosi. Ma da questo « contatto », immediata si produce in lui la sensazione di uno stridente anacronismo tra
l’universo della marginalità, che in quell’opera è rappresentato, e l’epoca in cui
essa apparve. La conferma della fondatezza di questa sensazione gli viene quando,
con grande acribia filologica, individua
la « matrice » della « compilazione » del
Frianoro nei manoscritti inediti dello Speculum cerretanorum di Teseo Pini. Si tratta di due testimoni successivi, dello stesso
232
Notiziario bibliografico
« trattatello », composto intorno al 1485,
distinti da lievi varianti grafiche e morfologiche, e conservati nei fondi latini della
Biblioteca Apostolica Vaticana: il codice
Urbinate latino 1217, copia d’incerta datazione ma sicuramente attribuibile al XVI
secolo, e il Vaticano latino 3486, altra copia, datata 1589. Quest’ultimo è un lascito
testamentario del cardinale Antonio Carafa, nipote di Paolo IV e bibliotecario della
Vaticana, e nelle carte iniziali 1r-12v reca
una lunga lettera dedicatoria diretta al porporato, interamente pubblicata dal Camporesi. L’autore della lettera, che vi figura
col solo nome di Marcello e si dichiara
« servus addictissimus » (l’A. ipotizza si
possa trattare del prelato Marcello Sirleto,
vescovo di Squillace e nipote del cardinale Guglielmo Sirleto, 1514-1583, dotto
grecista, prefetto della Vaticana e Bibliotecario di S.R.C., oltreché precettore di
Antonio Carafa per incarico dello stesso
Paolo IV), nel dedicare appunto il « libello » al cardinale, uomo pio e caritatevole,
lo esorta anche a diffidare delle « imposture » dei cerretani.
Da questa preliminare base di ricerca
prende l’avvio l’edizione curata dal Camporesi, in un’unica opera e con il corredo
di altri testi tematicamente affini dello
Speculum cerretanorum e, in sequenza, de
Il Vagabondo, che, pur con il suo più accentuato carattere di pamphlet di denuncia, si rivela essere un plagio quasi integrale del più disteso e talvolta « sorridente » libello del Pini. Tra i testi di corredo, per il loro rilevante interesse filologico e storico-documentario, dobbiamo citare, oltre alla lista di parole gergali di
mano di Luigi Pulci, contenuta nel codice
Palatino 218 (c. 7r) della Biblioteca nazionale di Firenze, edita da Salvatore
Bongi (Lettere di Luigi Pulci a Lorenzo il
Magnifico e ad altri. Nuova edizione corretta ed accresciuta, Lucca 1886, pp. 173175), anche i verbali (riportati in appendice) degli interrogatori di due reclusi, avvenuti rispettivamente il 4 febbraio e il 18
marzo 1595 nel carcere-ospizio di Ponte
Sisto a Roma, dove periodicamente, dall’epoca di Sisto V in poi, venivano « concentrati » i mendicanti, « rastrellati » nelle
strade e soprattutto vicino alle chiese della
città. I due personaggi, il primo dei quali è
un sedicenne, originario di Trevi in territorio di Spoleto, senza « arte alcuna »,
mentre il secondo è un romano di 22 anni
del rione Colonna, « parzialmente » occupato nelle saline per quattro mesi all’anno,
sollecitati da una stessa domanda riguardo
all’esistenza di « sectae » di mendicanti a
Roma, si mostrano particolarmente « loquaci » nel descrivere l’intera « platea »
delle « compagnie » o « rascie », attive in
città, con tutte le loro peculiari « specializzazioni », cui corrispondono sempre
colorite e fantasiose denominazioni gergali di alta efficacia connotativa per pregnanza semantica. Gli originali dei due
documenti, che si trovavano nella Biblioteca imperiale di Berlino (Camporesi ci
avverte di non essere certo che ancora esistessero quando egli ne scriveva) con la
collocazione Ms. ital. fol. 17, fo. 646r659v, furono pubblicati da Martin Löpelmann in « Romanische Forschungen »,
XXXIV (1913), pp. 653-664. Ma il testo
che ci viene proposto dal Camporesi per il
primo verbale segue l’edizione curatane
« con sostanziose varianti » da A. Massoni, come documento rinvenuto in un non
meglio specificato « archivio del Vaticano », nel saggio Gli accattoni in Londra
nel secolo XIX e in Roma nel secolo XVI
(« Rassegna Italiana », 1882). Comunque,
a giudizio dell’A., è il secondo verbale a
rivestire un maggiore interesse per le precise rivelazioni fatte dall’inquisito, fedelmente riportate dal notaio che lo ha redatto, riguardo ad una sorta di « convenzione
generale » (« maggiorengo ») dei mendicanti romani, in programma da maggio a
settembre nelle grotte di Albano, per
« mutare il gergo del parlare, sendosi inteso essere stati scoperti nel loro parlare, et
vogliono fare ordine et porre pene fra loro
Notiziario bibliografico
di non revelare et chi revelerà si giuocherà
di Martino, cioè di pugnale ». Quest’esigenza di « statuizione » linguistica della
« microsocietà » dei mendicanti romani
costituisce, secondo il Camporesi, « una
prova del carattere occulto e “difensivo”
della lingua “zerga”, che ignora matrici
espressionistiche e, tanto meno, debolezze
letterarie ». Insieme a queste rare testimonianze bibliografico-documentarie, in appendice ne compaiono altre di genere segnatamente storico e letterario. Si tratta di
testi, tutti centrati sui « prestigi », la simulazione, le malizie, l’attitudine alla truffa
ed alla ciarlataneria dei cerretani, tra i
quali un cenno in particolare merita la prefazione di Martin Lutero al Liber vagatorum (Von der falschen Betler büeberey.
Mit einer Vorrede Martini Luther, Wittemberg 1528), chiaramente orientata ad
associare, nella polemica contro la falsa
povertà, i « frati mendicanti » ai « vagabondi e disperati furfanti ». Secondo Camporesi, il nucleo centrale del Liber vagatorum, rappresentato da una cronaca del
processo che si tenne a Basilea nel 1475
contro vagabondi e mendicanti, nota come
Cronaca di Basilea di Johann Knebel,
potrebbe essere giunto nelle mani del Pini,
che lo avrebbe preso a modello per la sua
opera, attraverso un manoscritto « importato » dalla Germania nel 1478 dal suo
« patrono », il vescovo Girolamo Santucci,
al ritorno dalla missione « cum potestate
legati a latere nuntius et orator » presso
l’imperatore Federico IV, cui lo aveva
destinato Sisto IV nel 1473. Il Santucci,
figura d’ecclesiastico d’un certo rilievo,
anch’egli urbinate, fu vescovo di Fossombrone e, dopo il rientro in patria dalla
Germania, vicelegato pontificio a Perugia.
In questa « qualità », oltreché come vescovo di Fossombrone, gli venne dedicato dal Pini lo Speculum e da ciò l’A.
trae un buon argomento per una datazione approssimata della sua stesura originale al 1485, a metà del biennio 14841486, durante il quale il Santucci ricoprì
233
la carica di luogotenente del legato pontificio a Perugia, cardinale. Giovanni Novariense.
Quello che, a mio avviso, maggiormente colpisce del Libro dei vagabondi, è la
levità dell’approccio ad un apparato sterminato di fonti, delle quali viene « delibato » sempre il meglio, senza incorrere in
appesantimenti eruditi. Ed è nell’esemplare introduzione all’opera, di ben 168
pagine, che questo procedere per « illuminazioni » successive in un itinerario di
ricerca che si prospetta sconfinato, si manifesta in tutta la sua novità di metodo,
che il prefatore Franco Cardini definisce
un « terremoto metodologico, euristico e
concettuale », con la conseguenza che
Camporesi gli appare come « un temibile
e affascinante sovvertitore di schemi storici e letterari, consolidati, (...) uno spregiudicato battistrada di nuovi sentieri interdisciplinari nei quali filologia, semiologia, lessicografia, stilistica e letteratura
si confrontavano e magari si scontravano
con storia, antropologia culturale, sociologia, iconologia e perfino psicanalisi ».
E lo stesso Cardini ci indica come nel
breve Poscritto all’Introduzione si trovi
la migliore « chiave » per comprendere la
« grande novità » dell’opera del Camporesi. In quelle poche righe, infatti, si esprime chiaramente il tipo di riflessione morale, cui l’A. perviene « al termine della sua
pur modesta fatica (fatica da nulla se
commisurata agli stenti tremendi di tanti
miserabili) » e che pone il suo impegno di
ricerca ben al di là di ogni rassicurante
« certezza » sulla piena coincidenza tra
« le verità della storia e quelle obiettive »,
coincidenza impossibile, in quanto « le
prime per loro natura mutano di continuo
perché la storia è esegesi costante ed ininterrotta o non è, mentre le seconde sono
forse, per loro natura, inconoscibili e inverificabili con certezza come tali ». Già la
frase iniziale: « La storia dei “falsi vagabondi” è storia eminentemente letteraria,
quindi fantastica, fortemente irreale, e,
234
Notiziario bibliografico
inoltre, tendenziosa e classista », rivela
una precisa volontà di mettere in discussione il risultato del suo stesso lavoro. Poi,
nel procedere di questa quasi « confessione », si sviluppa una più che nobile apologia dei « vagabondi », degna del grande
Michelet de La sorcière: « Il “mestiere di
vagabondo” fu quasi sempre frutto di un
duro bisogno, non di libera scelta: perfidia, simulazione e satanismo conseguenze
necessarie e dirette del crudele “stato di
necessità” che costringeva poveri, diseredati, disoccupati e mendicanti ad una continua mimetizzazione, ad una dolorosa
girandola d’invenzioni nuove per sopravvivere e per tirare, in qualche modo, avanti ». Infine, l’incalzante mea culpa: « Se la
letteratura dei vagabondi e dei pitocchi
riesce spesso a smuovere il riso del lettore, o almeno il sorriso, se spesso diventa
divertimento e buffonesca commedia, vista e letta da un autentico straccione, diventa ignobile pantomima letteraria, cinico travisamento e colpevole mistificazione di un dramma millenario “recitato”
su un copione di fame, di stenti, di sangue,
da una moltitudine inimmaginabile d’infelici sbattuti dal destino sul palcoscenico di
un atroce teatro della crudeltà ».
Infine, un rapido cenno merita anche la
questione « dotta » riguardo all’origine e
alla storia del termine cerretanus, usato
antonomasticamente per indicare ogni sorta di ciurmadore, ciarlatano, saltimbanco,
paltoniere o semplice mendicante, ampiamente affrontata dal Camporesi nell’introduzione, in tutte le sue « variazioni »
erudite. Il toponimo Cerreto è tra i più
diffusi in Italia e pertanto appare difficile
attribuire l’origine della genìa dei « cerretani » a una località in particolare. Di certo
quella più « indiziata » sembra essere Cerreto di Spoleto in Valnerina, le cui origini
leggendarie risultano alquanto controverse: abitanti dell’etrusca Cere, espugnata
dai Romani, o sacerdoti di Cerere cacciati
da Roma da una rivolta popolare, che si
rifugiarono in un’arce imprendibile per
difese naturali, dai quali avrebbe avuto
origine la « setta » dei cerretani, come sostiene lo stesso Pini nello Speculum. Nel
Quattrocento l’umanista forlivese Flavio
Biondo, peraltro ben poco tenero con i
cerretani, concorda pienamente con la tesi
dell’origine del termine dal toponimo Cerreto. Ma nel secolo successivo la questione si complica. Celio Rodigino, « erudito
di sterminata e vorace curiosità », nel suo
Lectionum antiquarum libri, pur accogliendo in pieno la derivazione del termine da Cerreto, prospetta uno « scivolamento semantico (e arricchimento del termine) » da « cerretano » a « ciarlatano »,
che si andava diffondendo, con l’effetto di
associare « al primitivo significato (...) di
falso mendicante e sfrontato impostore
(...) quello, secondario e derivato, di spacciatore di unguenti e medicine, cantimbanco, ciurmadore abile anche nell’estrarre denti ed esperto nei giuochi di mano,
unendo nello stesso significato gli antichi
termini di “circulator” e “pharmacopola
circumforaneus” ». Il Bergomense (fra’ Iacopo Filippo Foresti, appartenente all’ordine degli eremitani agostiniani, la cui
veste, annota sagacemente l’A., era tra le
più imitate nei travestimenti degli « affrati »), nel suo Supplementum cronicarum,
attribuisce il « popolamento » di Cerreto a
fuorusciti francesi che, scacciati dal loro
paese, si rifugiarono a Roma e ottennero
dal papa la concessione della « valle di
Narco [valle della Nera] et (...) bolle da
mendicare ». Concessione che, secondo il
Camporesi, dovrebbe essere realmente
avvenuta, in quanto risulta attestato da
altre fonti che negli statuti di Cerreto del
1380 – il cui originale è andato disperso,
mentre da una copia superstite del ’500
sono state strappate le pagine relative alle
« bolle » in questione – si facesse menzione di « baglie » (dal latino medievale baillia, nel significato di « ambito di giurisdizione »), concesse per la questua in favore
di alcuni ospedali, amministrati dall’Ordine antoniano. In conseguenza di queste
Notiziario bibliografico
concessioni, i cerretani iniziarono le loro
peregrinazioni per tutta l’Europa « et demonstrati diversi colori della sua miseria,
essi mendicando il soldo dimandavano ».
L’ipotesi dell’origine ultramontana dei
cerretani ebbe un certo seguito e tra gli
altri vi aderì il geografo bolognese Leandro Alberti, che nella sua Descrittione di
tutta l’Italia et Isole pertinenti ad essa,
segnala « Cereto », come « castel di nuovo
nome et molto pieno di popolo », circondato da « asperi et alti monti » e nell’attitudine dei suoi abitanti a peregrinare per
l’Italia, « simulando santità con diversi
modi et sotto diversi colori per tirarne denari », vede l’origine del « (...) vocabolo,
che quando importunamente et senza
vergogna qualcuno chiede alcuna cosa,
overo colora le sue parole con nuovi modi
e fittioni acciò la ottenga, dicesi essere
buon Ceretano ». Infine dallo scorcio del
’600 a tutto il ’700 circolano etimologie,
che prescindono da ogni riferimento all’origine territoriale del termine, come
quella accettata da Egidio Menagio che,
ne Le origini della lingua italiana (Ginevra 1685), si schiera per la sua derivazione diretta da « ciarlatano » e così incorre
nella « reprimenda » di L.A. Muratori (Antiquitates italicae... tomus primus, Milano
1738, p. 846), che la ritiene errata, sostenendo che è meno lontana dal vero
l’opinione di Celio Rodigino e Leandro
Alberti. Probabilmente anche ai giorni
nostri la questione è ancora aperta, anche
se l’ultimo intervento d’un qualche rilievo
nell’annosa disputa risale al 1953, quando
apparve su « Romance Philology », VII
(1953), il vivace saggio di Bruno Migliorini, I Cerretani e Cerreto; ma un « dato »
ci appare linguisticamente rilevante: il termine « cerretano » non è entrato nell’uso
comune né come indicazione di uno status
né come abituale contumelia, lanciata
all’occorrenza contro il prossimo.
Giuseppe Cipriano
235
ANTONIO MAUTONE, Trentini e italiani
contro l’Armata rossa. La storia del
Corpo di spedizione in Estremo Oriente
e dei « Battaglioni neri » 1918-1920,
Trento, Temi, 2003, pp. 355 + tavole.
All’indomani del primo conflitto mondiale, grazie alla dichiarazione di guerra
alle potenze centrali, la Cina aveva ottenuto da parte dell’Austria e della Germania
la restituzione delle aree concesse in uso
agli stranieri. Rimanevano ancora, e saranno restituiti a cavallo del secondo conflitto mondiale, i settlements accordati a
Belgio, Francia, Italia, Gran Bretagna,
Russia, oltre che al Giappone e agli Stati
Uniti. Gli italiani residenti in Cina erano
stati esentati dalla chiamata alle armi; la
comunità italiana, in particolare quella
della concessione di Tientsin, era stata
però testimone e parte attiva nell’assistenza a quasi 1.500 militari ex sudditi
dell’Impero austro-ungarico. Si trattava
soprattutto di trentini e giuliano dalmati.
Presi prigionieri dai russi, erano stati chiusi nei campi di prigionia. Dichiaratisi irredenti e liberati, al momento dello scoppio
della rivoluzione bolscevica, dalla Missione militare italiana per il recupero dei
prigionieri comandata del maggiore dei
carabinieri Cosma Manera, avevano vissuto una spaventosa odissea attraverso la
Siberia e la Cina. Mentre in parte vennero
rimpatriati, per il resto, con procedura non
del tutto protocollare, nel 1918 furono
arruolati, in parte con il nome di Battaglioni neri (dalle mostrine del reparto degli Arditi), in parte come « Legione redenta », nel Corpo di spedizione italiano in
Estremo Oriente al comando del tenente
colonnello Edoardo Fassini-Camossi, impegnato a fianco dei russi bianchi a difendere la Transiberiana contro l’Armata
rossa.
Le vicende di questi combattenti delle
quali vi è ampia traccia nei fondi archivistici conservati nel Museo storico in Trento, furono tra l’altro ricostruite da Vincen-
236
Notiziario bibliografico
zo Fileti, governatore di Tientsin, nel suo
scritto sulla concessione (Genova 1921),
in una pubblicazione intitolata Il martirio
del Trentino (Milano 1919), curata dall’Associazione politica degli italiani redenti, e in alcuni diari di protagonisti, editi
anni fa, conservati nell’Archivio diaristico
nazionale di Pieve Santo Stefano e nell’Istituto storico della resistenza di Cuneo
(S. Abrate, Un viaggio in Estremo Oriente
nell’anno 1918-1919, in « Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo
e provincia », n. 39, 1991, pp. 19-46; F.
Marchio, Disertore a Vladivostok, Firenze, Giunti, 1995; Memorie parallele: soldati siciliani in Estremo Oriente, 1918-19,
Palermo, Gelka, 1998).
Val la pena di segnalare questo volume,
apparso qualche anno fa, e curato dal generale di divisione degli alpini Antonio
Mautone, su un tema ancora pressoché
ignorato dalla letteratura storiografica più
recente sulla presenza italiana in Cina.
L’attività di questa formazione, che
prelude a successivi sviluppi e strumentalizzazioni dell’arditismo negli anni seguenti alla prima guerra mondiale, è stata
ricostruita su documentazione di prima
mano conservata nell’Ufficio storico dello
Stato maggiore dell’esercito, nel Museo
storico dell’Arma dei carabinieri, nel Museo storico in Trento oltre che su carte e
diari inediti in possesso di privati.
Ludovica de Courten
MARIO PETRALLA - GIOVANNA SAPORI, La
chiesa parrocchiale di Santa Maria di
Arrone: documenti e opere, Arrone
(TR), Associazione Culturale Magister,
2004, pp. 126.
La celebrazione del quinto centenario
della fondazione della chiesa di Santa Maria di Arrone, comune del Ternano, è stata
l’occasione per uno studio finalizzato a
sottolinearne, oltre alla rilevanza artistica,
il significato per la coscienza storica degli
abitanti.
L’iniziativa ha infatti portato alla pubblicazione di un lavoro prezioso, articolato in due momenti strettamente complementari. Il volume, curato da Mario Petralla e Giovanna Sapori, è frutto di una
collaborazione, ormai sempre più frequente, tra professionalità diverse intorno ad
un progetto di ricostruzione storica.
Il volume è strutturato in due parti, una
dedicata alle fonti, l’altra alla loro interpretazione storico-artistica. Mario Petralla, già dipendente dell’Archivio di Stato di
Terni, propone i risultati di una sua lunga
e attenta ricerca che lo ha portato ad analizzare numerose fonti archivistiche. Queste vengono ora presentate con regesti e
trascrizione di brani attraverso otto percorsi documentari che consentono di seguire aspetti diversi delle vicende legate
alla chiesa di S. Maria dal Medioevo al
secolo scorso. Questa ampia selezione ha
permesso poi a Giovanna Sapori di inquadrare storicamente la vicenda artistica
dell’edificio religioso.
Gli archivi notarili si sono rivelati la
miniera più preziosa. Lo studio degli atti
notarili relativi al castello di Arrone e ai
comuni limitrofi hanno consentito di ricostruire le caratteristiche della società arronese dal XV al XIX secolo.
È emersa una comunità attiva in tutti i
settori produttivi, le cui iniziative sono
testimoniate da atti di vendita, acquisto,
commesse di lavoro, donazioni, testamenti. Si nota un fervore religioso e nel contempo sociale, che spinge a rinnovare,
edificare ed abbellire i luoghi di culto, che
diventano un punto d’incontro per ogni
aspetto della vita civile, non esistendo altre strutture sicure ed idonee per discutere
e risolvere anche problemi di rapporti tra
cittadini. La Chiesa di S. Maria, di cui il
Comune nel 1504 commissiona la riedificazione a dei « maestri lombardi », deve
Notiziario bibliografico
soddisfare le esigenze di una comunità
sempre più ampia, a causa dell’abbandono
delle chiese campestri da parte della popolazione delle ville, e diventa il fulcro di
una vita molto articolata, sia, come si diceva, da un punto di vista cultuale che
sociale: è il simbolo di una comunità allargata, il più importante del circondario.
L’analisi attenta e complementare di
più fonti archivistiche, frutto delle molteplici relazioni fra istituzioni comunali,
diocesane, parrocchiali, hanno restituito
alla comunità di oggi il valore storico di
questo bene artistico.
Attraverso lo studio dei documenti dell’archivio storico comunale di Arrone, del
patrimonio documentario diocesano di
Spoleto e di quello notarile del territorio,
Petralla, con un lavoro minuzioso di collegamenti temporali e istituzionali, ha riportato alla luce uno spaccato di vita della
società arronese, che analizzato con gli
occhi di oggi, è esemplificativo di tante
tradizioni ed usanze religiose e civili.
La Chiesa di S. Maria, centro della vita
spirituale e civile di quel territorio dal
XVI secolo, viene sostenuta economicamente, sin dalla costruzione, dalla comunità, che ottiene dal potere ecclesiastico il
diritto di patronato su di essa e la facoltà
di nominare il pievano, persona idonea e
garante nella gestione di più situazioni
private o pubbliche.
Nascono nel tempo confraternite, al fine di sostenere la vita della chiesa, anche
per lavori strutturali: tutte prove di quanto
la comunità si identificasse in questa istituzione, condividendo le problematiche
del gruppo sociale. Di notevole interesse
gli inventari dei beni e le relazioni delle
visite pastorali esaminate dall’autore, che
testimoniano nei secoli lo stato di conservazione ed il patrimonio della chiesa e di
quelle annesse.
Le descrizioni della fabbrica e dei
beni conservati ci riportano a vivere una
dimensione culturale ormai lontana, ma
che ha lasciato forti impronte; l’elenco
237
dell’oggettistica sacra, con una terminologia a volte desueta, suscita tanti interrogativi su preziosi materiali perduti o in
disuso.
Il saggio di Giovanna Sapori descrive
le cappelle, i dipinti, e le iscrizioni, anche
dopo i risultati degli ultimi restauri del
1960.
L’analisi ha arricchito e confermato la
ricostruzione di momenti già testimoniati
dalle fonti archivistiche: emerge in prevalenza un’attività artistica nel XVI secolo.
S. Maria di Arrone è una delle chiese
più ricche del territorio della Valnerina.
Nei secoli la comunità ed anche i privati
hanno chiamato a lavorare artisti dalla
valle del Nera, pittori e scultori dall’Umbria meridionale e dalla Sabina. Il gruppo
nobiliare del territorio, gli Arroni, ha fatto
arrivare da Roma, pittori, epigoni della
scuola romana raffaellesca, ed opere di rilievo, come confermato da atti di testamento della famiglia e da iscrizioni parietali.
L’analisi degli affreschi ha permesso
anche un approccio alla mentalità di una
società semplice ma attiva e con valori
non esclusivamente materialistici, di una
comunità che chiede protezione nei momenti difficili della vita: nei problemi di
salute, lavoro, disagio ambientale. Il primo affresco, del 1513, ad esempio, un ex
voto di una fedele, è un san Rocco, invocato come protettore contro la peste e le
epidemie.
La puntuale elencazione dei rettori della chiesa parrocchiale dal XV al XX secolo e un ricco corredo fotografico completano il volume.
Letizia Salvatori
PETRA SCHULTE, Scripturae publicae creditur. Das Vertrauen in Notariatsurkunden im kommunalen Italien des 12.
und 13. Jahrhunderts, Tübingen, Max
238
Notiziario bibliografico
Niemeyer, 2003 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom,
101), pp. XII, 362.
Sul tema della « fiducia nel documento
notarile », rappresentato in maniera indissolubile dai due aspetti, « tra loro strettamente connessi, della genesi del notariato
e della variabile credibilità del documento
medievale », ha richiamato l’attenzione
Alessandro Pratesi in un saggio del 1991,
dove, con tutte le cautele necessarie di
fronte ad un argomento così complesso,
sono poste le premesse per uno studio della questione, attraverso la disamina dell’uso dei termini publicus e publice all’interno di alcune significative fonti di carattere giuridico e documentario e la proposta di « semplici ipotesi di lavoro, da verificare nel quadro di una interpretazione
globale delle origini e dello sviluppo del
notariato » (A. PRATESI, L’accezione di
« publicus » e « publice » nella storia del
notariato medievale, in Studi in memoria
di Giovanni Cassandro, III, Roma 1991,
pp. 877-894, Pubblicazioni degli Archivi
di Stato. Saggi, 18, ora in ID., Tra carte e
notai. Saggi di diplomatica dal 1951 al
1991, Roma 1992, pp. 65-82, Miscellanea
della Società romana di storia patria,
XXXV).
E proprio a tale tema – centrale nella
storia dell’evoluzione del documento medievale nel periodo dei Comuni – rivolge
ora la sua attenzione Petra Schulte con
questo lavoro pubblicato dall’Istituto storico germanico all’interno di quello che
sembra disegnarsi come un progetto più
ampio di studi sul notariato italiano dell’età comunale, di cui ha costituito interessante e valido campione iniziale lo studio di Andreas Meyer, Felix et inclitus
notarius. Studien zum italienischen Notariat vom 7. bis zum 13. Jahrhundert pubblicato nel 2000 nella medesima collana
(cfr. la scheda a cura di chi scrive sempre
in « Rassegna degli Archivi di Stato »,
LXIII, 2003, pp. 418-422).
Il volume è dedicato, dunque, alla verifica degli elementi che determinano la
publica fides di cui gode il notaio nei secoli XII e XIII, una fiducia che anche per
la studiosa tedesca (la quale però non mostra di conoscere il lavoro di Pratesi) è
profondamente legata alla persona stessa
del notaio, alla sua buona reputazione
(fama), al suo pieno inserimento nel tessuto della società cittadina cui appartiene e
per la quale svolge la sua attività. Soprattutto, merito della Schulte, la quale concentra la sua indagine sul territorio di
Como (così come Meyer aveva indagato
in particolare quello di Lucca), è aver dato
il giusto risalto a parole come quelle di un
personaggio forse non di primo piano quale fu Alberto Gandino, giudice a Perugia e
Fermo tra la fine del Duecento e l’inizio
del Trecento, che pongono in evidenza i
caratteri costitutivi di tale fama, ben individuabili nella dignità che deriva al notaio
dall’essere uomo libero e che gode dei
diritti cittadini, dalla sua appartenenza ad
una famiglia nota alla comunità, ma più di
tutto dalla sua rispettosa osservanza delle
consuetudini e delle leggi, tutti elementi
che ne formano in sostanza la buona reputazione (pp. 27-32; un buon profilo del
Gandino è in E. CORTESE, Il diritto nella
storia medievale, II. Il Basso Medioevo,
Roma, Il Cigno Galileo Galilei, 1995, pp.
275-277). Da una parte, la presenza tra le
personalità preminenti del Comune (come
avviene ad esempio a Como) di notai che
spesso ricoprono le cariche di giudice o
perfino di console e, dall’altra, la possibilità, certificata tra gli altri da un canonista
del calibro di Guglielmo Durante o da un
maestro dell’ars notarie come Salatiele, di
vedere riconosciuta la validità del proprio
operato non solo dall’ostentazione di una
prova documentale o semplicemente verbale della sua investitura da parte di
un’autorità riconosciuta ma anche dal riconoscimento della publica fama et communis opinio, mostrano quanto valga ormai il giudizio della comunità sulla repu-
Notiziario bibliografico
tazione personale del notaio e quindi sul
suo riconoscimento come persona pubblica.
La crescita tumultuosa dei Comuni italiani, caratterizzata in tanti casi da lotte tra
fazioni avverse, rischiò di provocare un
affievolirsi di quella riconoscibilità. È significativa a questo proposito la preoccupazione manifestata nel 1219 dal Comune
di Bologna, che « molti praticassero il notariato pur non essendo in grado di provare la legittimità della loro posizione né
attraverso la fama né in altro modo » (p.
245); per questo motivo, mentre si rafforzano i rapporti personali tra coloro che
necessitano della stesura di documentazione e un ben determinato notaio il quale
diventa, sempre più di frequente, il rogatario di fiducia di un gruppo sociale o
parentale, non più tardi della metà del
secolo XIII si avvia un processo parallelo
di regolamentazione dell’attività notarile,
mediante l’introduzione di una certificazione necessariamente scritta (quindi non
più anche orale) dell’investitura, di un
esame d’abilitazione, del giuramento, del
pagamento di una tassa e dell’obbligo
d’immatricolazione. A questo proposito la
Schulte ipotizza che la richiesta di registrare tutti i notai si sarebbe inizialmente
limitata a coloro che intendevano svolgere
la propria attività all’interno del Comune
e che solo in un secondo momento si sarebbe estesa a quelli che invece esercitavano « in proprio ». Anche in questa fase
incerta nella crescita d’immagine della
figura notarile continua, però, a giocare un
ruolo fondamentale la « reputazione » del
singolo notaio. Ciò emerge molto bene
dalla legislazione comunale con cui venivano puniti i falsi, dal momento che ovunque i falsari venivano bollati come
infames ed è probabile che i documenti
rogati da notai giudicati tali fossero dall’opinione pubblica considerati nulli; l’accusa di falso comportava la privazione
dell’officium notarie ma multe potevano
essere comminate dal collegio dell’Arte
239
anche per comportamenti lesivi della buona reputazione del notaio, come l’uso di
abiti non adatti al rango e la frequentazione di taverne.
La ricostruzione del processo che porta
alla redazione dell’imbreviatura è, nel lavoro della Schulte (pp. 100 sgg.), piuttosto
complessa e forse un po’ intricata. Quel
che più interessa è probabilmente l’ipotesi
avanzata dall’autrice, che proprio l’imbreviatura, comprese le publicationes (cioè
quei pochi elementi fondamentali che venivano appuntati in vista di un’eventuale
stesura in mundum: data, luogo, nomi dei
testimoni), venisse letta e stesa in presenza di tutti gli attori coinvolti nella stesura
del documento; ne discendeva che qualora
uno di tali elementi fosse mancante o non
corrispondente a quanto richiesto – omissione dell’indicazione di luogo, numero di
testimoni insufficiente rispetto alla norma,
difetto di credibilità nelle persone chiamate a testimoniare – il documento non godeva della publica fides. Inoltre, nel caso
in cui il notaio veniva chiamato a documentare un negozio giuridico di grande
rilevanza, era consigliabile il ricorso a testimoni di rango sociale più elevato. Tutto
ciò è verificato dalla studiosa ancora una
volta sulla documentazione del territorio
di Como: qui non sono quasi mai attestati
(tranne un solo caso) documenti rogati
presso il banco o la casa del notaio; sembrano essere, infatti, le parti a decidere di
volta in volta il luogo della redazione dei
singoli contratti; anzi, nel caso in cui questi ultimi comportavano la consegna o il
trasferimento di grosse somme di denaro,
sembra essere sempre più documentata nel
corso del XIII secolo la stipula all’interno
di uno spazio pubblico, al fine di evidenziarne la patente pubblicità per la presenza
di istituzioni pubbliche nelle immediate
vicinanze. Ancora a Como, nel 1219, il
Comune emise disposizioni che legavano
il numero di testimoni all’entità e al valore
della contrattazione. Non solo: per negozi
che eccedevano un determinato importo (5
240
Notiziario bibliografico
libbre) era necessario che fosse presente
personale che assistesse il notaio (pro notariis; notizie su figure analoghe si trovano a Milano, Bergamo e Novara); contratti
d’importanza ancora maggiore vedevano
inoltre la partecipazione di un giudice, il
quale veniva nominato in tal caso in cima
all’elenco dei testimoni. Accanto a queste
norme, si constata un ricorso sempre più
frequente agli stessi notai chiamati a testimoniare a partire almeno dall’ultimo
quarto del secolo XII, per cui già dall’inizio del XIII è possibile ricostruire tutta una cerchia di notai che di volta in volta
figurano nei documenti come redattori,
testimoni e aiutanti.
Il riferimento alle strutture pubbliche
avviene, questa volta a Bologna, anche in
altra forma: nel 1265 il Comune dispose
che, quando il negozio giuridico superava
l’importo delle 25 libbre, le parti « fossero
tenute a confermare il loro consenso in
presenza di un funzionario comunale e a
far poi registrare il contenuto del documento nei Libri Memoriali » (p. 249). Il
tema della « reputazione » o della fama
ritorna, poi, dinanzi al problema delle copie tratte dall’originaria imbreviatura. Ancora a Como nel secolo XII la copia avveniva in presenza di due o tre giudici o
notai appartenenti ai ceti più elevati della
società, e per l’appunto attraverso la fama
di personale così qualificato che assicurava di aver letto l’originale era riconosciuta
alla copia il valore di prova. Ma, a partire
dal XIII secolo la medesima procedura fu
svolta in presenza di un personaggio pubblico, il podestà o un suo giudice, che
formalmente incaricava un notaio comunale di redigere la copia richiesta. Proce-
dendo nel tempo, il funzionario pubblico
« non si limitava più ad autorizzare l’autentica della copia, ma la annunciava di
persona. Attraverso l’aggiunta delle publicationes non era più la copia, bensì l’atto
giuridico dell’autentica, che era un atto a
sé stante e compiuto in presenza di ulteriori testimoni, ad essere comprovato ».
L’intervento del Comune nel processo di
documentazione diveniva, infine, ancora
più invasivo nel caso delle donationes inter vivos, come provano gli esempi di Viterbo e di altre realtà comunali. Vengono
così confermati dalla documentazione, sapientemente vagliata dalla Schulte, un
quadro che gli studi sul notariato italiano
avevano in parte già delineato nelle sue
linee principali (trovandone forse le prime
avvisaglie nei dicta d’area romana) ed un
procedere della figura del notaio verso la
conquista della pubblica fides sempre più
avvertita, non tanto grazie a fattori formali
(la nomina imperiale, pontificia o d’altra
autorità), quanto in un riconoscimento legato alla vita stessa della comunità cui il
notaio appartiene e che in certo qual modo
in lui si riconosce e si rispecchia. Il volume è corredato da una nutrita serie di grafici e di illustrazioni, munito di un utilissimo riassunto in ottima lingua italiana, di
un’abbondante bibliografia e di una serie
di indici per settori (1. Persone: di Como
e del suo territorio, pp. 333-345; Altre
provenienze, pp. 346-349; 2. Luoghi: Como, pp. 350-351; Territorio comasco, pp.
351-352; Altri, pp. 352-354; 3. Cose notevoli, pp. 354-360; 4. Autori ed opere citati, pp. 360-362).
Paolo Cherubini
Libri
ricevuti∗
Additiones agli “Instrumenta Miscellanea”
dell’Archivio Segreto Vaticano (74958802), a cura di SERGIO PAGANO, Città
del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2005, pp. X, 404 (Collectanea Archivi Vaticani, 57).
ARCHIVIO DI STATO DI ANCONA, Gli archivi dell’architettura. Natura, struttura, metodologie di descrizione, prospettive di ricerca, a cura di GIOVANNA
GIUBBINI, Ancona, Affinità elettive,
2006, pp. 141, ill.
ARCHIVES DÉPARTEMENTALES DE VAUCLUSE, Archives des princes, de la principauté, du parlement et du conseil de
guerre d’Orange. Répertoire numérique detaillé par CLAUDE-FRANCE HOLLARD, sous la direction de CHRISTINE
MARTELLA, Avignon 2005, pp. 216, ill.
ARCHIVIO DI STATO DI BRINDISI, Le più
antiche parrocchie dell’Arcidiocesi di
Brindisi-Ostuni e della Diocesi di Oria.
Guida agli archivi e alle fonti conservate negli Archivi di Stato, a cura di
ROSANNA SAVOIA. Introduzione di SALVATORE PALESE. Con la collaborazione
della SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER
LA PUGLIA e degli ARCHIVI DI STATO DI
LECCE e TARANTO, Brindisi, Archivio
di Stato, [2005], pp. 204.
Archivi del Trentino-Alto Adige. Storia e
prospettive di tutela del patrimonio storico. Una giornata di studio e di confronto in onore di Albino Casetti. Atti
della giornata di studio, Trento 17
novembre 2006, a cura di MARIA GARBARI, supplemento a « Studi trentini di
scienze storiche », LXXXVI (2007), 2,
pp. 186.
L’Archivio: teoria, funzione, gestione e
legislazione, a cura di ANGELO ANTONIO GHEZZI, Milano, ISU Università
Cattolica, 2005, pp. 759.
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Verbali del Consiglio dei ministri, maggio
1948-luglio 1953. I, Governo De Gasperi, 23 maggio 1948 - 14 gennaio 1950,
edizione critica a cura di FRANCESCA
ROMANA SCARDACCIONE, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’edi-toria,
2005, pp. XXXVI, 989 (con CD-Rom).
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI - DIOCESI DI
ALIFE - CAIAZZO, Diplomatico dell’Archivio vescovile di Caiazzo. Inventario
analitico 1007-1887, a cura di LAURA
ESPOSITO. Coordinamento tecnico-scientifico di CAROLINA BELLI, III, Napoli,
Archivio di Stato, 2005, pp. XVI, 146;
tavv. 33.
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI - DIOCESI DI
ALIFE - CAIAZZO, Le pergamene dell’Archivio vescovile di Caiazzo. Regesti
e trascrizioni 1266-1285, a cura di
LAURA ESPOSITO. Coordinamento tecnico-scientifico di CAROLINA BELLI, II,
Napoli, Archivio di Stato, 2005, pp.
VIII, 303.
ARCHIVIO DI STATO DI TERNI, Palazzo
Mazzancolli a Terni. Storia architettu-
∗
Tra i libri ricevuti si segnalano: inventari, edizioni di fonti, opere di archivistica e di discipline affini. La rubrica viene curata dalla dr. Maria Teresa Piano Mortari, direttrice della Biblioteca della Direzione generale per gli archivi.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
Libri ricevuti
242
ra archivi, a cura di ANNA PIA BIDOLLI,
Terni, Fondazione Cassa di Risparmio
di Terni e Narni, 2005, pp. XVI, 206, ill.
ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea
di testi, saggi e inventari. I, Città del
Vaticano, Archivio Segreto Vaticano,
2006, pp. X, 686 (Collectanea Archivi
Vaticani, 61).
ARCHIVIO STORICO DEL PATRIARCATO DI
VENEZIA, Solo carte? Indicazioni operative per la tenuta dell’archivio corrente delle parrocchie, a cura di FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI - MONICA MARTIGNON - REMIGIO PEGORARO, Venezia, Studium cattolico veneziano, 2006, pp. 61, ill. (Archivi storici
della chiesa di Venezia. Sussidi e ricerche).
L’Archivio storico dell’Università degli
studi di Milano. Inventario, a cura di
STEFANO TWARDZIK, Milano, Cisalpino, Istituto Editoriale Universitario Monduzzi, 2005, pp. XIX, 279 (Università degli Studi di Milano. Facoltà di
lettere e filosofia. Quaderni di Acme,
69).
ARQUIVO
NACIONAL,
SERVAÇAO DO ACERVO,
Fundo Sesmarias. Inventário analitico. I, Rio de
Janeiro, Arquivo nacional, 2002, pp.
387 (Instrumentos de Trabalho, 21).
NACIONAL,
ROMAGNA, Scrigni di memorie. Gli
archivi familiari nelle dimore storiche
bolognesi. Giornate europee del patrimonio « Un patrimonio venuto da lontano », Bologna, 23-24 settembre 2006,
Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio, 2006, pp. 60. ill.
LIA
GINO BADINI, Archivi e chiesa. Lineamenti di archivistica ecclesiastica e religiosa, Bologna, Patron, 20053, pp. 232
(Scienze storico-ausiliarie, 3).
Le carte delle immagini. I documenti cartacei e iconografici nel processo produttivo degli audiovisivi. Uso e conservazione, a cura di ANDREA TORRE,
Roma, Ediesse, 2008, pp. 277 (Annali
dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, 10, 2007).
Le carte di Léon Cadier alla Bibliothèque
nationale de France. Contributo alla
ricostruzione della Cancelleria angioina, a cura di SERENA MORELLI, Roma,
Ecole française de Rome - Istituto storico per il Medioevo, 2005, pp. LXVII,
280 (Sources et documents d’histoire
du Moyen Âge, 9; Fonti per la storia
dell’Italia medievale. Antiquitates, 20).
COORDENAÇÃO-GE-
RAL DE PROCESSAMENTO TECNICO E PRE-
ARQUIVO
PRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’EMI-
FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI - GILLES GRIVAUD, Cyprus 1542. The great
map of the island by Leonida Attar,
Nicosia, The Bank of Cyprus Cultural
Foundation, 2006, pp. 145, tav. 45, ill.
(con CD-Rom).
COORDENAÇÃO-GE-
Fundo Sesmarias. Indice onomastico, indice geografico, Brasil. II, Rio de Janeiro, Arquivo
nacional, 2005, pp. 178 (Instrumentos
de Trabalho, 21).
FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI, « Distribuire le scritture e metterle a suo
nicchio ». Studi di storia degli archivi
trevigiani, Treviso, Ateneo di Treviso,
2007, pp. 238, tavv. 14 (Quaderni
dell’Ateneo di Treviso, 15).
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE, SEZIONE EMILIA ROMAGNA - SO-
CENTRO STUDI INTERREGIONALE SUGLI ARCHIVI ECCLESIASTICI, Cum tamquam
RAL DE PROCESSAMENTO TECNICO E PRESERVAÇAO DO ACERVO,
Libri ricevuti
veri. Gli archivi conventuali degli ordini maschili. Atti dei convegni di Spezzano (16 settembre 2005) e di Ravenna
(30 settembre 2005), a cura di ENRICO
ANGIOLINI, Modena, Mucchi, 2006, pp.
260, ill. (Atti dei Convegni del Centro
studi interregionale sugli archivi ecclesiastici, 10).
COMITATO
PER LA PUBBLICAZIONE DELLE
TERRAFERMA VE- REGIONE DEL VENETO, GIUNTA
REGIONALE, Il “Liber Iurium” del Comune di Monselice (secoli XII-XIV), a
cura di SANTE BORTOLAMI e LUIGI
CABERLIN; con un saggio introduttivo
di SANTE BORTOLAMI e una nota di
ATTILIO BARTOLI LANGELI, Roma,
Viella, 2005, pp. LXX, 834, tavv. 8
(Fonti per la storia della terraferma
veneta, 21).
FONTI RELATIVE ALLA
NETA
COMITATO PER LE CELEBRAZIONI DEL CENTENARIO DELLA MORTE DI GIUSEPPE
MAZZATINTI - SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’UMBRIA - COMUNE DI
GUBBIO, In memoria di Giuseppe Mazzatinti. Studi immagini repertori, a cura
di MARIO SQUADRONI. Prefazione di
ATTILIO BARTOLI LANGELI, Perugia,
Soprintendenza archivistica per l’Umbria, 2006, pp. 430, ill. (Scaffali senza
polvere, 11).
FLAVIA DE VITT, I registri del notaio
Maffeo D’Aquileia (1321 e 1332), Roma, Istituto storico italiano per il Medio
Evo - Udine, Istituto Pio Paschini per la
storia della Chiesa in Friuli, 2007, pp.
278 (Fonti per la storia della Chiesa in
Friuli, Serie medievale, 4).
ALEJANDRO M. DIEGUEZ - SERGIO PAGANO, Le carte del “Sacro tavolo”. Aspetti del pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato, Città del
Vaticano, Archivio Segreto Vaticano,
2006, pp. CXVI, 1072, tavv. 16 (Collectanea Archivi Vaticani, 60).
243
UGO FALCONE, Gli archivi e l’archivistica
nell’Italia fascista. Storia, teoria e legislazione, Udine, Forum, 2006, pp.
278 (Nuove Tesi, 3).
I fascicoli penali del Tribunale di Varallo
(1903-1923). Inventario, a cura di MARIA GRAZIA CAGNA - BRUNA CRIVELLI,
Vercelli, Associazione amici degli archivi piemontesi - Sezione di Archivio
di Stato di Varallo, 2006, pp. 126 (Fonti per la storia contemporanea, 5).
GIUSEPPE FEA, Cenno storico sui regi
archivi di corte, 1850, a cura degli ARCHIVISTI DI STATO DI TORINO, in collaborazione con COMPAGNIA DI SAN PAOLO, Torino, Compagnia di San Paolo,
2006, pp. 181, tavv. 4.
Fondo Thayaht. Inventario, a cura di MIRELLA DUCI, Trento, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e
Rovereto - Rovereto, Nicolodi, 2006,
pp. 198, ill. (Mart-Inventari, 2).
Fondo Vittore Grubicy. Inventario, a cura
di FRANCESCA VELARDITA, Trento,
Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto - Rovereto,
Nicolodi, 2005, pp. 415. ill. (MartInventari, 1).
GIORNATE EUROPEE DEL PATRIMONIO 2006,
Storie da un archivio: frequentazioni,
vicende e ricerche negli archivi camerinesi, Atti della conferenza, a cura di
PIERLUIGI MANCONI, Camerino, Auditorium di S. Caterina, 8 aprile 2006,
Camerino, Sezione di Archivio di Stato, 2006, pp. 121.
I giorni della Repubblica. Sessantesimo
della Repubblica italiana (1946-2006).
Catalogo della mostra, a cura di ROCCO MARZULLI e ANNA RIVA, Piacenza,
Archivio di Stato, 2006, pp. 79, ill.
244
ISTITUTO
Libri ricevuti
CENTRALE PER IL CATALOGO
UNICO DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E
PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE,
Linee guida per la digitalizzazione di
bandi, manifesti e fogli volanti, a cura
del Gruppo di lavoro sulla digitalizzazione di bandi, manifesti e fogli volanti,
Roma, ICCU, 2006, pp. 111, tavv. 21,
ill. (Digitalizzazione. Ricerche e strumenti, 3).
La memoria ritrovata: Pietro Geremia e
le carte della storia, a cura di FRANCESCO MIGLIORINO - LISANIA GIORDANO,
con uno scritto di GIUSEPPE GIARRIZZO,
Catania, G. Maimone, 2006, pp. 323,
ill. (Quaderni dell’Archivio storico dell’Università degli studi di Catania, 1).
Il monastero di S. Giovanni gerosolimitano in Pisa. Studio storico introduttivo.
Inventario dell’archivio e appendice di
documenti, a cura di ROSALIA AMICO,
presentazione di OTTAVIO BANTI, Pisa,
ETS, 2007, pp. 196, ill.
Napoleone e la sua amministrazione sulla
sponda orientale dell’Adriatico e nelle
Alpi orientali 1806-1814. Guida alle
fonti, sotto la direzione di JOSIP KOLANOVIC - JANEZ SUMRADA. Prefazione di
MARIE PAULE ARNAULD, Zagabria,
Archivi nazionali della Croazia, 2005,
pp. 1078.
OLIVIER PONCET, La nonciature de France
(1819-1904) et ses archives, Città del
Vaticano, Archivio Segreto Vaticano,
2006, pp. XIV, 338 (Collectanea Archivi
Vaticani, 59).
REGIONE DEL VENETO, GIUNTA REGIONALE, Le carte del Capitolo della Cattedrale di Verona. II, (1152-1183), a cura
di EMANUELE LANZA. Saggio introduttivo di GIAN MARIA VARANINI, Roma,
Viella, 2006, pp. LXXIX, 344, tavv. 16
(Fonti per la storia della terraferma
veneta, 22).
La scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio di Stato di Bolzano. Alcune lezioni, a cura di ARMIDA
ZACCARIA, Bolzano, Archivio di Stato Rovereto, Stella, 2006, pp. 65, ill.
SOCIETÀ FILOLOGICA ROMANA, Il fondo
archivistico Ernesto Monaci (18391918) e l’archivio storico della Società
Filologica Romana (1901-1959), a cura
di MONICA CALZOLARI, Roma, Società
filologica romana, 2005, pp. 365, 1 ritr.
(supplemento a « Studj romanzi » editi
a cura di FABRIZIO BEGGIATO, I, nuova
serie, 2005).
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL
FRIULI VENEZIA GIULIA - ASSOCIAZIONE
NAZIONALE ARCHIVISTICA ITALIANA, SEZIONE FRIULI VENEZIA GIULIA, Le carte
di Ippocrate. Gli archivi per la sanità
nel Friuli Venezia Giulia [a cura di
GRAZIA TATÒ e PIERPAOLO DORSI],
Pasian di Prato (UD), Lithostampa,
2005, pp. 138, ill. (con CD-Rom).
NOTIZIARIO LEGISLATIVO ∗
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
DECRETO 31 gennaio 2006
Riassetto delle Scuole di specializzazione nel settore della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale.
Allegato 4 Beni archivistici e librari.
Pubblicato sul Supplemento ordinario n. 147 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.
137 del 15 giugno 2006.
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 maggio 2006, n. 252
Regolamento recante norme in materia di deposito legale dei documenti di interesse
culturale destinati all’uso pubblico.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 191 del 18 agosto 2006.
LEGGE 3 agosto 2007, n. 124
Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 187 del 13 agosto 2007.
Art. 10. (Ufficio centrale degli archivi)
1. È istituito nell’ambito del DIS, ai sensi dell’articolo 4, comma 7, l’Ufficio centrale
degli archivi, al quale sono demandate:
a) l’attuazione delle disposizioni che disciplinano il funzionamento e l’accesso agli
archivi dei servizi di informazione per la sicurezza e del DIS; b) la gestione dell’archivio centrale del DIS; c) la vigilanza sulla sicurezza, sulla tenuta e sulla gestione
dei citati archivi; d) la conservazione, in via esclusiva, presso appositi archivi storici,
della documentazione relativa alle attività e ai bilanci dei servizi di informazione per
la sicurezza, nonché della documentazione concernente le condotte di cui all’articolo
17 e le relative procedure di autorizzazione.
2. Il regolamento di cui all’articolo 4, comma 7, definisce le modalità di organizzazione
e di funzionamento dell’Ufficio centrale degli archivi, le procedure di informatizzazione dei documenti e degli archivi cartacei, nonché le modalità di conservazione e di
accesso e i criteri per l’invio di documentazione all’Archivio centrale dello Stato.
∗
I testi di legge sono consultabili nella sezione Normativa del sito internet dell’Istituto centrale per gli archivi <http://www.icar.beniculturali.it>. Il Notiziario, curato dal dott. Otello Pedini, si
limita pertanto a fornire la semplice indicazione dei provvedimenti e dei singoli articoli riguardanti
gli archivi.
Rassegna degli Archivi di Stato, n.s., III (2007), 1
246
Notiziario legislativo
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DECRETO 28 agosto 2007, n. 173
Regolamento recante l’individuazione dei tipi di dati sensibili e giudiziari e di operazioni
eseguibili ai sensi dell’articolo 20, comma 2, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante codice in materia di protezione dei dati
personali.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 247 del 23 ottobre 2007
LEGISLAZIONE REGIONALE
REGIONE SARDEGNA. DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 7 giugno 2006, n. 24/3
Disposizioni per l’organizzazione e la gestione degli archivi di deposito.
Pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n. 21 del 16
settembre 2006.
RIVISTA DI STORIA
DEL DIRITTO ITALIANO
Anno LXXX (2007)
Articoli
Alberto Sciumè, Casualità e casualità: il problema del nesso di casualità materiale nel
diritto penale italiano tra il 1889 e il 1929; Roberto Pavanello, Sull’ordinamento dell’avvocatura a Trieste tra Settecento e Ottocento; Paola Maffei, Un magistrato paladino
della lingua italiana: Giambattista Somis di Chiavrie (Torino 1763-1839); Alessandra
Bassani, Il Tractatus de testibus variantibus di Tindaro Alfani: un dialogo fra cultura
tradizionale e cultura umanistica nella Perugia del Quattrocento; Ninfa Contigiani, Il
processo penale pontificio tra ancoraggi inquisitori e spettro riformista (1831-1858);
Edoardo Fregoso, La separazione dei coniugi nell’ordinamento parmense del XIX secolo. Una ricognizione ricostruttiva tra norme e giurisprudenza; Giordano Ferri, Alcune
riflessioni sul requisito della opinio juris nella stagione dei codici unitari italiani; Isidoro Soffietti, Il Codice di procedura criminale sardo del 1847-48: dai modelli a modello.
Miscellanea
Isidoro Soffietti, A proposito di Frammenti veronesi del sec. IX delle Istituzioni di Giustiniano, di Guiscardo Moschetti; Gian Savino Pene Vidari, A proposito di Hinc publica
fides. Il notaio e l’amministrazione della giustizia, a cura di Vito Piergiovanni; Vito
Piergiovanni, Prospettiva storica e diritto europeo. A proposito di L’Europa del diritto,
di Paolo Grossi; Enrico Genta, A proposito di Storia del diritto in Europa, di Antonio
Padoa Schioppa; Gian Savino Pene Vidari, Ad un quarantennio dalla costituzione della
“Commissione per gli studi storici sul notariato”.
Comunicazioni
Gian Paolo Massetto, In ricordo di Giulio Vismara; Rassegna delle iniziative congressuali.
Bollettino bibliografico
Libri ricevuti
COMITATO DI DIREZIONE: R. Ajello, M. Ascheri, M. Bellomo, L. Berlinguer, I. Birocchi,
A. Campitelli, P. Cappellini, S. Caprioli, M. Caravale, D. Cecchi, A. Cernigliaro, G.
Cianferotti, E. Cortese, P. Costa, A. De Martino, E. Dezza, M. G. Di Renzo Villata,
M. R. Di Simone, R. Feola, M. Fioravanti, P. Fiorelli, C. Ghisalberti, P. Grossi, F.
Liotta, D. Maffei, D. Marrara, F. Martino, G. Massetto, A. Mazzacane, E. Mazzarese
Fardella, M. Montorzi, L. Moscati, C. M. Moschetti, P. Nardi, A. Padoa Schioppa, A.
Padovani, G. S. Pene Vidari, U. Petronio, V. Piergiovanni, L. Prosdocimi, A. Romano,
U. Santarelli, R. Savelli, I. Soffietti, B. Sordi, G. Zordan.
DIRETTORE RESPONSABILE: Gian Savino Pene Vidari.
EDIZIONE: Fondazione Sergio Mochi Onory per la storia del diritto italiano - Roma.
Per la corrispondenza e l’acquisto delle annate, anche arretrate, si può fare capo a Biblioteca Patetta, Università di Torino, Via S. Ottavio, 20 TORINO (c.p. 10124),
tel. 011/885821 oppure 670.3763 - fax 670.3355; www.storiadiritto.it
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rassegna degli archivi di stato - Direzione generale per gli archivi