Settimanale
Nuova serie - Anno XXXIX - N. 45 - 10 dicembre 2015
Fondato il 15 dicembre 1969
2015 - 28 novembre – 1820. 195° Anniversario della nascita
del grande Maestro del proletariato internazionale e cofondatore del socialismo scientifico
Engels: Parte avuta
dal lavoro nel processo di
umanizzazione della scimmia
PAGG. 7-9
Più di duemila eventi in oltre 150 Paesi chiedono un futuro alimentato dalle sole energie rinnovabili
Manifestazione a Roma dei lavoratori del pubblico
impiego indetta da Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Gilda
Due milioni di attivisti in
“marcia” in tutto il mondo
“Contratto Subito”
per il pubblico
impiego
Si apre a Parigi la conferenza ONU sul clima
poletti rivuole il cottimo e lo spaccia per
“nuovo” modello contrattuale
PAG. 3
Nella capitale francese la “Marcia per il Clima” è stata vietata per questioni
di sicurezza. I francesi però si organizzano e non rinunciano alla piazza
formando una catena umana e ricoprendo place de la Republique di scarpe.
Nel pomeriggio la polizia carica il corteo non autorizzato
PAG. 2
Volantinaggio a Borgo S. Lorenzo (Firenze)
Non farsi ingannare
dalla propaganda
imperialista PAG. 12
DIALOGO
LETTORI
Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente
la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non
devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi.
Non trovate delirante
il comunicato dell’Isis
sugli attentati di
Parigi?
PAG. 11
Venerdì 20 c’era stato lo sciopero proclamato dal sindacato USB
Demagogia mussoliniana in uno stato di guerra dell’Italia
Renzi indora la pillola della
militarizzazione del Paese
Mance elettorali ai poliziotti e ai 18enni
Militarizzata la Forestale
PAG. 3
Obama e i governanti imperialisti europei
aiutano il bombardiere Hollande
Putin: un’alleanza anche a guida Usa. La Germania invia aerei e navi. Cameron bombarderà
Renzi: “L’IS ha colpito l’Europa e l’umanità non solo la
Francia”, dobbiamo distruggerlo
PAG. 15
Sicilia
Nell’affollatissimo centro città
La Cellula napoletana del
PMLI diffonde il documento
di critica alla giunta
antipopolare De Magistris
I volantini andavano via come il pane
PAG. 12
Nasce il Crocetta quater, falso
antimafioso e nemico delle masse Urban smaschera
Un’accozzaglia di fascisti e filomafiosi. In giunta insieme al PD, l’UDC, tra cui la
segretaria personale di Cuffaro, il PDR di Cardinale, l’NCD
Non diamogli tregua.
Difendiamo gli interessi delle masse PAG. 4
Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa
Critiche al nuovo
contratto dei chimici
Il processo di Norimberga
e alla propaganda
fu necessario. Metterlo in
dei governanti sui
discussione vuol dire fare un
conflitti in corso
regalo ai nazisti di ieri e di oggi Cammilli:
“Ritirarsi dalle guerre per
70° anniversario del processo di Norimberga
Le potenze occidentali ostacolarono la denazificazione,
demilitarizzazione e democratizzazione della Germania
PAG. 6
Invitato ufficialmente il PMLI a un dibattito della “7ª festa
per l’unità della sinistra d’alternativa” di Pray (Biella)
far cessare gli attentati. La firma del
contratto soddisfa solo la Confindustria”
PAG. 4
Basta disperdere
le forze. Serve
un unico forte
movimento
studentesco
della Commissione giovani
del CC del PMLI
PAG. 5
l’intervento
di Ferrero PAG. 12
Ospite compiacente de “L’Unità” di Renzi
Rizzo imbroglia su
Gramsci e Berlinguer
Il segretario generale del nuovo PC
revisionista è onnipresente nei media. Come
mai? Al PMLI non sono concessi né una riga
sui giornali né un secondo in radio e tv
PAG. 5
2 il bolscevico / conferenza mondiale sul clima
N. 45 - 10 dicembre 2015
Più di duemila eventi in oltre 150 Paesi chiedono un futuro alimentato dalle sole energie rinnovabili
Due milioni di attivisti
in
“marcia”
in
tutto
il
mondo
Nella capitale francese la “Marcia per il Clima” è stata vietata per questioni di sicurezza. I francesi
però si organizzano e non rinunciano alla piazza formando una catena umana e ricoprendo place de
la Republique di scarpe. Nel pomeriggio la polizia carica il corteo non autorizzato
Si apre a Parigi la conferenza ONU sul clima
La 21esima Conferenza
dell’Onu sui cambiamenti climatici si è aperta a Parigi nel pomeriggio di domenica 29 novembre.
All’indomani partiranno in modo
ufficiale i lavori ai quale partecipano i rappresentanti di 193 Paesi ed oltre 150 capi di Stato, a
cominciare dal presidente americano Barack Obama, quello
cinese Xi Jinping, l’indiano Narendra Modi e il russo Vladimir Putin. Per l’Italia partecipano il premier, Matteo Renzi, ed
il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti. I negoziati andranno
avanti fino all’11 dicembre; quasi due settimane di colloqui dunque, per raggiungere un nuovo accordo mondiale che superi
Kyoto, protocollo in gran parte
disatteso, in materia di gas serra e riscaldamento globale. Per
quasi tutto il mondo della scienza ambientale, oggi più che mai
in gioco c’è il futuro del pianeta,
e da ciò la necessità di siglare
un nuovo accordo globale sulla lotta ai cambiamenti climatici
che rischiano di cambiare il volto
della Terra, rendere invivibili ampie zone del pianeta e distruggere per sempre interi ecosistemi.
Lo scenario attuale
Nelle settimane che hanno
preceduto l’apertura della Conferenza, tutti i portavoce dei paesi coinvolti hanno sottolineato come la volontà comune sia
quella di frenare il riscaldamento
del pianeta, limitare l’escalation
delle emissioni di CO2 nell’aria, arginando così anche i disastri naturali provocati dall’aumento delle temperature medie
di atmosfera ed oceani. Stando
alle dichiarazioni, il primo obiettivo politico di Parigi è quello di
far dimenticare al mondo intero il
fallimento del summit di Copenaghen quando, nel dicembre del
2009, il tutto si concluse con un
clamoroso fiasco, con intenti paralizzati dallo scontro fra le superpotenze USA, Cina ed India e
con l’Europa poco più che spettatrice. In realtà la situazione alla
vigilia della Conferenza di Parigi,
aumento massimo “sostenibile”,
e fissato in +2 gradi C. Anche un
rapporto dell’ONU stessa conferma questa amara condizione
di insufficienza: “Con i piani at-
re parte attiva della Conferenza
stessa, il 28 ed il 29 novembre
più di duemila eventi in oltre 150
paesi del mondo, hanno composto la “Marcia Globale per il
Parigi, 29 novembre 2015. Le violente cariche della polizia contro i manifestanti che rivendicavano la difesa e
la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse all’apertura del summit mondiale sul clima
tuali non si evita un aumento sostanziale delle emissioni da qui
al 2030.
La preoccupazione
delle associazioni
ambientaliste
internazionali
Più di un campanello d’allarme è suonato nella testa dei
milioni di ambientalisti di tutto il
mondo che, comprendendo la
delicatezza del momento e memori delle “truffe” passate, stanno sottolineando da tempo che
i cambiamenti climatici riguardano tutti da vicino e risultano
essere oggi una vera e propria
emergenza che ha ripercussioni in campo ambientale, sociale,
economico ed anche geopolitico. La Coalizione Italiana “Parigi
2015: mobilitiamoci per il clima”,
alla quale aderiscono oltre 150
soggetti fra sindacati dei lavoratori, organizzazioni di società
civile, degli agricoltori, di solidarietà, confessionali, ambientaliste ecc., ha evidenziato, oltre
alle problematiche strettamente
legate alla questione ambientale, quanto la questione climatica
sia intrecciata con le migrazioni,
le guerre ed i drammatici even-
Clima”. Alla base delle richieste
comuni, giustizia climatica, un
nuovo scenario energetico che
fermi le emissioni di gas serra aprendo la strada ad equilibri
nuovi e sostenibili che dovrebbero concretizzarsi in un accordo
fra i governi in questione “ambizioso e vincolante” che consenta di limitare innanzitutto il riscaldamento globale almeno sotto i
2 gradi C, che acceleri la transizione verso la de carbonizzazione, per un mondo alimentato al
cento per cento da energie rinnovabili nel 2050. E che dire poi
dei pesticidi dannosi per l’uomo?
Solo in Europa la Ue ha chiesto
di ritirarne 320.
Oltre due milioni di
manifestanti in tutto
il mondo
“Non c’e’ un Planet B” era la
parola d’ordine a Sydney, in Australia, dove 45mila persone si
sono radunate, mentre 5mila
erano ad Adelaide e un migliaio hanno sfilato sotto la pioggia
a Seul. A dare il via alle manifestazioni, il grande evento a Melbourne venerdì, cui sono seguiti raduni di sabato dalla Nuova
Zelanda, ad Aukland, dove si è
tenuta una “Haka” di massa, la
Roma, 29 novembre 2015. La marcia per il clima
promesse a parte, è totalmente
insoddisfacente poiché il totale
dei piani nazionali dei 170 paesi
che rappresentano il 90% del totale delle emissioni carboniche,
ammesso poi che essi vengano
rispettati al dettaglio, porterebbe comunque ad un aumento di
2,7 gradi della temperatura media del pianeta, sfondando anche la soglia di quel limite pressoché riconosciuto da tutti quale
quenti, con le migliaia di manifestanti berlinesi alla Porta di Brandeburgo; i leader indigeni che a
Bogotá hanno celebrato la “Madre Terra” e gli oltre 5.000 cicli-
ti che scuotono il Medio Oriente, l’Europa ed il mondo intero.
Il timore di tutto il mondo attivista ambientale è quello che la
Conferenza di Parigi non riesca
ad essere incisiva fino in fondo
e capace di definire un nuovo
scenario energetico ed un nuovo modello di sviluppo che punti alla tutela del bene comune e
delle risorse naturali. Per questo, e con la volontà di diveni-
tradizionale danza maori. Le Filippine hanno ospitato manifestazioni nelle sei maggiori città,
coinvolgendo le comunità che
hanno sofferto l’impatto devastante di cicloni sempre più violenti. La mobilitazione mondiale
ha unito i masai della Tanzania,
che hanno marciato per ottenere energie rinnovabili nel cratere di Ngorongoro minacciato da
siccità estreme sempre più fre-
sti che hanno attraversato Città
del Messico per testimoniare la
volontà comune di difendere il
pianeta dai rischi dei mutamen-
ga tradotto in azione”. Già diverso il polso di gran parte dei partecipanti che, pur animati dalla
speranza possibilista dell’esito,
pensano che non vi siano le basi
per aspettarsi una soluzione definitiva proprio da coloro che hanno le responsabilità maggiori in
ambito di riscaldamento globale
e che non hanno mai fatto seguire alle proprie promesse, atti
concreti per ridurre le emissioni
di gas serra e CO2. Dure critiche
anche al governo del Berlusconi democristiano Renzi che, alla
stessa stregua degli altri in Europa e nel mondo, sembra non
voler sentire le ragioni della terra
e dei suoi abitanti. Il governo tira
dritto col decreto “Sblocca Italia”
e con le sue trivelle tese ad agevolare le estrazioni petrolifere in
terra ed in mare; con il nuovo ricorso all’incenerimento dei rifiuti considerati gli inceneritori “di
carattere strategico nazionale”,
pare pensare più ai profitti degli
quattro tonnellate ne sono state
raccolte in appena una settimana, come affermato da Avaaz, il
movimento globale per la mobilitazione dei cittadini che ha ideato l’iniziativa, a testimonianza
della determinazione della popolazione ad essere ascoltata.
Lungo Boulevard Voltaire oltre
10.000 persone si sono date la
mano, alcuni dei quali mostrando cartelli con su scritto “sfruttano, inquinano, fanno profitti! l’emergenza è sociale e climatica”.
I manifestanti hanno interrotto la
catena umana di fronte al Bataclan, in segno di rispetto per le
90 persone rimaste uccise nella
sala concerti durante gli attentati
dello scorso 13 novembre. Non
sono mancati però momenti di
forte tensione; tutto è successo
nel primo pomeriggio quando un
gruppo di manifestanti ha tentato di forzare il cordone di polizia
per far partire il corteo non autorizzato. Polizia e manifestanti si
29 novembre 2015. La marcia di Berlino per il clima
ti climatici. Dal Bangladesh al
Giappone, passando per il Sudafrica e la Gran Bretagna, ed
eventi simili hanno avuto luogo
a Rio de Janeiro, New York, Johannesburg, Madrid, Edimburgo ed tante altre città ancora,
per un totale di oltre due milioni
di manifestanti in tutto il mondo.
amici privati che all’interesse del
nostro territorio e dell’intero Pianeta, come appare evidente da
tali scellerate scelte prese sulla
pelle della popolazione.
Le piazze italiane
In realtà già all’indomani della notizia dell’annullamento della
“marcia” di Parigi a causa degli
attentati del 13 novembre scorso, gli attivisti francesi si sono
organizzati per gridare il proprio sostegno alla necessità di
frenare il cambiamento climatico: privati di fatto della possibilità di manifestare, gli ambientalisti hanno deciso di ricoprire una
delle piazze più importanti della
capitale francese quale place de
la Republique, di scarpe. Più di
In Italia la manifestazione
principale si è tenuta a Roma
dove secondo gli organizzatori
sono stati 20 mila i partecipanti alla marcia partita da Campo
dè Fiori e diretta ai Fori imperiali, dove si è tenuto un concerto
conclusivo. Eventi minori che si
sono svolti lungo tutto lo Stivale:
a Torino, Milano, Trieste, Venezia, Genova, Catanzaro, Palermo. Dai cortei trapela un cauto
ottimismo, in particolare dai rappresentanti degli organismi più
istituzionali: secondo alcuni dirigenti del Wwf ad esempio, al
termine delle due settimane di
negoziati “un accordo globale e
vincolante ci sarà, sarà tutta una
questione di dettagli, la COP21
può essere un punto di svolta”.
“Tutti vogliono arrivare a Parigi
per ottenere un risultato, il punto è capire se riuscirà a tutelare i
più vulnerabili oppure no”, precisano manifestanti un po’ più critici che incalzano: “la mobilitazione dovrà continuare, perché
quanto concordato a Parigi ven-
La manifestazione
di Parigi
sono fronteggiati per alcuni minuti
poi la polizia ha caricato selvaggiamente disperdendo i manifestanti. Solo a quel punto e con la
forza, tutta la place de la Republique è stata sgomberata. Strumentali le dichiarazioni del presidente della repubblica francese
Hollande che ha definito “vergognosi” gli incidenti avvenuti nel
pomeriggio, deprecando il fatto
che la “la protesta sia avvenuta
proprio dove c’erano candele, fiori
e altri ricordi” in memoria delle vittime degli attentati, e rafforzando
così l’opinione pubblica alla sua
incalzante politica guerrafondaia
imperialista che fa inevitabilmente da sfondo a questa Conferenza
su di un tema di fondamentale importanza per il mondo intero che
ha tutta l’aria di divenire complessa, contraddittoria e tutta interna
al capitalismo.
Los Angeles (USA) 29 novembre 2015. La marcia per il clima
interni / il bolscevico 3
N. 45 - 10 dicembre 2015
Demagogia mussoliniana in uno stato di guerra dell’Italia
“Italia, Europa. Una risposta
al terrore”: con questo slogan
Matteo Renzi ha presentato il 24
novembre le linee guida del suo
governo per affrontare la “sfida
del terrorismo islamico” dopo
gli attentati di Parigi. E per farlo
ha scelto lo sfondo solenne della sala degli Oriazi e Curiazi dei
Musei capitolini, la stessa dove
nel 1957 fu firmato il trattato di
Roma che diede il via alla Comunità europea. Una “location”
scelta a sommo studio, per tenere un discorso tale da esaltare al
tempo stesso l’Europa e il ruolo
dell’Italia nella sua costruzione e
difesa, ma anche e soprattutto
l’orgoglio nazionale nel rivendicare, sulle orme di Mussolini, un
ruolo autonomo e specifico del
nostro Paese in politica estera
nella sua sfera di influenza storica
- il Mediterraneo, l’Africa, il Medio
Oriente - che risale fino alla storia
di Roma, richiamata non a caso
dal grande arazzo della battaglia
tra gli Orazi e i Curiazi che campeggiava alle sue spalle.
Con ciò Renzi ha voluto rispondere anche alle polemiche
sollevate dalla sua presa di posizione più cauta rispetto alle burbanzose dichiarazioni di guerra
di Hollande, negando che l’Italia sia in guerra ed evitando per
il momento di impegnarsi nella
partecipazione diretta ai bombardamenti sullo Stato islamico in
Siria e Iraq. Una cautela dettata
soprattutto dall’imminenza del
Giubileo e dalla preoccupazione
di non gelare la stentata “ripresa”
economica, ma giustificata con la
motivazione che “occorre evitare una Libia-bis” e che prima di
bombardare “occorre avere una
strategia chiara”: “L’Italia non si
tira indietro, ma lo fa in uno scenario in cui non ci possiamo permettere una Libia-bis perché le
conseguenze sarebbero superiori
a quelle che è lecito attendersi”,
aveva ripetuto infatti anche il
giorno precedente, con un velato
riferimento all’intervento militare deciso unilateralmente dalla
Francia nel 2011.
Col suo discorso, quindi, Renzi ha voluto dissipare ogni sospetto di mancanza di fermezza
Renzi indora la pillola
della militarizzazione
del Paese
Mance elettorali ai poliziotti e ai 18enni
Militarizzata la Forestale
nell’affrontare
adeguatamente
l’“emergenza terrorismo” sul piano militare all’esterno e poliziesco all’interno, ribadendo i già
cospicui impegni militari internazionali dell’Italia, recentemente
rinforzati in finanziamenti e soldati, e annunciando un robusto
programma di militarizzazione del
Paese, finanziato con un miliardo
di euro. Ma contemporaneamente ha indorato la pillola dello stato
di guerra di fatto e del nuovo giro
di vite alla militarizzazione del Paese con l’annuncio dello stanziamento di un altro miliardo per la
“cultura” e per mance elettorali ai
poliziotti e ai diciottenni. Due miliardi in tutto da aggiungere alla
legge di Stabilità, già approvata
dal Senato e ora all’esame della
Camera, da reperire confidando
nell’allentamento dei vincoli di
bilancio sulle spese per l’antiterrorismo promesso dalla Commissione europea.
L’Italia è in guerra e
mira alla Libia
Il nuovo duce ha esordito infatti ribadendo che “l’Italia non
cambia la propria posizione ma
al contrario vede confermate le
proprie priorità, a cominciare dalla centralità strategica per l’intero pianeta del Mediterraneo, dei
Balcani e del Medio Oriente”, e
che essa “si riconosce nella co-
alizione internazionale più ampia possibile, in cui il ruolo degli
Stati Uniti d’America è cruciale, per sconfiggere il fanatismo,
l’estremismo, il terrorismo”. Il che
equivale ad ammettere che l’Italia
è invece effettivamente in guerra, tanto perché glielo impone la
sua riconfermata ed anzi esaltata
partecipazione alla santa alleanza imperialista internazionale
contro l’Is capeggiata dagli Usa,
quanto perché i suoi interessi
nazionali “strategici” risiedono
principalmente nelle regioni che
sono teatro di questa guerra. E in
particolare in Libia, che in questo
momento rappresenta il vero e il
più ambito obiettivo per l’imperialismo italiano, quello per cogliere
il quale, non appena si presenterà
la congiuntura favorevole, Renzi
si tiene in serbo le nuove risorse
finanziarie e militari, piuttosto che
bruciarle ora in Siria per compiacere Hollande.
Eccolo allora ricordare al presidente francese e agli altri guerrafondai che lo accusano velatamente di defilarsi sulla guerra
totale all’Is, che “l’Italia onora le
proprie responsabilità internazionali. Che sono particolarmente
evidenti in Afghanistan, in Somalia, in Libia, in Libano, in Kosovo,
in Iraq e in molti altri scenari di
tensione”; cosa che gli ha riconosciuto anche il vicepresidente
Usa Biden, nell’incontro avuto
con lui all’ambasciata americana
a Roma. Ma anche puntualizzare
ai suoi critici che l’Italia “si mantiene fedele al principio per il quale una coalizione internazionale
necessita del rispetto delle regole
del diritto internazionale e di una
visione strategica per il futuro dei
territori in cui si interviene”.
Un miliardo per
militarizzare il Paese
Ma che l’Italia sia in guerra a
tutti gli effetti è confermato anche
dal piano per la “sicurezza” che
Renzi ha annunciato, che costerà
un miliardo e che prevede un investimento di 150 milioni di euro
per la cosiddetta cyber security,
con la creazione di una gigantesca rete di telecamere, pubbliche
e private, per spiare (“nel rispetto della privacy” ha sottolineato
sfrontatamente il premier) tutto
ciò che si muove nelle strade e
nei locali pubblici delle città. A cui
si aggiunge un investimento di 50
milioni “per rinnovare la strumentazione delle forze dell’ordine”,
che dovranno essere “riorganizzate”, anche con l’assorbimento
delle guardie forestali nell’arma
dei carabinieri, il che rappresenta
una loro militarizzazione a tutti gli
effetti realizzata con un semplice
atto burocratico.
Segue poi un investimento
supplementare di ben 500 milioni
di euro “per la difesa italiana, con
investimenti efficaci finalizzati a
dare una risposta immediata” a
non meglio precisate “esigenze
organizzative e di rilancio”. “Siamo orgogliosi dei nostri militari,
non faremo mancare loro il nostro sostegno”, ha commentato
a questo proposito il premier,
smentendo così nella maniera più
efficace la favola che “l’Italia non
è in guerra” che continua a raccontare agli italiani.
E c’è infine l’estensione del
bonus di 80 euro “a tutte le donne e gli uomini che lavorano per
le forze dell’ordine a cominciare
da chi sta sulla strada”: pare di
capire, quindi, anche a tutti quelli
che non l’hanno già avuto come
pubblici dipendenti al di sotto di
1.500 euro di retribuzione lorda,
il che rappresenta una palese
discriminazione verso tutte le altre categorie di lavoratori, per le
quali vale invece tale limite che
non varrebbe più per poliziotti e
carabinieri. Senza contare i pensionati, beffati ancora una volta
da Renzi che usa spregiudicatamente gli 80 euro come una mancia elettorale da elargire quando
e a chi gli fa più comodo.
La demagogia
dell’“investimento
in cultura”
Il massimo della demagogia il
nuovo duce lo ha raggiunto con
l’annuncio di un corrispondente finanziamento di un miliardo “per la cultura”, perché “la
specificità italiana” vuole che la
“risposta al terrorismo non sia
soltanto emotiva”, e che “per
ogni euro investito in più in sicurezza, ci deve essere un euro
in più investito in cultura”. E a
questo proposito ha annunciato
un investimento di 500 milioni
alle città metropolitane per interventi di riqualificazione delle
periferie urbane. Più altri 300
milioni per elargire un bonus di
500 euro ai diciottenni, senza
distinzione di reddito delle famiglie, da spendere per “consumi
culturali”: una sfacciata mancia elettorale, questa, come ha
sottolineato anche il suo maestro Berlusconi, che di queste
cose se ne intende. Poi altri
50 milioni per borse di studio
a studenti universitari “più meritevoli”, anche qui pare senza
distinzione di reddito, e infine
altri 150 milioni per finanziare
la possibilità di donare il due
per mille anche ad associazioni
culturali, scuole di musica, teatri locali ecc.
“Tenere insieme sicurezza
e identità, polizia e cultura è
la proposta che l’Italia avanza
con determinazione”, ha concluso il nuovo duce sintetizzando con una frase a effetto
questa sua nuova operazione
mediatica, che consiste nel far
ingoiare meglio la pillola della
militarizzazione del Paese indorandola con la sua demagogia
che ha mutuato da Mussolini
riadattandola in chiave moderna e tecnologica. E della quale
ha voluto dare un ultimo e più
eloquente saggio, chiudendo la
sapiente rappresentazione con
queste parole che riecheggiano i proclami nazionalistici del
duce: “Perché tutto intorno a
noi, anche questa sala, ci dice
che la bellezza è più forte della
barbarie. La sfida è difficile. E
noi dobbiamo esserne all’altezza. Lo saremo, ne sono certo,
se ci ricorderemo che noi – tutti
insieme – siamo l’Italia”.
Manifestazione a Roma dei lavoratori del pubblico impiego indetta da Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Gilda
“Contratto Subito” per il pubblico impiego
Venerdì 20 c’era stato lo sciopero proclamato dal sindacato USB
poletti rivuole il cottimo e lo spaccia per “nuovo” modello contrattuale
Grande manifestazione a
Roma dei lavoratori pubblici. In
30mila hanno invaso le strade
della capitale per rivendicare anzitutto il rinnovo del contratto nazionale bloccato oramai da quasi
7 anni, blocco che ha fatto perdere ai lavoratori del settore ben
4.800 euro. Del resto i dipendenti
pubblici sono il bersaglio preferito
di tutti gli ultimi governi, di qualsiasi tendenza: di destra, “tecnico”, di “sinistra”. Questo blocco
dei salari è sempre stato una voce
fondamentale dei cosiddetti tagli
alla spesa pubblica fatti ricadere
sulla parte più debole dei dipendenti della pubblica amministrazione e attuati indistintamente dai
governi Berlusconi, Monti, Letta
e Renzi.
C’è voluta una sentenza della
Corte Costituzionale per considerare illegittima questa disparità
di trattamento con gli altri lavoratori e giudicare come un diritto
costituzionale l’adeguamento del
contratto al costo della vita. Ma
chi si era fatto delle illusioni di
un pronto intervento del governo
per rimediare a questa ingiustizia
è stato smentito. Il nuovo duce
Renzi e il ministro Madia hanno
proposto la scandalosa cifra di 5
euro netti al mese in busta paga,
giustamente e sdegnosamente rigettati da tutte le sigle sindacali.
Non a caso questa misera ci-
fra è stato uno dei bersagli principali dei manifestanti che sabato
28 novembre hanno sfilato per le
strade di Roma. “Contratto subito” era la parola d’ordine del
corteo assieme a “basta parole”
e “non vogliamo l’elemosina”. Al
concentramento in Piazza della
Repubblica sono confluiti lavoratori provenienti da tutta Italia e
di svariate professioni: molti dalla
scuola e dalla sanità, i funzioni
centrali, quelli dei servizi pubblici locali, di sicurezza e soccorso,
università, ricerca.
I dipendenti pubblici in Italia
sono 3 milioni e trecentomila e
al di là delle continue campagne
denigratorie sono numericamente sotto la media europea, così
come le retribuzioni. In Italia ci
sono 58 dipendenti ogni mille abitanti, più o meno come in
Germania ma molto meno che in
Francia (94) per non parlare della
Svezia (138). Essi “incidono” sul
PIL per l’11%, in Danimarca per
il 19,2, in Francia 13,4, in Spagna
11,9. Lo stesso vale per i salari
mentre l’unica cosa dove superiamo tutti sono le retribuzioni dei
manager pubblici che guadagnano stipendi simili a capi di Stato
e l’altissimo numero di dirigenti,
piazzati da questo o quel partito
o politico borghese di turno.
Dal palco in piazza Venezia,
dove si concludeva la manifesta-
zione, hanno preso la parola rappresentanti dei lavoratori e leader
sindacali. Gli interventi si sono
concentrati sulla richiesta immediata di un nuovo contratto, che
tolga dal tavolo l’elemosina dei 5
euro. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha richiesto un
aumento di “150 euro per recuperare almeno in parte il terreno
perduto”. La Camusso ha detto
che quei 300 milioni stanziati dalla Legge di Stabilità, che suddivisi fanno i famigerati 5 euro in busta paga, “i lavoratori se li sono
già pagati da soli, visti i blocchi
prolungati del salario accessorio
e del turn over”
L’altro tema caldo è proprio il
blocco del turn over, che ha portato al crollo delle assunzioni pari
al 4,7% dal 2010, equivalente a
quasi 180mila posti di lavoro in
meno mentre negli ultimi 15 anni
i posti persi sono stati 300mila. Eppure la Madia, ha detto la
Camusso, “ha un chiodo fisso, i
licenziamenti” . Con l’inevitabile
ricaduta sul peggioramento dei
servizi pubblici ricordato dalla
segretaria della Cgil “tagliano
da anni la sanità, e con l’attuale
legge di stabilità si prepara un
nuovo pesante intervento. Inoltre,
con il blocco del turn over, non si
permette un rinnovamento delle
pubbliche amministrazioni, mentre i giovani restano a casa”.
Roma, 28 novembre 2015. Manifestazione nazionale dei lavoratori del
pubblico impiego in lotta per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro
insomma rivuole il cottimo, un siNon sono mancate frecciate
stema vecchio come il cucco che
al ministro del lavoro, l’esponeni lavoratori e il movimento operaio
te del PD ed ex presidente delle
hanno sempre combattuto.
cooperative “rosse”, Graziano
Per il ministro i lavoratori non
Poletti, che il giorno prima aveva
devono avere più né una dignidichiarato: “dovremo immagitosa retribuzione né diritti connare un contratto di lavoro che
trattuali, questa è la posizione
non abbia come unico riferimenportata avanti da tutto l’esecutivo
to l’ora di lavoro ma la misura
guidato dal nuovo duce Renzi,
dell’apporto dell’opera. L’ora di
perciò serve una mobilitazione
lavoro è un attrezzo vecchio che
più forte. I segretari confederali
non permette l’innovazione”. Ma
hanno dichiarato che se non ci
che innovazione! Il ministro vuosaranno proposte serie da parte
le un salario basato sui risultati
del governo sarà sciopero di tutaziendali e addirittura personali,
to il pubblico impiego. Staremo
a vedere. Di certo i lavoratori,
sia del pubblico che del privato
sono sempre più insofferenti e
pretendono rinnovi contrattuali
che smettano di restituire soldi e
diritti ai padroni.
Una settimana prima, venerdì
20 novembre, c’è stata invece la
mobilitazione lanciata dal sindacato USB (unione sindacale di
base) che ha indetto uno sciopero per l’intera giornata. In 20mila
sono scesi in piazza in quattro
manifestazioni a Milano, Roma,
Napoli e Cagliari. Nonostante le
difficoltà relative al clima immediatamente successivo agli attentati di Parigi, con falsi allarmi e
militarizzazione delle città, la questura della capitale non voleva
neppure concedere il permesso
di manifestare. Ad aprire i cortei
gli striscioni “vostre le guerre nostri i morti” seguito da “la legge di
stabilità che vogliamo: riconquistare servizi, salario, diritti”.
Lo sciopero, oltre che per il
contratto, era indetto contro la
Legge di Stabilità e i continui tagli ai servizi pubblici e sociali. Le
adesioni sono state particolarmente alte nelle municipalizzate e
negli ospedali, specie delle grandi
città. Anche l’USB ha promesso
altri scioperi se il governo non si
deciderà ad ascoltare le richieste
dei lavoratori pubblici.
4 il bolscevico / interni
N. 45 - 10 dicembre 2015
Sicilia
Nasce il Crocetta quater, falso
antimafioso e nemico delle masse
Un’accozzaglia di fascisti e filomafiosi. In giunta insieme al PD, l’UDC, tra cui la segretaria
personale di Cuffaro, il PDR di Cardinale, l’NCD
Non diamogli tregua. Difendiamo gli interessi delle masse
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Era evidente a luglio, dopo lo
scandalo che aveva coinvolto il
governatore in persona sul caso
Borsellino, che la profonda crisi
del Crocetta ter, nato a novembre
2014 e trascinatosi esattamente un
anno, non era superata, nonostante il nuovo duce Renzi avesse dato
la sua benedizione alla permanenza in carica.
Dietro la crisi si nascondono
infatti problematiche strutturali,
non risolvibili con un colpo di teatro in stile renziano
Problemi che nascono, in primo
luogo, dal radicato atteggiamento ducesco del governatore, ormai
arroccato in una gestione sempre
più ingiustificata, sfacciata e personalistica del potere e degli snodi di finanziamenti e voti in Sicilia e concentrato nell’allargamento
della sua cerchia clientelare a scapito del PD. Nell’ingestibile faida
governativa, ormai aperta da mesi,
si inserisce la violenta ascesa antidemocratica dei renziani siciliani.
All’assalto del governo Crocetta,
chiedono sempre più poltrone di
spessore, con il fine ultimo di farlo fuori. La reazione a catena investe le altre correnti interne al PD:
i franceschinani vengono messi al
palo a favore dei renziani e dei cuperliani. Le nuove alleanze “centriste”, che inglobano l’NCD a sostegno di Renzi, chiedono più spazio
in giunta. L’UDC non è disposto a
concedere un millimetro.
L’immagine di questo scorcio
finale del potere di Crocetta, ci rimanda un governatore in fibrillazione politica per risolvere le contraddizioni da lui stesso scatenate,
che, mentre più si agita, più finisce imbrigliato nei laccioli da lui
stesso tesi. Un governatore sempre più isolato dalle masse, che
non sopportano la sua arroganza
antipopolare e l’ipocrisia della sua
antimafia da salotto, emersa clamorosamente con la vicenda Borsellino e l’inchiesta per mafia nei
confronti di Antonello Montante,
presidente degli imprenditori siciliani, colui che dettava le linee
politiche al governo Crocetta fino
almeno al ritiro formale dell’appoggio avvenuto a luglio.
Composizione
del Crocetta quater
La frattura tra Crocetta e Confindustria diventa evidente col ritiro a luglio della funzionaria confindustriale, Linda Vancheri, alla
guida delle Attività produttive dal
2012. Crocetta se ne infischia del
crollo di uno dei pilastri della sua
legislatura, va avanti e, dopo aver
retto lui stesso per qualche mese
l’assessorato, sostituisce la Vancheri con l’interim a Mariella Lo
Bello, sua fedelissima.
Crocetta manovra un assessorato chiave tramite il suo braccio
destro, già assessore alla formazione e Vicepresidente. Forte accentramento. Ma perché? Fatta
salva la smania di potere di Crocetta, la motivazione principale è
che il governatore ha interesse, è
quasi “obbligato”, a gestire direttamente l’assessorato che nelle ultime settimane è stato al centro del
nuovo scandalo in cui è implicato.
È dentro quell’assessorato, infatti,
che si è scatenato il terremoto che
ha coinvolto i massimi vertici di
Confindustria Sicilia, con cui Crocetta è compromesso.
I contorni della vicenda ci mostrano ancora una volta come la
mafia in Sicilia abbia la sua mente
politica proprio dentro il governo
in carica. A parlare è Marco Venturi che, lasciando la direzione di
Confindustria “Centro Sicilia”, attacca duramente Antonello Montante, inquisito per mafia, e l’atteggiamento ignavo del presidente
nazionale Squinzi. E, andandosene, Venturi ne ha pure per il governatore: “Montante, da diverso
tempo portatore di poteri illimitati, domina il sistema di Confindustria, incide in alcuni settori ‘nevralgici’ del Paese e determina le
scelte del presidente della Regione
siciliana”. E sull’uomo che determina le scelte di Crocetta, Venturi
racconta di “episodi inquietanti”:
pretese di lettere riservate dove
si chiedeva di certificare il falso,
pressioni per condizionare l’azione di pulizia nelle aree industriali
e fermare Alfonso Cicero, il presidente dell’Irsap, l’ente che ha
sostituito gli undici consorzi industriali. Interviene il presidente dimissionario dell’Irsap: “Crocetta abbia il coraggio di riferire i
motivi per i quali mi ha chiamato per incontrarmi nel febbraio
del 2014 e nel luglio 2015: mi ha
avanzato indicibili richieste. Non
mi sentirei per nulla tranquillo a
continuare a guidare l’Irsap con
un presidente della Regione condizionato anche da altri soggetti”:
tra i soggetti c’è Montante indagato per mafia.
Crocetta risponde a colpi di
querele ma, come già aveva tentato di fare con la sanità dopo lo
scandalo delle intercettazioni sulla
Borsellino, deve tentare di mettere
le mani su un assessorato esplosivo, su cui si gioca la sua permanenza al governo e, forse, ben altro.
I renziani, che tanto si sono
agitati in questi ultimi mesi, chiedendo elezioni anticipate, mantengono intatto il loro potere, con tre
assessorati di notevole peso: quello all’Economia con Alessandro
Baccei. Con lui Renzi ha in mano
le chiavi della cassaforte Sicilia.
Dell’area maggioritaria del PD, rimane Vania Contrafatto, assessore
all’Energia, un settore con il quale l’area del Berlusconi democristiano si assicura interventi milionari a pioggia. Già a luglio Baldo
Gucciardi, renziano di ferro, aveva sostituito la Borsellino, considerata di area cuperliana, e messo
uno stop ai tentativi del governatore di mettere le mani direttamente sull’assessorato più importante
della Sicilia. Il “signore dei voti”
del PD trapanese è uno di quelli che garantirà migliaia di voti ai
renziani alle prossime regionali.
Nel Crocetta quater entra il
cuperliano Antonello Cracolici,
come Assessore per l’agricoltura,
sviluppo rurale e della pesca mediterranea, che va a sostituire Nico
Caleca, area ex-MPA. Ai cuperliani appartiene Bruno Marziano,
neo Assessore per l’istruzione e
la formazione professionale, che
ha lasciato dopo un disastro del
boom di disoccupazione la poltrona dell’assessorato al Lavoro. I cuperliani perdono però una
poltrona, perché la manager Cleo
Li Calzi, inizialmente nominata
in giunta come assessore al Turismo, sport e spettacolo deve cedere all’altra area rappresentata dai
fedeli dell’ex-segretario Giuseppe Lupo, in progressivo allontanamento da Franceschini e avvicinamento al nuovo duce. Fuori la Li
Calzi e dentro Anthony Barbagallo, campione di salto della quaglia
( DC, Partito Popolare Italiano, La
Margherita per la Sicilia”, Partito
Democratico).
Antonio Fiumefreddo, presidente di Riscossione Sicilia, approdato al PD dopo un sostegno
a FI, al MPA e al Megafono e vicino al governatore e a Salvatore
Cardinale, è inizialmente nominato assessore delle autonomie locali e funzione pubblica, sostituendo
l’esponente dell’UDC, Marcella
Castonovo, legata all’ex ministro
Gianpiero D’Alia, e al sindaco di
Catania, Enzo Bianco (PD).
Ma il veto del PD è durissimo.
Fiumefreddo rinuncia. L’interim
viene assunto dal governatore. E
a tutt’oggi Crocetta sta tentando
di nominare Luisa Lantieri, UDC,
braccio destro ed ex-segretaria del
detenuto per mafia Salvatore Cuffaro. Un tentativo di nomina che
manda in fibrillazione la coalizione di maggioranza. I renziani, per
i quali non è ancora chiusa la partita, minacciano il ritiro del sostegno. Scontentissimo, ovviamente anche Salvatore Cardinale, che
potrebbe a breve ritirare il sostegno, anche se intanto rimane in
giunta con l’Assessore per il Territorio e l’Ambiente Maurizio Croce, Sicilia Futura, PDR, (Patto dei
Democratici per le Riforme), la
formazione dell’ex-ministro vicina ai renziani e che si pone l’obbiettivo di un patto strategico con
Alfano a sostegno di Crocetta.
Giovanni Pistorio Assessore
per le infrastrutture e la mobilità,
UDC, va a sostituire Giovanni Pizzo UDC. In realtà, il responsabile
regionale dell’UDC, già fondatore
nel 2005 del Movimento per l’Autonomia, dal 2007 segretario alla
Presidenza del Senato e segretario
federale del Movimento per le Autonomie, era già entrato in giunta
a fine giugno, come nuovo assessore alla Funzione pubblica. Il suo
ingresso aveva sdoganato la presenza di assessori politici in giunta, mettendo fine all’ipocrisia degli esponenti di partito coperti. Ma
aveva anche generato una reazione a catena, che avrebbe innescato la crisi finora irrisolta, con l’abbandono di Borsellino.
La fidelizzazione dell’UDC
continua con la nomina di Gianluca Miccichè, nuovo segretario regionale del partito dopo Pistorio,
all’Assessorato alla famiglia, politiche sociali e lavoro.
Carlo Vermiglio, AP-NCD in
tre anni è il quinto assessore per
i beni culturali e l’identità siciliana. Fa fuori il franceschiniano Antonio Purpura. Il nuovo assessore
è espressione di quel riavvicinamento in prospettiva elettorale tra
NCD e UDC. Con lui, anche se
non formalmente, Alfano entra nel
governo siciliano e partecipa alla
spartizione della torta.
Crocetta
se ne deve andare
Intanto è stata depositata la
mozione di sfiducia al governatore, proposto dai 14 deputati del
M5S e firmata anche dagli 8 parlamentari di Forza Italia e dai tre
della Lista Musumeci.
Viene discussa mentre scriviamo. Con buona probabilità la mozione in un parlamento ostaggio di
Crocetta non sortirà nessun effetto. Certo è che la vicenda politica
del governatore è giunta al termine e la spina va staccata. Le cifre
sono sotto gli occhi di tutti: il disavanzo da 1,4 miliardi per il 2016,
nonostante i micidiali tagli alle
masse popolari, i 24 mila forestali che aspettano i fondi per poter
tornare al lavoro, i 16 mila precari
degli enti locali che attendono gli
stipendi dalla Regione, i 12 mila
dipendenti degli enti regionali cui
manca la certezza dello stipendio
a fine mese.
Mentre a Palazzo d’Orleans i
partiti borghesi da tre anni giocano a risiko con le poltrone di governo, il tasso di disoccupazione
passa dal 19% al 22%.
Al suo governo, al PD, a Renzi
e al parlamento che lo hanno sostenuto, dobbiamo il record della
disoccupazione, soprattutto giovanile, della cassa integrazione,
dell’emigrazione e della miseria,
il degrado delle strutture pubbliche, i crolli delle autostrade e delle scuole, la svendita dell’isola alle
strategie militari degli Usa e della
Nato, alle compagnie petrolifere.
Ammesso che Crocetta possa
venire fuori dalle contraddizioni
scatenate nella cupola di governo, la verità è che ha miseramente
fallito agli occhi delle masse popolari e se ne deve andare! Dietro
la sua antimafia di facciata insieme ai suoi “compagni di viaggio”,
da Montante, a Helg, ha tessuto
intrecci di interessi milionari di
stampo mafioso, di voti e clientele, esattamente come facevano
Cuffaro e Lombardo, ma mostrando un totale disinteresse verso i
problemi della masse popolari, i
diritti e le regole della democrazia
borghese. Per rimanere attaccato
alla poltrona ha restaurato il potere dei filomafiosi dell’UDC in Sicila, cui assomiglia sempre di più,
ha tirato dentro il governo il fascista Alfano. Crocetta è forma che lo
spregiudicato, vessatorio, ipocrita,
violento e antipopolare regime neofascita di stampo piduista renziano ha preso in Sicilia.
Che le masse lavoratrici, tra cui
i precari, i pensionati, i disoccupati, gli studenti, i sindacati e i movimenti, le forze politiche, socia-
li, culturali e religiose antifasciste,
antimafiose, democratiche e progressiste facciano propria la battaglia per cacciare via Crocetta, falso antimafioso e affamatore delle
masse siciliane.
La soluzione però non è certo
quella di sostituire a quello di Crocetta l’apparato clientelare dei renziani in ascesa. Alle prossime elezioni regionali bisogna sfiduciare
e delegittimare con una valanga
di voti astensionisti i partiti e le
istituzioni del regime capitalista,
neofascista e mafioso, che hanno ridotto la Sicilia alla miseria,
adottando la proposta del PMLI di
costituire le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo fondate sulla democrazia
diretta, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari.
Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa
Critiche al nuovo contratto
dei chimici e alla
propaganda dei governanti
sui conflitti in corso
Cammilli: “Ritirarsi dalle guerre per far
cessare gli attentati. La firma del contratto
soddisfa solo la Confindustria”
‡‡Redazione di Fucecchio
Si è svolto martedì 17 novembre nei locali della Camera
del Lavoro di Pisa il direttivo
provinciale dei lavoratori del
settore
chimico-farmaceutico, tessile, abbigliamento e
dell’energia (Filctem) della Cgil.
La riunione è iniziata con un minuto di silenzio per ricordare i
morti degli attentati di Parigi. Di
quegli avvenimenti, nonostante
non fossero all’ordine del giorno, inevitabilmente ne hanno
parlato quasi tutti coloro che
sono intervenuti al dibattito.
Il compagno Andrea Cammilli nel suo intervento ha
sottolineato come quei morti,
pur essendo vittime innocenti,
sono la diretta conseguenza
delle guerre fatte da Usa, Francia, Regno Unito, Italia e Russia
in Medio Oriente e Africa: Siria,
Iraq, Libia, Afghanistan e in
tanti altri Paesi. L’unico modo
per far cessare gli attentati è
ritirarsi da queste guerre anche se, ha detto il compagno,
difficilmente rinunceranno a
salvaguardare i loro interessi
economici, geopolitici e allo
sfruttamento delle risorse di
questi paesi. I popoli, i lavoratori, non hanno alcun interesse
ad appoggiare questa guerra
che fa unicamente gli interessi
delle classi dominanti.
Dobbiamo dire che molti
hanno lanciato accuse contro
i governi europei e americano,
respingendo la propaganda
che vuol ridurre i conflitti internazionali a una lotta tra la democrazia e la barbarie ovvero
i paesi islamici e tutti quelli che
non accettano le regole imposte dagli occidentali.
Il resto della discussione si è incentrato sul rinnovo
contrattuale della categoria.
Cammilli ha esposto una critica circostanziata di una firma
che ha soddisfatto soltanto i
padroni e ha recepito in pieno
il Jobs Act e il “nuovo modello
contrattuale” voluto da Squinzi
che riduce ai minimi termini il
contratto nazionale e delega gli
aumenti alla contrattazione e
Roma, 21 novembre 2015. Il
compagno Andrea Cammilli
alla manifestazione nazionale
della Fiom (foto Il Bolscevico)
alla produttività aziendale. Federchimica e Farmindustria (le
associazioni padronali) hanno
ottenuto la restituzione dell’ultimo aumento del contratto in
corso, risparmiato il pagamento della festività della Pasqua,
la limitazione del diritto di sciopero attraverso le “clausole di
raffreddamento dei conflitti”,
mentre si dà sempre maggiore
spazio agli enti bilaterali, alla
previdenza e alla sanità integrativa, cioè privata.
Le critiche su questi e altri
punti sono stati riprese da altri lavoratori. In particolare una
delegata di un’azienda farmaceutica ha chiesto spiegazioni
su questi cedimenti a Cardinali,
lì presente a nome della Filctem
nazionale. Costui, nelle sue
lunghissime conclusioni, ha
cercato di ribaltare l’impressione negativa generale espressa
dalla sala cercando di farlo apparire come un “buon contratto approvato nelle assemblee
con oltre il 90%”. Ci chiediamo
dove sono state svolte queste
assemblee, sicuramente non
nella provincia di Pisa. Nonostante la sua filippica il dirigente sindacale non ha convinto i
lavoratori.
interni / il bolscevico 5
N. 45 - 10 dicembre 2015
Basta disperdere le forze
Serve un unico forte movimento studentesco
Ripetendo un fenomeno che
da diverso tempo caratterizza le
mobilitazioni studentesche nel
nostro Paese, si sono recentemente tenute due tornate di manifestazioni separate, il 13 e 17
novembre, pur essendo entrambe contro la “Buona scuola” e i
tagli contenuti nella legge di stabilità. Lo stesso era avvenuto il
2 e il 9 ottobre. Le giornate del 2
ottobre e del 13 novembre erano promosse da autonomi, centri sociali e collettivi, quelle del 9
ottobre e 17 novembre dai “sindacati studenteschi”. La differenza (non di poco conto) stava
nel fatto che la mobilitazione del
13 coincideva con lo sciopero
generale della scuola proclamato dai “sindacati di base”.
Le studentesse e gli studenti marxisti-leninisti hanno appoggiato e partecipato a queste mobilitazioni nell’interesse
esclusivo della lotta contro la
“Buona scuola”, pur senza condividerne in pieno la linea e i
metodi. Da parte degli autonomi rileviamo tendenze avventuristiche e settarie; i sindacati
studenteschi d’altro canto si rifiutano di uscire dal pantano del
riformismo e del legalitarismo e
sono spesso succubi del vertice
della Commissione giovani del CC del PMLI
della CGIL. Non ci spieghiamo
altrimenti perché, ad esempio,
non abbiano dato forza allo sciopero generale del 13 e non abbiano fatto pressione sulla CGIL
affinché facesse altrettanto.
Da dove nascono queste divisioni? E, in ultima analisi, a chi
tornano utili?
Nascono dal settarismo e dal
frazionismo, in quanto ciascun
raggruppamento cerca di portare acqua esclusivamente al proprio mulino e a quello dei partiti
di riferimento. Di fatto, le questioni e i problemi generali delle masse studentesche cadono
in secondo piano e ne escono
danneggiati. Alla fine, chi vince
è il governo, che non si trova di
fronte a una forza studentesca
davvero consistente.
Per non muoversi alla cieca,
bisogna sempre mettere a fuoco la contraddizione principale
in ogni battaglia: in questo caso,
la lotta contro la “Buona scuola” e le politiche del governo
in materia d’istruzione è la lotta che deve unire tutte le masse studentesche che aspirano
al cambiamento, a prescindere
dai collettivi, organismi o organizzazioni di appartenenza. Su
questo punto bisogna fare perno per dare vita ad un unico
grande movimento studentesco
che si batta senza tregua contro
le politiche di fascistizzazione,
aziendalizzazione e privatizzazione della scuola e dell’università e contro il governo che le ha
partorite, quello del nuovo duce
Renzi.
Per uscire dal frazionismo
che attualmente caratterizza il
movimento, è necessario mobilitare la base, cioè le larghe
masse studentesche, discutere dal basso sulle iniziative, sulle date e le modalità delle mobilitazioni per poterne mettere in
campo di unitarie e forti, non frazionate e quindi divise e deboli.
Ma non solo, va anche discussa
una linea politica, programmatica e rivendicativa comune, che
ora manca, e infatti il movimento studentesco risente moltissimo dell’assenza di un orientamento chiaro e condiviso, senza
il quale non riesce a prendere in
mano l’iniziativa e passare all’offensiva.
È per questi motivi che da
tempo battiamo sullo stesso
chiodo: l’organizzazione del movimento studentesco.
La nostra proposta è dare
vita alle assemblee generali
delle studentesse e degli studenti in ogni scuola e ateneo,
inteso come luogo dove confrontarsi sugli indirizzi politici,
programmatici, organizzativi, i
metodi e le iniziative di lotta in
modo da raggiungere la massima intesa possibile. Le proposte, le piattaforme, le decisioni
e i documenti delle assemblee
generali di scuola ed ateneo
potrebbero poi essere messe a
confronto in assemblee regionali e nazionali.
L’assemblea generale è già
stata sperimentata con successo nel Sessantotto, quando era la norma riunirsi ed elaborare iniziative e rivendicazioni
dal basso. Anche la Pantera del
1990 si dotò di assemblee locali
e nazionali, un accenno debolissimo si è avuto persino nell’Onda del 2008, ma in questi casi è
mancata la forza di farla affermare e consolidare. Comunque
si tratta di esperienze importanti da tenere presenti per imparare tanto dai punti di forza quanto
dagli errori e difetti del passato.
È chiaro che, parlando di organizzazione del movimento
studentesco, noi non intendiamo assolutamente burocratizzarlo o imporgli strutture verticistiche. È vero invece l’esatto
contrario. Addirittura potremmo
dire che il movimento è ben più
“burocratizzato” adesso, diviso
fra tante organizzazioni diverse
che cercano di lottizzare ed egemonizzare la protesta, rispetto
a quanto lo sarebbe dotandosi dell’assemblea generale. Se
non si hanno velleità leaderistiche e opportunistiche, che spesso nascondono ambizioni elettorali, non si può avere paura di
aprire un dibattito su come dare
concretamente un’organizzazione al movimento studentesco.
Le forze attualmente più
avanzate non devono nemmeno temere che prevalga il riformismo. Un fronte unito come
questo prevede sia unità sull’obiettivo comune, sia lotta per
l’egemonia, combattendo dia-
letticamente tutte le posizioni sbagliate e fuorvianti. Grazie
al lavoro degli studenti avanzati, fra cui i marxisti-leninisti, e attraverso l’esperienza, le masse
studentesche arriveranno a capire la vera natura del riformismo, del legalitarismo, del costituzionalismo e del pacifismo, i
limiti da essi imposti gli staranno
sempre più stretti, finché non saranno conquistate ad una linea
rivoluzionaria. In ogni caso, il riformismo a livello di massa non
si sconfigge certo abbandonando il lungo e paziente lavoro di
convincimento delle larghe masse e illudendosi di poter contare
sulle sole avanguardie.
Le divisioni, il frazionismo, il
settarismo non portano a nulla di buono, anzi fanno il gioco
del governo, mentre l’unità delle masse studentesche fondata
sulla democrazia diretta, su una
linea comune e discussa democraticamente e sull’autonomia
delle rispettive organizzazioni,
può portare veramente a conquiste e alla vittoria di una battaglia così essenziale per il presente e il futuro dell’istruzione
pubblica in Italia.
La Commissione Giovani
del CC del PMLI
Ospite compiacente de “L’Unità” di Renzi
Rizzo imbroglia su Gramsci e Berlinguer
Il segretario generale del nuovo PC revisionista è onnipresente nei media. Come mai? Al PMLI non sono concessi
né una riga sui giornali né un secondo in radio e tv
Che cosa ci fa un articolo di
Marco Rizzo sulle pagine de
“L’Unità” di Renzi? Il segretario
generale del nuovo Partito Comunista revisionista firma infatti
un suo intervento per il numero
speciale dell’11 novembre scorso dedicato a Enrico Berlinguer,
in cui si propone di spiegare
“cosa ha portato il Partito di Antonio Gramsci a diventare oggi
quello di Matteo Renzi”, ed è
singolare che lo faccia da ospite
compiacente e compiaciuto del
megafono personale del nuovo
duce. Ma poi l’operazione diventa chiara una volta letto l’articolo,
che già nel titolo ne anticipa tutta l’ambiguità: “Berlinguer? Una
persona onesta ma non comunista”.
Rizzo individua nella politica
conciliante post-resistenziale di
Togliatti, poi sfociata nella “via
italiana al socialismo”, l’inizio di
quella che chiama la “consunzione della grande esperienza
storica e politica dei comunisti in
Italia”. Ma intanto giustifica tale
politica (che tra l’altro omette significativamente di chiamare col
suo vero nome, e cioè revisionista), perché la situazione di allora “era innegabilmente avversa
ad una reale possibilità di ‘fare la
rivoluzione’ in Italia”. E secondo
lui sarebbe bastato che a prevalere fosse stata la linea trotzkista di Secchia, il quale diceva
che “tra fare la rivoluzione e non
fare nulla c’è una bella differenza”, per salvare il PCI dalla fine
ingloriosa che ha fatto.
Dalla sua fondazione nel
1921 fino alla “svolta” togliattiana, invece, per Rizzo il PCI è
stato un partito autenticamente
comunista. E Gramsci, “con la
sua concezione della conquista
dell’“egemonia’ e della ‘guerra di
posizione’” non è stato a suo dire
“l’antesignano delle vie nazionali
al socialismo”, ma al contrario la
sua concezione del partito e dello Stato “è sempre stata protesa
alla conquista del potere politico”. Una falsificazione grossolana della storia, questa, perché
sono proprio le teorie di matrice liberal-riformista di Gramsci,
che sostituivano la costruzione
dei Consigli operai a quella del
partito marxista-leninista, il concetto di “blocco storico” a quello di lotta di classe, il concetto di
“egemonia” (non come la concepiva Lenin) a quello della dittatura del proletariato, e il concetto
di “guerra di posizione” a quello di insurrezione rivoluzionaria
per il socialismo, che posero per
prime le fondamenta revisioniste
del PCI. Poi riprese e sviluppate
da Togliatti nel dopoguerra con
la “via italiana al socialismo”. Se
Gramsci fosse stato un vero comunista, come mai settori della borghesia e del trotzkismo lo
considerano ancora adesso uno
dei loro punti di riferimento, in
Italia e all’estero?
Rizzo copre il
revisionista
Berlinguer
Quanto al pensiero di Berlinguer, “persona onesta ma fuori
dal comunismo”, Rizzo ne critica i “punti cardinali” che sono
“il compromesso storico, la democrazia come valore universale, l’eurocomunismo, l’accettazione dell’ombrello della Nato,
l’adesione alla UE ed infine le
considerazioni sull’esaurimento
della spinta propulsiva della Ri-
voluzione sovietica”. Ma poi finisce per dipingerlo ambiguamente come un “isolato” in un partito
ormai saldamente in mano alla
corrente “migliorista” dei vari
Amendola e Napolitano, tanto da ritrovarsi da solo di fronte
ai cancelli della Fiat nel 1980 e
nella lotta in difesa della scala
mobile. Leader ormai “ininfluente” di fronte alla “mutazione genetica” già avvenuta nel partito
e che “non aveva voluto contrastare”.
Un’altra falsificazione della
storia che si svela da sé, quando più avanti Rizzo rievoca l’intervista a Giampaolo Pansa sul
“Corriere della Sera” del 15 giugno 1976, in cui Berlinguer “sentenziò l’accettazione definitiva dell’Occidente capitalistico e
della sua micidiale alleanza militare, la NATO”. E l’intervista del
2 agosto 1978 ad Eugenio Scalfari, in cui sposò “il processo di
unità europea e capitalistica”.
Con ciò ammettendo implicitamente che era proprio lui, ancor
prima degli anni ‘80, e non soltanto l’ala “migliorista”, a propugnare e guidare l’integrazione
del PCI revisionista nel sistema
capitalista e imperialista occidentale, completando il percorso
revisionista aperto da Gramsci e
portato avanti da Togliatti.
Anche Rizzo
ha contribuito
all’avvento di Renzi
D’altra parte, se come dice
Rizzo la “mutazione genetica”
del PCI era già compiuta alla
fine degli anni ’70, come mai
nel 1981 egli lasciò Lotta Continua per entrare in quel parti-
L’articolo di Rizzo su l’Unità dell’11 novembre 2015
to, ricoprendovi vari incarichi dirigenti e restandovi fino al suo
autoscioglimento nel 1991? E vi
entra proprio nell’anno, il 1981,
in cui da parte di Berlinguer, ricorda sempre Rizzo, “viene definitivamente reciso il ‘cordone
ombelicale’ anche ideale, con la
storia del movimento operaio e
comunista”, con la famosa frase sull’esaurimento della “spinta propulsiva della Rivoluzione
d’Ottobre”.
Ma da buon trotzkista Rizzo
non solo si guarda bene dall’accennare a questa contraddizione e fare quantomeno autocritica, ma conclude l’articolo con
la blanda critica a Berlinguer e
senza rispondere alla domanda
che lui stesso si era posto all’inizio: senza spiegare cioè come
si è passati da Berlinguer a Renzi, un processo di cui anche lui
ha fatto parte come dirigente del
PCI revisionista fino alla sua
fine. Per non parlare della sua
successiva carriera politica (anche come parlamentare europeo) nel PRC e nel PdCI, partiti
che hanno sempre fiancheggiato e coperto a sinistra, anche go-
vernandoci insieme, i partiti neoliberali PDS e DS eredi del PCI.
E comunque Rizzo si è ben
guardato dall’attaccare Renzi e
la sua politica neofascista, piduista, filopadronale, antioperaia e interventista, a dimostrazione che la sua comparsata su
“L’Unità” è frutto di una reciproca “legittimazione” tra i due imbroglioni politici. E il momento
scelto non è casuale, visto che
coincide con la nascita di Sinistra italiana, formata dall’alleanza parlamentare tra i fuorusciti
riformisti di sinistra del PD guidati da Fassina e D’Attorre e il
partito di Vendola.
Rizzo coccolato dai
media borghesi
Così adesso anche “L’Unità”
di Renzi si va ad aggiungere alla
sempre più lunga lista di giornali
che ospitano Rizzo sulle loro pagine; e di media borghesi, con in
testa le reti tv della Rai e di Mediaset, che parlano spesso delle
iniziative del suo partito personale, anche se inesistente tra le
masse. Come è successo anche
ultimamente per la sua iniziativa del 7 novembre in occasione
dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre a Roma, in compagnia del segretario del KKE
revisionista greco, che è stata
sponsorizzata contemporaneamente da TG1, AdnKronos, Huffington Post-gruppo Espresso.
Gli stessi media borghesi che
lo invitano regolarmente ai loro
talk show, come fa spesso Rai3Agorà, e ha fatto anche in occasione della suddetta iniziativa. Mentre invece al PMLI non è
concesso né una riga sui giornali né un secondo di trasmissione
in radio e tv. Ma evidentemente
ad essi fa comodo ospitare un
imbroglione trotzkista come lui,
per fare da tappezzeria e presentarlo come unico vero “comunista” rimasto in Italia: per
darsi una patente di “democraticità” e “pluralismo” a buon mercato dando voce al suo innocuo
comunismo da salotto, così da
oscurare l’unica autentica voce
marxista-leninista rappresentata dal PMLI e impedire che arrivi
alle larghe masse popolari.
6 il bolscevico / processo di Norimberga
N. 45 - 10 dicembre 2015
70° anniversario del processo di Norimberga
Il processo di Norimberga fu necessario. Metterlo in
discussione vuol dire fare un regalo ai nazisti di ieri e di oggi
Le potenze occidentali ostacolarono la denazificazione, demilitarizzazione e democratizzazione della Germania
Il 20 novembre 1945 si apriva nella città di Norimberga il
processo al termine del quale
dei ventidue criminali nazisti alla
sbarra tre vennero assolti, sette condannati a pene detentive
e dodici condannati a morte per
impiccagione. Hermann Göring
pur condannato sfuggì al capestro suicidandosi al termine del
processo così come aveva fatto
Robert Ley in precedenza. Allora come oggi, a distanza di settanta anni, i nazisti, i loro eredi
e i loro reggicoda hanno cercato con ogni mezzo di contestare la legittimità e la necessità di
quel processo. Allora furono soprattutto i criminali caporioni hitleriani alla sbarra a contestare il diritto dei vincitori “alleati”
a giudicarli ma anche esponenti liberali come Benedetto Croce,
che di fatto nulla aveva fatto per
contrastare la salita al potere di
Mussolini e durante il ventennio
non fu mai vittima del carcere e
del confino che il regime riservava agli antifascisti conseguenti. In un discorso del 1947 alla
Costituente così si esprimeva:
“Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri
(bisogna pure avere il coraggio
di confessarlo) i tribunali senza
alcun fondamento di legge, che
il vincitore ha istituito per giudicare, condannare e impiccare,
sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei
popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava
quartiere ai vinti o ad alcuni di
loro e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò
la guerra”.
Da allora il montante revisionismo storico si è dato l’obiettivo
di rovesciare quei giusti verdetti
storici emanati prima sui campi
di battaglia, come la fucilazione
di Mussolini decisa dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta
Italia e dal Comando Generale
del Corpo Volontari della Libertà, e poi nelle aule dei tribunali durante i processi che giudicarono i criminali nazisti e fascisti,
come fu nel caso del processo di
Norimberga. Fino al punto che
persino “Il Fatto quotidiano” ricorda questo settantesimo anniversario rilanciando un vergognoso articolo di Massimo Fini
che si conclude con queste parole: “Oggi... si può dire che quei
processi erano ingiusti, illegittimi, pericolosi”. Costui con scandalosa disinvoltura mette sullo
stesso piano fascismo e antifascismo, Hitler e Stalin, aggressori e aggrediti: “Ma questioni
giuridiche a parte, l’effetto a nostro parere più inquietante e gravido di conseguenze storiche dei
processi di Norimberga e di Tokyo fu quello di ingenerare un pericoloso equivoco: che i vincitori
fossero davvero migliori dei vinti
nel momento in cui si chiudeva
la guerra. Fa una certa specie,
per esempio, pensare che sullo scranno dei giurati, a Norimberga, sedevano, per giudicare
di “atti di aggressione”, i rappresentanti di un paese, l’Urss, che
aveva assalito e squartato, con
un attacco vilissimo e proditorio,
concertato proprio con Hitler, la
Polonia e che era responsabile
delle fosse di Katyn. Fa specie
sapere che, a quel processo su
“crimini contro l’umanità”, fece
la sua apparizione, fra coloro
che giudicavano, il sovietico Visinskij, il pubblico ministero delle
“purghe” di Mosca del 1936-37.”
Fini ha tanta bile anticomunista
da sposare in toto la propaganda fascista che accusa Stalin di
aver invaso la Polonia di concerto con Hitler e gli attribuisce
la responsabilità dell’eccidio di
Katyn. Quest’ultimo caso fu una
colossale provocazione contro
l’Armata Rossa da parte dell’esercito del III Reich peraltro accompagnata dal verdetto fasullo
di una commissione internazionale manipolata dai nazisti.
Tant’è vero che alcuni membri di quella commissione, qualche anno dopo al Processo di
Norimberga, testimoniarono e
descrissero in quali condizioni di
ricatto e di pressione psicologica
furono costretti a dichiarare il falso sull’eccidio di Katyn.
La macabra messa in scena
ordita dai nazisti e diretta personalmente da Hitler, che in questo
genere di cose aveva già dimostrato tutta la sua maestria il 27
febbraio del 1933 con l’incendio
del Reichstag, si ritorse ancora
una volta contro gli stessi nazisti
che alla fine delle indagini, svolte
da una commissione medico legale e da esperti di vari Paesi del
mondo, furono ritenuti i veri responsabili dell’efferata strage di
Katyn. Un verdetto che tre anni
dopo verrà inequivocabilmente e
definitivamente riconfermato anche al processo di Norimberga
in cui furono esibite schiaccianti prove e innumerevoli testimonianze, molte delle quali scritte e
controfirmate, che deponevano
contro i nazisti e a favore dell’Unione Sovietica (si veda l’articolo http://www.pmli.it/eccidiokatynhitlernostalin.htm).
In realtà la questione cruciale che faceva da sfondo al
processo di Norimberga era la
piena denazificazione, demilitarizzazione e democratizzazione
della Germania, mentre le potenze occidentali erano già proiettate verso la guerra fredda e
puntavano a servirsi di quanto
restava del nazismo e del militarismo tedesco in funzione antisovietica.
La posizione sovietica
e quella delle potenze
occidentali
Le differenze tra i sovietici e
le potenze occidentali emersero già durante la guerra. Cosa
fare dei nazisti e del militarismo
tedesco dopo la loro sconfitta?
Come evitare ai popoli dell’Europa e del mondo una nuova guerra mondiale scatenata dalla Germania? Le posizioni dei sovietici
e degli imperialisti occidentali non avrebbero potute essere
più distanti. Anche se l’Unione
Sovietica aveva pagato il prezzo
più caro della guerra, più di ventidue milioni di morti tra militari e
civili, essa non voleva la scomparsa della Germania. Il capitalismo e il militarismo tedesco
erano i veri responsabili dell’aggressione all’Urss e dei terribili
crimini ai danni del suo popolo.
Stalin nel 1942, dunque nel momento in cui le armate hitleriane
raggiungevano la loro massima
espansione
nell’occupazione
dei territori sovietici, dichiarò:
“A volte nella stampa straniera si diffonde la voce che l’Esercito rosso ha per scopo
di sterminare il popolo tedesco e distruggere lo Stato tedesco. Questa è, certamente,
una sciocca menzogna e una
calunnia poco intelligente. (…)
sarebbe ridicolo identificare la
cricca di Hitler col popolo tedesco, con lo Stato tedesco.
L’esperienza della storia inse-
ta rossa e il coraggio e la forza
del popolo sovietico che era stato in grado di annientare la belva
nazista. L’Urss, e con essa il socialismo, si era affermata come
un rosso faro di luce per i popoli
oppressi. No, il rischio per gli imperialisti ed i capitalisti occidentali era davvero troppo grande.
Molto meglio stringere accordi
con quanto restava del nazismo
e del militarismo tedesco.
La Germania, insomma, doveva essere utilizzata in funzio-
no invece circoscrivere la “portata” del processo limitandosi a
processare i principali caporioni nazisti, quelli troppo noti per i
loro crimini e quindi con cui sarebbe stato impossibile instaurare una collaborazione. Il processo doveva insomma limitarsi a
perseguire i pochi imputati, addossare loro tutte le responsabilità e chiudere in questo modo
la faccenda così da potere utilizzare l’apparato politico-militare
nazista in funzione antisovieti-
I gerarchi nazisti sugli scranni degli imputati nell’aula durante il processo di Norimberga
gna che gli Hitler vengono e
se ne vanno, mentre il popolo tedesco, lo Stato tedesco rimangono. La forza dell’Esercito rosso consiste, infine, nel
fatto che esso non ha e non
può avere un odio di razza verso gli altri popoli e quindi anche verso il popolo tedesco.”
Chiara la posizione sovietica.
Distruggere la cricca hitleriana
ed il militarismo tedesco separando le loro criminali responsabilità da quelle del popolo tedesco. Ben diversa la posizione
delle potenze occidentali. Infischiandosene del nazismo e dei
suoi crimini, i capitalisti occidentali vedevano nella guerra una
duplice opportunità: la riduzione della Germania a loro fedele
alleata, dopo che era stata una
pericolosissima “concorrente”
nella competizione imperialista
per il dominio del mondo, e un
forte ridimensionamento dell’Unione sovietica.
Mentre la gloriosa Armata
rossa ricacciava a prezzo di perdite enormi le armate naziste gli
“alleati” occidentali avanzavano
lentamente e con poche perdite e, con la propria flotta aerea,
radevano al suolo le città tedesche con indiscriminati bombardamenti a tappeto. In perfetta
coerenza con i loro obiettivi gli
americani e gli inglesi uccisero
più di un milione di civili tedeschi nel corso dei loro raid aerei. Il ministro del tesoro degli
Stati Uniti Henry Morgenthau,
con il pieno sostegno di Roosevelt e Churchill, elaborò un piano (il “piano Morgenthau”) in cui
veniva previsto il totale smantellamento dell’industria tedesca
e l’obbligo per i tedeschi a praticare solo l’agricoltura e la pastorizia. Con l’avvicinarsi della
fine della guerra però gli imperialisti occidentali si trovarono
di fronte ad una amara sorpresa. L’Unione Sovietica di Stalin
non era stata affatto piegata dalle armate naziste ma era invece più forte che mai! La vittoria
sul nazifascismo aveva mostrato l’efficienza militare dell’Arma-
ne antisovietica e per questo
mantenuta come potenza economica e militare. Molto meglio
per i capitalisti e gli imperialisti
avere un concorrente in più nella
guerra per i mercati che rischiare
di perdere tutto con la vittoria del
socialismo!
Le diverse concezioni del
processo
Terminata la guerra i popoli
del mondo vennero a conoscenza dei terribili crimini commessi
dai nazisti. Campi di sterminio,
camere a gas, schiavitù e oppressione di interi popoli. L’imperialismo tedesco si era reso responsabile di azioni criminali che
non potevano restare impunite.
Come già dichiarato nel corso
della guerra i principali criminali
nazisti dovevano essere giudicati pubblicamente in un processo
che facesse luce sui loro crimini.
Quali i principali criminali nazisti
da processare? Quali, in concreto, le azioni da compiere affinché
emergessero le responsabilità
della guerra ed i terribili crimini
perpetrati dai nazisti durante la
stessa? Su questi fondamentali
punti le posizioni dell’Urss e delle potenze occidentali si rivelarono subito contrastanti.
Per Stalin e la dirigenza sovietica lo scopo principale del
processo era accertare le reali responsabilità dell’ascesa del
nazismo e dei suoi terribili crimini. Il nazismo non era certo
piovuto dal cielo ma era stato finanziato dai banchieri e dagli industriali tedeschi. Erano questi
i criminali che avevano creato
Hitler, che lo avevano finanziato e con esso avevano fatto affari d’oro, non da ultimo sfruttando
come schiavi i popoli dei paesi occupati. Per i sovietici non vi
erano dubbi. Lo scopo ultimo del
processo doveva essere la definitiva cancellazione del nazismo
e del militarismo tedesco così
da costruire la nuova Germania
come paese democratico.
Ben diversa la posizione delle
potenze occidentali che voleva-
ca. Le potenze occidentali, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia
minacciarono in più occasioni
i sovietici di celebrare processi
separati con gli imputati da essi
catturati. Interessante notare a
questo riguardo come quasi tutti
i caporioni nazisti sotto processo si erano consegnati, spesso
spontaneamente, agli americani
o agli inglesi. E si rifiutarono di
includere tra i criminali di guerra il corpo dello stato maggiore
hitleriano e del comando supremo delle forze armate del Reich
nazista
I criminali nazisti giudicati
e quelli impuniti
All’avvio del processo erano
presenti al banco degli imputati
alcuni dei principali criminali nazisti ma, come abbiamo detto,
non erano invece presenti altri
criminali altrettanto, se non addirittura in misura maggiore, responsabili. Mancavano i Krupp
(come del resto in Italia mancavano gli Agnelli) che avevano finanziato il nazismo ed avevano armato le sue aggressioni. Al
processo di Norimberga di fatto
sfuggirono i veri e principali responsabili del nazismo e, con
esso, della guerra. Le potenze
occidentali decisero di rimandare l’accusa al “mondo economico nazista” in successivi processi del tutto minori che oltretutto,
con la scusa della frattura con
l’Urss dopo che essi stessi avevano scatenato la guerra fredda,
svolsero da soli.
A Norimberga per tutta la durata del processo, mentre venivano alla luce i crimini immani
perpetrati dai nazisti, gli americani, assieme agli inglesi ed ai
francesi, mantennero una posizione ambigua ed oscillante.
Le norme processuali da essi
imposte concessero agli imputati ben oltre il semplice diritto
alla difesa. Venne loro concessa la possibilità di svolgere delle vere e proprie arringhe politiche. Göring ed altri caporioni
nazisti in non poche occasio-
ni pontificarono il loro operato
esaltando il nazismo come l’unico baluardo contro il comunismo. Durante alcune sedute le
parti parevano invertite. I nazisti al banco degli imputati trasformati in accusatori dell’Urss
e del suo popolo, quello stesso
popolo che essi avevano cercato di distruggere!
Nonostante l’ostruzionismo
dei magistrati e dei procuratori occidentali gli imputati nazisti
vennero inchiodati nelle loro responsabilità poiché i principali
crimini di guerra e contro l’umanità erano stati compiuti nell’Europa orientale e nell’Urss i sovietici avevano accesso diretto alle
inoppugnabili prove di questi terribili delitti. Del resto mentre in
occidente i nazisti si erano perlopiù limitati ad una occupazione
militare era all’est che essi attuarono una politica di sterminio ed
era qui che essi avevano costruito i campi di sterminio con le loro
camere a gas ed i loro forni crematori. Dimostrate le loro terribili responsabilità i criminali nazisti
Frank, Frick, Jodl, Kaltenbrunner, Keitel, Von Ribbentrop, Rosenberg, Sauchel, Streicher e
Seyss-Inquart vennero riconosciuti colpevoli e condannati a
morte. Stessa sorte per Göring,
suicidatosi.
Nonostante i loro crimini, grazie all’opposizione dei magistrati
occidentali che misero il veto alla
loro condanna a morte, vennero
condannati solo a pene detentive Dönitz, successore di Hitler
come presidente del Reich, Speer, il responsabile degli armamenti e dei campi di lavoro forzati, Raeder, grande ammiraglio
del Reich, Funk, ministro dell’economia, Von Neurath, ministro
degli esteri fino al 1938 e quindi governatore del “protettorato” di Boemia e di Moravia fino
al 1942, Von Schirach, capo della gioventù hitleriana e governatore di Vienna ed Hess, l’ex segretario del partito nazista che
nel maggio del 1941 era volato
in Scozia per proporre agli inglesi una pace separata in previsione di una guerra comune contro
l’Unione Sovietica. Tre imputati,
Fritzsche, Von Papen e Schacht
vennero invece assolti. Mentre
però Fritzsche e Von Papen avevano svolto ruoli secondari e non
criminali (Fritzsche era un semplice commentatore radiofonico
mentre Von Papen era relegato in Turchia come ambasciatore) lo stesso non poteva davvero
dirsi di Schacht. In qualità di banchiere e di ministro delle finanze
Schacht rese possibile l’avvento del nazismo e, per il tramite
dell’alta borghesia tedesca, fornì ad esso le indispensabili risorse economiche. Sfruttando le
sue conoscenze nel mondo della finanza dei paesi capitalistici Schacht fu il garante di Hitler
con il capitalismo mondiale, desideroso di usare la Germania
nazista in funzione antisovietica.
Mentre nella Germania orientale, poi Ddr, i sovietici aiutavano il
popolo tedesco a risollevarsi dalle macerie della guerra ed a costruire un nuovo futuro di pace e
democrazia, Schacht, assieme a
molti altri criminali nazisti politici
e militari, riebbe subito posizioni
di prestigio nella Germania occidentale.
N. 45 - 10 dicembre 2015
195° anniversario della nascita di Engels / il bolscevico 7
2015 - 28 novembre – 1820. 195° Anniversario della nascita del grande Maestro
del proletariato internazionale e cofondatore del socialismo scientifico
Engels: Parte avuta
dal lavoro nel processo
di umanizzazione
della scimmia
In occasione del 195° Anniversario della nascita di Engels, che cade il 28 novembre,
pubblichiamo in questa pagina
il fondamentale capitolo “Parte
avuta dal lavoro nel processo di
umanizzazione della scimmia”
scritto nel giugno 1876, dell’opera “Dialettica della natura”
scritta dal 1873 al 1883, alcune
integrazioni furono redatte nel
1855-1886. Ciononostante Engels non riuscì a portare a termine questa sua opera per sovraccarico di lavoro dopo la morte di
Marx e per impegni più urgenti, tra cui la stesura dell’ “Anti-
Dühring” scritto nel 1878.
Della “Dialettica della natura” sul n. 31 de “Il Bolscevico”
di quest’anno abbiamo pubblicato l’ “Introduzione” e “Prima
prefazione all’“Anti-Dühring”
sulla dialettica.
Quest’opera è il risultato di
approfondimenti e sistematici
studi di matematica e di scienze
naturali, tra cui l’opera di Darwin sull’origine della specie per
selezione naturale, da parte di
Engles, il quale nella sua “Prefazione alla seconda edizione
dell’’Anti-Dühring’ scritta il 23
settembre del 1885 spiega il mo-
Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, dicono gli studiosi di economia politica. Lo è, accanto alla
natura, che offre al lavoro la materia greggia che esso trasforma in
ricchezza. Ma il lavoro è ancora
infinitamente più di ciò. È la prima, fondamentale condizione di
tutta la vita umana; e lo è invero a
tal punto, che noi possiamo dire in
un certo senso: il lavoro ha creato
lo stesso uomo.
Centinaia di migliaia di anni fa,
in una fase ancora non precisabile
di quell’era che i geologi chiamano terziaria, probabilmente verso
la sua fine, viveva in una qualche
parte della zona torrida - verosimilmente su di un grande continente ora sprofondato nell’Oceano
Indiano - una famiglia di scimmie
antropomorfe giunta a uno stadio
particolarmente alto di sviluppo.
Darwin ci ha dato una descrizione
approssimativa di questi nostri antenati. Erano estremamente pelosi,
avevano la barba, le orecchie appuntite, e vivevano in branchi sugli alberi.
A motivo anzitutto del loro
modo di vivere (l’arrampicarsi
porta a un impiego delle mani diverso da quello dei piedi) queste
scimmie cominciarono a perdere
l’abitudine di aiutarsi con le mani
quando procedevano su terreno
piano e ad assumere sempre più la
posizione eretta.
Con ciò era fatto il passo decisivo per il trapasso dalla scimmia
all’uomo.
Tutte le scimmie antropomorfe
ancora viventi possono stare ritte e
muoversi facendo uso solo dei due
piedi. Ma solo in caso di necessità e in modo estremamente impacciato. Il loro modo naturale di
camminare è in posizione semieretta e comporta l’impiego delle mani. La maggior parte di esse
appoggia le articolazioni del polso sul terreno e fa oscillare il corpo, con le gambe contratte, tra le
lunghe braccia. Proprio come uno
storpio, che cammini con le gruc-
ce. In generale, possiamo osservare ancor oggi nelle scimmie tutti
i gradini di passaggio dall’andare
a quattro zampe fino al camminare sui due piedi. Ma quest’ultimo
modo di procedere, in tutte le specie di scimmie, non arriva mai ad
essere più che un mezzo accessorio in caso di bisogno.
Se il camminare eretti divenne per i nostri villosi antenati dapprima regola e col tempo una assoluta necessità, ciò vuol dire che
alle mani spettarono frattanto, attività di natura via via sempre più
diversa dall’originaria. Anche tra
le scimmie regna una certa divisione di compiti nell’impiego della mano e del piede. Come si è
già accennato, nell’arrampicarsi
la mano viene usata in modo diverso dal piede. Essa viene usata
di preferenza per cogliere il cibo
e tenerlo fermo; cosa che accade
già nel caso di mammiferi inferiori per le zampe anteriori. Con
le mani, molte scimmie si costruiscono nidi sugli alberi o addirittura, come lo scimpanzé, tettoie tra
i rami per ripararsi dai temporali.
Con le mani afferrano randelli per
difendersi dai loro nemici, o pietre
e frutta per bombardarli. Con esse
compiono in prigionia tutta una
serie di piccole operazioni imitando gli uomini. Ma proprio in
quest’ultimo caso si vede quanto
è grande la differenza tra la mano
non sviluppata della scimmia, anche della più simile all’uomo, e la
mano dell’uomo altamente perfezionata dal lavoro di centinaia di
migliaia di anni. Il numero delle
articolazioni e dei muscoli, la loro
disposizione generale sono, nei
due casi, gli stessi; ma la mano del
selvaggio più arretrato può compiere centinaia di operazioni che
nessuna scimmia riesce ad imitare. Nessuna mano di scimmia ha
mai prodotto il più rozzo coltello
di pietra.
Perciò le operazioni alle quali i nostri antenati impararono ad
abituare la loro mano, a poco a
tivo per cui l’ha redatta. Ecco le
sue parole: “In questa mia ricapitolazione della matematica e
delle scienze naturali si trattava di convincere me stesso, anche nei particolari singoli, cosa
della quale, su un piano generale, per me non c’era nessun
dubbio, - che nella natura sono
operanti, nell’intrico degli innumerevoli cambiamenti quelle
stesse leggi dialettiche del movimento che anche nella storia
dominano le apparenti accidentalità degli avvenimenti... per
me non poteva trattarsi di costruire le leggi dialettiche intro-
ducendole nella natura, ma di
rintracciarle in essa e di svilupparle da essa”.
Il capitolo che qui pubblichiamo, che segue il passaggio
dalle scienze naturali alle scienze sociali, spiega la funzione del
lavoro e della natura, l’origine
della vita, l’origine dell’essere umano, le differenze tra questi e gli altri animali, il rapporto
tra l’essere umano e la natura,
l’uso capitalistico della natura
e la necessità di sopprimere gli
effetti dell’attività produttiva del
capitalismo cambiando sistema
economico. Il tutto alla luce del
materialismo storico e del materialismo dialettico.
Merita qui sottolineare alcuni concetti fondamentali di Engels per quanto riguarda il rispetto della natura. Occorre
“conoscere le sue leggi (della natura, ndr) e di impiegarle
in modo appropriato”, perché
“noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo
nel suo grembo”.
Inoltre per dominare e regolare gli effetti negativi dell’attività produttiva,”occorre un
completo capovolgimento del
modo di produzione da noi se-
guito fino ad oggi, e con esso
tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso”.
Questo vuol dire che per risolvere alla radice il problema
ecologico e ambientale ci vuole il socialismo. È quanto hanno
proposto i fondatori del socialismo scientifico fin da “Il Manifesto del Partito comunista”. Il
che comporta di portare fino in
fondo la lotta di classe che può
avere fine, come dice Engels,
“solo con l’abbattimento della
borghesia e l’abolizione di tutti
i contrasti di classe”.
ventata autonoma e poteva ora acquistare una crescente destrezza:
la maggiore scioltezza così acquistata si trasmise e si accrebbe di
generazione in generazione.
La mano non è quindi soltanto l’organo del lavoro: è anche il
suo prodotto. La mano dell’uomo ha raggiunto quell’alto grado
di perfezione, sulla base del quale ha potuto compiere i miracoli
dei dipinti di Raffaello, delle statue di Thorvaldsen, della musica
di Paganini, solo attraverso il lavoro: attraverso l’abitudine a sempre nuove operazioni, attraverso la
trasmissione ereditaria del particolare sviluppo dei muscoli, dei tendini, e, a più lungo andare, anche
delle articolazioni, per questa via
acquisito: attraverso la sempre rinnovata elaborazione dei perfezionamenti così ereditati per mezzo
di nuove, e sempre più complicate, operazioni.
Ma la mano non era isolata.
Essa era soltanto un singolo membro di un organismo completo,
estremamente complesso. E ciò
che era acquisito per la mano, era
acquisito anche per tutto il corpo,
al servizio del quale la mano lavorava, e invero in duplice modo.
In primo luogo, come conseguenza della legge che Darwin
ha chiamato di correlazione dello sviluppo. Secondo questa legge, determinate forme di singole
parti di un essere organico sono
sempre collegate a certe forme di
altre parti, che non hanno apparentemente alcun rapporto con le prime. Tutti gli animali, per esempio,
che possiedono globuli rossi senza nucleo e il cui occipite è collegato alle prime vertebre dorsali
mediante due articolazioni (i condili), hanno anche, senza eccezione, ghiandole mammarie per l’allattamento dei piccoli. E così, nei
mammiferi, zoccoli bifidi sono regolarmente legati a uno stomaco
plurimo per la ruminazione. Modificazioni di determinate forme
portano con sé modificazioni della forma di altre parti del corpo,
senza che noi siamo in grado di
spiegare tale rapporto. Gatti completamente bianchi con occhi azzurri sono sempre, o con pochissime eccezioni, sordi. Il graduale
raffinamento della mano umana e
il parallelo sviluppo del piede per
la necessità del cammino in posizione eretta hanno indubbiamente
agito di riflesso su altre parti del
corpo anche a causa di simili correlazioni. Ma una tale influenza è
stata studiata ancora troppo poco,
per poter qui andare al di là di una
semplice constatazione della sua
esistenza.
Molto più importante è la reazione diretta, dimostrabile, del-
lo sviluppo della mano sul resto
dell’organismo. Come abbiamo
già detto, i nostri antenati scimmieschi erano socievoli; è evidentemente impossibile far discendere l’uomo, il più socievole di
tutti gli animali, da un progenitore prossimo non socievole. Il dominio sulla natura iniziatosi con lo
sviluppo della mano, con il lavoro, ampliò, ad ogni passo in avanti che veniva fatto, l’orizzonte
dell’uomo. Egli andava scoprendo, di continuo, nuove proprietà,
fino ad allora sconosciute, nelle
cose della natura. D’altro lato, lo
sviluppo del lavoro ebbe come necessaria conseguenza quella di avvicinare di più tra di loro i membri
della società, aumentando le occasioni in cui era necessario l’aiuto
reciproco, la collaborazione, rendendo chiara a ogni singolo membro l’utilità di una tale collaborazione. Insomma: gli uomini in
divenire giunsero al punto in cui
avevano qualcosa da dirsi. Il bisogno sviluppò l’organo ad esso
necessario: le corde vocali, non
sviluppate, della scimmia, si andarono affinando, lentamente ma sicuramente, abituandosi a una modulazione sempre più accentuata;
la bocca e gli organi vocali impararono a poco a poco a emettere
una sillaba articolata dopo l’altra.
Il paragone con le bestie dimostra che questa spiegazione della
nascita del linguaggio dal lavoro e con il lavoro è l’unica giusta.
Quel poco che le bestie, anche le
più sviluppate, hanno da comunicarsi se lo possono comunicare
anche senza linguaggio articolato.
Nessuna bestia allo stato di natura
sente come una mancanza il fatto
di non parlare o di non poter comprendere il linguaggio umano. Le
cose stanno in modo del tutto diverso per le bestie che sono state
addomesticate dall’uomo. Nella
consuetudine con l’uomo, il cane
Engels. Londra 1890
poco, nel corso di molti millenni,
non possono essere state all’inizio
se non molto semplici. I selvaggi
più arretrati, anche quelli nei quali
c’è da supporre una ricaduta nello stato più propriamente animale con contemporanea involuzione dell’organismo, sono sempre a
un livello molto superiore a quello
di quegli esseri di transizione. Perché si arrivasse al momento in cui
il primo ciottolo fu lavorato dalla mano dell’uomo fino ad essere trasformato in coltello, possono
essere trascorse epoche di lunghezza tale che al confronto l’epoca storica a noi nota può apparire
insignificante. Ma il passo decisivo era compiuto: la mano era di-
SEGUE IN 8 e 9ª
ë
8 il bolscevico / 195° anniversario della nascita di Engels
ed il cavallo hanno fatto talmente l’orecchio al linguaggio articolato da poter comprendere facilmente qualsiasi lingua, nei limiti
delle idee ad essi accessibili. Hanno inoltre acquistato la capacità di
provare dei sentimenti, che prima
erano ad essi estranei: come l’attaccamento all’uomo, la riconoscenza ecc. Chi ha avuto consuetudine con queste bestie non si
sottrae facilmente all’idea che ci
siano parecchi casi nei quali esse,
adesso, sentono come una mancanza la loro incapacità di parlare; mancanza alla quale certo non
si può più purtroppo portare un rimedio perché i loro organi vocali si sono ormai troppo nettamente
differenziati in una ben determinata direzione. Ma là dove esiste
un organo adatto, anche una tale
incapacità viene a cadere, entro
certi limiti. Gli organi vocali degli uccelli son certo diversi quanto
è possibile immaginarlo da quelli
umani, e tuttavia gli uccelli sono
le sole bestie che imparino a parlare. L’uccello che ha la voce più
sgradevole, il pappagallo, è quello che parla meglio. Non si dica
che egli non comprende quello
che dice. Senza dubbio, ripeterà
ciarliero tutto il suo patrimonio di
parole per ore ed ore, per il semplice gusto di parlare e per il fatto che sta in compagnia di uomini. Ma entro i limiti delle cose che
comprende può imparare anche a
capire quello che dice. Si insegnino a un pappagallo delle ingiurie,
in modo che si faccia una idea del
loro significato (è uno dei sommi
piaceri dei marinai che tornano
veleggiando dai paesi tropicali);
lo si stuzzichi, e si vedrà ben presto che sa far uso dei suoi insulti non meno appropriatamente di
un’erbivendola berlinese. Lo stesso si dica per quel che riguarda la
richiesta di leccornie.
In primo luogo il lavoro, dopo
di esso e con esso il linguaggio:
ecco i due stimoli più essenziali sotto la cui influenza il cervello di una scimmia si è trasformato gradualmente in un cervello
umano, molto più grande e perfetto secondo ogni verosimile ipotesi. Al perfezionamento del cervello si accompagnò però di pari
passo il perfezionamento dei suoi
strumenti più immediati: gli organi sensoriali. Come il graduale sviluppo del linguaggio è necessariamente accompagnato da
un corrispondente affinamento
dell’organo dell’udito, cosi più in
generale lo sviluppo del cervello
è accompagnato da quello di tutti i sensi. L’aquila vede molto più
lontano dell’uomo, ma l’occhio
dell’uomo scorge molto di più nelle cose che non quello dell’aquila. Il cane ha narici assai più penetranti dell’uomo, ma non distingue
fra di loro la centesima parte degli
odori che per l’uomo sono ben determinati indici di cose differenti.
E il tatto, che nella scimmia esiste
solo al suo più grezzo stato iniziale, si è andato formando solo con
la formazione della mano umana,
attraverso il lavoro.
Lo sviluppo del cervello e dei
sensi al suo servizio, della coscienza che si andava facendo
vieppiù chiara, della capacità di
astrarre e di ragionare, esercitò di
rimando la sua influenza sul lavoro e sul linguaggio, dando ad entrambi un nuovo impulso per un
ulteriore sviluppo. Questo ulteriore sviluppo non arrivò davvero a
una definitiva conclusione quando l’uomo arrivò a distinguersi
in modo definitivo dalla scimmia.
Tale sviluppo invece, nelle linee
generali, è proseguito possente;
certo in misura diversa a seconda dei popoli e delle epoche, qua
e là perfino interrompendosi e subendo delle involuzioni in un dato
posto e in una data epoca. Esso fu
da un lato potentemente stimolato,
dall’altro indirizzato in un senso
determinato da un nuovo elemento che compare quando l’uomo diviene veramente tale: la società.
Sono certamente trascorsi centinaia di migliaia di anni (non più,
per la storia della terra, di quel che
sia un secondo per la vita umana*)
prima che dai branchi di scimmie
arrampicatrici venisse fuori una
società di uomini. Ma alla fine essa
si trovò formata. E qual è la differenza che noi troviamo ancora una
volta come differenza caratteristica tra il branco di scimmie e la tribù di uomini? Il lavoro. Il branco
di:scimmie si limitava a devastare il proprio territorio di pascolo,
quel territorio i cui limiti erano
segnati o dalla posizione geografica o dalla resistenza di un branco confinante. Il branco intraprendeva sì migrazioni e battaglie, per
conquistare nuovo terreno di pascolo, ma era incapace di trar fuori dal suo territorio di pascolo più
di quel che la natura stessa offriva
(a prescindere dal fatto che inconsapevolmente lo concimava con
i suoi escrementi). Una volta che
tutti i possibili territori di pascolo erano stati occupati non poteva
più aver luogo nessun incremento della popolazione delle scimmie; il numero delle bestie poteva tutt’al più mantenersi costante.
Ma presso tutte le bestie ha luogo,
in misura elevata, lo spreco del
nutrimento, e con esso l’uccisione in germe del nuovo nutrimento.
Il lupo non risparmia, come fa il
cacciatore, la femmina del capriolo, che gli deve fornire nel prossimo anno i piccoli. Le capre di
Grecia, distruggendo con il loro
pascolare i piccoli arbusti all’inizio della loro crescita, hanno spogliato di vegetazione tutti i monti
del paese. Questa «depredazione»
propria delle bestie riveste un importante ruolo nella graduale trasformazione delle specie animali,
in quanto le costringe ad assuefarsi a un nutrimento diverso dal loro
abituale: con ciò nuovi composti
chimici entrano nel loro sangue,
e tutta la costituzione dell’organismo si altera a poco a poco, finché si estinguono le vecchie specie nelle forme in cui si erano una
volta fissate. Non v’è dubbio che
tale depredazione ha potentemente contribuito all’umanizzazione
dei nostri antenati. Una razza di
scimmie, molto più avanti di tutte le altre per intelligenza e capacità di adattamento, dovette essere
portata da questa depredazione ad
allargare sempre di più il numero
delle piante per il suo nutrimento,
a scegliere di queste piante sempre di più le parti adatte alla nutrizione di modo che, insomma,
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ISSN: 0392-3886
ore 16,00
Engels interviene al Congresso dell’Aia della Prima Internazionale (settembre 1872) che sanzionò l’espulsione degli anarchici dall’Associazione dei lavoratori. Marx siede appena dietro
il nutrimento divenne sempre più
vario e più varie con esso le sostanze immesse nell’organismo, i
presupposti chimici dell’umanizzazione. Tutto ciò non era però ancora vero e proprio lavoro. Il lavoro comincia con la preparazione
di strumenti. E quali sono gli strumenti più antichi, quelli che ritroviamo per primi? Quelli che dobbiamo ritenere come i più antichi,
stando a ciò che è stato scoperto
del patrimonio degli uomini preistorici, e stando a ciò che ci dice
tanto il modo di vivere dei primi
popoli di cui ci tramanda notizia
la storia, che il modo di vivere attuale dei selvaggi più arretrati?
Sono strumenti per la caccia e per
la pesca: i primi, al tempo stesso,
armi. Ma la caccia e la pesca presuppongono il passaggio dall’alimentazione puramente vegetale al
gusto della carne: e questo è un altro passo essenziale nel processo
di umanizzazione. L’alimentazione carnea conteneva, quasi bell’e
pronte, le sostanze più essenziali
delle quali l’organismo ha bisogno per rinnovare i suoi tessuti;
abbreviò i tempi della digestione e con essa di tutti gli altri processi vegetativi dell’organismo,
cioè di quei processi che hanno il
loro corrispondente nel regno vegetale; e portò con ciò un acquisto di tempo, di sostanze, di energia, per l’attivazione della vita più
propriamente animale. E quanto
più l’uomo in divenire si allontanava dalla pianta, tanto più si elevava anche al disopra della bestia.
Come l’abitudine al cibo vegetale,
accanto alla carne, ha trasformato
il cane e il gatto selvaggio in servitori dell’uomo, così l’assuefazione alla carne come cibo, accanto ai vegetali, ha contribuito a dare
all’uomo in divenire forza fisica
e indipendenza. Ma la nutrizione carnea esercitò la sua influenza più importante sul cervello, al
quale pervenivano, in copia molto
maggiore di prima, le sostanze necessarie per il suo nutrimento e per
il suo sviluppo, e che si poté quindi sviluppare in modo più rapido
e più completo di generazione in
generazione. Col permesso dei signori vegetariani, l’uomo non si
sarebbe formato senza alimentazione carnea; e se è pur vero che
l’alimentazione carnea ha prima
o poi, per un certo periodo, condotto tutti i popoli a noi conosciuti all’antropofagia (gli antenati dei
berlinesi, i Veletabi o Velsi, mangiavano i loro genitori ancora nel
X secolo), la cosa ormai non ci
tocca più.
L’alimentazione carnea portò a
due nuovi progressi di importanza decisiva: l’uomo imparò a servirsi del fuoco e ad addomesticare le bestie. Il primo fatto abbreviò
ancor di più il processo digestivo,
portando alla bocca un cibo, potremmo dire, già per metà dige-
rito; il secondo fatto rese più abbondante l’alimentazione carnea,
aprendo, accanto alla caccia, una
nuova regolare forma di rifornimento, e procurò inoltre, con il latte e i suoi prodotti, un nuovo nutrimento di valore certo non inferiore
alla carne per composizione. I due
fatti divennero così, già in modo
diretto, nuovi mezzi di emancipazione per l’uomo; ci porterebbe
ora troppo lontano il soffermarci
nei dettagli sulla loro influenza indiretta, per quanto importante essa
sia stata per lo sviluppo dell’uomo
e della società.
L’uomo imparò a vivere sotto ogni clima, cosi come imparò
a mangiare tutto ciò che era commestibile. L’uomo, l’unico animale che possedesse in sé la compiuta capacità di farlo, si espanse
su tutta la terra abitabile. Gli altri
animali che si sono assuefatti ad
ogni clima - gli animali domestici
e gli insetti - lo hanno fatto non da
soli, con i propri mezzi, ma al seguito dell’uomo. Il passaggio dal
clima uniformemente caldo della
patria d’origine a quello di regioni più fredde, nelle quali l’anno si
divideva in estate e inverno, creò
nuovi bisogni: abitazione e vestiario per proteggersi dal freddo
e dall’umidità. Nuovi campi di lavoro e con essi nuove attività, che
allontanarono sempre di più l’uomo dall’animale.
Per l’azione congiunta del-
N. 45 - 10 dicembre 2015
la mano, degli organi vocali e del
cervello, che esercitò la sua influenza non soltanto su ogni singolo individuo, ma anche sulla società, gli uomini divennero capaci
di compiere operazioni sempre più
complicate, di proporsi mete sempre più elevate e di raggiungerle.
Il lavoro stesso, col passare delle
generazioni, divenne altra cosa:
divenne più completo, più multiforme. Alla caccia e alla pesca seguì l’agricoltura, a quest’ultima la
filatura e la tessitura, la lavorazione dei metalli, la ceramica, la navigazione. Insieme al commercio
e all’industria comparvero infine
l’arte e la scienza; dalle tribù venero fuori le nazioni e gli Stati. Si
svilupparono il diritto e la politica, e con essi si sviluppò il riflesso
fantastico delle cose umane nella mente umana: la religione. Di
fronte a tutte queste creazioni che
si presentavano come prodotti diretti della mente e che sembravano
dominare le società umane, i più
modesti prodotti del lavoro manuale furono relegati in un secondo piano; tanto più che la mente
organizzatrice del lavoro poté far
seguire da mani che non erano le
proprie il lavoro ideato, e ciò sin
dai primissimi stadi dello sviluppo sociale (per es., già nella famiglia semplice). Tutto il merito dei
rapidi progressi della civiltà venne attribuito alla mente, allo sviluppo e all’attività del cervello; gli
uomini si abituarono a spiegare la
loro attività con il loro pensiero
invece che con i loro bisogni (che
senza dubbio nel cervello si riflettono, e giungono alla coscienza).
Sorse così, col tempo, quella concezione idealistica della vita, che
ha dominato le menti sin dalla fine
della civiltà antica. Essa è ancora
tanto dominante, che persino gli
scienziati materialisti della scuola darwinista non riescono ancora a farsi un’idea chiara delle origini dell’uomo, perché, essendo
ancora sotto l’influsso ideologico
dell’idealismo, non riconoscono la
funzione che ha avuto il lavoro in
quel processo.
Come si è già accennato, anche
gli animali, proprio come l’uomo,
seppure non nella stessa misura,
modificano con la loro attività la
natura che li circonda. E le modificazioni da essi apportate all’ambiente reagiscono a loro volta,
come abbiamo visto, su quegli
animali stessi che ne sono stata
la causa. Poiché nella natura non
esistono avvenimenti isolati. Ogni
fatto agisce sull’altro e viceversa.
Il più delle volte, è proprio la dimenticanza di questo movimento
in tutte le direzioni, di questa azione mutua, che impedisce ai nostri scienziati di veder chiaro nei
più semplici fenomeni. Abbiamo
osservato come le capre abbiano
impedito il rimboschimento della
Grecia; le capre e i maiali sbarcati a Sant’Elena dai primi naviganti che vi approdarono hanno quasi portato a termine la loro opera
di distruzione dell’antica vegetazione e hanno così preparato il
terreno adatto all’espansione delle piante portate più tardi da nuovi
navigatori e da colonizzatori. Ma
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DELLA CAUSA
DEL SOCIALISMO
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195° anniversario della nascita di Engels / il bolscevico 9
N. 45 - 10 dicembre 2015
se gli animali esercitano un’influenza duratura sull’ambiente in
cui vivono, la cosa avviene senza alcuna intenzione ed è, per gli
animali stessi, qualcosa di casuale. Quanto, più però l’uomo si allontana dall’animale, tanto più la
sua influenza sulla natura assume
l’aspetto di attività premeditata,
svolta secondo un piano indirizzato a ben determinati scopi, anticipatamente noti. L’animale distrugge la vegetazione di una regione
senza sapere quello che fa. L’uomo la distrugge per seminare sul
terreno così sgombrato e per piantarvi alberi e viti, e sa che egli riavrà la semente moltiplicata. Egli
trasferisce da una regione all’altra
piante utili e animali domestici,
e modifica così la flora e la fauna di interi continenti. Ma v’è di
più. Con l’allevamento, ad arte,
tanto le piante che gli animali vengono modificati in modo tale dalla mano dell’uomo, da divenire
irriconoscibili. Le piante selvagge, dalle quali discende la varietà
del nostro grano, si cercano ancora invano. È ancor sempre in discussione da quali bestie selvagge derivino i nostri cani, che tante
differenze hanno tra loro stessi, o
le nostre altrettanto varie razze di
cavalli.
È del resto ovvio che a noi non
viene in mente di contestare agli
animali la capacità di agire secondo un piano, premeditatamente. Al
contrario. Attività orientata secondo un piano esiste già, in germe,
dovunque protoplasma, albume
vivente, esiste e reagisce: compie
cioè dei movimenti, sia pur semplici, in conseguenza di determinati stimoli esterni. Tali reazioni
hanno luogo là dove ancora non
ci sono addirittura cellule, per non
parlare di cellule nervose. Il modo
in cui le piante che divorano insetti afferrano la loro preda appare
sotto un certo aspetto come un’azione predisposta secondo un piano, per quanto del tutto inconsapevole. Negli animali, nella misura
in cui si sviluppa il sistema nervoso, si sviluppa la capacità di un’azione preordinata e cosciente, capacità che raggiunge già un alto
livello nei mammiferi. Nella caccia alla volpe inglese si può osservare ogni giorno con quanta precisione la volpe sappia impiegare
la sua grande conoscenza dei luoghi, per sfuggire ai suoi persecutori, e quanto ben conosca e utilizzi tutte le particolarità del terreno
atte a interrompere la traccia. Nel
caso dei nostri animali domestici più altamente sviluppatisi nella consuetudine con l’uomo, possiamo osservare ogni giorno atti
di scaltrezza che stanno assolutamente allo stesso livello di quelli che fanno i piccoli dell’uomo.
Poiché, come la storia dello sviluppo del seme umano nel grembo materno non rappresenta altro
che un’abbreviata ripetizione della storia dello sviluppo, lunga milioni di anni, degli organismi degli
animali nostri antenati, a partire
dai vermi, così lo sviluppo spirituale del piccolo dell’uomo non
rappresenta che una ripetizione,
solo ancor più abbreviata, dello
sviluppo intellettuale di quegli antenati, perlomeno dei più recenti.
Ma nessuna preordinata azione di
nessun animale è riuscita a imprimere sulla terra il sigillo della sua
volontà. Ciò doveva essere proprio dell’uomo.
Insomma, l’animale si limita a
usufruire della natura. esterna, e
apporta ad essa modificazioni solo
con la sua presenza; l’uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: fa domina. Questa è
l’ultima, essenziale differenza tra
l’uomo e gli altri -animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera
questa differenza1.
Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana
sulla natura. La natura si vendica
di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le
conseguenze sulle quali avevamo
fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta
le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicano i boschi in
Mesopotamia, in Grecia, nell’Asia Minore e in altre regioni per
procurarsi terreno coltivabile, non
pensavano che così facendo creavano le condizioni per l’attuale
desolazione di quelle regioni, in
quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta
e i depositi dell’umidità. Gli italiani della regione alpina, nel consumare sul versante sud gli abeti
così gelosamente protetti al versante nord, non presentivano affatto che, così facendo, scavavano
la fossa all’industria pastorizia sul
loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell’anno
quell’acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l’epoca delle piogge. Coloro
che diffusero in Europa la coltivazione della patata, non sapevano di diffondere la scrofola assieme al tubero farinoso. Ad ogni
passo ci vien ricordato che noi
non dominiamo la natura come
un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non
la dominiamo come chi è estraneo
ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello
e viviamo nel suo grembo: tutto il
nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di
sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle
in modo appropriato.
E, in effetti, comprendiamo
ogni giorno più esattamente le
sue leggi e conosciamo ogni giorno di più quali sono gli effetti immediati e quelli remoti del nostro
intervento nel corso abituale della natura. In particolare, dopo i
poderosi progressi compiuti dalla scienza in questo secolo, siamo
sempre più in condizione di conoscere, e quindi di imparare a dominare anche gli effetti naturali più
remoti, perlomeno per quello che
riguarda le nostre abituali attività
produttive. Ma quanto più ciò ac-
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Engels nel suo studio di Londra nel 1885
cade, tanto più gli uomini non solo
sentiranno, ma anche sapranno,
di formare un’unità con la natura, e tanto più insostenibile si farà
il concetto, assurdo e innaturale,
di una contrapposizione tra spirito e materia, tra uomo e natura,
tra anima e corpo, che è penetrato
in Europa dopo il crollo del mondo dell’antichità classica e che ha
raggiunto il suo massimo sviluppo
nel cristianesimo.
Ma se è stato necessario il lavoro di millenni sol perché noi imparassimo a calcolare, in una certa misura, gli effetti naturali più
remoti della nostra attività rivolta
alla produzione, la cosa si presentava come ancor più difficile per
quanto riguarda i più remoti effetti sociali di tale attività. Abbiamo
citato il caso delle patate e della
scrofola, diffusasi col loro diffondersi. Ma cos’è la scrofola di fronte agli effetti che provocò sulle
condizioni di vita delle masse popolari di interi paesi il fatto che i
lavoratori fossero ridotti a cibarsi
di sole patate? di fronte alla carestia che colpì l’lrlanda nel 1847 in
conseguenza della malattia che distrusse le patate, e fece finire sotto
terra un milione di irlandesi che si
nutrivano di patate e quasi esclusivamente di patate, altri due milioni al di là del mare? Quando gli
arabi impararono a distillare l’alcool non si sognavano neppure di
aver creato la principale tra le armi
destinate a cancellare dalla faccia
della terra gli aborigeni della ancor non scoperta America. E quando Colombo scoprì questa America non sapeva che, così facendo,
risvegliava a nuova vita la schiavitù già da lungo tempo superata
in Europa e gettava le basi per il
commercio dei negri. Gli uomini,
che con il loro lavoro produssero
la macchina a vapore, tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, non avevano affatto il presentimento di costruire lo strumento
che più d’ogni altro era destinato
a rivoluzionare la situazione sociale di tutto il mondo, a procurare
in particolare alla borghesia, in un
primo tempo, il predominio sociale e politico, attraverso la concentrazione della ricchezza nelle mani
della minoranza e la totale espro-
priazione della stragrande maggioranza, per generare poi tra borghesia e proletariato una lotta di
classe, che può aver fine solo con
l’abbattimento della borghesia e
l’abolizione di tutti i contrasti di
classe. Ma anche in questo campo
noi riusciamo solo gradualmente
ad acquistare una chiara visione
degli effetti sociali mediati, remoti, della nostra attività produttiva,
attraverso una lunga e spesso dura
esperienza, e attraverso la raccolta
e il vaglio del materiale storico; e
così ci è data la possibilità di dominare e regolare anche questi effetti.
Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre di più che
non la sola conoscenza. Occorre
un completo capovolgimento del
modo di produzione da noi seguito
fino ad oggi, e con esso di tutto il
nostro attuale ordinamento sociale
nel suo complesso.
Tutti i modi di produzione fino
ad oggi esistiti si sono sviluppati avendo di mira i risultati pratici più vicini, più immediati, del
lavoro. Le ulteriori conseguenze manifestantisi solo in un tempo successivo, operanti solo per
graduale accumulazione e ripetizione, rimanevano del tutto trascurate. L’iniziale proprietà collettiva del suolo corrispondeva da
una parte a uno stadio di sviluppo
dell’uomo, che limitava in generale il suo orizzonte alle cose più vicine, e presupponeva d’altra parte una certa abbondanza di terreno
a disposizione, che consentiva un
certo giuoco di fronte ad eventuali
cattivi risultati di quell’economia
primitiva di tipo forestale. Esauritasi questa sovrabbondanza di
terreno, si disgregò anche la proprietà collettiva. Ma tutte le forme superiori di produzione hanno
portato alla divisione della popolazione in diverse classi e con ciò
al contrasto tra classi dominanti e
classi oppresse; con ciò però l’interesse della classe dominante diveniva l’elemento che dava impulso alla produzione, nella misura in
cui quest’ultima non si limitava
alle più indispensabili necessità
di vita degli oppressi. Questo processo si è sviluppato nella maniera
più completa nel modo di produzione capitalistico oggi dominante nell’Europa occidentale. I singoli capitalisti, che dominano la
produzione e lo scambio, possono
preoccuparsi solo degli effetti pratici più immediati della loro attività. Anzi questi stessi effetti - per
quel che concerne l’utilità dell’articolo prodotto o commerciato vengono posti completamente in
secondo piano: l’unica molla della
produzione diventa il profitto che
si può realizzare nella vendita.
La scienza borghese della società, l’economia politica classica, si occupa soprattutto degli
effetti sociali immediatamente
visibili dell’attività umana rivolta alla produzione e allo scambio.
Ciò corrisponde completamente
all’organizzazione sociale, di cui
essa è l’espressione teorica. In una
società in cui i singoli capitalisti
producono e scambiano solo per il
profitto immediato, possono esser
presi in considerazione solo i risultati più vicini, più immediati. Il
singolo industriale o commerciante è soddisfatto se vende la merce
fabbricata o comprata con l’usuale profittarello e non lo preoccupa
quello che in seguito accadrà alla
merce o al compratore. Lo stesso
si dica per gli effetti di tale attività sulla natura. Prendiamo il caso
dei piantatori spagnoli a Cuba, che
bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per
una generazione di piante di caffè altamente remunerative. Cosa
importava loro che dopo di ciò
le piogge tropicali portassero via
l’ormai indifeso humus e lasciassero dietro di sé solo nude rocce?
Nell’attuale modo di produzione
viene preso prevalentemente in
considerazione, sia di fronte alla
natura che di fronte alla società,
solo il primo, più palpabile risultato. E poi ci si meraviglia ancora
che gli effetti più remoti delle attività rivolte a un dato scopo siano
completamente diversi e per lo più
portino allo scopo opposto; che
l’armonia tra la domanda e l’offerta si trasformi nella loro opposizione polare, come mostra l’andamento di ogni ciclo industriale
decennale (e anche la Germania,
nel “crac”, ne ha esperimentato un
piccolo preludio); ci si meraviglia
che la proprietà privata basata sul
lavoro personale porti come necessaria conseguenza del suo sviluppo alla mancanza di ogni proprietà per i lavoratori, mentre tutti
i possessi si concentrano sempre
di più nelle mani di chi non lavora; che […] 2.
* Sir W. Thomson, un’autorità di
primo rango in questo senso, ha
calcolato che devono essere trascorsi all’incirca cento milioni
di anni dall’epoca in cui la terra è giunta a un tal punto del suo
raffreddamento da permettere la
vita su di essa a piante ed animali.
1 Annotazione a matita in margine
al manoscritto: “Nobilitazione”.
2Qui il manoscritto si interrompe.
(Marx-Engels, Opere complete, vol. 25, pagg. 458-470, Editori Riuniti)
COSA FARE
PER ENTRARE NEL PMLI
Secondo l’art. 12 dello Statuto, per essere membro del PMLI occorre accettare il Programma e lo Statuto del Partito, militare e lavorare attivamente in una istanza del Partito, applicare le direttive del Partito e versare regolarmente le quote mensili, le quali ammontano: lavoratori euro 12,00; disoccupati e
casalinghe euro 1,50; pensionati sociali e studenti euro 3,00.
Lo stesso articolo dello Statuto specifica che “può essere membro del Partito qualunque elemento
avanzato del proletariato industriale e agricolo, qualunque elemento avanzato dei contadini poveri e
qualunque sincero rivoluzionario sulle posizioni della classe operaia... Non può essere membro del Partito chi sfrutta lavoro altrui, chi ha e professa una religione o una filosofia non marxista”.
Oltre a ciò occorre accettare la linea elettorale astensionista del Partito.
L’ingresso al PMLI avviene dopo l’accettazione della domanda di ammissione il cui modulo va richiesto al Partito.
N. 26 - 2 luglio 2015
Comunicato dell’Ufficio politicoesteri
del/ ilPMLI
bolscevico 15
Perché gli attacchi terroristici a Parigi.
E' la barbarie dell'imperialismo
che genera barbarie
I marxisti-leninisti italiani si stringono solidali ai familiari delle vittime incolpevoli degli attentati
terroristici a Parigi.
Questi attentati, non condivisibili ma comprensibili, sono la diretta conseguenza della criminale
guerra che la santa alleanza imperialista, della quale fa parte la Francia di Hollande, conduce
contro lo Stato islamico. Ed è facilmente prevedibile che essi continueranno e investiranno tutti i
paesi della suddetta coalizione. Per evitarli l'unica strada è quella di cessare la guerra allo Stato
islamico.
I popoli non hanno alcun motivo per appoggiare questa guerra che fa unicamente gli interessi
degli imperialisti, cioè del capitalismo e delle classi dominanti borghesi, che per sostenere le loro
economie e "spazi vitali" usano le armi per sottomettere i popoli che si ribellano al loro dominio e
per depredare le ricchezze, soprattutto il petrolio e le materie prime, dei loro paesi.
Attualmente è il Medio Oriente, in particolare la Siria, l'Iraq e la Libia, che fa gola all'imperialismo
americano, europeo e russo. Nonostante essi siano in contraddizione e in lotta per l'egemonia in
quella regione, ora sono uniti per combattere lo Stato islamico, che rappresenta il maggiore ostacolo per i loro piani di dominio nel Medio Oriente.
Gli amanti della pace, della libertà e dell'autodeterminazione dei popoli, dell'indipendenza e della
sovranità dei paesi, non possono quindi stare dalla parte degli aggressori imperialisti, ma da
quella dello Stato islamico aggredito. Il PMLI, nonostante non condivida assolutamente la sua
ideologia, cultura, tattica, strategia e tutti i suoi metodi di lotta, azioni e obiettivi, non può non appoggiarlo nella sua lotta contro gli imperialisti. Perché è interesse comune liberare il mondo
dall'imperialismo, che è la causa delle guerre, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'esistenza delle classi, delle ingiustizie sociali, della fame, della disoccupazione, della disparità territoriale e dei sessi, del fascismo, del razzismo, dell'omofobia, dell'emigrazione. E' la barbarie
dell'imperialismo che genera barbarie.
Non esiste un imperialismo buono, quello russo o cinese, e un imperialismo cattivo, quello americano o europeo. Tutti gli imperialismi sono cattivi e nemici dell'umanità. Lottano tra di loro per il
dominio sul globo anche a costo di scatenare una guerra mondiale. Devono essere fermati.
Il contributo più grande che il popolo italiano possa dare a questa lotta antimperialista universale
è quello di opporsi a ogni atto interventista e guerrafondaio del governo imperialista del nuovo
duce Renzi. Esso è presente in armi in Iraq e Afghanistan, ed è pronto a bombardare con i Tornado e i Droni lo Stato islamico nel territorio che questo ha strappato all'Iraq. Aspetta solo di avere
la contropartita a cui tiene tanto, quella della guida della missione militare in Libia.
Il popolo italiano deve rifiutarsi di diventare carne da cannone per l'imperialismo italiano e, nel
caso in cui l'Italia partecipasse a una eventuale guerra mondiale imperialista, deve sollevarsi
anche in armi, se occorre, per imperdirla.
Questo governo è una iattura per la sua politica interna ed estera, bisogna cacciarlo.
stampato in pr.
14 novembre 2015, ore 9,04
l’Ufficio politico del
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
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N. 45 - 10 dicembre 2015
attentati a Parigi e lotta all’imperialismo / il bolscevico 11
LETTORI
DIALOGO
Non trovate delirante il comunicato
dell’Isis sugli attentati di Parigi?
Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente
la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non
devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi.
Trovo il comunicato dell’ISIS sugli attentati di Parigi assolutamente delirante. Il colpevole di quanto sta accadendo in Medio Oriente non
è la popolazione ma, in questo caso, il governo francese, e chi governa
l’ISIS dovrebbe saperlo. Fare azioni del genere, per far capire all’occidente l’orrore che si vive quotidianamente in quei martoriati paesi, oltre
a mettersi sullo stesso piano di chi, bombardando indiscriminatamente,
continua a fare vittime civili, non aiuta certo la convivenza pacifica tra
credenti di opposte religioni!
Sappiamo tutti benissimo di chi è la colpa di tutto questo, le vittime
delle stragi altro non sono che figlie del cinismo imperialista occidentale e russo! Siamo tutti d’accordo nell’appoggiare l’autodeterminazione dei popoli e la loro lotta di liberazione, penso che chiunque abbia un
briciolo di cervello sia per un fronte antimperialista, ma personalmente voglio scegliermi i compagni con cui fare questo fronte. Posso comprendere che i militanti dell’ISIS fanno parte di una generazione che ha
vissuto una guerra d’invasione sulla propria pelle, una generazione che
ha visto parenti e amici morire, però mi riesce impossibile giustificare
certi atti. Non è uccidendo persone innocenti, infedeli che vivono in paesi dall’ISIS ritenuti luoghi di abominio e perversione, che si combatte
l’imperialismo.
Quanto aveva ragione Marx affermando che la religione è l’oppio
dei popoli! Mi dispiace, ma non sono d’accordo, non ritengo secondari
gli inneggiamenti religiosi, così come non ritengo secondari gli sgozzamenti e gli eccidi perpetrati nei confronti degli sciiti. Non sono d’accordo neppure sul fatto che quel che conta, in questi casi, sia l’unità antimperialista a prescindere, e quindi considerare l’ISIS membro del fronte
antimperialista!
Saluti rossi.
Bob - Emilia
Abbiamo l’impressione che tu
abbia malinteso il motivo per il
quale è stato pubblicato il comunicato dell’IS. “Il Bolscevico” non
voleva appoggiare tale comunicato, bensì mostrare ai suoi lettori
che la vera motivazione dell’attacco era il ruolo della Francia fra
gli Stati che devastano il Medio
Oriente da oltre un decennio. Ciò
è specificato anche nella nota di
introduzione al comunicato, dove
peraltro si specifica: “Ovviamente
noi consideriamo un errore grave
considerare crociati le vittime incolpevoli e innocenti di tale intervento armato. I veri crociati sono
i governanti imperialisti francesi
con alla testa Hollande che hanno
bombardato barbaramente persino
la capitale dello Stato islamico. È
inutile aggiungere che non possiamo nemmeno condividere gli inneggiamenti religiosi”. Fin qui, direi che ora ci siamo.
Marx aveva ragione da vendere
nel denunciare la religione come
oppio dei popoli. Infatti l’islam è
utilizzato dai governanti reaziona-
ri arabi per garantirsi la stabilità.
Al contempo però non possiamo
ignorare che esistono movimenti
islamici antimperialisti e persino
governi islamici antimperialisti.
Altrimenti dovremmo ripudiare
l’eroica lotta del popolo palestinese solo perché è guidato prevalentemente da gruppi islamici
come Hamas, o perché nella sua
guerra contro lo Stato nazi-sionista d’Israele perdono la vita anche
civili israeliani. In questo senso la
religione è secondaria, ma solo in
questa fase, quando si tratta di unire tutto il popolo contro l’aggressore e le contraddizioni interne a
questo popolo passano momentaneamente in secondo piano.
Quando Stalin evocava il famoso esempio dell’emiro afghano, non si sognava minimamente
di appoggiare la sua visione religiosa o la sua monarchia reazionaria, semplicemente sosteneva la
sua lotta contro i colonialisti, perché era una lotta che sarebbe tornata utile all’intero popolo afghano,
con la stessa forza con cui avreb-
Ritengo l’ISIS una creatura
dell’imperialismo e Assad
un coerente antimperialista
Avendo saputo dell’apertura di una sezione de Il Bolscevico al dibattito sulla posizione del
PMLI sull’ISIS, avevo progettato
di “dire la mia” dopo qualche riflessione. I fatti di Parigi mi hanno
definitivamente convinto a farlo.
Premettendo che non condivi-
be sostenuto, se fosse scoppiata in
seguito, la lotta rivoluzionaria del
popolo afghano per abbattere la
monarchia. E quando Mao si alleò al Kuomintang per combattere
i giapponesi che avevano invaso
la Cina, non mise forse in secondo
piano il fatto che il Kuomintang
fosse ferocemente anticomunista e
controrivoluzionario?
Se certe forze che sono diametralmente opposte a noi per quanto
riguarda ideologia, strategia e metodi di lotta, lottano contro il nostro stesso nemico, ciò è del tutto
indipendente dalla nostra volontà.
Dobbiamo prenderne atto. La resistenza antimperialista dei popoli che sono vittime dell’invasione
americana ed europea ha partorito l’IS, che è figlio del suo tempo e delle condizioni in cui è nato.
L’IS lotta contro gli imperialisti e
rivendica la fine della loro guerra
d’aggressione; è fuori discussione che lo faccia spesso con metodi sbagliatissimi, e infatti il nostro
Partito li critica. Ma ciò non cambia che anche noi lottiamo per la
fine di questa guerra. Ciò porta ad
un fronte antimperialista di fatto,
il che non toglie che noi rifiutiamo l’ideologia e i metodi dell’IS e
auspichiamo il giorno in cui i popoli arabi, finalmente liberi dalle
bombe americane ed europee, potranno liberarsi anche del califfato e costruire società migliori, progressiste, democratiche e, prima o
poi, socialiste.
La questione cruciale, tuttavia è che è in corso una guerra di
aggressione imperialista contro
l’Iraq, la Siria, lo Yemen, la Libia.
Il nostro compito antimperialista
è perciò rivendicare la fine immediata della guerra e combattere
contro ogni sua escalation. Anche
perché tu dici: “Sappiamo tutti benissimo di chi è la colpa di tutto
questo, le vittime delle stragi altro non sono che figlie del cinismo
imperialista occidentale e russo”,
ma purtroppo non è così, la propaganda imperialista pompata dai
media rischia di fare larga presa
e noi dobbiamo opporci con tutte
le nostre forze, perché ne va del-
la pace e della sicurezza del nostro
popolo.
Non dobbiamo concedere nemmeno una virgola all’imperialismo, altrimenti facciamo il suo
gioco. Sul fronte giornalistico, il
nostro compito è quindi fare chiarezza sulle responsabilità, dire
chiaro e tondo che gli Stati europei imperialisti sono gli aggressori e che quindi la responsabilità
di mettere fine alla guerra sta interamente a loro. Su questo dobbiamo concentrare i nostri sforzi,
perché questa è la lotta principale
al momento. Specie ora che questa
guerra è fatta anche di attacchi terroristici contro i civili europei, che
non condividiamo, ripetiamo, ma
che non possiamo non inquadrare
all’interno di questa guerra, come
ci sembri fare anche tu.
Su tante cose importanti siamo d’accordo, mentre non sembra che riusciamo a intenderci
sull’importanza eccessiva che tu
dai all’aspetto religioso in questo
momento. In ogni circostanza, in
ogni frangente, in ogni lotta, noi
dobbiamo mettere bene a fuoco la
contraddizione principale: in questo caso, la contraddizione principale è fra i Paesi imperialisti aggressori e i popoli arabi aggrediti.
La contraddizione fra il progresso
sociale e storico di questi popoli
da una parte, e la religione reazionaria dei loro governanti o dei movimenti che li dirigono dall’altra,
passa momentaneamente in secondo piano, perché in questo momento questi popoli e i loro governanti e movimenti che li dirigono
devono respingere uniti l’aggressione imperialista. Lo stesso vale
per noi, antimperialisti dei Paesi
imperialisti, a cui spetta il compito di combattere contro i rispettivi
governi imperialisti. Solo un domani, quando l’imperialismo se ne
sarà andato da quei luoghi, quando
quei popoli non dovranno preoccuparsi di chi li bombarda giorno
e notte, la religione diventerà parte
della contraddizione principale.
Come te pensiamo che gli inneggiamenti religiosi siano inaccettabili, come te pensiamo che
considerare Parigi luogo di abomi-
do assolutamente la tattica di difesa dell’ISIS, mi piacerebbe entrare nel merito della questione e
chiarire anche, col vostro ausilio,
qualche domanda che mi è sorta in
questo tempo. Secondo me non è
vero che non esistono forze antimperialiste nell’attuale situazione
internazionale “a parte l’ISIS”. In
Siria, l’unica figura coerentemente antimperialista è quella di Assad che, ben lungi dall’essere “dipendente dalla Russia”, ha portato
avanti in questo quindicennio delle buonissime politiche economiche e sociali che hanno reso la Siria un paese avanzato e con molte
meno piaghe sociali dei paesi occidentali: al 2010, per esempio, il
PIL fu quadruplicato e la disoccupazione dimezzata. Tutte le religioni convivevano pacificamente. Poi gli imperialisti USA e i loro
lacchè inglesi, francesi, israeliani,
turchi e gli emirati oscurantisti del
Golfo decisero di scatenare quella
falsa “rivoluzione” che in quattro
anni ha portato ben 300.000 morti.
Tutto perché gli imperialisti volevano prendersi la Siria, ma il popolo siriano gliel’ha impedito e
alle ultime elezioni Assad ha preso l’89% dei voti!
Sulla Russia, trovo che in questa particolare congiuntura storica
stia svolgendo un ruolo progressista d’opposizione alle mire egemoniche dell’imperialismo USA e
contro l’egemonismo in generale,
così come l’Iran, e ciò è testimoniato anche dalla fiducia che gli
ucraini dell’est ripongono in essa.
Non capisco perché definirla “imperialista” (nemmeno la Cina, pur
essendo un paese revisionista e capitalista, mi sembra definibile tale
almeno per ora), anzi, mi sembra
una valida forza su cui appoggiarsi, come sta facendo anche la Corea socialista, e tra l’altro è l’unica
che combatte davvero il terrorismo: sembra che il PMLI oggi non
sostenga più alcun paese antimperialista.
L’ISIS tra l’altro fu creato dagli stessi USA nel 2005, i quali
tutt’oggi continuano a finanziarla insieme ai mostri di cui sopra, nell’ambito dell’invasione
dell’Iraq che portò alla detronizzazione dell’altro antimperialista, Saddam. Non capisco perché
chiamarli antimperialisti: Il loro
obiettivo è l’instaurazione della
Sharia mondiale, perseguitano i
comunisti curdi, e lo Stato che vogliono creare non ha alcuna legittimità dirittuale perché non è mai
esistito! Tutte le loro rivendicazioni muovono da posizioni religiose,
non politiche.
So bene che il PMLI dice di non
appoggiare i metodi, le strategie,
le tattiche e l’ideologia dell’ISIS:
ma allora che cosa appoggia?
Un’altra curiosità che mi è sorta è come mai nel 2001 il PMLI
definì l’attentato alle Torri Gemelle “miope e folle” e ora, ne
Il Bolscevico sull’ultima sessione
plenaria del CC, quello sia diventato “l’inizio della stagione di lotta degli islamici antimperialisti”;
come mai il PMLI, che ha sempre
Un’immagine del raid russo su Ragga capiale dello Stato islamico
nio e perversione da un punto di
vista religioso sia un grave errore,
però riteniamo che l’aspetto più
importante del comunicato dell’IS
non sia questo, bensì il passaggio
in cui afferma che la Francia è stata colpita perché bombarda i popoli arabi; prova a rileggerti il comunicato, noterai anche tu che gli
stessi islamici integralisti dell’IS
pongono l’accento sui bombardamenti, non tanto sulla “perversione”. Lo stesso viene fatto nell’articolo di “Dabiq” pubblicato sul
numero scorso de “Il Bolscevico”. Questo è importante perché
richiama i governi europei, americano e russo alla loro responsabilità: cessare la guerra e ritirare i
loro eserciti dal Medio Oriente e
dall’Africa. Abbiamo con ciò voluto pubblicare due documenti
che i media borghesi si guardano
bene da rendere noti, da cui si capisce che sono proprio i circoli e i
governi guerrafondai a parlare di
guerra di civiltà per nascondere
la natura economica e politica del
conflitto che vede un pugno di potenze imperialiste nel ruolo di aggressori e i combattenti dell’IS e i
popoli della regione in quello degli aggrediti.
Purtroppo non siamo noi a decidere con chi avere a che fare nel
fronte antimperialista, perché esso
oggi non corrisponde ai nostri desideri soggettivi. Possiamo però
decidere come rapportarci. Infatti appoggiamo la resistenza dei
movimenti islamici antimperialisti, ma non gli attacchi terroristici
contro i civili né la loro ideologia
né le loro istituzioni né la guerra
contro i curdi, ecc.
L’importante comunque è che
siamo d’accordo sulla lotta contro
i nuovi piani di guerra all’imperialismo e contro gli appelli all’“unità nazionale” da parte dei governanti borghesi, compreso Renzi.
Questa è la questione principale
al momento sulla quale dobbiamo
restare uniti senza vacillare.
Sull’IS continuiamo a discutere, diamo tempo al tempo e lasciamo che gli avvenimenti ci dicano
chi ha ragione e chi torto.
Saluti rossi e antimperialisti.
condannato ogni forma di terrorismo, adesso distingue tra “terrorismo rivoluzionario” e “terrorismo
controrivoluzionario”: per come
la vedo io, a paragone furono più
rivoluzionari l’attentato a Berlusconi nel 2009, la sparatoria a Palazzo Chigi nel 2012 e quella nella
Banca di Milano quest’anno, che
se non altro esprimevano il forte
disagio della vita sotto il capitalismo e l’impossibilità di andare
avanti così.
In conclusione, credo che l’unica posizione davvero comunista da
adottare sia sì il solidarizzare con
le vittime dell’attentato di Parigi,
ma condannare l’ISIS come organizzazione messa su dall’imperialismo USA e dai suoi lacchè e
fermare l’immigrazione incontrollata che, nascondendo tra i profughi elementi tutt’altro che impeccabili, mette ogni giorno che passa
sempre più a rischio la sicurezza
dei popoli europei.
Jean-Claude - Firenze
12 il bolscevico / PMLI
N. 45 - 10 dicembre 2015
Nell’affollatissimo centro città
La Cellula napoletana del PMLI
diffonde il documento di critica alla
giunta antipopolare De Magistris
‡‡Dal corrispondente della
I volantini andavano via come il pane
Cellula “Vesuvio Rosso” di
Napoli
Domenica 29 novembre in
piazza S. Domenico Maggiore la
Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli del PMLI ha propagandato il
suo ficcante documento relativo
alle malefatte compiute nei quasi quattro anni di amministrazione
dal falso rivoluzionario arancione
Luigi De Magistris.
La squadra di propaganda
marxista-leninista ha ritenuto indispensabile questo largo volantinaggio, dato che in vista delle
prossime elezioni il neopodestà
napoletano e la sua giunta stanno tentando di ripulire la propria
“faccia” rispetto al sostanziale
immobilismo di questi anni sulle
problematiche che attanagliano le
masse popolari di Napoli.
La diffusione si è svolta del
migliore dei modi colorata da una
magnifica giornata di sole con le
strade gremite dalle masse e da
turisti che, incuriositi dal nostro
documento, in più riprese hanno
chiesto maggiori approfondimenti sulla nostra posizione politica
elettorale astensionista.
L’iniziativa si è conclusa dopo
aver distribuito diverse centinaia di copie del volantino, date via
come il pane, una giornata che ha
rinvigorito i compagni partenopei galvanizzandoli e proiettandoli a pianificare altri diffusioni con
l’intento di smascherare il neopodestà De Magistris fino alla prossima tornata elettorale ribadendo
che l’unica via in grado di creare
una reale partecipazione popolare
è l’astensionismo con la creazione
di Assemblee popolare e Comita-
ti popolari cittadino e di quartiere delle masse fautrici del socialismo, che facciano da contraltare
Napoli, 29 novembre 2015. Il compagno Andrea discute con gli interessati la posizione della Cellula “Vesuvio Rosso” sulla giunta De
Magistris (foto Il Bolscevico)
Risposta dei compagni romani alla solidarietà del Partito
Le intimidazioni ci hanno resi ancor più coscienti e
sicuri nella lotta contro l’imperialismo e il capitalismo
Ecco la lettera con la quale
i compagni romani rispondono alla solidarietà ricevuta da
istanze centrali e locali del Partito dopo l’intimidazione subìta
nel corso della manifestazione
studentesca del 17 novembre
scorso e di cui è apparsa la cronaca sul numero scorso del nostro giornale.
Cari compagne e compagni,
grazie della solidarietà. È
molto importante sentire tutto il
Partito vicino e unito. Se questi
provocatori in stile fascista pen-
savano di intimidirci e metterci
paura, hanno sbagliato di grosso. Possiamo affermare piuttosto che abbiano sortito l’effetto
contrario: ossia siamo ancora
più coscienti e sicuri della nostra linea politica e orgogliosi
di essere l’unico Partito che ha
analizzato la natura dello Stato
Islamico in profondità, scansando via tutte le distorsioni, le
iperboli, le sterili teorie complottistiche, le euforie guerrafondaie e il banale umanitarismo dei
media occidentali, dei servi della borghesia e della propaganda
alla dittatura delle istituzioni e dei
politicanti borghesi che soffocano
le masse partenopee.
borghese.
Nello scenario internazionale
è impossibile oggi staccare l’IS
dalla lotta all’imperialismo di
Usa, UE e Russia. Lo capiranno
presto anche questi falsi comunisti, travestiti male da cavalieri
della democrazia e della libertà
con le effigi russe sul petto raccolte dalle ceneri socialimperialiste, o verranno spazzati via
dagli eventi storici in continuo
divenire.
Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma del PMLI
Stiamo
in cordata
stretti l’uno all’altro
sostenendoci
reciprocamente
tenendo ben alta la bandiera
dell’antimperialismo
Con i Maestri e il PMLI
vinceremo!
PMLI in azione a Borgo S. Lorenzo (Firenze)
Interesse per il volantino
“Non farsi imbrogliare dalla
propaganda imperialista”
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di
Vicchio del Mugello del PMLI
L’Organizzazione di Vicchio
del Mugello (Firenze) del PMLI
nel pomeriggio di venerdì 27
novembre ha diffuso il volantino con l’importante editoriale
de “Il Bolscevico” n° 44 dal
titolo “Non farsi imbrogliare
dalla propaganda imperialista”,
al mercato settimanale di viale
della Resistenza a Borgo San
Lorenzo.
L’obbiettivo del volantino è
di mettere un argine al bombardamento dei mass-media borghesi nei confronti delle masse
dopo gli attentati di Parigi.
C’è stato interesse tra la
popolazione per il volantino,
un’anziana indicando il simbolo del Partito ha esclamato
“Questo mi piace!”. Con alcuni abbiamo anche scambiato
qualche parere e diversi sono
i dubbi emersi sull’operato dei
Paesi imperialisti. In generale rileviamo con piacere che
il bombardamento mediatico
Il compagno Franco Dreoni, ,
alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici (foto Il
Bolscevico)
lascia i segni ma non ha fatto
“tabula rasa”.
Insomma, questo volantino
del nostro Partito è arrivato al
momento giusto per chiarire le
idee tra la popolazione.
Invitato ufficialmente il PMLI a un dibattito della “7ª festa
per l’unità della sinistra d’alternativa” di Pray (Biella)
Urban smaschera
l’intervento di Ferrero
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Sabato 28 novembre 2015
all’interno della “7ª festa per l’unità
della sinistra d’alternativa” di Pray,
in provincia di Biella, si è tenuto il
dibattito pubblico “Unità dei Comunisti, unità della Sinistra un’esigenza e un impegno” che ha visto
quali relatori il segretario nazionale
del PRC, Paolo Ferrero e Paolo
Comella della segreteria provinciale di SEL di Vercelli. Moderatrice
del dibattito è stata Lucietta Bellomo, segretaria della federazione
Biellese del PRC che ha ufficialmente invitato l’Organizzazione
biellese del PMLI al dibattito.
Ha preso subito la parola
l’esponente di SEL che tra una
frase vuota e l’altra ha incredibilmente difeso quelle amministrazioni locali, tra cui quella comunale di Torino, in cui il partito
di Vendola appoggia senza vergogna il PD nelle comuni scelte
antipopolari fatte di tagli ai servizi
sociali ed assistenziali in diretto
sfavore per le masse popolari.
Successivamente è intervenuto Paolo Ferrero, che in prima
battuta ha ringraziato per l’invito
gli organizzatori della festa in Valsessera e ha affermato che ciò
che conta per i dirigenti nazionali
del PRC sarebbe “Mantenere un
rapporto vivo e diretto con gli
iscritti di base del partito”. Ha poi
elencato molti mali che affliggono
l’Italia d’oggi dall’elevato tasso di
disoccupazione giovanile alla pericolosa demagogia razzista e xenofoba della Lega Nord di Matteo
Salvini sottolineando che i media
dell’attuale regime neofascista lo
interpellano unicamente quando
accadono tristi fatti di cronaca
nera, come gli omicidi, perché
i giornalisti prezzolati di regime
hanno l’esclusivo interesse nel
fare scontrare, come in un ring
di combattimento, gli esponenti
razzisti e qualunquisti della Lega
Nord con quelli ritenuti “comunisti” o, quantomeno, di “sinistra”.
Ferrero ha tenuto a sottolineare che in oltre 7 anni da segretario nazionale di Rifondazione
non è mai stato consultato per
esporre le tesi del PRC sulle proposte di destinazione alternativa
Il compagno Gabriele Urban interviene all’iniziativa del PRC. Al centro del tavolo della presidenza Paolo Ferrero (foto Il Bolscevico)
delle risorse statali in favore dei
giovani, della sanità e scuola
pubbliche. Ha poi denunciato la
totale sudditanza delle istituzioni
politiche alle banche cui vengono letteralmente regalati milioni
di euro, provenienti dalle tasse
degli italiani, che poi gli istituti di
credito prestano alle lavoratrici e
ai lavoratori imponendo interessi altissimi, quasi al limite dello
strozzinaggio.
Al termine degli interventi dei
relatori hanno portato i saluti gli
invitati ufficiali tra cui Alex Villarboito, neosegretario di Coalizione
Sociale di Vercelli, nonché RSU
di una fabbrica metalmeccanica
vercellese che ha riconfermato
l’intenzione di Coalizione Sociale
di non trasformarsi nell’ennesimo
partito politico a sinistra del PD
ma di rimanere un “Laboratorio di
idee per la sinistra” dove chiunque e qualunque associazione
può portare il proprio contributo.
Anche qui, diciamo noi, nulla di
nuovo sotto il sole.
Ha poi preso la parola il compagno Gabriele Urban, Responsabile dell’Organizzazione biellese del PMLI, che dopo aver
ringraziato la segretaria del PRC
di Biella, Lucietta Bellomo, per
l’invito ufficiale riconfermando il
proficuo lavoro di fronte unito che
a Biella vede il PMLI ed il PRC impegnati su comuni battaglie come
la lotta contro le “grandi opere”
inutili, quali le battaglie NO TAV,
e contro il razzismo e il neofascismo, ha evidenziato le questioni
principali del proprio intervento
che verteva sulla necessità delle
militanti e dei militanti di base del
PRC di pretendere risolutivamente dai propri dirigenti nazionali
delle politiche tattiche e strategiche sinceramente comuniste
e non riformiste e socialdemocratiche come quelle realizzate
fin dalla fondazione del PRC nel
1991.
Nelle sue risposte Paolo Ferrero ha risposto direttamente al
compagno Gabriele Urban facendo autocritica per l’appoggio diretto di Rifondazione al secondo
governo Prodi, dove lui ha ricoperto il ruolo di ministro della solidarietà sociale, affermando che
d’ora in avanti non faranno mai
più alleanze col PD di Renzi in
quanto questo è “Un partito che
applica espressamente politiche
di destra”.
Incalzato dalla segretaria del
PRC di Biella che gli chiedeva
come sia possibile un’unità della
sinistra con un partito come SEL
di Nichi Vendola che appoggia
direttamente, e con convinzione,
molte amministrazioni locali con
il PD, Ferrero ha fumosamente
risposto che si dovrà “Conoscere
caso per caso” per poi citare più
volte papa Francesco ed il “Cattolicesimo sociale come una delle
componenti ideologiche fondamentali su cui basare future alleanze programmatiche” lasciando
molto confusi e perplessi le poche decine di militanti del PRC
convenuti al pubblico dibattito.
corrispondenze e contributi / il bolscevico 13
N. 45 - 10 dicembre 2015
In aumento le intimidazioni fasciste a Napoli
Nazifascisti
aggrediscono con un
coltello una studentessa
antifascista
La giunta De Magistris quando
prende provvedimenti?
‡‡Redazione di Napoli
Martedì 17 novembre alle
21 e 30 in via Caldieri, quartiere Vomero, si è consumata una
vile grave aggressione ai danni
di una studentessa liceale di 17
anni da parte di un fascista.
La ragazza, in un video realizzato dai centri sociali napoletani,
ha denunciato immediatamente
l’aggressione che così si è sviluppata: mentre rincasava attraversando il quartiere, all’altezza
di via Caldieri veniva fermata,
con la scusa di un’indicazione, da
un individuo sulla quarantina, da
lei immediatamente riconosciuto come appartenente all’organizzazione nazifascista di Casapound, che già l’aveva provocata
nei giorni precedenti. Il fascista,
questa volta, l’ha afferrata, sbattuta con violenza contro il muro
e poi le ha premuto un coltello
contro la gola, minacciandola in
vario modo, e cosa ancora peggiore, molestandola sessualmente. La ragazza aveva potuto notare che subito dietro a costui
c’erano altri tre individui che
controllavano la strada, come se
l’agguato fosse premeditato. Nonostante le fosse stato imposto di
non urlare e fosse minacciata col
coltello premuto sulla pelle, la
studentessa ha trovato la forza di
gridare, costringendo i quattro a
dileguarsi rapidamente. Un’aggressione che, secondo i giovani
dei centri sociali, sarebbe riconducibile a Casapound, che “nelle
settimane passate aveva promesso – addirittura con minacce sui
social network – ‘vendetta’ con-
tro i ragazzi dei collettivi che nel
corso di un’iniziativa di pulizia
della zona antistante alla succursale del Pansini, avevano ‘osato’
stracciare degli striscioni inneggianti all’odio e al razzismo”.
D’altronde già i gravi accoltellamenti nel 2011 fuori all’università “Federico II”, all’altezza
delle facoltà di Giurisprudenza e
Scienze politiche, in piena campagna elettorale, bissati da altri
episodi culminati nell’aggressione di una squadraccia nazifascista verso la fine di marzo del
2015 al liceo scientifico “Vincenzo Cuoco”, nel quartiere Sanità, storicamente denominata
la “centrale rossa antifascista”
per aver respinto i fascisti vecchi
e nuovi. Per tutto aprile e maggio Casapound non è riuscita ad
uscire dal suo covo di via Foria
perché ogni giorno le studentesse e studenti del liceo presidiavano la strada, mentre i nazifascisti venivano ben protetti dalla
Digos e dalle “forze dell’ordine”
in assetto antisommossa agli ordini di Renzi e Alfano.
Un segnale chiaro e forte
dato dagli antifascisti che hanno poi manifestato lo scorso 20
novembre per ribadire il loro no
a questa teppaglia chiedendo la
chiusura dei covi nazifascisti a
Napoli. Silenzio, invece, dalla
giunta arancione del neopodestà
De Magistris che, sbandiera il
suo antifascismo con i suoi pomposi proclami, per poi non ricacciare, con i provvedimenti necessari, questi topi di fogna nella
cloaca da dove sono venuti.
Stalin molto ci insegna
sulla lotta contro
i pregiudizi religiosi
di Eugen Galasso - Firenze
Come sempre, dei grandi Maestri è la saggezza, che per un marxista-leninista è la capacità di capire la dinamica e la dialettica
della lotta di classe, in rapporto a
quella tra forze produttive e rapporti produttivi.
Così le indicazioni di Stalin (ne
“Il Bolscevico” n. 44) in rapporto
alla sharia sono assolutamente opportune, come ovvio e comprensibile a priori, del resto. Così, riaffermare, nel novembre del 1920
che “Esso (il governo della Russia) ritiene lo shariat un diritto
inoppugnabile, normale, che hanno anche altri popoli che abitano
la Russia. Se il popolo daghestano
desidera conservare le sue leggi e
i suoi costumi, questi debbono essere conservati”. Al tempo stesso,
riconoscendo che le masse del Daghestan (a maggioranza islamica
ma chiaramente ciò varrebbe per
ogni altra religione, che nasce da
pregiudizi irrazionali, da paure a-
scientifiche e i pregiudizi li porta
con sé) “sono fortemente permeate da pregiudizi religiosi”, parla
di “sistemi indiretti, più cauti”, al
posto della “Lotta diretta contro
i pregiudizi religiosi”. Tale “politica cauta e ponderata che incanali gradualmente queste masse
nell’alveo generale dello sviluppo sovietico”, ci insegna molto
per l’oggi: impossibile pretendere
sic stantibus rebus (per come ora
stanno le cose, ossia la situazione oggettiva dei combattenti dello
Stato islamico) che rinuncino tout
court al pregiudizio religioso ma,
nel nome di una comune lotta anti-imperialista, è più che possibile che una gran parte di tali masse (di masse ormai si tratta), in un
futuro prossimo, prenda atto realisticamente della situazione di
sfruttamento da parte della “Santa alleanza” imperialista, avvicinandosi al marxismo-leninismo e
rinunciando ai propri fantasmi religiosi, di cui la sharia è una delle
espressioni.
E’ necessario, come propone il PMLI,
costruire un governo alternativo
nelle scuole e nelle universita’
Il risultato dell’autonomia scolastica che dagli anni 90 ha avuto
sempre il beneplacito dei vertici
sindacali confederali reazionari,
non ha portato altro che una scuola e un’istruzione sempre più in
mano alla borghesia e ai padroni
e all’asservimento al neo liberismo
con le varie riforme che si sono
succedute negli ultimi decenni
e portate a conclusione dalla vigliacca legge 107 del nuovo duce
Renzi. In sostanza questo percorso ha ridotto l’istruzione pubblica
e la scuola italiana ad una merce,
subordinandola di fatto agli interessi dei pescecani capitalisti di
Confindustria; contemporaneamente sta distruggendo il sapere
emancipante e i diritti garantiti per
tutti, formando le nuove generazioni di cittadini acritici e consumatori anziché consapevoli ed
emancipati. Il tutto funzionale ad
un futuro di estremo sfruttamento
e schiavismo nei confronti prima
degli studenti e poi dei lavoratori.
Gli studenti attraverso la scuola-lavoro, 400 ore per i tecnici e i
professionali e 200 ore per i licei,
vengono quasi sempre ingaggiati
e ingannati da aziende ed enti sottoponendoli senza salario a svolgere lavori non compatibili con i
loro indirizzi di studio ma funzionali a produrre solo profitti gratuiti;
essi si ritroveranno poi con nessuna professionalità da presentare nei propri curriculum quando
dovranno entrare nel “mercato del
lavoro”. In pratica la scuola per gli
studenti è come un parcheggio
dove poi gli sfruttatori vanno ad
attingere gli schiavi moderni con
una minima preparazione. I lavoratori hanno invece, da ben sei
anni, il contratto di lavoro scaduto
e bloccato con una perdita salariale di circa 250-300 euro pari al
20% circa, ai quali il governo fascista di Renzi ha offerto in legge
di stabilità il vergognoso aumento
contrattuale che varia dagli 8 ai 12
euro mensili.
Con il blocco delle assunzioni del personale ATA (ausiliariotecnico-amministrativo) con più di
36 mesi di servizio, sdoganando
di fatto il precariato e non con-
sentendo in caso di malattia la
sostituzione in particolare per il
settore amministrativo mettendo
nel caos organizzativo le scuole,
i dirigenti scolastici cercano di
risolvere con intimidazioni gerarchiche e con l’aumento dei carichi
di lavoro per i pochi rimasti certe
mancanze d’organico. Per non
parlare delle nuove assunzioni dei
docenti che dopo 3 anni potranno
rischiare anche il licenziamento se
non si asserviranno ai voleri dei
nuovi presidi-manager e ai precari
con cattedre di poche ore che a
tutt’oggi stanno lavorando senza
essere retribuiti.
Per questi motivi ho aderito
allo sciopero generale indetto dai
Cobas-scuola del 13 novembre
scorso nell’attesa che anche i
sindacati confederali si decida-
no ad indirne un altro invece di
convocare assemblee e manifestazioni che di fatto, a mio avviso,
non fanno altro che soffocare la
lotta degli studenti, dei docenti e
del personale ATA, dando anche
questa volta come su altre riforme
un messaggio di resa e di appiattimento agli attacchi ai propri diritti
(borghesi) che stanno subendo le
masse lavoratrici e studentesche
in generale e in questo caso della
scuola pubblica.
È necessario un fronte comune
tra studenti, docenti e personale
ATA per combattere, boicottare
le istituzioni scolastiche gli organi
collegiali di stampo fascista volute
dalla “riforma” Renzi.
Sarebbe veramente necessario, come propone il PMLI, costruire un governo alternativo nelle
scuole e nelle università che si
basi sull’autogestione anche dei
piani formativi e della didattica
che ad oggi è impregnata da valori
borghesi al servizio dei capitalisti
e non solo degli spazi.
La scuola e l’istruzione in generale devono ritornare pubbliche
e gratuite e culturalmente non
funzionali agli interessi della borghesia capitalista ma funzionali
agli interessi del proletariato e del
popolo smascherando una volta per tutte il marciume dei valori
borghesi corrotti dal capitalismo,
lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e le ingiustizie sociali.
Ci vorrebbe infine un’istruzione
socialista controllata dal proletariato al servizio del proletariato.
Massimo - Pontassieve (Firenze)
La “Buona scuola” mette il bavaglio
alle voci critiche e dissidenti,
vuol tacitare i soggetti più scomodi
Un episodio quantomeno avvilente ed increscioso, è accaduto
nella scuola dove insegno. Hanno
promosso un convegno con i soliti
personaggi politici (De Mita, ecc.)
ed hanno costretto gli insegnanti
ad essere presenti in seguito ad
un ordine di servizio, convocando
ufficialmente un collegio dei docenti che non si è mai tenuto. Un
abile stratagemma per obbligare il
corpo docente a fornire una platea
gratuita alla mercé di questi notabili politici.
Si è trattato di un vero abuso
di potere, un atto illecito, un’inaccettabile imposizione nei nostri
confronti. Per cui ho denunciato
la cosa, divulgando un resoconto
alla stampa, in seguito ripreso da
un parlamentare di SEL, il quale
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO
A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che
riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita
e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori,
nella scuola o università dove studi, nel quartiere e
nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno
ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da
tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a
tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle
masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del
palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
ha emanato un proprio comunicato ed ha promesso di presentare
un’interrogazione parlamentare.
Contestualmente, la CGIL scuola
ha inviato una nota formale all’Ufficio Scolastico della Campania.
D’ora innanzi potrei subire atti ritorsivi. Personalmente, non temo
nulla. Nel malaugurato caso, userò le mie abituali “armi”, vale a dire
la parola scritta. Questi signorotti
politici devono capire che non
possono spadroneggiare sempre,
comunque e dovunque.
Non si può non contestare tale
iniziativa, platealmente strumentale, che piega la scuola agli scopi di
alcuni politicanti. Come docenti,
che hanno una dignità professionale, umana ed etica da tutelare,
non possiamo prestarci a simili
giochetti, a pretesti utili a promuovere passerelle politiche che non
hanno alcuna attinenza diretta con
gli interessi e i problemi reali della
scuola. È una circostanza esemplare che attesta, in modo netto
ed inequivocabile, come non esista alcuna discontinuità rispetto
alla precedente gestione della
scuola. Anzi, l’iniziativa si colloca in perfetta linea con il vecchio
modello politico-direttivo. Mi sono
espresso in ogni modo contro la
“Buona scuola”.
Il 5 maggio scorso si è astenuto
dal lavoro l’80% circa dei dipendenti della scuola (si è trattato dello
sciopero più imponente, massiccio
e partecipato nella storia della scuola pubblica italiana), ho preso parte
a numerose assemblee sindacali e
a manifestazioni di piazza. Da oltre
un anno e mezzo mi batto contro
la barbarie renziana. Ho scritto e
continuo a scrivere post, lettere e
articoli contro l’inciviltà renziana.
Ma invano. Tale vicenda testimonia come la legge 107/2015 serva
solo a mettere il bavaglio alle voci
critiche e dissidenti, a tacitare e far
allineare i soggetti più scomodi.
Lucio Garofalo - Lioni (Avellino)
Sul piano morale la Chiesa
cattolica è pluriomicida
di Marcello Ranieri Pogliano Milanese (Milano)
Quasi tutti sono a conoscenza
dell’esistenza del Tribunale Penale
Internazionale Dell’Aja. Tale organo di giurisdizione internazionale
si occupa di giudicare in caso di
Crimini contro l’umanità. Quelli più
noti sono certamente il genocidio
e la strage. Essi consistono nello
sterminare sistematicamente e per
lunghi periodi gruppi di persone e
intere popolazioni. Molte condotte
della Chiesa nel corso della storia, la più nota sono certamente le
crociate, rientrano a pieno titolo in
tali categorie.
È fuori di dubbio che su di un
piano morale la Chiesa cattolica è
pluriomicida! La domanda che ci si
pone è: se tali carneficine fossero
perpetrate oggi, le gerarchie cattoliche sarebbero mai sbattute sul
banco degli imputati? Vedremmo
mai il falso vicario di Cristo (Cristo
non ha lasciato alcun vicario) alla
sbarra degli imputati?
La Chiesa cattolica si è sempre posta come obiettivo quello
di opprimere il popolo e i propri
fedeli; come grazie al suo potere
ha occultato il vero messaggio
del dettato biblico, stravolgendone integralmente il contenuto,
così comprerebbe anche il silenzio delle Autorità internazionali e
tutti, ipocritamente, tacerebbero, in nome della cooperazione e
dell’accoglienza di tutti, con buona pace di chi, in nome di Cristo,
anziché ricevere amore, viene
spedito al cimitero.
14 il bolscevico / lettere
Lavoriamo e studiamo
seriamente per
trasformare noi stessi e
il mondo
Cari compagni,
ho letto l’articolo del compagno Maurizio Littera sulle indicazioni di Mao ai marxisti-leninisti,
articolo che secondo me rappresenta una sintesi ineccepibile della vita dei giovani marxistileninisti. Quello che noi giovani
abbiamo è un fardello pesante
poiché non sempre è facile riuscire a far breccia tra gli studenti
che, come diceva il compagno,
sono vittime di un’educazione individualista borghese (di cui noi
cerchiamo sempre di liberarci).
Ci sono tanti ostacoli nel cammino che supereremo fino a raggiungere i nostri nobili obiettivi
lavorando e studiando seriamente, trasformando noi stessi e il
mondo.
Una compagna siciliana
Grazie per avermi
riportato sulla giusta via
che avevo smarrito con
il precedente impegno
politico
Care compagne e cari compagni,
grazie per la mail di ringraziamento che mi avete inviato. Non vi nascondo che quanto
avete scritto mi fa molto piacere
ed è per me un ulteriore stimolo a continuare nella mia attività
al servizio del Partito, della classe operaia e, in generale, delle
masse popolari. Come ho già
anticipato al compagno Franco,
dell’Organizzazione di Vicchio
del Mugello, che ho come riferimento, verserò al Partito un ulteriore contributo al momento della riscossione della tredicesima
mensilità.
Per quanto riguarda il lavoro che svolgo per il PMLI, grazie
per le belle ed importanti parole
ma sono io che vi devo ringraziare per avermi riportato sulla giu-
sta via; via che avevo smarrito
con il precedente impegno politico (come sapete).
In ultimo, l’appoggio sulla
questione dell’Is è doveroso per
chi crede che il capitalismo vada
abbattuto e instaurato il socialismo, certo con le dovute distinzioni rispetto al nostro pensiero
ma fermamente convinti che devono essere appoggiati i movimenti antimperialisti. La barbarie
genera solo barbarie.
Certo non è facile sostenere la nostra posizione alla luce
del martellamento mediatico sulla questione, ma vi posso assicurare che sono molti quelli che
sono stanchi di vivere nel terrore indotto dai macellai capitalisti.
Nostro compito è far emergere
le contraddizioni con la dialettica
ed il confronto.
Ancora grazie a voi, compagne e compagni e al PMLI, un
caro saluto rosso e a presto.
Coi Maestri e il PMLI, vinceremo!
Andrea Borgo San Lorenzo (Firenze)
Appoggio pienamente
e senza riserve la linea
politica estera e interna
del PMLI
Care compagne e cari compagni,
esprimo la mia solidarietà al
PMLI sull’attacco mediatico di
tipo borghese e capitalista che
ha subìto per il suo appoggio allo
Stato islamico e ai compagni di
Roma e Napoli aggrediti dai falsi
comunisti durante le manifestazioni.
Mi complimento e sono d’accordo con il compagno Erne riguardo all’analisi chiara e dettagliata sull’imperialismo durante
la 5ª Sessione plenaria del 5°
CC del PMLI pubblicata su “Il
Bolscevico”. Sono solidale con i
movimenti islamici antimperialisti
che stanno combattendo contro
la santa alleanza imperialista di
cui fa parte anche l’Italia.
Come marxista-leninista ap-
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
DICEMBRE
1
4
7
7
10
11
16
Unione Camere Penali Italiane – Sciopero avvocati
Confsal Unsa - Comparto Ministeri - Presidenza
Consiglio Ministri – Sciopero personale del Comparto
Ministeri
Cobas Pt, Cub-UsbSciopero dipendenti Poste Italiane SpA
Feder.Mot. - Ministero della Giustizia – Sciopero
Giudici onorari e Vice Procuratori onorari
Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt Trasporti, Ugl-Ta, Flai-Ts, Usb-Lp
Cub - Sciopero trasporto Aereo, Sea SpA - Aziende di
Handling Aereoporti Italiani
Fp-Cgil, Cisl-Fp, Uil-Fpl - Sanità privata, Fondazione Don
Carlo Gnocchi Onlus – Sciopero lavoratori Fondazione
Don Gnocchi
Anaao-Cimo-Emac-Cgil-Fvm-Fassid-Cisl-Fesmed-AmpoUil-Fimgg-Snami-Smi-IS Cisl-Simet-Sumai-Fespa-FimpCipe-Andi - Servizio Sanitario Nazionale Sciopero Medici del Ssn e Medici dell’assistenza
primaria, della medicina e dei servizi
N. 45 - 10 dicembre 2015
poggio pienamente e senza riserve la linea politica estera e
interna del PMLI. Il nostro Segretario generale, compagno
Giovanni Scuderi, ha precisato
tre cose per me importanti: la prima che tutti i popoli hanno diritto
all’autodeterminazione, all’indipendenza e che devono risolvere da loro le contraddizioni interne; la seconda che tra noi e l’Is
esiste un abisso incolmabile dal
punto di vista ideologico, culturale, tattico e strategico e, infine,
che non condividiamo gli atti terroristici con cui l’Is si espone nonostante siano comprensibili.
Saluti marxisti-leninisti.
Sempre tutto per il PMLI, il
proletariato e il socialismo!
Teniamo alta la bandiera
dell’antimperialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Claudio - Modena
Bellissimo ed
efficacissimo il volantino
sulla propaganda
imperialista
Bellissimo ed efficacissimo il
volantino del PMLI “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista”, che mette a nudo ciò
che di marcio (in realtà tutto) è
nell’imperialismo e nella sua logica.
Eugen Galasso - Firenze
D’accordissimo con
Scuderi sulla lotta
senza quartiere
all’imperialismo
A tutte le compagne e ai compagni del PMLI,
sono del tutto solidale col
compagno Scuderi, il quale sostiene che chi non perora la causa dell’Is contro la santa alleanza dell’imperialismo mondiale,
che vuole distruggere lo Stato
islamico, indirettamente appoggia l’imperialismo.
E sono altresì d’accordissimo
con Scuderi quando spiega e denuncia che fra i marxisti-leninisti
e l’Is esiste un abisso incolmabile dal punto di vista ideologico, culturale, tattico e strategico
e tutti i suoi metodi di lotta, atti
e obiettivi. Ma una cosa fondamentale ci accomuna quello della lotta senza quartiere all’imperialismo.
A conferma di quanto sopra
detto non si può essere solidali con la carneficina che è avvenuta in Francia il 13 novembre,
giacché lotte simili non hanno
fatto altro che il gioco dell’imperialismo.
Saluti marxisti-leninisti.
Rino La Rosa, simpatizzante
di Catania del PMLI
Con molta commozione
abbiamo ricevuto nella
mia Federazione la
bandiera dei Maestri
Salve compagni!
Ho ricevuto la bandiera dei
Maestri: volevo portarmela a
Roma per la manifestazione di
sabato scorso ma i programmi
hanno subito un brusco cambiamento a causa di una stirata
al collo fenomenale (e 14 ore in
pullman erano improponibili).
Questa settimana mi sono
mosso pochino per rimettermi, presto rifarò un versamento
anche se il momento non è dei
migliori, ho paura per il lavoro.
Sono stagionale all’Arena di Verona, se cercate online vedrete
tutti i disastri e nodi che stanno
venendo al pettine, ci taglieranno gli stipendi, già bassi, di un
terzo).
Tranquilli che la bandiera (che
ha ricevuto molta commozione
nella mia Federazione) farà bella mostra di sé su un’asta.
Saluti rossi.
A presto.
Dennis, FGCI-PCDI - Verona
Vorrei studiare 4
opuscoli di Scuderi e
avere la bandiera dei
Maestri
Rispettabilissimi compagni
del PMLI,
ho avuto il desiderio in questi
ultimi mesi di leggere qualcosa
sui due grandi Maestri (che tanto bene hanno fatto all’Europa),
Lenin e Stalin. Così della Piccola Biblioteca marxista-leninista
ho letto: “Lenin, la vita e l’opera”; “Lenin, Sullo Stato”; “Stalin,
la vita e l’opera”; Stalin, “Trotzkismo o Leninismo”; Stalin, “Principi del leninismo - Questioni del
leninismo; Stalin, “Problemi economici del socialismo nell’Urss”.
Ho letto anche “Viva la Grande Rivolta del Sessantotto” a
cura del PMLI. Un movimento,
quest’ultimo, che è stato il maggiore dell’Europa occidentale
dopo il ’45.
Vorrei chiedervi quattro opuscoli di Giovanni Scuderi (sempre che non siano esauriti): il
n. 1, “Solo il PMLI può riportare
alla vittoria il socialismo; il n. 2,
“Il socialismo tornerà di moda”;
il n. 3, “L’astensionismo marxista-leninista è il voto dell’opposizione proletaria rivoluzionaria al
regime neofascista per il socialismo”, il n. 11, “Impugniamo l’arma dell’astensionismo per l’Italia
unita, rossa e socialista”. Tra parentesi io mi astengo alle elezioni ormai da 5 anni e 8 mesi.
Poi vorrei richiedervi un gadget, cioè la bandiera dei Maestri,
in cambio di una donazione.
Saluti marxisti-leninisti.
Giancarlo - Padova
Il PMLI è l’unico Partito
del socialismo
Compagni,
credo che gli ideali del PMLI
siano bellissimi e vincenti. Il
PMLI è l’unico (e vero) Partito
del socialismo e, nonostante il
blackout imposto dai governi italiani, la sua voce si diffonderà e,
alla fine, vedremo il rosso trionfare!
Viva, viva, viva il PMLI e i cinque Maestri!
Massimiliano provincia de L’Aquila
Posso fare propaganda e
iniziative sulle posizioni
del PMLI
Se create volantini poco carichi di inchiostro colorato posso
fare propaganda e iniziative correlate sugli argomenti, soprattutto sulla democrazia proletaria
diretta, che reputo basilare per
creare coscienza politica ed acquisizione del potere politico di
massa ai diversi livelli. Le zone
dove io posso agire per distanze chilometriche sono Lomellina
cioè Mortara, Vigevano, Robbio,
Sannazzaro de Burgundi- Ales-
sandria e Monferrato e la parte di Vercelli città e zona verso
Casale Monferrato. Posso agire
quasi quotidianamente.
Saluti proletari.
Elfi - provincia di Pavia
Gli autori del
programma di Renzi
Il governo non eletto da nessuno, ma paracadutato dall’alto
grazie ai poteri forti, applica il seguente programma di governo:
la riforma fascista, piduista, capitalista del lavoro (Jobs Act) è
semplicemente un copia incolla
del programma di governo di Silvio Berlusconi con il quale venne
eletto nel 2001. Renzi e il falso
comunista a cui piace la lasagna
e la mortadella (Poletti) non ha
fatto neanche fatica, ha copiato
e incollato ciò che scriveva la destra nel 2001.
Per le altre riforme il governo
ha attinto a piene mani dal Piano di rinascita democratica della loggia massonica P2 di Gelli
e dalla lettera della Bce. In entrambi i casi il governo si è limitato a applicare ciò che questi antiproletari, fascisti hanno scritto.
Anche qui per il governo zero fatica.
Una considerazione: cosa sarebbe successo se queste riforme le avesse fatte la destra berlusconiana? Ci sarebbe stata la
sollevazione popolare, scioperi su scioperi. Perché quando
queste pseudo riforme le fa questo governo non succede niente? Qui bisogna bloccare il Paese, paralizzarlo, scioperare a più
non posso, qui c’è il rischio di un
nuovo regime. E la CGIL che fa?
Nulla, né scioperi né manifestazioni, niente. La Camusso se ne
sta in silenzio non proferisce parola. Come mai sta in silenzio?
Forse tramite il silenzio e la meditazione vuole raggiungere l’illuminazione come il Buddha?
Alessandro - Firenze
D’accordo con Mao sullo
svolgimento delle lezioni
scolastiche
Ho letto stamattina il testo
del discorso di Picerni su “Mao
e l’istruzione nel socialismo”. Ho
trovato alcuni spunti interessanti
che non conoscevo di Mao, uno
su tutti lo svolgimento delle sue
lezioni intese come ricerca comune, anche al docente. L’ho
sempre pensata così e non sapevo che l’illustre teorico fosse
proprio il presidente Mao.
Per il resto Picerni ha detto
tante verità, che del resto sono
sotto gli occhi di tutti, sempre
che si vogliano vedere e non si
giri la testa dall’altra parte.
Auguri per tutto.
Alessandro - Cervia
(Ravenna)
Il nostro Paese sta dalla
parte sbagliata
Condivido l’articolo de “Il Bolscevico” su “Non farsi imbrogliare dalla propaganda imperialista”. Tale propaganda è cibo per
cani scemi.
Renzi spera di salvare capra
e cavoli. Il nostro Paese sta dalla
parte sbagliata, certo in subordine rispetto agli alleati più potenti
e bellicosi, eppure è coinvolto almeno dai tempi della prima guerra contro l’Iraq, in modo diretto o
come supporto logistico.
Faccio notare inoltre come i
media più seguiti escludano le
voci critiche.
Cari saluti.
Nicola Spinosi - Firenze
Nel nome della
“sicurezza” vengono
sacrificate le libertà che
ancora ci restano sulla
carta
Al di là delle questioni di ordine geopolitico internazionale,
che sono senza dubbio serie, sto
spostando la mia attenzione sul
tema, non meno importante, delle dinamiche e dei processi sociali interni, ossia sul quadro dei
conflitti di classe e dei rapporti di
forza intestini al blocco politico
borghese, che in simili casi trova
giovamento e si ricompatta immediatamente.
Insomma, è palese che il clima di panico e inquietudini generato dal terrorismo, giustifica
l’invocazione di una maggiore sicurezza sociale da parte dell’opinione pubblica (ammaestrata come non mai) e da parte di
quelle forze politiche che giocano e speculano sulla pelle della
gente e della democrazia residua, che in tal modo va a farsi
benedire definitivamente.
Si stabilisce così, una sorta di
compromesso politico interno in
base al quale, sull’altare di una
sicurezza, solo illusoria, vengono sacrificate le libertà che ancora ci restano sulla carta. Ed ecco
che grandi capitali europee,
come Parigi e Roma, vengono
ad essere presidiate militarmente, in uno stato di belligeranza interna. Tra poco saranno revocati
i diritti costituzionali allo sciopero e alla libera espressione del
pensiero.
Lucio Garofalo - Lioni
(Avellino)
Grillo vuole servirsi della
legge che punisce gli
assenteisti
Salve compagni,
Qui a Roma Grillo, se vince le
elezioni, vuole licenziare gli operai assenteisti! Serve mobilitarsi!
Mail da Roma
INIZIATIVE DEL PMLI
å MODENA
Portico Via Emilia Centro
tra Via Scudari e Piazza Ova
Banchino di propaganda dalle ore 16 alle 18
l Domenica 13 dicembre 2015
l Sabato 19 dicembre 2015
l Giovedì 31 dicembre 2015
l Sabato 9 gennaio 2016
esteri / il bolscevico 15
N. 45 - 10 dicembre 2015
Obama e i governanti imperialisti europei
aiutano il bombardiere Hollande
Putin: un’alleanza anche a guida Usa. La Germania invia aerei e navi. Cameron bombarderà
Renzi: “L’IS ha colpito l’Europa e l’umanità
non solo la Francia”, dobbiamo distruggerlo
Negli incontri tenuti fra il 24 e il
26 novembre il presidente francese François Hollande ha raccolto
ampio sostegno dai colleghi imperialisti, da Obama ai governanti europei e infine a Putin, per il
ruolo di punta che si è preso nella guerra allo Stato islamico (is)
dopo gli attacchi di Parigi del 13
novembre.
Dopo il primo incontro, quello alla Casa Bianca con Barack
Obama del 24 novembre Hollande riferiva che il presidente americano gli aveva promesso “un
aiuto illimitato” per raggiungere l’obiettivo di “distruggere l’Is”.
Nella conferenza stampa tenuta al termine dell’incontro a Washington il bombardiere Hollande ripeteva che “gli alleati devono
distruggere l’Isis ovunque si trovi e le sue risorse che sono sostanziose. Dobbiamo colpire gli
impianti petroliferi, il traffico della
droga e quello degli esseri umani. Bisogna ampliare i bombardamenti contro l’Is in Siria e Iraq
ed è urgente chiudere il confine
tra Turchia e Siria per prevenire
il flusso di terroristi che arrivano
in Europa”. Hollande confermava
che “la Francia non interverrà militarmente sul campo in Siria” ma
non si disinteressava certo del
futuro del paese una volta che
si era guadagnata la prima fila
dell’attacco imperialista a suon
di bombardamenti; infatti il presidente francese indicava che a
Damasco doveva essere assicurata “una transizione politica che
porti all’uscita Assad, perché non
si può pensare che i siriani possano riunirsi con chi è all’origine
di uno dei più grossi massacri di
questi anni. Ci vuole un governo
di unità”.
Tornato a Parigi riceveva il 26
novembre all’Eliseo il presidente
del consiglio italiano Matteo Renzi che prima di tutto sottolineava
quanto l’Italia sia impegnata “a livello militare in molti casi assieme
alla Francia nella coalizione in Afghanistan, in Libano, nel Kosovo,
in Africa dove è molto forte l’impegno dei nostri amici francesi e
dove anche noi abbiamo alcuni
interventi a partire dalla Somalia”.
“Pensiamo però che ci sia la necessità di uno sforzo sempre più
inclusivo, di una coalizione sempre più ampia - aggiungeva - che
porti alla distruzione dello Stato
islamico e del disegno atroce che
esso rappresenta”. L’Is “ha colpito l’Europa e l’umanità non solo
la Francia”, dobbiamo distruggerlo, ripeteva Renzi.
Sempre il 26 novembre Hollande incassava il concreto aiuto della Germania. La cancelliera
Merkel aveva già promesso il prolungamento al 31 maggio 2016
della missione dei 350 soldati inquadrati in una brigata mista franco-tedesca in Mali, in corso dal
febbraio 2013, nell’ambito della
European union training mission
per la formazione delle forze armate locali. Il governo di Berlino
decideva di inviare navi da guerra e aerei Tornado, seppur da ricognizione, per intervenire in Siria. Alla partita si vorrebbe unire
anche l’inglese David Cameron
Un caccia bombardiere Tornado tedesco come quelli messi a disposizione dalla Germania per la crociata
anti-IS
che richiedeva al parlamento il
via libera per bombardare in Siria, permesso che lo scorso anno
gli era stato negato.
Il tour de force diplomatico del
bombardiere Hollande si concludeva al Cremlino dal nuovo zar
Vladimir Putin. “Il nostro nemico è il Daesh. Sono venuto qui a
Mosca per vedere come possiamo agire insieme e coordinarci in
modo da poter attaccare questo
gruppo terroristico ma anche per
raggiungere una soluzione politica per la pace in Siria”, affermava Hollande indicando gli obiettivi dell’incontro. L’intesa tra i due
capofila imperialisti per combattere fianco a fianco il Daesh era
già stata costruita sul campo nei
bombardamenti su Raqqa, l’intesa sul futuro della Siria restava
al palo; per Hollande il presidente siriano Bashar al-Assad “non
può avere alcun ruolo nel futuro
del Paese”, per Putin rimane un
“alleato naturale” nella lotta contro l’Is e per tenere i piedi nel paese o quantomeno nella parte tra
Damasco, Aleppo e la costa dove
ha le basi. A tal fine Putin si dichiarava disposto a partecipare
a una “larga coalizione comune”
sotto l’egida dell’Onu ma anche
a cooperare con la coalizione già
esistente guidata dagli Stati Uniti.
Obama: “Ankara ha il il diritto di difendere lo spazio aereo”
La Turchia abbatte un caccia russo perché “aveva sconfinato”
I paesi imperialisti uniti contro l’Is ma divisi per assicurarsi le spoglie della Siria e le zone di influenza nella regione
Il 28 novembre il presidente
russo Vladimir Putin dopo aver
firmato il decreto che vieta l’importazione di alcuni tipi di prodotti turchi e introduce divieti e
limitazioni alle attività delle organizzazioni facenti capo ad Ankara, vietava alle aziende russe di assumere lavoratori turchi
dal prossimo primo gennaio, sospendeva i voli charter tra i due
Paesi e ordinava a agenzie e
operatori turistici di non vendere
pacchetti di viaggi verso la Turchia. Dall’1 gennaio 2016 sarà
inoltre ripristinato il regime dei visti tra Russia e Turchia. Queste
sanzioni hanno una durata “provvisoria”, entreranno in vigore con
la pubblicazione del decreto e resteranno valide finché non saranno cancellate dal governo russo.
Il decreto di Putin è l’ultimo atto
della crisi tra i due paesi aperto
il 24 novembre dall’abbattimento di un aereo russo sul teatro di
guerra siriano. Una crisi grave,
seppur tenuta finora su toni bassi ma dagli sviluppi non ancora
prevedibili perché dimostra che i
paesi imperialisti sono uniti contro l’Is ma divisi per assicurarsi
le spoglie della Siria e le zone di
influenza nella regione; Russia e
Turchia sono due fra i protagonisti della partita.
I venti di guerra tra alleati imperialisti nei cieli del Medio Oriente sono soffiati molto forte il 24
novembre allorché il premier turco, Ahmet Davutoglu, dava l’ordine di abbattere il jet russo Sukhoi
Su-24 che secondo Ankara aveva sconfinato lungo la frontiera
con la Siria “per 17 secondi” e
ignorato ripetuti avvertimenti di
andarsene. Per il ministero della Difesa russo il Su-24 si trovava in territorio siriano e era stato
abbattuto da un F16 turco mentre
tornava alla base aerea di Khmeimim, nei pressi di Latakia, e cadeva in territorio siriano nel villaggio di Yamadi.
La versione turca era accreditata dagli alleati Nato; “gli accertamenti di diversi alleati hanno
confermato la versione della Turchia”, spiegava il segretario Nato,
Jens Stoltenberg, che comunque
lanciava un appello alla “calma e
alla de-escalation” e sottolineava
la necessità di “rafforzare il meccanismo per evitare questi inci-
denti nel futuro”.
Ai militari Nato rispondeva Viktor Bondarev, capo di Stato maggiore dell’aeronautica russa, che
sosteneva come F16 fossero
pronti a colpire tempo prima del
passaggio dei jet russi che erano impegnati in territorio siriano
a colpire le basi delle formazioni cecene e dei ribelli turcomanni
contrari al regime di Assad e sostenuti da Ankara. Già alcuni giorni prima l’ambasciatore russo ad
Ankara era stato convocato per
dare spiegazioni dei bombardamenti di Mosca sui villaggi turcomanni.
Secco il commento del presidente russo Vladimir Putin che
definiva l’azione “una pugnalata
alle spalle” e avvertiva che “avrà
conseguenze tragiche nei rapporti tra Russia e Turchia”. Intanto saltava la visita a Ankara del
ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov prevista per il 25 novembre.
I rapporti tra Mosca e Ankara erano andati peggiorando nel
tempo in particolare dopo la decisione di Putin di intervenire
militarmente in Siria a difendere Assad e per mantener il controllo delle zone dove ha le basi;
pestando i piedi a Erdogan e
alle ambizioni egemoniche locali dell’imperialismo turco. Nel recente G20 di Antalya, in casa di
Erdogan, Putin aveva accusato
che “i jihadisti dell’Is sono finanziati da persone provenienti da
40 Paesi, tra cui anche membri
del G20”, puntando il dito in particolare sulla Turchia; “La Russia
non sta combattendo davvero l’Is
in Siria, sta uccidendo turcomanni e siriani a Latakia”, rilanciava
Erdogan dopo l’abbattimento del
jet di Mosca.
Nel contenzioso tra i due galletti imperialisti interveniva Barack Obama affermando che “la
Russia deve spostare l’obiettivo
dei suoi interventi” per colpire l’Is
e non i ribelli anti-Assad mentre
Ankara “ha il diritto di difendere
il proprio territorio”; era il segna-
le che l’imperialismo americano
stava col presidente turco Recep
Tayyip Erdogan. Anche se poi il
30 novembre a Parigi, alla conferenza sul clima, chiedeva a Turchia e Russia di “trovare un percorso diplomatico per risolvere
la questione”, perché “abbiamo
tutti un nemico comune e voglio
essere sicuro che, insieme alla
Turchia, alleato Nato, stiamo concentrando la nostra attenzione a
garantire che l’Is non sia più una
minaccia”. Le questioni legate
alla spartizione delle spoglie della Siria e delle zone di influenza
nella regione dovrebbero venire
solo dopo. Facile a dirsi più difficile a farsi.
In Turchia
Assassinato
l’avvocato
dei
curdi
Aveva difeso in Tv il PKK. Manifestazioni di protesta a Diyarbakir e Istanbul
Il capo dell’Ordine degli av-
Istambul, 28 novembre 2015. In Piazza Taksim la protesta contro l’uccisione dell’avvocato curdo Tahir Elci
vocati di Diyarbakir, Tahir Elci, è
stato assassinato il 28 novembre
in margine a una manifestazoine
nel quartiere i Sur che era stata
indetta in difesa dei diritti dei curdi e per denunciare lo stato di assedio cui il regime di Ankara ha
sottoposto da tempo la città come
il resto delle zone curde. La polizia imponeva immediatamente il
coprifuoco a Diyarbakir che non
impediva l’esplosione della rabbia curda; i manifestanti sfidavano gli idranti e i lacrimogeni della
polizia per sfilare gridando “spalla a spalla contro il fascismo”.
Altre manifestazioni di protesta
per l’assassinio dell’avvocato dei
curdi si svolgevano a Istanbul e
Izmir.
A Istanbul era già in corso una
manifestazione lungo viale Istiklal
a sostegno della libertà di stampa in seguito agli arresti con le
accuse di spionaggio del diretto-
re e del capo-redattore di Ankara del quotidiano di opposizione
Cumhuriyet che aveva pubblicato
un servizio sui legami tra i servizi
turchi e militanti dell’Is.
Il partito filocurdo Hdp definiva
l’omicidio di Tahir Elci un “assassinio premeditato” e appoggiava le manifestazioni ricordando
come Elci fosse nel mirino del
partito di governo Akp e dei suoi
media.
L’avvocato era diventato un
caso nazionale dopo che, il 14 ottobre scorso, aveva rilasciato una
dichiarazione alla Cnn turca nella
quale aveva sostenuto che il Pkk
“è un movimento politico che ha
importanti domande politiche e
che gode di vasto supporto, anche se alcune sue azioni sono di
natura terroristica”. Per questa dichiarazione il legale era stato arrestato il 19 ottobre a Diyarbakir
e rinviato a giudizio con l’accusa
di propaganda di organizzazione terroristica. Era stato rilasciato ma la procura di Istanbul aveva chiesto per lui la condanna a 7
anni e mezzo.
Dopo la vittoria elettorale del
primo novembre il presidente Erdogan ha rilanciato la repressione dei movimenti kurdi e col pretesto della lotta al terrorismo e
all’Is ha continuato a colpire il suo
bersaglio principale, il popolo curdo, imponendo il coprifuoco nelle
principali province curde e assassinando almeno 30 manifestanti caduti sotto i colpi della polizia
durante le proteste.
Proteste che sono continuate
il 29 novembre quando decine di
migliaia di curdi hanno partecipato a Diyarbakir ai funerali di Elci
che sono diventati l’occasione
per manifestare contro la repressione in corso nel paese e accusare i leader turchi di assassinio.
esteri / il bolscevico 15
N. 26 - 2 luglio 2015
stampato in pr.
Per evitare
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N.45 data editoriale 10 dicembre 2015