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RllVh' 8z C. - EDITORI
1915
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Civiltà e barbarie,
PROPRIETÀ RISER\' ATA
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i'P. LIT. RIPA L TA · '1,ILAH~
Una mattina dello scorso autunno, trovandomi ospite
di Massimo Gorki nella pallida solitudine di Neivola sul
Golfo di Finlandia, la conversazione, che erasi a lungo
aggirata sulle cose d'Europa, si ferm6, com 'era naturale,
sulla Russia. E lo scrittore, con un sorriso un poco stanco
e pieno d'ironia, disse :
- Quel che v'ha di più bizzarro nello spettacolo cui
oggi assistiamo si è di vedere la Russia investita della
parte di salvatrice dell'Europa dal giogo della barbarie
teutonica.
Le piaghe del! 'Impero degli Zar sono ormai tanto celebri - non è vero? - e gli valgono gia da tanto tempo
la fama di paese barbaro ouasi per antonomasia, che il
sale dell'arguzia sembrerebbe non aver d'uopo di commento. Eppure - ricordo la frase dell 'autorç di Bassifondi mi lasciò perplesso e insoddisfatto quasi non avesse
che rasentato senza finezza una verita. Per la prima volta
questo della barbarie e della civilta mi parve un criterio
ingenuo. grossolano e relativo sino ali 'umiliazione.
Certo, se per paese barbaro si intenda quello in cui
le strade sono cattive e le ferrovie poche, in cui c'è
molta gente che non sa lçggere e molta gente che non
ha da mangiare, in cui le città mancano di luce elettrica
e gli alberghi di termosifoni, in cui non esiste un giornale come l'Avanti! e in cui è proibito rompere i vetri degli edifici pubblici, tale qualifica conviene alla Russia.
Se la civiltà di un paese consiste nel grado di perfezione
dei congegni che ne muovono il meccanismo, nell'orga-
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namento dei suoi servizi pubblici e nella misura del suo
benessere materiale, senza dubbio non è civile la Russia
ove l'agricoltura esc9 appena dalla fase del comunismo
ed è malata delia tisi del piccolo latifondo dovuta ali 'assenza di coltura intensiva, ove il mercato è quasi interamente vassallo dell'industria estera, ove non esiste che
un chilometro di ferrovia su 91 km. 2 di territorio, ove si
trova ancora in molte provincie l '80% di analfabeti.
Ma l'interpretazione data d'ordinario a quei due vecchi
concetti accademici mi sembra ormai sorpassata. Anzitutto esistono altri paesi in Europa, oltre alla Russia, ov9 sono latifondi, miseria e analfabeti e che noi non
abbiamo mai ritenuto fossero barbari. In secondo luogo
gli avvenimenti di questi ultimi cinque mesi mi sembra
abbiano terribilmente capovolto tutte le nostre idee in
proposito.
La guerra ha dimostrato come le ferrovie e le
banche non facciano l'uomo civile 9 come si possa avere
al più alto grado la consuetudine della macchina e degli
agi della vita e ignorare nondimeno quel eh 'è più
essenziale e anche elementare della dignità dell 'individuo: lo scrupolo e l'equità. L'unico grande beneficio
dello spaventoso urto di forze brute che sconvolge oggi
l'Europa si è che i valori morali puri sono venuti in rialzo
e che tutto quanto è sottigliezza e capacità pratica ha
perduto di prezzo. L'intellettualismo applicato, l 'utilitarismo, quella sapienza tecnica di cui menavano vanto sin
ieri genti arrivate a sviluppare fino al capolavoro il genio
dell'assetto materiale della vita non valgono più quasi
nulla. Oggi ha valore proprio ciò che ieri si teneva maggiormente in non cale: lo spirito di sacrificio, l'oblio di
se stesso, l'entusiasmo, l'amore degli altri. Dall'adorazione
esclusiva, ringhiosa della vita siamo passati d'un tratto
ali 'apoteosi della morte. Dal rasoio di sicurezza al cannone da 420. Dalle società per la protezione degli animali, esponenti simbolici del nostro culto quasi morboso
degli agi del corpo, ai battaglioni volontari. Ieri trovavamo fossile e un po' ridicolo il reduce delle patrie battaglie : oggi ci sono di nuovo, sotto il sole, e sotto la terra,
dei garibaldini di vent'anni. Il positivismo sembra ancora
una volta oscurato, e dal fumo delle battaglie risorge d'un
balzo, più limpida e chiara che mai, la chimera dell'ideale.
In un momento simile io credo dunque che il valore
di una nazione non vada misurato alla stregua dell'abito
che porta o di ciò che ha in tasca, bensì del cuore che le
batte nel petto. Un popolo oggi è civile non per quanto
ha creato o p_er quanto può distruggere, ma per quello
che sente, per quello che vuole. Che cosa sente, ch9 cosa
vuole la Russia?
La Russia del popolo.
Esistono, lo sapete, due Russie. Esistono non da oggi
nè da ieri ; ma da almeno du9 secoli. C'è la Russia del
popolo : c'è quella del governo. D'ordinario noi conosciamo male e l'una e l'altra, poichè purtroppo le nazioni
non sono ancora il più spesso nella nostra pratica intellettuale che simboli politici, argomenti di dialettica partigiana. Bisognerebbe invece conoscerle entrambe e insieme, l'una accanto ali 'altra, per capire che cosa rappresentino nel mondo. La Russia di sotto, i cento milioni,
l'oceano umano, non rappresenta apparentemente ancora
nulla. E' un paese dolc9 e paziente, pieno di buon senso
e di tolleranza, religioso, un po' pigro e disordinato e
tuttavia non privo di buona volontà, uso a lasciarsi vivere
e a lasciar vivere. Noi non abbiamo l'abitudine di stimare
eccessivamente tali virtù. « Orientali », o « meridionali »,
abbiamo sempre detto di coloro ch9 le possedevano, con
una punta di spregio. I russi sono, infatti, un poco orientali, e anche, a dispetto della geografia, un poco meridionali. Degli uni e degli altri hanno per lo meno - e contadini e operai e soldati e impiegati e preti e intellettuali
- il fatalismo e la pigrizia, ambedue fusi in una profonda
tendenza alla contemplazione, esteriore come interiore.
Ma non sono fanatici; ed ecco già una lacuna che li
trasporta verso altre latitudini. Fatalisti, difet~ano. ~i spi:
rito di rivolta ed entro certi limiti anche d1 spinto d1
critica. Pigri inclinano ali 'imitazione e alla conciliazione
- n~l campo della coltura all'eccletismo; sono facili a
-8lasciarsi dominare come a lasciarsi convincere. Ma posseggono anche le qualità di codesti che noi sogliamo dire
difetti. Il fatalismo li porta alla pazienza, la pigrizia alla
frugalità, mentre dallo spirito contemplativo traggono una
loro rudimentale filosofia abbracciante un poco di religione,
un po' di esperienza personale, un po' di senso comune
e un po' di immoralità.
Idee soclall.
Umilta, frugalita, pazienza : certo i! nostro giudizio di
occidentali non è fatto per renderci ammirati di doti cosi
lontane da quelle che tutta una tradizione e tutta una
educazione ci inseenano indispensabili ai popoli destinati
ai grandi trionfi della vita moderna. Ma i russi sono un
popolo affatto diverso da noi, di altra pasta e destinato
probabilmente a trionfi di altro genere. Sono, in fondo,
anch'essi moderni e occidentali, ma a loro guisa. Sentono,
per esempio. forse ancora più tenacemente di noi lo spirito di associazione, se da tempo immemorabile l'unico,
quasi, ordine di lavoro praticato nell 'lmpero è quello
coopcrati\'O dell 'artel. compensato mercè la partecipazione ai profitti e non col salario che crea i proletari. Ma
cotesto loro comunismo industriale, riflesso del loro più
grande comunismo agricolo, pur sembrando precorrere i
piC1 cari sogni delle sibille democratiche d'Occidente,
rispond~ n istinti, a bisogni che non sono i nostri . Le
sibille intenderebbero disporre della proprietà e dell 'attività privnte segnatamente nel senso di accrescere in modo
cffe1tiYo la ricchezza pubblica, mentre i russi hanno sempre usato delle prime S<!nza preoccuparsi punto di accrescere In seconda. L'indirizzo vero, ingenuo e quasi francescano. del loro spirito comunista sta nel procurare che
ogni uomo godn almeno per turno di una medesima zolla,
di una medesim:t aria, di un mèdesimo panorama, non impona ~l' In rotazione dei beni si risolva in un danno per
1u11i li loro principio fondamentale jn materia sociale si
riduce al non nrnmctt~re che la volontà dei molti abbia
di n.•i:olu a ~opraffare quella dell'uno. E' il regime del
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rispetto delle minoranze. Le nostre idee sulla cosa pubblica sono grandiose e rigide. Noi vagheggiamo ancora
accentramenti colossali, servizi di stato, organismi metallici ed enormi. Vogiiamo la libertà, ma non sappiamo
vederla che cinta di ferro, grifagna come l'aquila. Nelle
nostre concezioni della felicità pubblica l'individuo è sempre ~rattato con una certa disinvoltura ruvida, quasi si
voglia renderlo felice suo malgrado e senza consultarlo.
La nostra democrazia, infine, è autocratica. I russi non si
dipartono invece dal rispetto geloso, supino dell'individuo.
La loro democrazia è anarchica.
Ideali politlcl e religiosi.
11 loro ideale politico, le autonomie locali, le repubblichette o meglio ancora i principati un po' patriarcali,
che danno meno pensièri ai sudditi. La divisione; ma non
per farsi la guerra, per macerarsi nelle rivalità regionali
e di campanile come avveniva di parecchie nazioni del1'0ccidènte in taluni momenti della loro storia; bensl per
vivere meglio e più liberamente, tutt'al più per orientarsi
verso il federalismo, come dire verso un vasto sindacato
di cooperative di consumo politico. E il loro idèale giuridico non starebbe forse in quel tribunale di volost funzionante sinora nelle campagne, nel quale si giudica non
secondo leggi scritte genèra!i a tutto l'Impero ma secondo
le consuetudini particolari del luogo e il vario accorgimento dei contadini che fungono da consiglieri?
Persino la loro fede è anarchica. E' come una mistica
casa di tolleranza. Essi non conoscono tanto la legge di
Dio quanto l'amore del prossimo, un disordinato e spesso
malinteso amore del prossimo. Ecco forse perchè si ritengono più cristiani dei cattolici, che sono conservatori e ben
pensanti. Non solo ammettono fedi divèrse dalla loro, il che
per un popolo molto religioso e poco colto è già straordinario, ma sono esenti da qualsiasi pedantismo nella concezione della loro. Ricordano, sotto questo riguardo, gli italiani del secolo XIII, quando la penisola era tutta un vivaio di eresie; con la differenza che la qualifica di eretico
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non ha per essi punto quell'odor.è di arsiccio o quel sapore
di scandalo che ha sempre avuto per la mentalita cattolica,
al contrario li certifica di una coscienza religiosa più attiva
e sveglia. Le eresie sono le loro autonomie nel governo
della spirito. E vivono di buonissimo accordo tra loro e coi
rappresentanti di altre fedi o razze a~enti st~n:a nell ',impero : cattolici protestanti, maomettani, budd1st1, ebrei. Anche ebrei ~nzi sopratutto ebrei, chè i loro pensatori più
tipici han~o sempre predicato il rispetto pietoso a I~raele.
in omaggio alla costui parentela d1 sangue col Cristo.
Cermi di avvenire.
Posto a mezza strada fra l'Oriente e l'Occidente, la
linea maestra d.ella psicologia come dell'attività del popolo
russo sembra essere dunque il travaglio sordo di una
grande conciliazione di razz.e. No!, uomini ~i _un s~!o. ~aese
e di una sola anima, disorientati e un po mfast1d1t1 dal1'apparente disordine àella sua intelligenza, dalla mollezza
del suo carattere noncurante dell'utile e nemico dell 'autorità ci vendichiamo del non capirlo giudicandolo barbaro.' Ma non apparterebbe esso per avventura semplicemente a un'altra civi!tà, la quale non abbia ancora detto
la sua parola e dato il suo frutto? Siamo noi certi che da
quel profondo crogiuolo ove fermentano una immensa
bontà una immensa mutualità, un immenso culto della
libertà dell'uomo non abbia a scaturire nulla di nuovo,
nulla di meglio di ci6 che è stato fin qui e di cui oggi
cogliamo con mano inorridita il frutto atroce?
La Russia del Coverno.
Senonchè, al disopra di cotesta prima Russia c'è l'altra,
e l'altra ne è la negazione perfetta. Non solo: ne è la
negazione fatale e necessaria.
Quando i principi di Mosca inaugurarono la loro
reazione violenta alla forza d'inerzia dolce e ottusa che
Il -
-..O(t~1
~(B!BUD'f'8~
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divideva la terra slava, teira di pastori e di viandanti,
cento nuclei viventi ciascuno per proprio conto, quando ·~
intrapresero la loro spaventosa politica di accentramento
e di livellazione per imprimere alla creta amorfa la forma
logica e rigorosa di ben squadrata piramide, quei tiranni,
quei geometri, quei pazzi salvarono la Russia.
Sconvolto già da due disastri, l'invasione normanna e
la tartara, così qual era e quale contava restare il popolo
russo non avrebbe potuto vivere nell'Europa moderna.
Era troppo più semplice degli altri per esercitare su essi
un 'attrazione qualsiasi e troppo meno agguerrito per resistere alla loro pressione. L'Occidente guardava dalla sua
parte con diffidenza e avversione, come a un estraneo
mal comodo. A fianco d.ei grandi Stati d'Europa avviati a
consolidarsi esso avrebbe avuto la sorte del vaso di creta
tra vasi di ferro. La necessita di rinchiuderlo in una corazza ben temprata s'impose. L'anarchia comandò l'assolutismo. Non era la prima volta .e non doveva esser l'ultima. Pietro fu 1'Ercole della grande fatica e la corazza
sorti marca germanica, Made in Germany.
La germanizzazione.
C'è un 'ironia anche più sottile di quella rilevata da
Massimo Gorki nello spettacolo cui oggi assistiamo; questa: che la Russia, salvatrice dell'Europa dal giogo della
barbarie teutonica, è essa medesima una Germania. Dal
momento della riforma il cuore della nazione perde, per
cosl dire, il contatto con le idep e con gli uomini che s~
ne istituiscono custodi ; si sente solo, incompreso e disprezzato, apprende la passività e la malinconia..Padroni
dell'Impero sono i tedeschi. Tedeschi v,engono a .s1.stemar:
gli il Governo, a formargli l'esercito, ad a~n:im1strargh
le proprieta, a insegnargli a lavorare. Qu~s1. s1 potrebbe
aggiungere a insegnargli a parlare, ove s1 nfletta a.I .numero grandissimo di vocaboli tedeschi accumulatts1 a
poco a poco nell'oro della sua lingua: Kartoffel - scelgo
fra cento - Parikmacher, Sturm, Stuck, Feuerwerk, Stab
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e via di se~uito. Quei riformatori apparvero a un tratto
cosl convinti che i russi fossero una gente inferiore, afflitta èi totak incJipacità, che per qualche tempo
si potè lemere volessero addirittura incrociarli come
si incrociano le razze equine, fondando buoni depositi di stalloni. Si imrortarono tedeschi in massa,
quasi per colonizzare una terra vergine. Se ne sp~di­
rono fin sulle coste del Mar :<ero e del Mar d'Azof, sul
Don. nel bacino del basso Volga, da Saratoff a Samara.
Lo stato si adoper6 con ogni mezzo a favorire l'immigrazione spontanea che già av~va sparpagliato prussiani,
precursori di sè stessi, lungo tutto il Baltico e posto nelle
loro mani il monopolio del commercio con l'estero. E I'impulso ebbe effetto così largo che oggi in parecchi governi
dell'Impero i coloni \"enuti di Germania sommano a più
di cento mila e in moltissime città si annoverano a decine
di migliaia. Ricordo io medesimo aver visto discendendo il
Volga villaggi a pinnacoli e a tetti spioventi, i quali si
chiama\"ano Zurich, Base I. Luzern. Ce n'è altri che si
chiamano Mi.inchen. Leipzig, Landau, Teplitz, Worms,
Heidelbcrg.
Adesso si cambiano precipitosamente tali nomi in altri
del più genuino conio moscovita. Ma cosa contano i nomi?
E cosa contavano, del resto, i villaggi? li programma dei
rirormatori non stava nelle iniezioni cutanee di sangue
protestante; l'invasione salutare non doveva essere quella
degli agricoltori e dei mercanti, ma quella degli uomini
d'ordine e di concetto, dei ministri, dei baroni, dei generali. Di questi si importarono tanti, che ancor oggi la
Corte, la milizia e le amministrazioni ne pullulano. Nessuno di noi ignora come la maggior parte dei militari ai
quali in questo momento è affidato il comando degli eserciti russi appartengano a famiglie tedesche. Nel corso
della campagna la voce del sangue si è fatta talvolta sentire così forte che il Generalissimo ha dovuto procedere
a sostituzioni. eliminazioni e traslochi precipitati. Non
le obbediva probabilmente anche quel barone Von Korff,
governatore civile di Varsavia, che i giornali dissero, or
non è molto, caduto, per distrazione, fra le mani dei tedeschi durante una pacifica passeg~iata in carrozza nei din-
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torni d.clla città? Quando giunsi a Varsavia, nell'agosto del
1? 1~. correva sulle bocche di tutti un aneddoto mordace.
S~ diceva qualcuno avesse annunciato telegraficamente a
Pietroburgo la presa della città per parte dei tedeschi, citando a prova l'elenco dei funzionari stabilitivi: Von
Korff, governatore civile, Von Turbino, governatore militare, Von Meyer mastro di polizia Von Koltz direttore
delle Poste e via di seguito ancora ~ezza dozzi~a di Von.
Si trattava nè più nè meno che dei nomi dei funzionari
russi allora ~ ancor o~gi in carica ...
L'intrigo tedesco nella po•
litica russa.
Sono gli inconvenienti della corazza. Scritturati perchè
fac~ssero la forza dello Stato, quegli uomini d'ordine ci
j
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vemvano col segreto programma di farne la debolezza.
Fino a ieri le peggiori idee del Governo escivano dalla
loro testa. La sciagurata politica fatta in Polonia, in Ukraina e contro gli ebrei fu sempre la politica che tornava comoda alla Germania. Sott'acqua l 'Ostmarkverein lavorava
a fomentare il separatismo ucrainico e intanto i tedeschi
additavano al Governo russo i pola~chi quali colpevoli.
Quando poi il Governo russo si era scagliato sui polacchi,
approfittando dell'occasione i suoi consiglieri più o meno
aulici gli suggerivano: favorite i tedeschi in Polonia; essi
si accaparreranno il commercio e le industrie, e i polacchi rimasti a mani vuote non saranno mai abbastanza forti
per crearvi dei fastidi. Nasceva così Lodz, quella opima
città manifatturiera che le truppe del Kaiser hanno ora
espugnato tre o quattro volte senza rompervi una tegola,
per la ragione semplicissima che sapevano trattarsi di
tegole germaniche.
Da molti anni i russi si erano lasciati siffattament~
convincere della malafede polacca, nutrivano tale certezza
che alle prime avvisaglie di guerra il paese si sarebbe
sollevato contro di loro, che avevano rinunciato ad accet·
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tare battaglia entro i suoi confini e portato le loro fortificazioni a Grodno e a Brest-Litewsk. Quando, sei
mesi fa, i tedeschi passarono la frontiera, durante quasi
una settimana videro le strade di Varsavia aperte innanzi
ai loro cavalli, senza una trincea, senza un cannone, senza
un soldato. Disgraziatamente per loro non credettero ai
propri occhi e non avanzarono. Ai russi invece parve cascasse dagli occhi una benda. Per la prima volta, in più
di un secolo, capivano la Polonia, davanti a quel popolo
che, battuto, conculcato, schiaffeggiato, nel! 'ora del pericolo si sentiva ancora del loro sangue e tendeva loro la
mano, da fratello a fratello!
E chi dirà mai quanta parte abbiano avuto gli intrighi
della Germania nelle reazioni russe posteriori al '70? Al
principio dell'agosto scorso era convinzione generale a
Pietrogrado che i disordini verificativisi nel giugno e nel
luglio precedenti fossero opera di abili emissari della Cancelleria di Berlino. Forse questa è un 'esagerazione. Difficile tuttavia negare che i torbidi politici dell'Impero rispondessero sempre singolarmente agi 'interessi politici,
sociali ed economici dei due Imperi vicini. Il ministro
Von Phlewe - un russo, beninteso - il quale governò la
Russia durante la grande crisi del 1904-1905 e lasciò nel
paese cosl atroce ricordo di sè, non fu uno dei minori
collaboratori di Von Aerenthal nell'affare della BosniaErzegovina. Suo figlio, generale, comanda oggi nondimeno una delle divisioni che in Polonia si battono contro
i tedeschi. Quando, fra il 13 e il 16 ottobre scorso i capi
dell'esercito avevano deciso di cedere Varsavia sentendosi
impotenti a resistere all'urto degli invasori e il Granduca
Nicola Nicolaievitch, un uomo di fegato, piombò come un
fulmine da Grodno a rimettere le cose a posto, tra i
primi ad essere affrontati fu lui, il Von Phlewe.
- Perchè non avete eseguito subito l'ordine che vi
avevo dato? - gli chiese il Granduca.
E il generale, freddo :
- Altezza ero in bagno.
Il Granduca lo prese a schiaffi, ma Von Phlewe ha
conservato il comando della propria divisione.
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Il gen Io tedesco de Il' Im•
pero.
Evidentemente, si dirà, la corazza era di qualità inferiore. E' il solito dell'articolo di B9rlino : grande apparenza, nessuna solidità. La guerra sarà il dies irae che metterà ordine a tutto, sicchè all'indomani della vittoria no~
ci sarà più in Russia che una Russia, la vera, quella de1
russi. Già: questa, per lo meno, è l'illusione dei russi.
La guerra laggiù è popolare, infatti, perchè
popolo
crede di battersi non col tedesco dal casco a ch10do, del
quale non gli importa nulla, ma col tedesco dalla fu:~shka
russa che odia da almeno due secoli almeno dod1c1 ore
al giorno. Crede di far la festa a Peter Carlovit~ I 'i~­
tendente, il sovrastante, l'appaltatore, il capo-fabbnca, il
capo-sezione, il capo-division~, il generale, l'u?mo e~atto
e pedante, l'uomo esigente, 1 uomo che non s1 ubbnaca,
l'uomo che sta sempre pel più forte, l'uomo col quale
non si può discorrere, che non si lascia inteneri,re ~ nemmeno corrompere. Crede combattere insomma 1 ordine, la
disciplina, la volontà, la forza organizzata; t~tte quell~
virtù anticipate che i tedeschi hanno preteso msegnargll
e alle quali esso non ha mai potuto abituarsi. Non sa, e
nessuno gli9lo dice, che la cosa è molto divers~. Non ~a
che quella Germania contro cui si avventa baionetta m
canna è quella stessa Russia che gli sta dietro le spalle
benedicendolo in nome del Dio ortodosso, e che, tornato. a
casa la ritroverà ancora seduta al proprio focolare col d1adem~ d'argento in capo e la conocchia, nè più bella nè
più brutta di prima.
Poichè il governo russo, a guerra finita, potrà e forse
vorrà sagrificare degli uomini al :an.core pop?lare,. com~
già gli ha sagrificato dei nomi d1 c1t!à e d~1 patnmonu
altrui. ma non penserà mai a sagnficargh spo~tanea­
mente dei principii, dei programmi, tutt~ un s1st.e ma.
Ora sono sopratutto i principii e i sistemi, non ~h i:omini, che l'Impero ha attinto dalla Russia. Sono 11 prm-
i!
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cipio della mano di ferro, del rigore poliziesco, dell 'asfissia burocratica, della lotta alle nazionalità, dell 'espansione illimitata. Gli uomini lo hanno tradito? Le idee no.
Tutto quanto oggi i suoi eserciti si sforzano con l'aiuto
dell'Europa di abbattere al di qua dell'Oder è stato già
da tempo trapiantato al di là della Vistola, messo al sicuro,
preparato a nuove e forse più grandiose fruttificazioni.
La Germania? Ma è tutto il genio di Pietrogrado, come
era quello di Pietroburgo : Milizia e Amministrazione!
E' tutto ci6 che Pietroburgo avrebbe voluto fare e non
ha ancora fatto o ha fatto male, perchè il paese non lo
secondava, ma che si ripromette di far meglio domani.
Andiamo nella capitale : osserviamo il giovane nazionalismo che fa capo ai grandi fogli politici. Non è più lo
slavofìlismo mistico all'acqua di rose dei moscoviti di
mezzo secolo fa : è un movimento positivo, aggressivo,
petulante, furbo, gemello, nè più nè meno, di quello cui
siamo debitori del drang nach Osten. A furia di aver commercio con tedeschi è capitato - sicuro - anche a qualche russo di diventare furbo. Nèssuno si commuove più,
alla capitale, delle protèste dei finlandesi e degli ebrei, delle aspirazioni dell'Ucraina, ma tutti piangono lagrime di
coccodrillo sulla sorte amara degli slavi dei Balcani, degli
slavi d'Austria. Quando la Porta - poverina - dichiarò
la guerra, il primo grido dei nazionalisti fu : Finiamola
anche col turco, andiamo a Costantinopoli, a Zarigrado !
Quando la Bulgaria mostrò di averne abbastanza di fare
la politica russa, quei padri della patria ebbero una
smorfia di nausea, quasi innanzi alla insubordinazione
di un dipendente. Quando la Rumania accennò a porre
come prezzo al proprio concorso la restituzione della
mal tolta Bessarabia, a Pietrogrado le si rise in faccia.
Quando infine nei circoli diplomatici si favoleggiò che
l'Austria potesse cedere pacificamente Trieste all'Italia,
quando l'Italia lasciò trasparire il proposito di fare una
qualsiasi politichetta balcanica, i giornali stamparono
che l'Intesa non avrebbe mai permesso a un solo soldato
italiano di por piede a Trieste e che le velleità del
Regio Governo di immischiarsi nelle cose dei Balcani
erano per lo meno ridicole. Ma già ancor prima, appena
-17si capì che noi non si restava neutrali solo per ~ettarci
illico et immediate fra le braccia degli alleati, a Pietrogrado non ebbero forse il coraggio di scrivere che chi non
era con la Russia era contro la Russia e che sarebbe Vènuta l'ora della resa dei conti? Sfido : quei signori fanno
dell'Italia la stessa stima che della Rumania !. ..
Tali sono i nazionalisti russi. Ho detto furbi : forse
ho detto male. Avrei dovuto dire calcolatori, invadenti,
esclusivi, autoritarii. Essi trattano la politil!a estera coi
metodi applicati dall'assolutismo alla politica interna. E
l'analogia non è fortuita. La politica estera della Russia
è sopratutto una casa che ha la facciata su corte, dal
lato degli inquilini, una gigantesca valvola della politica interna destinata a dare sfogo al malcontento e al
patriottismo nazionali i quali ne mancherebbero, una
ardita piattaforma di riconciliazione fra Governo e
Paese. Quanto più estrema e battagliera l'intelligenza
russa diventa in politica estera. tanto più conciliante
e mansueta il Governo la ritrova in politica interna. La
valvola ha agito, nell'ultimo decennio, cosi efficamente,
che v'ha già nazionalisti i quali vanno anche più lontano:
sino a ritenere la politica interna così qual 'è ineluttabile
se si voglia poter fare quella politica estera. Quanta
strada dal 1905, quando non si concepiva quest'ultima
se non come un'arme rivoluzionaria! Oggi le parti sono
mutate. Dal momento che quei principii ricevuti dallo
straniero sono diretti contro lo straniero, sieno essi i
benvenuti. Il germanesimo diventa nazionale, dacchè
serve a combattere la Germania!
11 sofisma dell'Interesse di
Stato.
Oseremo noi affermare che tutto ciò sia illogico? Infine, non si tratta tanto di abiura o di imborghesimento
da parte dell'intelligenza russa, quanto forse di un miglior conto tenuto delle possibilità politico-sociali rela-
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tive dei tempi. Gli elementi più moderni e pratici del
paese sono venuti a poco a poco comprendendo come
gli stati non siano figure isolatç nello spazio, e come
la loro meccanica interna non possa prescindere da quel
coefficente formidabile che è la pressione esterna. Purtroppo è una ben povera illusione quella che le frontiere
costituiscano una cintura ermetica al di dentro della
quale sia lecito abbandonarsi impunemente a tutti gli
acrobatismi della ginnastica di partito, a tutte le esperienze parlamentari e demagogiche, e fare, disfare, mutar
di posto ai pesi, invertire le dimensioni, quasi si operasse sotto la campagna di vetro in un gabinetto di chimica.
Esiste, imprescindibile, una legge di osmosi politica,
di compenetrazione del!~ varie densità politiche, la quale
dispone silenziosamente della vita interna dei popoli. Gli
stati sono come i compartimenti di un immenso pallone.
L'aria vi si distribuisce a seconda delle varie pressioni atmosferiche interne. Ove la resistenza è maggiore si arresta, ov'è minore sfonda e allaga; ma l'equilibrio delle
parti, comQ quello del tutto, risiedono in un problema
di pressione complessiva. Non esiste più nel mondo moderno un opportunismo locale; non esiste chè una opportunità generale. Mai questa legge è apparsa cosi lucida e cruda come in questo momento in cui una sorta
di turbine dispotico squassa l'intera Europa, schiantando
pareti, avventandosi minaccioso appiè di altre che ancora resistono e travolgendo nella sua furia cieca
con:e .la giustiz!a i~ee, sistemi, abitudini, partiti, istituzioni, forse dinastie, tutto quanto insomma era cresciuto all'ombra delle piccole scatole senza tener conto
di quel che cresceva nelle altre.
Il nazionalismo russo - i grandi giornali la Duma
l'alta burocrazia, la nuova borghesia merca~tile h~
ormai coscienza di tutto ciò. Esso si è reso conto che
data l 'Euro~a qual 'è oggi, ~ quale sarà probabilmente an~
cara domani, data la pressione enorme esercitata sul suo
asse non da un partito militare . - che sarebbe ben piccola
cosa - ma da un nucleo etnico troppo ricco di sangue
posto fra nuclei tr.oppo meno ricchi e quindi destinat~
fatalmente a scoppiare, data la ressa ferocç tra i singoli
-
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nucl~i per la conquista dei mercati vicini e lontani data
la ri~ercussione inevitabile dell'attrito nella zona' delle
colonie, .ali 'Impero degli Zar non rimane che una strada·
da ~eguire se non vuole venir mutilato e fiaccato dalla
vast1t.à delle for.ze i.n gioco : fare quanto fanno gli altri.
Se~mtare ad ag1tars1 per l'effettuazione dei vecchi ideali
cari al. profo~do cuor~ della ,razza, il decentramento, il
comunismo, il federalismo, I anarchia pacifica sarebbe
da parte dei s uoi direttori spirituali un voler ;icacciarlo
nel .caos slav~ dei primordi, quel caos di cui oggi gli
slavi no~ russi -.- bulgari, ruteni, serbi, croati, sloveni,
slovacchi, czecht - non sono ai loro occhi che esempio
troppo eloquente., Riconciliarsi, al contrario, con Pietro il
Grande, sottoscrivere, almeno temporaneamente al sa~
g~ificio. del! 'individuo sull'altare dei destini dell' Impero,
p1egars1 al culto dell'unità, della disciplina e della forza
ms~gnato. dai tedeschi . e praticato dall'intera Europa,
sar~ fogg!ar~ alla Russia la corazza onde ha bisogno,
a~~1curars1 d1 vederla domani più grande accanto a una
P!~ grande Inghilterra, a una più grande Francia, a una
piu grande Germania, probabilmente e speriamo anche a
una più grande Italia.
'
A rigore, lo riconosco, cotesto è un sofisma, poichè
p~r porre l'Impero in condizioni di resistere con vantaggio alla pressione degli altri stati occorrerebbe anzitutto
costjtuirgli all'interno una densità politica ed economica
equivalente alla loro, ossia riformar~ l'assolutismo: il
che probabilmente all'atto pratico non significherebbe
nemmeno per la Russia saltare a piè pari nel comunismo
e nel federalismo. Ma i nazionalisti non hanno la scelta
degli argomenti nè, sopratutto, quella delle via da battere, e d'altronde sono troppo russi per accomodarsi di
mezze misure. Cambieranno parere se l'Impero verrà
sconfitto, e sarà allora per diventare non liberali bensl
rivoluzionari, quello che erano nel 1905. Ma pel mome~to l'ipotesi è troppo problematica perchè essi e noi
abbiamo da farvi assegnamento. Oggi l'assolutismo è bene'!'lerito di fronte al paese intero del grande posto conquistato dalla Russia nel mondo. Per la prima volta da
tempo immemorabile esso può contare intorno a sè degli
1
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ne hanno un numero stèrminato, uno strumento di guerra
straordinario.
L'idea tedesca ha insomma dato ali 'Impero degli
Zar più che l'intrigo tedesco non gli abbia tolto. Non è
senza inquietudine che io mi chiedo, oggi, se i nostri
berretti frigi, i nostri rami d'olivo, le nostre palme più
o meno accademiche non corrano rischio di escire da
quella amica mano alcun poco gualciti ed appassiti. Rinviato sine die l'avvento di quell'altra Russia pacifica
e dolce che potrebbe forse essere l'arca santa di un
migliore avvenire, e scesaci più vicina questa, guerriera,
autoritaria e invadente, non ci minaccerebbe per caso il
pericolo di dar di cozzo, dopo tanti sforzi fatti per evitare un' egemonia, proprio in una egemonia?
alleati, un partito. La sua è una dittatura. Quanto durerà?
Non domandiamocelo. O domandiamoci piuttosto : quanto
durerà in Europa l'età dell'acciaio, delle conquiste, delle
convulsioni, del sangue?
Un amico pericoloso.
La mano cui oggi le speranze delle democrazie occidentali si appoggiano è dunque ben formidabile. Le
lentezze della campagna attuale possono aver ridestato
~ualche scetticismo riguardo alla potenza bellica del! Impero. Sarebbe poco consigliabile lasciarsene guadagnare, subordinarvi i propri giudizi. Non va dimenticato
come la Russia, attaccata quando meno se lo aspettava,
sia oggi quasi sola a sostener l'urto degli Imperi centrali e su un territorio il quale, secondo ho già notato,
non era stato affatto disposto per la difesa. Ad onta di
ci6, delle deficienze tradite durante la guerra col Giappone non si è oggi avuto traccia. La mobilitazione si
effettuò con prontezza esemplare, i piani strategici hanno
fatto abbastanza buona prova, le artiglierie si sono dimostrate eccellenti, le forniture non hanno dato luogo a cattive sorprese. I russi sono stati ricacciati indietro parecchie
volte, ma in complesso se non hanno fin qui ottenuto
di più non hanno neppure ottenuto di meno dei loro furibondi avversari. Nonostante la penuria di ferrovie, la celerità raggiunta nei traslochi di truppe tenne spesso del
meraviglioso, specie se si consideri che la guerra si è fatta
in Polonia non come in Francia. dalle trincee, avanzando e retrocedendo di cento metri in quindici giorni,
ma in campo aperto, spostandosi di centinaia di chilometri
in una settimana, con slancio e grandiosità di mosse mai
visti. In quanto ai soldati, quçlla frugalità, quella pazienza,
quel fatalismo di cui s'è discorso ne fanno notoriamente,
nelle mani di generali decisi e non risparmiarli, perchè
21 -
•'
Imperialismo e slavismo .
'
Il Governo russo, certo, vi pensa. Il suo nazionalismo
ha trovato beli 'e pronto, per stabilirsi, naturalizzandosi,
un terreno magnifico : Io slavismo. Non si trattava se non
di convertire in idea politica un'idea mistica che il popolo nutriva almeno da mezzo secolo, quale rifugio
platonico del proprio spirito cristiano e federalista: la
redenzione di tutti gli slavi. La conversione non si è
operata, nella realtà delle cose, poichè il popolo sente
troppo, ingenuo e sincero qual 'è, quanto poco gli slavi
non russi, più liberi e più progrediti di lui, avrebbero
da guadagnare nel divenire sudditi dello Zar. Ma le analogie apparenti fra le due ids::e erano tali che il Governo è riescito senza difficoltà a far pigliare l'una per
l'altra e a presentare al mondo un programma - sotdi tipo prussiano come autinteso se non esplicito tentico programma russo-ortodosso, munito del visto della
nazione. E' stato un giuoco di bussolotti, che i grandi
giornali, la Duma, l'alta burocrazia, la nuova borghesia
mercantile hanno accettato ad occhi chiusi, felici, se non
altro, di avere finalmente una grande missione da coni-
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pierc, abbracciante in un solo amplesso di trepido amore
e polacchi e bulgari e rutçni e serbi e croati e sloveni
e slovacchi e czechi. Se non dipendesse che da loro, vedremmo presto i materni gendarmi di Nicola II fa:-e la
ronda da Posen a Praga, ali'Adriatico, ali 'Egeo, al Bosforo, tenere balie dei buoni frat.ellini !
L'errore della polltlca eu·
ropea.
L'Europa, innegabilmente, si è adoprata in ogni modò
a legittimare tale programma. Da secoli essa non fa se
non dar mano al maciullamento degli slavi, quasi apposta per tagliarli in altrettanti bocconi che la Russia
possa inghiottire senza sforzo. In Polon;a, in Turchia,
in Austria, se un'opinione l'Occidente ebbe sin qui in
materia di slavismo fu il timore eh.e quella povera gente
non fosse abbastanza divisa, abbastanza oppressa, abbastanza barbara. Dapprima la voleva divisa per disprezzo,
affìnchè gli servisse di moneta nel saldo dei propri conti
immediati. In seguito la volle oppressa per eccesso di
stima, perchè in ogni suo membro vedeva il ceffo barbuto e zazzeruto di un russo. Come preparare meglio
di cosl ali 'Impero i pretesti necessarii per intervenire
nelle questioni riguardanti gli slavi, per erigersi a loro
tutore? L'influenza della Russia nei Balcani è opera
dell'Europa. Invece di tagliare i canapi che trattenevano
le scialuppe alla nave ammiraglia, se ne tesero sempre
di nuovi, suscitando in quest'ultima quasi un diritto di
salvarle dal naufragio, ricoverandole dentro la propria
corazza. Si tramutò in un'opera santa di redenzione
quello che da parte di Pietrogrado doveva rimanere un
programma imperialista fantastico ed assurdo.
Sopratutto assurdo, poichè esso risponderebbe, qualora
fosse sincero, a un concetto nettamente involutivo dei
destini delli! rilZZil : che l'ideale com11ne abbia a ri-
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siedere nel ritorno di tutti 1 rami sparsi al tronco ondè
sono esci ti. Quand'anche il carattere slavo non tendesse
invece di per sè alle autonomie e ai particolarismi, un
imperialismo siffatto violerebbe una delle somme leggi
meccaniche che reggono il genere umano, la tendenza
delle razze a svilupparsi proprio per via di differenzazione e non di accentramento, quasi nebulose dalle quali
a poco a poco escano nuclei diversi e antitetici. Il mondo
slavo, è v.ero, al contrario del giallo, del latino, del sassone, non ha ancora finito di essere nebulosa. Ma la sua
irrequietudine, la sua instabilità non dipenderebbero appunto dal non essere riescito sin qui a trovare il proprio assetto logico, dal sentirsi privo dei propri contrappesi naturali, pendente tutto da una parte?
Cli slavi baluardo dell'lm·
perialismo russo.
Per fortuna nostra, mentre l'Europa lavorava a spianare la strada alla Russia dopo aver seppellito in germe
quel provvido dualismo tra Moscovia e Polonia che nel
secolo XVI pareva stabilmente aperto, gli slavi non russi
lavoravano in silenzio a sbarrargliela, come i piccoli polipi sbattuti dall'onda lavorano a chiudere entro anelli
infrangibili pezzi di Oc.eano. Oggi i rami dell'albero
vogliono metter radici per conto proprio. La Bulgaria, la Serbia nel loro epico sforzo per ingrandirsi e
consolidarsi non sono le vie, sono i baluardi dell 'imperialismo russo. La prima, ieri creatura dell'Impero, se
la intende già coi nemici di questo, specie <lacchè le è
toccato udire i nazionalisti di Pietrogrado a ripromettersi non solo La conquista dell'Armenia e dell'Asia
Minore e la trasformazione del mar Nero in un lago
russo, ma la conquista del Bosforo e dei Dardanelli con
l'hinterland bulgaro. La seconda, la Serbia, accetta di
gran cuore armi e denaro dalla Russia giacchè ciò le
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24 -
torna comodo, ma non appena abbia finito di aver bisogno delle sue elemosine, farà probabilmente quel che
ha fatto la Bulgaria, cercherà di trovare da sola la
propria strada. In quanto alla Polonia, in questo momento, certo, fuma con la Russia la pipa della concordia
perchè dei tre litiganti capisce esser questo l'unico che
possa davvero restituirle, almeno a titolo di usufrutto,
l'unità territoriale ed economica e lo sbocco sul Baltico di cui oggi esclusivamente si preoccupa. Ma raggiunti - se li raggiungerà - i propri ideali immediati,
non vorrà anch'essa passare a rivendicazioni politiche,
per le quali la Russia non le fornirà senza dubbio che
troppi motivi?
Mentre dunque da un lato lo slavismo subdolo del1'lmpero degli Zar preme sull'occidente tentando assorbire col soccorso degli errori di quest'ultimo, un'enorme
mor~na etnica, il cui acquisto potrebbe valergli, nel caso
di una catastrofe tedesca, l'egemonia sull'Europa; dal·
l'altro in seno a quella stessa morena emergono, qu~si
isole dal mare nuovi centri di attrazione i quali non chiederebbero se non di fungere da contrappesi al colosso.
L'interesse dell'Europa - l'ho scritto due anni fa, lo
ripeto oggi e non mi stancher6 di ripeterlo - sta nel1'aiutare a tale emersione.
Già la sollecitudine posta dall'Inghilterra e dalla
Francia nel far da testimoni al proclama del Granduca
Nicola promettente l'autonomia alla Polonia, la soddisfazione manifestata a Londra ai giorni dell'ultima vittoria
delle valorose armi serbe sono buoni indizi di ravvedimento. Trionfanti, gli all~ati cominceranno ad appoggiare
gli slavi per rendere alla R~ssia il tributo della loro i~pe­
ritura riconoscenza, e seguiteranno per crearle degli 11nperituri nemici.
1
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Un grande Interesse Italoslavo.
Io mi auguro che l'Italia veniamoci finalmente
all'Italia - comprenda a tempo il sale di questa politica.
Noi abbiamo mantenuto sin qui nei riguardi degli slavi
una condotta particolarmente maldestra. Abbiamo guardato dalla loro parte come voleva ci guardassimo l 'Austria, la quale ce li buttava addosso dall'Istria a Gorizia,
sperando di perder noi e salvare sè stessa. Non ci siamo
mai resi conto di quanto nell'abisso che sembrava dividerci fosse di sincero e quanto di artificioso, creato a
nostra esclusiva intenzione dalla I. R. Camera del Lavoro Ufficiale. Sopratutto non abbiamo mai compreso
come italiani e slavi avessero prima di ogni ragione di
ostilità un grande interesse comune : quello della lotta
contro l'Austria. Domani ne avranno anche un altro:
quello della resistenza alla Russia.
li comprenderlo, il conformarvisi è ormai questione
vitale pel nostro avvenire. li cuore di tutti noi non batte
oggi che per la muta sorella dell'altra sponda logorantesi
nell'attesa. Ma la gelosa tutela del nostro più sacro diritto non deve impedirci di guardare intorno, al di là,
sulle grandi vie del mondo.
L'acquisto di Trieste ci instituirà responsabili di due
grandi capitoli della futura storia d'Europa: la pressione
tedesca, che non mancherà di esercitarsi alle nostre
spalle per toccare ancora una volta il Mediterraneo, e
l'assetto definitivo degli slavi meridionali. Sono due
problemi coordinati, la buona soluzione del primo dei
quali non dipende che dalla buona soluzione del secondo.
Noi non saremo veramente sicuri dell'Adriatico se non
il giorno in cui avremo amici gli slavi.
Tedeschi e slavi sono termini antitetici, come lo saranno russi e slavi. Essi si sono sempre fatta la guerra, anche
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quando hanno vissuto d'accordo. Non essere più con gli
uni vuol dire essere con gli altri. Seguitare a condurci
verso questi altri quasi verso il nostro peggiore nemico sarebbe equivoco imperdonabile e inesplicabile. Esso ci
esporrebbe fatalmente a un doppio rischio: l'ostilità della
Russia, la quale vi troverebbe continuo motivo per ingerirsi nelle cose serbe, specie quando fra qualche anno
sarà entrata anch 'essa nel novero delle potenzè mediterranee, e una nuova intèsa slavo-tedesca contro l'Italia,
la cui conseguenza più logica potrebbe essere la discesa
della Germania o la ridiscesa di una nuova Austria più
o meno ungarica in Adriatico. Perchè, infine, faremmo
la lotta agli slavi? L'Italia è troppo grande per aver paura
della Serbia. Ripromettersi di mantenere a pochi chilometri dal mare un popolo così vitale e cosi degno di
vivere è storicamente e politicamente un'aberrazione.
Assicuratici di Vallona e, quando l'ora sarà giunta, anche
dell'Istria, per noi gli slavi dell'altra sponda non costituiranno più alcun pericolo. Al contrario, offrendo loro
fraternamente ambo le mani per aiutarli a resistere alla
minaccia tedesca, a sottrarsi all 'invndenza russa, noi ne
faremo i nostri alleati per la difesa futura dell'Adriatico
e del Mediterraneo da questi due grandi pericoli, che
sono i loro come i nostri.
11 Meditert'aneo ai popoli
- - - -- - - - - mediterranei.
Si fa tanto altercare in Italia fra partigiani dell 'Intesa e partigiani dell'Alleanza: la verità è che noi non
possiamo esserlo sinceramente nè dell' una nè dell 'altra
poichè i nostri interessi non coincidono con quelli di nessuna delle cinque potenze, tranne forse che con quelli
dell'Inghilterra. Noi in codesto angustissimo Olim;:io europeo fummo e saremo sempre soli. Ce ne siamo accorti
-
27 -
durante la guerra in Tripolitania, ce ne torniamo ad accorgere oggi. Possiamo avervi trovato e trovarvi ancora
appoggi momentanei; grandi basi di accordo. profonde,
sincere, durevoli, no. Nè l'alleanza nè l'Intesa ci daranno mai quello di cui abbiamo bisogno. In mezzo a
tanta nebbia, a tante indecisioni, a tanti pentimenti, a
tante profezie, a tante mal celate insidie', ca~s d~I quale
è da augurarsi che il vecchio stellone d Italia c1 tragga
a tempo, solo una cosa è cert~, lampa.nte : il. nostro in1teresse di lavorare d'accordo coi Balcani per difendere I Adriatico oggi, il Mediterraneo domani. L'intes~ fr.a gli
stati della penisola sembra oggi ancora troppo d1ffic1le da
conseguirsi; ma se vi si giunse una volta per d1fenJerla
dal sud perchè non vi si giungerebbe un'altra volta per
difenderla dal nord? E' questo, per lo meno, il c6mpito
della politica italiana. La Rumenia non. basta: ci occor~e
anche la Serbia. Ci occorre la Bulgaria, quella Bulgaria
di cui noi per i primi in Europa riconoscemmo nel 1887,
ministro il Crispi, l'assetto politico attuale, ~entre la
Russia a mezzo dei propri ambasciatori faceva ~1 tutto per
guadagnarci ad opposti consigli; quella Bulga.ria .dalla politica sin qui fatalmente costretta a destr~gg1ar~1 tra due
campi opposti di influenze e i cui atteggiamenti possono
ad ora ad ora sembrare o anche essere ted~scofi~t. o. r_ussofili quando si tratti di ricavarne vanta.gg1 pos~t1v1 1~­
mediati ma nella realtà non sono che ant1tedesch1 e ant1russi perchè sono semplicemente balcanici. Ci .occorre l~
Grecia che noi stoltamente ci inimichiamo lasciandola d.1venire sempre più ligia alla Francia. Ci occorre la ferrovia
transbalcanica che stringa tutta la penisola alla nostra con
fraterni legami di scambi e di pensieri. Chissà, forse saranno questi i soli amici sui quali potremo contare!
A meno che dall'altra parte del mare n.on si. sve~li la
grande addormentata, la S~agna ! E' p~opno chimerica la
speranza di veder fondato m un avvemrè non troppo lontano un patto delle tre Penisole riattuante il pro~ramm~
logico voluto da Roma antica : il Mediterraneo a1 popoli
mediterranei?
PROBLEMI ITALIANI
Questa raccolta di opuscoli di 32 pagine, a dieci cen:
!esimi, si propone di informare gli italiani sui problemi
nazionali più urgenti in questa crisi della nostra storia e
della nostra coscienza: problemi economici, politici, militari, sociali, morali, che saranno esaminati senza jattanza
e senza rnticenze, da un punto di vista italiano, nelle loro
necessità. nei loro precedenti, nelle loro logiche conseguenze pel bene durevole della nostra civiltà, della nostra
nazione e del nostro libero regime.
Questi opuscoli escira11110 così da formare tra il Qe1111aio
e il .Haggio 1915 una prima serie di Ventiquattro.
I primi dodici, che si trovano in vendila, sono:
I.• Gaeta:•o Salve111i11i - Guerra o Neutralità?
2.• Luigi Ein• ii
- Preparazione morale e prepara·
zione finanziaria.
3. - !1lessa11dro Lustig - La preparazione e la difesa sani·
taria dell'esercito.
4.• Gl' Istriani a Vittorio Emanuele Il nel 1866.
- J\driatico e Mediterraneo.
5. - 1\ilario !flberti
6. - Qiulio Caprin
- Trieste e l'Italia.
7.. Guglielmo Ferrero - Le origini della guerra presente.
8.• Ugo Ojelli
- L'Italia e la Civiltà Tedesca.
9. - Pietro Silva
- 1866 La preparazione della
guerra.
10. - Enrico Burich
- Fiume e l'Italia.
11. • Concetto Pelli11ato - Russia, Balcani e Italia.
12. - S. Morpurgo
- Diario Triestino, 1815-1915 •
Cent'anni di lotte per l' Italianità.
Seguiranno a//ri dodici scritti dovuti alla penna dei più chiari
e competenti autori nostri quali S. Barzilai, C. Errera, G. Borgese, G. /\rias, L. Thomson, E. Janni, V. Gayda, ecc.
La raccolta ~ diretta da un comitato presieduto da UGO O JETTI e composto da Luigi
Bertelli, Giulio Caprin, Salomone Morpurgo e
Gaetano Salvemini.
Abbonamento alla prima serie di Ventiquattro Opuscoli Lire 'DUE.
lrit:Jiare cartolina t:Jaglia agli Editori
RA V A ~ C.•
MILANO, Corso Porta Nuova, 19
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