ZANIER Claudio
Il Diario di Pompeo Mazzocchi 1829-1915
La Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori
p. 240; 24cm., ill.
ISBN 88 8486 071 7
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Fondazione Pompeo
Residenza Mazzocchi
e Cesare Mazzocchi
Il Diario
di Pompeo Mazzocchi
1829 -1915
a cura di Claudio Zanier
Fondazione Civiltà Bresciana
RINGRAZIAMENTO
La pubblicazione del Diario di Pompeo Mazzocchi è stata resa possibile
dalla fattiva e valente collaborazione di molte persone. La Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi ed il Comitato di Redazione esprimono il loro vivo
ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato alle varie fasi di preparazione di questo complesso lavoro, in particolare a Natale Partegiani, per
il suo contributo ed i suoi preziosi consigli ed informazioni, al Parroco di
Coccaglio per la sua disponibilità a far consultare in qualsiasi momento gli
Archivi Parrocchiali, a Cesare e Lidia Mazzocchi per la cortesia a concedere
l’utilizzazione di oggetti e ricordi della famiglia, a Maurizio Arfaioli ed Antonella Grati per il complesso e delicato lavoro di trascrizione del dattiloscritto,
a Francesca Travaglini per lo spoglio delle carte giapponesi dell’Archivio di
Pompeo Mazzocchi, a Giovanni Begni, sempre pronto a facilitare l’accesso e
l’uso dell’Archivio.
Un grato pensiero anche ai tanti amici giapponesi che hanno sostenuto
attivamente il progetto di valorizzazione delle comuni memorie storiche
del periodo in cui Pompeo operò in Giappone, aiutando a comprendere in
modo concreto l’ambiente in cui egli ebbe ad agire ed i personaggi con cui
fu in continuo contatto, in particolare al Nippon Silk Center di Gunma con
il suo Presidente, il Prof. Yataro Tajima, all’Archivio Storico di Yokohama, ai
cittadini di Shimamura (Sakai-machi) e, non ultima, alla Signora Kodera, già
Console del Giappone a Milano.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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1. Ritratto su seta di Pompeo Mazzocchi eseguito dal pittore giapponese Goseda Horiyû intorno al 1875.
Riproduzione per gentile concessione degli eredi.
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
PREMESSA
In seguito alla pubblicazione del libro La vita e i viaggi di Pompeo Mazzocchi, la Fondazione ha ricevuto l’invito a partecipare, nell’autunno del 2001,
nell’ambito della manifestazione “Italia in Giappone”, ad una mostra che si è
tenuta al Nippon Silk Center a Maebashi (Giappone) incentrata sulla figura di
Pompeo Mazzocchi e dei semai italiani. In quella occasione, visto il notevole
interesse e rispetto con cui vengono ricordate in Giappone queste figure ed
in particolare quella di Pompeo Mazzocchi, è nata in noi l’idea di pubblicarne le memorie, che tutti chiamano ormani Diario, rimaste sinora chiuse nei
cassetti della Fondazione, per far conoscere ad un pubblico più vasto la storia
di questo nostro concittadino ancora praticamente sconosciuto.
La pubblicazione del Diario di Pompeo Mazzocchi, in occasione del 25°
anniversario di apertura della Casa Albergo di Coccaglio, vuole essere anche
un doveroso riconoscimento ad un nostro concittadino che attraverso numerosi viaggi in Giappone, effettuati nella seconda metà dell’ottocento, alla
ricerca del seme-bachi, ha saputo accumulare notevoli risorse economiche;
risorse che per volontà di suo figlio Cesare hanno permesso la realizzazione
di strutture per l’assistenza delle persone anziane delle comunità di Coccaglio
e Torbole Casaglia.
L’edizione del Diario (resa possibile dalla preziosa opera di ricerca del Prof. Claudio Zanier) si
colloca come naturale prosecuzione di un cammino iniziato nel 1999 con la pubblicazione del libro
La vita e i viaggi di Pompeo Mazzocchi di Caterina
Saldi Barisani e come ponte di collegamento per
la mostra “Centoquarant’anni di fili di Seta” che la
Fondazione ha in programma di realizzare nell’autunno del 2005 a Brescia e Coccaglio.
Nella convinzione che questa opera raggiunga lo
scopo prefissato, la Fondazione ha in programma
ulteriori iniziative volte a valorizzare la notevole documentazione in suo possesso lasciataci
dal Pompeo e frutto dei suoi viaggi in Estremo
Oriente, certi che oltre a rendere un doveroso
omaggio ad un nostro illustre concittadino, serva
2. Copertina del Catalogo della mostra tenuanche a ricordare a tutti il passato delle nostre due
tasi al Nippon Silk Center della Prefettura di
comunità.
Gunma (Giappone) nel 2001 in collaborazione con la Fondazione Civiltà Bresciana e
la Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi. A
sinistra il ritratto di Pompeo Mazzocchi (eseguito in Giappone) a destra quello di Yahei
Tajima (eseguito a Torino).
Cesare Massetti
Presidente - Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi
Coccaglio (Brescia)
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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3. Atelier Yauchi-sha di Yokohama. Dipinto su seta e carta. Vittoria Almici Mazzocchi, moglie di Pompeo,
ritratta in costume giapponese (probabilmente utilizzando una sua foto). Circa 1880. Cm. 60x148. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio - Collezioni Orientali.
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
SALUTO AUGURALE
Una pubblicazione come questa rappresenterà il fiore all’occhiello non
solo della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, ma anche della Fondazione
Civiltà Bresciana e del neonato Centro San Martino per lo studio della Storia
dell’agricoltura e dell’ambiente, ad essa legato e dalla stessa promosso.
Per i pochi che ne ricordano le recenti origini, la Fondazione Civiltà Bresciana ha avuto, si può dire, nei campi e tra gli ultimi filari di gelso e le ormai
fatiscenti filande, la sua culla. La sua prima mostra era stata infatti dedicata
alla Bassa da salvare. E molto è stato fatto da allora per mettere in rilievo
e ridare dignità ad una realtà sempre più sfrangiata, compromessa dalla
crescita di anonomi capannoni, in parallelo agli stravolgimenti di paesaggi
rurali secolari, con abbattimenti di alberi e con la riduzione di fiumi e rogge
a scolatoi.
Il Centro San Martino è nato quindi come coronamento del tentativo di
salvare quanto ancora rimane, gli sparsi frammenti, di un mondo in lento
dissolvimento, con la scoperta di una serie infinita di uomini e vicende,
interventi ed opere che hanno espresso una vera e nobile civiltà del lavoro e di
fatiche, e che oggi continua ad esprimersi ma sul piano di un’altra economia,
sul piano nazionale ed oltre.
Il nostro sforzo è stato, dal 1994, pervaso ed attraversato da altri interessi
culturali, che partendo dall’“Ottobre Cinese” ha portato alla mostra “Sulla via
della seta” e al relativo volume La via bresciana della seta. Questo itinerario
ha poi condotto al Giappone con il convegno “Nell’impero del Sol Levante.
Viaggiatori, missionari e, diplomatici in Giappone” e con il saggio di Caterina
Saldi Barisani su Pompeo Mazzocchi.
Su questa strada la nostra Fondazione ha incontrato l’altra benemerita Fondazione di Coccaglio, intitolata, appunto, al Mazzocchi, ed il suo altrettanto
benemerito presidente, Cesare Massetti. Assieme a loro e ad uno dei più
qualificati studiosi del ramo, il professor Claudio Zanier, si è realizzata nel
2001, nello stesso Giappone, al Nippon Silk Center di Gunma, una mostra
che ha riscosso un lusinghiero plauso di critica e di pubblico.
Il nuovo volume che ora appare - il Diario di Pompeo Mazzocchi - curato
con la consueta finezza dal professor Zanier e sostenuto dalla Fondazione
Pompeo e Cesare Mazzocchi, aggiunge un nuovo tassello al mosaico che, con
la Fondazione Civiltà Bresciana ed ora anche con il Centro Studi San Martino,
si va componendo da anni per far emergere quel tessuto tenace di uomini,
lavoro e intelligenza che ha costituito e costituisce l’anima della realtà agraria
bresciana.
Antonio Fappani
Presidente - Fondazione Civiltà Bresciana
Brescia
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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4. Ritratto postumo di Pompeo Mazzocchi del pittore C. Prada. Olio su legno. 1921. Cm. 58,5x78,5.
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Sede.
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTA INTRODUTTIVA
La pubblicazione del Diario di Pompeo Mazzocchi offre la possibilità al
più vasto pubblico di conoscere direttamente un testo di particolare valore
storico e di grande rilevanza, non solo per l’ambito della provincia, ma assai
oltre.
Le memorie di Pompeo Mazzocchi, illuminanti sui meccanismi familiari e
sociali, e sulle scelte imprenditoriali che consentono la robusta ascesa economica del ceto medio nella provincia bresciana nel corso dell’800, gettano allo
stesso tempo una vivida luce sulle proiezioni internazionali ed intercontinentali cui sono obbligati i membri di quel ceto, attraverso la loro partecipazione
al ciclo produttivo della seta ed in conseguenza della profonda e perdurante
crisi causata per oltre un ventennio dall’epidemia della “pebrina” che colpisce
gli allevamenti dei bachi da seta in tutto il Mediterraneo e nell’Oriente.
Nella fase matura e conclusiva della sua vita, quando Pompeo, quasi sessantenne, inizia nel 1887 a scrivere le sue memorie, egli è ormai un ricco possidente/imprenditore, affermato e stimato, ed a cui moltissimi sono grati per il
suo decisivo contributo - attraverso più di vent’anni di di avventurosi sforzi
commerciali per rifornire il paese di uova sane di baco da seta - a consentire
il mantenimento e la ripresa, nel Bresciano e nelle province limitrofe, della
sericoltura intensiva, una tra le più ricche e più diffuse attività produttive
dell’Italia settentrionale.
Tra i tanti che si cimentarono in queste imprese, Pompeo fu sicuramente
tra i più fortunati, ma la sua fortuna - che egli stesso più volte ringrazia - non
fu fortuna accidentale, ma fu il risultato di una tenace volontà, in Pompeo
come in tutta la sua famiglia, di affrontare, con ardore e lungimiranza, un
susseguirsi di situazioni avverse che avrebbero potuto facilmente, se non contrastate con coraggio, portarli sul lastrico. A pochi come ai semai di quegli
anni - agli avventurosi ricercatori di seme-bachi sano nei posti più lontani e
difficili - si addice la frase “la fortuna aiuta gli audaci” e non sembra un caso
che un gran numero di essi uscissero dagli ambienti più attivi del risorgimento nazionale o avessero in prima persona partecipato ad attività insurrezionali
o militari dei mazziniani o dei garibaldini.
Le memorie di Mazzocchi sono anche un quadro di rara efficacia nel quale
si mescolano, in una maniera che rispecchia davvero le realtà della vita di
quel periodo, i temi concreti della trasmissione ereditaria dei patrimoni - con
i fallimenti di chi non sa usarne oculatamente - quelli dei rapporti di credito
e di affari che intrecciano famiglie e parentele, quelli della paziente gestione
delle attività agricole, così come gli aspetti, spesso deludenti e frustranti, di
un curriculum di studi che offre, ai figli di una borghesia non sufficientemente ricca, le sole squallide realtà di scuole e collegi di infima qualità, ove
si esercita più la trasmissione dell’ingiustizia, del sopruso fisico e del pregiu-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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NOTA INTRODUTTIVA
5. Xilografia giapponese (Nishiki-e) che mostra la spedizione del giugno del 1869 dell’Ambasciatore italiano, Conte La Tour, accompagnato dalla consorte, da un membro dell’Ambasciata e da quattro semai
italiani - oltre ad una massiccia scorta armata giapponese - nelle regioni sericole interne del Giappone
centrale. Cm. 23,7x163,3. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
dizio che quella del sapere. Ma nelle memorie traspare di continuo anche
la solidità dei rapporti e dei valori - nella famiglia e nella vita sociale - che
sostengono e sospingono gli uomini e che, nel caso specifico delle intraprese
del Mazzocchi, consentono loro di guardare assai lontano e di rischiare con
coraggio, forti di un appoggio corale che è una delle grandi risorse umane di
quel periodo di profonde trasformazioni.
Non va infine trascurato l’elemento, che di continuo traspare, attraverso
gli occhi del protagonista, da bambino ad adulto maturo, della vivace curiosità intellettuale, del desiderio di conoscere e di vedere, della disponibilità
a comprendere società diverse e costumi diversi, senza pregiudizi, ma anzi
con l’espressione di un sano sdegno morale per le sopraffazioni e le inutili
crudeltà che accompagnano l’estendersi, ormai definitivo, a livello mondiale,
del dominio dell’Occidente, con la forza, sugli altri.
Della riscoperta e della messa in valore della figura e dell’opera di Pompeo
Mazzocchi bisogna dar credito, in primo luogo, alla determinazione della
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi di Coccaglio, istituita nel 1969, di
non voler limitarsi ad una corretta e puntuale gestione del cospicuo patrimonio lasciato dai due Mazzocchi a favore degli anziani di Coccaglio e di
Torbole, secondo le indicazioni statutarie, ma anche di preservare e di far
conoscere il vasto patrimonio culturale ed artistico di casa Mazzocchi di cui
essa era depositaria. A questa fattiva disposizione si è aggiunta l’instancabile
attività di ricerca e di messa in luce delle tradizioni e delle personalità più
significative della provincia svolta da tanto tempo, con grande lucidità ed
impegno, da Don Antonio Fappani e dalla Fondazione Civiltà Bresciana da
lui diretta. È all’impegno ed al costante stimolo di Don Fappani che si deve
la scelta di Caterina Saldi Barisani di pubblicare un bel volume, nel 1999,
sulla vita e i viaggi di Pompeo Mazzocchi, che si avvaleva, in via prioritaria,
del testo del Diario, di cui riportava svariati stralci, ma anche di un’ampia
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTA INTRODUTTIVA
documentazione rinvenibile presso l’Archivio di Stato di Brescia, parzialmente riportata in appendice nel suo volume, con l’inclusione di alcune lettere
d’affari scritte da Pompeo Mazzocchi stesso.
La pubblicazione del volume della Saldi Barisani era stata preceduta da un
Convegno con relativo volume di Atti su La via Bresciana della seta (1994) in
cui si affrontava anche il tema dei semai e si parlava di Pompeo Mazzocchi e
da un succesivo Convegno di alto livello, con relativi Atti (1998) sui viaggiatori nell’Impero del Sol Levante in cui riaffiorava il tema dei semai, entrambi
organizzati dalla Fondazione Civiltà Bresciana. Infine, nel 2001, in occasione
dell’anno dell Italia in Giappone e su iniziativa del Prof. Claudio Zanier,
la Fondazione Civiltà Bresciana e la Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi
decidevano congiuntamente di collaborare ad una mostra presso il Nippon
Silk Center di Maebashi nella Prefettura di Gunma, in Giappone, incentrata
sulle figure parallele di due grandi protagonisti degli scambi tra Italia e Giappone nel campo sericolo: l’italiano Pompeo Mazzocchi e il giapponese Yahei
Tajima. È stata questa l’occasione per far conoscere a livello internazionale la
figura del Mazzocchi e per esporre, riproducendola nel relativo catalogo illustrato, compilato in giapponese ed in inglese, molta documentazione inedita
relativa a Pompeo Mazzocchi e preziosi oggetti appartenenti ad uno dei rami
dei discendenti di Pompeo.
In seguito venne assunta la decisione da parte della Fondazione Pompeo e
Cesare Mazzocchi di replicare, ampliandola, la mostra tenutasi in Giappone
e di effettuarla nel Bresciano nell’autunno del 2005, ponendovi sempre al
centro l’opera e la figura di Pompeo Mazzocchi.
Era quindi ormai giunto il momento, del resto spesso sollecitato dalla
Presidenza della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi e da Don Fappani,
di offrire al pubblico il Diario di Pompeo Mazzocchi nella sua completezza.
Della cura del testo e dell’introduzione venne dato incarico al Prof. Claudio
Zanier, del Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università di Pisa, per la sua competenza nel campo dei “semai” operanti tra Italia e
Giappone, e dei quali Pompeo fu uno dei maggiori rappresentanti in assoluto
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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NOTA INTRODUTTIVA
tra il 1864 ed il 1880, affiancato da un Comitato Redazionale e con l’ausilio
di svariati altri collaboratori per poter dare una forma adeguatamente fruibile al testo ed un adeguato apparato di note esplicative alle numerosissime
citazioni che si incontrano in ogni pagina delle memorie di Pompeo e per le
quali è stato anche compilato un apposito “Indice dei nomi”.
Si è anche deciso di pubblicare, in appendice al presente volume, le trascrizioni delle uniche due lettere private di Pompeo Mazzocchi che si siano
potute sinora reperire, una da Yokohama, del 1870, l’altra da S. Francisco,
del 1879, scritta durante uno dei trasferimenti dall’Italia al Giappone, e di
ristampare la preziosa e rara relazione di un viaggio in alcune delle province
sericole del Giappone interno che Pompeo Mazzocchi compilò e trasmise
alla Legazione d’Italia a Tokyo nel 1874. Si è infine ritenuto opportuno di
inserire uno schema di albero geneaologico della famiglia Mazzocchi e di
alcuni dei rami collaterali, basandosi tanto sui dati sulla famiglia citati da
Pompeo stesso, quanto su ricordi personali dei discendenti e su verifiche e
ricerche d’archivio.
Pochi giorni prima di andare in stampa, si sono fortunosamente rinvenuti altri scritti, documenti e lettere di Pompeo Mazzocchi e di suo fratello
Gabriele - tutti di grande interesse.
Con l’eccezione della sopra citata lettera di Pompeo da Yokohama, inserita
all’ultimo minuto nell’Appendice al presente volume, le altre carte, adeguatamente studiate ed annotate, ci si augura faranno parte di una successiva
pubblicazione.
Il Consiglio della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTA INTRODUTTIVA
6. Fronte e retro del lasciapassare (“Passaporto”) rilasciato a Pompeo
Mazzocchi l’8 luglio 1869 dal Consolato Italiano di Yokohama per
recarsi a Tokyo. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio,
Archivio Storico.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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7. Ritratto di Cesare Mazzocchi del pittore C. Prada. Olio su legno. Cm. 38,5x49,5. Fondazione Pompeo
e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Sede.
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
Pompeo Mazzocchi e il mondo dei “semai”
Il “Diario” lasciatoci da Pompeo Mazzocchi (1829-1915), ossia l’insieme
di ricordi sulla sua famiglia e sulla sua vita da lui scritti per i figli e la moglie
a diversi intervalli di tempo e poi ricopiati dopo la sua morte, è uno dei
pochissimi documenti a carattere autobiografico che siano sinora emersi tra
le carte di coloro che operarono nella produzione e nel commercio della seta
in Italia nel XIX secolo.
Il Diario, qui integralmente trascritto ed annotato dopo che Caterina
Saldi Barisani ne ebbe ricavato pochi anni or sono un’accurata biografia,1
viene così ad aggiungersi alla affascinante Vita del piemontese Francesco Bal
(1766-1836), cui Maria Carla Lamberti ha dedicato due eccellenti lavori2,
alle vivaci Memorie del vicentino Pietro Gaetano Toniato (1792-1875) edite
con precisa cura da Emilio Franzina,3 alle frammentarie note di diario che
si sono recuperate del sacerdote trentino Giuseppe Grazioli (1808-1891),
presentate da Elisabetta Pontello Negherbon all’interno di un più vasto
lavoro biografico su Grazioli,4 agli sprazzi della tribolata vita di una grande
1 Saldi Barisani, C., Pompeo Mazzocchi. La vita e i viaggi, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 1999;
nel volume, oltre ad estratti del Diario, sono inseriti brani dell’ancora inedito Libro-Giornale che
Mazzocchi compilò nel corso del suo secondo viaggio in Giappone, nel 1865 ed alcune lettere da lui
scritte alle autorità bresciane in quell’occasione, tutti documenti oggi conservati presso l’Archivio di
Stato di Brescia. Della corrispondenza privata di Pompeo Mazzocchi e soprattutto delle lettere da lui
scritte a casa nel corso di tanti viaggi, non è invece rimasto nulla (come lui stesso lamenta nel Diario,
al foglio 144), se si esclude una lettera da Yokohama del 1870 ed una da S. Francisco del 1879 che qui
viengono pubblicate in Appendice. Incentrata, per la parte italiana, sulla figura di Pompeo Mazzocchi
in Giappone è stata la mostra Sericultural Exchange between Italy and Japan, Mazzocchi Shimamura and
Italian Silk Costumes, curata dallo scrivente e tenutasi al Nippon Silk Center di Gunma (Giappone)
nel settembre-ottobre 2001 nell’ambito delle manifestazioni Italia in Giappone 2001 con il sostegno
organizzativo della Fondazione Civiltà Bresciana. Nell’omonimo catalogo (Nippon Silk Center, Gunma
2001) saggi sul tema di C. Saldi Barisani, F. Travaglini e C. Zanier.
2 Lamberti, M.C. (a cura di), Vita di Francesco Bal scritta da lui medesimo, Angeli, Milano, 1994; Lamberti, M.C., Splendori e miserie di Francesco Bal. 1766-1836, Torino 1994. Bal, tecnico esperto dei
processi di trattura e torcitura della seta, soggiornò per anni a Napoli ed in Calabria per modernizzare
gli stabilimenti locali di lavorazione del filo serico. Nel periodo conclusivo della sua vita lavorò a Torino presso la ditta dei fratelli Bonafous, i più importanti spedizionieri di sete italiane verso la Francia
e gli altri mercati transalpini, collaborando anche alle sperimentazioni gelsicole e bachicole di uno dei
proprietari, lo scienziato Matteo Bonafous (sul quale vedi la successiva n. 7).
3 Franzina, E. (a cura di), Memorie toccanti l’estesissimo commercio dei drappi di seta stabilito in Vicenza,
Associazione Artigiani della Provincia di Vicenza,Vicenza 1989. Toniato fu capofabbrica ed uomo di
fiducia di un grande emporio tessile vicentino, specializzato nella produzione e smercio di filati e tessuti
di seta.
4 Pontello Negherbon, E., Grazioli, un prete per il riscatto del Trentino. La vita (1808-1891), gli scritti, le
opere, i viaggi, Panorama, Trento 1991. Don Grazioli, figura di spicco nel trentino per le sue attività
filantropiche e le sue iniziative economiche e culturali, partecipò per alcuni anni alle spedizioni per
l’acquisto di seme-bachi in Giappone e venne considerato dai contemporanei come il salvatore della
florida sericoltura roveretana e trentina.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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INTRODUZIONE
istituzione di carità dedita alla produzione serica che si possono cogliere dalle
carte del veronese Don Nicola Mazza (1790-1865), nella efficace sintesi che
ne fece Giovanni Zalin.5
A questi testi possono essere aggiunte le numerose lettere a carattere personale riguardanti le attività seriche del torinese Lorenzo Valerio (1810-1865),
incluse nei volumi del suo epistolario curato da Adriano Viarengo e dal compianto Luigi Firpo6, mentre sono ben rari anche gli inediti autobiografici
o comunque gli scritti o le lettere, a tutt’oggi identificati, che consentano
uno sguardo - personale e dall’interno - sul mondo della seta. Tra questi
ultimi si possono citare alcuni manoscritti dell’agronomo e scienziato Matteo Bonafous (1793 -1852), direttore per lunghi anni dell’Orto Sperimentale
dell’Accademia di Agricoltura di Torino ed ora depositati presso la Bibliothèque
Municipale di Lyon7, e poche altre carte sparse e corrispondenze, come le
ricche missive del milanese Giuseppe De Cristoforis, direttore di una filanda
in Bengala negli anni ‘50 dell’800, all’amico Emilio Cornalia, entomologo,
Direttore del Museo di Scienze Naturali di Milano ed uno dei massimi esperti
europei sul baco da seta di quel secolo. Sinora, ben poco altro è emerso sull’argomento.8
5 Zalin, G., “Don Nicola Mazza e l’arte di far la seta. Annotazioni sulla base di nuovi documenti”, Nuova
Rivista Storica, LXXII, f. V-VI, 1988, pp. 599-628. L’opera veronese di carità di cui si occupava Don
Mazza negli anni ’40 e ‘50, ricavava i bozzoli da impiegare nella filanda da grandi allevamenti di oltre
duecento once di seme, producendo sete tratte che andavano su mercati anche piuttosto esigenti, come
testimonia il rapporto epistolare con la Pasquale De Vecchi di Milano, una ditta di notevole rilievo
economico che sarà alle spalle di alcune delle maggiori iniziative di semai italiani verso l’Asia e verso il
Giappone in particolare.
6 Firpo, L., Viarengo, A. (a cura di), Lorenzo Valerio. Carteggio, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 3 voll.
sinora pubblicati (1991, 1994, 1998).
7 Matteo (Matthieu) Bonafous, originario di Lyon, ma impiantato a Torino con la famiglia per le esigenze
della Casa di spedizioni seriche Fratelli Bonafous di cui era comproprietario, fu uno dei maggiori agronomi
innovatori del suo tempo e dedicò larga parte delle sue ricerche alla gelsi-bachicoltura ed alla sperimentazione pratica di nuove tecniche di allevamento del baco e di coltivazione del gelso e di nuove varietà della
pianta. Si dedicò anche alla riedizione critica di opere classiche di bachicultori europei ed alla traduzione
di testi e manuali cinesi e giapponesi di gelsi-bachicoltura. Tra le sue carte, malamente disperse nel corpus
dei manoscritti della Biblioteca Municipale di Lyon, si sono potuti rintracciare due testi manoscritti
relativi uno ad un diario di un viaggio di studio in alcune aree sericole del Piemonte, l’altro al diario di
un viaggio in Olanda per preparare il testo definitivo della traduzione dal giapponese del manuale di
bachicoltura Yôsan Hiroku di Kamigaki (Uegaki) Morikuni, annotato e commentato da Bonafous stesso.
Sull’opera di Bonafous quale innovatore gelsicolo si veda Tolaini R., “Agronomi e vivaisti nella prima metà
dell’ottocento: Matthieu Bonafous e la diffusione del gelso delle Filippine”, Società e Storia, 49, 1990, pp.
567-592. Per il processo di edizione del testo di Kamigaki Morikuni mi permetto di rimandare a “The
European Quest for East Asian Sericultural Techniques. Matthieu Bonafous and the Translation of Yôsan
Hiroku in 1848” in Zanier C., Where the Roads Met. East and West in the Silk Production Processes (17th to
19th Century), Italian School of East Asian Studies, Kyoto 1994, pp. 71-94.
8 Di limitato interesse pare purtroppo essere il Diario di Pietro Savio (1838 - 1904) di Alessandria che
per tutti gli anni ’70 fu tra i maggiori semai italiani in Giappone, proseguendo questa sua attività
in Italia dopo il suo definitivo rientro nel 1881. Nelle pagine del voluminoso diario, tutte dedicate
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
La pebrina e i semai
L’importanza delle memorie di
Pompeo Mazzocchi risiede tuttavia,
oltre che nel fatto di unirsi alla sparuta schiera di tali fonti, nella finestra
che esse aprono sui semai, protagonisti cardine di uno dei periodi più
difficili e perturbati della sericoltura
italiana e mondiale, quello della
pebrina, la virulenta e devastante
epidemia del baco da seta che sconvolse per oltre un quarto di secolo
- dalla fine degli anni ‘40 alla metà
degli anni ‘70 del XIX secolo - gli
allevamenti di bachi da seta di quasi
tutto il mondo, ma in modo particolare quelli dei paesi sericoli situati
intorno al Mediterraneo.9 L’Italia -
8. Tito Mazzocchi adolescente. Per gentile concessione degli eredi.
a descrizioni impressionistiche dei suoi numerosi viaggi ed escursioni, ve ne sono solo alcune in cui
parla del suo più che decennale commercio del seme-bachi giapponese che lo rese assai ricco, ma con
scarsi particolari. Il Diario di Savio, in possesso degli attuali discendenti, dovrebbe essere pubblicato in
tempi brevi per cura di Teresa Ciapparoni. Su alcune specifiche opere di Pietro Savio si vedano anche
le successive note n.12 e n. 31.
9 La pebrina (termine dialettale del Midi francese, ad indicare le macchie nere come grani di pepe che
appaiono sul baco malato) o atrofia parassitaria, è causata da un microrganismo - Nosema Bombycis
- che si installa nell’animale e lo uccide o ne menoma gravemente la capacità di tessere il bozzolo, trasmettendosi dalle farfalle femmine alle uova. Gli allevamenti colpiti perdevano mediamente dal 60%
all’80% del raccolto in bozzoli, con l’aggravante di avere quasi tutte le femmine sopravvissute portatrici
del parassita. Il microrganismo venne precocemente individuato, nei primi anni ‘50, attraverso l’osservazione microscopica dal Vittadini a dal Cornalia e fu internazionalmente conosciuto come “corpuscoli
del Cornalia”, mentre i modi, la natura e le cause dell’infezione furono oggetto di diverse e spesso
aspramente controverse interpretazioni, all’interno di un dibattito vivacissimo che coinvolse allevatori,
entomologi e altri scienziati di tutta Europa, dal nostro Cantoni all’austriaco Haberlandt, dall’allievo di
Cuvier, Guerin-Menneville, al tedesco Liebig. La malattia rimase comunque incurabile (e lo è ancora
oggi), ma essa potè, alla fine, essere radicalmente e totalmente prevenuta mediante l’applicazione di un
geniale quanto tecnicamente semplice (sebbene costoso) metodo di controllo microscopico preventivo
delle deposizioni ideato da L. Pasteur e sperimentato su vasta scala da lui stesso in collaborazione con
alcuni allevatori d’avanguardia (tra i quali Levi e Chiozza) nei pressi di Gorizia nel 1869. Il metodo
Pasteur, con il quale da allora sino ai giorni nostri si selezionano in laboratori attrezzati uova di baco
da seta esenti da pebrina, venne tuttavia applicato con molta lentezza dagli allevatori, sia per i costi
elevati e la scarsità di laboratori attrezzati e capaci, sia per le pesanti polemiche e le diffidenze diffuse
che accompagnarono la propagazione del sistema. In Europa si dovette attendere la seconda metà degli
anni ‘70 perchè il metodo fosse di generale (anche se non totale) applicazione, mentre fuori d’Europa
- in Anatolia, Persia, India, Cina e nello stesso Giappone - il metodo si impose solo negli ultimi anni
del secolo e oltre.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
19
INTRODUZIONE
che da secoli aveva nella seta e nei suoi lavorati la prima in assoluto delle sue
esportazioni e che era allora il primo produttore mediterraneo di bozzoli e il
secondo produttore di materia prima serica al mondo dopo la Cina - rischiava seriamente di mettere fuori gioco, con l’incontenibile furia dell’epidemia,
un insieme di produzioni e di occupazioni che davano il pane a milioni di
persone e che rappresentavano cespiti assai significativi per una larga parte
delle classi dirigenti, specie in Italia settentrionale ed in particolar modo in
Lombardia.
Iniziata nella Francia meridionale, in una data imprecisata tra il 1844 ed il
1849, la pebrina giunse in Italia nei primi anni ’50, estendendosi inarrestabile a tutte le aree sericole della penisola in poco tempo. Ben presto l’unica
possibilità pratica per continuare ad allevare bachi e produrre bozzoli fu
quello di andare ad acquistare uova di baco da seta - il seme-bachi - in località
sempre più lontane, dove la malattia non fosse ancora arrivata. Il semaio,
che nei tempi antecedenti era stato il più delle volte una modesta figura di
piccolo commerciante itinerante tra fiere di paese (prima della pebrina tutti
i produttori che lo potevano si facevano infatti il seme da sè o si rifornivano
direttamente da altri produttori di fiducia) divenne in brevissimo tempo una
figura cardine, essenziale ed indispensabile per mantenere in vita quella che
i contemporanei chiamavano la più ricca attività del paese, mentre il semebachi che prima del 1850 si comprava - di tanto in tanto e solo per rinnovare
in parte la “razza” dei propri allervamenti - a due-tre lire l’oncia ed anche
meno, diventava di colpo un ricercato e costosissimo bene, salendo di prezzo
fno a dieci/quindici volte.10
Delle riproduzioni in proprio non era infatti più possibile fidarsi, pena
cocenti delusioni e disastrosi fallimenti e così nessuno poteva fare a meno di
ricorrere ai semai ed al mercato del seme-bachi se voleva continuare a produrre bozzoli e restare nel giro dell “oro sugli alberi”.
In Italia, per oltre vent’anni - dalla metà degli anni ’50 alla seconda metà
degli anni ‘70 - l’esistenza stessa della sericoltura dipese perciò in maniera pressochè totale dall’importazione massiccia e sistematica, anno dopo
10 L’unità di misura per il seme-bachi (che in Occidente si commerciava “sciolto”, mentre in Asia Orientale si usava conservare e scambiare su fogli di carta spessa - “cartoni” - dove restava incollato dal liquido
viscoso delle deposizioni delle farfalle del baco) era tradizionalmente, nel Mediterraneo, l’oncia il cui
peso variava tra i 25 ed i 30/32 grammi a seconda delle regioni sericole. Un oncia conteneva all’incirca
40.000 uova di bachi delle migliori razze Mediterraneee (mentre quelle cinesi e giapponesi, più minute,
ne avevano, a parità di peso, circa 50.000). Si considerava, allora, che un’oncia fosse il quantitativo standard per un allevamento medio nei ridotti spazi di casa di una modesta famiglia contadina elementare
- tre/cinque persone. Col tempo si cercò di standardizzare il peso dell’oncia commerciale a 25 grammi
e così pure il contenuto netto dei cartoni giapponesi (agli inizi assai irregolare) finì per standardizzarsi
intorno ai 25 grammi.
20
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
anno, di seme-bachi sano proveniente da lontane regioni sericole, scelto e
trasportato (con le infinite cure ed attenzioni dovute ad una materia vivente
delicatissima) da un ristretto gruppo di professionisti - i semai appunto dalle cui capacità, competenze ed onestà dipendevano le fortune o persino la
sopravvivenza economica di molte centinaia di migliaia di famiglie di allevatori grandi e piccoli. Ed anche se questi semai erano solo molto di rado degli
operatori del tutto indipendenti - essi infatti facevano quasi sempre capo,
come agenti, soci accomandatari o con altri legami di subordinazione, a ditte
o associazioni solide e spesso ramificate in tutto il paese - era pur sempre alle
loro capacità individuali che veniva affidata la parte più delicata ed essenziale,
quella di individuare, valutare, scegliere ed acquistare il seme bachi. Un compito che essi dovevano svolgere da soli, a distanze enormi dai propri referenti
(in casi estremi, come per il Giappone, di migliaia di chilometri), con la
certezza che un errore di giudizio, ma anche solo un’incertezza di valutazione
potevano significare, in patria, disastri difficilmente riparabili.
Quanto fosse ristretto questo loro numero e, inversamente, quanto ampia
la loro responsabilità, può essere valutato dai dati che il semaio Carlo Fondra
fece pervenire ai suoi mandatarii nell’ottobre del 1866 sull’andamento della
campagna acquisti allora in corso a Yokohama:11 una dozzina di semai aveva
sino ad allora scelto e comperato per il mercato italiano poco più di mezzo milione
di once - un quarto circa dell’importazione totale media di seme-bachi estero nel
nostro paese in quegli anni, ovvero le fortune economiche di alcune centinaia di
migliaia di famiglie allevatrici e, a valle di queste, di centinaia e centinaia di filande
sparse ovunque con tutte le attività commerciali e manifatturiere connesse.
Devastata l’Italia dalla pebrina ed a mano a mano che l’epidemia si estendeva
dal Mediterraneo verso l ‘Oriente, bisognava recarsi in aree sericole sempre più
remote, spesso inospitali e difficili, con viaggi sempre più lunghi, costosi e rischiosi, tanto sul piano finanziario che su quello personale.
La professionalità del semaio - solidamente ancorata ad una lunga pratica
personale della bachicoltura in famiglia o in azienda (come fu il caso precipuo di
Mazzocchi stesso) - dovette per forza accompagnarsi all’ardimento personale, alla
disponibilità a compiere viaggi di mesi e ad affrontare le situazioni più imprevedibili. Assieme a queste competenze e capacità personali si rafforzò e divenne
altrettanto determinante l’elemento imprenditoriale.
Le spedizioni dei semai degli anni ‘60 e ‘70 richiedevano infatti investimenti di
capitali rilevanti con esposizioni lunghe a volte un anno ed oltre, e con alee finan11 Dati ricavati dalla copia di una lettera da Yokohama di Carlo Fondra del 16.10.1866 alla E. Spagliardi
e C. di Milano di cui era agente in Giappone. Biblioteca Civica Angelo Maj, Bergamo, Carte Pegurri
“A”- MMB 412, f. 71.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
21
INTRODUZIONE
ziarie non indifferenti. Alle spalle dei semai - che ancora negli anni ‘50 erano stati
spesso piccoli commercianti e a volte solo spericolati avventurieri individuali - si
formarono grossi gruppi di interessi, con la partecipazione di banche e di capitalisti
di rilievo, per operazioni che coinvolgevano, ogni volta, centinaia di migliaia di
lire-oro e giri d’affari in Italia, all’ingrosso e al minuto, ancora più ampi.
Il volume delle importazioni totali annue di seme-bachi estero in Italia superò spesso in quel ventennio i due milioni di once all’anno, per un giro globale
d’affari, al dettaglio, pari ad alcune decine di milioni di lire. Non deve stupire
pertanto che a fianco ed a monte dei semai si possa individuare il coinvolgimento
di grandi patrimoni privati, di enti pubblici, di banchieri, di istituzioni finanziarie
e commerciali internazionali e che lo stesso Governo e le autorità diplomatiche e
consolari all’estero si sentissero obbligati a prestare molta attenzione alle esigenze
di quel peculiare traffico12 ed alle peregrinazioni, spesso assai arrischiate, dei semai
più avventurosi.13
12 Le istruzioni governative date al comandante della pirocorvetta Magenta, inviata in Giappone nel 1866
per stabilire rapporti diplomatici ufficiali tra Italia e Giappone, insistono più volte sul peso e l’importanza del commercio del seme-bachi per il nostro paese. Il primo rappresentante diplomatico italiano in
Giappone, il Conte De La Tour, si farà carico personalmente dei problemi dei semai italiani chiedendo
ed ottenendo dal Governo giapponese l’autorizzazione a compiere - primo tra le delegazioni straniere
- una sua visita ufficiale nei distretti sericoli giapponesi nel giugno del 1869, accompagnato, oltre che
da Pietro Savio, che allora iniziava al sua carriera di semaio e che in seguito sarebbe divenuto uno dei
maggiori operatori del ramo, da tre dei più importanti membri dei setaioli italiani allora in Giappone, il
lombardo Ferdinando Meazza, agente di uno dei maggiori gruppi di importatori di seme-bachi di Milano, Ernesto Prato, residente in Giappone e rappresentante del potente Banco di Sconto e Sete di Torino
ed Ernesto Piatti, piacentino. Ancor più coinvolta nel campo sericolo la figura del nostro secondo rappresentante diplomatico, il bresciano Conte Alessandro Fè d’Ostiani, la cui stessa famiglia annoverava
Lo stesso Alessandro e due dei suoi fratelli, Marc’Antonio e Pietro quali semai di livello internazionale
oltre ad avere stretti legami di parentela con il Sindaco di Brescia, Gaetano Facchi, inserito nello stesso
business assieme al figlio Paolo, semaio in Giappone. Si vedano in proposito: Arminjon, V., Il Giappone e il viaggio della Corvetta Magenta nel 1866, Genova, 1869 e Gueze, R., Fonti archivistiche per la
storia delle relazioni italo-giapponesi. Elementi di ricerca, in Lo stato liberale italiano e l’età Meiji, Atti del
I Convegno italo-giapponese di studi storici, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987, pp. 191-218; Savio,
P., La prima spedizione italiana nell’interno del Giappone e nei centri sericoli, Treves, Milano 1870; De
Maio, S., Il Conte Fè d’Ostiani nei rapporti fra Italia e Giappone negli anni settanta dell’Ottocento, in A.
Tamburello (a cura di), Nell’Impero del sol Levante. Viaggiatori, Missionari e Diplomatici in Giappone,
Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 1998, pp. 133-155.
13 Emblematica tra tutte la spedizione del 1863 di un gruppetto di semai lombardi di elevata estrazione
sociale, comprendente Ferdinando Meazza (su cui v. la nota precedente e più oltre nel testo), Modesto
Gavazzi ed il Conte Pompeo Litta-Biumi, che si recò a Bukhara - allora ancora Emirato indipendente
- con una assai cospicua somma in oro per incettare il raccolto di bozzoli per riproduzione di quel paese,
incurante degli avvertimenti delle autorità russe e dei nostri rappresentanti diplomatici a Pietroburgo
che consideravano l’impresa estremamente rischiosa sul piano personale. Poco dopo il loro arrivo a
Bukhara i nostri semai vennero infatti incarcerati con l’accusa di spionaggio rischiando la pena capitale.
Furono rilasciati solo dopo un anno di dura prigionia grazie ai frenetici sforzi delle autorità diplomatiche di mezza Europa e le pesanti ritorsioni commerciali su Bukhara dei russi. Sull’argomento, oltre
ai parziali resoconti del tempo (Gavazzi M., “I quattro italiani a Bucara”, La Perseveranza, VI, 1780,
20.10.1864), si può vedere un primo tentativo di ricostruzione della vicenda in Muratgia A., Il viaggio
e la prigionia di Modesto Gavazzi in Asia Centrale, in AA.VV, La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in
22
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
I semai e il Giappone
Quando, a partire dalla stagione sericola 1863-1864, il Giappone cominciò
ad assumere il ruolo di fornitore per eccellenza di seme-bachi per gli allevamenti
dell’Europa Mediterranea, la figura e l’azione del semaio professionista fece un
ulteriore salto qualitativo. Il viaggio al Giappone, sopratutto prima dell’apertura
del Canale di Suez nel 1869, era assai costoso14 e molto lungo. Era quindi
necessario pianificare per tempo e con cura le spedizioni con ampi mezzi finanziari e con mentalità ed organizzazione nettamente imprenditoriale.15
Vi saranno ancora, naturalmente, dei singoli ardimentosi che si recheranno
“a far seme” - come allora si diceva - in Giappone tentando la fortuna con
mezzi appena sufficenti, ma la stragrande maggiornaza dei circa centoventicinque semai italiani che abbiamo potuto identificare e che trafficheranno
regolarmente tra Italia e Giappone tra il 1863 ed il 1880, erano dei professionisti stabili, inseriti in organismi imprenditoriali italiani o internazionali,
con robusti appoggi bancari e commerciali (sia in Italia che a Yokohama)
e con una consolidata rete di clienti abituali dalla cui fiducia dipendeva la
possibilità di esitare sul mercato finale di destinazione notevoli quantitativi di
seme-bachi a prezzo elevato e con eccellenti margini di profitto.16
Italia nei secc. XVIII e XIX, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1989, v. III, t. II, pp. 761-779, e la
più ampia analisi, con molta documentazione inedita, di Mazzola F., La missione “Meazza” a Bukhara.
1863-1864, Tesi di Laurea, Corso di Laurea in Storia, Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa, A.A. 19992000 (marzo 2001).
14 La neo-costituita Associazione Bacologica di Proprietarii e Coltivatori per importazione di seme-bachi da
seta dal Giappone di Milano stanzia, nel febbraio del 1867, la considerevole somma di 30.000 lire per
il solo costo del previsto viaggio e soggiorno in Giappone del suo incaricato, Ferdinando Meazza, e di
un suo assistente.
15 Per il commercio del seme-bachi la “stagione” aveva inizio con le vendite, in Italia, del seme-bachi agli
allevatori nei mesi di gennaio-marzo, prima cioè che nelle aziende e nelle cascine ci si organizzasse
per la schiusa delle uova del mese d’aprile o degli inizi di maggio (le schiuse erano a loro volta legate
all’andamento climatico e, sopratutto, alla nascita delle delicate foglioline del gelso, unico alimento per
il bacolino appena nato). Di conseguenza il seme-bachi doveva arrivare in Italia, dalla sua provenienza
estera, entro la fine dell’anno precedente. Nel caso del Giappone, questo significava che il seme destinato
agli allevamenti, poniamo, della primavera del 1868, doveva essere acquistato a Yokohama tra settembre
e novembre del 1867 in modo che arrivasse in Italia entro gennaio 1868. A sua volta questo implicava
che i semai dovevano esser partiti per il Giappone tra giugno e luglio del 1867 (ci volevano allora
all’incirca due mesi di viaggio per la via più breve) ed ancora che la pianificazione delle spedizioni per il
1868 assieme alle prime sottoscrizioni pubbliche tra i clienti fossero state iniziate (di solito con annunci
sui giornali e/o con circolari a stampa) perlomeno a marzo-aprile del 1867 e a volte parecchio prima.
La campagna per il seme-bachi giapponese da impiegarsi negli allevamenti dell’aprile-maggio del 1868
aveva pertanto inizio, con la relativa mobilitazione di fondi, di uomini, di lettere circolari e di campagne
pubblicitarie, 12-16 mesi prima, a fine inverno 1866-67 o agli inizi della primavera del 1867. Un caso
tipico è la Circolare a stampa, datata 20 gennaio 1867, con cui la casa bancaria Gio. Steiner e figli di
Bergamo annuncia l’avvio delle sottoscrizioni per la IV campagna d’acquisti di seme-bachi in Giappone
per la stagione 1868 della Società in accomandita Enrico Andreossi e Comp.i (Biblioteca Angelo Maj, Ber-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
23
INTRODUZIONE
9. Autorizzazione in giapponese e
inglese della dogana di Kanagawa
al trasbordo dal vapore Cazis al
vapore Shaftesbury di 10 casse
di dollari d’argento di proprietà di Pompeo Mazzocchi. Cm.
16x48,5. Fondazione Pompeo e
Cesare Mazzocchi, Coccaglio,
Archivio Storico.
Anche lo stesso mercato giapponese, del resto,
richiedeva con forza aggiustamenti ad una realtà sensibilmente diversa da quelle, più o meno
casuali e a volte selvagge, che erano prevalse nel
Vicino Oriente, nei paesi del Caucaso o in Persia.
In Giappone, l’organizzazione delle vendite del
seme-bachi era concentrata in Yokohama, dove un
ristretto gruppetto di grossisti giapponesi autorizzati dal Governo faceva confluire la quasi totalità
delle uova di bachi prodotte e confezionate nelle
regioni sericole interne del paese. Erano ben scarse
le possibilità, nel paese del Sol Levante, di contattare direttamente i singoli produttori - anche
se, come vedremo, ci saranno delle interessanti
eccezioni cui Pompeo Mazzocchi parteciperà - ma
soprattutto non vi sarebbe stata quasi mai l’opportunità per i semai italiani o francesi di andare
in loco a “farsi il seme” da sè, ovvero a scegliere di
persona i bozzoli da far sfarfallare e a controllare
e dirigere personalmente le operazioni di deposizione delle uova e di cernita del seme, una pratica
in precedenza assai usata dai semai stranieri in
Anatolia, in Libano, nei Balcani o tra le montagne
dell’odierno Azerbaijan.17 Da qui la necessità per
chi intendeva operare in Giappone con successo
di avere invece una perfetta conoscenza degli usi
commerciali giapponesi (e possibilmente della lin-
gamo).
16 Le principali fonti per ricostruire l’esperienza complessiva dei semai italiani in Giappone sono di carattere molto vario. Utili i Bollettini Consolari con alcune delle relazioni dei Consoli in Giappone, dato
che - com’è purtroppo noto - il Ministero degli Affari Esteri non ha ritenuto di preservare nel proprio
Archivio Storico Diplomatico carte consolari e rapporti commerciali, come pure alcuni dei maggiori
rapporti del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio dell’epoca. Numeroso materiale si trova
in fondi archivistici di origine sia privata che pubblica, compresi quelli notarili e che qui verranno,
in alcuni casi specifici, precisati nelle note. Molto più ampie le fonti di giornali e periodici, italiani e
francesi, in particolare le sezioni di pubblicità per la vendita di seme-bachi che apparivano regolarmente
per svariati mesi ogni anno su dozzine di pubblicazioni e i numerosi articoli sull’argomento in pubblicazioni specializzate e sulle decine e decine di opuscoli e libri dedicati al tema apparsi in quegli anni. Per
la ricostruzione dei viaggi dei semai da e per il Giappone ci si è avvalsi, in via primaria, delle rubriche
di arrivi e partenze relative a Yokohama, Nagasaki, Shanghai e Hong Kong pubblicate sui periodici in
lingua occidentale editi in Asia Orientale in quegli anni. Molto rara, per contro, la memorialistica.
17 A lungo rinomata fu la produzione di seme-bachi e di bozzoli ottenuta intorno alla cittadina di Nukha
nell’allora provincia transcaucasica russa dello Shirwan (oggi in Azerbaijan). Una società francese vi
24
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
gua) e di disporre di una serie di buone “entrature” creditizie e commerciali
oltre che delle indispensabili conoscenze personali con venditori, intermediari ed autorità doganali e consolari, tutte competenze possibili solo con una
frequentazione assidua, attenta e ripetuta della piazza di Yokohama. Sono
questi i motivi che spiegano, al fondo, una delle più rilevanti singolarità del
gruppo dei semai italiani che operarono su Yokohama nel ventennio circa che
si apre con il 1861: la gran parte di essi si recò in Giappone con regolarità e
per numerosi anni di seguito.
Pompeo Mazzocchi ne è l’esempio più manifesto, con i suoi 15 viaggi nei
17 anni che intercorrono tra la sua prima spedizione del 1864 ed il 1880,
data della sua ultima visita al Giappone, ma sono 11 su di un gruppo professionale di circa 125 individui quelli che vanno in Giappone non meno di
10 volte tra il 1861 - data della prima spedizione a noi nota di un semaio
italiano in quel paese - ed il 1880, e ben 45 quelli che ci vanno tra le 5 e le
9 volte accertate (e quasi sempre di seguito), mentre sono solo 19 quelli che
vi si recano un’unica volta.
In altri termini, i semai italiani in Giappone sono un gruppo di professionisti altamente qualificati non solo nelle loro conoscenze tecnico-pratiche
sul baco da seta, sulle sue uova e sulla sericoltura in generale, ma anche
nel loro livello di competenza e conoscenza del mercato in cui operano,
dei suoi meccanismi e degli operatori che vi agiscono; conoscenze queste
acquisite attraverso una frequentazione prolungata e costante. Non è un
caso, per restare ad un esempio del bresciano, che quando Giacomo Ragnoli viene scelto dalla Associazione
Bacologica del Comizio Agrario di
Brescia quale loro nuovo agente
per il Giappone, il Comizio badi,
sì, in primo luogo, alla sua elevata competenza specifica in bacologia - Ragnoli era già semaio
professionista da anni - ma gli si
imponga però di appoggiarsi, per
il suo primo viaggio del 1873, ad
un semaio già assai esperto del
Giappone quale il cuneese Carlo
Chiappello, che vi era già stato
10. Donne addette alla cernita dei bozzoli nel Bresciano.
per almeno sei volte a partire dal secolo. Da collezione privata.
Fine 19°
aveva costruito alla metà degli anni ’50 un grande stabilimento dove tecnici specializzati facevano schiudere bozzoli selezionati acquistati in zona e vi producevano decine di migliaia di once di seme-bachi,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
25
INTRODUZIONE
1866.
Si ribadisce così una
continuità di esperienze
personali, ritenuta altamente produttiva, e si
consolidano rapporti
interpersonali e di collaborazione negli affari
che rendono il grupppo dei semai italiani in
11.
12.
Giappone assai più com11. Bollo color seppia identificativo dei produttori di seme-bachi di
Iwashiro (Prefettura di Fukushima, Giappone centrale), apposto al retro patto e coerente - nelle
di uno dei cartoni che Pompeo Mazzocchi metteva in vendita. Si noti la sue strategie di mercato
scritta in italiano: “Cartone Seme Bachi”. Annata 1881-82. Cm. 7x5,7.
e nei suoi comportaFondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
menti - di quanto non
12. Bollo colorato in blu, identificativo dei produttori di seme-bachi possa sembrare ad uno
della società Nakashima del Kozuki (Gunma), apposto sul retro di
uno dei cartoni che Pompeo Mazzocchi metteva in vendita. Si notino sguardo esterno che si
le scritte in italiano: “Cartone Seme Bachi” / “Coltivatori di Nakashi- limiti a considerarne il
ma Cia” / “Kozuki / Giappone”. Annata 1881-82. Cm. 4,2x4,6. Fonnumero degli attori e la
dazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
varietà delle sigle commerciali per le quali essi
apparentemente operano. Ragnoli, per concludere l’esempio, si recherà poi
in Giappone in ciascuno dei successivi cinque anni, sino al 1878, mentre
Chiappello avrebbe concluso la sua non indifferente carriera giapponese l’anno successivo
a quello del viaggio con Ragnoli, nel 1874,
con la sua ottava spedizione nell’arco di nove
anni. Ma vi sono anche svariati esempi di
continuità famigliare nella frequentazione del
mercato giapponese, come nel caso dei fratelli
Dell’Oro - Isidoro e Giuseppe - di cui avremo
occasione di riparlare, in quello di Achille Pini
e di suo figlio Enrico, che si alterneranno nella
presenza a Yokohama per ciascuno dei tredici
anni che vanno dal 1864 al 1876, in quello di
Giovanni e Giuseppe Civetta, l’uno o l’altro
13. Parte frontale di un cartone di seme-bachi giapponese. Il marchio di garanzia d’origine del cartone é
dato dal disegno della silhouette di un bozzolo (a forma di “8”) con all’interno I caratteri in grafia corsiva
del produttore. Annata 1881-82. Cm. 22x35. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio
Storico.
26
Il diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
presenti in Giappone in ciascuno dei quattordici anni dal 1867 al 1880 o in
quello dei Fondra - Carlo, Ferdinando e Valentino - presenti in Giappone
non meno di dieci volte tra il 1865 ed il 1878, singolarmente o insieme.
Pompeo Mazzocchi non sfuggirà a queste regole generali che selezionavano con rigore gli operatori migliori sul difficile ed ipercompetitivo mercato di Yokohama. Inizierà infatti il ciclo della sua lunghissima avventura
giapponese aggregandosi nel 1864, in posizione subordinata, al più esperto
e meglio appoggiato finanziariamente e politicamente Enrico Andreossi
(1828-1884), un bergamasco con cui si era già associato nel corso dei suoi
viaggi da semaio in Romania nel 1862 e nel 186318. Dopo aver concluso
il suo rapporto formale con Andreossi, Mazzocchi avrebbe operato come
agente per il Giappone prima per conto di una importante associazione tra
produttori del bresciano19, poi per il solo Comizio Agrario di Brescia (nel
1868) ed in seguito per due case commerciali di Milano20 per le quali già
agiva da tempo in Giappone anche il bergamasco Alessandro Begnotti.21
senza che tuttavia si riuscisse ad evitare anche lì l’insorgere ed il diffondersi della pebrina.
18 Enrico Andreossi apparteneva alla seconda generazione di quelle famiglie di evangelici svizzeri traferitesi nel bergamasco tra la fine del ‘700 ed i i primi decenni dell’800 e divenute ben presto tra i soggetti più rappresentativi del
mondo degli affari della provincia, operando quasi sempre nel campo serico e nelle attività bancarie e finanziarie ad
esso connesse. Diffusasi in Lombardia la pebrina, Enrico Andreossi si era dapprima recato a fare il semaio nell’Aretino, dove aveva allevato per alcuni anni bachi da seta di una razza che si riteneva ancora resistente alla pebrina, per
ottenerne buon seme-bachi da rivendere agli allevatori lombardi. Per gli stessi scopi si era poi trasferito in Umbria,
venendo alla fine anche lui costretto a peregrinare per il Mediterraneo dopo che la pebrina, alla fine degli anni ‘50
ebbe invaso il Centro Italia. Nel periodo trascorso in Toscana entrò in stretti rapporti d’affari con Raffaele Lambruschini, a sua volta legato, per il business del seme-bachi toscano che vendevano in Lombardia, a Bettino Ricasoli e
a Cosimo Ridolfi. Conobbe anche Antonio Galanti, che ne avrebbe in seguito scritto molto elogiativamente nel
suo Milano Agricola e la sua provincia (“Mediolanum”, III, 1881). La lunga e fortunata esperienza di semaio nel
Mediterraneo lo rese ricco e famoso e fu intorno a lui che si concretizzò nel 1863 una Associazione, comprendente
uomini politici di livello nazionale ed alcuni dei maggiori capitalisti e grandi proprietari terrieri lombardi ( tra i quali
il Conte Carlo Cagnola ed il Sen. Antonio Beretta, Sindaco di Milano ed inoltre Marco Minghetti, Emilio Visconti Venosta, Ubaldino Peruzzi, Bettino Ricasoli, Carlo D’Adda, Stefano Jacini, G.B. Camozzi Vertova, Sindaco di
Bergamo, Francesco Arese, Giuseppe Arconati ed altri), che si proponeva una massiccia e risolutiva spedizione in
Giappone. Fu per conto di questa associazione, sia pur ridimensionata nelle sue ambizioni, che Andreossi, accompagnato da Mazzocchi e da Pietro Frigerio, partì per il Giappone nel gennaio del 1864. Il successo ottenuto spinse
Andreossi a concentrare in seguito i suoi interessi sul solo Giappone dove si recò non meno di otto volte entro il
1878, rimanendovi anche per periodi molto lunghi come residente. Veniva considerato, in Italia e nella comunità
straniera in Giappone, come uno dei maggiori e dei più influenti ed esperti semai ivi operanti. Alla sua morte, nel
1884, il suo asse successorio venne valutato ad oltre 2,2 milioni di lire, uno tra i più cospicui patrimoni milanesi
di allora. Sugli svizzeri a Bergamo ed a Milano si veda Martignone, C., “La Comunità Evangelica di Bergamo:
una collettività di imprenditori (1807-1903)”, Padania, 2 (1988), n. 4, pp. 47-56 e Martignone, C., Imprenditori
Protestanti a Milano, Angeli, Milano 1995. Si veda anche Licini, S., Guida ai patrimoni milanesi. Le dichiarazioni
di successione ottocentesche, Regione Lombardia/Rubettino, Milano 1999.
19 La Società Bacologica Bresciana di cui era animatore Gaetano Facchi in qualità di Sindaco di Brescia (V. sull’argomento il cap. IV della citata biografia di P. Mazzocchi di C. Saldi Barisani). Il figlio di Gaetano Facchi, Paolo, sarà
più avanti un’attivo frequentatore dello scalo giapponese di Yokohama.
20 La Paladini & Goretti e la Benedetto Testa di Pietro le quali si presentano unite nelle pubblicità sui quotidiani
dell’epoca. Della prima era contitolare Gaetano Paladini, il cui rapporto con Mazzocchi dovette rimanere sempre
eccellente, tanto che Pompeo raccomandava ai figli, nelle pagine del suo Diario scritte nel 1893, di appoggiarsi a
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
27
INTRODUZIONE
Più tardi, come altri semai “arrivati”, Mazzocchi parrebbe aver privilegiato la parte del commercio
di seme-bachi che gestiva in proprio.22 Ma anche negli anni in
cui Mazzocchi si sarebbe mosso,
almeno formalmente, da solo, vi
sono consistenti indizi che egli
agisse in collaborazione e di conserva con altri semai italiani presenti in Giappone, in particolare
con il veneziano (poi residente a
Milano) Carlo Antongini23 e con i bergamaschi
Pietro Locatelli,24 Giovan Battista Mangili e Giovanni Stoffel.25 Era
del resto questa - la collaborazione con altri semai presenti in Giappone - una
necessità pratica ineludibile ed insieme un elemento di forza che consentiva più
volte agli italiani di presentarsi uniti davanti agli agguerriti cartelli dei grossisti
giapponesi di Yokohama.
Infine, come nel caso sopra citato di Chiappello e Ragnoli, un analogo processo di “visita guidata” e di passaggio personale di consegne avverrà tra Pompeo Mazzocchi e Bartolo Gualeni. Quest’ultimo accompagnerà Mazzocchi
nel suo ultimo viaggio in Giappone, nel 1880, e verrà presentato ai fornitori
giapponesi come il sostituto e successore di Pompeo a Yokohama.26
14. Busta per corrispondenza intestata “Importazione Cartoni Giapponesi
Ditta Pompeo Mazzocchi” Cm. 14x8. Fondazione Pompeo e
Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio
Storico.
lui nel caso avessero voluto edificare una moderna filanda (V. Diario, al foglio 111 del dattiloscritto).
21 Begnotti risulta esser stato in Giappone non meno di otto volte tra il 1866 ed il 1875. Morirà a Bergamo nel
1876 al rientro dal Giappone.
22 Su questo aspetto le sue memorie sono alquanto reticenti e si può ipotizzare che egli agisse per un certo numero
di clienti fissi, con i quali aveva un lungo rapporto di fiducia. In effetti, il nome di Pompeo Mazzocchi non
appare quasi mai quale semaio indipendente nelle locandine pubblicitarie dei quotidiani dell’epoca, né negli
elenchi di ditte e semai compilati tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70 che ci è stato possibile individuare in diverse fonti archivistiche (tra le quali il Fondo Pegurri alla Angelo Maj di Bergamo, le Carte Cornalia,
al Museo di Storia Naturale di Milano e l’inchiesta di Fè d’Ostiani all’ex- “Bacologico” di Padova). L’affermato
industriale serico bergamasco Alessandro Valli, tra le cui attività figurava anche quella di grossista di seme-bachi,
pubblicizza, a partire dal 1872, seme-bachi giapponese fornitogli da Pompeo Mazzocchi, mentre l’annuncio
su La Provincia-Gazzetta di Bergamo, 9, del 12.01.1872 di cartoni di seme-bachi giapponese della Associazione
Bacologica di Milano in vendita presso Pompeo Mazzocchi sembra indicare un qualche rapporto di dipendenza
o quantomeno una stretta collaborazione con la società milanese.
23 Carlo Antongini (1837-1902) era esponente della Associazione Bacologica Veneto-Lombarda, costituita a Venezia
forse già alla fine degli anni ‘50 con il supporto di un facoltoso proprietario terriero e filandiere veneziano, Moisè
Vita-Jacur. Antongini avrebbe effettuato, tra il 1865 ed il 1875, almeno sette viaggi in Giappone.
24 Locatelli, stimato filandiere e semaio di Bergamo, era stato tra i primi a recarsi in Turchia e nel Caucaso per semebachi e dovrebbe esser stato almeno tre volte in Giappone, a partire dal 1869. Morì, a soli 42 anni, nel gennaio
del 1877 a New York, proprio mentre stava rientrando dal Giappone in compagnia di Pompeo Mazzocchi (da
uno scritto inedito di Pompeo Mazzocchi. Vedi anche La Provincia - Gazzetta di Bergamo, 23, 29.1.1877)
25 Giovanni Stoffel, della comunità evangelica di Bergamo, era stato a lungo dipendente di uno dei
28
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
I precedenti di Pompeo Mazzocchi:
l’esperienza di semaio nel Mediterraneo
Prima di riparlare del lungo e profondo rapporto di Mazzocchi con il Giappone, è opportuno indicare alcuni altri elementi di grandissimo interesse per la
storia dei semai, della pebrina e della stessa sericoltura
europea che emergono dalle numeroso pagine del Diario dedicate ai molti anni
iniziali di graduale “apprendistato” al mestiere di grande semaio internazionale che
Mazzocchi ebbe a svolgere
in svariate località sericole
del Mediterraneo. Opportunamente integrati con
documentazione d’archivio
e con altre fonti coeve, essi
non solo consentono di
apprezzare maggiormente
la singolarità della vita del
Mazzocchi, la determinazione e la lucidità delle sue
scelte ed i positivi risultati,
15. Foto-tessera di Pompeo Mazspecie economici, della sua
zocchi offerta il 22 maggio 1880
ai produttori e commercianti di
avventurosa e complessa vita
seme-bachi giapponese Tajima,
di “vagabondo serico”, ma
venuti in visita a casa Mazzocchi
rappresentano una fonte pressochè unica ed estremamente preziosa a Coccaglio. Cm. 9x14,5. Per
per comprendere la formazione e lo sviluppo del mondo stesso dei gentile concessione del Nippon
Center della Prefettura di
semai nei primi frenetici anni di reazione alla pebrina. Allo stesso Silk
Gunma (Giappone).
tempo, quelle pagine gettano singolari sprazzi di luce sui precedenti
di formazione professionale ed imprenditoriale nei paesi sericoli
del Mediterraneo, attraverso esperienze simili e parallele a quelle di Mazzocchi,
di alcuni dei maggiori semai che opereranno in seguito in Giappone o con il
maggiori semai bergamaschi, Francesco Daina, per poi mettersi in proprio assieme a Bernardo Stoffel.
I legami tra Pompeo e gli Stoffel di Bergamo fu certo assai intenso, dato che testimone di nozze di Pompeo,
nel 1881, fu proprio un Giacomo Stoffel.
26 Inoltre, tra le carte microfilmate della famiglia di imprenditori serici e semai giapponesi Tajima (che aprirono
un emporio per la vendita di seme-bachi giapponese a Milano) conservate presso il Yokohama Kaikô Shiryôkan
(Yokohama Archives of History) vi è un cartoncino da visita di Bartolo Gualeni con la scritta “incaricato per la
vendita/ Cartoni Seme Bachi Giapponesi/ importazione/ Pompeo Mazzocchi / Coccaglio”. In uno scritto inedito di
Pompeo Mazzocchi si parla della collaborazione per tre anni con Gualeni dopo la fine dei viaggi di Pompeo
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
29
INTRODUZIONE
16. Carta dei Balcani con la costa dalmata, appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 46x38.
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
Giappone.
Le tappe stesse seguite da Pompeo, a partire dal 1855 e prima di recarsi in
Giappone nel 1864, per rastrellare seme-bachi sano, inizialmente in zone particolari dell’area italiana e poi in paesi situati intorno all’Italia, esemplificano una
drammatica esperienza collettiva vissuta allora da molti altri allevatori spinti
dalla disperazione a farsi semai per salvare le proprie imprese bachicole ed integrare, con il commercio della semente, le proprie entrate e insieme pagarsi le
pesanti spese dei viaggi all’estero.
I Mazzocchi così sperimentano e poi anche vendono, successivamente e con
diversa fortuna, il seme-bachi che Pompeo va personalmente a prendere dapprima
in Brianza, nel Friuli, a Lugano e a La Spezia (nel 1855), indi a Bursa e a Adrianopoli (nel 1857), e poi in Dalmazia e nel Montenegro (nel 1858), a Valenza e alle
Baleari (nel 1859), a Creta e ancora alle Baleari (nel 1860), in Bulgaria (nel 1861),
a Bucarest (nel 1862), di nuovo a Bucarest e in Bulgaria (nel 1863).
In questa rincorsa affannosa alla ricerca di quel buon seme che in patria è
ormai perduto, lo sostengono alla lunga e gli consentono di ottenere risultati
mediamente piuttosto positivi, oltre ad un indispensabile pizzico di fortuna e di
30
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
coraggio personale, l’eccellente “occhio” che egli si è fatto nell’allevare per tanti
anni i bachi nell’azienda paterna, ma ancor prima, sin da fanciullo, nel seguire
con appassionata attenzione i consigli e le indicazioni minute delle esperte
allevatrici che gli sono state maestre. Ad esse - la prozia Aurelia Armanni e le
anziane, ma ancor attivissime “ragazze Caravaggi” di cui egli era pigionante negli
anni passati da scolaro a Chiari - Pompeo riconosce di cuore, scrivendo in età
già avanzata, un debito formativo inestimabile.
È questo, sia detto qui per inciso, quello cioè del ruolo della trasmissione
femminile del saper fare in bachicoltura, un elemento che avrebbe bisogno di
una storia a sè, all’interno di una storia globale della sericoltura, ma che riaffora
sempre, a saperlo cogliere, nelle pagine dedicate di ricordi o negli scritti letterari
di ogni tempo.27 Pompeo Mazzocchi, col suo scrivere ingenuo e sereno, non
manca di rilevarlo con affetto.
In effetti, la discriminante dell’esperienza diretta di allevatori di bachi - rispetto a chi fa solo il commerciante - tra coloro che si volgono a fare i semai,
sarà spesso decisiva per ottenere risultati positivi dal seme acquistato nei posti
più disparati del mondo. Essa contribuisce, ad esempio, a spiegare come mai
case commerciali affermate e ricche di mezzi, svizzere, tedesche, francesi o
inglesi, operanti in Giappone sul mercato del seme-bachi, finiscano spesso
col servirsi di personale italiano per la delicata e fondamentale operazione di
scelta delle partite di quella merce tanto particolare che vengono portate a
Yokohama dall’interno del paese.28
Ma l’esigenza primaria ed inderogabile di avere sul posto personale con specifica e qualificata esperienza bachicola nel momento cruciale della scelta dei
in Giappone nel 1880.
27 Il madrigalista piemontese Annibale Guasco, nel suo Tela cangiante, composto intorno al 1595 e che
contiene oltre trecento madrigali riferentisi al ciclo di produzione della seta, chiede perdono alle donne
di invadere un campo di loro precipua competenza con un madrigale (il n.° 771) intitolato: “Scusa
verso le donne di voler loro insegnare la cura de’ bigatti” nel quale afferma “Temo che poco saggio / io sia
da te stimato, o donna accorta / [imitando chi porta / al mare l’acqua] a volere insegnarti / della cura del
bombice le parti/”.
28 È questo il caso, ad esempio, di Scoto Scoti, - membro di una famiglia toscana con radicate tradizioni
sericole - impiegato prima a Shanghai e poi a Yokohama della ditta britannica Petrocochino & Co,
una ditta che per svariati anni si dedica, tra le sue numerose attività commerciali, anche alla raccolta
e spedizione in Europa di seme-bachi. Analogamente la Bavier & Co., filiale a Yokohama di una delle
maggiori imprese commerciali ed industriali svizzere con estesi interessi nel campo cotoniero e serico
- i Von Bavier di Zurigo - e che commercia anche in seme-bachi, ha tra i suoi impiegati in Giappone
un Luigi Colombo ed un M. Simoni, mentre la Hecht & Lilienthal, uno dei più importanti operatori
in sete di Lyon - che commercia anche seme-bachi - impiega a Yokohama un A. Falco. Ma il caso più
eclatante è quello del brianzolo Isidoro Dell’Oro, impiegato sin dal 1866 (anche lui prima a Shanghai
e poi a Yokohama) della ditta amburghese Siemssen & Co (assieme al fratello Giuseppe, che opera nella
filiale di Milano della stessa ditta tedesca). Isidoro Dell’Oro, che negli anni successivi, messosi in proprio,
sarà uno dei più attivi semai italiani residenti in Giappone, gestiva inizialmente per la Siemssen a Yokohama
uno stabilimento - l’unico mai autorizzato in Giappone - dove pare si producesse autonomamente rinomato
seme-bachi con l’ausilio di numeroso personale giapponese.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
31
INTRODUZIONE
bozzoli e della confezione del seme, o anche solo per esaminare il seme posto
in vendita, emerge da un altro particolare riportato nel Diario di Pompeo
relativo agli anni iniziali del suo curriculum di semaio internazionale e nel
quale risalta il ruolo particolare dell’elemento femminile. Nel 1857, inviato
a far seme nell’Impero Ottomano ed avendo egli informato casa sulle buone
prospettive trovate in loco, il padre Andrea, esperto allevatore, gli manda
come aiuti il fratello Gabriele, per le operazioni più pesanti e rischiose, e la
sorella Violantina, per la delicatissima cernita dei bozzoli e del seme.
Ancora una volta è una donna ad esercitare un ruolo decisivo per le sue
competenze di allevatrice ed il suo apporto è considerato così importante da
convincere padre e marito a farle compiere un insolito viaggio, non certo
breve e facile e ad affrontare un soggiorno movimentato e pieno di rischi
in un paese dove le donne europee erano considerate, a torto o a ragione,
soggette a pericoli non indifferenti. Si noti che il Diario di Mazzocchi ci
informa che Violantina sarà un’altra volta a far seme in Turchia nel 1861, né
la casuale notazione di Pompeo ci può far escludere che la sorella non abbia
anch’essa esercitato, sia pure come accompagnatrice di uno dei fratelli o del
marito, la “professione” di semaia all’estero in maniera regolare nel corso di
quegli anni.29 Del resto vi sono altri casi documentati di donne che fanno
le “semaie” andando anche all’estero, come nel caso di Angelica Arrigoni
Alessandri, di Bergamo,30 o di mogli che accompagnano i propri mariti,
semai, sino in Giappone (ed in uno di questi casi si afferma esplicitamente
che entrambi i coniugi erano esperti allevatori31).
È con riferimento proprio al suo soggiorno a Istanbul del 1857 che Pompeo Mazzocchi ci parla dei suoi rapporti di affari e di amicizia personale con
un altro dei maggiori semai italiani successivamente coinvolti nel commercio
con il Giappone, Vincenzo Daina, anch’esso bergamasco. Pompeo (come più
tardi anche la sorella Violantina) sarà ospite ad Istanbul nella casa di Vincen29 Si noti anche che Violantina aveva già una figlia, Giulia, nata nel 1848. Tra un gruppo di carte residue di
Pompeo Mazzocchi, non ancora inventariate, è stato di recente ritrovato da chi scrive un lasciapassare rilasciato
dalle autorità di Istanbul a Violantina Mazzocchi che la autorizzava a recarsi da Istanbul a Edirne (Adrianopoli). Un secondo lasciapassare è intestato a (Giovanni?) Mazzocchi - si tratterebbe, se l’identificazione è corretta,
del fratello minore di Pompeo. Sono grato al collega Michele Bernardini, dell’Istituto Universitario Orientale
di Napoli, che si è cortesemente prestato a trascrivere e tradurre i due documenti.
30 Su La Gazzetta di Bergamo del 4 aprile 1861 la Arrigoni Alessandri invita a sottoscrivere al seme-bachi di Cattaro
e Montenegro che ella andrà personalmente a confezionare sul luogo come già fatto in anni precedenti. Si noti
che Cattaro e Montenegro erano state tappe delle peregrinazioni di semaio anche di Pompeo Mazzocchi.
31 Si tratta dei coniugi Canzi (in affari con Carlo Antongini a Milano), che nel 1874 si recano assieme a Pietro
Savio ad ispezionarie alcuni distretti sericoli del Giappone centrale. Savio, P., Il Giappone al giorno d’oggi nella
sua vita pubblica e privata, politica e commerciale. Viaggio all’interno dell’isola e nei centri sericoli eseguito nell’anno
1874, Treves, Milano 1876. Nello stesso 1874 anche il bresciano Lorenzo Inselvini sarà in Giappone con la
moglie (Japan Gazette, 2087, 10.11.1874).
32
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
zo Daina per alcune settimane e ne terrà a battesimo la figlia, confermandoci
anche in questo caso - come nel suo proprio ed in quello di Enrico Andreossi
- che il cursus honorum dei semai italiani che in seguito saranno più attivi in
Giappone aveva solide radici nelle attività in precedenza svolte, sempre come
semai, in giro per il Mediterraneo e magari con lunghe residenze all’estero,
com’è evidentemente nel caso di Vincenzo Daina.32
Nel “Diario” di Pompeo emerge inoltre anche il nome di Luigi Lanzani che
egli incontra a Cattaro (Dalmazia) nel 1858 ed assieme al quale si recherà
a Cettigne, nel Montenegro. Lanzani è titolare di una ditta di Milano che
commercia seme-bachi, inizialmente sotto la ragione sociale di Luigi e fratello
Lanzani, per poi unirsi ai banchieri Mazzoni e C. (successori della Uboldi e
C.) nella Lanzani, Mazzoni e Comp., specializzata in seme-bachi giapponese
ed attiva sul mercato di Yokohama con un suo agente, il piemontese Domenico Botto, del quale ci risultano almeno sei viaggi in Giappone tra il 1865
ed il 1872.33
Di capitale importanza, per Pompeo come per tanti altri semai, specie nelle
fasi iniziali della carriera, la “rete” di collaborazioni e di sostegno data dai rapporti
famigliari. Della collaborazione con il fratello Gabriele e con la sorella Violantina
nel corso dei viaggi nell’Impero Ottomano abbiamo già detto, ma non vanno
trascurate le presenze, in un ambito famigliare più ampio, di altre persone interessate direttamente o indirettamente al comparto serico ed al commercio del seme
bachi, come il secondo cugino del padre di Pompeo, Andrea Tonelli, che offre
cruciali malleverie in momenti difficili e che partecipa ai rischi di alcune speculazioni sul seme-bachi, o come uno dei cognati di Pompeo, G.B. Zanchi (marito
della sorella Nina), bergamasco, allevatore su grande scala di bachi da seta, un
cui lontano parente, Isacco Lanfranchi, lavora per Pompeo a Bursa e altrove34.
Così pure appare interessata al commercio del seme bachi la famiglia Almici di
Coccaglio, con la quale i Mazzocchi hanno più di un legame, in primo luogo con
Pietro Almici, primo marito di Violantina Mazzocchi. 35 Violantina, in seguito,
sposerà in seconde nozze quel Giuseppe Testa che aveva collaborato con Pompeo
32 Vincenzo Daina opererà con base a Bergamo sino alla fine del 1866, per trasferirsi nel 1867 a Milano
dove sarà socio fondatore (assieme alla Fratelli Facchi di Brescia) della Società Bacologica in accomandita
Fratelli Ghirardi e Comp. ed entrerà nel 1870 in società con la Sambucety e C. È sicuramente ancora
in attività - per seme-bachi giapponese - nel 1880. Vincenzo Daina si recherà di persona in Giappone
almeno tre volte negli anni ’70, ma si baserà per la condotta annuale dei suoi affari in Giappone oltre
che sul Ghirardi anche su di un suo agente, Alessandro Begnotti, che già abbiamo visto prestare la sua
opera per altre case di Milano ( v. sopra nel testo e nota 21).
33 Pompeo Mazzocchi, nella sua seconda spedizione al Giappone del 1865, avrà tra i suoi compagni di
viaggio in partenza dall’Europa anche Domenico Botto.
34 Inoltre, un Giovan Domenico Zanchi è tra i primi sottoscrittori, nel 1863, di azioni della Società che
Enrico Andreossi mette in piedi per andare a far seme-bachi in Giappone.
35 Si veda, per gli Almici, le varie note al testo del Diario.
36 Per la Benedetto Testa v. sopra, nota 20.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
33
INTRODUZIONE
17. Carta della Tracia e della Turchia europea appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 38x46.
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
negli acquisti di seme-bachi in Turchia, dove Violantina, da poco vedova, l’aveva
conosciuto. È verosimile pensare che la Benedetto Testa per la quale lavorerà a
lungo Pompeo anche in Giappone fosse in qualche modo connessa al Testa suo
cognato.36
I viaggi di Pompeo, a volte affiancato dal fratello Gabriele e dalla sorella Violantina, iniziati come ricerca di seme sano per salvare gli allevamenti della famiglia,
consentono al padre, Andrea Mazzocchi, che resta in casa a gestire l’azienda, di conseguire ulteriori e più che discreti profitti con la vendita di seme-bachi estero sano a
clienti del circondario.37 I Mazzocchi entrano così a pieno titolo nel giro dei semai
professionisti già prima delle spedizioni di Pompeo al Giappone, sia pure con volumi
d’affari ancora relativamente modesti, ma sarà proprio la diffusione della pebrina, nel
37 Si veda, per un calcolo approssimativo dell’utile lordo di alcune campagne acquisto di Pompeo - alle Baleari e
in Bulgaria - le note 177 e 193 al testo del Diario.
38 Alla vendita a terzi di una parte del seme-bachi che Pompeo comperava all’estero fa cenno lo stesso Pompeo
con riferimento alla campagna del 1857 (Diario, foglio 79), aggiungendo però che l’anno seguente il padre
Andrea voleva rinunciarvi per i troppi rischi (Ibid., fogli 81-82). Tuttavia, una lettera circolare a stampa di
Andrea Mazzocchi diretta ad un cliente di Adro (Brescia) nel settembre del 1863 e recentemente ritrovata,
34
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
corso del 1863, anche agli allevamenti balcanici ove Pompeo operava sin dal 1861 a
convincerli definitivamente che bisognava guardare assai più lontano.38
Fuori dagli orizzonti provinciali
Altrettanto importante, nella formazione professionale del semaio internazionale esemplificata dall’esperienza di Pompeo Mazzocchi, la necessità
di impratichirisi con le lingue, gli usi, la società di paesi - quali Francia ed
Inghilterra - allora all’avanguardia nella penetrazione su mercati esteri e nelle
loro tecniche e pratiche commerciali e creditizie.
Per uomini di estrazione provinciale, come i Mazzocchi, al fine di entrare nel
business dei semai che si muovono da un paese all’altro, anche solo nel Mediterraneo, è essenziale impadronirsi degli strumenti del mestiere che, di necessità,
sono ben diversi da quelli usati su fiere, mercati e circuiti di area lombarda o, al
massimo, padana.
La scelta di Andrea Mazzocchi di spedire il figlio Pompeo, nel 1856, in
Francia e in Inghilterra con il compito preciso di apprendervi le lingue,
è una mossa coraggiosa e lungimirante e certo di non poco onere per
la famiglia, ma che testimonia della consapevolezza precisa sin d’allora
nei Mazzocchi che la pebrina, pur ancora non del tutto diffusa in Italia,
costringerà ben presto ad agire con orizzonti ben più ampi di quelli abituali e con mezzi e metodi sofisticati di cui bisogna al più presto sapersi
servire con assoluta destrezza. Pompeo è ben consapevole delle responsabilità che gli vengono assegnate e della necessità di far tesoro di ogni ora
trascorsa all’estero per affinare le sue competenze. Dei vantaggi acquisiti
in quel periodo (due mesi a Parigi ed una decina a Londra) sarà in seguito
sempre assai grato al padre ed avrà occasione di utilizzare le sue conoscenze nei momenti e nei luoghi più disparati, come nel remoto porto aperto
giapponese di Hakodate nel 1865 quando riesce ad ottenere un inaspettato quanto assai inusuale passaggio - lui, civile e straniero, con tutta la
sua merce - su di un vascello da guerra britannico, oltre che nei tanti altri
contatti intrattenuti con consoli, militari, banchieri, commercianti delle
più diverse provenienze.
Il superamento, anche psicologico, dei comodi orizzonti provinciali e
indica come il business della vendita a terzi fosse regolarmente ripreso da tempo. In essa si fa anche riferimento
alle operazioni di allevamento di semente di Bukarest portata a Selvi (Bulgaria) - a conferma di quanto riportato da Pompeo nel suo diario ai fogli 98-99 del dattiloscritto - ed indicando che i risultati colà ottenuti erano
ormai gravemente intaccati dall’avanzare della malattia. Andrea Mazzocchi infatti precisa in quella circolare al
proprio cliente/socio di Adro che solo il 40% del seme che si sperava di ottenere sarebbe stato disponibile.
39 L’episodio è ricordato ai fogli 72-73 del dattiloscritto del Diario e ripreso brevemente a al foglio 123
dello stesso.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
35
INTRODUZIONE
l’immersione nel tumultuoso e a
volte rischioso mondo dei traffici
mediterranei - ben testimoniato
dall’avventura di Mazzocchi con
i pirati nel Mar di Marmara39
- assieme all’abitudine acquisita
alle più incredibili e spossanti difficoltà di viaggio, di nutrimento,
di sistemazione ed agli scontri con
burocrazie e ostacoli commerciali
di ogni genere, “temprano” negli
anni ’50 i semai a qualsiasi avventura e li rendono pronti ad affrontare qualsiasi rischio e qualsiasi
percorso per raggiungere i propri
fini. È da quegli anni di massacrante apprendistato nel Mediterraneo
e dintorni che escono semai come
18. Passaporto rilasciato dal sotto-Prefetto di Chiari a Carlo Orio con la sua spericolata
Pompeo Mazzocchi il 18 febbraio 1865 per l’Austria,
spedizione nel Kashmir semi-indila Svizzera e la Turchia (ma da lui utilizzato per andare
40 o come Ferin Giappone). Cm. 28x40. Fondazione Pompeo e Cesare pendente del 1863,
Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
dinando Meazza, di cui abbiamo
già detto, impelagato nello stesso
anno a Bukhara in un viaggio commerciale che sfiora la tragedia,41 o come
lo stesso Mazzocchi che rischia più del dovuto nel 1864 in una Cina settentrionale sconvolta da insurrezioni, guerre civili e rovinosi interventi stranieri.
I ripetuti viaggi al Giappone in cui li ritroveremo, nella seconda metà degli
anni ‘60 e oltre, assieme a tanti altri che escono dallo stesso apprendistato,
saranno per loro delle estensioni di esperienze già fatte ed assimilate, magari
40 Carlo Orio (1828-1892), aveva operato inizialmente, con base a Milano, con la ditta Albini-Orio-Sala
procurando seme-bachi Mediterraneo sino al 1862-1863 e in seguito giapponese. Orio in persona si
era recato in Cina nel 1859 ed in Persia nel 1862 (aggregato alla Missione diplomatica italiana, con
incarichi di studio e ricerca sul locale mercato sericolo e bachicolo). L’ardita spedizione in Kashmir del
1863 era stata coronata da un notevole successo in termini di seme-bachi riportato in patria, ma nei
successivi allevamenti in Italia ed in Francia i bozzoli ottenuti non erano stati considerati economicamente interessanti dagli industriali serici. In seguito, Orio sarebbe stato in Giappone almeno un paio
di volte (1867 e 1868 e forse anche nel 1872), mentre la sua ditta avrebbe continuato ad operare su
Yokohama, mediante agenti, sino agli inizi degli anni ’80.
41 V. sopra, n. 13.
42 Su circa 90 semai a cui si è potuto sinora attribuire con sufficiente sicurezza il luogo di origine, ve ne
sarebbero 16 della provincia di Brescia, 11 di quella di Bergamo e 14 di quella di Cuneo, per un totale
di 41, pari a circa il 45% delle origini individuate. Complessivamente, tra quelli con provenienza nota,
36
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
di durata temporale maggiore, ma nella sostanza molto più gradevoli e molto
meno rischiose di quelle compiute altrove in precedenza.
La comunità dei semai italiani in Giappone
compattezza e diversità
Come già accennato, il gruppo dei semai italiani (complessivamente circa
centoventicinque persone) che frequenta sistematicamente il Giappone nell’arco del ventennio 1861-1880, presenta delle peculiari caratteristiche di
continuità temporale personale e/o associativa (con le esperienze di semaio
del periodo antecedente) e di alta omogeneità professionale (nella specializzazione e nelle competenze), cui si aggiungono la analoga matrice di provenienza famigliare e sociale di molti - la media borgehsia imprenditoriale del ramo
serico - e sopratutto, per la gran parte dei componenti, l’iterazione, ripetuta
negli anni, della frequentazione
dello scalo di Yokohama rafforzata
dalla “staffetta” nei viaggi al Giappone con parenti (padre/figlio,
fratello/fratello) o con colleghi da
avviare gradualmente all’impegnativo incarico.
Non va dimenticato, inoltre, che
il lungo viaggio di andata e ritorno
- complessivamente tra i quattro
e i cinque mesi, escludendo i due
o tre del soggiorno - viene il più
delle volte compiuto in gruppo, ed
anche se ciò è in parte determinato
dalle pressanti scadenze dell’inizio
stagione di vendita del seme-bachi a
Yokohama e dalla successiva chiusura di questa con l’urgenza dei ritorno in patria, oltrechè dalla relativa
scarsità di mezzi di comunicazione
tra il Mediterraneo e l’Asia orientale, non vi può esser dubbio che lo
stare assieme sullo stesso vapore per
tanti mesi ed il ritrovarsi nello stesso 19. Polizza della società d’assicurazioni Sun Fire Office, rilasciata a
Yokohama l’8 novembre 1879 con cui Pompeo Mazzocchi assicura
viaggio per svariati anni di seguito contro l’incendio cartoni di seme-bachi giapponese del valore di
accentui l’omogemeità del gruppo e 6.000 dollari d’argento. Cm. 30x48,5. Fondazione Pompeo e Cesare
Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
37
INTRODUZIONE
favorisca il consolidarsi di legami di affari e personali facilitando la conclusione
di accordi - formali o di fatto - per comportamenti e strategie comuni nei confronti dei concorrenti e dei venditori giapponesi.
In effetti, nei commenti sui semai italiani che appaiono sulla stampa straniera
di Yokohama (portavoce di interessi in prevalenza britannici o francesi), come
pure nelle pubblicazioni o nelle carte private giapponesi, o sui quotidani e
periodici specializzti d’Europa, il gruppo viene sempre visto come compatto e
non si accenna pressoché mai - rara avis trattandosi di italiani - a frammentazioni, discordie e contrapposizioni che ne inficino le linee di fondo della strategia operativa e comportamentale sul mercato del seme-bachi in Giappone.
Matrici provinciali di origine.
Il gruppo considerato nel suo insieme, e sull’arco temporale non certo
breve preso in considerazione, mostra inoltre delle significative e massicce
presenze a caratterizzazione provinciale. Pur essendo rilevabili, infatti, individui provenienti da varie parti dell’Italia settentrionale (con minori presenze
dalle Venezie e dall’Italia centrale e nessuna dall’Italia meridionale - ribadendo in questo la assoluta predominanza assunta allora, anche in termini
qualitativi, dalla produzione serica dell’area lombardo-piemontese nell’ambito nazionale), colpisce la concentrazione numerica, tra coloro di cui è stato
sinora possibile accertare la provenienza, degli esponenti di alcune specifiche
zone: il Bresciano, il Bergamasco, il Cuneese,42 mentre la forte concentrazione di residenze a Milano (22) di singoli semai o delle ditte di appartenenza
riflette molte volte più l’importanza e la necessità di trovarsi ad operare sulla
principale piazza commerciale serica d’Italia che non la effettiva origine locale
dell’impresa o dei suoi esponenti.43
A guardare più a fondo, si nota anche la presenza di un reticolo di relazioni
i semai lombardi sono ben 61 su 90 - includendovi tutti quelli con residenza operativa a Milano, contro
24 piemontesi e 5 di altre provenienze (2 toscani, un veneto, un trentino ed un dalmata). Si noti che
tra i circa 35 semai restanti la cui provenienza precisa non è stata sinora accertata, svariati presentano
cognomi chiaramente lombardi (Bernasconi, Bartesaghi, Viganò, Radaelli, Consonno, ecc.).
43 Soprattutto dopo il 1870, con il consolidarsi della posizione di Milano come massimo mercato Europeo per le sete, parecchi semai “provinciali” vi spostano la propria residenza o il proprio centro d’affari,
ad esempio i bergamaschi Enrico Andreossi e Vincenzo Daina o il veneziano Carlo Antongini. Svariati
anche i brianzoli con residenza a Milano, ma che spesso hanno il proprio “retroterra bacologico” nel
lecchese, come nel caso di Luigi Bassani e dei fratelli Dell’Oro. Per altri, Milano è patria d’adozione,
come per il dalmata Nicola Vucetich, tra i primissimi a recarsi in Giappone.
44 In realtà anche Pompeo aveva un lontano rapporto indiretto di parentela con i Damioli ed il Conte
Lana, dato che le due sorelle della moglie del bisnonno di Pompeo si erano sposate con membri di
quelle famiglie (v. Diario, al foglio 4 del dattiloscritto). Non va dimenticato inoltre che Andra Tonelli,
38
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
più stretto, siano esse di associazione famigliare, di collegamento
con personalità locali di particolare
rilievo o di natura comunitaria
specifica. Un esempio del primo
caso, per il Bresciano, sono i rapporti di parentela che legano i due
semai Pietro Fé d’Ostiani e Paolo
Facchi, e per il secondo i rapporti
di dipendenza/parentela che legano,
sempre per il Bresciano, Giacomo
Ragnoli e Diego Damioli, semai in
Giappone, al Conte Ignazio Lana,
una delle figure più rappresentative
e più dinamiche della sericoltura
bresciana.44 Per il terzo caso il riferimento d’obbligo è il nesso comunitario, sul quale ci soffermeremo
più oltre, degli esponenti evangelici
di origine prevalentemente svizzera di Bergamo: Andreossi, Alpiger,
ed i loro sostenitori e finanziatori
in casa, Steiner, Zuppinger, Sieber
(quest’ultimo con un affiliato in
Giappone).
Nel complesso, tuttavia, pur se 20. Fronte e retro di una lettera di credito per 2000
la componente padana occiden- sterline inglesi (pari a 50.000 lire italiane di allora)
il 4 agosto 1876 a Pompeo Mazzocchi
tale è di gran lunga prevalente (e rilasciata
dalla Banca Generale di Milano, a valere sull’agenzia
quella lombarda - aggiungendo ai della Oriental Bank Corporation di Yokohama. Cm.
gruppi già citati anche i manto- 21,5x27. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
vani, i cremonesi e i brianzoli - ne
fa decisamente la parte del leone) ed i legami interni ai singoli gruppi sono
rilevanti, si notano di frequente rapporti, anche di peso, trasversali, come nei
casi precedentemente esposti del cuneese Chiapello “precettato” dai bresciani
per guidare in Giappone la recluta Ragnoli, del veneziano/milanese Antoncugino di secondo grado di Pompeo e sostenitore finanziario di molte iniziative di semai dei Mazzocchi,
aveva sposato Marianna De’ Terzi Lana.
45 P. Mazzocchi, Diario, ai fogli 168-169 e 189 del dattiloscritto. Quanto ad Alpiger, si tratta del “commesso”, assieme a G. B. Biava, della ditta bergamasca per l’importazione di seme-bachi dal Giappone di cui
è titolare Francesco Daina. Alpiger risulta, in Giappone, cittadino svizzero ed è con molta probabilità
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
39
INTRODUZIONE
gini in affari con Mazzocchi, o, ancora del trentino Grazioli che opera, oltre
che per sé, per esponenti di Bergamo e di Brescia. In altre parole, le comuni
origini locali rafforzano certamente la omogeneità, quantomeno culturale e
forse anche sociale, di alcuni grossi nuclei di semai, ma non sembrano condizionare in maniera assoluta la libertà di scelte operative o imprenditoriali
più ampie o diverse.
Pompeo Mazzocchi è perfettamente inserito in questo contesto. Se il Diario
è scarno nei riferimenti nominativi a semai italiani che gli sono compagni
nei viaggi verso Yokohama o a quelli che incontra in Giappone - oltre ad
Enrico Andreossi egli cita ad esempio “il Sig. Alpiger di Bergamo”45 con cui
fa il viaggio da Hakodate a Nagasaki nel 1864 - le altre fonti documentarie
su Mazzocchi evidenziano il suo stretto rapporto iniziale con i bresciani
Antonio Dusina e Vincenzo Gattinoni46 e quello, prolungato negli anni, con
svariati bergamaschi (Andreossi, Begnotti, Locatelli), mentre lo “fotografano”
nelle schiere di semai italiani al loro arrivo o alla partenza da Yokohama o di
passaggio per Shanghai. Così, prendendo a caso due esempi distanziati nel
tempo, il periodico in lingua inglese Japan Weekly Mail di Yokohama segnala, il
22 novembre del 1873, la partenza sul piroscafo Avoca per Hong Kong (prima
tappa del viaggio di ritorno verso Suez) di un nutrito gruppetto di semai italiani
tra i quali Sala, Ghirardotti, Vucetich, Damioli, Arienti, Arcellazzi, Biffi, Pini,
Consonno, Mazzocchi, Radaelli ed altri. Almeno uno di questi è sicuramente
bresciano, Diego Damioli. Nove anni prima, il periodico in lingua inglese
di Shanghai North China Herald del 26 novembre 1864 aveva segnalato la
partenza da Shanghai per Hong Kong, sul piroscafo francese Labourdonnais,
di un gruppo di semai italiani da poco giunti nel porto cinese provenienti da
Yokohama e diretti in Europa. Tra di essi Andreis, Pini, Mutti, Andreossi, Mazzocchi, Dusina, Fumagalli, Don Grazioli ed altri. È bresciano, oltre ovviamente
a Mazzocchi, anche Antonio Dusina, mentre Carlo Mutti è di Castiglione delle
uno dei tanti esponenti della comunità evangelica (in gran parte svizzera) stanziatasi a Bergamo e della
quale il maggiore esponente nel campo del commercio del seme-bachi giapponese fu Enrico Andreossi,
di cui si è già detto (v. sopra, n. 18).
46 Si veda in proposito quanto riportato dalla Saldi Barisani, op.cit., p. 77 e segg. Un altro riferimento ad
un semaio italiano incontrato in Giappone si trova a p. 181 del Diario dattiloscritto dove si parla della
casa affittata nel 1865 a Yokohama assieme “al prete Ziglioli di Trento”. È questo uno dei rarissimi casi
in cui la memoria di Pompeo Mazzocchi lo tradisce, si tratta infatti del sacerdote trentino Don Grazioli
(sul quale v. sopra, testo e nota 4). In realtà più che di un errore, Mazzocchi è vittima - scrivendo nel
1898, a 33 anni di distanza dai fatti - di un’omofonia, poiché tra i semai italiani operanti in Giappone
esisteva un Alessandro Ziglioli (partner della Ziglioli & Gandolfi di Milano), segnalato a Yokohama nei
primi anni ’70 e che Mazzocchi deve aver evidentemente conosciuto.
47 V. sopra, nota 45.
48 Anche il bergamasco di origine svizzera (ed evangelico) Stoffel, come Alpiger, lavora inizialmente per
Francesco Daina. Su di lui v. la nota 25.
40
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
Stiviere. Si noti che del gruppo in partenza nel 1864 fa parte, come nel 1873,
un Pini (di Lecco). Dati analoghi si ottengono quando si esaminino i transiti
attraverso l’altra “pista” intercontinentale che porta i semai italiani in Giappone, quella che passa per il Nord America - più lunga, ma forse più comoda, più
sicura e probabilmente meno costosa - e che Pompeo sceglierà spesso.
Un’analisi sistematica su partenze e arrivi in Giappone sulla stampa locale di
allora, ancora in corso di completamento, indica con una certa evidenza come
alcuni semai tendessero a compiere insieme, regolarmente, una parte dei loro
viaggi di andata o di ritorno dal Giappone, anche se spesso la prudenza voleva che i preziosi carichi del ritorno fossero, se possibile, divisi in almeno due
spedizioni separate, ognuna delle quali era personalmente seguita da qualche
semaio.
La componente “svizzera”
Nella relativa compattezza del gruppo dei semai italiani va messa in evidenza una sovrapposizione, almeno parziale, di un ristretto, ma molto influente
numero di individui appartenenti ad altra nazione, gli svizzeri. Come già
sottolineato nel caso del Sig. Alpiger, cittadino svizzero di Bergamo che
lavora per il bergamasco Francesco Daina,47 vi sono numerose altre persone
collegate al mondo imprenditoriale serico svizzero che agiscono in connessione più o meno diretta con i semai italiani. Si va da individui di origine
svizzera, ma ormai di nazionalità italiana, come G. Stoffel48 ed il più volte
citato Enrico Andreossi (di famiglia grigionese immigrata a Bergamo a fine
‘700), sino a persone come Abegg, Grosser, Von Bavier ed altri che pur essendo svizzeri ed in genere operando in Giappone per ditte svizzere, impiegano
dipendenti italiani o comunque agiscono strettamente di conserva con gli
operatori del mercato del seme-bachi italiano, soprattutto bergamaschi.49 Si
tratta in effetti di ditte svizzere che hanno grossi e concreti interessi finanziari, commerciali ed industriali in Italia (gli Abegg, ad esempio, possiedono
impianti di torcitura della seta nei pressi di Lecco) e che si trovano pertanto
coinvolte nella crisi dell’offerta italiana di bozzoli e di filo di seta causata
49 Dalla già citata lettera da Yokohama di Carlo Fondra del 1866 si ricava che la ditta svizzera Ziegler &
Co., operante a Yokohama, forniva seme-bachi giapponese alla ditta Frizzoni di Bergamo, evangelici
di origine svizzera ed alla Schennis di Milano, anch’essi evangelici. In seguito (1869), un altro grossista
bergamasco, Sbarbaro, porrà in vendita seme-bachi giapponese ricevuto dalla Ziegler di Yokohama.
Da fonti della stampa periodica si ricava inoltre come la svizzera Grosser & Co inviasse nel 1867 da
Yokohama seme-bachi giapponese al deposito del bergamasco Gaetano Biazzi.
50 Tra i sottoscrittori vi è anche un Giovan Domenico Zanchi, di Bergamo, verosimilmente parente di
Giovan Battista Zanchi, anch’egli bergamasco, cognato di Pompeo.
51 Vedi sopra, nota 49.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
41
INTRODUZIONE
dalla pebrina, crisi da cui sono
pesantemente colpite anche
le manifatture seriche situate
nella svizzera stessa, forti in
particolar modo a Zurigo.
Non deve stupire pertanto
che la Svizzera sia tra le primissime nazioni che aprono
rapporti commerciali e diplomatici con il Giappone
(molto prima che la lenta
ed impacciata burocrazia
governativa italiana faccia
altrettanto), che siano spesso
svizzere le case bancarie cui
si appoggiano i primi semai
italiani ad andare in Giappone, che siano svizzeri alcuni
dei primi rapporti consolari
sullo stato della bachicoltura
21. Polizza della Scottish Imperial Insurance Company, rilasciata
giapponese
ed infine che il
a Yokohama il 31 ottobre 1877, con cui Pompeo Mazzocchi
assicura contro l’incendio cartoni di seme-bachi giapponese console svizzero a Yokohadel valore di 10.000 dollari d’argento. Cm. 42x52. Fondazione
ma, Lindau, faccia da agenPompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
te ad una grossa ditta di
importazione di seme-bachi italiana e poi, ritiratosi dal servizio consolare,
pubblicizzi il seme-bachi giapponese, che egli si procura a Yokohama, su
alcuni dei maggiori quotidiani e periodici italiani.
Pompeo Mazzocchi, nel suo iniziale collegamento con l’impresa di Andreossi, entra anche lui in questo particolare giro italo-(evangelico/bergamasco)svizzero e va notato come il padre, Andrea Mazzocchi, sia tra i sottoscrittori
della prima ora - sin dall’ottobre del 1863, con una azione da 10.000 lire
- proprio della Società per l’importazione diretta di seme-bachi dal Giappone messa in piedi da Andreossi con il consistente supporto dei capitali della
comunità evangelica svizzera di Bergamo.50 Tra le poche carte rimasteci dei
soggiorni giapponesi di Pompeo Mazzocchi, vi è inoltre un foglietto di minuta di appunti e conti sul quale è evidenziato il nominativo della casa svizzera
Charles Thorel, Ziegler & Co. di Yokohama51 e Pompeo figurerà negli anni
52 Ernest de Bavier, La sericiculture, le commerce des soies et des graines et l’industrie de la soie au Japon,
Georg, Lyon 1874. A p. 79, l’autore così si esprime-: «-Les deux tiers des cartons exportés vont en Italie…Les Italiens…prennent toujours les bonnes qualités, tandis que les Français…se contentent des sortes au
42
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
successivi in rapporti di affari con svariati grossisti di seme-bachi bergamaschi, alcuni dei quali legati alla comunità svizzera locale.
Dal loro canto gli svizzeri sono pronti a riconoscere come il gruppo dei semai
italiani a Yokohama operi con molta maggiore competenza, intelligenza e lungimiranza di quanto facciano i francesi. Mentre questi ultimi speculano con
miopia, acquistando seme-bachi scadente e rivendendolo ai coltivatori del Midi
a caro prezzo, incuranti dei danni che a lungo termine provocano, gli italiani
puntano sistematicamente sulla qualità, avendo a cuore le sorti della bachicoltura italiana e la possibilità di una sua ripresa in grande stile (come in effetti
sarà nei decenni finali del XIX secolo). In questi termini si esprime Ernst Von
Bavier, rappresentante di spicco della omonima famiglia di imprenditori zurighesi e responsabile per anni della filiale della ditta a Yokohama, in un volume
sulla sericoltura e l’industria serica giapponese, pubblicato nel 1873 e subito
tradotto in francese per l’edizione di Lyon, che oggi è una fonte classica per la
conoscenza di quel difficile periodo di transizione della produzione della seta in
Giappone.52
Bisogna comunque sottolineare come gli stretti rapporti diretti o trasversali
che legano molti semai (e molte ditte italiane a cui questi fanno capo) agli
ambienti svizzeri e/o evangelici italiani tendano a stemperarsi, pur senza mai
scomparire, a mano a mano che le case più propriamente italiane, a partire dalla
fine degli anni ’60, divengono maggiormente autonome e più capaci di gestire
in prima persona gli aspetti commerciali e soprattutto quelli finanziari delle
spedizioni al Giappone.53
I rapporti con francesi e britannici.
Di natura in parte diversa e comunque meno stretti, anche se assai importanti
nei primissimi anni, i rapporti dei semai italiani con gli ambienti economici e
meilleur marché.-».
53 Questo vale anche per i rapporti dei semai italiani con altre ditte straniere. Un caso tipico è quello
del milanese Gaetano Paladini (sul quale v. sopra, nota 20) il quale alla metà degli anni ’60 importa
seme-bachi giapponese fornitogli da una casa londinese che a sua volta si appoggia all’olandese F. Blekman, residente in Giappone, interprete della Legazione francese e con qualche esperienza in campo
bacologico. Più tardi Paladini rafforzerà la sua ditta unendosi a Goretti e la Paladini e Goretti invierà
direttamente i suoi propri esperti - Alessandro Begnotti e Pompeo Mazzocchi - a far seme in Giappone,
divenendo una società pienamente autonoma e di tutto rispetto sul mercato milanese.
54 Si veda in proposito, sul ruolo della casa bancaria Pascal et fils di Marseille nei primi viaggi di Mazzocchi, il volume della Saldi Barisani, cit., alla p. 80 e segg., con riferimenti anche alla documentazione
esistente all’Archivio di Stato di Brescia.
55 Nella seconda metà degli anni ’70 Gian Giacomo Andreis sarà Console italiano a Montpellier e contribuirà, in questa sua veste e per le competenze specifiche di semaio professionista, all’organizzazione
del Congresso Internazionale di Bachicoltura che si terrà a Montpellier nel 1878.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
43
INTRODUZIONE
politici francesi e con i colleghi semai della Francia del Midi. A parte l’abitudine,
nei primi tempi, di partire per il Giappone quasi sempre dal porto di Marsiglia
- che mette i semai italiani in stretto contatto con gli ambienti commerciali e
bancari del luogo54 - vi sono anche alcuni legami diretti con la Francia, a livello
personale o a livello di ditte, come ad esempio nel caso dei due fratelli piemontesi Andreis, Bernardo e Gian Giacomo, il primo residente ed operante a Saluzzo
il secondo da tempo stabilito a Tarascon, non lontano da Avignon. Il seme-bachi
che soprattutto Gian Giacomo acquista in Giappone (dove gli Andreis saranno
presenti, dal 1864 al 1875, quasi ogni anno) viene commercializzato nel Cuneese da una società di cui è gerente Bernardo e nel Midi francese da Gian Giacomo
o da qualche suo agente, senza alcuna menzione della nazionalità dell’importatore che appare come francese nelle pubblicità sui periodici locali.55
L’inverso avviene nel caso della ditta dei fratelli Puech (Alcide e Andrea) di
Brescia, una delle prime ditte a sperimentare seme-bachi giapponese in Italia
sin dal 1863 ed a spedire i propri agenti in Giappone. Nei rapporti consolari
italiani da Yokohama, e così pure sulla stampa periodica italiana, i Puech sono
citati come ditta italiana operante in Giappone, ma non vi sono dubbi sulle
loro origini dal Midi francese,56 verosimilmente dalle Cevennes, anche se non
è stato sinora possibile accertare il preciso rapporto famigliare con la Puech ainé
di Avignon, anch’essa una tra le prime e più importanti ditte di commercio di
seme-bachi francesi a rivolgersi al Giappone.
Negli anni iniziali di attività dei semai in Giappone è giocoforza per gli italiani appoggiarsi alla baldanza diplomatica e militare di una qualche grande
potenza già saldamente presente nello scacchiere dell’Asia orientale. L’interesse
vivissimo dei francesi per le questioni sericole - la crisi della pebrina li tocca in
maniera rilevante - rende la Francia una scelta quasi automatica per gli italiani
che per primi si muovono verso quelle zone anche se, come vedremo più oltre
in maggior dettaglio, gli interessi commerciali e manifatturieri dell’Inghiltera in
campo serico, la decisa rivalità franco-britannica in Giappone e le tradizionali
politiche di allineamento della neonata Italia con l’Inghilterra (a prosieguo di
quelle vivacemente sostenute ai tempi di Cavour), consiglino a numerosi semai
di mantenere una certa equidistanza, in attesa di poter giocare un proprio ruolo
più autonomo e più attento agli esclusivi interessi del mercato italiano.
Alcuni dei primi passi sono tuttavia improntati ad un’azione di affian56 Sul Bullettino della Associazione Agraria Friulana, 1865, p. 202 viene esplicitamente detto, a proposito
della ditta Alcide Puech, che essa è di “Lione e Brescia”.
57 Nel 1864 si calcola che il totale del seme-bachi esportato dal Giappone si sia aggirato sulle 300.000
once, mentre l’anno prima non si sarebbero superate le 30.000. Le cifre restano ipotetiche - anche se
l’ordine di grandezza pare sicuro - in quanto, essendo l’esportazione formalmente proibita (e pertanto
effettuata di contrabbando, sia pur sotto l’occhio assai tollerante delle autorità locali), non esistono,
prima del 1865, statistiche doganali giapponesi su questa merce.
44
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
camento alle iniziative
francesi. Così è per il
primo vero massiccio
acquisto di cartoni di
seme-bachi giapponesi (170.000 secondo
alcune fonti, 250.000
secondo altre)57 che
vengono inviati a Marsiglia alla fine del 1864
da un gruppo di semai
in cui risaltano l’avi22. Telegramma d’affari in giapponese diretto a Pompeo Mazzocchi
gnonese Ulysse Pila, la presso l’Hotel de France di Yokohama il 4 settembre 1870 da un certo
ditta Meynard ed altri Eikichi. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio
committenti francesi Storico.
da un lato e dall’altro
la Società del bergamasco Enrico Andreossi ed altri grossisti italiani. Ma è
subito chiaro che il desiderio dei grandi commercianti marsigliesi e lionesi di
gestire in proprio e sotto stretto controllo il lucroso business della distribuzione di quel seme-bachi ai consumatori finali in Europa, non corrisponde
affatto alle intenzioni degli italiani: il mercato più importante e più ricco nel
Mediterraneo è di gran lunga quello italiano, e su questo gli italiani vogliono
essere liberi di muoversi senza dover pagare alcun pedaggio ai francesi. Passerà pochissimo tempo infatti che i quotidiani e la stampa specializzata francese
cominceranno a lagnarsi della feroce concorrenza dei “milanesi” negli acquisti
del seme-bachi giapponese e nella redistribuzione di questo verso il mercato
italiano.
In Giappone tuttavia avrà un ruolo di primo piano ancora per svariati anni
la vulcanica figura dell’inviato francese Leon Roches,58 attivissimo in campo
sericolo e costantemente alle costole dei governanti giapponesi per ottenere
facilitazioni nel settore del commercio serico (ed in quello del seme-bachi in
particolare) e l’abbattimento delle barriere alla libera circolazione degli europei all’interno del paese - un punto sul quale i semai di tutte le nazionalità
inisisteranno sempre con particolar forza, anche se con risultati, nel complesso, modesti, specie se paragonati all’assoluta (e spesso del tutto arbitraria)
libertà con cui essi erano abituati a muoversi e ad agire nei paesi del Vicino
58 Plenipotenziario francese in Giappone dal 1864 al 1868.
59 Si tenga presente che nel 1863 Hudson - uno dei più convinti assertori dell’indipendenza italiana aveva soggiornato a lungo a Salò, ospite di Giuseppe Camillo Martinengo, esponente di spicco dei moti
del 1848-49 ed esiliato all’estero sino al 1857.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
45
INTRODUZIONE
e del Medio oriente.
L’attivismo di Roches fa indubbiamente comodo ai semai italiani, così
come a Roches fa gioco la competenza e l’intraprendenza degli italiani. L’episodio che meglio illustra questa convergenza di interessi ha luogo nella primavera del 1866, quando Roches, esercitando forti pressioni sul Governatore
di Yokohama, si fa autorizzare ad inviare un gruppo di semai ad ispezionare
gli allevamenti dei bachi da seta in una zona che sta ai limiti estremi (e forse li
supera) del raggio di mobilità verso l’interno del paese che i (discussi) trattati
sembrano consentire agli stranieri residenti a Yokohama, ma che in ogni caso
è assai poco prudente cercar di raggiungere senza un esplicito assenso degli
amministratori giapponesi e senza la relativa protezione armata. È assai significativo che il gruppo che compie la spedizione sia composto da soli italiani,
sette per la precisione.
La vicenda illustra bene l’alta professionalità specifica dei semai italiani, i
più adatti, se non forse gli unici, all’interno di una abbastanza ampia comunità straniera che ha comunque nella seta e nel suo commercio uno dei suoi
maggiori interessi, ad esaminare de visu ed a saper valutare da veri esperti
qualità, condizioni e caratteristiche degli allevamenti indigeni. Essa sottolinea
anche la forte spinta imprenditoriale che i semai italiani hanno alle spalle. La
visita infatti si svolge necessariamente in giugno (nel periodo in cui l’allevamento del baco è al suo culmine) e pertanto obbliga i sette semai ad anticipare di alcuni mesi la loro venuta in Giappone ed a prolungarvi il soggiorno,
con un incremento dei costi non indifferente, ma il gioco - con l’annessa,
preziosa e rara, opportunità che apre di poter stabilire contatti diretti con
singoli produttori giapponesi di seme-bachi - vale evidentemente la candela
agli occhi dei partecipanti e dei loro committenti in Italia. Importante infine,
il fatto che Roches non possa o non voglia coinvolgere semai francesi nella
spedizione, un indice, riteniamo, del palese deterioramento dei suoi rapporti
con gli ambienti dei sericoltori e di alcuni grandi mediatori commerciali del
Midi, i quali da tempo lo accusano con asprezza di affarismo e di personalismo nella conduzione delle questioni che riguardano la seta ed il seme-bachi
per l’Europa, ma anche e forse ancor di più, indice della scarsa dinamicità dei
semai francesi, persone e ditte, che operano in Giappone e che già tendono
ad accoccolarsi su posizioni di rendita speculativa, poco interessati a scelte di
qualità e ad un contatto diretto con gli ambienti dei produttori giapponesi.
Il gruppo dei semai italiani, pur adattandosi alle posizioni di forza delle
maggiori potenze estere presenti allora in Giappone, mostra ben presto di
sapersi muovere con notevole autonomia. L’equidistanza tra Francia e Gran
Bretagna diventa così, quasi da subito, uno strumento per determinare al
meglio la propria posizione sul mercato giapponese, dove il gruppo, forte della
46
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
sua “massa” finanziaria destinata agli acquisti, in media,
di oltre i due terzi del semebachi posto in vendita dai
giapponesi (e per di più di
quello di maggior pregio),
mostra di saper farsi valere,
anche indipendentemente
dai desiderata delle potenze
occidentali.
In questo senso, sebbene
vi siano alcuni singoli che
tendono ad allinearsi in via
primaria alle esigenze della
Francia - è questo il caso,
per parecchi anni, dei fratelli
Dell’Oro, fortemente legati a Leon Roches - altri,
ad esempio Andreossi, si
destreggiano con molta più 23. Polizza della Phoenix Assurance Company rilasciata a
indipendenza. Al suo arri- Yokohama il 20 settembre 1869 con cui Pompeo Mazzocchi
vo in Giappone, nell’aprile assicura contro l’incendio cartoni di seme-bachi giapponese del
valore di 15.000 dollari d’argento. Cm. 40,5x51. Fondazione
del 1864, il bergamasco, pur Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
avendo alle spalle l’alquanto
insolita e significativa partecipazione diretta alla sua società dell’ex-Ambasciatore britannico in Italia, Sir
Francis Hudson59, si premura di andarsi a presentare (e a farlo subito sapere
alla stampa di casa) sia all’inviato di Londra in Giappone, Alcock, sia a quello
francese, Bellecourt, né poi si perita di far comunella con il francese Ulysse
Pila per organizzare la più vistosa - sino ad allora - spedizione di seme-bachi
giapponese per l’Europa, salvo poi sgusciarsene da Marsiglia con la sua parte
del carico per piazzarla come meglio gli pare in Italia e non senza aver mandato suoi agenti a far man bassa, sempre per l’Italia, del migliore del seme-bachi
che i francesi mettono all’asta a Marsiglia ed in alcune altre città del Midi.
Pompeo Mazzocchi sembra aver imparato bene il tipo di “equidistanza”
praticato da Andreossi, suo superiore diretto nella prima spedizione in Cina
60 La corrispondenza relativa è riportata in appendice al volume della Saldi Barisani, cit., pp. 139-140.
61 Cfr. Japan Trade Overland Mail, 21, 25.07.1868. Il gruppo si fermerà circa un mese a Niigata. In
origine la spedizione italiana avrebbe dovuto effettuarsi per mezzo del vascello militare italiano Clotilde
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
47
INTRODUZIONE
ed in Giappone del 1864. Già in quel viaggio - lo racconta nel suo Diario - si
fa fare un lasciapassare dalle autorità britanniche per andare a visitare Pechino, un’utilissima copertura per i rischi del percorso, ma poi, giunto nella
capitale cinese, non va a presentarsi all’Ambasciata inglese, come protocollo
e prudenza avrebbero suggerito, preferendo non farlo per “essere più libero” di
gestire i propri affari e di entrare in contatto con il mondo locale.
Quando ritorna in Giappone nel 1865, questa volta per il Comune di
Brescia, Mazzocchi si porta di nuovo a Hakodate e si appoggia alla rete consolare in loco, tanto francese che britannica, pur muovendosi, negli acquisti,
non dietro le indicazioni più o meno interessate che riceve da costoro, ma
solo ed esclusivamente sulla base delle sue solide competenze bacologiche, e
con palese successo come confermeranno gli allevamenti effettuati in patria
col seme da lui selezionato in quel porto della settentrionale isola di Hokkaido. Mazzocchi, per di più, persa la coincidenza del vapore da Hakodate per
Yokohama, riesce anche ad ottenere l’inusitata e del tutto eccezionale cortesia
di un passaggio gratuito per sé e per la sua preziosa merce su di una nave
militare britannica, un atto per il quale Gaetano Facchi, Sindaco di Brescia
e sponsor primo della spedizione, chiederà in seguito al Ministero italiano di
ringraziare i governanti britannici,60 ma che mostra anche la deferenza che
sin da allora si aveva da parte britannica, se non forse proprio per gli italiani
in quanto tali, certamente per i vistosi volumi di affari che essi gestivano in
Giappone (e nei quali erano proficuamente coinvolte molte ditte inglesi) e
forse anche per la possibilità che episodi simili offrivano di tenerli staccati
- “equidistanti” appunto - dal giro commerciale e diplomatico della Francia
in Giappone.
Iniziative autonome e sondaggi per soluzioni alternative
davanti alla crisi giapponese del 1868.
L’appoggiarsi, a seconda dei casi, a Francia o a Gran Bretagna, non impedisce affatto agli italiani di prendere posizioni del tutto autonome e persino
conflittuali con gli interessi dell’una o dell’altra. Nel luglio del 1868 - sono da
poco e solo parzialmente sedati gli scontri che hanno portato alla definitiva
caduta dei Tokugawa - un gruppo di semai italiani - con l’iniziale sostegno ed
e il Ministro italiano in Giappone, De La Tour, si era mosso con molta determinazione per avere il via
libera dalle autorità giapponesi ed il consenso dei colleghi diplomatici occidentali, in primo luogo di
francesi ed inglesi. Ad esclusione dei prussiani, tuttavia, sia i francesi che soprattutto gli inglesi avevano
mostrato una decisa ostilità alla mossa italiana, ma De La Tour aveva tenuto duro, dichiarando che la
spedizione era essenziale per gli interessi vitali dell’Italia in campo sericolo. Si veda anche Mazzanti P.,
48
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
appoggio diplomatico del nostro rappresentante in Giappone - noleggia un
vascello, l’Albion, per farsi trasportare nel neo porto aperto di Niigata, nella
speranza di avere un accesso migliore al seme-bachi delle pregiate province
sericole settentrionali (in particolare Akita) ed insieme di scavalcare l’intermediazione commerciale di Yokohama.61
Il viaggio suscita apprensione ed irritazione nei circoli commerciali e diplomatici occidentali di Yokohama e la locale stampa di lingua inglese oscilla tra
l’ammirazione per l’ardimentosa intraprendenza degli italiani (affrettandosi
però a vaticinare clamorosi insuccessi) e l’acrimonia nei confronti dell’ammiraglio britannico che ancora ostacolava, adducendo motivi di insicurezza
totale dei luoghi, un formale insediamento commerciale britannico a Niigata.
Anche se l’impresa sarà coronata da un successo relativamente modesto,
lasciando per di più qualche strascico polemico tra semai e Legazione italiana
in Giappone, e Yokohama resterà, di gran lunga, il nodo obbligato di passaggio per gli acquisti di seta e seme-bachi in Giappone, la puntata italiana
a Niigata, dove quasi nessun occidentale aveva sino ad allora osato portarsi,
mostra un’orgogliosa, quasi garibaldina, volontà del gruppo di essere comunque in prima fila, anche senza avere alle spalle a Yokohama le filiali delle
grandi case europee e le cannoniere.
Le fonti sinora reperite non ci consentono di sapere se Mazzocchi fosse o
meno coinvolto nell’affare di Niigata, ma vale la pena di notare che tra i cinque rappresentanti degli interessi italiani scelti per andare a Niigata vi è Paolo
Vellini che allora stava alle dipendenze di Carlo Orio62 e che pochi anni
dopo troveremo operare in Giappone per la Associazione Bacologica Milanese
di Francesco Lattuada, la stessa alla quale Mazzocchi forniva, nel 1872, semebachi giapponese. Se si aggiunge a questo il fatto che Carlo Antongini63
avrebbe compiuto, apparentemente per conto di Mazzocchi, una rilevante
operazione di acqusto di seme-bachi proprio a Niigata già nel 1869, se ne
trae l’impressione che Pompeo Mazzocchi, se non coinvolto in prima persona
nel viaggio, fosse per lo meno molto vicino a coloro che organizzarono quell’estemporanea missione nel luglio del 1868.
L’episodio di Niigata nell’estate del 1868 deve anche esser visto come indiLa diplomazia italiana ed i cartoni giapponesi, Tesi di Laurea, Università Commerciale Luigi Bocconi,
Milano, A. A. 2001-2002, alle pp. 224 e segg.
62 Su Orio v. sopra, nota 40.
63 Su Antongini v. sopra, nota 23.
64 Il gruppo bresciano di Vedovelli, Martinengo e Cicogna commercializza per qualche tempo ancora
ridotte quantità di seme-bachi manciuriano, ma Luigi Cicogna si porta in Giappone già nel 1869.
Cicogna e i fratelli sono indicati come rappresentanti a Palazzolo della ditta Puech di Brescia nel 1872.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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INTRODUZIONE
ce di una rilevantissima flessibilità imprenditoriale di cui dà costantemente
prova la parte più dinamica del mondo dei semai italiani in quegli anni.
Il loro fondamentale obiettivo strategico è, costantemente, quello di avere
accesso immediato e sicuro alle più importanti fonti di seme-bachi sano reperibili - letteralmente - su tutto l’orbe terracqueo. Quel seme, ed in quantità
assai massicce, deve essere messo a disposizione ogni anno - ed in un determinato periodo dell’anno - della comunità degli allevatori italiani. Sarebbe stato
un disastro senza pari saltare gli approvvigionamenti di una sola stagione. La
rapidità con cui si era deciso, nel corso del 1863 - di fronte ai modesti e/o
fallimentari tentativi di quell’anno di trovare fonti rilevanti e buone di semebachi in Kashmir o a Bukhara - di provare a fare acquisti sostanziosi in Giappone e, l’anno successivo,
di spostare sul Giappone
tra la metà e i due terzi
della colossale domanda
di seme-bachi dell’intero
mercato italiano, sono a
testimoniare di questa
più che notevole capacità
di pronto addattamento,
con successo, a situazioni del tutto nuove.
Per gli stessi motivi,
la drammatica crisi istituzionale e militare che
sconvolge il Giappone
nel 1867-1868 e che la
stampa europea eccheggia ed amplifica, stimola
un’immediata ricerca di
possibili soluzioni alternative nel caso che il
paese del Sol Levante
venga a trovarsi in una
spirale di guerra civile
letale per il commercio
del seme-bachi, come
24. Ôsai Fusatane. Trattura e tessitura della seta. Xilografia giappone- lo era stata pochi anni
se (Ukiyo-e). Verso il 1870. Cm. 25x36,3. Fondazione Pompeo e Cesare prima per il commercio
Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
della seta cinese e dello
50
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
stesso seme-bachi l’ondata di campagne militari nei distretti sericoli cinesi
conseguente all’estesa rivolta dei Taiping. Pur restando solidamente ancorati,
e senza significative defezioni, al mercato giapponese - dove in effetti i riflessi
della crisi politica sul mercato del seme-bachi nelle due stagioni del 1867 e del
1868 sono ben scarse - i semai bresciani e quelli bergamaschi sono di nuovo in
prima fila nella pronta ricerca di eventuali fonti alternative, pur nella dolorosa
consapevolezza che si stava ormai grattando il fondo del barile delle possibilità
reali. Nasce così, a tamburo battente, una società bresciana per andare a far
seme in Corea ed in Manciuria, i cui membri partono sin dal giugno del 1868,
mentre il bergamasco Andreossi prova ad introdurre sul mercato italiano semebachi proveniente dal lontanissimo Cile ed un gruppo di possidenti e commercianti del milanese rigioca la carta dell’Asia Centrale - ormai sotto saldo controllo russo - mandando i suoi uomini a Tashkent, a Kokand e in quella stessa
Bukhara che era quasi costata la testa a Meazza, Gavazzi e Litta nel 1864.
La stessa puntata su Niigata può esser così vista come un tentativo di portarsi
il più vicino possibile alle fonti di produzione in un momento in cui Yokohama
sarebbe potuta risultare troppo esposta per la sua prossimità all’epicentro dello
sconvolgimento politico nella contigua Edo/Tokyo.
Con gran sollievo della sericoltura italiana la situazione giapponese si normalizza con estrema rapidità ed alcune delle iniziative alternative finiscono col
rifluire prontamente, in tutto o in parte, sul mercato giapponese, anche perché
di veramente alternativo al Giappone c’è in giro proprio poco.64 La saldezza
dei nervi mostrata dagli italiani di Yokohama nel corso dei difficili mesi di
tran-sizione al nuovo governo imperiale Meiji, la fiducia confermata nelle
risorse seriche giapponesi, ma anche la prontezza mostrata nel saggiare con
mezzi non indifferenti prospettive diverse, rafforzano nelle nuove autorità giapponesi il rispetto e la stima per quello che è ormai divenuto da alcuni anni uno
dei maggiori partner commerciali del paese. Ne è prova la concessione accorAnche Cesare Bresciani, che del gruppo faceva parte, si ricicla subito verso il Giappone per la ditta
Puech, recandovisi per cinque volte tra il 1869 e il 1874. Più costante, almeno per qualche anno, il
rifornimento di buon seme-bachi dal Turkestan russo, un’operazione nella quale entrano anche alcuni
dei semai usi andare in Giappone, come Ferdinando Meazza e il bergamasco G.B. Biava, già uomo di
Andreossi, mentre i tentativi dal Sud America o da altre aree (Australia, Mongolia, California) avranno
sempre una vita effimera ed un peso commerciale assolutamente trascurabile, pur testimoniando di
continui sforzi di ricerca, condotti a volte con notevole impegno.
65 È di alcune settimane più tardi infatti, il tour, che comprende aree sericole, autorizzato dalle autorità
giapponesi al rappresentante consolare britannico, Adams. Va comunque notato che nessuno dei membri del gruppo guidato da Adams aveva la competenza bacologica dei semai italiani della missione di
De La Tour.
66 V. anche sopra, nota 12.
67 Tra la carte di Pompeo recentemente rinvenute nella sede della Fondazione Mazzocchi a Coccaglio vi
è uno scritto in cui Pompeo indica, con rammarico, come il padre ed il fratello Giovanni gli avessero
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
51
INTRODUZIONE
data nel giugno del 1869 alla rappresentanza diplomatica italiana guidata dal
Conte De La Tour di compiere una visita ufficiale dei distretti serici interni
del Giappone, la prima in assoluto ad essere consentita ad una delegazione
estera da parte del nuovo governo Meiji.65 Della delegazione fa ovviamente
parte una scelta rappresentanza della comunità dei semai italiani in Giappone, con il piemontese Pietro Savio, ai suoi inizi come semaio e con tre altri
esperti: Ferdinando Meazza, Ernesto Piatti ed Ernesto Prato, quest’ultimo da
alcuni anni residente a Yokohama ove cura gli interessi nel campo del semebachi per l’Europa del prestigioso Banco di sconto e sete di Torino.66
Preme qui notare che ancora una volta (come già nella spedizione organizzata da Leon Roches nel 1866) ci si reca nelle province sericole del Giappone
in un periodo - quello dell’allevamento dei bachi - di molto antecedente a
quello in cui i semai sono soliti presentarsi a Yokohama per le compravendite del seme-bachi, il che implica che la spedizione era stata proposta e
concordata tra i semai, i diplomatici italiani e le autorità giapponesi sin dalla
precedente stagione commerciale dell’autunno 1868. In pratica, a pochissima distanza dalla presa del potere del nuovo governo giapponese, a riprova
che la comunità italiana in Giappone - composta allora quasi tutta da semai
e setaioli - ha una ben precisa cognizione di quanto sia definitiva, solida e
irreversibile la nuova situazione politica del paese.
Le fonti sinora reperite, Diario incluso, ci lasciano abbastanza all’oscuro
sulle motivazioni che spinsero Pompeo Mazzocchi a non ripetere nel 1866
e nel 1867 i viaggi da semaio al Giappone che aveva effettuato con tanto
successo nel 1864 e nel 1865,67 ma il fatto che egli si riporti a Yokohama
proprio nel 1868, l’anno in cui sulla stampa europea si dubitava fortemente (e forse con una punta d’isteria giornalistica) sulla tenuta del paese e si
discuteva sui rischi di un prolungato periodo di caos, ci fanno pensare che
Mazzocchi fosse in contatto, verosimilmente attraverso la rete di conoscenze dei suoi colleghi semai, con fonti di informazione molto più concrete e
realistiche sull’effettivo stato delle cose in Giappone e che comunque considerasse, assieme a molti altri, che il rischio valesse in pieno la candela. La
possibile partecipazione, almeno indiretta, di Mazzocchi alla breve spedizione
italiana verso Niigata nel luglio di quello stesso anno, sottolineerebbe il suo
imposto di lasciare le spedizioni al Giappone con la Società Bacologica Bresciana per tentare altrove
una spedizione in prorio, poi abortita. Un passaporto a lui rilasciato dalle autorità italiane nell’aprile
del 1866 per recarsi, tra l’altro, in Turchia, indicherebbe come Mazzocchi avesse forse in progetto di
ritentare in quell’anno la carta del seme-bachi dell’Impero Ottomano.
68 Su Meazza e Orio v. sopra, rispettivamente, n.13 e n. 40. Su Cernuschi e Freschi, v. il Diario, nn. 375
e 252. Daina, Cadei e Zanetti si dedicarono tutti in maggiore o minore misura ad attività di semai. In
particolare Cadei e Zanetti furono tra i primi a recarsi in Cina. Svariati membri della famiglia Camozzi
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
pieno inserimento tra gli elementi più attivi della nostra comunità. In ogni
caso, come già sappiamo, dopo il 1868 Pompeo Mazzocchi non mancò più
nessuno dei successivi appuntamenti annuali col mercato giapponese, sino al
1880 incluso.
Orientamenti politici e rapporti
con le autorità patrie.
Nell’esaminare il mondo dei semai italiani nel suo complesso, a partire
dalla metà degli anni ‘50 in poi, colpisce la rilevante presenza di esponenti
direttamente coinvolti in episodi bellici risorgimentali o comunque legati,
in maniera più o meno esplicita, agli ambienti garibaldini e mazziniani o a
questi affini. In particolare, nelle spedizioni più ardimentose ed arrischiate
alla ricerca di seme-bachi, sembrano primeggiare persone che nel ‘48 e dopo
si erano buttati a corpo morto nelle attività clandestine o insurrezionali. Più
in generale, pare esserci un nesso conseguenziale tra un’attiva intraprendenza
nel rischio commerciale ed imprenditoriale dei semai e una precedente o
parallela matrice di attiva avanguardia politica nel periodo risorgimentale, in
particolare per ciò che riguarda bresciani e bergamaschi, i due gruppi provinciali più mumerosi ed intraprendenti.
Sotto questi aspetti, i Mazzocchi sono decisamente rappresentativi, con
Gabriele, fratello di Pompeo, il quale, con il costante accordo, appoggio e
rispetto di tutta la famiglia fu coinvolto nel ’48 milanese, operò con Tito Speri
e con Giuseppe Zanardelli e partecipò alla campagna garibaldina del 1866.
Casi analoghi abbondano, andando da
Ferdinando Meazza, legato a filo doppio
con i principali insorti del ‘48 milanese,
tra i quali Cernuschi, esiliato a Parigi
(così come esiliato per il ‘48 sarebbe
stato il friulano Gherardo Freschi), al
gruppo di Carlo Orio nel quale sono
compresi Enrico Daina, Cadei e Zanetti,
già membri della colonna dei volontari bergamaschi di Gabriele Camozzi, a 25. Timbro con la dicitura “Pompeo Mazzocchi / Coccaglio / Importazione / 1881-82”
Carlo Antongini, uno dei “Mille”, ferito apposto sul retro di un cartone di seme-bachi
a Bezzecca nel 1866, a Carlo Giussani, giapponese che indica come egli proseguisse
milanese, anche lui a Bezzecca nel 1866 la sua attività anche dopo il definitivo rientro
dal Giappone nel 1880. Cm. 6,5x4. Fondaprima di recarsi più volte in Giappone, zione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio,
a Gabriele Rosa, “padre” della bacologia Archivio Storico.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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INTRODUZIONE
bresciana ed esponente di spicco dei più attivi raggruppamenti anti-austriaci
di Bergamo e Brescia, sino al piacentino Pietro Sacconi, semaio in Giappone
ed esploratore in Africa e all’altro garibaldino, Vittore Tasca, uno dei primi
a cercar di andare a “far seme” nelle più pericolose regioni dell’Asia Centrale dove si sarebbero in seguito recati, per lo stesso scopo, uomini come
il varesino Adamoli, garibaldino pure lui, legato ai volontari coinvolti nelle
campagne insurrezionali anti-russe dei polacchi.68
Altrettanto noto e documentato è il deciso schierarsi per l’indipendenza
italiana, con tutti i rischi connessi nei confronti delle autorità austriache
prima del 1859, della comunità degli imprenditori evangelici di origine
svizzera impiantati a Bergamo e Milano e dei quali è, tra i tanti, figura del
massimo rilievo il più volte citato Enrico Andreossi, organizzatore e primo
compagno di viaggio in Giappone di Pompeo Mazzocchi nel 1864.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare e pur tenendo conto che molti
altri semai erano certamente più moderati o “apolitici” vi sono pochi dubbi
che anche la comunità dei semai italiani in Giappone (come quella dei loro
committenti in Italia) riproducesse una certa qual originaria venatura di radicalismo libertario che la portava ad essere poco incline a temporeggiamenti e
compromessi quando si trattava di passare all’azione. Sopratutto la connotava
una precisa volontà di agire per i propri interessi e per i propri fini in assoluta
piena libertà, del tutto insofferente di intromissioni dall’alto, poco rispettosa
della gerarchia formale e nettamente intollerante delle lentezze delle pastoie
burocratiche. I semai, insomma erano poco disposti all “obbedisco” e nonostante tutto lo spirito risorgimentale e l’orgoglio di essere italiani che li pervade, parecchi di essi optano, ove lo ritengano vantaggioso commercialmente
furono assai attivi nello stesso settore, mentre Gabriele Rosa, bresciano di nascita, ma vissuto a lungo
nel bergamasco, ben noto per le sue numerose opere di carattere storico, fu Presidente del Comizio
Agrario di Brescia, dedicandosi con fervore a sostenere numerose attività di importazione di seme-bachi
dalle più lontane regioni del globo. Pietro Sacconi fu con Garibaldi nel ’66, semaio in Giappone e poi
esploratore in Africa, dove morì nel 1883 (Beretta, L., Due piacentini in Giappone, in Buon Natale
Piacenza, Piacenza 1996. Vittore Tasca, esponente del ’48, commilitone di Gabriele Camozzi, uno
dei Mille e con Garibaldi nel 1866, si era spinto in cerca di seme-bachi, passando per la Persia, sino a
quasi Bukhara, con rischi personali altissimi, già nel 1859. Adamoli avrebbe operato come semaio nel
Turkestan russo a partire dal 1870. Per Antongini v. sopra, n. 23.
69 A prescindere dagli “svizzeri bergamaschi” (Andreossi, Stoffel, Alpiger, ecc.) il cui mantenimento della
cittadinanza svizzera è legato a profondi rapporti economico-finanziari con gli ambienti svzzeri oltre
che a questioni di identità religiosa, vi sono casi come quello di Vincenzo Comi che, lavorando per
Lyon, rimane protetto francese a lungo o di altri che scelgono (o mantengono) protezioni ritenute
particolarmente vantaggiose, come quella degli USA. Il consolato italiano dovette più volte, dopo la
sua costituzione nel 1867, ricordare con avvisi e circolari l’obbligo per i cittadini italiani di notificare al
consolato la loro presenza a Yokohama e la loro residenza.
70 Seteri avrebbe lavorato per la ditta britannica Petrocochino (dov’era impiegato anche Scoto Scoti, legato alla
Società Bacologica Fiorentina) per poi operare, una volta rientrato in Italia, per la Gavazzi di Milano.
71 Ugo Pisa, figlio di Israele Pisa (co-proprietario della Banca Pisa di Milano e co-fondatore del Banco Sete Lom-
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
o meno vincolante per la loro libertà
di azione, per l’iscrizione nelle liste dei
“protetti” da consolati di altre nazioni
e vi rimangano iscritti anche dopo
l’istituzione del consolato italiano di
Yokohama nel 1867.69
I rapporti con le autorità in patria,
con i nostri rappresentanti diplomatici
in Giappone o con i Consoli italiani a
Yokohama sono pertanto altalenanti,
e ciò avviene per entrambe le parti in
causa: da un lato i semai a soppesare
con rigore l’utilità effettiva delle azioni
e delle regolamentazioni governative,
pronti a disobbedirle o a prenderne
le distanze in maniere anche assai 26. Ingresso della cascina “Portone “ di Torbole,
clamorose, dall’altra politici e funzio- ribatezzata “Cascina Giappone” da Pompeo Maznari, in Italia e in Giappone, attenti zocchi in riconoscimento dei proventi realizzati
con le vendite di seme-bachi giapponese.
a soddisfare le esigenze di un gruppo
di pressione - quello delle società di
semai e setaioli - assai potente in patria, ma spesso incapaci o poco desiderosi
di seguirne i rappresentanti in Giappone (tra l’altro non sempre in accordo
tra di loro) nelle loro richieste o nelle loro iniziative più ardite ed estemporanee. A rendere più complessi questi rapporti intervengono le sovrapposizioni
di interessi personali da parte di membri dei nostri corpi diplomatici e consolari
nello stesso settore del commercio del seme-bachi (i casi più evidenti: l’Ambasciatore Alessandro Fé d’Ostiani, il Cancelliere del Consolato di Yokohama, Pericle
Seteri70 e lo stesso Ugo Pisa, nel suo breve impiego a Yokohama71) che se da un
lato rendono i nostri rappresentanti più attenti e partecipi ai delicati problemi
del mercato locale e dei rapporti sul tema con mercanti ed autorità giapponesi,
bardo), avrebbe soggiornato in Giappone come “volontario” nella Legazione Italiana, giungendovi assieme a
Fè d’Ostiani nel 1870 e ripartendo nel 1872. La Banca Pisa era attivamente impegnata nel finanziamento del
commercio del seme-bachi, in particolare con il gruppo di Carlo Orio.
72 Vedi in proposito Raul Gueze, Fonti Archivistiche, cit. e Patrizio Mazzanti, La diplomazia italiana, cit.
73 Cristoforo Negri fu uno dei promotori della Società Geografica Italiana. Diresse per lungo tempo la sezione
consolare del Ministero degli Affari Esteri ed appoggiò con coerenza e vigore molte delle prime e più avventurose spedizioni dei semai. Un suo viaggio esplorativo in Giappone, in vista di stabilire rapporti ufficiali e
dare sostegno ai nostri commercianti di seme-bachi, era programmato già per il 1863, ma non ebbe luogo,
probabilmente per dissidi interni al Ministero.
74 Comi risiedeva a Yokohama dal 1865 e lavorava per la Martorelli di Lyon, una delle nove grandi case
commerciali seriche di Lyon che nel 1869 avrebbero costituito la potente e assai influente Union des
Marchands des Soies. Comi, che risulta in quegli anni uno dei maggiori esportatori di balle di seta
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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INTRODUZIONE
dall’altro portano ad inevitabili sospetti di favoritismi e collusioni.
Le difficoltà emergono da subito e ne è testimone il confuso e scoraggiante
stallo politico che ritarda oltre ogni misura lo stabilimento di relazioni diplomatiche e commerciali tra l’Italia ed il Giappone (un tema al quale la storiografia si è
ancora insufficentemente dedicata)72 nonostante gli sforzi di Cristoforo Negri73
- sostenitore accanito degli interessi sericoli italiani nel mondo - con l’avvilente
risultato che si muove assai prima e meglio dell’Italia la piccola Svizzera. Sarcastici e graffianti i commenti all’inefficenza governativa in proposito sulla stampa
periodica dove sono rappresentati gli interessi dei semai, quei semai che già da
anni sono in grado, da soli, di muoversi per ogni dove nel mondo, con o senza
il consenso e/o l’appoggio governativo italiano, e per i quali il Giappone è già
divenuto da tempo meta abituale. Così, quando il Comandante Arminjon arriva finalmente in Giappone nel 1866 per trattare il tanto atteso accordo diplomatico-commerciale, si premura subito di “reclutare” un semaio e mercante di
seta del calibro di Vincenzo Comi, residente in Giappone e allora “protetto”
francese, per farsi stilare i dettagli tecnici delle clausole del trattato più opportuni
a sostenere gli interessi italiani nei confronti dei giapponesi.74
Con il passare del tempo tuttavia, gli elementi di frizione paiono accrescersi
e se l’arrivo nel 1867 del nostro Ministro Plenipotenziario, Conte Vittorio
Sallier De La Tour - animato all’apparenza di un gran zelo per gli importanti
interessi sericoli dell’Italia - può far sembrare l’azione ufficiale italiana tutta
volta a sostenere senza remore le esigenze dei semai nei confronti di autorità
giapponesi riluttanti, uno sguardo più attento alle opinioni espresse in quei
tempi dai principali organi d’informazione italiana legati o sensibili al mondo
della seta, mostra un atteggiamento spesso scettico, quando non addirittura
ostile, nei confronti delle attività dei nostri rappresentanti consolari e diplomatici e dei provvedimenti pratici e delle linee di azione governative che essi
sono incaricati di portare avanti in Giappone.
Una decisa opposizione suscitano tra i semai i provvedimenti decisi dal
Governo italiano, sulla falsariga di quanto già attuato dai francesi, di far timgiapponese (cfr. Sawa, Mamoru, Yokohama Kyoryûchi no Furansu Shakai, Keiai Daigaku, Keizai Bunka
Kenkyûjo, 1998, p. 61), operava anche per conto proprio, in particolare nel settore del seme-bachi per
l’Italia e viaggiava spesso tra l’Italia e il Giappone. Sembra essere rimasto in attività in Giappone sino
ad almeno il 1873.
75 Le uova dei bachi bivoltini (il cui allevamento era allora piuttosto diffuso in Giappone, a differenza che
in Italia), si schiudono a poche settimane di distanza dalla deposizione, consentendo così un secondo
raccolto di bozzoli nell’arco dell’anno - a differenza di quelle dei bachi “annuali” (assolutamente prevalenti in Italia) il cui schiudimento avviene agli inizi della primavera successiva alla deposizione, ovvero
circa dieci mesi dopo. A prescindere da questioni di qualità della seta (quella dei bivoltini è decisamente
inferiore), la presenza di uova di bivoltini sui cartoni mischiata a quella degli annuali, rischiava di far
nascere i primi nel corso del viaggio verso l’Italia - causando la fermentazione e perdita di interi lotti
- oppure di nascere in Italia in periodi in cui non c’era foglia (o braccia, o tempo) per l’allevamento,
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
brare presso il Consolato italiano di Yokohama i cartoni destinati all’esportazione verso l’Europa. La timbratura - peraltro volontaria - ha lo scopo di
impedire frodi (in Europa girano decine di migliaia di cartoni falsi o riciclati)
e di porre un freno alla perniciosa confusione tra seme-bachi delle varietà
annuali e quello dei bivoltini75, ma se i fini sono nobili e pienamente condivisibili, il mezzo proposto - così obiettano i semai - è farraginoso, costoso,
inefficace e controproducente. Il Consolato non ha il personale, il tempo, i
locali e le competenze specifiche per esaminare, certificare e timbrare centinaia di migliaia di cartoni in poche convulse settimane. Nulla impedisce
pertanto che cartoni pieni di seme di scarto arrivino in Italia fregiandosi
di un timbro che dà loro una parvenza di qualità garantita e certificata: a
guadagnarne, alla fine, da una disposizione teoricamente valida ma di fatto
ingestibile, saranno i truffatori più avveduti, a tutto danno degli utenti finali
che si volevano proteggere. L’unica vera garanzia, ribadiscono i semai, non
può che essere l’onestà e la competenza dei semai stessi, verificata dai risultati
di anni di corretto lavoro.
La posizione dei semai è quella (comoda) di chi non vuole alcun controllo
pubblico sul suo operato e non difende certo gli utenti dagli eventuali semai
disonensti, ma le obiezioni che essi fanno sono in realtà assai concrete e
ben fondate. Dopo alcuni
anni in cui il sistema dei
timbri opera male e poco
e mostra di non poter in
alcun modo ostacolare
le frodi, esso verrà infatti abolito dall’Italia nel
1871, avendo però lasciato
una forte traccia di acredine tra i semai (specie
quelli operanti sul campo
in Giappone) e le nostre
27. Marchio della società Kangyô Kaisha della famiglia Tajima di autorità.
Shimamura (Prefettura di Gunma), una tra le maggiori produttrici e
Se i semai non gradifornitrici di seme-bachi di qualità. Si noti le scritte in italiano. Data- scono controlli, lacci e
bile intorno al 1878. Per gentile concessione del Nippon Silk Center
lacciuoli pubblici, predella Prefettura di Gunma.
con seri danni a chi li aveva acquistati per annuali,
76 Il Sole, 46, 26.2.1870, “Semi Bachi Giapponesi”. De La Tour sarà anche accusato dai semai per la poca
riuscita della spedizione a Niigata del luglio del 1868 e per non avervi partecipato di persona come
promesso. Cfr. Il Sole, 285, 5.12. 1873.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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INTRODUZIONE
tendono però di continuo fattivi interventi e protezioni a loro favore da
parte delle autorità italiane in Giappone e dal Governo. Così sarà oggetto
di frizioni non indifferenti la difficoltà che la Legazione italiana (come del
resto anche le altre legazioni straniere in Giappone) mostra nel persuadere il
Governo giapponese ad allentare i divieti alla circolazione degli occidentali
al di fuori delle ristrettissime aree dei porti aperti e zone limitrofe, come del
resto è chiaramente stabilito dai trattati. Quando tuttavia la Legazione italiana e per essa il Ministero degl Esteri risponde all’ennesima richiesta dei semai
di non poter in alcun modo forzare la mano dei giapponesi su questo punto
senza che prima si stipulino nuovi trattati, la reazione dei semai è pesante ed
è la redazione stessa del più importnte quotidiano economico italiano - Il Sole
edito dalla Camera di Commercio di Milano - a prendere le loro parti e a
chiedere senza mezzi termini che il Governo richiami dal Giappone il Conte
De La Tour per manifesta incapacità.76
Fè d’Ostiani e la crisi con i semai del 1873
L’arrivo del bresciano Alessandro Fè d’Ostiani, Ministro plenipotenziario
in Cina ed in Giappone, non sembra portare alcun miglioramento sostanziale
nei rapporti con i semai.77 Sarà anzi proprio nel periodo del suo mandato
che si verificherà lo scontro più grave tra la comunità dei semai italiani in
Giappone (e coloro che li reggono dall’Italia) da una parte e autorità di
Governo in Italia e rappresentanti diplomatici italiani in Giappone dall’altra,
sfociando in una clamorosa ed imbarazzantissima protesta pubblica della
comunità italiana a Yokohama al momento della visita in Giappone del Duca
di Genova nel settembre del 1873.
Pesa, indubbiamente, sull’atteggiamento dei semai il fatto che Fè abbia
diretti legami famigliari con semai professionisti (i Facchi di Brescia) e
soprattutto che si porti al seguito il fratello Pietro, anch’egli semaio. Quando
Fè ottiene dal Governo giapponese, nell’estate del 1872 ed in via del tutto
eccezionale, la tanto sospirata possibilità che alcuni semai compiano dei
viaggi nelle zone sericole (sia pure sotto stretto controllo e con molte limita77 Ancor più ostile sarà l’atteggiamento nei confronti del nuovo Console, Bruni, che sostituisce Robecchi
- l’unica persona dello staff della rappresentanza ufficiale italiana in Giappone che i semai “sentano”
dalla loro parte (Il Sole, 285, 5.12. 1873, cit.). In effetti i rapporti sui semai che manda Bruni dal
Giappone al Ministero degli Affari Esteri, sono pieni di imprecisioni e mostrano una chiara mancanza
di collaborazione reciproca.
78 Stefano Castagnola (1825-1891), ligure, mazziniano, partecipò ai moti risorgimentali. Ricopriva l’incarico nel Governo Lanza-Sella sin dal 14.1.1869.
79 Riprodotta ne Il Sole, 291, 13.12. 1873. La Circolare viene datata 8 luglio 1873: deve trattarsi di uno
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
zioni), non è forse un caso che i due soli
semai che apparentemente ne usufruiscono siano il bresciano Cesare Bresciani e il
piemontese Carlo Chiapello, quest’ultimo in stretti rapporti con l’associazione
bacologica bresciana di Gaetano Facchi.
Nella primavera dell’anno successivo le
trattative sul tema si arenano e semai e
stampa italiana in blocco accuseranno di
nuovo con forza, come avvenuto ai tempi
di De La Tour, le nostre autorità di non
saper portare avanti gli interessi reali dell’Italia in Giappone.
Ma il momento di scontro più aspro,
come accennato, si verifica nell’estate del
1873 quando - a semai già partiti per il
Giappone - una circolare del Ministro
28. Casa Mazzocchi a Coccaglio. Dettaglio del
dell’Agricoltura, In-dustria e Commerprospetto verso il cortile alberato interno.
cio, Castagnola78, diretta ai Prefetti, ai
Comizi Agrari ed alle Camere di Commercio di tutto il Regno, annuncia
la costituzione in Giappone di una grande Società con ingenti capitali ed
appoggi pubblici che sta per acquistare oltre metà del totale del seme-bachi
giapponese destinato all’esportazione ed il cui rappresentante è venuto in Italia per prendere accordi e accettare sottoscrizioni per una vendita diretta agli
allevatori italiani. Il Ministro conclude sollecitando i bachicultori italiani a
sottoscrivere e così facendo a non più sottostare “al sistema antico che favoriva
unicamente i semai che recavansi in Giappone..”. 79
L’attacco frontale ai semai, esplicito quanto brutale ed inaspettato, giunge in
un momento in cui essi sono già in agitazione per la presenza in Italia di una
missione bacologica giapponese che appare disporre, nella sua piena libertà di
movimenti e di contatti sul territorio italiano, di quelle prerogative di cui invano
i semai hanno chiesto per anni di poter usufruire per le regioni sericole interne
del Giappone. Il fatto che ad accompagnare questa ed un altra delegazione
giapponese in Europa sia proprio Fè d’Ostiani,80 e che assieme ad essa viaggino
degli ultimi atti di Castagnola, poiché il Governo era caduto il 25 giugno.
80 Sul tema si veda anche Camporese C., La Missione Iwakura in Italia: gli interessi sericoli scientifici e
commerciali (1870-1873), Tesi di Laurea, Corso di Lurea in Lingue e Letterature Orientali, Università
Ca’Foscari, Venezia 1997/1998.
81 L’episodio è vivacemente descritto dal Guardiamarina Giacomo Bove giunto in Giappone con un’altra nave
militare italiana, la Governolo, nel suo Giornale di viaggio. Bove, che forse non era del tutto al corrente dei
motivi della tensione esistente tra i semai e il Governo, attribuisce lo sgarbo alla collocazione politica del grup-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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INTRODUZIONE
proprio i rappresentanti del gruppo privato giapponese cui fa riferimento la Circolare del Ministro Castagnola, non può che far infuriare il mondo dei semai e far
pensare loro ad un segreto accordo italo-giapponese per scavalcare definitivamente
l’intermediazione dei semai favorendo, insieme, un monopolista in Giappone e
qualche singolo grosso commerciante in Europa cui questi si appoggia.
In un impeto di unità più unico che raro, una cinquantina di semai italiani in
Giappone si rivolgono alla stampa italiana con alcuni sferzanti comunicati - pubblicati con grande evidenza e con deciso sostegno redazionale in primis dall’organo
della Camera di Commercio di Milano, Il Sole - nei quali, oltre a duri attacchi al
Ministro Stefano Castagnola, con eguale asprezza si allude, pur senza mai nominarlo direttamente, alle debolezze e collusioni con i giapponesi di Fè d’Ostiani.
Il punto più alto dello scontro si raggiungerà all’arrivo della nave militare
italiana Garibaldi che porta in visita in Giappone un membro di Casa Savoia,
Tomaso, Duca di Genova. Le accoglienze del giovane Governo Meiji, che ha
allora per l’Italia un occhio di deciso riguardo, sono eccezionalmente fastose, ma
vengono guastate dall’astensione in massa dei semai italiani (pressochè l’intera
colonia italiana allora in Giappone) che non si presentano la mattina del 1 settembre 1873 ad accogliere l’illustre ospite, ponendo in gravissimo imbarazzo sia
le nostre autorità, sia, soprattutto, quelle giapponesi, attentissime come sempre
alla forma ed alla sostanza del cerimoniale.81 Tre settimane dopo (con molto
ritardo, dunque) la comunita’italiana in Giappone offerse a Tommaso di Savoia
un indirizzo di saluto, sottoscritto però solo da pochi.82
Quale la posizione di Pompeo Mazzocchi in questa serie di bracci di ferro tra
semai e rappresentanti governativi italiani che caratterizza i primi due lustri della
presenza italiana in Giappone? Non vi è alcun cenno in proposito nel Diario e
sebbene in esso manchino molte cose di quel lungo periodo passato in Giappone,
il fatto che Mazzocchi non citi neanche mai Fè d’Ostiani - che non poteva non
conoscere personalmente anche prima di incontrarlo in Giappone - potrebbe far
supporre che egli preferisca non riandare su di un momento imbarazzante.
Pompeo è comunque tra i firmatari dell’aspro telegramma che i semai inviano
a Il Sole appena conosciuto il testo della Circolare Castagnola. Questi inoltre si
riuniscono e nominano una Commissione ad hoc che stilerà una lunga relazionepo, definendolo “rosso”, con evidente riferimento al passato filo-garibaldino, o comunque anti-monarchico
di tanti. Puddinu P., Un viaggiatore italiano in Giappone nel 1873 - Il “Giornale particolare” di Giacomo Bove,
Ieoka editore, Sassari 1998, p. 191 e n. 175.
82 Il periodico locale Japan Mail sottolineò la peculiarità dell’accaduto, Paolo Puddinu, ibid. Le firme sul documento erano una trentina: si consideri che solo i semai a Yokohama erano in quei giorni più di sessanta e che
il numero degli italiani in quel momento in Giappone doveva aggirarsi sul centinaio di persone e forse più.
83 I tre bresciani erano: Vincenzo Gattinoni, Cesare Bresciani, Antonio Dusina.
84 Si noti che alla protesta dei semai italiani non si uniscono quelle case commerciali straniere di Yokohama che
pure vendevano grosse quantità di cartoni giapponesi in Italia e che sarebbero state in teoria anch’esse forte-
60
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
denuncia sulle vicissitudini dei semai in Giappone a partire dal 1863 sino allo
“schiaffo” di Castagnola dieci anni dopo. Della Commissione, di sette membri,
Mazzocchi non fa parte. La sua assenza può non avere alcun significato specifico,
anche se è quanto meno curioso che non ne faccia parte uno dei “decani” della
comunità - ma forse, essendoci nella Commissione già tre bresciani su sette, si
preferì non metterne un altro.83 La firma di Mazzocchi, invece, non appare in
calce alla relazione-denuncia successiva. Potrebbe naturalmente trattarsi di una
svista tipografica del giornale che la pubblica, ma quella di Mazzocchi non è
l’unica firma che, presente al telegramma, manchi poi alla relazione.
Va anche notato che né il telegramma, né la relazione portano alcune firme
di gran conto: ad esempio quelle di tre dei semai/setaioli residenti permanenti a
Yokohama: Aymonin, Bolmida e Comi.84 Così non ci sono pure le firme di un
pezzo da novanta come Andreossi, né quelle dei fratelli Dell’Oro, questi ultimi
da sempre tenuti un pò al margine dal resto della comunità.
Se uniamo a queste coincidenze ambigue il fatto che l’anno successivo,
1874, tanto Mazzocchi che Isidoro Dell’Oro compileranno per la Legazione
italiana di Tokyo due distinte relazioni su viaggi compiuti in aree sericole,
vien da pensare che Pompeo, pur firmando di slancio il telegramma assieme
a tutti gli altri, sull’onda dello sdegno per la Circolare Castagnola, si sia defilato dalla relazione successiva, dove più trasparente era l’attacco alla figura e
all’operato di Fè d’Ostiani e della Legazione tutta.85 In ogni caso, i rapporti
personali con i Fè d’Ostiani rimasero ottimi: Paolo Fè d’Ostiani, fratello di
Alessandro, fu padrino di battesimo, nel 1884, di Camilla Mazzocchi, secondogenita di Pompeo.
Collezioni e raccolte
L’aver parlato, sia pur brevemente, di Fè d’Ostiani, porta ad esaminare uno
dei punti in comune tra le esperienze - così diverse sotto tanti altri aspetti
- che i due compiono in Asia orientale: la passione per la raccolta di oggetti
artistici. Si parva licet componere magnis, gli oggetti giapponesi e cinesi riuniti
nell’attuale Museo della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi di Coccaglio,
mente penalizzate dalla Circolare. L’unico a firmare il telegramma è A. Falco, impiegato della influentissima
Hecht & Lilienthal di Lyon, ma la sua firma, come quella di Mazzocchi, non appare in calce alla Relazione
successiva (dove si accenna molto velatamente a case straniere di Yokohama che avrebbero finanziato l’operazione di accaparramento del seme-bachi da parte della ditta giapponese).
85 La Relazione di Pompeo Mazzocchi del 1874 è qui riprodotta in appendice.
86 Su Enrico Cernuschi ed il Museo di arte orientale a lui dedicato a Parigi v. nota 375 del testo del Diario.
87 Le tabelle con i nomi citati sono ancora in loco. Si vedano le illustrazioni 26, 28 e 55.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
61
INTRODUZIONE
non sfigurano affatto, quantomeno come testimonianza storica e di gusto,
di fronte a quanto ebbe a raccogliere o ricevette in dono Fè d’Ostiani nella
sua permanenza in Oriente e rappresentano un insieme tra i più rilevanti tra
quelli attualmente presenti in Lombardia.
In realtà, la collezione di Pompeo Mazzocchi era assai più vasta di quella che
oggi è presente a Coccaglio. Una parte cospicua - sulle precise caratteristiche della
quale non abbiamo, purtroppo, che testimonianze indirette ed imprecise - venne
improvvidamente messa all’asta nelle incerte fasi iniziali di gestione dei lasciti testamentari seguiti alla morte del figlio, Cesare. A leggere infatti le pagine del Diario
o ad esaminare le poche foto rimaste delle stanze della villa con i loro arredamenti
originali, ci si può fare un’idea di quanto sia andato disperso, inclusi molti oggetti
della Turchia e dell’India che Pompeo aveva lasciato ai suoi eredi, ma che oggi non
figurano più tra le collezioni del Museo.
I pezzi che rimangono non sono tuttavia pochi ed essi testimoniano, ed è
questo l’aspetto qui da sottolineare, l’interesse e la curiosità culturale ed intelletuale che svariati semai mostrano per le zone e le popolazioni che essi visitano.
Accanto a Mazzocchi vi sono infatti altri semai in Giappone che si fanno attrarre
dal mondo dell’arte - abbiamo già detto di Ferdinando Meazza. la cui raccolta
di porcellane giapponesi è oggi al Museo Cernuschi86 di Parigi, ma altri come
Antongini, Ragnoli, Sacconi, Locatelli, si dedicano al settore, non sempre e non
solo per il piacere di raccogliere, ma anche per più concreti interessi commerciali,
dato che la “moda” dell’oggettisitca orientale offre un mercato non indifferente
ed un complemento agli introiti dall’attività di semaio, specie verso la fine degli
anni ’70 quando il mercato del seme-bachi giapponese in Italia si fa sempre più
difficile e selettivo.
Resta però evidente, dalle lettere di tanti semai che si possono ancora leggere
in quotidiani dell’epoca o in raccolte archivistiche, come il Giappone in particolare esercitasse un fascino molto speciale per questi uomini e che se la molla
primaria che li muove è l’esigenza vitale di raccogliere il seme-bachi che sostiene
la sericoltura italiana assieme ai guadagni che esso porta a chi fa sa fare bene il
suo mestiere, non mancano mai momenti di riflessione su costumi, paesaggi,
tradizioni, abitudini che mostrano un viaggiare non cieco alla conoscenza, attento
e curioso alla diversità. Questo atteggiamento di attento interesse risulta evidente
anche dalla Relazione del 1874 del viaggio di Pompeo nelle zone sericole interne
del Giappone (qui riprodotta in Appendice), come pure dalle due lettere, del 1870
e del 1879 (anch’esse in Appendice), e dal fatto stesso di aver scelto, in quest’ultima occasione, un itinerario diverso che lo porta a vedere una fetta del Canada,
così come anni prima aveva deciso di fare una lunga deviazione, nel suo viaggio
62
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INTRODUZIONE
di ritorno dal Giappone, attraverso l’India settentrionale. Nel 1870, attraversando
gli Stati Uniti per andare a Yokohama, aveva effettuato una diversione su Salt Lake
City per vedere di persona come vivevano i famosi Mormoni, incontrandosi con il
loro “Profeta”.
Infine, l’aver scelto per il proprio ritratto (qui in copertina) il più abile ed il più
famoso dei pittori giapponesi di genere “occidentale”, indica sensibilità e
gusto, oltre ad essere una sorta di suggello visivo della sua affermazione economica nella comunità d’affari di Yokohama e presso i suoi connazionali in
patria - così come farà Yahei Tajima - figura per tanti versi parallela a quella
di Pompeo - scegliendo uno dei più affermati ritrattisti italiani per il proprio
ritratto durante la sua permanenza d’affari in Italia.
A giudicare dal Diario e dal modo in cui è scritto, Pompeo Mazzocchi non è
certo un uomo di penna - lui stesso si lagna più volte della pessima istruzione avuta
da bambino e negli anni formativi della sua prima adolescenza - ma il suo interesse
e la sua curiosità per un mondo altro e lontano, assieme alla volontà di dar corpo,
con acquisti ripetuti, a questa passione, non sfigurano affatto di fronte a quanto
manifestato da colleghi con una preparazione culturale più raffinata.
Senza perdersi nei sogni alla Pierre Loti, i semai sentono fortemente l’attrazione dei mondi estranei in cui vanno ad operare e Mazzocchi, la cui
permanenza in Oriente è tra le più lunghe, ne è una delle espressioni più
29. Risshô. Xilografia giapponese (Ukiyo-e) che mostra il Consolato italiano di Yokohama (erroneamente
indicato nella scritta di destra come francese, nonostante il tricolore con lo stemma sabaudo). 1869. Cm.
73,6x38. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
30. Chikanobu. “Visita importante”, particolare. Xilografia giapponese (Ukiyo-e) che illustra l’allevamento
dei bachi da seta nella bigattiera del Palazzo Imperiale di Tokyo alla presenza dell’Imperatrice. 1877. Cm.
25,5x37. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
64
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA
Il Giappone e la sua industria serica
all’epoca dei viaggi di Pompeo Mazzocchi.
Negli anni in cui Pompeo Mazzocchi visitò il Giappone (1864-1880), il
paese asiatico stava attraversando uno dei suoi periodi storici più importanti
e rivoluzionari.
Nei precedenti due secoli e mezzo, durante lo shogunato Tokugawa (16001868), il paese aveva vissuto in un sistema feudale ed era rimasto quasi totalmente isolato dal resto del mondo. Il fondatore del regime militare, Ieyasu
Tokugawa, per paura che l’influenza delle potenze europee e della religione
cristiana introdotta dai portoghesi potessero destabilizzare il suo potere,
aveva vietato agli stranieri l’accesso al paese, aveva bandito il cristianesimo e
perseguitato i cristiani, aveva fortemente limitato il commercio estero concedendolo solo a cinesi, coreani e olandesi ma circoscrivendolo nel porto di
Nagasaki e aveva infine vietato ai cittadini giapponesi di recarsi all’estero.
Questa politica di chiusura fu ulteriormente intensificata dai successori di
Ieyasu. Il paese conobbe dunque un lungo periodo di isolamento, ma anche
di relativa pace interna, in cui venne promossa la produzione locale e perfezionato il sistema di commercio tra i diversi dominii feudali (Han) in cui era
diviso il territorio.
A partire dai primi dell’Ottocento, diverse potenze occidentali tentarono
di abbattere il muro di isolamento e di avviare relazioni commerciali con il
Giappone, spinte dalla necessità di porti in cui sostare e rifornirsi di carbone (abbondante in Giappone) durante i viaggi nel Pacifico occidentale, ma
anche dalla speranza di nuove opportunità di commercio. I primi a tentare,
invano furono i russi, seguiti dagli inglesi e dai francesi, ma gli unici ad avere
successo furono infine gli Stati Uniti che, nel 1853, approfittando di un
periodo di crisi interna del regime Tokugawa, lo costrinsero con la forza ad
aprire al commercio estero negli anni sucessivi alcuni porti, tra i quali Nagasaki e Hakodate, cui si aggiunse il nuovo scalo di Yokohama. In seguito, il
governo Tokugawa fu spinto a stipulare degli accordi commerciali con quasi
tutte le maggiori potenze europee e a concedere agli stranieri la residenza nei
porti aperti al commercio.
Il nuovo porto di Yokohama divenne il centro delle attività commerciali
con l’estero, che aumentarono in maniera considerevole. Ci fu il boom delle
importazioni di lana, cotone, metalli e prodotti siderurgici, mentre iniziò una
massiccia esportazione di seme-bachi, seta greggia, carbone e tè.
Le esportazioni erano particolarmente incoraggiate dalla svalutazione del
sistema monetario giapponese, basato sull’argento, rispetto a quello occiden-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
65
IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA
tale basato sull’oro, ma anche da alcune clausole contenute nei trattati commerciali imposti al Giappone dalle potenze occidentali, in particolare quella
che dava loro il diritto di imporre le tariffe e che valse ai trattati l’appellativo
di “ineguali”.
In vista di affari più che promettenti, i mercanti occidentali accorsero
numerosi. I più attivi nel commercio con il Giappone furono all’inizio gli
inglesi, forti del già consolidato predominio commerciale nell’Asia meridionale e in Cina. Gli inglesi costituivano da soli il 50% dei residenti stranieri
nei porti giapponesi e contavano il 40% delle società occidentali impegnate
nel commercio con il Giappone. Seguivano numericamente gli americani, i
francesi e i tedeschi, mentre un buon numero di italiani era impegnato quasi
esclusivamente nell’acquisto del seme-bachi.
Tra le varie clausole contenute nei suddetti trattati commerciali, ve ne era
una, imposta dal governo giapponese, la quale stabiliva che le società occidentali dovessero rimanere entro un raggio di 40 chilometri intorno ai porti
aperti al commercio e che gli stranieri non dovessero oltrepassare questo limite tentando di recarsi all’interno del paese. In questo modo il governo evitava
un’eccessiva intrusione degli occidentali e manteneva un certo controllo sul
commercio. Solo dopo il 1868, quando il regime Tokugawa fu sostituito dal
governo Meiji, vennero concessi ai diplomatici stranieri degli speciali lasciapassare per recarsi nelle regioni interne. Prima di allora era impossibile per i
mercanti occidentali visitare ad esempio i centri sericoli giapponesi e trattare
direttamente con i produttori. Il commercio era, tranne nei casi in cui i
contrabbandieri giapponesi riuscivano a raggiungere i mercanti occidentali
senza essere scoperti, interamente controllato dal governo. Nel caso della
seta greggia (come più tardi del seme-bachi), il governo aveva dato l’incarico in esclusiva ad alcuni grossisti giapponesi di Yokohama di raccogliere ed
esaminare le matasse provenienti da tutto il paese e di trattare il prezzo e le
condizioni di vendita con i mercanti occidentali.
Grazie ad un capillare sistema di trasporti perfezionato durante il lungo
periodo di chiusura del paese, il confluire della merce a Yokohama si svolgeva
in modo veloce ed efficiente. Un tale sistema di controllo, però, non piaceva
nè ai produttori giapponesi, che dovevano sottostare alle decisioni dei grossisti, nè tantomeno ai mercanti occidentali, che non riuscivano ad imporre
più di tanto i loro prezzi. Il contrabbando era l’unica alternativa possibile e
in qualche caso il governo giapponese dovette chiudere un’occhio, visto le
ingenti somme di denaro che venivano riversate nel paese dagli occidentali.
Comunque, sia per il risentimento che il regime Tokugawa nutriva verso
gli occidentali a causa dei trattati “ineguali”, sia per il timore che con la scusa
66
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA
del commercio questi potessero immischiarsi in questioni di politica interna,
gli stranieri non erano del tutto ben accetti in Giappone. Non di rado succedevano incidenti tra ufficiali governativi con tendenze xenofobe e visitatori
stranieri che non avevano usato la dovuta prudenza. Intanto, all’interno dello
stesso shogunato, si intensificavano gli scontri tra chi era a favore dell’apertura del paese e chi continuava a sostenere il sistema feudale Tokugawa.
Nel 1868 alcuni dei più potenti Han si allearono, restaurarono il potere
dell’imperatore e dichiararono ribelle lo shogun Tokugawa. Nacque così il
governo Meiji, con capitale Tokyo, fondato non più su un capo militare ma
sulla figura dell’imperatore e guidato da un gruppo di uomini illuminati che
si erano formati al governo dei loro principati di provenienza.
Il loro principale obiettivo fu quello di consolidare il paese in uno stato
unito e moderno, dotato di un esercito forte e che, nel rispetto dei trattati firmati con le potenze occidentali, conservasse la propria indipendenza politica
ed economica. Per far questo, era necessaria prima di tutto una rapida industrializzazione, cercando di utilizzare al meglio le risorse interne. Tra queste,
i prodotti serici erano sicuramente tra i più richiesti sul mercato internazionale. L’epidemia della pebrina, che aveva distrutto gli allevamenti dei bachi
in Europa e nel Medio Oriente e minacciato di estinzione l’industria serica
europea, aveva fatto la fortuna del Giappone che, quasi unico paese ormai
rimasto a produrre seme-bachi sano e bozzoli di qualità ed in grado di organizzare velocemente una rete per l’esportazione (a differenza, per esempio,
della Cina), si era visto affollare di mercanti europei già a partire dai primi
anni Sessanta dell’Ottocento.
Il nuovo governo volle incoraggiare in tutti i modi la produzione di bozzoli
e di seta greggia ed avviò un processo di meccanizzazione delle filande, su
modello di quelle italiane e francesi, con la volontà di raggiungere lo standard
qualitativo europeo con tecniche di trattura più moderne rispetto a quelle
rudimentali usate fino a quel momento. Inviò dei tecnici giapponesi in Europa e ne invitò di europei in Giappone, investendo grandi capitali ed energie
nell’impresa e chiedendo l’impegno e il sacrificio di bachicoltori e filandaie.
Allo stesso tempo, l’atteggiamento del governo Meiji verso i mercanti occidentali si fece più aperto, dal momento in cui fu chiaro che il denaro da loro
riversato al paese attraverso l’acquisto dei prodotti serici era indispensabile
per portare avanti il processo di modernizzazione e industrializzazione della
nazione.
Vennero finalmente concessi dei permessi agli stranieri per visitare le zone
più interne del paese. Nel 1869 il primo ambasciatore italiano, il conte Sallier
De La Tour, ottenne l’autorizzazione di visitare i centri sericoli delle regioni
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
67
IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA
a nord di Tokyo, portando con sè alcuni semai italiani, tra cui Pietro Savio
e Ferdinando Meazza. Era la prima volta che degli stranieri godevano di un
tale privilegio. La zona che visitarono era compresa tra le attuali prefetture di
Nagano, Gunma e Saitama, che erano allora all’avanguardia sia nella produzione di bozzoli che di seta greggia. Essi poterono vedere bigattiere e gelseti,
ma non prendere contatti diretti con i produttori come avevano sperato: la
scorta giapponese che li accompagnava li teneva sotto stretta sorveglianza.
Questa, a grandi linee, la situazione che Pompeo Mazzocchi trovava in
Giappone all’epoca dei suoi viaggi. Purtroppo nei suoi diari egli ci lascia una
descrizione dettagliata solo di quelli fatti nel 1864 e 65, mentre accenna solo
brevemente al fatto di essersi recato in Giappone ogni anno anche dal 1868
al 1880.
Poichè si riferisce ai viaggi fatti prima che avvenisse la restaurazione Meiji,
egli nomina le sole zone in cui all’epoca era concesso agli stranieri di sostare:
Hakodate, nell’isola di Hokkaido (all’epoca chiamata Ezo, da cui il nome
“Yesso” citato nel suo diario), Nagasaki e Yokohama. Non parla invece delle
aree sericole dell’interno, che deve aver visitato nei viaggi successivi. Esiste
infatti un documento - qui pubblicato nell’Appendice - datato Yokohama, 22
Settembre 1874, in cui il Mazzocchi fa una relazione alla legazione italiana a
Tokyo e scrive di aver ricevuto un permesso per recarsi nelle provincie a nord
di Tokyo, nelle zone in cui si coltivavano i bachi. Egli nomina Koriyama
e Yanagawa, attualmente nella prefettura di Fukushima, Yonesawa, nella
prefettura di Yamagata, Shimonita, Arato e Shimamura, ora nella prefettura
di Gunma: un viaggio molto lungo e sicuramente abbastanza faticoso per
quell’epoca.
Tra i villaggi visitati dal Mazzocchi, quello di Shimamura era sicuramente
uno dei più attivi nella produzione di seme-bachi. Possiamo immaginare che
tra le bigattiere da lui visitate vi fossero anche quelle della famiglia Tajima,
una tra le maggiori produttrici della zona. Uno dei membri della famiglia,
Yahei, era diventato famoso in tutto il Giappone per aver messo a punto e
diffuso, attraverso un manuale, un innovativo metodo di allevamento dei
bachi, basato sulla corretta aerazione delle bigattiere. Egli applicò per primo
il metodo alla sua bigattiera, probabilmente la stessa di cui parla il Mazzocchi
nella sua relazione.
Ci sembra degno di nota il fatto che Yahei Tajima e Pompeo Mazzocchi
si siano incontrati in seguito in Italia. Tra il 1879 e il 1883, Yahei Tajima e
gli altri bachicoltori della sua famiglia e del villaggio si organizzarono in una
cooperativa e decisero di andare a vendere il loro seme-bachi direttamente in
Italia. La decisione nacque dal fatto che in Giappone l’esportazione comin-
68
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
IL GIAPPONE E L’INDUSTRIA SERICA
ciava a non rendere più e molti dei cartoni di seme-bachi arrivati a Yokohama
venivano bruciati per sostenerne il prezzo. Infatti in Europa, grazie al metodo
di prevenzione della pebrina studiato da Luis Pasteur, si stava riprendendo la
produzione dei bachi delle antiche razze europee e non c’era quindi più tanto
bisogno del seme giapponese. I produttori di Shimamura, informati del fatto
che in Europa il loro seme-bachi continuava comunque a vendersi a prezzi
straordinariamente più alti che in Giappone e non volendo più sottostare
alle condizioni dei grossisti di Yokohama, decisero di tentare la coraggiosa
impresa. Aprirono un emporio a Milano e da lì presero contatti con numerosi
sericoltori, molti dei quali già incontrati in Giappone. Con alcuni di loro
stabilirono rapporti di amicizia ed andarono a visitarne le case e i luoghi di
produzione. Tra gli altri, fecero visita anche ai Mazzocchi a Coccaglio, dove,
raccontano nei loro diari, furono accolti da una gran folla di gente e bevvero del vino in compagnia del padre di Pompeo. Le vendite del seme-bachi
andarono per loro molto bene nei primi due anni, ma poi cominciarono a
calare e alla fine i Tajima decisero di interrompere l’esportazione. Dall’Italia
riportarono diversi oggetti, come alcuni fucili acquistati a Brescia o articoli
di uso quotidiano curiosi ai loro occhi. Sembra persino che uno dei Tajima
avesse fatto costruire intorno alla sua casa una veranda simile a quella del
giardino dei Mazzocchi visto a Coccaglio.
Tra le altre cose, essi portarono in patria anche alcuni microscopi, tra i
primi ad essere usati nella loro zona, con i quali poterono esaminare le farfalle
dei bachi ed eliminare quelle malate, secondo il metodo di Pasteur appreso
a Milano, evitando così che la pebrina si diffondesse eccessivamente. Essi
vollero diffondere la tecnica in tutta la regione rinforzando così la tradizione
degli studi di bachicoltura originati a Shimamura.
Le scoperte che in questo campo si facevano in tutto il Giappone, rese
possibili anche dai continui sforzi del governo Meiji per potenziare l’industria serica ed adeguarla agli standard occidentali, diedero luogo a notevoli
miglioramenti sia nella qualità che nella quantità di filo di seta prodotto. Nel
frattempo, visto il calo di interesse da parte del mercato europeo, il Giappone
si rivolse sopratutto a quello statunitense, dove una giovane industria di tessitura della seta andava crescendo e necessitava di sempre maggiori quantità
di materia prima. Il Giappone seppe sfruttare al massimo l’opportunità e a
partire dagli anni Novanta dell’Ottocento divenne il principale fornitore di
seta greggia per gli Stati Uniti e, in seguito, il maggiore esportatore di seta
greggia del mondo.
Francesca Travaglini
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
69
Il Diario
di Pompeo Mazzocchi
NOTE PRELIMINARI SUL TESTO
Pompeo Mazzocchi iniziò a scrivere le sue memorie il due novembre del
1887, dedicandole ai suoi figli. La stesura delle memorie venne spesso interrotta, anche per periodi molto lunghi, con numerose riprese, l’ultima delle
quali risale al quattordici ottobre 1905, dieci anni prima della sua morte.
Svariati anni dopo la morte di Pompeo, nel 1935, sua nuora, Eva Dea,
moglie del figlio Cesare, ne fece fare una copia dattiloscritta, rilegandola in
forma di quaderno, e la donò al marito. Il nuovo testo venne sicuramente
confrontato con l’originale, come testimoniano le numerose correzioni ed
integrazioni apportate a matita. Del manoscritto originale, presumibilmente
un quaderno, si sono tuttavia perse le tracce ed è possibile che esso sia stato
distrutto una volta verificata la corrispondenza tra questo e il nuovo testo.
La presente edizione delle memorie - per la quale si è deciso di mantenere
il termine “Diario” da tempo entrato nell’uso corrente - si basa pertanto sul
testo del quaderno dattiloscritto, conservato presso la Fondazione Pompeo
e Cesare Mazzocchi, così come su questo testo si era basata Caterina Saldi
Barisani per comporre il volume sulla vita ed i viaggi di Pompeo Mazzocchi
apparso alcuni anni or sono e nel quale sono presenti numerosi brani ripresi
dal dattiloscritto in questione.1
Le condizioni di forma e di leggibilità
del testo dattiloscritto
Nonostante gli interventi posteriori (tutti a matita) dei famigliari, volti a
correggere o a integrare ciò che la ricopiatura dattiloscritta aveva riportato
erroneamente o aveva omesso, una lettura accurata dello stesso evidenzia il
permanere di un numero elevato di errori materiali di trascrizione, di sviste
- specie per quel che riguarda nomi di persone o di luoghi, in particolare se
stranieri - di palesi omissioni e di errori di punteggiatura, assieme ad interpretazioni discutibili delle parole originali o persino, sia pure in casi limitati,
a stravolgimenti del senso di quelle che si può ragionevolmente intuire fossero le frasi originali di Pompeo. Anche le spaziature ed i capoversi risultano
spesso del tutto arbitrari.
In secondo luogo, lo stile, a volte estremamente discorsivo e sintetico, con
cui Pompeo “buttava giù” i suoi ricordi, con poco riguardo alla coerenza
sintattica della frase, ai tempi dei verbi, all’uso dei pronomi, se rendono assai
spontaneo e vivace lo scritto, ostacolano gravemente una lettura fluida del
testo.
1 Saldi Barisani, C., Pompeo Mazzocchi. La vita e i viaggi, cit.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
73
NOTE PRELIMINARI SUL TESTO
L’ostacolo è reso maggiore, per un lettore attuale di media cultura, dall’uso
ottocentesco della punteggiatura, delle maiuscole, dei capoversi, ma soprattutto da forme verbali non più correnti (del genere: “andava” per “(io) andavo”).
Allo stesso modo sono di ostacolo le frequenti abbreviazioni - all’iniziale puntata - dei nomi propri e, soprattutto, l’eccessiva sinteticità di certe frasi - più
un flash di pensiero, un appunto indicativo, che un’espressione compiuta.
Le modifiche apportate
Per quanto concerne le correzioni o le integrazioni a matita riscontrabili
sul dattiloscritto e riconducibili all’opera del figlio Cesare o della nuora Eva
- verosimilmente basate su di un confronto fatto allora con il manoscritto originale - esse sono state riportate nella presente edizione come se fossero parte
integrante del dattiloscritto, debitamente segnalando, o con nota o con artifici
grafici, solo quelle di maggiore estensione o di particolare rilevanza.
Per le altre omissioni, errori, sviste, ecc., sopracitati, riconducibili ad un
difetto palese di ricopiatura dal manoscritto al dattiloscritto non corretto
dagli eredi, la scelta redazionale è stata quella di ripristinare, ove possibile, il
testo all’originale presumibile, segnalando i casi più rilevanti vuoi con artifici
grafici, vuoi con apposite note.
Interventi analoghi, ma sempre leggeri, sono stati fatti nei confronti dello
stile di scrittura di Pompeo, sia per quel che riguarda l’uso ottocentesco della
punteggiatura, sia per quanto riguarda l’uso di forme verbali, di termini e di
espressioni obsolete. Similmente si è agito per capoversi, maiuscole e forme
abbreviate. In molti casi, inoltre, di fronte ad un’eccessiva sinteticità delle
espressioni o delle frasi usate da Pompeo, si è provveduto a renderne più chiaro il senso introducendo, in parentesi quadra, termini esplicativi.
L’insieme di tutti questi interventi aveva come obiettivo fondamentale lasciando intatto il senso originale dello scritto ed il più inalterata possibile la
forma espressiva - di rendere più scorrevole e più gradevole la lettura dell’affascinante Diario di Pompeo Mazzocchi.
Tuttavia per permettere a chi ne sentisse il bisogno di accedere al testo
del dattiloscritto come esso si presenta di fatto, la redazione, d’accordo con
la Fondazione Mazzocchi, ha deciso di mettere a disposizione del pubblico il
quaderno dattiloscritto riprodotto integralmente e nella sua forma grafica originaria presso il sito WEB della Fondazione (www.rsamazzocchi.it).
74
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTE PRELIMINARI SUL TESTO
Avvertenze al lettore
- Le date in cui Pompeo inizia o riprende a scrivere le sue memorie sono state
evidenziate in neretto e poste sempre a capoverso.
- La numerazione originale dei fogli del dattiloscritto è stata riportata all’interno del corpo del testo che viene ora pubblicato, nella forma di un numero
progressivo tra due barrette inclinate, inserito tra la parola che chiude il
foglio del dattiloscritto e quella che la apre, ad es. : …/9/…
- Le note a piè di pagina sono di tre tipi: quelle proprie di Pompeo Mazzocchi
(o apposte dagli eredi), quelle redazionali (NdR), quelle specialistiche del
curatore (CZ). Per i riferimenti, nelle note, a nomi o espressioni presenti
nel Diario si è sempre usata la forma “vedi foglio / / del testo dattiloscritto”
utilizzando la numerazione originale dei fogli del dattiloscritto.
- Le parentesi quadre rappresentano sempre delle integrazioni redazionali
volte a rendere più fluido e/o più comprensibile il testo.
Il Comitato di Redazione
Antonio Fappani, Cesare Massetti, Claudio Zanier
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
75
31. Copertina della copia dattiloscritta
del Diario di Pompeo Mazzocchi. Cm.
15x22,5. Fondazione Pompeo e Cesare
Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
32. Riproduzione dei fogli 158 e 159 della copia dattiloscritta del Diario di Pompeo Mazzocchi, con
correzioni e integrazioni a matita, probabilmente del figlio Cesare. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi,
Coccaglio, Archivio Storico.
Pel tuo compleanno
15 luglio 1935
Caro Cesare, spero il dono che t’offro sarà da te apprezzato per la
ricerca non facile di rintracciare questi ricordi a te cari e che desideravi.
La superata difficoltà ti provi ciò che l’affetto sa fare e tu serbami un
pensiero colle memorie di tuo padre.
Affettuosamente,
Eva
(Dedica autografa di Eva Dea al marito Cesare Mazzocchi)
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
77
33. Eva Dea, moglie di Cesare Mazzocchi, ripresa in casa Mazzocchi a Coccaglio verso il 1935. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
/1/ 1
Martedì, 2 novembre 1887
Ai miei figli carissimi.
Oggi è la commemorazione dei nostri poveri defunti. È un giorno di malinconia: anch’io scrivo queste parole per voi, quando non sarò più. Non ho mai trovato il momento di scrivere; comincio adesso, perché non vorrei aspettare troppo
e non essere più in tempo. Per la mia grave età (sono nato il 9 luglio 1829), sarà
facilissimo che vi lasci ancor giovani, senza, o con poca esperienza. Vostra madre
ancora è giovine; voi siete sicuri che le mie memorie, anche se malamente scritte,
sono vere e che i miei consigli partono dal mio cuore, sincerissimi. Ho la convinzione che vi troverete sempre contenti se mi darete ascolto. Di difetti ne abbiamo
tutti; andate d’accordo fra di voi, vogliatevi bene. Dio vi è, lo vedete nell’infinito
ordine. Temetelo, ubbidite sempre a vostra madre, che sofferse molte fatiche per
voi e ricordatevi sempre di me.
/2/ Cenni sulla mia vita
Gli oggetti di curiosità giapponesi, dell’India, della Turchia, dell’America, che
avete in casa vi ricordano i miei lunghi viaggi2 e sarete curiosi di sapere qualche
cosa da me stesso. Ancora, sarete curiosi di sapere come ho messo insieme la fortuna che vi ho lasciato: così, mi sono deciso di scrivere la mia vita, e spero vi sarà
anche di qualche istruzione. Vostra madre vi può raccontare poche cose, avendola
sposata dopo i miei viaggi;3 essa potrà dirvi il tempo che abbiamo passato insieme, l’affetto immenso che ho avuto per lei, per voi, le varie vicende degli ultimi
miei anni, anche quello che ora non posso scrivere: la fine dei miei giorni.
Incomincio.
/3/ Da un negoziante di anticaglie acquistai una cartapecora(1)4recante la data 3
maggio 1645 dove si conferiva la cittadinanza di Brescia ai nostri vecchi Giovanni
Giacomo, il reverendo don Gabriele, Pietro Maria e Gaudenzio. Acquistai pure un
diploma del nostro antenato Domenico: la sua laurea di dottore in medicina, che
conseguì a Padova nel 1618. Queste cartepecore le troverete tra le mie carte.
1 Pompeo Mazzocchi. Nato 8-7-1829 morto 7-4-1915
Legava all’……la sua (ricchezza) beni affinchè (perché) la vecchiaia priva di aiuti terminasse il suo cammino serenamente. [notazione a matita. Forse di Cesare Mazzocchi alla pagina bianca che precede l’inizio
del testo (NdR)]
2 Una parte degli oggetti Giapponesi e Cinesi raccolti da Pompeo Mazzocchi sono ora nel Museo gestito
dalla Fondazione, ma molti altri oggetti, in particolare quelli turchi, indiani e americani, sono stati a
suo tempo venduti (NdR)
3 Vittoria Almici (1861-1933), sposata nel luglio del 1881, poco dopo il rientro di Pompeo dall’ultimo
viaggio in Giappone (NdR).
4 (1) Questa cartapecora è sparita nel mese di S[ettem]bre 1903, annotazione fatta nel 1904. La sera è stata
trovata. Nota di Pompeo Mazzocchi. La pergamena in questione è presente nell’Archivio Storico della
Fondazione Mazzocchi (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
79
Prima di quest’epoca non so nulla, ma dalla
tradizione pare che la nostra famiglia si trovasse
già a Coccaglio subito dopo il Mille, e forse anche
prima, originaria del Napoletano, dove esistono
altre famiglie di egual nome.∗ Quello che è importantatissimo, come razza, è che in tutto il tempo
di cui si è conservata memoria, nessuno dei nostri
/4/ antenati ebbe a sfigurare, commettendo azioni
riprovevoli e tutti furono sempre nominati per
galantuomini.
Mio padre,5 che col prossimo 11 di ottobre
1887 compirà felicemente gli 85 anni, si ricorda
che suo nonno - dello stesso nome, Andrea - era
dottore in medicina e aveva due sorelle, Grazia
e Ginevra e per fratello un prete, Don Ippolito.
Questo prete è benemerito alla nostra famiglia,
perchè ne aumentò la sostanza e fu un bravissimo
34. Lasciapassare per recarsi da Istanbul a Edirne rilasciato dalle autorità amministratore.
Andrea6 ebbe per moglie una Vicari di Valcaottomane nel 1861 a Violantina Mazzocchi, sorella di Pompeo. Cm. 16x32. monica (altre due sorelle Vicari si maritarono nelle
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzoccase Lana e Damioli7) e i loro figli furono: Gauchi, Coccaglio, Archivio Storico.
denzio, Gabriele, Giovanni, Domenico, Marta,
Cecilia e Marina.
Domenico sposò una certa Viola di Cologne8 ed ebbe per figli Giovanni Antonio, che sposò la Angelina dei Conti di Caleppio e Giulia, che sposò Saracineschi,
nobile di Antegnate9. Giovanni fu mio nonno (padre di mio padre) che sposò una
nobile Armanni di Chiari /5/ - Vico Violante. Mio padre era figlio unico.
La famiglia dei nobili Armanni di Chiari è una delle più cospicue di Chiari.
Il padre di mia nonna Violante si chiamava Carlo. Ebbe due fratelli, Basilio
e Pompeo, ambedue preti, l’ultimo assai istruito. Per sorelle, mia nonna ebbe
Maddalena, che sposò Pellegrini di Brescia e Giulia che sposò l’avvocato Quartari
∗ Una ricerca condotta da Natale Partegiani all’Archivio di Stato di Milano (Fondo Religione) ha individuato una pergamena del 1160 in cui si riferisce di proprietà terriere in Coccaglio di alcuni “Mazoc”
(termine corrispondente alla lettura dialettale del cognome Mazzocchi) assieme ad altri documenti
dei secc. XIV-XVI in cui si attesta la presenza di persone con cognome “Mazochis” o “de Maxochis”
(NdR).
5 Andrea Mazzocchi (1802-1892) (NdR).
6 Si riferisce al bisnonno, non al padre (NdR).
7 Vi sono riferimenti sia al Conte Lana, sia ad un Damioli più oltre nel testo, ma non è noto se vi fosse
un legame di parentela con i Lana e i Damioli qui citati (NdR)
8 Cologne, piccolo centro a 3 km a Est di Coccaglio (NdR).
9 Antegnate, in provincia di Bergamo, a metà strada tra Chiari a Caravaggio (NdR).
80
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
di Brescia10.
Ho già detto che Carlo era il padre di mia nonna. Ebbe per moglie una Belloni
di Brescia. Gaudenzio e Gabriele vissero celibi.
Gabriele fu medico assai rinomato,11 fece parte del Governo Provvisorio nel
178912 e fu anche presidente del Comitato d’Istruzione. Fu uno dei primi
dell’Ateneo di Brescia e guadagnava oltre 10.000 lire all’anno, somma assai ragguardevole per quei tempi, che corrisponde a 30.000 lire nostre /6/ e tutto dava
ai poveri. Vecchio e mezzo infermo, diverse volte nello stesso giorno si recava al
letto dei poveri più bisognosi. In tutto, dal comune aveva 500 lire (delle nostre
lire italiane). Le famiglie ricche che lo cercavano e che facevano debiti per avere
i suoi consulti, erano quelle che gli davano utile. Morì in concetti di santo ed al
cimitero mi ricordo che erano attaccate al suo monumento delle stampelle, come
se facesse miracoli.
In casa nostra noi non abbiamo il suo ritratto(2)13 che pure si trova in tante case
ed allora non si faceva che agli uomini più illustri, perché nel suo testamento gratificò
più l’altro ramo [della famiglia], cioè Giovanni Antonio, figlio di Domenico, e si
dimenticò, cioè [non] lasciò [una] parte a suo fratello Giovanni e a suo nipote, che è
mio padre.
Strano a dirsi, gratificò il nipote Giovanni Antonio perché, secondo lui, ne aveva
bisogno, in quanto prodigo, mentre non ne lasciò a mio /7/ padre, perché riteneva che
potesse bastargli il suo, essendo mio padre abile ed economico. Forse vi sarà entrata un
pò d’ambizione nel lasciare tutto ad un ramo, perché restasse la famiglia ricca. L’ambizione, invece, è la rovina delle famiglie; l’ingiustizia distrugge, non edifica, è un cattivo
esempio, una rovina. L’erede Giovanni Antonio in poco tempo, circa vent’anni a mia
memoria, distrusse la sua sostanza, che ammontava a circa 300.000 lire italiane e forse
più, gozzovigliando fra falsi amici.
Ora continuo in quel che riguarda la famiglia della mia nonna, la madre di mio
padre. Come dissi, mia nonna si chiamava Violante Armanni, di Chiari. Ebbe per
sorella Aurelia, zia di mio padre e mia prozia, che ho conosciuto nella mia gioventù
e specialmente nei tre anni in cui fui a scuola a Chiari (1837, 1838, 1839). Questa
donna, veramente nobile, religiosa, di talento, somigliava assai /8/ a mio padre, nei
gesti, nella faccia, in tutto: difficilmente si possono trovare due tipi così uguali.
10 Quartari, importante famiglia di avvocati e notai, originaria di Breno, in Val Camonica (NdR).
11 Gabriele Mazzocchi (1760-1835), fratello del nonno di Pompeo, Giovanni. Sulla figura di Gabriele
Mazzocchi si vedano le pagine a lui dedicate nel volume, citato, di Caterina Saldi Barisani (NdR).
12 Pompeo intende il Governo Provvisorio di Brescia che si costituì nel 1797 all’arrivo dei francesi, confondendo questa data con quella dell’inizio della Rivoluzione Francese (NdR).
13 “Ora vi è, 1887” Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR).
14 Con questa espressione o con quella più concisa di “seme-bachi” ci si riferiva in Italia alle uova del baco da
seta (Bombyx Mori), deposte dalla farfalla del baco verso giugno e conservate con cura sino al loro schiu-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
81
Anche oltre gli ottanta anni teneva molti bachi. Vendeva la semente dei bachi14 e
guadagnava bene.
Essa aveva delle massime che [ancora] mi ricordo: “essere attivo, e occuparsi dei
propri affari per essere utili a se stessi e agli altri”.
“ Non bisogna badare troppo se dicono male dei propri dipendenti quando, in fine
all’anno, vi è un buon profitto”.
Una volta - mi ricordo - rimproverò il suo domestico Dionigi perché contrattava
troppo, come dire, tirava troppo il prezzo nell’acquisto di un po’di zolfanelli e gli disse:
“Facevate meglio il vostro dovere, che togliere qualche centesimo di guadagno ad un
povero”. La zia conservò la sua sostanza; era usufruttuaria, vedova di un certo Molossi, ma il reddito lo dava ai poveri. Diceva: “Se avessi parenti proprio poveri, farei /9/
economia per loro; invece, faccio così e lascerò al parente che ne ha di meno”.
Suoi parenti più prossimi erano mio padre e Vincenzo Pellegrini di Brescia. Pellegrini aveva solo tre figlie, Aurelia, Giulietta e Pierina ed era ricco per la sua sostanza e
più ancora per quella della moglie. Per questo, la zia Aurelia lasciò a mio padre la sua
sostanza che ammontò a oltre 20.000 lire. Per questo, il nome di Aurelia deve essere
per noi benemerito, sia per le buone qualità di nostra zia ed ancora perché non poteva
fare di più; perciò, avendovi lasciata tutta la sua sostanza, desidero che si riproduca
questo nome di mia zia o prozia.
La sostanza di mia prozia capitò a mio padre in un momento di gran bisogno: fu
come la manna agli ebrei, la pioggia in un fondo arido e la nostra gratitudine deve
essere eterna.
Mi ricordo che l’iscrizione sulla /10/ sua tomba al cimitero di Chiari è stata scritta
dal prof. Zambelli di Brescia (2)15.
Ritorno ai figli dei dottor Andrea nostro antenato. Gaudenzio visse celibe, fu buon
galantuomo e agricoltore. Marta sposò Bortolo Tonelli di Coccaglio e fu madre di
Andrea, che fu 10 anni a Spilberg con Pellico,16 e di Lucia, di Anì e di Camilla, che
sposò Rampinelli di Travagliato17. Cecilia e Marina rimasero nubili, e finirono col
dimento nel mese di aprile o inizi di maggio dell’anno successivo. Ogni farfalla deponeva da duecento a
quattrocento uova. Circa 35000-45000 uova delle razze di baco italiane componevano la misura standard
di 1 oncia pari a 25-30 grammi (il peso variava a seconda degli usi locali). L’oncia veniva considerata
l’unità base di allevamento per una famiglia contadina. Il seme-bachi di allevamenti rinomati si vendeva
con discreto profitto anche prima della epidemia della “pebrina” (CZ).
15 (2) per il vandalismo che regna nei cimiteri la lapide è sparita [nota integralmente aggiunta a matita]
(NdR).
16 Andrea Tonelli (1794-1859), condannato a morte per le cospirazioni del 1820 ebbe la pena convertita
in carcere duro da espiare nella prigione dello Spielberg (Pompeo scrive “Spilberg”), in Boemia, ove era
rinchiuso anche Silvio Pellico, assieme al quale venne amnistiato nel 1830. Dal Diario (fogli 83 e 86 del
dattiloscritto) si ricava come anche Tonelli dedicasse una parte dei suoi capitali al commercio del semebachi estero anche tramite un suo incaricato, Paolo Scarpetta, che fu in alcune occasioni compagno di
viaggio nei Balcani di Pompeo Mazzocchi (CZ).
82
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
35. Due pagine di un quadernetto con i timbri personali dei membri di un’associazione di produttori
di seme-bachi di Akita (Giappone settentrionale). Ogni cartone portava il timbro identificativo del suo
produttore. Pagina: cm. 18x28. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
lasciare la loro sostanza, come [fece] il prozio Gabriele, al nipote Giovanni Antonio
(padre di Ippolito ecc.).
Mio nonno Giovanni nel 1815 uscì dalla casa natia Mazzocchi, ora di Giovanni Tonelli (in via Roma, ora degli Almici18) con sua moglie Violante e suo
figlio (mio padre Andrea) e acquistarono ed abitarono la casa nella quale io sono
nato con i miei fratelli.
La casa venne acquistata all’asta per circa 8.000 svanziche.19 La svanzica valeva
0,80 lire italiane. /11/ Era una casa rustica, piccola, che a poco a poco, con gravissima spesa, venne portata nello stato in cui si trova adesso. Nel 1840 mio padre fece la
fabbrica20 nuova.
17 Località poco a Ovest di Brescia (NdR).
18 Notazione aggiunta a matita al bordo pagina (NdR).
19 La lira austriaca era divisa in 20 (in tedesco: zwanzig) soldi, da cui il termine “svanziche” ad indicare
quelle lire, ed è così che qui lo usa Pompeo. Per molto tempo, dopo la fine della dominazione austriaca,
si continuò ad usare la parola “svanziche” come sostituto colloquiale di “lire” o anche, più genericamente, di “denaro”. Èormai termine obsoleto (NdR).
20 Fabbrica si usava allora nel senso di “edificio”. Qui indica il corpo nuovo aggiunto alla vecchia casa
(NdR).
21 Il termine non è stato identificato, ma è probabile si tratti della denominazione di quel terreno agricolo. Molti campi e appezzamenti, specie se con colture di pregio, avevano, nella tradizione locale, una
propria denominazione: un uso che ancora in parte sopravvive (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
83
Mio padre e mio nonno, di loro sostanza, ebbero le cosiddette “Tangati”21,
vigne di dieci piò22, il fienile che ora è di proprietà Salvi – circa 8 piò della cinta
- e 3 piò di ortaglia vicino alla casa Lazzaroni a Rovato.23 Dopo acquistarono
una vigna a Cologne di piò 25, per 11.000 lire milanesi. Una lira italiana
valeva una lira e mezza milanese. Nel 1821 la vendettero, ricavando 36.000
lire milanesi, colle quali comprarono l’attuale possessione di Torbole24 di piò
105. Dico questo per far vedere che mio padre e mio nonno, in tutto, nel 1815,
potevano avere 30.000 lire italiane, corrispondenti a 45.000 lire milanesi.
Mio padre a 22 anni sposò mia madre Giulia Domenichini [Domenighini]25, di 17 anni, di Travagliato./12/ Il nonno per parte di madre si chiamava
Bortolo, la nonna Maria Guarneri. La nonna, quando sposò il nonno Bortolo
Domenichini [Domenighini], era vedova di un certo Falsina, dal quale aveva
avuto un figlio, nostro zio “storto,” di nome Carlo (1)26. Per questo i Falsina di
Travagliato sono nostri cugini.
Il nonno (per parte di mia madre), [Bortolo Domenighini], proveniva da Bergamo (i Valli di Bergamo sono nostri parenti) e migliorò assai la sua posizione.
Era un bell’uomo, fu sindaco (allora si chiamava Deputato Politico) di Travagliato forse per 40 anni. Ebbe anche un figlio di nome Vincenzo che sposò Ottavia
Cetti di Berlingo27 e sono sue figlie, e nostre cugine, la Giulia moglie di Rodolfi
e la Maria, moglie di Ferrazzi. Il nonno visse 84 anni. /13/ La nonna era la più
buona donna che si possa immaginare e somigliava assai a mia madre. Di questi
nonni abbiamo i ritratti. Mia madre ebbe in dote circa 20.000 svanziche, delle
quali io feci l’acquisto con 42.000 lire italiane28.
Dopo quattro anni di matrimonio a mio padre venne a mancare suo padre. Io
mi ricordo confusamente di mio nonno e dello zio Gabriele. Il nonno era alto di
statura, robustoe portava la parrucca negli ultimi suoi anni, come allora si usava.
Era un galantuomo vero, un buon temperamento, fatto alla buona. Era anche istruito, occupò a Chiari il posto di Cancelliere Distrettuale per otto anni. Era stimato da
tutti. Non fu trovato uno che abbia detto di lui la più piccola cosa contraria.
A Chiari viveva con mio padre, che aveva circa 10 anni e con sua moglie /14/
Violante Armanni (morta l’11-1-182529). Mio padre si ricorda ancora che
22 Unità di superficie agraria pari, a Brescia, a ca. 0,325 Ha, ma con varianti locali (NdR).
23 Il primo paese dopo Coccaglio sulla strada per Brescia (NdR).
24 Torbole, a 5 km da Brescia sulla strada statale per Orzinuovi, oggi Torbole Casaglia (NdR).
25 Giulia Domenighini (1807-1880) (NdR).
26 (1) Vedi a fogli la biografia dello zio Carlo. Nota di Pompeo Mazzocchi (che rimanda al f. 17) (NdR).
27 Borgo rurale poco a ovest di Travagliato (NdR).
28 La frase non è chiara, ma forse vuol significare che Pompeo acquistò l’insieme dei beni dotali della
madre, dando a lei in cambio un vitalizio corrispondente all’interesse su di una somma di 42.000 lire
(NdR).
29 Aggiunta a matita sul bordo del foglio (NdR).
84
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
vivevano, malgrado ristretti, assai bene e che erano assai contenti dell’utile che
avevano ricavato da un fornello, [ossia] bacinella per filare la seta.30 Da una
bacinella, le portarono fino a tre: allora credevano di avere toccato il colmo della
speculazione e della fortuna e fecero degli avanzi che fornirono loro i mezzi per
acquistare, come dissi, i fondi di Cologne.
Parlando del padre di mio padre, del nonno, non ometto un episodio che sentii
varie volte da mio padre, dove si vede il carattere suo fatto alla buona, […]31 e
invece il più di proprietà che amava sua moglie Violante.32
Il nonno fu anche militare alla sua epoca e mi ricordo di aver avuto in mano l’ala
del suo bonetto,33 dove erano scritte in oro le parole - libertà, uguaglianza, fraternità
(1)34. Egli non raccontava grandi fatti d’arme, diceva che avrebbero avuto /15/
facilità a conoscere dove lui era [stato] accampato coi suoi commilitoni seguendo le
tracce delle penne di gallina.
In quel tempo si presentò in casa Armanni per sposare, come sposò, la Violante
(ed ad essa gli piaceva)35 perché, malgrado [fosse] fatto alla buona, aveva sempre i
guanti - “come è pulito, però, sempre coi guanti!” Dopo sposati [gli] domandò perché
non conservasse la pulizia bella dei guanti. Allora [il nonno le] spiegò che sempre
aveva avuto il riguardo di portare i guanti essendo che nel servizio militare aveva
contratto la scabbia, che appariva fra le dita e credette conveniente, anche per non
comunicarla, di tenerla coperta.
Ancora un’altra.
Diverse famiglie qui del paese di Coccaglio, [tra cui] gli Almici, erano raccolti la
sera in bella conversazione attorno al fuoco e tutti raccontavano la bella posizione che
avevano i loro avi quando erano venuti in Paese. /16/. Domandarono [al nonno] se
lui sapeva qualche cosa dei suoi. “I nostri, so che erano brave persone e oneste, ma siccome la tradizione dice che venivano da Napoli, facilmente saranno stati perolotti36,
ramai, perché qui sono quasi tutti napoletani quelli che fanno tale professione”.
Una volta, parlando di parrucche e dei capelli più o meno belli, si tolse la parrucca
che fece girare, allegramente, sul bastone, prima di riporsela. Ma questo causò come
uno scandalo.
30 Nel sistema di trattura della seta “a fuoco diretto”, prima dell’introduzione sistematica dell’uso del
vapore, l’acqua nella bacinella (ove si immergevano i bozzoli per dipanarne il filo) veniva scaldata con
un sottostante fornello, alimentato a legna. Moltissime famiglie rurali - ma anche parecchie in area
urbana - avevano in casa propria o negli annessi contigui una o due “bacinelle”, ovvero “fornelli”, per
trarre (Mazzocchi usa il termine filare) la seta dai bozzoli di propria produzione o acquistati. (CZ).
31 Vi è un’apparente omissione di copiatura nel dattiloscritto (NdR).
32 La frase originale nel dattiloscritto non risulta comprensibile (NdR).
33 Dal francese “bonnet”, berretto (NdR).
34 (1) (Il bonetto, la spada non c(i sono) più). Nota di Pompeo Mazzocchi. La parentesi interna è una
correzione a matita (NdR).
35 (ed ad essa gli piaceva), aggiunta a matita (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
85
Con mio padre, impiantò poi i gelsi a Torbole,
che per quei tempi fu una
vista felicissima, [poichè]
non vi era l’uso di mettere nei fondi tanti gelsi.
Nella cosiddetta Breda37
Lunga erano i più belli,
che davano fino a pesi 18
per pianta.38 Un nipote
degenere, mi spiace a dirlo,
dello stesso nome di mio
fratello Giovanni, li fece
estirpare per tenerne altri
piccoli che si trovavano in
mezzo.
/17/ In questo scritto dico sempre la verità.
Gli elogi sono veri, e non
36. Carta dei dominii inglesi in India appartenuta a Pompeo perché uno è parente; i
Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 37,5x46. Fondazione Pompeo e Cesare
biasimi sono veri, qualunMazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
que sia [la persona cui si
riferiscono]. Così i consigli
sono sinceri, altrimenti mancherebbe lo scopo di questo scritto [e qualsiasi] altro
libro avrebbe più pregio.
Mio padre amò veramente il suo di amore immenso. L’amore di mio padre
si estese pure, cieco, sopra suo figlio Giovanni, mio fratello, solo perché aveva il
nome di Giovanni. Mio padre amò pure sua madre immensamente. Quando si
ricorda dei suoi genitori, ne è sempre commosso, malgrado i lunghi anni passati.
Mio nonno, da giovane, giocava anche al pallone a Rovato, dove occorre forza e
destrezza.39
36 Fabbricanti di pentole di rame (NdR).
37 Dialettale per “podere” (NdR).
38 “peso”: antica misura per prodotti delle zone rurali, comune (anche sotto denominazioni diverse) in
molte parti d’Italia e all’estero e di entità variabile a seconda delle località (e della natura dei prodotti).
Nel Bresciano e nel Bergamasco era pari a ca. 8, 128 kg. (NdR).
39 Probabilmente si riferisce al gioco (detto “toscano”) del pallone (di cuoio) a mano, o più precisamente
a braccio, con un bracciale rinforzato, con tre giocatori per parte e dei guardacampo esterni per i falli.
Era diffuso nel bresciano sicuramente almeno dal ‘500. Varianti del gioco vi erano in varie parti d’Italia
ed in altri paesi del Mediterraneo. Esisteva anche una forma di gioco del pallone “calciato” (NdR).
86
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Ora dirò qualche cosa dello zio Carlo [Falsina] di Travagliato che omisi
[nel precedente] foglio40. Era un bravissimo uomo, attivissimo, galantuomo,
un uomo di stampo antico, ma che poteva essere di modello in tutto. Fu /18/
per 40 anni forse fabbricere,41 e anche lui fu sindaco. Era assai stimato, e
malgrado la sua numerosissima famiglia, faceva del bene a tutti quelli che gli
si raccomandavano.
Mio nonno, padre di mio padre, prima che mio padre sposasse mia madre, gli
cedette il negozio di pizzicagnolo, che dava un reddito vistosissimo e che [lui, il
nonno] aveva avuto sposando Maria Guarneri, vedova Falsina. Nel negozio [ci
stava] lo zio Carlo Falsina. Con la dote di sua moglie Domenica [lo zio Carlo]
potette allevare la sua famiglia, lasciando ai suoi figli, oltre al negozio, un patrimonio di circa 100.000 lire e un nome onoratissimo.
Fra questi figli ereditò le virtù paterne il figlio Antonio, che [pur] erede di poca
sostanza [a causa delle] tante divisioni [successorie], seppe allevare onoratamente
undici figli, ora viventi. Fu uomo esemplare, come marito e [come] padre di
famiglia, e assai istruito per gli studi che fece. /19/ Se avrete bisogno di consigli,
farete molta attenzione a quanto vi dirà questo nostro cugino Antonio.
Come avviene a questo mondo, che vi è bene e male. L’attività sconfinata dello
zio Carlo fu, si può dire, nociva ai suoi figli, i quali - a parte Antonio - per essere
stati lasciati dallo zio troppo giovani, non si svilupparono come forse avrebbero
fatto se, invece di far tutto[lui], lo zio avesse spinto a pensare a fare anche i figli,
malgrado giovini.
Lo zio Carlo era assai amico di sua sorella per parte di madre, che fu mia
madre.42 Fece sempre il possibile per esserci utile ed è una delle persone delle
quali, con me, conserverete sempre buona memoria.
Questo nostro zio Carlo Falsina fu [anche] amministratore della sostanza che
lasciò lo zio Vincenzo [Domenighini]43, alle figlie minorenni: Giulia, che sposò
Rodolfi e Maria, che sposò Ferrazzi. /20/ Questa sostanza l’amministrò assai
bene e l’aumentò di molto. Procurò sempre il bene delle nipoti, Giulia e Maria,
ed ebbe per compenso che la Maria Ferrazzi affittò ad altri la sua casa invece di
affittarla al figlio [di zio Carlo Falsina], Antonio. Insomma, le nipoti fecero poco
o nulla per i figli dello zio Carlo.
Bisogna [però] fare il proprio dovere sempre, qualunque cosa succeda, non mai
per averne attribuzione [riconoscenza], anzi alcune volte si hanno ingrati[tudini]
e fastidi. La soddisfazione di aver fatto il proprio dovere è il maggiore compenso.
40 Il richiamo è al foglio 4 del dattiloscritto (NdR).
4 “fabbricere”, in senso generale, indica l’incaricato di sovrintendere ai lavori di un ente pubblico (in
particolare a quelli edilizi e a tutte le relative questioni economiche) (NdR).
42 Giulia Domenighini, sorellastra di Carlo Falsina (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
87
Meglio essere nel numero di quelli che soffersero ingratitudini, che nel numero
infame degli ingrati.
Mi ricordo che mi raccontava lo zio Carlo, che da giovine era passato da Coccaglio a cavallo d’un asino per un suo viaggio, [diretto] a Bergamo. Così erano
allora i mezzi più rapidi di comunicazione.
/21/ Il solo fratello per parte di padre e madre che ebbe mia madre, Vincenzo,
non si occupò che della caccia. Suo padre faceva tutto lui. [Vincenzo] sposò la zia
Ottavia Cetti. Come dissi, ebbe due figlie: Giulia e Maria. Alla sua morte non
voleva dar nulla alla moglie, ma mia madre lo consigliò a lasciarle 30.000 lire di
Milano (20.000 lire italiane), come fece, e così con questa dote [la zia Ottavia]
poté vivere bene, e si rimaritò sposando il dottor Boschetti. Questa zia Ottavia,
malgrado il beneficio avuto da mia madre, ci fu sempre contraria, ostile – col
marito dissipò la dote – e finì miseramente, anche maltrattata dal marito, dottor
Boschetti, marito degno di lei.
Lo zio Vincenzo accusava il nonno di [essere] troppo economico, ristretto, ma
dopo esser diventato erede, fu assai più ristretto [di lui]. Il nonno viveva bene ed
era assai superiore in tutto a suo figlio.
Avendo in questo scritto messo alcune /22/ volte dopo, ciò che doveva essere
messo prima, riassumo.
Riguardo alla genealogia Mazzocchi:
Il medico dottor Andrea ebbe per figli Gaudenzio, Gabriele, Giovanni, Domenico, Marta, Cecilia e Marina. Domenico generò Giovanni Antonio e Giulia.
Giovanni generò Andrea mio padre.
Giovanni Antonio ereditò quasi tutta la sostanza Mazzocchi per circa 300.000
lire, avendo egli conseguito anche altra eredità per parte di una sorella di sua madre.
Dissipò poi questa sostanza, come dissi, a mio ricordo, con falsi amici che lo adularono e per voler mostrare di essere ricco, con cavalli, legni,44 pranzi. Era galantuomo
onestissimo e si fidava di troppi e fu ingannato a suo danno in diversi contratti.
Faceva in casa pranzi sontuosi e teneva buonissima cucina, ma lui mangiava poco
/23/ e niente. Preferiva i vini, i cibi, della vicina osteria e albergo detto Dionigi, che
allora vi era di fronte alla sua casa. Era anche buonissimo patriota e buono, ma di
una bonarietà che senza saperlo rovinò la fortuna della sua famiglia.
43 Fratello della madre di Pompeo, Giulia Domenighini. Carlo Falsina era fratellastro di Vincenzo (NdR).
44 Legni, ossia carrozze. Una buona ed elegante carrozza poteva costare allora come una macchina di gran
lusso oggi (NdR).
45 Una Giuditta Bertoglio Caleppio sottoscrisse nel 1863 alla Società per l’importazione di seme-bachi dal
Giappone costituita da Enrico Andreossi (su cui vedi testo e n. 18 nella Introduzione), così come aveva
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Quando i creditori l’assalirono per
essere pagati – e la prima fu sua
sorella Giulia, maritata Saracineschi - [solo] allora si accorse che il
passivo [dei suoi debiti] uguagliava
quasi l’attivo [delle sue sostanze].
La sua signora, Angelina dei Conti
Caleppio,45 giovine senza esperienza, non sapeva nulla dei suoi debiti,
ma l’aveva avvisato caldamente che
le spese a lei sembravano soverchie;
lui non l’ascoltava e poi ignorava
lui stesso lo stato della sua sostanza.
Vendette abbastanza bene i suoi 37. Camilla Mazzocchi, figlia di Pompeo, nella casa
fondi e pagò tutti fino al centesimo paterna in parte arredata con oggetti orientali. Inizii
e gli avanzarono nette circa 40.000 del ‘900. Per gentile concessione degli eredi.
lire con la casa.
/24/ É stato per me un esempio di come sono i falsi amici e di quanto giova dare
il proprio agli altri. Appena i suoi affari andarono male, quella casa, [prima] così
frequentata, rimase deserta, come se avessero avuto la peste. Quelli che per 15 anni
circa, bevettero il miglior vino e [gustarono] i più squisiti pranzi, non ebbero il cuore
di regalare un fiasco di vino vecchio buono per uno dei figli [di Giovanni Antonio],
Gaudenzio, che poi morì.46
Il povero Giovanni Antonio vide in che posizione avea messo la famiglia, si
mise colla massima economia e poi morì del male di una rosipola,47 ma anche di
passione. Giovanni Antonio Mazzocchi lasciò i figli Catina (Caterina), Gabriele,
Domenico, Ippolito, Rosina e Marietta, [ora] defunta. Caterina sposò il signor
Andrea Caleppio, fratello di sua madre.48 Rosina sposò Bortolo Almici.49
Gli Almici della famiglia del signor Bortolo - vari fratelli che /25/ erano sempre
in casa del signor Giovanni Antonio e sempre bevevano e molte volte sedevano
alla sua mensa (che prima era di tutti) - dopo che [le cose] andarono male,
disertarono la casa. Essi soli avrebbero potuto, essendo più che economici, avari,
fatto anche Andrea Mazzocchi, padre di Pompeo (CZ).
46 Gaudenzio non viene indicato nella lista dei figli di Giovanni Antonio che viene fatta poche righe più
avanti, forse perché già defunto (NdR).
47 “risipola”, termine popolare per l’eresipela, una grave malattia della pelle, allora difficilmente curabile
(NdR).
48 Il matrimonio è indicato, nei registri parrocchiali di Coccaglio, alla data del 30 maggio 1861. Curiosamente, non vi è menzione della Dispensa relativa ad un matrimonio tra stretti consanguinei (NdR).
49 Bortolo Almici morì nel 1900, a 81 anni (NdR).
50 Si riferisce evidentemente a Vittoria Almici (figlia del fu Mario Almici), che Pompeo aveva sposato nel
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
89
e bravissimi amministratori della propria roba, mettere sulla diritta via il
loro amico Giovanni Antonio.
Fortuna volle che la sostanza grande, ingente, di questi Almici, caduta nelle mani del sudetto Bortolo,
verrà un giorno a conservarsi ed essere
amministrata da una Mazzocchi.50
Così quella famiglia Almici fu una
delle cause della rovina della famiglia
di Giovanni Antonio e una erede
Mazzocchi è causa della conservazione della famiglia Almici, ma ne godrà
anche la sostanza.
I figli di Giovanni Antonio, che
non [si] trovarono [con] una sostan38. Cesare (in piedi) e Tito Mazzocchi nel cortile di za [ereditata] - [cosa] che alle volte
casa a Coccaglio. Inizii del ‘900. Per gentile conces- rende molli, trascurati, e peggio - si
sione degli eredi.
diedero a vita sobria ed attiva e ora
vivono comodamente e tranquilli colla loro madre, che delle /26/ antiche ricchezze non ricorda che i dispiaceri e i disinganni.
Così, a sue spese, molte volte le famiglie si ritemprano. Fortunati voi se vi
approfitterete della esperienza degli altri, senza farne per vostro conto!
Farete bene, carissimi figli, e carissima consorte, a fare attenzione ai consigli
dei fratelli Gabriele e Ippolito, [figli di Giovanni Antonio]. Credo che saranno
guidati da onestà ed esperienza. Non vi inganneranno.
Mi ricordo di una volta che il povero Giovanni Antonio usciva di casa dopo
un lauto pranzo. Accanto aveva uno di quelli che lui chiamava “i miei amici” e
dietro lo seguivano tre o quattro altri. Fra quelli che lo seguivano ed erano stati a
pranzo da lui, vi era un certo Signoroni, il quale, plaudenti gli altri due compagni, se ne infischiava, come si dice, cacciando, con atto indecente, il pollice della
sua mano nell’altra chiusa, con atti che mostravano il loro sprezzo in pagamento
del /27/ pranzo. Voglio ammettere che il Signoroni avrà avuto la testa calda dal
vino, così come gli altri, ma nel vino “veritas”. Si vede la gratitudine che si acquista e [anche] il credito alla fine, dando del proprio a dei mangioni.
Mio padre, che non era mai, o assai poche volte, andato in casa del povero
Giovanni Antonio nel tempo che [questi] sprecava la sua fortuna, fu il solo che vi
andò dopo e la nostra era la sola casa dove veniva a distrarsi, o a passare il tempo,
il signor Giovanni Antonio. Se la fortuna, [ossia la] sostanza della famiglia fosse
stata divisa egualmente, dando a ciascuno quanto gli apparteneva, senza idee di
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
ambizione di far uno più ricco dell’altro, vi sarebbe stata amicizia, unione, fra
mio padre e il signor Giovanni Antonio, e mio padre, che aveva capacità e sapeva
come vanno le cose, avrebbe messo facilmente sulla buona strada suo nipote.
Così la casa [natale dei] Mazzocchi, [passata] per eredità /28/ accumulata nel
figlio di Giovanni Antonio e che doveva essere la casa, che per la lunga facciata e
[per la sua] posizione figurava come la prima [delle case dei Mazzocchi], venne
prima fatta a lembi e poi messa in vendita dai nipoti, costrettivi per loro convenienza. Ora ne sono proprietari, come dissi, Giovanni Tonelli, Inselvini, Conci
e altri.
Ho lasciato mio padre che aveva l’età di circa 15 anni a Chiari, dopo venne
messo in Collegio a Desenzano, dove si distinse assai, come studioso, sobrio e docile. Mio padre non continuò gli studi: essendo figlio unico, suo padre lo richiamò
dopo due anni a casa e con lui attese all’agricoltura e impiantò lo stabile di Torbole, acquistato nel 1821 e i filari di gelsi. Allora, andando a Torbole, passava
da Travagliato, dove conobbe mia madre.
Il nonno, il padre di mia madre, aveva, come dissi, ceduto il negozio di pizzicagnolo a Carlo /29/ Falsina. Mio padre entrava in negozio a far le spese. La prima
volta che entrò in negozio, acquistò dell’olio d’oliva per la tavola, [ma] prima
volle assaggiarlo con un cucchiaio. Questa sottigliezza sorprese mio zio Carlo, che
passò nella attigua casa del nonno, domandando il cucchiaio, e disse: “Capitò
un signore, nuovo avventore del negozio: deve essere assai sottile, pettegolo, vuole
assaggiare l’olio prima di farne acquisto”. Mia madre che sentì, curiosa, lo volle
vedere. Dopo, mio padre venne in relazione con lei. Mia madre allora non credeva che dovesse divenire suo sposo. Mio padre aveva 22 anni, mia madre 17.
Fra le carte di mio padre, pochi anni or sono, trovai due lettere che aveva
scritto a mia madre; ho pure un libro51 di mia madre che scrisse quando era nel
convento di Alzano.52
/30/ Un certo canonico di qui, detto Pontoglio, buon galantuomo e un mezzo
originale, tutt’altro capace di scrivere che poesia, scrisse un sonetto, per amicizia,
per le nozze di mio padre. Mio padre, che è assai istruito, aggradì assai la buona
intenzione dell’autore.
Mi ricordo questo canonico, che portava un cappello dalla grandezza di oltre
cm. 80. Aveva una faccia tonda di bonarietà che faceva piacere a vederlo; questi
caratteri distinti ora scompaiono. A proposito di questo canonico, racconterò
l’origine del canonicato qui a Coccaglio, come sentii da mio padre. Mio padre
da piccolo serviva sempre Messa, e un prete, certo…53 dava un’ostia a chi lo
1881 (NdR).
51 Intende probabilmente un libro di note o di appunti (NdR).
52 Alzano Lombardo, in Val Seriana, a poca distanza da Bergamo (NdR).
53 Il nome manca (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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chiamava canonico. Tutti i ragazzi per avere l’ostia lo chiamavano “signor canonico” e così, a poco a poco, anche gli altri accontentarono il canonico e si stabilì il
canonicato /31/. Ora, chi omettesse questo titolo, che venne poi riconosciuto anche
dalle autorità ecclesiastiche, commetterebbe atto poco cortese.54
Mio padre prese in moglie l’anno 1824 Giulia Domenighini e dopo ebbe
Violantina, Gabriele, Pompeo e Aurelia, tutti e quattro a 18 mesi di differenza.
Dopo 8 anni ebbe Nina e Giovanni, anch’essi a 18 mesi di differenza.
Mia madre, come è avvenuto a vostra madre, non poté avere la compiacenza,
malgrado il desiderio, di allattarci e tutti siamo stati a balia. Adesso che scrivo
ci siamo tutti e sei e le cure di mia madre, per me e per tutti furono indefesse:
attenta, amorevole, instancabile, economica. Mia madre Giulia Domenighini,
fu Bortolo di Travagliato, ereditò la perfetta salute di suo padre Bortolo, che visse
fino a 83 anni e sembrava dal portamento che ne avesse 60. Così sua /32/ madre,
Maria Guarneri, era sanissima. Èstata grande fortuna per noi che tutti godiamo
buona salute, dono impareggiabile. Mio padre fu assai fortunato, sia per i mezzi
che aveva mia madre (non aveva che il fratello Vincenzo), sia per la salute e più
ancora per la bontà e attività, e contribuì grandemente a migliorare la fortuna
della famiglia.
Tutti quelli che vedevano i miei genitori avrebbero dato più lunga vita,
dall’aspetto florido, a mia madre, invece, per fatalità e spinta anche da vari
dispiaceri, morì dopo un mese solo di letto, causa di un colpo - apoplessia - che
al momento non poteva muovere metà del corpo. Morì il 29 maggio 1880 alle
ore12. Essendo venutami in mente mia madre, ne risento profondissimo dolore.
Continuo: ero in ginocchio davanti al tuo /33/ letto con un cero acceso, quando tu spiravi. Vi erano anche i miei fratelli e l’arciprete, che ti confortava. Sono
momenti che lacerano il cuore in modo che pare impossibile si abbia a sopravvivere. Riposa in pace. Il Signore, che è giusto, ti avrà glorificata, dopo tante fatiche
e pensieri per i tuoi figli. Tu hai sempre fatto il tuo dovere. Riposa in Pace. Ricordati di noi, di me, che non è lontano il giorno che verrò a riposarti accanto.
Così è la fine di tutti. Beati quelli che operarono bene come te e lasciano di sé
buona e santa memoria! Dammi la tua benedizione e alla mia famiglia, dall’alto
dei Cieli. Non è il luogo questo così solenne e sacro di aggiungere cosa avvenne
dopo la morte di mia madre; ne scriverò quando sarà il suo luogo, più avanti.
Mio padre prese moglie cosi giovine /34/; era solo con suo padre, sua madre era
mancata nel…55. Andava mio padre a Torbole per vigilare sui suoi fondi; per
strada fu colpito da malinconia e dal presentimento che sua madre stesse male,
fosse a mal partito. Ritornò a casa e difatti la trovò gravemente ammalata e morì
poco dopo. Mio padre dalla passione cadde ammalato: fu forse l’unica malattia
54 Il Canonicato venne in realtà istituito con Bolla pontificia nel 1507 (NdR).
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
che sofferse.
Allora mancavano le scuole in paese. Il maestro, che era
Tomaso Dotti, aveva circa L.200 all’anno, ed era uno solo
per tutte le classi. In tempo di scuole, alle volte il maestro
si occupava a fare le gabbie per gli uccelli.
Mio padre allora, credendo di far meglio, con gravi
sacrifici per i suoi mezzi mi collocò, nel 1835, con mio
fratello Gabriele, in un collegio a Brescia detto /35/
Bertacagni. Avevo 6 anni. Nello stesso collegio vi erano
due della famiglia Nespoli, Carlo e Stefano. Là soffersi la
fame, ed ero pieno di pidocchi, sulla testa e nei vestiti. Mi
ricordo che raccontai a mia madre che ero pieno di calore
e che non potevo dormire. Mi guardò e trovò che ero invece
tormentato dai pidocchi. Quando veniva a trovarmi mia
madre piangevo, dirottamente piangevo. Anch’essa (1).56 39. Camilla Mazzocchi
Nel 1836 capitò il colera, che fece morire circa il (seduta) e la sorella Adele.
5% della popolazione.57 Allora mio padre mi tolse con Inizii del ‘900. Per gentile
concessione degli eredi.
Gabriele dal collegio; subito dopo, il direttore, fallito,
fuggiva all’estero e si chiuse il collegio. Mio padre allora,
con Gabriele, mi mise in locanda dalle signore Caravaggi a Chiari, dove passai
ben 3 anni. Erano chiamate le ragazze Caravaggi, malgrado avessero circa 70
anni. /36/ Queste signore facevano circa 2000 once di seme bachi,58 e mi ricordo benissimo che mi dicevano: “Lavora, impara, aiutami: quando sarai grande,
chissà che tu stesso [non] farai lo stesso mestiere”. Così avvenne.
I maestri valevano assai poco. Si crede che a quel tempo non erano sorvegliati
5 Manca l’anno (NdR).
56 (1) Mi ricordo nel Collegio Bertacagni di aver messo la mia scarpina sul poggiuolo il giorno di S. Lucia, la
mattina la trovai, piangendo[,] piena di neve. Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR).
57 Si tratta del cosidetto Colera asiatico, gravissimo morbo intestinale, endemico dell’India gangetica e
da questa più volte penetrato in varie regioni asiatiche nel corso dei secoli, ma mai, sino ad allora, in
Europa. L’estendersi degli scambi e le drastiche riduzioni imposte alle barriere sanitarie dopo la fine
delle guerre napoleoniche dagli interessi commerciali europei, insofferenti del minuziosi controlli e
dalle lunghe attese (quarantene) per merci e persone imposti tradizionalmente ai confini degli stati e nei
porti, facilitarono enormemente l’espandersi internazionale delle epidemie nell’Ottocento. L’epidemia
di colera iniziata in India nel 1826 potè così raggiungere la Russia europea nel 1830 e passare in seguito
in Germania ed in Inghilterra (1832), arrivando contemporaneamente in Egitto e nei paesi europei del
Mediterraneo. In Italia perdurò sino al 1837-38, causando molte decine di migliaia di vittime. Solo alla
fine del secolo, dopo gli studi di Koch, fu possibile iniziare a lavorare su di un apposito vaccino (CZ).
58 Vedi nota al foglio 6 del dattiloscritto. Il quantitativo di 2000 once di seme-bachi - se la trascrizione è
esatta - è decisamente rilevante e implicherebbe degli allevamenti molto cospicui. Non era comunque
inusuale che delle donne esercitassero in forma imprenditoriale attività di allevamento del baco da seta.
(CZ).
59 “Botte sulle mani”, come si spiega nell’aggiunta a matita del foglio 41 del dattiloscritto(NdR).
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e nessuno ci badava; per piccole colpe, un errore in un conto o in un altro, davano delle sardelle59. Il Maestro accanto al banco aveva una raccolta di lunghe
bacchette: le lunghe servivano per batterci sui nostri banchi, le corte per batterci
il palmo delle mani. Ogni battuta era una sardella. Che gridi, che lacrime! Il
maestro era impassibile; sa[peva] di fare il proprio dovere. Il maestro detto Sbarbaro, si gloriava di non fare differenze, e batteva suo figlio Tito, un bellissimo
giovinetto, più degli altri. Sui pavimenti sporchi facevano fare delle lunghe croci
/37/ colla lingua; mettevano anche in ginocchio per delle ore, alle volte colle mani
sotto il ginocchio.
Fortunati voi, che siete nati in tempi per questo migliori!
Il maestro detto di religione, che doveva avere un po’di religione, insegnava
il catechismo, e a chi non sapeva ben recitare a mente la sua lezione come un
pappagallo gli dava botte da orbi. Mi ricordo che andai prima di scuola in
Chiesa per pregare la Provvidenza che mi desse coraggio e memoria di dir bene
la mia lezione di Catechismo, per schivare le sardelle e peggio. I maestri, oltre ad
essere ignoranti, erano anche rozzi, maleducati, e peggio. Il maestro Cazzani, che
faceva la seconda elementare, per variare sulla grammatica, dove vi erano i verbi
amare temere, sentire, ci faceva ad alta voce recitare i verbi cagare, pisciare, ecc.
con grande soddisfazione sua e della sua /38/ degnissima scolaresca.
Sempre mi ricorderò con piacere di queste signore Caravaggi, ci volevano un
gran bene, erano buonissime e religiose. La sera ci facevano dire il rosario che, mi
ricordo, recitavo in ginocchio mezzo sonnolento. Dopo, vi erano molti Paternostro
al tal Santo e al tal altro; la preghiera è un sollievo dell’anima, ma quando è
lunghissima, finisce di elevare l’anima e la rende infastidita e piena di noia.
Mi ricordo che feci una malattia dolorosa alla vescica – detta calcoli – una
delle peggiori; grazie alla Provvidenza dopo stetti sempre bene. Ottenuta la mia
guarigione, per gratitudine e devozione mi condussero alla Madonna del Sasso e
mi ricordo che pregai molto in ginocchio sopra il sasso, oggetto del mio pellegrinaggio. Era un grosso sasso nero. 60
/39/ Una volta, con mio fratello Gabriele, trovammo chiusa la porta della casa
della locanda. Entrammo nella casa apresso e da quella nel cortile della locanda, discendendo così da una meda di stelle 61 che poggiava contro il muro. Le
60 La parola “sasso”, evidentemente omessa nella ricopiatura, è aggiunta a matita. Quanto al Santuario,
si tratta certamente della Chiesa della Madonna del Sasso di Cortenuova (Bg), situata ad una dozzina
di km da Coccaglio, poco oltre Chiari, nota sin dal ‘300 e dove si venerava una grossa pietra sopra la
quale sarebbe stata seduta la Madonna in un’apparizione ai contadini della zona. Da quanto afferma
Pompeo, appare evidente che il culto popolare avesse esteso la devozione ad una protezione del “Sasso”
alla affezione dei calcoli renali (detta comunemente “mal della pietra” o “mal del sasso”) (NdR).
61 “meda de stele”, dialettale per catasta di legna (come anche in parte aggiunto tra parentesi a matita al
dattiloscritto: mucchio di legna) (NdR).
62 Dialettale per monelli, discoli (NdR).
94
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
40. Carta della Moldavia e della Valacchia (nell’attuale Romania), appartenuta a Pompeo Mazzocchi.
Circa 1860. Cm. 46x38. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
sorelle Caravaggi seppero di questa nostra scalata; quando esse entrarono in casa
e ci cercarono per casa ci trovarono tutti e due nascosti dietro un antiporta. La
signora Teresa gridava: “Dove sareste andati, bardasse,62 se foste caduti?” L’altra
ripeteva: “All’Inferno! All’Inferno!”
Avevo battuto un certo Minelli; il padre di Minelli lo disse al mio. Poi, per
altre baruffe, finì mio padre, dopo tre anni (dal ‘37 al ’39), per cambiarci di
sito. Credette di toccare il cielo colle dita e di fare assai il nostro bene col metterci
in collegio a Desenzano.
/40/ Mio padre era stato nel collegio di Desenzano in tempi buoni, ma col
rettore Deder ora invecchiato e rimbambito, quel collegio, [che era stato] prospero
con bravi maestri e con l’ordine, era in sfacelo quando vi entrai nel 1840 col mio
fratello Gabriele.
Il rettore, vent’anni prima era capace; ora, come dissi, era rimbambito dall’età.
I maestri erano pizzicagnoli del paese e gli altri tutti preti del paese. In questo
infamissimo collegio passai tre anni: feci la prima, la seconda e la terza latina,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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dai 10 ai 12 anni. Gabriele ebbe più buon senso di me e fece tanto il diavolo che
dopo la seconda latina mio padre lo ritirò dal collegio. I maestri non insegnavano
nulla, facevano imparare a memoria le lezioni.
Quando arrivammo agli esami di un rettore straordinario, allora il buon
maestro ad ognuno gli indicava [prima] la domanda che /41/ avrebbe avuto.
Così andava all’esame: una specie di quella storia “Qui es tu Joames Battistas quis
queris ordinis minoris - scherzi è un pa(o)cchettino - rime piacevoli due lombarde”.63 Nei miei esami sono stato fortunato: ho potuto rispondere benissimo, come
un pappagallo, alla domanda concertata.
Dopo 3 anni, di latino non sapevo nulla; di storia, solamente quella di casa
d’Austria. Anche in questo collegio avevo i pidocchi e, più di quelli, le cimici.
Ne ammazzai fino a 80 in una mattina. Si pigliavano nelle stuoie messe espressamente a capo del letto, come le reti per uccellare. Qui per castigo non davano
sardelle (botte sulle mani),64 [ma] facevano fare delle croci, e castigavano col
chiudere in un camerino in ginocchio. Mi ricordo che una volta fui chiuso in
un camerino un giorno e mezzo; mi par di sentire ancora la voce del rettore in
refettorio: “Un giorno e mezzo di camerino a Pompeo Mazzocchi per aver dato
/42/ un manrovescio a suo cugino Saracineschi.65 A suo cugino! A suo cugino!”
Questo Saracineschi mio cugino aveva detto che io avevo fatto la spia e per questo
lo percossi in tal modo e ne aveva il segno.
Le povere sorelle Caravaggi di Chiari, malgrado fossero ristrette, mi mandarono
a regalare un bussolà66 che mangiai con riconoscenza e piacere, con le lacrime
agli occhi.
Allora Desenzano era considerato un sito molto lontano; le strade erano pessime
per il grande passaggio, ed era considerata grave, oltre l’incomodo, la spesa. Mio
padre, l’ultimo anno, venne una volta ed io piansi tanto nel vederlo per la commozione che ne risentii vari giorni dopo la sua partenza.
Ho detto che non davano sardelle, ma alle volte battevano fortemente colle
mani. Ho avuto la fortuna che non ricevetti mai percosse, del resto vivevo tranquillo e subordinato.
/43/ Malgrado la mia età mi accorgevo io stesso dalla pessima direzione del
collegio, della ignoranza grama dei maestri e mi pareva tempo perduto. Contavo
63 La frase originale nel dattiloscritto non risulta comprensibile (NdR).
64 Aggiunta a matita (NdR).
65 Non si tratta in realtà di un primo cugino. Il Saracineschi in questione era figlio di Giulia Mazzocchi
in Saracineschi, figlia di Domenico Mazzocchi e quindi cugina del padre di Pompeo, come indicato al
foglio 4 del Diario (NdR).
66 “Bussolà, bossolà”, sorta di ciambella dolce. Il termine, con poche varianti, è presente in molte aree
dell’Italia settentrionale (es. : “buzzolà” in Friuli) e corrisponde al “bucellato” toscano (NdR).
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
le ore per uscire dal collegio, come da un ergastolo.
É curioso, si mettono i ragazzi in collegio per istruirli e per conservarli buoni.
Riguardo al primo caso, sui collegi vi è molto da dire, perché non possono pagare
sufficientemente i maestri, sono pochi gli scolari, poca voglia di istruire nei maestri, poca gara e voglia nei scolari; riguardo al secondo caso - di conservarli buoni
- macchè, succede quasi di sicuro l’opposto. Almeno 20 ragazzi vivono insieme,
sono sempre insieme e se uno di questi è guasto, corrotto come un frutto marcio,
fa marcire i buoni, li guasta.
Vi era la confessione, per i grandi la comunione ogni 15 giorni, vi erano i cosiddetti Santi Esercizi, si leggevano le vite dei santi e si andava in Chiesa spesse volte
per i salmi. Tutte cose /44/ buonissime, che fanno sviluppare il sentimento religioso,
santissimo e utile all’anima e al corpo, ma non sorvegliavano i ragazzi, non facevano
vedere ai ragazzi che oltre il peccato, se facevano del male, era anche a danno del loro
sviluppo, dei loro studi, del loro avvenire, che sarebbero cresciuti fiacchi, deboli di
mente e di corpo e che non avrebbero potuto avere vita lunga.67 Invece l’istruzione
era interamente appoggiata non ai fatti, dei quali essi stessi potevano rendersi conto,
ma sopra i castighi, lontani, specialmente per i ragazzi, dalla religione.
Nel collegio non si insegnava ai ragazzi l’economia, [anzi] i maestri mettevano
[quasi] in ridicolo uno [che fosse] economico. Era lodato quello che sprecava. Così
avvenne che tutti i miei colleghi, tutti [quelli] che sono stati con me a Desenzano, o diminuirono la loro sostanza o rovinarono la loro famiglia: /45/ Lorenzo
Camelli di Venezia, Mondalla Girolamo di Brescia, Provaglio di Cazzago,68
Soletti di Brescia.
Mio padre era aggravato dalla spesa e [questa] fu per me una fortuna, [perchè]
così potei uscire di collegio, che lo chiamavo galera. Mio padre aveva dato anche,
troppo generosamente, dei danari a un certo Porta, maestro di portamento, perché
ci venissero dati a poco a poco per acquistare frutti od altro. Questo Porta se li
tenne per sé, e solo ci diede qualche cosa 15 giorni prima che capitasse a trovarmi
mio padre. Mentre i miei compagni nei giorni di festa potevano comperare le
frutta, io dovevo starmene in disparte, malinconico, ma siccome sapevo che mio
padre aveva dato i denari al Porta, ho avuto il coraggio - per me fu uno sforzo,
per la soggezione - di dirlo, ma tardi, a mio padre, che vi rimediò dandoli a me.
Per due anni soffersi anche questo, e /46/ così mio fratello Gabriele. Per questo,
usai senza accorgermi, di sopra, un po’il plurale un pò il singolare.
Finalmente, nel 1843 o 1844 uscii di collegio, come risuscitato, e mio padre
mi collocò per il proseguimento dei miei studi a Brescia, in locanda da certa
67 Il velatissimo cenno di Pompeo è quasi sicuramente alla masturbazione adolescenziale che una vasta
letteratura ottocentesca - spesso di tono apocalittico - considerava fonte certa di debilitazione morale e
fisica con conseguenze persino letali (NdR).
68 Cazzago S. Martino, pochi km a NE di Coccaglio (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
97
Caterina Valsecchi e
fratello Luigi, Vicolo del Mangano, dove
passai benissimo sette
anni. Mio padre aveva
anche poca spesa, di 30
lire italiane al mese,
mentre a Desenzano
aveva il doppio.
A Brescia feci quarta,
quinta e sesta latina,
ebbi per maestri Ghibellini e Pini, migliori
41. Biglietto autografo di Cesare Cantù in cui chiede a Pompeo Mazzoc- di quelli di Desenzano,
chi di portare con sé in Giappone un suo nipote, figlio del fratello Ignama mediocri. Ghibelzio, che traffica in sete (“occupato in negozio di seta”). Cm. 10,7x13,5.
lini aveva memoria,
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
conosceva bene materialmente la geografia e
Pini era mezzo letterato, ma invece di animare gli scolari li avviliva e commetteva delle imparzialità. Il maestro Ghibellini era contento delle classificazioni che
avevo avuto /47/ a Desenzano: II° premio e poi ecc. Alla prova mi trovò [però]
assai poco istruito, invece di trovarmi fra i primi, mi trovò fra gli ultimi.
In locanda, mi ricorderò sempre di questa signora Caterina e del signor Luigi,
fratelli buonissimi, onestissimi, che m’insegnarono col loro esempio l’economia e
l’onestà. Sempre avrò buona memoria di loro.
Non ho proseguiti gli studi, perché mio padre diceva: “Ti manderei volentieri
all’università, malgrado la spesa per me troppo grave, se fossi sicuro che tu avessi a
riuscire fra i primi, o come dottore in medicina, o come avvocato ecc., ma i mediocri
guadagnano poco, oltreché, dopo le gravissime spese dell’università, potresti anche
morire e allora [tutto] sarebbe perduto”. Per questo lasciai gli studi detti classici e
studiai ragioneria sotto il maestro Ceresoli.
Cominciai allora a migliorare la /48/ mia calligrafia, e mi detti allo studio dell’aritmetica. Non trovai difficoltà, ma ero come avvilito: mi sembrava di essere andato
indietro molto, mi sembrava una ritirata. Avevo anche compagni che poco stimavo
per l’impegno, o piuttosto per talento. Ho avuto però la fortuna di fare strettissima
69 Antonio Frigerio (1826-1895), bresciano. Amico e collaboratore di Tito Speri, combattente nel 1848 ed attivo
nel comitato segreto insurrezionale di Brescia nel 1851. Fu in seguito animatore del Partito d’Azione e nel 1862
tra i promotori della Società Operaia di Mutuo Soccorso. Nella Terza Guerra d’Indipendenza (1866) partecipò
alle operazioni militari dei garibaldini in Val Camonica, dove fu ferito (ed è per questo spesso confuso con l’Antonio Frigerio, milanese, caduto in battaglia, nel 1866, negli stessi luoghi). Pompeo andrà in Giappone nel 1864
assieme a un Pietro Frigerio: non è stato possibile appurare se vi fosse un legame di parentela tra i due (NdR).
98
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
amicizia con Antonio Frigerio, buonissimo galantuomo e patriota. Fu in prigione
con Speri, e fu uno dei più attivi e coraggiosi, sia nella famosa difesa di Brescia, sia
contro gli Austriaci.69 Ho avuto la fortuna di circondarmi, di fare amicizia
con giovani bravi e di talento; io ho sempre trascurato quelli che vedevo oziosi e
negligenti, o corrotti.
Dopo tre anni, passai facilmente, senza difficoltà, gli esami di ragioneria. Mi
ritenevo sicuro di poter sciogliere qualunque quesito relativamente alla ragioneria
e non ebbi per questo nessun pensiero, dopo gli esami passati benissimo, ma ero
/49/ come mortificato. Dicevo tra me tante cose; tante spese: 3 anni a Chiari, 3
a Desenzano, 7 a Brescia, per essere ragioniere, per aver studiato contabilità, per
guadagnare, se riesco tra i fortunati e migliori, 1.000 lire di più all’anno.
Feci un po’di pratica ai Pii Luoghi70, ma durante i tre anni dei miei studi di
ragioneria ho passato oltre due mesi [all’anno] a Torbole per i bachi. Mio padre
coltivava allora oltre 200 once di [seme-] bachi71 e vendeva moltissima foglia [di
gelso]. Avevamo sino a ottanta pelini72, senza [contare] i mezzanti.
Allo scoppio della rivoluzione del ’48 venni definitivamente a casa per aiutare
mio padre. Mio fratello Gabriele era soldato volontario e mio fratello Giovanni
era a scuola a Brescia.
A Brescia, negli ultimi anni, badavo all’educazione di mio fratello Giovanni
che era in locanda con me: lo facevo studiare, lo lavavo - gli facevo da padre.
Aveva dieci anni meno di me e anche allora mostrava lo stesso temperamento che
ha adesso, indocile e restio. Voleva tutto per sé. /50/ Voleva, o con il laccio o con
il ceppo, prendere l’asino di Santa Lucia, per tenersi lui tutti i dolci che Santa
Lucia dispensava a tutti i ragazzini di Brescia.73
Mio fratello Giovanni [era] con me e - direi - sotto la mia direzione fece le
prime elementari. Siccome lo facevo studiare, passò bene i suoi esami. Dopo che
lasciai Brescia, [Giovanni] rimase solo. Dovetti regalare al suo maestro - alle
Grazie - una bottiglia di vin santo e raccomandarglielo perché potesse mandarlo
avanti senza ripetere la stessa scuola.
[Giovanni] si slogò un piede e [anche] una spalla. Faceva a sassate e faceva
70 Ente che riuniva e che amministrava, sin dalla metà del ‘600 sotto l’autorità vescovile, numerose istituzioni
di assistenza e beneficenza, alcune delle quali avevano estesi patrimoni terrieri. Fu riformato e riorganizzato
più volte a partire dal 1797 con il Governo Provvisorio, in seguito con l’amministrazione austriaca ed infine
dall’Italia, sino alla parziale laicizzazione nel 1908 (NdR).
71 Era una quantità più che notevole che avrebbe permesso di ottenere 6-8.000 kg di bozzoli (valutando alle
rese medie delle buone coltivazioni lombarde di allora), dai quali si poteva ricavare all’incirca 500 - 650 kg
di seta (CZ).
72 Termine colloquiale per indicare le persone specializzate nel raccogliere (“pelare”) la foglia dei gelsi (CZ).
73 Secondo la tradizione, molto diffusa nel Bresciano, ma presente in molte altre zone, Santa Lucia viene nella
notte tra il 12 ed il 13 dicembre a portare regali per i bambini accompagnata da un asinello. Al suono del
campanello dell’asino, i bambini devono essere a letto e troveranno la mattina dopo i doni (ad esempio in
una scarpa lasciata sul davanzale, come accenna Pompeo in un passo precedente). La tradizione corrisponde
a quella di San Nicola/S. Nicolò/ Santa Klaus di altre regioni d’Italia e d’Europa (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
99
baruffe e poiché studiava poco e non andava avanti, mio padre lo ritirò dopo
[finite] le elementari, dalle Grazie a casa.
[Giovanni] andò anche un po’a scuola di ragioneria, ma senza profitto. Fortunatamente era [stato] in una buona locanda, dove aveva buoni esempi e [buoni]
consigli, [altrimenti], per il suo temperamento, sarebbe /51/ finito male e anche
peggio. A sua discolpa [va detto che] ebbe assai poca educazione e non ebbe un indirizzo. [Già] grande, a vent’anni, trovò la famiglia in assetto, in buone condizioni.
Avendo la famiglia in buono stato, non ebbe pensieri di [dover fare vere] economie,
[ne fece] solo l’apparenza - con la quale ingannò la buona fede di mio padre.
Come avviene con quello che ha torto - [che è quello che] grida di più - o con
quello che ha fatto poco o nulla, [o che l’ha fatto] male - [che vuol] fare [credere
di] aver fatto tutto lui, [così] mio fratello Giovanni ha sempre predicato che ha
fatto tutto lui, anche per essere maggiormente considerato da mio padre.74
Mi spiace d’essere obbligato a parlare [in questo modo] di questo mio fratello
che sempre ci diede disturbi - a me, a mia madre e a mio padre, a mio fratello
Gabriele - ma [voi] imparate, da questo e dalle conseguenze, la convenienza di
essere buoni, stimati e giusti, di non volere tutto per voi e di non avere alcuna
considerazione per gli altri. Sarebbe stato [un bene] per mio fratello Giovanni
/52/ e per la mia famiglia se fossimo andati d’accordo e se mio fratello avesse
avuto cuore verso i suoi fratelli e i suoi genitori. In quale [maniera] mi ha compensato delle mie cure per lui a Brescia!
Come vi dissi, fate sempre il bene, per vostra soddisfazione e perché il bene
infine vi sarà sempre utile, moralmente e materialmente, sia a questo mondo che
all’altro, ma non per raccogliere gratitudine e ricompense [da quelli cui l’avete
fatto]. Vi sono molti - più di quel che credevo - cui manca il bernoccolo della
gratitudine e, peggio ancora, del galantuomismo. Questi non fanno mai fortuna,
stancano tutti e vanno di male in peggio. Se per strano caso facessero fortuna, non
la godono e tormentano sé e gli altri.
In quel tempo, sotto i tedeschi75, fui fatto abile come soldato e mio padre
dovette pagare 2100 svanziche per esimermi assieme a mio fratello Gabriele.
Quando arrivò alla coscrizione mio fratello Giovanni, mio padre dovette pagare
74 Il testo del dattiloscritto, assai confuso, è stato ricostruito in questo modo (NdR).
75 Intende gli austriaci (NdR).
76 In base alle disposizioni del 1820, il servizio militare (“coscrizione”) nei dominii austriaci toccava ad
un certo numero di persone il cui nominativo era stato estratto dalle liste di leva. La persona “estratta”
poteva essere esentata dal servizio - la cui durata poteva essere di 10 anni e più - se un’altra persona
si presentava al suo posto. Il sostituto, naturalmente, doveva venir pagato da colui che egli andava a
sostituire. A partire dal 1850 non fu più possibile farsi sostituire, ma era sempre possibile farsi esentare dietro il versamento di una notevole somma allo Stato. Dal testo del Diario si dedurrebbe che la
chiamata dei tre Mazzocchi sia avvenuta secondo il primo sistema, e che quindi il denaro sia andato ai
sostituti. Cfr. però Caterina Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi, op. cit., p. 27, n. 34 (NdR).
100
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
altre 4000 lire italiane.76 /53/
Fin da quando ero a scuola a Brescia, mio padre mi conduceva con sé, sia per
pagare gli interessi dei molti debiti che aveva, sia per procurarsi danari per le sue
spese. Non faccio carico a mio padre di questi debiti: aveva poco del suo, una
numerosa famiglia e nel 1840 fece costruire la nostra casa che costò 30.000 lire
e più, non poteva fare miracoli.
Questo[andare per debiti, però] mi impressionò assai: un giorno a Cazzago,
dalla Congrega, a pagare Pietro Almici sino a 40.000 lire, un altro a Cognano77 per 10.000 lire; scade l’interesse con i signori Lelio78 e Vigo Almici di [un
capitale] di 20.000 lire, scade quello di Angelini di [un capitale] di 20.000 lire,
di Pellegrini di [un capitale] di 12.000 lire, e di Spallenza, di Massa di Rovato
ecc.
Bisogna trovare un capitale di 20.000 lire, [perchè] il tale vuole essere pagato.
Allora [si va] in cerca di denaro con un sensale. L’usuraio è trovato: un certo
Rampinelli, droghiere, diede a mio padre 20.000 lire al 7% con carte che si perdeva a realizzarle79 e con l’avallo di Andrea Tonelli.80 Il signor Andrea Tonelli
fu /54/ assai buono. Mi disse: “ ho fatto questo per amicizia, credevo proprio di
perderle”. Il giorno della scadenza, mio padre pagò puntualmente. Andammo
[poi] dal Sig. Andrea Tonelli a ringraziarlo dell’avallo o prezzeria. [Egli ci] disse:
“Avevo preparato le 20.000 lire. Non abbiatevene a male se le avevo preparate:
non diffidavo di voi, ma, infine, possono avvenire tante cose. Altre volte dovetti
pagare gli avalli da me fatti [a favore di altri]”.
Vedete in che ambiente io abbia passato la mia gioventù: debiti e debiti e
parlare di debiti.
Siate sobri - limitate le spese. Possono venire gli anni cattivi; mettete sempre
qualche cosa da parte: le grandi spese improvvise arrivano.
Non fate debiti. Non mettetevi in condizione di farne.
È una umiliazione, un rinunciare alla propria indipendenza, un rompitesta. Che
pro’deve fare lo spendere se vi scava il privilegio delle passività?81 /55/ Il creditore si
informa di come vanno i vostri affari e delle vostre spese. Siete segnati a dito se spendete,
vi fanno i conti in tasca.
Non lasciatevi mancare quel che vi occorre, vivete secondo le vostre entrate, fate anche
dei piaceri ai poveri bisognosi (malgrado siate sicurissimi di non essere corrisposti) - ma
77 Erronea trascrizione del dattiloscritto: probabilmente si tratta di Corzano, sulla strada tra Orzinuovi e
Brescia (NdR).
78 Dovrebbe trattarsi del Lelio Almici, deceduto nel 1881, che fu Presidente della Congregazione di Carità
di Coccaglio nel 1861 (NdR).
79 Il passo non è chiaro, ma forse Pompeo vuol dire che il denaro non era in contante, bensì in effetti
cambiari (“carte”) che bisognava scontare (perdendoci un’ulteriore percentuale) per trasformarli in
liquido (NdR).
80 Su Andrea Tonelli si veda la precedente nota 16 (NdR).
81 La frase originale nel dattiloscritto non risulta comprensibile (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
101
42. La famiglia Mazzocchi all’uscita festiva per la Messa. Coccaglio, verso il 1890. Per gentile concessione degli
non fate debiti.
Per non fare debiti bisogna conoscere le proprie entrate e uscite; conviene tenere, bene
o male, una nota; bisogna badare alle spese. Chi compra le cose inutili, vende le cose
utili (necessarie).
Ho speso anch’io, prima di avere moglie, in cose inutili, ma guadagnavo [bene] in
quel tempo. Riconosco di aver fatto male - peggio ancora per i regali che ho fatto, dove
non avevo obbligazioni, ma solamente il piacere di dare.
Negli avari il dare è un supplizio - non ci viene in mente. Ma chi ha buon cuore è
facile che sdruccioli - /56/ - guardatevi ! Mio padre, economico e attivo, fece debiti perché
ne aveva quando acquistò Torbole nel 1822 e per la costruzione della casa nel 1840.
Mio fratello Gabriele nel 1848 aveva venti anni e servì il Governo Provvisorio[di
Milano]. Mio padre, per schivargli i pericoli della guerra, lo mandò a Milano nei
cosidetti “istruttori”, ma Gabriele fuggì di là con Antonio Frigerio e si arruolò nel
corpo attivo, detto degli studenti. Ebbe compagni Carlo Nespoli, Teodosio Almici
e Vincenzo Canossi. Davanti al forte di Piettole dovettero ritirarsi ed alcuni
morirono per le cannonate dei forti.82 Seguì la ritirata di tutto l’esercito di Carlo
Alberto. [Gabriele] mancò di vitto, di tutto e venne a casa - sciolto il suo corpo
degli studenti - ammalato, sfinito per la forte febbre.
Anche nel 1866 mio fratello accorse tra i volontari che soggiornarono a Maderno
82 Pietole (e non: Piettole), era una fortificazione costruita dopo il 1797 dai francesi per rafforzare la cinta
difensiva di Mantova. Fu successivamente impiegata dagli austriaci. Nel 1849, nel corso della I Guerra
d’Indipendenza, venne inutilmente assediata dagli italiani (NdR).
83 Oggi Toscolano-Maderno, sul Garda, pochi km sopra Salò (NdR).
84 Barghe, località dell’alta Val Sabbia e Idro, sull’omonimo lago, a poca distanza dall’attuale confine tra
Lombardia e Trentino-Alto Adige (NdR).
85 Pompeo si confonde, in questo caso, con la II Guerra d’Indipendenza (1859) - ove ebbe luogo la battaglia di Solferino, seguita poco dopo dall’armistizio di Villafranca - mentre in realtà sta parlando della
102
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
e a Toscolano83, dove alcuni furono /57/ esposti e perirono per le cannonante di un
barco Austriaco che si avvicinò al paese di Maderno. Poi, a marce forzate, andò con
il suo reggimento in Tirolo, dalla parte di Barghe, a Idro ecc.84 Ma nel Tirolo, mentre arditamente avanzavano, capitò la pace dopo la battaglia di Solferino.85 Con sé
mio fratello condusse altri, come Enrico Taborini di Torbole, ecc.
Mio fratello Giovanni si arruolò anche lui con i volontari, ma prima che il suo
reggimento si mettesse in moto contro gli austriaci, venne a casa ammalato.
Grazie ai debiti, all’azienda, alle sementi bachi, ai bachi, io rimasi a casa e
ne provo dispiacere.
In questo sia lode ai miei fratelli, specialmente a Gabriele. Sarà una gloria per
la famiglia e per i nipoti - una nobilità per la famiglia - di avere avuto un antenato che contribuì alla redenzione della patria. Così anche la nostra famiglia,
grazie allo zio Gabriele, diede il suo contingente attivo per scacciare gli austriaci
che tenevano /58/ schiavo il nostro paese. Sotto gli austriaci nessuno era sicuro,
vi erano le spie e da un momento all’altro si poteva essere in prigione. L’Italia
era divisa e schiava: si parlava del Lombardo-Veneto, degli Stati Papalini, dei
Ducati, del Re di Napoli e non mai d’Italia.
Mio fratello Gabriele, quando era a Torbole, faceva da fattore e da guardia
campestre per i nostri fondi. Oltre ad aver ridotto assai bene i fondi da bravo
agricoltore, pensava anche, da bravo patriota, al suo paese, all’Italia. Amico di
Speri e di Antonio Frigerio86, [raccoglieva denari] con le carte di Mazzini,87
denari che dovevano servire a preparare una rivoluzione e li dava a Speri. Frigerio fu [messo] in prigione a Mantova, [rischiando] il capestro. Speri a Mantova
fu impiccato. Pensate che vostro zio corse lo stesso pericolo! Se non vi fossero stati
questi arditi che tenevano ridesto l’odio contro l’Austria e lo spirito di patria e di
libertà, l’Italia sarebbe ancora divisa e schiava./59/
Lo zio Gabriele è affezionatissimo a me e a Vittoria e non può che volere - carissimi figli - il vostro bene. Per questo, ascolterete i suoi consigli, saranno sempre
veritieri, secondo [quanto] gli detta il cuore. Essendo trascorsi oltre quattordici anni
che non si occupa di affari per dispiaceri di famiglia - come vi dirò più avanti - è
stato un male non aver avuto in lui il migliore consigliere, una sciagura.
III Guerra d’indipendenza (1866), in cui la pace venne proclamata a seguito delle vittorie prussiane
sull’Austria, mentre l’esercito italiano era stato sconfitto a Custoza. Quella pace bloccò l’avanzata vittoriosa delle truppe volontarie di Garibaldi (di cui Gabriele faceva parte) verso Trento (NdR).
86 Tito Speri (1825-1853), bresciano. Uno dei capi dell’insurrezione bresciana delle 10 giornate. Organizzò
in seguito un comitato insurrezionale mazziniano a Brescia, per il quale fu condannato a morte per impiccagione nella fortezza di Belfiore a Mantova. Per Antonio Frigerio si veda la precedente nota 69 (NdR).
87 Intende le sottoscrizioni clandestine del movimento mazziniano (NdR).
88 Con il comune termine di “crittogama” ci si riferiva all’Oidium, causa di una diffusa a grave malattia
che colpì le foglie della vite, danneggiando pesantemente i raccolti negli anni ’50, in drammatica
coincidenza con l’epidemia del baco da seta, la pebrina (vedi nota successiva). Molti furono portati
a ritenere, per analogia, ma del tutto erroneamente, che anche quest’ultima derivasse da una qualche
forma vegetale parassitaria presente sulle foglie del gelso (a da qui fosse trasmessa al baco) (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
103
Egli ha un anno e mezzo più di me, cosicchè camminiamo quasi insieme, di
ugual passo, verso quel sito ove pure dobbiamo andare. Ogni giorno è un passo.
Nel 1854 comparve la crittogamma nelle nostre vigne.88 Nel 1858 distrusse
tutto il raccolto [e così] per i dodici anni [ successivi]. Questo infortunio fu subito
seguito dalla malattia dei bachi89 con il mancato raccolto di gallette.90
Per rovinare la nostra famiglia sarebbe bastata la malattia dell’uva. Dovevamo
comperare il vino per casa invece di venderne 400 ettolitri. Le spese per la vite
erano più gravose, a quelle ordinarie si aggiungevano /60/ i nuovi impianti ed i
rimedi inutili e costosi, prima che si trovasse lo zolfo.91
La malattia dei bachi, detta atrofia,92 cominciò nel 1855 e ancora dura nei
bachi a bozzolo giallo - dal 1855 al 1887.
Nel 1856 andai in Brianza [in cerca di seme-bachi sano]. Nel 1856 mio padre
mi mandò [anche] in Friuli. Portai i bozzoli di Spilbergo,93 che riuscirono assai
bene. Ero in compagnia del Dr. Lelio Almici e poi con Filippo Deretti. [Ma] il raccolto [in generale] mancò, perché tutti avevano adoperato, come sempre, le proprie
sementi. Mio padre [invece] ebbe bellissimi bozzoli e fece il massimo raccolto.
I bozzoli valevano cinque lire al Kg, e in questi anni di mancati raccolti il
prezzo giunse fino a sette lire il Kg. La foglia [di gelso, invece,] non valeva nulla.
Invitavano a sfrondarla [concedendola] gratis [dagli alberi ai bordi] dei formentoni (campi di mais).94 [Altrove, la foglia] si pagava [anche solo] 20 o 25
centesimi di lira al “peso” da 8 kg.95
Andavo, con Gabriele e con ottanta pelini, in tutti i paesi delle basse: si sfron89 Si riferisce alla “pebrina”, la malattia che colpì drammaticamente tutti gli allevamenti europei estendendosi poi al resto del mondo e costringendo i “semai” ad andare a cercare “seme-bachi” sano nei posti
più lontani. Sulla pebrina vedi anche la Introduzione (CZ).
90 Termine corrente in buona parte dell’Italia settentrionale per indicare i bozzoli (CZ).
91 Le irrorazioni con zolfo - sostanzialmente in uso ancora oggi - risultarono piuttosto efficaci contro
l’Oidium (NdR).
92 La pebrina, oggi correttamente indicata come Nosema Bombycis, ricevette allora numerosi appellativi,
tra i quali “atrofia parassitaria” o semplicemente “atrofia” (CZ).
93 Intende: Spilimbergo, oggi in provincia di Pordenone (NdR).
94 Il passo è poco preciso, ma è assai probabile che Pompeo si riferisca al fatto che le foglie sugli alberi
piantati ai bordi dei campi di mais, se non colte, con la loro ombra danneggiavano la crescita delle piantine di mais sottostanti: da qui la necessità di disfarsene concedendone il raccolto gratis, in un periodo
in cui, a causa della pebrina e della conseguente moria dei bachi nelle loro prime età, gli allevatori
consumavano molta meno foglia, lasciandola sulle piante (CZ).
95 Per il “peso” vedi sopra, nota 38 (NdR).0
96 Per i pelini v. sopra, nota 72. Il ciclo vitale del baco da seta implica un continuo e rapido aumento del
consumo giornaliero di foglia di gelso, che raggiunge il suo massimo nell’ultima settimana, poco prima
di formare il bozzolo. La voracità dei bachi in quella fase imponeva raccolte massicce di foglie e i 1600
pesi al giorno (pari a ca 13 tonnellate) indicati da Pompeo sono congrui alle esigenze di nutrimento di
estesi allevamenti come quelli praticati dai Mazzocchi (CZ).
97 Secondo gli usi di allora, Pompeo deve aver raggiunto Genova per imbarcarsi per La Spezia, stante le
pessime (e spesso costose) comunicazioni stradali esistenti lungo il percorso via terra (CZ).
104
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
43. Carta generale dell’Asia appartenuta a Pompeo Mazzocchi. Circa 1860. Cm. 46x38. Fondazione
Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
davano oltre 1600 pesi al giorno.96/61/
Per [acquistare] sementi [di bachi] sono stato alla Spezia - mio primo viaggio di
mare.97 Quel seme riuscì assai bene. [Mi recai anche] a Lugano, in Svizzera.
Mio padre, spaventato da questa malattia, si credeva alla vigilia di perdere il
raccolto dei bozzoli. Il [Vicino] Oriente lo credeva malsano e l’Estremo Oriente India, China, Giappone - gli sembrava troppo lontano, un viaggio troppo costoso.
Pensò quindi di mandarmi nel Canada o negli Stati Uniti, dove un fanfarone
- un certo Ferrari Speriale - gli aveva fatto credere che era stato in quei paesi e
che aveva avuto un discreto raccolto di bozzoli. Diceva inoltre che lo Stabilimento
98 Errata trascrizione per Burdin, una delle maggiori e più conosciute ditte vivaistiche d’Europa (Burdin
Maggiore e C.ia), in attività almeno dagli anni ’10 del ‘800, i cui principali stabilimenti agrario-botanici
erano a Chambery (di cui erano originari i Burdin), Torino e Milano, ove costruivano anche strumenti agricoli e attrezzature per bigattiere e filande. Collaborarono spesso con Matthieu Bonafous (v. Introduzione).
Francois Burdin fu autore di apprezzati articoli specialistici di gelsi-bachicoltura. Ai tempi della pebrina gli
stabilmenti della Burdin, in unione con il grossista semaio torinese C. Baroni, avrebbero effettuato prove
precoci di allevamento del seme-bachi proveniente dalle zone dell’estero ove agivano i semai. Il ciarlatano
di cui parla Mazzocchi si fa in effetti bello di passate attività altrui, poichè nel periodo d’oro dell’espansione
gelsicola - soprattutto negli anni ’30 e ’40 - i Burdin avevano realmente venduto ogni anno semi di gelso e
centinaia di migliaia di piantine di gelso a imprenditori e vivaisti d’Europa, d’Asia e anche degli Stati Uniti
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
105
di Orticoltura Bourodin di Milano aveva mandato negli Stati Uniti centinaia
di migliaia di gelsi. 98
Non avevo [mai] fatto [lunghi] viaggi, solo quelli in Brianza, a La Spezia, in
Friuli, a Lugano e di nuovo a La Spezia, e [li avevo fatti] in compagnia. Ora
dovevo valicare l’Oceano, nel mese di ottobre e con denari che temevo assai di
perdere./62/
Mio padre piangeva dirottamente. Diceva che era l’unico modo per salvarci: se
non facevamo gallette ci riducevamo in miseria. Mi dava due o tre mila lire e mi
avrebbe mandato dopo quello che poteva servire per me e per gli acquisti.
Partii nel mese di aprile del 1856 per aver tempo per imparare un po’la lingua
francese - per capire e per parlare - e ancora [per imparare] qualche parola d’inglese. Malgrado il malumore per lasciare la famiglia e per le responsabilità, sarei
andato in una spedizione al Polo Nord, in qualsiasi sito, tanto ero spaventato
[dalla prospettiva] di far maggiori debiti o di vendere la nostra casa ed i nostri
fondi.
Con i miei pochi risparmi avevo acquistato qualche libro in francese ed avevo
avuto qualche lezione.
Con la buona volontà di allora, sapevo un po’di teoria ed ero capace /63/ di
leggere più di quanto posso adesso capire di francese [parlato].
Nell’aprile del 1856 mio padre mi accompagnò a Milano. Andammo dai
Burdin99 per sapere se negli Stati Uniti o in Canada si educavano i bachi100
ed in quale quantità. Restammo sorpresi nel sentire che lui [vi] aveva mandato
molti semi gelsetti,101 ma che poi [le piante] vennero estirpate e che solo per
curiosità, per diporto, per vedere i bachi come fanno i bozzoli, allevavano i bachi.
Le coltivazioni erano di qualche decina di bachi: oggetto di curiosità. Mi disse di
informarmi dal Console degli Stati Uniti.
Raccolte altre informazioni, ci persuademmo che avrei fatto il viaggio per
nulla.
Mio padre, [persona] energica e che aveva visto bene in questo affare [del semebachi], mi disse: “se non puoi andare in America, ti fermerai un mese a Parigi
per impratichirti nella lingua, poi andrai a Londra per imparare un po’l’inglese.”
/64/
[Mio padre] fu [buon] profeta. Questo francese, questo inglese e questo viaggio
mi furono assai utili. Fu una scuola, una preparazione per i lunghi viaggi che
feci in oriente e mi fu utile perché, sapendo io un po’d’inglese, l’Andreossi102 mi
preferì in seguito ad altri come suo agente.
A Parigi mi recai subito all’Ambasciata per sapere se potevo far seme-bachi
sia in America, [cioè] Stati Uniti, sia in Canadà, ma mi venne perfettamente
(CZ).
99 Sostituito così al posto del “Bondini” del dattiloscritto, sicuramente errato (NdR).
100
Era uso corrente nel XIX secolo chiamare “educazione” l’allevamento dei bachi da seta (CZ).
101
Semi di gelso v. anche la precedente nota 98. (CZ).
102
Su Enrico Andreossi si veda la Introduzione ed in particolare la nota 18 (CZ).
106
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
confermato quanto avevo sentito a Milano.
Allora, per recarmi a Parigi, passai il San Gottardo in vettura e così la Svizzera.
Ho veduto Basilea e Berna e ho [poi] preso la ferrovia a Strasburgo.
Il vedere nuovi paesi era per me un piacere, ma era [un piacere] assai mitigato dall’esser via dalla mia famiglia. Adoravo mio padre e mia madre. Allora
mio fratello Giovanni aveva 17 o 18 anni. Vi era pace in famiglia e l’idea che
i denari che avevo e che spendevo erano denari avuti /65/ in prestito e che mio
padre non ne aveva disponibili, mi rendeva economico all’eccesso ed ero assai
dolente per la spesa.
A Parigi dimorai per un mese e otto giorni in albergo e per ventidue giorni in
una pensione dove spendevo 4 lire al giorno con il vitto. Alla pensione ricevetti
alcune lezioni d’inglese e feci conoscenza con un professore francese che aveva per
moglie una inglese. Dietro [loro ?] raccomandazione mi procurai una locanda a
Londra, restando d’accordo, prima di andarci, per 25 lire alla settimana.
Andai a Londra per la via di Dieppe e Brighton e soffersi assai il mal di mare.
Arrivato a Londra alle 11 di notte presi una vettura che mi condusse in Regent
Street, al n. 52. Là mi aspettavano. Entrai in questa famiglia, che si chiamava
Pheasant, dove stetti assai bene, ma essendoci una giovane che parlava italiano
- essendo stata in Toscana per diversi giorni - dopo quindici giorni mi licenziai
per andare in una famiglia che non parlava altro che inglese. /66/
La famiglia Pheasant mi trovò la casa dove non si parlava da tutti che l’inglese.
Presi [così] dimora a Clermont Terrace, Pentonville, 45, Islington.103 Pagavo
25 lire la settimana. Era una buonissima famiglia della quale conserverò sempre
buona memoria.
Non perdevo tempo, studiavo ed ero obbligato, bene o male, a farmi intendere in inglese. Così, arrivai presto a farmi capire. Alcune volte mi recavo nella
casa di prima in Regent Street e, a poco a poco, entrai in confidenza con i miei
locandieri.
Ero assai intento ai miei studi, non avevo altro in mente che di capire e di
parlare l’inglese - per me era diventata una fissazione, una mania - non pensavo
ad altro, schivavo quelli che parlavano italiano e francese e solo rare volte rompevo il ghiaccio. La mattina mi levavo assai di buon’ora: tradussi in italiano un
lunghissimo libro per principianti e poi /67/ lo [ri]tradussi in inglese.104
In Regent Street la famiglia si chiamava Pheasant. In Claremont Terrace si
chiamava Lunglay.105
Dopo oltre due mesi che mi trovavo nella famiglia Langley a Claremont Ter103
Più correttamente: “Claremont Terrace - 45, Pentonville” nel quartiere londinese di Islington,
poco distante dall’attuale stazione ferroviaria di King’s Cross. A tutt’oggi una “Claremont Square” si
affaccia su Pentonville Road (CZ).
104
Tra i libri di proprietà di Pompeo Mazzocchi presenti nella biblioteca della Fondazione Mazzocchi a Coccaglio vi è un Nuovo Dizionario Inglese-Italiano di John Millhouse pubblicato a Milano nel
1853 che certo venne usato da Pompeo per questi studii (NdR).
105
La trascrizione non sembra corretta, il cognome è probabilmente Langley o Langlay (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
107
race, ritornai nella famiglia di prima, a Regent Street, da Mrs. Pheasant, perché
potevo farmi capire senza la tentazione di parlare italiano e perché Regent Street è
un sito centrale, e ancor più perché temevo mi venisse troppo a piacere la giovane
Miss Dolly Langley, [tanto] da [potermici] innamorare.
Le inglesi sono assai pulite, gentili, brave, ma godono nel loro paese, quando
sono nubili, di molta libertà e noi italiani abbiamo difficile a credere, col nostro
temperamento, a libertà e morigeratezza, perché siamo gelosi. Per questa gelosia
confessavo sinceramente a Miss Dolly che non l’avrei sposata – poi, non era il caso
/68/ di mantenerla coi debiti - e per questo lasciai la casa. Feci assai bene, e fu
uno degli atti dei quali ho più da lodarmi nella mia vita.
In Inghilterra, più che altrove, bisogna guardarsi assai dalle insidie che tendono
le donne; ho avuto la fortuna di trovarmi in due famiglie onestissime e ancora ero
intentissimo ai miei studi, conoscevo la mia posizione e non ebbi tristi avventure di
sorta. Mi ricorderò sempre di Miss Dolly, di Briddy,106 di Fanny, e dei fratelli, Henry
e l’altro piccolo, dei loro buonissimi genitori, delle loro lezioni, della loro pazienza e
gentilezza.
Venti anni dopo sono stato a trovarli, reduce dal Giappone, via America:107 il padre
era moribondo, la Dolly maritata, l’Henry soldato in India. Il tempo come cambia,
modifica ogni cosa! Miss Briddy e Fanny, che erano come allora, non mi avevano
riconosciuto. Come /69/ mi accolsero cordialmente, con quanto piacere seppero chi ero!
Anche queste avevano un cuore buonissimo, gentile.
Circa il 20 aprile 1857 ritornai da Londra a casa. A Parigi, sul corso del Bois de Boulogne ho veduto l’imperatrice Eugenia108 che aveva accanto la balia col figlio, [quello] che
morì poi fra gli Zulu.109 Napoleone III° allora era potentissimo. Come cambia tutto!
106
107
Briddy, diminutivo per Bridget (Brigitta) (NdR).
Svariati dei viaggi al o dal Giappone di Pompeo si svolsero per la via americana anziché per quella
di Suez, come precisato nell’Introduzione (CZ).
108
Eugenia de Montijo, spagnola, moglie di Napoleone III (CZ).
109
Eugenio Luigi Napoleone Bonaparte era nato nel 1856. Andò in esilio a Londra con i genitori
dopo il 1870 e si arruolò nell’armata coloniale britannica di stanza nell’attuale Sudafrica. Venne ucciso
durante una missione nello Zululand nel 1879 (CZ).
110
Bursa, nell’Anatolia, poco a sud del Mar di Marmara, importante centro sericolo sin dal XVI
secolo, ben conosciuto dai commercianti di sete europei. La dizione Brussa era corrente nell’uso europeo di
allora (CZ).
111
Oggi, in turco, Ulu Dag (CZ).
112
Vedi nota 32 dell’Introduzione (CZ).
113
Località non identificabile: probabilmente un errore ortografico di trascrizione (CZ).
114
Nome veneziano di Zákinthos, una delle isole Ionie (CZ).
115
Nome veneziano di Kíthira, isoletta all’estremità meridionale del Peloponneso (CZ).
116
Itháki, nelle isole Ionie. Èl’isola di Ulisse (CZ).
117
Izmit, grosso centro all’estremita’orientale del Mar di Marmara, nell’attuale Turchia (CZ).
118
Si tratta di Giuseppe Testa, di Bergamo, che in seguito sposerà la sorella di Pompeo, Violantina,
vedova di Pietro Almici. È molto probabile che Giuseppe Testa sia parente del Benedetto Testa per la cui
ditta di Milano Pompeo Mazzocchi opererà per alcuni anni dal Giappone (Introduzione, n. 20) (CZ).
119
Non è semplice identificare questo semaio dal nome così comune (e sulla cui esatta trascrizione
108
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
44. I Mazzocchi nel cortile della casa di Coccaglio. Da sinistra: Camilla, Vittoria Almici, Adele, Mario,
Pompeo e Tito. Inizii del ‘900. Per gentile concessione degli eredi.
Nel mese di maggio mio padre mi mandò a Brussa [Bursa] nell’Anatolia,110 ai
piedi del monte Olimpio.111 Mi fermai circa 20 giorni a Costantinopoli [Istanbul]
in casa di Vincenzo Daina.112 In questo viaggio ho veduto Atene, Incirne,113
Zante,114 Cerigo,115 Itaca,116 Ismit.117
A Bursa alloggiai all’Hotel Loschi, sotto l’Olimpo. Vi era il console Terraneo; arrivarono in appresso vari semai: Testa,118 Ferrari,119 ecc. Presi [in affitto] una bella
casa, per fare la semente bachi, che pagai 400 lire. Il Daina Vincenzo diede la
commissione di fare la semente a Testa e combinai di prendere la casa con Testa.
Acquistai i primi bozzoli in Bursa e a Demerdch,120 ma /70/ mi accorsi presto
che la malattia nei bachi era troppo avanti per azzardarsi a far seme.
Quando acquistai i primi bozzoli, mi accordai con un certo Lanfranchi di
Bergamo per aiutarmi. Scrissi per informazioni a Bergamo, sua patria, e le ebbi
non si può per di più essere sicuri). Potrebbe trattarsi del generale bresciano Ferrari, citato come semaio
che sarebbe andato tra i primi in Levante in un articolo su La Sentinella Bresciana del 1871. Un A.
Ferrari, verosimilmente semaio, è segnalato in Giappone nel 1873. Se la trascrizione non fosse corretta,
potrebbe invece trattarsi di Sebastiano Ferreri, piemontese, molto attivo come semaio nei Balcani e nel
Vicino Oriente in quegli stessi anni assieme a suo figlio, Casimiro, che in seguito sarà in Giappone più
volte (CZ).
120
Demirtasch, oggi trascritto Demirtas, piccolo centro agricolo a poca distanza da Bursa, noto per
il seme-bachi (CZ).
121
Giovan Battista Zanchi, di Bergamo, aveva sposato nel gennaio del 1857 Giovanna Giulia Mazzocchi (Nina), sorella di Pompeo (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
109
ottime: era anche parente lontano di Zanchi, mio cognato.121 Ero d’accordo[con
lui] per le[sue] spese a mio carico più 5 lire al giorno.
In quei giorni mio padre aveva mandato, per aiutarmi nella fabbricazione del
seme, mio fratello Gabriele e mia sorella Violantina, allora maritata con Pietro
Almici.122 Quando seppi che erano arrivati a Costantinopoli, partii subito, e li
trovai in casa del Daina. Dissi loro che a Bursa temevo di non poter fare buona
semente, e che sarebbe stato bene di mettere due fabbriche:123 una a Bursa, perché [già] vi ero [io], e l’altra ad Adrianopoli,124 dove avevo sentito che si erano
recati molti semai. /71/ Violantina rimase alcuni giorni dal Daina a Costantinopoli ed alcuni a Bursa per finire la farfallazione di quei pochi bozzoli,125 dove
fece conoscenza con Testa,126 poi ritornò in patria.
Con Gabriele mi portai ad Adrianopoli e siccome era partito il vapore alla
volta di Radostò127 e avrei dovuto aspettare troppo per approfittarmi di altro
vapore, mi decisi, per non perdere tempo, di andarvi in un barcone. Dovevo
tenere a battesimo una figlia del Daina, e per informazioni feci conoscenza con
certo padre Abrante; questo padre mi diede anche informazioni per il viaggio in
barca. Ebbi un credito presso Shinell di Adrianopoli, provvedetti i viveri e due
pistole: nella fretta non feci attenzione che le pistole mancavano di capsule, come
si usava allora. Alle 2 pomeridiane circa, con Gabriele lasciai Costantinopoli. La
notte dormimmo sulla coperta e nel svegliarci il mattino, vedendo la riva e alcune
case, credevo al /72/ momento di essere arrivati. Invece, con sorpresa, eravamo
appena fuori di Santo Stefano, un borgo di Costantinopoli.
Dopo, il vento ci fu propizio e nel Mar di Marmara si veleggiava benissimo,
quando due imbarcazioni, una con sette uomini e una con due si avvicinarono a
noi. I nostri fecero segni alle due barche di non avvicinarsi, ma queste insistettero;
122
123
Violante (Violantina) Mazzocchi aveva sposato Pietro Giacomo Almici nel 1844 (NdR).
Intende: allestire due locali dove, con i bozzoli acquistati freschi, si sarebbero fatte nascere le farfalle
e produrre - sotto proprio diretto controllo - le uova di baco da seta. Così facevano quasi tutti i migliori
semai italiani nei Balcani e nel Vicino Oriente e così avevano appena fatto Mazzochi e Testa a Bursa (v. sopra)
(CZ).
124
Oggi prevale la dizione turca di Edirne, nella Turchia europea. Anche questo era un centro
sericolo rinomato da tempo (CZ).
125
Più propriamente “sfarfallamento”. Il termine indicava l’uscita della farfalla dal bozzolo (che
in genere avveniva una dozzina di giorni dopo il suo completamento da parte del baco). Appena uscite,
le farfalle si accoppiavano e deponevano le uova, per morire subito dopo. I semai acquistavano grossi
quantitativi di bozzoli freschi, da poco prodotti e li facevano “sfarfallare” in appositi locali dove veniva
poi confezionato il seme-bachi da portare in Italia (CZ).
126
Vedi la precedente nota 118 (NdR).
127
Rodosto, oggi Tekirdag, scalo sulla costa settentrionale del Mar di Marmara, nell’attuale Turchia (europea). Il viaggio da Istanbul a Edirne (Adrianopoli), date le pessime condizioni delle vie di
terra, si faceva in parte per mare - sino a Rodosto, appunto - e poi a cavallo o con carri (CZ).
128
Il termine gavass - con diverse varianti di pronuncia, quali ad es. chavass - era usato nell’Ottocento nei territori dell’Impero Ottomano ad indicare genericamente “gendarmi” (spesso assunti
a protezione di viaggiatori stranieri, come nel caso riportato da Mazzocchi) o, più semplicemente,
110
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
sulla [nostra?] barca vi erano una donna e un ebreo che parlavano spagnolo e
dicevano che quella era gente cattiva. La nostra barca non andava in modo da
poter sfuggire, era molto carica e fu raggiunta. Fra i nostri compagni di viaggio
vi erano due gavass, gendarmi,128 che estrassero la loro spada: delle nostre due
pistole, senza capsule, non sapevamo che farne, ma i gavass le tenevano alla
mano, prendendo la mira per intimorire. Con mio fratello eravamo assisi fra
balle di cotone. Da una parte e dall’altra vi erano minacce colle armi e moltissime
parole delle quali non si capiva nulla.
/73/ Mio fratello Gabriele si tolse il suo anello, che nascose sotto una stuoia e
io vi nascosi anche le credenziali129 ed i pochi danari. Tenevamo d’occhio due
grossi [pezzi di] legno per difenderci alla meglio se [gli aggressori] capitavano sulla
nostra barca. In questo tafferuglio [i marinai della] nostra barca afferrarono il
barchetto dove erano i due e uno di questi lo trassero al nostro bordo e lo legarono
benissimo. Parlava italiano. Ci raccontò che quelli dell’altra barca erano ladri che
[gli] avevano rubato la barca, che essi li inseguivano e che si erano avvicinati alla
nostra per aver soccorsi. Nel mar di Marmara non ci sono corsari, ma avviene
[non] di raro che rubano le barche ai pescatori ed in quelle i ladri si avvicinano
ai barconi che vedono assai carichi: se loro va bene, dopo rubato, arrivano a terra,
abbandonano le barche, si disperdono e sfuggono nell’interno.
Col prigioniero arrivammo a Rodosto, dove al console italiano, signor Dusi,130
raccontammo / 74 / l’accaduto. La mattina dopo, a cavallo, con una guida
partimmo per Adrianopoli, dove arrivammo il secondo giorno. In viaggio mi è
caduto due volte il cavallo: una sul secco, l’altra in un fossato nel fango. Fummo
obbligati a fermarci per asciugarci. Mio fratello Gabriele, che era di me più lesto,
volle cambiare il cavallo e mi diede il suo, migliore: trovavo difficile a montare il
cavallo, senza esercizio e agilità, mentre mio fratello vi saliva con un salto senza
porre il piede nella staffa, con meraviglia dei Turchi, gente comoda e non agile.
Allora non vi erano strade, mancavano in alcuni siti i sentieri, mancavano i
punti di [riferimento], sembrava impossibile tenere la strada dritta. Ad Adrianopoli trovammo molti semai, ed erano attoniti che fossimo arrivati soli, così presto,
“militari”. A rigore esso indicava in realtà un graduato (chavash o chubashi equivalente a “sergente”)
nell’ordinamento militare turco (CZ).
129
Intende: le lettere di credito per qualche banchiere o commerciante di Adrianopoli (NdR).
130
L’episodio si svolge nel 1857 e quindi non poteva trattarsi di un console d’Italia, ma, con tutta
probabilità, del console del Regno di Sardegna. Con l’annessione di Genova alla fine del periodo napoleonico, i Savoia avevano ereditato un vasto numero di consolati genovesi, soprattutto nel Mediterraneo
orientale, così come l’Austria ne aveva ereditati tanti annettendo i possedimenti dell’ex-Repubblica di
Venezia. L’osservazione vale anche per il console Terraneo di Bursa, citato poco prima (CZ).
131
Non è chiaro se si tratti del Giuseppe Sapeto della nota al foglio 193 del dattiloscritto (CZ).
132
“tatic” e “tatigò”. Come tali i termini non sono stati identificati, ma, - ammesso che la trascrizione non li abbia interamente storpiati - sembra probabile una loro connessione con “ati” che nelle
parlate turca e greca della zona indicava cavallo e con odigos che in greco moderno indica, generica-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
111
senza essere accompagnati da gavass, gendarmi. /75/ Feci conoscenza con certo
Sapeto,131 buonissimo signore e mio fratello ebbe la semente da questo Sapeto e
vi sorvegliava una sua fabbrica. Acquistò anche[altre] sementi.
Ritornai solo da Adrianopoli a Rodosto e a Costantinopoli. Invece di fare il
viaggio a cavallo, scelsi una tatic, una vettura senza molle. A metà strada, la
vettura si rovesciò da una collina: il tatigò era ubriaco132. Fortuna volle che me
ne accorsi ed ero fuori quando rovesciò. Allora, solo, coi cavalli in terra, il conduttore ubriaco - veniva la sera - non sapevo che fare. Montai sopra una vicina
collina e stavo guardando se vedevo qualcuno. Avevo [già] perduto le speranze,
quando lontano lontano vidi uno a cavallo e col fazzoletto e colle grida procurai
di chiamare la sua attenzione. Per una mezz’ora non vidi più alcuno e credei di
non essere stato veduto. /76/ Mi portai dove erano i cavalli; mentre procuravo
di farli alzare, mi capita d’improvviso un gavass - gendarme - con fuori, in atto
di minaccia, una pistola. Era precisamente quello a cavallo che avevo veduto da
lontano e credeva [che io fossi] caduto [nelle mani] nei ladri. Veduto di che cosa
si trattava, mi fece capire che andava [a cercar] soccorso e sarebbe ritornato. Mi
capitò con un pastore e con due cavalli, sopra i quali montai: si fecero alzare i
cavalli caduti sotto la tatic e si accompagnò il tatigò ubriaco. Mi ricordo che, nel
fare sforzi e battere i cavalli per farli alzare, si era spaventato il cavallo del gavass.
Passai la notte sotto la tenda dei pastori ed ebbi caffelatte. Uno di questi sapeva
due o tre parole d’inglese che aveva imparato nella guerra di Crimea.
Da Costantinopoli mi recai a Madagnà133 e [da lì] a Bursa. A Bursa sospesi la
fabbricazione e /77/ Violantina rimpatriò. Il Lanfranchi, senza mio ordine, durante
la mia assenza aveva comperato mille once di seme! Non voleva credere che a Bursa vi
fosse la malattia troppo avanti. Diceva: “Tutti fanno sementi”. Doveva [far vedere di]
essere proprio il più bravo.
A Bursa, chiusa la fabbricazione, affittai la casa134 e mi recai a Costantinopoli.
Di là [volevo recarmi] a fare una gita in Crimea e se il banchiere Baltaggi non mi
avesse fatto perdere troppo tempo per darmi un credito per la Crimea, sarei partito, ma
mente, conducente. I termini indicherebbero allora, come del resto si evince dal testo di Pompeo, (una
vettura con) cavallo (“tatic”) ed il suo conducente (“tatigò”) (CZ).
133
Mudanya, sulla costa meridionale del Mar di Marmara, poco distante da Bursa (Brussa) di cui
era frequentato scalo (CZ).
134
Forse un subaffitto a qualche altro semaio, avendo Pompeo deciso di non confezionare più
seme a Bursa (CZ).
135
Parla delle uova di baco da seta (semente) che essi trasportavano in Italia “sgranata”, ovvero
sciolta e non attaccata su pannolini di lino o di cotone (“tele”) dove era costume (anche in Italia) farla
deporre dalle farfalle, poiché i contadini locali, per risparmiare, ne facevano deporre moltissima su ogni
singolo pannolino (per di più non sempre immacolato), in più strati sovrapposti, con il rischio (assai
frequente) che nel viaggio, per il calore e l’umidità, una parte delle uova così ammassate cominciassero
a schiudere, con conseguente fermentazione e perdita dell’intero lotto di uova. Per tale motivo, i semai
italiani più accorti staccavano (“sgranavano”) le uova dai pannolini originari e le spedivano sciolte, rac-
112
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
mentre aspettavo questo credito, il vapore che doveva portarmi partì Ritornai poi ad
Adrianopoli da dove, con mio fratello Gabriele, portai la semente a Costantinopoli. Da
Adrianopoli a Costantinopoli abbiamo fatto il viaggio direttamente con due tatic, dei
cariaggi senza molle e il viaggio durò 5 giorni.
Quanta premura per quella semente sgranata, non attaccata sulle tele, perché non
/78/ avesse a fermentarsi e perdersi!135A Costantinopoli facemmo fare delle cassette di
latta con molti scompartimenti:136 spese, incomodi, grandissimi pensieri. Finalmente,
con circa 3.500 once di Adrianopoli e 1.300 di Bursa, partii in agosto con Gabriele
per Trieste assieme ad altri semai.
Non faccio descrizioni che sono inutili per lo scopo che mi sono prefisso, e sarebbero
sempre al di sotto di quelle che potete leggere da viaggiatori letterati. Solo vi faccio
osservare che in questo affare
ho avuto molta fortuna, che
attribuisco alla mia attività e
all’intenso desiderio di riuscire e
di essere utile alla famiglia.
Mio padre mi aveva mandato a Bursa credendolo il miglior
sito per la semente, ma a Bursa
ho il dubbio che non abbia a
riuscire, e partii con mio fratello Gabriele per /79/ Adrianopoli. Ritorno ad Adrianopoli,
ma, temendo di arrivarvi tardi,
col fratello vado in un barcone
da Costantinopoli a Rodosto
sul Mar di Marmara - e allora soffrivo, così come Gabriele,
il mal di mare. Questi miei
viaggi e tanti miei pensieri,
vennero coronati dalla fortuna:
la semente di Bursa non riuscì, andò a male per malattia,
mentre quella di Adrianopoli 45. Pagina a stampa di un opuscoletto che illustra i timbri
andò benissimo, ed i bozzoli identificativi di alcuni lotti di cartoni di una rilevante fornidiedero molta seta, quasi come tura di seme-bachi giapponese (forse un acquisto di Pompeo
Mazzocchi). Anni ‘ 70 del 19° secolo. Cm. 12x18. Fondazione
quelli bellissimi e buonissimi di Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
chiuse in apposite confezioni, protette e separate con strati di carta e dentro a scatole a scomparti foderate
di latta con forellini per l’aereazione (come Mazzocchi indica nel paragrafo immediatamente successivo)
(CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
113
Bione.137 Se avessi portato tutte sementi di Bursa, i pochi clienti che si conoscevano
avrebbero perduto il raccolto e questo commercio che ci fu tanto utile sarebbe morto sul
nascere, nel cominciare.
Quel Lanfranchi Isacco di Bergamo, che avevo preso come agente per guardare finire
la fabbrica a Bursa, quando fu a casa non voleva essere agente, ma socio senza danari,
e voleva la sua parte sugli utili. La questione finì da sé, perché mio padre sostenne troppo i prezzi /80/ della semente: 20 lire italiane l’oncia e poi 20 lire austriache l’oncia.
Gli altri vendevano a 10 lire, cosicché infine in questa speculazione, che doveva essere
buona, vi perdemmo oltre metà del capitale. Mio padre fu anche ingannato138 da
alcuni che stimava suoi amici e che dicevano di sostenere i prezzi e che essi li sostenevano. Invece, vendevano al prezzo corrente ed evitavano così la sua concorrenza.
Mio padre ebbe [sempre] buonissima vista nell’[iniziare le] speculazioni: vedeva
molto prima degli altri cosa conveniva, ma nella vendita non voleva seguire la corrente.
Manteneva i suoi prezzi fissi poiché gli sembrava, dopo aver fatto i prezzi alti, di fare
una scorrettezza abbassandoli. Così, credendo di fare le cose uguali per tutti, finiva col
perderci.
Nella primavera avevamo circa ? di seme invenduto. Tutte le tavole - graticci - erano
piene di bacolini, ma alla fine, /81/ quasi ogni notte, si finiva col gettare i bacolini
nel concime.139 Fortuna ha voluto che la seta venduta andò benissimo, e così pure
quella a prodotto che filammo con molto vantaggio, cosicché il male fu minore della
paura.140
Si temeva proprio di fallire e di [dover] vendere i nostri fondi,[perchÈ] dal
signor Agostino Almici, padre di Ottavio e di Tito, mio padre aveva avuto
50.000 lire italiane.141
Finito il raccolto dei bozzoli, nel 1858 mio padre voleva rinunciare a questo
commercio che lo aveva messo sull’orlo di sfigurare e di fallire. [Così io] partii
136
137
Vedi nota precedente (CZ).
Bione, in Val Sabbia, sopra Salò. Alcuni dei migliori seme-bachi italiani di prima della pebrina
provenivano da località interne di alta collina, com’è il caso di Bione, situato a 600 m.s.l.m. (CZ).
138
Aggiunta a matita, poco chiara (ammattito? ingannato?),
sulla cancellatura a matita della parola ignorante del dattiloscritto (NdR).
139
Avendo mancato di vendere tutto il seme acquistato, i Mazzocchi ne usano una parte per aumentare
i loro allevamenti, ma, evidentemente, non hanno spazio (i graticci, ossia tavole) sufficiente e sono costretti a
gettar via una parte dei nuovi nati (CZ).
140
I Mazzocchi dovevano avere degli allevamenti di bachi in “co-proprietà” con altri, i cui bozzoli e la
cui susseguente seta, che essi stessi “filavano”, ossia traevano nelle loro bacinelle, veniva divisa “a prodotto”,
ovvero sulla base di una predeterminata quota del prodotto finale. Se l’allevamento era andato bene, i bozzoli
risultati erano buoni e la seta prodotta era buona ed abbondante, la quota (“prodotto”) di loro competenza
compensava le spese e lasciava un buon margine di guadagno netto, come sembra sia stato il caso di quell’anno
(CZ).
141
Èimplicito: come finanziamento per la raccolta di seme-bachi in Turchia nel 1857, per cui
restava da restituire il capitale e gli interessi (NdR).
142
Oggi, in croato, Zadar. Zara in realta’Èanch’essa in Dalmazia (NdR).
143
Spalato, in croato Split. La dizione Spalatro riportata da Mazzocchi era una abituale distor-
114
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
dopo il raccolto di bozzoli - circa il 10 di giugno - con sole 400 lire, per la
Dalmazia e per Zara.142 Mi raccomandò di fare sole oncie 200 per la nostra
famiglia. Mi disse che mi avrebbe mandato i pochi denari occorrenti, e ora di
non averne di disponibili.
A Zara non trovai il sito adatto - troppa malattia - e partii per Spalatro,143
Ragusa,144 e /82/ finalmente per Cattaro.145 A Cattaro trovai bachi, crisalidi
sane e bozzoli a buon prezzo. La semente sarebbe costata una lira e mezza l’oncia. Io
vedevo la convenienza di far seme bachi - c’erano bozzoli bellissimi - ma non avevo
danari e avevo ordini di mio padre che non voleva saperne di speculazioni.
Allora si dava il seme a prodotto, a 1/5 con 2 lire anticipate.146 Cosicché con le
2 lire il seme era pagato, e vi era probabilità di avere 1/5 del prodotto di utile. A
1/5 era facile tenere il seme e poi, dopo l’abbondanza immensa di seme del 1857,
era facile [prevedere] la scarsezza del 1858.
Con mio padre, molti [soldi si] erano perduti nel 1857 [quando] vi fu proprio
[un’] abbondanza immensa [di seme-bachi estero sul mercato e i prezzi crollarono].147 Solo [il seme-bachi di] Adrianopoli aveva credito e si sarebbe potuto
vendere a 10 lire [l’oncia]. Quelli che non avevano l’Adrianopoli [da vendere]
finirono tutti con il gettar via [ciò che avevano].
Per queste riflessioni presi in affitto una casa grande a Persagno148. Scrissi a
mio padre come stavano le cose, /83/ anzi, telegrafai. Fortuna volle che trovai a
Cattaro certo Margola, di già soldato, ed uno che conobbi a Bursa, e colle informazioni di questi e di alcuni che colà trovavansi per seme, potei avere denaro in
prestito da certo Millin e Sbuttega di Persagno vicino a Cattaro. Se il seme non
conveniva a mio padre, lo avrei dato a loro.
Mio padre, sorpreso delle buone nuove che gli avevo telegrafato, mostrò il
telegramma al signor Andrea Tonelli, al quale disse: “Non posso speculare perché
sione del nome nelle parlate venete delle coste orientali adriatiche, ma appare alle volte anche nella
cartografia di allora (CZ).
144
Oggi, in croato, Dubrovnik (CZ).
145
In croato Kotor, all’estremità meridionale della Dalmazia, sbocco al mare del Montenegro.
(CZ).
146
Con lo stesso criterio illustrato alla nota 140, il seme-bachi veniva allevato da altri, cui era
ceduto gratuitamente o dietro un anticipo modesto, ed il successivo ricavato della vendita dei bozzoli
ottenuti diviso per quote (“a prodotto”). In questo caso specifico, 1/5 a chi aveva ceduto il seme-bachi
e 4/5 (con tutte le spese a suo carico) per chi aveva allevato i bachi. Se il seme era sano e di qualità (e
l’allevatore bravo), il semaio che aveva ceduto il seme “a prodotto” poteva guadagnare anche parecchio
di più di quanto non avrebbe avuto a vendere il seme subito, com’è indicato nel testo di Pompeo,
dove l’anticipo di 2 lire (per oncia) richiesto dai Mazzocchi agli acquirenti - modesto se paragonato a
prezzi di vendita del seme di 10 o più lire - copriva già le loro spese d’acquisto del seme, cui sarebbe
andato ad aggiungersi l’1/5 del ricavato finale della vendita dei bozzoli. Il vantaggio per l’allevatore in
un tale contratto consisteva nel non dover pagare, o quasi, il seme-bachi, evitando di sborsare preziosi
contanti prima del raccolto e nell’avere una certa qual garanzia che il semaio, agganciato al “prodotto”
finale, aveva tutto l’interesse a dargli seme sano e scelto bene. Nel periodo della pebrina il contratto “a
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
115
ho perduto troppo. Speculate voi”. Il signor Tonelli mandò un suo agente, Paolo
Scarpetta. Scarpetta capitò a Cattaro e Persagno e subito dopo arrivò mio fratello
Giovanni, che mio padre mandò con danari per trattenermi, che non facessi troppa
semente. Limitai così la fabbricazione e in tutto portai a casa circa once 2.400 /84/
che costarono, colle spese poste a casa, 1,5 lire austriache [all’oncia].
L’anno 1858 fu l’opposto dell’antecedente, e mancò intieramente il seme. Si
dava a prodotto alla metà, e si vendeva con facilità, anche presto, a 15 e 18 lire
[all’oncia]. Siccome il seme mancava, un imbroglione di Milano, che si chiamava Ditta Lorenzini, [si faceva prenotare] seme da quelli che gli credevano a 1/5
[a prodotto] e a 2 lire [all’oncia di anticipo], e diceva che aveva tante qualità e
che nella primavera avrebbe dato istruzioni sul modo conveniente di acquistar
seme, di conservare e di allevare bachi. Era una ditta nuova, questo Lorenzini,
e [diceva di avere] qualunque qualità di semi [si volesse]. Alle Basse,149 spinti
dalla necessità perché non trovavano seme dalle ditte conosciute e [comunque
solo] a patti gravosi,150 moltissimi si rivolsero a lui, ma quando capitò la primavera il Lorenzini fuggì a Londra e si poté vedere che non aveva seme bachi
ed era una truffa. Colle 2 lire per oncia [di anticipo] avea incassato una somma
riguardevole.
/85/ Allora la foglia dei gelsi valeva assai poco, 20 centesimi al peso151 e si
prodotto” per il seme-bachi fu molto in voga là dove semaio e allevatore si conoscevano bene (CZ).
147
Le frasi originarie del dattiloscritto in questo capoverso erano prive di significato. Si è cercato
di integrarle in questo modo secondo il senso delle frasi che le precedono e le seguono (NdR).
148
Persagno (Perzagno), oggi Perçani, nella parte più interna della baia di Cattaro. Era scalo di
una certa importanza (CZ).
149
Intende le aree pianeggianti della provincia di Brescia (NdR).
150
Come Pompeo dice poche righe prima, i semai davano nel 1858 il seme a prodotto al 50%
(contro l’1/5 dell’anno precedente). Sul sistema “a prodotto” vedi sopra, nota 146 (CZ).
151
Vedi sopra, nota 38 (NdR).
152
Vuol forse dire che i proprietari dei gelsi concedevano quell’anno anche gratis la sfrondatura
delle piante esistenti lungo i bordi dei campi piantati a mais (“formentone”). L’ombra del gelso ostacolava infatti la crescita di alcuni prodotti - in particolare dell’assai esigente mais - e in un anno come
quello, dove c’era meno richiesta di foglia a causa della scarsezza del seme-bachi messo in vendita, i
coltivatori di mais erano disposti a cederla a poco o nulla (CZ).
153
Durante la pebrina gli allevatori che se lo potevano permettere, mettevano a nascere molta più
semente che nel passato, scontando il fatto che una parte non sarebbe giunta a compiere il bozzolo. Nel
caso dei Mazzocchi (che dispongono di seme-bachi importato da loro stessi) se ne mette in allevamento,
come dice Pompeo, “forse il doppio” (CZ).
154
Vedi sopra, nota 72 (NdR).
155
Dello e Barbariga, centri rurali a SO di Brescia, tra Orzinuovi e Manerbio. “Francesano” è forse
errata trascrizione per Frontignano, nella stessa zona, mentre esiste Rudiano (sull’Oglio, presso Chiari),
ma anche Pudiano, vicino agli altri tre (NdR).
156
Dovrebbe trattarsi del possidente di Coccaglio Gasparo Monauni. Pompeo lo cita facendo
riferimento all’“Ospitale” per vecchi bisognosi che venne attrezzato dopo la morte del Monauni (1861)
con le sue generose disposizioni testamentarie. L’ente di carità voluto dal Monauni è ancora attivo ed è
oggi il Centro Diurno Gaspare Monauni di Coccaglio (NdR).
157
Bargnano è situato vicino ad Orzinuovi, in direzione di Brescia. Dovrebbe trattarsi di pro-
116
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
sfrondava anche per nulla nel formentone.152
Sempre alcune provenienze [di semebachi] fallivano, [perciò] mio padre coltivava grande quantità di bachi, forse il
doppio,153 cosicché con 80 pelini154 e
più sfrondavo la foglia. Visitai quasi tutti
i paesi delle Basse: Dello, Barbariga, Francesano, ecc., Rudiano,155 ecc. Acquistavo
quella di Monauni dell’Ospitale156; un
anno [acquistai] quella di Bargnano, del
Conte Dandolo,157 per pesi 18.000. In
quell’anno ebbimo la grandine in maggio.
A Cossirano158 dormii sul fienile Gatti
coi pelini. I Gatti arrivarono alle 11 di
sera e con la lanterna si pesava la foglia nei
campi. Ero aiutato da Gabriele; Giovanni, 46. Cesare Mazzocchi nel cortile di casa a
Coccaglio. Inizii del ‘900. Per gentile conallora, era giovine.
cessione degli eredi.
Nel 1859 avrei dovuto ritornare a Cattaro, ma vi erano minaccie di guerra fra il Piemonte e l’Austria; poi, temevo che
la malattia poteva essere andata avanti. A /86/ Cattaro e Monte Nero159 il
raccolto è assai tardivo, cosicché credetti bene di recarmi presto a Valenza,160 in
Spagna e a Majorca, nelle isole Baleari. Se Majorca non era conveniente, sarei
ritornato a Cattaro.
Ritorno indietro un passo. Quando mi trovai a Cattaro acquistai bozzoli del
vicino Monte Nero, al quale poi feci una gita a Cetigne161 e al Principe Danilo162 con Scarpetta, un certo Lanzani Luigi163 e Pietro Farina. Il Principe
Danilo ci domandò di che Paese eravamo. Lanzani rispose in francese: “Autrichien pour notre malheur”164. Rispose il principe: “Mon âmi Napoleon viendrà
bientôt vous delivrér”165. Si è verificata questa profezia, che allora sembrava
ridicola, presuntuosa. Quando feci questa gita sembrava arrischiata, dicevano
prietà degli eredi del Conte Vincenzo Dandolo (1758-1819), personaggio politico di spicco nell’Italia
napoleonica - fu Provveditore della Dalmazia per il Regno d’Italia dal 1805 al 1809 - scienziato ed
autore di un trattato di bacologia razionale che fu tra i più famosi del XIX secolo con numerose edizioni
in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti (CZ).
158
Cossirano, tra Chiari e Orzinuovi (NdR).
159
Intende il Montenegro (Crna Gora), oggi parte della ex-Jugoslavia. (CZ).
160
Valencia (NdR).
161
Cetinje, a lungo capitale del Montenegro (CZ).
162
Danilo II della dinastia dei Petroviç-Njegos, resse il Montenegro dal 1851 al 1860 (CZ).
163
Su questo importante semaio lombardo vedi Introduzione (CZ).
164
“Austriaci, per nostra sfortuna” (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
117
che ci avrebbero ammazzati, tagliato il naso e altre storie. Scarpetta prima fece
testamento. /87/ Ho detto questo perché pochi sono stati a Cetigne, capitale del
Montenero e perché mi ricordo con piacere di questa gita. Potrei dire altre cose,
ma le taccio per brevità.
Nel 1859 mi recai a Valenza [Valencia], non dopo il nostro raccolto, perché là
il raccolto succede alla metà di maggio, ma presto, alla fine di marzo o ai primi
di aprile. Mi fermai circa 20 giorni fra Valenza, Carcaiente166 e Cativa,167
poi mi recai a Palma di Majorca. A Palma mi raccomandai al console austriaco,
che era anche banchiere sotto la Ditta Vedova di Humbert e figli. Non trovai il
sito adatto, per la malattia nei bachi vicino a Palma e per l’eccessivo prezzo. Mi
portai [perciò] a Inca,168 in mezzo all’isola. Il suddetto Humbert mi diede il
suo domestico Miguel, buonissimo uomo, per aiutarmi come domestico. Ad Inca
presi in affitto un convento, ma dopo 15 giorni, avendo trovato più conveniente
il paese di /88/ Pollenza,169 a Nord dell’isola, lasciai Inca e mi recai a Pollenza.
Partivo da Inca sopra un carretto, coi pochi attrezzi per far semi, quando fui raggiunto da un buon prete tutto anelante, che mi disse: “Cosa crede usted que jo sea
un judio de tenerme todo el dinero? Usted no ha sido en mi casa que 15 dias”170.
Mi domandò perché partivo, poi mi rese oltre la metà del danaro che gli avevo
dato per l’affitto. Non posso dir male dei spagnuoli, e molto meno dei majorchini.
I preti pure li trovai assai buoni, gentili, e questo ne è la prova. A Pollensa mi
venne dato gratis un convento disabitato per far seme; alloggiai da un fruttaiolo,
perché non c’erano alberghi e così avrei mangiato frutti con mio comodo, che mi
piacevano assai. Che buona gente, che brava gente, onestissimi.
Sono stato anche a Nanalov [Manacor]171 e Arta,172 /89/ dove visitai due
volte la grotta, e poi a Soller,173 dove sono i migliori aranci. Vicino ad Intra
[Inca]174 vi era un olivo di oltre due metri di diametro, la campagna coperta di
ulivi, fichi, uva, ecc.: per il clima, per i prodotti, un paradiso terrestre. Vicino a
Pollensa vi era un monticello che chiamavano il Calvary e io vi salivo a passeggio;
sopra vi era una chiesola, dall’altro lato del paese vi era un altro monte scosceso
detto il Puig,175 sul quale vi era un santuario alla Madonna. Credevasi fosse
comparsa su quel monte. Vi era grande divozione alla Madre di Dio.
Scrissi sul monte Calvary questo sonetto:
165
166
“Il mio amico Napoleone [III] verrà presto a liberarvi” (NdR).
Carcagente, poco a sud di Valencia, in area allora ricca di gelsi e di allevamenti di bachi
(CZ).
167
Játiva, cittadina a sud di Valencia, tra le prime a conoscere l’espansione sericola in quelle zone
sin dal XV secolo (CZ).
168
Inca, nell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR).
169
Pollensa, nella zona settentrionale dell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR).
118
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Dal Colle del Calvario io ti rimiro
O Pollenza gentil che il sole indora
E l’alto Puig su cui fece dimora
La Vergin santa che lasciò l’empiro
/90/ E i bianchi tetti, il fico ed il palmiro
E la mandorla che primiera infiora
E il sacro Tempio ove il Signor indora
E tutto è bello ovunque il guardo giro
Contemplo pure l’infinito mare
E gli alti monti, e timido e sorpreso
La mano adoro del Divino Autore,
E quando in patria allo paterno lare
Racconterò ciò che ho visto, inteso
Dolce ricordo molcerammi il core.
I bozzoli erano sani e belli, però, per la concorrenza della vicina Valencia (vi
erano moltissimi semai di Murcia e Valencia), si pagavano dalle 6 alle 7 pezzetta
[pesetas]. La peseta valeva 1, 25 lire. La libra equivaleva? Kg. circa. Fabbricai
circa 2.000 once di seme, /91/ che riuscì benissimo. Seppi in questo sito, a Pollensa, delle vittorie di Magenta e di Solferino176 ed ero spiacentissimo di trovarmi
lontano. Avendo passaporto austriaco, mi dicevano che avrei avuto difficoltà ad
attraversare Marsiglia. Vi erano, non a Pollensa, ma nell’isola, due o tre italiani,
per seme, e alcuni francesi; il resto [dei semai veniva] da Valencia e Murcia.
Ritornai tardi col seme, in agosto. Trovai i francesi che lasciavano l’Italia dopo
Solferino e mio padre poté vendere a 18 lire e fino a 20 lire questa semente che
era ricercata e riuscì benissimo.177 Questa semente, essendo riuscita, è stato un
170
“Cosa crede, signore, che io sia un ebreo e mi tenga tutti i soldi? Lei non è rimasto a casa mia
che 15 giorni” (NdR).
171
Nanalov dovrebbe essere il prodotto di una serie di sviste ortografiche del dattiloscritto per il
paese di Manacor, nella parte centrale dell’isola di Majorca (Mallorca) (CZ).
172
Artá, nell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR).
173
Soller, presso la costa di NO dell’isola di Majorca (Mallorca) (NdR).
174
Anche questo sembra un evidente errore ortografico del dattiloscritto (NdR).
175
In catalano indica “picco” montano (CZ).
176
Magenta (4 giugno 1859) e Solferino (24 giungo 1859), vittorie dei franco-piemontesi contro gli
austriaci nella Seconda Guerra d’Indipendenza (NdR).
177
Considerando che una libbra italiana (da ca. 320 gr.) di bozzoli dava, in media, un’oncia di seme,
si può valutare approssimativamente l’utile lordo della spedizione (considerando che tutte le 2000 once
riportate fossero vendute) in 26.000 - 30.000 lire, di fronte ad un investimento, per l’acquisto di 2000
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
119
47. Ritratto di Gabriele Mazzocchi, fratello di Pompeo, in divisa da garibaldino. Circa 1866. Copia per
gentile concessione degli eredi.
120
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
gran utile, perché mio padre coltivava il doppio, o quasi il doppio di semente e
acquistava la foglia a prezzi vilissimi.
L’anno 1860, per tema che, alle volte, la semente di Maiorca andasse male,
scrissi a Candia178 al console di Canea179 per avere informazioni di quel sito:
ebbi buonissime /92/ nuove, e così mio fratello Gabriele, con Bortolo Almici, si
recò a Candia, dove assieme fabbricarono circa 5.000 once. Fra Bortolo e Gabriele (vi era con Gabriele un buonissimo e bravissimo giovine, Giuseppe Facchetti)
vi furono differenze, litigi, commedie e quando capitarono a casa colla semente vi
fu un’altra questione per la divisione del seme. Il seme doveva essere diviso a metà,
ma Bortolo e i suoi fratelli ne vollero in più e, per 300 once di seme, dissapori
e dicerie infinite. Infine, malgrado tutte le apparenze di sanità, questo seme nel
1861 andò tutto a male. Credo sia andato a male non per la malattia, ma perché
in Candia si coltivava il gelso nero,180 il gelso differente; poi, erano bachi ai
quali occorreva aria, non fuoco,181 e occorrevano altre cure.
Come dissi, nel 1860 mio fratello andò a Canea, sull’isola di Candia, con Bortolo Almici e Facchetti Giuseppe bigattino,182 ed io mi recai di nuovo a Maiorca
e Pollensa. /93/ Mio padre, ricevute buone notizie della farfallazione, avvisò
Vincenzo Almici di qui (che aveva 17 anni, bravissimo giovine, pieno di talento
e di memoria, che non ancora si era guastato col troppo positivismo nel suo lungo
soggiorno che fece all’età di 22 anni in Inghilterra) e venne a trovarmi a Pollensa.
Arrivò un giorno che si festeggiava S. Luigi, e fu per me un grandissimo piacere.
La mia fabbricazione era finita, e acquistai per lui un po’di semi.
libbre (italiane) di bozzoli, di circa 10.000 lire, oltre, ovviamente le spese di viaggio e personali di Pompeo
e le spese generali dell’organizzazione di vendita (CZ).
178
Iráklion, capitale dell’isola di Creta. Candia era l’antico nome veneziano della città, rimasto a lungo
nell’uso corrente anche come sinonimo dell’isola stessa (e pare sia in quest’ultima accezione che lo usi Mazzocchi)
(CZ).
179
Khánia, sulla costa settentrionale di Creta (CZ).
180
Gelso nero (Morus Nigra). È il gelso indigeno del Mediterraneo, dove esisteva ben prima che vi
si praticasse la sericoltura. Può essere usato per nutrire i bachi da seta e come tale venne impiegato sin da
quando il baco da seta venne introdotto nel Mediterraneo (nel VI sec. d. C., secondo il racconto di Procopio di Cesarea e di Teofane bizantino). Agli inizi del XV secolo arrivò in Italia il gelso bianco (Morus Alba),
di origine cinese, più duttile alle potature ed agli innesti, di molto più facile propagazione e più capace di
addattarsi a suoli e climi diversi. Non è semplice distinguere una pianta dall’altra, un buon indizio essendo
le more, più grandi ed esclusivamente viola scurissimo nel Nigra mentre possono essere sia bianche che viola
nell’Alba. Il gelso bianco, di uso più semplice e di coltivazione più economica, gradualmente soppiantò i
vecchi gelsi neri un po’ovunque ed ai tempi di Mazzocchi se ne potevano ancora trovare di quest’ultimi in
Italia meridionale ed in qualche altra area, come in Grecia. La foglia del gelso nero, più ruvida e con una
composizione nutritiva lievemente diversa, ha in effetti qualche influenza sulla qualità della bava serica del
baco che, per le richieste prevalenti nel mercato del XIX secolo, ne sconsigliavano l’uso sistematico, mentre
era stata molto apprezzata sino agli inizi del secolo precedente (CZ).
181
Mazzocchi si riferisce all’uso, molto discusso nella letteratura tecnica dell’epoca, di tenere artificialmente alta la temperatura nei locali di allevamento, in Italia settentrionale con stufe o caminetti
(“fuoco”), altrove, come a Creta, tenendo sempre chiuse le finestre e le porte delle stanze ove si allevava
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
121
Un certo Rugardi, di Soresina, aveva portato con sé a Palma un bigattino, certo
Donizetti, che presi poi al mio servizio, e non ebbi a pagargli altro che il viaggio
di ritorno e 2 lire al giorno.
A Pollenza quell’anno vi capitò anche un cremonese che fece pochissime sementi. La semente da me fatta a Pollensa nel 1860 mi costò circa 7 lire all’oncia;
una libbra di bozzoli si pagava 7 pezzetta [pesetas], ma /94/ riuscì benissimo, e
fu l’arca di Noè che ci salvò dal naufragio di quella di Candia.
Nell’andata a Pollensa, in quell’anno, toccai Marsiglia, e mi recai a Nimes e
a St Ambroix183 dove avevo conoscenza con alcuni semai che avevo conosciuti a
Palma nel 1859. Nel 1860 ebbi d’avanzo, finita l’operazione in semente, 4.000
lire circa. All’albergo, un signore mi offerse 4 biglietti da mille della Banca di
Francia; mi recai da Humbert, banchiere, per lo scambio ed egli mi disse che
era un’imprudenza fare uno scambio con uno sconosciuto. Mi diede invece una
credenziale sopra Parigi, che cedetti poi a Bergamo, ai fratelli Almici. Seppi poi
che un semaio francese che era all’albergo scambiò danaro con questi biglietti, ma
arrivato a Marsiglia, ebbe la sorpresa, nel realizzarli, di sentire che erano falsi.
Guardatevi sempre dai forestieri, dalle persone che non conoscete, malgrado le
apparenze più lusinghiere.
/95/ Nel 1861 si credeva che la semente di Candia avesse a riuscire benissimo e
costava 3 lire l’oncia, mentre la maiorchina costava 7 lire. Mi recai col bigattino
Franchetti184 a Canea alla fine di marzo, per stipulare contratti anticipati. Fortunatamente feci questi contratti condizionati, e quando mi capitò in telegramma
che la semente di Candia era andata male, potei incassare i danari anticipati185
e partii per Costantinopoli - Custange186 - Varna 187- Butschuk188 e mi recai
in Bulgaria a Tirnova189 e Gabrova.190 Come me, fuggenti da Canea, isola di
il baco. Quest’ultima pratica - condannatissima dalla bacologia scientifica, ma di fatto assai diffusa
sopratutto tra i contadini poveri - rendeva minima l’aereazione dei locali (“aria”) ed era causa frequente
sia di malattie dei bachi, sia di carenze ambientali che davano bachi deboli e bozzoli imperfetti (CZ).
182
Allevatore di bachi da seta (bigatti) (CZ).
183
Cosi’corretta l’errata trascrizione nel dattiloscritto (Nambroix). St. Ambroix era un noto centro
sericolo, tra le Cevennes e l’Ardéche, una sessantina di km a NO di Nimes (CZ).
184
Dovrebbe trattarsi della stessa persona indicata poco sopra come “Facchetti”. Non è stato
possibile identificarlo (NdR).
185
Pompeo si riferisce alla pratica di pagare un anticipo ai fornitori di bozzoli per semente, con
la condizione che una piccola parte del seme appena prodotto e subito spedito in Italia, venisse colà
sottoposto a prove precoci di allevamento (ovvero schiuso con molto anticipo per mezzo del calore
artificiale) oppure controllato con test con il microscopio. Nel caso che queste prove fallissero - come
fu il caso in quell’occasione - il denaro anticipato veniva restituito (CZ).
186
La trascrizione è dubbia: forse si tratta di Costanza, porto rumeno sul Mar Nero, salvo che
Pompeo non si confonda con un viaggio precedente e allora potrebbe essere Kistanje, nella Dalmazia
centrale, tra Sebenico e Knin, in zona dove si produceva un po’di seme-bachi (CZ).
187
Varna, il maggiore porto della Bulgaria, sul Mar Nero (CZ).
18 Forse Böyük, località di montagna nell’attuale Bulgaria meridionale, sotto Burgas, ai confini con la
Turchia europea (CZ).
122
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Candia, vi erano Bortolo Almici ed altri italiani che colà si erano recati colla lusinga
di fare buona semente.
Mio padre, da Testa, ora marito di mia sorella Violantina, aveva avuto della semente
di Kilifar,191 Selvi192 e Gabrova, in Bulgaria, e mi aveva telegrafato di recarmi in
Bulgaria, che sembrava la più sana e di non fare più di 2.200 once - non di più - ma
se mi fossero occorsi danari per /96/ fare tale quantità me li avrebbe mandati a Kilifar.
A Gabrova non trovai il sito adatto [a far seme], e mi portai a Selvi. Quella semente
dava bozzoli grossi e ordinarissimi, ma fu Selvi la località in Bulgaria che resistette più
alla malattia. La semente non costava da loro che 1/2 lira l’oncia, e per questo spinsi la
fabbricazione in modo d’impiegare [tutti] i danari che avevo e feci circa once 5.000 e
più. Siccome mio padre era persuaso d’impiegare quella tal somma (il rischio consisteva
nella somma, non nella quantità di semente), mi approfittai del sito buono e della
convenienza, e, come dissi, feci oltre 5.000 once. Questa semente riuscì benissimo e in
media mio padre ricavò 5,5 lire l’oncia; la diede a vendita e a prodotto193. Avevo tre
case per la fabbricazione e tutto andò regolarmente.
Nel 1862 ripetei l’istesso viaggio; avevo messo una fabbrica a Tirnova, che levai
subito per la malattia e mi attenni /97/ a Selvi. In quest’anno, oltre al signor Sacchetti
[Facchetti], avevo con me Domenico Mazzocchi di Francesco, buonissimo e bravissimo
giovine, ora morto.194 Mi ricordo che feci farfallare 450 pesi di bozzoli, oltre 3.200
Kg. Anche questa semente andò benissimo, costò pochissimo, 1,5 lire, e si ricavò in
media non meno di 5 lire. Mio padre ne vendette circa once 2.000 a Cavons195
a 5 lire, e a 6 lire ne diede oltre mille once a Ostiano e Gabbioneta,196 a prodotto, e tutta fu venduta, o data a prodotto, con esito felicissimo. Ho messo il ricavo
5 lire, ma bene deve essere stato in media di più. Oltre [che nella] nostra filanda,
189
Tirnova, oggi Zlati-Dol, lungo la Marica, nella Bulgaria meridionale (allora conosciuta come
Rumelia) (CZ).
190
Oggi Gabrovo, nelle montagne della Bulgaria centrale (CZ).
191
Kilifarevo, nelle montagne della Bulgaria centrale, piùa ovest di Gabrovo (CZ).
19 Sevlijevo (Selvi). Oggi Sevlievo. Nelle montagne della Bulgaria centrale, a ovest di Gabrovo. Selvi è citata in una circolare a stampa di Andrea Mazzocchi ai suoi clienti - v. nota 38 dell’Introduzione (CZ).
193 Anche in questo caso la resa della “speculazione” fu eccellente: contro un investimento di circa 2.500
lire per il seme, si ebbe un utile lordo di almeno 27.500 lire, senza contare la quota “a prodotto”.
Vanno naturalmente detratte tutte le altre spese generali, di viaggio, trasporti, assicurazione, permanenza, salario a bigattini e servitori e le spese di pubblicità, posta e distribuzione ai committenti, oltre
all’interesse sul capitale immobilizzato. Si potrebbe pertanto ipotizzare un utile netto nell’ordine di
almeno 25.000 lire (CZ).
194 Deve certamente trattarsi di Domenico Mazzocchi (1828-1883), di Coccaglio, figlio di Francesco
Mazzocchi e di Margherita Andreoli (NdR).
195 Località o nome di persona non identificabile (NdR).
196 Ostiano e Gabbioneta, due paesi sulle rive opposte dell’Oglio ad una ventina di Km a NE di Cremona (NdR).
197 Una delle due regioni storiche, assieme alla Moldavia, che, indipendenti e unite di fatto a partire dal
1859, costituirono nel 1861 la Romania. Tra le carte geografiche di Pompeo Mazzocchi ve n’è una,
molto grande e molto dettagliata, della Valacchia e della Moldavia pubblicata nel 1861 dal servizio
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
123
Scarpetta filava a lungo per conto nostro in casa Tonelli.
Pure nel 1862 lasciai i bigattini, Domenico Mazzocchi e Facchetti, a Selvi
e dopo avviata la fabbricazione, [essendo] tutto in regola, mi portai in Valacchia,197 a Bucarest, dove avevo sentito esserci bellissimi bozzoli /98/ e che erano
riusciti assai bene. Nel 1862 conobbi a Bucarest il signor Enrico Andreossi198
col quale acquistai una fabbrica avviata a metà.199 Gli diedi un bigattino,
Donizetti, per aiutarlo, ed io ritornai in Bulgaria, a Selvi, dove trasportai il seme
e feci il viaggio di ritorno coi miei bigattini, Domenico Mazzocchi e il signor
Franchetti [Facchetti]. Tutta la semente fatta a Selvi, oltre 24.000 [once] e circa
21.500 [once], fatta a Bucarest, riuscì benissimo200. Ebbi anche grandissima
fortuna a Bucarest di fare conoscenza col signor Enrico Andreossi.
Nel 1863 ritornai a Bucarest con Begni Giovanni Maria di qui. Giovannino
mio fratello si recò a Selvi con Domenico Mazzocchi e Giuseppe Facchetti. A
Selvi si era tentata una coltivazione di bozzoli di Bucarest. A Bucarest [però]
mi sembrava avesse progredito la malattia, [perciò] mi recai a Pitesti,201 /99/
al nord, dove vi era l’ingegnere Bellini, e feci circa once 2.000. Quella semente
riuscì benissimo, quella di Bucarest andò male per once 7.000 e così quella di
Selvi fatta da mio fratello, sia coi bozzoli indigeni sia coi bozzoli [per] semente
introdottivi da Bucarest202. Anche questa volta la fortuna mi arrise.
Nel 1864, valendomi della relazione fatta a Bucarest coll’Andreossi e vedendo che
non si poteva avere la buona semente né in Europa, né nei paesi di Turchia ecc., mi
cartografico austriaco e che Mazzocchi deve aver usato nei suoi viaggi in Romania del 1862 e del 1863
(CZ).
198 Su Enrico Andreossi, una delle più importanti figure di semaio e di imprenditore serico dell’epoca,
vedi testo e nota 18 della Introduzione (CZ).
199 Intende un’allevamento appena avviato di bachi da seta in un edificio (“fabbrica”) costruito o addattato all’uopo (CZ).
200
Salvo che non si tratti di un errore di trascrizione nel dattiloscritto, si deve notare come il
volume d’affari dei Mazzocchi si sia allora pressoché decuplicato rispetto agli anni precedenti (CZ).
201
Pitesci (Piteschi), nell’allora Valacchia. Oggi Pitesti, a N-O di Bucarest, in Romania (CZ).
202
Mazzocchi si riferisce ad una pratica molto frequente tra i semai di quel periodo, quella di
provare sistematicamente a far schiudere bozzoli e/o seme-bachi proveniente da una certa zona ove si
stava manifestando la malattia in una zona diversa (ad esempio per clima ed altimetria) e sana, nella
speranza di evitare o ritardare la diffusione della pebrina, oppure quella di portare seme delle antiche
e pregiatissime razze italiane, ormai del tutto inutilizzabili, in zone ancora immuni, nell’illusione di
poterle riprodurre colà su vasta scala. In realtà furono proprio queste pratiche di trasferimento di
semente, della cui sanità non si poteva davvero esser sicuri (se non con una difficile, costosa e minuziosa
analisi microscopica), ad accelerare la diffusione della epidemia e ad estenderla a macchia d’olio in tanti
paesi, poiché seme-bachi che all’ispezione esterna poteva sembrare ancora sano, ma che conteneva già il
microrganismo patogeno, veniva introdotto nei locali di allevamento di zone non ancora infette o poco
colpite, facendo scattare l’infezione generale. Uno dei motivi che concorrono a spiegare il basso grado
di infezione da pebrina degli allevamenti giapponesi, è dato dalla diffidenza e dall’opposizione degli
allevatori giapponesi (e delle autorità) a che i semai europei potessero scorazzare liberamente nel paese,
“farsi il seme” da sé e fare esperimenti come quello qui indicato, come erano stati abituati a fare, senza
alcun controllo, nei Balcani o nel Vicino oriente. Sullo specifico fallimento della semente di Bucarest
124
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
48. I Mazzocchi nel cortile di casa. Da sinistra: Mario, Adele, Camilla, Pompeo, la governante, Tito e
Cesare. Verso il 1910. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
decisi, come agente, di servire l’Andreossi nel suo primo viaggio in Giappone.
Allora non vi erano strade in Bulgaria: si viaggiava a cavallo, nei tuguri detti
can203 - specie d’osterie - infestate da cimici, pulci e pidocchi, cosicché, se il tempo
lo permetteva, si preferiva dormire fuori dai paesi, mentre i cavalli pascolavano. In
Valacchia non vi erano strade colla ghiaia, ma essendo un paese piano si poteva usare
la vettura detta birgia204 dove /100/ si attaccavano al pari 3 cavalli, con molto
incomodo, scosse e molta spesa. In Valacchia visitai Ploeschi,205 e a Bargis206 le
saline, le cave di sale. Vicino a Bargis c’è sale mezzo nero. In questi viaggi passai
alcuni giorni a Budapest e nove giorni a Vienna, dove allora si cominciava il teatro
nuovo.
Riassumo le località e i siti dove ho confezionati seme bachi per conto di mio
padre prima di recarmi nel Giappone per l’Andreossi Enrico, [partendo] nel
1864 al 9 di gennaio.
Riassunto
1855 S. Maria Hoè,207 portai i bozzoli a casa.
1856 Casarsa, Udine, Conegliano, Spilimbergo, Feltre. Portai i bozzoli di
Spilimbergo e di Casarsa a casa. Spezia, Lugano208
portata a Selvi e qui sopra citato nel testo del Diario, si veda anche la nota 38 dell’Introduzione (CZ).
203
“han”, locanda, dal persiano “khan”. Mazzocchi traspone in “c” dura la “h” di tipo faringale
del termine che aveva solo udito pronunciare (CZ).
204
Il termine rumeno è birjâ, vettura pubblica (con cocchiere) (CZ).
205
Oggi Ploiesti, Romania a N-E di Bucarest (CZ).
206
Località non identificata (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
125
1857 Bursa e Adrianopoli
1858 Cattaro, Persagno
1859 Isola di Maiorca, Pollensa
1860 Isola di Maiorca, Pollensa
/101/
1861 Candia, Canea, che lasciai per Bulgaria e Selvi
1862 Selvi, Bulgaria, vicino ai [Monti] Balcani e Bucarest, Valacchia, in
società col signor Enrico Andreossi
1863 Bucarest, che abbandonai per Pitesti, al Nord della Valacchia
Mio padre ebbe delle sementi di Spezia anche 4 o 5 anni dopo; dopo fallì209
Ora vi racconterò qualche cosa dei miei viaggi all’Estremo Oriente:
15 viaggi in Nord China e al Giappone; Hakodadi [Hakodate],210 Yokohama:
1864, ‘65, ‘68, ‘69, ‘70, ‘71, ‘72, ‘73, ‘74, ‘75, ‘76, ‘77, ‘78, ‘79, ‘80
in tutti miglia 315.000.
Segue.
/102/
27 ottobre 1893
Ho incominciato queste memorie nel 1887, e solo adesso le proseguo.Quanti
cambiamenti e rovine! È morto il mio povero padre il 17 gennaio 1892 e mio
fratello Gabriele il 18 agosto prossimo passato. Sono restato come una pianta
senza rami, come quelle che rimangono dopo incendiato il bosco. Ho il conforto
della moglie, dei figli e degli amici.
Oltre a questi malanni, soffersi in ottobre 1889 e per oltre 3 anni, di un male
alla gamba sinistra detto flebite. Anche adesso la sera ho la gamba più grossa e
sotto il piede dei calli. Cambiai diversi medici: non credo che mi abbiano giovato
molto, uno contraddiceva l’altro; il meglio si è di vivere secondo l’igiene, con regola, e se la malattia si presenta grave o con nomi nuovi, chiamare subito uno dei
207
208
S. Maria Hoè, in Brianza, una quindicina di km a S di Lecco (NdR).
A Lugano confezionai circa once 400, a metà col signor
Francesco Lelio Almici, ma riuscii male. Alla Spezia diedi ordinazioni a certo barone Federici e riuscì assai
bene, una meraviglia: bozzoli bianchi color perla. Nota di Pompeo Mazzocchi (NdR).
209
Il seme-bachi acquistato in aree ritenute ancora immuni o da allevatori particolarmente valutati per la sanità del loro prodotto, se effettivamente sano (e solo un accurato esame campionario al
microscopio poteva dare delle garanzie), avrebbe dato un primo prodotto buono, ma, di solito, veniva
contagiato dall’infezione già alla successiva riproduzione. In rari casi si potevano avere più riproduzioni
consecutive sane - 4 o 5 erano una vera eccezione - prima che la malattia apparisse. Tali risultati, più
che derivare dalle qualità intrinseche del seme-bachi stesso, erano conseguenza della capacità - inevitabilmente limitata - di tener il seme buono totalmente isolato da quello infetto e/o da attrezzature
contaminate: pochissimi ci riuscivano per più di qualche anno (CZ).
126
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
primi medici e, presente il medico curante, seguire /103/ la cura indicata. Oltre
questi mali irreparabili, ne ebbi altri!
Nell’invecchiare sarebbe cosa così bella il vivere tranquilli, e coi mali soli inerenti all’età. Invece, un pensiero, l’altro, dopo un male, un altro, quasiché sieno
necessari per discendere nella tomba e lasciare la famiglia più rassegnata! Non
basta l’età per farci morire!
Mio padre era buono, bravo, istruito, assai regolato, attivo, amante dei suoi
figli, un nome esemplare. Mia madre fu un modello di perfezione, non solo
madre, ma fu serva per i suoi figli. Quante cure per noi! Che Iddio li benedica!
Che possa rivederli nell’altra vita!
Mio padre ereditò poca cosa da suo [padre]. Fabbricò la casa che confina
coll’ortaglia e fece molte spese utili, ma [per] queste [spese] e per [quelle per] i
buoni contratti [di acquisto e di affitto di terreni], allargandosi /104/ oltre i suoi
mezzi, fece molti debiti211. Da piccolo mi prendeva insieme [a lui e mi portava]
a pagare gl’interessi. Questo mi impressionò molto: non ebbi, crescendo, altro in
mente che di trovare il modo di pagare debiti.
Di quello che feci per la famiglia, me ne conforto adesso. Ho raccolto dei
dispiaceri, dei disinganni, ma questi si dileguano, vanno perdendosi e mi resta la
consolazione, direi eterna, di essere stato utile, non solo a me e quindi alla mia
famiglia, ma anche ai fratelli, alle sorelle, a tutti. Ho migliorato la mia posizione e quella della mia famiglia col commercio del seme bachi, e siccome il seme
bachi da me portato è sempre riuscito, ho portato la mia fortuna in un numero
grandissimo di famiglie.
Il pensiero che avevo dominante di pagare i debiti di mio padre non mi fece
correre come volontario sotto Garibaldi. Forse avrei avuto il coraggio, vedendo
che non mi è mancato in altre /105/ occasioni, ma essendo assenti i miei fratelli
Giovanni e Gabriele (Giovanni ritornò presto, ammalato) restai a casa, mortificato, occupato per i bachi, per la foglia, per le viti, per le faccende domestiche,
specialmente di Torbole.
Come avete veduto, carissimi figli, dal 1857, [anno] nel quale mi recai a Bursa
(Anatolia) e ad Adrianopoli, sino al 1880, meno due anni (1866 e 1867), sono
sempre stato assente e nel tempo che ero in Patria, lo passavo quasi sempre a Torbole per aiutare il fratello Gabriele. A Coccaglio stava mio padre.
Avevamo allora 30 piò [di proprietà] a Torbole con [altri] 351 [piò di] affittanze212. Ecco cosa avvenne.
Mio padre, a Coccaglio, fu sempre, nelle poche faccende che aveva, coadiuvato
210
Hakodadi era una delle trascrizioni in uso ai tempi di Pompeo Mazzocchi per il porto dell’isola
settentrionale di Hokkaido. Oggi si usa Hakodate. Hakodate era uno dei porti “aperti” del Giappone,
strategicamente importante per le potenze occidentali e per la Russia perchè controllava lo stretto che
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
127
49. Veduta di Calcutta. Prima metà del 19° secolo. Collezione privata.
dal fratello Giovanni. Mio fratello Giovanni spendeva piuttosto bene, ma si
dimostrava interessato e attento. A poco a poco mio padre ebbe una certa predilezione per Giovanni, aumentata anche perché portava il nome /106/ di suo padre,
Giovanni, e perché mio padre, solo, sapeva quanto io avevo guadagnato. A mio
padre sembrava e credeva giusto di favorire mio fratello Giovanni perché figurava
come ramo principale nella casa paterna, perché io mi ero fatto un patrimonio
bastevole e perché Gabriele era solo; e gli sembrava trascurato, troppo generoso e
attorniato da amici bisognosi che si approfittavano della sua bontà.
[Ecco] cosa fece. Con mio fratello Giovanni che gli metteva in cattiva vista
Gabriele e altri che lo consigliavano male, fece un testamento olografo, il 20
giugno 1835,213 nel quale gli lasciava tutto, meno 20.000 lire alla sorella
Violantina. Io dovevo dare 26.000 lire ad Aurelia e Nina, e 2.300 lire annue a
Gabriele, ed [avrei avuto] Torbole (meno la osteria214 e le [mara...]215 e vive
e morte), il fienile di Bussaghe216 e la vernassa217. Mio padre allora diede la
portava, senza mai essere chiuso dai ghiacci, al mar del Giappone, alla Corea e alle zone costiere della
Siberia, annesse nel 1860 all’Impero russo, con il porto di Vladivostok. Era inoltre base operativa e di
rifornimento per le flotte baleniere (CZ).
211 La frase originaria del dattiloscritto, assai confusa, è stata integrata in questo modo (NdR).
212 Un “piò” equivale a ca 1/3 di ettaro. V. sopra, nota 22 (NdR).
213 La data deve essere stata sicuramente trascritta sbagliata: dovrebbe essere 1855 (NdR).
214
Di questa osteria non si parla mai in alcun altro luogo del Diario, ma potrebbe trattarsi anche
qui di un errore di trascrizione (NdR).
128
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
chiave della cassaforte a Giovanni, lasciandolo /107/ padrone dei suoi risparmi.
Gli diede, così disse mio padre, dalle 40.000 alle 50.000 lire, non meno.
Vedendo poi mio padre la mia vita regolare e come io l’amavo e lo stimavo e così
[pure] mio fratello Gabriele, un poco alla volta si mortificò; alcune circostanze e,
ancora, le indiscrezioni di mio fratello Giovanni che non si dimostrava contento,
valsero a cambiarlo. Una sera lo trovai che piangeva, e domandandogli cosa
aveva, disse: “Ho trattato te e Gabriele troppo male nel mio testamento”.
Benché si fosse di sera, volle chiamare il notaio Pedrali di Rovato e alle opposizioni del notaio, che gli diceva che stava benissimo e di aspettare domani, rispose:
“Morrei disperato se mi succedesse stanotte di morire, però, e non potrei dormire;
più ci penso, [so] che ho fatto un’ingiustizia,e se so di farla non posso soffrirla”.
/108/ Scrisse il testamento [quella] sera, di sua mano, presente il notaio. Omise
il legato alla domestica Lucia Belandi ed altri piccoli legati per brevità. Il giorno
dopo le estese, in regola col notaio Pedrali, con alcune modificazioni.
Dopo fece altri [testamenti]: 3 Luglio 1886, annullato; 1 maggio 1887
(Notaio Pedrali di Rovato); 30 aprile 1887, un’aggiunta, un codicillo insignificante (Notaio Barcella di Chiari).
Il notaio Pedrali mi disse che prima di questi ne fece otto o nove, che lesse lui, sempre
incerto su cosa doveva fare e modificando sempre meglio i suoi apprezzamenti.
Morto il mio povero padre, mio fratello Giovanni, Violantina e Aurelia volevano far
rivalere il testamento olografo del 20 giugno 1855, ma quantunque l’avvocato Orefici
mi avesse assicurato la validità dei due ultimi, per assopire (credevo di assopire i rancori),
ho fatto una transazione /109/ e a mezzo di mia nipote Giulia218 e di mia sorella Violantina, ho pagato a Giovanni 4.000 lire e [gli] diedi ancora, per soprapiù, perché fosse
contento, perché tutto fosse finito, la filanda dalla quale mio fratello ricavò 1.600 lire.
Mio fratello Giovanni non cessò per questo di osteggiarmi. Cadde ammalato
dopo sei mesi fatta la accomandazione e dopo mille differenze, mille spiaceri e
sottigliezze, ho potuto finire i conti a mezzo dell’ingegner Buizza il 17 corrente.
Non mi sono fatto giudice in causa mia, lasciai fare al sudetto ingegnere. La
voglia di finire venne da me, che dovevo sborsare 16.200 lire (e non pagando,
non ero obbligato agli interessi) e non da mio fratello che doveva riceverle.
Ringrazio la Provvidenza, che malgrado i pronostici di mio fratello Giovanni a
mio padre - che [avrei finito per] consumare la mia sostanza, come fece il signor
Giovanni Antonio padre di Ippolito - i miei affari, come affari, andarono di bene
in meglio, /110/ malgrado tutto! Peronospera e filossera in aggiunta!219
215
Correzione a matita su cancellatura a matita della
parola malizie - il senso della frase e la parola restano incomprensibili (NdR).
216
Bussaghe, “contrada” di Coccaglio. In Via Bussaghe vi era l’edificio rurale che Pompeo Mazzocchi
denominò “Nagasaky” in riconoscente ricordo delle origini giapponesi delle sue fortune. Dall’edificio,
che ancora porta il suo nome giapponese, vennero di recente ricavati alcuni appartamentini per anziani
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
129
Quest’anno ho dovuto lasciare la mia casa di Bussaghe, dove credevo di finire
i miei giorni e mi [era costata] non meno di 44.000 lire, per abitare la casa
lasciatami da mio padre, dove sono nato.
Quando fabbricavo la suddetta casa i miei genitori mi dicevano, specialmente
la mamma: “Se tu hai una casa nuova, tua, non potrà tuo padre darti la sua,
avresti due case”. Se andrò d’accordo coi fratelli, abiteremo insieme la casa paterna, altrimenti essi abiteranno la casa di mio padre. Io ho la mia.
Mio padre, [in seguito] - come ho [già] esposto - sia per allontanare mio fratello Giovanni, sia per ricompensarmi in qualche modo di quanto aveva dato a
Giovanni, mi diede la sua casa, che ho abbellito spendendo circa 11.000 lire,
riducendo la casa verso l’ortaglia.
Per non lasciare la mia casa di Bussaghe /111/ vuota, e non potendola affittare, (1893),220come galettaio,221 essendo piccola, questa primavera, ai 6
di marzo, feci un contratto coi signori Lucchini di Lugano di fabbricare a uso
galettaio il fienile di Bussaghe, che alzai e fornii d’ogni occorrente con la spesa di
circa 16.000 lire. Levai il tetto del fienile, appena una volta cadde la pioggia e
tutto fu fatto in regola. Spero che questa fabbrica sarà giovevole per voi e per il
paese. Meglio è che continui come galettaio, ma se succedesse che per un anno o
due restasse vuota, potrebbe uno di voi fare una filanda a vapore, ben fatta, col
consiglio del signor Gaetano Paladini222 e dei suoi figli, e servirsi così di questo
galettaio. La filanda può essere in società; ad ogni modo, chi fa la filanda bisogna
che per almeno un anno si impratichisca in una filanda consimile, o trovi persona
sotto ogni rapporto adatta e onesta./112/ La filanda può essere un mezzo di far
fortuna, una bella occupazione e può essere utile alla classe bisognosa del paese.
Utile anche ai possidenti che venderebbero con comodo i bozzoli, ma può anche
essere di rovina:
Se si fila male. Se non è ben diretta e si è derubati. Se si arrischia troppo, o si
tiene invenduta per troppo tempo la seta.
Collo stesso mestiere uno fa fortuna, l’altro va in malora.
Se sarete attivi, buoni, attenti, andrete avanti; se svogliati e in mano d’altri,
andrete in malora. Intanto che siete piccoli, va bene essere in mano d’altri; è un
bisogno, ma dopo servitevi dei consigli degli altri, delle persone oneste, ma fate
voi: lavorate, lavorate. Salute, mezzi e quiete. Vi sembrano felici i fannulloni,
(NdR).
217
Dialettale per il locale ove si depositavano le vinaccie residue dalla spremitura e torchiatura dell’uva (NdR).
218
Figlia di prime nozze di Violantina (NdR).
219
Due malattie della vite, la prima, abbastanza comune anche oggi, si combatte facilmente con solforazioni, la seconda, apparsa in Europa nella seconda metà del XIX secolo, era una gravissima ed allora del
tutto incurabile malattia fungina, specie delle radici. La filossera causò danni immensi ai vitigni europei e
costrinse a sostituire i portainnesti nostrali con portainnesti americani che alla filossera resistevano (CZ).
130
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
[ma] essi, internamente, con una vita sprecata, passiva, non sono mai contenti:
che contentezza [può essere] vestirsi, mangiare /113/, bevere, andar di qua, andar
di là, senza scopo, senza un’azione che nobilita e rinforza l’animo? Consumare
e poi consumare: se così avessero fatto i vostri padri, quale sarebbero le vostre
condizioni? Dove [sarebbero] la campagna ben coltivata e le industrie? [Agite]
secondo la vostra capacità.
Ho premesso questo per rendere ragione di aver aspettato tanto per proseguire il
racconto dei mie viaggi; mi sono fermato a quelli di Turchia e d’Europa, ora vi
dirò qualche cosa dei miei quindici viaggi al Giappone.
Seguono:223
/114/ Continuo per chiarire alcune cose.
Mio fratello Giovanni, quando ebbe in affitto, a Torbole, a 35 lire al piò, nel
1880, i fondi di mio padre, diede una garanzia di 20.000 lire sopra i fondi detti
Fusera224 della moglie. Mio padre sborsò al fratello Giovanni le suddette 20.000
e Giovanni le ipotecò sui fondi della moglie che aveva di dote. Dopo, diede questo
suo credito in garanzia a mio padre.225
Quando mio padre, [con il primo testamento], lasciò in eredità a Giovanni
quello che [sarebbe] restato in cassa dopo la sua morte e diede a lui le chiavi
della sua cassaforte, levò anche l’ipoteca delle 20.000 lire. Dopo aver cambiato il
testamento, si fece [ridare] da Giovanni la chiave, per garantirmi, aggiunse, col
nuovo testamento, che io avrei pagato mio fratello della sua quota, [solo] quando
[Giovanni] avesse soddisfatto ai suoi impegni come affittuale.
I cambiamenti negli ultimi suoi testamenti sono insignificanti: /115/ un
aumento alla sua domestica, Lucia Belandi e quanto ho detto sopra.
L’ultimo testamento non aveva annullato il secondo.
Mio fratello Giovanni aveva sofferto di un incendio a Torbole e [pretendeva]
che [la ricostruzione] del portico in mezzo all’aia toccasse a me. [Ci furono]
altre differenze per i seminati, frumenti e trifoglio. Queste sono le cause del
ritardo nell’aggiustare i conteggi di quanto [poi] ricevette - come da istrumenti
del Notaio Nespoli in data 17 settembre 1893 - [ossia] lire 16.200 a saldo.
Prima [di queste] ebbe - come risulta dallo stesso istrumento e dai conti dell’Ing. Buizza:
In tutto fanno:
Lire 50.490,86
______________
Lire 66.690,86
220
L’anno è inserito con una notazione a matita. Probabilmente si voleva sottolineare che quanto
esposto avviene nell’anno in cui Pompeo scriveva questa parte del Diario, alcuni anni dopo la morte
del padre (NdR).
221
Galettaio, ossia deposito di bozzoli (galette) (CZ).
22 Gaetano Paladini era stato il titolare di una delle ditte milanesi di importazione di seme-bachi dal
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
131
Ricevette [inoltre] di regalo per non litigare con i testamenti di mio padre:
Lire
4.000
Lire
1.600
______________
e la filanda
Totale
Lire
5.600
______________
Lire 72.290,86
[Totale generale]
Nei tredici anni che fu / 116 / affittuale a Torbole, mio fratello pagò l’affitto
tre volte [soltanto]: [sosteneva], con il testamento in mano, che le entrate nella
cassa [del padre] erano [comunque] sue.
Come dissi, ebbe 20.000 lire da mio padre nel 1880 senza interesse, [per
cui]:
Interessi per 13 anni lire 13.000 meno lire 7000 [già] computate226 [fanno
un totale che] ebbe mio fratello Giovanni di lire 78.290,86
Rifacendo il conto in cifre tonde:
Da mio padre senza interessi ebbe nel 1880
Erede, come testamento, imputando le suddette
Interesse delle suddette 20.000 per 13 anni
Regalo da me fatto in denaro (lire.4000) [più]
[valore della] filanda (lire 1600 )
lire
lire
lire
20.000
40.000
13.000
lire
5600
————————
lire
78.600
(poi delle 7000 lire come sopra non pagò mai l’interesse)227
/117/ Sopra una sostanza di circa 240.000 lire, [Giovanni] ne ebbe 78.600;
a dividere questa sostanza vi era [anche] il povero Gabriele. [In tutto] eravamo
in sei: tre sorelle e tre fratelli.
Per conseguire la sostanza di mio padre ho pagato:
a Nina
ad Aurelia
lire
lire
21.255
26.413,10
Giappone (la Paladini e Goretti) per cui aveva lavorato Pompeo Mazzocchi agli inizi degli anni ’70.
Nota 20 nella Introduzione (CZ).
22 In realtà il testo non prosegue con i viaggi in Giappone (NdR).
224
Vedi sopra, nota 21 (NdR)
132
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
a Violantina
a Giovanni, a saldo
ire
26.257
lire
16.200
_______________
lire
90.128,10
Ho [a mio carico] da pagare lire 400 annue per la domestica di mio padre,
Lucia Belandi, [che] corrispondono a Lire 4000 di passività.
Per l’eredità di mio padre ho pagato in tutto [una] tassa di successione di lire
3.789 e prelevai ad ognuno la quota che gli spettava. Nina aveva avuto 5.000
lire in acconto, come da sua ricevuta.
/118/ Le vigne qui di Coccaglio, prima della peronospera e della minaccia
della filossera,228 e della concorrenza, che pare perpetua, dei vini meridionali,
valevano non meno di 3.000 lire al piò.
Mio padre ricavava dalle 14 alle 22 lire alla zerla.229 Senza [contare le] spese
di zolfo e solfato,230 tutte le spese [sommavano] dalle 10 alle 13 lire.
Ora il formentone231 vale 13,50 lire il quintale (la soma)232. Il frumento
21 lire al quintale.
Non v’è che il fieno caro.
Il capitale, ovvero cantina e botti, viene ad essere assai deprezzato.
Le spese di istrumenti ecc. furono tutte a mio carico, riguardo all’eredità.
Breve biografia di mio fratello Gabriele.233
/119/ Nacque nell’anno 1827. Dai 7 ai 9 anni li passò con me nel collegio
detto Bertacagni a Brescia, dai 9 ai 12 in casa delle sorelle Caravaggi in pensione
a Chiari, pure con me. In questo tempo, con me finì le scuole elementari. A scuola
imparava bene ed avrebbe preso amore alla scuola e agli studi, ma in quel tempo i
maestri erano troppo severi e per [un] nulla davano sulle mani con una verga e una
canna d’India. Si chiamavano “sardelle”. Questo era il meno: battevano per poco,
con lunghe verghe, sul capo e sulla schiena, mettevano per un’ora e più in ginocchio,
facevano fare delle croci colla lingua sui mattoni dove gli altri vi passavano coi piedi
e vi sputavano, sui pavimenti della scuola. Non mancavano gli schiaffi, e le percosse
sul capo. Questi cattivi trattamenti che allora si usavano in tutte le scuole, più o
meno, lo inasprirono e perdette l’amore della scuola.
225
L’esposizione di Pompeo è piuttosto contorta, ma in realtà l’operazione descritta dovrebbe
essere abbastanza semplce: Giovanni chiese al padre un prestito di 20.000 lire per affittare (e gestire) i
terreni di Torbole ed in garanzia del prestito accese un’ipoteca sui terreni di sua moglie (NdR).
226
Non è chiaro a cosa vadano attribuite queste 7000 lire “già computate”, potrebbe trattarsi di
un anticipo della quota testamentaria dato dal padre ai figli, come fu nel caso di Gabriele citato al foglio
126 del dattiloscritto (NdR).
227
Vedi nota precedente (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
133
/120/ Mi ricordo che in terza elementare a Chiari, sotto il maestro Sbarbaro, in tempo di lezione si era dato
al divertimento di prendere le mosche.
Sul banco, a poco a poco, col cartellino,
aveva fatto un piccolo serraglio, e sopra
vi aveva messo un piccolo vetro. Tutto
questo formava l’ammirazione degli
altri scolari. Il maestro, accortosi che
ridevano i ragazzi vicino a Gabriele, si
levò dal banco ed andò a vedere. Levò
il piccolo vetro che chiudeva le mosche,
prese in mano alcune mosche e le fregò
colle sue mani, sulle labbra e sui denti di
Gabriele. Così erano quei tempi.
Dopo passate le elementari a Chiari,
mio fratello Gabriele fu messo con me
50. Pompeo con i tre figli nel cortile di casa a nel collegio di Desenzano. I maestri
Coccaglio. Da sinistra: Mario, Cesare, Pompeo erano tutti del paese; il rettore Felice
e Tito. Inizii del ‘900. Per gentile concessione
Deder assai vecchio e rimbambito, la
disciplina gravissima e /121/senza ordine.
A Desenzano, con me, Gabriele passò 2 anni e fece la cosiddetta prima e seconda
latina. Poi scrisse a mio padre che non voleva continuare gli studi, di levarlo di collegio.
Mio padre, dopo essersi informato dal rettore e dai maestri e veduto che [per] carattere
e temperamento era incompatibile, lo tolse di collegio.
A 13 anni andò a Tórbole, dove mio padre aveva 105 piò di terra; dopo, ne prese
in affitto altri 99 dalla Casa di Dio,234 che in appresso acquistò, poi [prese] in affitto
altri 35 del legato Averoldi.235
Un po’a Torbole e un po’qui a Coccaglio passò dai 13 ai 19 anni. A circa 20 anni,
nel 1848, essendo successa la rivoluzione contro gli austriaci, prima di essere iscritto soldato, passò volontario. Mio padre lo fece andare nel corpo degli studenti236 a Milano
228
229
230
231
232
233
Vedi sopra, nota n. 219 (NdR).
“zerla”: misura tradizionale per liquidi nel Bresciano, pari a ca 49,7 litri (NdR).
Per combattere le due malattie appena citate (NdR).
Mais (NdR).
“soma” - misura tradizionale locale pari a ca. 145,9 litri - è aggiunto a matita (NdR).
Gran parte di quanto detto in questo paragrafo è già presente sopra, ai fogli 56 e segg. del
dattiloscritto (NdR).
234
Il maggiore dei Pii Luoghi del Bresciano (v. sopra, nota 70) (NdR).
235Non sappiamo a chi si riferisca il “legato Averoldi” qui citato, ma è da notare che la futura suocera di
Pompeo Mazzocchi, la madre di Vittoria Almici, era una Laura Averoldi (NdR).
134
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
con Frigerio Antonio di Brescia.237
Gabriele, annoiato del servizio di soldato istruttore a Milano, con Frigerio
/122/ recossi nel corpo dei volontari studenti, sotto le mura del forte di Pietole a
Mantova. Là venne respinto dai cannoni del forte; poi fu una ritirata generale;
le nostre armi furono perdute, [Gabriele] venne a casa colla febbre.
Dopo il ‘48, ritornati gli Austriaci, con [Tito] Speri e Antonio Frigerio, si diede
a congiurare contro l’Austria facendo parte del Partito detto d’azione.238 Distribuiva biglietti che erano pagabili dopo [l’ottenimento dell’unità] d’Italia,239
circolari ecc., tutte cose, che, scoperte, portavano alla prigione ed alla pena
capitale. Speri venne impiccato a Mantova, Frigerio Antonio subì la prigione.
Gabriele, credendo di essere arrestato, invece del suo letto preferiva il fienile od
altro pertugio nascosto, credendo di essere arrestato da un momento all’altro. Ebbe
una perquisizione, e venne circondata la casa a Torbole dai soldati /123/ tedeschi.
Per lunghi anni dopo si svegliava spaventato, dando gridi.
Zanardelli, che fu poi ministro, fu da lui a Torbole.240
Nel 1866 con tre altri, da lui arruolati a Torbole, passò nei volontari sotto
Garibaldi, e servì fin che fu fatta la pace coll’Austria. Fu assalito una volta dai
ladri e si difese con due colpi di pistola. Uno andò via ferito, ma non furono
scoperti.
Fu con me a Costantinopoli nel 1857241 per i semi bachi ed insieme, in barca,
andammo a Rodosto sul Mar di Marmara e di là a cavallo ad Adrianopoli. Sul
Mar di Marmara la nostra barca fu assalita da due altre, si finì col prendere una
e chi era a bordo di una di queste barche non ebbe il coraggio di far fuoco sopra di
noi, avendo trovato la nostra molto agguerrita. Per combinazione vi erano alcuni
gendarmi turchi, detti gavass; Gabriele dimostrò ardire e coraggio. /124/
Fu anche a Candia con Bortolo Almici per il seme bachi, ed ebbe molta pazienza e si comportò benissimo. Il seme bachi di Adrianopoli riuscì benissimo nel
1857; quello di Candia riuscì male nel 1861, ma non fu sua colpa né di 0mici.
Era la razza che non era adatta per qui.
A Torbole ridusse la campagna assai bene: si coltivavano molti bachi, assai più
della nostra foglia, oltre 200 once e si acquistava grandissima quantità di foglia
per nostro uso più che per vendere. Gabriele fu sempre attivo, non lasciò mai
mancare la foglia; [operava]con 80 e più pelini e non successe [mai] un disordine. Era nemico dei ladri di campagna e passava delle notti sui mucchi di fieno
facendo la guardia e vigilava sull’acqua. Era un podere modello, mio padre ne fu
236
In realtà in quello degli “istruttori” come si ricava da quanto dice qui in seguito e da quanto
aveva già detto sull’argomento al foglio 56 del dattiloscritto (NdR).
237
Vedi sopra, nota n. 69 (NdR).
238
Il termine Partito d’Azione, di ispirazione mazziniana e coniato dopo il 1853, contraddistinse i
gruppi democratici e rivoluzionari che puntavano ad insurrezioni popolari per l’unità d’Italia (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
135
sempre contentissimo. Anch’io passai lunghi anni a Torbole.
Due volte fece Gabriele la prova per /125/ accasarsi; il suo cuore amorevole,
la sua vita isolata gli spiaceva, ma, fatalità, tutte due le volte andò a vuoto. La
prima, certa Negroni, estrosa, innamorata di un altro, l’abbandonò dopo una
pubblicazione o due. La seconda morì, mentre erano a farsi le pubblicazioni.
Gabriele mi voleva assai bene ed ogni sacrificio avrebbe fatto per me.
Ebbe a Torbole un’infiammazione di cervello242 20 anni or sono, e dopo
diventò trascurato per i suoi interessi e di famiglia, ma sempre onesto e di cuore.
Sono circa 14 anni che mio padre, dietro istanza del fratello Giovanni, lo fece
venire qui a Coccaglio e qui non sapeva come passare il tempo.
Avendo io bisogno di bagni e del mare per i figli, Gabriele stette sempre a casa.
A mio padre non lasciò mancare nulla: [gli] fece assistenza grandissima. Con mio
padre andò sempre d’accordo. /126/ Era generoso.
Da mio padre ebbe 7.000 lire di quota;243 di queste, 2.000 lire le diede a me,
per danari che gli avevo prestato e le altre 5.000 lire gli durarono due o tre anni.
Fece imprestiti di qua e di là. Si ricordava con piacere che aveva solo 200 lire e
le diede a un certo Teolotti di Endine244 che andava in America, e restò senza
nulla. Questo Teolotti poi le rese. Raccolse, quando non aveva mezzi, circa 400
lire che diede a un certo sig. Polotti.
Vedendo come il danaro gli era sfuggito dalle mani si era emendato un
po’nell’essere troppo di cuore, [troppo] generoso. Era suo proponimento, e lo diceva
a tutti, di voler spendere il reddito, ma non intaccare il capitale, per lasciarlo a
me e ai miei figli.
Era di temperamento impetuoso, nemico degli imbroglioni e dei ciarlatani,
ma sincero, caritatevole, buono. Dimenticava il male che gli altri gli avevano
fatto. Pianse perché non ho /127/ voluto ricevere una sua vincita al lotto: voleva
mostrarmi il suo amore, la sua stima per me. Non mi sono approfittato di questi
suoi impeti di generosità e ne sono assai contento245. Scriveva assai bene, essendosi istruito coi libri che aveva a Torbole. Scriveva con stile elegante, stringato, e
[con] pensieri nuovi, suoi.
Era assai pulito, anche i vestiti li teneva puliti, non avevano macchie. Era guidatore di cavalli esperto, gli bastavano due dita di spazio per passare a gran trotto
in una porta o in un andito o in un [passo] stretto. A cavallo vi stava con tutta
regola e saltava sui cavalli più alti tenendo con due dita il crine, senza mettere
239
I biglietti erano quelli delle sottoscrizioni per le iniziative mazziniane, emessi, clandestinamente, spesso in forma di prestito da ripagarsi dopo l’ottenimento dell’unità (NdR).
240
Giuseppe Zanardelli (1826-1903). Molto attivo nei movimenti risorgimentali, fu in seguito
deputato della Sinistra e più volte Ministro con Cairoli, Depretis e Crispi. Fu Primo Ministro nel 19011903 (NdR).
241
Anche questa parte ripete in sostanza quanto già detto ai fogli 70 e segg. del dattiloscritto
(NdR).
136
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
il piede nella staffa o tirarsi sopra con fatica. In Turchia, nel viaggio che fece con
me da Rodosto ad Adrianopoli, fece meravigliare /128/ i Turchi, perché montava
sopra quelle alte selle senza porre il piede nelle staffe.
Saltava non meno di 5 sedie una contro l’altra; con un braccio levava di peso la
sua persona, [era] agile, abile, destro, forte. Buon amico, buon patriota, fu assai
utile nella famiglia prima della detta infiammazione di cervello che lo ridusse a
Torbole in fin di vita. Fu caro a tutti.
Sotto gamba gettava un sasso sorpassando la nostra torre e la Chiesa. Aveva un
buon temperamento. Era un bravo cacciatore. Possa tu vivere in eterno: tranquillo, quieto, felice. Possiamo rivederci felici. Iddio lo voglia.
Metà della sostanza che ereditai da mio padre apparteneva a mio fratello
Gabriele e questi [la] lasciò ai [miei] figli Cesare /129/ e Tito246. Il testamento
[di Gabriele] era in data 20 gennaio 1892 e mio figlio Mario è nato il 30 ottobre
1892247. Mio padre è mancato il 17 Gennaio 1892.
/130/
Post scritto. 9 ottobre 1898.
Per conseguire l’eredità di mio padre, Gabriele dovette dare la dote, come retro
si vede, alle sorelle Aurelia, Violantina, Nina, e [una quota] a Giovannino. In
tutto furono 90.121,10 lire; di queste, la metà [di quanto] spettante, toccava a
Gabriele.
Col fratello Giovanni si era fissato di finire i conti alla metà di ottobre 1893.
Gabriele stava benissimo, voleva farmi le ricevute, presente il notaio Nespoli e
varie volte me lo disse, ma sempre risposi: “Farai una carta, una ricevuta regolare,
in tutta regola, quando avrò finito di fare tutti i pagamenti”, quando mancò, il
18 agosto 1893.
L’eredità dunque che lasciò in fondi e case, ai [miei] figli, Cesare e Tito, sarebbe
242
243
244
245
Probabilmente una meningite (NdR).
Intende quale anticipo della quota testamentaria (NdR).
Endine Gaiano, in provincia di Bergamo, non lontano da Lovere (NdR).
Avevo lasciato una mia obbligazione della quale gli
passavo l’interesse e non volendo Gabriele riceverla, la consegnai al signor ingegner Mazzocchi. Nota a matita
che dovrebbe riportare una nota di Pompeo Mazzocchi non trascritta nel dattiloscritto. Non è chiaro
chi sia l’ing. Mazzocchi qui citato (NdR).
246
Cesare Mazzocchi (1883-1961), primogenito di Pompeo e Tito Mazzocchi (1886-1974), secondogenito (NdR).
247
Mario Mazzocchi (1892-1963), terzo figlio maschio di Pompeo (NdR).
248
Seguiva la frase: “colle mie disposizioni, testamento, e queste osservazioni servano a nulla” che ci
è sembrata priva di significato (forse per un errore di trascrizione nel dattiloscritto) e che è stata perciò
omessa (NdR).
249
I Damioli erano di Pisogne (Brescia) ed il viaggio in Cina cui Mazzocchi si riferisce è quasi
certamente quello del 1863 di Diego Damioli (1832-1912), sul quale si veda Caterina Saldi Barisani,
I bresciani sulla via della seta nella seconda metà dell’Ottocento in La via bresciana della seta, Fondazione
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
137
diminuita della suddetta somma di 45.060,30 lire, cioè della metà. Cosicché,
nelle mie disposizioni [testamentarie] ho considerato questo e prego i figli /131/
Cesare, Tito e Mario di non far questioni fra loro, [altrimenti] perdono eredità e
denari. Se hanno differenze, che non vi dovrebbero essere, possono rimetterle ad
altre persone distinte che abbiano a decidere. Da parte mia, ho considerato nelle
mie disposizioni come se Gabriele avesse avuto come sua la [intera] somma di
51. Planimetria delle cascine “Portone” e “Castello” di Torbole, acquistate dai Mazzocchi con i proventi della
vendita di seme-bachi giapponese. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
Civiltà Bresciana, Brescia 1994, p. 127. Diego Damioli sarebbe in seguito stato tra i primi a recarsi
in Giappone, prima individualmente e in seguito per Paolo Zane di Salò, per poi costituire la Zane,
Damioli e C. con sede a Milano per la quale si recò ancora a Yokohama. Ci sono indicazioni di almeno
sei suoi viaggi in Giappone tra il 1865 ed il 1873 (CZ).
250
Su Carlo Orio vedi nota 40 alla Introduzione (CZ).
251
G. B. Cadei, garibaldino nel bergamasco con le formazioni dei fratelli Camozzi nel 1848, era stato
in Cina nel 1859 per conto della Società Bacofila della Provincia di Como assieme a Carlo Orio (v. nota precedente), in opposizione ed in concorrenza alla spedizione in Cina di Castellani e Freschi (sui quali vedi la nota
che segue). Vi sono indicazioni alquanto incerte su uno o due successivi viaggi di Cadei in Giappone (CZ).
252
I friulani G. B. Gastellani e Gherardo Freschi organizzarono nel corso del 1858 una grossa
spedizione per seme-bachi in Cina e in India, per la quale, nonostante i loro trascorsi insurrezionali del
1848, si fecero appoggiare dall’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, Governatore del Lombardo-Veneto.
Le indebite e assai pesanti pressioni dell’Arciduca sui comuni lombardi affinchè sottoscrivessero alla
iniziativa di Castellani e Freschi causarono una vivacissima opposizione nella regione e portarono
138
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
90.121,10 lire248.
La malattia nei bachi che non permetteva di avere buona semente si era estesa
non solo in Europa, ma in Asia. Nel 1863, solo la Cina ed il Giappone, perché
mandavano qui molte sete, erano creduti immuni. La semente di Cina, però,
portata da noi dai fratelli Damioli,249 Orio250 e Cadei,251 fece cattiva prova.
Prima di questi furono in Cina e in India i conti Freschi e Castellani,252 ma la
52. Cascina “Portone” (ribatezzata “Giappone” ) di Torbole Casaglia. Veduta della corte interna.
loro semente arrivò avariata. Il lontano Giappone, l’Estremo Oriente, era l’unica
ancora di salute, ma il /132/ governo giapponese era geloso del suo seme da bachi
e non permetteva l’esportazione.253
all’organizzazione di una contro-spedizione lombarda in Cina (guidata da Carlo Orio, v. sopra, nota
precedente). Il seme-bachi cinese di entrambe le spedizioni, raccolto in gran quantità, ma in fretta e
senza adeguate attenzioni, fallì però clamorosamente una volta in Italia negli allevamenti del 1860 e del
1861. Si ritenne così necessario di ricercare seme-bachi sano nell’ancor più lontano Giappone (CZ).
253
Il divieto di esportare seme-bachi venne abrogato già nel 1864. Sino ad allora il seme-bachi
veniva acquistato di contrabbando. Le pene erano in teoria severissime, ma bisogna dire che le autorità
giapponesi furono assai poco rigorose nell’applicarle, nel periodo in cui il blocco era in vigore, chiudendo
spesso un’occhio (e anche due) di fronte ad un commercio che aiutava in maniera significativa la fragilissima bilancia commerciale del Giappone nei primi anni dell’apertura ai rapporti internazionali (CZ).
254
In realtà anche altri stati avevano dei trattati, in particolare la Francia (CZ).
255
Nagasaki (isola di Kyushu), forse la città giapponese più nota in Occidente prima dell’apertura
del paese. All’interno del suo porto, sull’isoletta artificiale di Deshima, era stato sistemato un piccolo
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
139
0I porti aperti in Giappone pel commercio delle derrate comprese nei trattati
colla Russia, Stati Uniti d’America, Inghilterra e Prussia (gli altri stati non
avevano trattati),254 erano Nagazaki (isola di Kiossia),255 Iokohama (isola di
Nipon),256 Kodadi (isola di Jesso)257 e Niigata (isola Nipon, al Nord).258 Vi
era dunque speranza, in un porto o nell’altro, di avere del seme bachi e mi sono
trovato a Bucarest da Valantria259 col signor Enrico Andreossi di Bergamo, dove
avevo preso e messo [in piedi] una fabbrica di seme bachi insieme [a lui], nel
1863. Naturalmente, [ci] si disperava della difficoltà di provvedere seme bachi
sani e vedendo il signor Andreossi che io ponevo grande speranza nel lontano
Giappone, mi promise che, se costituiva una società per il Giappone, mi avrebbe
accettato come suo agente viaggiatore.
Difatti, da Bergamo, [Andreossi] scrisse poi a /133/ mio padre che aveva
formato una società in accomandita, di tante azioni da 10.000 lire l’una. Mio
padre non esitò ad accettare un’azione di 10.000 lire e colla prima posta, nella
stessa giornata, gli mandò la scheda con la sua firma.260 Mio padre [condivideva] le mie speranze, ed io e l’Andreossi ne fummo assai contenti.
In appresso l’Andreossi mi accettò come incaricato ed ebbi per compagno un certo
Pietro Frigerio di Bergamo.261 Ora che scrivo, il 24 ottobre 1893, riposano nella
tomba i signori Andreossi e Frigerio. Quando si parlava del Giappone, di questa
impresa, quando si salpava, ai primi di gennaio del 1864 da Genova, quando si
viaggiava insieme, chi avrebbe creduto che io, il più vecchio, avessi a sopravvivere a
loro! Così volle la Provvidenza!
Io qui rendo tributo di gratitudine all’Andreossi della fiducia che ebbe in me: come
vedrete in appresso, io credo di /134/ essermene reso degno, di avere avuto la fortuna
in mio favore e di avere corrisposto pienamente e oltre, credo, alle sue speranze.
Avrei avuto difficoltà nel contrattare col signor Andreossi il mio salario, perché
egli sapeva come io volentieri avrei fatto il viaggio, perciò lasciai, per il contratto,
la cura a mio padre e le condizioni furono queste: 6.000 lire sicure, altre 6.000
lire qualora si fossero impiegati due terzi del capitale.
Adesso, se si parla dei viaggi d’America e d’Australia, non si dà grande importanza, ma allora, malgrado quel tempo non sia molto lontano, era considerato un
viaggio più pericoloso di quello che è, e se io ero contento nel viaggio di vedere cose
nuove, di tentare per me la fortuna, ed essere utile al mio paese e alla famiglia,
fondaco olandese, attraverso il quale passò l’unico contatto autorizzato del Giappone con l’Europa nel
periodo dal 1640 al 1854 (CZ).
256
Yokohama, nell’isola di Honshû, la più grande del paese, che qui Pompeo chiama impropriamente Nipon. Il termine (correttamente: Nippon o Nihon) in realtà si riferisce all’intero Giappone
(CZ).
257
Hakodate (nell’isola oggi detta Hokkaido, in precedenza chiamata Yezo, che Mazzocchi scrive
Yesso) (v. sopra, nota 210 ) (CZ).
140
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
dall’altra, l’idea (un anno è lungo)
di non rivedere forse la mia buona
povera madre, di non rivedere il
mio buon padre, mi angustiava,
mi /135/ amareggiava il cuore. La
mia povera madre pensò a tutto:
con quanto amore, con quanta
diligenza preparò i miei bauli. Mio
padre mi diede mille lire perché
non avessi colle mie spese private ad
aggravare il signor Andreossi. Queste lire 1.000 (50 marenghi262) li
consegnai al signor Andreossi.
Mi scrisse l’Andreossi di raggiungerlo a Bergamo e di prendere il biglietto ai primi posti263.
Mi ricordo di aver lasciato mia
madre colle lacrime, così il poveLasciapassare per Pechino rilasciato a Pompeo
ro Gabriele; come mi ricordo di 53.
Mazzocchi nel 1864 dalle autorità cinesi per il tramite
aver baciato e ribaciato la fronte di quelle britanniche. Fondazione Pompeo e Cesare Maza quella buonissima e bravissima zocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
donna di mia madre, così a mio
padre. Sempre avevo paura di non rivederli o che essi avessero il dolore di non
potermi riabbracciare.
Quando si mosse il treno qui a Coccaglio fu un grave dolore, che confinava
però, da parte mia, colla soddisfazione di vedere cose nuove e di fare fortuna.
Questo /136/ pensiero più che a mia madre avrà confortato il mio povero e buonissimo padre.
A Bergamo trovai e mi unii ai miei amici, signori Andreossi Enrico e Frigerio Pietro. Arrivammo a Genova la sera del 14 gennaio 1864 ed alloggiammo
all’Hotel de France.264 La sera, all’istesso tavolo, mi trovai a cena coll’ingegner
Simone di Ospitaletto265 col quale fui a scuola da piccolo. Era sposo nuovo e aveva
accanto una bella e robusta giovane. Mi ricordo che facevo a cena il confronto fra me
e l’ingegnere e non avrei cambiato la mia posizione colla sua. Mi pareva di vedere le
coste e i porti dell’India, della Cina e il Giappone. Mentre i pensieri, le passioni dell’ingegnere saranno stati raggruppati intorno alla sua bella sposa, i miei vagavano da
258
Niigata (nella parte settentrionale dell’isola di Honshû) (CZ).
25 Il termine non è stato identificato, potrebbe però trattarsi di una trascrizione errata per “di Valacchia”
(la regione della Romania dove sorge Bucarest) (NdR).
260
Nell’opuscolo a stampa pubblicato Bergamo a fine 1863 in cui si descrive la società costituita
da Andreossi, con l’elenco degli azionisti sottoscrittori, è in effetti citato anche Andrea Mazzocchi, con
una azione da 10.000 lire (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
141
Coccaglio, dove avevo lasciato la famiglia, fino all’Estremo Oriente. Faceva freddo,
era una sera oscura e si sentivano i soffi del vento, /137/ ma benché sapessi di soffrire
il mal di mare, non per questo si era intiepidita in me la passione, direi la smania,
del mio viaggio. Mi pareva di sognare: la mia ambizione, il mio pensiero non si era
mai spinto tanto oltre: di vedere, di trovarmi al Giappone.
Del viaggio n’ero poco informato: credevo di toccare Calcutta. I vapori vanno
[invece direttamente] da Ceylon266 a Singapore. Non si sapeva come era il soggiorno
di Yokohama, e così [pure] non pareva sicuro che vi sarei sbarcato: forse Andreossi mi
avrebbe solo mandato nel Nord Cina, come [infatti] successe, e allora, chissà, avrei
veduto Pechino. Tutte queste incertezze davano una certa inquetudine piacevole,
romantica, a un viaggio che, fatto ora, dopo tante cognizioni, non resterebbe altro
che verificare quello che si è letto e sentito.
La sera del 15 gennaio del 1864 andammo a bordo di un vapore delle Messaggerie
Marittime, /138/ il Fase,267 che veniva da Marsiglia e faceva le coste d’Italia fino
a Messina. Soffersi un po’di mal di mare. Ci fermammo fino al 21 gennaio del
1864 a Messina, aspettando un vapore grande delle Messaggerie che ci doveva
portare ad Alessandria [d’Egitto]. A Messina mi ricordo della statua di Nettuno,
un Nettuno nudo, al quale promisi di vestirlo, se facevo buon viaggio.
Il 21 gennaio 1864, col vapore Maris, partii coi signori Andreossi e Frigerio per
Alessandria, dove arrivai il 25. Allora non vi era il canale di Suez268 e da Alessandria
si andava al Cairo per ferrovia e dal Cairo [al porto di] Suez [ancora] in ferrovia.
Non ebbi tempo di vedere le piramidi grandi, che sono lontane 3 o 4 miglia dal
Cairo; solo dalla ferrovia ho potuto vederne le alte cime. Anche nei viaggi che feci
dopo non ho avuto tempo di vedere le piramidi: /139/ nell’andata per la fretta,
nel ritorno per non abbandonare le casse.269
261
Pietro Frigerio risulta essersi recato in Giappone almeno cinque volte tra il 1864 ed il 1869,
in apparenza sempre per conto del bergamasco Enrico Andreossi (CZ).
262
Marengo, moneta d’oro da venti franchi francesi (pari, all’incirca, a venti lire italiane) (CZ).
263
Intende: in prima classe (NdR).
264
L’Hotel de France era situato nella zona direttamente prospicente il porto di Genova, in via
Ponte Reale n. 6. Era ancora in attività alla fine dell’800 (CZ).
265
Ospitaletto, a metà strada tra Coccaglio e Brescia (NdR).
266
L’isola di Ceylon, oggi lo Stato di Sri Lanka (CZ).
267
Si trattava del piroscafo Phase delle Messageries Maritimes (CZ).
268
Inaugurato nel 1869 (CZ).
269
Intende le casse contenenti il seme-bachi, che richiedevano una particolare cura ed attenzione,
sia nei trasbordi da nave a treno e da treno a treno (al Cairo), sia per controllare di continuo che non
venissero esposte al cocente sole d’Egitto il cui calore poteva far schiudere le uova e far perdere, per
fermentazione, l’intero contenuto (CZ).
270
Su questo viaggio di ritorno con una lunga visita all’India, non vi sono altre notizie, salvo un
breve cenno più oltre nel Diario (al foglio 189 del dattiloscritto). La partenza di Pompeo Mazzocchi
dal Giappone è segnalata sul Japan Weekly Mail del 22 novembre 1873, dovrebbe pertanto essere arrivato a Calcutta a fine dicembre, mentre la traversata del paese fino a Bombay, via terra, passando per
142
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Nel 1873-74, quando feci il viaggio [di ritorno, attraversando] l’India da Calcutta a Bombay e non avevo [con me] la semente,270 [avrei] potuto soffermarmi
in Egitto, ma quando fui in Egitto ebbi fretta a rimpatriare e dicevo: “L’Egitto
non è poi tanto lontano, se avrò voglia vi andrò anche dopo il viaggio del Giappone”. Ora sono pentito, passata l’occasione è difficile coglierne un’altra. Il non
vedere l’Egitto e le piramidi non è nulla di male, si possono avere le soddisfazioni
maggiori, ma essere vicini alle piramidi e non vederle è stato un errore piramidale
e sempre sono stato pentito.
Il Cairo però mi interessò molto per [i suoi] costumi vari; visitai il Bajor,271
la Moschea dove vennero distrutti i Mamelucchi,272 il Museo, ecc. Il pensiero
di trovarmi nel paese di Mosè, di Giuseppe, dei faraoni, di Gesù Cristo, di tante
memorie antiche, mi dava una soddisfazione /140/ grandissima.
Le ferrovie [in Egitto], in quel tempo, “diebus illis”, erano mal organizzate e le
stazioni ingombrate [dai passeggeri già] due ore prima della partenza del treno.
Si vedeva un barbiere radere la barba o i capelli accanto a un treno o a un vagone
che sembrava in partenza. Dicevasi che una volta, in una stazione principale,
si aspettava il treno che dal Cairo andava ad Alessandria, quando il treno passò
senza fermarsi. Cosa era successo? Il treno portava dei cavalli che erano aspettati
dal vicerè.
A non lunga distanza dal Cairo si entra nel deserto, una sabbia bianca, rossiccia e polvere. Il treno porta un vagone o due d’acqua per alimentare la macchina.273 Che differenza [rispetto a] quando Mosè attaversava il deserto! Pochi
anni orsono, si viaggiava coi cammelli, o cogli asini. L’invenzione del vapore fu
assai utile dove mancavano le strade,[dove] i siti erano disabitati e nei siti barbari o semibarbari, dove introduce la /141/ civiltà e vorrei dire anche la nostra
religione, e siccome il bene va frammisto al male, anche i nostri vizi, la nostra
corruzione, i nostri bisogni.
Nel primo viaggio tutto era oggetto di meraviglia: che differenza dopo tanti
viaggi, tante noie, tanti fastidi e pensieri!
Il 27 gennaio274 1864 partii da Suez per Aden con il vapore Dönnai delle
Benares, deve aver richiesto due o tre settimane almeno. Èanche evidente che il seme-bachi acquistato
in Giappone non viaggiò con lui, ma venne accompagnato verso l’Europa, lungo la rotta abituale, da
qualche socio o collaboratore di Pompeo (CZ).
271
“Bazar” (luogo ove si tiene mercato) (CZ).
272
Si tratta della Moschea fatta costruire nella cittadella de Il Cairo, a partire dal 1830, sul luogo
ove avvenne il massacro di alcune centinaia di capi Mamelucchi (da mamluk, truppe scelte dell’Impero
Ottomano, in origine costituite da schiavi cristiani convertiti all’Islam). La strage venne ordinata dal
Vicerè d’Egitto, Mehmet Alì, nel 1811, per bloccare una loro congiura, appoggiata da Istanbul, contro
il suo potere sull’Egitto (nominalmente dipendente dall’Impero Ottomano) (CZ).
273
Si trattava di locomotive a vapore che richiedevano grandi quantità d’acqua evidentemente
non rinvenibili nelle stazioni lungo il percorso dal Cairo a Suez (NdR).
274
Il testo riporta erroneamente “febbraio” (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
143
54. Violantina Mazzocchi, figlia del fratello di Pompeo, Giovanni, con il marito. Inizii del ‘900. Per
gentile concessione degli eredi.
144
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Messaggerie Marittime francesi o, come si chiamavano allora, imperiali.275 Il
vapore era [ancorato al largo,] lontano 3 o 4 miglia dall’albergo di Suez che
sorgeva in riva al mare. Vi si andava con un vaporino e anche con barche. Qui
la marea è [ora]assai alta e ora assai bassa.
Mi ricordo che il vapore era illuminato. Allora non vi era sui vapori né il
gaz, né la luce elettrica. Vi si applicavano delle candele. Il petrolio sui vapori era
giudicato pericoloso. Andai a vedere la cabina dove, /142/ coll’Andreossi Enrico,
il capo della nostra spedizione per la ricerca dei cartoni seme bachi al Giappone
e con Pietro Frigerio presi posto. Il vapore filava a circa 10 nodi ed era circa
di 2.000 tonellate, nuovo per questi viaggi. Il primo febbraio arrivai ad Aden,
stupefatto di vedere quei monti che sembravano di cartone, secchi. La pioggia
ci cade assai di rado, alle volte dopo un anno o due e quando cade si raccoglie
nelle cisterne. Aden, [ voglio dire la città,] è discosta dal porto circa 3 Km e vi
andammo sugli asini, che chiamano buriki.276 Quello dell’Andreossi cadde.
L’Andreossi precipitò in avanti, ma non si fece male. Il buriko è cacciato da dietro
da un giovane arabo in camicia senza nulla sul capo o al più un berretto rosso.
L’asino si regola colla voce che sente o dalle percosse che riceve dal suo padrone,
cosicché delle volte si ha piacere che vada /143/ adagio e invece corre. L’arabo lo
regola a suo modo.
L’asino è abituato ad alte voci per fermarsi e correre, voci dove sempre c’entrano
molti “a”. Mi ricordo che una volta, non sapendo che gridi mandare, gridai: “Are
bell, Are! [… …]”277 e l’asino fece andare le orecchie, stava attento, sembrava
volesse capire qualche cosa. Forse gli asini arabi, per intuizione, possono interpretare il famoso” Pape Satan Pape Satan Aleppe!”278
Di questo viaggio ho le date degli arrivi e partenze, ma non una [delle] lettere
che scrivevo ad ogni porto a mio padre con tutti i dettagli. Mio padre le aveva
custodite, ma sono state distrutte da mio fratello Giovanni. Del resto, ho fatto
male anch’io a non raccogliere al mio arrivo le memorie, bene o male, sopra il mio
giornale, o a farmi dare le lettere da mio padre, che, scritte sotto l’impressione del
sito, oltre ad essere veridiche, erano vive e per noi interessanti. Son sempre stato
275
Si tratta delle già citate Messageries Maritimes (Messageries Impériales nel periodo di Napoleone
III) con base a Marsiglia, una delle pochissime linee di navigazione a collegare direttamente, in quel
periodo, l’Europa all’Estremo Oriente. Prima dell’apertura del Canale di Suez, nel 1869, i piroscafi
facevano scalo ad Alessandria d’Egitto ed i passeggeri e le merci raggiungevano Suez, sul Mar Rosso
- dove venivano reimbarcati su di un’altro piroscafo diretto in Asia Orientale - in treno o risalendo il
Nilo in battello sino al Cairo e recandosi poi di nuovo in treno sino a Suez (CZ).
276
Il termine incontrato da Mazzocchi è un probabile e casuale residuo di quella “lingua franca”
utilizzata per secoli - nel Mediterraneo ed in aree contermini come i porti del Mar Rosso - da mercanti,
marinai e viaggiatori, il cui lessico comprendeva molte parole di origine neolatina o italiana. Il vocabolo infatti non è arabo, mentre esistevano un “buricco” in italiano, un “burrico” in spagnolo ed un
“bourriquet” in francese, derivati dalla tarda latinità e tutti più o meno obsoleti già ai tempi di Pompeo
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
145
trascurato, ed è /144/ così poca cosa, ad avere un po’di ordine: quanti pensieri di
meno, e spese, e quante soddisfazioni! Dico [anche] spese, [perchè], per mancanza
di note, vi sono [poi] questioni e falsi apprezzamenti!
Da Aden si proseguì il viaggio per Ceylon, Point de Galle.279 A metà strada si
ruppe la macchina e il cosidetto “arbre de couche” [albero motore] quello che muove
le eliche e restammo quasi fermi. In 15 giorni si fecero sole 60 miglia. Ecco come
avvenne. A metà strada vi era bonaccia ed erano gli ultimi giorni di carnevale. Sul
ponte capitò il macchinista vestito da donna, in maschera con due altri e ballarono
sul ponte con altri. Si fece un po’di musica e di baccano. Vi erano a bordo tre gesuiti
che andavano a Macao, uno di essi, il padre Virgilio, disse (era un romano): “Che
cagnara! Temo assai ci succeda qualche malanno”. Nello stesso momento si ruppe
una macchina e, come dissi, restammo fermi per /145/ 15 giorni.
Si lavorò giorno e notte per accomodar la macchina e si fecero salire sul ponte
dei grossi pezzi. Tutta la notte si vedevano lumi nella macchina, si sentiva il
rumore dei martelli e degli argani della macchina. Ci capitò un bastimento in
vista, col quale si confrontò la latitudine e la longitudine. Erano mancanti di
carne da 3 mesi e dal nostro vapore vi mandarono due pecore. Il nostro capitano
diede una lettera a quello del bastimento perché, se aveva la fortuna di arrivare
prima a terra, la facesse recapitare alla società dei vapori - la Peninsulare280
- per essere caricati [da loro].
L’acqua era misurata ai passeggeri, per paura che si rompesse anche la macchina
che distillava; del vino si poteva berne fin che si voleva.
A Point de Galle, non vedendo capitare il vapore, si pensava male, soprattutto
perchè aspettavano molti milioni in /146/ argento e poiché il cambio saliva281,
mandarono un vapore per rintracciarci, ma [il riuscire] a trovarsi sotto l’equatore
o ai tropici è difficile, perché l’orizzonte è ristretto, come una cerchia nera circonda e restringe l’orizzonte. Grazie a Dio, la macchina, se fu rotta per trascuranza,
fu aggiustata dopo grande e difficilissimo lavoro e [il vapore] poté muoversi a
circa 5 miglia l’ora. Arrivammo felicemente in porto. Ripartimmo lasciando il
Donnai semirotto e proseguimmo il viaggio sopra un vapore inglese.
Ritorno ancora indietro, quando il vapore Donnai era fermo in mare colla
macchina rotta, per passare il tempo si cercava di prendere i pescecani che ci
seguivano. Uno grosso era quasi sempre in vista e sul capo aveva sempre due o tre
pesci, detti piloti. Si tentò di prenderlo coll’amo, che si fece scendere attaccato ad
Mazzocchi (che infatti non lo riconosce). Vi sono inoltre indicazioni che “buricco” venisse usato, nello
specifico significato di asinello, ancora agli inizi del Novecento, anche in Egitto (CZ).
277
“Vai bello, vai!” L’espressione dialettale, con piccole varianti, è in uso in molte parti dell’Italia
settentrionale per spronare gli asini a muoversi. Ad essa seguono qui due parole, probabilmente trascritte male, cui non è stato possibile dare alcun significato (NdR).
278
Il significato del verso di Dante (Inferno, VII, 1) è stato oggetto di innumerevoli e mai con-
146
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
una corda, ma il pescecane inghiottì l’esca ed anche l’amo, avendo reciso /147/
coi denti la corda. Allora si fece avanti un marinaio pratico di questa pesca: fece
discendere l’amo, attaccato in fondo ad una catenella, il pescecane l’agguantò
di nuovo, si tirò fortemente la corda ed il pesce era quasi fuori dall’acqua. Il
marinaio in quel momento fece discendere un laccio intorno al pesce, ma sia per
il peso che per la forza o che si sia rotta la catena o l’amo o la ganascia, il pesce
fuggì, ma con sorpresa di tutti si sentì tirare la corda. Fra le nostre gambe e le
nostre mani - tirando noi fortemente la corda - venne fuori il pesce dall’acqua
col capo in giù essendo la corda allacciata intorno alla coda che era assai larga e
forte, a ventaglio.
(Continuo oggi, 9 ottobre 1898, dopo diversi anni)
Il pesce dai marinai, per la coda, con le corde, venne tirato a prora. Un ufficiale
di bordo avvisò i passeggeri di guardarsi /148/ dai colpi che dava colla coda: un
colpo solo poteva spezzare le gambe. Il dottore di bordo cacciò un coltello nella
testa del pesce, che si scosse e spezzò la lama. Dopo, i marinai e i mori fuochisti,
lo spaccarono e colle viscere uscirono degli stracci ed un amo che aveva tagliato
cluse diatribe interpretative (NdR).
279
Point de Galle (oggi Galle), sull’isola di Ceylon (Sri Lanka), allora principale scalo e stazione
di rifornimento per i piroscafi che attraversavano l’Oceano Indiano diretti a Singapore ed oltre (CZ).
280
Si tratta della Peninsular & Oriental, nell’Ottocento la maggiore compagnia di navigazione
britannica in Asia. È ancora oggi in attivitànel campo crocieristico con la sigla P&O (CZ).
281
Il Donnai trasportava ingenti quantità di argento in monete, molto usate per gli scambi commerciali in India e in Asia Orientale. I commercianti confluiti a Point de Galle per acquistarne contro
oro o titoli di credito su banche europee, erano costretti a pagare di più per la scarsezza dell’argento a
causa del mancato arrivo del Donnai (CZ).
282
Saigon, nel Viet Nam meridionale (allora sotto dominio francese). Dal 1975 ha assunto il
nome di Ho Chi Minh (City). (CZ).
283
L’Astor House, gestito da Mr H. W. Smith, sorgeva al n. 8 del Hongkew Bund, nella città cinese
ed era indicato come uno dei migliori alberghi di Shanghai (CZ).
284
Pari a 25 lire italiane di allora (CZ).
285
Nella trascrizione attuale Tianjin. (v. oltre, la nota 293 su Taku) (CZ).
286
Con l’idea che la Corea, essendo da lungo tempo quasi ermeticamente isolata dai rapporti con
l’estero, possedesse seme-bachi particolarmente robusto e lontano da contagi, vi furono svariati tentativi
da parte di semai, allora e negli anni successivi, di penetrarvi, tutti senza esito. Per un’altra iniziativa
bresciana in proposito, nel 1868, si veda testo e n. 64 dell’Introduzione (CZ).
287
Importante scalo e porto “aperto” sulle coste settentrionali della penisola dello Shantung
(Shandong). Cefoo, nella trascrizione attuale Zhifu, fa oggi parte dell’agglomerato urbano di Yantai
(CZ).
288
Gli annuari dell’epoca segnalano tra i residenti esteri di Cefoo un certo J. Pignatel, magazziniere, che potrebbe essere collegato alla omonima ditta Pignatel & Co di Nagasaki, francese. Nulla vieta di
pensare - come pare dal testo di Mazzocchi - che si trattasse di italiani “protetti” dal consolato francese,
dato che allora né in Giappone né a Cefoo vi erano autorità consolari del nostro paese. Quanto alla
inesatta dizione del cognome, gli errori di trascrizione erano assai frequenti (CZ).
289
Secondo la tradizione Confucio nacque nel 551 a. C. nel Principato di Lu, situato appunto
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
147
alla corda e inghiottito.
Si cambiò vapore a Point de Galle. Il vapore China da Point de Galle, senza
gravi incidenti, toccò Singapore e, [da qui], rimontando [a bordo] del Donnai,
arrivai a Saigon;282 da Saigon ad Hong Kong e quindi a Shanghai! Era il
21 marzo 1864. A Shanghai alloggiammo all’albergo Astor House,283 dove si
pagava una sterlina cadauno284. A Shanghai l’Andreossi, che io servivo, credette
bene di mandarmi a Tientsin285 e di là a Pechino, per vedere se io potessi avere
sementi dalla Corea.286
L’Andreossi con Frigerio partirono per Yokohama ed io partii per Tientsin col
vapore Nankin. Il giorno 3 aprile 1864 arrivai a Cefoo287, dove conobbi il
signor Pignatelli e la sua signora.288 In questa provincia /149/ è nato Confucio289: [Cefoo] è un bel sito sano che si sporge nel Golfo detto di Pikilì,290 nella
provincia di Shantung291. Da Cefoo, che pronunciasi Cifu, col vapore […]292
mi trovai davanti ai forti di Takoo, che pronunciasi Taku, dei quali avevo sentito
tanto parlare293.
Vicino ai forti cinesi sbocca il Beiho. Rimontai col vapore il Beiho, un fiume
che non va diritto, ma fa molte girivolte. Le sponde, i fondi vicini sono sabbiosi,
di sabbia minuta e di quando in quando, il vapore investiva le sponde e conveniva discendere a terra e coll’argano distaccarlo. In questi casi conoscevo molta
gente curiosa e ad uno di questi feci capire se avevano dei bozzoli. Me ne portò
e sopra il bozzolo vi era una pittura, una figurina. Ero così contento di vedere
un bozzolo che gli regalai una piccola moneta d’argento e dopo ne ebbi diversi e
mi feci un idea della qualità. Non erano belli; inoltre, lungo il /150/ fiume non
venne dato di vedere un gelso.
Arrivai a Tientsin il giorno […],294 e mi feci condurre alla casa del signor
Teobaldo Sandri, dove ero raccomandato. Trovai un signore gentilissimo (era
Piemontese, di Alba) e trovavasi in Cina fino dal 1858, quando questo porto
venne aperto al commercio degli europei.295 Faceva freddo, malgrado si fosse in
aprile ed era il primo vapore che rimontava il fiume. Nel rimontare il fiume, alle
nella provincia storica dello Shandong (vedi oltre) (CZ).
290
Oggi Golfo di Bohai (CZ).
291
Shantung, nella trascrizione attuale Shandong, una delle province storiche della Cina settentrionale, la cui omonima penisola, protesa verso la Corea, separa il Mar Giallo dal Golfo di Bohai con
il porto fluviale di Tianjin (Tientsin) e l’accesso a Beijing (Pechino) (v. anche la succesiva nota 293)
(CZ).
292
Manca il nome nel dattiloscritto (NdR).
293
Taku, nella trascrizione attuale Dagu. Si trattava delle fortificazioni costruite dal Governo
imperiale cinese alla foce del Beiho per proteggere la principale via d’accesso al grande scalo di Tianjin
(Tientsin) e, più a monte, a Pechino. Vennero espugnate dagli occidentali nel 1858, ma poi rioccupate dai cinesi. Nel 1859, violando lo spirito e la lettera degli accordi che concludevano la prima fase
(1856-1858) della “Seconda Guerra dell’Oppio” (1856-1860), una flotta internazionale aveva cercato
di forzare l’accesso al Beiho per portare a Pechino i plenipotenziari occidentali incaricati di concludere
la pace. L’attacco ai forti di Taku (Dagu) era tuttavia questa volta fallito, con pesanti perdite europee e
gli occidentali ne avevano preso pretesto per riaprire le ostilità, saccheggiare Pechino stessa ed imporre
148
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
volte, occorreva fermare il
vapore, per delle barche
pescareccie che ne imbrogliavano il corso: sapete
cosa faceva il capitano per
farsi strada? I marinai gettavano di spalla dei pezzi
di carbone addosso a quei
poveri pescatori, che se fossero stati presi nel capo
sarebbero caduti morti. Mi
spiaceva di vedere questo
atto prepotente e barbaro 55. Fabbricato denominato “Nagasaky”, Coccaglio. Una delle proe lo dissi al capitano, che prietà in origine acquistate dai Mazzocchi ed a cui Pompeo diede
nome giapponese in riconoscimento dei proventi realizzati con
mi rispose: “Dovete sapere un
le vendite di seme-bachi giapponese.
che io sono uno di quelli
che li tratta più bene e conviene far così con questa gente”. /151/ Potete capire
e dar ragione ai cinesi quando ci chiamano barbari: essi invece, davanti a
noi, ed anche fra di loro, si fanno inchini e complimenti, anche fra le persone
dell’infima plebe, come qui usano le persone più civili.
Ora, successe un fatto assai doloroso. Il macchinista era obbligato ora di
girare a destra, ora a sinistra, soffermandosi, rallentare e per far questo moveva una [specie di] stanga di ferro alta.296 Successe che, non facendo attenzione, non avendo levato questo ferro, nel discendere, gli capitò fra il collo e
la testa e rimase morto schiacciato. Ho veduto gli spruzzi di sangue. Si portò
il marinaio di sopra, si coperse con una stuoia, un tappeto. Ebbi in mano il suo
orologio e mi serrava il cuore di vedere le sue robe ed il pensiero mi correva alla sua
famiglia. Era un bel giovine di circa 30 anni. Arrivando a Tientsin venne disceso
a /152/ terra. Questo poveretto fu vittima dell’impazienza del suo capitano.
Dal signor Sandri seppi la storia dei francesi e inglesi che si spinsero sotto le mura
di Pechino e vi entrarono, mi pare nel 1858, sotto il barone Gros.297 Non è stata
una campagna gloriosa, i cinesi erano impreparati, i nostri fecero dei macelli anziché dei combattimenti ed abbruciarono il Palazzo d’Estate, che conteneva ricchezze
accumulate in molti secoli, interessanti, ricchissime, curiose. È inutile che vi dica la
condizioni di resa alla Cina assai più gravose (Convenzione di Pechino, 1860). La Russia in particolare
ne avrebbe approfittato per portare i suoi domini siberiani, già ampliati con i trattati del 1858, oltre
l’Amur e sino all’Oceano, di fronte al Giappone (CZ).
294
Manca nel testo (NdR).
295
Le notizie di Mazzocchi su Sandri, piemontese di Alba, commerciante in Cina, sono confermate da sporadici riferimenti sui periodici cinesi in lingue occidentali dell’epoca. Un suo viaggio in
Giappone è registrato nel 1868. Appare molto probabile che a Sandri si siano rivolti anche i bresciani
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
149
storia, che potete leggere precisa. Fu una barbarie per intimorire i cinesi, che avevano
in mano dei prigionieri inglesi, fra i quali Sir Harry Parkes,298 che conobbi, e con il
quale feci il viaggio da Hakodate a Yokohama nel 1865.
Ora, 2 ottobre 1899, sopra un giornale illustrato, “La Domenica del Corriere”, trovai una illustrazione su come si viaggiava una volta da Taku a Pechino. Quale /153/
rapido cambiamento deve succedere in così vasto impero!
Col signor Teobaldo Sandri fu conchiuso un contratto di 50 Kg di seme bachi299,
non più, ed egli si era obbligato di usare la preferenza al signor Enrico Andreossi nel
caso ne volesse dell’altro. Limitai la quantità, malgrado avessi 100.000 lire disponibili,
perché mi sembravano i bozzoli vecchi che avevo veduti, troppo scadenti. I bozzoli
erano gialli e colla punta da un lato. Feci questo ragionamento: se la semente riesce,
la società Andreossi perderà il credito per la qualità scadente dei bozzoli, se non riesce,
peggio, perciò non era sicuro impiegare [tutto] il suddetto capitale.
Ebbi la fortuna grandissima di far conoscenza con un certo signor Furgeson300
che mi consigliò di lasciare il Nord della Cina e di recarmi ad Hakodate, nel
Nord del Giappone, sull’isola di Yesso. Mi assicurava, come successe, che avrei
avuto facilmente la semente per essere il sito lontano dal /154/ governo. Così non
avrei avuto paura per la qualità dei bozzoli e la società Andreossi avrebbe avuto
semente sicura di diversa provenienza. Il sito al Nord [del Giappone] mi sembrava più adatto di Yokohama, [perché si trova] sulla nostra latitudine301 e poi a
Yokohama vi erano [già] l’Andreossi e Frigerio.
L’anno scorso, o il corrente, lessi sul giornale il “Corriere” che Ferguson si era
trovato coi capitani dei vari bastimenti tedeschi di guerra e assicurava che la Baia
Nord del Golfo di Pichelì, leggesi Picelì, sarebbe la più adatta per una colonia.
Ora si è verificata questa occupazione per consigli del signor Ferguson, e fu anche
la mia fortuna che la semente del Nord Cina non riuscì e quella del Nord GiapLuigi Cicogna e Cesare Bresciani nel corso del loro tentativo, solo in parte riuscito, di raggiungere la
Manciuria e la Corea alla ricerca di seme-bachi nel 1868 (CZ).
296
Dovrebbe essere l’asse del timone (NdR).
297
J.-B. Gros (1793-1870), Commissario straordinario per la Francia in Cina nel 1857, durante
la “Seconda Guerra dell’Oppio” (v. sopra, nota 293), ed in seguito Ambasciatore (CZ).
298
Sir Harry Parkes (1828-1885), Ministro Plenipotenziario britannico in Giappone nel 1865.
Ambasciatore a Tokyo sino al 1883. Grande esperto dell’Asia Orientale (aveva abitato in Cina sin dal
1841 ed era stato Console britannico a Canton nel 1856), fu uno dei maggiori artefici della politica
estera inglese in Cina e Giappone (CZ).
299
Corrispondenti a 2000 once da 25 grammi (CZ).
300
Si tratta sicuramente di T. T. Fergusson della Fergusson & Co con sede a Cefoo (CZ).
301
Pompeo rifletteva allora una perplessità comune a molti bacologi dell’epoca: che i bachi
allevati in zone più meridionali delle nostre, o comunque più calde ed umide, fossero meno adatti ad
ambientarsi nella Val Padana. Oltre ad avere molte eccezioni, questa “regola” non si sarebbe comunque
applicata agli acquisti effettuati a Yokohama, poichè i bachi non erano allevati nei suoi dintorni, ma
in zone di alta collina poste parecchio più a Nord, come verificherà di persona Pompeo stesso quando
150
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
pone riuscì benissimo e fu l’ultima che resistette alla malattia dei bachi, che in
appresso invase il Giappone.
Prima di lasciare Tientsin e il Nord Cina continuai il viaggio, dopo alcuni
/155/ giorni, per Pechino, per informarmi dai Missionari sopra la coltivazione
bachi del Nord Cina e se potevo penetrare in Corea. Il signor Teobaldo Sandri,
gentilissimo, mi trovò due carrette e l’interprete e sopra una larga strada fangosa,
pernottando in un villaggio, arrivai a Pechino. Il luogo dove pernottai aveva
il letto sopra un volto; sotto, si vede che nell’inverno accendevano il fuoco.302
Portai con me pane, sardelle, forchette ecc., e il signor Sandri mi disse: “Non vi
è grave pericolo, scorazzano rare volte delle truppe, piccole squadre di ribelli, i
taipin, e avrai facile a conoscerle per essere a cavallo con lunghissime picche”303.
Aggiungeva che il caso è assai difficile; poi, se volevo andare, non c’era da pensarci
troppo. Presi con me un grosso revolver e la smania, la febbre che avevo di veder
Pechino - mi sembrava un sogno - mi fece nel viaggio quasi dimenticare i taipin.
Il secondo giorno che ero in viaggio /156/ incontrai circa quaranta persone a
cavallo con lunghissime picche. Guardai il conduttore e l’interprete, che parlava
un inglese rotto (Picen English)304: la loro espressione era tranquilla, mi dissero
che potevano essere guardie imperiali, soldati dell’Imperatore, difatti mi passarono accanto, mi guardarono attentamente e non mi fecero alcun atto ostile.
Arrivai a Pechino e alle porte mostrai il passaporto che conservo ancora (passaporto cinese),305 che ebbi a mezzo dell’ambasciata inglese a Shanghai. Forse 400
persone mi attorniarono: a quel tempo, nel 1864, un europeo era un oggetto di
curiosità. Per essere più libero, non ho creduto di recarmi all’ambasciata inglese.
Non vi era albergo fatto per europei ed alloggiai in un albergo perfettamente
cinese. Nell’albergo ero oggetto di curiosità. La sera venne da me l’albergatore,
pregandomi, a mezzo dell’interprete, con molti cincin,306 saluti che danno gentilmente, un po’piegati, con le due mani in guisa /157/ di pugno, in posizione
di chi prega (i pugni non sono uniti, ma alla distanza di circa 30 ai 40 cm), se
avevo la bontà di ricevere alcuni signori che desideravano vedermi da vicino.
Finite le mie scarse provvigioni mangiai il pane cinese, che era quasi della
diverrà più pratico dei luoghi (CZ).
302
Mazzocchi descrive una tipica stufa-forno delle abitazioni della Cina del Nord, il “kang”, la
cui parte superiore, piana, era usata in effetti anche come letto (riscaldato) nei rigidissimi inverni delle
province settentrionali della Cina (CZ).
303
Il riferimento è alla lunga e vastissima rivolta agraria dei Taiping che sconvolse gran parte
della Cina Centrale per oltre quindici anni e portò alla creazione di un forte governo, alternativo a
quello imperiale, giungendo, a volte, a minacciare militarmente anche Pechino. Nell’estate del 1864,
comunque, i ribelli erano già stati più volte sconfitti e la loro capitale Nanjing (Nanchino), nella Cina
centrale, espugnata. Il rischio, tanto più a Nord, poteva forse essere per qualche gruppetto di sbandati,
ma sembra assai poco probabile (CZ).
304
“Pidgin English”: sorta di “lingua franca” o gergo da bazar, comprendente molti termini
inglesi più o meno storpiati, usato nei contatti ordinari tra cinesi ed inglesi (o altri stranieri) (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
151
forma del nostro (non delle pagnocchine) e aveva l’aspetto del nostro quando lo
mettono nel forno; sopra il pane vi erano tre o quattro zobbie (giuggiole). Il pane
aveva il gusto dei nostri gnocchi, ma era friabile, abbastanza buono.
Visitai quanto vi era in Pechino e il Palazzo d’Estate e i Missionari. Il padre
Adossio mi aveva invitato a fare insieme una gita alla Gran Muraglia, ma non
avevo il tempo. Ho veduto la grossa campana cinese che battevano con un legno.
Come tutte le [loro] campane [era] senza battacchio e coperta tutta di caratteri.
Nel refettorio dei Missionari un cinese leggeva un libro cinese. I Padri avevano
/158/ [i capelli raccolti a] coda.307 (1)
Mi ricordo del prof. Ghibellini che ebbi a maestro al Ginnasio, rinomato per
le sue cognizioni geografiche, che parlando di Pechino disse: “Se a Pechino vi
andassi con questa velada308 che ha i bottoni dorati, i cinesi, sono sicuro, sono
tanto furbi che mi ruberebbero tutti i bottoni”. Allora avevo 14 anni. A Pechino
35. Come mi ricordo le cose da ragazzo! Il prof. Ghibellini non [avrebbe potuto]
viaggiare in un paese più sicuro se [quei bottoni] fossero stati d’oro, immaginarsi
poi se falsi! Tutti conoscono a vista, al tatto, al peso, l’oro più o meno buono e
così l’argento. Non è come qui che, abituati a questi valori mancati, non vi si
bada e pochi, al suono o alla vista, sanno giudicare il valore. Lasciai Pechino
assai contento di quanto avevo veduto e spiacente di essere impossibilitato, per le
informazioni dei Missionari, di recarmi in Corea.
Ritornai a Tientsin, in casa del signor /159/ Sandri e, curioso, ho speso 5 lire, ovvero
un dollaro, per vedere un piede piccolo storpio chinese.309 Da Sandri ebbi aneddoti e
informazioni preziose riguardo alla guerra franco-inglese contro i cinesi nel 1858310.
Quando i soldati europei partirono vi furono fuochi artificiali dall’allegria in tutta la
Cina: la nuova si propagò come un lampo e [ci furono] luminarie e spari.
Adesso gli europei si impongono ai cinesi disarmati, ma in brevi anni i cinesi si
faranno rispettare. È un Impero in sfacelo, ma è troppo vasto e ricco e loro sono troppo
amanti delle loro istituzioni, della loro razza, per lasciarsi imporre dall’estremo occidente.
305
306
Il passaporto è stato rinvenuto tra le carte di Pompeo Mazzocchi (NdR).
In cinese odierno “qing-qing” espressione dialettale di risposta ad un ringraziamento o ad un
saluto, già rilevata dai viaggiatori europei del XIII secolo, ma oggi in disuso. È all’origine del nostro
“cin-cin” ai brindisi (CZ).
307
Sotto la dominazione della dinastia mancese dei Qing (1644-1911), i sudditi di etnia cinese
erano obbligati a portare i capelli raccolti in un lungo codino. I missionari si erano adeguati a questa
costumanza (CZ). (1) Non posso dilungarmi, ché sarebbe troppo lungo. Mancai di spiccioli, e feci spezzare
dei dollari americani per dare un pezzetto d’argento a pagamento dei piccoli servigi. Nota di Pompeo
Mazzocchi (NdR).
308
Soprabito (NdR).
309
Ad una parte delle donne delle classi sociali più elevate venivano fasciati i piedi sin da piccole
in maniera tanto stretta da impedirne la crescita in lunghezza, deformandone l’arco plantare. Il piede
così accorciato era apprezzato esteticamente e considerato segno di distinzione sociale, pur provocando
152
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
56. Giovanni Mazzocchi, fratello di Pompeo, con la moglie ed i cinque figli, ritratti a Travagliato (Brescia) verso il 1905. Per gentile concessione degli eredi.
Prima di partire per Shanghai, scrissi al signor Andreossi i motivi che mi persuasero
di lasciare il Nord Cina e di recarmi ad Hakodate e lasciai il signor Sandri - un gentiluomo di Alba, Piemontese, cucinava all’italiana - dove stavo benissimo. /160/
Ero fiero di lasciare il Nord Cina, malgrado l’interesse che avevo di rimanere;
interesse mio privato, visto che ero spinto dal dovere di meritare la stima e la
preferenza che mi era stata data.
Cari figli, dovete conoscere il contratto che avevo coll’Andreossi per apprezzare
questa mia risoluzione. L’Andreossi mi avrebbe dato di stipendio 12.000 lire, [oltre
a] tutto pagato [in prima classe], se la società impiegava nell’[acquisto di] seme bachi
due terzi (2/3) del capitale sociale; diversamente, 6.000 lire. Ora, se rimanevo a
Tientsin, non avevo tanta responsabilità, [avevo] tutti i comodi e colle 100.000 lire
che avevo ero sicuro che venivano impiegati i 2/3 [del capitale sociale].311
Invece badai solamente all’interesse della società e di Andreossi, e sono partito.
Con tanti disinganni e ingratitudini che soffersi non so se sarei capace di fare
altrettanto ora.
Questo fu il principio della fortuna di Andreossi e della mia. /161/ Persuadetevi, cari figli, che non si sbaglia mai a tenere la strada - se la conoscete - dritta.
sofferenze gravi e rendendo difficilissima la deambulazione. La pratica, comunque limitata, stava già
cominciando a sparire al tempo in cui la constata Mazzocchi, ma restava oggetto di inorridita meraviglia per gli occidentali e qualcuno, a pagamento, era disposto ad esibire loro la deformazione (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
153
In tutti i casi la vostra coscienza è quieta, orgogliosa e vi assicurate un credito che
vi sarà utile per sempre.
Il signor Sandri, dopo vari anni, venne a Coccaglio e si soffermò 2 o 3 giorni,
poi recossi a Parigi, ora non so se è vivo. Si era recato in Cina per dispiaceri domestici e fece fortuna in commercio. Era uomo assai simpatico, bravo ed onesto.
La semente di Cina riuscì male, quella del Nord Giappone, Isola Yesso - Hakodate, dove mi sono recato, riuscì assai bene. La Società Andreossi e C. fu salva
312e il mio credito stabilito e riconosciuto.
Ora, ritornando al mio viaggio da Pechino, arrivai a Tientsin, dove, con una
carretta, arrivai ai forti di Taku costeggiando il fiume Beiho. A Taku mi fermai
un paio di giorni e visitai i forti cinesi alle foci del fiume, forti decantati, ma
ridicoli in confronto dei nostri. A Taku pagai /162/ 1.00 dollari.
Arrivò il vapore Febona, il 23 aprile 1864, che mi condusse a Cefoo, leggesi
Cifù, al Nord dello Shantung, dove feci conoscenza con un certo signor Pignatelli
e sua signora, unica [europea] in quel sito. Da Cefoo arrivai felicemente a Shanghai e nel ripassare guardavo i monti ed ero contento quando ne scorgevo alcuni
che avevano l’aspetto del monte di Coccaglio.
Mi fermai a Shanghai, aspettando un vapore che si recasse al Giappone per
portarmi ad Hakodate. Per combinazione, un inglese si recava con un vapore
detto London a Nagasaki per venderlo. Era il 14 maggio1864 e mi recai [a
Nagasaki] su questo.
Arrivai felicemente a Nagasaki il 17 maggio 1864, ero il solo passeggero a
bordo. Alloggiai all’Hotel Bel Vue, condotto da madame Green313 e la sera, con
un certo signor Mancini, feci una passeggiata per la città. Parlavo inglese col
Mancini, poi francese, credendolo francese. Finalmente mi accorsi che era italiano
di Ancona.314 Feci vari /163/ acquisti col mio compagno di oggetti di curiosità.
Vi soggiornai 14 giorni e pagai all’albergo 45 dollari per giorni 14. All’Astor
House a Shanghai si pagava, escluso il vino, una sterlina al giorno.315
La città era interamente bellissima, non la descrivo per brevità. Feci una
passeggiata coi Missionari francesi sopra un monte che discendeva a picco sul
mare, dove dicesi precipitarono i giapponesi che non volevano abiurare la
310
311
La cosidetta “Seconda Guerra dell’Oppio” (1856-1860) (CZ).
Se ne ricava che il capitale sociale impiegato nell’impresa fosse di 150.000 lire. Sembra però
inverosimile che Pompeo, che va ad operare su di un mercato poco sicuro e poco valutato come quello
cinese, avesse in mano 2/3 del capitale e gli altri due, tra i quali il capo della spedizione, ne avessero solo
1/3 per fare acquisti sul mercato più appetiibile e più rinomato. La stranezza si può risolvere pensando
che Andreossi, oltre al capitale della Società in accomandita per cui agiva, avesse portato con sé altri
rilevanti capitali, in conto proprio o in conto terzi (CZ).
312
Mazzocchi pecca qui di un certo autocompiacimento. Se i suoi meriti nell’operazione furono
indubbi, va però ricordato che anche il seme-bachi raccolto da Pietro Frigerio e da Enrico Andreossi si
mostrò di buona qualità (CZ).
154
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
religione cristiana.316 Là sopra vi era un pagoda, forse prima era una chiesa
cristiana. I Missionari mi dissero che era il loro pellegrinaggio, ma nell’andarvi
sbagliammo strada.
In una passeggiata che feci poi, solo, sulle colline stupende che contornano
Nagasaki, di quando in quando vedevo una biscia. Quando sparì il sentiero, per
timore di schiacciarne sull’erba, ritornai. Avendo dopo veduti i Missionari, raccontai loro delle bisce che avevo vedute e dissi: “Non /164/ devono essere velenose,
perché ho veduto poco discosto giapponesi scalzi che lavoravano nelle piccole risaie
ai piedi del monte, come noi abbiamo le vigne”. Mi rispose uno: “Va bene, sarà
così, ma il ne faut pas se fier (perbacco, dei serpenti non mi fido)”.
Finalmente, un piccolo shooner a vela di 200 tonnellate, il Berlino,317 partiva per Hakodate e così pagai per il passaggio 60 dollari. Collo schoneer sono
partito il 31 maggio 1864 da Nagasaki (isola di Kyushu) e arrivai a Hakodate
il 14 giugno. Il viaggio fu buono. A Nagasaki andai tardi a bordo, e domandai
al capitano quando partiva. Mi disse: “Domani di buon’ora”. Il bastimento era
piccolo, dormii benissimo e mi alzai tardi. Fuori della cabina trovai il capitano e
gli dissi: “Sono le 8 o le 9, non è ancora partito?” Mi rispose: “Venite sul ponte”.
Mi trovai in alto mare fuori della vista di Nagasaki. Abituato coi vapori che
fanno rumore /165/ prima di partire, restai sorpreso, contento.
Avevo un sol compagno di viaggio; mi ricordo che era miope. In alto mare,
fra la Corea ed il Giappone, malgrado sia sito dove regnano i venti, trovai la
bonaccia. Il piccolo bastimento, invece di andare avanti, si fermò e pareva che
indietreggiasse. Ad un [certo] momento ci trovammo in mezzo ad un branco di
pesci, [simili alle] aringhe. Erano tante che sembrava che quelle di sotto alzassero
quelle di sopra. L’acqua e i pesci facevano delle piccole onde. Un cinese che era a
bordo disse: “Troverò il mezzo di pescare anche se non vi sono reti. Lasciate fare
a me” e capitò con un cesto legato con una corda e dentro un sasso. Lasciò discendere la cesta nell’acqua, la quale fu coperta piena di pesci. Poscia tirò la corda.
Ne saltavano fuori molti, ma un buon numero si videro saltellare sulla coperta.
La coperta era piena di aringhe e ne avremmo prese di più se il passeggero miope
non avesse voluto pescare: tirava la corda [a sproposito] e così si rovesciava /166/
la cesta e molte fuggirono. Un po’di vento ci tolse di mezzo ai pesci.
313
Il Bellevue Hotel di Nagasaki risulta effettivamente gestito in quegli anni da una “Mrs. M.
Green” (CZ).
314
Nicola Mancini (1832-1880), di Pesaro. Risulta esser stato un tecnico specializzato, impiegato,
nel 1871, al laminatoio della Zecca governativa di Kawasaki. Su di lui e sui suoi familiari vi sono casuali
riferimenti nella stampa periodica in lingue straniere del Giappone. Muore in Giappone nel 1880
(CZ).
315
I dollari cui fa riferimento Pompeo Mazzocchi sono i dollari “messicani” d’argento (coniati in
Messico con l’argento di quelle miniere), detti anche “americani”. Fu moneta corrente in tutta l’Asia Orientale
per i commerci internazionali per più secoli. Il dollaro valeva ca. 5 lire. Il prezzo dell’albergo di Nagasaki risulta
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
155
57. Il matrimonio di Camilla Mazzocchi con Giacomo Prandelli a
Coccaglio nel 1919. Per gentile concessione degli eredi.
Allo stretto per entrare a Hakodate, mi pare
lo stretto di Stugar318,
vi è corrente e se non
vi è il vento è difficile entrarvi. Trovai là
l’Andreossi, arrivato da
Yokohama, che ebbe
[la mia] stessa idea [di
andare a Hakodate, ma
che] ripartì dopo pochi
giorni sopra un vapore
di guerra. Alloggiai in
casa di un certo signor
Duus, agente della Casa
Lindsay319. Col signor Duus mi trovai benissimo.
Appena partito l’Andreossi, sorse un tifone e si credeva il vapore perduto; un
vapore partì per vedere se trovava traccie di naufragio. L’Andreossi potè sfuggire,
ma arrivò tardi a Yokohama.
A Hakodate l’Andreossi mi diede comunicazione [dell’arrivo] di un buon
numero di cartoni, [per i quali aveva] dato un acconto, [ma] non sapevano se
ci fosse [mescolato anche del seme di bachi] bivoltini. Che fortuna, [invece]! Li
ricevetti tutti annuali, e riuscirono benissimo.320
Tutte le mie lettere [spedite dal Giappone] vennero distrutte, ma trovai una
mia carta delle spese e sopra questa trovo notato /167/ che il 25 giugno morì di
morte improvvisa il comprador 321del signor Duus, un cinese. Mi ricordo le
strane cerimonie. Morì anche improvvisamente un comandante di una nave.
quindi di circa 16 lire/giorno, contro le 25 lire (una sterlina) dell’albergo di Shanghai (CZ)
316
Il riferimento dev’essere a un episodio del 1597 in cui vennero giustiziati 26 giapponesi convertiti
(CZ).
31 “Schooner”, termine inglese per un particolare tipo di veliero, di non grande stazza, a due o più alberi
(NdR).
318
Pompeo storpia nel ricordo il nome giapponese - Tsugaru - dello stretto (CZ).
319
John Henry Duus. La Lindsay & Co era tra le maggiori ditte commerciali britanniche in Asia
Orientale. Nella spedizione in Giappone del 1865 Mazzocchi tornerà a cercare appoggi presso la Lindsay &
Co e presso Duus (vedi oltre e anche Caterina Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi, cit., p. 137, trascrizione delle
lettere di Mazzocchi e di Dusina del 19 giugno e del 12 luglio del 1865 a Gaetano Facchi, Sindaco di Brescia)
(CZ).
320
Sul seme bachi dei bivoltini (pochissimo quotato in Italia e a rischio fermentazione nel lungo viaggio
da Yokohama al nostro paese) e su quello “annuale” si veda la n. 75 all’Introduzione (CZ).
321
Il termine, di origine portoghese, indicava un uomo di fiducia, indigeno, che si occupava degli acquisti
sui mercati locali per conto di qualche funzionario o mercante occidentale e, più in generale, della gestione dei rapporti di afffari con i locali (ed è in questo senso che qui Pompeo lo usa). La parola ebbe in seguito, per i movimenti
156
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Venne posto alla lotteria un [suo] fucile, valutato 600 lire, che guadagnai con un
numero [che avevo acquistato] e [che] regalai al signor Duus. Ho messo a debito
di An-dreossi il numero che avevo giocato, ma sarebbe stato meglio se avessi tenuto
il fucile per farne regalo al mio povero fratello Gabriele al mio ritorno. Era della
fabbrica Devisma di Parigi.
Il 1 agosto feci una gita a cavallo col console francese nell’isola di Yesso [Hokkaido]; ho veduto bozzoli e farfalle. Ad Hakodate vi erano pochissimi europei, forse
12 o 20 e, fra gli altri il capitano Blakiston, che scrisse un’opera sopra un viaggio
nell’interno della Cina,322 e il capitano Wise, console inglese.323 Col capitano
Wise sono stato a teatro e con una scala a mano salimmo sul palco, dove diede lo
shampagne al giapponese e agli europei che aveva invitati a vedere i giuochi dei
/168/ prestigiatori giapponesi. Era stato capitano a Londra delle guardie della
regina. Disse e parlò degli Aïnos, indigeni dell’isola, mezzo selvaggi, pelosi, e [fece]
mandarne degli scheletri al Museo di Londra. Venne poi traslocato in un altro sito
per acquietare gli Aïnos.324
Finalmente, messi insieme i cartoni, ultimati i conti, colle casse partii col City
of Nantes, piccolo vapore, per Shanghai.325 Dal capitano comperai la carta geografica dove si vede dove passò il vapore e le burrasche avute. Sull’istesso vapore
era certo Alpiger,326 che credevo morisse dal mal di mare. Anch’io soffersi assai,
[ma] fu l’ultima volta. Le onde avevano rotto i grossi vetri che davano chiaro
sul salottino. Vi avevano inchiodato delle assi, ma di quando in quando le onde
che battevano sopra il ponte mandavano getti d’acqua nel piccolo salottino dove
acqua e altre provvigioni, vestiti ecc. ondeggiavano e si perdevano sotto.
28 febbraio 1901, dico 1901
/169/ Continuo a memoria, senza avere delle note di viaggio.
Arrivai a Nagasaki ed alloggiai coll’Alpiger all’istesso albergo dove ero stato
nell’andata a Hakodate, il Bel Vue Hotel, e dormii nella stanza con Alpiger. La
sera levai il materasso e lo misi in terra: così mi pareva di esser fermo e di mettere
a posto la testa che mi girava. Mi fermai a Nagasaki 2 o 3 giorni, intanto che si
nazionalisti e indipendentisti dell’Asia Orientale, una connotazione fortemente negativa, ad indicare le persone
(indigene) asservite agli interessi di sfruttamento degli imprenditori stranieri o delle potenze coloniali (CZ).
322
Si tratta del capitano d’artiglieria Thomas Wright Blakiston (1832-1891), inglese, autore di
Five months on the Yang-tsze..and notices of the present rebellions in China, Murray, London 1862, che
parla del Fiume Azzurro e della rivolta dei Taiping. Il libro è citato da Mazzocchi anche più oltre, al
foglio 188 del dattiloscritto. Blakiston avrebbe in seguito scritto sull’isola di Hokkaido e, naturalista di
un certo valore, avrebbe anche compilato un fortunato Birds of Japan (in collaborazione con H. Pryer)
(CZ).
323
Si tratta di John Howard Wise della ditta Holliday, Wise and Co. Era uso frequente che il
consoli fossero scelti tra i membri della comunità mercantile o imprenditoriale (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
157
riparava il vapore e partii per Shanghai.
Anche in questa attraversata sono stato
preso dal cattivo tempo e dalla burrasca. Nella relazione del [mio] giornale di
[viaggio], al nostro arrivo a Shanghai, vi
è la parola tremenda, mare [in burrasca].
Con tutto questo, con mia meraviglia, non
soffersi nulla, mentre l’Alpiger sofferse come
prima. Con questa attraversata chiusi il
tempo che soffrivo il mal di mare; dopo, cioè
dal 1865 al 1880,(1) non soffersi nulla,
mentre vi sono molti /170/ che mai non
possono abituarsi.
Ebbi la fortuna grandissima che non ho
avuto avaria nei cartoni, altrimenti, con
questa disgrazia, sarebbe stata per me chiusa la via ad altri viaggi, senza [contare] il
58. Adele Mazzocchi, figlia di Pompeo, nella
dispiacere immenso. La mia vita sarebbe
casa paterna in parte arredata con oggetti
orientali. Inizii del ‘900. Per gentile concesstata cambiata.
sione degli eredi.
A Shanghai alloggiai all’Astor House.
Dopo, col signor Frigerio capitò il signor
Andreossi da Yokohama colle loro casse [di seme-bachi] e il signor Andreossi
con me fu gentilissimo e rimediò alle parole che mi aveva detto quando lasciai
Tientsin per Hakodate.327 In quell’anno 1865 [in realtà: 1864 NdR] vennero
esportati [dal Giappone]circa 400.000 o 500.000 cartoni. Dalla Cina non
vi furono che i miei 40 o 50 Kg di sgranato328 che avevo ordinato al signor
Teobaldo Sandri di Tientsin. Se fossi restato a Tientsin e avessi portato [molta]
di quella semente, la Società Andreossi avrebbe sfigurato in confronto degli altri
che avevano tutte le loro esportazioni di cartoni giapponesi. Aggiungo la fortuna,
che ebbi grandissima, che la semente giapponese, sia /171/ di Yokohama che di
Hakodate riuscì benissimo, mentre quella del Nord Cina andò male e i [pochi]
bozzoli [ottenuti] furono più scadenti.
324
Ainu, la popolazione aborigena dell’arcipelago giapponese. Ai tempi di Mazzocchi era già
enormemente ridotta ed abitava solo una parte della più settentrionale isola di Hokkaido, alcune delle
Curili e parti di Sakhalin, mantenendosi prevalentemente con la caccia e la pesca. Oggi gli Ainu superstiti
sono poche migliaia. I musei ed i collezionisti privati in Occidente chiedevano spesso scheletri o cranii di
individui delle popolazioni “primitive” e molti viaggiatori non si fecero scrupolo di saccheggiare i luoghi
di sepoltura degli indigeni. Così evidentemente fece Wise, causando delle violente proteste tra gli Ainu
(CZ).
325
In realtà, come anche si ricava dal testo che segue, per Nagasaki, per poi ripartire per Shanghai
(CZ).
326
Nel 1864, F. Alpiger e G.B. Biava vengono indicati nella stampa specialistica quali “commessi”
158
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Dopo felice viaggio arrivai a Genova circa il 9 gennaio [1865]. Quante cose
avrei a dire se avessi le mie lettere! Allora non c’era il taglio dell’istmo [di Suez],
né i vapori erano celeri e con le comodità di adesso. Arrivato, ebbi la fortuna di
abbracciare i miei genitori e fratelli e di trovare tutti contenti.
Nel primo viaggio al Giappone del 1864, come scrissi, eravamo in tre: il
promotore, signor Enrico Andreossi di Bergamo, Frigerio Pietro di Bergamo ed
io. Eravamo in tre ed io ero [stato] destinato, occorrendo, per la Cina e Corea.
Nel suddetto primo viaggio, avendo veduto che la semente di Cina era riuscita
male, non vi era altro che il Giappone. [L’anno seguente] all’Andreossi bastava
Frigerio: essendo il secondo anno [ed essendo ormai] pratici del Giappone, non
avevano bisogno di altro personale.
Il signor Andreossi mi regalò, oltre lo /172/ stipendio di 12.000, altre 1.200 lire.
Nel 1865 si costituì una società bacologica a Brescia, la Società Bacologica
Bresciana per l’acquisto del cartone al Giappone329, dal signor Gaetano Facchi, sindaco330 e dal signor Luigi Mazzuchelli, assessore331, sotto il patrocinio
del Municipio. Dopo, aperta la sottoscrizione dell’acquisto dei cartoni, vennero
chiamati i sottoscrittori e gli azionisti della Camera di Commercio per eleggere
quelli che dovevano recarsi al Giappone, o [più precisamente] per eleggere il capo,
il responsabile che doveva recarsi al Giappone, e questo capo aveva il diritto di
scegliere due compagni, sempre coll’approvazione del sindaco e del signor Mazzucchelli, ecc.
Sono stato eletto quasi all’unanimità ed il sindaco Gaetano Facchi mi chiamò
per sentire cosa pretendevo. Restammo d’accordo per 6.000 lire e mi pare anche
[altre] 6.000 lire se venivano impiegati i due terzi del capitale sociale, [oltre
in Giappone del grossista bergamasco di seme-bachi Ing. Francesco Daina. Alpiger, residente a Bergamo e
verosimilmente membro della comunità evangelica svizzera di quella città’, si recherà più volte in Giappone
negli anni successivi (CZ).
(1) Ho detto: dal 1865 al 1880 sono stato al Giappone negli anni 1864, ‘65, ‘68, ‘69, ‘70, ‘71, ‘72,’73, ‘74,
‘75, ‘76 ‘77, ‘78,’79,’80. Dopo il ritorno nel 1864 non soffersi il mal di mare. Nota di Pompeo Mazzocchi
(NdR).
327
Evidentemente Andreossi, quando s’incontrò con Mazzocchi a Hakodate, lo rimproverò di aver
lasciato la Cina per venire in Giappone. Di questo rimbrotto non c’è traccia nelle pagine che precedono
(NdR).
328
Seme-bachi sciolto, non attaccato su cartoni o su pannolini. V. sopra, nota 135 (CZ).
329
Su questo episodio si veda in particolare il citato volume della C. Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi…, pp. 70 e segg. e appendici. Sul viaggio in Giappone del 1865 esiste, presso l’Archivio di Stato
di Brescia, un “libro-giornale” compilato da Pompeo Mazzocchi per i suoi committenti. Numerosi
estratti di questo sono stati riportati nel volume della Saldi Barisani sopra citato (NdR).
330
Gaetano Facchi (1812-1895), imprenditore nel settore del ferro e proprietario terriero con
forti interessi in bachicoltura. Fu Sindaco di Brescia dal 1862, mostrando grandi capacità organizzative ed innovative, specie nel settore fiscale. Aggravatasi la crisi della pebrina, fu tra i fondatori e gli
animatori della Società Bacologica Bresciana. Suo fratello, Giovanni, sposò Camilla Fè d’Ostiani, sorella
di Alessandro Fè d’Ostiani, futuro Ambasciatore italiano in Giappone ed anch’egli, assieme ai fratelli
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
159
a] alcuni centesimi per cartone, mi pare 15, se /173/l’operazione fosse riuscita
benissimo.
Proposi per compagno il signor Antonio Dusina di Brescia332; mi disse che già
era nella loro mente: riuscì galantuomo e capace. Non sapevo chi scegliere per terzo.
Una mia seconda cugina, Pellegrini, maritata Ghisenti333, mi raccomandò un
certo Gattinoni334, ma il sindaco non lo volle, perché era stato diversi anni a S.
Francisco di California, credo 7 anni, ed era ritornato senza danari, con pochi
mezzi. Temeva il capo di affidargli somme rilevanti, potendo succedere [qualcosa].
Questo Gattinoni venne da me, mi disse che dai 6 agli 8 anni eravamo stati in
collegio insieme, al collegio Bertacagni (io non mi ricordavo, né potei rissovenire)
e volle che ci dessimo del tu. Sembrava giovine serio, istruito e lo raccomandai
al signor Facchi. La signora Pierina335 mi ripeteva le buonissime informazioni.
Finalmente persuasi il signor Facchi e fu accettato. Gli volevano dare 3.000 lire
e lo persuasi di non accettarle, /174/ e di dargli [invece] 6.000 lire perché i stipendi sono alti al Giappone [e lui], dopo, non sarebbe [stato] contento, e infine,
se tutto andava bene, col capitale di oltre 300.000 lire non vi era da sofisticare.
Il Gattinoni era impiegato all’Ufficio Ipoteche con 600 o 800 lire annue.
Il signor Facchi Gaetano, sindaco di Brescia, mi domandò come doveva fare i
crediti al Giappone: gli feci osservare che sarebbe bene di comperare a Marsiglia
i dollari messicani che hanno corso al Giappone336 (i pagamenti si fanno in
urgente337 e i crediti sono in sterline) perché, sia per le sete sia per i cartoni,
sarà facilissimo che il corso dei dollari in argento abbia a rialzarsi. Per questo il
signor Facchi mi diede 100 biglietti da mille, che allora valevano come oro, per
cambiarli a Marsiglia. Diedi a Dusina 50.000 lire e altrettante le ho cucite nella
tasca interna del gilè.
Il mese di gennaio 1864 partii col signor Antonio Dusina per Genova e da Genova per Marsiglia /175/ A Marsiglia, dal banchiere Pascal Fils et Compagnie feci
cambiare le 100.000 lire in tanti dollari e per essere sicuro che erano buoni li feci
esaminare da un assaggiatore e li feci mettere a bordo in tante cassette. Coll’argento
non c’è bisogno di assicurarlo per avaria.338
Da Marsiglia arrivammo felicemente ad Alessandria e da Alessandria, colla ferrovia,
Pietro e Marc’Antonio, grandemente interessato al commercio di seme-bachi. Suo figlio, Paolo Facchi
(1833-1924), si recò svariate volte in Giappone per acquistare seme-bachi (CZ).
331
Luigi Mazzucchelli era Presidente della Camera di Commercio di Brescia e, in quella veste, si
era occupato più volte del tema bacologico. Alla fine degli anni ’50 aveva personalmente partecipato
alla ricerca e commercio di seme-bachi nel Vicino Oriente assieme al Conte Ignazio Lana (CZ).
332
Antonio Dusina (Brescia, 1833-1906). Sarà uno dei più attivi semai bresciani in Giappone,
lavorando, oltrechè per l’Associazione Agraria ed il Comizio Agrario di Brescia, per la Alcide Puech di
Brescia (sulla quale v. Introduzione). A partire dal 1870 gli si affiancherà Giuseppe Mazzoldi, anche lui
bresciano. Più tardi, la Dusina e Mazzoldi agirà anche in proprio e risulta ancora in attività nel 1883.
Di Antonio Dusina sono segnalati almeno 10 viaggi in Giappone tra il 1864 ed il 1874 (CZ).
160
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
59. Veduta del porto fluviale di Calcutta. Prima metà del 19° secolo. Collezione privata.
60. Pianta della città e porto di Yokohama in una delle prime stampe giapponesi del sito. Circa 1865.
Cm. 74x150. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
161
andammo al Cairo. Mi pare alloggiammo all’Hotel d’Orient. Al Cairo infieriva il
colera e partimmo il giorno dopo per Suez. Allora non vi era il canale e tutte le merci
traversavano l’Egitto. Arrivammo a Suez con un caldo eccessivo; deve essere stato in giugno. L’albergatore dell’Hotel Suez era un marchese che parlava l’italiano; gli abbiamo
raccontato che eravamo diretti al Giappone per l’acquisto del seme bachi.
Dopo 15 giorni partì il Gattinoni da Brescia; partì dopo [di noi] per vedere
l’ammontare [finale] delle sottoscrizioni e portarmi altre /176/ credenziali.339 Le
credenziali erano tutte al mio nome, a vista, a 15 giorni, a 3 mesi o a 6 mesi.
Fece lo stesso viaggio ed arrivato il Gattinoni ad Alessandria, circa 15 giorni dopo
che noi eravamo partiti, lesse i giornali [del luogo]340 e con sua meraviglia non ci
trovò nel numero di quelli che erano notati. [Gattinoni non sapeva che] il giornale
aveva notato quelli che si fermavano in Egitto, non quelli che proseguivano per Suez
e l’Estremo Oriente. Che fece egli? Sapendo che noi avevamo 100.000 lire, telegrafò
a Brescia al signor Facchi che Dusina ed io non eravamo arrivati in Egitto.
Questo l’ho saputo dopo che ritornai a casa dal Giappone. Il signor Facchi, in
pensiero che, senza avvisarlo, avessimo perduto il vapore a Marsiglia, mandò a Coccaglio, in casa di mio padre, l’ingegner Bellini, allora presidente del Comizio341 (il
Comizio si era unito alla [Società] Bacologica Bresciana), per sentire se mio padre
aveva /177/ nostre nuove. Trovò mio padre allegro e quei di famiglia pure, in
paese nessuna nuova in contrario. Per delicatezza, [Bellini] non palesò [le sue
preoccupazioni], non si dimostrò allarmato. Ecco il compenso di aver giovato al
Gattinoni!
Allo stesso Gattinoni, [qualche tempo] dopo, domandai un giornale bresciano
per leggere: mi disse che potevo farmelo spedire. [Avendo domandato] ad uno di
Brescia che lo conosceva, se era stato grato ai suoi genitori, mi disse che vivevano
in ristrettezze e che fu ingratissimo. Ad altri ho giovato assai di più, ed ebbi assai
peggio! Mi è rimasta una [grande] sfiducia, dopo tanti disinganni [inenarrabili]!
Se ho fatto del bene - perché soffrivo, avendo dei mezzi e [essendo] senza figli,
a non farlo - lo feci, ma sempre senza sperare di essere corrisposto. Per dovere, per
amore, per stima, per amicizia, non col pensiero [che] avrò la soddisfazione che
avrò delle persone che mi vorranno [un] bene grato.
Proseguo. Col signor Antonio Dusina arrivo /178/ a Point de Galle e ricevo un
dispaccio dal sindaco signor Facchi, di rispondere se ho fatto buon viaggio. Ero
d’accordo che se mi succedeva qualche fatto di qualche entità l’avrei avvisato per
telegrafo. Il dispaccio costò al signor Facchi un centinaio di lire e più, altrettante
occorrevano per la risposta. Avrei fatto bene a telegrafare, ma credo che non ho
333
Come dice Pompeo all’inizio del suo Diario (foglio 2), Maddalena Armanni, sorella di sua
nonna paterna, aveva sposato un Pellegrini di Brescia (NdR).
162
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
telegrafato, [perchè] quasi indispettito di
ricevere
un telegramma di così poca importanz a .
Ho dimenticato di dire, o ripeto, che
il Gattinoni telegrafò che Dusina
ed io non eravamo arrivati ad
Alessandria, ma quando seppe
a Suez dall’albergatore che eravamo passati, che i passeggeri
che attraversavano l’Egitto non
erano nominati sul giornale,
allora il Gattinoni, invece di
smentire con telegramma quanto
aveva telegrafato ad Alessandria,
si contentò di una lettera, che per
il colera arrivò più tardi del solito
a Brescia.
/179/ Da Suez per l’Italia vi era il
6 1 .
telegrafo. Fra il Cairo e Suez si fermò il
Vi t t o r i a
Almici Maztreno e i fili telegrafici che attraversavano la
zocchi, mo-glie di
ferrovia, essendo per qualche causa [caduti in terra],
Pompeo. Circa 1881. Per genvennero strappati dal treno. Vi fu allarme fra i passeg- tile concessione degli eredi.
geri, che scesero cogli altri dal vagone. Cos’è, cosa non
è? Andai cogli altri a vedere la [locomotiva]: il macchinista dormiva appoggiato
al vagone e il fuochista fece capire che era ubriaco, che lui non era pratico e che
conveniva aspettare che si svegliasse. Chi passeggiava sulla sabbia rossiccia del
deserto, chi sedeva. Avevo un po’di pane in tasca che mangiai con piacere, invidiato dagli altri. Per strana combinazione, sul treno vi era uno con un orso di
quelli da spettacolo; tirò fuori l’orso, che ci fece ridere e passare il tempo. Allora le
strade [ferrate] in Egitto non erano bene ordinate, i fuochisti erano reclutati fra
gli europei scappati dal /180/ loro paese.
In quel tempo, diebus illis, i vapori sostavano a Shanghai sette giorni ed anche
quindici, aspettando il vapore che partiva per Yokohama. Un anno, non so quale,
vi era il colera fortissimo. Ero alloggiato come il solito all’Astor House ed i cinesi,
334
Vincenzo Gattinoni, bresciano (1830-1908). Operò in Giappone per l’Associazione Agraria
ed il Comizio Agrario di Brescia ed inoltre per la Zane, Damioli e C. (sulla quale vedi sopra, nota 249
su Diego Damioli). Fu in Giappone non meno di otto volte tra il 1865 ed il 1873. La domanda di
Gattinoni al Sindaco di Brescia per partecipare al viaggio del 1865, conservata presso l’Archivio di Stato
di Brescia, è parzialmente riprodotta a p. 78 del volume sopracitato della C. Saldi Barisani (CZ).
335
Pierina Pellegrini in Ghisenti, figlia di Vincenzo Pellegrini, cugino del padre di Pompeo
(NdR).
336
V. sopra, nota 315 (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
163
62. Xilografia giapponese (Nishiki-e). Veduta panoramica della città e del porto di Hakodate nell’isola di
Hokkaido (Giappone settentrionale), acquistata da Pompeo Mazzocchi nel corso della sua permanenza a
Hakodate nel 1865. Cm. 72x34. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
per scongiurare il colera, portarono in processione il genio cattivo, il diavolo, che aveva la
bocca aperta.
Il terreno di Shanghai, formato dal limo del grande fiume, copriva poco i morti. Si
vedevano molti mucchi scoperti di qua e di là, anche attigui ai fossi, essendosi in Cina
la libertà di farsi sepellire dove vogliano -chi ha mezzi-. Se non fanno la buca, per non
mettere il morto nell’acqua, lo coprono sopra facendo un mucchio [di terra]. Vi è sempre
l’aria puzzolente. Questi mucchi sono assai rispettati e quando perdono il terreno, lo ricoprono. Ne ho veduti molti di questi tumoli, come forse /181/ avrò
accennato quando l’anno [precedente] rimontai il Beiho. Feci questo viaggio col
signor Demas, spagnolo, ministro alle Filippine342 e col barone Roche, ministro
a Pechino per la Francia343. Morì il console spagnolo Fortuny di colera. Era
nell’istesso albergo.
Col signor Antonio Dusina partii per Yokohama. Presi una casa assieme al Prete Zilioli
di Trento,344 un galantuomo, buonissima persona. A Trento [vi è] una contrada [strada]
che porta meritevolmente il suo nome.
Sapendo che doveva arrivare Gattinoni e che in tre eravamo troppi a Yokohama, essendo
io pratico di Hakodate, partii per questo porto nell’isola di Yesso dove ero stato l’anno prima
per conto del signor Enrico Andreossi.
337
338
Forse intende “contante” (NdR).
Le monete d’argento venivano assicurate per il loro valore, non per gli eventuali (e assai poco
probabili) danni subiti nel viaggio, mentre nel caso del seme-bachi ci si assicurava anche per i possibili
danni (avarie). Tra le carte di Pompeo Mazzocchi sono sopravissute alcune polizze d’assicurazione,
stipulate in Giappone e relative ad invii di seme-bachi in Europa (CZ).
339
Intende: lettere di credito, da scontare presso qualche filiale di case bancarie europee in Giap-
164
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Diversi anni trovai il colera [nei miei viaggi]: nel 1865 in Egitto, in Cina e in Giappone; al Giappone infierì per molti anni e fortunatamente fui illeso. Un anno ne morirono
800 a Yokohama. A casa scrivevo sempre che non credessero ai giornali, che erano esagerazioni. Ricevevano sempre, per molti anni, le lettere /182/ coi tagli per i sofimigi345 a cui
andavano soggette.
Mi recai quindi a Hakadate [Hakodate] con un vaporetto e come l’anno prima entrai
in casa del signor Duus, agente della casa Lindsay. Nell’albergo vi era un povero giovine,
ufficiale di Marina, pieno di piaghe: la testa era una crosta, aveva le gambe raggrinzite,
non le poteva distendere e dalla camera usciva un odore che infettava il piccolo albergo.
A mezzo del signor Duus e del signor Blakiston, feci istanza al Governatore di Hakodate che mi diede una casetta ad un’altezza [rispetto alla città] come la nostra madonnina.346
Mi ricordo che quel giovine russo mi diede champagne; non sapevo come beverlo, per l’odore che c’era in camera.
Si saliva dalla città, dietro un bel sentiero, alla mia casetta e lungo il sentiero,
contro una pianta, vi era /183/ inchiodata e legata con spaghi, un’assicella con
sopra dei mazzolini di stecchetti, con accanto una cassettina. Mai ho veduto rotta
o manomessa questa mostra: chi prendeva stecchetti, senza alcuna guardia, depositava l’importo, quel che credeva, nella cassetta.347 Per di là passavano, andando a scuola, molti ragazzi: nulla toccavano ed arrivati alla mia porta, se mi
trovavo di fuori, si inchinavano e mi davano il buon giorno: Ohaio, Ohaio.348
Mi pare di vedere gli inchini, sentire le voci! Allora, qui credevano [i giapponesi
dei] semibarbari, barbari!
La sera, quantità immense di corvi passavano sopra la mia casetta; non mi
arrischiavo ad alzare la testa per non arrischiarmi come quello della Bibbia, mi
pare Tobia.349 Cadevano gli escrementi -le schitte350- come quando comincia,
rara e poi più spessa, a cadere la neve.
Non potendo contenere nella mia casa le casse [per il seme-bachi] vuote, per fare
un piccolo portico (prima mia fabbrica) lo copersi /184/ di assi e mi sembrava che
riuscissero meglio delle assicelle sottili dei giapponesi. Il sole e l’acqua lo danneggiarono curvandolo e peggio, e dovetti rifare il tetto come i giapponesi.
La prima notte che vi alloggiai dormii sopra alcune casse; sopra vi avevo disteso
pone (CZ).
340
Ad Alessandria si pubblicavano svariati quotidiani in italiano ed in francese, quali Il Progresso
d’Egitto e Le Phare. Come per i quotidiani europei di allora, vi era sempre una rubrica di “Arrivati e
partiti” che segnalava il movimento dei passeggeri nel porto o i pernottamenti in albergo (CZ).
341
Intende: il Comizio Agrario di Brescia. Per l’esattezza, l’Ing. Giovanni Bellini era Direttore del
Comizio Agrario. V. C Saldi Barisani, Pompeo Mazzocchi.., op. cit., pp. 131-132 (NdR).
342
Dovrebbe trattarsi, in realtà, dell’Ambasciatore spagnolo a Pechino - de Mas - che forse proveniva dalle Filippine, allora colonia spagnola (CZ).
343
Vuol forse dire Leon Roches, Ministro plenipotenziario francese in Giappone (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
165
una specie di materasso. Il mio koskai, servo giapponese,351 dormiva sulle stuoie
vicine. Dormivo benissimo, sognavo, quando, [venendo] un po’scosso, mi sveglio.
Il mio letticciolo era circondato da giapponesi armati, colle loro lanterne: le
guardie della pattuglia notturna. Chiamai il servo. La pattuglia non sapeva che
la mia casa era occupata, credeva fosse vuota, e [inoltre] non sapeva capire come
entro non v’era un lumicino. I giapponesi, la notte, tengono un lumicino, pur
essendo pericoloso e malgrado gli incendi e i terremoti.
Nel 1864 e 1865, la città di Hakodate, di circa 45.000 abitanti, non conteneva, coi consoli, [che] una quarantina di europei: Duus; un missionario russo,
padre Nicola; gli inglesi Capitain Wise e Blakiston; Veure, console francese,352
ecc. Vi era anche certo Gérard che aveva una bottega di [ogni genere di] chincaglieria. A questo Gérard gli mostrai un mio revolver bellissimo d’avorio e gli dissi
che non si poteva smontarlo. Mi rispose: “Sono negoziante di revolver, li conosco”
Come fece, maneggiandolo, partì un colpo. Ero nella contrada principale, fortunatamente non successe nulla. Era passata la palla entro una casa di fronte, le
pareti essendo di assi sottili
Un’altra volta mi successe che era arrivato un vapore o bastimento di balenie353
ri
e due o tre erano venuti a trovarmi, o li avevo trovati, e mi ero unito a
/185/ loro per guidarli per la città..
Avevano con loro un cane, mi pare fosse di quella razza che proviene dal fiume
Amur. Sono cani intelligenti, taciti. Passarono due o tre ufficiali (yakonin),354
che portavano due spade e [il cane], non so come - [forse erano] le prime figure
nuove che /186/ vedeva - senza che loro facessero nulla, ad uno gli prese una
gamba morsicandola. Esso estrasse la spada e, evitandola il cane, batté contro un
sasso che mandò scintille. A quel tempo, chi estraeva la spada era obbligato di
adoprarla come punto d’onore e venne contro di noi. Estrassi il revolver che avevo
nella cintura e gli dissi che non sapevamo che il cane morsicasse. Mille scuse. Ci
fu un po’di parole violente, finalmente l’ufficiale yaconin ripose la spada nel
fodero e ci lasciarono inaspriti. Dietro mio consiglio, quei signori ritornarono a
bordo, ed io entrai nella prima casa europea [che trovai], per sottrarmi alla loro
344
Si tratta in realtà di padre Giuseppe Grazioli di Rovereto (vedi Introduzione testo e nota 4).
Mazzocchi, scrivendo a tanti anni di distanza, confonde, per assonanza, Grazioli con Ziglioli, un altro
semaio coinvolto con il Giappone (ove si recò almeno tre volte) che forse aveva incontrato personalmente, ma di cui conosceva di sicuro il socio, Giuseppe Gandolfi (sul quale v. oltre, nota 370) e,
ovviamente, la ditta, la Ziglioli e Gandolfi di Milano, molto attiva con il seme-bachi giapponese (CZ).
345
In periodi di epidemie, tutta la posta veniva aperta e sottoposta a fumigazioni disinfettanti (suffumigi) (CZ).
346
Il riferimento è alla chiesa - detta popolarmente “madonnina” - situata sul Monte Orfano,
sopra Coccaglio (NdR).
347
La descrizione è molto stringata, ma potrebbe trattarsi di un piccolo altarino di strada e gli
“stecchetti” essere bastoncini d’incenso che i fedeli acquistano, depositando del denaro nella cassetta,
166
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
vendetta.
Un console russo, senza motivo,
venne tagliato in due pezzi, a Hakodadi, l’anno dopo la mia partenza, nel 1866, senza alcun motivo,
per fanatismo politico. Assassinavano degli europei credendo di stancheggiarli che avessero a lasciare il
Giappone. Erano yakonin fanatici,
che anche /187/ di dietro, senza
affrontare, tagliavano a metà uno o
lo ferivano mortalmente.
Il governo per il console russo fece
pagare una vistosa somma; dopo, negli
anni seguenti, chi si recava a Yokohama o a Tokio conveniva si facesse portare, anche per Tokio, da 4 persone a
cavallo o a piedi; il governo voleva così
per far vedere che non era responsabile
e non pagare indennità gravissime.
Anche il ministro inglese fu assalito 63. Xilografia giapponese (Nishiki-e) rappresentante
a Tokio e fu un miracolo che non due occidentali che trattano l’acquisto di matasse di
di seta con un grossista giapponese. Circa 1880.
l’abbiano assassinato in mezzo alle sue filo
Collezione privata.
guardie.
Ritorno a Hakodate. Passeggiando
fuori di Hakodate, nell’interno dell’isola, ho veduto gli Ainu.355 Non molto
distante da Hakodate entrai in un castello. Non avevo veduto guardie, lo credevo
sito privato, quando mi trovai in mezzo ad alcuni soldati yakonin. Fortunatamente, da quelle poche parole che sapevo, capirono il mio sbaglio e non mi
successe nulla.
Acquistai una grandissima pelle di orso che vendetti a Milano al signor Bear,
proprietario del/188/l’Hotel de Ville. La pagò bene perché il suo nome [in inglese]
vuol dire orso.
Ho un libro sull’Yansekiam (Yantse-kiang)356, grandissimo fiume che passa
per poi accenderli davanti all’altare (CZ).
348
“O-hayô”, formula di saluto usata il mattino (CZ).
349
Tobit (Tobia padre) venne reso cieco dagli escrementi caldi di alcuni uccelli cadutigli sugli
occhi mentre dormiva all’aperto (l’episodio è descritto in Tobia, 2) (NdR).
350
“Schite” - dialettale per le deiezioni dei volatili (NdR).
351
Il termine giapponese è “kozukai”, inserviente (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
167
per Hankou357 e sbocca a Shanghai, donatomi dall’autore, Blakiston.358
Ad Hakodate sono stato a tavola diverse volte da un capitano russo che aveva
un figlio e moglie e possiedo la sua fotografia. Si chiamava Kosteroff. Una volta
mi trovai con quello che tradusse dal cinese i classici cinesi. Dopo tavola, una
volta, con molta aspettativa e meraviglia, capitò un piatto assai stimato, goloso: erano more e vi mescevano il latte. Io vi ho messo un po’di vino. I russi, [a
Hakodate], vi tenevano un ospedale, più per i giapponesi che per gli europei; gli
europei erano pochissimi, credo nessuno sia mai andato all’ospedale, lo tenevano
per filantropia politica, per affezionarsi la popolazione. Il russo tiene assai ad
Hakodate, per /189/ svernare le navi di Vladivostok del fiume Amur359 e poi
per avere un piede nel Giappone.
Col signor Alister, che trovai a Benares, feci insieme il viaggio da Benares a
Bombay nell’anno 1873-74.360Ho scritto questo essendomi con fatica ricordato
di questo signor Alister, col quale mi trovai benissimo.
Continuo. Scrivo nel 1904, luglio 15.
Nel 1864 ritornai da Hakodate per Shanghai col vapore City of Nantes. Ebbi
tempo pessimo, mi trovavo a bordo con un solo passeggero, il signor Alpiger di
Bergamo361. Dal capitano acquistai la carta dove era segnato l’itinerario e sulla
quale copiai quanto si scrisse del nostro arrivo sopra un giornale di Shanghai.
Rotti i vetri che danno luce sul ponte del salottino, nei primi posti, per ogni
gravissima ondata, entrava un diluvio di acqua, che cadeva a secchi sopra il
ponte. Il falegname aveva inchiodato alla meglio delle assi dove erano /190/ i
vetri spezzati. Ci ritirammo nel porto di Nagasaki; alloggiai al Green Hotel362,
levai il materasso e lo misi in terra. Mi pareva così di star meglio: in alto, sul
letto, mi pareva che [tutto] girasse. L’Alpiger era un po’ammalato e insieme lo
condussi da un dottore francese. In questo viaggio soffersi assai il mal di mare;
dopo questo, non lo soffersi più, malgrado che ebbi nuova burrasca tra Nagasaki
352
A Hakodate c’era in quegli anni solo un vice-console francese, H. Weim. Mazzocchi si riferisce
probabilmente a Le Veuve, segretario ed interprete della Legazione francese a Edo (Tokyo), che veniva
forse saltuariamente a Hakodate in mancanza di un console (CZ).
353
Hakodate ospitava spesso navi baleniere di varie nazionalità (CZ).
354
Il termine giapponese è “yakunin” ed indica un funzionario pubblico (in questo caso, dato
che siamo nel 1865 e quindi ancora sotto il regime shogunale dei Tokugawa, si tratta di ufficiali di un
signore feudale). Gli yakunin erano incaricati di numerose mansioni tra le quali quella del mantenimento dell’ordine publico. Erano scelti tra i samurai e, come tali, avevano il diritto a portare le due
spade (nessun altro suddito giapponese poteva farlo (CZ).
355
Vedi sopra, nota 324.
356
Yantse-kiang era la vecchia trascrizione per il nome del Fiume Azzurro (in cinese, oggi, Chiang
Jiang o Yangzi) (CZ).
168
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
e Shanghai.363
La guerra che ora, nel 1904, strazia e si combatte fra Russia e Giappone mi fece
venire in mente di continuare a sbalzi le mie vecchie memorie. Il nome di Alister
mi viene in mente in questa occasione, che Tito progettò di recarsi a Londra per
approfittarsi del tempo delle vacanze per saper meglio l’inglese.
14 ottobre 1905
Ho sempre creduto che i giapponesi avrebbero finito col perdere contro /191/ la
Russia, invece, per le rivoluzioni e sommosse in Russia, per mancanza d’ordine
e di generali e, all’opposto, per l’ordine, unione, incredibile coraggio dei soldati e
generali impareggiabili, il Giappone ne uscì vittorioso.364 Il Barzini,365 incaricato dal Corriere della Sera, scrisse benissimo di questa guerra.
Il Giappone è [ora] diventato la seconda potenza marittima, ha preso posto fra
le maggiori potenze ed è entrato nel mare magno della nostra civiltà.
Invece delle feste per la vittoria e la pace, per tutto il Giappone ne successe un
357
Hankou o Hankow, importante scalo fluviale sullo Yangzi (Fiume Azzurro) nella Cina centrale, oggi incluso nell’agglomerato urbano di Wuhan (CZ).
358
Su Blakiston vedi sopra, nota 322 (NdR).
359
L’area della costa siberiana del Pacifico, in mano russa dal 1860 (v. sopra, nota 293), ove era
stato edificato il porto di Vladivostok e dove sbocca l’Amur, era chiusa al traffico marittimo d’inverno
a causa dei ghiacci ed i vascelli di legno, a rischio di restarne stritolati, dovevano svernare in qualche
porto relativamente vicino, come Hakodadi, dove un ghiaccio del genere non si formava mai (CZ).
360
V. sopra, nota 270 (NdR).
361
V. sopra, nota 326 (NdR).
362
In realtà all’Hotel Bellevue di Mme Green, come Pompeo aveva detto al foglio 162 del dattiloscritto (NdR).
363
Gli episodi che precedono sono già raccontati, con qualche piccola discrepanza, al foglio 168
del dattiloscritto (NdR).
364
Il riferimento è alla guerra russo-giapponese del 1904-1905. Contro tutte le aspettative degli
occidentali, i giapponesi vinsero in maniera netta sia per mare (attacco alla flotta russa a Port Arthur,
base russa in Cina, e battaglia navale di Tsushima), che per terra, penetrando nel cuore della Manciuria
cinese, allora sotto controllo militare russo. Con il trattato di Portsmouth (1905) i russi dovettero
sgomberare la Manciuria, cedere al Giappone le proprie basi in Cina, consegnare ai giapponesi metà
dell’isola di Sakhalin e acconsentire al protettorato giapponese sulla Corea (CZ).
365
Luigi Barzini (1874-1947). Famose le sue corrispondenze dalla guerra anglo-boera e da quella
russo giapponese qui citata, sulla quale scrisse anche un libro (NdR).
366
Cesare Cantù (1804-1895), tra i maggiori storici italiani dell’Ottocento. Scrisse in particolare una
Storia Universale in 35 volumi. Cantù era nativo di Brivio e possedeva una casa di campagna a Rovato, a poca
distanza da Coccaglio. La famiglia di Pompeo e quella di Cantù si conoscevano bene e tra le carte sopravvissute
di Pompeo vi è un bigliettino di Cesare Cantù in cui questi gli chiede di portare con sé in Giappone il figlio
di suo fratello Ignazio, che operava nel campo della seta (NdR).
367
Felice Orsini (1819-1858). Figura di rilievo nei moti risorgimentali sin dagli anni ’40, mazziniano,
andò in esilio a Londra. Fu autore di un clamoroso attentato a Napoleone III nel 1858, fallito, ma per il quale
venne ghigliottinato (NdR).
368
L’episodio è raccontato al foglio 86 del dattiloscritto (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
169
malcontento per le condizioni accettate; si vede proprio che l’appetito vien mangiando: prima erano contenti del pochissimo, ora che si trovano in alto vogliono
toccare il cielo. La gentilezza, l’educazione buona, innata, il rispetto grande per
tutti e per l’ordine va cambiandosi in violenze, in scortesie contro i poveri e contro
quelli che condussero in porto il paese coll’avere assicurato la fine gloriosa /192/
della guerra e la pace.
/193/
Persone celebri da me conosciute e che ebbi occasione di parlare insieme:
= Cesare Cantù366
1857-‘58= Felice Orsini367 a Londra, al Caffè Toriani
1858 = Principe Danilo del Montenegro, in una campagna vicina a Cetigne
con i signori Lanzani, Farina, Scarpetta368
64. Toyokuni. Xilografia giapponese (Nishiki-e) che mostra un tratto della Tokyo-Yokohama, una delle
prime linee ferroviarie giapponesi. In primo piano personaggi con costumi occidentali. Seconda metà del
19° secolo. Cm. 74x24,5. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
369
Dovrebbe quasi certamente trattarsi del semaio cuneese, residente a Milano, Giuseppe Gandolfi, già
collaboratore di Ferdinando Meazza (v. Introduzione, n.13) e poi socio della ditta per l’importazione di semebachi dal Giappone Ziglioli e Gandolfi, con sede a Milano. Sono segnalati almeno tre suoi viaggi in Giappone
dal 1869 al 1871 (CZ).
370
Dovrebbe trattarsi di Brigham Young, il leader temporale e spirituale dei Mormoni americani che
guidò i suoi fedeli perseguitati nel territorio che più tardi assunse il nome di Utah e fondò del 1846 Salt Lake
City. Pompeo lo incontrò nel 1870 (e non nel 1871) durante un suo viaggio attraverso gli Stati Uniti per
andare in Giappone come citato nella lettera del 1870 a Paolo Tonelli qui riprodotta in Appendice (NdR).
371
Ulysses S. Grant (1822-1885). Uno dei maggiori strateghi nordisti durante la guerra civile americana. Fu Presidente degli Stati Uniti per due volte, dal 1868 al 1876 (CZ).
372
Con tutta probabilità si riferisce a Giuseppe Sapeto (1809-1895), missionario in Africa ed in seguito
docente di arabo all’Università di Genova (CZ).
373
Ferdinand de Lesseps (1805-1894), protetto di Napoleone III, fondò e diresse la Compagnia che
170
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
65. Hiroshige. “Acquazzone sull’Ôhashi”. Xilografia giapponese (Ukiyo-e) che mostra alcuni popolani che
si proteggono dalla pioggia con cappelli e mantelline di paglia intrecciata. Metà del secolo 19°. Collezione privata.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
171
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
Non si può negare che questo diario, ma più propriamente bisognerebbe
definirlo un promemoria familiare, abbia un valore non solo autobiografico,
ma anche di documento importante, nella sua spontaneità e grezza confezione, per i tempi di svolta decisiva nella storia economica e sociale dell’800
Bresciano, in quanto riflette la formazione di una classe imprenditoriale
nuova e di una nuova agricoltura.
La famiglia Mazzocchi certamente fu tra le più antiche di Coccaglio, con le
vicende del quale la sua storia si è in gran parte intrecciata. Natale Partegiani1
ha scritto come, “dai documenti del 1100, tra i più antichi ritrovati fino ad
ora relativi al nostro paese, risulta che la famiglia dei “Masoc” era già presente
come proprietaria di terre a Coccaglio e, forse, aveva ragione Pompeo Mazzocchi
quando scriveva sul suo diario che i suoi antenati erano già nel paese dall’anno
Mille” e soggiunge “si è anche affermato senza prove che sia venuta nel Bresciano
dal Napoletano”.
Sicuro è il riconoscimento della cittadinanza di Brescia il 3 maggio 1645
nelle persone di Giovanni, don Gabriele, Pietro Maria e Gaudenzio. È vero
inoltre quanto sostiene il Partegiani che “nei secoli di cui abbiamo una documentazione scritta risulta che componenti della famiglia Mazzocchi sono presenti
nel paese come consoli, consiglieri, parroci, cappellani del Luogo Pio di Carità.
Come notai, medici anche illustri, amministratori della congrega di Carità, confratelli delle Confraternite e commercianti non da poco”.2
L’identikit dei Mazzocchi che si intravede nel Diario è quello di una
famiglia borghese che costruisce da sè la propria fortuna, fra rischi e fatiche,
e non la ricava affatto da un’improvvisa fortuna dovuta alle spogliazioni giacobine del 1797-1798 come storici locali3 hanno indicato riferendosi ad un
presunto acquisto favorito di grosse proprietà dal monastero di S.Faustino
Maggiore, soppresso in quegli anni dal Governo Provvisorio Bresciano.
Confrontando infatti il catasto napoleonico del 1805 con quello austriaco del 1852, risulta chiaramente come i Mazzocchi fossero completamente
assenti nel primo e comparissero con Andrea Mazzocchi del fu Giovanni
(padre di Pompeo) solo nel secondo, come proprietari4 di 351,68 pertiche
- all’ottavo posto come entità nella proprietà non nobiliare. Il dato poi non è
nemmeno tra i più rilevanti rispetto ad altre la proprietà di Pompeo, con 65,
1 Partegiani, N., Dalle diaconie al centro diurno Gasparo Monauni di Coccaglio, Coccaglio s.d., p. 112.
2 Fappani, A., Enciclopedia Bresciana, vol.IX, Brescia 1992, ad vocem; inoltre Partegiani, N., op.cit., e
Saldi Barisani, C., Pompeo Mazzocchi: la vita e i viaggi, Brescia 1999, pp.12-18.
3 Gamba, A., Torbole Casaglia, cenni storici, Brescia 1933, p. 56; Mussio, I., Aquis turbulis. Storia di
Torbole Casaglia, Brescia 1992, p. 58; Lechi, F., Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, I, Brescia
1973, p. 355.
4 Calini Ibba, P., La proprietà fondiaria del territorio bresciano nei catasti napoleonico, austriaco e del Regno
d’Italia, vol. II, Brescia 2000, pp. 603-604.
172
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
50.50 ettari, nel successivo catasto del Regno d’Italia del 1898.
Anche da questi pochi dati, si indovina come la fortuna accumulata da Pompeo sia derivata più che altro dai suoi fortunosi e fortunati viaggi di semaio, con
un’avvertenza però: tale sua attività fu in profondità legata all’essersi trovato,
a Coccaglio e Torbole, al centro di vaste migliorie della gelsibacchicoltura.
Purtroppo poco è stato scritto al riguardo. Ma bastano le statistiche fornite
dal Moioli per rilevare come il distretto di Chiari, nel quale si trovava in epoca
austriaca Coccaglio, abbia, assieme a quello di Lonato, primeggiato in tutta la
Provincia raggiungendo una densità di 15 gelsi per ettaro nel 1828, sopravanzando, infine, nel 1838 con 110.624 piante, le 107.330 di Lonato5.
Grazie anche allo sviluppo della gelsicoltura, la bachicoltura era andata sviluppandosi oltre ogni speranza, tanto da far scrivere a Giovan Battista Pagani6
che essa da sola aveva superato per rendita, secondo il catasto austriaco, quella
stimata per tutta la Provincia e i guadagni erano tali da compensare la diminuizione delle rendite dei cereali e del vino.
Questa fonte di introiti fu però improvvisamente sconvolta dal diffondersi
della pebrina, che si abbattè sul Bresciano, come altrove in Lombardia, a partire
dal 1855. La pebrina non era la prima malattia a colpire l’allevamento del baco:
l’avevano preceduto il calcino, detto anche mal del segno, e il negrone (il cui
nome verrà inizialmente applicato erroneamente alla pebrina dal conte Ignazio
Terzi Lana), entrambe dovute a metodi sbagliati di allevamento dei bachi, lasciati in ambienti troppo chiusi o eccessivamente riscaldati.
Il calcino, diffusosi dal 1820, riduceva i bachi dell’allevamento ad una specie
di calcina mortifera e il negrone produceva nel baco una nera cancrena che lo
rendeva una poltiglia. Fu la pebrina però, più di tutte, a provocare una vera e
propria devastazione nelle colture di bachi, mettendo in crisi tutto il comparto
ad esso collegato e mettendo in ginocchio l’economia bresciana.
Infatti col diffondersi dell’epidemia la produzione scese da tre ad un milione
di chilogrammi di bozzoli che, collegandosi con la crisi della produzione di vino,
gettò sul lastrico molte aziende agricole e le famiglie che vi lavoravano. Contemporaneamente entrarono in crisi le filande, che vennero ridotte in pochi anni di
oltre un terzo, passando dalle 1011 del 1853 alle 686 del 1856. Si creò inoltre
una paurosa disoccupazione, soprattutto femminile, cancellando quell’integrazione di redditi familiari proveniente dalla bachicoltura, sia pur aggiuntivi, ma
tali da portare un considerevole sollievo alle misere condizioni delle classi
contadine.
5 Moioli, A., La gelsicoltura nella Lombardia orientale nella prima metà dell’Ottocento in Romani, M., Le
campagne lombarde tra Sette e Ottocento. Alcuni temi di ricerca, Milano 1976, pp. 304-305.
6 Pagani, G.B., Materiali per un quadro statistico topografico della Provincia di Brescia 1835, Biblioteca
Queriniana di Brescia, manoscritto, sezione K. N. II, 10.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
173
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
Alla crisi vennero sacrificati anche i gelsi, tagliati per far posto, come scrive
il Mazzocchi, alle coltivazioni cerealicole e specialmente al mais. Gli alberi
più giovani vennero utilizzati per produrre funi e carta e le foglie come mangime per gli animali, oltre che olio da cucina e grappe da trarre dai mori o
dalle more7.
Sui riflessi in Franciacorta di questa drammatica e prolungata crisi, esiste
un’interessante documentazione nell’archivio Ignazio Terzi Lana8 esistente
presso l’archivio Ragnoli di Borgonato. Il 28 maggio 1855, scrivendo a Carlo
Ferrari a Bergamo, egli tesseva l’elogio delle partite di semi di bachi, di circa
80 once inviate al Ferrari, prodotte in buona parte “da quella tale famosa
galettina rossa”, commentando che il paese “non ebbe a patire brina, circostanza da calcolare assai [positivamente] dai filatoi”, esaltando la “sublime qualità
della partita offerta” 9. Alle sucessive lamentele però del Ferrari, il 24 giugno,
il Lana doveva registrare il risultato, solamente discreto, della sua partita di
sementi, e doveva ammettere che il raccolto in Franciacorta non era stato
abbondante anche se “nei nostri paesi era ritenuto soddisfacente”, confessando
che la seconda semente era andata “al diavolo” e che dei negozianti avevano
“gettate delle mille e mille oncie”.
Il nostro nobile imprenditore, scrivendo ad un autore di opuscoli di Torino sull’allevamento dei bach,i nello stesso 1855, il 4 luglio, sottolineava
“In qualche località della provincia di Brescia in quest’anno si è sviluppata la
malattia delle farfalle” soggiungendo come “Qui nessuno ne sa nulla ed i nostri
scienziati sin ora non hanno trovato che il nome negrone a tale malattia. Perfino
i ciarlatani non sono comparsi ancora con i loro specifici. Sono ansioso di sentire
la scienza teorica pratica parlare di tale grave argomento [...] La pregherei di
darsi la pena di farmi anche sapere se tal malattia ha invaso anche il Piemonte e
anche che cosa si dice della riuscita e del valore della semente, poichè in quest’anno io ne fabbricai più del solito”.
Pochi giorni dopo, il 17 luglio 1855, il Lana tornava sull’argomento, scriveva, con toni ansiosi, a Giorgio Clerici in Milano “Saresti abbastanza gentile di
scrivermi subito se la malattia delle farfalle (negrone) domina molto in Brianza?
Ciò mi interessa per avere [io] in fabbrica una certa quantità di semente che mi
riuscì bene”. Continuò tuttavia a vendere semente di Bione, garantendola
“dalla malattia dominante del Negrone” e sottolineando, in una lettera del 17
7 Venturi, C.A., Dei prodotti del gelso, in “Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1852-57”, pp.
227-229.
8 Sul conte Ignazio Lana vedi D. Fossati, Il conte Ignazio Lana di Borgonato in “Geremia Bonomelli vescovo di Cremona nel XXV anniversario della morte”, Brescia 1939; per la sua attività di imprenditore vedi
anche Fappani, A., Enciclopedia Bresciana, vol. II, Brescia 1987, ad vocem.
9 Archivio Lana Ragnoli, fascicolo 47.
174
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
luglio 1855, al Conte Cipolla d’Arco “Le Bione son veramente sceltissime”. E
continuò a decantare la sua semente di Bione mentre, in un sopralluogo compiuto nella Bergamasca, aveva trovato “ovunque una spaventevole infezione”.
Anche il conte Lana si sarebbe dovuto poi arrendere. In un promemoria,
del gennaio 1856, doveva ammettere “Premesso che io ignoro se la malattia
del negrone sia originata o no dalle foglie in cui nasconsi i filugelli, alterata per
l’influenza crittogama od altro ovvero che non sia una nuova malattia che si
aggiunge a molte altre che per ragioni atmosferiche più o meno spiegate recan
morte a questo prezioso bruco, io sono del parere che in quest’anno la Lombardia
a causa della più o meno quasi tutta pregiudicata semente che trovasi in commercio avrà scarso raccolto”.
E già preannunciava la necessità di cercare semente nei “paesi asiatici ove tale
malattia è fortunatamente per quegli abitanti e per noi tuttora sconosciuta”.
In un promemoria del novembre 1855 lo stesso conte Lana riassumeva la
situazione annotando come “In Italia e specialmente nel Lomb.Veneto la malattia detta il negrone che paralizza le farfalle nel bozzolo infermandole in modo che
presto muojono producendo poca semente e che questa di qualità sì pregiudicata
che i bachi che dà van poco a poco morendo nelle varie mute od allorchè raggiungono l’epoca di fare i bozzoli”.
Il problema dell’allevamento dei bachi in presenza della pebrina divenne di
tale entità che, nel 1866, in piena III guerra di indipendenza, il conte Lana
affermava “Qui poco si parla di guerra e molto di bachi”10.
Il microscopio
La documentazione raccolta nell’archivio Lana-Ragnoli è molto ampia,
come è folta la corrispondenza sulla bachicoltura del Conte apparsa sulle
colonne della Sentinella Bresciana, ma forse merita una parentesi un argomento di cui non si parla nel Diario del Mazzocchi, ma che fu risolutivo
nella lotta alla pebrina: quello dell’uso del microscopio per la selezione della
semente ammalata11.
Nel 1875, alla domanda di rivoltagli in qualità di socio del Comizio Agrario se fosse “ben persuaso della utilità dell’uso del microscopio per ben scegliere
10 Archivio Lana Ragnoli, ibidem.
11 Tra i vari tentativi espletati per far fronte alla malattia e risultati vari merita ricordare quello suggerito
da C.A. Venturi (“Della coltivazione del Bombyx cynthia e dell’ailanto” in “Commentari dell’Ateneo di
Brescia per gli anni 1862-1864” pp. 187-189) che proponeva l’utilizzo al posto del baco “classico” di
un altro tipo di farfalla proveniente dalla Cina, il Bombyx cynthia, che dava buone rese in termini di
seme e bozzoli e che per ottimizzare la produzione richiedeva al posto delle foglie di gelso quelle della
pianta “da giardino” detta ailanto.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
175
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
la partita di bozzoli meglio atta alla riproduzione” rispondeva “Pel passato
faceva esaminare tanti cartoni seme bachi originari sino a che n’aveva ritrovati
due immuni da corpuscoli. Questi li coltivavo separatamente ed in località possibilmente isolata d’altre coltivazioni e se ne ottenevo prodotto immune o quasi lo
facevo sfarfallare. Ora poi che il seme originario non è meno infetto del riprodotto, m’attengo al risultato e non più mi curo dell’origine.
Tengo d’occhio li vari allevamenti e di quelli che più promettono vo facendo
microscopizzare i bachi, poscia le crisalidi e se m’avviene di trovare uno che sia
immune o quasi da corpuscoli questo scelgo per confezionare i bozzoli da far
sfarfallare. La partita la colloco in istanza fresca quando però asciutta, prelevandone un centinaja di bozzoli che pongo a più elevata temperatura e ciò per avere
la sfarfallazione anticipata onde con la microscopizzazione, sempre certa, delle
farfalle, conoscere se la partita è tale da darmi buon seme o no nel qual ultimo
caso la scarto e la passo al filandiere.”
Il Conte prosegue con ulteriori dettagli e conclude:
“Lei vede signore che non è poi una fatica d’Ercole quella di prepararsi da sé il
seme senza ricorrere ad altri per averlo e non sempre con conoscenza confezionato. Se il consigliassi a farsi da sé un orologio convengo che potrebbe trovarsi non
essendo dell’arte impacciato, ma per farsi da sé un po’di seme cellulare... non vi
posson essere difficoltà: me lo faccio anch’io. E se non sa e non vuole imparare la
microscopizzazione e non ha la pazienza di star per delle ore piegato sul microscopio faccia come faccio anch’io e paghi una brava e coscienziosa microscopizzatrice
che farà come lei sa fare le sue vigne”.
Con tutta probabilità il Mazzocchi conobbe e utilizzò il microscopio e sicuramente, lo utilizzasse o meno non era tra quelli che si meritarono la dura
reprimenda a certi proprieari-allevatori che il Conte Lana, nel 1877, passata la
bufera, appuntava sotto il titolo “Segreti di Pulcinella”.
Questi scriveva: “Per ottenere lo scopo d’aver buona semente non basta, o Signori
proprietari, dar ordine al bigattino od al fattore, od alla serva di casa, di far così e
così, ma bisogna darsi la pena di abbandonare la vita del caffè, delle visite, di dormir
tardi, delle passeggiate ecc. ecc. e sorvegliare coi propri occhi la confezione, onde non
avvengano confusioni... ed il tutto sia fatto con diligenza e precisione.
Il tempo dei miracoli è passato. Non so il perché, ma il fatto è che di miracoli Iddio
non ne vuol far più e ricusa a tutti di far procura per farne... La manna non fiocca
più e per mangiarla bisogna guadagnarla. E guadagnarono e guadagnano e molto
coloro che, cacciata la neghittosità e compresi per tempo delle osservazioni microscopiche, non perdettero il tempo coi se e i ma e si preparano il loro seme cellulare dal
quale poi ricavano il seme per la loro e altrui coltivazione. Molti mi obietteranno
che di seme cellulare essendone molto in vendita si può comperarlo. Io non contrad-
176
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
dico ma solo osservo che per aver un’oncia di seme a zero [infezione], cioè che sia
sana perfetta tanto la femmina che il maschio... bisogna fare delle osservazioni
microscopiche non poche...”.
Il Lana si dilungava poi sui suoi esperimenti e suggerimenti, prendendo
infine per il bavero gli allevatori, ammonendo che “non valga la scusa di non
saper fare poiché per farlo è facilissimo, quando s’abbia attenzione e precisione
e per far poi microscopizzare le farfalle vi sono microscopizzatrici che per poco
prezzo fanno l’operazione ed io ne conosco di brave e coscienziose…”.
Battitore libero
Dalla documentazione conosciuta, emerge una caratteristica che sembra
fondamentale della figura del Mazzocchi: quella di un battitore libero. L’unico incarico a carattere pubblico che emerge è quello del viaggio del 1865,
promosso un’apposita società sostenuta dal Municipio e dalla Camera di
Commercio di Brescia12.
Lo spoglio di alcune delibere della Camera di Commercio lo vedono sempre assente, anche quando vengono prese decisioni importanti come quelle
che qui vale la pena rilevare: nei verbali del 31 marzo 1871 emerge la proposta dell’ing. Cesare Deretti della istituzione di un “dock” (sic) di bozzoli,
in seguito alla quale la Camera di Commercio “nomina un’altra commissione
a comporre la quale sono eletti il cons. Giangiacomo Baebler, che la propose e il
consigliere Felice Fortunato, con l’incarico ad essa di studiare il progetto in ogni
sua parte, rivolgendosi pure per nuove nozioni e per schiarimenti al proponente,
e riferire poi alla Camera.
Nella seduta del 28 aprile 1971 la commissione si pronunciava sul progetto sottolineando come “coll’istituzione di un grandioso magazzino di depositi
dock, al quale facciano corpo i produttori per vendere, i consumatori per acquistare, bozzoli si renderebbe minore lo squilibrio fra la produzione della materia
prima e la trasformazione manifatturiera della medesima e la consumazione
della merce finita poiché a questa sarebbe dato mezzo di realizzare in modo
sicuro l’importo del raccolto, a questi di far compere a mano a mano secondo il
bisogno e quindi senza l’impiego di un pronto ingente di capitali; e conseguenza
di ciò sarebbe al certo lo sviluppo dell’industria serica e specialmente di quella
parte di essa, ancora tanto difettosa fra noi, che si occupa della tessitura della
seta…” 13.
12 Saldi Barisoni, C., I bresciani sulla via della seta nella seconda metà dell’Ottocento in La via bresciana
della seta, cit.
13 Camera di Commercio di Brescia, Processo verbale della seduta del giorno 28 Aprile 1871, n. 462.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
177
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
In un’altra occasione, il 7 dicembre 1871, si discute circa il “concorso della
Camera di Commercio nelle spese di impianto e di mantenimento annuale
dell’Istituto Bacologico, istituito al giardino Brozzoni”. La Camera medesima,
oltre che decidere la somma di 1500 lire all’anno per gli anni 1872,1873 e
1874 quale quota di concorso a vantaggio dell’Istituto Bacologico ne affida
ai consiglieri, nella commissione amministratrice “il mandato di concretare nel
più breve tempo possibile” con rappresentanti della Provincia e del Comune “il
programma ed il regolamento dell’Istituto… ritenuto che scopo precipuo di questi
debbano essere gli studi scientifici sulle malattie dei bachi da seta e sui modi per
combatterle”.
Il 18 dicembre 1871 una commissione composta per la provincia da
Gabriele Rosa, per il Comune da Basilio Maffezzoli e dal nob. Annibale
Brognoli mettevano a punto il programma ed il regolamento della Stazione
bacologia stilata su progetto del consigliere Faustino Gaza. Sul tutto in seguito sorsero dubbi e opposizioni ma l’iniziativa fu sostenuta con forza dalla
Camera di Commercio.
Se questo era l’atteggiamento fattivo dell’istituzione bresciana, molto più
altalenante e negativo fu quello Governo italiano del quale il prof. Zanier
scrive con precisa documentazione nella sua introduzione al Diario. In
proposito può essere illuminante una caustica nota del Lana. Nel 1867 il
egli scriveva “Ognuno sa, meno forse il Signor Berti [Ministro dell’Agricoltura]
ed i Ministri che il precedettero, qual grave disgrazia sia stata per l’agricoltura
italiana l’atrofia del baco da seta ed ognuno sa compreso il Sign. Berti e i suoi
predecessori, che il governo non s’è mai dato pensiero per trovare un rimedio, un
alleviamento a tanto male, quantunque con un po’di buona volontà avrebbe
potuto far molto bene od almeno tentando di farlo provare a chi questi signori
paga che la buona volontà di giovare era pensier loro.
Questo Governo che ha sprecati milioni e miliardi non n’ebbe due, non n’ebbe
uno per inviare persone pratiche, non teoriche nei più lontani ed inesplorati paesi
setiferi per vedere pure di trovare qualcuno immune dell’atrofia per indicarlo
poscia ai negozianti di seme che non possono, isolati, sobbarcarsi le pese di lunghi
e costosi viaggi nell’incertezza di trovare il paese che può fornir seme sano da
importare in Italia... in queste condizioni critiche delle finanze nostre, il Governo
invia bensì una nave a girovagare nei mari dell’India e della China e del Giappone a far salamelecchi alle autorità di quei paesi Barbareschi, ma non manda
una nave al Giappone perché ci riporti con tutte le cautele un seme da bachi che
sarebbe ancor produttivo se non subisse avarie in viaggio sui bastimenti che non
avendo il solo scopo del trasporto di questa delicata quanto preziosa merce una
volta a bordo lo trattano come se fosse zuccaro o fasci di canne d’India per far
178
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
bastoni. E si che lo scopo ne varebbe la pena come il risultato la spesa.
Devesi aggiungere che malgrado le esagerate concepite speranze d’abbondante raccolto [quest’anno] sia in Italia come in Francia questo sarà ben
meschino, sia perché il baco giapponese mangiando poca foglia tesse un bozzolo che dà poca seta, sia perché molto seme riprodotto è gravemente affetto
da malattia, sia perché molto d’originario soffrì avarie che quanto anche non
l’abbiano ucciso, nulla meno son causa che i bachi nati sian deboli da non
resistere alla coltivazione...
La Provincia di Bursa tanto ricca per produzione setifera fu la prima dei
paesi del Levante invasa dall’atrofia, che poscia si dilatò in Nicomedia, Bulgaria, principati danubiani ecc. di modo che il Levante propriamente detto
è in oggi tutto perduto e già da qualche anno non farebbe raccolto se non si
fosse provveduto per la coltivazione del seme, nei paesi caucasici ove la malattia penetrò solo da pochi anni seguendo quella marcia progressiva che suole
ovunque tenere. Ed infatti il Caucaso e la Persia fornirono sementi da bachi
ai paesi del Levante che perciò avranno un miserissimo prodotto insufficiente
per l’uso dei paesi stessi di produzione e per la stessa ragione sarà il raccolto
ben scarso anco nel Caucaso e nella Persia ove la malattia infierisce quasi
come nei nostri paesi.
L’India già da tempo pur essa invasa dalla malattia andò sempre diminuendo i suoi invii di seta in Europa e così varie province della Cina ove la
malattia esisteva non so se prima, ma certo sin dal 1858. Dei paesi esplorati e
sino ad ora posti a contribuzione per aver sete d’alimentare le nostre fabbriche
solo rimane il Giappone che abbia un raccolto normale, quantunque anche in
qualche provincia di quella regione siasi mostrata la malattia... ma l’enorme
quantità di seme che vi si confezionerà in quest’anno, di molto o fors’anco del
tutto, scemerà gl’invii di sete da noi.
Il lusso sempre crescente vuol seta... è... non è più come una volta che l’abito
non faceva il monaco, ognuno meno è ricco più vuole sembrar d’esserlo nel
vestito come negli addobbi dell’appartamento, perciò la seta in oggi è diventata una necessità per lo che... i prezzi delle sete non ponno rimanere quali sono
ma devono sempre aumentare.
E da che l’atrofia è tanto diminuito il raccolto della seta in Europa, i nostri
negozianti si spinsero in molti paesi setiferi dell’Asia onde acquistarvi bozzoli
e sete, e negli anni scorsi, mettendo a contribuzione l’Anatolia, il Caucaso, la
Persia, l’India, la China, il Giappone e tanti altri paesi, poterono in qualche
modo trovar di che sostituire ai falliti raccolti quel bravo e capace quanto
onestissimo Commendatore Cerutti, parlando della poca lealtà, colla quale da
cert’uni si fa il commercio del seme da bachi da seta, suol dire che abbisogne-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
179
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
rebbe per un tanto delitto, causa di tante rovine per l’agricoltura, aggiungere un
paragrafo al codice penale. Io vorrei anco che chi vuol dedicarsi a questo importante commercio fosse obbligato sottoporsi ad un esame d’idoneità, così mentre
la minaccia della galera scemerebbe gl’inganni, l’esclusione delle incapacità
scemerebbe i malanni cagionati dall’imperizia nella fabbricazione, confezione,
trasporti di questa merce sìfacilmente alterabile.
Che non si spaventino però né gl’imbroglioni né gl’imperiti giacchè il Governo
Italiano, come non si è mai occupato degli interessi agricoli, non vorrà occuparsene
nemmeno ora che a Ministro dell’Agricoltura siede il canonico quasi Lateranense
Sig. Berti il quale d’agricoltura come di tante altre cose che servono a prevenire [i
suoi malanni poco] ne sa. Signor Berti: anco i clericali coltivan bachi”.
L’eredità
Certo il rimpianto espresso da Mazzocchi nel Dario di non aver potuto, a
differenza del fratello Gabriele, partecipare alle vicende patriottiche del suo
tempo, non elimina l’influsso che su di lui ebbe la temperie politico-sociale
del tempo.
Grazie alla parentela con Andrea Tonelli già prigioniero dello Spielberg, alla
frequentazione a Coccaglio degli Ugoni, dei Dossi, che gli atti del processo
a Tonelli documentano, quelle battaglie risorgimentali non devono essergli
state estranee, anche perché tutti questi patrioti non solo di congiure antiaustriache e di sogni unitari parlavano, ma anche di agricoltura, di bachi da seta,
impegnati come erano a condurre cascine e colture bacologiche: gli Ugoni al
campazzo di Pontevico, i Dossi a Leno; da essi dovette essere preso perfino lo
stesso Giuseppe Saleri che pur dedicandosi si problemi socio-educativi ebbe
a comporne studi sul monopolio dei grani, sui dazi sulla carne ecc.
Assente dalle stesse istituzioni provinciali di interesse bacologico, Mazzocchi non compare nemmeno in altre attività amministrative pubbliche.
La formazione culturale ristretta, come egli stesso documenta nel Diario,
l’orizzonte chiuso dell’azienda paterna, con tutte le tribolazioni e i debiti da
pagare, sui quali ritorna più volte e come pure i lunghi viaggi di semaio lo
estraniarono da altri interessi e presenze. Non abbiamo trovato il suo nome,
infatti, tra i promotori del movimento dell’istruzione agraria, come nelle
iniziative di beneficenza e di solidarietà sociale, anche se nel Diario non
mancano richiami all’attenzione verso i poveri.
A quanto si sa, Mazzocchi rimase fuori anche da quel trend imprenditoriale
che ha avuto figure rappresentative nei Dandolo, nei Lana, nei Maggi e, per
stare alla categoria degli stessi semai franciacortini, nel conte Ignazio Lana a
Borgonato, in Giovanni Inselvini e in Giovan Battista Tonelli. E tanto più
180
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
NOTERELLE DI CHIOSA AL DIARIO
sembra escluso da quei salotti di cultura ed arte dei Torri, dei Monti e di altri
che vennero frequentati da Carducci e Fogazzaro o da artisti di spicco, nei
quali si incontravano personalità ecclesiastiche, come Mons. Bonomelli, e
della politica, come Zanardelli.
La distanza fra Pompeo Mazzocchi e la società in cui visse e i suoi problemi più vitali, al di là di quelli e economici produttivi ai quali diede pure
un contributo rilevante, fu però colmata con il testamento del figlio Cesare,
che rendendo concreta anche la volontà di Pompeo, lasciò tutta la sostanza
accumulata da lui e dal padre ai poveri e bisognosi di Coccaglio e di Torbole.
Veniva meno in questa occasione una separatezza con la società locale che un
cronista, ma anche diretto spettatore, quale fu Cesare Esposito, ha espresso
con efficacia quando si incominciò a parlare del testamento che diede poi
origine alla Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi:
“Perdura a Coccaglio più viva che mai l’impressione suscitata dalla notizia
del testamento di Cesare Mazzocchi e si sentono i più disparati commenti che
traggono alimento sia dal ricordo del carattere bizzarro del testatore, sia dall’ammontare quasi favoloso dell’eredità. Bizzarria ed ammontare che non hanno certo
meravigliato il sottoscritto che ha frequentato per lunghi anni casa Mazzocchi
godendo fiducia e confidenza, più a lungo di molti altri, dello scontroso e suscettibile signor Cesare.
Il notaio che sta facendo l’inventario al ritmo di un giorno alla settimana
dichiara del tutto prematura ed avventata la precisazione di qualsiasi cifra, che
solo si potrà stabilire ad inventario completato, ma di una cosa possiamo essere
certi, penso io, che la sola entità del lascito è tale che non ha mai avuto l’uguale
nella nostra plaga e fa annoverare il Mazzocchi fra i maggiori benefattori, dei
quali sembra essersi persa la semente in questo nostro mondo che pare immergersi
sempre più nell’egoismo e nell’indifferenza per tutto ciò che è bello e buono.” 14
Il fascino del diario tuttavia, oltre ad ogni considerazione, permane immutato: nella grezza ma spontanea confezione con la quale si presenta, si può
avvertire, con forza, una filigrana inconsapevole, ma suggestiva di una realtà
socio-economica alla radice di quanto, ancora oggi rende il Bresciano una
regione pilota della cultura e dell’imprenditorialità agricola.
Antonio Fappani
14 Esposito, C., Scontroso e suscettibile, il signor Cesare si è sempre dimostrato assai generoso, “Il Giornale di
Brescia”, 29 Dicembre 1961.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
181
66. Scampagnata a Villa Guzzi, Coccaglio. In primo piano Cesare Mazzocchi. Verso il 1910. Per gentile
concessione degli eredi.
182
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Indice dei Nomi
INDICE DEI NOMI
Avvertenza:
L’indice si riferisce ai nomi di persone, di luoghi o altro presenti nel solo
Diario e nelle relative note a piè di pagina.
Abdul Megid I (Sultano), 170.
Abrante (padre), 108.
Aden, 140,145.
Adossio (padre), 150.
Adrianopoli (Edirne), 108, 109,
110n, 111n, 112, 113, 115, 125,
127, 135, 136.
Africa, 169n,
Ainu (popolazione), 154, 156n, 166.
Alba, 121, 148, 148n, 152.
Alessandria d’Egitto, 142, 143, 143n,
160, 160n, 162 ,169.
Alister, 167, 168.
Almici, Agostino, 114.
Almici, Bortolo, 89, 89n, 119, 121,
122, 135.
Almici (famiglia), 83, 85, 89, 90.
Almici (fratelli), 122.
Almici, Giulia, 129.
Almici, Lelio, 101, 101n, 140, 125n.
Almici, Mario, 89n.
Almici, Ottavio, 114.
Almici, Pietro, 101, 108n, 109, 109n.
Almici, Teodosio, 102.
Almici, Tito, 114.
Almici, Vigo, 101.
Almici, Vincenzo, 121.
Almici, Vittoria (moglie di Pompeo),
79n, 89, 89n, 103, 134n.
Alpiger, F., 157, 157n, 167, 168.
Alzano Lombardo, 91, 91n.
America, 79, 106, 108, 136, 140.
Amur (fiume), 148n, 166, 167, 167n.
Anatolia, 108, 108n, 127.
Ancona, 154.
Andreoli, Margherita, 123n.
Andreossi, Enrico, 88n, 106, 106n,
123, 123n, 124, 125, 139, 140,
140n, 141, 142, 143, 147, 149, 150,
152, 152n, 153, 153n, 155, 156,
157, 157n, 158, 163.
Andreossi & C., 150, 158.
Angelini, 101.
Antegnate, 80, 80n.
Archivio di Stato di Brescia, 158n,
159n.
Ardéche, 121n.
Armanni, Aurelia, 81, 82.
Armanni, Basilio, 80.
Armanni, Carlo, 80.
Armanni (famiglia), 80, 85.
Armanni, Giulia (in Quartari), 8.
Armanni, Maddalena (in Pellegrini),
80, 159n.
Armanni, Pompeo, 80.
Armanni, (Vico) Violante, 80, 81,
83, 84, 85.
Artá, 118, 118n.
Asia, 105n, 137, 146n, 169n.
Asia Orientale, 146n, 149n, 154n,
155n, 156n.
Associazione Agraria (Brescia), 159n.
Astor House (Hotel), 147, 147n, 154,
157, 163.
Atene, 108.
Ateneo di Brescia, 81.
Averoldi, Laura, 134n.
Averoldi (legato), 134, 134n.
Australia, 140.
Austria, 96, 102, 103n, 111n, 117,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
185
INDICE DEI NOMI
134, 135.
186
Balcani, 82n, 109n, 110n, 124n.
Balcani (monti), 125.
Baleari (isole), 117.
Baltaggi (banchiere), 112.
Banca di Francia, 122.
Barbariga, 116, 116n.
Barcella (notaio), 129.
Barghe, 102, 102n.
Bargis, 124.
Bargnano, 116, 116n.
Barzini, Luigi, 168, 168n.
Basilea, 106.
Bassa (Basse) Bresciana (e), 116.
Baroni, Caloandro, 105n.
Bear, 166.
Begni, Giovanni Maria, 124.
Beiho (fiume), 147n, 148, 148n,
153, 163.
Beiran, 170.
Belandi, Lucia, 129, 131, 132.
Belfiore, 103n.
Bellevue (Hotel), 154, 154n, 157,
168, 168n.
Bellini, Giovanni, 124, 162, 162n.
Belloni, 81.
Benares, 142n, 167.
Bergamo, 80n, 84, 88, 91n, 108n,
109, 190n, 113, 122, 136n, 139,
140, 140n, 157n, 167.
Berlingo, 84.
Berlino (veliero), 154.
Berna, 106.
Bertacagni (collegio), 93, 93n, 133,
159.
Biava, G. B., 157n.
Bibbia (La), 165.
Bione, 113, 113n.
Blakiston, Thomas Wright, 156,
156n, 164, 165, 166, 166n.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Boemia, 82n.
Bois de Boulogne, 108.
Bombay, 142, 142n, 167.
Bonafous, Matthieu, 105n.
Bonaparte, Eugenio Luigi Napoleone, 105n.
Boschetti, 88.
Böyük, 122n.
Breda Lunga, 86.
Breno, 80n.
Brescia, 79, 80, 81, 82, 82n, 84n,
93, 97, 98, 99, 100, 101n, 103n,
116n, 133, 134, 137n, 141n, 158,
158n, 159, 159n, 160.
Brescia (Municipio di), 155.
Brescia (Sindaco di), 155n, 160.
Bresciani, Cesare, 148n.
Brianza, 104, 105, 125n.
Brighton, 107.
Brindisi, 169.
Brivio, 169n.
Bucarest, 123, 124, 124n, 125,
139, 139n.
Budapest, 125.
Buizza, 129, 131.
Bulgaria, 122, 122n, 124, 125.
Burdin (famiglia), 105n.
Burdin, François, 105n.
Burdin Maggiore & C., 105n.
Burdin (stabilimento), 105,106.
Burgas, 122n.
Bursa (Brussa), 108, 108n, 109,
109n, 110, 110n, 111n, 112,
112n, 113, 115, 125, 127.
Bussaghe, 128, 128n, 129, 130.
Butschuk, 122.
Cadei, G.B., 137, 137n.
Caffè Toriani (Londra), 169
Cairo (Il), 142, 142n, 143, 143n,
160, 162.
Cairoli, Benedetto, 135n.
Calcutta, 141, 142.
Caleppio Bertoglio, Giuditta, 88n.
Caleppio, Andrea, 89.
Caleppio, Angelina, 80, 88.
California, 159.
Calvary (Calvario), (monte), 118.
Camelli, Lorenzo, 97.
Camera di Commercio di Brescia,
159, 159n.
Camozzi (fratelli), 137n.
Canada, 105, 106.
Candia (città’), 119, 119n, 122.
Candia (Creta), 119, 119n, 121.
Candia (Creta),125, 135.
Canea (Khánia), 119, 121, 122,
125.
Canossi, Vincenzo, 102.
Canton, 149n.
Cantù (famiglia), 169n.
Cantù, Cesare, 169, 169n.
Cantù, Ignazio, 169n.
Caravaggi (sorelle), 93, 94, 96,
133.
Caravaggi, Teresa, 94.
Caravaggio, 80n.
Carcaiente (Caracagente), 117,
117n.
Carlo Alberto di Savoia, 102.
Casa di Dio (Opera Pia), 134.
Casarsa, 125.
Castellani, G. B., 137n,
138,138n..
Cativa (Jativa), 117, 117n.
Cattaro (baia di), 115n.
Cattaro (Kotor), 114, 114n, 115,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
187
INDICE DEI NOMI
117, 125.
Cavons, 123.
Cazzago S. Martino, 97, 97n, 101.
Cazzani, 94.
Cefoo (Zhifu), 147, 147n, 150n,
153.
Centro Diurno Gaspare Monauni
(Coccaglio), 116n.
Ceresoli, 98.
Cerigo (Kíthira), 108.
Cernuschi (Museo), 170n.
Cernuschi, Enrico, 170, 170n.
Cetigne (Cetinje), 117, 117n, 169.
Cetti Ottavia (in Domenighini),
84, 88.
Cevennes, 121n.
Ceylon (Sri Lanka), 141, 145,
145n.
Chambery, 105n.
Chiang Jiang (Yangzi / Fiume
Azzurro), 166n.
Chiari, 80, 80n, 82, 84, 91, 93,
94n, 96, 99, 116n, 129, 133.
China (vapore), 147.
Cicogna, Luigi, 148n.
Cina, 105, 126, 137, 137n, 138,
138n, 141, 147n, 148, 148n,
149n, 150, 150n, 152, 153, 156,
157, 157n, 158, 163, 166n, 168n.
City of Nantes (vapore), 156, 167.
Claremont Square, 107n.
Claremont Terrace, 107, 107n.
Coccaglio, 80, 80n, 82, 84n, 85,
87, 89n, 91, 94n, 97n, 116n, 127,
128n., 133, 134, 135, 140, 141,
141n, 153, 154, 160, 163n, 169n.
Cognano, 101.
Cologne, 80, 80n, 84, 85.
Comitato d’ istruzione, 81.
188
Comizio Agrario di Brescia, 159n,
162, 162n.
Conci (famiglia), 91.
Conegliano, 125.
Confucio, 147, 147n.
Congrega (di carita’), 101.
Congregazione di carita’(Coccaglio),
101n.
Convenzione di Pechino, 148n.
Corea, 126n, 147, 147n, 148n,
150, 152, 155, 158, 168n.
Corriere della Sera, 168.
Cortenuova, 94n.
Corzano, 101n.
Cossirano, 116, 116n.
Costantinopoli, 108, 109, 110, 111,
112, 113, 122, 135, 170.
Costanza, 122n.
Cremona, 123n.
Creta, 119n, 121n.
Crimea (guerra di), 112.
Crimea, 112.
Crispi, Francesco, 135n.
Crna Gora (Montenegro),115n,
117, 117n.
Curili (isole), 156n.
Custange, 122.
Custoza, 103n.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Daina, Francesco, 157n.
Daina, Vincenzo, 108, 109, 110.
Dalmazia, 114, 114n, 116n,
122n.
Damioli (famiglia), 80, 80n.
Damioli (fratelli), 137, 137n.
Damioli, Diego, 80n, 137, 137n,
159n.
Dandolo, Vincenzo, 116, 116n.
Danilo II di Montenegro, 117,
117n, 169.
Dante Alighieri, 145n.
De Mas (Demas), 163, 163n.
De Pretis, Agostino, 135n.
Dea, Eva, 77.
Deder, Felice, 95, 133.
Dello, 116, 116n.
Demerdch (Demirtas), 109, 109n.
Deretti, Filippo, 104.
Desenzano, 91, 95, 96, 97, 98, 99,
133, 134.
Deshima, 139n.
Devisma (fabbrica d’ armi), 156.
Dieppe, 107.
Dionigi (Albergo), 88.
Dionigi, 82.
Domenighini, Bortolo, 84, 92.
Domenighini, Giulia (in Mazzocchi), 84, 92.
Domenighini, Giulia (in Rodolfi),
84, 84n, 87, 87n, 88.
Domenighini, Maria (in Ferrazzi),
84, 87, 88.
Domenighini, Vincenzo, 84, 87,
87n, 88, 92.
Donizzetti, 121, 123.
Donnai (vapore), 143, 146, 146n,
147.
Dotti, Tommaso, 92.
Dubrovnik (Ragusa), 114n.
Ducato Di Modena, 103.
Ducato di Parma e Piacenza, 103.
Dusi, 111.
Dusina e Mazzoldi, 159n.
Dusina, Antonio, 155n, 159,
159n, 160, 162, 163.
Duus, John Henry, 155,155n, 156,
164, 165.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
189
INDICE DEI NOMI
Edirne (Adrianopoli), 110n.
Edo (Tokyo), 165n.
Egitto, 93n, 142, 142n, 145n, 160,
162, 163.
Endine Gaiano, 136, 136n.
Estremo Oriente, 105, 126, 138,
141, 143n, 160.
Europa, 93n, 99, 105n, 124, 129n,
130, 137, 139n, 142n, 143n,
160n.
190
Facchetti (Franchetti / Sacchetti),
Giuseppe, 119, 121, 122, 122n,
123, 124.
Facchi, Gaetano, 155n, 158, 158n,
159, 160, 162.
Facchi, Giovanni, 158n.
Facchi, Paolo, 159n.
Falsina, 84,87.
Falsina, Antonio, 87.
Falsina, Carlo, 84, 84n, 86, 87,
87n, 91.
Falsina, Domenica, 87.
Farina, Pietro, 117, 169.
Fase (Phase) (vapore), 141, 141n.
Fè d’ Ostiani, Alessandro, 158n
Fè d’ Ostiani, Camilla, 158n.
Fè d’ Ostiani, Marc’ Antonio,
159n.
Fè d’ Ostiani, Pietro, 159n
Febona (vapore), 153.
Federici (barone), 125n.
Feltre, 125.
Fergusson & Co, 150n.
Fergusson, T. T., 150, 150n.
Ferrari, 108, 108n.
Ferrari, A., 109n.
Ferrari, Speriale, 105.
Ferrazzi, 84, 87.
Ferreri, Casimiro, 109n.
Ferreri, Sebastiano, 109n.
Filippine, 163, 163n.
Fiume Azzurro (Yangzi), 156n,
166n.
Fondazione Civiltà Bresciana, 137n
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, 79n, 107n.
Fortuny, 163.
Francesano (Frontignano), 116,
116n.
Francia, 116n, 139n, 149n, 163,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
170, 170n.
Freschi, Gherardo, 137n, 138,
139n.
Frigerio, Antonio (Brescia), 98,
98n, 102, 103, 103n, 134.
Frigerio, Antonio (Milano), 98n.
Frigerio, Pietro, 98n, 140, 140n,
141, 142, 143, 147, 150, 153n,
157, 158.
Friuli, 96n, 104, 105.
Fusera, 131.
Gabbioneta, 123, 123n.
Gabrova (Gabrovo), 122, 122n.
Gandolfi, Giuseppe, 163n, 169.
Garda (lago di), 102n.
Garibaldi, Giuseppe, 103n, 127,
135.
Gatti, 116, 117.
Gattinoni, Vincenzo, 159, 159n,
160, 162, 163.
Genova, 104n, 111n, 140, 141,
141n.
Genova, 158, 160.
Genova, Università di, 169n.
Gérard (commerciante), 165.
Gérard, P. M. (padre), 170, 170n.
Germania, 93n.
Gesù Cristo, 142.
Ghibellini (professore), 98, 151.
Ghisenti, 159, 159n.
Giappone, 79n, 88n, 98n, 105,
108, 108n, 109n, 124, 125, 126n,
130, 130n, 137, 137n, 138, 138n,
139, 140, 140n, 141, 142, 143,
147n, 148n, 149n, 150, 153, 154,
154n, 155, 155n, 157, 157n, 158,
158n, 159, 160, 160n, 163, 164,
166, 167, 168, 168n, 169n, 170n.
Giappone, Mar del, 126n.
Giuseppe (padre di Gesù), 142
Governo Provvisorio di Brescia, 81,
81n, 99n.
Governo Provvisorio di Milano,
102.
Grande Muraglia, 151.
Grant, Ulysses S., 169, 169n.
Grazioli, Giuseppe (don), 163n.
Grecia, 121n.
Green, M., (Mrs), 154, 154n,
168n.
Gros, J-B. (barone), 149, 149n.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
191
INDICE DEI NOMI
Guarneri, Maria (in Domenighini), 84, 87, 92.
Guimet (Museo), 170n.
Hakodate (Hakodadi), 126, 126n,
139, 139n, 149, 150, 152, 153,
154, 155, 156, 157, 157n, 158,
163, 164, 165, 165n, 166, 167,
169.
192
Hankow, 166, 166n.
Ho Chi Minh (City), 147n.
Hokkaidô (Yezo / Yesso), 126n,
139n, 156n.
Holliday, Wise & Co, 156n.
Hong Kong, 147.
Honshû, 139n.
Hotel d’ Orient, 160.
Hotel de (la) Ville, 166.
Hotel de France, 141, 141n.
Hotel Loschi, 108.
Hotel Suez, 160.
Humbert (banchiere), 122.
Humbert (ditta), 118.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Idro, 102, 102n.
Inca, 118, 118n.
Incirne, 108.
India, 79, 93n, 105, 108, 138,
138n, 141, 142, 142n, 146n.
Inghilterra, 93n, 108, 116n, 121,
138.
Inselvini (famiglia), 91.
Ionie (isole), 108n.
Iráklion, 119n.
Islam, 142n.
Islington, 107, 107n.
Ismit (Izmit), 108, 108n.
Istanbul, 108, 110n.
Istanbul, 142n.
Itaca (Itháki), 108, 108n.
Italia (Regno di), 116n.
Italia, 86n, 93n, 96n, 99n, 103,
104n, 18n, 110n, 112n, 119,
121n, 134, 134n, 138n, 141,
145n, 155n.
Játiva (Cativa), 117n.
Jugoslavia, 117n.
Kawasaki, 154n.
Khánia, 119n.
Kilifar (Kilifarevo), 122, 122n.
King’s Cross, 107n.
Kistanje, 122n.
Kíthira, 108n.
Knin, 122n.
Koch, Robert, 93n.
Kosteroff (Capitano), 167.
Kotor (Cattaro), 114n.
Kyûshû, 139, 139n, 154.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
193
INDICE DEI NOMI
La Spezia, 104, 104n, 105, 125.
Lana (famiglia), 80, 80n.
Lana de’ Terzi, Ignazio, 80n,
159n.
Lanfranchi, Isacco, 109, 112, 113.
Langley (Lunglay) (famiglia), 107,
107n.
Langley, Briddy (Bridget), 108,
108n.
Langley, Dolly, 107.
Langley, Fanny, 108.
Langley, Henry, 108.
Lanzani, Luigi, 117, 169.
Lazzaroni (famiglia), 84.
Lecco, 125n.
Legazione di Francia (a Edo / Tokyo),
165n, 170, 170n.
Lesseps, Ferdinand de, 169, 169n.
Levante, 109n.
Lindsay & Co, 155, 155n, 164.
Lombardia, 102n.
Lombardo-Veneto, 103, 138n.
London (vapore), 154.
Londra, 106, 107, 108, 108n, 116,
156, 168, 169, 169n.
Lorenzini (ditta), 116.
Lovere, 136n.
Lu (principato), 147n.
Lucchini, 130.
Lugano, 104, 105, 125, 125n,
130.
194
Macao, 145.
Madagnà (Mudanya), 112, 112n.
Maderno (Toscolano-Maderno),
102.
Madonna del Sasso (Bg), 94, 94n.
Magenta (battaglia di), 119, 119n.
Majorca (isola di), 118n, 119,
121..
Majorca (isola di), 125.
Majorca (Mallorca), 117, 117n.
Mamelucchi, 142, 142n.
Manacor, 118, 118n.
Mancini, Nicola, 154, 154n.
Manciuria, 148n, 168n.
Manerbio, 116n.
Mangano, Vicolo del (Bs), 97.
Mantova, 102n, 103, 103n, 134.
Mar Giallo, 147n.
Mar Nero, 122n.
Mar Rosso, 143n.
Margola, 115.
Marica (fiume), 122n.
Maris (vapore), 142.
Marmara (Mar di), 108n, 110,
110n, 111, 112, 112n, 113, 135.
Marsiglia, 119, 121, 122, 141,
143n, 169.
Massa, 101.
Massimiliano d’ Asburgo (arciduca), 138n.
Mastai Ferretti, Giovanni Maria,
170n.
Mazzini, Giuseppe, 103.
Mazzocchi (famiglia), 80n, 83,
88, 89, 104n, 114n, 115n, 116n,
124n.
Mazzocchi (ingegnere), 136n.
Mazzocchi, Andrea* (XVIII sec.),
80, 84, 88.
Mazzocchi, Andrea** (1802-
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
1892), 80, 80n, 83, 88, 88n, 122n,
140n.
Mazzocchi, Aurelia (sorella di Pompeo), 92, 128, 129, 132, 137.
Mazzocchi, Camilla, 170, 170n.
Mazzocchi, Caterina (di Giov.
Antonio) in Caleppio, 89.
Mazzocchi, Cecilia (di Andrea*),
80, 82, 88.
Mazzocchi, Cesare, 77, 79n, 136,
136n, 137.
Mazzocchi,
Domenico
(di
Andrea*), 80, 83, 88.
Mazzocchi, Domenico (di Francesco), 123, 123n., 124.
Mazzocchi, Domenico (di Giov.
Antonio), 89, 96n.
Mazzocchi, Domenico (XVII sec.),
79.
Mazzocchi, Francesco, 123n.
Mazzocchi, Gabriele (di Andrea*),
80, 81, 82, 88.
Mazzocchi, Gabriele (di Giov.
Antonio), 89, 90.
Mazzocchi, Gabriele (don) (XVII
sec), 79.
Mazzocchi, Gabriele (fratello di
Pompeo), 92, 93, 94, 95, 97, 99,
100,102, 103, 103n,104, 109,
110, 111, 112, 113, 117, 119,
126, 127, 128, 132, 132n, 133,
134, 135, 136, 136n, 137, 140,
156.
Mazzocchi, Gabriele, medico,
(1760-1835), 80, 81, 81n, 82,
84, 88.
Mazzocchi,
Gaudenzio
(di
Andrea*), 80, 82, 88.
Mazzocchi, Gaudenzio (di Giov.
Antonio), 89, 89n.
Mazzocchi, Gaudenzio (XVII sec.),
79.
Mazzocchi, Ginevra, 80.
Mazzocchi, Giovanna Giulia,
“Nina,” (sorella di Pompeo), 92,
109n, 128, 132, 137.
Mazzocchi, Giovanni (di Andrea*),
80, 81, 83, 88, 127.
Mazzocchi, Giovanni (fratello di
Pompeo), 86, 92, 99, 100, 103,
107, 115, 117, 124, 127, 128,
129, 131, 131n, 132, 137, 145.
Mazzocchi, Giovanni Antonio (di
Domenico), 80, 81, 82, 88, 89,
90, 91, 129.
Mazzocchi, Giovanni Giacomo
(XVII sec.), 79.
Mazzocchi, Giulia, in Saracineschi,
80, 88, 96n.
Mazzocchi, Grazia, 80.
Mazzocchi, Ippolito (di Giov.
Antonio), 82, 89, 90, 129.
Mazzocchi, Ippolito (Don), 80.
Mazzocchi, Marietta (di Giov.
Antonio), 89.
Mazzocchi, Marina (di Andrea*),
80, 82, 88.
Mazzocchi, Mario, 137, 137n.
Mazzocchi, Marta (di Andrea*), in
Tonelli, 80, 82, 88.
Mazzocchi, Pietro Maria (XVII
sec.), 79.
Mazzocchi, Pompeo, 79n, 81n,
82n, 83n, 84n, 85n, 87n, 88n,
89n, 92, 93n, 94n, 96, 96n, 97n,
98n, 101n, 102n, 104n, 105n,
107n, 108n, 109n, 110n, 111n,
112n, 114n, 115n, 116n, 119n,
121n, 122n, 123n, 124n, 125n,
126n, 128n, 130n, 131n, 134n,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
195
INDICE DEI NOMI
136n, 137n, 139n, 142n, 143n,
145n, 147n, 148n, 150n, 151n,
152n, 153n, 154n, 155n, 156n,
157n, 158n, 159n, 160n, 163n,
165n, 169n, 170n.
Mazzocchi, Rosina (di Giov. Antonio), in Almici, 89.
Mazzocchi, Tito, 136, 136n, 137,
168.
Mazzocchi, Violantina (sorella di
Pompeo), in Almici, poi in Testa,
92, 108n, 109, 109n, 110, 112,
122, 127, 129, 129n, 132, 137.
Mazzoldi, Giuseppe, 159n.
Mazzucchelli, Luigi, 158, 159,
159n.
Meazza, Ferdinando, 169n, 170n.
Mediterraneo, 86n, 93n, 111n,
121n, 143n.
Mehmet Alì, (Vicerè), 142n.
Meiji (era imperiale), 170n.
Mermet de Cachon, L. (Abbé),
170, 170n.
Messagerie Impériales, 143n.
Messaggerie Marittime (Messageries
Maritimes), 141, 141n, 142, 143,
143n.
Messico, 154n.
Messina, 142.
Miguel (domestico), 118.
Mikado (titolo), 170.
Milano, 88, 98n, 102, 105, 105n,
106, 106n, 107n, 108n, 116, 134,
137n, 166, 169, 169n, 170n.
Millhouse, John, 107n.
Millin e Sbuttega, 115.
Minelli, 95.
Moldavia, 123n.
Molossi, 81.
196
Monauni, Gaspare, 116, 116n.
Mondalla, Girolamo, 97.
Monte Orfano (Coccaglio), 164n.
Montenegro (Monte Nero / Crna
Gora), 114n, 117, 117n, 169.
Montijo, Eugenia de, 108, 108n.
Mormoni, 169n.
Mosè, 142
Mosè, 143.
Murcia, 119.
Mutsuhito (Imperatore), 170n.
Nagasaki, 139, 139n, 147n, 154,
154n, 155, 157, 157n, 168, 53n,
170.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Nagasaky (edificio), 128n.
Nanchino (Nanjing), 150n.
Nankin (vapore), 147.
Napoleone III, 108, 108n, 117,
117n, 143n, 169n.
Napoli, 85.
Napoli, Re di, 103.
Negroni, 135.
Nespoli (famiglia), 93.
Nespoli (notaio), 131, 137.
Nespoli, Carlo, 93, 102.
Nespoli, Stefano, 93.
Nettuno (divinità), 142.
Nicola (padre), 165.
Niigata, 139, 139n.
Nilo (fiume), 143n.
Nimes, 121, 121n.
Nipon (Nippon / Nihon), 139,
139n.
Noè, 121.
Oceano Atlantico, 106.
Oceano Indiano, 145n.
Oceano Pacifico, 148n, 167n.
Oglio (fiume), 116n, 123n.
Olimpo (Olimpio), monte, 108.
Orefici (avvocato), 129.
Orio, Carlo, 137, 137n., 138n.
Orsini, Felice, 169, 169n.
Orzinuovi, 84n, 101n, 116n.
Ospitale (Monauni, Coccaglio),
116.
Ospitaletto, 141, 141n.
Ostiano, 123, 123n.
Ottomano, Impero, 110n, 142n,
170n.
Ôyama Kôsuke, ambasciatore,
170, 170n.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
197
INDICE DEI NOMI
Padova, 79.
Paladini e Goretti, 130n.
Paladini, Gaetano, 130, 130n.
Palazzo d’ Estate (Pechino), 149,
151.
Palma di Majorca, 118, 121.
Parigi, 106, 107, 108, 122, 153,
156, 170n.
Parkes, Harry, Sir, 149, 149n, 169,
169n.
Partegiani, Natale, 80n.
Partito d’ Azione, 98n, 134, 134n.
Pascal fils et Compagnie, 160.
Pechino (Beijing), 141, 147, 147n,
148n, 149, 150, 150n, 151, 152,
153, 163, 163n, 170.
Pedrali (notaio), 128, 129.
Pellegrini (marito di Maddalena
Armanni), 80.
Pellegrini, 101.
Pellegrini, Aurelia, 82.
Pellegrini, Giulietta, 82.
Pellegrini, Pierina, in Ghisenti, 82,
159, 159n.
Pellegrini, Vincenzo, 82, 159n.
Pellico, Silvio, 82, 82n.
Peloponneso, 108n.
Peninsular & Oriental, 146, 146n.
Pentonville Road, 107n.
Pentonville, 107, 107n.
Persagno (Perzagno / Perçani), 115,
115n, 125.
Pesaro, 154n.
Petroviç-Njegos (dinastia), 117n.
Phare (Le) (giornale), 160n.
Pheasant (famiglia), 107.
Pheasant, Mrs, 107.
Piemonte, 117.
Pietroburgo, 169.
198
Piettole (Pietole), 102, 134.
Pignatel & Co, 147n.
Pignatel, J., 147n.
Pignatelli, 147, 153.
Pii Luoghi (Bs), 99, 134.
Pikilì (Pichelì / Bohai), golfo, 147,
147n, 150.
Pini, 98.
Pio IX, 170, 170n.
Pisogne, 137n.
Pitesti (Piteschi), 124, 124n, 125.
Ploeschi (Ploiesti), 124, 124n.
Point de Galle (Galle), 145, 145n,
147, 162.
Pollenza (Pollensa), 118, 118n,
119, 121, 125.
Polo Nord, 106.
Polotti, 136.
Pontoglio, 91.
Pordenone, 104n.
Port Arthur, 168n.
Porta, 97.
Portsmouth (trattato di), 168n.
Princess Royal (nave da guerra),
169.
Procopio di Cesarea, 121n.
Progresso d’ Egitto (Il) (giornale),
160n.
Provaglio, 97.
Prussia, 138.
Pryer, H., 156n.
Pudiano, 116n.
Puech (Alcide Puech), 159n.
Puig (monte), 118.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Qing (dinastia), 151n.
Quartari, 80, 80n.
Ragusa (Dubrovnik), 114.
Rampinelli (droghiere), 101.
Rampinelli (marito di Camilla
Tonelli), 82.
Regent Street, 107.
Roches, Léon, 163, 163n, 170,
170n.
Rodolfi, 84, 87.
Rodosto (Tekir Dag), 110, 110n,
111, 113, 135, 136.
Roma, 170, 170n.
Romania, 123n, 124n, 139n.
Rovato, 84, 86, 101, 128, 129,
169n.
Rovereto, 163n.
Rudiano, 116, 116n.
Rugardi, 121.
Rumelia, 122n.
Russia (Impero di), 126n.
Russia, 93n, 126n, 138, 148n,
168.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
199
INDICE DEI NOMI
Sabbia (Val), 102n.
Saigon (Ho Chi Minh City), 147,
147n.
Sakhalin (isola), 156n, 168n.
Saldi Barisani, Caterina, 81n,
100n, 137n, 155n, 158n, 159n,
162n.
Salò, 102n, 113n, 137n.
Salsomaggiore, 170.
Salt Lake City, 169n.
Salvi (famiglia), 83.
San Francisco, 159.
San Gottardo, 106.
Sandri, Teobaldo, 148, 148n, 149,
150, 152, 153, 158.
Santa Maria Hoè, 125, 125n.
Santo Stefano (Istanbul), 110.
Sapeto, 111.
Sapeto, Giuseppe, 111n, 169,
169n.
Saracineschi (cugino di Pompeo),
96, 96n.
Saracineschi, 80, 88.
Sardegna (Regno di), 111n.
Savoia (casa reale), 111n.
Sbarbaro, 94, 133.
Sbarbaro, Tito, 94.
Scarpetta, Paolo, 82n, 115, 117,
123, 169.
Sebenico, 122n.
Sentinella Bresciana, La, 109n.
Sevlijevo (Sevlievo / Selvi), 122,122n,
123, 124, 124n., 125.
Shanghai, 147, 151, 152, 154,
154n, 157, 157n, 163, 166, 167,
168, 170.
Shantung (Shandong), 147, 147n,
153.
Shinell, 121.
Siberia, 126n.
200
Signoroni, 90.
Simone (ingegner), 141.
Singapore, 141, 145n, 147.
Smith, H. W., 147n.
Società Bacofila della Provincia di
Como, 137n.
Società Bacologica Bresciana, 158,
162.
Società Operaia di Mutuo Soccorso,
98n.
Soletti, 97.
Solferino (battaglia di), 102, 102n,
119, 119n.
Soller, 118, 119n.
Soresina, 121.
Spagna, 117.
Spalato (Spalatro / Split), 114,
114n.
Spallenza, 101.
Speri, Tito, 98, 98n, 103, 103n,
134.
Spielberg, 82, 82n.
Spilimbergo, 104, 104n, 125.
Sri Lanka, 141n. 145n.
St. Ambroix, 121, 121n.
Stati Uniti d’ America, 105, 105n,
106, 116n, 138, 169n.
Stato Pontificio (“Stati Papalini”),
103.
Storia Universale (di Cesare Cantù),
169n
Strasburgo, 106.
Sud Africa, 108n.
Suez (porto), 108n, 142, 143, 143n,
160, 162, 170.
Suez, canale di, 142, 142n , 143n,
158, 169n.
Svizzera, 104, 106.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Taborini, Enrico,102.
Taiping, 150, 150n, 156n.
Taku (Dagu), 147, 147n, 149,
153.
Tekir Dag, 110n.
Teofane Bizantino, 121n.
Teolotti, 136.
Terraneo, 108, 111n.
Testa, Benedetto, 108n.
Testa, Giuseppe, 108, 108n, 109,
109n, 110, 110n, 122.
Tientsin (Tianjin), 147, 147n, 148,
149, 150, 152, 153, 157, 158.
Tirnova (Zlati-Dol), 122, 122n,
123.
Tirolo, 102.
Tobia (Libro di), 165n.
Tobia (Tobit), 165, 165n.
Tokugawa, 166n.
Tokyo, 149n, 166, 170.
Tonelli (famiglia), 123.
Tonelli Paolo, 169n.
Tonelli, Andrea, 82, 82n, 101,
101n, 115.
Tonelli, Anì, 82.
Tonelli, Bortolo, 82.
Tonelli, Camilla (in Rampinelli),
82.
Tonelli, Giovanni, 83, 91.
Tonelli, Lucia, 81.
Torbole (Torbole Casaglia), 84, 84n,
85, 91, 92, 99, 102, 103, 127,
128, 131, 131n, 134, 135, 136.
Torino, 105n.
Toscana, 107.
Toscolano (Toscolano-Maderno),
102, 102n.
Travagliato, 82, 84, 84n, 86, 91,
92.
Trentino-Alto Adige, 102n.
Trento, 103n, 163.
Trieste, 113.
Tsugaru (stretto di), 155, 155n.
Tsushima (isola, battaglia di),
168n.
Turchia, 79, 108n, 110n, 114n,
122n, 124, 130, 136.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
201
INDICE DEI NOMI
Udine, 125.
Ufficio Ipoteche, 160.
Ulisse, 108n.
Ulu Dag, 108n.
Utah, 169n.
Val Padana, 150n.
Val Sabbia, 102n.
Val Sabbia, 113n.
Val Seriana, 91n.
Valacchia, 123, 123n, 124, 125,
139n.
202
Valantria, 139.
Valcamonica, 80, 98n.
Valenza (Valencia), 117, 117n,
119.
Valli (famiglia), 84.
Valsecchi, Caterina, 97, 98.
Valsecchi, Luigi, 97, 98
Varna, 122, 122n.
Venezia (Repubblica di), 111n.
Venezia, 97.
Veure (Le Veuve), 165, 165n.
Vicari, 80.
Vicino Oriente, 105, 109n, 110n,
124n, 159n.
Vienna, 125.
Viet Nam, 147n.
Villafranca (armistizio di), 102n.
Viola, 80.
Virgilio (padre), 145.
Vladivostok, 126n, 167, 167n.
Washington,169.
Weim, H., 165n.
Wise, John, Howard, 156, 156n,
165.
Wuhan, 166n.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DEI NOMI
Yangzi (Yantse Kiang / Fiume Azzurro), 156n,166, 166n.
Yantai, 147n.
Yezo (Yesso / Hokkaido), 139, 139n,
150, 153, 156, 163.
Yokohama, 126, 137n, 139, 139n,
141, 147, 149, 150, 150n, 155,
155n, 157, 158, 163, 164, 166,
169, 170.
Young, Brigham, 169.
Zambelli, 82.
Zanardelli, Giuseppe, 135, 135n.
Zanchi, Giovan Battista, 109,
109n.
Zane, Damioli e C., 137n, 159n.
Zane, Paolo, 137n.
Zante (Zákinthos), 108, 108n.
Zara (Zadar), 114, 114n.
Ziglioli (Zilioli), 163, 163n.
Ziglioli e Gandolfi, 163n, 169n.
Zlati-Dol (Tirnova), 122n.
Zulu, 108.
Zululand, 108n.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
203
Appendici
67. Prima facciata della lettera autografa di Pompeo Mazzocchi scritta da Yokohama il 6 settembre
1870. Cm. 21,5x26. Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico
206
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE I
Lettera1 da Yokohama di Pompeo Mazzocchi
a Paolo [Tonelli?]2 datata 6.9.1870
Yokohama 6 settembre 1870
Carissimo Paolo,
il penultimo del p.p.m. ricevetti la gratissima vostra datata 11 luglio e mi fu
gratissima e vi ringrazio immensamente: così ringrazio assai la vostra gentilissima
signora, benchè assai tardi abbia adempito ai vostri ordini. Con sommo spiacere
ho sentito la perdita della vostra amabilissima Giulietta - il giorno stesso, il 30
[agosto], che ricevetti la tristissima notizia - mi ricordavo di lei, dei suoi progressi
e avevo contrattato per lei, con un giapponese, un piccolissimo ventaglio d’avorio
e non lo presi perché al momento non avevo moneta. Ai miei compagni in casa,
leggendo questa tristissima notizia ho dovuto dire: è mancata quella ragazzina
che volevo regalare di un piccolo ventaglio. Disgrazia è grandissima e non immagino il dolore che voi avete provato con la vostra signora e che adesso senza badare,
vi rinnovo. Fortunato voi che potete confortarvi con altri figli e Giulietta adesso
cederà il suo nome ad un’altra se non preferite quello di Virginia.
Spero voi e tutta la vostra famiglia godrete perfetta salute - uguale alla mia
- non sono mai stato, malgrado tutto, così bene.
Nei vostri interessi siete alcune volte sfortunato e non si può incolpare né voi, e
molto meno la vostra signora e, come potete pensare, mi è spiaciuto assai che non
abbiate fatto il maggior raccolto [dei] bozzoli. I cartoni bivoltini3 da voi avuti
erano misti buoni e cattivi e fortuna ha voluto che nelle prove precoci4 (Nespoli
a Milano) si provarono i buoni e così, mio malgrado, credendo essere sicuro, ho
1 La trascrizione della lettera (sei fogli scritti, anche di traverso), rinvenuta in tempi recentissimi e ora
conservata negli archivi della Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, è integrale. Sono state sciolte alcune abbreviazioni e adattate la punteggiatura, le maiuscole ed alcune forme verbali, all’uso corrente. Le
integrazioni del redattore sono in parentesi quadra. Come già detto nell’Introduzione e come Pompeo
sottolinea con amarezza nel suo Diario (al foglio 144), le lettere scritte da Pompeo a casa durante i suoi
viaggi furono tutte distrutte da suo fratello. Lo stesso è avvenuto, forse dopo la sua morte, per tutta
la restante corrispondenza, di cui rimangono solo pochi bigliettini personali. Oltre a ciò che sussiste
all’Archivio di Stato di Brescia - alcune comunicazioni e lettere d’affari relative al viaggio in Giappone
del 1865 - in gran parte già edito da Caterina Saldi Barisani nella sua citata biografia di Mazzocchi, le
due lettere in queste appendici sono, per ora, le unica lettere autografe personali di Pompeo Mazzocchi
che si conoscano (NdR).
2 L’identificazione del destinatario nel figlio di Andrea Tonelli è molto probabile, ma non è ancora definitivamente accertata (NdR).
3 Per i termini “cartoni” e “bivoltini” si vedano le note 10 e 75 dell’Introduzione (CZ).
4 Un piccolo campione del seme-bachi acquistato veniva fatto nascere artificialmente (mediante il calore)
in laboratori specializzati qualche mese prima della consegna del seme agli acquirenti, per verificarne lo
stato di salute e la qualità (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
207
APPENDICE I
danneggiato e voi e il mio compare ed amico Facchetti.5 Come avrete capito sarà
bene che non mi diate ascolto quest’anno riguardo ai cartoni e che non voliate
[sic] affidarvi alla mia fortuna nella scelta due anni di seguito. Vuol dire che sono
sfortunato e che in questo interesse con me, voi lo siete ugualmente.
Temevo che gli annuali6 non corrispondessero al caro prezzo [richiesto], mi
fidavo nei bivoltini e [nelle] promesse dei negozianti giapponesi e mi sono ingannato. Dei cartoni bivoltini marcati P avevo promesso al negoziante giapponese,
se bene riuscivano, un “bus”7 - quasi due lire italiane - per cartone, ed avevo
rilasciato un obbligazione regolare. Adesso l’ho veduto e mi confessò ancora che
sapeva che erano misti buoni e cattivi e non so capire perché volle ingannarmi
pregiudicandosi lui pure.
Il bivoltino è qualità inferiore ed i giapponesi per fare semente devono adoperare i più scadenti. Solamente la carestia negli animali e la mancanza di [semente
giapponese] riprodotta buona poteva consigliar[ci] questa qualità.
L’anno scorso i giapponesi guadagnarono immensamente, così due anni fa, [così]
che ognuno nel corrente anno avrebbe pensato all’abbondanza [di offerta], invece
è opinione generale che il Giappone quest’anno non darà più di cartoni 800.000
annuali, cioè circa 50.000 più dell’anno scorso. Il prezzo sarà superiore e così
avranno perdita e quelli che vennero al Giappone ed i sottoscrittori. Aggiungete
l’aggio che sarà fortissimo fra l’oro e la carta.8 Le condizioni sono pessime.
La guerra che adesso arde in Europa9 rovina tutto, si spendono miliardi per
ammazzarsi, il commercio è arenato, tutti i valori ne soffrono e chi sa quanto durerà questo stato di cose. Il progresso l’abbiamo nelle macchine, in molti
comodi, ma il vero progresso è lento e pare una cosa chiara che l’ammazzarsi,
con immensi sacrifizj, per l’ambizione di alcuni, non può essere profittevole:
ma è inutile, tutto va lentamente e [noi] siamo appena uniti. Le lunghe guerre,
per essere queste abolite, [dovrebbero essere] aborrite dall’opinione pubblica e
considerate barbare. L’egoismo, l’ambizione, lo spirito militare ha grande parte,
l’egoismo di considerare se stessi e non gli altri, [ne] soffrono molte volte quelli che
dovrebbero essere portati in celo [sic].
Appena qui scoppiate le nuove di guerra tutto il commercio ne risentì, succedette la calma, il ribasso, solo i cartoni si sostengono, la domanda essendo
5 Dovrebbe trattarsi del Giuseppe Facchetti citato ai fogli 92 e 97 del Diario (NdR).
6 In contrapposto a bivoltini, vedi la nota 3, sopra (CZ).
7 Intende dire un ichibu, moneta giapponese equivalente, come specificato poco dopo, a poco meno di
due lire italiane di allora (CZ).
8 Vuol dire lo sconto che si perdeva nel cambiare la valuta cartacea (lettere di credito) in moneta aurea
(NdR).
Si riferisce alla guerra franco-prussiana del 1870 che in realtà era finita da qualche giorno (il 2 settembre) con la totale sconfitta della Francia, ma in Giappone la notizia non era evidentemente ancora
arrivata (NdR).
208
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE I
ingente in ragione della quantità, ed i venduti si sono pagati più cari dell’anno
scorso, causa essere stato preparato, disposto prima, questo capitale.10 So che
costì si è fatta molta riprodotta11 e così nessuno coltiverà bivoltini e quelli che
non [si] sono sottoscritti non vorranno pagare i cartoni più cari dell’anno scorso.
Cartoni per speculazione, annuali, se si mantengono a questi prezzi, cari, non
ne verranno in Europa: nessuno vuol arrischiare una somma considerevole per
piccolo guadagno incerto. Intanto i giapponesi domandano di un cartone dalle
lire italiane vent’una alle lire 30.12 La differenza di L. 9 è grande fra qualità
seconde e prime - comperando seconde qualità si è sicuri che sono seconde scadenti,
comprando sempre prime qualità si può cadere bene e male. Costì un cartone,
se all’apparenza è uguale, è considerato uguale a un altro - ma è naturale che se
vi era differenza da noi quando non esisteva la malattia, e per esempio i cartoni
di Bione - dei siti alti - erano apprezzati più di quelli del Basso Bresciano per la
galetta e posizione13, questa differenza esiste [pure] qui al Giappone e non v’è
altro scampo che fidarsi nei giapponesi e nella propria vista e fortuna.
Come vedete qui uno non è un mago e voi ne avete la prova maggiore che mi
sono sbagliato: mi conforto che i cartoni da me portati, presi tutti insieme, sono
riusciti abbastanza bene e la mia Società si è dichiarata contenta: nei bivoltini
ho avuto un ottavo di scadenti, e voi, [di]sgraziatamente avete - ho preso per voi
di questi. Credo di essere sicuro che riterrete questo per errore, e che per evitare
la sfortuna, avrete fatto benissimo a provvedervi altrove. - Mi scrivete di cinque
marche di bivoltini incrociati14, se vi voglio dire la verità, a queste incrociature
non ci credo, è un invenzione. Al tempo che ci sono le farfalle annuali, non vi
sono le bivoltine e credo siasi trovato questo termine per non dire bivoltino chiaro
e netto. Vi sono razze dette dai giapponesi “saide”, ora bivoltine, ora annuali,
forse secondo della stagione, sono le più sane, ma sono rari questi cartoni, l’aspetto, il carattere di questa semente è uguale alla bivoltina. I cartoni marcati M li
avevo presi, mi erano stati dati per “saide”. Mi sono dilungato troppo sugli affari
10 Si riferisce al fatto che gli ingenti capitali destinati all’acquisto dei cartoni giapponesi venivano raccolti (per
sottoscrizione di un vasto pubblico) molti mesi prima che i semai li portassero in Giappone (CZ).
11 Intende: si è riprodotta molta semente (annuale) giapponese importata l’anno precedente e quindi vi
sarà meno richiesta anche di quella bivoltina (meno cara). Queste riproduzioni, tuttavia, anche se fatte
con molta attenzione, garantivano solo in parte una riuscita favorevole (e pertanto bisognava, prima o
poi, ricorrere di nuovo a seme-bachi originario giapponese, annuale o bivoltino) (CZ).
12 Il prezzo riportato da Mazzocchi era altissimo, ma si trattava dei primi acquisti e non corrisponde a
quella che fu - alla fine del periodo degli acquisti, in novembre - la media generale del prezzo di tutti
i cartoni di seme-bachi annuali comperati in Giappone, anche se la stagione del 1870 fu una delle più
care in assoluto (CZ).
13 Nella foga del discorso Mazzocchi parla di cartoni di seme-bachi italiano in analogia a quelli giapponesi, ma in realtà in Italia ed in Europa in generale, il seme-bachi era depositato su panni di lino e non
su cartoni (CZ).
14 Intende dire frutto di incroci tra bachi bivoltini e bachi annuali. Esperimenti in tal senso vennero
effettivamente eseguiti, ma senza particolari risultati (CZ).
15 Intende un monopolio delle vendite agli stranieri del seme-bachi controllato dal Governo come quello
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
209
APPENDICE I
semenzicoli e credo sarete saltato avanti per vedere dove finivo sì lunga cantilena
e chiudo questo soggetto per me importante col dirvi che non trovo altro rimedio
sicuro (utile per noi) alle sempre crescenti pretese, angherie dei giapponesi che
[se] fosse possibile [fare] una Società [per] riprodurre la semente del Giappone
in China - dove v’è sanità - paese immenso che dà di esportazione dalle 50.000
alle 70.000 balle di seta di kg. 60 l’una e dove un monopolio15, essendo il paese
aperto, immenso [e] il Governo nullo, è impossibile. La difficoltà si è di costituire
una società per questo, di radunare un capitale (per riprodurre la semente del
Giappone in China occorre una grave spesa) e nessuno vuole esporre considerevole
capitale e fatiche per fare buon letto agli altri.16 Le grandi società che hanno
guadagnato molto, troppo, dovrebbero farlo - ma fino che durano le sottoscrizioni, Yokohama è più comoda, più sicura della China. Il Conte Marcantonio Fè è
partito per la China [di] Nord-Est troppo tardi dopo fatto la semente.17 Della
China abbiamo razze al Nord Est e immense province, [grandi] come l’Italia,
[che] in questo paese restano inesplorate. Sandri ha corso grave pericolo ed è
salvo.18 Schnell19 mi domandò di voi e si ricorda benissimo di voi - vi saluta.
Vi ho scritto da Parigi e prima di scordarm[elo vi dico che] mi sono dimenticato di avere quelli indirizzi che gentilmente mi avete favorito. Difficilmente
ritornerò per la via [d’] America e se mi troverò a Parigi farò tutto quello che
mi avete suggerito. - Negli spiriti un poco ci credo anch’io - mi dispiace a non
potervi dissuadere, perdonatemi - e mi sono toccate di quelle cose, che veramente
un qualche spirito maligno vi deve essere entrato. Alcuni angeli e diavoli bisogna
dire che in certi momenti l’abbiamo adosso, altrimenti non si potrebbero spiegare
certi fenomeni. Questi saranno i medium, ma sono rari.20 Non bisogna pensare
a queste cose che sono superiori alle nostre viste e non possono appagarci, ma solamente non scoraggiarsi, sfiduciarsi e pensare che [se] v’è che è bene deve finir bene
e tutto per il meglio e se va bene una cosa, va male un’altra e non bisogna pretendere troppo - come sapete, tutto il male non viene per nuocere. Mi dimenticavo:
che vi era a Yokohama (CZ).
16 È molto probabile che Mazzocchi abbia in mente il tentativo - con scarsi esiti - fatto l’anno precedente
da Cicogna, Bresciani ed altri di Brescia per impiantare un solido commercio di seme-bachi con la Cina
settentrionale e la Corea, tentativo di cui si è detto nella Introduzione (CZ).
17 Si tratta di Marc’Antonio Fè d’Ostiani che aveva accompagnato il fratello maggiore Alessandro in Cina
nel corso del viaggio di quest’ultimo per assumere la carica di Ambasciatore italiano in Giappone.
Come già notato nella Introduzione (alla nota 12 e oltre), i Fè d’Ostiani erano fortemente coinvolti nel
commercio del seme-bachi (CZ).
18 Si tratta di Teobaldo Sandri, piemontese, residente in Cina, di cui Pompeo parla più volte nel Diario.
Qui si riferisce a disordini scoppiati in Cina che avevano messo in pericolo vite e averi dei residenti
stranieri (CZ).
19 Personaggio non identificato (NdR).
20 Lo spiritismo stava andando assai in voga in quegli anni, specie a Parigi, ed è probabile che Paolo Tonelli abbia chiesto a Pompeo di informarsi sui luoghi dove si svolgevano incontri di quel tipo (NdR).
21 Di Vincenzo Almici, che aveva felicemente collaborato con Pompeo a Majorca nel 1860 e del suo
210
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE I
vi ho promesso da lungo tempo una lunghissima mia riguardo al mio viaggio e
adesso, bene o male, vi dirò qualcosa e così finirà questa mia all’incontrario di
quel che doveva essere - troppo tardi - non v’è nulla d’importante sia che abbiate
o non abbiate la pazienza di leggermi.
A Parigi mi sono fermato poco e mi interessava di più di perdere i giorni che
avevo [a disposizione] a Liverpool e così, contento, lasciai questa Babilonia e felicemente traversai la Manica e mi trovai a Londra. Non avevo l’indirizzo della
casa dove si trovava la famiglia che conoscevo, né m’interessava sapere la storia di
Vincenzo Almici21 e appena arrivato a Londra partii per Liverpool. Da Londra
a Liverpool trovai la campagna bellissima, bellissime praterie e dappertutto di
quei alti “fumaioli”, come quello del gaz a Brescia. Dapertutto officine e fumo e
movimento, come deve essere un paese che vive d’industria che fornisce tutti i mercati del mondo ed apresso l’agricoltura. Liverpool da pochi anni contava centomila abitanti, ora oltre mezzo milione e nei suoi porti vi sono più bastimenti che a
Londra. Il movimento, l’attività è tale che voi stesso sareste trasportato e dimentichereste il vostro male. Né per questo trascurano i comodi e belle comode case e
passeggi bellissimi che superano l’immaginazione e popolate da Miss che più del
movimento rumoreggiante vi farebbero - non dico guarire, ma ammalare di più.
Nelle strade vi sono le spranghe di ferro a doppio binario e sopra continuamente
vi corrono immensi omnibus22 sempre pieni e non bastano: vi sono moltissime
vetture celerissime - il tempo, in Inghilterra è moneta e nessuno lo perde.
Il vapore sul quale dovevo partire è partito al minuto fisso, benchè piovesse fortemente
e sarei restato a terra se mi fossi fidato.23
Nel porto, fra parecchie centinaja d’immensi vapori e parecchie miliaja [sic] di grossissimi bastimenti24, in un piccolo angolo, vi era un umile barchetta lunga 17 piedi
che tutti guardavano - con due marinai - era appena arrivata da Nuova York sfidando
l’Oceano sempre burascoso [sic] e nebbioso. Due marinai e un cane in una piccola
barchetta traversarono l’oceano e adesso non posso vantarmi di avere io fatto qualche
cosa attraversandolo sopra [il] vasto ponte [di un] vapore.
Sul vapore che mi trovavo vicino, seicento emigrati che fuggivano dalla vecchia
Europa, uomini, donne, ragazzi, alcuni allegri altri pensierosi, piangenti: così si popola
l’America destinata a divenire grande e migliorare quelli che vi portano ad abitarla.
Arrivai a Nuova York il 10 alle sei pomeridiane dopo 10 giorni di traversata e
successivo “guastarsi” nel lungo soggiorno in Inghilterra, si parla brevemente nel Diario, al foglio 93
del dattiloscritto (NdR).
22 Il foglio si interrompe con la nota: “leggete attraverso primo foglio” e la lettera prosegue con le righe
scritte perpendicolarmente ai fogli 1,2,3 e 4 (NdR).
23 Vuol dire: se si fosse fidato che per la pioggia il vapore avrebbe ritardato la partenza (NdR).
24 Per “bastimenti” Pompeo intende, qui e altrove nella lettera, velieri, in contrapposizione a “vapori”
(NdR).
25 Si riferisce agli ascensori che allora potevano funzionare a vapore (NdR).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
211
APPENDICE I
benchè in giugno, soffersi il freddo ed ho veduto la neve sotto le [manca un pezzo
della frase NdR] che liquefava toccando il vapore. In questa stagione alle volte
discendono dal mar glaciale pezzi immensi di ghiaccio portati dalle correnti e,
con le nebbie che dominano, mettono in pericolo e vapori e bastimenti. Arrivai
a Nuova York raffredato [sic] sotto una pioggia fittissima ed alloggiai in uno dei
primi alberghi, non già per fare il grande, ma per farmi un’idea di questi immensi alberghi, del lusso e [del] vivere americano e ne restai sorpreso. A Parigi, a
Londra [e] costì non v’è nulla d’eguale. Avendo il raffredore dovevo tenere scoperta
la testa e così questo lusso mi costò molto di tasca e di salute. Saloni immensi, coi
tappeti, per conversazione, lettura, ecc. Nella sala per il pranzo potevano sedere
comodamente quattrocento forestieri. Sale per colazione, merenda, caffè, the, ecc.
Macchina a vapore sempre in movimento per portare sù e giù i passeggeri.25
Servizio completo - a tavola non avete la fatica nemmeno di rompere gli uovi
sudati [?] o di mettervi la sedia sotto il sedere. Nei saloni superbamente ammobigliati passeggiavano delle signore, alcune assai avvenenti - e pare che il miscuglio
delle razze le migliori. Le signore, in America (Stati Uniti), sono assai rispettate
ed occupano il posto che meritano. Nell’albergo vi era il telegrafo, posta, tutto.
Anche negli uffizj ed alberghi secondarj vi sono i telegrafi ed in America, come
in Inghilterra, non si conosce il dolce far niente e non vi sono caffè e riunioni per
passare il tempo.
Nelle contrade [ = strade] vi è un movimento da stordire ed in Nuova York e
nelle città anche secondarie ci sono dappertutto binarj per gli omnibus e fili telegrafici dapertutto. Il vivere è caro, carissimo. Alcuni palazzi imensi sono di ferro
interamente, le contrade [ = strade] sono larghe, parallele e portano il numero
e così l’indirizzo è più chiaro, spedito. Le strade ferrate appartengono a società
private e queste vanno a gara per attirarsi i passeggeri e dapertutto avvisi e carte
ed in questo per noi è una Babilonia.
Per questo le [strade] ferrate non sono tenute così bene, troppa speculazione e
nascono disgrazie più frequenti che in Europa. A queste disgrazie provvedono le
assicurazioni e mentre corre il treno, alcune volte entra uno con un libretto per
vedere se alcuno vuole assicurarsi - [ vi sono] assicurazioni - società d’ogni sorta.
Non ho avuto disgrazie sulla [strada] ferrata, solamente si distaccarono alcuni
vagoni attaccati al vagone sul quale mi trovavo ed avvisato, il macchinista si
fermò e senza disordine si riattaccarono. Ho veduto lungo la linea una macchina
ed alcuni vagoni spezzati. Tre giorni prima della mia attraversata sulla ferrovia,
un centinajo di indigeni indiani a cavallo si fermarono sulla ferrovia nell’idea,
pare, di fermare il convoglio. Il macchinista che vidde [sic] la strada incombrata
invece di fermarsi, se era possibile spinse la macchina a tutta forza ed ammazzò
26 Vuol dire rimpianto, dall’inglese “to regret” (NdR).
27 “Abituato”, anche questo dall’inglese “ to be used to” (NdR).
212
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE I
una ventina di indiani. Le macchine l’avanti hanno una macchina per sbarrare
la strada. Ho veduto la cascata del Niagara e l’iride che fa nascere l’umidità in
alto ed il vicino ponte di fil di ferro, i boschi immensi del Canada e viste magnifiche di una natura vergine grandiosa e campagne immense coltivate con ogni
sorta di macchine e truppe di bestiami della migliore razza.
Come questo paese è grande, come è incamminato bene.
A voi che piace il vivere tranquillo, secondo natura, trovereste siti, sareste incantato di quelle campagne senza confine (non come quelle che vedete costì dalla
Palazzina, tutte frastagliate, ogni pezzetto di terra occupato, diviso), di vedere
terreni fertilissimi che aspettano i coltivatori. In mezzo all’America molto paese
è deserto, solitario ed il rumore del convoglio faceva levare branchi di camosci
pelosi, lepri: ho veduto pochi uccelli.
La ferrovia monta lentamente all’altezza di 10.000 piedi e vedete le nevi
vicine, altipiano immenso. Alcune piccole tribù vaganti di indigeni, facevano
compassione, paura, sembrava dovessero morir arse dal sole, di fame e sete, a noi
costumati con tanti bisogni. Ho veduto molti treni lunghissimi di emigrati. Sulla
strada ferrata si dorme in letti comodi e si mangia come all’albergo.
Quasi in mezzo a questo vasto deserto e solitudine vi è il Lago salato ed il paese
detto Hutah [Utah], magnifico e stupendo sito che manca di nulla e venne scelto
dai Mormoni dove speravano di condurre vita a loro modo, indipendenti. Ma in
appresso, la California si unì agli Sati Uniti, la strada ferrata riunì paesi lontanissimi e così, contro loro voglia, si trovarono assorbiti, fusi. Essi hanno ancora il
loro Profeta, ma se non abbandonano la poligamia saranno cacciati via e dicesi
cercheranno un nuovo asilo nelle immense isole dell’Australia. Gli americani (Stati
Uniti), non vogliono saperne di poligamia, malgrado rispettino qualsiasi religione.
Essendo passato vicino al Lago Salato, ad Ogden ho lasciato la grande linea e dopo
due ore di ferrovia arrivai a Salt Lake City. Ho veduto il tempio vecchio ed il nuovo
in costruzione. La città è bellissima con acqua buona in tutte le contrade [ = strade], industriosa e quieta. Ho fatto una visita al Profeta Brigham Young e sono stato
accolto molto gentilmente, suo figlio John fu pure assai gentile e siccome coltiva un
po’di bachi, avrò da lui un cartone, forse più, ed un cartone col primo vapore sono
d’accordo di spedircelo, purchè provi le sementi giapponesi.
Questo John [ è il] figlio primogenito del Profeta; il Profeta ha 17 mogli e 43 figli,
è, come dissi, assai gentile e simpatico e di aria modesta - con tutto questo costì non
credo che farebbe proseliti almeno nelle signore. A Salt Lake City vi fu un meeting
delle signore e dopo molti speech [= discorsi] convennero in favore della poligamia,
come forse sapete dai giornali. Ad ogni modo in America e Stati Uniti le donne
vogliono che abbiano a godere dei loro veri diritti e la famiglia sia condotta secondo
il progresso dei tempi. Quando ci vedremo vi regalerò il ritratto del Profeta - se non
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
213
APPENDICE I
è troppo antipatico alla vostra signora.
Sono passato nei terreni auriferi e fra le montagne dove si cerca l’oro e la California
ha campagne fertilissime e manca di nulla e clima buonissimo che quasi tutto l’anno
si mantiene alla stessa temperatura. I lavori per cercare l’oro sono grandissimi e gli
acquedotti per lavare le terre. Vi sono viste bellissime, indiscrivibili e ponti altissimi
fatti così leggeri, di legno, ed economici ed alla svelta, che pare il treno dovrebbe
cadere giù, e difatti sopra vanno adagissimo.
Del resto voi non avete nulla da invidiare e sta in voi a vivere bene che nulla vi
manca ed alcune volte siete assai allegro e vi dimenticate, stando in piedi e camminando, della vostra malattia. E scommetto che se voi aveste fatto il mio viaggio
avreste sempre regrettato26 la vostra Palazzina, i vostri comodi. Siete usato27 troppo
bene, vi siete viziato e per questo desiderate, pensate, molte cose, ma ringraziate la
vostra fortuna e, lasciate che ve lo dica, mettetevi in testa di guarire - sforzatevi - fate
una cura buona e guarirete - se non siete [già] guarito. Per voi vi vorrebbe un viaggio
di mare, aria, vita differente e nello stesso tempo una cura buona ed in voi costanza
e buona persuasione. Gli altri, molti sono stati sfortunati, perché stanno troppo male,
voi perché state troppo bene e non potete tollerare una vita un po’disagiata e nuova.
Venitemi incontro ad Alessandria d’Egitto od a Nuova York e ritornerete guarito.
Ho trovato S. Francisco di California una bellissima città, dove non si vive così
caro come a Nuova York ed il primo di luglio sono partito per qui ed arrivai il 24
sopra superbo vapore. Dovevo arrivare qui il 23 invece, come sapete, arrivai il 24
- si perde un giorno - cioè i giorni passati prima essendo stati [complessivamente] più
lunghi di 24 ore si perdette un giorno. Sono passato agli antipodi, cosa che sembra
impossibile e questo globo, slanciato in aria, abitato dapertutto, ci fa credere che gli
altri globi pure siano abitati dapertutto e così potessi visitali in buona compagnia
- e adesso per la semente non sappiamo più,28 dopo il Giappone, in che paese capitare.
Questa mia è troppo lunga: ho tenuto la parola che ho data a Gabriele di scivervi
a lungo. Guarite e scrivetemi che siete guarito.
Spero di rivedere voi e la vostra famiglia in perfetta salute e vi prego dei miei
complimenti e rispetti alla vostra gentilissima Signora.
Salutatemi il Signor Andrea Caleppio29 e così la Signora Angelina30 e famiglia
e quelli che sapete mi sono amici.
State bene, così la vostra famiglia
28 segue la notazione “leggete attraverso del foglio che segue - p. 5 “ (NdR).
29 Marito di Caterina Mazzocchi (NdR).
30 Dovrebbe essere Angelina Caleppio, sorella di Andrea e moglie di Giovanni Antonio Mazzocchi, cugino
del padre di Pompeo (NdR).
214
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE I
credetemi
Vostro affezionato amico
Pompeo Mazzocchi
Settembre 6.
Ad oggi cartoni arrivati a Yokohama:
annuali e bivoltini no. 524.484 venduti 97.539
anno scorso: arrivati No 404.307 venduti 198.146.
I cartoni venduti potete considerarli al prezzo dalle Italiane lire venti alle ventisei - spero in un qualche ribasso.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
215
68. Polizzino di carico (Bill of Lading) per 44 casse di seme-bachi (pari, al lordo, a 3432 libbre, ossia
1557 kg.), spedite da Pompeo Mazzocchi da Yokohama il 4 novembre 1877 per mezzo della Pacific Mail
Steam-ship Co. (sino a S. Francisco) e, in proseguimento per ferrovia, con la Central Pacific Railroad Co.
(da S. Francisco a New York). A New York le casse sarebbero state reimbarcate per l’Europa. Cm. 36x22,5.
Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi, Coccaglio, Archivio Storico.
216
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE II
Lettera da S. Francisco di Pompeo Mazzocchi
datata 12 settembre 18791
S. Francisco, 12 7bre 18792
Carissimo cugino,3
ti ho scritto, sai, anche da Kingston4 ed ora ti mando ancora i miei cordiali
saluti prima di lasciare l’America - domani alle 12 parto sul vapore Oceanic,
spero arrivare a Yokohama ai primi del p[rossimo] m[ese].5 Èl’ultimo tratto del
mio viaggio, 4700 miglia di Pacifico.6
A Kingston volevo continuare il viaggio sul Lago Ontario per Toronto, ma
per evitare la spesa di circa L. 20, avendo la ferrovia pagata, presi la ferrovia.
Volevo fermarmi a Toronto, poi, per il cattivo tempo che sopravvenne impensato,
continuai il viaggio.
Volevo fermarmi a Sarnia,7 sul Lago Huron per vedermi Petrolia,8 [ma]
1 La lettera, in fotocopia, ma di sicura mano di Pompeo, è stata rinvenuta tra le carte di Pompeo Mazzocchi dove è pervenuta, in tempi evidentemente recenti, a mano di qualche discendente del cugino di
Pompeo cui risulta indirizzata. Non è stato sinora possibile appurarne la precisa origine (NdR).
2 Come precisato nell’Introduzione e come ampiamente esposto nella biografia di Pompeo Mazzocchi di
Caterina Saldi Barisani, i viaggi del nostro semaio - come quelli di molti altri - per e da il Giappone
si svolsero in parte via Suez/Oceano Indiano, in parte via Atlantico/Stati Uniti/Pacifico. In questo
specifico caso tuttavia, Mazzocchi sembra aver scelto un itinerario particolare, in alternativa a quello
tutto ferroviario e tutto statunitense più usuale, da New York a S. Francisco, scegliendo un percorso
che lo porta a risalire in vapore il S. Lorenzo e ad attraversare in ferrovia un lungo pezzo del Canada.
Non è noto se si trattasse di una reale alternativa (in termini di costi e di tempo) alla via NewYork /
S. Francisco o se questa sia una diversione “turistica” che si concede Pompeo, ormai affermato, ricco e
vicino a concludere i suoi viaggi al Giappone. Un “itinerario americano” a uso dei semai e compilato
da un semaio piemontese, G.B. Imberti, è stato pubblicato di recente: si veda Memorie per un viaggio
da Torino a Yokohama per la via d’America (1883), Famija Piemonteisa, New York 1990 (CZ).
3 Non si è potuto appurare a chi di preciso fosse indirizzata la lettera. I saluti apposti alla fine ed indirizzati anche ad un (o una) P. Andreoli, potrebbero far pensare che si tratti di Domenico Mazzocchi
di Francesco, un lontano parente di Pompeo, la cui madre era una Andreoli. Su questo Domenico
Mazzocchi si veda la nota 192 al testo (NdR).
4 Cittadina canadese sul Lago Ontario, vicino al luogo ove nasce, come emissario, il S. Lorenzo (NdR).
5 Il periodico in lingua inglese di Yokohama, Japan Weekly Mail, segnala l’arrivo di Mazzocchi il 4 ottobre
del 1879 (CZ).
6 I primi semai a percorrere la via del Pacifico per tornare in Italia furono alcuni lombardi, recatisi in
Cina nel 1859 a raccogliere seme-bachi. A quell’epoca non erano ancora completate le linee ferroviarie
trans-americane. Giunti a S. Francisco si proseguiva via mare sino all’istmo di Panama (il canale non
esisteva ancora), lo si attraversava via terra e si proseguiva sino a N. York per poi trasbordare per Marsiglia. Si veda in proposito Zanier, C., “Rerouting the Silk Road via S. Francisco. Italian Entrepreneurs
and the Silk Crisis of the 1850s.” Storia Nordamericana, 1990, 7, II, pp. 105-116.
7 Centro canadese ai bordi meridionali del Lago Huron, stazione ferroviaria di confine con gli Stati Uniti,
poco lontana da Detroit (NdR).
8 Petrolia è oggi una piccola cittadina canadese ad una trentina di km a sud di Sarnia, ma fu allora, agli
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
217
APPENDICE II
ancora causa il cattivo tempo continuai il viaggio.
In viaggio, leggendo un giornale, ho saputo che un vapore sul Lago Ontario
si è perduto la notte dal 3 al 4 - si salvarono i passeggeri. Non essendomi potuto
fermare, tirai di lungo per essere qui in tempo di recarmi a Calavera, dove sono
gli alberi grossissimi detti “big tree” - grossi alberi.9 Hanno più’di 30 piedi di
diametro, alti più’di 300,10 ma a Sacramento City,11 lasciai la ferrovia,[e]
non avendo meglio a scegliere per variare, presi il vapore sul fiume Sacramento
(Sacramento river) e venni qui - nell’istesso modo che sono arrivato in questo
immenso paese.
Il St Lorenzo è un fiume immenso di acque limpidis[sime] fino a Quebec - il
Sacramento in confronto è un rigagnolo con acque assai torbide
- /2/ Infine son finito, coi miei progetti, alla città di Sacramento ed al fiume dell’istesso nome.
Ho lasciato Sacramento […] alle 9 ant[imeridiane], dovevo arrivare qui alle
7 pom[eridiane]. Ma nel fiume si arenò e nei movimenti per liberarsi ebbe la
macchina rotta - arrivai qui, invece delle 7, alle 11, il vapore andò con una sola
ruota.
Le rive di questo fiume sono assai belle e si vedono campagne bellis[sime] e villaggi che [vi] sorgono. Sembra un sogno, [quando si pensa] di trovarsi in un paese
dove vi sono campagne immense fertilis[sime] incolte - mentre qui si contende un
palmo di terra a prezzo alto.
Il clima, qui, è quasi uguale tutto l’anno, da Gennaio a Luglio c’è poca differenza: la California è il paese migliore d’America per il clima, per i prodotti del
suolo-frutti, uva, di tutto - e per le miniere.
Qui la stagione è come da noi ai primi di Aprile: sempre tutto l’anno vi sono
le fragole, i sparagi con altri frutti.
La mano d’opera, per l’arrivo continuo degli Europei - tedeschi, Inglesi generalmente - diminuisce di valore, ma è cara più del doppio in confronto di costà
- ed il vitto vale quasi la metà. L’alloggio è caro, da Cent. 25 di Doll. (una lira
e mezza) a un Dollaro (a lire sei circa).
Mi trovo qui in un albergo, [comodato?] come
- /3/ un principe; se venisse qui tuo padre, i nostri vecchi, cosa direbbero?- mi trovealbori dello sviluppo di questa industria, una delle primissime “capitali” dell’estrazione del petrolio
(colà scoperto in grande quantità nel 1865-66). Nel 1880 vi venne costituita la Imperial Oil Company
che diverrà in seguito uno dei colossi dell’industria petrolifera mondiale (CZ).
9 La “Calaveras Bigtree National Forest “ si trova nella Contea di Calaveras, in California, a Ovest di
Sacramento (CZ).
10 Il piede è pari a circa 30,48 cm (NdR).
11 Attuale capitale della California (NdR).
12 Pompeo spendeva quindi dalle 18 alle 24 lire al giorno in quell’albergo. Si confronti questa cifra con
218
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE II
rebbero fuori di posto.
L’albergo è costato circa 25 milioni, il lusso che vi è, le comodità, è
incredibile; in Europa, nel “vecchio
mondo” non c’è sicuramente nulla
che vi rassomigli. In tutto si paga
dai 3 ai 4 Dollari (il Doll. circa
lire 6 in carta).12 Da noi, con
meno comodità, si pagherebbe di
più.
Vi è qui un altro albergo che
costò oltre 16 milioni di lire =
3,500,000 Doll.
La città è bellis[sima], di oltre
250/m[ila] abitanti ed è sorta dopo
il 1848: è una razza di giganti,
ma hanno tutti i mezzi, tutte le 69. La sede originaria della Imperial Oil Company a
fortune.
Petrolia nel Canada fotografata verso il 1880. La cittadiHo fatto il viaggio con uno di na, che Pompeo intendeva visitare nel suo viaggio verso
il Giappone attraverso il continente americano nel 1879,
Cheyenne (Colorado) che aveva ven- fu uno dei primi centri di sfruttamento sistematico del
duto 57 buoi a Chicago, a peso. petrolio. Da: Horizon Canada, Centre d’études en Einsegnement du Canada, Université Laval, Québec, s.d.,
Aveva ricavato Doll. 3.70 ogni cento Vol. I, pp. 180 -181.
libbre inglesi, circa ogni 50 kili13
peso lordo.
Qui vi saranno circa 5,000 Ital[iani], la maggior parte Genovesi, negozianti di
pesci, pescatori, negozianti di verdure, di frutte, ortaglioli. Godono stima, fanno
buoni affari, sono i soli in America ([tra gli] Italiani)in una buona posizione.
Quasi tutti i banchetti di frutta sono italiani. Qui avevano cominciato a coltivare [e a] tenere i bachi, ma la mano d’opera è troppo cara - il clima sarebbe
buonis[simo]. Ho portato nel ’68 [in Italia] di questo seme[-bachi], fece nulla
- avevano elevato [allevato] semente infetta qui venuta dalla Francia.
- /4/Da qui mandano frutta per tutti gli Stati Uniti, fino al Giappone e in China:
il Giappone è un paradiso terrestre, [ma] non per i frutti che valgono nulla, sono
senza sapore - i fiori al Giappone sono bellis[simi], ma senza odore, col tempo,
le 25 lire al giorno che spendeva 15 anni prima (quando la lira valeva anche di più) all’Astor House di
Shanghai - v. nota 315 al testo del Diario (CZ).
13 Una libbra inglese è pari a 453,6 grammi (NdR).
14 Il ricordo di Mazzocchi è parzialmente buono: anguria si dice infatti suika in giapponese. Si noti
anche che nella relazione del 1874 (riportata nella precedente appendice) Pompeo aveva lodato i kaki.
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
219
APPENDICE II
quelli che vengono d’Europa, dicono che lo perdono.
È una terra fertilis[sima], [ma] un po’umida: non sarà sicuramente adatta [per
la frutta]. Ma il Giappone è grande e vi saranno siti buoni: ma in gran parte [la
frutta] vale nulla, almeno nei siti da me visitati.
Mi ricordo solo delle angurie buonis[sime] che chiamano siga14 in Giappone.
Gli avvisi, il reclame, qui non manca. Ieri vi era una carrozzella con 4 cavallini che tirava due cartelloni [pubblicitari], uno per lato della carrozzella.
Come a Londra, vi sono uomini che passeggiano con cartelloni avanti e dietro
della persona: avvisi ambulanti.
Con tanto lusso, vi sono moltis[simi] che masticano tabacco, che si nettano il
naso, mettendovi un dito, soffiando, che per comodità mettono le gambe in alto.
In una chiesa cattolica, raccomandavasi di non masticare tabacco. In generale
sono “parvenu”, [e] non è la gente più pulita. Per quanto [a] noi, non ho che a
lodarmi assai di tutti, li ho trovati gentilis[simi].
Assieme alla tua Sig. Bigia15 ti saluto cordialmente, mi saluterai P... Andreoli.
Spero starai bene con tutta la tua famiglia
Tuo amico e cugino aff[ezionato]
Pompeo Mazzocchi
Comunque, anche oggi, l’opinione degli stranieri è che la frutta giapponese, in generale, sia poco
gustosa (CZ).
15 Vezzeggiativo locale per Luigia (NdR).
220
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE III
Relazione del signor Pompeo Mazzocchi
alla R. Legazione d’Italia a Tokio1
Yokohama, 22 Settembre 1874
Illmo Signor Incaricato d’affari,2
In obbedienza al desiderio espressomi dalla S. V. Illma, scrivo un cenno di
quanto ho veduto nell’interno del Giappone nella mia gita del Nord, grazie al
permesso che la S. V. Illma mi ha procurato, nelle provincie3 di Koriamo,4 Yanagawa,5 Yonesawa6 e nel Cimonegai7 fino ad Arato,8 malgrado le mie imperfettissime cognizioni e benché lo scopo del mio viaggio fosse rivolto unicamente
a vedere quali proprietari coltivino i migliori bozzoli e le bellezze del paese, che
non potrebbe essere più curioso, interessante e pittoresco.
Vi sono diverse qualità di gelsi; sono preferiti quelli di forte getto a foglie grandi
e lucide ben frastagliate, come la nostra non innestata,9 e quelli a foglie non frastagliate, o assai poco; i primi li credono ottimi per la seta, i secondi per il seme,10 e di
questi ve ne sono che vegetano precocemente, altri tardi, al sicuro dalle brine.
1 Pubblicato originariamente su Bollettino Consolare, Vol. XI, Parte I (Marzo 1875), pp. 174-179. Per la presente
edizione, oltre alla correzione di qualche svista tipografica, si è modificata soltanto la punteggiatura e si sono
inseriti in parentesi quadre pochi termini esplicativi (NdR).
2 Si trattava del Conte Balzarino Litta, che reggeva la sede diplomatica in assenza del titolare, Alessandro Fé
d’Ostiani, bresciano, recatosi l’anno prima in Europa dove aveva accompagnato i membri giapponesi diretti
all’Esposizione Universale di Vienna ed accolto in Italia la Missione Diplomatica giapponese del Conte Iwakura. Fé d’Ostiani sarebbe rientrato a Tokyo proprio in quei giorni (CZ).
3 Non si tratta di province (che oggi si indicano come “prefetture” e che sono equivalenti alle nostre regioni),
ma di “contee” (gun) ossia “circondarii” (CZ).
4 Kôriyama nell’attuale prefettura di Fukushima, a Nord di Tokyo (CZ).
5 Nella prefettura di Fukushima, più a Nord di Kôriyama, quasi al confine con l’attuale prefettura di Miyagi
(Sendai) (CZ).
6 Da Yanagawa Pompeo Mazzocchi si dirige a occidente, a Yonezawa, nell’area montagnosa dell’attuale prefettura di Yamagata (CZ).
7 Verosimilmente: (Shimo) Nagai, rinomato centro sericolo nella prefettura di Yamagata, più a Nord di Yonezawa (CZ).
8 Piccola località a nord ovest di Yonezawa (CZ).
9 Nonostante il gelso non innestato o “selvatico” fosse molto meno produttivo in termini di quantità di foglia
prodotta, se ne mantenvano un certo numero destinandoli a nutrire i bachi nelle prime età, essendo la foglia
del “selvatico” più nutriente e più adatta per i bachini ancora molto piccoli. Le foglie dei “selvatici” erano
spesso lobate e con bordi frastagliati (rassomiglianti, anche se più piccole, a quelle del fico o della vite) (CZ).
10 In molte aree del Giappone si allevavano separatamente i bachi i cui bozzoli erano destinati alla riproduzione
da quelli i cui bozzoli erano destinati a far seta, nutrendoli anche con foglie di differenti gelsi. Da noi era
largamente prevalente l’allevamento unico, con la successiva cernita dei bozzoli più belli e meglio strutturati
destinati a far seme, tutti gli altri per seta. Solo dagli anni ’70 in poi alcune aree si specializzeranno decisamente
nella sola produzione del seme, specie in zone di alta collina o montagna (come in Abruzzo o nelle
Marche), ma non si userà mai distinguere anche i gelsi (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
221
APPENDICE III
Solo nelle vicinanze di Yonesawa ho veduto gelsi come i nostri grossi e con foglia
pressoché uguale a quella del basso Bresciano;11 tutti si attengono ai gelsi bassi
piccoli, la foglia dei quali è più forte lucida e grande, sono posti alla distanza circa
un metro a due, tagliati all’altezza di circa mezzo metro e sporgono diversi rami
e frondi spesse bellissime: sia per la bontà del suolo terreno leggero, non argilloso,
ad assai atto, sia per la buona qualità del gelso. Vegetano straordinariamente;
sono tenuti netti dall’erba, e ben custoditi, ma assai mal tagliati e pieni di secco.
Il terreno migliore per i gelsi non è per loro il più grasso, ma quello leggero con
minuta sabbia, sedimento dei fiumi, come quello inondato dal Mella, dal Serio,
e perciò queste nostre località dovrebbero provarsi a preferenza per il seme.
I vari colori che alle volte ha il seme verde12 li attribuiscono sia alla qualità del
terreno sia alla foglia, ma molto più all’ingrasso [concime]; la varietà del colore
per essi è indizio piuttosto buono che cattivo.13
È inutile far osservare di che utilità sarebbero da noi le varie qualità bellissime
di foglia di gelso, per l’abbondanza e per il miglior nutrimento. I gelsi piccoli
sarebbero assai adatti nei terreni mancanti di fondo o nel suolo esausto dai gelsi
grandi fino alla terza muta e con molta economia potrebbero servire benissimo
anche dopo. I migliori gelsi sono quelli di Simamura (Giosciu)14 e di Yanagawa,
questi ultimi li preferisco, in nessun sito avendo io veduto gelsi così belli come a
Yanagawa. È proprio una meraviglia; un bosco basso densissimo dove non può
penetrare il sole e foglie bellissime. Ho preso un po’ di questa terra per curiosità.
Di tre qualità, la migliore per essi, è quella più magra.
Specialmente nei primi anni che si venne qui per il seme di bachi, si commissionò e si trasportò molta semente di gelsi e [molte] pianticelle; ma in quanto alla
semente, sia per gelosia (perché doveva servire agli Europei) o per far presto, i
frutti per estrarre la semente, invece di essere posti a seccare lentamente all’ombra,
pare fossero posti al sole, perché i grani rompendosi perdessero il proprio succo,
11 Nell’Ottocento, tradizionalmente, i gelsi in Italia (e nell’intero Mediterraneo) erano tenuti a fusto
singolo con i rami e la chioma a circa 1,50-2,0 m dal suolo. Questo era il risultato di una secolare
opera di graduale riduzione della taglia del gelso e di una sistematica opera di potature razionale, tali
da ottimizzare la produzione di foglia e da facilitarne la raccolta. Più in basso col fusto non si scese per
evitare il rischio che il bestiame grosso, le capre e le pecore mangiassero le foglie passando vicino ai
gelsi e per permettere che i carri vi potessero passare vicini, i gelsi essendo in genere piantati ai bordi
dei campi o lungo le strade ed i sentieri. In Cina ed in Giappone vi fu un analoga discesa del fusto, ma
non essendovi i rischi degli animali nei campi, si passò a forme molto più basse, spesso a cespuglio o con
tre o quattro getti dal suolo. Il clima estivo più umido in Asia Orientale non rendeva inoltre necessarie
radici profonde. Vi era così una maggiore facilità di raccolta ed una resa media in foglia per ettaro più
elevata (CZ).
12 Intende: seme (uova) del baco che produce un bozzolo color verdino, molto apprezzato allora dagli
allevatori italiani che acquistavano seme-bachi giapponese (CZ).
13 Da noi si valutava molto, invece, l’uniformità del colore del seme (CZ).
14 Shimamura, allora nel Jôshu, fa oggi parte dell’agglomerato urbano di Sakai-machi nella Prefettura di
Gunma (CZ).
15 Le coltivazioni di gelsi ed allevamenti di bachi poste a poca distanza da Yokohama - ad esempio nell’attuale
222
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE III
insomma era semente morta che da noi risultò di nessun profitto. Le pianticelle
poi arrivarono bene, ma queste provenivano dalle vicinanze di Yokohama, e diedero una quantità di foglia sempre pregevole, ma non la migliore.15
Nel Sud fanno seta col baco selvaggio detto jama-mai, baco di montagna, che
dà bozzoli verdi, farfalle grosse, come con specchi nelle ali, a varii colori.16 Nella
China si coltiva anche nel Nord ed ottengono bozzoli grossi, color castagno.17
Qui nel Nord, a Yanagawa, mi mostrarono un baco quasi nero alla quarta età,
piccolo come un trivoltino,18 e dicono che si nutre di foglia di gelsi, ma fa un
bozzolo piccolo scadente, del quale non si curano. Questo baco si trovava in
mezzo ai gelsi, e me lo portai a casa all’albergo sovra un ramoscello per esaminare
meglio, ma all’indomani non l’ho più trovato, non aveva mengiato foglia, né mi
accorsi che se ne fosse nutrito sul campo.
I bachi vengono coltivati nelle case abitate, né vi sono, in generale bigattiere,19
solo ne ho viste a Scimamura e Ueda, e queste hanno il culmine del tetto aperto
un metro; disopra, all’altezza di circa mezzo metro, è coperto d’altro tetto, chiuso
da telai, che girano paralleli negli incastri. Le pareti della bigattiera, che non
potrebbe essere più arieggiata, sono chiuse da telai che girano pure negli incastri;
[hanno] per vetri la carta. I migliori bozzoli sono quelli di Yanagawa, specialmente i bianchi, i bachi dei verdi di questa provenienza sono un po’più lenti, più
pigri degli altri.
Da noi le montagne, i siti assai montuosi danno credito al seme, ed alcune provenienze [di seme-bachi] si denominavano dai monti. I Balkani, il Montenegro
diedero nome al seme, invece qui sono i fiumi. I gelsi piantati nelle vicinanze
dei fiumi sono coltivati a preferenza ed assai apprezzati, come apprezzate sono le
case, poste in queste località, nelle quali si coltivano i bachi. Gli abitanti tengono
sobborgo di Hachioji di Tokyo - non erano particolarmente apprezzate (CZ).
16 Si tratta della Saturnia Yamamai - in giapponese “Yama Mayu”, ovvero baco di montagna - uno dei tanti bachi
“selvatici” che si nutre delle foglie di una varietà di quercia. Dà una seta piuttosto fine e delicata, anche se non
all’altezza di quella del baco “ordinario”, il Bombyx Mori. Era utilizzato in Giappone per sete impiegate in particolari rituali. Venne studiato dagli europei sin dagli inizii degli anni ’60, nella speranza di poterlo affiancare
al Bombyx Mori o magari di sostituirlo ad esso se la pebrina non si fosse potuta bloccare. Inoltre la possibilità
di poterlo nutrire con le querce fece sperare di poter fare seta anche in regioni europee più settentrionali
rispetto all’area dove vegeta il gelso. Tutte queste speranze andarono comunque deluse perché la “selvaticità”
del Yamamai impedisce di allevarlo su vasta scala (CZ).
17 Si tratta in realtà di una razza di baco diversa, pur se anche questa si nutre con foglie di quercia. Mazzocchi
comunque si sbaglia a pensare che lo Yamamai vivesse solo nel Sud del Giappone: era presente anche nelle
aree che lui visita, pur essendo curato molto poco (CZ).
18 I bachi che compiono il ciclo vitale più volte entro l’anno sono detti multi- o polivoltini. In particolare
“bivoltini” quelli che lo compiono due volte e “trevoltini “ quelli che lo compiono tre volte. I polivoltini sono
in genere più piccoli degli “annuali” e danno anche un bozzolo molto più piccolo (ed assai poco stimato dai
filandieri di allora) (CZ).
19 Intende dire: locali appositamente costruiti per allevarvi il baco da seta (CZ).
20 Questo era il caso in particolare di Shimamura, posta a cavallo del Tonegawa (CZ).
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
223
APPENDICE III
a mostrare sempre il seme preparato sulle rive del fiume con bozzoli prodotti con
gelsi posti in riva o fra due fiumi.20
In generale i bozzoli qui sono più leggeri, più piccoli che da noi e danno meno
seta, forse perché si nutriscono i bachi con troppa frugalità, una foglia però non
va perduta. Ora che il paese si può scorrere [percorere], ed i semai potranno vedere
dove si fa il seme, i giapponesi potranno stabilire i prezzi non solo in ragione della
bellezza del seme, ma più ancora della bellezza dei bozzoli. Vi sarà una scelta
migliore, e se qualche razza speciale, come fu già la nostra di Bione21 e quella
Giapponese avuta dal Ruspini,22 si troverà atta per la riproduzione, vi sarà la
sicurezza di poterla avere anche in seguito e propagarla, e così finalmente i bachicultori da noi si sentiranno più assicurati per la qualità del seme.
In ogni caso si fanno morire i propri bozzoli,23 oppure si vendono secondo la
convenienza: non ci sono filande grosse ma soltanto di poche bacinelle, ognuno
fila i suoi. Il congegno consiste in una piccola pentola,24 un piccolo meccanismo,25 tutto movibile. Chi fila fa anche andar l’aspo26 e pare impossibile che si
possano fare delle sete così belle in ragione dei mezzi che si adoperano. Nell’esterno
di alcune case, si vedono bozzoli secchi in vendita.
I privati cominciano ad industriarsi per far seta migliore, ed adottano i nostri
ultimi sistemi, essendovi modelli di filatura in Yeddo27 (a vapore28 vi è solamente la grande filatura a Tamioka [Tomioka], che va per conto del sovrano29).
21 Vedi la nota 137 del Diario (NdR).
22 Il Ruspini, bresciano, fu uno dei primi ad allevare in Europa il seme-bachi giapponese, sin almeno dal 1860,
con risultati assolutamente eccellenti, fino a divenire quasi leggendarii. Fu basandosi su esperienze come quelle
del Ruspini che si costruì in brevissimo tempo la clamorosa fama del seme-bachi giapponese ed iniziarono le
importazioni di massa (CZ).
23 Intende: ognuno degli allevatori (giapponesi) fa perire le crisalidi entro i bozzoli (che lui stesso ha prodotto)
per poterli poi filare da sé (CZ).
24 Per poter scaldare l’acqua destinata a far sciogliere la colla naturale che tiene insieme le volute del filo
del bozzolo. Da noi si usava un’apposita capace bacinella metallica, nelle case giapponesi spesso si usava
una vera pentola (CZ).
25 La parte meccanica della trattura, comprendente l’aspo su cui si avvolge la matassa del filo che esce dalla
bacinella. Era fatta di solito tutta in legno e di dimensioni estremamente ridotte, incluso l’aspo (CZ).
26 L’uso in Italia era che la maestra si dedicasse solo alla delicata operazione di comporre il filo dai bozzoli e di
mantenerne costante lo spessore; l’aspo veniva girato da un’assistente/apprendista (anche se in alcune regioni
italiane la maestra poteva far girare l’aspo con un pedale apposito). Bisogna dire però che si trattava di un’attrezzatura molto più grande di quella giapponese (CZ).
27 Mazzocchi usa ancora il termine Yeddo (Edo) per Tokyo, così ribatezzata dopo il 1868 (CZ).
28 Va ricordato che l’uso del vapore nelle filande, per primo proposto dal francese Gensoul intorno al 1805, era
principalmente non come forza motrice, ma per riscaldare l’acqua nelle bacinelle (CZ).
29 Si riferisce alla grandiosa filanda a vapore governativa di Tomioka, anch’essa nell’attuale prefettura di Gunma,
costruita da maestranze francesi, con macchinari untramoderni tutti francesi ed inaugurata nel 1873. Pur
servendo da modello e da scuola di addestramento professionale, la filanda di Tomioka era assolutamente fuori
della portata dei capitali disponibili agli imprenditori giapponesi e delle tecniche costruttive allora impiegabili
in Giappone. Nei successivi 15-20 anni le filande “moderne” costruite in Giappone si avvarranno di tecnologie
e di macchinari infinitamente meno costosi, ma non per questo inefficenti, anzi (CZ).
30 A Nord-Est di Tokyo (CZ).
224
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE III
Nel Yoaki,30 nei possessi del Giapponese Sig. Biosako,31 ho veduto una piccola
filanda di poca spesa, con poco ferro, sul sistema del Sig. Morlani di Bergamo.32
La seta era bellissima: invece [che usare] la bateuse, scopini delicatissimi.33 Due
altre quasi uguali ne ho viste a Nakamaci34 del Sig. Koana Shebi35 ed a Yonesawa e queste fanno vergogna alle nostre di sistema antico.
Nella provincia di Yanagawa, in generale, attorno ed anche fra in mezzo ai
campi di gelsi cresce la pianta la cui corteccia serve per fare la carta;36 questa
pianta viene tagliata al piede a dà un mazzo di getti; la foglia assomiglia a
quella del gelso, ma però è un poco più bruna e meno lucida. La carta fatta colla
corteccia di questa pianta è assai soffice, né stropicciandola colle mani si rompe:
essa serve per scrivere, per fazzoletto da naso, per il sudore, ed oliata per mantello
ed ombrello. Si imitano le nostre pelli marocchine, il cuojo di Russia, perfino il
crêpe e si fanno molte belle cose che colla nostra non possiamo fare.
Nelle vicinanze di Yonesawa, oltre mille piedi sul livello del mare, fra i monti,
sito di minore latitudine, ma freddo come da noi in Brianza, cresce un albero che
dà una vernice bella, lucente, duratura: essa resiste all’acqua bollente: con questa
vernice si dipingono le scodelle di legno per tavola che tengono luogo di quelle di
porcellana.37 Queste piante sono alte, a vari rami, come le nostre di mandorlo,
ma però più basse del pino: le più grosse sono di circa trenta centimetri di diame31 Il nome è sicuramente trascritto in maniera non corretta (CZ).
32 Il Morlani in questione era Ottavio Morlani, ingegnere e grande proprietrio terriero e filandiere di Bergamo. A
partire dal 1850 aveva progettato innovativi sistemi di costruzione di filande “a fuoco diretto”, ovvero secondo
il sistema antico, in cui l’acqua della bacinella veniva scaldata con un fornelleto a legna sottostante e non per
mezzo dell’imissione di vapore bollente, con un tubicino, nelle singole bacinelle. Il modello qui citato è quello
da lui brevettato nel 1868, diffuso in molti esemplari nel bresciano, nel bergamasco e nell’area di Lecco. La
conferma che si tratti di questo modello viene dalla testimonianza resa dal Morlani stesso di fronte alla Commissione d’Inchiesta Parlamentare sull’Industria nel settembre del 1872, nel quale egli cita il fatto che una delle
sue nuove filande era stata appena costruita in Giappone. Filande come quella di Morlani consentivano, tanto
in Italia quanto in Giappone, di ottenere filo di seta di qualità quasi eguale a quello delle filande a vapore, ma
con un costo d’impianto molto meno elevato di quello necessario per mettere in piedi una filanda a vapore
(che includeva una dispendiosa caldaia e decine di metri di tubazioni allora difficili da trovarsi e di non facile
manutenzione) (CZ).
33 La bateuse o “scopinatrice meccanica” era uno strumento, in genere azionato da una qualche forza motrice ed
i cui primi brevetti risalgono alla ditta Gavazzi negli anni ’20, utilizzato per cercare meccanicamente il capofilo
dei bozzoli per mezzo di spazzole rotanti. Poteva far risparmiare molto tempo, ma finiva alle volte per trattare
i bozzoli in maniera troppo rude, specie se questi ultimi erano molto diseguali (cosa non rara nel Giappone
di allora). Da qui l’ammirazione di Mazzocchi per il lavoro fatto invece a mano con scopini “delicatissimi”
(CZ).
34 Potrebbe trattarsi della Nakamachi, nell’attuale prefettura di Ibaraki, a Nord-Eest di Tokyo (CZ).
35 Anche questo nome risulta storpiato dalla trascrizione (CZ).
36 Si tratta della Brussonetia Papyrifera (o Morus Papyrifera) detta da noi anche “gelso della carta”, molto simile
all’apparenza al gelso, ma non utilizzabile per il nutrimento dei bachi. Fu una delle prime piante utilizzate in
Cina per la produzione della carta (CZ).
37 Si tratta della Rhus Vernicifera, pianta tipica del Giappone centro-settentrionale e la più pregiata delle varietà
di Rhus utilizzate in Asia Orientale per la produzione della lacca (CZ).
38 Si tratta del frutto della Dyospiros Kaki, pianta ormai ben nota e diffusa in Italia anche grazie al trasporto di
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
225
APPENDICE III
tro, e lungo il fusto biancastro o sui grossi rami si incidono alla distanza di circa
20 centimetri gruppi di linee, perfino sette nello stesso gruppo, che circondano un
terzo del fusto; queste linee si fanno di quando in quando con apposito ferro e si
ritira subito il succo in un vaso; esso ha l’aspetto del rosolio. Non vi sono boschi di
quest’albero prezioso e bello: si vede che è un albero delicato, giacché in generale
esso cresce vicino alle case e negli orti, dove il fondo è più pingue e ben coltivato.
I tagli che si fanno per avere il succo anneriscono e più tardi sembrano fatti per
ornamento. Credo che quest’albero importato in Italia potrebbe forse creare una
nuova industria e sarebbe una nuova pianta di abbellimento.
Il castagno cresce bellissimo come da noi e dà bellissimi frutti: vi sono molte
piante come le nostre, ma altre molte vi sono che noi non abbiamo e che sarebbero utilissime per opera, per ornamento e per frutto: una pianta nuova è sempre
assai profittevole, perché, trovando da noi terra vergine, avrebbe tutto l’alimento,
e molte ripe e boschi che danno poco perché vecchi si vedrebbero ringiovaniti e
verdeggianti di nuove frondi.
Piante del genere del pino, del salice etc., etc., crescono superbe ad altezza straordinaria: il legno non è intieramente uguale al nostro; havvene di forte e di facilissimo
lavoro e non è ricercato dagli insetti: esso si conserva mondo come il ferro.
Per il clima umido, i frutti sono senza sapore e col tarlo, e per ripararli da questo, i giapponesi coprono sull’albero stesso i frutti migliori in un sacchetto di carta
oliata. Hanno un frutto rosso, molle, grosso come la mela, e che matura come la
nespola – il Kaki – che è già molto conosciuto ed è il miglior frutto in confronto
degli altri, ed essendo qui abbastanza buono, credo che da noi sarebbe buonissimo.38 Non si coltiva molta uva, e quella che si coltiva è soltanto per mangiare,
ed è discretamente buona.
Le patate, specialmente a Yonesawa, sono buonissime, ma si fanno le meraviglie
come sieno ricevute dagli Europei, essendo da loro non stimate.
Il terreno che non è atto alla coltivazione del riso è generalmente trascurato, e
molte plaghe e colline fertili sono boschi densi. Del legno si ha qui grande bisogno
per le case, che è pericoloso di costruire in pietra per i terremoti, ed è il consumo
grande per gli incendi, non avendosi qui nessun riguardo per il fuoco.
Il riso è buonissimo ed anche riscaldato è buono, forse migliore del nostro, bianco, ugualmente grosso, nutriente. Lo ripiantano, e lasciano scorrere l’acqua da
una risaja all’altra, senza lasciarla stagnare e quindi le febbri sono rarissime.39
Non ho veduto né capre né montoni: sono oggetti di curiosità, eppure sarebbero
numerose pianticelle dal Giappone fattone da molti semai (CZ).
39 La scarsità delle febbri malariche nelle zone risicole di tutta l’Asia Orientale era dovuta sia alla continua circolazione dell’acqua (qui citata dal Mazzocchi) sia alla presenza abituale di numerosi pesci in risaia che divoravano
le larve delle zanzare (CZ).
40 Sino agli anni 1830-1840 l’unico produttore-esportatore mondiale di thè era la Cina. Da quel periodo gli
226
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
APPENDICE III
utili, ma forse danneggerebbero i boschi che sono per i Giapponesi tanto necessari.
I terreni sono lavorati quasi interiamente a mano, i buoi sono pochi e servono
come i cavalli da fatica a trasportare la roba e le mercanzie. Del latte non si
tiene conto. Si ha invece ogni cura del concime e lo si economizza perché non
vada perduto, ed in ogni casa e perfino lungo gli stradali ci sono vasi e serbatoi
per raccogliere gli escrementi. Non si fa nessuna attenzione alle esalazioni, però
i giapponesi sono pulitissimi nelle loro case tutte abbellite con piccoli giardini,
tenuti con molta cura.
Il canape cresce benissimo: la semente di questo sarebbe forse utile per noi per
fare qualche esperienza. Essi preparano con acqua fredda e calda la corteccia, che
dà fili come seta.
Il bambù pure non è a dimenticarsi, canna utilissima ad usi infiniti: ho osservato nel parco di Usito a Yeddo [Tokyo] il bambù quadrato.
Del frumento ne coltivano pochissimo; serve loro per fare delle paste, tagliatelli,
e ne fanno grande uso ancora per delle leccornie con uova e zucchero. Di pane
non usano, ma danno il nome di pan a quello che noi chiamiamo pan di Spagna.
Il pan di Spagna ed il tabacco fu introdotto dai Portoghesi e conservano il nome
portoghese di pan, tobacco.
Il Giappone manda all’estero maggior quantità di thè della China, ma più
scadente.40 La maggiore esportazione si fa per l’America. Se il clima da noi non
è troppo secco, dovrebbe essere coltivabile dalla Sicilia alla Toscana.
Ritornando al riso, devo aggiungere che esso qui viene anche all’asciutto, ma scadente,
da noi invece non alligna per mancanza di pioggie e di umidità.
Coltivano appositamente un’erba a foglie sottili e lunghe (come le nostre cannegge
che si trovano nei siti umidi) per fare dei cappelli. Ne fanno anche col bambù ed
altre piante; sono leggierissimi, grandi fino a 45 centimetri di diametro. Stanno bene
all’aspetto, costano pochissimo, sono di sicuro riparo per sole e pioggia e non stringono
la fronte come i nostri.
Mancanti come sono di bestiame, qui vi è poco cuoio e poche pelli, ma nessuno va
scalzo e tutti camminano benissimo. Non hanno piedi offesi, né storpie le dita, che
sono senza callosità, cosicché per esempio un uomo che tira il piccolo calessino detto
ginrikisha41 corre talvolta dieci miglia di seguito.
Per scarpe portano un sotto suola di paglia di riso o di altre erbe, ben compatta
inglesi impiantarono la coltivazione del thè su vasta scala nelle regioni nord-orientali dell’India (Darjeeling) e
nelle aree di alta collina interna di Ceylon (attuale Sri Lanka). Il thè giapponese appare sui mercati solo dopo
l’effettiva apertura, nel 1858-59, ai commerci con l’occidente. Negli anni in cui scrive Pompeo, la Cina non si
era ancora pienamente ripresa dalle devastazioni subite dalle zone produttrici di thè nel corso della repressione
della rivolta contadina dei Taiping (1850-1866) (CZ).
41 Si tratta del ben noto “riksciò” (CZ).
42 Il giardino di casa Mazzocchi a Coccaglio rifletteva in buona parte, con le sue numerose piante giapponesi,
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
227
APPENDICE III
e forte. L’attaccano al piede facendo passare il pollice in un lacciuolo, e l’assicurano
con altri legami. Queste calzature non stanno male, sono ben fatte e costano due o
tre centesimi. Hanno inoltre ogni altra sorta di zoccoli, ma non goffi e pesanti come
quelli che portano i nostri contadini. Con questi possono anche correre e lo fanno con
grandissima facilità: questi zoccoli sono ottima garanzia contro il fango.
Queste scarpe economiche servirebbero anche da noi dove ci sono molte piante con
spine, pezzi di vetro etc., etc.: non sarà per certo una scarpa di lusso, ma il piede vi
si accomoda benissimo e coloro che per mancanza di mezzi vanno scalzi ci guadagnerebbero assai.
Anche pei cavalli suppliscono ai ferri con scarpe fatte di giunchi o paglia di riso: è
semplicissima ed ingegnosa la maniera colla quale le allacciano alle unghie con sicurezza e senza impedire l’andamento: questo sistema di calzatura cavallina potrebbe
servire per casi eccezionali, per esempio per i cavalli che hanno l’unghia ammalata,
delicata, assottigliata, mentre cresce e si indura.
Ho detto forse molte cose inutili e certamente molto più di quelle che mi ero proposto, e ne domando quindi scusa alla S. V. Illustrissima.
Riassumendo, credo che, stante il permesso di recarsi nell’interno sarebbe cosa facile
ed utile di far incetta delle varie qualità di gelsi, di altre piante e di semi vegetali,
importarle in Italia e tentare l’esperienza di un giardino con piante tutte del Giappone, scegliendo le località più acconcie.42 Si avrebbe così una cosa originale ed un
utile semenzaio. Questo paese, che ci insegnò il modo di fare seme serico sui cartoni
e così bene, merita certamente per la varietà delle sue industrie e dei suoi prodotti
d’esser visitato e studiato. Avendo noi presso a poco la stessa agricoltura e la stessa
vegetazione, non potremmo che avvantaggiarcene.
questa aspirazione di Pompeo (NdR).
228
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
Indice delle illusrazioni
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
1. Goseda Horiyû. Ritratto su seta di
Pompeo Mazzocchi.
pag. 6
15. Foto-tessera di Pompeo Mazzocchi.
1880.
pag. 29
2. Copertina del Catalogo della mostra
al Nippon Silk Centre di Gunma.
2001.
pag. 7
16. Carta dei Balcani con la costa dalmata. Circa 1860.
pag. 30
3. Vittoria Almici Mazzocchi. Dipinto
su seta e carta. Circa 1880. pag. 8
4. Vittoria Almici Mazzocchi. C.
Prada, Ritratto postumo di Pompeo
Mazzocchi.
pag. 10
5. Spedizione del giugno del 1869 del
Conte La Tour nelle regioni sericole
del Giappone. Xilografia. pp. 12-13
6. Lasciapassare del Consolato Italiano
di Yokohama del 1869.
pag. 15
7. C. Prada. Ritratto di Cesare Mazzocchi.
pag. 16
8. Tito Mazzocchi.
pag. 19
9. Autorizzazione per un trasbordo
della dogana di Kanagawa. pag. 24
10. Cernita dei bozzoli nel Bresciano.
Fine 19° secolo.
pag. 25
11. Bollo dei produttori di seme-bachi di
Iwashiro. Annata 1881-82. pag. 26
12. Bollo dei produttori di seme-bachi
della società Nakashima. Annata
1881-82.
pag. 26
13. Cartone di seme-bachi giapponese.
Annata 1881-82. pag. 26
14. Busta intestata Ditta Pompeo Mazzocchi.
pag.28
230
17. Carta della Tracia e della Turchia
europea. Circa 1860.
pag. 34
18. Passaporto di Pompeo Mazzocchi.1865.
pag. 36
19. Polizza della Sun Fire Office.Yokohama, 1879.
pag. 37
20. Lettera di credito della Banca Generale di Milano. 1876.
pag. 39
21. Polizza della Scottish Imperial Insurance Company. Yokohama, 1877.
pag. 42
22. Telegramma per Pompeo Mazzocchi a okohama. Yokohama, 1870.
pag. 45
23. Polizza della Phoenix Assurance
Company. Yokohama, 1869. pag. 47
24. Ôsai Fusatane. Trattura e tessitura
della seta. Xilografia. Circa 1870.
pag. 50
25. Timbro “Pompeo Mazzocchi / Coccaglio” 1881.
pag. 53
26. Ingresso della cascina “Portone” di
Torbole.
pag. 55
27. Marchio della società Kangyô
Kaisha. Circa 1878.
pag. 57
28. Casa Mazzocchi a Coccaglio. pag. 59
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
29. Risshô. Il Consolato italiano di
Yokohama. Xilografia. 1869. pag. 63
45. Opuscoletto con i timbri dei cartoni
di seme-bachi giapponese.pag. 113-
30. Chikanobu. “Visita importante”.
Xilografia, 1877.
pag. 64
46. Cesare Mazzocchi.
31. Copertina del Diario di Pompeo
Mazzocchi.
pag. 76
32. Fogli 158 e 159 del Diario di Pompeo Mazzocchi.
pag. 76
33. Eva Dea moglie di Cesare Mazzocchi.
pag. 78
34. Lasciapassare ottomano per Edirne.
1861.
pag. 80
35. Quadernetto dei produttori di
seme-bachi di Akita.
pag. 83
36. Carta dei dominii inglesi in India.
Circa 1860.
pag. 86
37. Camilla Mazzocchi.
pag. 89
38. Cesare e Tito Mazzocchi.
pag. 90
39. Adele e Camilla Mazzocchi. pag. 93
40. Carta della Moldavia e della Valacchia. Circa 1860.
pag. 95
41. Biglietto
Cantù.
autografo
di
Cesare
pag. 98
42. Uscita dei Mazzocchi per la Messa.
pag. 102
43. Carta generale dell’ Asia. Circa
1860.
pag. 105
44. Gruppo di famiglia.
pag. 109-
pag. 117
47. Ritratto di Gabriele Mazzocchi.
pag. 120
48. Gruppo di famiglia.
pag. 125
49. Veduta di Calcutta.
pag. 128
50. Pompeo e i figli.
pag. 134
51. Planimetria delle cascine “Portone”
e “Castello” di Torbole.
pag. 138
52. Cascina “Portone” di Torbole Casaglia. Corte interna.
pag. 139
53. Laciapassare cinese del 1864.
pag. 141
54 Violantina Mazzocchi, figlia di Giovanni, con il marito.
pag. 144
55. Fabbricato denominato “Nagasaky”,
Coccaglio.
pag. 149
56. Giovanni Mazzocchi con la moglie
ed i cinque figli.
pag. 153
57. Matrimonio di Camilla Mazzocchi.
pag. 156
58. Adele Mazzocchi.
pag. 158
59. Il porto fluviale di Calcutta.
pag. 16160. Pianta della città di Yokohama.
Circa 1865. pag. 16161. Vittoria Almici Mazzocchi. Circa
1881.
pag. 163
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
231
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
62. Veduta panoramica di Hakodate.
Xilografia. Circa 1865.
pag. 164
63. Due occidentali trattano l’ acquisto
di seta. Xilografia. Circa 1880.
pag. 167
64. Toyokuni. La ferrovia TokyoYokohama. Xilografia.
pag. 170
65. Hiroshige. “Acquazzone sull’Ôhashi”.
Xilografia. Circa 1850.
pag. 171
66. Scampagnata a Villa Guzzi. pag. 182
67. Lettera di Pompeo Mazzocchi da
Yokohama. 1870.
pag. 204
68. Polizzino di carico per 44 casse di
seme-bachi. Yokohama, 1877.
pag. 214
69. Sede della Imperial Oil Company a
Petrolia nel Canada. Circa 1880.
pag. 217
232
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi
237
INDICE
Ringraziamento
pag.
5
pag.
7
pag.
9
Premessa
di Cesare Massetti
Saluto augurale
di Antonio Fappani
Nota introduttiva
pag. 11
Introduzione
di Claudio Zanier
pag. 17
Il Giappone e la sua industria serica
di Francesca Travaglini
pag. 65
Note preliminari sul testo e avvertenze al lettore
pag. 73
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
pag. 77
Noterelle di chiosa al Diario
di Antonio Fappani
pag. 172
Indice dei nomi del Diario
pag. 185
Appendice I - Lettera da Yokohama (1870)
pag. 207
Appendice II - Lettera da S. Francisco (1879)
pag. 217
Appendice III - Relazione alla Legazione di Tokyo (1874)
pag. 221
Indice delle illustrazioni
pag. 229
Bibliografia
pag. 233
Il Diario di Pompeo Mazzocchi
239
Finito di stampare
nel mese di novembre 2003 presso
La Compagnia della Stampa srl
in Roccafranca (Brescia)
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Il Diario di Pompeo Mazzocchi 1829