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ALCUNI PENSIERI AL NOSTRO PASSATO, NEL QUALE SI TROVANO LE RADICI
DELLA NOSTRA MODERNITÀ.
La form azione dell’uom o
m oderno europeo e
il
di Giovanni
D ella Casa
G
a la t e o
J u d i t T e k u l ic s
UESTO MOMENTO PARE PARTICOLARMENTE ADATTO ANCHE A RICHIAMARE
L’ATTENZIONE SU ALCUNI AUTORI E OPERE CHE HANNO AVUTO UN
IMPORTANTE RUOLO NEL PROCESSO DELLA CIVILIZZAZIONE DELL’UMANITÀ.
I n QUESTO CONTRIBUTO ESAMINEREMO, ATTRAVERSO ALCUNE OPERE, LA
NASCITA DELL’UOMO MODERNO NEL SUO ASPETTO SOCIALE ED INDIVI­
DUALE, CON SPECIALE RIGUARDO AL GALATEO DI GIOVANNI DELLA CASA.
L’intenzione di quest’articolo non è quella di individuare le fonti
dell’opera dellacasiana, ma sem plicemente di collocarla in un
contesto culturale-letterario un poco più ampio.
La formazione e l’educazione dell’uomo secondo certi
criteri etici ed estetici era tem a prediletto di pensatori insigni a
partire dall’Antichità, com e Aristotele (Politica, Etica N icom achea), Cicerone (De officiis), Senofonte (L’ed u caz ion e d i Ciro),
Plutarco (L’ed u caz ion e d ei ragazzi) o Teofrasto (Caratteri). Senza
dubbio, nelle opere di questi autori troviamo i primi, e in molti
casi, fino ai nostri giorni validi, tentativi di delineare un modello
di comportamento che, considerando l’individuo inseparabile
dal «consorzio degli uomini», lo aiuta sia a stabilire contatti con
gli altri, cioè con il mondo esterno, sia a trovare la sua identità
ed il suo equilibrio interno. Per questi filosofi, com e più tardi,
per i loro seguaci rinascimentali, la societas degli uom ini1 aveva
la duplice funzione di tenere uno specchio in cui uno può
guardarsi, e di giudicarlo in base alle sue opere e parole. I libri
Judit Tekulics,
laureata in Lingua
e Letteratura Italiana
all’Università «Attila
József» di Szeged
nel 1999, con una
tesi sulla Civil
conversazione
di Stefano Guazzo,
è ora dottoranda al
Dipartimento di
Italianistica della
stessa Università.
Il suo campo di
interesse abbraccia
la letteratura del
comportamento
durante il
Rinascimento.
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dei suddetti moralisti contenevano anche molte regole che, forse meno sublimi dal
punto di vista della filosofia morale, ma altrettanto importanti nei rapporti
interpersonali, costituiscono il punto di partenza ideologico anche per il nostro
G a l a t e o Partendo da questo presupposto, lo storico inglese Peter Burke ha chiamato
tutti i manuali sul comportamento del XVI secolo «a series o ffo o tp rin ts to Cicero»3.
Anche alcuni autori medievali cercarono di dare regole di buon comportamento
ai loro lettori. Gli scrittori più importanti, dal punto di vista della loro influenza,
erano forse Ugo da San Vittore (De institutione novitiorum ) nel campo dell’educa­
zione monastica, e Bonvesin de la Riva (Q uinquaginta cu rialitates a d m ensam ),
rappresentante della crescente importanza di un’educazione scolastico-cittadina.
Malgrado queste testimonianze e le altre citate dal prestigioso volume di Norbert
Elias4, visto che questo fenomeno coinvolgeva uno strato molto ristretto della società
di allora, e così determinato e ben delineato com e quello monastico-clericale, la
medievalista Daniela Romagnoli afferma che «è difficile parlare di galatei prima del
G alateo»5.
Inoltre, tutta l’epoca dell’Umanesimo si dedicava in qualche maniera all’in­
tento di conoscere ed istruire l’uomo. La maggior parte degli umanisti metteva l’uomo
al centro delle indagini svolte nel campo della filosofia morale, retorica e politica.
Queste scienze elevate naturalmente non hanno molto in comune, in senso stretto,
con l’etichetta e le regole del buon comportamento, ma sicuramente ponevano certe
basi teoriche sulle quali si farà leva anche lo stesso Della Casa nel suo trattato. Qui
penso soprattutto all’esigenza di acquistare l’amore, la benevolenza degli altri, inoltre,
onore e sollazzo, annunciata già da Alberti e segnalata anche da Della Casa come
frutti della conversazione costumata6. Durante l’epoca l’Umanesimo, dunque,
personaggi come Leon Battista Alberti (Libri d ella fa m ig lia), Matteo Palmieri (Il libro
d ella vita civile) e Giovanni Pontano (D ialoghi) si occupavano della precettistica del
costume, solo per menzionare alcuni degli autori più famosi dei libri sul compor­
tam ento civile7. Gli umanisti, seguendo la scia degli antichi, immaginarono l’uomo
nella sua pienezza ed integrità, e di conseguenza nei loro trattati non parlavano di
regole completamente differenti perla vita familiare e quella civile-politica, cioè per
la vita privata e pubblica. Questa tendenza però cam bierà nelle opere degli autori
rinascimentali8, e lo stesso Della Casa nel G alateo esamina solo la «conversazione
comune», cioè le regole che ognuno deve rispettare in compagnia di gente che non
vuole sentir parlare del tema noioso della vita familiare, dei figli, dei servi o dei sogni9.
L’enorme popolarità e la vera proliferazione dei libri di comportamento arriva
però con il Cinquecento, quando questo genere, pur essendo indirizzato original­
mente a gentiluomini, cioè membri del ceto nobiliare, diventa accessibile anche alle
masse dei lettori meno sofisticati e colti, fino a diventare una vera e propria «tratta­
tistica di consumo»10.
Uno dei primi e più importanti trattati comportamentali del secolo, radicato
fortem ente nella cultura umanistica, era l’opera di Erasmo, intitolata D e civilitate
m oru m pu erilium , pubblicata nel 1530. Menziono questo volumetto in relazione al
G alateo, pur essendo consapevole anche delle differenze fondamentali esistenti tra
essi per vari motivi: per la struttura simile e il fine educativo (dedicati ambedue dal
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GALATEO
DI GIOVANNI DELLA CASA]
«maestro» a un giovane nobile per aiutarlo nella conversazione e nella convivenza
con la gente), per lo stile mediano, quasi colloquiale (dedicati a un gentiluomo, ma
destinati a diventare manuali per tutti), e per il gran numero di argomenti comuni,
a partire dal comportamento a tavola fino ai gesti, ai movimenti del viso, alla positura
del corpo o alla maniera di vestirsi. Il volumetto di Erasmo, anche questo b estseller
del XVI secolo, aveva soprattutto due grandi pregi. Il primo consiste nel dare al
concetto di civiltà il significato che avrà continuazione nei libri d’institutio successivi,
soprattutto com e la già m enzionata Civil con versazion e di Stefano Guazzo, cioè «la
qualità della vita e la politezza dei costum i»11. Il secondo, in stretta relazione con i
sopraddetti, consiste nel lanciare un forte messaggio ai secoli a venire della cultura
cortigiana, riservata ai pochi eletti, sulla possibilità ed importanza di una certa
trasparen za sociale. Questo im plica un incoraggiamento per tutti ad appropriarsi
delle buone maniere. Con le parole dello stesso Erasmo: «Per loro che sono di nobile
nascita è vergognoso non avere costum i corrispondenti alla loro origine. Coloro che
la sorte ha voluto fossero plebei, uomini di umile condizione, anche contadini,
devono sforzarsi in proporzione di compensare con delle buone maniere i vantaggi
che il caso ha loro negato. Nessuno sceglie il proprio paese o i propri genitori: tutti
possono acquistare qualità e costum i»12. A questo punto dobbiamo aggiungere però
anche il fatto che quest’intenzione naturalmente non sarà rintracciabile letteralmen­
te nel G alateo (essendo nato da esperienze e per un’educazione di tipo cortigiano­
aristocratico) , ma, ciononostante, nella pratica della vita anche il libro dellacasiano
compirà molte volte la stessa funzione.
L’altra grande corrente ideologica nel cam po della letteratura d 'institutio,
presente nel Cinquecento accanto a quella erasmiana, trae le sue origini dalla cultura
e dalla letteratura cortigiana, fondata naturalmente dal C ortegian o del Castiglione,
pubblicato nel 1528, due anni prima del D e civilitate di Erasmo. È un’ideologia
differente soprattutto per il suo carattere chiuso, elitario, che crea le proprie regole
proprio per differenziarsi dalle masse invece di mettersi al servizio del vero e proprio
b en e com un e. In questa sede non intendo soffermarmi a lungo sui capolavori della
letteratura cortigiana, com e i già citati C ortegian o e la Civil con versazion e: li ho
menzionati sem plicemente perché non si può parlare del G alateo di Giovanni della
Casa senza riferirsi a queste due opere, che lo accompagnavano e ne erano indivisibili
durante vari secoli dell’Antico Regime. Il Cortegiano, essendo il primo membro di
questa grande triade di capolavori, era un manuale di comportam ento completo
per il «gentiluomo che viva in corte de’ principi»13, cioè includeva sia sublimi teorie
di filosofia neoplatonica, che regole di comportamento per il «conversar cottidiano»14, più vicini al campo dell’etichetta, così com e il nostro G alateo. Castiglione,
anche se ci spiega tutto in un tono più elevato e meno didattico di quello di Della
Casa, vuole sempre che il suo cortegiano «rida, scherzi, motteggi, bali e danzi,
nientedimeno con tal maniera, che sempre mostri esser ingenioso e discreto ed in
ogni cosa che dica o faccia sia aggraziato»15, non sia né «gran mangiatore», né «gran
bevitore»16, vada sempre ben vestito e presti attenzione anche ad altri ornamenti
del corpo17, eccetera. In tutto ciò, Castiglione naturalmente non vuole entrare nei
particolari, analizzare i singoli atti dell’uomo e scendere com pletam ente al livello
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dell’etichetta: lui mira a formulare delle osservazioni generali sul comportamento
cortese. Neanche il terzo mem bro della triade, cioè Stefano Guazzo, vuole parlare
di gesti e altre azioni concrete dell’uomo, perché considera che questo «sarebbe un
voler recitare il Galateo»18. Ho citato questi esempi solo per accentuare ancora una
volta il fatto che, malgrado la moltitudine di opere più o meno serie, e più 0 meno
com plesse scritte sull’uomo, delle quali io ho fatto menzione qui, solo le più
conosciute e popolari, l’opuscolo di Giovanni Della Casa rimaneva sempre la chiave
di ogni educazione e comportamento costumato, essendo insostituibile e inevitabile.
Della Casa, già all’inizio del suo libro afferma di non voler trattare il tema delle
virtù morali o com e dice lui, delle «virtù nobili», m a della «dolcezza de’ costumi, la
convenevolezza de’ modi e delle maniere e delle parole», che «potrebbe a molti parer
frivolo»19. Certo che il dare degli ammaestram enti generali sull’etichetta, la descri­
zione del com portam ento in compagnia, a tavola, entrando fino ai minimi
particolari e nelle sfere più intime delle azioni umane, e chiarire tutti questi precetti
con esempi lampanti, e per giunta negativi, prende la sua forza ed unicità proprio
dal fatto che nessun altro scrittore cortigiano si degnava di parlarne. Ciò nonostante,
formulare e rappresentare queste norm e in m aniera tanto chiara e netta, anche se
a volte raccontando di «sconci modi» che, secondo lo stesso trattato, non si potrebbe
neanche nominare, era m olto importante, specialm ente in un’epoca in cui i giovani
non avevano a disposizione altri «strumenti di socializzazione» che questi libri del
com portam ento20.
Ma il G alateo è un’opera m olto più com plessa di quanto uno possa pensare a
prima vista. Non possiamo accontentarci di considerare questo volumetto una pura
e sem plice raccolta di esempi di com portam enti maleducati e scostumati destinati
ad incitare il lettore a «schifarli». Attraverso la chiarezza degli esempi e il tono molto
«famigliare» del volume arriviamo a conoscere le regole di un’«arte»21, quella della
conversazione. Ora vediamo in poche parole, alcune categorie teoriche sulle quali
si fonda l’arte della «conversazione comune», la cui realizzazione pratica viene
presentata attraverso esem pi e am m onim enti dettagliati.
Trattando dell’atteggiamento dell’individuo nei confronti degli altri m embri
della società, com e scrivono anche altri m oralisti e teorici della conversazione
all’epoca, prima di tutto ognuno deve vincere in sé l’amor proprio «fuor di misura»:
fatto questo, sarà capace di provare amore per gli altri, che è il vero legame tra gli
uomini anche nel G alateo22. Della Casa dunque condanna con queste parole l’uomo
che ama troppo se stesso: «non è chi gli possa patir vedere, perciocché troppo amano
se m edesim i fuor di misura, e in ciò occupati, poco di spazio avanza loro di poter
amare altrui»23. Con questa disposizione d’animo l’uomo deve inserirsi nella compa­
gnia degli altri e rispettare la prima e fondam entale regola della convivenza umana
che, sia per Della Casa com e per il suo illustre antecedente, Cicerone, è la seguente:
«vuole ciascun nostro atto avere alcuna significazion di riverenza e di rispetto verso
la compagnia nella quale siamo»24. Anche Castiglione richiedeva «rispetto e riverenzia» dal suo Cortegiano, m a soprattutto nei confronti del principe, non parlando
esplicitam ente della stessa regola nei confronti degli altri suoi com pagni25. Della
Casa invece si rivolge alla com pagnia dei gentiluomini, e dunque tratta le regole di
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GALA TEO
DI GIOVANNI DELLA CASA]
convivenza e conversazione tra uguali, che lui non guarda dal punto di vista del
principe, com e Castiglione, ma dal punto di vista di un membro qualsiasi di
un’«onesta brigata»26. L’uomo, dunque, secondo il libro di Giovanni Della Casa, deve
imparare a rispettare l’altro uomo nella sua compagnia, non solamente un principe
o qualcuno che sia superiore a lui, il che era ovvio, obbligatorio, e nessuno lo metteva
in dubbio. Questo è un passo fondam entale nell’evoluzione del com portam ento
sociale, regola presente in ogni epoca, che però va sempre forzata perché nessuno
possa dimenticare che la sua affermazione sociale non dipende solo da un solo
individuo, m a da tutta la comunità. Quest’affermazione verrà poi seguita da altre,
sempre più severe, che indicano più precisam ente in che cosa consiste questo
rispetto e riverenza: «temperare ed ordinare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio,
ma secondo il piacer di coloro co’ quali tu usi e a quello indirizzargli: e ciò si vuol
fare m ezzanam ente»27. Cioè, non basta che l’individuo prenda in considerazione
in ogni m om ento la presenza, la com pagnia degli altri, m a deve comportarsi
secondo «i piaceri» loro. Il «gentiluomo costumato» dunque deve, per dirlo con la
famosa categoria castiglionesca, «accomodare» le voglie, le esigenze altrui. Oltre
all’«opinione comune» che, seguendo le regole m enzionate possiam o manipolare
a nostro favore, c ’è un'altra forza che ordina il com portam ento dell’uomo: natural­
mente si tratta dell’«usanza comune» che, leggendo il G alateo, ci pare un’altra forza
invincibile: «non abbiam o potere di mutar le usanze secondo il nostro senno, ma
il tempo le crea, e consum ale altresì il tempo. Puossi bene ciascuno appropriare
l’usanza comune»28.
Finora abbiamo visto espresso anche nell’opera dellacasiana che «chiunque
si dispone di vivere non per solitudini o ne’ romitorii, m a nelle città e tra gli uomini»29,
cioè in societas, deve seguire le norm e create da essa, e non può vivere per conto
suo, com e un «lupo solitario». L’individuo deve sottom ettersi a norm e che riguar­
dano tutti, senza distinzione di rango o posizione, m a naturalmente deve rivolgersi
al suo compagno tenendo sempre presente le obbligazioni di un rigoroso ordine
sociale. Queste regole, dunque, nacquero dall’esigenza dell’epoca, e la loro con o­
scenza era indispensabile non soltanto da un punto di vista pratico, per non dire
economico, visto che con il loro aiuto e grazie all’acquistata benevolenza delle
persone adatte, molti «sono pervenuti ad altissimi gradi»30, ma anche perché l’essere
costumati era im portante quasi quanto essere «virtuosi»: «l’essere costumato e
piacevole e di bella maniera [...] nondim eno è o virtù o cosa a virtù somigliante»31.
Non parliamo più di virtù morali, m a cerchiamo di individuare le virtù so cia li che
operano nella «comune conversazione», e sono così im portanti che senza di esse le
altre virtù «nulla o poco adoperano»32. Vorrei accentuare quest’affermazione del
G alateo, che dà tanta importanza alla pratica delle virtù sociali che quasi le mette
sullo stesso livello delle virtù morali! Questa presa di posizione così determinata non
poteva non destare attenzione all’epoca, e di conseguenza la considero fondamentale
nell’evoluzione dell’educazione com portam entale dell’uomo.
E quali erano precisamente queste virtù sociali? Sappiamo che il concetto della
conversazione si riferiva a due cose, agli atti e alle parole, e così il nostro Della Casa
doveva dare precetti per ambedue i cam pi della comunicazione, cioè sia quella
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verbale sia quella non verbale, attraverso gesti, movimenti, vestiti, eccetera. La regola
fondamentale, cioè che contiene in sé la sostanza di tutto il lungo discorso, è uguale
per tutto il com portam ento umano: «Non si dee adunque l’uomo contentare di fare
le cose buone, m a dee studiare di farle anco leggiadre. E non è altro leggiadria che
una cotale quasi luce che risplende dalla convenevolezza delle cose che sono ben
composte e ben divisate Luna con l’altra e tutte insieme: senza la qual misura eziando
il bene non è bello e la bellezza non è piacevole»33. Qui troviamo elencate, e nello
stesso tempo anche spiegate, le categorie-base del comportamento. L’autore ripete
che non basta fare e dire le cose bene: secondo altre scienze, com e per esempio l’etica
o la retorica, l’uomo deve studiare, sforzarsi di agire e di parlare sempre in una
m aniera conveniente, cioè prendendo in considerazione le circostanze, il tempo, il
luogo, le altre persone. Inoltre, ogni nostro atto e detto deve essere armonioso
(leggiadro), piacevole (spiritoso, affabile), e soprattutto misurato e temperato, cioè
privo di ogni tipo di eccesso. La virtù che regna su tutte le altre sopra elencate è invece
la discrezione, cioè un generale sav oir-faire del vivere quotidiano la cui posizione
centrale in altri autori sarà occupata dalla «nobile virtù» della prudenza, e più tardi
addirittura dalla dissimulazione34.
Giovanni Della Casa e il suo G alateo avevano lo scopo di educare l’uomo che,
con l’uso della sua ragione, poteva differenziarsi dalle bestie e sollevarsi dal livello
degli animali35. Sia Giovanni della Casa sia gli altri autori che abbiamo m enzionato
credevano profondamente nella capacità dell’uomo di cam biare e migliorarsi
continuam ente e, con le loro opere, hanno delineato la via della civilizzazione umana
che ci ha portato ormai fino al terzo Millennio.
NOTE
1 Vedi per es.: Aristotele, P olitica, 1253a, Bari, Gius. Laterza e Figli, 1948, p. 5: «Ond’è m anifesto che
la città è un fatto naturale, e che l’uom o è anim ale per natura socievole».
2 Cfr.: Cicerone, D ei doveri, Milano, A. Mondadori Editore, 1994, p. 81: «Perché il non curarsi della
pubblica opinione, è indizio non solo di arroganza, m a addirittura di sfrontatezza. Per altro, nei
rapporti tra uomo e uomo, v ’è una certa differenza tra giustizia e discrezione. Compito della giustizia
è di non recar danno degli altri, com pito della discrezione è di non recar molestia».
3 Peter Burke, T he A r to /C o n v ersa tio n , Cambridge, Polity Press, 1993, p. 96.
4 Norbert Elias, L a civ iltà d e lla b u o n e m an iere, Bologna, Il Mulino, 1982.
5 D aniela Romagnoli, P arlare a tem p o e lu ogo: g a la te i p r im a d el G alateo, in AAVV E d u care il corpo,
ed u c a r e la p a r o la n ella trattatistica d el R in ascim en to, a cura di G. Patrizi e A Quondam, Roma,
Bulzoni, 1998, pp. 43-63; p. 43.
6 Giovanni della Casa nel G alateo scrive così: «Appetiscono adunque quello che può conceder loro
questo atto del com unicare insiem e; e ciò pare che sia benivolenza, onore e sollazzo, o alcuna
altra cosa a queste simigliante». (Milano, Garzanti, 1995)
7 E. Garin, L’U m an esim o italian o, Rom a-Bari, B iblioteca Universale Laterza, 1993.
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8 Per esem pio, Stefano Guazzo, autore de L a civil co n v ersa zion e (1574), tratta i due tem i separatam ente: il secondo libro della Civil co n v ersa zion e parla delle m aniere del «conversare fuori casa»,
m entre il terzo libro è dedicato alla «dom estica conversazione». Per non parlare della miriade di
trattati dedicati al segretario, al padre di famiglia, ecc.
[LA FO RM AZ IO NE D EL L' U O M O MO D ER N O EU R OP EO E IL
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G A LA TEO
DI GIOVANNI DELLA CASA]
Cfr. Giovanni Della Casa, G alateo, cap. XI, XII.
10 Arnaldo di Benedetto, P rose d i G iovan n i d e lla C asa e altri trattatisti cin q u ecen tesch i d el c o m p o r ta ­
m ento, Torino, UTET, 1970, p. 10.
11 Stefano Guazzo, L a civil con versazion e, a cura di Amedeo Quondam, Ferrara, ISR, 1993, p. 103,
p. 124.
12 Lo cita Jacques Revel, nel suo saggio Gli «usi» d elle b u o n e m an iere, in Ph. Arès, G. Duby, L a vita
p riv a ta d a l R in ascim en to all'Illu m inism o, Milano, Mondadori, 1998, pp. 125-161: cit. p. 131.
13 Castiglione, Il L ibro d e l Cortegiano, Milano, Garzanti, 1995, p. 15.
14 Ivi, p. 143.
15 Ivi, p. 55.
16 Ivi, p. 176.
17 Ivi, 158 e sgg.
18 Stefano Guazzo, op. cit, p. 91.
19 G alateo, op. cit., p. 4.
20 Antonio Santosuosso, Vita d i G iovan n i D ella Casa, Roma, Bulzoni, 1979, p. 150.
21 Cfr.: G alateo, op. cit, p. 71.: «raccozzare in questo volume quasi le debite misure dell'arte, della
quale io tratto».
22 Contrariam ente succede nell'altra opera dellacasiana intitolata Trattato d eg li uffici c o m u n i tra gli
a m ic i su p eriori e inferiori, in cui l’unico legame tra le persone è l'utilità.
23 G alateo, op. cit., p. 4.
24 Ivi, p. 20. Cfr. Cicerone, D ei doveri, libro I, cap. XVIII.:«Pertanto, nei nostri rapporti con gli uomini,
noi dobbiam o usare un rispettoso riguardo, non solo verso i migliori, m a anche verso gli altri.»,
op. cit., p. 81.
25 Come si legge nel C ortegian o: sia «modesto e ritenuto, usando sempre, e m assim am ente in
pubblico, quella reverenzia e rispetto che si conviene al servitor verso il signor...», op. cit., p. 146.
e sia «modesto e ritenuto, usando sempre, e massimamente in pubblico, quella reverenzia e rispetto
che si conviene al servitor verso il signor...», Castiglione, Ibid em .
26 G alateo, op. cit., p. 7.
27 Ivi, p. 6.
28 Ivi, p. 80.
29 Ivi, p. 6.
30 Ivi, p. 5.
31 Ivi, p. 4.
32 Ivi, p. 6.
33 Ivi, p. 78.
34 Cfr. Mario Santoro, L a d iscrezion e n el G alateo d i G iovanni D ella Casa, in ID, Fortu n a, rag ion e e
p ru d en z a n ella civ iltà letteraria d el C inquecento, Napoli, Liguori Editore, 1978, pp. 545-581.
35 G alateo, op. cit., pp. 72-74.
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La formazione dell`uomo moderno europeo e il Galateo di G