OGGETTI E SOGGETTI
SERIE SETTECENTESCA

Direttore
Bartolo A
Università degli Studi di Bari
Comitato scientifico
Ferdinando P
Università degli Studi di Bari
Mario S
Università degli Studi di Bari
Bruno B
Università degli Studi di Bari
Maddalena Alessandra S
Università degli Studi di Bari
Ida P
Università degli Studi di Bari
Rudolf B
Ruhr Universität–Bochum
Stefania B
University of Wisconsin–Madison
OGGETTI E SOGGETTI
L’oggetto e il soggetto sono i due poli che strutturano la relazione critica secondo Starobinski. Il critico individua l’oggetto
da interpretare e in qualche modo lo costruisce, ma lo rispetta
nella sua storicità e non può farne un pretesto per creare un
altro discorso in cui la voce dell’interprete copre la voce dell’opera. Ma d’altro canto egli non si limita a parafrasare l’opera
né ad identificarsi con essa, ma tiene l’oggetto alla distanza
giusta perché la lettura critica produca una conoscenza nuova.
In questa collana si pubblicheranno contributi articolati sulla
distinzione e sulla relazione tra gli « oggetti » e i « soggetti »,
ossia fra il testo dell’opera o delle opere e la soggettività degli
studiosi.
Denise Aricò
L’arte della guerra nel Settecento
I ‘Discorsi militari’ di Francesco Algarotti
Prefazione di
Andrea Battistini
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 
A Davide e Anna
nati in Italia, cittadini di ogni paese
Ringraziamenti
«Parte leggendo, parte ragionando». Il motto ciceroniano assunto come
programma di vita e di lavoro da Algarotti è divenuto l’indicazione della
prospettiva giusta anche per la mia avventura critica. Mano a mano che
m’immergevo nella lettura delle sue pagine sulla guerra, mi venivano incontro scrittori militari, politici e filosofi solo apparentemente distanti dai
moralisti e dagli scienziati del Seicento con i quali avevo dialogato nei tempi
passati. E tutti reclamavano un’indagine dei loro testi altrettanto precisa, e
rinviavano a paesaggi mentali di un’epoca lontana, ma concreta, nelle sue
ragioni. Per questo, l’incontro non ha potuto fare a meno di arricchirsi di
altri volti e di conversazioni con colleghi di lavoro, insegnanti come me,
di familiari e di maestri, sulle ipotesi e gli interrogativi che via via mi si
presentavano nel cammino.
Non potrò menzionare singolarmente le tante voci di cui questa ricerca
raccoglie le proposte e le sollecitazioni, ma al lettore sarà facile intercettarne,
tra le righe, gli echi e valutare l’entità del debito di gratitudine contratto.
Oltre a ringraziare studiosi come i professori Carlo Delcorno, Enrico Malato, Gian Mario Anselmi, Gino Ruozzi, Brunhilde Wehinger e Gian Franco
Frigo, che mi hanno ospitato nei convegni e nelle riviste da loro dirette, desidero esprimere la mia riconoscenza al professor Bruno Basile, che ha riletto
più volte il testo, suggerendomi approfondimenti utili e preziosi, e al professor Andrea Battistini, che alla sapienza delle sue lezioni aggiunge l’amabilità
cortese dell’ascolto, e che, pur tra i numerosi impegni dell’insegnamento,
ha trovato il tempo di allestire la Prefazione.
E in tempi così ingrati per la cultura, un pensiero riconoscente va a
tutti i bibliotecari e gli archivisti, non solo italiani, ai quali in questi anni
mi sono rivolta per avere informazioni e materiale. Anche in questo caso
assumo a emblema, per tutti, il personale della Biblioteca Universitaria
di Bologna, lo staff della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio felsineo,
guidato dal dottor Pierangelo Bellettini e dalla dottoressa Anna Manfron, e
quello della Biblioteca del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, coordinato dalla dottoressa Federica Rossi, sempre solleciti, anche nei
momenti più imprevisti e imprevedibili, ad aiutarmi, con competenza e
paziente generosità.
Denise Aricò
Indice

Prefazione
Un conversevole soldato della «letteraria milizia»
A B

Nota bibliografica

Capitolo I
Machiavelli nel Settecento. Le battaglie di Kouli Khan
.. «Dietro al Montecuccoli, vengono due miei libricciuoli attinenti a cose di guerra come valletti dietro al padrone . . . »,  –
.. Guerre da «combattere», guerre da «immaginare»,  – .. Un
cammelliere persiano «maestro nell’arte della guerra»,  – .. «Interpretare» la fortuna,  – .. Sete d’Ircania e fallimento di un
«vasto e ben composto disegno», .

Capitolo II
Algarotti e i ‘Commentari’ a Cesare di Palladio
.. «Vite di artefici scritte da artefici»,  – .. Nascere «nel
paese delle antichità»,  – .. P(r)oemi di guerra,  – .. Un
moderno Eliano vicino a «un novello Traiano»,  – .. Condottieri antichi e moderni,  – .. La guerra «per gli goffi è un
mestiero, per gli uomini di vaglia una scienza», .

Capitolo III
All’ombra di Voltaire. Carlo XII di Svezia
.. «Stella polare della milizia» o «la sua più risplendente meteora»?,  – .. Gli «strepitosi avvenimenti della storia»,  –
.. Un’arte «congetturale e micidiale»,  – .. «Investigare il
cuore umano», .

Indice


Capitolo IV
Algarotti a Potsdam
.. «Teatri militari»,  – .. «Coltivare nel seno di Atene gli
studi di Sparta»,  – .. Guerre «di una nuova stampa»,  –
.. Cesare e i «newtoniani principj» della milizia,  – .. «Genio della lingua» e conversazione, .

Capitolo V
Virgilio e la ‘scienza militare’
.. «Il termometro militare e politico» di una guerra,  – .. Virgilio, «grafico ed erudito pittor delle cose»,  – .. «Quattro
bei versi dell’‘Eneide’ o dell’‘Enriade’ ammaestrano assai più
che tanti commenti di Dacier o di Castelvetro»,  – .. Omero,
Virgilio e la «fibra delle nazioni», .

Capitolo VI
Discutendo l’‘Art de la guerre’ di Federico di Prussia
.. Misteriose avventure editoriali,  – .. «Mirti» e «allori»,  – .. Il poeta, «capitano generale del grande esercito
drammatico», .

Capitolo VII
La biografia dell’ammiraglio Anson
.. « . . . Alcuna cosa di particolare sopra l’Anson»,  – .. Capitani coraggiosi, o quasi,  – .. Una moderna ‘Anabasi’,  –
.. «Il più gran navigatore de’ nostri giorni»,  – .. Scienza e
spettacolo, .

Capitolo VIII
«La condotta militare e politica» di William Pitt
.. «Gl’Inglesi hanno saputo alzar le statue a’ loro mercanti
né più né meno che già facessero i Romani ed i Greci a’ loro
eroi»,  – .. «Oratore e soldato»,  – .. «Consigli temistoclei»,  – .. Il commercio «l’alimento, la vena porta degli
Stati»,  – .. «Fare la guerra da leoni, e la pace da agnelli», .
Indice


Capitolo IX
A modo di epilogo
.. «Le cene del re»,  – .. «Riscuotere una nazione», 
– .. «Lo sguardo dell’osservatore»,  – .. L’italiano, lingua
della guerra,  – .. L’«amertume» della satira,  – .. «Lo
stile più semplice, e che conviene più comunemente usare, è di
tutti il più difficile», .

Appendice
Indice generale di quanto si contiene nella presente opera
Tomo I,  – Poesie del co. Algarotti,  – Tomo II,  – Dialoghi sopra l’ottica neutoniana,  – Opuscoli spettanti al Neutonianismo,  – Tomo III,  – Saggi sopra le Belle Arti ,  – Tomo
IV,  – Saggi sopra differenti soggetti,  – Tomo V,  – Opere
militari,  – Discorsi militari,  – Tomo VI,  – Viaggi di Russia,  – Tomo VII,  – Pensieri diversi sopra materie filosofiche e
filologiche,  – Tomo VIII,  – Lettere sulla Pittura ed Architettura,  – Tomo IX,  – Lettere scientifiche ed erudite,  – Parte
prima,  – Tomo X,  – Lettere scientifiche ed erudite,  – Parte
seconda,  – Tomo XI,  – Opere inedite,  – Lettere,  –
Tomo XII,  – Opere inedite,  – Lettere,  – Tomo XIII,  –
Opere inedite,  – Lettere,  – Tomo XIV,  – Opere inedite, 
– Lettere,  – Tomo XV,  – Opere inedite,  – Lettere,  –
Tomo XVI,  – Opere inedite,  – Lettere,  – Tomo XVII, 
– Opere inedite,  – Lettere,  – Saggio critico, .

Appendice iconografica

Indice dei nomi
Prefazione
Un conversevole soldato
della «letteraria milizia»
A B∗
Nel Settecento, mentre viene tramontando la società di antico
regime, il nuovo canone civile ascrive all’intellettuale compiti
nuovi. Il fatto stesso di non rimanere più legato esclusivamente
alle corti e di frequentare le accademie e i salotti lo fa sentire
al servizio di una collettività, e non più soltanto di un sovrano
e della sua cerchia aristocratica. La maggiore autonomia gli
consente di convertire le sue conversazioni e i suoi scritti in
discorsi di critica. La letteratura diventa allora una forma di
orientamento del pubblico, in un tempo in cui, come sappiamo
dopo le indagini sociologiche di Jürgen Habermas, alla prassi
degli arcana imperii, utili a conservare un potere fondato sulla
voluntas, comincia a contrapporsi il principio della pubblicità,
fondato sulla ratio. In senso generale è dunque da assegnare un
valore ironico alla citazione dell’imperativo oraziano «Desine
pervicax/referre sermones deorum», una volta che gli uomini
di cultura si assumono viceversa il compito di svelare ciò che è
rimasto a lungo nascosto e di fungere da mediatori tra il potere
e le masse, orientando la nascente opinione pubblica attraverso
la diffusione del giornalismo politico e la pubblicazione di
scritti che si sforzano di essere quanto più accessibili ai lettori.
Da questo punto di vista Francesco Algarotti è una delle figure più rappresentative che si adoperarono per «rammorbidire»
materie ostiche e specialistiche: non solo il «Newtonianismo»
∗
Alma Mater Studiorum — Università di Bologna.


Prefazione
che gli diede fama, ma anche, tra i tanti settori da lui frequentati,
l’elettricismo, la fisica della luce, l’astronomia lunare e, certo
non ultima, l’arte militare, cui riservò speciale attenzione forse
perché, in un’età dalla vocazione enciclopedica, concentra nel
suo statuto competenze tanto scientifiche come la topografia e
la geometria, quanto umanistiche, come l’oratoria necessaria
a infiammare gli eserciti alla battaglia, senza dire della politica,
di cui le guerre sono figlie, come pure le alleanze e i contrasti
tra le nazioni. Ma, soprattutto, a indirizzare Algarotti verso
la polemologia è proprio la volontà di svelare le tattiche e le
strategie nascoste degli stati e dei loro eserciti, di offrire al pubblico le ragioni di certe mosse, di mettere a nudo i pregi e i
difetti dei comandanti, rimanendo sempre a contatto con la
realtà “effettuale” del presente. Si capisce allora perché anche i
suoi Discorsi militari possano a pieno titolo rientrare nel «momento machiavelliano» di cui John Pocock e Quentin Skinner
hanno sottolineato la fortuna settecentesca. E non è un caso
che proprio con l’Illuminismo si sia imposta l’immagine del
Segretario fiorentino che, «profondissimo in tutto ciò che spetta ai governi», con le sue diagnosi spregiudicate si è battuto,
per dirla con Alfieri, contro il «palliare», ovvero l’«adonestare»,
secondo un’interpretazione condivisa più tardi con Foscolo, il
quale lo avrebbe descritto come colui che «alle genti svela/di
che lagrime grondi e di che sangue» il potere.
Di Machiavelli Algarotti non echeggia soltanto il titolo dei
Discorsi, o la dialettica quasi proverbiale tra virtù e fortuna, ma
si ispira anche, nelle biografie dei condottieri contemporanei,
alla Vita di Castruccio Castracani e, nel giudicare le manovre
militari, alle riflessioni dell’Arte della guerra. Forse però il magistero meno vistoso ma più profondo si trova nell’ekfrasis delle
personalità più forti, che si potrebbero volta a volta annoverare
nelle due categorie archetipiche dell’«impetuoso» e del «respettivo», l’uno trascinato dalla celeritas, l’altro guidato dalla gravitas.
Se nel Principe questi due modelli si incarnano in Romolo e
in Numa Pompilio, in Algarotti l’indole violenta e impulsiva,
esuberante e avventurosa, aggressiva e spietata si riconosce
Prefazione

nell’«audacia» di Kouli Khan, nell’«animo impetuoso» di Carlo
XII di Svezia, o, con uno dei frequenti movimenti all’indietro,
nell’incapacità di Turno «di allentar la briglia al valore» e di
agire con la «testa fredda», mentre la prudenza, l’avvedutezza, il «militare accorgimento» distinguono Enea insieme con
il «genio riflessivo» dei Romani e, modernamente, di Federico
di Prussia, capace di frenare il nativo ardimento a favore del
temporeggiare. Se però Machiavelli sembra più affascinato dall’energia giovanile e vitalistica di Romolo, come si conviene
a chi è più interessato a conquistare il potere che a mantenerlo, Algarotti, instradato dal suo razionalismo, è più incline a
temperare l’irruenza, come se idealmente volesse integrare la
tipologia proposta nel Principe con le avvertenze dei Ricordi di
Guicciardini, definito «autore gravissimo ed ampio» nel Saggio
sopra la lingua francese e promotore di massime secondo le quali
«chi vuole espedire troppo presto la guerra, le allunga spesso»,
o «chi ha carico di difendere terre, abbi per principale obietto
allungare quanto può».
Ciò non toglie che anche per Algarotti il capitano, quando
occorra, debba afferrare il kairòs, l’attimo fuggente, l’occasione
imperdibile che richiede azioni fulminee. Anche questa dote,
tuttavia, deriva più dall’esperienza che dall’istinto. All’orizzonte
non è ancora apparso un Napoleone, che la visione romantica avrebbe provveduto a esaltare con il mito dell’ispirazione
subitanea e della fantasia. Nei Discorsi militari la conduzione
della guerra richiede piuttosto «regola» e «compasso», e non
per caso un saggio è dedicato a Palladio, a un tempo architetto e «scrittore militare», in grado di muoversi «con quella
precisione medesima, che procede nell’arte sua». L’abito del
capitano non è diverso da quello dello scienziato, dovendo conoscere, specie per l’artiglieria, la trigonometria e, in senso
lato, la geometria, la topografia, la morfologia del terreno, la
resistenza dei materiali e le tecniche di fortificazione. Si direbbe
che il magistero euristico di Galileo perviene anche all’Algarotti dedito all’arte militare, come del resto era giunto, negli
stessi anni, a Muratori, che lo estese alla ricerca storica. Che

Prefazione
altro è il metodo ipotetico–deduttivo se non una sinergia dei
principi teorici con cui formulare ipotesi e la verifica della loro
applicabilità nelle situazioni concrete? Non è un caso che per
esprimere questi concetti Algarotti ricorra alla metafora del
telescopio, lo strumento promosso per metonimia a rappresentare lo stesso scienziato che lo aveva valorizzato puntandolo
al cielo, oltre che simbolo del nuovo abito scientifico. Scrive
infatti che «l’occhiale della meditazione e dello studio» possiede
la «virtù di slungar le viste della pura pratica».
Senza dubbio la polemologia era una disciplina congeniale
ad Algarotti, la cui nativa curiosità, se per un verso lo induceva
a molte e varie letture, per un altro verso lo portava a misurarsi
sempre con la reale consistenza della vita quotidiana, in linea
del resto con il Settecento, che nella dedica a Fontenelle del
Newtonianismo per le dame è appunto definito «il secolo delle
cose» nel quale il sapere non si deve più affaticare vanamente
«sopra una vecchia e disusata frase», al modo dei cruscanti, ma
servire utilmente ad «abbellir la Società». Una campagna militare non può ubbidire a leggi fissate una volta per tutte secondo
una tipologia universale, ma seguire duttilmente procedure
sperimentali, inevitabili quando i vettori che determinano gli
esiti sono numerosi e complessi e comportano in corso d’opera la modificazione delle ipotesi di partenza. Per quanto non
disdegni l’incedere gnomico, consentaneo al genere dopo l’antecedente di Montecuccoli, Algarotti gradisce comunque che si
possa «ammorbidire il secco delle regole». Il che avviene perché
le competenze che interagiscono, piuttosto che condensarsi
in massime, tendono a stemperarsi nel momento in cui sullo
specialismo viene a imporsi una vocazione enciclopedica, la
stessa che gli fa apprezzare in sommo grado un poeta dotto
come Virgilio, di cui nessuno «fu più versato in tutti i sistemi
della filosofia, in ogni sorta di scienza», tra i quali in primo
luogo quella militare.
È del resto un tòpos antico quello di esigere dal perfetto capitano il possesso di ogni competenza. Per fare un solo esempio,
Tomaso Garzoni, nella Piazza universale di tutte le professioni del
Prefazione

mondo, giunto a trattare «Della milizia», chiede agli «ottimi duci
degli esserciti» di essere «periti nelle discipline matematiche
[. . . ], nella geometria, [. . . ] nella cosmografia, [. . . ] nell’astrologia [. . . ], nelle mecaniche [. . . ]», diffondendosi in un lungo
elenco e illustrando per ogni disciplina le sue utili applicazioni nel campo militare. Questa visione olistica, congiunta con
un ritorno al classicismo, fa capire perché in Algarotti abbia
tanta importanza la lezione degli antichi, da Giulio Cesare ad
Alessandro Magno, per non dire di Virgilio, «peritissimo» «nella
scienza militare». Non si pensi però a un’operazione erudita e
museografica: la spedizione di Cesare contro i Parti, la battaglia
di Farsalo descritta da Lucano, le gesta di Alessandro Magno
servono per il presente, per confrontarle con quelle di Federico
di Prussia, di Pietro il Grande, di Carlo XII, di William Pitt,
di George Anson. Le pagine di Algarotti non hanno nulla di
libresco, e i molti conflitti di cui sono piene la letteratura greca
e latina, più che risultare più comprensibili alla luce delle guerre
europee del Settecento, a cominciare da quelle dei Sette anni,
sono viceversa studiati per comprendere meglio le strategie
belliche della contemporaneità, in modo che il comportamento
militare degli antichi Parti poteva, per fare un solo esempio,
spiegare qualcosa delle mosse dei Turchi che continuamente
minacciavano la Russia o l’Impero asburgico.
Negli anni del nascente giornalismo moderno i volumi della
storiografia antica si integrano con le notizie delle gazzette, che
aggiornano sulle alleanze e sulle rivalità delle nazioni europee,
estese alla loro politica coloniale e quindi condizionate dagli
interessi economici, in un’età in cui il mito degli Argonauti che
conquistarono il vello d’oro non è più, come ancora lo era nel
Seicento, il simbolo negativo dell’avidità dell’uomo, a fronte
del disinteressato spirito d’avventura di un Ulisse, ma l’archetipo della commendevole ricerca dell’utile e la celebrazione
dei commerci, secondo il paradigma dell’interesse che anche
in Italia dava vita a una feconda scuola di economia fondata da
Antonio Genovesi. Già da qualche tempo Joseph Addison sullo
«Spectator» aveva avvertito che «la ricchezza e l’opulenza sono

Prefazione
frutti naturali della libertà e dove queste abbondano, la cultura
e tutte le arti liberali solleveranno il capo e immediatamente
fioriranno». E in un altro numero del suo periodico faceva di
sé un’affermazione che Algarotti avrebbe senz’altro condiviso,
ossia di sentirsi «spettatore dell’umanità», e di essere «diventato
attento statista, soldato, mercante e artigiano», pur senza mai
essersi dedicato «a nessuna attività pratica». La politica non era
più qualcosa di distante e di inaccessibile: Pietro il Grande e
Caterina di Russia, Federico di Prussia, Carlo XII di Svezia acquistarono una certa popolarità anche perché, vedendo crescere
l’influenza dell’opinione pubblica, si circondarono di intellettuali che poi ne parlavano nelle loro opere. Algarotti fu uno
di questi, diventando in qualche modo una sorta di giornalista
d’alto bordo, fine e acuto osservatore diretto che comprese il
valore anche culturale, e non solo mondano, delle relazioni
sociali.
È significativo che già dal Settecento, ossia con l’avvento
dell’età moderna, l’epos sia sostituito dal romanzo, l’uno, secondo la diagnosi di Bachtin, contrassegnato da un eroe che si
pone a una distanza assoluta, inaccessibile nella sua perfezione
all’esperienza personale di un lettore, l’altro invece calato nella
realtà contemporanea e nella quotidianità e dotato di tratti che
consentono a chi legge di identificarsi con lui. E insieme con
il decollo del romanzo si assiste a una profonda revisione del
canone letterario: decade la lirica — «incomodo del secolo» è
l’inappellabile sentenza di Algarotti –, si diffonde il poemetto
didascalico, si favoriscono i prosimetri che fanno convivere la
concentrazione sintetica della poesia e un autocommento in
prosa più disteso, con funzioni esplicative. In generale, la prosa,
con il genere della lettera, del saggio e dell’articolo per le gazzette, acquista sempre più spazio. Nasce il racconto filosofico
e il racconto fantastico conosce un revival. La cifra comune di
tutti questi generi è una misura contenuta, che è poi quella
prediletta da Algarotti, amante dei «libricciuoli» e convinto che
«certi pensieri che ànno certo che di grazia originale in lettere
o in piccioli saggi, la perdono [. . . ] nel metodico apparato d’un
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oggetti e soggetti