LA DIFFICILE ELABORAZIONE DEL LUTTO
Paolo Astorre, Teresa Crescini, Raffaele Maritati, Cataldo
Mastromauro, Luca Persemoli, Olivia Bacciu, Amalia Falzetta, Luigi
Pelagalli, Olivera Markovic, Maria Beatrice Rondinelli
Associazione Romana Assistenza Domiciliare (A.R.A.D.)
“INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria”, n°36-37,
gennaio agosto 1999, pagg. 76-85, Roma
Introduzione
Il compito di un équipe di cure palliative è quello di curare ed assistere
sia i pazienti che i loro familiari, con l’obiettivo di migliorare i sintomi degli
ammalati e le condizioni psicosociali di tutto il contesto familiare. Tale
attività si protrae quindi anche dopo la morte della persona in cura
modificandosi, ovviamente, la qualità e la quantità degli interventi che, da
strettamente medici ed infermieristici, si trasformano in rapporto ai
numerosi bisogni psicologici, affettivi ed emotivi dei sopravvissuti.
Nelle società evolute sono venute meno strutture sociali, quali ad
esempio la famiglia patriarcale, in grado di assorbire e contenere, anche
mediante la ritualità, la sofferenza individuale legata al lutto. La gestione
personale del lutto è difficile e quindi è necessario formare figure
professionali in grado di aiutare nella elaborazione del lutto. Per lutto si
intende una serie di comportamenti rituali, accompagnati da uno stato
psicologico, che caratterizzano il periodo successivo alla morte della persona
cara. Il cordoglio si riferisce invece alla reazione emozionale,
comportamentale ed al travaglio psicologico dei superstiti.
Nel lutto si concretizzano atteggiamenti, che avvicinando natura e
cultura, tendono a rendere tollerabile per il nucleo familiare l’evento della
morte. Infatti, con il lutto viene espressa simbolicamente la volontà di morire
con chi è morto; ma grazie all’aiuto di una serie di interventi esterni (“il
consolo” ad esempio) il gruppo esce dalla identificazione con il morto, viene
liberato dalla colpa di voler interrompere la “condizione di morte” e ritorna
alla vita.
L’anticipazione del lutto
E’ inevitabile che le necessità del paziente, finché è in vita, abbiano la
precedenza su quelle della famiglia. I congiunti del malato, tendono a
mantenere uno stretto controllo delle proprie emozioni ed una scarsa
considerazione dei propri bisogni. Tale comportamento viene percepito come
indispensabile per continuare a prendersi cura del proprio caro e può
indurre lo staff di cure palliative a sottostimare le esigenze della famiglia e a
rendere difficile il supporto prima della morte del paziente. E’ veramente
paradossale che il supporto venga meno proprio nel momento del decesso,
quando cioè la famiglia è più cosciente del proprio bisogno di aiuto e più
disposta ad accettarlo. Pur accettando questo atteggiamento di negazione,
che inizialmente può essere utile per affrontare la difficoltà della malattia e
del dolore, è necessario fornire il supporto adeguato ai familiari che scelgono
di esprimere il dolore anticipatamente, comunicando loro che dopo le
lacrime potranno affrontare meglio il rapporto con la malattia e la
comunicazione con il loro caro (Lundin, 1984). Numerosi studi mostrano che
i decessi attesi e tempestivi danno origine con meno probabilità a problemi
psicologici nei sopravvissuti.
Esistono buone ragioni per considerare il complesso fenomeno del
lutto come un processo estremamente rischioso per l’equilibrio psicofisico
dell’individuo che lo sperimenta e vedere nel supporto fornito dallo staff di
cure palliative una opportunità per prevenire i problemi legati a questo
mostrando alle persone nuove direzioni di crescita psicologica, sociale e
spirituale.
Il dolore nella elaborazione del lutto: le reazioni
La reazione alla scomparsa di una persona cara è complessa e può
essere descritta attraverso molte prospettive. Sono state identificate tre
maggiori componenti che giocano influenze reciproche e diverse, nelle varie
fasi che seguono la perdita di una persona cara.
La necessità di piangere e la ricerca della persona perduta
Gli esseri umani condividono con gli animali a struttura sociale
complessa la forte tendenza ad esprimere un sentimento di dolore per la
scomparsa di una persona cara. Questo sentimento è spesso accompagnato
nell’uomo dall’impulso a piangere e a ricercare senza sosta la persona
scomparsa e in questi frangenti si possono avere crisi di grande dolore
scatenate da eventi, situazioni o oggetti, che ricordano il proprio familiare.
La necessità di evitare il pianto
Nella cultura dei paesi industrializzati la sofferenza e la morte sono
stati relegate negli ospedali e affrontate con atteggiamento tecnologico.
Spesso per convenzione sociale viene posto un limite alla piena espressione
delle emozioni e nei funerali si possono osservare varie forme di
autocontrollo delle emozioni da parte dei protagonisti. L’individuo infatti può
rispondere a questa tempesta emozionale con una diversità di
comportamenti che vanno dal piangere apertamente alla inibizione delle
emozioni esterne. Studi a questo riguardo suggeriscono che coloro che
reprimono maggiormente il dolore e le emozioni sono a un maggiore rischio
per disturbi successivi.
La necessità di riesaminare e modificare i modelli interni
La morte di una persona cara rimette in discussione un grande
numero di assunti riguardo la visione del mondo, la modalità di pensiero e di
comportamento che facevano riferimento alla persona scomparsa. Vecchie
regole devono essere abbandonate e ne devono essere adottate delle nuove; i
programmi devono cambiare; lo status sociale, il potere ed il controllo sono
spesso persi o modificati. La transizione psicosociale che ne consegue, è
ovviamente scarsamente accettata e spesso rifiutata.
Può accadere che la persona scomparsa sia percepita come vicina, minimi
rumori possono essere erroneamente interpretati come presenza del defunto
e, nelle fasi dell’addormentamento si possono avere allucinazioni
ipnagogiche. Transitorie allucinazioni di questo tipo si verificano, ad
esempio, nel 50% delle vedove.
Tutto questo mette in crisi il proprio senso di sicurezza; ogni pensiero,
infatti, deve essere controllato e viene devoluto molto tempo nel tentativo di
rendere adeguati alla nuova situazione modelli di pensiero divenuti
sorpassati.
Il dolore nella elaborazione del lutto: le fasi
Varie componenti sono identificabili, in dinamica combinazione fra
loro, nei diversi momenti dell’elaborazione del lutto.
Prostrazione e perdita di lucidità
Molte persone, soprattutto se impreparate all’evento, possono
evidenziare, nelle immediate vicinanze della scomparsa della persona cara,
una difficoltà a realizzare la piena realtà dell’accaduto e reagire con un
atteggiamento di non adattamento.
Le crisi dolorose
Lo struggente desiderio della persona amata può portare ad episodi di
pianto intervallati da periodi di ansia e tensione. Nella tempesta emozionale
di questi momenti rabbia e confusione si associano ad un senso di perdita di
sicurezza e di autostima. I correlati fisiologici dell’ansia sono spesso
interpretati come sintomi di una malattia incipiente e l’ansia può aumentare
fino a scatenare attacchi di panico e/o crisi di iperventilazione.
Disorganizzazione e disperazione
Con il passare del tempo l’intensità e la frequenza degli attacchi di
dolore diminuisce mentre si rende più evidente apatia e disperazione. Tutti
gli appetiti diminuiscono e la persona vive rivolta al presente, senza una
precisa elaborazione del futuro e con una sensazione di distacco dal contesto
sociale.
Riorganizzazione e recupero
Il primo segno di recupero è costituito dal ritorno dell’appetito per il
cibo e, dopo circa un anno dall’evento luttuoso, la perdita di peso corporeo
registrata nei primi due mesi di lutto viene generalmente recuperata. Lo
stato d’animo migliora, iniziano attività rivolte al futuro; inizia a prevalere
una nuova visione del mondo che si affianca alla precedente. Dopo anni
dall’evento doloroso è però sempre possibile l’improvvisa riacutizzazione del
dolore e lo struggimento per la persona amata può ritornare intenso come
nelle prime settimane; ma col passare del tempo, tuttavia, tale sensazione
viene sostituita dal piacere del ricordo per gli eventi del passato.
Fattori culturali e demografici
La scomparsa del coniuge e dei figli sono considerati i lutti più gravi.
La perdita del coniuge provoca una più prolungata disorganizzazione del
modello personale di visione del mondo mentre la perdita del figlio evoca la
più intensa e duratura sofferenza e rabbia. Tale reazione e la richiesta di
supporto é più pronunciata nelle madri e nelle vedove rispetto alle
controparti maschili. In contrappunto a questo dato uno studio evidenzia
una maggiore capacità di recupero psicologico (misurato attraverso la
valutazione del livello di ansia e di depressione) e una minore mortalità
cardiovascolare
delle
donne
rispetto
agli
uomini
(Parkes,1986;
Osterweis,1984) che possono forse correlarsi alla maggiore pressione sociale,
in senso inibitorio, esercitata sul sesso maschile per quanto riguarda la
manifestazione del dolore.
L’età è un altro importante fattore che influenza il decorso e
l’espressione del dolore. Nei bambini molto piccoli la differenza tra
separazione temporanea e permanente è poco chiara, tuttavia l’inevitabile
stress provocato dalla perdita della persona di riferimento tende a regredire
se compaiono adeguate figure sostitutive. Nel bambino più grande le
modalità di espressione e sperimentazione del dolore sono simili a quelle
dell’adulto anche se le difficoltà comunicative sono maggiori. Gli adulti
spesso tentano di proteggere i bambini dall’impatto della perdita
nascondendo l’evento con storie magiche o impedendo al bambino di entrare
nell’argomento. Nell’anziano l’evento perdita è meno spesso inaspettato e
questo può spiegare il minor impatto psicologico che è osservato così spesso
da essere considerato da alcuni come una normale espressione
dell’invecchiamento. Tuttavia nell’anziano la fragilità fisica e i problemi di
mobilità possono aggravare tutti gli aspetti negativi del lutto.
Rischi per la salute fisica e mentale
Dopo la morte del coniuge circa un terzo dei superstiti evidenzia un
declino fisico o mentale tale da richiedere un intervento medico (Raphael,
1984). Si riscontrano in percentuale maggiore disturbi d’ansia, alterazioni
del sonno, dell’appetito e della concentrazione che, nel primo mese dalla
perdita, possono ancora essere considerati normali.
Nel primo mese di lutto sono state documentate modificazioni
endocrine (Hofer, 1977) ed una riduzione della funzionalità dei linfociti B
(Scheiffer, 1983), ma le implicazioni pratiche di questi dati non sono chiare.
Più rilevante l’evidenza di un incremento della mortalità cardiovascolare tra
gli uomini vedovi dopo i 55 anni (Osterweis, 1984).
L’evento luttuoso può scatenare qualsiasi patologia psichiatrica; una
depressione clinica è stata documentata nel 47% dei vedovi durante il primo
anno, mentre alcuni sintomi ipocondriaci tendono a somigliare ai sintomi
della malattia di chi è morto. Alcuni sostengono un lieve incremento del
rischio di suicidi tra gli uomini rimasti soli. Un gruppo interessante e
caratteristico è quello rappresentato dai soggetti che sviluppano una
reazione patologica al lutto e nei quali il normale decorso del lutto è distorto.
Previsione del rischio di sequele psicologiche
La valutazione del rischio nei componenti della famiglia che possono
essere più influenzati dalla morte del paziente dovrebbe essere eseguita
routinariamente come parte della valutazione del nucleo familiare. Tale
compito di solito viene svolto dallo psicologo durante il colloquio con i
familiari del paziente prima della presa in carico con l’assistenza domiciliare.
In questa occasione un genogramma può essere molto utile. Il genogramma
è un codice convenzionale utilizzato per visualizzare i vari componenti della
famiglia e i relativi rapporti parentali, impiegando simboli semplici (un
cerchio per le donne e un quadratino per gli uomini), uniti da linee e con
l’aggiunta di ulteriori utili informazioni.
Numerosi fattori sono emersi come predittivi di una cattiva
elaborazione del lutto. Un evento improvviso e inaspettato per alcuni autori
risulta essere un fattore di rischio elevato (Lundin, 1984), anche se altri
autori non concordano con questa ipotesi (Helsing, 1981). Anche l’età della
persona che muore rappresenta un fattore molto importante; la scomparsa
di un anziano non é mai completamente inaspettata mentre quella di un
giovane ha quasi l’aspetto di un oltraggio, ed é percepita ancor più
dolorosamente quando avviene in modo inaspettato.
La vulnerabilità all’evento luttuoso é maggiore nelle persone con
scarsa fiducia in se stessi e/o negli altri, in quelle con precedenti psichiatrici
nella storia personale (tentativi di suicidio).
Il tipo di relazione con il morente (di grande attaccamento oppure di
ambivalenza) influenza chiaramente il risultato dell’elaborazione del lutto,
come anche l’atteggiamento di accoglienza o di censura dell’ambiente
famigliare nei confronti della manifestazione della sofferenza.
In alcuni centri vengono utilizzati questionari per quantificare il
rischio e quindi indirizzare determinati familiari al counselling, ma solo un
accurato colloquio, al momento dell’ingresso nell’unità di cure palliative, può
svelare determinati fattori di rischio.
L’elaborazione anomala del lutto
E’ difficile correlare un determinato fattore di rischio con un tipo
particolare di anomala elaborazione del lutto. Si possono distinguere fattori
di rischio non specifici (ansia, depressione, abuso di alcool) che comunque
complicheranno il decorso elaborativo e si calcola che circa la metà dei
pazienti che ricorrono ad uno psichiatra dopo la scomparsa di un familiare
rientrano in questo gruppo. Il restante 50% realmente manifesta un
determinato tipo di lutto patologico. E’ comunque basso il numero di
persone che richiedono un supporto psicologico rispetto a quante realmente
ne avrebbero il bisogno.
Sono stati identificati tre principali tipi di lutto patologico,
complessivamente legati ad una mancata elaborazione (riparazione) del
proprio mondo interno: la perdita traumatica, il lutto conflittuale e il lutto
cronico (Parkes, 1983). Queste tre categorie di lutto patologico non si
escludono vicendevolmente, ma anzi, spesso coesistono ed interagiscono
reciprocamente.
Perdita traumatica
Eventi luttuosi improvvisi, inaspettati, associati alla scomparsa di più
persone, che hanno messo in pericolo di vita il sopravvissuto o che ne hanno
determinato gravi mutilazioni, danno origine ad un meccanismo che tenta di
evitare o di reprimere il dolore della scomparsa per molto tempo, ma non
impedisce alti livelli di ansia e tensione emotiva. Gli eventi passati sono
ricordati con grande chiarezza, al punto che suoni oppure oggetti che
ricordano l’evento possono scatenare sintomi di ansia o attacchi di panico.
La prima fase di reazione al lutto è caratterizzata da intensa prostrazione e
può persistere per un periodo più lungo del normale; il processo di
elaborazione del lutto é ritardato e spesso il sopravvissuto può mantenere
una relazione immaginaria con la persona scomparsa e mostrare difficoltà di
relazione con il contesto sociale.
Lutto conflittuale
Si verifica per la perdita di una persona con la quale il sopravvissuto
aveva un rapporto ambivalente. La prima reazione emozionale è quasi di
sollievo e non si verifica l’ansia e la prostrazione del lutto traumatico.
Successivamente la persona si ritrova perseguitata dalla memoria della
persona scomparsa. Rabbia e senso di colpa si aggiungono alla sensazione di
non avere diritto alla felicità, poiché questa deriva dalla perdita del proprio
congiunto e questo favorisce lo sviluppo di una forte sensazione di
mancanza della persona cara. L’ambivalenza solitamente si estende anche ai
rapporti con altri membri della famiglia; ad esempio, relazioni difficili con i
genitori possono trasferirsi anche nel rapporto con il coniuge o con i fratelli.
Lutto cronico
Un rapporto di dipendenza può essere interpretato in maniera
biunivoca: la persona che muore può essere o l’elemento forte del rapporto,
quello cioè dal quale dipendeva l’altro, oppure la parte debole, che dipendeva
da colui che é sopravvissuto. In entrambi i casi, con motivazioni diverse, si
sviluppa una intensa e prolungata sofferenza nel superstite di questo
rapporto comunque complementare e simbiotico. Il gruppo sociale di
appartenenza tende comunque a proteggere la persona in lutto e a
concedergli il tempo necessario a riorganizzare ed elaborare nuovi ruoli, ma
questo meccanismo può portare ad un cordoglio patologicamente prolungato
nel tempo e nell’intensità.
Il piano di cura
Il supporto al familiare che sperimenta una perdita deve iniziare prima
che l’evento luttuoso si verifichi poiché la prevenzione dei disturbi psichici è
molto più efficace della loro cura. Il supporto offerto alla famiglia
rappresenta una preziosa possibilità per rivedere i rapporti con la persona
morente e per prepararsi a fronteggiare la realtà del distacco da questa, per
quanto doloroso possa essere.
Le forme di intervento dell’équipe devono quindi essere pianificate in
anticipo, tenendo conto della cultura e della condizione sociale del contesto
familiare e di alcuni fattori che, come si è visto, possono influenzare
l’evoluzione del cordoglio come, ad esempio, la modalità del decesso, le realtà
e i rapporti interpersonali preesistenti, i fattori creati dal decorso della
malattia.
La regolare discussione, nell’ambito dell’équipe, dei problemi del
nucleo familiare è un modo importante per assicurare attenzione verso la
famiglia nella sua interezza e crescita nella capacità di affrontare
problematiche di tipo psicologico.
La collaborazione di varie figure come assistenti sociali, psicologi,
psichiatri è molto importante ma non elimina la necessità da parte di tutti i
componenti dell’équipe di imparare a sapersi muovere flessibilmente nei vari
ambiti (psicologico, spirituale, sociale) che l’interazione con la famiglia ed il
malato induce.
L’organizazzione dei servizi
Le attività di supporto alle famiglie che si trovano ad affrontare il lutto
si caratterizzano per numerosi aspetti come la modalità di selezione, il tempo
dedicato all’intervento, il tipo di operatore interessato, la sede del servizio, la
sua affiliazione, la sede dove avviene l’intervento, la tipologia dell’unità di
cura (hospice, unità di cure palliative, équipe di assistenza domiciliare) il
tipo di supporto erogato e la durata dell’intervento.
Si possono distinguere servizi attivi, che intervengono spontaneamente
dopo una valutazione del rischio di lutto patologico e servizi a chiamata,
contattati dal familiare, generalmente informato della sua esistenza tramite
un opuscolo oppure durante il colloquio con un membro dell’équipe.
Le unità di cure palliative a domicilio infatti predispongono visite
regolari alla famiglia dopo il decesso del malato. Indipendentemente da chi
ed in quale contesto venga effettuata la valutazione del rischio di lutto
patologico, essa deve condurre ad una chiara risposta riguardo la necessità
o meno di supporto successivo; tutta l’équipe quindi deve avere un adeguato
training nella conoscenza dei fattori di rischio e nella loro valutazione.
La visita alla famiglia viene svolta tra le tre e le otto settimane dal
lutto; prima sarebbe troppo coinvolta, mentre successivamente è possibile
che i componenti della famiglia abbiano in qualche modo “smesso di
piangere” e in questo caso può essere faticoso ritornare a parlare di ciò che è
accaduto. Nell’intervallo invece la famiglia é spesso isolata, chiusa in se
stessa ed il dolore è ancora molto vivo.
Esistono posizioni diverse nell’identificare le figure che devono erogare
il supporto alla famiglia. Alcuni sostengono che, dopo appropriata selezione,
istruzione e supervisione, gli stessi membri dell’équipe (medici, infermieri,
assistenti sociali) possono fornire un adeguato supporto; altri invece vedono
nelle figure dello psicologo e dello psichiatra gli specialisti più adeguati.
La localizzazione ideale di un servizio di supporto al lutto é costituita
ovviamente dall’ospedale o dall’hospice dove di solito opera anche l’équipe di
cure palliative, con il limite però che potrà essere servita soltanto l’area
limitrofa alla struttura sanitaria. La maggior parte degli interventi sono
erogati al domicilio della famiglia; nei primi periodi del lutto, infatti, può
essere molto pesante per i familiari recarsi in ospedale o in hospice, luoghi
spesso associati al dolore ed alla morte.
A nostro avviso il supporto può essere erogato da varie figure, purché
adeguatamente qualificate con un opportuno training, che vanno dal
volontario, all’infermiere professionale, al medico all’assistente sociale, sino
allo psichiatra ed allo psicologo.
La durata dell’intervento deve essere più breve possibile. In alcuni casi
una sola visita é sufficiente a rassicurare i familiari della normalità delle
emozioni che stanno vivendo; più spesso cinque o sei incontri ad intervalli
sempre più dilazionati rappresentano il tempo adeguato per monitorizzare
un regolare decorso dell’elaborazione del lutto.
Ruoli, formazione e supervisione dei componenti dell’equipe
Il supporto al lutto è troppo importante per essere lasciato alla
iniziativa individuale. Sono molti i membri dell’équipe che hanno un ruolo
ben preciso in questo ambito, per cui è necessario riportare, sulla
documentazione riguardante il paziente, i dati relativi a tutte le visite di
ordine clinico e di relazione con i membri della famiglia. Questi dati così
raccolti rappresentano una preziosa fonte di informazioni sulla località di
residenza della famiglia e sulla sua accessibilità, sulla possibilità di rivedere
ogni interazione tra équipe e famiglia, rendendo così possibile la riflessione
critica sulle problematiche di diverso ordine emerse durante la cura, ma
possono essere anche valida fonte di elementi per la ricerca.
La famiglia dovrà essere informata dell’esistenza di tale
documentazione e rassicurata sulla confidenzialità del suo utilizzo. Sarà
comunque diritto dei familiari poter accedere in qualsiasi momento a questo
materiale.
Esaminiamo ora, per ogni figura professionale, il ruolo che essa può
sostenere nel supporto al lutto.
Infermieri professionali
˙
supporto alla famiglia, prima del decesso;
˙
valutazione del rischio di lutto patologico;
˙
supporto alla famiglia al momento della morte;
˙
visita dopo la morte da parte di infermieri che hanno seguito il malato
in assistenza domiciliare, sia per esprimere la propria vicinanza, ma anche
per valutare la necessità di ulteriore supporto. In alcune strutture, infermieri
specificamente istruiti e seguiti da un supervisore forniscono l’intero
supporto al lutto, se richiesto.
Medici
˙
supporto alla famiglia e al paziente durante il periodo di cura;
˙
incontro con la famiglia in occasione della morte o dopo il lutto (ad
esempio per la consegna del certificato di morte) per rispondere a qualunque
quesito sulla modalità di decesso o per fornire supporto emotivo. Il medico é
la figura più adeguata per rassicurare la famiglia che tutto il necessario é
stato eseguito;
˙
il medico di famiglia può visitare i familiari due o tre settimane dopo
l’evento luttuoso, rassicurarli che il dolore e la tempesta di emozioni che lo
seguono non sono segno di un crollo nervoso. Egli stesso può ravvisare gli
elementi per consigliare un supporto adeguato per il lutto
˙
gli specialisti in varie branche devono tenere in considerazione il
rapporto esistente tra il lutto ed una serie di disturbi ed evitarne l’eccessiva
medicalizzazione.
Psicologi e Psichiatri
˙
Lavorano in stretta collaborazione con i servizi di supporto al lutto e
con le équipe di cure palliative;
˙
rassicurano la maggior parte delle persone che accedono alla loro
consulenza comunicando la normalità della reazione al lutto e sono figure
chiave per l’individuazione precoce dei fattori di rischio;
˙
hanno un ruolo di primo piano nella formazione e nella selezione delle
altre figure che opereranno nell’ambito del supporto al lutto.
Assistenti sociali
˙
Hanno la possibilità di interagire profondamente con la famiglia prima
e dopo la morte; sono quindi nelle condizioni ideali per valutare il rischio di
lutto patologico e di erogare essi stessi, adeguatamente istruiti e
supervisionati, il necessario supporto.
Assistenti spirituali
˙
Sono le figure che hanno tradizionalmente erogato questo tipo di
supporto;
˙
i cappellani degli ospedali hanno l’opportunità di incontrare le famiglie
prima e dopo la morte del proprio caro;
˙
i funerali e le occasioni di suffragio permettono ai sacerdoti
l’opportunità di vivere con la famiglia momenti di grande significato
psicologico e spirituale;
˙
questa grande potenzialità è, ovviamente, meglio fruita dalle persone
con un credo religioso.
Volontari
˙
se adeguatamente istruiti possono valutare il rischio di lutto
patologico ed avviare i membri della famiglia al supporto;
˙
possono essere addestrati a riconoscere, spiegare e rassicurare i
familiari circa la normalità di molti dei sintomi fisici e delle emozioni legate
alla elaborazione del lutto.
˙
possono riconoscere precocemente la necessità di un intervento
medico;
˙
nella loro veste di gratuità facilitano ed incoraggiano l’espressione del
dolore, ma quando al momento adatto, sottolineano anche la necessità
dell’apertura alla vita ed al futuro.
Le figure di supporto al lutto: (reclutamento, e selezione)
E’ necessaria una forte motivazione da parte di coloro che propongono
se stessi come potenziali figure di supporto al lutto (counsellor). E’ possibile
identificare tali figure tra i volontari o tra quei professionisti (medici,
infermieri, psicologi) che desiderano acquisire questa nuova competenza.
L’intervista è la modalità migliore di selezione. Si indaga sulla presenza nella
storia personale di lutti o di altri eventi dolorosi di rilievo e si analizzano le
ragioni della scelta di accompagnare le persone nella elaborazione del lutto.
E’ importante saper comprendere se chi si ha di fronte potrà condividere
emozioni e pensieri, non senza una risonanza interiore, ma evitando di farsi
sopraffare dal dolore proprio e da quello dell’altro. E’ necessario che i
candidati a tale attività di formazione partecipino sia alla parte teorica, ma
anche a quella pratica, costituita da visite di supporto sotto adeguata
supervisione.
Principi di counseling
Ogni situazione di supporto ha la sua specificità e non esistono quindi
regole generali valide per tutti i contesti. Il primo e più importante
atteggiamento da assumere è quello di prendere tempo, di non avere fretta di
avvicinare la famiglia che ha subito il lutto; la prima visita può durare sino a
due ore. E’ necessario non parlare tanto e mettere a proprio agio
l’interlocutore spiegando in maniera empatica e rilassata il motivo
dell’incontro.
L’elaborazione del lutto consiste nel rendere reale al proprio interno
ciò che è già avvenuto all’esterno. Nel chiedere al sopravvissuto di raccontare
la propria storia, si chiede a questa persona, in realtà, di mostrarsi, di
spiegarsi a se stessa. Le parole di partecipazione e vicinanza devono essere
l’espressione reale dei sentimenti che l’operatore sperimenta al sua interno.
La comunicazione non verbale rappresenta in questo contesto un prezioso
strumento. Se la tensione o l’ansia si fanno forti il modo migliore per ridurle
è di avvicinarsi all’interlocutore e toccarlo o sorridergli anche se questo può
essere poco tollerato da alcuni. Non bisogna essere mai troppo frettolosi nel
momento dello sfogo doloroso e saper attendere adeguatamente prima di
riprendere il colloquio. Spesso è necessario rassicurare sulla normalità del
dolore e delle sensazioni che sono connesse alla perdita. Sono inopportuni
atteggiamenti di critica e di biasimo, e tantomeno accordi su affermazioni
distorte della realtà, ma partecipazione profonda.
Il counsellor deve essere in grado di affrontare momenti difficili come
l’interruzione della comunicazione per stanchezza, sentimenti troppo intensi,
rabbia o sfiducia. Egli deve incoraggiare implicitamente ed esplicitamente le
persone che ha di fronte a vivere pienamente il dolore e le reazioni alla
scomparsa del proprio caro in modo tale da permettere alla persona che ha
subito la perdita di rientrare nella pienezza della propria progettualità e del
suo rapporto con il mondo (Shut, 1994).
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la difficile elaborazione del lutto - in