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6° Rapporto Nazionale sulla Condizione
dell’Infanzia e dell’Adolescenza
Ufficio Stampa Eurispes
Mary Marangi • Susanna Fara
Ufficio Stampa Telefono Azzurro
Novella Pellegrini
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Presentazione
I giovani del 2005:
“esploratori senza frontiere”
tra opportunità e rischi
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[Presentazione]
Come ogni anno, anche il 6° Rapporto sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, fornisce
alle Istituzioni, agli educatori e alle famiglie una significativa lettura della complessa e dinamica realtà
dei minori, attraverso l’interpretazione in chiave critica dei principali fenomeni e tendenze giovanili e la
consueta indagine campionaria realizzata nelle scuole italiane di ogni ordine e grado.
La scelta di presentare questa nostra importante pubblicazione in occasione dell’anniversario
della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, sottolinea la precisa volontà di ricordare e valorizzare
costantemente quanto sancito in questo fondamentale punto di riferimento. La Convenzione è infatti
uno strumento operativo indispensabile per affermare e realizzare la cultura dell’infanzia a livello
internazionale, al di là delle legittime differenze tra le culture e i Paesi e nella totalità degli aspetti che
investono lo sviluppo di bambini e adolescenti.
Sono passati 16 anni dalla stipula della Convenzione che ha riconosciuto e attribuito ai bambini
e agli adolescenti la titolarità di diritti fondamentali, andando ad individuare, parallelamente, una serie
di esigenze e di necessità che devono trovare risposta tanto nei comportamenti degli adulti, quanto
nelle azioni dei Governi chiamati ad intraprendere concrete azioni di promozione, prevenzione,
salvaguardia e tutela dell’universo infantile e adolescenziale.
A distanza di tempo, e in ogni momento in cui si renda necessario, è possibile fermarsi e provare
a fare un bilancio per capire che cosa è stato fatto, e chiaramente con quale livello di efficacia e di
reale utilità rispetto allo scopo, e che cosa rimane ancora da fare, e in quale direzione dirigere gli sforzi
per rendere effettivi gli assunti del 1989 e le affermazioni di principio ormai largamente condivise. Allo
stato dei fatti è possibile riconoscere che nel nostro Paese sono state implementate alcune buone
pratiche e allo stesso modo sono state avviate iniziative valide e coerenti con gli intenti che le hanno
mosse; di contro, sussistono ancora altri ambiti problematici, vecchie questioni e nuove
preoccupazioni che emergono con la stessa velocità con cui mutano i tempi e si modificano i
comportamenti, gli atteggiamenti, le abitudini, le mode, le opportunità, le insidie e i rischi: la stessa
velocità, in definitiva, con la quale si affermano le nuove emergenze.
Il Rapporto di quest’anno, oltre alle aree di indagine proprie relative alle situazioni di emergenza,
quali l’abuso e il maltrattamento, lo sfruttamento sessuale, la devianza, ecc. affronta anche i temi dei
diritti violati e della giustizia. Ha inteso inoltre conferire attenzione ai complessi temi della
comunicazione, della cultura, del tempo libero e dei viaggi ed alle relative implicazioni sociali,
psicologiche e culturali connesse all’impatto dei media televisivi e delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione.
In questo ambito, va sottolineata la crescita esponenziale delle possibilità dei giovani sia di
ampliare la propria rete relazionale e amicale (soprattutto grazie ai nuovi apparati tecnologici e ai
nuovi media), sia di conoscere altre realtà geografiche e fisiche diverse da quelle di origine.
Da un lato, infatti, la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
modificando strutturalmente i modelli comunicativi e relazionali del nostro tempo, ha dilatato le
opportunità di oltrepassare i limiti spaziali per ricercare attraverso la Rete opportunità diverse, codici
e linguaggi inediti, amicizie ed esperienze nuove.
Dall’altro lato, il processo di integrazione europea, la diffusione di programmi di scambio culturale e
scolastico, la maggiore propensione alla mobilità da parte degli adulti, l’abbattimento delle tariffe
aeree, hanno portato ad un sensibile incremento degli spostamenti nazionali ed extranazionali da
parte delle giovani generazioni. In relazione a quest’ultimo punto, i dati complessivi confermano che,
nel periodo 2001-2003, si sia registrato un incremento di utenza fra la fascia di età compresa fra i 6 e i
19 anni.
La fruizione dei viaggi soprattutto da parte degli adolescenti (12-19 anni) è molto intensa: la
rilevazione campionaria Telefono Azzurro - Eurispes, condotta in 52 scuole italiane di ogni ordine e
grado (con quasi 5.000 questionari pervenuti), ha rilevato che il 72,7% degli intervistati ha avuto
occasione di effettuare viaggi all’estero.
Gli adolescenti viaggiano durante tutto l’arco dell’anno e non solo in occasione delle vacanze
estive, pasquali o natalizie, ma anche per settimane bianche (19%) o in periodi che non
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necessariamente coincidono con una particolare ricorrenza.
Gli stili e le inclinazioni giovanili in tema di viaggi e di mete esotiche emersi dall’indagine sul
campo, insieme al crescente utilizzo della Rete per informarsi, navigare e comunicare (dalle chat, alla
posta elettronica, dai giochi di ruolo ai forum on line) sembrano consegnarci una costellazione di
adolescenti orientata ad abbattere le tradizionali barriere fisiche e geografiche, per vivere sia
esperienze globali di conoscenza di altri luoghi, sia insolite relazioni e sentimenti sul web.
In questo viaggio, virtuale o reale che sia, gli adolescenti del 2005 sembrano volere
metaforicamente oltrepassare i limiti costituiti dai confini del proprio Paese, della propria famiglia,
spesso superando le paure che caratterizzano questo particolare momento storico-politico.
Al mito del viaggio verso destinazioni anche lontane e luoghi reali, fanno da contraltare
nell’esistenza delle nuove generazioni, una molteplicità di esperienze cognitive e relazionali,
connesse al crescente utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che
suggeriscono e spesso impongono stili di vita e comportamenti di consumo a cui è difficile sottrarsi.
E-generation è il nome che le Istituzioni europee hanno scelto per definire la gioventù europea: è
la generazione che vive da protagonista l’epoca delle Information Communication Technology,
caratterizzata da nuovi e numerosi strumenti di mediazione ad alto contenuto tecnologico.
La rilevazione campionaria ha consentito, in questo senso, di rappresentare, con un sufficiente
grado di precisione, i comportamenti, gli atteggiamenti e le tendenze attuali dell’infanzia e
dell’adolescenza nei confronti dei nuovi media.
La Rete, in particolare, sembra non conoscere limiti o confini di tipo anagrafico. Internet è senza
dubbio il mezzo di comunicazione più eclettico, uno strumento che si presta a molteplici usi e che può
rispondere alle più diverse esigenze. Tenendo conto dell’età di una fascia degli intervistati (7-11
anni), è considerevole la quota di internauti: ben il 46,8% dei bambini, infatti, afferma di utilizzare
Internet.
I bambini sembrano essere ben consapevoli delle diverse potenzialità della Rete e la usano in
modo versatile. Sebbene, infatti, giocare con i videogiochi e scaricare musica, film, video e quant’altro
rientrino tra le abitudini di una quota maggioritaria di bambini, l’uso della Rete non è limitato solo al
divertimento.
Sei bambini su dieci utilizzano Internet anche per cercare informazioni di proprio interesse, mentre
una minoranza considerevole (il 48,7%) usa la Rete in modo funzionale alla ricerca di materiale utile
per i propri studi.
Una quota significativa, seppur minoritaria, di bambini utilizza la Rete anche per sfruttarne le
potenzialità relazionali: leggere e scrivere regolarmente su un forum di proprio interesse (21,7%),
comunicare tramite la posta elettronica (21,3%) e/o tramite chat (13,7%). Meno diffusa la lettura dei
Blog (9,1%), mentre preoccupa il dato relativo all’utilizzo di Internet per la ricerca di cose proibite, una
modalità che interessa oltre un bambino su dieci (11%).
Per quanto riguarda i ragazzi più grandi, l’81,1% degli adolescenti dai 12 ai 19 anni dichiara di
usare Internet. La forma di utilizzo più diffuso fra gli adolescenti risulta essere la ricerca di informazioni
di loro interesse, che riguarda ben il 93,6% dei ragazzi che navigano in Rete. Estremamente diffuse
sono anche la ricerca di materiale per lo studio (83%) e l’abitudine di scaricare musica, film, giochi,
video da Internet (70,5%).
La maggioranza dei giovani navigatori (53,7%) comunica tramite la posta elettronica; il 43,9%
gioca con i videogiochi online; il 37,9% comunica tramite chat. Risultano invece meno frequenti la
ricerca in Rete di cose proibite (24,2%), la partecipazione a giochi di ruolo (18,6%), la partecipazione
a forum (17,8%), la lettura dei Blog (14%).
Notevole è d’altro canto la capacità dei ragazzi di orientarsi e di saper combinare e utilizzare un
mix di strumenti e dotazioni tecnologiche. Più della metà del campione (56,3%) possiede un lettore
Mp3, che ha ormai sostituito i vecchi walkman e cd portatili e viene utilizzato dai ragazzi per ascoltare
la musica. Il 50,2% dei ragazzi dice di possedere una telecamera digitale, il 48,2% un dvd recorder.
Sono invece meno diffusi gli I-pod (11,7%), utilizzati per costruire vere e proprie compilation di
canzoni in base ai gusti personali e ascoltarle in qualunque luogo.
Ma le potenzialità straordinarie dei nuovi apparati tecnologici mostrano anche insidie, pericoli e
rischi non solo virtuali per le giovani generazioni.
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Secondo quanto documentato dalle ricerche condotte dall’ICAA (International Crime Analysis
Association), le chat-line rappresentano, tra tutti gli utilizzi di Internet, l’area dove si materializzano i
maggiori rischi per i minori. I risultati delle sperimentazioni condotte dall’ICAA nel biennio 2003-2004
indicano che la percentuale di minori, che utilizzando le chat ha avuto un incontro on line con un adulto
(presumibilmente pedofilo) e ha intrapreso con lui discorsi su tematiche sessuali, è decisamente
rilevante (13% dei bambini che usano abitualmente le chat).
Non possiamo sottovalutare i rischi psicologici che un uso eccessivo o distorto della Rete può
comportare. Dalla comunità scientifica internazionale giungono già da alcuni anni ammonimenti sui
rischi per la salute psichica connessi all’abuso di Internet, e psichiatri e psicologi sono arrivati a
parlare di “Internet Related Psychopatology”, una vera e propria malattia da abuso di computer e di
telematica. Sono state individuate diverse tipologie di disturbi, dall’Information Overload Addiction
(ricerca estenuante di informazioni) al Compulsive on line Gambling (il gioco d’azzardo compulsivo
tramite casinò virtuali o siti per scommettitori) e al MUD’s Addiction (dipendenza dai giochi di ruolo on
line), mentre con Internet Addiction Disorder (IAD) si definisce, in generale, la dipendenza psicologica
dal web.
Più in generale da questi dati emergono alcuni spunti di riflessione ambivalenti da un punto di
vista interpretativo: se da una parte c’è una tendenza ad andare all’esterno, a ricercare nuove
esperienze in un mondo reale, con nuove modalità di relazione, di comunicazione, dall’altro sembra
esserci quasi la tendenza ad una maggiore solitudine: sia Internet che la Tv ci dicono che bambini e
adolescenti trascorrono molto tempo in un isolamento forzato, a diretto contatto con vecchi e nuovi
media.
Come l’indagine ha dimostrato, risulta significativamente elevato il tempo di fruizione televisiva tra
i bambini di età compresa fra i 7 e gli 11 anni: quasi un terzo (il 32,6%) segue la Tv da una a 3 ore al
giorno, mentre il 7,6% del campione afferma di guardare quotidianamente la Tv dalle 3 alle 5 ore ed un
preoccupante 8,4% afferma di guardarla addirittura per più di 5 ore. Anche tra gli adolescenti è
piuttosto alto il tempo di fruizione del mezzo televisivo: la metà del campione tra i 12 e i 19 anni
(51,2%) guarda la televisione da 1 a 3 ore al giorno, mentre il 12,8% da 3 a 5 ore, il 5% la segue per
più di 5 ore al giorno.
Ma il tempo di esposizione al mezzo televisivo non è il solo indicatore del ruolo e del peso che la
Tv ha assunto nella sfera infantile ed adolescenziale. Il 14,5% dei bambini tra i 7 e gli 11 anni dichiara
di guardare i programmi con il bollino rosso. Il 62,9% del medesimo campione trova eccessivamente
violente le immagini di guerra e/o di morte mostrate dai telegiornali, mentre al secondo posto si
collocano le scene di sesso e di nudo, fastidiose per il 58,5% del campione.
L’analisi dei nuovi apparati tecnologici e delle nuove modalità di comunicazione non ci deve far
dimenticare le tradizionali come pure le nuove aree del disagio e infantile e adolescenziale.
Tra le nuove emergenze spiccano i dati relativi al bullismo: la rilevazione del 2005 evidenzia che
il 42,3% dei bambini tra i 7 e gli 11 anni dichiara di subire brutti scherzi, il 39,6% afferma di subire
provocazioni e/o prese in giro ripetute e il 33,6% offese immotivate ripetute. Tra i minori il 20,2% si
dichiara minacciato da coetanei o ragazzi più grandi, il 12,6% subisce furto di oggetti e/o cibo, mentre
il 4,8% viene derubato. Il 12,1% dichiara di essere stato vittima di di maltrattamenti ripetuti da parte di
coetanei.
Tra le problematiche che investono le fasce di età più giovani della popolazione, particolare
rilevanza riveste il consumo di droghe e alcool.
Nel rapporto Espad tra le diverse sostanze stupefacenti utilizzate da studenti italiani di età
compresa tra i 15 e i 19 anni, il primo posto è occupato proprio dagli alcolici, che nel corso degli anni si
attestano su un trend abbastanza costante, così come costante è la percentuale di ragazzi con
l’abitudine ad assumere queste sostanze.
L’identikit dell’adolescente Telefono Azzurro - Eurispes evidenzia come i ragazzi intervistati tra i
12 e i 19 anni bevano più o meno regolarmente alcolici. In particolare, solo il 28,7% dichiara di non
bere mai nessun tipo di bevanda alcolica, mentre circa il 15% consuma alcool spesso (11,5%) o tutti
i giorni (3,2%), e la maggioranza (il 55,6%) lo fa qualche volta. Appare quanto meno preoccupante il
dato relativo all’età di iniziazione all’alcool: poco meno di 7 adolescenti su dieci, infatti, hanno
dichiarato di aver bevuto il primo bicchiere di vino o di birra prima dei 15 anni (69,1%).
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In relazione poi al consumo di droghe leggere, una parte consistente del campione tra i 12 e i 19
anni, ha nei confronti del consumo di spinelli un atteggiamento piuttosto favorevole: il 28% degli
adolescenti, infatti, ritiene che non ci sia niente di male a fare uso di droghe leggere (10,2%) o che gli
spinelli non facciano male se non si esagera nel loro consumo (17,8%). I contrari al consumo di
droghe leggere, solo lievemente meno numerosi rispetto ai favorevoli (27,7%), ritengono, infine, che
l’uso di hashish e marijuana sia pericoloso e sbagliato.
In tema di sicurezza stradale, infine, si potrebbe fare molto di più e meglio dal momento che nel
2004 in Italia oltre 10.000 bambini sotto i 13 anni sono stati coinvolti in incidenti stradali a bordo di
autovetture. L’incidente stradale risulta essere la prima causa di morte e di invalidità nei giovani. Circa
un quarto dei giovani coinvolti in sinistri, con una maggiore rappresentatività della componente
maschile, guidava al momento dell’incidente.
Rendiamo disponibili i risultati del 6° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e
dell’Adolescenza perché crediamo che solo a partire da una precisa conoscenza dei fenomeni sia
possibile sviluppare politiche realmente capaci di tutelare l’infanzia e l’adolescenza.
Ci rivolgiamo dunque alle Istituzioni perché possano utilizzare al meglio i contenuti qui proposti
sia per agevolare il dibattito e la riflessione legislativa, sia per promuovere interventi in grado di
migliorare la condizione dell’infanzia del nostro Paese.
Prof. Ernesto Caffo
Prof. Gian Maria Fara
Presidente del Telefono Azzurro
Presidente dell’Eurispes
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Capitolo 1
Abuso, sfruttamento
e diritti violati
Scheda 1 • Il commercio dei minori: rapiti e venduti
Scheda 2 • L’abuso sessuale in pregiudizio di minori: analisi della casistica italiana
Scheda 3 •
Il progetto di ricerca C.L.U.I. (Chat-line Undercover Investigation): i profili di personalità
dei minori a rischio di adescamento da parte dei pedofili in chat
Scheda 4 • Il fenomeno dell’accattonaggio in Italia
Scheda 5 • Famiglie e minori stranieri: quali bisogni, quali emergenze
Scheda 6 • Quale bisogno, quale aiuto. La lettura del disagio attraverso l’Osservatorio di Telefono Azzurro
Scheda 7 • Immigrazione e flussi in una prospettiva europea
Scheda 8 • La legislazione sociale per l’infazia
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[Scheda 1]
Il commercio dei minori: rapiti e venduti
La povertà infantile nei paesi ricchi. Attualmente, nelle nazioni OCSE ci sono 40 milioni di
bambini poveri. L’Italia detiene il record di povertà infantile in Europa con una crescita, negli ultimi dieci
anni, del 2,6%, che la porta ad avere un milione e 700mila minori poveri, pari al 16,6% di tutti i minori
italiani.
Minori scomparsi. In Italia sono 3.000 le denunce di minori scomparsi che le Forze dell’ordine
avviano ogni anno: nell’80% dei casi vengono ritrovati subito dopo la segnalazione o nei dodici mesi
successivi. Sono invece 605 i minori ancora da rintracciare nel nostro Paese, 420 dei quali stranieri e
185 italiani; la maggior parte ha più di 10 anni. Nel 2004 erano 93 i minori italiani di 10 anni scomparsi,
nei primi quattro mesi del 2005 sono già 67: un trend in aumento se si considera che negli anni dal
1999 al 2003 il picco del numero di casi riferiti a questa fascia di età è stato registrato nel 2000 (40).
La maggior parte dei ragazzi scomparsi è costituita da immigrati che fuggono dalle strutture in cui
sono stati accompagnati, oppure da italiani che scappano da casa per un breve periodo.
Tipologie e modalità di sfruttamento
Sfruttamento sessuale
Sfruttamento del lavoro
Attivit illegali in genere
Infanzia negata
Turismo sessuale
Ind. intrattenimento
Commercio di organi
Matrimoni precoci
Pedopornografia
Lavoro forzato
Adozioni illegali
Bambini soldato
Prostituzione forzata
Accattonaggio
Prostituzione religiosa
Fonte: Eurispes.
Sfruttamento sessuale. Si stima che circa un milione di bambini ogni anno viene introdotto nel commercio sessuale e
l’India (400.000), gli Usa (244.000/325.000) e la Thailandia (200.000) sono rispettivamente ai primi posti nello sfruttamento
sessuale dei minori. Questo fenomeno è in crescita in tutto ilmondo ed è alimentato anch’esso dalla crescente povertà dei paesi
poveri e dalla domanda di danarosi clienti; un aspetto ancor più inquietante è non solo l’aumento della presenza di bambini e
bambine molto piccoli fra le vittime di abuso, ma anche l’abbassamento dell’età dei “clienti”.
Fasce d’età coinvolte nello sfruttamento sessuale
Anno 2005
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Paesi
Cambogia
Et
12-17
India
5-15
Nepal
10-14
Filippine
8-10
Sri Lanka
6-14
Europa-Est
8-18
Cina
5-15
Fonte: Ecpat, Ilo, Terres des hommes, 2005.
Nella Repubblica Dominicana si calcola che 25.000 bambini siano lavoratori del sesso, mentre
nell’Africa occidentale sono circa 35.000. Si ritiene che in Lituania un numero oscillante fra il 20 e il
50% delle prostitute sia costituito da minorenni, che bambine appena undicenni lavorano come
prostitute nei bordelli e che bambini provenienti da istituti, alcuni persino fra i 10 e i 12 anni, vengono
utilizzati per girare film pornografici. In Cambogia un recente sondaggio condotto su 6.110 persone
intervistate coinvolte nella prostituzione, nella città di Phnom Penh e in undici province, ha riscontrato
che il 31% del campione era costituito da bambine e bambini fra i 12 e i 17 anni.
Anche nel nostro Paese la prostituzione minorile è una realtà preoccupante: si stima che dal 2001
al 2002 la prostituzione straniera ha coinvolto un numero di persone che va dalle 10.000 alle 13.000,
con un’incidenza dei minori del 5%.
Turismo sessuale. Il mercato del sesso si serve sempre più spesso del turismo. Il turismo
sessuale, tra Africa, America Latina, Asia ed Europa dell’Est muove infatti un giro d’affari di oltre 5
miliardi di dollari l’anno. I clienti, provenienti dall’Occidente ricco, hanno il primo contatto con i bambini
in bar e hotel; poi i bambini vengono comprati a prezzi che variano da 10 a 40 dollari in Thailandia,
da 5 a 30 in Brasile, da 10 a 50 in Cambogia (Ecpat).
Le reti internazionali di pedofili sono numerose. Spesso, specie nel Sud-Est Asiatico, si servono
di orfanotrofi e centri di accoglienza per bambini per scegliere le vittime, in molti casi con la complicità
dei governi, che sperano di ridurre il deficit grazie al turismo sessuale.
Pedopornografia. Il 70% dei fruitori ha meno di 30 anni; siamo di fronte a giovani, anzi
giovanissimi, spesso minorenni, con un titolo di studio medio e conoscenza delle lingue (Ecpat).
A livello internazionale sarebbero 272.000 i siti pedopornografici scoperti e denunciati da
organizzazioni non governative e dal costante monitoraggio delle Forze di Polizia internazionale.
In molti siti web si sta diffondendo la pedofilia culturale, che giustifica la pedofilia come
un’azione positiva, un atto di iniziazione alla vita da adulti, una manifestazione di amore verso i
bambini. Secondo gli “ideologi” di questa nuova e aberrante emergenza, chi violenta un bambino non
è un mostro, ma un uomo che ama il bambino e che desidera manifestare il suo affetto per lui anche
con un rapporto sessuale.
L’attività di monitoraggio sulla pedofilia on line effettata dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni
ha permesso di individuare da luglio 2001 a giugno 2005 ben 143.908 siti web, di cui 9.046 risultati di
natura pedo-pornografica. I siti attestati sul territorio italiano rilevati e oscurati nel periodo temporale di
riferimento sono stati 108. Nello stesso periodo sono state arrestate 85 persone e 2.335 sono state
denunciate in stato di libertà; sono state eseguite 2.226 perquisizioni nel corso delle quali sono stati
posti sotto sequestro circa 2.000 pc, 100.000 cd rom, 60.000 floppy disk e 29.000 vhs.
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Violenza sessuale sui minori, per fascia di età delle vittime
Anni 2003-2004
Valori assoluti
Anno 2003
0-10
Violenza sessuale
11-14
15-17
Totale
253
257
153
663
Atti sessuali con minorenne
16
26
5
47
Corruzione di minorenne
10
9
1
20
Violenza sessuale di gruppo
15
3
1
19
294
295
160
749
Totale
Anno 2004
Violenza sessuale
0-10
11-14
15-17
Totale
258
293
178
729
28
28
18
74
Corruzione di minorenne
9
14
2
25
Violenza sessuale di gruppo
-
12
8
20
295
347
206
848
Atti sessuali con minorenne
Totale
Fonte: Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato.
Prostituzione religiosa. L’HAQ, Centro per i diritti del bambino (Nuova Delhi, India), individua
l’India come uno dei paesi in cui la prostituzione religiosa è largamente diffusa. Giovani ragazze dai 5
ai 9 anni, provenienti dalle caste più basse, vengono “date in sposa” alla divinità durante una
cerimonia nella quale vengono marchiate con un ferro rovente. Dopo questa cerimonia le ragazze
rimangono nei templi a servire gli uomini come prostitute. In alcuni casi sono pubblicamente messe
all’asta come vergini e date al maggior offerente. Ogni anno da 5.000 a 10.000 ragazze della sola
casta Harjian sono costrette alla prostituzione in questo modo.
Sfruttamento del lavoro. Secondo recenti stime nel mondo ci sono 250 milioni di bambini
lavoratori di età inferiore ai 17 anni: di questi 170,5 milioni svolgono lavori pericolosi che comportano
condizioni di insicurezza, orari eccessivi e abuso conclamato.
I minori di 18 anni pagano il più alto tributo rappresentando complessivamente il 40-50% delle
vittime del lavoro forzato. Lo sfruttamento di individui a scopo economico colpisce inoltre più donne e
bambine (56%) che uomini e ragazzi (44%), ma il divario è particolarmente alto nel settore dello
sfruttamento sessuale a scopo di lucro: il 98% delle vittime è costituito da donne e bambine.
Accattonaggio. Lo sfruttamento della mendicità dei minori è un altro business che nel nostro
Paese ha un fiorente mercato di circa 150 milioni di euro l’anno; la Commissione bicamerale per
l’infanzia stima che sono almeno 50.000 i bambini, di un’età compresa fra i 2 e i 12 anni, che
elemosinano ogni giorno; l’età non va oltre i 12 anni anche perché gli sfruttatori sanno bene che i
bambini fino ai 14 anni non sono punibili dalla legge.
Industria dell’intrattenimento. Esiste notizia di giovani ragazze costrette a partecipare ai
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gruppi di danza e di giovani ragazzi venduti negli Stati del Golfo ed impiegati come fantini nella
cavalcata sui cammelli.
Commercio di organi: il bambino come contenitore di merce. Secondo una recente
indagine, in Europa attualmente ci sono 40.000 pazienti in attesa di trapianto di rene, e una
percentuale che va dal 15 al 30% rischia di morire prima che abbia trovato un organo. I tempi di
attesa sono mediamente di tre anni e sono destinati ad allungarsi. Poiché i progressi della medicina
rendono il trapianto più facile e sicuro, la necessità di organi aumenta e nello spazio tra domanda e
offerta si è inserito il commercio criminale. Le vittime sono sempre scelte tra la popolazione più
povera: soprattutto ragazzini, che vengono rapiti e uccisi. Le indagini finora sono poche; è stata
individuata un’organizzazione che agisce tra Moldavia, Ucraina e Turchia. Un rene può essere
acquistato per 3.000 dollari, il trapianto ne costa 200.000. Afghanistan, Brasile, Sudan, Mozambico:
Asia, America Latina, Africa. Tre continenti dove sembra che la tratta degli organi trovi complicità e
materia prima, cioè uomini disposti a vendere un organo o bambini da uccidere per strappare loro
cuore, fegato, polmoni, cornee o reni. I clienti disposti a comprarli arrivano dai paesi Arabi,
dall’Europa, dall’America del Nord.
Adozioni illegali. Si tratta di un mercato illegale prospero e vantaggioso, in cui i neonati sono
venduti a prezzi che possono variare dai 7.000 ai 15.000 euro.
Recentemente nel nostro Paese è stato presentato un disegno di legge per la riforma delle
adozioni internazionali (18 marzo 2005) che interviene sull’accertamento dell’idoneità degli aspiranti
adottanti, stabilendo che la valutazione non spetterà più ai servizi sociali, ma solo al tribunale dei
minorenni, che avrà sessanta giorni di tempo per dichiarare l’idoneità invece dei sei mesi attuali.
Verranno anche introdotti l’affidamento temporaneo internazionale e l’adozione in casi particolari di
minori stranieri.
Matrimoni “precoci”. Nel Kashmir, nel 1999, il prezzo per le ragazze costrette a sposarsi
andava dalle 2.000 alle 15.000 rupie, in funzione dell’età e dell’aspetto. Più di 50.000 ragazze dall’età
dei 13 anni, nello Swaziland (ultima monarchia dell’Africa Sub-Sahariana) danzano seminude in onore
di Maswati III (sovrano assoluto) nella cerimonia delle “canne” con la quale il monarca sceglie ogni
anno le sue mogli. Anche nella cultura dei rom slavi il matrimonio precoce è una pratica usuale, le
giovani ragazze (12-18 anni) hanno la possibilità di scegliere il promesso sposo, e successivamente
con l’assenso delle famiglie si procede ad un contratto di matrimonio, in cui la famiglia dello sposo
pagherà una somma alla famiglia della sposa in funzione della bellezza, dell’età e della verginità della
ragazza.
Bambini in guerra. Si stima che nel 2004 i bambini arruolati nelle forze armate nel mondo siano
stati oltre 300.000. L’Onu sostiene che l’utilizzo di bambini-soldato è sempre più diffuso; negli ultimi
10 anni sono morti in guerra oltre 2 milioni di minori e più di 6 milioni sono rimasti invalidi. Il fenomeno
coinvolge le aree geografiche più disparate: Russia, Africa (Angola, Burundi, Repubblica democratica
del Congo, Costa D’Avorio, Liberia, Rwanda, Sierra Leone, Sudan, Uganda); Asia (Afghanistan,
Indonesia, Myanmar, Nepal, Filippine, Sri Lanka); Medio Oriente (Israele e territori Palestinesi) e
Colombia.
In Russia è stato rilanciato il “piano di educazione alla Guerra” (istituito da Stalin, ma soppresso
da Krusciov); dal 2001 l’iniziazione militare obbligatoria è rientrata nelle scuole, dove i quattordicenni
imbracciano i fucili automatici veri, imparano a sparare, ad obbedire agli ordini, a difendere la patria.
Accanto all’educazione militare praticata a scuola, ci sono veri e propri centri di addestramento militare
nazionale, dove l’età è più bassa. Sono diventati 12.000, in 4 anni, i piccoli fanti dell’armata segreta
di Putin, che vivono come i soldati adulti.
In Uganda, 20.000 bambini sono stati rapiti dal Lord’s Resistence Army (Lra), che è sostenuto
dal governo fondamentalista sudanese, e sono stati costretti a combattere. In Birmania, nell’ottobre
2002, erano presenti 60.000 bambini soldato, la loro età media non superava i 12 anni.
L’Italia e la problematica dei minori stranieri non accompagnati. Il numero di minori
provenienti dai paesi extraeuropei, privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri
adulti per loro legalmente responsabili, è stimato attorno alle 15.000 presenze. Si tratta per la
stragrande maggioranza di una realtà al maschile che coinvolge per lo più quali paesi di provenienza
la Romania e il Marocco. La fascia maggiormente rappresentata è quella tra i 14 e i 18 anni, non sono
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comunque assenti età anche inferiori.
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[Scheda 2]
L’abuso sessuale in pregiudizio di minori: analisi della casistica italiana
Un fenomeno in crescita. In merito ai minori vittime di abuso sessuale si registra una tendenza
che può essere definita in costante crescita dal 2002 (598) in poi (749 nel 2003) e che raggiunge il
picco più elevato nel 2004 con 845 casi. Fa riflettere anche il dato parziale del 2005, laddove nei soli
primi sei mesi dell’anno il numero delle vittime è già estremamente consistente (455), sebbene in
flessione del -5,6% rispetto allo stesso periodo del 2004.
Tipologie di abuso. La raccolta dei dati riferiti all’abuso sessuale in pregiudizio di minori viene
organizzata all’interno del data base generale dell’Anticrimine in relazione alle diverse fattispecie
previste e regolate dalla normativa di riferimento (legge n.66/1996). La prima categoria, relativa alla
violenza sessuale, è quella che raccoglie il maggior numero di casi, segnando un incremento costante
negli anni, con l’84,5% delle situazioni segnalate nel periodo di riferimento considerato (2002-20032004 e 1° semestre 2005). Le altre fattispecie individuate presentano, invece, percentuali
decisamente più circoscritte (9,3% atti sessuali con minorenne; 3,2% corruzione di minorenne; 3%
violenza sessuale di gruppo) ed evidenziano una certa stabilità numerica nell’arco temporale preso in
esame.
Bambini e adolescenti vittime di abuso sessuale
Anni 2002-2003-2004 e 1° semestre 2005
Valori assoluti
Reati sessuali (legge 66/96)
Violenza sessuale
2002
2003
2004
2005(*)
Totale
475
663
726
374
2.238
Atti sessuali con minorenne
80
47
74
45
246
Corruzione di minorenne
23
20
25
17
85
Violenza sessuale di gruppo
20
19
20
19
78
598
749
845
455
2.647
Totale
(*)Dati relativi al 1° semestre del 2005.
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato-Servizio Centrale Operativo - Divisione
Analisi.
Ripartizione territoriale. Dall’analisi della casistica per macro-area geografica emergono,
rispetto alle differenze in valore assoluto fra i dati del 2002 e quelli del 2004, due orientamenti
importanti e di segno opposto: da un lato, infatti, si registra un incremento nel numero delle vittime
egualmente ripartito tra il Nord (+158) e il Sud del Paese, Isole comprese (+152); dall’altro, nell’Italia
centrale si rileva una tendenza inversa con una flessione pari a -63 casi. Disaggregando il dato a
livello regionale emerge che gli aumenti più consistenti si registrano in Lombardia (+75), Sicilia (+49),
Puglia (+48) e Veneto (+33) e Campania (+29). Analizzando la casistica complessiva per regione nel
triennio 2002-2004 svettano le posizioni di rilievo occupate dalla Lombardia (413 casi), dalla
Campania (303), dalla Sicilia (241) e dalla Toscana (174), che conquistano i primi posti di questa
sconfortante classifica. Per quanto riguarda il 1° semestre del 2005, infine, emerge nuovamente un
elevato numero di minori vittime di abuso sessuale in Campania (82), in Lombardia (56) e in Sicilia
(37). Inoltre, sembra rilevante sottolineare i dati relativi all’Emilia Romagna (46) e al Veneto (43) che
già nei primi sei mesi di monitoraggio dell’anno in corso hanno totalizzato un numero di vittime pari,
13
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all’incirca, al bilancio complessivo dell’anno precedente (rispettivamente pari a 51 e 49 casi nel 2004).
Vittime: più femmine che maschi. In base al sesso dei minori sessualmente abusati, non
sorprende constatare la prevalenza delle bambine e delle adolescenti nell’arco temporale considerato
(2002-2004) la percentuale relativa alle femmine si attesta mediamente intorno al 70%, mentre
raggiunge il 77,8% nel primo semestre 2005. L’abuso sessuale coinvolge anche i maschi e in
percentuali discretamente rilevanti. A riguardo spicca il 34% registrato nel 2003 con 255 casi e si
attesta, per il 1° semestre 2005, a 101 vittime con un’incidenza percentuale del 22,2% sul totale.
Anche in relazione alla classe di età emerge una tendenza piuttosto stabile: negli anni 2002, 2003
e 2004 si registra la prevalenza percentuale della classe intermedia (11-14 anni), rispettivamente
39%, 39,4% e 40,8%. Volendo approfondire la relazione tra sesso e classe di età delle vittime, nel
primo semestre 2005, tra i maschi il numero delle vittime diminuisce al crescere dell’età (0-10 anni:
47,5%; 11-14 anni: 29,7%; 15-17 anni: 22,8%) e che la classe dei più piccoli raccoglie circa la metà
dei casi. Per quanto riguarda le femmine, invece, la percentuale più alta di abusi si rileva nella classe
di età intermedia (11-14 anni: 35,9%), segue quindi la fascia delle ragazze più grandi (15-17 anni:
32,2%) e, infine, quella delle bambine più piccole (0-10 anni: 31,9%).
Minori stranieri vittime di abuso sessuale. I dati riferiti al sottocampione degli stranieri
evidenziano un andamento altalenante: partendo infatti dalla percentuale più elevata rilevata
nell’anno 2002 (13,2%), si registra già una flessione nel 2003 (8,6%) e quindi un incremento
circoscritto nel 2004 (9,4%). Il dato parziale del 2005, infine, mostra che nei sei mesi considerati le
vittime di nazionalità straniera sono 53 (11,6%), ovvero una porzione rilevante rispetto al campione
generale (455). Si registra in particolare una contrazione nel numero delle vittime provenienti
dall’Albania (9 nel 2002; 11 nel 2003 e 2 nel 1° semestre 2005) e dalla Ex-Jugoslavia (20 nel 2002; 1
nel 2003; 4 nel 2004 e 1 nel 1° semestre 2005). Spicca invece notevolmente il dato relativo ai
bambini e agli adolescenti rumeni. In quest’ultimo caso, infatti, non soltanto dal 2002 in poi si è
verificato un incremento costante (7 nel 2002; 20 nel 2003; 22 nel 2004), ma è evidente il fatto che già
al 30 giugno 2005 i minori rumeni rappresentavano più del 25% delle vittime straniere.
Gli autori di reato. Le segnalazioni di reato, ovvero le comunicazioni trasmesse dagli uffici
periferici in merito ai diversi illeciti, si concludono con esito positivo in percentuali significativamente
elevate. Nel corso del 2002 le indagini risolte con l’identificazione e la denuncia dei soggetti presunti
responsabili dell’abuso hanno segnato un valore pari al 97,8%; negli anni successivi le percentuali
sono scese lievemente, salvo poi avvicinarsi al 100% nel dato parziale del 2005. Le persone tratte
in arresto sono meno della metà di quelle complessivamente denunciate. Dal valore più elevato
relativo all’anno 2002 che registrava un numero di arresti pari al 48,9%, si giunge, con un andamento
negli anni decrescente (43,7% nel 2003 e 41,2% nel 2004), al valore più basso del 32,5%
riscontrato nei primi sei mesi del 2005.
Rispetto alla nazionalità dei soggetti si registra la preponderanza di autori di reato italiani (502 nel
2002; 590 nel 2003; 716 nel 2004 e 355 nel 1° semestre del 2005). Nei primi sei mesi del 20005, il
numero degli stranieri denunciati (86) non soltanto è superiore a quello totale rilevato nelle precedenti
annualità (83 nel 2002 e 72 nel 2003), ma è addirittura più del doppio del valore riferito alla stesso
periodo del 2004 (42).
Relazione vittima-autore. Dalla relazione vittima-autore emerge che nel 2004 l’82,4% dei casi
ha riguardato una tipologia di relazione intraspecifica e per il 17,6% extraspecifica.
Bambini e adolescenti vittime di abuso sessuale. Relazione vittima-autore di reato con categorizzazione intraspecifica ed extraspecifica
Anni 2002-2003-2004 e 1° semestre 2005
Valori assoluti e percentuali
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Anni
Intraspecifica
Extraspecifica
Totale
Conoscente
Familiare
Sociale
Scolastico
2002
269
189
10
13
106
587
% riga
45,8
32,2
1,7
2,2
18,1
100,0
2003
334
232
15
24
61
666
% riga
50,2
34,8
2,2
3,6
9,2
100,0
2004
356
279
24
11
143
813
% riga
43,8
34,3
3,0
1,3
17,6
100,0
2005(*)
160
181
12
18
72
443
% riga
36,1
40,8
2,7
4,1
16,3
100,0
(*)Dati relativi al 1° semestre del 2005.
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato-Servizio Centrale Operativo - Divisione
Analisi.
I principali artefici dell’abuso risultano essere genitori, zii e conviventi dei genitori. La prima
posizione è proprio quella meno attesa: la responsabilità dei genitori supera il 50% sempre,
raggiungendo il picco nel 2002 (57,2%); nel caso degli zii il valore massimo si riscontra nel 2003
(16,4%), mentre sul versante dei conviventi dei genitori la percentuale più elevata è stata raggiunta
nel 2004 (16,5%).
Bambini e adolescenti vittime di abuso sessuale. Autore di reato all’interno della famiglia
Anni 2002-2003-2004 e 1° semestre 2005
Valori assoluti e percentuali
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Anni Cog Con Cugi Frate Geni Non Part Suoc Tuto Zio Total
nato vive no llo tore no ner ero re/
e
nte
affid
genit
atari
ore
o
2002
-
22
5
14 108
11
-
-
-
%
riga
- 11,6
2,6
7,4 57,2
5,8
-
-
- 15,4 100,
0
2003
1
32
4
12 118
22
5
-
-
0,4 13,8
1,7
5,2 50,9
9,5
2,1
-
- 16,4 100,
0
1
%
riga
2004
-
46
9
6 153
24
2
-
%
riga
- 16,5
3,2
2,2 54,8
8,6
0,7
-
2005
(*)
2
19
-
9 101
19
4
4
1,1 10,5
-
5,0 55,8 10,5
2,2
2,2
%
riga
29 189
38 232
38 279
0,4 13,6 100,
0
1
22 181
0,5 12,2 100,
0
(*)Dati relativi al 1° semestre del 2005.
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato-Servizio Centrale Operativo - Divisione
Analisi.
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[Scheda 3]
Il progetto di ricerca C.L.U.I. (Chat-line Undercover Investigation): i profili di
personalità dei minori a rischio di adescamento da parte dei pedofili in chat
Lo scarso controllo dei minori on-line da parte dei genitori. Diverse ricerche sui rapporti
tra infanzia ed Internet sono state prodotte in vari contesti scientifici nell’ultimo decennio ed hanno
mostrato come sovente i giovani navigatori si trovino ad esplorare Internet senza il controllo degli
adulti.
Una indagine, condotta da Eurispes e Telefono Azzurro nell’anno 2003 su un campione
rappresentativo della popolazione scolastica italiana, ha utilizzato due modelli di questionario
destinati rispettivamente all’infanzia e all’adolescenza. Il questionario infanzia, è stato somministrato a
ragazzi di età compresa tra i 7 e gli 11 anni (per un totale di 5.076 intervistati), il questionario
adolescenza è stato, invece, somministrato a ragazzi appartenenti alla fascia di età 12-19 anni (per
un totale di 5.710 intervistati). I risultati sono degni di nota: oltre la metà dei bambini intervistati, (il
51,1%), non si collega mai ad Internet in presenza di adulti e gode di totale libertà e assenza di
controllo. Il 23% dichiara di navigare in presenza dei genitori o comunque di adulti “qualche volta”,
l’8,5% “spesso”, il 16,7% “sempre”.
La ricerca CIRP (Child Internet Risk Perception), una delle più accurate dell’ambito, è stata
realizzata dall’associazione ICAA (International Crime Analysis Association) nel 2004 ed è centrata
sulla percezione dei rischi di navigazione in rete (specie nelle chat-line) da parte dei minori, dei loro
genitori e insegnanti. Il campione analizzato ha visto la partecipazione di 5.000 studenti d’età
compresa tra gli 8 e i 13 anni, utenti assidui di Internet, residenti in diverse città italiane. Dall’indagine
è emerso che una buona percentuale dei minori facenti parte del campione, navigatori assidui della
rete (81%), risulta possedere una connessione domestica mentre la restante parte (19%) si collega
ad Internet presso l’abitazione di amici e compagni di scuola o da Internet Café. La fascia oraria di
maggior accesso risulta essere quella pomeridiana (dalle 14 alle 18 per il 46%) e quella serale (dalle
19 alle 21 per il 41%). Le connessioni mattutine, evidentemente effettuate da scuola, sono molto
ridotte (3%) mentre una minore percentuale sembra connettersi anche nelle ore notturne (dalle 22 alle
24, il 10%). Per quanto riguarda il monitoraggio della navigazione dei minori da parte dei genitori,
secondo i bambini e i ragazzi intervistati, la percentuale di genitori che assiste alle loro attività on-line
è abbastanza contenuta (26%), per la maggior parte del campione il controllo è saltuario (47%) se
non addirittura assente (27%).
Il comportamento dei minori in chat in caso di incontro con pedofili. L’analisi delle reazioni
dei minori che, attraverso le chat, sono entrati in contatto con un adulto presunto pedofilo
rappresentano uno scenario che necessita di opportuna valutazione. Dai risultati emersi dal progetto
di ricerca CIRP (a riguardo si consulti il 5° Rapporto Telefono Azzurro - Eurispes), la percentuale di
coloro che hanno vissuto l’evento con connotazioni positive (curiosità 15% e attrazione 7,6%)
conferma, infatti, la curiosità spiccata dei minori rispetto alle tematiche sessuali che, di fatto,
rappresenta un contesto di forte agevolazione per i pedofili. Anche l’area di connotazione “neutrale”
dell’incontro (nulla di particolare nel 61,5% dei casi), se non evoca situazioni di particolare attrattiva,
non genera allarme e non prevede una conseguente richiesta urgente di aiuto attraverso una pronta
comunicazione dell’accaduto a genitori ed educatori. Per quanto attiene al sesso e all’età del bambino,
fattori che maggiormente attraggono il pedofilo in chat, ulteriori sperimentazioni degli autori (attraverso
la simulazione on-line) hanno indicato le femmine con un’età compresa tra i 10 e i 13 anni.
L’incidenza statistica delle molestie on-line. I risultati delle sperimentazioni condotte
dall’International Crime Analysis Association nel biennio 2003-2004 (progetto CIRP) indicano che la
percentuale di minori, che utilizzando le chat ha avuto un incontro on-line con un adulto
(presumibilmente pedofilo) e ha intrapreso con lui discorsi su tematiche sessuali, è decisamente
rilevante (13% dei bambini che usano abitualmente le chat); questo dato dimostra come tale ambito
costituisca realmente uno scenario di rischio. La presenza di soggetti adulti pedofili che utilizzano le
chat per lo scambio di materiale pedopornografico e per tentare di avvicinare qualche minore
connesso è oramai del tutto accertata, documentata anche dalle operazioni di Polizia condotte in quasi
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tutto il mondo utilizzando tecniche undercover. Il progetto CLUI 2004-2005, che si è avvalso della
simulazione di identità, ha poi mostrato una percentuale di molestie on-line leggermente superiore
(14,1%) rispetto al progetto CIRP, con una percentuale di tentativi di incontro del minore fuori dalla
rete che si attesta intorno al 2,5% circa dei casi.
In pratica in 14,1 collegamenti su 100 sono state rilevate azioni di molestia: nell’11,8% solo di tipo
verbale (molestie sessuali verbali) mentre in circa 2,5 casi ogni 100 contatti sono stati rilevati tentativi
di incontrare il bambino fuori dalla rete.
Orario di collegamento del bambino e rischi di molestia. E’ stata inoltre presa in
considerazione l’analisi della distribuzione dei 140 episodi (relativi al campione pilota di circa 1.000
collegamenti) in cui si sono verificate molestie e tentativi di adescamento, ripartiti nelle varie fasce
orarie. A tal proposito occorre sottolineare che l’esecutore della simulazione ha effettuato i
collegamenti, della durata di circa due ore, in orari diversi a partire dalle 9 del mattino per terminare alle
ore 23. Dai dati emerge chiaramente che le fasce orarie di maggior rischio sono quelle del tardo
pomeriggio (17-19), della sera (19-21) e le ore notturne (21-23). Tali fasce orarie rappresentano
quelle maggiormente utilizzate dai minori per collegarsi ad Internet.
Caratteristiche socio-biografiche del minore e rischi di adescamento. L’analisi delle
caratteristiche socio-biografiche dei minori che maggiormente attirano i tentativi di molestie da parte dei
pedofili è stata condotta modificando l’età dichiarata dal bambino simulato e il genere
(maschio/femmina). I ricercatori dell’ICAA hanno modificato, nei 992 collegamenti effettuati, l’età e il
sesso del minore con equidistribuzione delle varie età e del genere M/F. Nello studio dei 140
collegamenti in cui il minore simulato è stato avvicinato da un pedofilo è emerso che i minori di sesso
femminile e con età dichiarata dagli 11 ai 13 anni sembrano essere, quindi, quelli che attirano
statisticamente di più le molestie da parte dei pedofili.
Profili di personalità del minore e rischio di molestia on-line. Modificando artificialmente gli
atteggiamenti del minore simulato, l’équipe di ricerca ha tentato di delineare la psicologia del minore
che maggiormente attira l’adescamento del pedofilo e i tentativi di incontro fuori dalla rete finalizzati
all’abuso sessuale. Il protocollo sperimentale di ricerca CLUI seguito prevede 5 diversi profili
comportamentali:
• modello A (diffidenza assoluta);
• modello B (ingenuità);
• modello C (perplessità);
• modello D (curiosità);
• modello E (massima disponibilità).
Ognuno dei modelli proposti comprende una vasta gamma di comportamenti reali che la “bambina virtuale” mantiene in
chat durante l’interazione con il pedofilo e che possono trovare utile applicazione per la standardizzazione delle indagini
undercover e nelle fasi di training specialistico delle squadre investigative. Vengono indicate frasi specifiche e modalità di risposta,
stili linguistici e scelta dei vocaboli (ad uso esclusivo degli operatori di polizia). Lo studio condotto per circa 12 mesi nelle principali
chat italiane ed inglesi ha evidenziato come gli atteggiamenti dei bambini (in termini di maggiore o minore curiosità sessuale) che
provocano il maggior numero di tentativi di adescamento sono quelli che riproducono il modello D (curiosità) e il modello E
(massima disponibilità). Da quanto emerso, le bambine, particolarmente disinibite e curiose, ma allo stesso tempo
sufficientemente rispettose del ruolo “guida” dell’adulto pedofilo, sembrano essere quelle maggiormente a rischio di molestia e di
tentativi di adescamento.
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[Scheda 4]
Il fenomeno dell’accattonaggio in Italia
Il fenomeno in Italia. Quello dell’accattonaggio è un fenomeno che riguarda tutta l’Europa e che è esploso in Italia verso la
seconda metà degli anni Ottanta, quando a praticarloerano principalmente inomadi di etnia Rom. Ilfenomeno dell’accattonaggio
in Italia negli ultimi anni ha registrato un notevole incremento che può essere ricondotto ai flussi dell’immigrazione clandestina.
L’accattonaggio coinvolge quasi sempre bambini stranieri appartenenti per la maggior parte alle comunità di nomadi Rom di
origine slava. Seguono, in percentuale minore, ma in forte crescita rispetto agli anni passati, quelli che arrivano nel nostro Paese
dalla Romania, dal Marocco, dall’Albania e dai paesi dell’ex Unione Sovietica. A differenza dei bambini Rom, per i quali
l’accattonaggio èparte integrantedella propriacultura,emetodo percontribuirealsostentamento dellafamiglia,iminori provenienti
dell’Europa dell’Est sono delle pedine di cui le organizzazioni criminali si servono per accumulare denaro da utilizzare nelle loro
attività illecite.L’impiego redditizio dei bambini in attivitàdi accattonaggio rappresenta un forte incentivo per la tratta dei minori che è
la peggiore forma di riduzione in schiavitù.
I percorsi della tratta. Sono principalmente due: quello gestito dalla malavita ucraina le cui vittime, passando per il
confine con la Slovenia, arrivano dall’Ucraina, dalla Russia, dalla Moldavia, dalla Bulgaria e dai paesi Baltici; quello gestito dalla
malavita albanese le cui vittime partono dall’Albania e dai paesi dell’Est per approdare nei porti di Bari, Brindisi e Lecce. In Italia
sono almeno 50.000 i bambini, di età compresa fra i2 e 12 anni, costretti a mendicare agli angoli delle strade. Solo nel Lazio, sono
circa 8.000 ibambini che chiedono l’elemosina per strada e che riescono a raccogliere in una grande città fino a 100 euro al giorno.
L’alta percentuale (circa il 63%) di segnalazioni di sfruttamento di bambini in attività di accattonaggio segnalate nel corso al
numero verde dell’Osservatorio sul Lavoro Minorile ha posto in essere l’esigenza di interventi specifici da parte degli Enti territoriali
che si è concretizzata nella creazione di una Rete attraverso cui 116 Comuni italiani si sono impegnati a verificare costantemente
che nel proprio territorio non si verifichino casi di sfruttamento dei minori e ad analizzarne e rimuoverne le cause laddove questi si
verificano.
Iniziative per contrastare l’accattonaggio a Napoli, Roma, Torino. Il maggior numero di segnalazioni
all’Osservatorio giunge da Napoli, Roma e Torino, tre grandi centri che, hanno promosso in questo senso interventi localizzati.
Dalle indagini svolte dall’Osservatorio sul lavoro minorile è emerso che lo sfruttamento dei piccoli mendicanti si manifesta in
maniera più consistente a Napoli. In risposta a questo problema, il Comune di Napoli ha incrementato il suo impegno e
potenziato l’attività di prevenzione, al fine di contrastare la povertà e lo sfruttamento dei minori. In questo senso, ha promosso
iniziative per ilsostegno dei nuclei familiari e dei minori a rischio, con l’intento di favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di coloro i
quali vivono in condizioni disagiate. Ha attivato un Ufficio di pronto intervento per i minori al quale giungono tutte le segnalazioni
provenienti dai cittadini e dalle Forze dell’ordine. Nel contempo la Polizia municipale si preoccupa di monitorare assiduamente le
strade cittadine e di accompagnare nei centri di accoglienza iminori trovati in stato di abbandono. A Napoli negli ultimi due decenni,
a causa dei conflitti che hanno devastato i Paesi dei Balcani, è divenuta allarmante la presenza di bambini romeni provenienti
dalla Romania orientale, dalla Moldavia e da Calarasi, una città situata al confine con la Bulgaria. Questi bambini passano intere
giornate a chiedere l’elemosina, a vendere fazzolettini e a lavare i vetri e i parabrezza delle automobili ai semafori. Il Comune di
Roma ha istituito nel 2003, in collaborazione con il Tribunale e la Procura dei Minori e con le Forze dell’ordine, un Centro per il
contrasto alla mendicità infantile. I bambini trovati a mendicare per le strade vengono accompagnati dai vigili urbani o dagli agenti
delle Forze dell’ordine al suddetto Centro e, subito dopo il riconoscimento, il personale sanitario1, che opera al suo interno, ne
controlla lo stato di salute. Verificata la situazione di salute del minore e la possibilità di un rientro dello stesso in famiglia, il bambino
torna con i genitori, altrimenti viene assegnato ad una struttura di accoglienza e ilsuo caso viene segnalato all’Autorità giudiziaria
minorile competente. Il 9 febbraio di quest’anno è stato inoltre attivato un numero di telefono che i cittadini possono utilizzare per
segnalare i casi di bambini che chiedono l’elemosina per strada e che funziona tutti i giorni dalle 9.00 alle 18.00. Dopo oltre un
anno di attività il Centro per il contrasto alla mendicità si è occupato di 1.080 bambini per la maggior parte (il 52%) di sesso
maschile. Per quanto riguarda la nazionalità i bambini provengono nell’84% dei casi dalla Romania, nel 10% dalla Bosnia, nel
3% dalla Serbia, nell’1,5% dall’Iraq, nell’1% dal Marocco. Solo lo 0,5% dei bambini che chiedono l’elemosina per strada è di
nazionalità italiana. La maggior parte dei minori coinvolti in attività di accattonaggio di cui il Centro si è occupato ha un’età
compresa tra i 13 e i 15 anni (41,2%) seguiti da quelli con una età che va dai 10 ai 12 anni (27,9%) e da quelli dai 16 ai 18 anni
(19,8%). Nel caso del Comune di Torino, il capoluogo piemontese ha attivato un servizio di pronto intervento no stop per
minori che interviene anche su richiesta degli stessi minori, oltre che in seguito alle segnalazioni delle Forze dell’Ordine o
1 L’assistenza sanitaria è assicurata dall’Associazione di Medici Pediatri Volontari.
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dell’Autorità Giudiziaria. Nel 2003 sono stati più di 600 i minori che hanno chiesto aiuto allo sportello informativo e di prima
accoglienza. Di questi 268 sono entrati in centri di accoglienza, più di 60 sono stati dati in affidamento, di 300 di loro si è occupato il
Tribunale dei minori.
Misure contro la tratta di persone: legge 228/2003. Un ulteriore strumento, molto efficace contro il fenomeno
dell’accattonaggio, è rappresentato dalla legge 228 del 2003 che ha modificato gli articoli 600 e 601 del Codice penale
inasprendo le pene per chi si rende responsabile di sfruttamento di minore. Prima di essere modificato l’articolo 600 del Codice
penale faceva esplicito riferimento alla riduzione in schiavitù in senso stretto e prevedeva, per chi si rendeva responsabile di tale
reato, un periodo di reclusione compreso tra i 5 e i 15 anni. La nuova legge ha esteso il reato di riduzione in schiavitù, inglobando
in esso il reato di riduzione in servitù. Quest’ultimo prevede un comportamento che, pur non limitando la vita di una persona 24
ore su 24, determina una condizione di sfruttamento come, ad esempio, l’impiego di un minore in attività di accattonaggio. La
revisione dell’art. 601 ha esteso l’applicazione del reato di tratta dei minori ai casi in cui l’illecito avviene per finalità diverse dallo
sfruttamento della prostituzione. Entrata in vigore nel settembre del 2003, la nuova legge ha incrementato notevolmente irisultati
operativi.
Denuncie. Nel 2004 le denunce per l’impiego di minori di 14 anni nell’accattonaggio sono state 540 con un totale di 494
persone denunciate. Rispetto al 2003, anno in cui sono state presentate all’Autorità giudiziaria 570 denunce a fronte di 518
persone denunciate, è stato registrato rispettivamente un calo del 5,3% e del 4,6%. Nel 2004 si registra in Italia una diminuzione
sia delle denunce che delle persone denunciate (-5,3%; -4,6%). Alcune regioni, in controtendenza rispetto al dato nazionale,
mostrano un aumento in entrambi i casi. L’incremento più significativo si registra in Sicilia dove il numero delle denunce è più che
raddoppiato passando da 12 a 47 unità. Aumentano in maniera consistente anche le persone denunciate: si passa, infatti, dalle
12 nel 2003 alle 46 nel 2004. Anche in Puglia si riscontra un forte aumento delle denunce e delle persone denunciate che
passano rispettivamente da 27 a 56 e da 21 a 49. La Valle d’Aosta, dopo l’assenza di denunce nel 2003, conta 6 denunce e 5
persone denunciate nel 2004. Cala vistosamente il numero delle denunce e dei denunciati in Campania. Dopo che nel 2003
sono state effettuate 73 denunce, nel 2004 se ne contano solo 20. La stessa flessione si verifica per le persone denunciate che
passano da 71 a 20. Anche la Liguria subisce una riduzione del numero delle denunce (37 nel 2003, 20 nel 2004) e di quello
delle persone denunciate (32 nel 2003, 20 nel 2004). Un forte calo si verifica pure in Calabria dove si passa da 21 a 6 denunce
e da 21 a 6 persone denunciate. In Friuli Venezia Giulia nel 2004 non ci sono denunce.
Il numero delle denunce e quello delle persone denunciate, però, potrebbero non essere rappresentativi della reale
consistenza del fenomeno, in quanto la volontà di denunciare potrebbe essere viziata dagli aspetti culturali differenti da regione a
regione. Un atteggiamento tollerante da parte dei cittadini, infatti, potrebbe incidere sulla volontà di denunciare l’esistenza dei
mendicanti al contrario di quanto potrebbe accadere in un contesto caratterizzato da un minore grado di tolleranza.
[Scheda 5]
Famiglie e minori stranieri: quali bisogni, quali emergenze
L’Italia, paese multietnico. Alla fine del 2004 la presenza di stranieri residenti in Italia è stata calcolata in 2.730.000 unità
così ripartiterispetto ai continenti di provenienza: Europa 1.289.000; Africa 647.000; Asia 472.000; America 314.000; Oceania e
apolidi 7.000, mentre la prospettiva stimata per il 2006 è di 3.000.000 di stranieri residenti. L’incidenza dei minori che è pari a un
quinto delle presenze totali. In particolare i figli di genitori stranieri nati in Italia risultano essere cresciuti a un ritmo sostenuto e
regolare negli ultimi anni: circa il20% da un anno all’altro.Nel corso del 2003 ilnumero dei nati in Italiada entrambi igenitori stranieri è
stato di 33.691 unità e per il 2005 la proiezione parla di 40.000 nuovi nati. Al Nord si registra il 60% delle presenze, al Centro
poco meno del 30% e poco più del 10% al Sud. Rispetto alle dinamiche familiari si può dunque affermare che i ricongiungimenti
familiari, la costituzione di nuove unioni tra stranieri, i matrimoni misti tra stranieri e i matrimoni misti tra italiani e stranieri hanno
esponenzialmente aumentato negli ultimianniilnumero dellefamigliepresentiinItaliacon almeno un componente straniero.Basti
pensare che tra il 1992 e il 2003 sono più che raddoppiati i matrimoni tra uomini italiani e donne straniere, anche se la crescita più
vistosa è stata quella delle coppie di stranieri che hanno registrato un aumento medio annuo del 16,3%.
I minori stranieri: la cosiddetta seconda generazione. Una recente ricerca ha stimato che tra 7/8 anni in Italia ci
saranno un milione di giovani nati da genitori immigrati: una popolazione equivalente a una città come Torino o a una regione
come il Trentino. La dinamicità del dato relativo alla presenza di minori stranieri si evidenzia nel fatto che i minori stranieri
regolarmente presenti in Italia nel 2004 erano 412.000, il45% in più rispetto al 2001. L’incidenza dei minori stranieri sul totale degli
immigrati nel 2004 è stata del 20,7%, quota che subisce notevoli variazioni spostandosi da una regione all’altra. Le percentuali
più elevate si registrano in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna dove si supera il tasso del 22% rispetto al totale degli immigrati
presenti, mentre le percentuali più basse si rilevano in Campania (13,5%), Calabria (15,2%) e Sardegna (16,2%). Circa la
metà di questi minori è nata in Italia (Fondazione Ismu, 2005).
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Questi dati si riferiscono alla cosiddetta seconda generazione, ossia la generazione di coloro che vivono la prima e
fondamentale parte del processo di crescita e di apprendimento a cavallo di due mondi, quello della famiglia e quello della società,
mondi che possono distinguersi per valori, norme, tradizioni, pratiche di vita, religione, lingua. Crescere come giovane migrante e
come figlio di immigrati in Italia non è facile. È difficilecrescere tra due culture e con due riferimenti, quando sivivono anche tutti quei
fattori di emarginazione economica e sociale di cui soffrono gli adulti immigrati. Sono stati individuati alcuni elementi essenziali
“universali” per lo sviluppo della personalità, definiti come bisogni dello sviluppo umano sottostanti a un processo dinamico tra
l’individuo e l’ambiente: il bisogno di rapporti sociali e di appartenenza, ogni individuo si sente parte costituente di un determinato
gruppo di persone, si percepisce come simile e interagisce con gli altri; il bisogno di attenzione emotiva positiva, l’essere
accettato a prescindere dal colore della pelle, dalla religione e dalla lingua; ilbisogno di attaccamento, cioè ilbisogno di costruire dei
legami con persone di riferimento primario; il bisogno di separazione, visto come un’opportunità di crescita e non di perdita; il
bisogno di partecipazione attiva, che introduce la possibilità di influenzare il mondo in cui si vive. In un contesto multiculturale la
soddisfazione di questi bisogni risulta essere ostacolata da diversi fattori. I principali sono: la trasformazione della struttura
familiare; le esperienze di separazione; la vita abitativa precaria; la marginalità socio-economica; le dissonanze tra gli individui e
l’ambiente circostante. Sono state individuate, in tale quadro, alcune strategie che l’adolescente straniero metterebbe in atto per
affrontare il confronto con identità culturali diverse da quella che egli ha strutturato nel processo di socializzazione: Resistenza
culturale. L’adolescente si riferisce soprattutto ai valori culturali del paese di origine, preferisce la formazione di sottogruppi di
connazionali, mantiene all’interno della propria famiglia aspetti tradizionali radicati nella cultura di provenienza. La valorizzazione
della cultura d’origine viene da lui vista come una risposta adeguata ai bisogni di identità avvertiti nella società molto differenziata,
ma il riferirsi solo ai valori di appartenenza etnica può indurre il giovane immigrato a sentirsi culturalmente e psicologicamente
isolato. Assimilazione. L’adolescente siconforma alla proposta identitaria offerta dalla società ospitante, rinnegando la cultura di
origine. Ilprocesso dell’assimilazione comporta per l’adolescente una perdita di punti di riferimento e un incremento di insicurezza:
questa rottura è comunque fondamentale per la costruzione di una nuova identità sociale. Tale opzione può però comportare
per ilragazzo, oltreche l’allontanamento dalla sua comunità diorigine,l’insorgerediuna fratturacon lasua famiglia(reciprocamente
non ci si riconosce più). Marginalità. L’adolescente di fronte alla proposta di un’identità ambivalente non si sente di appartenere
a nessuna delle due culture di riferimento e vive ai margini di entrambe queste culture. Tale scelta comporta però rapide
trasformazioni che rendono difficile sviluppare un senso di appartenenza stabile. Doppia etnicità. L’adolescente costruisce
un’identità formata dall’integrazione dei valori delle differenti culture e può strutturare un duplice senso di appartenenza. Tale
strategia permette all’adolescente di mantenere la propria tradizione etnica e nello stesso tempo di stabilireilcontatto con la cultura
di accoglienza. La realizzazione di tale processo è strettamente dipendente dal livello di accettazione e di apertura delle due
comunità: quella di origine e quella di accoglienza. Tra i fattori di rischio per la salute mentale degli adolescenti migranti troviamo:
fattori di rischio generici, legati alla situazione di emarginazione socio-economica in cui sitrovano queste persone e che comporta
cattive condizioni abitative, nutrizionali e sanitarie; fattori di rischio specifici, legati allo stress da transculturazione, che soprattutto
per gliadolescenti stranieri siconcretizza nella necessità di essere a cavallo tra due culture, quella di origine e quella di accoglienza,
in altre parole quella della famiglia e quella della società. A questi sono da aggiungere tutta una serie di co-fattori che vanno
dall’appartenenza etnica a quella religiosa, alle aspettative della famiglia sul figlio, alle specificità individuali.
La scuola. Nell’anno scolastico 2003/2004, in Italia, il 3,5% della popolazione scolastica era straniera, esattamente si
contavano 282.683 alunni presenti nelle scuole di primo e di secondo grado; il 40% frequentava la scuola primaria. Rispetto alla
provenienza sono stati individuati 191 diversi paesi, ai primi posti: Albania, Marocco, Romania, Cina, Ecuador. Il 2% sul totale
degli alunni stranieri era proveniente dai 10 paesi di ultimo ingresso nell’Ue. I dati del Miur che fanno riferimento alla riuscita
scolastica,relativisempre all’anno scolastico 2003-2004, evidenziano uno scartotralepromozioni dei minori stranierie quelle degli
autoctoni del 3,36% nella scuola primaria e del 12% in quella secondaria. L’incidenza maggiore di alunni stranieri si registra nel
Nord-Est (6,1%), a seguire il Nord-Ovest (5,7%), il Centro (4,8%), il Sud (0,9%) e le Isole (0,7%). La prima tra le regioni è
l’Emilia, mentre il primo comune capoluogo è Milano che registra l’incidenza più alta con il 10,2% di presenze (MIUR, 2004).
L’ingresso nella scuola per ilbambino e l’adolescente stranierorappresenta un’occasione privilegiatadiintegrazione e di scambio
poichè la scuola può essere uno spazio cruciale per l’integrazione positiva tra stranieri e popolazione autoctona: tale ingresso
rappresenta un’opportunità quando la scuola riesce a svolgere un compito di accoglienza e di sostegno dell’alunno. Allo stesso
tempo, però, l’esperienza scolastica può risultare anche l’ambito nel quale possono emergere le fragilità dell’allievo e della sua
famiglia, e nel quale il bambino straniero può sperimentare un vissuto di distanza e di differenza.
Le emergenze sociali. In Italia, per il 2004 si stimano tra le 2.000 e le 3.000 vittime del traffico di bambini e donne stranieri
utilizzati per lo sfruttamento sessuale e del lavoro, provenienti principalmente da Nigeria, Romania, Moldova, Ucraina e Albania.
Il nostro Paese si colloca quindi tra i maggiori paesi occidentali per destinazione e transito. In merito al rispetto delle leggi di
contrasto a questi fenomeni, le ultime statistiche disponibili riportano 328 arresti nel 2003, in aumento rispetto ai 209 del 2002. Tra il
2002 e il 2003 sarebbero poi state registrate 41 sentenze di condanna di primo grado. Il numero dei minori provenienti dai paesi
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extraeuropei privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili, è stimato
oggi attorno alle 15.000 presenze. Sono i cosiddetti minori non accompagnati, una realtà al maschile che coinvolge per lo più,
quali paesi di provenienza, la Romania e il Marocco: la fascia d’età maggiormente rappresentata è quella tra i 14 e i 18 anni. La
spesa a carico degli Enti locali per tale fenomeno ammonta a più di 230 milioni di euro (accoglienza, salute, scolarizzazione, una
volta individuati ed entrati nel circuito delle comunità nell’attesa di un giudizio sulla loro prospettiva di vita).
La devianza. I dati relativi al primo semestre del 2005 segnalano una presenza media giornaliera negli Istituti penali per
minorenni di 481,7 detenuti (430,5 maschi; 51,2 femmine), i minori stranieri inciderebbero per il 53,58%, la presenza straniera
sarebbe infatti di 258,1 detenuti – 216,6 maschi e 41,5 femmine. Rispetto al totale degli ingressi del primo semestre 2005 pari a
768 ingressi (622 maschi; 146 femmine), gli stranieri sarebbero stati il62,37% cioè 479 (358 maschi; 121 femmine). Nello stesso
semestre il numero complessivo dell’utenza transitata nei Centri di prima accoglienza è stato pari a 1.914 unità (1.513 maschi;
401 femmine), la componente straniera ha costituito il57,57%, paria 1.102 ingressi (736 maschi; 366 femmine). Mentre ilnumero
complessivo dei collocamenti in comunità registrati nel primo semestre 2005 è stato pari a 952 (96 femmine), l’incidenza sul totale
dei minori stranieri è stata pari al 43,8% (417 di cui 49 femmine) e quella dei minori nomadi è stata pari al 6,4% (61 di cui 26
femmine). L’analisi della tipologia di reato mette in evidenza nell’utenza straniera la prevalenza dei reati contro il patrimonio e di
quelli legati alla violazione della legge sugli stupefacenti; sono meno frequenti invece, rispetto agli italiani, i reati contro la persona.
L’esperienza di Telefono Azzurro: una lettura transculturale della richiesta di aiuto. Riconoscendo la varietà e
l’estrema diversitàdel mondo dell’infanziaedell’adolescenza stranieraper nazionalità(oggi sono rappresentate 191 nazionalità in
Italiasu 195 riconosciute), lingua, cultura, religione,ma anche per modalità di arrivoe per progetto diinserimento, Telefono Azzurro
ha adottato una strategia di intervento – a diversi livelli: ascolto e consulenza, intervento in emergenza, lavoro con la rete di
servizi e agenzie nazionali e internazionali – capace di cogliere e di rispondere alla complessità che può nascere dall’intreccio di
bisogni universali, propri di ogni soggetto in crescita, e di bisogni particolari, propri del bambino e dell’adolescente straniero, che si
articolano soprattutto sulla base della propria appartenenza culturale e della propria esperienza migratoria. Sulle due linee di
consulenza diTelefono Azzurro, l’1.96.96 e l’199.15.15.15, lechiamate dibambini e adolescenti stranierinel periodo compreso fra
gennaio 2000 e maggio 2005 sono state circa il 7% rispetto alle consulenze complessivamente offerte, con un trend in crescita
che nei primi sei mesi del 2005 arriva a circa il10%. Nelle 6 regioni (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia,Veneto)
in cui è attivo il Servizio 114 Emergenza Infanzia gestito da Telefono Azzurro, i casi riguardanti bambini e adolescenti stranieri,
dall’inizio del servizio al 31 luglio 2005, hanno raggiunto circa il25% del totale. Rispetto all’analisi dei motivi di chiamata ildisagio del
minore stranierosembra soprattuttonascere, quando quest’ultimoviveinfamiglia,dalloscontrointergenerazionalechesiidentifica
quale scontro tra “culture”. In particolare tali situazioni di disagio trovano origine dalla non accettazione del genitore
dell’assimilazione da parte del figlio di pratiche, comportamenti, modi di pensiero e stilidi vita propri della società italiana e dalla non
condivisione da parte del figlio di decisioni prese “su di lui” dai genitori sulla base delle tradizioni del paese di origine. Il rischio è che
queste situazioni generino episodi di abuso psicologico, fisico, maltrattamento che possono provocare fughe da casa e
comportamenti autolesivi. Quando sitratta di minori soli,icosiddetti“minori non accompagnati”, ildisagio nasce dalla condizione di
marginalità sociale ed economica in cui si trovano, dalla mancanza di riferimenti adulti adeguati, dal disinteresse della società nei
loroconfronti. Ilrischio è che inqueste situazioniiminori entrino nel circuito dello sfruttamento o in quello della criminalità.Significative
sono anche le situazioni: di lavoro minorile, da quello familiare a quello clandestino, che arriva a forme di vero e proprio
sfruttamento; di privazioni della propria libertà, in particolare si registra il fenomeno della tratta di minori a scopo di sfruttamento
sessuale; di razzismo e discriminazione; nonchè di difficoltà nella relazione con i coetanei e di situazioni di solitudine e sofferenza
legate al mancato inserimento nella società di accoglienza. E ancora, trascuratezza quando ad occuparsi del figlio sono genitori
che per primi stanno vivendo una situazione di difficoltà legata alla propria condizione di migranti.
[Scheda 6]
Quale bisogno, quale aiuto. La lettura del disagio attraverso
l’osservatorio di Telefono Azzurro
Attraverso il suo Centro Nazionale di Ascolto Telefonico, Telefono Azzurro risponde
quotidianamente alla richiesta di aiuto di bambini e adolescenti. Questo strumento diretto e
costantemente attivo offre consulenza anche agli adulti, ai genitori, ai familiari, agli insegnanti, ai
testimoni e osservatori privilegiati del mondo dell’infanzia, che intendono segnalare condizioni di
disagio o acquisire indicazioni sui percorsi di aiuto da intraprendere per affrontare àmbiti problematici.
Il servizio è offerto tramite due linee di ascolto: la linea gratuita 1.96.96 rivolta a bambini fino a 14 anni
di età, e l’199.151.515, dedicata agli adolescenti o agli adulti che vogliono segnalare situazioni di
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disagio o abuso che coinvolgono bambini.
Il Centro Nazionale di Ascolto di Telefono Azzurro: la casistica 2000-2005. È stata
analizzata la casistica relativa al servizio offerto dal Centro Nazionale di Ascolto, considerando un
periodo temporale esteso, compreso cioè fra gennaio 2000 e maggio 2005. I dati fanno riferimento
esclusivamente ai casi gestiti in relazione a problematiche rilevanti (questo sottocampione è pari a
25.967 casi) e accolti tramite le due linee di ascolto: la Linea Gratuita 1.96.96, rivolta esclusivamente
ai bambini fino ai 14 anni e la Linea Istituzionale 199.15.15.15, dedicata agli adolescenti (15-18 anni)
e agli adulti che necessitano di una consulenza specialistica o che intendono segnalare situazioni di
disagio, di abuso e di maltrattamento in pregiudizio di minori.
Il profilo degli utenti. Sono le bambine e le ragazze a richiedere in misura maggiore aiuto (59%
contro il 41% dei maschi), mentre il dato per classe di età evidenzia come siano più numerosi i
bambini fino a 10 anni (43,7%), seguiti da quelli tra gli 11 e i 14 anni (40,4%) e, infine, da quanti
arrivano alla maggiore età (15,9%). Mettendo in relazione tra loro le modalità delle due variabili sesso
e classe di età, le femmine prevalgono soprattutto nella fascia adolescenziale (19% vs l’11,8% dei
maschi) e in maniera un po’ meno marcata tra gli 11 e i 14 anni (42,8% vs 37,8%). Tra i più piccoli
fino a 10 anni – la classe di età che raccoglie la metà delle frequenze – prevale invece la componente
maschile (50,4%). Rispetto poi alla nazionalità dei chiamanti non sorprende constatare la prevalenza
di bambini e adolescenti italiani (93%) rispetto a quelli di nazionalità straniera, che comunque si
attestano su una percentuale non trascurabile del 7%. In merito alla provenienza geografica delle
richieste di aiuto, spicca il dato relativo al Nord (40,4%), segue il Sud (27,6%), quindi il Centro
(20,2%) e infine le Isole (11,8%). Dalle regioni del Nord chiamano prevalentemente i ragazzi più
grandi (43,6%) e i bambini più piccoli (43%): proprio le chiamate di questi ultimi caratterizzano
maggiormente il Centro Italia (22,8), mentre la classe di età compresa tra gli 11 e i 14 anni è quella che
si rivolge prevalentemente a Telefono Azzurro dal Sud (32,2%) e anche, sebbene in misura minore,
dalle Isole (14,2%). La percentuale maggiore dei contatti viene registrata a carico della Linea
Istituzionale (58,5%) e forse questa evidenza non sorprende se messa in relazione con la maggiore
facilità di espressione e di iniziativa imputabile ai soggetti più grandi di età. Sembra comunque
significativo anche il dato relativo alla Linea Gratuita: un 41,5% di chiamate effettuate da bambini che
vivono una situazione di disagio e che decidono di chiedere aiuto. Le bambine e le adolescenti
chiedono aiuto per se stesse (Linea Gratuita) con maggiore facilità rispetto ai maschi (46,7% contro
36,4%), mentre le problematiche che interessano questi ultimi vengono segnalate in percentuale
superiore alla Linea Istituzionale (63,6% maschi, 53,3% femmine), ovvero in molti casi tramite
l’intermediazione di un adulto. Ad un livello di analisi più dettagliato emerge che le chiamate effettuate
dalle regioni meridionali e insulari sono dirette prevalentemente alla Linea Gratuita (Campania 14,6%;
Puglia 13,5%; Sicilia 12,6%; Calabria 5,9%), mentre la Linea Istituzionale viene contattata con una
incidenza percentuale maggiore dalle regioni centro-settentrionali (Lombardia 17,3%; Lazio 14,3%;
Emilia Romagna 8,3%; Piemonte e Veneto 7,8%).
La composizione e le peculiarità dei nuclei familiari. Nel 63,4% dei casi il contesto
problematico investe bambini e adolescenti che vivono all’interno di un nucleo tradizionale, composto
cioè da entrambi i genitori, mentre nel rimanente 36,6% si rilevano una serie di situazioni alternative
che, nella maggior parte dei casi, incidono sulla fragilità del bambino generando o amplificando il
malessere alla base della richiesta di aiuto. Nello specifico, il 27,1% dei bambini vive solo con la
madre e il 5,4% con il padre, mentre per un 4,1% di loro si configurano situazioni in cui è assente
completamente la figura del genitore.
Quasi la metà del campione (il 47,1%) dichiara di avere altri fratelli più piccoli, mentre nel 39,2% dei
casi il minore è figlio unico; solo nel 13,7% sono presenti fratelli più grandi.
Tipologie del servizio offerto. La percentuale più elevata di chiamate riguarda coloro che
necessitano di una prima consulenza rispetto alle problematiche dichiarate, ben l’88,4%. Una
percentuale comunque rilevante, sebbene circoscritta, interessa le richieste di consulenza cui ha fatto
seguito una segnalazione presso le agenzie locali competenti da parte di Telefono Azzurro: si tratta
di un 6,9% di situazioni in cui l’operatore ritiene necessario coinvolgere i servizi o le agenzie territoriali.
Motivazioni e problematiche. Le informazioni sono state rilevate attraverso domande a
risposta multipla. Le principali problematiche emerse sono: i problemi relazionali con i genitori
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(32,2%), i problemi relazionali generici, ossia non riferiti ad una specifica categoria di persone della
cerchia familiare (18,3%), l’espressione di un indefinito bisogno di parlare (11%) e i problemi
relazionali con i coetanei (8,3%). Queste informazioni mettono in evidenza un ventaglio di difficoltà
riconducibili prevalentemente alla sfera comunicativa, sia nei rapporti intra che extra-familiari, e
sembrano pertanto denunciare una vera e propria mancanza di ascolto, imputabile principalmente
agli adulti di riferimento per il bambino, oltre che una seria incapacità nella percezione e nella lettura
dei bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra i disagi riferiti, emerge l’elevata percentuale relativa
alle problematiche conseguenti alla separazione dei genitori (18,5%). Occorre però sottolineare che i
dati raccolti da Telefono Azzurro disegnano, purtroppo, anche uno scenario più serio e preoccupante,
quello relativo alle situazioni legate a vere e proprie forme di abuso in pregiudizio di minore: il 13,3%
delle consulenze, infatti, è intervenuto su problematiche di abuso fisico, l’8,8% per situazioni di
abuso psicologico, l’8,5% per condizioni di trascuratezza e il 5,8% per abuso di tipo sessuale.
Complessivamente, il 28,5% del campione è rimasto vittima di una o più situazioni di abuso. I maschi
si rivolgono maggiormente a Telefono Azzurro per segnalare problemi relativi alla separazione dei
genitori (20,6% contro 17,1% delle femmine), per difficoltà relazionali generiche (18,9% vs 18,3%),
per riferire situazioni di abuso fisico (14,5% vs 12,3%), di abuso di tipo psicologico (9,8% vs 7,8%)
e di trascuratezza (9,7% vs 7,1%), nonché per segnalare difficoltà scolastiche (8,3% vs 5,2%). Le
bambine e le adolescenti, invece, contattano le linee telefoniche per esternare i problemi relazionali
con i genitori (34,6% vs 29,5% dei maschi), per esprimere il loro bisogno di parlare (11,6% vs 10%),
per denunciare abusi di tipo sessuale (7,2% vs un nettamente inferiore 3,7%), per confidare disagi
legati a problematiche di natura sentimentale (6% vs 1,9%) e problemi di natura sessuale (4,2% vs
3,4%).
Problematiche in relazione all’età degli utenti. I più piccoli (da 0 a 10 anni) chiamano
soprattutto per problematiche conseguenti alla separazione dei genitori (24,4%), per denunciare
situazioni di trascuratezza (12,5%, percentuale seriamente rilevante rispetto al valore nazionale che
si attesta all’8,5%), di abuso psicologico (10,9%) e di abuso sessuale (6,5%). Nei ragazzi tra gli 11
e i 14 anni si rilevano principalmente problemi nei rapporti con il gruppo dei pari (12,9%), l’esigenza
di esprimere il bisogno di parlare (11,7%), disagi legati a problemi di natura sentimentale (8,3%) e
difficoltà scolastiche (7,2%). La classe di età dei più grandi (15-18 anni) accusa principalmente
difficoltà a rapportarsi con i propri genitori (51,5%; da rilevare una percentuale del 36,8%, comunque
superiore al valore nazionale, nella fascia di età intermedia); ma questi adolescenti si rivolgono
purtroppo in misura rilevante al servizio di Telefono Azzurro anche per chiedere aiuto in relazione ad
abusi di tipo fisico (17,4%), psicologico (8,9%) e sessuale (6,5%). Un dato interessante emerge
anche dai problemi relazionali (22,4%), dal bisogno di parlare (10,9%) e dal senso di solitudine (5%)
denunciati dagli adolescenti. Tra le difficoltà riferite, inoltre, occorre segnalare i problemi legati alla sfera della sessualità (5,4%), la
fuga da casa (5,3%, percentuale rilevante rispetto al valore nazionale pari all’1,7%), la gravidanza (ed eventualmente
l’interruzione della stessa 3,1%), l’uso di sostanze stupefacenti (2,4%) e la manifestazione di intenzioni suicide (1,9%).
Bambini vittime di abuso e di maltrattamento. Circa 1 bambino su 3, fra coloro che si sono rivolti a Telefono
Azzurro, è stato protagonista di una situazione di abuso. Nell’arco temporale considerato, il Centro Nazionale di Ascolto
telefonico ha accolto 7.412 richieste di aiuto, il 28,5% del totale, relative a situazioni di abuso fisico (36,7%), sessuale (15,8%),
psicologico (24,2%) e trascuratezza (23,3%). Occorre inoltre considerare che su 7.412 vittime, sono state complessivamente
individuate 8.741 forme di abuso: questo significa che alcune situazioni individuali sono state caratterizzate dalla compresenza di
diverse forme di maltrattamento. Considerando congiuntamente le quattro tipologie di abuso in relazione al sesso delle vittime, si
rileva una prevalenza di abusi a danno delle bambine e delle adolescenti (56,7% vs il 43,3% dei maschi). Se si considerano
separatamente ogni categoria di abuso in base al genere del minore, utilizzandocome parametro di riferimentoilprecedente dato
che rappresenta la frequenza attesa (ovvero l’incidenza percentuale dei due sessi sul totale dei casi validi), è possibile
osservare la prevalenza del sesso femminile nella sola classe dell’abuso di natura sessuale (73,9% dove il valore atteso è di
56,7%): sono cioè le bambine e le adolescenti a rimanerne maggiormente vittime. Questa lettura dei dati evidenzia, in
proporzione, un maggiore coinvolgimento dei maschi (il cui valore atteso è del 43,3%) nelle altre tre tipologie di abuso: è il caso
della trascuratezza (49%), dell’abuso psicologico (46,6%) e dell’abuso fisico (45%).
Tipologia di abuso, per sesso
Anni 2000-2005
Valori percentuali e assoluti
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Tipologia di abuso
Sesso
Totale
Maschio
Femmina
Fisico
45,0
55,0
3.201
Sessuale
26,1
73,9
1.385
Psicologico
46,6
53,4
2.114
Trascuratezza
49,0
51,0
2.041
Totale
43,3
56,7
8.741
Fonte: Telefono Azzurro, 2005.
Sono i più piccoli, i bambini fino a 10 anni, a rimanere maggiormente vittime di situazioni di abuso
(52,7%), seguiti dai ragazzi con un’età compresa tra gli 11 e i 14 anni (30,8%) e, infine, dagli
adolescenti sino a 18 anni (16,5%). È evidente che in più del 50% dei casi i protagonisti degli abusi
più gravi sono i bambini e che la percentuale delle vittime diminuisce al crescere dell’età. I ragazzi tra
gli 11 e i 14 anni, invece, si caratterizzano principalmente per situazioni di abuso fisico (35,8%),
mentre la classe adolescenziale supera il dato atteso (16,5%) nei casi di abuso fisico (21,2%) e
sessuale (18,5%). Considerando la ripartizione geografica delle segnalazioni, le più alte percentuali
si registrano nelle regioni del Nord Italia (42,8%), segue il Sud (24,7%), quindi il Centro del Paese
(22,7%) e, infine, le Isole (9,8%).
Tipologia di abuso e zona di residenza delle vittime
Anni 2000-2005
Valori percentuali e assoluti
Tipologia abuso
Zona
Totale
Nord
Centro
Sud
Isole
Fisico
39,8
20,5
28,6
11,1
3.201
Sessuale
44,0
27,7
19,3
9,0
1.385
Psicologico
45,8
23,6
22,4
8,2
2.114
Trascuratezza
41,1
21,8
26,9
10,2
2.041
Totale
42,8
22,7
24,7
9,8
8.741
Fonte: Telefono Azzurro, 2005.
Autori dell’abuso. Solo nel 2,5% dei casi il presunto abusante è una persona sconosciuta; nel
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restante 97,5% l’autore dell’abuso risulta essere una persona che, sebbene a livelli di prossimità
diversa, conosce la sua vittima. A riguardo, emerge con forza un altro fatto preoccupante: i principali
responsabili degli abusi più seri sono proprio le figure deputate alla cura e alla tutela di bambini e
adolescenti, ovvero nel 71,4% dei casi, i genitori.
Abusanti e tipologie di abuso. Mettendo in relazione la tipologia degli abusanti con i quattro
abusi considerati (fisico, sessuale, psicologico, trascuratezza) è possibile caratterizzare ogni
situazione problematica rispetto all’autore del maltrattamento: nella tabella successiva nella colonna
dei totali viene utilizzata come frequenza teorica (attesa) utile per i confronti, le percentuali relative ai
soggetti abusanti rilevate sul totale dei casi validi. Il principale responsabile di abuso fisico sui minori è il padre nel
55,3% dei casi, sebbene anche la percentuale relativa alla madre sia consistente (42%) e di poco superiore alla frequenza
attesa (41,8%); nel 4,5% delle situazioni l’autore è il convivente di uno dei genitori e nell’1,6% il nuovo coniuge.
Rispetto all’abuso sessuale lo scenario cambia radicalmente: il ruolo della madre è assolutamente
circoscritto (5,9%); la percentuale relativa al padre è consistente (31,5%), ma va letta alla luce del
fatto che è molto più bassa rispetto alla frequenza attesa (che è pari al 47%) e rispetto anche agli
altri abusi, pertanto non sembra rappresentarne una caratteristica specifica. In queste situazioni,
invece, è forte l’incidenza del conoscente, addirittura nel 20,1% dei casi versus un valore atteso del
6,6%, così come l’autore dell’abuso sessuale è più spesso un parente, non appartenente quindi al
nucleo familiare ristretto (19,3% vs 7,2%). Infine, occorre segnalare l’8,1% delle situazioni nelle quali il
responsabile dell’abuso è un estraneo (circa 5 punti percentuali oltre la frequenza totale).L’abuso
psicologico torna a consumarsi prevalentemente entro le mura domestiche: il padre ne è responsabile
nel 47,9% delle situazioni e la madre nel 44,6%, superando il valore atteso di circa 3 punti. Sembra
interessante sottolineare il ruolo degli insegnanti che sono segnalati quali responsabili nell’8,1% dei
casi. Per quanto riguarda la trascuratezza, i principali attori sono i genitori: la madre viene indicata
come responsabile nel 75,8% dei casi. Se si considerano congiuntamente i quattro abusi, l’incidenza
della madre abusante rispetto agli altri soggetti è pari al 41,8%; prendendo in esame, invece, solo la
trascuratezza questo valore arriva quasi a raddoppiarsi, andando a caratterizzare fortemente questa
situazione di disagio. Rilevante anche il dato riferito al padre: 47,3%.
Bambini e adolescenti stranieri: la casistica 2000-2005. Nel 7% dei casi le situazioni
problematiche segnalate al Centro Nazionale di Ascolto Telefonico nell’arco di tempo in esame,
riguardano bambini e adolescenti stranieri. Nel 52,1% dei casi si tratta di femmine e nel 47,9% di
maschi. Passando in rassegna la suddivisione per classi di età, la distribuzione non si discosta molto
da quella osservata nel campione generale, con al primo posto i bambini più piccoli (41,4%) cui
seguono a distanza ravvicinata i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni (39,2%). Nel caso degli adolescenti
(19,4%), sebbene si tratti del valore più basso, si rileva un peso percentuale più consistente
rispetto a quello relativo alla casistica totale.In relazione alla Linea contatta non emergono differenze
significative rispetto al campione nazionale: troviamo infatti che il 55,2% delle richieste di aiuto è stato
indirizzato alla Linea Istituzionale e il 44,8% a quella Gratuita. In relazione alla zona geografica di
appartenenza si rilevano invece delle differenze interessanti rispetto alla situazione generale
precedentemente osservata. Al primo posto troviamo sempre le regioni del Nord Italia, sebbene in
questo caso con una percentuale più consistente (58,5% vs 40,4% campione generale), mentre al
secondo posto, con un considerevole distacco percentuale, si attestano le regioni del Centro (25,1%
vs 20,2%). Il valore relativo al Sud è decisamente circoscritto rispetto a quello della popolazione
totale (13% vs 27,6%) così come quello rilevato nelle Isole (3,4% vs 11,8%). In particolar modo
emerge che la Lombardia raccoglie ben il 22,9% delle richieste di aiuto, ovvero più di 1/5 del totale;
seguono con una certa distanza il Lazio e l’Emilia Romagna, rispettivamente con il 12,8% e il 10,3%.
Per quanto riguarda il tipo di servizio offerto dagli operatori del Centro Nazionale di Ascolto in
simili circostanze, la percentuale più elevata interessa, anche in questo caso, la richiesta di una prima
consulenza in merito alle difficoltà espresse per telefono, e questo avviene nell’82,7% delle
situazioni; ma se nel campione totale gli operatori hanno anche segnalato il caso alle agenzie
territoriali nel 6,9%, nella gestione della casistica straniera questa modalità ha interessato il 16,6%
delle richieste di aiuto. Le principali problematiche alla base del malessere manifestato da questo
specifico target di utenza sono rappresentate dai problemi relazionali con i genitori. Emergono poi le
problematiche relative alla trascuratezza che si afferma nel 22,5% dei casi (vs 8,5% del campione
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totale), all’abuso fisico con il 19,9% (vs 13,3%), alla fuga da casa con il 7,3% (vs 1,7%), allo
sfruttamento del lavoro minorile con il 6,8% (vs 0,8%) e alla prostituzione con l’1,7% (vs 0,4%).
Analizzando le problematiche in relazione al sesso si registra la prevalenza delle bambine e delle
adolescenti in merito alle problematiche relazionali con i genitori (32% contro il 26,2% dei maschi),
all’abuso fisico (23,1% contro il 17,3%) e all’abuso sessuale (6,1% contro il 2%). I maschi invece si
caratterizzano maggiormente rispetto alla trascuratezza (26,3% contro il 17,9% delle femmine), alla
fuga da casa (8,3% contro il 6,7%) e allo sfruttamento del lavoro minorile (7,8% contro il 5,3%).
Considerando infine le situazioni di abuso e di disagio in relazione alla classe di età è possibile
osservare nei bambini più piccoli problematiche connesse a condizioni di trascuratezza (26,9%), a
difficoltà relazionali generiche (15,8%), al trauma generato dalla separazione dei genitori (13,4%),
nonché situazioni di abuso psicologico (9,8%) e sessuale (5%). Il 21% dei giovani stranieri con
un’età compresa tra gli 11 e i 14 anni denuncia prevalentemente situazioni di abuso fisico, problemi
nelle relazioni con i coetanei (nell’11,3% dei casi) nonché sfruttamento del lavoro minorile (9,1%) e
difficoltà scolastiche (7,7%). Rispetto agli adolescenti tra i 15 e i 18 anni si riscontrano, infine, difficoltà
relazionali e comunicative con i genitori (47,4%), valori comunque superiori alle frequenze attese
(colonna dei totali) nei casi di abuso fisico (20,4%) e sessuale (4,6%), frequenti fughe da casa
(19,3%) e un dato ad ogni modo considerevole riferito a casi di prostituzione (2,8%).
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[Scheda 7]
Immigrazione e flussi in una prospettiva europea
La presenza dei minori stranieri in Italia. In Europa, quella dei minori immigrati è una realtà
articolata e complessa, per molti aspetti anche nuova. Per anni, infatti, il continente europeo ha
conosciuto un’immigrazione prevalentemente “da lavoro” e solo in tempi più recenti “da
popolamento”. Oggi i minori immigrati rappresentano una fascia non più trascurabile della
popolazione europea. Una presenza significativa che richiede analisi, attenzione e programmazione.
Il nostro Paese, solo tardivamente rispetto agli altri Paesi europei è diventato paese di attrazione, in
termini di transito e di arrivo, dei flussi migratori internazionali. E tuttavia, nel giro di due decenni, è
divenuto il principale paese di immigrazione dell’Europa mediterranea (al 2001 la popolazione
straniera in Italia si componeva di cita 1.360.000 unità, con un’incidenza sulla popolazione totale del
2,4%).
Tra gli immigrati, la presenza di minori va crescendo secondo un ritmo sostenuto anche in Italia.
Negli ultimi anni scolastici, infatti, si è registrato un aumento significativo della presenza di alunni
stranieri: la loro incidenza sul totale degli alunni ha ormai raggiunto il 3,5%, un dato significativo, se
solo pensiamo che essa era ancora dell’1% nel 1998 e del 2% nel 2001. Ed è una presenza
destinata ad aumentare. Secondo le proiezioni del Miur questi alunni dovrebbero superare i 300.000
già nell’anno scolastico 2004/2005 per poi raddoppiare nel 2011/2012.
I flussi irregolari: immigrati clandestini e traffico di esseri umani. Negli ultimi anni, la
crescente pressione esercitata alle porte d’Europa, ha contribuito alla nascita e allo sviluppo di un
vero e proprio mercato del trasporto illegale di esseri umani. L’Italia, per la sua posizione geografica,
è uno dei paesi maggiormente sensibili al problema dei flussi irregolari di immigrati. L’azione di
contrasto al fenomeno e, parallelamente, il sostegno ad un sistema legale di immigrazione è andato
sempre più rafforzandosi. L’efficacia di tale azione ha prodotto un’importante riduzione della
pressione migratoria irregolare alle nostre frontiere. Nel corso del 2003, infatti, si è avuta una generale
diminuzione dei provvedimenti di allontanamento e il numero complessivo delle persone coinvolte è
sceso a 105.739 unità (circa 1/3 in meno rispetto all’anno precedente). Sono diminuiti, inoltre, sia i
respingimenti (-26,7%) sia il numero delle persone non ottemperanti ai provvedimenti di
allontanamento (-33,8%). Tuttavia il problema degli irregolari rimane di difficile soluzione. Le reti
criminali che operano in questo settore, infatti, si muovono con maggiore velocità rispetto agli Stati e
ai governi che cercano di contrastarle. La loro flessibilità consente di identificare rotte sicure e mercati
con elevata domanda, e sfruttare cinicamente anelli deboli delle burocrazie e contraddizioni nelle
legislazioni dei diversi Stati.
La realtà del traffico di clandestini assume spesso dimensioni drammatiche. In molti casi, i debiti
contratti per entrare clandestinamente in Italia e le difficoltà incontrate per ottenere una posizione
regolare, rendono l’emigrante particolarmente vulnerabile, vittima designata di varie forme di
sfruttamento criminale. In questo contesto, la realtà dei minori è particolarmente difficile e complessa.
Spesso, infatti, sono le famiglie stesse, nel paese di origine, ad affidare i propri bambini alle
organizzazioni criminali che si occuperanno della loro collocazione all’estero. A volte vengono utilizzati
come merce di scambio nelle controversie che insorgono fra bande criminali. Altre volte rimangono
intrappolati nell’industria del sesso oppure costretti a mendicare per strada. In generale, i trafficanti
mantengono un rapporto di assoggettamento nei confronti dei clandestini esercitando sia violenza
fisica, sia forme di violenza psicologica: donne e bambini ne sono le principali vittime.
Il caso dei minori non accompagnati. Nel 2003, i minori non accompagnati presenti in Italia
erano 7.040, di cui 1.557 con permesso di soggiorno e 5.883 senza. Si tratta in prevalenza di maschi
(nell’83,1% dei casi) di età compresa fra 14 e 17 anni. Albania (2.122), Marocco (1.802) e Romania
(1.462) sono i paesi da cui provengono più dei tre quarti dei minori segnalati. Rispetto al 2001, il
numero dei minori non accompagnati di nazionalità romena si è più che raddoppiato (da 627 a 1.462).
Le regioni di insediamento sono principalmente la Lombardia (20,9%), il Lazio (13%) e il Piemonte
(11%) Tra i minori stranieri, i cosiddetti “minori non accompagnati” vivono una condizione tutta
particolare. Il termine utilizzato nella normativa italiana e comunitaria include diverse situazioni
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esistenziali, ma tutte accomunate da un’unica circostanza: l’essere bambini o adolescenti e trovarsi
da soli in un paese straniero, senza cioè i propri genitori o tutori legali (che però spesso hanno
condiviso il loro progetto di emigrare da soli). I minori non accompagnati devono essere segnalati per
obbligo di legge al Comitato Minori Stranieri. Le azioni di intervento nei paesi di origine rimangono
prioritarie. Se con questi paesi, cioè, venissero organizzati più progetti di cooperazione decentrata,
per garantire un futuro in loco a questi ragazzi, le aspettative delle famiglie diminuirebbero. Infatti, è
stato verificato che in oltre il 90% dei casi la partenza del minore è frutto di un progetto condiviso con i
genitori.
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[Scheda 8]
Legislazione sociale per l’infanzia
La riforma del Titolo V della Costituzione italiana ha profondamente inciso sul riparto delle
competenze legislative ed amministrative tra Stato e Regioni configurate dalla Carta costituzionale del
1948, ribaltando il principio stesso del riparto e assegnando alle Regioni un’autonomia decisionale
estremamente ampia. La riforma, incide tra l’altro, sull’attribuzione delle competenze Stato-Regioni in
materia di legislazione sociale.
La legge 285/97, può essere considerata il primo grande strumento di cambiamento nel sistema
delle politiche sociali in Italia. Questa legge ha rappresentato un elemento di significativa innovazione
nel quadro della legislazione in materia di diritti dei minori, perché l’infanzia e l’adolescenza hanno
cessato di essere considerate delle “sottoaree” di intervento nell’ambito del più vasto settore dei
servizi sociali, assumendo le caratteristiche proprie e distintive di un’area che necessita di una
disciplina attenta e particolareggiata. La legge non si configura solo come piano di contrasto del
disagio, ma mira a ricostruire le coordinate di una politica per l’infanzia a partire dai più piccoli,
focalizzando l’attenzione su quegli interventi che mettono al centro le varie fasi della crescita allo
scopo di favorire lo sviluppo individuale e sociale del bambino. Scopo della legge non è solo l’analisi
delle singole manifestazioni del malessere sociale e degli effetti che ne derivano, ma anche quello di
rimuoverne le cause, provvedendo a fornire informazione e sostegno in primis alle famiglie.
Azioni positive per la promozione dei diritti. Con la legge 285/97, dunque, le politiche
sull’infanzia si sono svincolate da una logica che le portava ad affrontare esclusivamente le situazioni
d’emergenza e sono state inserite in un quadro più generale d’impegno politico che mira allo sviluppo
democratico e sociale dell’intera comunità. In quest’ottica la normativa prevede la «realizzazione di
servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della
violenza» attraverso «l’erogazione di un minimo vitale a favore di minori in stato di bisogno inseriti in
famiglie o affidati ad uno solo dei genitori, anche se separati». Vengono indicati tra l’altro interventi
mirati alla tutela del bambino, da realizzare mediante azioni positive di «informazione e sostegno alle
scelte di paternità e maternità», di «potenziamento di servizi di rete per interventi domiciliari (...), di
prevenzione e di assistenza nei casi di abuso o di sfruttamento sessuale, di abbandono, di
maltrattamento e di violenza sui minori», e altre disposizioni di contenuto affine. Ma anche «azioni
positive per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza» da realizzare incentivando
«interventi che facilitano l’uso del tempo e degli spazi urbani e naturali (…), misure orientate alla
promozione della conoscenza dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza presso tutta la cittadinanza
(…), misure volte a promuovere la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita della
comunità locale, anche amministrativa».
Strumenti di progettazione e campi di applicazione. La stessa normativa ha previsto
l’istituzione del “Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza”, per la realizzazione di interventi a
livello nazionale, regionale e locale (con particolare riguardo alle aree che presentano segnali più
evidenti di degrado e di arretratezza) per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo
sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza.
In particolare, «gli Enti Locali, mediante accordi di programma, cui partecipano i provveditorati agli
studi, le aziende sanitarie locali e i centri per la giustizia minorile, approvano piani territoriali di
intervento della durata massima di un triennio, articolati in progetti immediatamente esecutivi, nonché il
relativo piano economico e la prevista copertura finanziaria». Gli Enti locali devono anche garantire la
più ampia partecipazione nella elaborazione dei Piani, alle «organizzazioni non lucrative di utilità
sociale» presenti su territorio.
Linee progettuali ed interventi nel primo triennio di applicazione. La prima progettazione
triennale nell’ambito dell’applicazione della legge 285/97 è stata caratterizzata più dall’assemblaggio
di singoli progetti che dalla costruzione di un piano di intervento integrato e complessivo per l’infanzia
e l’adolescenza. Dal confronto tra i tempi previsti per la messa in opera delle azioni e quelli concreti di
attuazione, emerge chiaramente che i progetti nel primo triennio sono stati realizzati con un discreto
grado di rispetto dei tempi di esecuzione previsti in fase di programmazione, pur trattandosi spesso
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di interventi piuttosto complessi ed articolati. Ma è a partire dalla fine del 1999 che la legge 285/97 ha
cominciato a funzionare pienamente: ben il 58% di tutti i progetti approvati sono stati attivati tra la
fine del 1999 e l’inizio del 2000 e il 69,2% degli interventi a circa un anno e mezzo dall’attivazione si
trovava in piena fase operativa, mentre il 29,7% era in fase finale o già concluso (Relazione alle
Camere sull’attuazione della legge 28 agosto 1997). «Nel primo triennio di attuazione della legge nelle
15 città riservatarie e in 245 ambiti territoriali si sono realizzati quasi 3.000 progetti che hanno portato
a circa 7.000 interventi, dei quali il 60% nella fascia 6/14 anni».2
Evoluzione del quadro normativo. Il passaggio dal primo al secondo triennio di applicazione
della legge 285/97 è coinciso con l’approvazione della legge 328/2000 nota come “Legge Quadro per
la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che sancisce tra l’altro la
istituzionalizzazione del Piano di Zona confermando la tendenza già in atto che aveva trovato una
spinta propulsiva nella legge 285, che per prima ha introdotto su tutto il territorio nazionale modalità di
progettazione interistituzionale improntate alla sussidiarietà. Per quanto concerne l’attribuzione delle
competenze, la legge 328/2000 affida alle Regioni, dopo aver ribadito le funzioni di programmazione,
coordinamento, indirizzo e verifica degli interventi sociali, la determinazione, attraverso forme di
concertazione con gli Enti locali, degli ambiti territoriali e degli strumenti e delle modalità per la
programmazione e la gestione unitaria del sistema locale dei servizi a rete. La legge non attribuisce
compiti diretti e gestionali alle Province in campo assistenziale, esse assumono invece il ruolo cruciale
di “cerniera” proprio per la loro collocazione mediana tra i diversi attori locali. Si configura, dunque, un
vero e proprio “circuito della programmazione locale”, una sorta di “circolo virtuoso”, che indica nel
Comune l’Ente territorialmente preposto alla lettura, alla ricognizione delle risorse ed all’indicazione
degli obiettivi della rete di interventi e servizi integrati; nella Regione il soggetto chiamato a
determinare, in concorso con gli Enti locali, gli obiettivi generali di programmazione socio-economica;
nella Provincia l’Ente locale al quale sono affidate importanti funzioni di facilitazione, promozione di
processi, di coordinamento e supporto della programmazione sociale dei Comuni. Vengono definiti
inoltre gli interventi che rappresentano «il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto
forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale,
regionale e zonale»: contrasto alla povertà (per senza fissa dimora); misure economiche per favorire
la vita autonoma c/o proprio domicilio (inabili); sostegno per i minori; sostegno alle famiglie; sostegno
alle donne in difficoltà; integrazione disabili; inserimento presso famiglie o comunità di anziani e
disabili; interventi socio-educativi per contrastare droga, alcool, ecc.; informazioni e consulenza per
favorire la fruizione dei servizi. Il meccanismo di pianificazione prevede quindi una serie di interventi a
“cascata” attraverso: il Piano nazionale degli interventi e servizi sociali; il Piano regionale degli
interventi e servizi sociali; il Piano di Zona.
La riforma del Titolo V della Costituzione: evoluzione e cambiamenti. A distanza di poco
più di un anno dall’approvazione della 328/2000 è intervenuta la legge costituzionale 3/2001 che ha
notevolmente modificato il quadro delle competenze tra i diversi livelli di governo per la
programmazione e l’attuazione delle politiche sociali. Il nuovo testo del Titolo V della Costituzione (art.
117) stabilisce che: «(…) spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato». In particolare, dalla lettura complessiva dei
commi, si evince che la legislazione in materia socio-assistenziale non si colloca tra le materie
riservate allo Stato e che sono le Regioni ad avere potestà legislativa primaria in materia.
Opportunità e contributi offerti dalla legge 285/97. In merito alla la pianificazione territoriale
degli interventi ai sensi della legge 285/97 e della legge 328/2000 si evince che le Regioni hanno
mirato a raggiungere un maggior grado di omogeneità e coordinamento dei provvedimenti,
raggruppandoli per tipologie affini nell’ambito dei Piani, mirando più al consolidamento delle attività già
avviate che alla progettazione di nuove opere; non sono ovviamente mancate delle criticità legate,
molto spesso, alla carenza di coordinamento tra i vari Enti coinvolti, alla mancanza di personale
amministrativo e alla difficoltà di esperire in tempi brevi le gare di aggiudicazione delle opere a
soggetti terzi. Malgrado le riforme intervenute tra il 2000 e il 2001, si è registrata, pur con qualche
2 Relazione alle Camere sull’attuazione della legge 28 agosto 1997 recante “Disposizioni per la promozione dei diritti e di opportunità per
l’infanzia e l’adolescenza”, presentata il 27 luglio 2004 dalla Commissione Parlamentare per l’infanzia.
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rallentamento – peraltro giustificabile – una sostanziale linea di continuità tra il primo e il secondo
triennio di applicazione della legge 285/97: «nella seconda triennalità il numero di ambiti è cresciuto
mentre si sono consolidati i progetti (oltre 2.500)»3.
Il sociale è un campo di enorme complessità, estremamente variegato e dai contorni non sempre
definibili: gli interventi che lo Stato è chiamato a compiere sono sempre più spesso estremamente
delicati e non bisogna dimenticare che si tratta di azioni che coinvolgono le fasce più deboli della
società e, soprattutto, non riconducibili nell’alveo di un unico insieme. Queste caratteristiche del
settore sociale comportano la necessità di azioni progettuali efficaci e supportate dalla giusta
metodologia, basate sulla concertazione e su logiche consensuali e incrementali. Uno dei requisiti più
importanti della legislazione sociale dell’infanzia degli ultimi anni si rintraccia nell’idea di un vasto
coinvolgimento degli attori nel processo decisionale attraverso l’ormai nota “logica del Piano”. Non
sempre questa sinergia tra attori pubblici e del Terzo settore si è realizzata, anzi, in alcune Regioni il
processo di comprensione dell’utilità di un percorso coordinato, ha faticato ad affermarsi «per ragioni
quali la permanenza di culture e pratiche “paternalistiche” da parte degli amministratori o dei funzionari
addetti ai lavori, per i vincoli amministrativi troppo stretti». L’esperienza della legge 285/97 ha
dimostrato che non è «sufficiente proporre qualsivoglia documento che si chiami “Piano di Zona”, per
essere coerenti con la legge quadro», ma occorrono «l’autonomia degli ambiti, la promozione della
partecipazione, la costruzione di partnership “alla pari” (…) se tali requisiti continueranno a mancare
è probabile che si assisterà ad una progressiva svalutazione delle potenzialità dei territori».4
Inoltre, perché non si vanifichi il lavoro svolto sino ad ora, e affinché la spinta propulsiva ed
innovatrice della legge 285/97 non si perda strada facendo, è necessario non considerare la politica
per l’infanzia come mera redistribuzione delle risorse economiche, ma come elemento di crescita e
miglioramento del benessere sociale. In questo senso, le Regioni devono comprendere che le
politiche socio-assistenziali non devono essere considerate come semplici strumenti che attenuino i
conflitti sociali, ma come spazio di prevenzione dei disagi in un’ottica di interventi preliminari e basati
sulla normalità e non sull’emergenza. D’altronde, questa tipologia di azioni è vantaggiosa anche dal
punto di vista della gestione delle risorse economiche: è infatti molto più dispendioso intervenire in
condizioni di emergenza, dovendo fronteggiare situazioni impellenti e onerose, che programmare una
spesa sociale in maniera sistematica ed organica.
3 Commissione Parlamentare per l’infanzia, ibidem.
4 Relazione 2004 sullo stato di attuazione della legge recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità dell’infanzia e
dell’adolescenza, ibidem.
32
Capitolo 2
Devianza, emergenza e disagio
Scheda 9 •
Il Servizio emergenza infanzia 114
Scheda 10 • L’allontanamento dei minori in una prospettiva di lavoro di rete
Scheda 11 • Bambini ed emergenza. Analisi della casistica del servizio emergenza infanzia 114
Scheda 12 • Il progetto di legge sull’affidamento condiviso e la mediazione familiare
Scheda 13 • Indagine esplorativa sulla percezione e il significato dell’emergenza negli adolescenti
Scheda 14 • Aspetti organizzativi e formativi per la partecipazione del non profit al lavoro di rete
per la gestione dell’emergenza nell’infanzia e nell’adolescenza
Scheda 15 • Presa in carico del minore autore di reato in una prospettiva di intervento di rete
Scheda 16
•
Segugi randagi e piccoli di gorilla
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[Scheda 9]
Il servizio emergenza infanzia 114
Il servizio telefonico connesso al codice di pubblica emergenza “114”, individuato e definito dal decreto interministeriale 14
ottobre 2002 costituisce un servizio accessibile da parte di chiunque intenda segnalare situazioni di emergenza e disagio, anche
derivanti da immagini, messaggi e dialoghi diffusi attraverso i mezzi di comunicazione di massa o reti telematiche, che possano
nuocere allo sviluppo psico-fisico di bambini ed adolescenti. Il servizio è accessibile ventiquattro ore su ventiquattro, tutti i giorni
dell’anno, senza oneri per il chiamante e con addebito della telefonata a carico del servizio universale. È organizzato nella
prospettiva di fornire, a chiunque si trovi sul territorio nazionale, assistenza psicologica nonché consulenza psico-sociale, per
situazioni di emergenza che possono nuocere allo sviluppo psico-fisico di bambini e adolescenti e glioccorrenti collegamenti con
le strutture territoriali competenti in ambito sanitario, sociale e di sicurezza (art. 2 decreto 6 agosto 2003). Il Servizio, a seguito di un
bando pubblico, è stato affidato per la fase di sperimentazione a Telefono Azzurro che ha stipulato in data 26 febbraio 2003
una Convenzione di affidamento – in qualità di Ente gestore – con i Ministeri delle Comunicazioni, del Lavoro e delle Politiche
Sociali e per le Pari Opportunità. Ilperiodo di sperimentazione, inizialmente previsto dal decreto 14 ottobre 2002 della durata di tre
mesi (art. 2, comma 1), poi prorogato a sei, ha riguardato tre aree ritenute significative sia per rappresentatività statistica che per
presenza di consolidate strutture operative: i Comuni di Milano e Palermo, la Provincia di Treviso. Tale fase del progetto ha reso
possibile la sperimentazione di un modello di presa in carico delle emergenze che coinvolgono bambini e adolescenti,
rafforzando la consapevolezza dell’importanza e dell’efficacia di un lavoro di rete con le istituzioni e i servizi preposti alla tutela
dell’infanzia, laddove si condividano intenti e procedure.
Conclusasi e valutata positivamente la sperimentazione, è stato disposto l’avvio definitivo del servizio con decreto
interministeriale del Ministro delle Comunicazioni, del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro per le Pari
Opportunità del 6 agosto 2003, pubblicato in G.U. del 29 agosto 2003 n.200. A seguito di selezione aperta indetta con avviso
pubblicato in G.U. n. 219 del 20 settembre 2003, il servizio in fase definitiva è stato affidato, per la durata di tre anni decorrenti dal
10 novembre 2003, all’Associazione “S.O.S. Il Telefono Azzurro ONLUS”, con la quale il Ministero delle Comunicazioni ha
stipulato una convenzione in data 7 novembre 2003. Con questo nuovo mandato, Telefono Azzurro si è assunto il compito di
estendere progressivamente ilServizio 114 a tutto ilterritorio nazionale, secondo icriterie le modalità indicate nel decreto 6 agosto
2003. Il servizio di risposta telefonica è attualmente centralizzato presso un unico call-center collocato nel Comune di Milano.
Il modello teorico. Il concetto di emergenza e le sue macrotipologie. Attualmente si assiste ad un crescente
interesse nei confronti delle nozioni di “emergenza” e di “trauma” in età evolutiva e delle conseguenze che possono avere
origine a partire da un’esperienza traumatica. Telefono Azzurro ha approfondito questi temi, con un approccio volto ad
individuare le strategie più efficaci per intervenire in quelle situazioni che possono minacciare la salute psico-fisica dei bambini e
degli adolescenti. Tali strategie si ispirano al modello della psicopatologia dello sviluppo e sono orientate all’attivazione delle
risorse presenti nell’ambiente, all’interno di una rete sociale attenta ai loro bisogni evolutivi. Le situazioni di emergenza che
coinvolgono bambini e adolescenti possono essere raggruppate in alcune macrotipologie: gravi abusi; atti autolesivi, suicidio e
tentativi di suicidio; fughe da casa; abuso di sostanze; comportamenti a rischio; comportamenti devianti; altre situazioni
traumatiche.
Se, come abbiamo detto, le espressioni del disagio infantile e adolescenziale mutano nel tempo, la diffusione di Internet, i
flussi immigratori minorili, l’avvento di diverse sostanze stupefacenti, hanno favorito l’emergere di nuove tipologie di emergenza.
La pedopornografia on line, i minori stranieri in stato di abbandono, lo sfruttamento sessuale, la sottrazione internazionale, la
diffusione dell’ecstasy nelle discoteche sono solo alcuni esempi dinuove emergenze socialiche richiedono specifiche strategiedi
contrasto.
Il modello operativo. La prima linea telefonica per la prevenzione dell’abuso all’infanzia e per la tutela dei bambini e degli
adolescenti nasce a Bologna l’8 giugno del 1987. Il 18 dicembre 1990, con decreto del Presidente della Repubblica, il Telefono
Azzurro diviene Ente Morale, un riconoscimento dell’importante opera di prevenzione svolta. Nel 1990 viene attivata la prima
linea riservata ai bambini e ai ragazzi fino ai 14 anni; tale linea, nel novembre del 1994, viene trasformata nel numero breve
1.96.96, gratuito e attivo anch’esso su tutto il territorio nazionale, 24 ore su 24, per tutti i giorni dell’anno. Alla linea 199.15.15.15
(che per la telefonia mobile corrisponde al numero 02/55.02.73.04) possono invece rivolgersi gli adolescenti oltre i 14 anni, gli
adulti e le famiglie che intendono segnalare situazioni di disagio e difficoltàche coinvolgono bambini e adolescenti. Ad entrambe le
linee rispondono operatori specializzati, opportunamente selezionati e formati, che svolgono un intervento di ascolto del disagio
riferito dall’utente al fine di tutelare il minore coinvolto, anche attraverso la collaborazione con altre agenzie del territorio (Forze
dell’ordine, Servizi socio-sanitari, scuole, Tribunali e Procure, ecc.). Queste linee continuano ad essere attive parallelamente al
114, offrendo ascolto e consulenza a tuttequelle situazioni di disagio, che coinvolgono bambini e adolescenti, non contraddistinte
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dall’emergenza sia in termini di problematica riferita sia in termini di percorso di presa in carico.
Il modello di risposta telefonica del servizio 114. Il modello di risposta del Servizio 114 si fonda sulla considerazione
che l’obiettivo immediato dell’intervento in emergenza è duplice: da una parte, la valutazione delle criticitàche la situazione riferita
presenta, al fine di attivare un servizio territoriale per la presa in carico del caso nelle modalità e nei tempi più opportuni; dall’altra, la
capacità di fornire quel supporto psicologico immediato, necessario per contenere gli aspetti destabilizzanti che caratterizzano
l’emergenza. Il modello di risposta è costruito su tre livelli: 1. Front Line; 2. Back Line; 3. Specialisti/consulenti esperti.
Il sistema informatizzato per la raccolta delle informazioni. Per potere monitorare le attività della Front Line e della
Back Line, sono state sviluppate due apposite schede, utilizzate anche per la rilevazione dei dati quantitativi, qualitativi e per la
raccolta delle informazioni conseguenti all’attivitàdel servizio. L’intero progetto si basa su un sistema informatizzato integrato con
le attività di gestione della risposta telefonica.
La valutazione e gestione dei casi di emergenza. Il servizio Emergenza Infanzia 114 ha il mandato di intervenire sui
casi di emergenza che coinvolgono bambini e adolescenti. Icasi di emergenza sono rappresentati da quelle situazioni nelle quali
si ravvisano gravi elementi di rischio per l’incolumità psico-fisica del minore, o in cui il bambino/l’adolescente sono a rischio di
trauma. Tali situazioni necessitano non solo di una risposta immediata ma anche e soprattutto della tempestiva attivazione dei
servizi territoriali:operativamente, la Back Line, dopo aver valutato la “gravità” della situazione presentata, in termini di definizione
dei fattori di rischio e di protezione riferitial minore oggetto della consulenza, procede con ilcoinvolgimento delle strutture territoriali
competenti e con la messa in rete del caso.
Gestione dell’emergenza e messa in rete del caso. Il modello d’intervento cui l’operatore del Servizio 114 si attiene
nella gestione delle richieste pervenute prevede l’attivazione di un percorso di rete e di un lavoro sinergico fra i diversi referenti
istituzionali, agevolando lo scambio di informazioni e la presa in carico differenziata: le Forze dell’ordine e di Pubblica Sicurezza
per un intervento a breve-medio termine, Servizi sociali, Asl, etc., per un percorso a medio-lungo termine. Tale modello nasce
dalla consapevolezza che per la gestione di situazioni complesse di disagio e abuso in età evolutiva, si deve necessariamente
rispondere ed intervenire attraverso strategie “integrate”di intervento interistituzionalee multidisciplinareed attraverso un modello
multiagency.
In questo modello, la consulenza telefonica può costituire dunque un nodo importante ma non sufficiente per la gestione del
caso. L’intervento territoriale e la stretta collaborazione con i servizi assumono un ruolo decisivo sia nell’intervento immediato, sia
nella gestione del caso a medio e lungo termine. I diversi livelli di intervento istituzionale (clinico, socio-assistenziale, giuridico) e la
complessità delle competenze richieste, richiedono la collaborazione sinergica di agenzie diverse e specifiche (in primis servizi
sanitari e sociali, Autorità giudiziaria, Forze dell’ordine) ed il lavoro di diverse figure professionali (mediche, psicologiche, socioassistenziali, giuridiche, di ordine pubblico). È sulla base di tale premessa che il Servizio 114 ha come obiettivo primario e
fondamentale la partecipazione allo sviluppo di una rete di intervento a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza che sia
interistituzionale e multidisciplinare.
La mappatura dei servizi e lo scambio di informazioni. Lo strumento fondamentale adottato dal 114 per la
costruzione della rete locale è la costituzione di una banca dati informatizzata basata sulla mappatura dei servizi territoriali
preposti alla presa in carico dei casi di emergenza. Le conoscenze sviluppate dall’attività di mappatura consentono di
ottimizzare l’attivitàdi messa in rete attraverso lo scambio di informazioni, di attivare modalità d’intervento sinergiche attraverso la
definizione di procedure condivise, di monitorare le specifiche potenzialità di ciascuna agenzia e, operando in aree del territorio
italiano estremamente diversificate, gli eventuali bisogni, soprattutto in materia di formazione sui temi del disagio in età evolutiva.
La conoscenza del territorio si muove in due direzioni: da una parte si costituisce come un contenitore di informazioni relative a
recapiti telefonici, indirizzi utili, numero di contatti avuti con il 114, etc.; dall’altro, si caratterizza per informazioni di tipo qualitativo sui
servizi offerti, sui progetti attivati, sui singoli referenti, etc.
La messa in rete del caso attraverso il coinvolgimento del territorio: gli accordi con le Istituzioni centrali e
regionali. Il Servizio Emergenza Infanzia 114 ha il mandato di intervenire sui casi di emergenza che coinvolgono bambini e
adolescenti: tali situazioni necessitano non solo di una risposta immediata, ma anche e soprattutto della tempestiva attivazione
dei servizi territoriali.Considerando l’estrema complessità della rete di intervento a tutela dei minori, l’efficacia del 114 può essere
garantita solo se si evita di duplicare le procedure di attivazione degli interventi in emergenza, e di sovrapporsi alle competenze
istituzionalmente spettanti agli organismi pubblici preposti alle diverse articolazioni della rete, e si riesce piuttosto a fornire una
chiave di lettura esperta della emergenza segnalata nonché una gestione integrata del flusso informativo.
Il Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Interno e l’impegno del 114 presso gli Uffici Territoriali del
Governo. Il lavoro con la rete rappresenta non solo il luogo per un confronto strutturato e continuativo tra agenzie diverse, ma
anche uno spazio per costruire degli interventi efficaci. Per tale motivo il Servizio 114 ha come obiettivo primario quello di inserirsi
nella rete di collegamento e collaborazione tra gli attori sociali, pubblici e privati, preposti ad intervenire nelle situazioni di disagio.
Tale obiettivo viene raggiunto tenendo conto anche della necessità di costruire dei percorsi operativi condivisi al fine di tutelare
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l’infanziae l’adolescenza attraverso la stipuladi accordi a livelloregionale con gliEnti locali e con le agenzie del territoriodi riferimento
e protocolli di intesa a livello centrale con i Ministeri e le Istituzioni competenti. Con questo obiettivo il 22 settembre 2004 è stato
firmato al Viminale il Protocollo di intesa tra il Ministero dell’Interno e S.O.S Il Telefono Azzurro ONLUS in qualità di Ente Gestore
del Servizio 114 per la definizione di rapporti collaborativi per la gestione delle situazioni di emergenza a danno di bambini e
adolescenti. All’interno di questo accordo (art. 6), le Prefetture (Uffici Territoriali del Governo), sono chiamate a promuovere sul
territorio,in collaborazione con il114, le iniziativeatte a mobilitare isoggetti pubblici e privati in grado di contribuire all’elaborazione di
strategie operative volte a favorire: a) la costruzione di procedure comuni di intervento; b) la circolazione delle informazioni; c) il
monitoraggio e la valutazione delle diverse forme di abuso; d) la diffusione di una cultura della tutela dell’infanzia e
dell’adolescenza in grado di percepire gli indicatori di rischio per un’adeguata ed efficace azione di prevenzione. A seguito della
firma del Protocollo è iniziato l’impegno congiunto tra il 114 e gli Uffici Territoriali del Governo competenti a livello provinciale.
Attraverso la partecipazione alle Conferenze permanenti, tra operatori e consulenti del 114 e ireferenti territorialidei servizi socioassistenziali, delle Forze dell’ordine e di Pubblica Sicurezza, delle Procure e dei Tribunali per i Minorenni e dei servizi della
Giustizia Minorile si sono avuti iprimi confronti e hanno preso vita iprimi incontri. Telefono Azzurro sta procedendo gradualmente
in questi incontri, privilegiando le realtà progressivamente coinvolte nel progetto, da quelle in cui il 114 è già attivo (Lombardia,
Veneto, Lazio, Piemonte, Emilia Romagna e Sicilia) a quelle in cui lo sarà tra breve.
Il piano di sviluppo del 114 ed il suo decentramento a livello locale: gli accordi con le Regioni. Un centro di
riferimento imprescindibile per assicurare la piena funzionalità del Servizio 114 nei rapporti con le Province, iComuni, le Aziende
Sanitarie e Ospedaliere e con tutte le strutture che svolgono i compiti di assistenza sociale e sanitaria sul territorio è costituito dalle
Regioni.
Con questo obiettivo è stata sottoscritta, sia con la Regione Lombardia che con la Regione Lazio, una Convenzione
finalizzata a consentire al 114 di lavorare in Rete con le articolazioni locali; attualmente sono in corso una serie di contatti ed incontri
con le altre Istituzioni regionali per illustrare il Servizio 114 e definire accordi per la sua attuazione sul piano locale.
La hotline del 114. Fra i compiti assegnati al Servizio Emergenza Infanzia 114, c’è quello di raccogliere le segnalazioni, da
parte dei cittadini, sulla presenza in Rete o in altri mass media di contenuti illegali o dannosi per lo sviluppo psico-fisico dei
bambini e adolescenti o che possa recare loro disagio. Le segnalazioni sono raccolte dagli operatori attraverso la linea telefonica
oppure attraverso il sito web www.114.it. Attraverso questo sito è possibile segnalare, per chi lo desidera in forma anonima,
contenuti inadeguati o illegali – dialoghi, testi, immagini – presenti in Internet e su altri media, che possano nuocere allo sviluppo
psico-fisico o mettere a disagio bambini e adolescenti. Le violazioni sono riferite all’ambito dell’informazione (Internet e Media),
quindi siti web, chat line, newsgroups e materiale mediale a carattere pedopornografico, carta stampata, radio e Tv. La
segnalazione è raccolta da un operatore specializzato 114 Emergenza Infanzia, il quale provvede ad inoltrarla alle Autorità
competenti (Garante per le Comunicazioni, Garante per la Privacy, Ordine dei Giornalisti e a ogni altro organismo deputato a
monitorare, valutare e sanzionare tali contenuti). Le segnalazioni relative a siti Internet pornografici, pedopornografici o che
presentano contenuti illegali o inadatti ai fanciulli vengono invece riferite alla Polizia Postale e delle Telecomunicazioni.
Come funziona la hotline del 114? Il Servizio Emergenza Infanzia 114 provvede ad inoltrare la segnalazione
pervenuta al servizio, sia essa in modalità telefonica o in formato elettronico, alle Autorità competenti. Nello specifico, viene
attivato l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, qualora la segnalazione riguardi l’ambito dell’informazione (quotidiani, riviste, radio o
televisione); ilComitato di Attuazione del Codice di Autoregolamentazione Tv e Minori,qualora la segnalazione riguardil’ambito di
un programma televisivo; l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, qualora la segnalazione riguardi un messaggio pubblicitario,
veicolato con qualsiasi mezzo; il Garante per la Protezione dei Dati Personali, quando vi sia una violazione della privacy;
l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, quando risulticomplesso individuare l’organismo di controllo competente, come,
per esempio, quando la segnalazione riguarda gadgets allegati alle pubblicazioni per bambini, Vhs o Dvd presi a noleggio, ecc.
Le segnalazioni di materiale illecito reperito in Rete e riferito a siti Internet, newsgroup, chat-line, sono invece inoltrate alle Forze
dell’ordine: nello specifico alla Polizia Postale e delle Telecomunicazioni, un organo speciale che compie un monitoraggio 24 ore
su 24 della rete Internet, per contrastare e reprimere tali reati. Per facilitare la segnalazione attraverso il sito www.114.it, l’utente è
guidato passo dopo passo a fornire tutte le informazioni utili affinché le Autorità competenti possano successivamente ed
eventualmente prendere provvedimenti. È molto importante, data la “fluidità” del mondo di Internet, fornire le coordinate precise
del contenuto illegale che l’utente intende segnalare. Nel mese di giugno 2005, 114 Emergenza Infanzia ha rinnovato
completamente, nella grafica e nei contenuti, il servizio di segnalazione on line di contenuti violenti o illegali che possono turbare
bambini e adolescenti. L’utente che voglia segnalare, è seguito passo passo nella compilazione della scheda e nel suo invio. Il
sito si presenta rinnovato anche nei contenuti che sono stati suddivisi in due macro-sezioni, al fine di migliorare l’accessibilità a
una serie di informazioni da parte degli operatori della Rete e di tutti coloro interessati alla fruizione del servizio. Forze dell’ordine,
operatori dei servizi socio-sanitari, Tribunali ordinari e per i minorenni, insegnanti, operatori di associazioni del privato sociale a
tutela dell’infanzia ma anche privati cittadini potranno trovare nella prima sezione le informazioni generali sul servizio fornito dal
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numero 114 Emergenza: a chi si rivolge, quali sono le emergenze, come funziona e quale ilprogetto generale. Particolare rilievo
assume infine anche la sezione “114 Comunica” attraverso la quale vengono diffuse le ultime notizie relative alla realizzazione
del progetto come alla partecipazione ad eventi, all’organizzazione di congressi e campagne informative e di sensibilizzazione.
Da segnalare anche la rubrica Storie di emergenza, dove vengono rielaborati per la discussione e il confronto, i casi di
emergenza di cui si è occupato 114 Emergenza Infanzia.
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[Scheda 10]
L’allontanamento dei minori in una prospettiva di lavoro di rete
I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica
necessità (medici, psicologi, assistenti sociali, riabilitatori, insegnanti, educatori) hanno l’obbligo (art.
9) di riferire alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni sulle condizioni di ogni minore in
“situazione di abbandono”. Sono previste sanzioni penali per chi, essendovi tenuto, omette di
comunicare tali situazioni.
Indicazioni di questo tipo possono pervenire pure agli operatori dei Servizi sociali e/o sanitari
delle Asl o dei Comuni; l’assistente sociale, compiuto ogni accertamento, deve predisporre
immediatamente un progetto di intervento, qualora abbia constatato l’oggettivo stato di abbandono.
Obbligatorio è comunque segnalare il caso alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni. Oltre alle
funzioni di segnalazione, ai Servizi possono essere delegate, su incarico del Tribunale per i
Minorenni o del Tribunale Ordinario (in quest’ultimo caso, nelle situazioni di separazione tra i genitori e
di decisioni inerenti l’affidamento della prole), funzioni di vigilanza, volte a controllare e supervisionare
le condizioni di vita e di adattamento dei bambini che si trovano in una situazione di rischio o di
pregiudizio, ad impartire eventuali consigli ed indirizzi ai genitori, ed a relazionare l’andamento della
situazione all’agenzia giudiziaria competente. In taluni casi, allorquando sussistano elementi di
specifico rischio familiare e psico-ambientale, al Servizio sociale (presso il Comune o la Asl) può
essere assegnato l’affidamento del minore, mantenendolo presso i genitori o disponendo diverse
forme di collocazione. Ai Servizi spetterà allora la responsabilità delle principali decisioni inerenti la
vita familiare, scolastica e sociale del minore affidato.
Privilegiato è dunque l’interesse del minore, essendo la sua tutela il fine primario che il legislatore
si è proposto di raggiungere attraverso risposte sempre più articolate e specifiche ai bisogni dello
stesso e attraverso la sua rivalutazione come soggetto di diritti.
Pur consapevoli che il sistema normativo resta ancora lacunoso ed incongruente per una presa in
carico efficace del fenomeno, si ritiene che per la primaria realizzazione dell’interesse del minore e per
la sua piena tutela è opportuno considerare nell’intera rete anche il sistema giudiziario. Ciò appare
tanto più evidente solo che si consideri la complessità del sistema giudiziario e la rilevanza numerica
dei provvedimenti che coinvolgono minori.
Procedimenti in materia civile di competenza dei Tribunali per i Minorenni sopravvenuti, esauriti e pendenti a fine anno 2003
Anno 2003
Valori assoluti
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Procedimenti
Procedimenti per la dichiarazione di adottabilit
Sopravvenuti
Esauriti
Pendenti
2.502
2.594
4.995
244
206
151
13.276
10.084
40.002
727
676
943
Domande di idoneit alladozione di minori stranieri
7.056
7.019
8.413
Dichiar. di efficacia di provv. stranieri in materia di adozione
2.561
2.393
1.006
21.377
18.931
40.496
545
560
560
Assunzioni di cognome del figlio naturale
2.738
2.866
1.254
Regolamentazione della potest fra genitori naturali
3.549
3.141
4.616
240
196
344
Misure amministrative
1.827
1.640
3.644
Altri procedimenti
3.500
3.535
3.966
59.415
53.165
109.447
Opposizioni a dichiarazioni di adottabilit
Dichiarazioni di disponibilit alladozione, di cui:
- in casi particolari
Interventi sulla potest dei genitori
Ammissioni al matrimonio
Dichiarazioni giudiziali di paternit o maternit
Totale
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
39
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Provvedimenti emessi dai Tribunali per i Minorenni
Anno 2003
Valori assoluti e percentuali
Provvedimenti
Dichiarazioni di adottabilit
V.A.
%
1.080
2,8
Affidamenti pre-adottivi di minori italiani
947
2,4
Efficacia di provvedimenti stranieri come affidamenti pre-adottivi
249
0,6
Adozioni nazionali legittimanti
978
2,5
Adozioni nazionali in casi particolari
597
1,5
Adozioni di minori stranieri
2.298
6,0
Sentenze sulla idoneit alladozione di minori stranieri
5.519
14,4
866
2,3
2.444
6,4
Interventi sulla potest dei genitori
12.802
33,4
Provvedimenti di urgenza a protezione del minore, di cui:
10.150
26,5
1.295
-
414
1,1
38.344
100,0
Affidamenti familiari (senza consenso)
Provv. per la regolamentazione della potest tra genitori naturali
- provvedimenti di allontanamento
Provvedimenti sullammissione al matrimonio
Totale
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
Provvedimenti del giudice tutelare
Anno 2003
Valori assoluti e percentuali
40
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Provvedimenti
Autorizzazioni e pareri
V.A.
%
89.205
56,2
Provvedimenti sulla perdita della potest dei genitori
4.720
3,0
Affidamento dei minori (con consenso)
1.498
0,9
Autorizzazioni allaborto per donne minorenni
1.542
1,0
Trattamenti sanitari obbligatori
19.645
12,4
Altri provvedimenti(*)
42.008
26,5
158.618
100,0
Totale
(*)Negli altri provvedimenti sono compresi i provvedimenti relativi ai figli naturali. Le ispezioni agli istituti e le denunce al tribunale di situazioni di
abbandono passano alla competenza del Tribunale per i minorenni, secondo quanto previsto dall’art. 9 della legge 149/2001.
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
Predisporre un modello che tenga solamente conto di un intervento clinico con diagnosi e
trattamento del bambino che ha subìto esperienze di maltrattamento e/o di abbandono significa non
affrontare in modo adeguato il problema, rischiando che colui che già è stato vittimizzato dall’ambiente
familiare e sociale sia ulteriormente vittima del sistema istituzionale chiamato a proteggerlo.
Allontanamenti. Un tema particolarmente delicato è rappresentato dagli allontanamenti
dall’ambiente familiare, decisi a volte allo scopo di preservare la genuinità delle rivelazioni di un
bambino presunto vittima di abusi e maltrattamenti, quando si sospetti la loro origine intrafamiliare, per
evitare che i genitori o il genitore maltrattante possa esercitare pressioni o minacce.
Tali provvedimenti sono per loro natura provvisori, ma rischiano, qualora non si fondino su
elementi di realtà sufficientemente corroborati, di produrre conseguenze gravi e durature sull’equilibrio
psichico e adattivo del bambino, legate alle angosce di separazione e agli effetti traumatici generati
da un distacco brusco e immotivato dai genitori. Inoltre, le statistiche più recenti dimostrano che i tempi
di lontananza dall’ambiente familiare tendono a prolungarsi per periodi anche lunghi. Sembra ancora
un percorso troppo consolidato l’istituzionalizzazione del bambino come soluzione alla
inadeguatezza del suo nucleo familiare. Non risulta neppure siano state fatte ad oggi ricerche
esaustive rivolte alle Comunità di accoglienza e che analizzino nel dettaglio variabili di indiscusso
interesse, quali gli effetti del collocamento rispetto al benessere e al percorso di crescita del bambino,
i tempi di permanenza nelle varie Comunità, i costi per lo Stato in temine di gestione e rette pro
capite.
La legge che ha riformato l’istituto dell’adozione, la legge n.149 del 2001, afferma, in attuazione dei
princìpi espressi dalla Convenzione di New York, che il minore ha diritto ad essere educato all’interno
della propria famiglia e che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà
genitoriale non devono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla famiglia. Tuttavia, gli
interventi di sostegno ed aiuto alle famiglie in difficoltà, che dovrebbero essere operativamente
predisposti dai Servizi sociali del territorio e che nelle intenzioni del legislatore nascerebbero da una
concertazione tra Stato, Regioni ed Enti locali nella considerazione delle rispettive competenze, sono
tuttora molto carenti. Scarso continua ad essere il ricorso all’istituto dell’affidamento familiare, che
stenta a decollare nel nostro Paese e comunque spesso, per le modalità con cui viene utilizzato
dall’Autorità giudiziaria, finisce per perdere i suoi connotati tipici di assistenza temporanea e
provvisoria al bambino in difficoltà: l’esperienza di affidamento familiare dovrebbe infatti avere durata
temporanea ed essere accompagnata da un progetto globale sul nucleo familiare che definisca anche
i tempi del rientro del bambino nella famiglia di origine. Ciò non accade, in parte a causa del
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cronicizzarsi della situazione di disagio dei genitori, in parte perché l’affidamento a volte costituisce
l’anticamera dell’adozione, trasformando la coppia affidataria in coppia adottiva. A fronte di questa
tendenza, va infine considerata la consistenza del fenomeno delle richieste di adozione.
Coppie che hanno presentato domanda di adozione, per tipo di domanda
Anno 2003
Valori assoluti e percentuali
Tipo di domanda
V.A.
%
Adozione internazionale
1.012
13,0
Adozione nazionale
1.478
19,0
Adozione sia nazionale che internazionale
5.226
67,1
68
0,9
7.784
100,0
Non indicato
Totale
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
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[Scheda 11]
Bambini ed emergenza. Analisi della casistica del servizio emergenza infanzia
114
Obiettivi ed estensione del Servizio 114 in Italia. Il “114 Emergenza Infanzia” costituisce
un servizio di emergenza accessibile ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni dell’anno, gratuitamente, a
chiunque intenda segnalare situazioni di emergenza e disagio, anche derivanti da immagini, messaggi
e dialoghi diffusi attraverso mezzi di comunicazione di massa o reti telematiche, che possano nuocere
allo sviluppo psico-fisico di bambini e adolescenti (art.1, decreto interministeriale del 14 ottobre
2002).
Il Servizio, a seguito di bando pubblico, è stato affidato in gestione a Telefono Azzurro, che si è
impegnato ad attivarlo in tutt’Italia, definendo un piano di sviluppo progressivo a partire da un
periodo di sperimentazione, iniziato il 26 marzo 2003, nelle città di Milano e Palermo, e nella provincia
di Treviso. Dal 14 maggio 2004 il 114 è stato esteso alle regioni Lombardia, Veneto e Sicilia e dal 28
dicembre 2004 alle regioni Piemonte, Emilia Romagna e Lazio. Entro la fine del 2005 il Servizio sarà
esteso a tutto il territorio nazionale.
Analisi della casistica. Il 114 è dotato di un’infrastruttura tecnologica che consente la raccolta
dei dati relativi ad ogni telefonata, in versione informatizzata. Una scheda informatica – elaborata ad
hoc sulla base dell’esperienza delle linee telefoniche di Telefono Azzurro – consente di disporre di un
data base quotidianamente aggiornato sulla casistica pervenuta al servizio.
Quest’ultimo si articola su due livelli operativi, cosiddetti di front-line e di back-line. Il primo livello
funge sostanzialmente da filtro rispetto alle richieste in entrata, non sempre pertinenti al servizio, e
attualmente registra un numero medio di telefonate giornaliere attorno alle 2.000 unità; tale valore è
progressivamente aumentato in conseguenza dell’estensione del servizio alle diverse realtà regionali.
Il secondo livello di risposta – nel quale operano professionisti specializzati in psicologia,
neuropsichiatria infantile, pedagogia, giurisprudenza, sociologia, assistenza sociale – si occupa
invece della gestione dei casi di emergenza.
I dati analizzati sono quelli relativi ai 691 interventi che sono stati effettuati dall’inizio del Servizio,
dal 26 marzo 2003 al 31 luglio 2005, arco temporale in cui l’estensione del servizio ha coinvolto, in
modo graduale, sei regioni italiane (Lombardia, Sicilia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte). In
particolare, i 691 interventi sono stati così suddivisi:
• 178 interventi effettuati dall’avvio del servizio fino al 13 maggio 2004 (servizio esteso ai Comuni di
Milano e Palermo, e alla Provincia di Treviso);
• 158 interventi effettuati dal 14 maggio al 28 dicembre 2004 (servizio esteso alle regioni Lombardia,
Sicilia, Veneto);
• 355 interventi effettuati dal 29 dicembre 2004 al 31 luglio 2005 (servizio esteso alle regioni
Piemonte, Emilia Romagna e Lazio).
Un’analisi descrittiva dei dati rispetto alla regione di provenienza delle chiamate, evidenzia
frequenze particolarmente elevate per Lombardia e Lazio.
Data l’eterogeneità delle realtà in cui il 114 è attivo, è possibile che il diverso numero di chiamate
a livello regionale rifletta le differenti caratteristiche e necessità del territorio. Trattandosi, però, di un
servizio recente e ancora in fase di estensione, questo dato dipende, almeno in parte, dalle iniziative
locali di comunicazione, finalizzate a promuovere la conoscenza del servizio ed un suo utilizzo
appropriato.
Caratteristiche del campione. I dati mostrano le caratteristiche del campione di bambini e
adolescenti per i quali è stato richiesto l’intervento del 114. Se maschi e femmine sembrano coinvolti
in ugual misura nelle situazioni di emergenza o di disagio, in relazione alla classe di età si può invece
osservare come le segnalazioni pervenute al 114 riguardino nel 61,8% dei casi bambini di età
compresa tra 0 e 10 anni e solo nel 17,3% adolescenti tra i 15 e i 18 anni.
Al crescere dell’età del minore, si rileva dunque una diminuzione delle percentuali di chiamate relative
a situazioni di emergenza. Le telefonate che pervengono al 114, infine, non riguardano solo minori di
nazionalità italiana, ma anche straniera: una percentuale significativa, quasi un quarto delle
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segnalazioni, infatti, si riferisce ad un bambino o ad un adolescente straniero.
Emergenza e 114: le problematiche riferite. La motivazione per cui il 114 viene contattato
più frequentemente è il disagio che deriva al minore dalla separazione altamente conflittuale dei
genitori. In questi casi il chiamante, solitamente uno dei due genitori o un parente vicino al nucleo,
riferisce di una situazione di emergenza relativa al mancato rispetto delle disposizioni di affidamento e
di visita, o alla supposta incapacità genitoriale dell’ex-coniuge, che può comportare un rischio per il
minore sia sul versante della trascuratezza che su quello dell’abuso. Si tratta di telefonate che, nella
maggior parte dei casi, si caratterizzano per una forte emergenza emotiva, al di là della quale è
necessario discernere elementi di reale rischio per il minore. Le altre motivazioni che inducono a
contattare il 114 riguardano da un lato situazioni di grave trascuratezza da parte di adulti che
dovrebbero provvedere alle necessità primarie del bambino (9%); dall’altro, situazioni di violenza di
cui il bambino è vittima diretta (abuso fisico, 9,5%; abuso sessuale, 4,3%; abuso psicologico,
10,7%); o ancora situazioni di violenza tra adulti di cui bambini e adolescenti sono testimoni (violenza
domestica, 8%). È particolarmente interessante l’analisi delle problematiche che caratterizzano le
diverse fasce d’età considerate. Le segnalazioni relative a minori di età inferiore ai dieci anni, infatti,
riguardano prevalentemente situazioni di separazione e conflittualità del nucleo familiare (26,4%),
trascuratezza (11,9%), abuso fisico (10%) e psicologico (10,9%). Tra gli 11 e i 14 anni le chiamate
riguardano per lo più abusi fisici (12,3%) e problemi relazionali con i genitori (11,4%); rispetto alla
fascia di età precedente, sono più elevate le percentuali relative ad abusi sessuali (8,8%),
sfruttamento sessuale (3,5%) e fuga (3,5%). In adolescenza, le problematiche maggiormente
segnalate riguardano invece la fuga da casa (12,5%) ed i problemi relazionali con i genitori (24,%); a
differenza delle precedenti, in questa fascia di età le emergenze possono riguardare anche l’abuso di
sostanze.
Dai dati rilevati dal servizio 114 emerge che la maggior parte delle situazioni segnalate (58,4%)
sono di natura intrafamiliare: avvengono, cioè, all’interno delle mura domestiche dove il minore vive
con entrambi i genitori (53%), con la madre (29%), con il padre (4%) o con un genitore e il suo nuovo
partner (5,2%). Coerentemente con questo dato, nell’88% dei casi la persona indicata dal chiamante
come il presunto responsabile della situazione di pericolo/disagio è uno dei due genitori, con
percentuali di gran lunga superiori a quelle di ogni altra categoria riportata. Nel 4,3% delle chiamate i
presunti responsabili sono, invece, identificati con i nuovi conviventi della madre o del padre. Poiché
un minore può essere coinvolto in una situazione di emergenza in qualità di vittima, testimone o
autore, è interessante evidenziare che nel 2% dei casi la condizione di pericolo è generata da un
minore: ne sono un esempio i casi di bullismo o i comportamenti devianti, che possono verificarsi sia
all’interno della scuola che del quartiere.
Alla luce della casistica fin qui analizzata, si delinea un profilo che accomuna molte delle famiglie la
cui storia giunge all’attenzione del 114. In un consistente numero di chiamate, infatti, le problematiche
riferite sono relative alla famiglia, il luogo del disagio è l’abitazione del minore stesso ed i presunti
responsabili sono i genitori. Si evidenzia dunque una fragilità della famiglia, che in molti casi non è in
grado di configurarsi come un fattore protettivo nello sviluppo di bambini e adolescenti, ed è invece il
luogo in cui essi sono esposti a situazioni potenzialmente pregiudizievoli. Nel descrivere le
emergenze che giungono all’attenzione del servizio 114, un’ultima considerazione riguarda la “durata”
della situazione problematica per la quale viene richiesto un intervento. A questo proposito, emerge
come solo il 14,1% delle telefonate riguardi un’emergenza che si è verificata nel corso delle ultime 24
ore: la maggior parte dei casi segnalati (40,7%) infatti riguarda situazioni che durano da “1 anno” o “2
o più anni”. In questo senso, risulta particolarmente utile considerare l’emergenza come un costrutto
complesso e operare una differenziazione tra emergenza episodica, emergenza cronica ed
emergenza acuta. La prima consiste nel verificarsi di un episodio isolato – come un incidente stradale,
un lutto o l’esposizione a un atto di violenza – che può comportare un rischio di trauma per il minore,
ma è circoscritto in termini spazio-temporali e si caratterizza generalmente per la presenza di risorse
sia nel minore, sia negli adulti di riferimento. L’emergenza cronica, invece, si presenta come una
situazione di grave pregiudizio per il minore e/o di multiproblematicità della sua famiglia, che si
protraggono nel tempo. All’interno di queste situazioni multiproblematiche croniche, poi, è possibile
che si verifichino momenti di emergenza acuta, ad esempio episodi di violenza, che attestano in modo
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eclatante – e spesso drammatico – il prevalere dei fattori di rischio su quelli protettivi. Una parte
preponderante dei casi pervenuti al 114 ha a che vedere proprio con le situazioni croniche e acute,
mentre le emergenze episodiche costituiscono attualmente una minima parte delle chiamate.
Nell’ambito dei quadri cronici, nei quali l’emergenza sembra diventare una “consuetudine”, la gestione
del caso appare particolarmente complessa: tali situazioni necessitano, infatti, oltre che di un
intervento tempestivo nel momento della crisi, di una presa in carico finalizzata ad evitare il reiterarsi
dell’emergenza.
Chi chiama il 114?. Chi si rivolge al servizio 114? Bambini, adolescenti o adulti? E, se adulti,
quale relazione hanno con il minore? Solo nell’8,2% dei casi si tratta del soggetto direttamente
interessato, ovvero il bambino o l’adolescente; nel 91,8% il contatto con il 114 è effettuato da un
adulto, a diverso titolo coinvolto o a conoscenza dei fatti. Coerentemente con quanto evidenziato
dalla letteratura internazionale, sono gli adulti, più che i bambini e gli adolescenti, a connotare una
determinata situazione come “emergenza”, riconoscendone i rischi e le possibili conseguenze.
Nella maggior parte dei casi il chiamante è un vicino di casa (22,1%): si presenta talvolta
come una persona che ha occasione di frequentare il nucleo familiare oggetto della segnalazione,
intrattenendo con alcuni dei membri un rapporto di amicizia; altre volte, come colui che ha occasione di
vedere il minore e i suoi familiari o di ascoltarli in circostanze temporalmente limitate, per lo più favorito
dalla prossimità abitativa. Coerentemente con la letteratura internazionale, i vicini di casa sembrano
ricoprire un ruolo di primo piano nell’emergere di alcune condizioni di pregiudizio che riguardano
bambini/adolescenti, situazioni che il nucleo familiare tenderebbe a tenere nascoste o non è in grado
di rilevare (trattandosi in molti casi, come abbiamo visto, di problematiche che hanno origine all’interno
della famiglia stessa).
Talvolta i vicini forniscono elementi attendibili, costituendosi come una risorsa per il minore e
facilitando un percorso di cura e tutela. Non sempre è così: per questo è di fondamentale importanza
analizzare gli elementi riferiti e comprendere le motivazioni che sono all’origine di una segnalazione.
Coerentemente con quanto in precedenza rilevato in merito alle numerose emergenze che
coinvolgono l’intero nucleo familiare (violenza domestica, separazioni e divorzi, abusi, etc.),
rispettivamente nel 19,1%, nel 12,8% e nel 10,5% dei casi, il chiamante è la madre, il padre o un
nonno del minore. Di rilievo anche il dato relativo all’interessamento di persone estranee, che
costituiscono il 14% dei contatti con il 114: si tratta, per lo più, di segnalazioni relative a bambini
nomadi coinvolti in situazioni di accattonaggio. Nel 3% della casistica il contatto avviene da parte di
una Istituzione: nell'arco temporale di riferimento, sono stati complessivamente 18 i contatti di questo
tipo e hanno riguardato prevalentemente la scuola che ne ha effettuati poco meno della metà. In molti
casi, comunque, il chiamante non è l’unica persona a conoscenza della situazione di disagio vissuta
dal minore: tra gli altri, possono esserne a conoscenza i genitori (nel 54,5%), le madri più dei padri; i
vicini di casa (25,1%); i nonni (18 %). Nel 10,2% dei casi, la situazione di disagio del minore è già
nota anche ad insegnanti e/o educatori.
L’intervento del 114. Nel corso della telefonata, l’operatore del 114 raccoglie gli elementi riferiti
dal chiamante ed effettua una valutazione della situazione in termini di rischio per il minore. Qualora si
configuri una situazione di pregiudizio, il 114 attiva un percorso finalizzato al ripristino di una
condizione di tutela e alla promozione del benessere psico-fisico. Il modello di intervento in
emergenza si snoda secondo alcune fasi principali:
• valutazione della tipologia di emergenza;
• valutazione delle risorse interne ed esterne al minore;
• confronto con altra/e agenzia/e territoriali competenti;
• intervento integrato a livello sanitario e/o sociale e/o giuridico;
• follow up
Non sempre le chiamate pervenute al servizio 114 hanno presentato le caratteristiche
dell’emergenza: un consistente numero di contatti (47,8%), infatti, non ha richiesto un intervento. Ciò
può essere ricondotto a molteplici ipotesi interpretative, per lo più iscrivibili alla comunicazione del
servizio –attualmente limitata a sei regioni – come pure alle difficoltà incontrate nel definire e
circoscrivere un’“emergenza”. Il concetto di “emergenza” del chiamante, infatti, può non coincidere con
quello di coloro che rilevano l’emergenza e che ad essa devono fornire una risposta (Forze
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dell’ordine, 114, 118, Tribunale per i Minorenni). Spesso la definizione dipende dal modo in cui il
chiamante percepisce la situazione che sta vivendo e dalla sua condizione emotiva, che può
trasformare un dato evento, che di per sé non presenta i tratti distintivi dell’emergenza, in un’urgenza
da dover gestire nell’immediato. Nell’analisi della domanda va quindi considerato che la richiesta di un
intervento urgente non vale di per sé a definire l’emergenza della situazione. In alcuni casi,
l’intervento di supporto emotivo al chiamante è sufficiente per la risoluzione di una urgenza che non
presenta reali caratteristiche di rischio per il bambino (urgenza cosiddetta “emotiva”).
Agenzie sul territorio coinvolte dal 114 nella gestione del caso. Le agenzie attivate con
maggior frequenza sono state le Forze dell’ordine contattate nel 41,4% dei casi (112, 113 – Squadra
mobile e Ufficio minori, Vigili Urbani, Polizia di Frontiera). In molte situazioni di emergenza, infatti,
poiché la sicurezza ed il benessere psico-fisico del minore sono in pericolo, è necessario intervenire
immediatamente per tutelarlo e porlo in un contesto protetto. In altri casi la gestione della situazione di
emergenza ha richiesto il coinvolgimento dei Servizi sociali (29,3%) o delle Asl (15,5%): in questo
caso l’obiettivo è quello di promuovere una più accurata valutazione della situazione riferita dal
chiamante, spesso complessa e protratta nel tempo, favorendo una presa in carico da parte dei
servizi che operano sul territorio. Nel 2,4% dei casi, è stato affiancato alle precedenti Agenzie anche
un intervento sanitario in emergenza (118, pronto soccorso). L’Autorità Giudiziaria (Tribunale per i
Minorenni, Procura presso il Tribunale per i Minorenni, Tribunale Ordinario) è stata coinvolta nel 9%
dei casi, ogniqualvolta si sia configurata un’ipotesi di reato o sia emersa una condizione di grave
pregiudizio, rendendosi necessaria l’adozione di provvedimenti immediati a salvaguardia dell’integrità
psico-fisica del minore. Spesso, nella gestione di un singolo caso sono stati contattati dal 114 più
servizi contemporaneamente: all’attivazione di un’agenzia di emergenza, ad esempio, segue con una
certa frequenza quella dei Servizi sociali, della Procura presso il Tribunale per i Minorenni, o di
entrambi. Ciò con l’obiettivo di fornire al minore non solo una risoluzione immediata dell’emergenza
(intervento a breve termine), ma anche di facilitare la costruzione di un progetto a medio-lungo
termine. Un altro dato interessante è quello che evidenzia come, nella maggior parte dei casi, (60%)
le agenzie territoriali contattate dal 114 siano già a conoscenza della situazione che riguarda il minore
o abbiano già in carico il suo nucleo familiare. In molti casi il minore coinvolto o il suo nucleo familiare
hanno avuto un precedente contatto con le agenzie di emergenza: 112, 113, 118, P.S., che sono già
intervenute nel 41,6% dei casi. In particolare, le Forze dell’ordine hanno già effettuato un intervento
nel 39,8% dei casi.
Un significativo numero di casi (14,6%) è inoltre conosciuto dalla scuola che, per la sua
prossimità al minore, emerge come soggetto fondamentale nella rilevazione del disagio infantile e
adolescenziale. Oltre ad essere conosciuto, il 33,7% dei minori (e dei nuclei familiari) segnalati al 114
sono seguiti da una o più agenzie del territorio. Coerentemente con quanto atteso, la maggioranza di
questi casi è seguita da una, o, contemporaneamente, da più agenzie del territorio deputate alla
strutturazione di progetti a medio e lungo termine (Servizi Sociali dei Comuni, 46%; Asl 12,6%;
Tribunale per i Minorenni, 28,7%; Tribunale Ordinario, 14,9%; Procura presso T.M., 6,9%). Qualora
il minore o il nucleo familiare siano seguiti, il 114 provvede ad aggiornare l’agenzia territoriale con gli
elementi pervenuti, coordinando il proprio intervento con il progetto di aiuto e sostegno già delineato.
I minori stranieri al 114. Data la significativa percentuale dei casi riguardanti minori stranieri o
nomadi, si ritiene opportuno porre attenzione ad un’analisi più approfondita della casistica che li
riguarda.
Nella valutazione del caso, particolare attenzione viene prestata dall’operatore del 114 agli
aspetti socio-culturali, religiosi, giuridici. In accordo con l’esperienza maturata, questi elementi
consentono, infatti, di leggere in modo più appropriato la situazione di emergenza e di progettare in
modo più efficace l’eventuale presa in carico del minore. Sul totale di segnalazioni riguardanti minori
stranieri, la maggior parte dei bambini e dei ragazzi che hanno richiesto o per i quali è stato richiesto
aiuto al 114 proviene dai paesi dell’Europa dell’Est (36,2 %). Seguono l’America del Sud (13,5 %) e
l’Africa Settentrionale (12,8 %). La tipologia di minori stranieri che più frequentemente viene segnalata
o chiama il 114 (tabella 16) è quella della cosiddetta “seconda generazione”. In particolare, il 36,6%
delle chiamate riguarda i “minori ricongiunti”: questi, come coloro che emigrano insieme ai genitori,
vivono in prima persona il percorso migratorio, che può rappresentare un’esperienza traumatica e
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avere un effetto destabilizzante, poiché richiede un rapido adattamento ad una nuova realtà e una
ristrutturazione in termini percettivi, spaziali e temporali. Ciò è confermato anche dal fatto che il 5,5%
delle motivazioni per cui viene contattato il 114 da minori di nazionalità straniera è rappresentato da
problematiche relative al percorso migratorio. Molte chiamate (19,5%) riguardano minori nomadi, che
spesso vengono segnalati al 114 per situazioni di accattonaggio, spesso riguardanti bambini molto
piccoli in presenza di adulti di riferimento. Tali segnalazioni consentono di monitorare la diffusione
territoriale del fenomeno, particolarmente frequente nei grandi centri urbani. In base ai dati del servizio
114, è possibile delineare una classificazione delle problematiche più frequentemente riferite a minori
stranieri e nomadi, identificare quali accomunino i minori italiani e stranieri, e quali invece interessino
prevalentemente gli uni o gli altri. Nel caso dei minori italiani, quasi la metà dei casi segnalati rientra
nelle seguenti categorie: separazione dei genitori (18%), abuso psicologico (10 %), violenza
domestica (9,8 %) e abuso fisico (8,8 %). Per quanto riguarda i minori stranieri, più della metà delle
situazioni riportate (53,9%) sono relative a situazioni di trascuratezza (18,8%), abuso psicologico
(12,7 %), abuso fisico (11,5 %) e lavoro minorile (10,9 %).
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[Scheda 12]
Il progetto di legge sull’affidamento condiviso e la mediazione familiare
Instabilità coniugale. Un parametro significativo al quale i sociologi fanno riferimento per l’analisi
della famiglia contemporanea è quello della instabilità coniugale, fenomeno meno sviluppato in Italia
rispetto ad altri paesi, ma che sta assumendo una portata sempre maggiore. Una seppur sommaria
analisi dei dati statistici dimostra come dal 1970, anno in cui è stato introdotto nel nostro ordinamento
l’istituto dello scioglimento del matrimonio, il numero dei divorzi si è mantenuto intorno ai 12.000 casi
ogni anno, ma è poi cresciuto gradualmente a partire dal 1982, toccando nel 1986 la soglia dei 17.000
casi. Dopo la modifica della durata della separazione nel 1987, si è arrivati nel 1989 a 30.314 divorzi.
La lettura dei dati dimostra come anche negli anni a noi più vicini la separazione e il divorzio siano
fenomeni in costante crescita.
Un’analisi più dettagliata del fenomeno mette in luce come sussistano forti differenze tra le diverse
zone del Paese: in principal modo spiccano le cifre rilevate nel Nord Italia che raccoglie, all’incirca, la
metà della casistica sia per le separazioni che per i divorzi. A livello regionale, per il 2003, i valori
massimi si raggiungono in Valle d’Aosta (8,9 separazioni e 4,4 divorzi ogni 1.000 coppie coniugate),
in Liguria (8,4 separazioni e 5,3 divorzi ogni 1.000 coppie coniugate) e nel Lazio (8,2 separazioni e
3,9 divorzi ogni 1.000 coppie coniugate); i valori minimi si registrano invece in Calabria (2,7
separazioni e 1,4 divorzi) e in Basilicata (2,0 separazioni e 1,2 divorzi). La diffusione dei fenomeni di
rottura dell’unione coniugale (alla quale deve essere aggiunto quello, ancora non monitorato, della
rottura delle convivenze more uxorio) determina un costante aumento dei figli minori coinvolti nelle
vicende di crisi della famiglia. Nel 2003, il 52,2% delle separazioni e il 36,9% dei divorzi hanno
riguardato coppie con figli avuti durante l’unione (tabelle 3 e 4): i figli coinvolti nella crisi coniugale
sono stati complessivamente 62.050 nelle separazioni e 20.627 nei divorzi.
Tipologie di affidamento: l’affidamento monogenitoriale. Con la riforma della legge sul
divorzio cui si è fatto cenno, operata dalla legge 74/1987, sono state introdotte nel nostro
ordinamento due tipologie di affidamento che si affiancano a quello esclusivo ad uno solo dei genitori:
l’affidamento congiunto e l’affidamento alternato. I dati statistici rilevano come l’affidamento più diffuso
nella prassi sia, in ogni caso, l’affidamento monogenitoriale.
Figli minori affidati in separazioni per tipo di affidamento, ripartizione geografica, rito di chiusura del procedimento e classe di età del minore
affidato
Anno 2003
Valori assoluti e percentuali
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Ripartizioni geografiche
Nord
Centro
Mezzogiorno
Rito di chiusura
Consensuale
Giudiziale
Classi di et dellaffidato
0-5
6-10
11-14
15-17
Totale
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
Figli minori affidati nei divorzi per tipo di affidamento, ripartizione geografica, rito di chiusura del procedimento e classe di età del minore affidato
Anno 2003
Valori assoluti e percentuali
49
T
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affidati
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Ripartizioni geografiche
Nord
Centro
Mezzogiorno
Rito di chiusura
Consensuale
Giudiziale
Classi di et dellaffidato
0-5
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Totale
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6
2
7
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
Affidamento esclusivo. In quello esclusivo il minore viene affidato ad uno solo dei genitori: il genitore affidatario convive con il
figlio e su questo esercita la potestà. Ciò significa che il genitore affidatario dovrà seguire il minore nella sua crescita, psichica e
fisica, soddisfacendo le sue necessità e provvedendo alle sue esigenze quotidiane, compiendo in modo autonomo le scelte di
ordinaria amministrazione e rispondendo della sua sorveglianza. Fermo ogni obbligo relativo al mantenimento, il genitore non
affidatario, al quale sia riconosciuto il cosiddetto diritto di visita, potrà partecipare alle decisioni di maggior interesse per il figlio, e
dovrà vigilare sull’istruzione ed educazione impartite dal genitore affidatario; al potere di vigilanza è connessa la legittimazione ad
adire il giudice qualora si ritenga che il genitore che esercita la potestà compia per il figlio scelte contrarie al suo interesse (art. 155,
comma 3, C.c.). Per quanto concerne le scelte di maggiore interesse per il figlio, occorre osservare come si tratti di una
espressione dal contenuto indefinito, nella quale la dottrina più moderna intende ricomprese, ad esempio, quelle in ordine alla
scelta della scuola, alla adesione ad un determinato viaggio o alla sottoposizione ad un determinato trattamento sanitario. Al
contrario, la giurisprudenza tende a limitare la nozione a quelle decisioni che coinvolgano la sua salute o eventualmente incidano
sul rapporto con entrambi i genitori e con la famiglia. Tale interpretazione restrittiva si giustifica in considerazione dell’opportunità
che il potere decisionale relativo agli aspetti “quotidiani” della vita del figlio spetti esclusivamente al genitore che più da vicino si
occupa della cura del minore e che per questo motivo può meglio valutare la corrispondenza delle scelte da effettuare al suo
concreto interesse. Inoltre, così facendo, si evita che un’eccessiva ingerenza del genitore non affidatario paralizzi lo svolgimento
delle attività quotidiane del figlio. Come si diceva, al genitore non affidatario spetta, secondo le modalità previste dalla sentenza di
50
% di minori
affidati
Al padre
5,8
4,7
6,3
5,4
6,7
3,7
3,8
5,8
9,1
5,7
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separazione, il diritto di far visita al figlio. Anche in questo caso, però, più correttamente si deve parlare di munus, volto alla
soddisfazione del diritto della prole ad essere istruita ed educata e a mantenere un significativo rapporto con entrambe le figure
genitoriali. Per questo motivo il giudice potrà non riconoscere ildiritto di visita al genitore nel caso in cui ricorrano gravi e comprovati
motivi di contrasto con l’interesse fondamentale del minore. Quanto alla frequenza di visita del genitore non affidatario essa, nella
maggior parte delle separazioni (53,3%), è fra i 2 e i 6 giorni alla settimana. I dati statistici infine mettono in luce la netta tendenza
ad affidare i figli minori, specialmente sé in tenera età alla madre.
Separazioni dei coniugi per ripartizione geografica e frequenza delle visite ai figli minori da parte del genitore non affidatario
Anno 2003
Valori percentuali
Frequenza visite
Totale
Ripartizioni
geografiche
Nord
Centro
Sud
Tutti i giorni
15,8
15,6
20,3
12,7
2-6 volte a settimana
53,3
49,4
51,7
60,8
1 volta a settimana
22,2
23,6
21,0
20,7
1-3 volte al mese
7,2
10,0
5,9
3,9
Qualche volta allanno
1,2
1,0
0,9
1,6
Mai
0,3
0,4
0,2
0,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Fonte: Elaborazione Telefono Azzurro su dati Istat, 2005.
[Scheda 13]
Indagine esplorativa sulla percezione e il significato dell’emergenza negli adolescenti
L’esperienza di Telefono Azzurro nella gestione delle emergenze che coinvolgono bambini ed adolescenti
e la necessità di indagare il fenomeno della percezione. Telefono Azzurro, da diversi anni, studia ed elabora progetti di
intervento a sostegno e tutela dei bisogni e dei diritti di bambini e adolescenti coinvolti in situazioni di emergenza, quali: casi di
abuso fisico e psicologico, trascuratezza, violenza domestica, abuso di alcol e farmaci, suicidio, fuga da casa, ma anche calamità
naturali come ilterremoto. Da qui l’esperienza del Team Emergenza e le diverse collaborazioni internazionali hanno consentito la
messa a punto di un modello specifico di intervento che ha dato origine al Servizio Emergenza Infanzia 114. Tale servizio
accoglie segnalazioni di situazioni in cui l’integrità psico-fisica di un bambino o di un adolescente è in pericolo o a rischio di trauma.
Nella prima fase di attivazione del Servizio, che ad oggi interessa sei regioni ma che entro il2005 coprirà tutto il territorio nazionale,
ci si è interrogati su come comunicare ai cittadini l’esistenza del 114, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza di questo nuovo
numero di emergenza così come di promuoverne un corretto utilizzo.
Indagine esplorativa sulla percezione delle emergenze da parte degli adolescenti nei luoghi di vacanza. La
prima parte dell’indagine riguarda la percezione dell’emergenza da parte degli adolescenti rispetto a situazioni di rischio o pericolo
che possono verificarsi d’estate, in vacanza. L’indagine si è focalizzata sulla percezione delle possibili emergenze nei luoghi di
vacanza, proprio perché le vacanze rappresentano, di solito, un periodo di sperimentazione di maggiore autonomia e di
“autogoverno” da parte dei ragazzi.
Il campione. La ricerca non si è posta nella prospettiva della rappresentatività campionaria e di conseguenza la
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compilazione del questionario non è stata soggetta a particolari preclusioni geografiche o altre stratificazioni, se non quelli relativi
alla fascia di età. Hanno risposto al questionario 374 ragazzi, con un’età compresa tra i 13 e i 18 anni, di ambo i sessi. I
questionari validi sono stati 373, con uno solo nullo. La distribuzione del test è avvenuta in spiaggia. I volontari preposti alla
distribuzione hanno sottolineato come non esistessero risposte “giuste” o “sbagliate” e hanno svolto la funzione informativa
sull’attività del 114 solo dopo la compilazione del test.
I risultati del test: il profilo prevalente. Il questionario è stato strutturato come test, ossia con una interpretazione data
sulla base delle risposte del soggetto. Il test individuava tre diversi tipi di profilo: A) superficiale, il ragazzo che presta poca
attenzione alle possibili conseguenze negative di azioni o situazioni di rischio; B) ansioso/indeciso, che pur avendo una buona
percezione dei rischi e dei pericoli di certe situazioni fa fatica a scegliere la risposta giusta e spesso si lascia prendere dall’ansia;
C) consapevole nel fronteggiare le situazioni di emergenza, consapevole dei rischi e in grado di chiedere aiuto quando la
situazione lo richiede. I risultati del test, se ci si ferma alla sola lettura del risultato finale e cioè quello dell’appartenenza a uno dei tre
profili sopra indicati, appaiono piuttosto rassicuranti: oltre il 72% dei ragazzi che hanno risposto al questionario rientrano nel
profilo C. La stragrande maggioranza del campione, quindi, mostra di essere ben avvertita e consapevole dei rischi e dei pericoli
che possono trasformare situazioni banali, apparentemente non preoccupanti, in vere e proprie emergenze.
Le situazioni avvertite come maggiormente a rischio e quelle temute di meno. Hanno mostrato i ragazzi poca
incertezza sul da farsi rispetto alla situazione in cui si incontra un bambino piccolo da solo, all’imbrunire, nel camping: ben il90,8%
del campione ha fornito la risposta, che prevede di accompagnare il bambino alla direzione del campeggio, una percentuale
superiore anche alla media del 72,2% totalizzata dal profilo. Solo il 2,9% lascerebbe solo il bambino per andare a chiamare
aiuto, e una piccola percentuale (5,9%) lo porterebbe a giocare su di uno scivolo. Questo tipo di situazione è, dunque, quella
avvertita come maggiormente rischiosa da ragazzi e adolescenti che, quasi nella totalità dei casi, si adopererebbero per
salvaguardare l’incolumità del piccolo che si è smarrito, adottando un comportamento di tipo “emergenziale”. Al secondo posto
come tipo di situazione che desta forte preoccupazione e che indirizza iragazzi alla scelta di un comportamento “attivo”, troviamo
l’ipotesi in cui un amico, ad una festa in casa e dopo aver bevuto un certo numero di bicchieri d’alcool, sembra dormire sul
muretto: il 66,2% dopo aver tentato di farlo reagire chiamerebbe in aiuto un adulto che si trova in casa mentre una percentuale
non trascurabile, il 14,2%, chiamerebbe addirittura i genitori del ragazzo, anche se resta una quota vicina al 20% (17,9%) che si
limiterebbe a pensare: “Beato lui!”. In sequenza, l’altra situazione che viene percepita come fortemente pericolosa è quella
dell’incontro con un uomo in una situazione non sicura, (da soli sulla spiaggia di una discoteca) che fa domande strane: il 63,5%
si alza senza rispondergli e va a raggiungere gli amici, solo il 9,3% inizia a chiacchierare e beve un bicchiere con lui, mentre ben il
26,8% pur rimanendone affascinato (è un tipo simpatico) tiene sempre a mente che è meglio non fidarsi degli sconosciuti.
Sorprendentemente, ma non troppo, se si pensa alla rilevanza data ai recenti casi di cronaca, la domanda relativa alla possibilità
dello scoppio di una rissa tra amici a causa di una ragazza, preoccupa abbastanza gli adolescenti: il 62,2% dei ragazzi testati, in
questa situazione, dopo aver tentato invano di far smettere gli amici che insistono con fastidiosi apprezzamenti, richiederebbe
l’aiuto di un adulto, solo l’8,5% affronterebbe la questione con una bella scazzottata anche se una percentuale che si avvicina al
30% (26,8%) non si immischierebbe per “non trovarsi nei guai”. Le due situazioni, in merito alle quali c’è meno preoccupazione
rispetto ad una possibile evoluzione in senso emergenziale da parte degli adolescenti, sono quelle dell’allontanamento di un
amico da casa che viene a trovarci in spiaggia senza avvertire i genitori e del passaggio su un motorino da parte di un ragazzo
appena conosciuto, sebbene in un contesto tutto sommato tranquillizzante, come quello di una partita di beach volley. Nel caso
del ragazzo che all’insaputa dei suoi genitori ha raggiunto l’adolescente nella località di mare, quasi la metà del campione (49,6%)
chiamerebbe subito i genitori insieme all’amico per avvertirli, il27,6% rimanderebbe la questione a dopo, reputando l’amico con
sé al sicuro e ben il 23,3% non se ne preoccuperebbe, valutando se stesso e il proprio amico come “già grandi”. L’ultima
domanda, infine, rappresenta la situazione di maggior dubbio: ben il 37,8% si chiederebbe se è il caso di fidarsi o meno di chi si
è appena conosciuto, mentre un 21,1% accetterebbe senza problemi il passaggio, anche se una percentuale comunque
molto alta, il 41% lo rifiuterebbe decisamente, decidendo senz’altro di andare a piedi.
Conclusioni. Dall’analisi dei dati sembrerebbe emergere un quadro abbastanza rassicurante sulla capacità degli
adolescenti di percepire correttamente le situazioni di rischio suscettibili di sfociare in emergenza e di adottare comportamenti
adeguati alla circostanza. Questo risultato “rassicurante” va però interpretato alla luce di alcune considerazioni di tipo qualitativo.
La prima, abbastanza ovvia, riguarda la circostanza che non sempre alle risposte date ad un test corrispondono
comportamenti conseguenti. In altre parole, la prevalenza del profilo C nel nostro campione non implica che quegli stessi
adolescenti, nel caso in cui si trovassero concretamente nelle situazioni indicate, adotterebbero necessariamente il tipo di
comportamento scelto. Quello che interessava rilevare era proprio la loro percezione, dunque il loro grado di consapevolezza
rispetto a situazioni di “potenziale” emergenza che possono verificarsi in luoghi di vacanza, dove generalmente si presta meno
attenzione ai rischi in cui ci si può imbattere. Sotto questo punto di vista, in effetti, il campione da noi testato ha mostrato, per
un’ampia maggioranza, di avere un’ottima consapevolezza rispetto a situazioni di rischio che possono determinare l’insorgere di
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un’emergenza. L’altra considerazione riguarda la composizione del nostro campione: non tutti i ragazzi avvicinati dai volontari
hanno accettato di compilare il test. In generale si è riscontrata una netta demarcazione tra quelli che hanno mostrato da subito
interesse e curiosità rispetto all’argomento (e che poi hanno accettato di compilare il test) e quelli che hanno, altrettanto
immediatamente, rifiutato l’approccio. Da ciò si può arguire che gran parte dei ragazzi che hanno compilato iltest facevano parte
di un gruppo già, in qualche modo, sensibile all’argomento. D’altra parte è anche vero che la mancanza di interesse, da parte dei
ragazzi che non hanno compilato ilquestionario, non è assolutamente interpretabile in senso predittivo in termini di nessun tipo di
risposta specifica a situazioni di emergenza. Questa annotazione mira semmai a sottolineare l’esigenza di allargare questo tipo
di indagine ad un campione più vasto, affinché sia possibile verificare i risultati emersi durante questa prima ricognizione sulla
tematica “emergenza” così come viene percepita dagli adolescenti.
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[Scheda 14]
Aspetti organizzativi e formativi per la partecipazione del non profit al lavoro di rete per la
gestione dell’emergenza nell’infanzia e nell’adolescenza
Il lavoro di rete è il fondamento di un servizio di Emergenza, poiché esso richiede la inevitabile partecipazione di saperi
interdisciplinari,diintegrazioni professionali,di collaborazioniinteristituzionalial finedi affrontare nel modo più adeguato possibile le
situazioni di emergenza. Questo significa implementare una stretta collaborazione con tutte le strutture e i servizi del territorio. In
questo processo, un ruolo significativo è assunto non solo dai servizi pubblici, ma da tutti quegli attori sociali che, per
competenza e per radicamento territoriale,possono contribuire alla prevenzione e alla gestione dei casi di emergenza. In questi
ultimi anni, tra i numerosi attori sociali, le associazioni di non profit hanno assunto un ruolo decisivo. Il lavoro di rete è caratterizzato
da un legame debole, ovvero da un sistema di collaborazione ed interazione basato non su princìpi gerarchici ed
istituzionalizzati tra i nodi della rete, ma su un processo negoziale strutturato sulla conoscenza reciproca, sulla valorizzazione
delle differenziazioni di servizio, sulla condivisione non ideologica, ma politica delle modalità di intervento. In questo caso con il
termine politico si intende quel processo di negoziazione e di contrattazione che si oppone al concetto ideologico di imposizione
dei saperi, delle azioni e delle strategie. È in questo contesto che si deve inquadrare il ruolo che le associazioni non profit hanno
conquistato in questi ultimi anni. Un ruolo sempre più importante di intervento nella promozione del benessere in funzione delle
specificità territorialie delle differenziazioni locali: quanto maggiore è la necessità di intervenire sul territorio secondo conoscenze
locali e concrete, con rapidità e professionalità (e non solo con la volontarietà), con interdisciplinarietàe commistioni di saperi, tanto
più importante è il ruolo attribuito e riconosciuto alle organizzazioni di non profit per il benessere sociale. A partire dall’esperienza
maturata da Telefono Azzurro in 18 anni di attività, è possibile analizzare più in dettaglio ilcambiamento del ruolo registrato in Italia
in questo ultimo decennio e sulle specificità di un settore che sempre più richiede competenze specifiche (non traslate o ereditate
da altri contesti), modelli organizzativi attenti alle sue peculiarità, consapevolezze progettuali e consulenziali per la gestione dei
casi di emergenza e per la prevenzione del disagio infantile ed adolescenziale.
Modelli gestionali nel non profit e criteri di qualità. Si assiste sempre più all’esigenza di nuovi sistemi organizzativi e
gestionaliper facilitarequella necessaria trasformazione delle modalità di organizzazione secondo modelli che ilpiù delle volte non
sono stati pensati e costruiti per il non profit. Nella maggior parte dei casi i modelli di gestione tradizionali rispondono ad una
precisa esigenza: razionalizzare le risorse e valutare oggettivamente il rapporto costi-benefici. Tali modelli richiedono una più
precisa formalizzazione degli obiettivi e delle procedure di intervento al fine di raggiungere un utilizzo efficiente delle risorse a
disposizione e soprattutto di quelle raccolte sul territorio. Una maggiore attenzione da parte del settore pubblico sull’efficacia
dell’intervento del non profit, così come l’esigenza di dare evidenza delle azioni sul territorio realizzate a fronte delle donazioni dei
cittadini, anche se richiede un sistema di gestione meno arbitrario, basato sull’evidenza e sui princìpi di valutazione oggettiva,
non deve passare necessariamente dalla pura imitazione di modelli manageriali del mondo profit. Deve piuttosto svilupparsi
secondo percorsi originali e propri della cultura della solidarietà che tanto permea ilcontesto del non profit. Almeno così dovrebbe
essere. Solo per fare un chiaro riferimento a quanto finora detto, basti pensare al ruolo determinante attribuito alla dimensione
relazionale e personale non solo nello sviluppo e nella progettazione delle azioni sul territorio, ma anche nella gestione delle
risorse interne nei contesti non profit. Il coinvolgimento, il senso di appartenenza e la dimensione relazione nel non profit non solo
contano moltissimo ma ne caratterizzano profondamente le dinamiche. Telefono Azzurro da anni si occupa e si preoccupa di
avere un sistema di qualità efficace. Dal giugno del 2004, ilCentro Nazionale di Ascolto di Milano ha ottenuto la certificazione per
la corretta applicazione delle normative ISO 9000-2001. Tale sistema è stato realizzato puntando molto sul riconoscimento del
valore relazionale, dando pieno diritto di cittadinanza ai processi partecipativi sia nelle fasi di studio, di progettazione e di
realizzazione del sistema di qualità, sia nel caso di ampliamento delle procedure relative alla gestione del servizio in generale. Il
ruolo del non profit non è solo quello di rispondere alla necessità di servizi non più offerti dal welfare state, ma di partecipare in
maniera complementare ed attiva ad un impegno sociale, morale ed etico di sviluppo di cultura della relazione e del benessere
sociale. Nel caso specifico di Telefono Azzurro si tratta di partecipare in maniera attiva allo sviluppo di una reale e concreta cultura
per l’infanzia.
Il ruolo del non profit in Italia e l’esperienza di Telefono Azzurro. In questo processo la storia di Telefono Azzurro è
un esempio significativo, poiché rappresenta un’associazione non profit nata per dare voce ad un disagio sociale infantile, in un
momento storico in cui era stata data poca attenzione a tale fenomeno. Non è un caso che il rapporto con gli Enti pubblici sia
stato caratterizzato da una forma di relazione ambivalente fin dall’inizio: dall’aperta competizione (fase iniziale di sottolineatura
dell’esistenza del fenomeno dell’abuso sessuale nel mondo dell’infanzia),alla collaborazione di tiposussidiario, fino alla relazione
complementare che riteniamo essere la forma più matura di relazione tra non profit e Stato. Fin dal suo nascere, il Telefono
Azzurro si è posto nella logica di offrire ciò che difficilmente veniva garantito dai servizi territoriali:un canale di ascolto telefonico per
54
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l’infanzia e l’adolescenza, per la prevenzione dei casi di abuso e la gestione e segnalazione di questi alle autorità competenti.
Ancora oggi il fenomeno dell’abuso sessuale risulta essere caratterizzato da un profondo ed ampio sommerso, come indicato
dalle ricerche del Centro Studi di Telefono Azzurro (Rizzoli, 2003). Fin dall’inizio il sistema di attribuzione dei servizi pubblici al non
profit ha risposto prevalentemente alla logica della valutazione dei costi (il prezzo più basso permetteva l’attribuzione di incarico)
e solo secondariamente alla logica della qualità riconosciuta e comunemente condivisa ed analizzata. Con lo sviluppo e la
promozione del concetto di sussidiarietà (come è possibile riscontrare nelle principali normative sul lavoro di rete e sul ruolo del
non profit) le istituzioni, riconoscendo il valore professionale e la qualità del servizio offerto dal privato sociale, hanno iniziato a
delegare maggiormente la gestione di alcuni servizi territoriali non più sulla base del costo o della logica di mercato del ribasso,
quanto piuttosto su princìpi di qualità e di efficacia dichiarata e riconosciuta. Il non profit è stato valutato per le sue qualità di
intervento e per la sua capacità di integrazione con i servizi del territorio in una logica di rete e secondo una prospettiva di
collaborazione di tipo sussidiaria: ovvero capace di offrire servizi ad elevati standard di qualità al posto degli Enti pubblici in un
rapporto di stretta collaborazione. Il concetto stesso di sussidiarietà, tuttavia, ancora oggi non riesce a dare pieno diritto al valore
che, nella Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, si dà al ruolo del privato sociale,
soprattutto quando si fa riferimento alla rete ed alla compartecipazione del privato sociale negli interventi territoriali e nella
valutazione della loro efficacia e qualità. Uno degli aspetti forti della rete (quella rete che la Legge Quadro intende promuovere e
rendere realmente funzionale) è proprio l’equo valore e il comune impegno attribuito e riconosciuto a ciascun nodo della stessa
rete per l’offerta di un servizio di qualità. Ciò che rende funzionale questo meccanismo, è proprio iltipo di legame tra inodi della rete
e quello che, in gergo tecnico, si definisce “legame debole”, basato più sulla funzionalità e sul valore aggiunto dato dalla
compartecipazione di ogni nodo della rete secondo una logica non più gerarchica, ma basata sulla compartecipazione e sulla
valorizzazione delle differenze dei singoli nodi della rete.
Il servizio Emergenza Infanzia 114 e il lavoro di rete: la logica della complementarietà. L’esperienza di Telefono
Azzurro sembra andare verso questa nuova prospettiva, soprattutto in relazione ad un nuovo servizio come il Servizio
Emergenza Infanzia 114, costruito e progettato proprio all’interno di una logica condivisa, secondo un modello di definizione dei
parametri di qualità e nel rispetto della complementarietà. Tale servizio costituisce uno strumento di presa in carico delle situazioni
di emergenza che coinvolgono bambini e adolescenti. L’attuazione di questo servizio ha evidenziato l’importanza e l’efficacia del
lavoro di rete con tutte le istituzioni e i servizi preposti alla tutela dell’infanzia, in cui intenti e procedure siano condivisi e condivisibili.
Il servizio infatti è stato caratterizzato fin dai suoi albori dalla stretta collaborazione tra non profit e Stato per la definizione di criteri di
valutazione e di progettazione del serviziosecondo un modello dilavoro fondato sulla logica della complementarietà. Fin dall’inizio
è risultato significativo, nel caso specifico del Servizio Emergenza Infanzia 114, ilruolo attribuito dall’Ente pubblico al non profit per
lo sviluppo del servizio di emergenza. Questo servizio di pubblica utilità affidato dallo Stato al Telefono Azzurro, che per storia
ed esperienza è risultato il più idoneo alla gestione del servizio stesso, ha anche attribuito una forte legittimazione a progettare e
sviluppare accordi con iservizi del territorio per la gestione dell’Emergenza in una logica di complementarietà. Non più, quindi, un
Ente pubblico che ricerca con la logica del ribasso il non profit più adeguato per la realizzazione di un servizio. La linea di
Emergenza Infanzia 114 ha il compito di gestire quelle situazioni in cui sono coinvolti bambini e adolescenti e in cui sussiste un
pericolo per l’incolumità psico-fisica,per la quale sia necessario un intervento immediato di tutela;le modalità vengono concordate
e condivise con ireferenti delle Agenzie competenti (118, 113; 112; 115; etc.). Ecco perché risulta interessante ai finidell’analisidel
ruolo del non profit nel contesto italiano l’esperienza di Telefono Azzurro, alla luce della legittimazione riconosciuta per la
costituzione di modalità di collaborazione con i servizi pubblici per l’intervento in situazione di emergenza. Proprio perché la
gestione dell’emergenza si fonda sul lavoro di rete e il servizio telefonico offerto dal Servizio Emergenza Infanzia 114 non è
sufficiente per la qualità degli interventi. Lo sviluppo di un servizio come questo gestito dal non profit impone una partecipazione
di tipo complementare e non più solo sussidiaria. Per esemplificare, la complessità del fenomeno dell’abuso sessuale richiede
una specifica sistematicità e organicità degli interventi, sia nelle azioni di presa in carico dei casi, sia nelle azioni preventive. Tra
queste azioni,certamente,assumono un ruoloimportante,oltreallarilevazione,all’individuazioneeall’ascoltodellerichiested’aiuto,
anche la corretta valutazione del caso e la costruzione del conseguente percorso di attivazione dei servizi territoriali più idonei. A
tal fine, l’unico modello funzionale che dovrebbe guidare il lavoro dell’attivazione dei servizi del territorio, sia immediato sia
successivo all’emergenza, è quello di rete, che prevede la stretta collaborazione di tutte le agenzie interconnesse tra loro, con ruoli
e compiti espressamente complementari e non sovrapponibili. Tale modello non può che nascere dalla piena consapevolezza
che, per la gestione di un problema assai complesso come quello dell’abuso nell’infanzia e nell’adolescenza, si deve
necessariamente rispondere e intervenire attraverso strategie “integrate” di intervento e attraverso un modello multiagency. Ciò
impone la contrattazione di procedure comuni con i diversi servizi locali. L’esempio del servizio Emergenza Infanzia 114 indica
chiaramente che per lapromozione dellaqualità risultaprioritariopromuovere e sorreggere una concezione della qualitàcapace di
intaccare «l’equazione qualità uguale a razionalizzazione delle procedure sulla base della fissazione di obiettivi neutralmente
definiti» (Fazio, 2000). Grazie alla legittimazione acquisita nei confronti dell’Ente pubblico ed alla condivisione di criteri di
55
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valutazione dell’efficacia del servizio offerto con l’esperienza di Telefono Azzurro, si è ipotizzato lo sviluppo di un sistema e di
strumenti di progettazione e rilevazione di qualità secondo un approccio complementare in grado di:
• evidenziare in maniera chiara e trasparente (anche con strumenti come il bilancio sociale o il social audit) l’impatto sociale del
servizio Emergenza Infanzia 114;
• sviluppare un sistema di autoriflessione e di analisi per analizzare il proprio modo di agire e l’adeguatezza dei risultati
conseguiti;
• creare le condizioni per una maggiore partecipazione attiva da parte del cliente interno ed esterno per il miglioramento del
servizio (anche attraverso il processo di certificazione ISO 9000 - 2001);
• consentire all’organizzazione la piena diffusione delle informazioni per assicurare lo statuto pubblico del proprio agire e delle
modalità adottate;
• favorire una declinazione relazionale del sistema di qualità, permettendo a tutti gli attori dell’organizzazione una piena
partecipazione nella valutazione del grado di soddisfazione dei bisogni, anche quelli meno predefiniti in termini astrattie
generalizzati;
• favorire un processo di analisi continua dell’agire organizzativo per evitare iltotale affidamento al sistema di certificazione come
unico indice di efficacia ed efficienza. Ciò implica un superamento del sistema formale di valutazione sulla base dei soli
criteri standard e lo sviluppo di un sistema e di analisi interattivo e dinamico capace di agire in maniera contestualizzata.
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[Scheda 15]
Presa in carico del minore autore di reato in una prospettiva di intervento di rete
Il profilo degli adolescenti presi in carico dai servizi della giustizia penale minorile. In
questi anni sono emersi nuovi profili di adolescenti devianti ed è maturata pertanto la necessità di
sperimentare nuove tipologie di risposta e di intervento che risultino maggiormente strutturate e
mirate. È possibile raggruppare queste nuove forme di disagio giovanile sulla base dell’analisi della
letteratura e dei dati, a livello nazionale, sulle principali tipologie di adolescenti autori di reato presi
attualmente in carico dai servizi della giustizia minorile.
Il primo raggruppamento comprende coloro che esprimono le loro difficoltà sul piano della
relazione, della comunicazione e della costruzione della propria identità, attraverso comportamenti
devianti di valenza espressiva, quali il bullismo o altre forme di violenza interpersonale. Nel 5°
Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Eurispes e Telefono Azzurro,
2004), si parla a questo proposito di una nuova forma di devianza, espressione del “malessere del
benessere”, che vede infatti spesso coinvolti giovani la cui condotta precedente è stata del tutto
irreprensibile, che fanno parte di famiglie benestanti e colte le quali, ad un’analisi molto approfondita,
si rivelerebbero invece disfunzionali al loro interno perché conflittuali e disaggregate, perché
disattente e indifferenti. Per quanto riguarda le presenze di minorenni negli IPM secondo il reato più
grave dai dati relativi al 1° semestre 2005 emerge che su un totale complessivo di 474 soggetti, 60
sono colpevoli di reati contro la persona; di questi, 38 sono italiani mentre 22 stranieri. Il dato cambia
notevolmente per le presenze relative ai reati contro il patrimonio, che vedono coinvolti ben 312
soggetti, di cui 171 stranieri. I detenuti minorenni risultano pertanto essere prevalentemente autori di
delitti contro il patrimonio, molto più di quanto ciò avvenga per gli autori maggiorenni. Ma anche il dato
relativo ad altri tipi di reati (quali ad esempio violazione delle leggi sugli stupefacenti, associazione
per delinquere, ecc.) registra un numero considerevole di presenze (102 detenuti di cui 57 stranieri).
La seconda tipologia comprende coloro che vivono forme più o meno gravi di sofferenza e
disagio psichico, a cui si aggiungono ragazzi con problemi di dipendenza da sostanze psicotrope,
che commettono reati per le condizioni del mercato delle stesse sostanze. Si delinea in questo senso
un quadro piuttosto preoccupante se pensiamo che da un punto di vista epidemiologico si riscontra
una maggiore incidenza di comportamenti devianti tra i minori affetti da disturbi mentali. Malgrado in
Europa circa l’80% dei giovani riporti un alto livello di benessere mentale, 1 adolescente su 5
presenterebbe difficoltà evolutive, emozionali e comportamentali, mentre 1 adolescente su 8
soffrirebbe di un vero e proprio disturbo mentale (OMS, 2004). Tra i disturbi più attuali e dibattuti: il
disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD), i disturbi d’ansia e quelli depressivi, i disturbi
alimentari, i disturbi pervasivi dello sviluppo, il ritardo mentale.
La terza tipologia riguarda infine una percentuale sempre più alta di minori stranieri e nomadi.
Nella giustizia penale minorile i ragazzi extracomunitari e nomadi hanno un impatto molto più duro con
le risposte processuali sanzionatorie rispetto ai ragazzi italiani. A parità di reato, i minori stranieri e
nomadi sono più spesso condannati, ricevono molto più frequentemente misure cautelari detentive,
rimangono per più tempo in carcere, mentre con molta meno frequenza sono destinatari di misure
diverse, quali ad esempio il collocamento in comunità-alloggio o in famiglia. Sul 20% di soggetti
stranieri e il 14% di nomadi segnalati agli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni (contro il 66% degli
italiani), solo il 16% degli stranieri e l’8% dei ragazzi nomadi vengono presi in carico dai servizi. Al 30
giugno 2005, si contano 11.667 minori segnalati all’Autorità giudiziaria, di questi solo 7.601 sono stati
presi in carico dal Servizio sociale. Nel 2004 il numero totale dei minori segnalati è pari a 23.000 casi,
di cui 15.341 italiani. Al 1° semestre 2005, i minori italiani in attesa di giudizio detenuti negli istituti
penali sono pari a 92, gli appellanti sono 34 e 96 sono stati condannati. Per quanto riguarda gli
stranieri, si contano 160 minori in attesa di giudizio, 32 appellanti e 56 con condanna definitiva. A
parità di imputazione o di condanna, inoltre, la permanenza media in carcere degli stranieri (55%) è
più lunga di quella degli italiani (45%), sia in fase di custodia cautelare che dopo l’eventuale
sentenza. In relazione al paese di provenienza dei minorenni detenuti negli istituti penali, la maggior
parte è di nazionalità italiana, ben 223. A seguire, 90 sono rumeni, 50 marocchini e 33 serbo57
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montenegrini.
Il confronto con gli altri paesi. È noto che in Italia non solo le denunce restano particolarmente
basse, se confrontate con quelle degli altri paesi europei (per mille minori imputabili i minori denunciati
in Italia sono 9,7, mentre sono 43,5 in Francia e in Finlandia, 81,9 in Germania, 24,3 in Grecia, e 32,5
nel Regno Unito) ma anche l’uso del carcere è effettivamente residuale. Gli interventi più intensivi o
più limitativi della libertà sono soprattutto rivolti ai minori con comportamenti devianti più persistenti e
gravi, o per i quali altre misure si sono rivelate inefficaci. In questa prospettiva, nell’intervento a
favore degli adolescenti sottoposti a procedimenti penali, appare centrale il sostegno al percorso
evolutivo, inteso in particolare come accompagnamento alla costruzione di un processo di
responsabilizzazione.
Possibili interventi: la necessità di operare in rete. Allo stato attuale il Servizio 114
Emergenza Infanzia ha attivato una collaborazione con il Dipartimento di Giustizia Minorile che lo
scorso 13 luglio ha dato vita ad una prima riflessione sulle modalità attraverso cui il Servizio può
collocarsi all’interno della rete di presa in carico della devianza minorile, ovvero sulla possibile
costruzione di prassi integrate che vedano coinvolto anche il 114 Emergenza Infanzia.
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[Scheda 16]
Segugi randagi e piccoli di gorilla
Bullismo e baby gang in un’epoca di “passioni tristi”. Risse, accoltellamenti, incendi, minacce, giochi proibiti a mo’ di
Davide e Golia (…). E con un denominatore comune: sempre più di frequente, gli autori si collocano in una fascia d’età che
comprende minori, pre-adolescenti e adolescenti: un potenziale esercito che a livello nazionale sfiora i 10 milioni di soggetti.
Escludendo dal conteggio i più piccoli, è possibile osservare, come in Italia risiedano oltre 2 milioni e 800 mila ragazzini tra i 10 e i
14 anni e circa 1 milione e 700 mila adolescenti di età compresa tra i 15 e i 17 anni. Si tratta, nel complesso, di 4.546.515 minori in
fase di pre-adolescenza e adolescenza, residenti prevalentemente al Sud (30,3% del complesso) e nel Nord-Ovest (22,2%);
il 17,4% risiede al Centro, il 16% nel Nord-Est ed il 14,1% nelle Isole.
Minori e adolescenti residenti in Italia al 1° gennaio 2004, per classe di età e regione
Valori assoluti
Regioni
Piemonte
0-4 anni
5-9 anni
10-14 anni
15-17anni
Totale
178.797
171.488
173.852
103.030
627.167
Val dAosta
5.689
5.214
5.063
3.043
19.009
Lombardia
432.039
404.383
402.929
235.639
1.474.990
52.344
52.123
50.532
28.853
183.852
218.535
208.823
207.161
119.968
754.487
Friuli V.G.
48.648
45.859
46.478
26.722
167.707
Liguria
56.809
55.794
58.673
34.138
205.414
Emilia R.
175.303
159.591
157.953
89.759
582.606
Toscana
144.206
137.036
142.115
84.949
508.306
Umbria
34.907
33.538
36.017
21.993
126.455
Marche
64.124
63.734
67.403
40.349
235.610
237.941
233.372
250.846
148.306
870.465
Abruzzo
54.565
56.789
64.102
39.276
214.732
Molise
13.174
14.460
16.647
10.486
54.767
Campania
325.411
334.661
377.432
226.952
1.264.456
Puglia
202.634
212.130
238.384
147.726
800.874
Basilicata
27.273
28.805
33.939
21.228
111.245
Calabria
94.373
102.439
122.166
78.273
397.251
254.168
267.796
310.569
187.637
1.020.170
67.099
69.563
82.451
53.476
272.589
2.688.039
2.657.598
2.844.712
1.701.803
9.892.152
Trentino A.A.
Veneto
Lazio
Sicilia
Sardegna
Italia
59
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Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat, 2004.
Da piccoli monelli a bulli devianti, percorso obbligato?La devianza minorile e adolescenziale non si manifesta
sempre in comportamenti penalmente sanzionabili, ma rimarca e rimanda più spesso a espressioni di disagio e messaggi di
malessere, attraverso diversi “segnali”: fughe da casa, vagabondaggio e abbandono scolastico, teppismo e vandalismo di
vario genere, violenze e aggressioni in ambito scolastico (il bullismo) e sportivo (dentro e fuori gli stadi), spaccio e “trasporto” di
sostanze stupefacenti, furti e scippi. Autorevoli fonti di ricerche sostengono inoltre che l’emergere di comportamenti devianti ad
opera di minori e adolescenti è parte di un ampio schema di sviluppo che usualmente e verosimilmente muove i primi passi con
un comportamento distruttivo non delinquenziale.
Categorie di reato a carico dei soggetti presenti negli Istituti penali per i minorenni
Dati assoluti al 1° semestre 2005
Cate Italia Stra Total
gorie ni nieri e
di
reato
M
Contr
o la
pers
ona
75
Contr 196
o il
patri
moni
o
F
MF
2
77
M
F
66
14 210 188
MF
5
M
F
MF
71 141
7 148
30 218 384
44 428
Contr
o lo
Stato
e
lordin
e
pubbl
ico
23
0
23
9
2
11
Altri
reati
89
5
94
81
8
89 170
13 183
Total
e
383
45 389 727
66 793
60
21 404 344
32
2
34
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Fonte: Elaborazione Eurispes e Telefono Azzurro su dati Ministero della Giustizia.
Ed è la letteratura nazionale e internazionale a porre in evidenza come la devianza minorile, bullismo compreso, non
costituisca solo un fenomeno “polidimensionale” e “pluricomponenziale”, ma presenti anche e soprattutto una “natura psicosociale complessa, circolare e processuale”. Rimanda cioè all’inevitabileconsiderazione della non linearità e non unidirezionalità
dei fattori di rischio, che sono invece interattivi e agiscono attraverso forme di reciprocità circolari, che si modificano non solo in
relazione ai diversi contesti di azione e di appartenenza (rurali o metropolitani, familiari o scolastici) ma anche in relazione al tempo
(età anagrafica, fasi dello sviluppo, psicologiche e sociali). Il comportamento violento si configura quindi come un processo che si
costruisce nel tempo e all’interno di relazioni. E come tale, al pari di ogni altro fenomeno, va considerato un “fatto sociale”.
Futuro minaccioso e “promesse” assenti. Il tempo delle “mele acerbe”: osservazioni e appunti sull’oggi.
La rappresentazione psico-sociologica dell’infanzia e dell’adolescenza si è profondamente modificata negli ultimi anni. Due le
caratteristichepeculiari,apparentemente incontraddizione,checolpisconomaggiormente l’attenzionedeglistudiosiedegliesperti:
da un lato, adolescenti “percepiti” come “sempre più arrabbiati, annoiati, precocemente autonomi, spesso aggressivi, distaccati,
disillusi e cinici”; dall’altro additati come “emozionalmente fragili, bisognosi di protezione, troppo a lungo dipendenti”. Insomma,
prepotenti (da soli o in branco, sia maschi che femmine) o vittime (lagnosi, lecconi, opportunisti, senza spina dorsale).
Giovanissimi autori di prepotenze e soprusi
Valori percentuali
Giovanissimi autori di prepotenze e soprusi
%
Alcuni ragazzi
28,9
Un ragazzo
23,8
Alcune ragazze
8,4
Una ragazza
7,4
Ragazzi e ragazze insieme
6,8
Nessuno
24,7
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati SIP (Società Italiana di Pediatria) e Associazione Villa S. Ignazio- Provincia di Trento 2001.
I “veri” bulli, gli altri e noi. Per bullismo si intende quindi quella forma particolare di intimidazione, sopraffazione,
prevaricazione, oppressione aggressiva, psicologica e/o fisica, innescata da un soggetto “forte” (bullo), nei confronti di un
soggetto “debole” (vittima), “freddamente” intenzionale e reiterata nel tempo. Un forma distorta di comportamento, per natura e
per tipologie, una condotta vessatoria, diretta o indiretta, attuata attraverso manifestazioni fisiche o verbali (picchiare, spingere,
dare calci e pugni, graffiare, tirare i capelli, dare pizzicotti o colpi proibiti, appropriarsi degli oggetti altrui o rovinarli; minacciare,
offendere, deridere, insultare, prendere in giro, taglieggiare, estorcere denaro e beni materiali), e/o psicologiche (esclusione,
isolamento).
Natura e tipologia di prepotenze subite
Valori percentuali
61
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Prepotenze subite
%
Natura delle prepotenze subite
Nessuna
Fisiche
Verbali
Psicologiche
Tipologie delle prepotenze subite
Non cè nessuno che mi rivolge la parola
Sono stato offeso per il colore della pelle o per la mia provenienza geografica
Ho subito furti
Ho subito danni alle mie cose (oggetti, vestiti, ...)
Ho ricevuto minacce
Ho subito dei colpi (pugni, spinte, ...)
Sono state messe in giro storie sul mio conto
Ho subito delle offese
Sono stato preso in giro
2
8
2,
4
6
3,
5
9
5,
2,
9
3
,
4
5
,
8
6
,
5
7
,
2
1
0
1,
8
6
2,
9
3
3,
4
0
4,
1
1
,
9
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati della SIP (Società Italiana di Pediatria) e dell’Associazione Villa S. Ignazio- Provincia di Trento, 2001.
Inoltre è possibile riconoscere al fenomeno del bullismo una “complice” conseguenza: il rinforzo,
volontario o involontario, dei soggetti coinvolti e il perpetrarsi degli episodi di prepotenza. In ogni
caso, la mancanza di opposizione equivale a una sorta di legittimazione dei comportamenti vessatori
e costituisce un potente incentivo alla loro perpetuazione.
Comunicazione delle prepotenze subite (a insegnanti, familiari, coetanei, altri)
Valori percentuali
62
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Comunicazione delle prepotenze subite
%
Adulti della scuola
A uno o pi professori
Ai bidelli
Al direttore
Al personale di segreteria
Ad altre persone
A nessuno
Non ho mai subito prepotenze
Adulti della famiglia
Alla madre
Al padre
Ad entrambi
A fratelli, sorelle
Ad altri
A nessuno
Non ho mai subito prepotenze
Coetanei, compagni, amici
A un compagno/a di classe
A compagni/e di classe
A un compagno/a di altre classi
A compagni/e di altre classi
Ad amici/e che non frequentano la scuola
Ad altri
A nessuno
Non ho mai subito prepotenze
63
7
,
5
0
,
5
3
,
8
0
,
4
8
,
4
4
6
3,
4
3
,
0
9
,
3
1
,
9
1
2
5,
3,
2
3
,
6
3
6
3,
4
1
,
3
1
1
6,
4,
8
3
,
2
2
,
0
1
7
3,
8,
8
2
4
3,
2
0
,
8
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Fonte: Elaborazione Eurispes su dati della SIP (Società Italiana di Pediatria) e dell’Associazione Villa S. Ignazio- Provincia di Trento, 2001.
Bulli: chi, dove e quando… e quanto?Un altro fattore rilevante è costituito dall’età dei
protagonisti, bulli o vittime che siano. Il fenomeno tende a manifestarsi nelle fasce di età dai 7-8 ai 1418 anni (cioè negli anni della scuola elementare e media, talvolta con scivolamento all’inizio delle
superiori). Il fenomeno trova il suo humus preferito in ambito scolastico e/o studentesco: aule, corridoi,
bagni, laboratori, spogliatoi della palestra, cortili antistanti i plessi scolastici; nonché tutti i luoghi isolati
o poco sorvegliati dal personale scolastico. Talvolta si tratta di prepotenze che, anche se con
frequenza meno accentuata, si verificano nel tragitto casa-scuola e più in generale alle fermate degli
autobus e sui mezzi di trasporto, nei locali e luoghi di ritrovo di massa: discoteche, bar, sale-giochi,
giardini e parchi pubblici.
Luoghi dove avvengono le prepotenze
Valori percentuali
Luoghi dove avvengono le prepotenze
%
Bagni
2,8
Spazi del convitto
3,7
Laboratori
4,5
Mensa interna
4,5
Palestra
5,8
Spogliatoi
7,0
In nessun luogo
12,9
Corridoi
14,4
Cortile
16,8
Aula
27,6
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati della SIP (Società Italiana di Pediatria) e dell’Associazione Villa S. Ignazio- Provincia di Trento, 2001.
La possibile e corretta “quantificazione” del fenomeno, è ostacolata da una molteplicità di fattori,
primo tra tutti le reticenze dei giovani coinvolti, soprattutto delle vittime che hanno paura di riferire gli
episodi perché temono rappresaglie e vendette. Piccoli drammi vanno in scena ogni giorno,
soprattutto a scuola, senza che gli adulti si accorgano di nulla. Gesti sistematici che si possono
trasformare in un incubo e provocare danni seri. Nel 2002 un adolescente su tre (33,5%) rispondeva
si alla domanda: “si verificano minacce o atti di prepotenza nella tua scuola da parte dei compagni?”.
Percentuale che nel 2004 è salita al 35,4%. Sono segnali d’allarme, anche se le reali dimensioni del
fenomeno sono incerte, perché gli atti di bullismo restano per lo più avvolti nel silenzio. Ne sono una
conferma, per esempio, i dati relativi agli episodi di bullismo nelle scuole, in Italia e in Campania,
condotta su 3.800 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni, frequentanti la seconda e la terza
media o un istituto di scuola secondaria superiore. A livello nazionale, la percentuale di adolescenti
che ha ammesso di aver picchiato e/o minacciato qualcuno è pari a 46,9%; in Campania essa è
64
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sensibilmente più elevata: complessivamente, ben il 56,5% degli adolescenti campani di età
compresa tra i 12 e i 18 anni afferma di avere minacciato (16,6%) o picchiato (21,5%) qualcuno, o,
ancora, di aver fatto entrambe le cose (18,4%).
Ti è mai capitato di minacciare o picchiare qualcuno? Adolescenti dai 12 ai 18 anni
Anno 2002
Valori percentuali
Ti mai capitato di minacciare o picchiare qualcuno?
Italia
Campania
No, mai
53,2
43,6
S, ho minacciato
17,1
16,6
S, ho picchiato
14,8
21,5
S, ho fatto entrambe le cose
15,0
18,4
100,0
100,0
Totale
Fonte: Eurispes e Telefono Azzurro, 3° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
65
Capitolo 3
La salute
Scheda 17
• L’educazione sessuale
Scheda 18
• ll consumo di alcool tra i giovanissimi
Scheda 19 • Minori e giovani: nuovo codice della strada tra norme e sanzioni
Scheda 20
• Il ritardo mentale come condizione esistenziale: la necessità di costruire una Cultura
dell’assistenza orientata allo sviluppo della Qualità di vita
Scheda 21
• Adolescenti e alimentazione
Scheda 22
• L’emergenza in età pediatrica
Scheda 23
• Bambini e farmaci: il profilo prescrittivo nelle cure primarie
Scheda 24
• Salute e abitudini alimentari degli adolescenti
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[Scheda 17]
L’educazione sessuale
In questi ultimi anni, l’urgenza di introdurre l’educazione sessuale è stata dettata in primo luogo
dall’abbassamento dell’età del primo rapporto sessuale, dalla diffusione di malattie definite “a
trasmissione sessuale”, in particolar modo l’Aids e dall’elevato numero di gravidanze indesiderate fra
le adolescenti. Per quanto concerne, in particolare, l’abbassamento dell’età del primo rapporto
sessuale, un’indagine condotta da Eurispes e Telefono Azzurro su un campione rappresentativo di
2.470 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 19 anni ha rilevato come tra quanti (il 30,3% degli
intervistati) hanno già avuto rapporti sessuali, oltre la metà ha fatto l’amore per la prima volta prima
dei 16 anni. In particolare, il 38,4% ha avuto il primo rapporto sessuale tra i 14 e i 15 anni, mentre
l’11,7% ancora prima, tra gli 11 e i 13 anni. Poco meno del 30% lo ha avuto tra i 16 e i 17 anni, mentre
appena il 4,9% ha “aspettato” di diventare maggiorenne.
A quanti anni hai avuto il primo rapporto sessuale? Per fascia di età
Anno 2005
Valori percentuali
A quanti anni hai avuto il primo rapporto sessuale?
%
11-13 anni
11,7
14-15 anni
38,4
16-17 anni
29,7
18-19 anni
4,9
Non risponde
Totale
15,3
100,0
Fonte: Eurispes e Telefono Azzurro.
La precocitàcon cuigliadolescenti siconfrontano con l’esperienza sessuale rende particolarmente importante ladiffusione di
informazioni che possano favorire lo sviluppo di una sessualità serena e sicura e prevenire la contrazione di malattie
sessualmente trasmissibili. Particolarmente importante è la prevenzione dell’Aids, che in Italia colpisce, secondo gli ultimi dati
disponibili, 46 under 25 ogni 100mila. Per quanto riguarda le gravidanze indesiderate, su mille adolescenti tra i 15 e i 19 anni 7,21
ricorrono all’aborto volontario.
Notifiche di Aids per classe di età e regione di residenza
Anno 2002
Valori assoluti e tassi su 100.000 abitanti
67
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Area geografica
Classe di et
0-24
25-29
30-34
35-39
40-44
45 e oltre
Nord
24
53
159
264
216
278
Centro
13
29
62
113
89
136
9
27
79
99
73
71
46
109
300
476
378
485
Estero
6
4
5
5
6
3
Non indicato
4
8
10
7
8
3
Totale
56
121
315
488
392
491
Tasso
0,32
2,61
6,60
10,17
9,09
1,92
Mezzogiorno
Italia
Fonte: Istat, Le notifiche delle malattie infettive in Italia - 2005.
Tasso di abortività volontaria per 1.000 donne per classe di età e area geografica di residenza
Anno 2002
Area Geografica
Classe di et
15-19
20-24
25-29
30-34
35-39
40-44
45-49
Nord
7,57
15,69
14,44
12,18
9,57
4,42
0,40
Centro
8,03
17,12
15,47
13,89
11,00
4,87
0,50
Mezzogiorno
6,61
12,79
12,58
12,27
10,92
5,26
0,48
Italia
7,21
14,69
13,93
12,54
10,31
4,81
0,45
Fonte: Istat, Servizio “Sanità e assistenza” - 2005.
Tuttavia, ciò che si vuole sottolineare è che l’educazione sessuale non può più essere concepita
solo in termini di trasmissione di informazioni di natura strettamente sessuale, volta a prevenire
gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ma vuole essere vista, in linea con il
decreto ministeriale 59/2004, come strumento di educazione alla relazionalità e all’affettività che, se
valorizzato, può acquistare un ruolo di primaria importanza anche in altri ambiti, come quello della
prevenzione dell’abuso nel periodo evolutivo. La ricostruzione storica ed il tentativo di rispondere agli
interrogativi che hanno caratterizzato i dibattiti in materia, vogliono dunque essere solo il punto di
partenza di una riflessione mirata a sottolineare la necessità di inserire l’educazione sessuale, dalla
68
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scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, come materia ufficiale di insegnamento,
cosicché possa contribuire alla prevenzione dell’abuso sessuale, nel pieno rispetto della
Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989 e della Dichiarazione dei diritti sessuali del 1997.
L’educazione sessuale nella scuola italiana oggi. In Italia continua a mancare una legge
specifica che regoli l’educazione sessuale ed il decreto ministeriale che riforma la scuola secondaria di
secondo livello, appena passato al vaglio del Consiglio dei Ministri, non prevede l’inserimento
dell’educazione affettiva tra i suoi programmi, lasciando così, ancora una volta, i ragazzi senza punti
di riferimento fondamentali nell’età adolescenziale. È proprio nell’adolescenza, infatti, che le dinamiche
di svincolo familiare limitano il dialogo con i genitori e in cui vi è l’effettivo passaggio ad una sessualità
agita, con la conseguente esposizione al rischio di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze
indesiderate. Ciò è confermato da un’indagine condotta nel 1998 dall’Istituto Superiore di Sanità e
pubblicata nel 2000, da cui emerge che su 6.467 studenti frequentanti i primi due anni delle scuole
medie superiori (3.396 maschi e 3.071 femmine), il 45% ha già avuto rapporti sessuali incompleti, il
36% sostiene di non aver avuto alcun tipo di rapporto sessuale e il 18% dichiara di aver già iniziato
ad avere esperienze sessuali.
Hai già avuto rapporti sessuali?
Valori percentuali
Risposte
Soggetti
Totale
Maschi
Femmine
Si, completi
23,8
12,1
18,3
Si, incompleti
49,6
40,8
45,4
No
26,5
47,1
36,3
Fonte: Salute riproduttiva tra gli adolescenti: conoscenze, attitudini e comportamenti - Istituto Superiore Sanità, 2000.
L’indagine condotta da Eurispes e Telefono Azzurro su 2.470 adolescenti ha rilevato come siano
soprattutto i ragazzi ad essere particolarmente precoci: ben il 54,7% ha avuto il primo rapporto
sessuale prima dei 16 anni, contro il 45,8% delle loro coetanee. La “prima volta” è stata
particolarmente precoce per oltre il 15% del segmento maschile del campione, che ha avuto il primo
rapporto tra gli 11 e i 13 anni. Tra le ragazze questa percentuale è sensibilmente più contenuta
(8,3%), mentre è molto più elevata la quota di quante hanno avuto il primo rapporto dopo i 15 anni (il
40,3%, a fronte di un dato maschile del 30,3%).
A quanti anni hai avuto il primo rapporto sessuale? Per sesso
Anno 2005
Valori percentuali
69
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A quanti anni hai avuto il primo rapporto
sessuale?
Sesso
Maschi
Femmine
11-13 anni
15,2
8,3
14-15 anni
39,5
37,5
16-17 anni
26,6
34,2
18-19 anni
3,7
6,1
15,0
13,9
100,0
100,0
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes e Telefono Azzurro.
Lo scorporo dei dati per area geografica ha evidenziato come la prima volta avvenga molto
presto soprattutto tra gli adolescenti del Sud e delle Isole, tra i quali la percentuale di quanti dichiarano
di avere avuto il primo rapporto sessuale tra gli 11 e i 13 anni è pari, rispettivamente, al 22% e al
15,1%. Mostrano di avere meno fretta gli adolescenti del Centro e del Nord-Est: tra di essi,
rispettivamente il 43,5% e il 39,4% hanno avuto la prima esperienza sessuale dopo i 15 anni,
percentuale che scende al 25,6% tra i ragazzi residenti al Sud.
A quanti anni hai avuto il primo rapporto sessuale? Per area geografica
Anno 2005
Valori percentuali
A quanti anni hai avuto il primo rapporto sessuale?
Area geografica
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud
Isole
11-13 anni
9,3
9,5
4,2
22,0
15,1
14-15 anni
42,2
41,1
28,8
34,0
51,9
16-17 anni
29,4
34,7
35,6
22,5
23,6
18-19 anni
4,9
4,7
7,9
3,1
2,8
14,2
10,0
23,5
18,4
6,6
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Non risponde
Totale
Fonte: Eurispes e Telefono Azzurro.
L’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha inoltre rilevato come, anche percependo il genitore disponibile al
70
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dialogo sulla sessualità, più della metà degli studenti medi intervistati preferisca non rivolgersi a lui ma parlare dei temi legati alla
sessualità con gli amici.
Hai la possibilità di fare ai tuoi genitori domande sulla sessualità?
Risposte
Soggetti
Totale
Maschi
Femmine
Si, a qualsiasi domanda
27,0
26,4
26,7
Si, ma preferisco non farlo
53,7
55,9
54,7
Solo alcune
11,5
11,8
11,6
No, nessuna
7,8
5,9
6,9
Fonte: Salute riproduttiva tra gli adolescenti: conoscenze, attitudini e comportamenti - Istituto Superiore Sanità, 2000.
A chi ti rivolgeresti per avere informazioni o approfondimenti relativi alla sessualità?
Risposte
Soggetti
Totale
Maschi
Femmine
Madre
23,5
55,2
38,5
Padre
33,4
7,6
21,1
Amici
49,5
49,6
49,5
7,4
3,6
5,6
Medico
24,5
31,0
27,6
Scuola
12,3
10,6
11,5
Sorelle/fratelli
12,2
14,8
13,5
Libri/riviste
20,0
24,2
22,0
Riviste per adulti
13,6
4,4
9,2
2,4
3,5
2,9
Tv
Altro
Fonte: Salute riproduttiva tra gli adolescenti: conoscenze, attitudini e comportamenti - Istituto Superiore Sanità, 2000.
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[Scheda 18]
Il consumo di alcool tra i giovanissimi
Consumo di alcolici e incidenti. In Italia gli incidenti stradali hanno causato 170.000 ricoveri, 600.000 prestazioni
di pronto soccorso, 20.000 invalidità permanenti e circa 8.000 morti, la metà dei quali a causa dall’alcool. In Europa ogni anno si
contano 55mila morti per incidenti stradali, avvelenamenti, omicidi e suicidi derivanti dalla dipendenza dall’alcool. Un giovane su
quattro, tra i 15 e i 29 anni, muore a causa dell’alcool.
Il fenomeno in Italia. Nel nostro Paese, nonostante negli ultimi venti anni si sia assistito ad
trend decrescente per quanto riguarda il consumo di alcolici, sceso fin quasi del 37%, si stima che i
consumatori di bevande alcoliche siano 36 milioni, 20 milioni e mezzo di uomini e 15 milioni e mezzo di
donne. Nello specifico si registrano diminuzioni dal 1981 al 2003 nell’andamento del consumo pro
capite di alcool (-36,7%), vino (-41,4%) e soprattutto di superalcolici (-77,1%), mentre la birra ha
avuto un incremento di ben il 68%, probabilmente perché è una bevanda molto gradita dalle nuove
generazioni. Per entrambi i sessi, le regioni in cui il consumo alcolico risulta al di sopra della media
nazionale (9,2% per i maschi e 19,1% per le femmine) sono soprattutto quelle appartenenti al
Centro-Nord e la Puglia (9,8% per i maschi e 19,6% per le femmine).
Nuove tendenze. Il consumo di vino mantiene saldo il suo primato. Una tendenza però estremamente diffusa è
quella di long drink o birre, assunti come preludio ad altri alcolici o super alcolici in discoteca. Sono di moda locali che propongono
l’happy hour ed i drink as you like, dove una volta pagato un biglietto d’entrata si può bere quanto si vuole. Si è inoltre diffusa la
cultura dei social drinks, cioè del bere in compagnia alternando diversi tipi di bevande alcoliche, ma anche del binge drinking, cioè
del consumo di numerosi alcolici l’uno di seguito all’altro, garantendosi un’ubriacatura sicura e veloce.
Il consumo di alcool tra i minori: la situazione europea. L’ESPAD (European School
Survey Project on Alcohol and other Drugs), nel 2003, ha analizzato 35 paesi europei al fine di
esaminare il consumo di alcol e droghe tra i quindicenni e i sedicenni.
Il 90% degli studenti intervistati ha bevuto almeno una volta bevande alcoliche. L’incidenza dei
ragazzi che hanno dichiarato di aver bevuto almeno quaranta volte nel corso della propria vita si
riscontrano in Danimarca (50%), Austria (48%), Repubblica Ceca (46%). Le nazioni in cui, invece, si
beve meno sono la Groenlandia, l’Islanda, il Portogallo e la Norvegia, con una percentuale che varia
dal 13 al 15%. Il dato più basso (il 7%) si registra in Turchia. Tra i maggiori fruitori di alcool – si parla
di dieci volte o più nell’ultimo mese (tabella 3) – compaiono gli studenti dei Paesi Bassi (25%), a
seguire gli austriaci (21%), i belgi (20%), i maltesi (20%) e gli inglesi (17%). In più della metà dei
paesi esaminati è elevato il numero di studenti che hanno dichiarato di essersi ubriacati 20 volte o più
nel corso della propria vita. Le percentuali più alte, che variano tra il 26 ed il 36%, sono relative a
Danimarca, Irlanda, Regno Unito, Estonia e Finlandia, mentre quelle più basse a Turchia (con l’1%),
Francia, Portogallo, Romania, Grecia e Cipro. Per quanto riguarda l’Italia, l’82% dei ragazzi di 15-16
anni ha consumato alcolici nell’ultimo anno (valore molto vicino alla media europea, 83%), mentre
molto più bassa è il numero di studenti che si sono ubriacati nello stesso periodo: il 37% (la media
europea è del 53%).Appare più bassa della media (7%) anche la percentuale di ragazzi che
assumono contemporaneamente alcool e pillole: 3%.
Binge drinking (bere compulsivo). Il fenomeno sembra essere abbastanza diffuso in quasi
tutti i paesi europei: si passa da un 5% registrato in Turchia ad un picco del 37% in Irlanda. In Italia
gli studenti che si ubriacano in questo modo, almeno tre giorni al mese, sono il 13%.
I giovani italiani e l’alcool. Nella classifica delle diverse sostanze stupefacenti utilizzate da
studenti italiani di età compresa tra i 15 e i 19 anni, il primo posto è occupato proprio dagli alcolici, che
nel corso degli anni si attestano su un trend abbastanza costante, così come costante è la
percentuale di ragazzi con l’abitudine ad ubriacarsi. Il consumo di tabacco, nonostante occupi il
secondo posto, sembra andare scemando, infatti si passa dal 70,4% del 1999 al 68% del 2002.
Alcol, spot e Tv. L’alcool è pubblicizzato ovunque, in Tv, sui giornali, nelle strade; il più delle
volte è associato ad immagini di successo, a situazioni ludiche e a personaggi del mondo dello sport,
della moda e del cinema. Una ricerca effettuata dall’OSSFAD sul grado della diffusione commerciale
dell’alcool ha monitorato alcuni programmi televisivi, nel periodo compreso tra il primo maggio 2000 e il
trenta gennaio 2001. Per circa cinque settimane e per 12 ore al giorno, precisamente dalle 11:00 alle
73
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23:00, sono stati monitorati fiction, film, programmi di intrattenimento, reality show e gli altri programmi
facenti parte del palinsesto televisivo di Rai, Mediaset e Telemontecarlo. In 3.000 ore di
programmazione televisiva la presenza di situazioni o scene riguardanti consumo di alcool si registra
in media ogni 13 minuti. La presenza maschile risulta maggiore (2.913) rispetto a quella femminile
(1.190). In particolare il bere è associato a personaggi estremamente conosciuti che in situazioni
festose cercano di ridurre sentimenti di ansia o depressione.
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[Scheda 19]
Minori e giovani: nuovo codice della strada tra norme e sanzioni
Nel 2004 in Italia oltre 10.000 bambini sotto i 13 anni sono stati coinvolti in incidenti stradali a
bordo di autovetture: per 84 di loro le lesioni riportate sono risultate letali. Tra il 2002 e il 2004, il
numero degli incidenti stradali è diminuito, come pure quello dei feriti e dei morti per incidenti stradali.
Nel 2004, infatti, gli incidenti stradali sono stati 224.553 (-6,2% rispetto al 2002 e -3,1% rispetto al
2003); i feriti in incidenti stradali sono stati 316.630 (-7,3% rispetto al 2002 e -3,3% rispetto al 2003)
e i morti in incidenti stradali 5.625 (-16,5% rispetto al 2002 e -7,3% rispetto al 2003). Prendendo
come riferimento invece l’anno 1991, in cui si registravano 170.702 incidenti stradali, si osserva una
tendenza in aumento quasi costante fino al 2002, anno dopo il quale è iniziata una diminuzione degli
incidenti. Il numero dei morti in incidenti stradali risulta in diminuzione di anno in anno a partire dal
1991, il numero dei feriti è invece decisamente più elevato negli ultimi 5 anni dell’arco di tempo
considerato piuttosto che nel corso degli anni Novanta. L’indice di mortalità negli incidenti ha
conosciuto un costante calo dal 1991 al 2004 fino ad attestarsi a 2,5 nel 2004.
Morti e feriti per sesso e classi d’età
Anno 2004
Valori assoluti
75
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Classi det
Morti
Feriti
Maschi
Femmine
Totale
Maschi
Femmine
Totale
Fino a 5 anni
17
13
30
1.736
1.433
3.169
Da 6 a 9
10
12
22
1.600
1.249
2.849
Da 10 a 13
23
9
32
2.334
1.744
4.078
Da 14 a 15
61
14
75
4.469
2.175
6.644
Da 16 a 17
117
32
249
7.973
3.529
11.502
Da 18 a 20
279
52
331
15.856
8.274
24.130
Da 21 a 24
461
91
552
22..608
11..920
34.528
Da 25 a 29
523
91
614
28.468
14.886
43.354
Da 30 a 34
471
91
562
26.265
13.466
39.731
Da 35 a 39
379
64
443
20.554
10.610
31.164
Da 40 a 44
300
58
358
16.014
8.730
24.744
Da 45 a 49
238
49
287
11.839
6.735
18.574
Da 50 a54
214
56
270
9.285
5.584
14.869
Da 55-59
196
55
251
7.430
4.592
12.022
Da 60 a 64
188
54
242
6.113
3.791
9.904
Da 65 a 69
166
66
232
5.074
3.374
8..448
Da 70 a 74
197
82
279
4.270
2.733
7.003
Da 75 a 79
217
81
298
3.137
2.034
5.171
Da 80 a 84
177
58
235
1.915
1.151
3.066
Da 85 e oltre
83
38
121
662
445
1.107
Non indicata
175
67
242
5.837
4.736
10.573
4.492
1.133
5.625
203.439
113.191
316.630
Totale
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Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat.
I genitori sono veramente prudenti?I dati emersi dallo studio condotto nel 2005 nel nostro
Paese dalla Daimler Chrisler Italia indicano che per circa il 40% dei bambini italiani il padre va troppo
veloce in auto. Il 23% nota che chi guida parla anche al telefonino e una quota tra il 26% e il 35%, a
seconda delle aree geografiche, afferma di non incontrare mai un vigile urbano vicino alla propria
scuola.
Comportamenti stradali a rischio: gli incidenti che coinvolgono i motorini. I motorini sono
tanto desiderati dai ragazzi quanto temuti dai genitori. I giovani aspettano con ansia il compimento dei
quattordici anni di età, mentre i genitori vivono spesso con angoscia la fatidica richiesta del motorino
da parte dei loro figli. L’incidente stradale risulta essere la prima causa di morte e di invalidità nei
giovani. Da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (2003), è emerso che il 41% dei ragazzi
intervistati ha dichiarato di essere stato coinvolto in incidenti stradali. Per una buona metà di questi
giovani (il 53%) si tratta di un solo incidente, il 29% dei soggetti è incorso in due incidenti e la parte
restante (il 18%) in tre o più incidenti. Circa un quarto dei giovani coinvolti in sinistri, con una
maggiore rappresentatività della componente maschile, guidava al momento dell’incidente. Durante
l’incidente, i soggetti di sesso maschile si trovavano sia come guidatori che come trasportati,
prevalentemente su: il ciclomotore (39% dei casi), l’automobile (il 27%) e la bicicletta (17%). I
soggetti di sesso femminile si trovavano invece, all’atto dell’incidente, soprattutto in macchina (47%),
in ciclomotore (24%) e in bicicletta (13%). I dati forniti dall’Istat relativamente al 2004 indicano che gli
incidenti che hanno coinvolto i ciclomotori sono stati ben 6.451 nel caso di incidenti a veicoli isolati e
13.612 nel caso di incidenti tra veicoli. Esaminando questi dati forniti si osserva che nel 2004, dopo le
autovetture, il maggior numero di incidenti ha coinvolto i motocicli e i ciclomotori.
Nuovo codice della strada: norme e sanzioni. Il nuovo codice della strada prevede nuove
norme per tutelare chi utilizza il motorino come mezzo di locomozione. È entrata in vigore, infatti, la
norma che prevede l’uso obbligatorio del casco omologato. Nel caso dei minori, si registra che la
maggior parte delle contravvenzioni sono dovute, oltre che alle violazioni relative ai documenti di
circolazione, al mancato o non corretto uso del casco (il 25%).
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[Scheda 20]
Il Ritardo mentale come condizione esistenziale: la necessità di costruire un Cultura
dell’assistenza orientata allo sviluppo della Qualità di vita
Epidemiologia: stime internazionali. Le stime epidemiologiche del RM nella popolazione
mondiale non sono univoche e aggiornate e la prevalenza riportata oscilla tra l’1% e il 3%. Dai dati
dell’OMS emerge che approssimativamente 156 milioni di persone, cioè il 3% della popolazione del
mondo, ha RM. Negli Stati Uniti il numero stimato di persone con ritardo mentale è di 7,5 milioni che
corrisponde approssimativamente al 2,5% della popolazione. L’incidenza varia con l’età, essendo
massima nel corso dell’età scolare, ed inferiore in età prescolare ed adulta.
Stime nazionali. In Italia, nonostante l’accresciuto interesse negli ultimi anni anche per il tema
epidemiologico della disabilità ancora non esiste una stima attendibile delle persone con RM. Dalle
ultime rilevazioni (2004), si deduce che tra i 4 e i 34 anni il 34,3% dei soggetti della popolazione
generale presenta una disabilità della sfera mentale. In tale gruppo risultano incluse anche le persone
“invalide per insufficienza mentale e/o malattia mentale”. Dai dati del Sistema Informativo del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (SIMPI) per l’anno scolastico 2003-2004, la percentuale
di bambini con disabilità psicofisica nella scuola elementare era del 2,17%.
Stime regionali. Le stime regionali possono essere particolarmente importanti, in quanto
descrivono la rilevanza in termini di assistenza e riabilitazione dei soggetti con RM, nelle specifiche
realtà locali. Ad esempio, dai dati riferiti ad un Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Ausl di Reggio
Emilia nell’anno 2002, si evince che di 3.407 casi, almeno 434 soggetti presentavano RM, pari al
12,7%, di cui 80 di grado grave. Questo dato dimostra l’alto impatto socio-sanitario del RM e la
necessità di creare percorsi diagnostici strutturati, interventi riabilitativi mirati e politiche favorenti
l’integrazione.
Composizione del campione afferente al Servizio Territoriale di Neuropsichiatria Infantile dell’Ausl di Reggio Emilia
Anno 2002
Valori assoluti e percentuali
Condizioni riscontrate
Disturbi dellapprendimento del linguaggio
V. A.
%
1183
34,7
Disturbi psichiatrici-psicologici
638
18,7
Ritardo mentale
434
12,7
90
2,6
Sindrome di down e altre sindromi cromosomiche
102
3,0
Paralisi cerebrali infantili
180
5,3
Autismo e disturbi pervasivi dello sviluppo
145
4,3
Problemi psicosociali
228
6,7
Disturbi sensoriali
Fonte: Servizio Territoriale di Neuropsichiatria Infantile dell’Ausl di Reggio Emilia.
Eziologia. Sono state individuate diverse categorie di cause del RM, ma in un terzo dei casi
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essa rimane sconosciuta (DSM-IV, 1994; Militerni, 2004). La grande maggioranza dei casi è
attribuibile a fattori genetici, in particolare anomalie cromosomiche e difetti di sviluppo come la
Sindrome di Down e la Sindrome dell’X fragile. Nel 12% dei casi, invece, il RM è determinato da fattori
che hanno interferito con lo sviluppo dell’embrione o del feto durante la gestazione come l’alcolismo
materno, le infezioni da virus della rosolia e da toxoplasma, i disordini endocrinologici materni, il ridotto
apporto nutrizionale placentare. Vi sono poi circa il 10-17% dei casi in cui il RM è imputabile a
problemi nella fase perinatale, una sofferenza intercorsa al momento del parto, che ha prodotto un
danno a carico del SNC. Nel 7% dei casi, la causa è invece attribuibile ad eventi patologici postnatali
su base infiammatoria, traumatica e tossica. Risulta più difficile diagnosticare le cause di ritardo
mentale lieve, le quali risultano sconosciute nel 55-58% dei casi. L’eziologia differisce fra le forme lievi
e le forme gravi come si può notare dalla tabella seguente.
Frequenza percentuale delle varie cause e loro distribuzione in rapporto alla forma di ritardo mentale
Valori percentuali
Eziologia
Forme lievi (%)
Forme gravi (%)
Totale (%)
Genetica
10
46
24
Prenatale
13
9
12
Perinatale
18
15
17
Postnatale
4
12
7
55
18
40
Sconosciuta
Fonte: Militerni, R., Neuropsichiatria Infantile, III Edizione, Idelson Gnocchi, 2004.
Diagnosi dei disturbi associati. Disturbi fisici. Nei soggetti con RM si possono associare diversi tipi di disturbi
neurologici come difficoltà nella deambulazione, disturbi neurosensoriali di tipo percettivo, visivo e uditivo, epilessia e
paralisi cerebrali. L’epilessia è di frequente riscontro in soggetti con RM. Mentre nella popolazione generale l’epilessia
ha una prevalenza dell’1%, nei soggetti con RM tale prevalenza risulta superiore e si attesta intorno al 21% nei
soggetti senza paralisi cerebrale, e attorno al 50% in quellicon paralisicerebrale (Hauser -Hesdorffer, 2002); inoltresi è
osservato che l’epilessia è più comune nei pazienti con QI inferiore a 50. Disturbi mentali. Le persone con RM
possono andare incontro a disturbimentali ma nessuno diquesti è necessariamente connesso allacondizione diRM.
La prevalenza di disturbi psichiatrici nei soggetti con RM varia tra il 10 e il 64%.
Evoluzione. I dati sull’evoluzione in età adulta delle persone con RM sono assai limitati. Per questa ragione il prof. Moretti
nel 1995 ideò, per primo nel nostro paese, una survey relativa al disabile adulto. Lo studio portato a termine negli anni 19952001, con la collaborazione di Don Giancarlo Pravettoni (Ruggerini et al., 2004) considerò 22 organizzazioni riabilitativoassistenziali localizzate in Lombardia e nel Lazio, a cui afferivano 483 persone adulte con RM. Da tale ricerca è emerso che
l’evoluzione della condizione di RM è variabile, ma esistono tre principali andamenti: la “Normalizzazione” nel 21,9% dei casi, il
“Decadimento” nel 26,5% e infine lo sviluppo di un “Disturbo mentale” nel 55,8% dei casi. Per “Normalizzazione” si intende una
condizione psichica che viene percepita dagli operatori delle varie strutture come in progressivo miglioramento. Nel caso della
condizione di “Deterioramento” ipazienti presentano nel tempo un peggioramento del loro stato psichico, riconducibile secondo
glioperatori, ad un deterioramento del substrato neurobiologico. Isoggetti che presentano una storia problematica, caratterizzata
da Decadimento o Disturbo mentale associato, sono complessivamente i 4/5 del campione esaminato.
Tutela della Salute mentale in età evolutiva: situazione attuale. L’assistenza ai soggetti con RM necessita di
integrazionepergarantireinformazionecondivisatrafamiglia,strutturesanitarieeorganizzazionisociali.Taleintegrazionehacome
obiettivo il raggiungimento di una migliore Qualità della vita della persona. Anche nel nostro Paese viene segnalata la presenza
di aspetti tutt’ora problematici nell’ambito della tutela della salute mentale in età evolutiva. Il Progetto Obiettivo Salute Mentale
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1998-2000 e ilPiano sanitario nazionale 2002-2004 evidenziano l’assenza in Italia di una attenzione specifica per l’argomento, la
mancanza di piani di prevenzione primari e secondari e di coordinamento fra i servizi sociali e sanitari per l’età evolutiva e adulta.
A questo proposito, nel Piano sanitario nazionale 2002-2004 è stata evidenziata la necessità di creare stretti collegamenti tra
strutture a carattere sanitario (neuropsichiatria infantile, dipartimento materno-infantile, pediatra di base), i servizi sociali e le
Istituzioni a carattere educativo, scolastico e giudiziario, in modo da garantire certezza di presa in carico. È inoltre indispensabile
assicurare una continuità terapeutica del soggetto con disturbi mentali nel delicato passaggio tra età infantile-adolescenziale e
adulta, laddove le famiglie frequentemente lamentano un vuoto assistenziale.
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[Scheda 21]
Adolescenti e alimentazione
Alimentazione e sviluppo. Le abitudini alimentari di un individuo vengono acquisite durante
l’infanzia e sono prevalentemente trasmesse dalla famiglia e dal contesto relazionale e sociale in cui
vive ogni bambino. La fase adolescenziale, successivamente, rappresenta un periodo critico nel
corso del quale tutte le norme, non ultime quelle che riguardano il cibo, vengono messe in
discussione: in effetti siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione che impegna l’adolescente nel
tentativo di definire e creare una nuova immagine di sé e delle proprie relazioni. Se in via generale è
sempre buona prassi attenersi ad una corretta alimentazione, questo aspetto risulta fondamentale
durante l’infanzia e l’adolescenza: chiaramente l’apporto calorico giornaliero necessario varia con l’età,
il sesso e l’attività fisica praticata. Nelle tabelle successive vengono presentati i dati relativi alla
distribuzione delle principali attività svolte nel corso della giornata dagli adolescenti italiani, suddivisi
per fasce d’età; in relazione a ciascuna viene evidenziato il corrispettivo dispendio energetico
calcolato in LAF (Livello di Attività Fisica). Il LAF è un multiplo del MB (Metabolismo Basale) che
corrisponde alla quantità di energia (espressa in kcal/min o kcal/die) consumata dall’organismo in
condizioni di riposo (ovvero: a soggetto sveglio, nello stato postassorbitivo, in condizioni di neutralità
termica e rilassatezza psicologica e fisica). Il consumo energetico aumenta in relazione al tipo di
attività, al sesso (maschi>femmine) e con il crescere dell’età.
Impiego del tempo e costo energetico delle attività degli adolescenti fra 10 e 17 anni
Attivit
Ore
Costo energetico
(LAF)
10-13 anni
Maschi
Femmine
14-17 anni
10-13 anni
14-17 anni
Sonno
9
8
1.0
1.0
Scuola
5
6
1.6
1.5
4.5
7
1.6
1.5
5
2.5
2.5
2.2
Attivit pesante
0.5
0.5
6.0
6.0
Totale
24
24
Attivit leggera
Attivit moderata
1.65
1
0
1
3
a
n
n
i
1.581
.
5
5
Fonte: SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana), 1997.
Educare ad una corretta alimentazione. Nelle società occidentali abitudini alimentari scorrette
sono rappresentate prevalentemente da un’impropria distribuzione dei pasti durante la giornata, dalla
carenza di nutrienti specifici e dall’apporto calorico eccessivo. Per facilitare l’apprendimento delle
81
14-17 anni
1.50
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corrette abitudini alimentari, anche attraverso specifici programmi di educazione alla nutrizione nella
scuola, è stata ideata la rappresentazione grafica della piramide alimentare. In Italia non vi è l’obbligo
di comprendere nel programma scolastico lezioni di educazione sanitaria, e ogni singolo istituto è
autonomo nella decisione di effettuare tali corsi. Da una recente indagine epidemiologica realizzata su
un ampio campione di 4.135 adolescenti provenienti da 260 classi appartenenti a 47 scuole (Pellai &
Sancini, 2003), è emerso che soltanto il 21% degli intervistati ha partecipato a programmi di
educazione sanitaria nel contesto scolastico. Sono state indagate anche le abitudini alimentari degli
intervistati, con riferimento a quanto consumato nel giorno precedente la rilevazione: frutta: 25%
nessuna porzione, 35% 1 porzione, 25% 2 porzioni, 10% 3 porzioni; verdura: 45% assente, 37% 1
porzione di insalata, 12% 2 porzioni, 2% 3 porzioni.
Il problema del corpo nell’adolescenza e il significato del cibo. Il corpo, proprio in questa
fase dello sviluppo, rappresenta più che mai il metro delle relazioni sociali, diviene uno strumento utile
per acquisire una progressiva differenziazione (soprattutto fra generazioni) e per definire una nuova
identità (in particolare, nella somiglianza con coetanei del gruppo, con i suoi rituali di appartenenza).
Parallelamente anche la sofferenza psichica, ove presente, può prendere facilmente la via del mezzo
corporeo per esprimersi: è il caso delle condotte autolesive, dell’abuso di sostanze e, più in generale,
dei comportamenti a rischio. In questo contesto il cibo rappresenta doppiamente una via d’elezione
per esprimere cambiamenti e conflitti: permette infatti all’adolescente di agire (in maniera conscia o, più
frequentemente, inconscia) direttamente sul proprio aspetto fisico; il cibo assume da sempre, per il
soggetto così come per il genitore, una valenza affettiva e relazionale forte.
Dalla normalità alla patologia. Le abitudini alimentari instabili rappresentano un tratto tipico dell’età adolescenziale.
Alcune condotte risultanoperò,inuno spettrocontinuo che va dallanormalitàallapatologia,discostarsimaggiormente dallanorma
e rappresentare l’espressione, talora unica e transitoria, di una crisi evolutiva. Ad esempio l’iperfagia che è caratterizzata da un
apporto alimentare eccessivo: in questa condizione normalmente i pasti consumati nel corso della giornata sono circa 3-4, la
merenda tende ad essere abbondante mentre la colazione di solito viene saltata. Questo stilealimentare, associato all’abitudine
di assumere un elevato apporto di zuccheri a rapido assorbimento, oltre che proteine e lipidi di origine animale, è stato correlato
strettamente con l’insorgenza dell’obesità. L’atto del piluccare, invece, si verifica al di fuori dei pasti, è tipicamente associato ad
attività sedentaria e solitaria (in particolar modo si manifesta guardando la televisione) e il più delle volte è prolungato nel tempo.
Di solito icibi preferiti sono quelli che non necessitano di una preparazione (biscotti,caramelle, merendine). A differenza di quanto
avviene nella crisi bulimica, l’adolescente che pilucca non ha la sensazione di perdere il controllo della propria alimentazione.
Un’ultima considerazione meritano le restrizioni alimentari transitorie che si manifestano in modo assai frequente durante
l’adolescenza. La riduzione nel consumo di cibo può essere globale o selettiva (ovvero interessare solo alcuni alimenti come ad
esempio ilpane o idolci). Le restrizionialimentari, inoltre,possono rappresentare un elemento importante nelle dinamiche familiari
sia nei termini di una relativa complicità tra alcuni componenti, come ad esempio tra madre e figlia, sia più frequentemente come
espressione di un conflitto fra generazioni.
I disturbi del comportamento alimentare. La classificazione diagnostica internazionale DSM IV include fra i disturbi del
comportamento alimentare l’anoressia mentale, la bulimia e il binge eating disorder. Questi disturbi sono presenti nello 0,1-1%
degli adolescenti dei paesi occidentali, si manifestano con maggiore frequenza nei ragazzi di sesso maschile piuttosto che nelle
femmine, presentano una prevalenza in aumento dalla prepubertà alla tarda adolescenza e causano una significativa morbilità
a breve e a lungo termine. L’anoressia nervosa è caratterizzata dal rifiuto intenzionale di mantenere il peso corporeo ad un
livello che sia almeno del 15% sotto il peso adeguato per età ed altezza, oppure dall’incapacità di raggiungere il peso adeguato
durante il periodo della crescita, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto. La
specificità di questo disturbo si sostanzia in una forte diminuzione dell’introito alimentare, spesso associata ad una intensa attività
fisica. Tale rifiuto è associato ad una pervasiva paura di ingrassare e ad una visione distorta che interessa sia l’immagine sia la
forma del corpo. La bulimia nervosa, invece, è caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate, vale a dire da momenti di rapida
e incongrua ingestione di grandi quantità di cibo, più spesso altamente calorico, nel corso dei quali vi è la netta sensazione di non
avere il controllo del proprio agire. L’abbuffata normalmente si svolge in solitudine, spesso nel contesto domestico, e l’episodio
termina quando la sensazione di riempimento sifa dolorosa, quando ilcibo finisce o quando l’attaccoviene interrotto da qualcuno.
Successivamente l’individuo vive uno stato generale di prostrazione e di malessere, prova forti sentimenti di colpa che
generano solitamente l’induzione del vomito. Nei soggetti bulimici il peso si mantiene generalmente nei limiti di norma. Il binge
eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) rappresenta infine una nuova categoria diagnostica; esso si
caratterizza per la presenza di abbuffate alimentari ma non prevede, però, i comportamenti compensatori tipici della bulimia.
Questo disturbo è assai frequentemente associato ad obesità. Circa il 20% dei soggetti che presenta un disturbo alimentare in
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adolescenza rimane significativamente danneggiato a lungo termine, mentre circa il50% raggiunge la guarigione. I ragazzi che
manifestano disturbi del comportamento alimentare presentano spesso, in associazione, anche sintomi di tipo depressivo e/o
ansioso che influenzano fortemente la qualità di vita, il tipo e la durata dell’intervento terapeutico e la prognosi a distanza.
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[Scheda 22]
L’emergenza in età pediatrica
La continuità assistenziale. La continuità assistenziale è un complesso di interventi che rende
possibile la cura del bambino 24 ore su 24 attraverso un percorso di assistenza che vede intervenire
ed interagire più servizi e più figure professionali in risposta ai bisogni di salute del bambino. È ormai
dimostrato che le richieste di assistenza e di prestazioni sanitarie in età pediatrica sono in continuo
aumento per diversi motivi: ansia della malattia e delle sue conseguenze, difficoltà organizzative delle
famiglie, mancanza di figure di riferimento, etc. Negli ultimi dieci anni gli accessi al Ps, sia dell’adulto sia
pediatrico, sono più che raddoppiati. Secondo un’indagine della Società Italiana dei Medici di Pronto
Soccorso, nel 1985, gli accessi sono stati 17 milioni, mentre nel 2000 ne sono stati registrati
50 milioni, con un incremento annuo del 5-6%. In ambito pediatrico in più del 50% dei casi i
pazienti che accedono al Ps non presentano caratteristiche di urgenza. La causa di accesso più
frequente è la febbre e nella maggior parte dei casi il pediatra di famiglia non viene contattato. Gli
accessi al Ps inoltre aumentano notevolmente nei giorni festivi e prefestivi. Nella fascia di età
compresa tra 0 e 14 anni circa il 25% dei bambini ricorre almeno una volta all’anno alle cure del Ps
pediatrico (dati MUP). L’aumento degli accessi al Ps è determinato da vari fattori tra cui la convinzione
di trovare una risposta più adeguata ed un servizio più completo per le necessità dei propri figli, oltre
alla gratuità delle prestazioni e alla comodità del servizio. Inoltre il pediatra di libera scelta non può
garantire da solo la continuità assistenziale per la quale è necessaria la collaborazione tra più figure
professionali (pediatra di libera scelta, servizio di continuità assistenziale, punti di primo intervento,
Ps e Dea). Bisogna inoltre tenere presente che se la pediatria ha ormai una buona distribuzione ed
efficienza soprattutto nelle città e nei grandi centri, nelle periferie buona parte dei bambini non ha
possibilità di accesso diretto ad un pediatra, neanche nei centri ospedalieri con grandi bacini
d’utenza, per la mancanza sia di una guardia pediatrica attiva stanziale sia di sedi con Pronto
Soccorso Pediatrico. Il problema della continuità assistenziale inoltre non riguarda solo la gestione del
paziente che giunge in Ps con una patologia ad esordio acuto ma anche la presa in carico dei
soggetti affetti da una patologia cronica (diabete, fibrosi cistica, malattie muscolari, etc.). Infine la
collaborazione tra pediatri extra-ospedalieri e pediatri ospedalieri appare quindi un requisito
fondamentale per arrivare ad una migliore gestione del paziente in età evolutiva.
La situazione dei Dea Pediatrici Italiani. Nel 2003 è stata condotta un’indagine conoscitiva
sugli specifici aspetti assistenziali ed organizzativi nei 9 Dea pediatrici italiani aderenti alla
Conferenza degli Ospedali Pediatrici (Ospedale dei Bambini G. Salesi di Ancona, Ospedale dei
Bambini di Brescia, Ospedale Pediatrico Mayer di Firenze, Istituto G. Gaslini di Genova, Ospedale
Santobono di Napoli, Ospedale Civile di Padova, Ospedale Bambin Gesù di Roma, OIRM S. Anna
di Torino e IRCCS Burlo Garofalo di Trieste). La ricerca ha fornito un panorama piuttosto dettagliato
dell’emergenza-urgenza pediatrica su una quota rilevante del territorio nazionale, mettendo in luce da
una parte trend comuni ai diversi centri, dall’altra le peculiarità degli specifici contesti locali e regionali.
Sotto il profilo legislativo ed amministrativo, nel 77,8% dei centri monitorati dall’indagine (7 su 9) è
presente una legge regionale per regolamentazione del Dea pediatrico e per definizione degli ambiti
assistenziali ed organizzativi. Il riconoscimento del Dea pediatrico come punto di riferimento
dell’emergenza-urgenza pediatrica nel piano programmatico sanitario da parte della regione
interessata è stato effettuato in 6 centri su 9. Il Dea pediatrico, infine, è stato oggetto di delibera da
parte degli Enti competenti in 8 centri su 9. Nella maggior parte dei casi (7 centri su 9) il Dea pediatrico
opera nel contesto di un ospedale pediatrico. Dal punto di vista assistenziale ed organizzativo, la
totalità dei centri esaminati dispone del sistema di triage basato su protocolli assistenziali;
metodologie di attuazione e verifica vengono anch’esse largamente messe in atto. In 7 centri
vengono proposti all’utenza questionari di gradimento per le prestazioni effettuate e/o opuscoli
informativi. Ambulanza di soccorso con stazionamento nei pressi del Ps è presente in 5 centri su 9 e
un uguale numero di centri è dotato di eliambulanza con pista di atterraggio attigua al Ps. Attività di
trasporto pediatrico secondario è presente in 4 centri, attività di trasporto neonatale in 8 centri. I
protocolli operativi sono stati concordati con il 118 e con pediatrie ospedaliere periferiche in 3 centri
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sui 5 che hanno risposto al quesito. Per quanto concerne le attività assistenziali di alta specialità
operanti nel contesto dei Dea pediatrici, centri antiveleni e/o di tossicologia pediatrica sono attivi in 7
Dea, centri ustioni pediatrici in 6 centri ospedalieri. Il Trauma Center di riferimento pediatrico regionale
è una realtà solo nel 22,2% dei Dea considerati. L’attività di 8 dei 9 Ps pediatrici presi in esame è
supportata da un relativo reparto di Medicina d’Urgenza Pediatrica. Salette di terapia intensiva sono
presenti in 8 centri su 9, salette o aree di isolamento in 4 centri su 9 e salette ambulatoriali nella
totalità. Tutti i centri hanno messo in atto percorsi assistenziali intra-ospedalieri, mentre percorsi
assistenziali ospedale territorio sono una realtà solo in poco più della metà di essi (55,5%) ed il
follow-up ambulatoriale viene praticato in 4 centri su 9. L’osservazione temporanea/osservazione
breve intensiva (OT/OBI) vengono effettuate in tutti i centri partecipanti (anche se in 2 casi, senza
riconoscimento ufficiale da parte dell’Azienda Ospedaliera e/o Regione), peraltro con modalità
organizzative molto diversificate ma con finalità comuni quali la stabilizzazione del paziente, la
dimissione precoce, il filtro dei ricoveri. La percentuale dei dimessi dall’OT/OBI è in media del 79,4%.
L’organico in Ps pediatrico/24 h include un medico pediatra nella totalità dei centri ed un chirurgo
pediatra in 6 centri. Rianimazione, Chirurgia Pediatrica, Radiologia e Laboratorio d’analisi costituiscono
servizi e strutture disponibili in tutti i centri. Per quanto riguarda gli altri reparti, l’Ortopedia è presente
in 8 centri su 9; la Cardiologia in 7 centri, in 2 con disponibilità 24h/24, in 3 con reperibilità notturna e
festiva, nei 2 restanti con disponibilità non specificata; la Neurochirurgia in 5 centri, in un centro con
disponibilità 24h/24, in 3 con reperibilità notturna. Il bacino d’utenza risulta essere esteso a regioni
confinanti nel 22,2% dei casi, regionale nel 55,6% e provinciale nel 22,2%. Un dato rilevante è il
numero complessivo di accessi nei centri partecipanti all’indagine: 373.688 accessi/anno sul totale dei
9 centri con una media di 41.521 accessi/anno per centro. Dall’indagine è emersa inoltre una parziale
discrepanza tra i vari centri relativamente ai codici d’accesso in Ps, in particolare per quanto concerne
i codici di gravità minima/nulla (bianco e verde): da una parte troviamo centri con una netta
prevalenza di codici bianchi (con valori che arrivano al 62,7% del totale degli accessi), dall’altra, centri
con un numero minimo di accessi di codici bianchi (12,6%), ma un’elevata percentuale dei codici verdi
(73,8%). Per quanto concerne i codici gialli e rossi esiste invece una maggiore uniformità: in media, il
6,5% degli accessi sono stati classificati come codici gialli (con un valore minimo pari al 3,6% e un
valore massimo pari al 13,5%), mentre come codici rossi lo 0,6% (con un valore minimo pari allo
0,17% e massimo pari all’1%). La percentuale di dimissione, rispetto agli accessi, risulta in media pari
all’87,8% con valori minimi dell’82% e massimi del 97,4%): esistono comunque variabili in grado di
giustificare percentuali differenti di dimissione tra un centro e l’altro, quali la disponibilità e il numero di
posti letto per l’osservazione temporanea. Relativamente alle attività formative, Piani annuali di
formazione sono attivi nella totalità dei centri, sia pur con un impegno finanziario diversificato a
seconda delle rispettive Amministrazioni. Programmi formativi specifici per operatori sanitari sono
obbligatori in 8 centri su 9 (88,9%), mentre programmi di workshops, seminari e stage multidisciplinari
vengono attuati diffusamente. In tutti i centri vengono organizzati corsi PBLS (Pediatric Basic Life
Support) adattati alla specificità della realtà ospedaliera: nel 77,8% corsi di triage, nel 44,4% corsi
PALS (Pediatric Advanced Life Support), nel 33,3% corsi specifici per operatori del 118, corsi di
traumatologia, corsi di tossicologia ed educazione sanitaria.
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[Scheda 23]
Bambini e farmaci: il profilo prescrittivo nelle cure primarie
Il progetto Arno-Pediatria. Nel corso dell’anno 2004 a 721.142 bambini (63%), sono state
prescritte 3.021 specialità farmacologiche, utilizzando 2.409.328 ricette, per un totale di 3.651.275
pezzi. Mediamente ogni assistito ha ricevuto 3,3 prescrizioni e 5 confezioni di farmaci.
In accordo con quanto descritto anche a livello internazionale, la prevalenza (percentuale di
bambini che ricevono almeno una prescrizione con ricetta rimborsabile sul totale dei bambini
residenti) della prescrizione è maggiore nei bambini di 1 anno di età (78%), diminuendo
progressivamente al crescere dell’età, fino al 47% nei bambini 12-13 anni. La prevalenza delle
prescrizioni è risultata, inoltre, maggiore nei maschi che nelle femmine (64% versus 61%).
Distribuzione del tasso di prevalenza (assistiti/100 assitibili) per sesso e classe di età
Anno 2004
Valori percentuali
Fonte: Progetto Arno – Osservatorio sulla prescrizione farmaceutica pediatrica; Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” (Laboratorio per la
Salute Materno Infantile) e Cineca, Consorzio Interuniversitario.
Al 55% dei bambini è stato prescritto almeno un antimicrobico generale (pari al 60% del totale dei
pezzi) ed al 28% almeno un farmaco del sistema respiratorio (24% dei pezzi). I dati mostrano la
distribuzione percentuale degli assistiti per fascia di età e gruppo anatomico principale; i gruppi
anatomici maggiormente prescritti sono soprattutto quelli per bambini in età prescolare (_ 5 anni), con
l’eccezione dei farmaci del sistema muscolo-scheletrico, del sistema nervoso centrale, antineoplastici
e immunosoppressori. 1/3 dei bambini a cui sono stati prescritti farmaci emopoietici ha meno di 2 anni
di età. Analizzando la distribuzione percentuale degli assistiti per sesso, si evidenzia come la
maggioranza dei trattati con farmaci sia di sesso maschile, ad eccezione dei pazienti a cui sono stati
prescritti antineoplastici o farmaci del sistema genitourinario e ormoni sessuali. Gli antibiotici (87%
degli assistiti), gli antiasmatici (41%) e i corticosteroidi sistemici (16%) sono state le classi di farmaci
più frequentemente prescritte e corrispondono all’84% dei pezzi totali, mentre il 93% dei pezzi
prescritti appartiene a 7 classi di farmaci.
Farmaci prescritti. Dei 685 principi attivi prescritti, i primi 20 in ordine di pezzi rappresentano il
79% delle confezioni dispensate. Tra i 20 farmaci maggiormente prescritti vi sono soprattutto
antibiotici (10, di cui 6 cefalosporine) e antiasmatici (6, di cui 4 cortisonici inalatori). L’associazione
amoxicillina + acido clavulanico è risultata il principio attivo più prescritto in assoluto (540.596 pezzi a
259.298 bambini), seguita dall’amoxicillina (288.977 pezzi a 155.964 bambini), dal beclometasone
(253.153 pezzi a 176.346 bambini) e dal cefacloro (207.453 pezzi a 109.605 bambini). Il
beclometasone è risultato il principio attivo più prescritto ai bambini con età minore di 1 anno (1/5 dei
bambini di questa fascia di età ha ricevuto almeno una confezione di questo medicinale). Nei bambini
con più di 1 anno di età l’associazione amoxi+clavulanico è il farmaco più prescritto, seguito dal
beclometasone nei bambini fino a 11 anni di età, e dall’amoxicillina in quelli con più di 12 anni. Un
totale di 14 farmaci è in grado di coprire i bisogni più frequenti, indipendentemente dall’età; 7 di questi
(4 antibiotici, 2 antiasmatici e un cortisonico) compaiono tra i 10 più prescritti in tutte le fasce di età. I
sali di ferro e la flunisolide sono tra i più prescritti solo nei bambini con meno di 1 anno di età, al
contrario cefixima e ceftibuten in quelli con più di 1 anno di età. La cetirizina è tra i più prescritti solo
nei bambini di età maggiore ai 12 anni.
La spesa. La spesa totale è risultata di circa 53 milioni di euro e corrisponde al 2,8% della spesa
farmaceutica generale. In media per ogni assistito sono stati spesi 73 euro; questa spesa aumenta
con l’aumentare dell’età (43 euro nei bambini con età minore di 1 anno con un massimo di 80 euro nei
ragazzi con età maggiore di 12 anni) ed è maggiore per i maschi rispetto alle femmine (78 euro versus
68 euro). L’80% della spesa totale è dovuta a 20 principi attivi: l’associazione amoxicillina+acido
clavulanico è il farmaco per cui si è speso di più (6,3 milioni di euro, pari al 12% della spesa totale),
mentre il fattore VIII è il principio attivo con la spesa per assistito più elevata (110.242 euro). Anche
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la spesa è a carico principalmente di antibiotici e antiasmatici: 9 antibiotici (di cui 5 cefalosporine)
sono responsabili del 49% della spesa totale, mentre 8 antiasmatici (di cui 4 cortisonici inalatori)
coprono il 23% della spesa. In riferimento ai 10 principi attivi in ordine di spesa per fascia di età, nei
bambini minori di 1 anno di età il beclometasone è il farmaco per cui si è speso maggiormente
(306.000 euro, pari al 16% della spesa totale a carico di questa fascia di età). Nei bambini di età
maggiore di 1 anno l’amoxicillina+clavulanico è il farmaco per cui si è speso maggiormente, mentre nei
ragazzi con età maggiore di 12 anni la somatropina è il farmaco responsabile della spesa più elevata.
Commenti. Il profilo prescrittivo nel campione ARNO è simile in termini di tassi e loro andamenti
per età e sesso, e di classi di farmaci più frequentemente prescritte, a quanto già riportato in
precedenti studi italiani e non si discosta da quanto osservato in altre nazioni. Tuttavia, ci sono
alcune peculiarità su cui è opportuno riflettere. Innanzitutto, il numero di princìpi attivi (685) e
specialità medicinali (3.021) prescritti è enormemente elevato rispetto a quanto avviene negli altri
paesi europei, e ingiustificato se si considera che pochi farmaci potrebbero essere sufficienti a coprire
i più frequenti bisogni terapeutici dei bambini. I 20 princìpi attivi più prescritti coprono, infatti, il 79%
delle prescrizioni, e tra questi farmaci vi sono 10 differenti antibiotici (di cui 6 appartenenti alla classe
delle cefalosporine) e 6 antiasmatici (di cui 4 cortisonici inalatori): un differenziato approccio
prescrittivo basato su farmaci simili (me too) non supportato da evidenze di razionalità. Analizzando
la distribuzione delle prescrizioni per fasce di età si osserva che un totale di 14 farmaci è sufficiente a
coprire i bisogni più frequenti indipendentemente dall’età; inoltre, il fatto che 7 dei 10 princìpi attivi più
prescritti siano comuni a tutte le età induce a ritenere che le patologie e i bisogni più frequenti dei
bambini non variano con l’età o che questi farmaci rappresentano una risposta standard per diverse
malattie, e non necessariamente la più appropriata. Analizzando in dettaglio il profilo prescrittivo degli
antibiotici emerge che l’amoxicillina+acido clavulanico è il più prescritto in tutte le fasce di età,
sostituendo l’amoxicillina che è l’antibiotico di scelta per le infezioni più frequenti in età pediatrica
(otite, faringite), e che sono aumentate le prescrizioni di cefalosporine e di macrolidi (azitromicina e
claritromicina), malgrado questi rappresentino farmaci di seconda scelta o da riservare a situazioni
particolari e di riscontro poco frequente nei bambini. Tra i farmaci più prescritti vi sono, inoltre, due
antibiotici iniettabili, il ceftriaxone e la ceftazidima. Il ceftriaxone, in particolare, che dovrebbe essere
impiegato solo in presenza di infezioni gravi è stato prescritto al 2% dei bambini (con una
prevalenza maggiore nelle Asl del Centro-Sud). Per quanto riguarda gli antiasmatici, invece, si
conferma il riscontro che questi farmaci vengono spesso prescritti per patologie differenti dall’asma
(p.es. infezioni delle vie aeree, tosse) per cui non ci sono evidenze di efficacia. È frequente l’impiego
di cortisonici per via inalatoria, soprattutto nei bambini più piccoli, anche se questi farmaci dovrebbero
essere riservati al trattamento dell’asma persistente. Un altro farmaco spesso utilizzato nelle infezioni
delle vie aeree superiori, malgrado l’efficacia non sia documentata, è il betametasone, un cortisonico
per via orale che rappresenta il quarto farmaco più prescritto ai bambini di 1 anno di età.
Antibiotici e antiasmatici rappresentano le maggiori voci di spesa farmaceutica
pediatrica: 17 farmaci coprono 3/4 della spesa totale, e anche in questo caso si tratta di farmaci
appartenenti a poche classi (prevalentemente cefalosporine, macrolidi, cortisonici inalatori) di
seconda scelta e/o prescritti in modo non appropriato. Per quanto la spesa farmaceutica pediatrica
sia esigua (3% di quella totale), un uso più razionale dei farmaci potrebbe consentire un risparmio di
fondi da investire nella realizzazioni di studi clinici indipendenti in pediatria per quei bisogni ancora
orfani o con scarse risorse terapeutiche disponibili. Infine, solo il 40% dei farmaci prescritti è riportato
nella Guida all’uso dei farmaci per i bambini, il prontuario pediatrico pubblicato dal Ministero della
Salute nel 2003. Pur considerando le restrizioni della Guida, va sottolineato come, per la maggior
parte dei 685 farmaci prescritti, l’impiego nei bambini non è adeguatamente supportato da prove di
efficacia e/o sicurezza.
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[Scheda 24]
Salute e abitudini alimentari degli adolescenti
Indagine campionaria: gli adolescenti e l’alimentazione. Per la realizzazione dell’indagine campionaria (settembreottobre 2005) condotta dall’Eurispes, in collaborazione con il Telefono Azzurro, è stato selezionato un campione di 2.470
studenti, rappresentativo di tutto il territorio nazionale, di età compresa tra gli 12 e i 19 anni ai quali sono state formulate domande
relative all’importanza attribuita ad un’alimentazione sana, al numero di pasti che ciascuno assume quotidianamente, agli
eventuali fuori pasto e, in caso di risposta affermativa, a che cosa si preferisce mangiare in questi casi. Sono state formulate
anche domande relative al grado di frequenza dei fast food, alla volontà di seguire una dieta ipocalorica, allo svolgimento di attività
sportive e al modo in cui i ragazzi si vedono quando si guardano allo specchio. Rispetto all’importanza attribuita ad una sana
alimentazione è emerso che una fetta consistente del campione (79,8%) ritiene che sia importante mangiare in modo sano. Solo
il 13,2% considera poco importante seguire una corretta alimentazione, mentre il 5,6% non le attribuisce alcuna importanza. In
merito all’importanza attribuitaad un’alimentazione sana idue sessi non sidifferenziano in maniera sostanziale. È molto alta,infatti,
per entrambi la percentuale di coloro iquali considerano importante mangiare in modo sano. La percentuale delle femmine che
hanno scelto le risposte molto e abbastanza (84,3%), però, è di quasi 10 punti percentuali più alta rispetto a quella dei maschi
(75,4%) che hanno optato per le stesse alternative di risposta. In relazione all’età si osserva che le percentuali degli intervistati
che attribuiscono poca o nessuna importanza ad una corretta alimentazione sono più alte nella fascia d’età 12-14 anni
(rispettivamente 15% e 6%) rispetto a quelle dei ragazzi più grandi. In particolare è tra i rispondenti con un’età compresa tra i 17
e i 19 anni che si registrano le percentuali minori di preferenze a queste due alternative di risposta (11,4% e 5%). In merito alla
frequenza giornaliera dei pasti è emerso che il 42,9% degli adolescenti intervistati mangia 3 volte al giorno e che il32,2%, invece,
fa nell’arco della giornata un pasto in più rispetto a questi. Sommando i due valori percentuali si può osservare che il 75,1% dei
ragazzi non salta nessuno dei tre pasti principali e che in alcuni casi non rinuncia nemmeno alla merenda o allo spuntino. Anzi, nel
6,7% dei casi i ragazzi intervistati mangiano più di 4 volte al giorno. Da rilevare anche che il 17% degli adolescenti mangia solo
due volte al giorno, questo vuol dire che viene trascurato almeno uno dei pasti principali. La percentuale di coloro iquali mangiano
3 volte al giorno è la più alta in tutte le aree geografiche eccetto che nelle Isole. La maggior parte dei ragazzi residenti nelle Isole
(44,6%), infatti, ha dichiarato di mangiare 4 volte al giorno con uno scarto percentuale del 6,7% rispetto a quelli che mangiano
una volta in meno. Molto più alto è lo scarto tra le due alternative di risposta considerate al Nord-Ovest dove il 49,1% degli
intervistati mangia tre volte al giorno contro il 29% che invece fa 4 pasti giornalieri, al Nord-Est (44,8% vs 29,7%) e al Sud (39%
vs 26,3%). Si discostano solo di 2 punti le percentuali di risposta date, per i due casi presi in considerazione, al Centro (40,7%
vs 38,3%). Per quanto riguarda il Sud è interessante sottolineare che sono più alte, rispetto alle altre aree considerate, le
percentuali di risposta di coloro i quali mangiano appena 1 volta (3%) e 2 volte al giorno (23,3%). Al contrario, sono molto meno
quelli che al Sud mangiano 4 volte al giorno (26,3%). In riferimento all’età mangiano solo 2 volte al giorno di più i ragazzi
appartenenti alla fascia d’età 17-19 anni che hanno scelto questa alternativa di risposta nel 18,6% dei casi, a fronte del 15,3% di
quelli tra i 15 e i 16 anni e del 17% dei ragazzi più piccoli. Per comprendere meglio le abitudini alimentari degli adolescenti sono
state formulate anche domande concernenti la consuetudine o meno di mangiare lontano dai pasti e, in caso di risposta
affermativa, su quali siano gli alimenti preferiti in questa circostanza. La maggior parte del campione (55,6%) mangia fuori pasto
solo qualche volta, il 25,2% lo fa molto spesso, mentre il 13,7% ha l’abitudine di farlo sempre. In particolare sono i ragazzi di età
compresa tra i 12 e i 14 anni che, in percentuale maggiore, mangiano fuori pasto in maniera sporadica (59,8% contro il 53,3% di
quelli tra i 15 e i 16 anni e il 54,3% di quelli tra i 17 e i 19 anni). Questi ultimi hanno risposto con una percentuale più alta rispetto
alle altre fasce d’età considerate, di mangiare spesso fuori pasto. Gli adolescenti con un’età che va dai 15 e i 16 anni hanno
risposto di più rispetto agli altri di mangiare fuori pasto in maniera abitudinaria (16%). Chi mangia fuori pasto, nella maggioranza
dei casi preferisce divorare merendine e/o dolci (29,4%). Dopo i dolciumi, i prodotti preferiti sono la frutta (16,1%), i panini
(15,3%), il gelato (11,1%), la pizza (10,8%) e lo yogurt (6,9%). Nello specifico tutti i ragazzi preferiscono le merendine e i dolci
lontano dai pasti, in particolare quelli del Nord-Ovest (35%) e quelli delle Isole (33,8%); fanno eccezione gli adolescenti del
Centro che optano maggiormente per la pizza (24,6%), che viene scelta invece solo nel 7% dei casi al Nord-Ovest, nel 4,5%
al Nord-Est, nell’11,2% al Sud e nel 6,2% nelle Isole dei casi. La frutta e lo yogurt sono preferiti in misura maggiore dai ragazzi del
Nord-Est che hanno scelto queste alternative di risposta rispettivamente nel 20,2% e nel’11,6% dei casi. Mentre le percentuali
più basse del consumo di questi alimenti come fuori-pasto si registrano a Nord-Ovest (13,7% e 5,6%) e nelle Isole (13,1% e
4%). Il panino è lo spuntino preferito al Sud dove il 22,5% dei ragazzi lo mangia fuori pasto; molto basso invece il consumo al
Centro con il 9,4% delle preferenze. Il gelato infine è stato scelto in percentuale maggiore al Nord-Ovest (13,3%) anche se lo
scarto con le altre aree non è particolarmente rilevante, se non per il Sud dove solo il 7,7% degli intervistati lo preferisce. Le
merendine e idolci sono preferite in ugual misura dai maschi (30%) e dalle femmine (29,1%). Le altre preferenze, invece, variano
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in base al sesso. La percentuale di maschi (21,2%) che scelgono come spuntino il panino è pari a poco più del doppio di quella
delle femmine (10,2%) che, invece, scelgono in percentuale maggiore la frutta (20,2% a fronte dell’11,7% dei maschi). Una
differenza consistente si registra anche nella scelta della pizza che viene gustata lontano dai pasti dal 13% dei maschi intervistati
e solo dal 9,2% delle femmine. Queste ultime preferiscono maggiormente, rispetto ai maschi, il gelato (12,3% a fronte del 9,8%
dei maschi) e lo yogurt (9,1% contro 4,2% dei maschi). Partendo dalla considerazione che la dieta mediterranea sia stata in parte
scalzata dalle scorrette abitudini alimentari tipiche degli altri paesi, non poteva mancare una domanda concernente la frequenza
dei fast food. In questo senso, solo il 29,9% ha dichiarato di non andarci mai. Più della metà del campione, il 58,7% dei ragazzi, ci
va raramente, il 6,8% circa una volta a settimana, il 2,5% più volte nella stessa settimana e solo lo 0,8% ha l’abitudine di
mangiare quotidianamente in questo tipo di locali. La percentuale più alta di coloro i quali hanno risposto di mangiare solo
raramente nei fast food si registra nelle Isole (69,5%), seguono il Nord-Ovest (61,2%) e il Centro (60,9%); questa percentuale
scende in maniera consistente al Sud (53,8%) e al Nord-Est (52,8%). Sommando le percentuali di coloro i quali vanno al fast
food solo raramente con quelle dichi non civa mai (88,6%), emerge come ilmodello alimentare americano non abbia una grande
diffusione tra gli adolescenti del nostro Paese. D’altro canto, il10,1% dei ragazzi intervistati frequenta almeno 1 volta o più durante
la settimana, se non tutti i giorni, i fast food. Quando ai ragazzi è stato chiesto se hanno mai seguito o meno una dieta
dimagrante, la maggior parte di essi (74%) ha risposto in maniera negativa. Solo il 23,9% del campione ha seguito un regime
alimentare ipocalorico. Forse per una maggiore consapevolezza del proprio corpo e una tendenza più accentuata a tenere
sotto controllo il peso, le femmine hanno risposto in maniera affermativa in percentuale maggiore rispetto ai maschi (32,7% vs
14,6%) di aver seguito una dieta. Prendendo in considerazione l’età dei rispondenti si osserva che sono i ragazzi e le ragazze
più grandi che si preoccupano maggiormente del proprio aspetto fisico. Essi, infatti, hanno risposto di avere seguito una dieta
dimagrante nel 28,4% contro il 23,5% dei quindicenni e sedicenni da un lato, e il19,4% di quelli con un’età compresa tra i12 e i 14
anni dall’altro. Il41,4% di quelli che hanno seguito una dieta è riuscito anche a portarla a termine fino al raggiungimento del risultato
sperato. Il 24,9% non ha avuto la stessa forza di volontà ed ha, quindi, smesso prima, così come ha fatto il 14,3% del
campione che ha rinunciato perché era stanco di fare sacrifici. L’8,2% ha interrotto la dieta perché non riusciva ad ottenere risultati
soddisfacenti che lo stimolassero a proseguire nell’intento di dimagrire. Diversamente rispetto a quanto si potrebbe pensare, i
maschi (45%) si sono rivelati più costanti delle femmine (41%) a proseguire la dieta fino al raggiungimento dei risultati sperati. Le
femmine hanno interrotto inanticipo la dieta perché non riuscivano a rispettare ilregime alimentare ipocalorico nel 27,3% dei casi a
fronte del 20,6% dei maschi che ha smesso per lo stesso motivo. Nel 16,6% dei casi le ragazze hanno abbandonato perché
erano stanche di fare sacrifici (solo il 10,7% dei maschi ha smesso per questo motivo). Una percentuale maggiore di maschi
(11,1%) rispetto a quella delle femmine (7,1%) ha smesso in anticipo solo perché non riscontrava nel corso della dieta risultati
apprezzabili. Analizzando le risposte in base all’età dei rispondenti è emerso che la più alta percentuale (47,2%) di coloro i quali
hanno concluso con successo la dieta si registra tra i ragazzi di età compresa tra i 17 e i 19 anni. All’interno di questa fascia d’età e
di quella che racchiude i ragazzi con un’età compresa tra i 15 e i 16 anni solo una percentuale molto bassa di intervistati, pari
rispettivamente al 5,3% e al 5,7%, ha risposto di aver smesso perché non otteneva risultati soddisfacenti. Tra i ragazzi dai 12 e
i 14 anni è stato il 15,6% del campione che ha rinunciato alla dieta per questo stesso motivo. È più alta in questa classe d’età
anche la percentuale (29,9%) di quelli che hanno rinunciato perché non riuscivano a rispettare un regime ipocalorico. Tra coloro
che hanno smesso perché erano stanchi di fare sacrifici, la percentuale più consistente (19,6%) si registra nella fascia d’età 1516 anni. Nel tentativo di capire come gli adolescenti giudicano il proprio aspetto fisico è stato chiesto loro come si vedono quando
si guardano allo specchio. A questa domanda il 62% degli intervistati ha risposto di vedersi normale, quindi né magro e né
grasso. Si vede grasso, invece, il 17,4% del campione, mentre il 12,3% si ritiene magro. Sono molto basse le percentuali di
quelli che si sentono troppo grassi (2%) o troppo magri (3,6%). Fermo restando che, sia tra i maschi che tra le femmine, la
maggior parte del campione si vede normale, dalle risposte è emerso che sono di più le femmine rispetto ai maschi che si
sentono grasse (23,2%) e, al contrario, di più i maschi rispetto alle femmine che si vedono magri (17%). Tenendo presente
quanto è importante l’attività fisica per la salute, è stato chiesto ai ragazzi se si cimentano o meno in attività sportive diverse da
quelle praticate a scuola durante l’ora di educazione fisica. Dalle risposte fornite in proposito è emerso che il 63,5% dei ragazzi
intervistati svolge regolarmente attività sportiva extrascolastica contro il 33,9% che ne fa a meno. In particolare sono i maschi
(70,3%) che hanno risposto in percentuale maggiore rispetto alle femmine (57,6%) di svolgere attività sportiva extrascolastica. I
motivi principali che spingono i ragazzi a fare attività sportiva extrascolastica sono il divertimento (34,3%), il desiderio di avere un
bel fisico (20,8%) e l’effetto benefico che ne deriva per la salute (18,3%). Quasi nessuno (0,9%) è interessato al fatto che
praticare attività sportiva extrascolastica permette di accumulare crediti a scuola. L’11% fa attività sportiva per stare con gli amici,
mentre solo l’8,3% è incentivato dal gusto della competizione. Il sesso dell’intervistato costituisce una variabile significativa ai fini
della scelta di praticare un’attività sportiva, anche se entrambi lo fanno prevalentemente per divertimento. Imaschi sono guidati in
percentuale maggiore dalla voglia di stare con gli amici (13%) e dal gusto della competizione (12%), mentre le femmine sono
spinte maggiormente dalla volontà di avere un bel fisico (24,1%) e dal fatto che lo sport fa bene alla salute (21,7%). In
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riferimento all’area geografica è emerso che al Sud i ragazzi sono invogliati in misura maggiore, rispetto ai loro coetanei, dalla
possibilità che lo sport offre di stare con gli amici (13,7%) e dal gusto della competizione (11,3%). I ragazzi del Centro scelgono
di fare sport per divertirsi (40,1%), mentre quelli del Nord sono maggiormente motivati dalla consapevolezza che lo sport fa
bene alla salute (19,9% al Nord-Est e 19,8% al Nord-Ovest).
Spot, Tv e consumi alimentari. Una corretta educazione alimentare è utile anche per contrastare i condizionamenti
negativi che guidano le scelte di acquisto e di consumo dei giovani e che arrivano in particolare dalla televisione e dalla pubblicità.
Una recente ricerca ha messo in evidenza che, nel 2004, ogni bambino ha visto in televisione 27.000 messaggi pubblicitari a
fronte dei 25.000 visti nel 2000. In particolare, 7 spot alimentari su 10 pubblicizzavano prodotti ricchi di grassi, di zuccheri, di sodio
e solo 2 su 10 reclamizzavano prodotti ad alto contenuto di frutta o di ortaggi. Che la pubblicità condizioni le scelte dei bambini e
degli adolescenti è evidente se si considera che nel 69% dei casi essi hanno dichiarato di mangiare prodotti di cui ricordano lo
spot. Questo dato è particolarmente allarmante in Italia dove si contano gli indici più alti di obesità (4%) e di sovrappeso (20%)
tra i ragazzi tra i 6 i 17 anni (European Heart Network).
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Capitolo 4
Media e comunicazione
Scheda 25
• E-Generation
Scheda 26
• Internet come nuovo canale di socializzazione per i ragazzi: le Community e i Blog
Scheda 27
• Internet, Mp3, chat: Screen-agers, una generazione davanti al monitor?
Scheda 28
• Il marketing parte dalla culla: il business dei prodotti per bambini
Scheda 29
• Hackers: un fenomeno giovanile
Scheda 30
• Come il cinema parla ai giovani
Scheda 31
• L’universo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Europa
Scheda 32
• La riforma dei sistemi di istruzione e formazione
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[Scheda 25]
E-Generation
E-generation è il nome che le Istituzioni europee hanno scelto per denominare la gioventù degli
Stati membri. È la generazione che vive da protagonista l’era delle Information Communication
Technology, caratterizzata da nuovi e numerosi strumenti di mediazione ad alto contenuto
tecnologico. Internet e la telefonia mobile sono i principali protagonisti in questo mondo: ai tradizionali
telefoni cellulari si sostituiscono progressivamente tecnologie sempre più all in one, capaci di
trasmettere ad alta velocità e basso costo informazioni di ogni tipo. La crescente pervasività
dell’interconnessione è destinata a modificare ulteriormente i paradigmi non solo comunicativi della
società dell’informazione prossima a venire, ma l’intero impianto dei rapporti sociali, lavorativi e ludici,
attraverso una progressiva sovrapposizione della dimensione virtuale a quella reale. I giovani sono il
naturale target di questi processi per due ordini di motivi: costituiscono il cluster sociale più sensibile
al mondo tecnologico e contemporaneamente sono, oggi come ieri, la frazione sociale più delicata e
indifesa.
Il contesto: la diffusione delle tecnologie nelle famiglie italiane. Il nostro Paese è in
posizione di leadership nella capacità di assorbimento delle tecnologie connesse alla telefonia mobile:
al 2004, ben l’87% delle famiglie possiede uno o più telefoni cellulari, in rapporto di 2,2 apparecchi
per ogni famiglia. Il tasso di penetrazione dei pc è pari al 52%. Internet è presente nel 46% delle
famiglie e il 42% ne fa un effettivo utilizzo. La diffusione delle tecnologie innovative in ambito
domestico ha assunto, per quasi un decennio e fino al 2003, ritmi assolutamente sostenuti; solo nel
periodo 2003-2004, a causa dell’acuirsi della congiuntura economica sfavorevole, si è registrato una
flessione dei tassi di crescita nei consumi tecnologici domestici. Le piattaforme tecnologiche più
dinamiche sono i decoder Tv del digitale terrestre, in fase di introduzione sul mercato, il cui acquisto è
sollecitato dai recenti contributi statali: nel periodo compreso fra luglio 2004 e febbraio 2005 hanno
raggiunto oltre un milione e trecento mila famiglie, pari ad un incremento del 204,4%. I collegamenti a
banda larga, anch’essi favoriti dai bonus statali, crescono nel periodo considerato del 76,3%, seguiti
dall’acquisto di fotocamere digitali (42%) e di lettori Dvd Video (35,3%). Penalizzato il mercato delle
console dei videogiochi che hanno registrato una flessione del 2,5% fra il 2003 e il 2004. Tra gennaio
e marzo del 2005 la spesa italiana per l’Ict ha iniziato nuovamente a crescere, raggiungendo quota
14,8 miliardi, con un progresso rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del 3,7%. A fare da
traino a questo incremento è il settore delle telecomunicazioni, con una crescita attestatasi nel periodo
considerato del 5,1%. Le famiglie italiane, rispetto ai paesi più sviluppati, si collocano al top nella
penetrazione di cellulari personali tradizionali, attestandosi in buona posizione anche per quanto
concerne cellulari multimediali e pc. Tuttavia il divario con le famiglie degli altri paesi più sviluppati si fa
forte per quanto riguarda la penetrazione dei collegamenti ad Internet tradizionali e a banda larga,
fotografia digitale e lettori Dvd, sebbene i recentissimi trend di ripresa facciano ben sperare in un
progressivo recupero. Per quanto riguarda la Pay-tv le famiglie italiane sono, invece, in coda alla
classifica. Nel 2005 è aumentato di 5 punti percentuali il numero delle famiglie in possesso di uno o
più pc: la percentuale infatti è pari al 57% contro il 53% del 2004. Rimane stabile al 42% la
percentuale degli utilizzatori di Internet. In particolare il 10% naviga tramite banda larga a consumo, il
7% utilizza la banda larga flat e il 25% si connette in modalità narrow band.
I giovani italiani: diffusione e percezione delle tecnologie. Solo il 18% degli studenti
italiani ha la possibilità di utilizzare un pc a scuola, che il 39% di ragazzi non usa ancora il pc e il 70%
non accede ancora ad Internet. Una quota crescente di navigatori all’8%, ha meno di 14 anni. I
bambini fra i 10 e i 13 anni hanno sviluppato un rapporto particolarmente intenso con la rete: ben il
62% degli utenti in giovanissima età infatti possiede una connessione Internet domestica. Seguono i
bambini fra i 7 e i 9 anni, il 39% dei quali possono godere di un accesso alla rete direttamente a casa
contro il 20% dei bambini dai 2 ai 6 anni. Solo il 45% delle bambine può accedere ad una
connessione domestica, contro il 55% dei coetanei maschi. Il fine settimana è sempre più il tempo in
cui i bambini si dedicano alla navigazione in Internet piuttosto che alla fruizione televisiva
pomeridiana. Nel periodo delle scuole medie il rapporto con la rete si struttura e diviene finalizzato.
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Internet diventa sempre più una fonte di ricerca di informazioni funzionali agli argomenti trattati a
scuola, una sorta di tutor virtuale che consente un semplice accesso ad un mondo di conoscenze, ma
che può essere, e viene impiegato, anche nella ricerca di immagini, file audio e video, di accessori
software per il sempre più presente cellulare, e il centro della socialità virtuale delle chat, dei blog e
delle loro nascenti varianti.
Scorci di comunicazione futura nell’età dell’e-generation: il podcasting. Il 2005 sarà
ricordato nella storia degli strumenti Ict per l’ampia diffusione del così detto “podcasting”. Podcasting
(Personal Option Digital Casting) è frutto della crasi di due termini: iPod (in riferimento al celebre mp3player) e broadcasting. Esso consiste nella possibilità di diffondere con la complicità della rete piccole
trasmissioni radiofoniche autoprodotte con tematiche di vario genere. Tali files possono essere
ascoltati attraverso il pc o trasferiti sui sempre più diffusi mp3player. La vera novità introdotta dal
podcasting non è tanto nella modalità di fruizione, quanto nella semplicità con cui l’utente può
diventare, senza possedere conoscenze tecniche eccezionali, egli stesso autore dei palinsesti
digitali. Si stima che più di 22 milioni di americani possiedono un iPod o un qualsiasi lettore mp3, e il
29% di essi ha almeno una volta scaricato dalla rete un podcast. In Italia se pur timidamente in
crescita e difficilmente censibili, gli utenti sono ancora pochi; sono soprattutto i cosiddetti blogger ad
offrire ed usufruire dei podcast, una moda destinata probabilmente a rivoluzionare il sistema di
comunicazione mediatica.
Luci e ombre del rapporto fra giovani e tecnologie. Secondo uno recente studio realizzato
nel 2005, i bambini americani sono esposti quotidianamente per una media di otto ore e mezzo alle
sollecitazioni provenienti da nuovi e tradizionali media, fruiti in un numero crescente di casi
contemporaneamente o durante i momenti dedicati allo studio. Il bombardamento multimediale prodotto
sui piccoli fruitori è al centro di un dibattito intenso che vede confrontarsi opinioni spesso opposte
circa la capacità delle tecnologie di influire sulle vite dei bambini. I detrattori sono concentrati nel
sostenere la correlazione fra la fruizione smisurata di sollecitazioni mediatiche e disturbi dell’attenzione
(ADD) e del comportamento, capaci di indurre nei bambini “hi tech” un adattamento progressivo,
detto multitasking, tale da incidere pesantemente sulla strutturazione del loro pensiero critico. D’altra
parte, trovandosi innanzi ad un processo di socializzazione non sperimentato nel passato, non è
oggi possibile prevedere con precisione quale tipo di influenza possa esercitare la fruizione
continuata dei media sul futuro esistenziale dei giovani. In questo senso sarebbe in atto una
progressiva metamorfosi che ha reso le nuove generazioni più intelligenti delle precedenti. Questa
ipotesi prevede il progressivo adattamento sia psicologico – nelle capacità intellettuali – sia fisiologico
– nella struttura neurologica dei bambini sottoposti alle sollecitazioni – tali da rendere i bambini più
efficienti degli adulti nel compiere attività multitasking.
Dall’uso all’abuso delle tecnologie: le e-dipendenze. Ai vantaggi offerti dalla diffusione
delle tecnologie si sono contrapposte problematiche nuove, inerenti, come si è già detto, il loro
impatto sulla società. A tal proposito, il tema che sembra dominare attualmente, è la capacità della
tecnologia di coartare su di sé l’attenzione dei fruitori in maniera smisurata, tale addirittura da creare
dipendenze alla stregua di alcol, sostanze stupefacenti, farmaci, eccetera. Cliniche che si occupano
di questo tipo di affezioni stanno sorgendo in diversi paesi nel mondo. Uno studio realizzato dal
Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica e del Dipartimento di Psicologia della prima Università
evidenzia come negli ultimi anni siano in ascesa nuove forme di dipendenza. Il campione osservato
durante l’analisi è costituito da 253 soggetti, studenti di un Istituto Tecnico di una provincia umbra. I
risultati si riferiscono essenzialmente a tre aree: Internet e patologia psicosomatica: il 49,5% dei
soggetti sostiene di soffrire di “bruciore agli occhi” da quando ha iniziato ad utilizzare Internet, il 14,2%
riferisce di disturbi della lacrimazione, il 15% di affaticamento oculare. Inoltre, il 16,6% sostiene di
soffrire di cefalea proprio da quando ha iniziato a navigare sul web. Il 9% riferisce di un affaticamento
cronico. Dipendenza da telefono cellulare: gli adolescenti dichiarano di tenere mediamente con sé il
telefono cellulare almeno per dodici ore e il 10,3% per più di dodici ore. Il 91,3% di essi lo utilizza
anche durante l’orario scolastico; di questi, il 44,3% solo qualche volta e il 47% spesso. I maschi
dichiarano di scaricare frequentemente nuovi giochi per il proprio telefono da Internet (18,6%), in
misura superiore rispetto alle femmine. Le ragazze sono invece più attente alle promozioni per l’invio
gratuito degli sms (43%) rispetto ai loro coetanei maschi (29,7%). Ben il 32,4% di loro non lo spegne
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mai durante la notte e il 32% solo occasionalmente. Alla domanda “Quante volte ti svegli durante la
notte per leggere gli sms nel tuo telefono?”, il 23,3% dei ragazzi risponde di svegliarsi da una a tre
volte al mese; all’8,7% del campione capita almeno una volta a settimana, mentre il 13,4% si sveglia
nel cuore della notte diverse volte a settimana. Un residuale 2,8% riferisce di svegliarsi tutte le notti
per via dei messaggi sul cellulare. Dipendenza da videogiochi: il 38% dei maschi preferisce i giochi di
avventura, rispetto al 20% delle femmine, il 44,1% i giochi di simulazione sportiva, contro il 10% delle
ragazze. Ai giochi di ruolo giocano il 20% dei ragazzi e il 5,6% delle ragazze. L’età media a cui i
ragazzi del campione hanno iniziato a giocare con i videogiochi è di 8 anni; il 25% di loro gioca 2-3
volte alla settimana, il 19% ogni giorno, il 7,5% più di una volta al giorno. Per una durata di 1 ora il
19%, di 2-3 ore il 14,2% e per 4-5 ore il 5%. Sia i ragazzi che le ragazze dichiarano di ritrovare nel
videogiochi uno strumento prettamente ludico. I maschi dichiarano di scaricare in tal modo la tensione
nell’11,2% dei casi rispetto al 4,2% delle ragazze. Il 30,4% del campione gioca per noia, il 10,3% per
calmarsi quando si sente nervoso e l’8%, dichiara di riuscire a sfogare la propria aggressività
attraverso i videogiochi.
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[Scheda 26]
Internet come nuovo canale di socializzazione per i ragazzi: le Community e i Blog
Le comunità virtuali. I navigatori, e conseguentemente coloro che frequentano in Rete i diversi
tipi di comunità virtuali, sono sempre più numerosi anche in Italia e sono costituiti in misura
consistente soprattutto da giovani. Internet è un contenitore di informazioni ma anche un contenitore –
un luogo – di relazioni, è cioè un supporto per le relazioni interpersonali. In ambito domestico l’utilizzo
principale di Internet è proprio la comunicazione interpersonale, ma anche in ambito lavorativo questa
funzione è molto utilizzata. Ciò accade perché la socialità on line è alla portata di tutti in modo
istantaneo ed è informale e discreta. Il tempo che gli utenti trascorrono nelle comunità risulta in media
superiore rispetto a quello passato negli altri servizi; anche per questo molte società commerciali le
utilizzano come strumento di fidelizzazione e come veicolo pubblicitario particolarmente appetibile.
Si stima che attualmente nel mondo i forum siano circa 180 milioni, le community 70 milioni, le chat
40 milioni, i newsgroup 5,3 milioni. In Italia si stimano invece 2,7 milioni di forum, 1,7 milioni di chat,
800.000 community e 28.000 newsgroup (Centro documentazione dell’Eurispes).
Quando il mondo imprenditoriale ha intuito il potenziale delle community, per la loro capacità di
coinvolgere e fidelizzare gli utenti, ha dato vita ai portali comunitari, che permettono a tutti di costruire
nuovi spazi di aggregazione on line mettendo a disposizione degli utenti chat e forum gratuiti. Per le
società che si occupano di vendite o servizi al consumatore una comunità in grado di rafforzare il
senso di appartenenza dell’utente è un prezioso strumento di fidelizzazione, di cui i responsabili del
marketing tengono sempre più spesso debito conto. Le comunità di interesse accrescono il numero e
la frequenza degli accessi ad un sito commerciale e producono anche un ritorno positivo dal punto di
vista del business.
Principali comunità virtuali in Italia
Comunit virtuali
Atlantide
Lycos-Tripod
Ciaoweb
MSN gruppi
Clarence
Digiland
Pegacy
Supereva
Freeforumzone
Tiscali people
Genie people
Xoom
Bongo City
Clikkerland
Cosmopoli
Kyberlandia
Idealia
Lookcup
Nomad Community
Gay.it
Vita da single
Fonte: Centro documentazione dell’Eurispes.
Alcune comunità on line hanno progetti precisi e nascono per raggiungere obiettivi definiti, altre si
sviluppano senza alcuna finalità o con chiaro scopo di intrattenimento. In molti casi, e in particolare
nelle comunità di apprendimento, dal confronto fra i membri derivano una conoscenza ed una
comprensione più profonde dei temi in questione. Le comunità virtuali sono gruppi, in cui le norme
comuni e l’identità sociale sono perennemente in mutamento. In una comunità on line può esserci una
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struttura formale e gerarchizzata, ma anche una struttura decisamente informale e poco o per nulla
organizzata. Alcune community nascono in modo estremamente spontaneo e così perdurano, senza
regole precise. Ciascuna segue nel tempo la sua evoluzione: alcune si allargano coinvolgendo nuovi
utenti, altre rimangono in modo stabile in gruppo ristretto. In ogni caso, le comunità virtuali hanno
generalmente la caratteristica di non essere gruppi chiusi, ma aperti all’ingresso di nuovi elementi
capaci di accendere nuovo interesse ed introdurre nuovi temi e prospettive. L’universo delle comunità
virtuali è quindi sconfinato e spesso indisciplinato. Ogni giorno ne nascono e muoiono molte. Nel
tempo si evolvono trasformandosi anche radicalmente: a seconda del numero delle persone che le
frequentano, della capacità dei singoli utenti di animare in modo positivo o negativo le discussioni,
dell’attualità e della capacità del tema trattato di suscitare interesse e confronto. I motivi principali per
cui si entra in una comunità virtuale possono essere così sintetizzati: interesse per un argomento;
desiderio di confronto con gli altri; necessità di comunicare; curiosità; desiderio di veder realizzato il
proprio ego; fuga dalla realtà. L’idea che le comunità virtuali siano più efficaci di ogni altro mezzo per
catalizzare interessi e persone sulla Rete affonda le radici in teorie sociologiche come quella della
gerarchia dei bisogni di Maslow, applicabile anche ai gruppi virtuali.
La scala dei bisogni di Maslow nei gruppi virtuali
Bisogni
Offline
On line
Fisiologici
Cibo, vestiti, riparo, salute
Possibilit di accedere al sistema, di mantenere la propria identit
e partecipare alla community
Sicurezza
Protezione, sensazione di vivere in una societ giusta e onesta
Essere protetto da attacchi (virus) ed intrusioni, sensazione che
i rapporti allinterno del gruppo sono egalitari
Sociale
Capacit di dare e ricevere protezione, sensazione di appartenenza Sensazione di appartenere alla comunit
al gruppo
Autostima
Rispetto di s, capacit di meritarsi il rispetto degli altri e contribuire al Sensazione di contribuire alla crescita della comunit e di essere
miglioramento
stimato ed apprezzato dai suoi membri
Autorealizzazione
Possibilit di sviluppare delle capacit e concretizzare le proprie
potenzialit
Rivestire un ruolo di rilievo e traino allinterno della comunit
Fonte: Centro documentazione dell’Eurispes.
Le diverse tipologie di comunità virtuali. È possibile individuare diverse categorizzazioni
delle comunità on line in relazione ad aspetti specifici come obiettivi, finalità, ambito tematico e
strumento informatico utilizzato. È possibile individuare quattro tipi di comunità, che talvolta si trovano
accomunati nella stessa, oppure distinti in diverse realtà: comunità di transazione, si tratta ad
esempio di siti in cui è possibile fare acquisti in Rete e all’interno dei quali si possono anche creare
vere e proprie comunità, in alcuni casi nascono mailing list di acquisto in cui gli iscritti si scambiano
opinioni e consigli mirati per gli acquisti; comunità di interessi, luoghi in cui persone accomunate
dagli stessi interessi si riuniscono per discutere, condividere ed acquisire informazioni, senza finalità
di acquisto; comunità di fantasia, nelle quali vengono creati ambienti di fantasia in cui per gli utenti è
possibile assumere identità immaginarie e partecipare alla narrazione di storie fantastiche; comunità
di relazione, in cui le persone si incontrano e condividono le loro esperienze di vita e le loro
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emozioni, senza finalità transazionali o ludiche.
Le varie comunità virtuali appartenenti alle categorie citate si presentano nella pratica in modi
diversi fra loro (ma possono anche comprendere più di una modalità): Mailing list: comunità che
trattano di argomenti molto specifici, cui si accede tramite una iscrizione ad un indirizzo preciso,
entrando così a far parte di un gruppo di persone che ricevono, con cadenze e in forme diverse, email contenenti gli interventi di altri partecipanti e dei moderatori. Si stima che attualmente esistano in
Rete più di 70.000 mailing list; le loro dimensioni medie sono di circa 250 iscritti in Italia, di ben 5.000 in
Usa. Usenet, newsgroup e forum di discussione: Usenet è una sottosezione della Rete in cui si
raggruppano tutti i newsgroup, ossia i forum di discussione in cui i partecipanti possono leggere ed
eventualmente rispondere agli interventi degli altri. Chat: ambienti virtuali che permettono ai
partecipanti di dialogare inviandosi testo in tempo reale. BBS (Bullettin Board System):
computer “privati” raggiunti via telefono e alternativi alla Rete, in cui si scambiano informazioni ed
opinioni su vari argomenti, prevalentemente tecnici. MUD (Multi User Dungeon): ambienti di realtà
virtuale nei quali gli utenti possono partecipare a giochi di ruolo.
La chiacchiera virtuale. Le chat, che negli ultimi anni sono divenute una vera e propria
abitudine per un numero sempre maggiore di persone in Italia e nel mondo, e che rappresentano
probabilmente il canale più comune di socializzazione on line, sono state oggetto di una ricerca
italiana svolta dalla società Internet Monitoring e presentata nel gennaio del 2005. La media
giornaliera dei chattatori italiani è compresa, secondo i risultati ottenuti, tra 88.000 e 275.000, molti dei
quali si connettono addirittura dal posto di lavoro. I chattatori – che nel 57% dei casi avrebbero meno
di 30 anni e sarebbero soprattutto celibi se uomini e soprattutto sposate se donne – affermano di
chattare soprattutto per solitudine o insoddisfazione (73%), per fare amicizia o essere ascoltati
(57%), per avere relazioni più “vere e libere” di quelle reali.
Il fenomeno dei Blog. Si stima che ad oggi i Blog nel mondo siano 50 milioni.Blog sta per
“Weblog”, ovvero sito (web) che conserva traccia (log), o anche, nella denominazione più comune,
“diario in Rete”. I Blog sono spazi gratuiti on line aperti a tutti, forniti da portali o siti appositi.
Rappresentano una via di mezzo tra il sito personale ed i classici forum, in quanto è possibile
sviluppare threads di discussione tra i partecipanti. I bloggers possono essere anonimi e firmarsi con
un nickname. Un Rapporto pubblicato nel gennaio del 2005 dal Pew Internet & American Life Project
sullo stato dei Blog rileva che il 7% degli americani, ovvero circa 8 milioni di persone, afferma di aver
creato un Blog; in 18 mesi gli autori ed i lettori dei Blog sono più che raddoppiati. Il 27% degli utenti di
Internet afferma di leggere almeno un Blog, mentre il 12% dice di aver scritto almeno un commento su
un Blog. Solo il 38% dei navigatori sa cosa sia un Blog, mentre il 62% non conosce il significato della
parola; questi ultimi sono utenti di Internet più recenti e meno assidui rispetto a coloro che conoscono i
Blog. Ciò evidenzia che, nonostante la rapidissima diffusione del fenomeno, la maggioranza degli
utenti della Rete ancora non è entrata a contatto con i Blog.
I ragazzi e la socialità in Internet: pro e contro.5 Sono sempre più numerosi gli utenti
Internet che allacciano rapporti sociali virtuali ed in particolare quelli che entrano a far parte di una
comunità virtuale. Fra questi, è particolarmente consistente il numero dei giovani e dei giovanissimi,
che sono in generale molto attratti dalla Rete e, nello specifico, fortemente stimolati dall’opportunità di
socializzare e bisognosi di sentirsi parte di un gruppo, di fare nuove conoscenze, di sperimentare
forme di socialità nuove e spesso molto appaganti. L’ambiente virtuale favorisce le confidenze e le
confessioni su questioni estremamente personali, persino con persone praticamente sconosciute, ma
soprattutto con persone con cui si è instaurato un rapporto di fiducia ed un’abitudine all’ascolto
reciproco come possono essere i membri di un gruppo virtuale. La propensione ad aprirsi agli altri,
anche su argomenti intimi, è favorita da un rapporto basato sul dialogo come quello virtuale, ma
anche dalla distanza fisica, dalla conoscenza parziale, elementi che riducono pudori, timidezze,
esitazioni. Tutti freni che invece limitano i rapporti interpersonali nella vita quotidiana. Può essere più
semplice svelarsi senza guardare l’altro negli occhi, raggiungendo intimità che di solito richiedono
tempi molto più lunghi nel mondo reale. La facilità con cui molti si aprono e si fidano di persone che
5 . Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla lettura della scheda: CLUI (Chat-Line Undercover Investigation), contenuta in questo stesso
Rapporto.
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non hanno mai incontrato di persona dipende anche dal fatto che non si sentono in pericolo: sanno di
poter interrompere la comunicazione ed il rapporto in qualunque momento con estrema semplicità,
avvertono meno imbarazzo. Una comunità virtuale soddisfa quindi l’esigenza comune di scrivere e di
farsi leggere, ascoltare, capire, di aprirsi e di dare e ricevere manifestazioni di affetto. Anche nei casi in
cui alla conoscenza segue l’incontro di persona, il modo in cui si percepisce l’altro è diverso, è legato
al fatto di conoscere già l’interiorità dell’altra persona (se si era instaurato un rapporto profondo,
ovviamente). In un mondo in cui l’apparenza troppo spesso finisce per giocare un ruolo cruciale nelle
relazioni umane, i rapporti nati in Rete hanno spesso il vantaggio di ristabilire il primato dell’interiorità.
In Rete mente e corpo vengono separati, ci si libera dai “vincoli” imposti dalla propria identità fisica. È
come se in Rete le persone fossero tutte uguali, partissero alla pari. Trattandosi di una
comunicazione basata sul testo, c’è la possibilità di comunicare scambiandosi messaggi più ragionati
ed approfonditi di quelli scambiati normalmente di persona, a voce. Non si tratta quindi, come molti
temono, di un modo sempre ingannevole e freddo di conoscersi: al contrario, in molti casi Internet è lo
strumento per una conoscenza profonda capace di far nascere forti legami emotivi. Da questo primato
dell’interiorità e del dialogo che caratterizza la comunicazione in Rete deriva un altro aspetto in grado
di attrarre un gran numero di persone. Si tratta del fatto che ai membri delle comunità on line
generalmente sembra non importare degli eventuali limiti fisici o addirittura degli handicap di un altro
utente, dei suoi fallimenti personali e del suo status socio-economico. Ciò fa sentire gli individui
accettati in ogni caso ed apprezzati dagli altri partecipanti per quello che dicono e pensano, non per
come appaiono o per quello che possiedono. Al tempo stesso non va dimenticato che in un gruppo
virtuale si può scegliere di rivelare di se stessi solo quello che si vuole. In un certo senso ci si sente
“liberi da tutto quello che si è”, in grado di sperimentare nuove situazioni, nuove forme di relazione
sociale e talvolta persino nuove esistenze. Anche questa opportunità unica e questo senso di
“libertà” costituiscono una delle attrattive delle relazioni virtuali.
La rete tra potenzialità e pericoli. I ragazzi utilizzano sempre più spesso Internet come
strumento di comunicazione che consente di entrare in contatto con gli altri e di instaurare rapporti che
possono poi rivelarsi duraturi o meno, profondi o meno. Le comunità virtuali, in particolare, si sono
affermate come nuovo fenomeno di aggregazione sociale, occasioni per il consolidamento di veri e
propri gruppi virtuali, spesso uniti da significativi vincoli amicali che superano gli stessi confini della
Rete.
Se il fenomeno presenta senza alcun dubbio caratteristiche e potenzialità estremamente positive,
occorre però ricordare che in alcune circostanze non viene vissuto nel modo più corretto. È
necessario porre attenzione, ad esempio, sui casi di vera e propria dipendenza generati dalla Rete:
Cyber relationship addiction e Muds addiction. Con Cyber relationship addiction si intende la
tendenza a prediligere i rapporti affettivi e di amicizia instaurati tramite Internet piuttosto che le
relazioni familiari e sociali “non virtuali”. Tale forma di dipendenza si sviluppa solitamente con le chat,
ma non solo. La ragione di questa preferenza per le relazioni virtuali consiste spesso nella possibilità
di assumere identità in parte o del tutto fittizie, ma anche nella maggiore facilità e velocità con cui per
via telematica si giunge all’intimità ed alle manifestazioni di affetto (molto più difficili da ottenere nei
rapporti di persona e che comunque richiedono tempi decisamente più lunghi). La Muds addiction,
che riguarda soprattutto gli adolescenti, è la dipendenza dai giochi di ruolo on line. Poiché ogni
partecipante al gioco interpreta un personaggio e si immedesima con esso nell’azione e nel pensiero,
esiste il rischio della depersonalizzazione e della difficoltà a distinguere fra contesto ludico e realtà. I
più giovani, specie se poco integrati, soli e trascurati dal contesto famigliare appaiono fra le categorie più a rischio in relazione a
queste forme di dipendenza. Internet, tuttavia, è soprattutto uno strumento capace di aprire molte opportunità: offre agli utenti la
possibilità di ampliare le loro conoscenze – mettendo a contatto persone che difficilmente si potrebbero incontrare per distanza
geografica e non solo – e di approfondirle col dialogo. L’insieme delle tecnologie può favorire, facilitare ed arricchire i rapporti
interpersonali, purché esse vengano utilizzatein modo corretto. Sarebbe proficuo se, anziché preferire irapporti telematici a quelli
reali, si imparasse ad arricchire il reale delle consapevolezze acquisite in Rete. Internet, dunque, dovrebbe creare occasioni di
incontro che si affiancano a quelle tradizionali senza sostituirle né soffocarle.
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[Scheda 27]
Internet, Mp3, chat: Screen-agers, una generazione davanti al monitor?
Ragazzi e ragazze al computer. Nel 2000 solamente tra i 15 e i 24 anni la quota di utenti
Internet superava il 35%, arrivando al 38,3% per i giovani di 20-24 anni. Quest’ultimo “picco”,
relativo alla massima diffusione di cybernauti, risulta essersi progressivamente spostato verso età
ancora più giovani: nel 2003, infatti, è la fascia di età 18-19 anni a registrare la massima percentuale
di navigatori (63,6%). Osservando il grafico successivo, si nota che la quota di utilizzatori Internet
sale rapidamente dai 6 ai 15 anni, e, dopo aver raggiunto l’apice in corrispondenza dei diciott’anni,
comincia a diminuire, in modo più graduale per gli uomini e più rapido per le donne, fino a raggiungere
valori bassissimi fra gli anziani, e soprattutto fra le ultrasessantenni.
Persone che utilizzano Internet, per classi d’età e genere
Anni 2000 e 2003
Valori percentuali
70
60
50
40
Maschi 2003
Femmine 2003
Media 2000
30
20
10
0
6-10
11-14
15-17
18-19
20-24
25-34
35-44
45-54
55-59
60-64
65-74
75 e più
classi d'età (anni)
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat 2003.
L’uso di Internet fra i teen-agers appare caratterizzato da una frequenza non intensissima ma
piuttosto regolare (più della metà degli utenti Internet fra 15 e 19 anni si collega non tutti i giorni, ma
almeno una volta alla settimana), e diffuso fra le ragazze quasi quanto fra i ragazzi. In effetti è proprio
fra i giovani che le differenze di genere, per quanto riguarda l’uso delle tecnologie informatiche, si sono
attenuate nel corso del tempo. La medesima tendenza è stata riscontrata, a livello europeo, dalle
rilevazioni Eurostat: nel 2004, considerando la popolazione dell’Unione europea, il divario tra maschi
e femmine che usano Internet è di circa 8 punti percentuali (rispettivamente 51% e 43%), ma si riduce
a 2 punti fra i giovani di 16-24 anni (76% e 74%).
Adulti e teen-agers di fronte allo schermo: un’inversione di ruoli? I teen-agers sono
diventati “screen-agers”: si appassionano ai vari tipi di schermo (cellulare, computer, cinema, Tv,
videogiochi), ma grazie all’informatica e alle forme di interattività ne hanno una capacità di controllo
maggiore rispetto ai genitori e agli insegnanti.
Alfabetizzazione informatica dei genitori di minorenni utenti di Internet. Secondo le
rilevazioni effettuate nei primi mesi del 2004 dall’International Crime Analysis Association6 (ICAA), fra
6 Rilevazioni effettuate nell’ambito del progetto di ricerca C.I.R.P. (Child Internet Risk Perception), su un campione di 5.000 studenti, tra gli 8 e
i 13 anni, utenti di Internet. Ai fini dello studio sono stati considerati solo i minori che hanno descritto un uso frequente della Rete, pari al 77% del
campione.
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soggetti di 8-13 anni, e fra genitori e insegnanti di minori fruitori di Internet, anche se la maggior parte
dei genitori intervistati conosce a grandi linee il funzionamento di Internet (90%), permane una
consistente percentuale di soggetti (32%) che afferma di non aver mai navigato sulla Rete. Per non
parlare, poi, di file sharing o di P2P (peer-to-peer): secondo un Rapporto pubblicato nel 2004 dalla London School
of Economics, soltanto il 12% dei genitori britannici sa come si effettua un download di musica da Internet. Più che di un salto
generazionale, si potrebbe parlare di un vero e proprio capovolgimento di ruoli. Spesso è proprio la presenza di un figlio che
spinge i genitori a dotarsi di beni tecnologici: nel 2003 il 63,3% (rispetto al 24,9% del 1997) delle famiglie italiane con almeno un
minorenne possedeva un pc, e il 43,4% (solo il 3% nel 1997) un accesso ad Internet, contro il 3,4% e il 2,3% delle famiglie
costituite di soli anziani e il 47,5% (17,8% nel 1997) e il 35,7% (2,7% nel 1997) delle altre famiglie. La presenza in famiglia di figli,
soprattutto se inseriti nel circuito scolastico, è un fattore che incide in maniera decisiva sull’ingresso della piattaforma informatica in
casa e sull’intensità del suo utilizzo.
Le ragioni di una fascinazione. Dalle rilevazioni EIAA sulle attività praticate meno spesso a causa di Internet, risulta che
la Rete, più che isolare i ragazzi, provoca una diminuzione del tempo dedicato agli altri media. Infatti molti intervistati (dai 15 ai 24
anni) affermano che Internet ha sottratto tempo alla televisione (43%), oppure alla lettura di quotidiani, riviste e libri
(rispettivamente 40, 38 e 33%), agli sms (30%) e alle telefonate (28%), alla radio (24%); all’incirca un ragazzo su cinque
segnala poi una diminuzione del tempo trascorso in famiglia o fra amici (20%), o all’aperto (17%). Ma che cosa trovano i giovani
in Internet, che gli altri media non offrono? Molti apprezzano la rapidità di Internet (80%), la possibilità di ottenere ciò che si vuole
quando lo si vuole (70%), e considerano Internet uno stimolo per l’attività mentale (ne è convinto un intervistato su due), mentre
continuano a preferire la televisione come fonte di informazione (63%, contro il 30% di coloro che si informano tramite Internet).
Musica e chiacchiere. Molti software di file sharing consentono inoltre agli utilizzatori di chattare
con altri utenti: il fatto che le chat siano presenti anche sulle piattaforme di file sharing fa capire come,
soprattutto per i giovani, musica e “chiacchiere” non siano fenomeni disgiunti, ma come al contrario le
due passioni siano collegate fra loro all’interno della Rete. Il mondo virtuale diventa un laboratorio
sperimentale, e le chat appaiono così come luoghi sicuri, dove poter acquisire fiducia nelle proprie
capacità e incrementare l’autostima, dare espressione a tratti repressi di sé, esplorare nuove identità
migliorando il sé reale: interpretare ad esempio un personaggio estroverso e fiducioso può costituire
lo stimolo per modificare il proprio comportamento anche fuori della Rete.
Quando si rischia di affogare: alcuni pericoli legati alla navigazione dei minori. Già nel 5°
Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Eurispes e Telefono Azzurro,
si evidenziava come il 22% dei navigatori tra i 15 e i 44 anni è a rischio dipendenza da Internet e ne
rileva solo gli aspetti positivi, esaltandone l’utilizzo; il 29% è utente abusatore e manifesta problemi
psico-fisici che tenta di risolvere immergendosi completamente nella Rete; l’11%, infine, può definirsi
completamente dipendente da Internet, evidenziando psicopatologie molto gravi (disturbi dissociativi,
allucinazioni, ecc.). La classe d’età più esposta all’abuso risulta essere quella dei 21-26enni (16%),
seguita dai 15-20enni (4%); sempre in questa fascia d’età si colloca l’8% dei soggetti a rischio
dipendenza.
Chat-mania: tra trasgressione e comunicazione consolatoria. Vi sono in particolare forme di
dipendenza legate più strettamente alle chat, come la Cybersexual Addiction (che può tra l’altro
riguardare anche l’eccessivo coinvolgimento in relazioni erotiche via chat e e-mail), o, soprattutto, la
Cyber Relationship Addiction (dipendenza da cyber-relazioni), una vera e propria “Chat mania”: essa interessa infatti tutti
quegli individui che privilegiano le relazioni on line, escludendo progressivamente i rapporti interpersonali della vita reale, e lo
strumento che agevola maggiormente la diffusione di tale disturbo è proprio la chat. In chat è possibile raggiungere, nell’arco di
pochi scambi di battute, relazioni intense ed intime, ed instaurare forme consolatorie di comunicazione: ci si può sfogare e parlare
dei propri problemi, ci si sente un altro (o un’altra), generalmente molto migliore. La chat, per questo, può rappresentare una sorta
di liquido amniotico dove rifugiarsi per evitare di affrontare la vita reale, con il rischio di operare una vera e propria inversione
reale/virtuale. Chi ha rapporti interpersonali insoddisfacenti nella vita reale, ma trova in chat riscatto, sicurezza, comprensione,
tende facilmente a vedere nel mondo virtuale l’ambiente vero, gli amici veri, il proprio vero io.
Pedo-pornografia on line. Se consideriamo la possibilità per i minori di entrare in contatto con pedofili, secondo quanto
documentato anche dall’esperienza investigativa delle Forze di polizia specializzate, sono proprio le chat il settore di Internet in
cui simanifestano imaggiori rischi. Una chat, infatti, anche se implica la mediazione di un computer tra idue interlocutori, consente
diinstaurarerapporticomunicazionaliestremamente intimie dinascondere lapropria realeidentità.DallaricercaICAA emerge che
la percentuale di minori (8-13 anni) che ha incontrato in chat un adulto che ha intrapreso discorsi su tematiche sessuali (dunque
presumibilmente pedofilo) si attesta al 13%; ma ancora la fruizione occasionale di materiale pornografico durante la navigazione
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(soprattutto a causa di banner pubblicitari e pop up) ha riguardato ben il 52% dei ragazzi. Esistono molti siti a contenuto
pornografico, razzista o violento che utilizzano, per segnalarsi, parole chiave insospettabili, per cui può succedere ai ragazzi di
imbattersi in immagini perturbanti, messaggi equivoci, offerte pericolose, utilizzando semplici motori di ricerca o sistemi P2P.
Cercando immagini di cartoni animati, cantanti e attori, è possibile trovare involontariamente immagini di tipo pornografico, dal
momento che queste vengono spesso mascherate da file più “innocenti” e nomi ingannevoli. Si è scoperto ad esempio che file
denominati “Winnie the Pooh” o “Pokemon”, rintracciati su sistemi di file sharing, contenevano in realtà materiale pornografico.
Siti satanici. Dal 1999 al 2003, in base ad un monitoraggio effettuato dalla Polizia Postale, si è verificato un notevole
aumento dei sitisatanici; molte sette pseudoreligiose approfittano talvolta della diffusione del mezzo telematico fra gliadolescenti,
per attuare sottili strategie di manipolazione, attirando nel web isoggetti con le personalità più fragili e suggestionabili allo scopo di
avvicinarli ai loro riti, acquisire denaro o informazioni sensibili, o addirittura soddisfare perversioni.
P2P, Mp3 e l’abbassamento del senso di legalità tra i giovani. Con l’avvento del formato di compressione Mp3,
Internet è diventata il principale nodo di diffusione di musica illegale. La comparsa in Rete di programmi come Napster ha reso il
tuttoancora più semplice ed ha consentito una diffusione capillaredella pirateriadigitale. L’anonimato, l’immediata disponibilitàdei
file desiderati, l’assenza di barriere fisiche, la rapidità, caratteristiche di Internet quanto di Napster, accanto all’alto prezzo di vendita
dei cd, hanno provocato un aumento esponenziale nella diffusione dimusica illegale:secondo laFIMI (Federazione dell’Industria
Musicale Italiana),ogni giorno avvengono nel mondo 3 milioni di download, 70.000 brani musicali vengono immessi in Rete ogni
mese, e oltre 500 siti illegali sono stati chiusi nel solo 2000. Non è da escludere che la semplicità di utilizzo di tali tecnologie, e
l’ampia diffusione del fenomeno del download illegale, possano essere correlate, dal punto di vista psico-criminologico, ad un
certo affievolimento del senso della legalità, soprattutto fra igiovani. Infatti, fra gli adolescenti vige la massima indulgenza, quando
non l’approvazione, nei confronti della pirateria: l’83,2% ritiene di scarsa o nessuna gravità scaricare musica da Internet; in
particolare, la quota di quanti non ravvisano alcun problema in questo comportamento sfiora il 60% (Eurispes - Telefono
Azzurro, 2004). Attraverso i software di file sharing, in particolare, si rischia di compromettere la privacy e la sicurezza del
computer: ilpericolo maggiore sono icosiddetti spyware, piccoli programmi scaricati con musica e video o inclusi direttamente nei
software per il P2P, che sono talvolta in grado di carpire informazioni sensibili dal computer, come password e numeri di carta di
credito, e comunicarle a terzi (chi ha creato e controlla quegli spyware). Può accadere poi che, inavvertitamente, vengano
condivisi sui sistemi peer-to-peer anche file personali e documenti riservati. Inoltre i computer connessi alla rete P2P sono
vulnerabili all’attacco di virus, ai tentativi di controllo da parte di terzi e allo spamming pubblicitario indesiderato.
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[Scheda 28]
Il marketing parte dalla culla: il business dei prodotti per bambini
Il problema del marketing alimentare. La pubblicità di alimenti durante le trasmissioni
televisive per bambini privilegia in misura predominante i cibi non salutari (ad alto contenuto di grassi,
sodio, zuccheri) a dispetto dei cibi sani. Basti pensare che in Italia il valore degli investimenti in
merendine rappresenta quasi la metà del totale degli investimenti nelle categorie di prodotto
considerate nello studio, contro il 10% circa rappresentato da frutta e verdura. Nel 2004 per ciò che
concerne il settore alimentare è stata pubblicata una ricerca sul marketing di prodotti non salutari
diretto ai bambini. Lo studio è stato promosso dall’Associazione per la lotta alla trombosi, all’interno
del progetto europeo Children, obesity and associated avoidable chronic diseases, coordinato da
EHN (European Heart Netwok) e cofinanziato dalla Commissione Europea. In ognuno dei 20 paesi
coinvolti nel programma sono stati raccolti dati relativi al valore degli investimenti in marketing
alimentare rivolto ai minori, per verificare l’ipotesi che quest’ultimo sia responsabile, insieme ad altri
fattori, dell’aumento dell’incidenza dell’obesità infantile. Oltre alla natura e all’estensione del marketing
alimentare, si è analizzata anche la questione relativa alla sua attuale regolamentazione. Sono
riportati i principali risultati della ricerca, con uno sguardo particolare alla situazione italiana.
Investimenti pubblicitari (valori in euro) per alcune categorie di prodotti alimentari in Italia
Anno 2004
Valori assoluti e percentuali
Categorie di prodotto
Investimenti
%
Brioches e merendine
69.081
43,6
Biscotti
33.346
21,0
Cereali prima colazione
24.655
15,6
Verdura e frutta
16.256
10,3
Surgelati vegetali naturali
13.204
8,3
1.948
1,2
158.490
100,0
Surgelati vegetali linea
Totale
Fonte: Nielsen Media Research, 2004.
Tra le modalità utilizzate per promuovere la pubblicità alimentare nel nostro Paese emerge la
televisione, con un valore di investimenti pari a 171.234 euro e con un peso percentuale calcolato al
90,8% rispetto agli altri canali promozionali. Radio, cinema e riviste hanno avuto nel corso del 2004
un’incidenza decisamente residuale. Se si considera che, secondo alcune fonti (Altroconsumo, 2004),
il 25% degli spot è rivolto ai bambini, ci si rende conto dell’importanza che si attribuisce, in termini di
spesa pubblicitaria televisiva, a questo target.
Canali promozionali e pubblicità alimentare in Italia
Anni 2003-2004
Valori in euro
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Canali promozionali
Press
2003
2004
2003/2004 Variaz. %
V.A.
%
V.A.
%
12.414
5,8
11.310
6,0
-0,1
Cinema
2.323
1,1
616
0,3
-0,7
Radio
1.886
0,9
4.121
2,2
1,2
394
0,2
1.202
0,6
2,0
Televisione
196.910
92,0
171.234
90,8
-0,1
Totale
213.927
100,0
188.483
100,0
-0,1
Outdoor
Fonte: Nielsen, 2004.
Nel 2004 il canale televisivo come strumento di promozione pubblicitaria ha registrato un calo di
circa un punto percentuale rispetto al 2003. Sembrerebbe un dato pressoché irrilevante, ma se
confrontato con gli altri paesi, acquista significato, dal momento che vi è una tendenza generale al
decremento degli investimenti pubblicitari in televisione. Probabilmente uno dei possibili motivi risiede
nell’ascesa di Internet come mezzo di promozione della pubblicità alimentare e nella lenta diffusione
del marketing alimentare nelle scuole.Secondo dati IAB (Interactive Advertising Bereau Italia) tra il
2003 e il 2004 il marketing alimentare on line ha registrato un aumento stimato al 30%.
Altri dati (Altroconsumo, 2004) indicano la quantità di messaggi pubblicitari per tipologia di
prodotto promossi attraverso il canale televisivo.
Quantità di messaggi pubblicitari per tipologia di prodotto promossi attraverso il canale televisivo
Anno 2004
Valori percentuali
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Tipologia di prodotto
%
Giochi e giocattoli
2,0
Prodotti finanziari
2,1
Intrattenimento
2,2
Abbigliamento
3,1
Cosmetici
3,2
Igiene
3,4
GSM e telecomunicazioni
3,5
Trailer cinema
4,6
Pubblicazioni
4,9
Arredamenti
5,4
Prodotti per la casa
6,1
Veicoli
9,0
Promo tv
11,2
Alimentari
26,3
Altro
13,0
Totale
100,0
Fonte: Altroconsumo, 2004.
Verso i tecnogiochi. Il discorso del marketing per bambini non può escludere il mondo dei
giochi. Il presidente di Toy Guy, azienda di consulenza nel settore dei giocattoli, sostiene che nel
2003 il 60% dei giocattoli diretti ad un target dai 2 ai 7 anni era dotato di microchip. D’altronde anche le
multinazionali del settore producono in maniera sempre crescente i tecnogiochi, mosse anche dal calo
del prezzo dei microchip negli ultimi anni. Si teme che questi giochi stiano diventando troppo pilotati,
che rispondono più alle logiche dell’oggetto che del soggetto, più alle logiche delle aziende che del
bambino.
Uno sguardo al settore abbigliamento. Il fenomeno branding coinvolge in particolar modo il
settore dell’abbigliamento, dove l’adesione al marchio è diventato quasi un must. Soprattutto in
questo settore, aderire al marchio significa decidere di comunicare un proprio stile, una precisa
personalità, unica e distinta dalle altre. È un mondo, soprattutto quello delle griffe, che per sua natura
si rivolge principalmente al pubblico adulto. Negli ultimi tempi si è riscontrata una crescente apertura
al mondo delle kid labels. Se, in termini generali, sul fronte dei consumi interni, l’abbigliamento Junior
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(bambino, bambina, neonato) in Italia ha registrato un andamento piuttosto in calo nel 2003, con lievi
segnali di ripresa (+1,9%) solo nella stagione primavera/estate 2004 (Centro Studi Sistema Moda
Italia), il canale distributivo che ha mostrato migliori performance (rispetto alla stagione primaveraestate 2003) è stato il dettaglio indipendente di fascia alta (circa +6,5%), che di per sé rappresenta
solo una piccolissima fetta della struttura distributiva nel settore, dominato dalla grande distribuzione
organizzata, dalle catene di negozi e dal dettaglio individuale di fascia media.
L’influenza del marketing nelle decisioni d’acquisto. Se è vero che il marketing influenza
l’infanzia nell’atteggiamento verso i prodotti e verso i marchi, è anche vero che fino ad una certa età
non sono i bambini ad acquistare materialmente i prodotti, ma nella maggior parte dei casi i genitori. Le
strategie di marketing, per avere successo nel medio-lungo termine, devono portare all’incremento
delle vendite e alla fidelizzazione dei clienti. Dunque, il buon risultato dei disegni di marketing si
esplicita nell’atto dell’acquisto. In questo caso, il “ruolo del decisore d’acquisto”, ossia chi
effettivamente spende denaro per comprare, è fondamentale. È necessario, a questo punto,
analizzare sia la forza di persuasione da parte del bambino nei confronti di chi compra per lui, sia
l’importanza della personalità del decisore d’acquisto.
Dalla parte del marketing, il connubio perfetto si ha quando il bambino spinge per l’acquisto e il
genitore acconsente. Già nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva sottolineato il ruolo
trainante di alcuni bambini nell’influenzare le decisioni di acquisto dei genitori.
Ipotesi, questa, avvalorata da diverse ricerche. In Italia questa realtà è stata confermata
dall’indagine “Junior 2004” condotta da Doxa su bambini di età compresa tra i 5 e i 13 anni. Secondo
questi dati, i ragazzi in questa fascia di età hanno un forte potere nel persuadere i genitori nelle
decisioni di acquisto all’interno dell’universo dei prodotti e delle marche, specialmente per quei prodotti
di loro diretto interesse, quali giochi, articoli per la scuola e abbigliamento.
Influenza media del genitore e del ragazzo nelle decisioni di acquisto (base: tot genitori)
Anno 2004
Valori percentuali
Fonte: Doxa, 2004.
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[Scheda 29]
Hackers: un fenomeno giovanile
Il nostro Paese svetta fra i paesi nei quali la pirateria è più diffusa e, per il solo comparto del
software, si attesta a tassi di pirateria attorno al 49%, pari a circa un miliardo centoventisei milioni di
dollari in termini di valore eluso.
Ritratti ed autoritratti di hacker. Secondo alcune scuole di pensiero gli Internals (impiegati
scontenti o ex funzionari che si approfittano delle conoscenze tecniche acquisite nell’impresa per
attaccarla, come forma di rivalsa), sono responsabili di ben il 70% degli attacchi ai sistemi informativi
aziendali. Lo sviluppo della rete ha assunto connotati inimmaginabili solo qualche anno fa.
Attualmente nel web vive un mondo parallelo e virtuale costituito da categorie di utenti, users,
assolutamente variegato che, interagendo reciprocamente, contribuiscono a creare forme sociali
nuove ed originali. Il loro incessante divenire appare legato al continuo ed esponenziale sviluppo
delle tecnologie e delle interfacce software. L’universo hacker in primis si è dilatato arricchendosi
progressivamente di categorie e appropriandosi di un linguaggio gruppale autonomo avente la
funzione di governare il riconoscimento dei soggetti all’interno del cyberspazio, l’universo della
virtualità appunto. Il mondo della cybercultura è molto vasto e accanto a gruppi che vivono la rete in
maniera assolutamente legale, profittando legittimamente dei vantaggi che essa regala per informarsi,
istruirsi, ricercare dati e comunicare, vi sono gruppi che sconfinano nell’illegale che afferiscono per
così dire al lato oscuro della rete, all’underground della virtualità. Sostanzialmente le motivazioni che
spingono coloro che violano i sistemi informativi all’azione possono essere ricondotti a tre gruppi: la
volontà di sottrarre dati ed informazioni per utilizzarli o rivenderli, il desiderio incontrollato di
distruggere, la volontà di auto-affermarsi. Numerose sono le classificazioni riguardanti gli hacker che la
letteratura scientifica ha prodotto; secondo Giorgio Pacifici (2003) i cybernauti che operano violazioni
sui sistemi informatici possono essere euristicamente classificati in:
Truffatori, ricettatori, ricattatori informatici – Persone che commettono reati abbastanza tradizionali per
quanto con modalità e strumenti innovativi. Sostanzialmente assimilabili a questi sono coloro che
attuano spionaggio informatico su commissione.
Hacker tradizionali – Personalità fortemente trasgressive, che violano i limiti del segreto di stato, del
segreto militare, spinti spesso da motivazioni afferenti esclusivamente l’autoaffermazione entro i
gruppi hackers di riferimento.
Creatori di virus – Persone con mentalità per così dire scientifica, volontà distruttiva e motivazioni
fortemente aggressive nei confronti della società. Personalità del tipo definito da Myriam di Fenizio
come in lotta contro il mondo. Alla categoria dei produttori può essere accostata quella degli untori,
coloro cioè che diffondono i virus infettando i sistemi, siti, ecc.; questa categoria ha probabilmente
capacità scientifiche meno sviluppate, ma sono dotati di competenze tecnico-informatiche buone o
eccellenti.
Cyberterroristi – Individui con mentalità terroristica, che utilizzano strumenti informatici anche molto
sofisticati per realizzare risultati analoghi a quelli del terrorismo tradizionale. Queste persone risultano
essere assolutamente indifferenti di fronte alle sofferenze ed al dolore provocato con le loro azioni,
intrisi di spirito ideologico-religioso antisistemico e di una visione politica sovversiva.
Landreth propone invece una classificazione che divide gli hacker in cinque categorie:
I novizi (novice) – Sono coloro con minore esperienza la cui condotta è relativamente meno
pericolosa per l’integrità dei sistemi.
Gli studenti (student) – Sono coloro che invece di dedicarsi alle attività scolastiche, nel loro tempo
libero preferiscono, spesso nascostamente, dedicarsi all’esplorazione dei sistemi.
I turisti (tourist) – Sono coloro che spinti da uno spirito d’avventura si cimentano nella conquista di
spazi altrui nel web.
I distruttori (crasher) – Sono coloro che danno alla loro attività di hacking una connotazione distruttiva,
causando intenzionalmente danni ai sistemi visitati.
I ladri (thief) – La categoria è quella fortunatamente meno numerosa: si accingono ad attaccare i
sistemi per trarne beneficio economico, saccheggiando database e informazioni di ogni tipo e
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rivendendoli ai committenti interessati.
Hollinger, attraverso lo studio di una comunità di universitari, è arrivato a classificare gli hacker in:
Pirati (pirates) – Soggetti tecnologicamente meno evoluti che si limitano a violare i copyright sul
software crackandolo, ossia violando le protezioni a programmi e giochi per il pc o per le console.
Navigatori (browsers) – Soggetti con conoscenze tecniche di medio livello, in grado di invadere
sistemi informatici senza però voler consapevolmente infliggere danni alle vittime degli attacchi né con
l’intento di attingere dati o informazioni personali.
Crackers – Sono coloro che, possedendo skills e know how informatici molto elevati, sono in grado di
infliggere danni seri ai sistemi.
Il merito di questa tripartizione è quello di includere coloro che operano violazioni sul copyright
entro il medesimo contenitore logico degli hacker che utilizzano la rete per operare. In effetti, come è
evidente, la rete non è che una delle possibili opzioni per le operazioni di hacking e a ben vedere la
più recente. Chantler classifica gli hacker tenendo conto di diversi fattori: le attività specifiche portate
avanti dal soggetto, le sue capacità tecniche, le sue motivazioni e la quantità di tempo che egli dedica
all’attività di hacking. Attraverso tale analisi egli perviene a distinguere gli hacker in tre categorie:
Gruppo di élite (elite group) – Sono soggetti con elevatissime capacità tecniche e con il desiderio di
essere apprezzati nell’underground della rete dai pari come invasori temibili.
I neofiti (neophytes) – Sono coloro che non hanno capacità tecniche specifiche ma che studiano i
sistemi sperando un giorno di appartenere al gruppo di élite.
I perdenti (losers o lamers) – Quelli che non possedendo grandi capacità intellettuali si avvicinano al
mondo dell’hacking con lo scopo precipuo di avvantaggiarsene economicamente, limitandosi a
violare, sfruttando programmi e tools sviluppati da utenti più esperti, i sistemi con intenti di
spionaggio e vendita di dati ed informazioni.
Si è giunti infine ad ipotizzare una composizione percentuale di tali categorie nell’universo hacker
concludendo che appena il 30% degli hacker appartiene al gruppo delle élite, mentre il 60%
sono i neofiti e il restante 10% è costituito dai perdenti.
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[Scheda 30]
Come il cinema parla ai giovani
Aspettative e percezioni dei giovani nei confronti del cinema. Il grande schermo, la
compagnia degli amici, il buio in sala, la novità della storia, l’assenza d’interruzioni: queste le
caratteristiche che fanno del cinema un’esperienza speciale per i bambini. E nonostante essi siano i
principali fruitori di dvd e videocassette, il loro amore per il grande schermo emerge in modo
inequivocabile da numerose indagini.
In particolare, secondo un Rapporto di ricerca condotto nel 2003 da Media Salles sulla base di un
questionario distribuito ai ragazzi (di età compresa tra gli 8 e i 14 anni) in alcune sale cinematografiche
dei paesi dell’Unione europea, ben il 63,5% dei rispondenti preferisce il cinema rispetto alle altre
modalità di narrazione. La visione del film in sala, infatti, li fa sentire più emozionati, eccitati, divertiti e
coinvolti nella storia. Ai ragazzi, inoltre, piace molto la socialità legata all’andare al cinema (incontrare
gli amici, consumare insieme bibite e pop corn). È sempre l’indagine di Media Salles a documentare il
diffuso desiderio fra gli “spettatori in erba” di andare di più al cinema. Interrogati sulle occasioni
durante le quali i ragazzi si recano al cinema, essi rispondono di frequentare le sale cinematografiche
“solo con la scuola” con percentuali che salgono al crescere dell’età: 22,6% per i bambini minori di 9
anni, 25% e 34,8% rispettivamente per i ragazzi di 9-10 anni e per i maggiori di 11 anni. Ma la
maggior parte dei bambini va al cinema solo qualche volta durante l’anno, presentando una
frequenza molto limitata anche nei periodi di Natale e/o di Pasqua (quando si reca al cinema solo il 4%
dei rispondenti) e in estate (3%). Nonostante l’indiscusso fascino esercitato dal cinema, insomma, la
frequenza delle sale è spesso molto diradata nel tempo. Ciò è probabilmente legato all’affermazione,
in costante aumento, dei prodotti del mercato home video. Dal 2001, in particolare, anno in cui il dvd è
stato significativamente presente in tutti i canali, dal noleggio all’edicola, la spesa delle famiglie per i
prodotti home video è cresciuta significativamente. E i bambini, come abbiamo visto, ne sono i
principali fruitori. Per quanto riguarda il tipo di film visti in prevalenza dai bambini, la scelta è spesso
influenzata dalla pubblicità, ma anche dal “passaparola”, i consigli di genitori e amici. In generale, poi,
i ragazzi preferiscono i film comici e/o divertenti, i cartoni animati, oppure i film d’avventura e/o
d’azione; comprano, specialmente nella fascia di età fra gli 8 e i 9 anni, prodotti (soprattutto giocattoli)
ispirati ai propri film preferiti.
Giovani, cinema e web. Il cinema arriva ai più giovani anche attraverso il web. I ragazzi, infatti,
grazie ad Internet, sono sempre più informati sui film in uscita, su quello che avviene in sala, sui set e
nel mondo della celluloide. E grandi navigatori di siti legati a film: soprattutto Il Signore degli anelli e
The Matrix. Questa la realtà emersa da un’indagine condotta da Media Salles e partita dall’edizione
2003 del “Giffoni Film Festival”. L’incremento verificatosi negli ultimi anni nell’utilizzo di Internet e delle
nuove tecnologie dell’informazione e, parallelamente, l’impiego crescente da parte dei complessi
cinematografici delle tecniche del one-to-one marketing (attuate mediante l’uso delle e-mail e degli
sms) hanno creato un nuovo segmento di pubblico: i navigatori di Internet. E questo, dai dati emersi
dall’indagine, risulta coincidere molto spesso con il pubblico più giovane. In particolare, sono emersi i
seguenti aspetti fondamentali:
• il 36% degli intervistati non accede mai a Internet dal computer di casa, il 41% si collega da 1 a 6
volte alla settimana e il 23% si collega una o più volte al giorno;
• i siti legati al cinema maggiormente visitati risultano essere i siti ufficiali dei film, i siti di attori e/o
registi e i siti di interesse generale; quelli meno visitati appaiono, invece, i siti dei cinema e dei
cineclub e i siti dei produttori;
• i siti ufficiali dei film ricordati sono molto pochi, confermando l’accesso dei ragazzi più che
direttamente al sito ufficiale del film a portali sui film o sul cinema in generale;
• i ragazzi visitano questi siti principalmente per leggere la trama del film (nel 67% dei casi), per
vedere i trailer/videoclip (52%), e per leggere le recensioni, interviste o news (42%).
Internet, infatti, viene considerato un mezzo che permette di ampliare la conoscenza sui film,
consentendo di conoscere anche quelli poco pubblicizzati sui mezzi classici;
• è elevato l’interesse per la visione di un maggior numero di film europei; piuttosto ridotto, invece,
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quello per la visione di film d’autore.
Socializzazione e consumo di cinema. Ai bambini piace la socialità legata all’andare al cinema.
La compagnia degli amici, durante la visione del film, rende il cinema in sala un’esperienza speciale,
preferibile di gran lunga a tutte le altre modalità di fruizione del film. Questa domanda di socialità ha
avuto una risposta nell’inserimento della sala in contesti che consentono altri modi di utilizzo del
tempo libero. L’ottica è quella di trasformare la visione del film in un’occasione speciale da più punti di
vista, portare lo spettatore a scegliere non solo il film, ma anche la sala, per la molteplicità di “bisogni”
che riesce a soddisfare. Da qui è nata una formula originale per le sale di nuova generazione, il
multiplex: una struttura concepita per ospitare una pluralità di schermi inserita in contesti che possono
offrire una varietà di servizi agli spettatori (sport, divertimenti, shopping). L’aver puntato su quelle
caratteristiche che i bambini hanno individuato come essenziali del cinema sembra essere stata una
scelta commerciale vincente. Nel corso degli ultimi anni, infatti, in Europa si è assistito ad una crescita
considerevole del numero di cinema multiplex, come testimoniano i dati dell’European Cinema
Yearbook 2004, l’Annuario statistico di Media Salles.
La questione del doppiaggio. Se il cinema e la televisione possono esercitare un ruolo
educativo, è indubbio che la qualità dei contenuti espressi attraverso questi due mezzi possono
influenzare il piccolo fruitore. Troppo spesso, però, la proposta che viene dai prodotti audiovisivi è di
un livello linguistico e culturale discutibile. Dai dati forniti dall’Ufficio Documentazione e Studi dell’Anica,
sappiamo che la maggior parte dei film trasmessi in Tv e nelle sale viene acquistata dall’estero, in
particolare dagli Stati Uniti. Il controllo sulla qualità della traduzione e dell’adattamento in italiano ai fini
del doppiaggio è a volte lasciato al buon senso e alle capacità soggettive degli addetti ai lavori. Con
risultati, purtroppo, non sempre soddisfacenti. I ritmi industriali imposti dal mercato impediscono di
fatto al traduttore di approfondire, di ricercare soluzioni e proposte originali, che stimolino la curiosità,
la fantasia e lo spirito analitico. Si assiste così, ad un progressivo appiattimento ed impoverimento
del linguaggio; ed è normale che ciò avvenga se si considera che il tempo medio a disposizione di un
dialogista per adattare un cartone animato è di soli tre giorni. Il cinema, invece, potrebbe essere una
vera e propria scuola di lingua, e le eventuali difficoltà di comprensione dovrebbero semmai
sollecitare ad andare oltre l’apparenza delle cose, a domandarsi e a domandare. All’estero, in
particolare nei paesi scandinavi, i film americani non vengono doppiati, ma sono trasmessi in
versione originale con i sottotitoli. Una possibile alternativa al doppiaggio che forse anche l’Italia
potrebbe iniziare a prendere in considerazione.
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[Scheda 31]
L’universo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Europa
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle scuole italiane. Le istituzioni
nazionali, alla pari di quelle europee, riconoscono molta importanza alle moderne tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Ad esse viene attribuita la capacità di innescare cambiamenti
positivi e di offrire nuove opportunità di impiego. Lo scorso anno è stata assegnata all’ICT una
spesa pari al 5,5% del Pil (il 3,6% è riservato al segmento delle telecomunicazioni) contro il 5,9%
della Francia, il 6% della Germania, il 6,8% del Regno Unito. A livello europeo, la spesa media
attribuita alle ICT corrisponde al 6,1% del Pil.
L’Italia si pone l’obiettivo di conquistare una posizione da protagonista nell’era digitale attraverso
il pieno utilizzo di queste nuove tecnologie in tutti i settori. Per raggiungere tale obiettivo è necessario
investire, in termini di tecnologia e innovazione, prima di tutto nel sistema scolastico. È per questo
che, in linea con quanto stabilito con i Piani d’azione eEurope, negli ultimi anni sono state condotte
diverse iniziative atte a favorire lo sviluppo tecnologico nelle scuole (aumento delle dotazioni
informatiche, cablaggi, formazione, servizi in rete). Secondo la rilevazione resa nota dal Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, i computer presenti nelle scuole a settembre 2004 erano
534.454, mentre nello stesso periodo del 2005 sono pari a 569.077 unità. A settembre di quest’anno
la dotazione di pc nelle scuole statali è aumentata di oltre 30.000 unità. Tale aumento deve essere,
però, considerato tenendo conto che, mentre nel 2004 il campione era composto da circa l’89% delle
scuole statali, nel 2005 è stato censito il 95% del totale delle scuole. Ciò accade perché
l’Osservatorio permanente delle attrezzature tecnologiche per la didattica nelle Istituzioni scolastiche
italiane, disponibile sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è aggiornabile
on line a cura delle scuole interessate. Si può affermare comunque con certezza che negli ultimi anni
si è verificato un aumento del numero dei computer nelle scuole, in quanto dal 2001 al 2004 il rapporto
tra numero di studenti e numero di computer utilizzabili è passato da 1 su 28 ad 1 su 11. Se si
confrontano i dati relativi al 2004 con quelli rilevati dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca nel 2001, è evidente una maggiore disponibilità di computer in tutti i tipi di scuole.
La maggiore disponibilità, nel 2004, si registra per le scuole superiori, in cui è adoperabile 1
computer ogni 8 studenti. Gli allievi delle elementari e quelli delle medie, possono contare
rispettivamente i primi su 1 computer ogni 14,2 studenti e i secondi su 1 computer ogni 12,7. Nello
specifico il numero maggiore di computer si trova negli istituti tecnici in cui si contano nel 2004,
114.001 pc. Rispetto a questo dato, meno della metà sono i computer censiti negli istituti
professionali (51.668), negli istituti superiori (47.707) e nei licei (45.194). Scorporando questi dati per
regione, si può notare che l’aumento delle attrezzature informatiche ha comportato anche un
riallineamento tra le regioni del Nord e quelle del Sud per quanto riguarda il numero di computer a
disposizione degli studenti. Le regioni meridionali, infatti, hanno ridotto il rapporto studenti/computer
attestandosi più o meno sugli stessi livelli delle regioni del Nord. Nel 2001 il numero più basso di
studenti che potevano usufruire di un computer si registrava in Friuli Venezia Giulia, dove il rapporto
era pari a 1/20. Si discostavano di poco l’Umbria, le Marche, il Molise, tutte con un rapporto pari a
1/22, seguite dall’Emilia Romagna (1/23). I valori più alti si contavano in Campania, dove era
utilizzabile 1 computer ogni 44 studenti. Molto alto era anche il rapporto calcolato in Sicilia, dove esso
si attestava su un valore pari a 1/39. Seguivano la Calabria con un rapporto di 1/32, il Lazio (1/31) e
l’Abruzzo (1/30). Superavano la media nazionale, pari nel 2001 a 1 computer ogni 28 studenti,
Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia. Da questi dati è evidente che gli studenti delle
regioni del Sud, dato il numero elevato di coloro i quali potevano usufruire di un solo computer, nel
2001 hanno avuto maggiori difficoltà per quanto riguarda l’uso delle tecnologie informatiche. In seguito
all’aumento delle dotazioni informatiche presenti negli Istituti scolastici, la situazione è migliorata
notevolmente nel 2004.
Come per il 2001, anche nel 2004 il primato spetta al Friuli Venezia Giulia che vanta un rapporto
pari ad 1 computer ogni 8 studenti. Lo stesso rapporto si registra in Basilicata e nelle Marche. Il
progresso più significativo si registra in Campania che, pur rimanendo su valori superiori alla media
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nazionale, passa da un rapporto di 1/44 ad uno di 1/16. Nel 2004 nelle scuole italiane è disponibile,
in media, 1 computer ogni 11 studenti; superano la media, oltre alla Campania, il Lazio e la Puglia. La
riduzione del rapporto da 1/28 a 1/11 ha permesso al nostro Paese di raggiungere l’obiettivo che la
Commissione Europea si era imposta con il Piano di azione eEurope 2002. Per quanto riguarda il
collegamento ad Internet dei computer presenti nelle scuole, l’obiettivo del Piano di azione eEurope
2005 era quello di raggiungere entro il 2003, un rapporto pari ad 1 computer connesso ad Internet
ogni 15 studenti. L’Italia in questo caso non ha raggiunto l’obiettivo, ma può comunque ritenersi
soddisfatta visto che già dal 2004 c’è 1 computer connesso ogni 16 studenti. I valori assoluti presi in
considerazione mostrano un leggero incremento di computer connessi ad Internet per l’anno 2005. In
realtà il dato è rimasto invariato, in quanto sia nel 2004 che nel 2005 risulta connesso ad Internet
l’85,3% dei computer dislocati nelle scuole che hanno risposto al questionario on line del Miur. La
differenza dei valori dipende dalla diversa dimensione del campione, nel 2004 è stato censito quasi
l’89% delle scuole statali, nel 2005 il 95% di esse. A proposito del tipo di collegamento utilizzato, in
entrambi gli anni considerati prevale la percentuale di scuole che si collegano ad Internet con
l’ADSL/xDSL, anche se nel 2005 si registra un calo rispetto al periodo precedente (49,1% nel 2005,
56,1% nel 2004). Il dato è comunque molto più alto rispetto al 2001, quando solo il 18% delle scuole
ha risposto di connettersi con l’ADSL, mentre la maggior parte (59%) si connetteva, in quell’anno, con
l’ISDN. Una flessione si verifica anche per quanto attiene al collegamento tramite ISDN; si passa,
infatti, dal 45,3% delle scuole rispondenti nel 2004 al 37% nel 2005. Diminuisce di tre punti anche la
percentuale di scuole che si connettono tramite rete telefonica. Dal punto di vista dell’utilizzo della email didattica si può osservare una diminuzione della percentuale di scuole che ne fanno uso. Dal
questionario on line emerge, inoltre, che sono quasi sempre i dirigenti, i docenti e il personale ATA che
si servono maggiormente dei servizi di posta elettronica: lo dimostrano i dati rilevati al 2004 e quelli
relativi al 2005.
La percentuale di studenti, appartenenti alle scuole censite, che utilizzano la posta elettronica della
scuola, varia tra il 13,5% del 2004 e il 14% del 2005. É basso, per entrambi gli anni, anche il dato che
si riferisce all’uso della posta elettronica per le comunicazioni tra la scuola e la famiglia e tra
quest’ultima e i docenti. Oltre la metà delle scuole ha dichiarato di avere un sito web che viene
utilizzato prevalentemente come canale per la posta elettronica dei docenti, per svolgere servizi per
la didattica e per le famiglie. Tra queste, sono le scuole secondarie di 2° grado che ne fanno un
utilizzo maggiore. Anche per quanto riguarda la presenza di un sito web il dato del 2005 è pressoché
lo stesso del 2004, anno in cui si è registrato un incremento del 7% rispetto al 2001, oltre che un
aumento dell’impiego di server interni alle scuole. In un anno si è incrementata ulteriormente anche la
quantità dei laboratori, in particolare sono aumentati quelli di tipo informatico, multimediale e
disciplinare. Resta quasi inalterato, invece, il numero dei laboratori tradizionali, quasi a voler
testimoniare la tendenza della scuola italiana a prediligere le nuove tecnologie. Anche la percentuale
dei laboratori cablati e di quelli connessi ad Internet, nel 2005, è quasi del tutto invariata. Ciò significa
probabilmente che tutti i nuovi laboratori sono cablati e connessi ad Internet.Circa il 50% dei
laboratori totali si trova nelle scuole secondarie di II grado. Gli altri sono più o meno equamente
distribuiti tra i diversi tipi di scuola, anche se prevale su tutti la scuola primaria con oltre 9.000 unità di
laboratorio.
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[Scheda 32]
La riforma dei sistemi di istruzione e formazione
Nell’anno scolastico 2006-2007 dovrebbe iniziarel’attuazionedella riformanelle scuole secondarie, mentre ilnuovo sistema
scolastico dovrebbe essere attivo in tutti i settori nell’anno scolastico 2010-2011.
I numeri del sistema scolastico statale italiano nell’anno 2004-2005 Secondo la sintesi dei dati relativi alla scuola
statale elaboratadalla Direzione Generale deiSistemi Informatividel Ministerodell’Istruzione,dell’Universitàe dellaRicerca diffusa
nel mese di luglio 2005, gli alunni di età compresa tra i 3 ed i 19 anni, iscritti nell’anno scolastico 2004-2005, sono stati 7.676.269.
Tra le differenti fasce di età, la più numerosa è risultata quella iscritta alla scuola primaria, che comprende complessivamente
2.524.508 alunni distribuitiin 16.145 scuole. Solo leggermente inferiore è ilnumero degli iscrittialla scuola secondaria di 2° grado,
pari a 2.479.237 alunni; a tale parità di utenti, rilevante se si considera che nell’anno in questione la scuola secondaria di 2° grado
era facoltativa, corrisponde un numero di scuole pari a circa un terzo delle scuole primarie presenti in Italia, ovvero solo 4.983. Le
scuole dell’infanzia,non obbligatorie ma ugualmente molto richieste,arrivano a13.601 ed hanno registrato,nell’anno 2004-2005,
978.073 bambini iscritti.Idocenti che hanno lavorato a tempo indeterminato ed a tempo determinato annuale sono stati 732.179.
Tutti i dati indicati non comprendono le informazioni riguardanti la Val d’Aosta, Regione a statuto speciale, nonchè le Province
autonome di Bolzano e di Trento, in quanto le scuole ivi funzionanti non sono gestite dallo Stato.
Alunni, scuole, sezioni e classi, personale docente, per ordine di studi
Anno scolastico 2004/2005
Valori assoluti
Ordine di studi
Scuola dellinfanzia
Alunni
Scuole
Sezioni e classi
Personale docente (a tempo
indeterminato e determinato
annuale)
978.073
13.601
41.688
83.296
Scuola primaria
2.524.508
16.145
137.024
247.134
Scuola secondaria di I grado
1.694.451
7.037
80.025
172.030
Scuola secondaria di II grado
2.479.237
4.983
114.440
229.719
Totale
7.676.269
35.466
373.177
732.179
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Direzione Generale per i Sistemi Informativi, luglio
2005.
Nell’arcodegliultimidiecianni lapopolazione scolasticaè diminuita,con una variazione traglialunniiscrittinell’anno1995/1996
e quelli iscritti nel 2004/2005 pari a 43.632 unità, ovvero mezzo punto percentuale. Tuttavia, il dato relativo all’ultimo anno
scolastico, rapportato a quello precedente (2003-2004), registra un incremento di 6.764 iscritti, pari allo 0,1%, che, seppur
minimo, conferma l’andamento di leggero aumento di iscrizioni dal 2001/2002. Ed infatti,intorno al 1995 siregistrò una tendenza
alla diminuzione degli alunni pari a circa 50.000 iscrizioni in meno ogni anno, a cui si rimediò con l’innalzamento dell’obbligo
scolastico, previsto con la legge n. 9 del 1999 ed entrato in vigore nell’anno scolastico 1999/2000. Da quel momento è
aumentato gradualmente il numero degli alunni fino ai dati relativi all’anno scolastico 2004/2005 che, seppur inferiori a quelli del
1995/1996, segnano tuttavia la ripresa delle iscrizioni, il cui incremento negli ultimi tre anni è da ricondurre, oltre che al citato
innalzamento dell’obbligo scolastico, anche, e soprattutto, alla sempre maggiore presenza di alunni non italiani. Questo dato è
ancor più rilevante se si considera che la popolazione scolastica di origine italiana è in diminuzione, ma il complessivo numero
degli iscritti nelle scuole non è variato in misura sostanziale negli ultimi cinque anni.
Serie storica del numero degli alunni della scuola statale negli ultimi dieci anni
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Indicazioni
Valori assoluti
Numeri indice (anno base
1995/96=100)
1995/1996
1996/1997
1997/1998
1998/1999
1999/2000
7.719.901
7.643.996
7.599.110
7.540.156
7.542.232
100
99
98
98
98
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Direzione Generale per i Sistemi Informativi, luglio
2005.
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Serie storica del numero degli alunni della scuola statale negli ultimi dieci anni
Indicazioni
Valori assoluti
2000/2001
2001/2002
2002/2003
2003/2004
2004/2005
7.561.780
7.607.977
7.620.227
7.669.505
7.676.269
98
99
99
99
99
Numeri indice (anno base
1995/96=100)
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Direzione Generale per i Sistemi Informativi, luglio
2005.
Progetti di riforma nell’Unione Europea. Nel mese di dicembre 2001 l’Ocse ha pubblicato i
risultati della prima fase della ricerca PISA 2000 svolta su 250.000 studenti di vari paesi, dai quali si
evince come sia in lettura che in matematica e scienze gli studenti italiani abbiano raggiunto livelli di
apprendimento inferiori alla media dell’Ocse.
Punteggio dei livelli di apprendimento degli studenti italiani per tipo di istruzione in rapporto alla media nazionale ed alla media dei paesi Ocse
Anno scolastico 2000-2001
Tipo di istruzione
Reading Literacy
Mathematical Literacy
Scientific Literacy
Licei
544
495
524
Istituti professionali ed artistici
429
407
423
Istituti tecnici
478
459
474
Italia
487
457
478
Ocse
500
500
500
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ocse, PISA 2000.
Norberto Bottani, direttore dell’Istituto di Ricerca in Educazione di Ginevra (SRED) ha
commentato i primi risultati degli studenti italiani affermando come essi rivelino la presenza di problemi
di fondo che affliggono la scuola, di portata generale. «In Italia c’è un sistema scolastico in cui prevale
la mediocrità: la prestazione media degli studenti italiani è significativamente al di sotto della media dei
paesi dell’Ocse, ma l’Italia è tra i paesi in cui l’impatto del contesto socio-economico sulle prestazioni
degli studenti è pure inferiore alla media. Il sistema (…) è un po’ più giusto degli altri, ma è
penalizzante, perché i risultati sono bassi. L’esempio di paesi che invece sono altrettanto giusti, ma
con livelli di prestazioni elevati per tutti (ricchi e poveri) dimostra che si può fare meglio e
diversamente senza penalizzare l’obiettivo dell’uguaglianza di trattamento» (da un intervento per la
rivista Il Mulino, n. 2/2002). Nel mese di febbraio 2005 sono stati pubblicati i risultati della seconda
fase del progetto PISA, ovvero l’elaborazione dei dati ottenuti dalla somministrazione dei questionari
avvenuta nel 2003. Il punteggio raggiunto dagli studenti italiani resta al di sotto della media dei paesi
Ocse, in tutti i campi di conoscenze oggetto di studio.
Punteggio dei livelli di apprendimento degli studenti italiani per tipo di istruzione in rapporto alla media nazionale ed alla media dei Paesi Ocse
Anno 2003-2004
114
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Tipo di istruzione
Reading Literacy
Mathematical Literacy
Scientific Literacy
Licei
525
503
531
Istituti professionali ed artistici
409
408
423
Istituti tecnici
474
472
491
Italia
476
466
486
Ocse
500
500
500
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ocse, PISA 2003.
I dati riportati confermano le grandi differenze che esistono nel nostro sistema tra i vari tipi di
scuole, laddove gli istituti professionali si assestano su livelli di mathematical literacy medio-bassi e
fanno comunque rilevare i valori minimi anche nelle altre competenze. Secondo il prof. Pietro
Lucisano, docente di Pedagogia sperimentale all’Università “La Sapienza” di Roma, questo risultato è
il prodotto di una scuola media che indirizza gli alunni ritenuti più bravi verso il liceo, ed i meno bravi
verso gli istituti professionali. Tali caratteristiche del sistema scolastico non garantiscono la
necessaria equità dell’offerta formativa ed accentuano le differenze tra i due principali percorsi della
scuola superiore (dall’intervento del prof. Lucisano, “I punti di debolezza del sistema scolastico
italiano alla luce degli esiti della ricerca PISA e degli obiettivi europei” – Bologna, 24 febbraio 2005).
115
Capitolo 5
Cultura, costume e tempo libero
Scheda 33
• Bambini e viaggi: spostamenti, vacanze e turismo a misura di bambino
Scheda 34
• Il bambino come soggetto economico: il rapporto tra infanzia e denaro
Scheda 35
• Organizzazione della cultura e fruizione infantile
Scheda 36
• I bambini e lo stadio. Possibili modelli di violenza
Scheda 37
• Famiglia: verso una nuova identità?
Scheda 38
• 2005: va di moda il bambino
Scheda 39
• La vita quotidiana del bambino e analisi dei tempi
Scheda 40
• La mediazione nei conflitti scolastici
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[Scheda 33]
Bambini e viaggi: spostamenti, vacanze e turismo a misura di bambino
Bambini e ragazzi in vacanza. In linea con il dato nazionale, anche per i giovani tra i 6 e i 19
anni vi è stato, a partire dal 2001, un incremento di vacanzieri. Negli anni tra il 2001 e il 2003 si è
infatti verificato uno sviluppo del turismo giovanile, fatta eccezione per la fascia d’età 18-19, per la
quale si è registrato un lieve decremento. L’incremento più consistente si è avuto in corrispondenza
della classe d’età compresa tra i 6 e i 10 anni: la percentuale di bambini che sono andati in vacanza è
infatti passata dal 57,1% al 59,8%, pari ad un aumento del 2,7%. A partire dal 2002, in particolare, la
percentuale di bambini vacanzieri è stata superiore a quella dei giovani e giovanissimi tra gli 11 e i 19
anni. Nel 2003, il 62,6% della popolazione italiana tra i 25 e i 34 anni ha dichiarato di essere andata in
vacanza, a fronte del 21,5% degli ultra 75enni. Questi valori, pressoché costanti negli anni, indicano
che al crescere dell’età diminuisce la percentuale di vacanzieri. Sono dunque soprattutto i bambini,
seguiti dai giovani e dai giovanissimi, a recarsi in vacanza, con valori decisamente più elevati rispetto
alla media nazionale: nel triennio considerato, la percentuale di vacanzieri sul totale della popolazione
è infatti passata dal 49,3% al 51,1%. In relazione al genere, nel 2003 è andato in vacanza il 52,2%
degli uomini e il 50% delle donne. Le più rilevanti differenze di genere si hanno tra gli anziani, laddove
le donne si spostano di meno. Concentrando l’analisi sul turismo giovanile – bambini e ragazzi di età
compresa tra i 6 e i 19 anni – è possibile evidenziare, al contrario, come nel biennio 2001-2002 le
giovanissime si siano recate in vacanza più dei propri coetanei maschi. Le differenze più rilevanti si
sono registrate nel 2002 tra i ragazzi appartenenti alla classe d’età 15-17 anni, tra i quali lo scarto di
genere ha raggiunto gli 8,3 punti percentuali: ben il 61,2% delle ragazze sono andate in vacanza,
contro appena il 52,8% dei coetanei. Il 2003 ha segnato un’inversione di tendenza: la percentuale di
vacanzieri tra i maschietti tra i 6 e 10 anni ha superato, seppur lievemente, quella delle bambine
(rispettivamente 59,9% e 59,6%), mentre nella classe d’età 15-17 anni è andato in vacanza il 58,1%
dei ragazzi, un valore superiore del 3,2% al dato femminile (54,9%). Rispetto al 2002, la percentuale
di giovanissime appartenenti alla classe d’età 6-17 anni che sono andate in vacanza è diminuita,
mentre è cresciuta, lievemente, la quota di vacanziere tra le ragazze più mature (18-19 anni); al
contrario, tra i maschi l’incremento dei vacanzieri ha interessato sia i bambini che gli adolescenti di età
compresa tra gli 11 e i 17 anni, ma non i ragazzi tra i 18-19 anni, in lieve diminuzione. Nel complesso,
tra il 2001 e il 2003, si è avuto un significativo incremento del turismo giovanile in tutte le classi d’età,
fatta eccezione per le adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Ciò nonostante, tra le 1819enni, la percentuale di vacanziere si è mantenuta decisamente superiore a quella dei coetanei di
sesso maschile in tutto il triennio considerato, attestandosi, nel 2003, al 60,8% (contro un dato
maschile del 56,2%). I motivi per cui i giovani non vanno in vacanza sono principalmente di tipo
economico e familiare. Entrambe queste ragioni sono più pressanti per la fascia giovanile che non per
il complesso della popolazione. Le motivazioni di tipo familiare perdono rilevanza con l’aumentare
dell’età: nel 2003, in particolare, tali ragioni sono state addotte da circa il 38% dei giovanissimi tra i 6 e
i 14 anni che non sono andati in vacanza, contro il 31,8% dei 15-17enni e il 25,9% dei ragazzi più
maturi (18-19 anni), tra i quali maggiore è invece il peso delle motivazioni di tipo economico. La
mancanza di soldi è stata alla base della rinuncia alla vacanza, infatti, per ben il 43,5% degli
adolescenti tra i 15 e i 17 anni e il 44% dei 18-19enni. Al crescere dell’età aumenta in modo
significativo anche la percentuale di quanti rinunciano alla vacanza per motivi di studio e/o di lavoro:
sono il 5% tra i bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni, mentre sfiorano il 20% tra i ragazzi più
maturi. Come prevedibile, tra i ragazzi più maturi perdono rilevanza gli impedimenti legati all’età
(indicano tale motivazione ben il 9,4% dei bambini, contro l’1% dei 18-19enni), che hanno tuttavia un
peso significativo considerando il complesso delle popolazione. Altre barriere alle partenze, come la
mancanza di abitudine o motivi di salute, interessano, infine, giovani e giovanissimi in misura
decisamente inferiore alla media nazionale. Il confronto con gli anni precedenti consente di osservare
come le diverse motivazioni abbiano assunto lungo il triennio 2001-2003 un peso differente. In
particolare, le ragioni di tipo economico sono andate acquisendo una rilevanza crescente, in linea con
l’andamento nazionale, sia per i bambini (la quota di quanti non sono andati in vacanza per
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mancanza di soldi è passata dal 31,9% al 40,6%), che per gli adolescenti di età compresa tra gli 11 e
i 14 anni (+0,6%) e tra i 15 e i 17 anni (+4,3%), mentre è diminuito, per tutte le classi d’età, sia il peso
degli impedimenti legati all’età che quello relativo alla mancanza di abitudine. Nel 2003, i motivi di
studio e di lavoro, così come le ragioni di tipo familiare, hanno costituito un impedimento alla vacanza
per una percentuale minore di giovanissimi tra i 6 e 14 anni rispetto al 2001, in linea con la media
nazionale, mentre hanno acquisito una rilevanza maggiore sia per i ragazzi di età compresa tra i 15 e i
17 anni, sia, soprattutto, per quelli tra i 18 e i 19 anni: tra questi ultimi, infatti, ben il 45,6% ha
rinunciato alla vacanza per questo ordine di ragioni (+4% rispetto al dato del 2001). È andata
crescendo, infine, la quota di persone che, in tutte le classi d’età, ha giustificato la rinuncia alla
vacanza con motivi di salute o con il fatto di risiedere in località turistiche.
Ecoturismo e turismo naturalistico. L’ecoturismo e il turismo naturalistico sono le nuove
frontiere delle vacanze giovanili. Entrambi prediligono gli elementi di tipo socio-ambientale legati alla
vacanza. Secondo alcune stime il giro d’affari del turismo ambientale nel 2002 pesa per circa il 2% sul
mercato turistico globale, con potenziali di crescita annua del 20%. Mentre le mete tradizionali – per
una fascia cospicua di turisti effettivi o potenziali – non intercettano più il bisogno di evasione dalla
realtà quotidiana, nuovi bisogni tipicamente “post-moderni” rivalutano l’attenzione per l’ambiente, il
silenzio, i piccoli borghi, le attività dimenticate, la “natura” (ovviamente nei suoi aspetti simbolici e
nelle sue rappresentazioni): il nuovo turismo si costruisce proprio in questo spazio.
Fattorie didattiche. La fattoria didattica rappresenta un ulteriore elemento di affermazione e
sviluppo del ruolo culturale delle aziende agricole, che si affianca alla più consolidata attività di
agriturismo. Nei primi mesi del 2002 vi erano 444 fattorie didattiche, distribuite in quasi tutte le regioni
del territorio nazionale; di queste, 203 producono con metodo biologico. Invece tra le aziende
agrituristiche le fattorie per bambini sono 62, dislocate in 10 regioni italiane (Piemonte, Lombardia,
Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia). In queste
strutture è prevista la possibilità per i bambini di inserirsi nelle attività dell’azienda - ad esempio
raccogliendo castagne o olive - ma anche di imparare a riconoscere fiori, piante ed erbe spontanee, di
fare escursioni e corsi di vario tipo (cucina, pittura, modellismo), di conoscere i giochi tradizionali e i
processi di trasformazione dei prodotti agricoli come la caseificazione del formaggio e la preparazione
delle marmellate. Particolarmente attenta ai percorsi dei bambini è Terranostra, l’Associazione per
l’agriturismo, l’ambiente e il territorio promossa dalla Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti. Nel
2005, il 40% delle aziende agrituristiche associate a Terranostra prevede la fattoria didattica, il 7%
organizza vacanze per bambini non accompagnati, il 30% dispone di un parco giochi. Alcuni
agriturismi sono persino attrezzati per ospitare bambini disabili e per fornire terapie mirate. Secondo
un’indagine compiuta dalla Coldiretti sui minori tra i 7 e i 13 anni, un bambino su 4 vorrebbe
trascorrere le vacanze estive in campagna. Alla domanda sulla meta preferita per le vacanze, infatti, il
55% dei bambini ha risposto il mare, il 25% l’agriturismo, il 10% la montagna, mentre il restante 10%
ha indicato altre destinazioni (estero, laghi o parenti) (2005).
Il volontariato come proposta turistica. Nell’ultimo anno infine sono stati organizzati circa
180 campi in Italia (l’85% dei quali in aree protette) e oltre 100 in Europa, America, Asia ed Africa. I
campi hanno una durata variabile tra i 7 e i 30 giorni; quelli nazionali durano circa 10 giorni.
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[Scheda 34]
Il bambino come soggetto economico: il rapporto tra infanzia e denaro
Il rapporto tra bambini e denaro nei diversi contesti nazionali. L’età alla quale viene
consegnata la prima paghetta settimanale coincide con l’inizio del periodo scolastico, che corrisponde
all’età del primo allontanamento del bambino dal nucleo familiare. Questo quanto emerge dai risultati
dell’inchiesta The European Toy Survey condotta dalla NPD Eurotoys. L’indagine presenta i dati
relativi all’età e all’ammontare della paga settimanale che ricevono i bambini di differenti paesi europei.
È possibile innanzitutto notare come la totalità degli intervistati nei diversi paesi comincia a ricevere
denaro dai genitori tra i 6 (Germania) e i 7 anni (Portogallo e Francia). Ad eccezione della Spagna,
l’età in cui viene consegnata la prima paghetta, segue il cleavage tra paesi nordici e paesi
mediterranei. È nei paesi nordici che il bambino comincia a ricevere la paghetta a partire dai 6 anni,
mentre nei paesi mediterranei l’età è compresa tra i 6 anni e 7 mesi dell’Italia e i 7 anni e 2 mesi della
Francia. Passando all’esame dell’ammontare della paghetta settimanale è possibile vedere come
anche in questo caso si presenta una netta differenza tra paesi nordici e paesi mediterranei. Infatti,
esclusa la Gran Bretagna (per la quale la paghetta settimanale ammonta a 5,2 euro), per Germania,
Olanda, Svezia e Belgio l’entità della paghetta varia da un minimo di 2,7 euro fino a non oltre i 3,3
euro. Cifre distanti dai paesi mediterranei, per i quali, con l’eccezione della Spagna, la paghetta varia
tra 4 euro (Portogallo) e 5,3 euro (Francia). All’interno di questo quadro l’Italia occupa una posizione
intermedia. La prima paghetta viene consegnata poco prima dei sette anni; l’ammontare (4,9 euro) è
abbastanza elevato se paragonato alla media dei paesi nordici. In particolare si può notare come
l’età di consegna della paghetta sia anticipata nei paesi nordici in cui l’alto tasso di partecipazione
delle donne al mercato del lavoro favorisce un allontanamento precoce del bambino dalla famiglia. Ciò
è favorito dalla presenza di strutture pubbliche presenti in maggior misura nei paesi nordici che in
quelli meridionali. «In Italia solo il 6% dei bambini sino a 3 anni utilizza asili nido contro il 64% della
Danimarca e oltre il 40% dei paesi scandinavi». All’interno di questo quadro l’Italia occupa una
posizione particolare. Da un lato, il nostro Paese si distingue dalla Svezia per l’assenza di servizi
sociali, dall’altro lato l’Italia si distingue dall’Inghilterra per la minore area regolativa lasciata al mercato.
Ciò che caratterizza l’Italia è invece la preminenza della famiglia rispetto allo Stato (Svezia) e alla
presenza quasi incondizionata del mercato (Inghilterra). In Italia mercato e famiglia rappresentano
dunque le variabili di contesto all’interno del quale si sviluppa la figura del bambino come soggetto
economico.
Bambino e scelte di risparmio. In Italia ai primi due posti, nelle scelte di spesa del denaro
ricevuto dai bambini in occasione del compleanno o delle festività natalizie, vi sarebbero i giocattoli
(29%) e l’abbigliamento (17%). Gli stessi risultati si riscontrano in Europa, con la differenza che a
livello europeo è più diffusa la preferenza per i giocattoli (35%) e meno quella per l’abbigliamento
(14%). Notevole è invece il distacco tra i primi due beni (giocattoli e abbigliamento) ed i restanti,
maggiore in Italia (9 punti percentuali) che in Europa (5 punti percentuali). Un risultato molto
interessante della ricerca è che oltre la metà (53%) del campione di ragazzi italiani intervistati
risparmia parte del denaro ricevuto. La presenza di risparmiatori tra i ragazzi (59%) è maggiore che
fra le ragazze (47%). Inoltre circa il 76% dei ragazzi conserva il denaro risparmiato per più di due
mesi. La dinamica è simile a livello europeo, dove la percentuale di ragazzi risparmiatori ammonta al
58%.
La spesa in giochi e giocattoli come disponibilità finanziaria indiretta. La spesa in giochi
e giocattoli rappresenta la seconda voce (8,2%) del bilancio familiare relativo a “tempo libero, cultura
e giochi”. In particolare, eccetto che nel Nord-Est, in cui la spesa in giochi e giocattoli costituisce la
terza voce di spesa delle famiglie, nel Centro, nel Nord-Ovest, nel Sud e nelle Isole, la spesa per i
bambini costituisce la seconda voce del bilancio di spesa familiare e raggiunge addirittura il 9,5% al
Sud. È possibile notare come la percentuale di spesa in giochi e giocattoli sia direttamente
proporzionale al numero dei componenti della famiglia. Tale spesa raggiunge il livello più alto per le
famiglie di tre componenti, (8,9%). Analizzando invece la spesa in giochi e giocattoli delle famiglie in
relazione alla posizione professionale del capofamiglia emerge come siano le famiglie facenti parte
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della classe operaia a dedicare una parte maggiore del bilancio familiare alla voce “giochi e giocattoli”
(11,4%). È interessante notare come tra imprenditori e dirigenti e impiegati la spesa in giochi e
giocattoli sia alquanto esigua se confrontata con la percentuale relativa agli operai e assimilati. Se
fosse stata vera la tesi secondo la quale il giocattolo svolge una funzione sostitutiva, ci saremmo
dovuti aspettare una percentuale più alta di spesa nelle famiglie dei dirigenti, il cui impegno lavorativo
è di solito più elevato. In realtà l’incidenza della spesa in giochi e giocattoli sul bilancio familiare è
minore proprio in tali contesti. Il ruolo indiretto del bambino come soggetto economico si manifesta
anche nell’importanza da lui rivestita nelle scelte di consumo della famiglia. Se in passato i ruoli
all’interno delle famiglie erano fortemente gerarchizzati ed i bambini subivano le decisioni dei genitori,
al giorno d’oggi si può parlare, al contrario, di una famiglia sempre più democratica che nelle sue scelte
coinvolge in misura più rilevante il bambino. Da una indagine recente emerge come l’influenza dei
ragazzi nelle scelte familiari coinvolga più o meno tutte le sfere di consumo. Gli ambiti nei quali i
ragazzi riescono a far valere le proprie scelte sono soprattutto la scuola (53), i giocattoli (49), i
consumi (48) e l’abbigliamento (44).
Il mercato e la sua influenza sulle scelte decisionali del bambino. Se da un lato il bambino
si presenta sempre di più come soggetto economico, ovvero come parte della domanda di beni e
servizi sul mercato, dall’altro lato il mercato vede nel bambino un nuovo attore economico ed una
fonte di profitto. Inoltre una ricerca svolta dall’Osservatorio sull’immagine dei minori (2004) mette in
luce la pericolosità degli annunci di cui sono destinatari i bambini; 1/3 del tempo della fascia oraria 1518 è destinato alla pubblicità. Dalla ricerca emerge inoltre che su 15 ore di programmazione 4 sono di
pubblicità. Su 2.000 bambini sopra i 5 anni cui è stato chiesto di dare il proprio parere su 1.000 spot,
il 19% delle femmine ha affermato di credere alla pubblicità. Tale dato è corroborato dalla ricerca
condotta dalla NPD Eurotoys. La ricerca evidenzia che la maggior parte dei bambini italiani (88%) si
informa tramite la televisione, a fronte di una percentuale europea relativamente minore (64%).
Un’altra differenza tra Italia ed Europa riguarda la percentuale di bambini che si informano tramite
cataloghi commerciali. In Italia solamente il 7% dei bambini afferma di informarsi tramite cataloghi
commerciali; in Europa, al contrario, il 25% dei bambini si informa tramite tale mezzo pubblicitario. È
evidente, quindi, che le imprese produttrici di giocattoli in Italia più che in Europa vedono la
televisione come mezzo principale di diffusione della pubblicità. Il dato fa riflettere sull’influenza che i
mezzi di comunicazione di massa hanno sulle scelte d’acquisto durante l’infanzia, soprattutto se si
pensa che nel 2004 un bambino ha guardato in media 27.000 spot televisivi, per una media di due
ore al giorno (Centro documentazione dell’Eurispes).
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[Scheda 35]
Organizzazione della cultura e fruizione infantile
Organizzazione della cultura in funzione della fruizione infantile. Campo di indagine della
sociologia dell’arte sono le relazioni individuali tra i contenuti e le forme dei diversi generi e tipi di opere
d’arte. L’opera d’arte può esser utilmente concepita come un sistema di segni-simboli a più
dimensioni, veicolato da supporti materiali (pittura e scultura) o corporali (danza) o sonori (musica) o
da varie combinazioni di questi (teatro, opera). Nessun’altra classe di sistemi di segni-simbolo
possiede congiuntamente gli stessi caratteri. Nell’accordo-quadro siglato nel 1998 dal Ministero
dell’Istruzione e dal Ministero dei Beni Culturali si sottolinea l’importanza dell’esperienza didattica
museale. Il diritto alla conoscenza è presente nella Carta dei diritti del bambino sancita dall’Onu, che
indica la necessità di strutture per l’infanzia progettate per i bambini in modo adeguato alle loro
esigenze e al loro livello di conoscenza. Particolarmente interessante è il Museo per i Bambini, che
si occupa in modo specifico del rapporto tra arte e infanzia. Di seguito viene riportato il panorama
internazionale dei principali Children’s Museums.
Classificazione dei principali Children’s Museums
Continenti
Childrens Museums
Usa
Boston, Houston, Manhattan, Philadelphia, Indianapolis
Europa
Parigi, Londra, Roma, Napoli, Genova
Fonte: Eurispes.
Il primo Children’s Museum è sorto a Brooklyn; quello di Indianapolis è attualmente considerato il
più grande al mondo, con i suoi 15.000 mq di percorso museale. Negli ultimi 5 anni ne sono stati aperti
altri 60. Nei prossimi anni è prevista l’apertura di oltre 100 nuovi Children’s Museums. In Usa i più
importanti per grandezza e per popolarità sono i Children’s Museum di Boston, Houston, Manhattan,
Philadelphia, Seattle e Indianapolis. Appartengono tutti all’associazione A.Y.M. - Association of
Youth Museums. In Europa la prima struttura interamente dedicata ai bambini è la Cité des Enfants,
nata a Parigi nel 1988, all’interno della Villette, la Cité des Sciences et des Industries. Il più importante
e il più grande Children’s Museum europeo è Eureka con i suoi 4.500mq. Sorto nel 1992 ad Halifax
nello Yorkshire, a tre ore da Londra, accoglie più di 300.000 visitatori all’anno ed ha vinto diversi premi
in Inghilterra per il Design, l’Architettura e il Turismo. Hands On Europe è l’associazione che
raggruppa la rete dei Children’s Museums europei.
In Italia i musei dei bambini sono relativamente recenti e sono Explora a Roma, l’Officina dei
Piccoli a Napoli, all’interno della Città della Scienza e la Città dei Bambini a Genova, nel complesso
dell’Acquario. Sono in fase di progettazione quelli di Milano, Palermo, Venezia, Reggio Emilia. I musei
dei bambini pongono gli utenti al centro dell’attenzione. L’interattività e la compartecipazione dei
bambini sono le componenti fondamentali del museo-evento; esse sviluppano un percorso
esperienziale in cui i bambini, usando il linguaggio della cultura, ne comprendono gli elementi. Il
coinvolgimento sempre più attivo nella fruizione del patrimonio culturale ha l’obiettivo di integrare i
compiti assolti dalla scuola. Si tratta di un’opportunità da non sottovalutare, cui i musei danno
risposte sempre più puntuali: nei programmi sono proposte spesso attività rivolte a bambini che
vogliano avvicinarsi al mondo dell’arte e della scienza, in modo piacevole e divertente. In questo
senso, i Musei dei Bambini o Children’s Museums assumono una connotazione positiva ed
evolvono verso un modello di struttura organizzata a misura di bambino. Va detto che in Italia, come
all’estero, oltre alla presenza dei Musei dei Bambini, ogni istituzione-museo dispone di un
dipartimento educativo-didattico che si propone, attraverso idonei progetti, di promuovere la
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partecipazione di studenti di tutte l’età. Esempio significativo di questo impianto organizzativo è lo
sforzo promosso dal Servizio Didattico del Polo Museale Romano che nel 2004 ha coinvolto, con
incontri presso la Galleria Borghese e altri musei del Polo, circa 2.600 studenti, soprattutto delle
scuole elementari. L’organizzazione della cultura si articola anche in una complessa rete di
associazioni che propongono attività di laboratorio, quali opportunità di approfondimento della
conoscenza della storia per i soggetti in età scolastica. Un esempio interessante è il progetto “Iter ad
Fontes” per l’insegnamento facoltativo del latino e la conoscenza della cultura classica antica. Il
progetto ha coinvolto gli alunni della scuola media Michelangelo Schipa di Napoli, iscritti all’anno
scolastico 2004-2005. L’obiettivo del progetto è stato quello di stimolare gli studenti allo studio
facoltativo del latino, affinché esso sia percepito come veicolo per la conoscenza antropologica dei
modi di vivere e di pensare, degli usi e dei linguaggi degli antichi popoli italici. L’attività si è svolta
mediante un programma di lezioni in classe, visite guidate, attività di conoscenza e approfondimento
di argomenti specifici, culminate nella partecipazione alla manifestazione “Maggio dei Monumenti
2005” del Comune di Napoli e alla “Settimana della Cultura 2005” del Ministero dei Beni Culturali. In
questa ultima attività, svolta in collaborazione con il Servizio Educativo della Soprintendenza
Archeologica di Napoli e Caserta, i ragazzi della scuola, grazie alla preparazione conseguita, sono
stati in grado di accompagnare il pubblico a visitare le sale del Museo Archeologico Nazionale di
Napoli nei giorni 21-22 aprile e alla visita della mostra “Cibi e sapori dell’area vesuviana” sul tema
dell’alimentazione in epoca romana.
Mediazione della scuola e della televisione. L’educazione e la formazione sono compiti di
interesse pubblico. Sono forze propulsive capaci di concorrere al cambiamento della nostra società.
La qualità dell’educazione determina la qualità della formazione nella vita di un uomo. Oggi,
fortunatamente, è meno netta che in passato la separazione dei tempi dedicati al lavoro, al tempo
libero e alla formazione: sempre più spesso si realizzano occasioni formative non solo nei contesti
preposti alla formazione, ma anche durante il tempo libero. Esiste la consapevolezza che
l’educazione non è circoscritta ad un determinato contesto o ad una limitata fase della vita. Anche la
scuola si sta innovando grazie a nuovi strumenti: teatro, musica, audiovisivi, informatica,
costituiscono un supporto ormai insostituibile per l’attività didattica. Per questo, accanto ai servizi
tradizionali come la scuola dell’obbligo, occorrerà pensare ad un’erogazione flessibile di servizi, in
grado di allargare le occasioni di socializzazione dei bambini. Nel sistema educativo non rientrano,
quindi, solamente le agenzie di istruzione (scuola primaria, secondaria ed universitaria), ma tutte
quelle agenzie capaci di trasmettere competenze utili, fornendo occasioni di incontro e attività
diversificate.
Il ruolo della scuola dell’obbligo è quello di avvicinare sempre più il bambino-allievo al mondo
della cultura. Essa dovrà, in armonia ed equilibrio con le altre istituzioni culturali, favorire il
coinvolgimento emotivo del bambino nella vita culturale. Si stimolerà la volontà di apprendimento del
bambino veicolandola, attraverso strumenti didattici, al mondo della cultura. L’esperienza didattica
consiglia scelte metodologiche che permettano di associare le immagini alle nozioni studiate: infatti, la
semplice lettura mnemonica di una pagina di testo da sola può non bastare all’interiorizzazione del
messaggio.
Dinamiche relazionali tra la scuola e la televisione come fattore della mediazione culturale.
L’influenza televisiva sui giovanissimi appare ancora fonte di preoccupazione per le caratteristiche
del mezzo e per il suo fortissimo impatto sul pubblico infantile. L’istituzione scolastica, infatti, non può
più competere con il fascino mediatico televisivo e le tentazioni televisive vengono sempre più
spesso segnalate come fenomeni di disturbo del processo di apprendimento: sia in termini di
sottrazione del tempo da dedicare allo studio domestico, sia in termini di limitazione della creatività e
della capacità di essere soggetti attivi della fruizione. Esistono d’altra parte occasioni in cui tra scuola
e televisione non si instaura conflittualità, ma, al contrario, una sorta di interazione. Basti pensare ai
numerosi programmi televisivi creati con la collaborazione di esperti dell’informazione culturale.
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[Scheda 36]
I bambini e lo stadio. Possibili modelli di violenza
La violenza negli stadi: alcuni numeri. La giornata di campionato è un grande evento
popolare che si svolge in oltre 7.000 impianti sportivi, con la partecipazione di quasi 20.000.000 di
spettatori di cui circa 1.000.000 ospiti provenienti da altre città che si riversano su strade, autostrade
e stazioni ferroviarie. I motivi principali degli incidenti, registrati nelle prime 20 giornate del campionato
scorso, sono riconducibili per il 43% a scontri tra opposte tifoserie, per un altro 43% a scontri con le
Forze di polizia, infine il residuo è ripartito tra contestazioni tra le società sportive (11%) e le
contestazioni alle decisioni arbitrali (3%).
Per ciò che concerne i principali motivi degli arresti in flagranza, la casistica più frequente dei reati
che determinano i provvedimenti restrittivi è riconducibile ai danneggiamenti ai beni e alle strutture e
lesioni alle persone (69%); seguono lancio di corpi contundenti (23%), violazione del divieto di
accesso ai campi sportivi (2%) e altri reati (6%). In generale il fenomeno della violenza negli stadi
registra una flessione. Infatti, nel campionato di calcio 2003/2004 i tifosi rimasti feriti sono diminuiti del
40% passando dai 473 del campionato precedente ai 282. Sono stati di meno, anche se in
percentuale più bassa (25%), pure i poliziotti feriti durante le partite: 931 contro i 1.240 dell’anno
2002/2003. Sembra essere migliorato il clima di tensione tra gli ultràs e i rappresentanti delle Forze
dell’ordine. Gli arresti sono rimasti pressoché invariati (335 nell’ultimo campionato e 336 nel
precedente) e le denunce sono calate del 3% (da 1.731 a 1.330). Questi dati sono ancora più
significativi se si considera che gli spettatori che hanno assistito alle 5.724 partite sono stati quasi 20
milioni. Le nuove norme di contrasto e soprattutto la possibilità di procedere all’arresto dei colpevoli
fino a 36 ore dal fatto hanno indubbiamente ottenuto un forte effetto deterrente, colpito i facinorosi e
contribuito alla diminuzione degli incidenti. Nella stagione 2003/2004, gli incidenti sono principalmente
riconducibili all’esterno dello stadio (69%) e in misura decisamente inferiore all’interno (21%) e durante
la trasferta (10%). I momenti più sensibili degli incontri di calcio si registrano nelle fasi di afflusso e
deflusso degli spettatori dal luogo di organizzazione, è qui che si verificano le occasioni di contatto e
di scontro: nell’87% dei casi. Mentre durante l’incontro questa percentuale si attesta al 13%. D’altra
parte i danni registrati in ambito ferroviario sono aumentati rispetto al campionato precedente. In
particolare, per i danni in stazione si è passati da una quota di 92.000 episodi nella stagione 2002/03
a 310.000 in quella 2003/04; per i danni ai treni si è passati da 40.200 episodi a 95.900. Un dato
significativo è invece il basso numero di episodi di violenza avvenuti nell’ultima stagione lungo le
autostrade in cui abitualmente viaggiano i pullman che trasportano gli ultràs, come pure nelle aree di
servizio autostradali dove è risultata preziosa la sinergia con le strutture di sicurezza della Autogrill
S.p.A. Nel campionato 2003/04 l’ammontare degli episodi violenti in queste aree di servizio e lungo le
autostrade è stato pari a 1.600 danni contro i 46.500 registrati nel campionato precedente. Per quanto
riguarda gli striscioni comparsi sugli spalti, è in aumento, rispetto al campionato precedente, la
percentuale di quelli sportivi (aumento del 10%), mentre si registra, in termini assoluti, come gli
striscioni con argomento politico (principalmente contro gli interventi del nostro Paese in Iraq e in
Afghanistan) rimangano invariati. In generale il 77% degli striscioni tratta argomenti sportivi, il 20%
argomenti politici, infine rispettivamente il 2% e l’1% argomenti di contenuto razzista e antirazzista.
Provvedimenti adottati in tema di violenza negli stadi. Gli episodi di violenza negli stadi
sono diventati negli ultimi anni un fenomeno così consueto e diffuso, da essere stato posto al centro
delle attività di prevenzione e di repressione da parte del Ministero dell’Interno. Per quanto riguarda
l’attività legislativa, tre sono i provvedimenti di riferimento che vengono attualmente utilizzati per
meglio gestire gli eventi sportivi ed in particolare quelli relativi al calcio: le risoluzioni del Parlamento e
del Consiglio europeo, la legge n.88 del 2003 e i recenti decreti del 2005. Secondo le risoluzioni del
Parlamento e del Consiglio europeo il primo e principale atto di governo delle manifestazioni sportive
si concretizza mediante la distribuzione dei biglietti d’ingresso. In questo senso, gli enti che
organizzano manifestazioni calcistiche sono stati invitati a distribuire in percentuale equa il numero dei
biglietti fra le tifoserie, con la raccomandazione di evitare vendite all’ultimo minuto per poter gestire con
maggiore sicurezza i flussi di persone giunte allo stadio nello stesso giorno della partita.
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Contemporaneamente, le risoluzioni obbligano le Autorità di polizia a verificare la capienza dei posti
all’interno della struttura, chiamando le società a rispettarne il limite e separando con apposite barriere
le due tifoserie contendenti. La legge n. 88 del 24 aprile 2003 prevede, invece, la numerazione dei
biglietti per tutti gli impianti sportivi (anche per i campi da calcio dilettantistici) se la capienza è
superiore a 10.000 unità. Fra le altre cose, il provvedimento legislativo detta anche la norma di
verificare periodicamente l’agibilità dell’impianto. In particolare, l’estate del 2005 verrà ricordata anche
per l’emanazione dei decreti volti a contrastare gli episodi di violenza in occasione di manifestazioni
sportive. Si tratta, in sostanza, di misure che mirano a coinvolgere in maniera più incisiva le società
sportive e gli enti proprietari degli stadi sul tema della sicurezza e ad aumentare l’efficacia degli
strumenti di prevenzione e contrasto della violenza negli stadi, privilegiando l’impiego di tecnologie e
risorse delle società sportive nell’ottica di una progressiva diminuzione delle Forze di polizia all’interno
degli impianti.
La cultura della curva. Le curve degli stadi rappresentano, oggi più che mai, alcuni tra i più
frequentati luoghi di aggregazione giovanile. Sempre più, la curva – come luogo fisico, ma anche
come spazio simbolico e territorio di appartenenza – costituisce il cemento di una subcultura che
oltrepassa la mera esperienza sportiva e investe ambiti a essa solitamente estranei: la “cultura della
curva” si riversa nella società influenzando la quotidianità, il modo di pensare e di agire di moltissimi
giovani. Essa – come ogni cultura – identifica miti e rituali, impone codici di comportamento, sedimenta
norme e valori, articola relazioni gerarchiche e modalità di interazione. È un riferimento particolarmente
attraente per i giovani delle società avanzate, così spesso soli, così spesso non adeguatamente
immersi in un orizzonte culturale altrettanto rassicurante. All’interno di questi gruppi l’identità collettiva,
basata sulla fedeltà ai colori, si realizza e si concretizza attraverso la partecipazione del singolo a
molteplici attività – organizzare una coreografia, inventare cori e striscioni, produrre gadgets per
l’autofinanziamento, organizzare trasferte – che rinsaldano la solidarietà di gruppo. Ma oltre a tutto ciò,
c’è da dire che la cultura ultrà ha costruito la propria identità anche sul confronto/scontro con l’altro: ciò
che gli ultrà percepiscono come principale compito loro assegnato è proprio la difesa del territorio,
fisicamente rappresentato dalla propria curva e dalla propria città e idealmente dai colori della propria
squadra. Da ciò deriva l’attivazione di comportamenti violenti nei confronti dei tifosi avversari, con i
quali si inscena un combattimento reale o rituale, e con l’altro per eccellenza: la negazione dello spirito
guerresco ultràs, e dunque il mondo dei benpensanti, della televisione, delle Forze dell’ordine. Per tali
ragioni, è opportuno considerare la cultura ultrà come un fenomeno sociale e non esclusivamente
come un problema di ordine pubblico.
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[Scheda 37]
Famiglia: verso una nuova identità?
La famiglia in Europa e in Italia. Allargando lo sguardo a livello europeo è possibile osservare dinamiche comuni che
comportano mutamenti sostanziali all’internodella famiglia:siassiste ad un aumento delle convivenze a scapito dei matrimoni, ad
una centralità della coppia rispetto ai figli, e quindi al passaggio da un modello familiare unico ad una pluralità di forme familiari. La
situazione dell’Italia ricalca abbastanza fedelmente quella dei paesi europei occidentali, ma al tempo stesso presenta alcune
peculiarità. Nel 2001 si è registrato nell’Unione europea (paesi Ue15) un tasso di nuzialità di 5,1 per mille abitanti, con il valore
minimo di 4,0 per la Svezia e quello massimo di 6,8 per la Danimarca; l’Italia fa segnare uno dei tassi tra i più bassi (4,5 per mille
abitanti).Confrontando ilnumero medio difigliper donna nel periodo 1960-2002, emerge come da una media europea di2,59 figli
per donna del 1960 si passa ad un valore di 1,47 che non raggiunge il tasso di sostituzione utile a garantire l’equilibrio
demografico della popolazione; l’Italia nel periodo preso in considerazione è passata da 2,41 a 1,26 figli per donna, con un
valore tra i più bassi in assoluto (secondo, in questa classifica negativa, soltanto a quello di Francia, da 2,86 a 1,25, e Grecia, da
2,28 a 1,25). Le madri italiane danno alla luce il loro primo bambino mediamente all’età di 30,3 anni, facendo registrare un valore
molto più alto rispetto a quello delle madri austriache (28,6) e del Regno Unito (28,7), e inferiore soltanto al dato dell’Irlanda (30,6) e
dei paesi Bassi (30,4). Ildato relativo alle nascite fuori del matrimonio nell’anno 2002 mostra una grande variabilità della situazione
europea; infatti se il valore percentuale più alto si riscontra in Svezia con il 56% delle nascite fuori dal matrimonio, il valore più
basso – molto distanziato da quello degli altri paesi europei occidentali – si ha proprio in Italia con meno del 10%.
Dinamiche familiari e nuovi trend in Italia. Dal confronto dei dati dal 1997 al 2002 emerge nel nostro Paese un
aumento in valore assoluto del numero delle famiglie di 1.000 migliaia circa (passando dalle 21.041.000 famiglie del 1997 alle
22.053.000 del 2002), che in termini percentuali si traduce in un aumento complessivo nel quinquennio del 4,8%. La tipologia
familiare più diffusa è sempre quella delle coppie con figli, ma mentre nel 1997 rappresentava il 47,1% del totale, nel 2002
l’incidenza scende al 43,8%, con una diminuzione che non risparmia nessuna delle aree della penisola. Le coppie senza figli
sono diminuite, sebbene in misura più contenuta rispetto alle coppie con figli, passando dal 20,9% al 20%; il dato percentuale
decresce in tutte le aree tranne che nel Nord-Ovest, dove la percentuale rimane stabile al 23%. Il numero delle persone sole è in
continuo aumento: infatti mentre nel 1997 questa tipologia costituiva il 20,8% del totale delle famiglie, rappresentando la terza
“forma” familiare più diffusa, nel 2002 essa raggiunge il 24,8% assestandosi al secondo posto; l’aumento più consistente si
registra nel Nord-Est, con una crescita nei cinque anni considerati quasi del 5%. Per quanto riguarda il numero delle famiglie
monogenitoriali assistiamo ad una leggera crescita del dato, dall’8,2% all’8,3%. L’aumento più vistoso è registrato al Sud e nelle
Isole, che passano dal 7,7% all’8,2%. La percentuale delle altre famiglie senza nuclei rimane invariata nel periodo considerato
con un’incidenza sul totale dell’1,9%, mentre le famiglie con due o più nuclei costituiscono l’1,2% delle tipologie familiari nel 2002.
Il matrimonio: l’unico modo per costituire una famiglia? Negli ultimi anni la nostra società ha conosciuto molteplici
cambiamenti sia a livellosociale che economico, che hanno fatto sì che l’istituzionematrimoniale non fosse più considerata l’unica
soluzione per un progetto di vita duraturo. Innanzitutto, si assiste ad una maggiore diffusione delle convivenze tra uomo e
donna che sono dettate da motivazioni sia economiche sia affettive: in alcuni casi la convivenza stessa rappresenta il banco di
prova per un futuro matrimonio, in altri è la soluzione più comoda per individui ancora giovani e/o poco stabili economicamente.
L’evoluzione del numero di matrimoni negli ultimi anni non lascia spazio a molti dubbi, infatti prendendo in esame idati dal 1986 al
2002 è chiaramente visibile il vistoso calo che si è registrato in questi anni nel nostro Paese: dai 297.540 matrimoni del 1986 si è
scesi ai 265.365 del 2002, con una diminuzione in termini percentuali del 10,8%. In questo lasso di tempo emergono delle
tendenze di periodo abbastanza chiare, con una crescita fino al 1989 (anno in cui si registra il picco massimo con 321.272
matrimoni), quindi una progressiva diminuzione fino al 1999 e infine, negli ultimi anni, un andamento altalenante (che tocca ilsuo
punto più basso nel 2001 con 260.904). Il numero dei matrimoni religiosi è da sempre stato in netto vantaggio spetto al numero
dei matrimoni civili, segno distintivo di una religiosità molto radicata nel nostro Paese. Negli ultimi anni, tuttavia, emerge una
tendenza molto forte che porta ad una riduzione dei primi in favore dei secondi: mentre nel 1986 i matrimoni celebrati con rito
religioso rappresentavano quasi l’86% del totale contro il14% di quelli con rito civile, nel 2002 la percentuale dei matrimoni religiosi
scende a meno del 72% e quella dei matrimoni civili sale a più del 28%. L’età media delle prime nozze per le donne italiane si è
mantenuta per circa 30 anni, dal 1960 al 1990, su valori compresi tra i 24 e i 25 anni: nei 10 anni successivi si è innalzata
notevolmente fino ai 28,5 anni del 2001. In questo senso, è interessante evidenziare l’incremento dell’età media delle donne al
primo matrimonio registrata tra il 2000 e il 2001: da 26,5 a 28,5.
Separazioni e divorzi. Nell’arco di poco più di una decina di anni il numero di separazioni in Italia è cresciuto sensibilmente;
mentre nel 1990 il numero di separazioni nel nostro Paese ammontava a 44.018, nel 2003 il dato si è attestato sulle 81.744
separazioni, riportando quindi complessivamente nel periodo una crescita complessiva di circa l’86%; confrontando idati relativi
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agli ultimi due anni (2002-2003) la crescita è stata del 2,6%. Anche per i divorzi si presenta un trend evolutivo simile a quello delle
separazioni: nel 1990 si registravano 27.682 divorzi, cifra cresciuta negli anni fino ad arrivare ai 43.856 divorzi del 2003, con un
incremento complessivo del 58% e con una crescita nell’ultimo anno del 4,8%.
Divise tra casa e lavoro. Per far fronte a questo duplice impegno la donna ricorre molto spesso all’occupazione parttime. Dall’“Indagine sulle Forze di lavoro” (Istat 2003) emerge come la percentuale di donne che usufruisce di questa tipologia di
lavoro è più alta rispetto a quella maschile per tutte le classi d’età prese in considerazione. Nelle coppie senza figli su 100
occupati dipendenti con le stesse caratteristiche soltanto 2,4 uomini lavorano part-time, mentre per le donne ildato sale a 14,1; fra
i lavoratori autonomi si registrano 5,1 uomini e 14,4 donne. L’utilizzo del part-time risulta più frequente fra le coppie con figli: infatti
mentre per gli uomini il dato è pressoché stabile (2,3 occupati per i lavoratori dipendenti e 2,1 per gli autonomi) per le donne si ha
un netto balzo con 23,1 lavoratrici dipendenti part-time e 17,4 lavoratrici autonome. Per le coppie con figliil ricorso a questa forma
di lavoro da parte della donna diventa quasi una scelta obbligata per garantire l’equilibrio familiare; quanto detto emerge in
maniera marcata osservando il dato relativo alle occupate dipendenti tra i 25-34 anni e 35-44 anni: rappresentano le fasce d’età
in cui si ha la nascita del primo figlio ed eventualmente anche dei successivi e presentano le percentuali più elevate di lavoratrici
dipendenti part-time (rispettivamente il 29,1% ed il 26,7%).
Infine, più del 40% delle donne in coppia senza figli lavora part-time perché tale tipologia è stata imposta dall’azienda in cui
lavora; quasi il 30% non desidera un lavoro a tempo pieno.
Un modello familiare in crescita: la famiglia allargata. L’aumento di rotture familiari determina anche l’aumento, in seguito alle
nuove unioni degli ex coniugi, delle famiglie “ricostituite”, dette anche “ricomposte” o “allargate”. Questa tipologia familiare era
presente anche nel passato ma mentre ai nostri giorni è determinata principalmente da separazioni e divorzi, in passato aveva
come causa principale l’elevato numero di morti precoci di uno dei due coniugi. In queste famiglie, in cui le interrelazioni diventano
complicate, rischiano di risultare penalizzati proprio i figli, che trovano difficoltà ad individuare punti fermi nella nuova struttura
familiare. D’altra parte, nella maggior parte dei casi questo periodo iniziale di adattamento viene superato con successo, anche
se con fatica, e può rappresentare un punto di partenza positivo per costituire nuove relazioni anche con gli altri nuovi
componenti acquisiti (come nel caso di figli della precedente unione del nuovo genitore).
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[Scheda 38]
2005: va di moda il bambino
I bambini oggetto dei desideri del mercato. Il mercato vede nei giovani i principali consumatori e
“decisori d’acquisto” e tenta di studiarne i gusti emergenti e possibilmente di soddisfarli. Come ha
rilevato l’indagine Doxa Junior, condotta nel 2004 su un campione rappresentativo di 2.500 ragazzi di
età compresa tra i 5 e i 13 anni, bambini e adolescenti hanno un forte potere di influenzare le decisioni
di acquisto dei loro genitori, soprattutto per quanto riguarda le categorie di prodotti di loro interesse
(articoli scolastici, giocattoli, abbigliamento, ecc.) e questo aspetto li rende una fetta di mercato ancora
più appetibile.
Influenza media del genitore e del ragazzo nelle decisioni d’acquisto
Anno 2004
Valori medi (influenza dei genitori = 100; influenza dei ragazzi =0)
genitori
ragazzi/e
53
51
48
42
47
49
52
58
articoli scolastici
giocattoli
tempo libero:consumi abbigliamento ragazzi
31
69
alimentari
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Doxa Junior, 2004.
Per quanto riguarda, in particolare, la scelta e l’acquisto dei capi d’abbigliamento, l’analisi
consente di osservare come i ragazzi abbiano le idee molto chiare: la loro opinione e soprattutto le
loro scelte in campo di marche da preferire è ben determinata e riesce ad influenzare la spesa dei
genitori in modo consistente, più di quanto non avvenga in altri ambiti (come quello alimentare).
Un’indagine condotta da Eurispes e Telefono Azzurro nel 2003 su un campione rappresentativo di
5.710 adolescenti dai 12 ai 19 anni ha rilevato, del resto, come appena il 4% dei ragazzi ritenga di
dover subire il condizionamento dei genitori in materia di vestiario; il 93,5%, al contrario, afferma di
vantare in questo campo un elevato livello di autonomia. Le restrizioni dei genitori sembrerebbero
concentrarsi, infatti, su altri aspetti, come la possibilità di andare in vacanza da solo, gli orari di rientro
a casa o le idee politiche. In relazione al sesso degli intervistati, non si osservano grosse differenze
tra i ragazzi e le ragazze, entrambi dotati di un’ampia libertà in relazione al modo di vestire: appena il
3,1% delle teen-agers, contro il 4,7% dei coetanei, si sente completamente limitata nella scelta dei
propri vestiti dalle restrizioni genitoriali. Al crescere dell’età, sale anche il livello di autonomia
decisionale e si allarga lo spazio di libertà nelle scelte di abbigliamento: la percentuale di quanti
affermano di essere lasciati molto liberi in questo campo dai propri genitori sale dal 46,5%
(adolescenti dai 12 ai 14 anni) al 65,2% (15-19 anni), mentre gli adolescenti che ritengono di essere
privati del tutto della propria autonomia scende dal 5,8% al 2,2%. La rilevazione Eurispes e Telefono
Azzurro sui bambini dai 7 agli 11 anni – condotta nel 2003 su un campione di 5.076 ragazzini – ha
consentito di osservare come anche questi ultimi vantino una spiccata autonomia nella scelta dei capi
d’abbigliamento. La maggior parte di essi (il 55,2%), infatti, afferma di comprare solo ciò che è di
proprio gusto. La percentuale di quanti scelgono in base ai suggerimenti dei propri genitori è
decisamente più bassa (24,7%), mentre sono pochissimi (appena l’1,4%) i bambini deleganti,
coloro, cioè, che fanno scegliere ad altri i capi d’abbigliamento d’acquistare. A volte la scelta dei capi
d’abbigliamento è guidata da motivazioni di tipo utilitaristico: un buon 11,7%, infatti, acquista quel che
gli serve, mentre pochissimi (il 2,3%) affermano di farsi influenzare da ciò che hanno gli amici (1,3%)
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o da quanto visto in pubblicità (1%). Questa spiccata autonomia decisionale, così come emersa
dall’indagine, deriverebbe, potrebbe derivare dalla capacità dei ragazzini di rielaborare gli stimoli
provenienti dal mercato pubblicitario e da un graduale disaffezionamento al mezzo televisivo,
spiazzato, almeno parzialmente, dal moltiplicarsi dei nuovi strumenti di comunicazione, maggiormente
interattivi.
Figlio mio quanto mi costi? Nel 2004, secondo un’indagine Istat sui consumi, le famiglie hanno
speso circa 70 euro in più rispetto all’anno precedente (+3,2%). Il dato si riferisce ad una spesa
media mensile per famiglie pari, in valori correnti, a 2.381 euro. Naturalmente al crescere del numero
dei figli aumenta il livello di spesa della famiglia: 2.926 euro mensili per le coppie con un figlio e 3.066
euro quando la coppia ha tre o più figli. Una quota consistente di questa spesa, è destinata dalle
famiglie all’abbigliamento e calzature: in un nucleo composto da due componenti, la percentuale
mensile destinata a questo settore è del 5,9%, mentre in una famiglia di 5 componenti la spesa lievita
all’8,1%.
Percentuale di spesa media mensile delle famiglie per numero di componenti in abbigliamento e calzature
8,1
7,6
6,9
5,9
5,1
componenti
1
2
3
4
5
Anno 2004
Valori in euro e composizioni percentuali
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat, 2004.
A risparmiare meno in questo settore sono le regioni meridionali: Puglia e Sicilia in testa con un
8,3% di spesa mensile, seguite da Calabria (8,1%) e Abruzzo (8%). Più parsimoniosi i liguri, che
hanno dedicato alle calzature e all’abbigliamento il 5,1% della loro spesa mensile.
Spesa media mensile delle famiglie in abbigliamento e calzature, per regione
Anno 2004
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Regioni
Abbigliamento e calzature
Piemonte
6,2
Valle dAosta
6,1
Lombardia
6,1
Trentino Alto Adige
6,1
Veneto
6,6
Friuli Venezia Giulia
6,3
Liguria
5,1
Emilia Romagna
5,9
Toscana
6,0
Umbria
6,9
Marche
6,8
Lazio
6,5
Abruzzo
8,0
Molise
7,2
Campania
7,2
Puglia
8,3
Basilicata
7,2
Calabria
8,1
Sicilia
8,3
Sardegna
7,2
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat, 2004.
Ma quanti soldi hanno?I bambini di oggi hanno più consapevolezza e competenza del
rapporto spesa-acquisto e hanno maggiore confidenza con il denaro. Il minore non è più un mero
destinatario del prodotto in sé, ma ha un rapporto attivo, da acquirente, con la merce che gli interessa,
grazie alla sua disponibilità di piccole e grandi somme. Stiamo parlando della “paghetta”, croce dei
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genitori poiché direttamente proporzionale all’età dei figli e quindi destinata inesorabilmente ad
aumentare negli anni, delizia per i ragazzi, che la destinano agli acquisti più svariati. Una “paghetta”
che nella contemporaneità assume i contorni di un vero e proprio stipendio. Secondo un’inchiesta
condotta dall'Osservatorio sui Diritti dei Minori su un campione di 200 genitori di figli in età compresa
fra i 14 e i 17 anni, la stragrande maggioranza di essi (il 77%) destinerebbe alla paghetta dei figli circa
200 euro al mese. Tuttavia, l’abitudine di corrispondere una somma settimanale al figlio è in lento, ma
costante declino: una recente indagine condotta dalla Doxa dimostra che nel 2004 a ricevere una
paghetta è stato il 43% dei ragazzi, contro il 59% del 2000. Appare dunque in diminuzione questa
tendenza dei genitori ad elargire con cadenze regolari una quota al figlio, sostituita, magari, da altre
abitudini, come quella di comparare direttamene quanto richiesto dai figli, o quella di condizionare
l’elargizione di denaro a determinate esigenze, valutabili di volta in volta.
Ricevono la “paghetta” dai genitori (trend)
100
80
59
60
51
50
49
2001
2002
2003
43
40
20
0
2000
2004
Anno 2004
Valori percentuali. Base: totale genitori
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Doxa Junior, 2004.
In conclusione, quindi, i ragazzi si dimostrano molto attenti al look, sicuri e disinvolti, spesso con
budget altissimi da spendere nei sempre più numerosi negozi dedicati a loro. Hanno le idee chiare su
come vestirsi, su cosa comprare, su quale sia il proprio stile e su come crearlo. Ma questi ragazzi
sono poi così liberi? Seguire ed essere alla moda è un atto realmente liberatorio? Il rischio è che non
sia realmente così. Il bombardamento pubblicitario, infatti, trova terreno fertile nelle generazioni più
giovani, sempre in cerca di qualcuno che dica loro quali sono le nuove tendenze e i modelli da
seguire. Fino all’eccesso: per cui chi non ha non è, concetto profondamente incompatibile con quello
della libertà.
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[Scheda 39]
La vita quotidiana del bambino e analisi dei tempi
I bambini e il tempo scolastico. Ogni giorno i bambini devono lasciare la propria abitazione
per raggiungere la scuola, evento che rappresenta il primo obbligo temporale del bambino. Per
arrivare all’istituto scolastico la maggior parte (88,8%) dei bambini tra i 6 e i 10 anni impiega massimo
15 minuti, il 9,7 % fino a 30 minuti e solo l’1,6%, più di 30 minuti. Negli ultimi anni, alcune scuole hanno
elaborato dei progetti per la riappropriazione degli spazi e dei tempi da parte dei minori, in particolare
studiando insieme ai bambini e ai genitori, i percorsi pedonali per raggiungere gli istituti scolastici.
L’offerta delle scuole elementari italiane, rispondendo alle esigenze dei genitori, prevede differenti
modalità di frequenza (solo mattina, mattina e pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dal lunedì al sabato)
e un differente numero di ore di lezione (da un minimo di 27 ad un massimo di 40). L’orario consueto
degli alunni che frequentano solo la mattina è dalle 8,30 alle 13,30 per un totale settimanale di 27 ore
più 3 facoltative. Se il corso scelto è quello mattutino dal lunedì al venerdì le ore settimanali in
esubero sono recuperate con uno o due rientri pomeridiani. Gli alunni che frequentano il cosiddetto
tempo pieno si recano a scuola sia la mattina sia il pomeriggio per un totale di 40 ore settimanali di
lezione suddivise su 5 o su 6 giorni, ossia dal lunedì al venerdì o dal lunedì al sabato. Si deve tener
presente che i tempi qui riportati si riferiscono alle ore di lezione e non includono il tempo della mensa,
cosicché, qualora un bambino frequenti il tempo pieno si deve considerare che egli trascorrerà più di
40 ore all’interno delle strutture scolastiche.Il 62% degli alunni delle primarie è iscritto ai corsi della
mattina, mentre il 38% frequenta sia la mattina sia il pomeriggio. La formula preferita è quella che
copre l’intera settimana lavorativa, dal lunedì al sabato. Il 59% dei bambini, infatti, usufruisce di
questa opzione, mentre il rimanente 41% dei bambini frequenta dal lunedì al venerdì.
Il tempo libero. Da un’indagine Doxa Junior, condotta nel 2004 su un campione statistico di
2.500 ragazzi tra i 5 e i 13 anni, risulta che ogni bambino ha mediamente 4 ore e 37 minuti da
destinare al tempo libero. L’attività alla quale dedicano più tempo è guardare la Tv (29%, pari a circa
1 ora e 20 minuti), seguono il gioco fuori casa (17%, pari ad oltre _ d’ora) e le uscite (16%, pari a circa
44 minuti). Allo studio è destinato quotidianamente il 15% del tempo libero, circa 41 minuti, mentre al
giocare in casa il 12%. Suddividendo quotidianamente l’ammontare delle ore dedicate all’attività
sportiva, essa è praticata per circa 14 minuti al giorno. Il tempo libero dedicato all’uso di videogames
e console è il 3%; il rimanente 3% è rivolto equamente all’uso del computer, a leggere libri e giornalini.
Il tempo dei bambini speso per i media. Nel tempo libero i bambini guardano e ascoltano a
lungo i media, in particolare la televisione. A partire dagli anni Novanta si è verificata una netta
flessione dell’audience, con un andamento decrescente che ha avuto il suo picco nel 2000, quando il
92,6% dei bambini passava il proprio tempo di fronte alla Tv. Nel 2001, con la proliferazione dei
reality, si è avuta un’inversione di tendenza, tanto che nel 2003 la percentuale di bambini che
guardano la televisione è risalita al 93,9%. Il videoregistratore è presente in quasi tutte le case dei
bambini tra i 5 e i 13 anni; il lettore dvd si è diffuso notevolmente e, nel 2004, lo si trova nel 41% delle
case, contro il 19% del 2003. In leggero aumento anche il tempo dedicato alla Tv satellitare: i 2/3 dei
bambini conosce almeno un canale televisivo satellitare.Un altro mezzo di comunicazione di cui i
bambini fruiscono è la radio; durante l’arco della settimana è ascoltata da oltre il 41% di essi. In 10
anni vi è stato un incremento nell’ascolto della radio: nel 1994, infatti, i radioascoltatori tra i 6 e i 10
anni erano il 41,1 %, nel 2003 sono passati al 46,3%. Se da un lato l’ascolto della radio aumenta,
dall’altro si riducono i tempi di esposizione. Sono, infatti, sempre meno i bambini che ascoltano la
radio tutti i giorni tanto che dal 58,9% del 1994 si è scesi al 37,5% del 2003.
Il tempo trascorso al computer e su Internet. Nel 2000 il 34,8% dei minori tra i 6 e i 10 anni
utilizzavano Internet più o meno sporadicamente. Nel 2003 questa tendenza si è attestata al 50,8%,
con un incremento del 16% in soli 4 anni. L’uso settimanale (19,2% nel 2000 e 32,2% nel 2003) e
mensile è aumentato considerevolmente, mentre è calato, sebbene di poco, l’uso giornaliero (7,6%
nel 2000 e 6,5% nel 2003). I dati relativi al 2003 indicano che il 50,8% dei bambini usa il computer e
che solo il 15,8% naviga sul web. I maschi utilizzano Internet più delle loro coetanee: la percentuale
di bambini è superiore al 17%, mentre la percentuale massima riguardante le bambine si attesta al
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14,1%.
Il tempo per la lettura. I bambini iniziano a leggere testi extra-scolatici fin dall’inizio delle scuole
elementari: ogni giorno passano in media il 2% del tempo libero, pari a poco più di 5 minuti, a leggere
libri o giornalini. Una piccola percentuale di bambini tra 6 e 10 anni, meno del 10%, è inoltre lettore di
quotidiani. I bambini sono per lo più lettori occasionali, leggono cioè i quotidiani almeno una volta a
settimana. Dopo il 2001, in corrispondenza con la massiccia diffusione dei quotidiani freepress, sono
andati aumentando i lettori occasionali fino a raggiungere, nel 2003, il picco dell’8%. In risposta sono
diminuiti i lettori assidui, quei bambini, cioè, che leggono i quotidiani almeno 5 volte a settimana. Nel
2001, anno precedente a questa inversione di tendenza, i lettori assidui erano, infatti, il 3,1%, mentre
nel 2003 erano appena l’1,7%. La lettura più diffusa tra i bambini è quella dei libri (42,8% nel 2003): il
56,8% di essi ha letto da 1 a 3 libri mentre il 9,6% è un lettore assiduo, ossia ha letto più di 12 libri in
un anno.
Il tempo per gli spettacoli e le mostre. Tra le attività culturali quella più gradita ai bambini è
la visita di mostre e musei, segue la visita a siti archeologici e monumenti: a partire dal 2000, infatti,
queste due attività hanno interessato rispettivamente circa il 36% e il 27% dei bambini. Il teatro ha,
invece, un andamento altalenante: nel 2000 ha avuto il suo minimo con il 21,4% di piccoli spettatori,
l’anno successivo ha avuto il suo massimo con una percentuale del 25,7%. La preferenza per la
musica leggera è in costante crescita: nel 1999 i bambini che andavano a sentire concerti di musica
leggera, musica moderna, ecc. erano l’8,6%, nel 2003 sono aumentati fino a raggiungere il 10,2%.
Bambini e sport. Nel 2003 i bambini non sportivi sono diventati il 24,3% contro il 18,8% del
1999, con una variazione positiva del 5,5%. La percentuale dei bambini che praticano sport in modo
continuativo ha, invece, avuto un incremento del 4,4%, passando dal 45,4% del 1999 al 49,8% del
2003. Sempre più bambini assistono a spettacoli sportivi: nel 1999 partecipava a questi eventi il
29,7% dei bambini, nel 2003 erano il 33,2%.
Il tempo con gli amici. Oltre il 60% dei bambini incontra tutti i giorni i propri amici. In 10 anni, dal
1994 al 2003, i dati sul tempo trascorso con gli amici non hanno subìto variazioni rilevanti: poco più
del 20% incontra gli amici una volta a settimana; circa il 7% li incontra una volta a settimana; circa il
3% qualche volta al mese. Tra i 5 e i 9 anni l’86% dei bambini organizza la propria festa di
compleanno, mentre tra i 10 e i 13 anni questo dato scende al 78%. Il fast-food è frequentato dal
62% dei bambini tra i 5 e i 9 anni e dal 73% di quelli tra i 10 e i 13 anni. Il 91% dei più piccoli
partecipa alle feste degli amici, contro il 94% dei più grandi.
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[Scheda 40]
La Mediazione nei conflitti scolastici
Le cronache quotidiane parlano spesso di “ragazzi per bene” che rapinano per noia, di “baby
gang” che spadroneggiano nelle città, di “bulli” che a scuola fanno della sopraffazione fisica o
psicologica il loro principale strumento di interazione, di “vandali” e “teppisti” che negli stadi
aggrediscono in branco e persino di morbosi “guardoni” che salvano divertiti sui loro telefonini i filmati,
completi di audio, con gli sgozzamenti degli ostaggi occidentali in Iraq (dopo esserseli scaricati da
Internet) per usare le grida delle vittime come macabra suoneria polifonica. Ed anche se è bene non
rischiare in ogni modo di farsi travolgere dall’onda emotiva, è decisamente meglio considerare che oggi
la violenza dei giovani non appare concretamente in aumento.
Gli agenti conflittuali a scuola. Considerata fino al secolo scorso esclusivamente deputata a
diffondere e a sedimentare l’alfabetizzazione alla cultura, l’istituzione scolastica vede approdare oggi,
al suo interno, dinamiche che contribuiscono – come nel caso delle diffuse manifestazioni di violenza
– a ridefinirne il profilo. Ogni gruppo di agenti scolastici ha però nella scuola funzioni e ruoli differenti
che spesso per finalità, interessi, risultati e obiettivi, tendono ad essere non sempre coincidenti o
compatibili e per questo generatori di inevitabili conflitti. E conflitto è proprio la parola giusta per
avvicinarsi alla Mediazione, e alle modalità che tale insegnamento propone per favorire la
composizione pacifica e “nonviolenta” di queste forme particolarmente aggressive di relazione. In una
recente e significativa indagine condotta nell’ambito dell’educazione alla “nonviolenza” su un
campione di circa 200 studenti di scuola superiore, alla richiesta di indicare su un questionario a
domande aperte, cinque termini sinonimi della parola conflitto, la maggioranza ha indicato sostantivi
negativi. Il 94,4% degli intervistati ritiene in generale il conflitto un’esperienza relazionale
estremamente negativa, confermando come sia forte la convinzione generale che questi particolari
stati delle relazioni siano da ritenersi decisamente distruttivi. Pur nella sua relatività, singolare è
invece il fatto che comunque pochi adolescenti – nel caso analizzato, appena il 5,6% – non vedano
assolutamente nel conflitto una simmetria con la violenza, né tanto meno un rapporto del tipo
ostilità/distruzione, ma invece una possibilità di confronto e di conoscenza.
La Mediazione come antidoto ai conflitti scolastici. Il più delle volte a scuola davanti alle
reazioni di aggressività e di conflitto si continua a dimostrare impotenza, o nei casi peggiori a voltarsi
da tutt’altra parte manifestando indifferenza. Quello che appare ovvio, è che ogni studente o
insegnante non sceglie se essere o meno “comunicante”; l’unica cosa che caso mai può
intenzionalmente scegliere è solo il modo in cui desidera esserlo. Secondo la rilevazione effettuata da
Eurispes e Telefono Azzurro(5° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e
dell’Adolescenza, 2004) agli studenti preme che la scuola quale agenzia educativa, oltre che favorire
il loro inserimento nel mondo del lavoro – item al primo posto con un gradimento del 32,8% – torni a
trasmettere non solo nozioni, ma anche valori – item al secondo posto con il 25,7% di approvazione.
Indicazioni da parte degli adolescenti sulle proposte educative della scuola
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Qual , a tuo avviso, la cosa pi importante che la scuola dovrebbe fare?
%
Favorire lingresso nel mondo del lavoro
32,8
Trasmettere non solo nozioni ma anche valori
25,7
Offrire spazi nei quali trascorrere anche il tempo libero
19,0
Favorire laggregazione tra i giovani
8,8
Niente di pi di quello che gi fa
7,6
Altro
2,4
Non sa/non risponde
3,9
Totale
100,0
Fonte: Eurispes e Telefono Azzurro – 5° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza - 2004.
La scuola come agenzia educativa tra competizione e cooperazione. L’approccio
educativo alla Mediazione dei conflitti intende tirare fuori e restituire ad ogni agente scolastico capacità
comunicative efficaci, grazie alle quali riuscire a migliorare la comprensione dei punti di vista degli altri
per poter generare così idee creative, indispensabili per uscire positivamente e costruttivamente dai
conflitti. Non è infatti un caso se proprio la capacità di essere creativi e propositivi viene richiesta
nella Mediazione agli agenti di un conflitto, al fine di favorirne l’alleggerimento delle tensioni e poterli
così meglio impegnare nella ricerca di accordi, idee ed intese in grado di rivelarsi condivisibili,
accettabili e soddisfacenti per tutti. L’approccio mediativo deve, in sostanza, connotarsi e venire
riconosciuto come un percorso praticabile per guidare le parti antagoniste ad allargare il campo delle
loro possibilità, facendo però attenzione a non imporre soluzioni che potrebbero apparire a decisione
orientata e che rischierebbero – come nei casi di autoritarismo – di vanificare irrimediabilmente le
possibilità di un’uscita costruttiva dal conflitto. L’obiettivo iniziale della Mediazione diventa quello di
riuscire a far mettere in contatto con la loro dimensione più immaginativa e sensibile gli stessi
protagonisti della disputa, invitandoli ad andare oltre i loro – spesso impulsivi – punti di vista e
favorendone l’accesso all’ottica del reciproco cambio di prospettiva che comporta per ognuna delle
parti coinvolte un inevitabile sforzo: quello di comprendere meglio il comportamento dell’altro e di
saper accettare sul problema esistente la presenza di più visioni.
Siamo davanti ad una competenza chiave che, nella Mediazione, non scatta automaticamente per gli
agenti in conflitto, specie se in condizioni di sovraccarico emotivo o di stress. Appare evidente come
diventi fondamentale, nella ricerca di regolazioni condivise dei conflitti, sviluppare strategie di
cooperazione lontane da quelle abituali della competizione.
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L’indagine campionaria
Note metodologiche
Il questionario infanzia è servito a delineare i comportamenti e l’identikit del bambino, ed è stato
somministrato, nel periodo settembre-ottobre 2005, a ragazzi di età compresa tra i 7 e gli 11 anni,
frequentanti la terza, quarta e quinta classe delle elementari e la prima classe della scuola media.
Il questionario adolescenza era diretto alla costruzione dell’identikit dell’adolescente, ed è stato
somministrato a ragazzi appartenenti alla fascia di età 12-19 anni, frequentanti la seconda e la terza
media o una delle cinque classi degli istituti superiori.
La rilevazione sul campo ha riguardato 52 scuole di ogni ordine e grado, mentre i questionari
pervenuti e analizzati sono stati 2.044 per quanto riguarda l’infanzia e 2.470 per l’adolescenza.
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[L’indagine campionaria]
Identikit del bambino
I mezzi di comunicazione
I media hanno consolidato negli ultimi decenni il loro ruolo nella socializzazione primaria e secondaria dei bambini,
affiancandosi a pieno titolo alle agenzie tradizionali come la famiglia e la scuola.
TV. Quasi un terzo dei bambini intervistati (32,6%) segue la Tv da una a 3 ore al giorno, mentre quasi un altro terzo
(32,3%) la segue per meno di un’ora al giorno. I dati indicano anche, in modo forse inatteso, che il13,5% dei bambini non guarda
la televisione tutti i giorni, il che contrasta con lo stereotipo che vede i più giovani come grandi fruitori di programmi televisivi. Il 7,6%
del campione afferma di guardare quotidianamente la Tv dalle 3 alle 5 ore ed un preoccupante 8,4% afferma di guardarla
addirittura per più di 5 ore. L’analisi dei dati in relazione al sesso evidenzia che fra i maschi sono leggermente più numerosi che fra
le femmine i forti consumatori di televisione: il 10,2% dei bambini guarda la Tv per più di 5 ore al giorno, contro il 6,9% delle
bambine; il 9,7% dei maschi la guarda 3-5 ore al giorno, contro il 5,6% delle femmine. Tra le bambine, per contro, è più elevata la
percentuale di chi non guarda la Tv tutti i giorni (16,8% contro il 10,4% dei coetanei maschi) e di chi la segue per meno di un’ora al
giorno (34,5% contro 29,7%). I maschi dedicano dunque in media più tempo, rispetto alle femmine, al piccolo schermo,
mostrando conmaggior frequenza preoccupanti eccessidiconsumo. Lediversemacroaree geografiche non indicanodifferenze
degne di nota in relazione al consumo televisivo. Si può comunque rilevare che nelle Isole si trova la più alta percentuale di
bambini “forti consumatori”, quelli cioè che dedicano alla Tv più di 5 ore al giorno: 16% contro una media nazionale dell’8,4%. La
quota più elevata di bambini che seguono poco la Tv (non tutti i giorni o meno di un’ora al giorno) si registra al Sud, seguita dai
bambini del Centro e da quelli del Nord Est.
I programmi televisivi con il bollino rosso. È stato chiesto ai bambini del campione se guardano i programmi televisivi
con ilbollino rosso, quelli cioè segnalati dalle emittenti come non idonei al pubblico infantile, neppure in compagnia degli adulti. Più
della metà dei soggetti (54,7%) afferma di non guardare mai trasmissioni con il bollino rosso; il 21,6% guarda invece programmi
col bollino rosso in compagnia di persone adulte, il 6,3% con amici o fratelli, il14,5% anche da solo. I risultati dell’indagine indicano
che le bambine sono in generale più rispettose del bollino rosso che sconsiglia determinati programmi ai minori e,
presumibilmente, meno interessate a seguire ugualmente questi programmi. Ben venti punti percentuali separano infatti i due
sessi: il 64,5% delle femmine non guarda mai trasmissioni col bollino rosso, contro il 44,3% dei maschi. Sono ben il 22,2% i
bambini che seguono programmi col bollino rosso anche da soli, a fronte del 7,2% delle bambine. Ai bambini è stato chiesto se
una serie di situazioni ed immagini potenzialmente disturbanti spesso veicolate dalla televisione danno loro fastidio. Le immagini
che danno fastidio alla percentuale più alta di bambini sono quelle di guerra e/o di morte mostrate dai telegiornali: le trova
disturbanti il 62,9% del campione, non disturbanti il 27,4%. Al secondo posto si collocano le scene di sesso e di nudo, fastidiose
per il 58,5% del campione (non fastidiose per il 30,8%), contrariamente a quanto ci si poteva aspettare pensando che i bambini
sono oggi “abituati” fin da piccoli a questo tipo di immagini. Evidentemente, invece, esse risultano imbarazzanti e disturbanti per
la netta maggioranza dei soggetti fra i 7 e gli 11 anni. Il 56,6% degli intervistati si dice infastidito dalla volgarità e dalle parolacce in
Tv, il 53,8% dalle scene di violenza in film o telefilm, il 50,9% dalle persone che parlano di questioni intime e private nelle
trasmissioni televisive. L’unico caso di situazione mostrata dalla televisione che non infastidisce la maggioranza dei bambini è
rappresentata dalle liti in Tv (danno fastidio al 38,9%, non danno fastidio al 47,2%). Questo risultato lascia ipotizzare che
situazioni altamente “spettacolari” come le accese liti spesso mostrate dai talk show e dai reality show anziché disturbare
divertano ed incuriosiscano molti bambini. Mettendo a confronto le risposte fornite dai bambini e dalle bambine si osserva che le
femmine risultano ingenerale infastiditein percentuale decisamente superiore rispettoai maschi dalle situazionimostrate dalla Tv
prese in esame, ed in particolar modo dalle scene di violenza in film e telefilm (non le gradisce il 62,9% delle bambine contro il
44,8% dei bambini), dalle immagini di guerra e/o morte nei telegiornali (71,6% contro 54,5%), dalla volgarità e dalle parolacce
(65,3% contro 47,7%).
Wrestling. I dati ottenuti indicano che circa la metà dei soggetti intervistati (49,6%) segue il wrestling e lo apprezza. Il
23,7% dice invece di non seguirlo perché non gli interessa, il 13,6% afferma di non seguirlo perché è troppo violento, il 6,3%
perché i suoi genitori non vogliono, il 3,4% perché non sa cosa sia. Decisamente diverso l’atteggiamento dei maschi e delle
femmine nei confronti del wrestling: se ben il 69,2% dei bambini lo segue e lo apprezza, solo il 30,5% delle loro coetanee
afferma altrettanto. Le bambine rispondono, con frequenza nettamente maggiore rispetto ai bambini, che non seguono il
wrestling perché è troppo violento (20% contro il 7,1% dei maschi) o perché non sono interessate (35,3% contro il 12,1%). Il
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wrestling in televisione raccoglie particolare favore presso i bambini residenti nelle Isole, dove il 67,3% degli intervistati lo segue
ed apprezza. Leggermente distanziate, seguono le altre aree geografiche: gli spettatori del wrestling sono il 51% al NordOvest, il 49,2% al Sud, il 48,8% al Centro e, infine, il 43,2% al Nord-Est. Al Nord-Est, dove il wrestling risulta in generale meno
amato dai bambini, è superiore alla media la percentuale dei soggetti che affermano di non seguirlo perché lo giudicano troppo
violento (18,5%). Per valutare quanto il wrestling è realmente entrato nell’immaginario dei bambini, al punto da suscitare
comportamenti di emulazione, è stato chiesto al campione se gli è capitato di lottare contro qualcuno come nel wrestling. Il31,6%
dei bambini intervistati risponde affermativamente, mentre il 63,9% negativamente. Nelle risposte a questo quesito appaiono
particolarmente evidenti le differenze fra i due sessi. Come prevedibile, fra i maschi è molto più elevata che fra le femmine la
percentuale di chi ha lottato con qualcuno come nel wrestling: 46,4% contro 17,6%. La quota dei bambini che imitano la lotta
wrestling è molto elevata (46,4%) se si considera che si avvicina alla metà dell’intero campione maschile, d’altra parte anche la
quota delle bambine, sebbene nettamente più bassa, non è insignificante (17,6%). Quest’ultimo dato testimonia da un lato che
neppure le bambine sono del tutto immuni all’influenza del wrestling televisivo, dall’altro che, sia pur con minor frequenza, anche
fra le femmine esiste l’abitudine di giocare “lottando”. In questo caso le risposte dei maschi e delle femmine non differiscono in
misura notevole: il 67,8% dei bambini ha visto altri coetanei lottare come nel wrestling, contro il 62,2% delle bambine.
Nuove Tecnologie. Poiché sta divenendo sempre più precoce l’approccio a questi strumenti tecnologici, l’indagine ha
voluto verificare in che misura i bambini dai 7 agli 11 anni sono venuti a contatto con il computer e con Internet. Per quanto
riguarda il computer, la stragrande maggioranza del campione (82,1%) afferma di utilizzarlo; il 17,9% risponde invece
negativamente. Non si registrano differenze rilevanti fra i due sessi per quanto riguarda l’utilizzo del computer: afferma di usarlo
l’83,3% delle femmine e l’81,6% dei maschi. Le risposte a questa domanda risultano abbastanza omogenee nelle diverse aree
geografiche. La più alta percentuale di bambini che usano il computer si trova nel Nord-Est (86,1%), la più bassa nelle Isole
(78,4%); valori estremamente vicini alla media nazionale si registrano al Centro (82,6%), al Nord-Ovest (81,8%), al Sud
(80,8%).
Uso del computer. Ai bambini è stato poi chiesto in che modo hanno imparato ad usare il computer. Dalle risposte
emergono due modalità principali di apprendimento: dai genitori (30,7%) e a scuola (30,4%). Va sottolineato anche che un
quarto del campione (24,4%) ha imparato da solo ad utilizzare il computer. Sono invece meno frequenti i casi in cui
l’insegnamento è venuto dagli amici (4,6%) o da corsi specifici (1,6%): questi ultimi vengono probabilmente seguiti in età più
avanzata. I bambini affermano con maggior frequenza, rispetto alle loro coetanee, di aver imparato da soli ad usare il computer
(29% contro 19,8%); le bambine, per contro, dichiarano più spesso di averlo imparato a scuola (33,6% contro 27,3%).
Piccoli Internauti. Tenendo conto dell’età degli intervistati (7-11 anni), è considerevole la quota di internauti: ben il 46,8%
dei bambini, infatti, afferma di utilizzareInternet. La Rete, dunque, sembra non conoscere limitio confini di tipo anagrafico. Benché
rimanga maggioritaria lapercentuale dibambini che non utilizzanoInternet (53,1% del complesso), una significativaminoranza di
essi ha già avuto modo di sperimentare questo potente mezzo di comunicazione. Come mostra la distribuzione dei dati per
sesso, Internet è utilizzato più dai maschietti che dalle bambine: tra iprimi, infatti, i frequentatori del web rappresentano una quota
lievemente maggioritaria (50,2%), mentre tra le loro coetanee l’utilizzo della Rete è meno diffuso (43,9%). I bambini sembrano
essere ben consapevoli delle diverse potenzialità della rete e la usano in modo versatile. Sebbene, infatti, giocare con i
videogiochi e scaricare musica, film,video e quant’altrorientrinotraleabitudinidiuna quota maggioritaria dibambini (utilizzaInternet
per questi fini rispettivamente il 61,7% ed il 50,8% del campione), e circa un terzo di essi utilizzi Internet per partecipare a giochi di
ruolo (32%), l’uso della Rete non è limitato solo al divertimento. La stragrande maggioranza degli intervistati (il 61,2%) utilizza
Internet anche per cercare informazioni di proprio interesse, mentre una minoranza considerevole di bambini (il 48,7%) usa la
Rete in modo strumentale alle attivitàdistudio, per la ricercadi materiale utile.Una quota significativa,seppur minoritaria,di bambini
utilizza Internet anche per sfruttarne le potenzialità relazionali: leggere e scrivere regolarmente su un forum di proprio interesse
(21,7%), comunicare tramite la posta elettronica (21,3%) e/o tramite chat (13,7%). Meno diffusa la lettura di blog (9,1%), mentre
preoccupa il dato relativo all’utilizzo di Internet per la ricerca di cose proibite, una modalità che interessa oltre un bambino su dieci
(11%). Bambini e bambine utilizzano Internet in modo parzialmente diverso. È possibile osservare, in particolare, come ben il
64,9% delle bambine che utilizzano Internet se ne servono (anche) per cercare informazioni di proprio interesse contro il 57,5%
dei bambini, e come sia particolarmente elevata tra di esse anche la quota di quante usano la Rete per motivi di studio (54,8%
a fronte di un dato maschile del 42,7%). Le bambine si distinguono anche per una maggiore propensione ad utilizzare Internet
per relazionarsi con glialtri su argomenti di proprio interesse (23,8%, contro il19,3% dei maschietti). L’abitudine di utilizzarela Rete
per giocare con i videogiochi è invece più diffusa tra imaschietti (65,1% tra quanti hanno una postazione Internet, contro il 57,8%
delle coetanee), così come quella di scaricare musica, film, video e giochi (lo fa il 55,3% dei piccoli navigatori, contro il 45,8% delle
bambine). I dati mostrano infine, come tra i piccoli navigatori, un buon 6,8% di bambine utilizzino Internet per cercare cose
proibite, percentuale che raggiunge il 14,6% tra i loro coetanei.
Tempo dedicato a Internet. In relazione al tempo dedicato all’utilizzo di Internet, i piccoli intervistati che compongono il
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campione possono essere divisi in tre gruppi differenti. Nel primo, il più numeroso, rientrano i bambini che non fanno un uso
quotidiano della Rete (53,7%). Del secondo fanno parte quanti utilizzano Internet tutti i giorni ma in maniera tutto sommato
abbastanza contenuta (31,8% del campione): non più di mezz’ora (16,9%), dai 30 ai 60 minuti (8,6%), o per una-due ore al
giorno (6,3%). Il terzo gruppo (5,9%) è infine costituito dai bambini che passano una parte considerevole e significativa della
propria giornata davanti ad Internet: dalle due alle quattro ore (2,2%) o anche più (3,7%). Tra i piccoli navigatori sul web, i
bambini sono anche quelli che passano più tempo su Internet, in misura sensibilmente superiore alle loro coetanee. In
particolare, tra di essi, non solo è minore la quota di quanti affermano di non utilizzare la Rete tutti i giorni (49,2%, contro il 60,3%
delle bambine), ma è anche decisamente elevata la percentuale di navigatori “forti”, di coloro, cioè, che utilizzano Internet per
almeno due ore al giorno (9%, a fronte di un dato femminile del 2,7%). Tra questi ultimi ben il 5,5%, contro l’1,9% delle bambine,
si connette alla rete per più di quattro ore al giorno. Gli internauti “moderati”, che utilizzano Internet da un minimo di mezz’ora ad un
massimo di due ore al giorno, sono infine il 34% tra i bambini ed il 28,5% tra le bambine.
Agenzie di socializzazione. La famiglia e la scuola, oltre a costituire le principali agenzie di socializzazione, continuano a
rappresentare per i bambini i maggiori veicoli di apprendimento: l’84,8% del campione, infatti, si divide tra quanti ritengono di
imparare più cose dai propri genitori (43,4%) e coloro che individuano nella scuola la maggiore agenzia formativa (41,4%).
Minore il ruolo di amici e mezzi di comunicazione: poco più di 3 bambini su 100 ritengono di imparare più cose dai media
(televisione, giornali, Internet) ed appena l’1,4% afferma di arricchirsi dal punto di vista formativo soprattutto grazie ai propri
compagni di giochi. Risulta apprezzabile, infine, ilfatto che una quota di bambini (il5,3%) ritenga di imparare prevalentemente dai
libri. La distribuzione dei dati per sesso consente di evidenziare come bambini e bambine concordino nel ritenere i propri genitori
e la scuola le principali fonti di apprendimento (è di questa idea l’84,6% dei maschietti e l’85,8% delle femminucce). Tra i
maschietti, tuttavia, è maggiore la percentuale di quanti ritengono di imparare maggiormente dai propri genitori (45,2%, contro il
42,1% delle bambine), mentre tra le bambine è più diffusa l’opinione che sia la scuola la principale fonte di apprendimento
(43,7%, contro il 39,4% dei bambini). Internet, televisione e giornali sono maggiormente apprezzati da questo punto di vista dai
maschietti (il 3,8% di essi, contro il 2,5% delle loro coetanee, ritiene di imparare più cose attraverso questi mezzi di
comunicazione), mentre i libri costituiscono la maggiore fonte di apprendimento per una quota maggiore di bambine che di
bambini (6% vs 4,5%).
Quali i mezzi di comunicazione che i bambini apprezzano di più? La classifica vede in testa la televisione, preferita
dal 39,2% degli intervistati, seguita dai libri (20,8%), dai fumetti (11,2%) e dalla radio (11,1%). Significativo anche
l’apprezzamento per Internet, considerato il mezzo di comunicazione prediletto da circa un bambino su 10, mentre appena il
2,7% dei piccoli intervistati preferisce riviste e giornali. La televisione è considerata ilmezzo di comunicazione preferito dal 45,8%
dei bambini e dal 33,2% delle bambine. Tra queste ultime è sensibilmente maggiore, rispetto ai maschietti, la percentuale di
quante preferiscono i libri (ben il 28,2%, contro il 13,5% dei bambini) o la radio (14,6%, il doppio rispetto al dato maschile pari al
7,3%) ed è leggermente più alta la percentuale di quante apprezzano soprattutto giornali e riviste (3,5% vs 2%). Al contrario, i
bambini si distinguono per un più diffuso apprezzamento nei confronti di fumetti (in testa alla graduatoria per il 14,4%, contro
l’8,1% delle bambine) e di Internet, considerato il mezzo di comunicazione preferito dal 12,1% di essi ma da appena il7,9% delle
bambine.
Telefonino. È stato poi chiesto ai bambini se fossero in possesso di un telefonino tutto loro. Ha risposto affermativamente
la metà dei piccoli intervistati: il 51,5% delle bambine ed il 49,4% dei maschietti. Una quota importante e maggioritaria (il 45,9%) di
bambini in possesso di un telefonino afferma inoltre di utilizzare forme di abbreviazione nella scrittura di sms. Il29,7%, al contrario,
non ricorre alle abbreviazioni, mentre il 13,9% non utilizza il cellulare per inviare messaggi. L’abitudine di utilizzare forme di
abbreviazione nella scrittura di sms, che trova la sua ragion d’essere nella brevità dello spazio a disposizione per scrivere un
messaggio, è maggiormente diffusa tra le bambine: il 49% di quante possiedono un cellulare ricorre alle abbreviazioni, contro il
44,1% dei bambini.
Impoverimento lessicale. Diversi studi hanno posto l’attenzione sull’impoverimento lessicale derivante dalla diffusione
di telefonini e dalla sms mania. La necessità di racchiudere in 160 caratteri – lo spazio del messaggino – il contenuto della
comunicazione avrebbe, infatti, portato i bambini ad un impoverimento generale del linguaggio. Bambini (e adolescenti)
tenderebbero, inoltre, ad utilizzare le abbreviazioni proprie del linguaggio degli sms anche in circostanze diverse. I dati
evidenziano, in effetti, come il 6,6% dei piccoli intervistati affermi di utilizzare tali forme di abbreviazione anche nei compiti. Poco
meno di un bambino su quattro (24,1%), poi, le usa con gli amici o nei propri appunti. Per una buona parte del campione,
dunque, gli sms hanno dato vita ad un nuovo particolare linguaggio utilizzato, però, nel ristretto ambito della comunicazione
amicale. Non è tuttavia possibile quantificare esattamente la portata del fenomeno, in quanto è troppo elevata la percentuale di
mancate risposte. È possibile osservare infine come imaschietti siano maggiormente portati ad utilizzarele abbreviazioni proprie
del linguaggio degli sms anche nei compiti: afferma di farlo l’8,3%, contro il 4,7% delle bambine. Tra queste ultime, invece, è più
diffusa la tendenza ad usare le abbreviazioni anche nei propri appunti o con gli amici (28,4%, contro il 20,4% dei bambini).
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Tempo libero
Tempo libero… “elettronico”. Ai giorni nostri, purtroppo, i giochi all’aperto sono scarsamente diffusi; generalmente
confinati al chiuso nelle proprie stanze, i bambini di oggi tendono sempre più a divertirsi con giochi di tipo elettronico. Nella nostra
indagine, proprio videogiochi e playstation si collocano al primo posto tra i giochi preferiti dai bambini (43%), seguiti dai giochi da
tavola, con una percentuale molto più contenuta (pari al 14,8%). Giocare con le bambole è indicato dal 12,2% del campione
come il passatempo preferito, mentre i peluches occupano il cuore del 7,7% dei bambini intervistati e una percentuale simile
(6,5%) si diletta con costruzioni e puzzle. Infine, soldatini/guerrieri e trenini/automobiline sono relegati agli ultimi posti della
graduatoria, rispettivamente con il 2,6% e il 2,1%. Tra i maschietti prevale in maniera decisa il piacere dei giochi elettronici, ben il
66,3%, rispetto al 21% delle bambine. Queste ultime, confermando la loro preferenza per i giochi tradizionali, prediligono
trascorrere il tempo libero giocando con le bambole (23,4%), circa una su cinque ama i giochi da tavola (il 20,2% contro il 9,5%
dei maschi) e il13,6% preferisce ipelusches. Giochi tipicamente maschili,come soldatini e automobili, sono leggermente diffusitra
i bambini (rispettivamente 4,9% e 3,3%), ma non riscuotono più grande successo come in passato. Ai bambini è stato chiesto
quali attività svolgono abitualmente: un’elevata percentuale di intervistati afferma di avere l’abitudine di disegnare (68,7%) e circa
un bambino su due solitamente legge libri. Il piacere della lettura per il 43% dei bambini è riservato ai fumetti e una percentuale
simile (39,6%) è solita dipingere. Quote più contenute amano tenere un diario e suonare uno strumento musicale,
rispettivamente il 29,1% e il 28,5%. Tra le varie attività proposte ai bambini, il piacere di scrivere poesie e/o racconti si colloca
all’ultimo posto (22,7%).
I fumetti. Leggere fumetti risulta abitudine abbastanza diffusa tra tutti gli intervistati, anche se i maschi risultano
leggermente più propensi a questa attività con il 46,6% delle risposte, contro il 40,5% delle femmine. Queste ultime, al contrario,
sono maggiormente prese dalla lettura di libri,ben il63,7% delle intervistate afferma di avere questa abitudine contro il47,6% dei
maschi; gli stessi registrano, anche, una percentuale abbastanza consistente di non risposte (15,8%). La disaggregazione per
area geografica evidenzia la maggiore propensione alla lettura tra ibambini del Nord-Est (59,4%), seguiti dai residenti nel Centro
Italia (56,5%), nel Sud (54,3%), nel Nord-Ovest (53%) e nelle Isole (48,8%). Questo ultimo dato è influenzato anche
dall’elevata percentuale di non risposte (22,2%). La magia del diario personale, lo scrigno in cui conservare tutti i propri segreti,
affascina principalmente le bambine che nel 41,8% dei casi rispondono di avere questa abitudine. Al contrario, solo il 16,6% dei
maschietti afferma di scrivere un diario.
“Appassionati” lettori. Complessivamente, i bambini intervistati risultano degli appassionati lettori, circa un bambino su
tre afferma infatti di leggere da uno a tre libri l’anno, il 22,3% supera addirittura i 12 libri in un anno. Altre percentuali più contenute si
posizionano su valori intermedi: il 14,7% oscilla tra i 4 e i 7 libri e l’11,4% legge mediamente dagli 8 ai 12 libri all’anno. Dichiara di
avere abitudini opposte il 14,4% dei bambini intervistati che risulta completamente disinteressato alla lettura di testi extrascolastici. I bambini meno avvezzi alla lettura risiedono nell’Italia insulare, dove il25,3% afferma di non leggere alcun libro durante
l’anno. Modalità di lettura sporadiche sono particolarmente diffuse nel Meridione: il34% afferma di leggere da 1 a 3 libriin un anno
ed il 15,9% da 4 a 7 libri. Nel Nord-Ovest si registra una percentuale molto simile (15,7%) riferita a questa modalità di risposta e
una quota consistente afferma di leggere dagli 8 ai 12 libri annui (esattamente il 14,1%, identica percentuale registrata nel NordEst). Ibambini dell’Italia orientale dimostrano una particolare dedizione alla lettura, ben il33,4% degli intervistati afferma di leggere
più di 12 libri all’anno e si attestano su una percentuale simile i bambini del Nord-Ovest (29,8%).
Viaggi e vacanze. Oltre il 60% dei bambini (esattamente il 61,1%) non ha mai avuto occasione di andare all’estero,
mentre il 34,8% ha avuto questa opportunità. I bambini residenti nell’Italia settentrionale hanno avuto maggiori possibilità di
viaggi all’estero: nello specifico il 56,1% del Nord-Ovest e il 50,6% del Nord-Est hanno visitato un paese straniero, mentre la
percentuale più bassa si registra nelle Isole (solo il 22,2%). Anche al Sud la quota di coloro che hanno visitato paesi esteri è
piuttosto contenuta (22,7%) se paragonata alla media nazionale (34,8%) e alle risposte dei bambini residenti nel Settentrione.
Per quanto riguarda le occasioni di viaggio in genere, il10,4% dei bambini intervistati afferma di non viaggiare mai durante l’anno,
mentre una percentuale leggermente superiore (14,6%) ha raramente questa possibilità.Una quota molto consistente (42,5%)
del campione ha occasione di fare qualche viaggio in un anno e viaggia più frequentemente il 27% dei bambini. La
disaggregazione territoriale evidenzia una maggiore tendenza a viaggiare tra i bambini residenti nel Nord-Est, infatti il 36,5%
afferma di viaggiare spesso contro il 18,5% delle Isole. Coloro che si attestano su una frequenza di viaggi più sporadica
risiedono prevalentemente nel Centro (47,4%) e nel Nord-Ovest (46,5%). I bambini dell’Italia meridionale registrano la
percentuale più elevata nella modalità “raramente” (esattamente il18%), mentre circa un bambino su quattro delle Isole afferma
di non viaggiare mai durante l’anno. Una quota elevatissima (83,7%) afferma poi di compiere viaggi in occasione delle vacanze
estive, il 37,2% anche in prossimità del Natale ed il 29,3% per le festività pasquali. Il 23,1% dei bambini ha l’opportunità di fare la
settimana bianca e il 21,8% afferma che i propri viaggi non sono collegati ad alcuna ricorrenza particolare. Infine, il 16,7%
intraprende un viaggio in corrispondenza con ponti a cavallo di giornate festive. I viaggi per le vacanze estive sono molto
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frequenti prevalentemente nel Nord-Est (91,3%) e nel Nord-Ovest (90,4%); naturalmente le Isole, avendo a disposizione il
mare e le maggiori bellezze naturali, costituiscono il gruppo più sparuto (70,4%) nell’effettuare spostamenti in questo periodo
dell’anno. In occasione delle festività natalizie e pasquali si conferma la maggiore tendenza dei bambini del Settentrione ad
effettuare viaggi; nel Nord-Est si registrano le percentuali più elevate in occasione del Natale (49,4%) e della Pasqua (36,8%).
Circa un bambino su tre del Centro e dell’Italia orientale ha la possibilità di fare la settimana bianca, rispettivamente il 30% e il
30,3%. Inoltre, i bambini del Centro rappresentano le percentuali più elevate in rapporto allo spostarsi in corrispondenza di ponti
(22,9%) e in nessuna occasione specifica (24,3%). Tra le preferenze vacanziere dei bambini intervistati prevale in maniera
esponenziale il mare (60,4%), a seguire la montagna (19,2%) e con percentuali più contenute tutte le altre mete: città d’arte
(5,9%), campagna (5,8%), lago (2,6%) e altri luoghi (2,1%). Una piccola percentuale risponde di non avere alcuna meta
prediletta per i propri viaggi (0,4%). La differenza di genere mette in risalto delle particolarità nelle preferenze per le destinazioni
delle proprie vacanze: le bambine per i loro viaggi scelgono in misura maggiore il mare (63,1% contro 57,7%), mentre i bambini
sono più propensi a trascorrere dei periodi di vacanza in montagna (21,4% contro 18%). Le altre mete presentano percentuali
molto simili tra i due generi. Tra i bambini dell’Italia occidentale e centrale prevale il mare quale meta vacanziera prediletta
(rispettivamente il 65,7% e il 62,1%), mentre i residenti nell’Italia orientale risultano maggiormente propensi a trascorrere le
vacanze in montagna (21,9%). I bambini residenti nelle Isole dimostrano un maggiore interesse per la campagna (12,3%) e
per illago (4,3%). Mentre gliintervistati dell’Italia meridionale risultano più affascinati dalle città d’arte (7,5%). Il25,9% del campione
preferisce trascorrere lavacanza tranquillamente in albergo ed una componente molto simile(25,2%) desidera fare una crociera.
Percentuali più contenute dichiarano di preferire il villaggio turistico (13,2%) e il campeggio (13%), alcuni sono disposti alla
vacanza itinerante in camper (7,9%). Appena il 4% sceglie l’agriturismo e il 2,6% afferma di non avere alcuna preferenza
particolare. La maggioranza dei bambini indica come destinazione dei propri viaggi prevalentemente luoghi vicini: il 22,3%
sceglie l’Italia e il23,1% l’Europa. Gli altri allargano i loro orizzonti sognando nel 14,4% dei casi l’Australia, nel 12,3% l’America del
Nord, nell’8,7% l’America centro-meridionale. Il 6,7% sceglie il continente africano e il 3,8% predilige mete esotiche. Non si
presentano grandi differenze tra maschi e femmine nella scelta dell’Italia quale luogo di destinazione per le proprie vacanze
(entrambi intorno al 22%). Una leggera preferenza maschile si rileva, al contrario, per le altre mete: Europa (il 24% contro il
22,7%), l’America del Nord (13% contro 11,8%) ed America centro-meridionale (9,6% contro 8,1%). Le bambine costituiscono il
gruppo più numeroso nel preferire l’Australia (16,1% contro 12,6%). Per quanto riguarda il continente Africano si registra una
percentuale identica (6,8%). Osservando la distribuzione dei dati per area geografica, emerge una chiara preferenza per il
nostro Paese da parte dei bambini residenti nell’Italia meridionale e insulare (rispettivamente il 26% e il 30,2%). Gli intervistati del
Nord-Est prediligono i viaggi in Europa (25,4%), mentre quelli del Nord-Ovest privilegiano l’America (l’America del Nord nel
19,7% dei casi e l’America centro-meridionale nel 13,6%): questi ultimi costituiscono anche ilgruppo più folto (6,1%) nel guardare
con interesse paesi orientali. I bambini dell’Italia centrale mostrano particolare curiosità verso il continente africano (8,7%) e
l’Australia (15,4% – percentuale identica si registra nel Meridione).
Mostre e musei. La visita di musei e mostre ha inizio fin dall’infanzia. Per indagare le modalità delle visite è stata costruita
un’apposita sezione del questionario. L’obiettivo della prima domanda è conoscere ilnumero dei bambini che sirecano a mostre
e musei e la frequenza delle loro visite. Dai risultati emerge che la maggior parte del campione (72,8%) dichiara di andare a
mostre e musei, mentre solo il 23% non vi si reca mai. In particolare, il 38,1% sostiene di recarsi in questi spazi qualche volta, il
23,3% raramente, l’11,4% spesso. In relazione all’area geografica di riferimento, è possibile osservare come ibambini del NordEst si rechino in numero maggiore e più spesso a vedere le mostre e i musei. Soltanto il 14,4% di essi, infatti, dichiara di non
andarci mai. Questi dati possono essere in parte spiegati dalle attività organizzate dalle scuole: dalla domanda successiva,
infatti, risulta che il 17,1% dei bambini del Nord-Est è motivato dalla volontà degli insegnanti. I piccoli della Sicilia e della Sardegna
sono quelli che dichiarano di andare di meno e meno spesso a queste visite culturali. Il 49,4% di essi, infatti, dice di non andare
mai ai musei (a fronte del 23% della media nazionale). Tra quelli che li visitano, soltanto il 7,4% lo fa spesso e solo il 23,5%
qualche volta, a fronte rispettivamente dell’11,4% e del 38,1% della media nazionale. Tra Nord-Ovest, Centro e Sud le
differenze non sono, invece, rilevanti. Escludendo il 23% dei bambini che non si recano mai a mostre e/o musei, la domanda
successiva riguarda la motivazione che spinge i bambini a visitare mostre e/o musei. I motivi variano dal piacere personale
all’obbligo imposto da docenti o familiari. Molti bambini dicono di essere spinti da un interesse proprio. La maggior parte di essi
(59%), infatti, dichiara di andare ai musei perché è piacevole andarci. La restante parte si divide tra chi è obbligato ad andarci con
i genitori e chi è invogliato dagli insegnanti. I primi sono il 9,1%, i secondi sono il 12,9%. Facendo riferimento all’area geografica di
appartenenza si notano delle differenze sostanziali. Mentre al Sud, al Centro e nel Nord-Ovest la motivazione dettata dal
piacere personale interessa oltre il 58% del campione, nelle Isole e nel Nord-Est riguarda circa il 54% dei bambini con una
differenza percentuale massima dell’8% tra le Isole e il Centro.
Come già visto la zona dove il volere degli insegnanti motiva più bambini è il Nord-Est con il 17,1%. A quest’area fa
seguito il Sud con il 14,9%, mentre il Centro registra la percentuale più bassa (7,8%). I bambini che più si sentono obbligati dai
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genitori sono quelli del Nord-Ovest (12,7%), quelli che ritengono i genitori meno intransigenti sono i minori del Sud (7,3%). Le
abitudini familiari italiane si stanno via via modificando. L’idea romantica dei genitori che raccontano le favole ai figli,ad esempio, è
contraddetta dai dati. Ben 1/4 dei minori dichiara, infatti, che i genitori non hanno loro mai raccontato le favole. Il 39,3%, inoltre,
dichiara di aver partecipato a questo rito familiare solo qualche volta. Il 30,9%, invece, dice che i genitori raccontano loro le favole
spesso (16%) o sempre (14,9%). È da notare inoltre un differente atteggiamento da parte dei genitori a seconda del sesso dei
figli. Il 30,9% dei maschietti dice di non aver mai avuto questo tipo di attenzioni, a fronte del 20,5% delle femminucce. Anche la
frequenza con la quale le bambine ascoltano le favole differisce dalla frequenza indicata dai bambini. Mentre le femmine che
dichiarano che i genitori hanno raccontato loro le favole spesso o sempre sono il 36,4%, i maschi sono soltanto il 26,4%, con
una differenza tra i due generi del 10%.
Benessere/malessere
Alla domanda “Ti trovi bene nella città in cui vivi?” i bambini hanno mostrato di avere un’idea molto chiara e oltre il
93% esprime un giudizio positivo. In particolare il 64,6% degli intervistati si trova “molto bene” nella città in cui vive e il 28,8% si
trova “abbastanza bene”. Anche quando è stato chiesto che cosa non piace della propria città la risposta più frequente è stata
“non c’è niente che non mi piaccia” con il 32,9% dei casi. In questa occasione, però, i bambini hanno espresso dei giudizi critici in
merito all’inquinamento (15,9%), al traffico (11,9%) e alla carenza di aree verdi (10,2%). Il tema degli spazi per i bambini è
relativamente sentito dagli intervistati che evidenziano il problema soltanto nel 7,6% dei casi, mostrando una volta di più come
non siano le strutture o le infrastrutturead essere al centro della loro attenzione. Confrontando idati a livello macroregionale, iltema
dell’inquinamento ha una forte variabilità e nel Nord-Est il 28,5% dei bambini ritiene di vivere in città troppo inquinate. Anche il
traffico viene valutato in modo diverso da zona a zona e nelle Isole il 21,6% dei bambini non lo vorrebbe nella propria città.
Traffico e inquinamento sono due problemi che raccolgono gran parte delle lamentele degli intervistati.In particolare nel Nord-Est
la somma delle due risposte raggiunge il 41,9% del totale (13,4% per il traffico e 28,5% per l’inquinamento). Per quanto riguarda
la mancanza di aree verdi, il problema è più sentito al Sud e nelle Isole dove l’esigenza di maggiori spazi verdi viene segnalata
rispettivamente dal 12% e dal 13% degli interpellati. La famiglia e la stretta cerchia di amici costituiscono, per i bambini, i principali
punti di riferimento per confidare i propri problemi e in particolare nel 36,6% delle risposte sono i genitori ad essere i confidenti
principali. Al secondo posto, con una percentuale del 18,9%, troviamo gli amici più stretti. È comunque alta la percentuale di
bambini che dichiara di non confidare il sentimento di tristezza (15,9%) o di confidarlo solamente dietro esplicita domanda
(10,4%). Analizzando il dato per sesso, emerge come i maschi siano meno propensi, rispetto alle femmine, a confidare i propri
pensieri e parlino meno dei loro problemi sia ai familiari,sia agli amici più stretti.Rispetto ai sentimenti di solitudine, incomprensione,
incapacità e diversità, ibambini rispondono in maniera piuttosto decisa dando grande risalto alla solitudine che è una condizione
sentita dal 47,4% dei bambini intervistati, con le risposte affermative che superano quelle negative (45,9%). Questo risultato
può essere attribuito all’attuale struttura familiare caratterizzata spesso dalla presenza di figli unici.
Questo dato può essere letto anche come riflesso di una visione adulta che confonde la famiglia con la casa e le relazioni
con le strutture, provocando un effetto “sostituzione” tra dimensione materiale e dimensione relazionale che nei bambini genera
un sentimento di solitudine sempre più diffuso. Il sentimento di solitudine ha una diversa frequenza a seconda delle aree
geografiche di riferimento. In particolare nel Nord-Ovest, nel Nord-Est e nelle Isole più del 50% dei bambini intervistati si sentono
soli. Nelle regioni del Centro e del Sud accade il contrario con un elevato numero di bambini che dicono di sentirsi soli, ma in
percentuale più bassa di quanti non provano un sentimento di solitudine. L’invidia non sembra appartenere ai bambini che nella
gran parte dei casi non provano questo sentimento nei confronti dei coetanei. Tra le motivazioni che suscitano questo
sentimento la principale è costituita dai risultati ottenuti nello studio (risponde così il 28,6% degli intervistati); la seconda causa di
invidia è un oggetto desiderato (24,8% delle risposte), mentre la ricchezza provoca invidia soltanto nell’8% degli intervistati.
Osservando i dati sembrerebbe che i bambini non provino invidia in senso stretto, ma piuttosto il desiderio di raggiungere i
risultati o la condizione di altri coetanei. “Ti capita di pensare che desidereresti essere (...)”. Intervistati su questa domanda, i
bambini rispondono che vorrebbero essere più grandi e più sicuri di sé rispettivamente nel 53,7% e nel 53,4% dei casi. In
particolare ildesiderio di maggiore sicurezza è più sentito dalle bambine che rispondono affermativamente nel 57,1% dei casi. In
riferimento alla distribuzione per area geografica, emerge come il desiderio di maggior sicurezza sia più forte nelle regioni
settentrionali (nel Nord-Ovest nel 60% degli intervistati; nel Nord-Est nel 56,6%) e si riduca man mano che si percorre la
penisola verso Sud e le Isole (rispettivamente nel 52,2% e nel 46,9% dei casi).
Ma quali sono le condizioni che provocano più paura nei bambini? Nelle risposte fornite dagli intervistati torna a
dominare la solitudine (45,6%). Il timore di restare soli infatti è più forte nelle bambine (49,1%) che nei maschi (42,1%).
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I rapporti interpersonali
Questa sezione del questionario ha analizzato le dinamiche e gli atteggiamenti che sottostanno alla sfera dei rapporti
interpersonali, rispettivamente in ambito familiare e sociale. Attraverso un set di domande, abbiamo chiesto ai bambini di
descrivere le sensazioni che provano alla vista di un ragazzo che chiede l’elemosina o ancora la loro opinione sui coetanei che
compiono reati. È stata inoltre misurata l’importanza che igiovanissimi attribuiscono a tematiche quali l’immigrazione, l’amicizia, i
soldi, il successo, l’aspetto fisico e la religione. Per ottenere un identikit più completo del bambino, l’ultima domanda della sezione
indaga sull’immagine che i bambini hanno dei propri genitori, essendo la famiglia il principale punto di riferimento per ciò che
riguarda imodelli di comportamento ed ivalori. Ilprimo quesito ha inteso raccogliere le motivazioni principali di scherno tra bambini.
La più ricorrente sembra essere quella relativa alla corporatura robusta, infatti quasi la metà del campione (44,4%) ha risposto di
aver assistito a prese in giro di un coetaneo perché grasso. Il 28,2% ha visto invece, deridere gli amichetti a causa della diversa
nazionalità e solo uno su cinque (20%) individua nella timidezza il pretesto della derisione. La povertà ricopre l’ultimo posto in
classifica in quanto motivo di burla: solo al 12,1% del campione è capitato di assistere ad una presa in giro dei coetanei per
motivi legati alla povertà. Anche l’handicap è purtroppo pretesto di canzonatura. È capitato al 16,4% dei bambini intervistati di
assistere a questo tipo di burla. In ogni caso emerge con determinazione la sensibilità e l’empatia dei bambini nei confronti dei loro
coetanei meno fortunati. Più della metà degli intervistati, (57,3%) prova dispiacere alla vista di ragazzi che chiedono l’elemosina e
circa un bambino su cinque (20,5%) dichiara di provare tenerezza. Decisamente irrilevanteilcampione che manifesta sentimenti
di diffidenza (3,8%), disprezzo (2,1%) e indifferenza (2,8%). Prendendo in esame la suddivisione per macroaree geografiche,
si osserva che i bambini del Sud provano in misura maggiore un senso di dispiacere nei confronti dei ragazzi che chiedono
l’elemosina per strada (66,4% contro la media delle altre aree pari al 49,9%). Si distinguono, al contrario, gli intervistati delle Isole
che dichiarano di provare un senso maggiore di tenerezza (44,4% contro la media nazionale del 23,7%). Il sesso dei soggetti
non incide significativamente sull’atteggiamento nei confronti dei ragazzi che chiedono l’elemosina per strada. È possibile tuttavia
notare che fra le femmine è leggermente più alta che fra i maschi la percentuale di chi prova dispiacere (60,2% contro 54,1%).
Dai dati si evince che circa un bambino su due è riflessivo e prudente nel giudicare i ragazzi autori di misfatti. Il 37,7% del
campione infatti, non colpevolizza i coetanei che compiono reati, ma li giustifica attribuendo all’inconsapevolezza il motivo delle
loro azioni. Circa un bambino su dieci (11,8%) ha una visione più fatalista e assegna alla sfortuna la causa determinante dei
reati ad opera dei giovanissimi. Più decisi e determinati nei loro giudizi il43,3% degli intervistati. In particolare il25,8% e il14,5% dei
bambini giudica rispettivamente cattivi e disonesti i coetanei che compiono reati. Mettendo a confronto i dati relativi ai bambini e
quelli relativi alle bambine, si coglie tra quest’ultime un maggior senso di comprensione nel giudicare i propri coetanei che
compiono reati. Le femmine considerano infatti, in percentuale maggiore rispetto ai maschi, inconsapevoli delle loro azioni i
coetanei autori di reati (42,7% contro il 33,3%). La tendenza si conferma anche dal confronto sul secondo item: sono più
numerosi imaschi pronti a giudicare e quindi ad additare come cattivi coloro i quali compiono reati (29,3% contro il 22,4% del dato
femminile).
Immigrati. Più della metà dei bambini manifesta sentimenti di affetto, maturità e sensibilità nei confronti degli immigrati: il
52,8% del campione desidera per gli immigrati accoglienza e pari diritti. Viceversa sono pochi (7,1%) coloro i quali auspicano
l’accoglienza contestando allo stesso tempo la parità dei diritti.Sentimenti di intolleranza si riscontrano nel 23,7% dei casi: circa un
bimbo su dieci (9,9%) afferma che gliimmigrati debbano essere allontanati dal territorioitaliano e il13,8% ammette l’accoglienza a
condizione che possa rivelarsi utile per il bene del Paese. Una quota consistente del campione invece (16,4%) ha preferito o
non ha saputo esprimere la propria opinione. L’opinione sugli immigrati è influenzata dalle differenze di genere. Nello specifico tra
le femmine è più sviluppato ilsentimento di integrazione multiculturale. Queste infatti sostengono in misura maggiore dei maschi,
che gli immigrati debbano essere accolti ed avere gli stessi dirittidegli italiani (58,1% contro il47,8% del dato maschile). Allo stesso
tempo i bambini auspicano più delle bambine l’allontanamento degli stranieri dal territorio italiano (12,4% a fronte del 7,4% del
dato femminile). Si confermano gli atteggiamenti di maturità e di saggezza manifestati dai bambini nei confronti degli stranieri. Al
campione è stato chiesto di esprimere ilgrado di compiacimento nel caso in cui un parente o un amico/a sposasse uno straniero
proveniente da un paese povero. Nel complesso il 60,1% dei bambini si dichiara favorevole a questa eventualità. In
particolare il 29,2% è abbastanza favorevole e il 30,9% del tutto favorevole. Pareri contrari provengono dall’11,6% del
campione che manifesta massimo disaccordo e dall’11,4% che si rivela abbastanza contrario. Anche in questo caso risulta alta
la percentuale di chi non ha saputo o voluto esprimere il proprio parere (16,9%). L'indagine ha inteso cogliere il livello di
importanza che i bambini attribuiscono a temi quali l’amicizia, la famiglia, i soldi, il successo, l’aspetto fisico e la
religione. Dai risultatiemerge che glielementi essenziali nella vita dei bambini sono da rintracciarsinella famiglia e nell’amicizia.La
quasi totalità del campione concorda infatti sull’importanza di questi due aspetti. In particolare l’amicizia e la famiglia vedono
attribuirsi molta importanza rispettivamente dall’80,5% e dall’85,1% dei bambini. Anche la religione, pur se in misura inferiore,
suscita interesse tra gli intervistati. Nello specifico viene considerata importante complessivamente dal 74,8% del campione
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(abbastanza importante per il27,1% e molto importante per il47,7%).Vittime probabilmente della società dell’immagine, degli idoli
televisivi o della realtà distorta che molto spesso viene loro trasferita, oltre la metà dei bambini attribuisce importanza all’aspetto
fisico (abbastanza e molto importante rispettivamente per il 33,1% e il 22,4% del campione). Il dato non è certo confortante se si
considera la tenera età degli intervistati. I soldi conquistano nel complesso il 52,3% del campione (è un aspetto abbastanza e
molto importante rispettivamente per il 35,1% e il 17,2% dei bambini). Riguardo al tema del successo il campione è visibilmente
frammentato: il 21,5% non attribuisce alcuna importanza, il 28,4% l’assegna ma in misura marginale, il 24% si dichiara
abbastanza interessato e il 16,6% le attribuisce molta importanza. Alla domanda relativa al livello di importanza attribuito
all’aspetto fisico, si dichiarano molto interessati rispettivamente il 22,8% dei maschi e il 22% delle femmine. Se
complessivamente a metà degli intervistati interessa il denaro, i due sessi si differenziano per il livello di importanza attribuito: il
20,4% dei maschi attribuisce molta rilevanza ai soldi a fronte del 14,6% delle femmine. Queste ultime invece preferiscono una
via di mezzo: considerano infatti abbastanza importante i soldi in misura maggiore rispetto ai bambini (36,3% a fronte del 33,6%
del dato maschile). Anche il successo interessa in misura maggiore i maschietti. Lo giudicano molto rilevante quasi due bambini
su dieci (19%) contro il 14,5% delle bambine che manifestano infatti un interesse minore (complessivamente per niente o poco
importante per il 53,9% delle femmine contro il 46,7% dei maschi). La distribuzione del dato in base al sesso non attribuisce
differenze di genere significative. Tuttavia le bambine attribuiscono massima importanza alla religione in misura leggermente
superiore ai maschi (49,2% a fronte del 45,9% del dato maschile). Ai bambini è stato chiesto di indicare l’elemento di maggior
disturbo in un rapporto di amicizia. Dai risultati del sondaggio si evince che ibambini temono principalmente che ilproprio amico/a
possa sparlare alle loro spalle (38%). In seconda battuta temono che una confidenza o un segreto possano essere raccontati
ad altri (30,3%). In misura inferiore interessa la sincerità (13,1%) e la disponibilità nel momento del bisogno (5,9%). L’opinione su
cosa possa ledere maggiormente un rapporto di amicizia è leggermente influenzata dalla differenza di genere. Ad entrambi i
sessi scoraggia in assoluto l’eventualità che il proprio amico/a possa parlare male di lui/lei alle proprie spalle, ma tra le femmine la
preoccupazione è leggermente superiore (39,8% contro il 36,2% del dato maschile). La seconda circostanza indicata come
cosa peggiore che possa capitare tra amici, quella cioè relativa allo spifferare ad altri un proprio segreto o una propria confidenza,
preoccupa in misura maggiore i bambini rispetto alle coetanee femmine (32,7% a fronte del 28,6% del dato femminile). Anche
sulla sincerità si rintracciano pareri leggermente discostanti tra i due sessi. La paura che il proprio amico/a possa non essere
sincero impensierisce maggiormente le bambine (15,4% contro il 10,7% dei maschietti). La domanda seguente mira ad
analizzare le dinamiche relazionali che definiscono il rapporto tra genitori e figli.Questo costituisce uno tra gli aspetti più importanti
ai fini della comprensione delle condizioni positive o negative per la crescita e lo sviluppo dei bambini. I risultati del sondaggio si
sono rivelati nel complesso rasserenanti. È piacevole scoprire che bambini in età così giovane (tra 7 e 11 anni) riescano a
cogliere la disponibilità dei genitori a fare sacrifici per loro (81,9%). Circa tre intervistati su quattro (75,4%) avverte nei genitori la
capacità e la volontà di capirli e poco più della metà del campione (58,5%) li considera come un modello di comportamento.
Quasi un bambino su dieci (9,3%) lamenta l’assenza del genitore. Non la pensa così il 75,3% del campione e il 15,4% dei
bambini che non hanno voluto o non hanno saputo rispondere. Per la maggior parte dei bambini il rapporto con i propri genitori
non si fonda sul permissivismo e neanche sulla severità. Infatti tre bambini su quattro (75,4%) dichiarano che i genitori non sono
troppo severi e il 69,4% ha risposto di no al sondaggio sull’eccessivo permissivismo dei genitori. Il permissivismo si riduce
quando si tratta delle bambine. Tra queste è più alta la percentuale di chi non giudica troppo permissivi i propri genitori (72,2% a
fronte del 66,7% del dato maschile).
Bullismo
Ben il78,9% dei bambini dichiara di utilizzare strategie attive contro ilbullismo. I minori asseriscono, infatti, di contrapporsi alle
prepotenze di un coetaneo su un altro chiedendo aiuto ad un adulto nel 27,5% dei casi, dicendo al prepotente di smetterla nel
27,7% dei casi e aiutando la vittima ad uscire dalla situazione nel 23,7% dei casi. Il 3,9% ammette di unirsi al bullo dominante
facendo a sua volta il prepotente, lo 0,9% dice di trovare divertente ciò che il bullo fa e dice. Questi due item rispecchiano
l’atteggiamento tipico del bullo gregario. Le ultime 2 modalità di risposta, invece, rilevano il comportamento degli spettatori
silenziosi. Il 4,6% dice, infatti, di guardare e far finta di niente perché non sono fatti propri, mentre il 4,5% si allontana prima che il
prepotente prenda di mira anche lui. Ben il 78,9% dei minori adotta strategie attive in difesa del più debole; il 4,8% è un bullo
gregario e il 9,1% è spettatore silenzioso. Le differenze di genere non risultano particolarmente significative rispetto ai
comportamenti assunti di fronte ad episodi di bullismo. I bambini e le bambine che adottano strategie attive sono circa l’80%. La
percentuale delle spettatrici silenziose è leggermente superiore a quella dei maschi e si attesta al 9,8% contro l’8%. Una
peculiarità rilevante emerge per gli atteggiamenti da bullo gregario. I maschi, infatti, dichiarano di unirsi al prepotente o di trovare
divertente l’atteggiamento del bullo nel 6,6% dei casi, mentre le bambine assumono atteggiamenti da bullo gregario solo nel 3%
dei casi. La maggior parte dei bambini italiani dice di difendere ilpiù debole di fronte ad episodi di bullismo. In particolare l’82,9% dei
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bambini del Sud rivela di adottare strategie attive, solo il 2,5% di comportarsi come bulli gregari e l’8,7% come spettatore
silenzioso. Nel Nord-Ovest, Nord-Est e Centro la percentuale di spettatori che adotta strategie attive in difesa del più debole è
simile. Il 76,8% dei bambini del Nord-Ovest dichiara di difendere il più debole, il 3,1% di avere comportamenti da bullo gregario e
l’8,5% di essere uno spettatore silenzioso. Nel Nord-Est il 76,3% afferma di adoperarsi in favore della vittima, il 4,9% di prendere
parte ad atteggiamenti da bullo, il 10,3% di non interessarsi in alcun modo alle vicende di bullismo. Il 77,9% dei minori del Centro
si adopera in difesa dei più deboli, il 6,7% assume comportamenti da bullo gregario e l’8,1% da spettatore silenzioso. Gli isolani
propongono un’immagine di sé differente rispetto ai bambini delle altre zone d’Italia. Soltanto il70,4% di essi dice di difendere ipiù
deboli, contro l’ 82,9% del Sud e il 77% circa di Nord-Ovest, Nord-Est e Centro. In Sicilia e in Sardegna si rileva, inoltre, la più alta
percentuale di bambini che dichiara di adottare comportamenti da bullo gregario (12,4%) e da spettatore silenzioso (12,3%). I
bambini denunciano di subire prevalentemente brutti scherzi (42,3%). Il 39,6% dei bambini dichiara di subire provocazioni e/o
prese in giro ripetute e il 33,6% offese immotivate ripetute. Tra i minori il 20,2% si dichiara minacciato da coetanei o ragazzi più
grandi, il 12,6% subisce furto di oggetti e/o cibo, mentre il 4,8% viene derubato. Il 12,1% dichiara di essere stato vittima di episodi
dibullismo direttifisici,ossia dipercosse ripetute.Le differenze digenere influenzano maggiormente altricomportamenti dibullismo
dei quali i bambini e le bambine sono vittime: provocazioni e/o prese in giro ripetute, minacce, provocazioni, percosse e brutti
scherzi. In particolare il 43,8% dei bambini dice di subire provocazioni e/o prese in giro ripetute contro il 36,3% delle bambine. La
percentuale dei maschi che dichiara di aver subìto minacce è quasi doppia rispetto a quella delle femmine (26,3% contro il
14,2%); circa il 6% in più, inoltre, denuncia di essere stato sottoposto a brutti scherzi (45,8% a fronte del 39,9%). Gli episodi di
bullismo diretto fisico riguardano mediamente il 12,1% dei minori: il 14,9% sono maschi e il 9,5% sono femmine.
I luoghi di prevaricazione. I luoghi più indicati sono stati la scuola (32,3%) e la strada e la piazza (27,3%).
Considerando che i bambini tra i 7 e gli 11 anni si recano saltuariamente nei bar e nei locali, la percentuale di abusi che avviene in
questi spazi, pur attestandosi all’8,4%, è elevata. Gli abusi si consumano, inoltre, sugli autobus, nelle palestre e nei centri
sportivi. I luoghi dove avvengono gli episodi di bullismo cambiano lungo la penisola. Nel Nord-Ovest il 41,9% dei bambini dice
che gli abusi avvengono a scuola (contro il 32,3% della media nazionale) e solo il 16,7% dice che questi episodi si verificano
per strada o in piazza (contro una media nazionale del 27,3%). All’opposto al Sud il 30,1% dei bambini indica la scuola e il
35,1% la strada e le piazze. I bambini del Nord-Ovest e quelli del Nord-Est indicano i bar e i locali in percentuale maggiore
rispetto alla media nazionale, rispettivamente l’8,6% e l’11,8 a fronte dell’8,4. I bambini hanno un’idea chiara sulle motivazioni che
spingono alcune persone a fare i bulli. Oltre 1/3 di essi (37,7%) pensa che i bulli si vogliano sentire più grandi e più forti. Il 26,6%
ritiene che si vogliano far notare, mentre il 16,9% afferma che i bulli sono dei sadici che agiscono per il gusto di infierire su chi è più
debole. L’8,3% giustifica i bulli e dichiara che le loro azioni sono dettate dalla voglia di scherzare. Tra maschi e femmine è
pressochè ugualmente diffusa l’opinione che una persona sia prepotente solo per scherzo (9,2% dei bambini e il 7,3% delle
bambine) e che il bullo voglia sentirsi più grande e più forte (37,7% dei maschi e il 39,1% delle coetanee). La differenza di
genere influenza le risposte che riguardano l’uso della forza e l’esibizionismo. Mentre i maschi ritengono più delle femmine che il
bullo agisca per il gusto di infierire sul più debole (il 19,2% a fronte del 14,6%), le bambine dichiarano più dei bambini che il bullo
agisce per farsi notare (28,6% contro 24,7%). L’area geografica di appartenenza ha una particolare rilevanza sulle motivazioni
che ibambini adducono relativamente ai comportamenti da bullo. Mentre idati medi nazionali indicano come prima spiegazione il
desiderio di sentirsi più grandi e più forti (37,7%), i bambini del Nord-Ovest, in controtendenza con tutte le altre aree geografiche,
privilegiano la giustificazione “per farsi notare”. Il 36,4% di essi, infatti, ritiene l’esibizionismo la causa più probabile degli atti di
bullismo (mentre la media nazionale è solo del 26,6%). I bambini del Nord-Ovest si distinguono anche per essere quelli che
meno giustificano gli atti di bullismo. Soltanto il 3% di essi, infatti, ha risposto “per scherzare”, contro una media dell’8,3%. I
bambini del Centro, con il 42,5% delle scelte, sono quelli che ritengono il sentirsi più grandi e più forti la causa più pregnante. I
bambini delle Isole, invece, sono quelli che più degli altri dichiarano che i bulli agiscono per il gusto di infierire sui più deboli (22,8%
contro una media nazionale del 16,9%). La domanda seguente ha voluto raccogliere l’opinione dei bambini sui coetanei che
aggrediscono i più deboli rubandogli oggetti o denaro, minacciandoli, picchiandoli e così via. La maggior parte dei bambini
(33,9%) ritiene che iminori che compiono questi atti siano dei prepotenti. Il21% liaccusa semplicemente di essere maleducati e il
19,2% li reputa immaturi. Se da un lato vi sono dei bambini che hanno un giudizio assolutamente negativo dei bulli e li
definiscono cattivi(9,3%), dall’altroc’è una piccola minoranza che listima e ritiene che siano più coraggiosi degli altri (2,6%). Infine il
2% dei bambini si mostra molto comprensivo con i bulli ritenendo che siano insicuri (0,2%) o soli (1,8%). Analizzando la
distribuzione di frequenza per sesso si nota che i maschi sono più duri nei giudizi sui bulli rispetto alle loro coetanee. Il 37,9% dei
bambini li ritiene prepotenti e l’11,5% li considera cattivi, mentre solo il 30,7% delle bambine li definisce prepotenti e appena il
7,5% cattivi. Le femmine si dimostrano più comprensive dei loro coetanei: il21% di esse, infatti, considera ibulli immaturi (a fronte
del 16,6% dei maschi) e il 24,6% maleducati (contro il 18,2%). Mettendo in relazione le risposte fornite dal campione con la
provenienza geografica, si evidenziano alcune divergenze nel giudizio sui bulli. In particolare, mentre nel Nord-Ovest il 22,7%
dei bambini è pronta a giustificare i bulli perché immaturi, nelle Isole ben il 15,4% li giudica cattivi. Al Sud, inoltre, a fronte di una
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media nazionale del 33,9%, il 37,1% dei bambini ritiene che i bulli siano prepotenti.
Emergenza
La maggior parte dei bambini che hanno risposto al questionario ha dichiarato di conoscere il significato della parola
“emergenza” (88,5%). Solo il 6,3% del campione non ne conosce il significato, mentre il 4,9% non sa o ha preferito non
rispondere. Esaminando le risposte in base alla distribuzione territoriale degli intervistati, non vi sono differenze percentuali
significative.In tuttele aree considerate, infatti,è molto alta la percentuale dibambini che hanno dichiarato diconoscere ilsignificato
della parola “emergenza”. Si attestano su percentuali molto simili tra loro i bambini del Nord-Ovest (92,4%) e del Nord-Est
(90,2%) e sulla stessa percentuale (89,3%) quelli del Centro e del Sud. Leggermente inferiore è la percentuale degli intervistati
che conoscono ilsignificato del termine “emergenza” nelle Isole. Non siriscontrano differenze percentuali significativeneanche in
base al sesso degli intervistati. È tra le bambine, però, che si registra la percentuale maggiore di risposte affermative (90,3%).
Dai dati emerge anche che una percentuale maggiore di maschi non sa o ha preferito non rispondere. A fronte dell’88,5% del
campione che ha risposto di conoscere il significato della parola emergenza, solo il 77,5% dei bambini ha dichiarato di
considerare l’emergenza una situazione di pericolo in cui bisogna immediatamente intervenire. La restante parte è costituita da
coloro i quali la considerano una situazione in cui qualcuno si fa male e quindi necessita di aiuto (16,9%). Il 4,4% non sa o
preferisce non rispondere. Il78,7% dei maschi e il 77,7% delle femmine, infatti, considera l’emergenza una situazione di pericolo
in cui bisogna intervenire immediatamente. Lo stesso dicasi per la seconda alternativa di risposta che è stata scelta dal 17,4%
dei maschi e dal 16,7% delle femmine. La percentuale di tutti coloro i quali hanno optato per questa definizione di emergenza è
pari al 16,9% del campione considerato. Prendendo in considerazione le risposte date in rapporto all’area geografica, emerge
anche in questo caso un netto predominio della definizione di emergenza intesa come situazione di pericolo in cui bisogna
intervenire immediatamente. Questa risposta è stata preferita alle altre al Nord-Ovest dal 79,8%, al Nord-Est dal 79,7%, al
Centro dal 76,7%, al Sud dal 79,7% e nelle Isole dal 61,7% dei bambini. La seconda alternativa di risposta scelta dagli
intervistati è sempre quella che ritiene essere emergenza una situazione in cui qualcuno si fa male e ha bisogno di aiuto. Poco
più della metà dei bambini intervistati (51,2%) ha dichiarato di essersi trovato in situazioni di pericolo a fronte di una percentuale
pari al 44,2% di coloro i quali non si sono mai trovati in circostanze simili. Il 4,5% non sa o preferisce non rispondere. Esaminando
le risposte in relazione all’area geografica di appartenenza degli intervistati, emerge che tra i bambini del Nord-Ovest (63,6%) e
quelli del Nord-Est (60,2%) è maggiore la percentuale di coloro che hanno risposto di essersi trovati in situazioni di pericolo. Al
contrario tra i bambini del Sud (47,7%) e delle Isole (39,5%) tale percentuale è più bassa rispetto a quella registrata dai bambini
che hanno dichiarato di non essersi mai trovati in circostanze pericolose. In particolare al Sud la percentuale di coloro che hanno
risposto di no (48,6%) si discosta di poco rispetto a quella di chi ha dato la risposta affermativa (47,7%), mentre nelle Isole la
differenza è di poco superiore ai 10 punti percentuali. Per quanto riguarda le specifiche situazioni di pericolo in cui si sono trovati i
bambini che hanno risposto sì alla domanda precedente, il 43,8% di loro ha affermato di essersi perso. In particolare è capitato di
perdersi ad una percentuale maggiore di bambini residenti al Nord-Ovest (52,2%), seguiti da quelli del Centro (47,9%), e quelli
del Nord-Est (47,4%). Al Centro e al Nord-Ovest il distacco tra le due risposte è più netto rispetto a quanto si può osservare tra
gli intervistati del Nord-Est. Tra i piccoli del Sud sono di più quelli che non si sono mai persi, così come nelle Isole dove al 55% dei
bambini intervistati non è mai capitato di perdersi. Il 32,3% dei bambini che hanno risposto di essersi trovati in situazioni di
pericolo ha ritenuto pericoloso rimanere da solo/a in casa. Nel caso specifico, dall’incrocio tra i sessi, emerge che è più alta tra le
femmine (36,9%) la percentuale di coloro che hanno ritenuto pericoloso rimanere soli in casa. Tra imaschi solo il 29,2% ha avuto
paura a rimanere in casa da solo. Si può anche osservare inoltre che tra i maschi è più alta la percentuale di coloro che hanno
preferito non rispondere. Al 25,6% di coloro i quali si sono trovati in situazione di pericolo è capitato di essere inseguito da un
cane aggressivo. In questo caso è tra i maschi che si registra la percentuale maggiore di coloro i quali si sono trovati nella
specifica situazione di pericolo. Il 30% di loro, infatti, ha risposto di essere stato inseguito da un cane aggressivo. Tra le femmine
questa triste esperienza è capitata al 21,2% del totale delle intervistate. Il 20,9% è stato preso di mira da uno o più ragazzi, il
60,8% non si è mai trovato in una situazione di questo tipo, il 18,3% non sa o ha preferito non rispondere. Anche in questo
caso è tra i maschi che si registra la percentuale maggiore di bambini a cui è capitato di essere stato preso di mira da uno o più
ragazzi. Nello specifico il 27% dei maschi ha risposto sì e il 56% ha risposto no. Tra le femmine, il 15,3% ha dichiarato di essersi
trovato in questo tipo di situazione pericolosa contro un 68,4% che non è mai stato preso di mira da qualcuno. Alla domanda
relativa a cosa li spaventa di più in una situazione di pericolo, il 42,1% ha confessato di temere di trovarsi da solo. Il 28,2% dei
bambini intervistati teme invece, di non sapere cosa fare, mentre il 15% ha paura di non sapere a chi rivolgersi per chiedere
aiuto. Prendendo in esame la suddivisione per macro-aree geografiche, si osserva che il 51,5% degli intervistati del NordOvest, in una situazione di pericolo, teme di trovarsi da solo, il 18,7% si preoccupa di non sapere cosa fare, il 12,7% è intimorito
dalla possibilità di non sapere a chi rivolgersi. Al Nord-Est il 45% dei bambini condivide il timore di trovarsi da solo in una
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circostanza di pericolo, il 23,9% quello di non sapere cosa fare, mentre il 15,1% ha paura di non sapere a chi rivolgersi. Anche al
Centro la maggior parte dei bambini intervistati è intimorita dalla possibilità di trovarsi solo, il 27% si preoccupa di non sapere
cosa fare, il 10,6% ha paura di non sapere a chi rivolgersi. Una parte consistente dei bambini del Sud si suddivide tra chi teme di
trovarsi solo in un momento di pericolo (36,9%) e tra chi si preoccupa soprattutto di non sapere cosa fare (35,2). Il 17,5% degli
interpellati del Sud teme di non sapere a chi rivolgersi. Nelle Isole il 38% ha risposto di temere di trovarsi da solo, il 25,3% di non
sapere cosa fare, il 20,3% ha paura di non sapere a chi rivolgersi. Non sanno o hanno preferito non rispondere al Nord-Ovest il
13,4% dei bambini, a Nord-Est l’11,6%, al Centro il 15,6%, al Sud il 9,5%, nelle Isole il 15,2%. Ai bambini è stato anche chiesto
di indicare la/e persona/e a cui preferiscono chiedere aiuto in una situazione di pericolo. Il 64,4% chiede aiuto ai genitori, il 18,5%
chiama un numero di emergenza, il 7,2% si rivolge agli amici, il 3% cerca una forma di aiuto diversa da quelle elencate nelle
alternative di risposta. Il 6,9% del campione non sa o ha scelto di non rispondere. Le risposte non si differenziano in maniera
sostanziale se si prende in considerazione la suddivisione per macro-aree. La maggior parte di loro, in caso di pericolo, chiede
aiuto ai genitori indipendentemente dall’area geografica di appartenenza. La percentuale più alta a questa risposta si registra al
Centro (68,3%). Seguono il Sud (66,7%), il Nord-Est (66,5%), il Nord-Ovest (56%) ed infine le Isole (47,5%). Al Nord-Ovest
il22,4% degli intervistati ha dichiarato di chiamare un numero di emergenza, il7,5% preferisce l’aiuto degli amici, il6% predilige un
tipo di aiuto diverso da quelli elencati tra le alternative di risposta. Al Nord-Est il 19,5% dei bambini chiama un numero di
emergenza, il 6,8% si rivolge agli amici, solo il 2% cerca un altro tipo di aiuto. Al Centro il 13,7%, se è in pericolo, chiama un
numero di emergenza, il6,5% cerca l’aiuto degli amici, il7,6% preferisce un’altra forma di aiuto. Al Sud il17,3% chiama un numero
di emergenza, l’8% gliamici, il2,2% cerca aiuto altrove. Nelle Isole è molto alta la percentuale di bambini che chiamano un numero
di emergenza (30%), il 6,3% cerca aiuto all’interno del gruppo di amici e il 2,5% preferisce un tipo di aiuto diverso da quelli elencati
come alternativa di risposta. Alla domanda relativa al loro stato d’animo in una situazione di pericolo, la maggior parte dei bambini
che hanno dichiarato di essersi trovati in tali circostanze ha risposto di provare paura (60,1%), il 13,6% ha voglia di piangere, il
12% è preso dal desiderio di gridare, il 4,6% non si identifica con nessuno degli stati d’animo elencati. Il 9,7% non sa che cosa
prova o ha preferito non rispondere. Analizzando le stesse risposte in base al sesso, emerge che la paura è il sentimento più
diffuso tra i maschi (64,7%) piuttosto che tra le femmine (57,5%). Dalle altre alternative di risposta osserviamo, però, che le
femmine, in situazione di pericolo, sono più propense a piangere (20,1%), mentre imaschi sono orientatimaggiormente a gridare
(10,9%).
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[L’indagine campionaria]
Identikit dell’adolescente
Media e nuove tecnologie
Adolescenti e Tv. Il 51,2% dei ragazzi intervistati, la metà del campione (51,2%) guarda la televisione da 1 a 3 ore al
giorno; il 19,3% la segue invece per meno di un’ora, il 12,8% da 3 a 5 ore, il 10,1% non guarda la televisione tutti i giorni, il 5% la
segue per più di 5 ore al giorno. Tra le ragazze è leggermente più elevata che fra i ragazzi la quota di chi non guarda la
televisione tutti i giorni (11,3% vs 8,8%)e di chi la guarda per meno di un’ora al giorno (20% vs 18,7%), mentre fra i ragazzi è più
elevata la quota di chi guarda la Tv per oltre 5 ore al giorno (1,9% vs 0,9%). Al Nord-Est si registra una percentuale(14,3%)
superiore alla media di adolescenti che non seguono la televisione tutti i giorni (8% a Nord-Ovest, 7,9% al Centro, 11,8% al
Sud e 7,7% nelle Isole. La più alta percentuale di forti consumatori (più di 5 ore al giorno) si riscontra invece al Sud (8,5%).
L’ampia maggioranza dei ragazzi intervistati,il68,3%, afferma di guardare iprogrammi televisivi con ilbollino rosso, anche da soli.
Solo l’8,6% dice di non seguire mai le trasmissioni col bollino rosso, l’8,1% dice di farlo in presenza di persone adulte, il 13% in
compagnia di amici o fratelli. I maschi dichiarano più spesso delle femmine di seguire i programmi con il bollino rosso: solo il 5,6%
dei ragazzi non lo fa mai, contro l’11,3% delle ragazze, ben il 76,8% lo fa anche da solo, contro il 61,2% delle ragazze.
Opinione sui contenuti televisivi. Prendendo in analisi l’atteggiamento degli adolescenti nei confronti di una serie di
contenuti televisivi diversi, è stato rilevato che gli intervistati sono disturbati soprattutto dalle persone che parlano di questioni
intime e private nei talk show (49,7%). Suscitano il fastidio di una quota significativa di ragazzi anche le persone che litigano nei
talk show o nei reality show (41,8%), le immagini di guerra e/o morte nei telegiornali (41,1%) e la volgarità e le parolacce
(40,3%). Risultano invece sgraditi solo ad una minoranza di ragazzi le scene di violenza nei film o nei telefilm (20,3%) e le scene
di sesso e/o nudo nei film o telefilm (19,3%). Nel caso della volgarità e delle parolacce le ragazze che si dicono infastidite sono
decisamente più numerose dei ragazzi: 52,4% contro 27,5%; così pure rispetto alle immagini di guerra e di morte nei telegiornali
(fastidiose per ben il 50,2% delle adolescenti e per il 31,7% degli adolescenti).
Giovani e nuove tecnologie. I dati rilevati confermano la grandissima diffusione del computer fra i ragazzi: l’89,4% sa
utilizzarlo. Rimane un 9,8% di ragazzi ancora penalizzati da un analfabetismo informatico. Le percentuali relative all’utilizzo del
computer da parte dei ragazzi e delle ragazze intervistate risultano simili (rispettivamente 90,6% e 88,7%). La quota più bassa
di utilizzo del pc si riscontra al Sud (85,7%), la più alta nelle Isole (92,6%). Rispetto all’uso del computer, l’utilizzo di Internet risulta
solo leggermente meno diffuso fra gli adolescenti: l’81,1% lo usa, il 17,5% non lo usa. La percentuale rilevata sul campione di
adolescenti si discosta notevolmente da quella rilevata sul campione di bambini (di essi solo il 46,8% utilizza Internet). Si registra
un leggero ritardo del Sud e delle Isole rispetto al resto del Paese, dove rispettivamente il 69,7% e il 77,6% degli adolescenti usa
Internet (contro l’87,6% del Centro, l’84,6% del Nord-Ovest, l’84,5% del Nord-Est). La quota di utilizzo di Internet cresce
costantemente all’aumentare dell’età: 72,3% dai 12 ai 14 anni, 83,4% dai 15 ai 16 anni, 87,2% dai 17 ai 19 anni.
Internet: tra studio e pirateria. La forma di utilizzo più diffuso fra gli adolescenti risulta essere la ricerca di informazioni di
loro interesse, che riguarda ben il 93,6% dei ragazzi che navigano in Rete. Estremamente diffuse sono anche la ricerca di
materiale per lo studio (83%) e l’abitudine di scaricare musica, film, giochi, video da Internet (70,5%). La maggioranza dei giovani
navigatori (53,7%) comunica tramite la posta elettronica; il 43,9% gioca con i videogiochi online; il 37,9% comunica tramite chat.
Risultano invece meno frequenti la ricerca in Rete di cose proibite (24,2%), la partecipazione a giochi di ruolo (18,6%), la
partecipazione a forum (17,8%), la lettura dei Blog (14%). Fra le ragazze sono molto più numerose che fra i ragazzi coloro che
cercano materiale utile per lo studio su Internet: 89,6% contro 76,5%. Gli adolescenti dicono di scaricare musica, film, giochi e
video da Internet con maggior frequenza rispetto alle loro coetanee: lo fa il 78,4% dei maschi a fronte del 63% delle femmine.
Scaricare materiale dalla Rete risulta un’abitudine meno diffusa al Nord-Est che nelle altre macroaree geografiche (57% contro
una media nazionale del 70,5%). Nelle Isole siriscontra una percentuale superiore alla media di ragazzi che comunicano tramite
chat (56,8%). Fra i soggetti dai 15 ai 19 anni risulta più alta che fra quelli più giovani la quota (circa il 40%) di chi chatta tramite
Internet. Il 40,1% dei maschi rispetto all’8,7% delle femmine utilizza Internet per cercare cose proibite. I giochi di ruolo online
vengono praticati più dai maschi che dalle femmine, soprattutto al Sud e nelle Isole, meno nel Nord-Est. La loro somiglianza con i
videogiochi ed il fatto che sono spesso incentrati su avventure e combattimenti che hanno per protagonisti maghi e guerrieri
fanno sì che i giochi di ruolo siano più amati dai ragazzi che dalle ragazze.Per quanto riguarda i forum tematici di discussione, i
ragazzi si dimostrano decisamente più interessati delle ragazze: lilegge e vi prende parte attivamente il22,5% dei maschi contro
il 13,5% delle femmine.
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Tempi di navigazione. Il 44,3% dei ragazzi non si connette ad Internet tutti i giorni, il 9,7% lo fa dai 5 ai 30 minuti al giorno, il
10,2% da 30 minuti ad un’ora al giorno, il 7,5% da 1 a 2 ore al giorno, il 3,2% da 2 a 4 ore al giorno, il 4,3% oltre 4 ore al giorno.
Oltre la metà delle adolescenti intervistate (51,2%) non utilizza Internet tutti igiorni, contro il 37% dei loro coetanei. La percentuale
maschile di soggetti che navigano per più di 4 ore al giorno (6,6%) è inoltre più elevata di quella femminile (2%).
Pirateria informatica: la percezione dell’illegalità degli adolescenti. Un’altissima percentuale di adolescenti ha
l’abitudine di scaricare canzoni, film e giochi da Internet, pratica nella grandissima maggioranza dei casi illegale. È stato quindi
chiesto al campione come giudica questo comportamento. Il35,8% dei ragazzi ha risposto che scaricare materiale dalla Rete è
comodo e non ci trova niente di male; il 35,3% ha invece affermato che è lecito perché cd e dvd costano troppo. Il 18,4% degli
intervistati, invece, non trova giusto questo comportamento, tuttavia non lo considera grave; solo secondo il 3,1% si tratta di un
vero e proprio furto da punire severamente.
L’uso del telefonino. Il 96,4% del campione di adolescenti possiede un telefonino tutto suo. Fra i ragazzi di 12-14 anni il
telefonino personale è lievemente meno diffuso (93,3%) che fra quelli di 15-16 anni (98,9%) e quelli di 17-19 anni (97,7%).
Nuove tendenze tecnologiche. Il lettore dvd è l’apparecchio più diffuso, lo possiede infatti ben l’86,7% dei ragazzi
intervistati. Molto diffuso fra i ragazzi risulta anche il masterizzatore (69,9%). Più della metà del campione (56,3%) possiede un
lettore Mp3. Il 50,2% dei ragazzi dice di possedere una telecamera digitale, il 48,2% un dvd recorder. Sono invece meno diffusi
gli I-pod (11,7%), utilizzati per costruire vere e proprie compilation di canzoni in base ai gusti personali e ascoltarle in qualunque
luogo.
Il 16% dei ragazzi possiede un I-pod, contro il 7,7% delle ragazze; il 61,9% possiede un lettore Mp3, contro il 50,9% delle
ragazze. Lo stesso divario si può osservare per il masterizzatore, di cui è in possesso il 74,6% degli adolescenti ed il 65,9%
delle loro coetanee, e, in misura minore, per il dvd recorder, il lettore dvd e la telecamera digitale.
Tendenze e mode giovanili
Le ragazze e l’abitudine di truccarsi. Ben il 57,8% delle intervistate afferma, infatti, di truccarsi spesso (30,8%) o
sempre (27%). Appena il 6,9% non si trucca mai, mentre una su tre (il 30,1%) lo fa in occasioni particolari ed il 2,6% ha provato
a truccarsi solo per gioco. Appena il 17,8% delle intervistate di età compresa tra i 12 e i 14 anni afferma di non aver mai fatto uso
di trucchi (11,2%) o di aver provato a truccarsi solo per gioco (6,6%). Il 39,6%, diversamente, si trucca in occasioni particolari,
mentre per la maggioranza di esse il maquillage rappresenta già un’abitudine quotidiana: ben il 40,8%, infatti, si trucca spesso
(23%) o sempre (17,8%). Al crescere dell’età sale la percentuale di quante hanno abbandonato l’aria “acqua e sapone”: due
ragazze su tre tra le adolescenti di età compresa tra i 15 e i 16 anni ed oltre il 68% delle intervistate più mature (17-18 anni)
ricorrono al trucco spesso o continuamente. L’84% delle intervistate ha iniziato a truccarsi prima dei 15 anni. Nello specifico, il
77,3% delle adolescenti ha iniziato a farlo tra gli 11 e i 14 anni, mentre il 6,7% ha abbandonato la faccia acqua e sapone ancora
più precocemente, tra i 7 e i 10 anni (4,9%) o ancora prima (1,8%). Il 12,9%, infine, ha cominciato a truccarsi dopo i 15 anni.
La moda del piercing. Il 25,7%, vale a dire oltre un quarto del campione, ha dichiarato di essersi fatto almeno un piercing.
Il ricorso al piercing è molto più diffuso tra le adolescenti che tra i loro coetanei. Tra le ragazze, infatti, ben il 35,7% ha almeno un
piercing, contro il 14,8% dei ragazzi. Il 16% dei ragazzi di età compresa tra i 12 e i 14 anni ha almeno un piercing, contro il 26,3%
degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni ed il 34,2% degli intervistati più maturi. La parte del corpo privilegiata per il piercing è il classico
orecchio – il 77,4% di quanti vi hanno fatto ricorso almeno una volta – ma non mancano scelte più inusuali: uno su tre (il 33,2%)
si è fatto il piercing sul naso, il 14,6% sulla pancia, l’8,2% sul labbro, il 6,7% sulla lingua ed il 5,2% sul sopracciglio. Esiste una
certa relazione tra il genere e la parte del corpo su cui si è scelto di fare il piercing. Tra le ragazze che hanno fatto ricorso almeno
una volta al piercing, la scelta è ricaduta prevalentemente, oltre che sul classico orecchio (82,6%, contro il 67,3% dei ragazzi), sul
naso (42,2%, scelto dal 13,7% dei ragazzi) e sulla pancia (17,6% vs 8,5%). I ragazzi, diversamente, hanno optato più
frequentemente per il sopracciglio (12,3% contro appena l’1,9% delle coetanee), la lingua (10,4%, quasi il doppio rispetto al
dato femminile) o il labbro (oggetto di piercing per il 9,5% di quanti hanno fatto ricorso a questa pratica almeno un volta, contro il
7,4% delle ragazze). Il giudizio degli adolescenti sul piercing non è affatto omogeneo. A quanti, la maggior parte (40,6%)
ritengono che si tratti di una moda, si accompagna chi ritiene che esso sia un rischio per la salute (9,9%) o che sia brutto
esteticamente (5,1%), ma anche quanti pensano che il piercing rappresenti un modo per trattenere un ricordo (4,7%) o per
rendersi più belli (12,2%). Forma di trasgressione per circa un adolescente su dieci (10,6%), il piercing rappresenta, poi, per una
parte di essi, un modo di distinguersi dagli altri (11,4%) o di dimostrare di essere adulti (1,5%).
Ricorso alla chirurgia estetica. Solo una parte contenuta del campione (il 2%) ha fatto ricorso alla chirurgia estetica. La
stragrande maggioranza (il 96%) non vi ha fatto ricorso, mentre il2% non ha voluto rispondere. Tra gli intervistati che hanno fatto
ricorso alla chirurgia estetica, il17,2% lo ha fatto in seguito ad un incidente. Un buon 21,2%, diversamente, è ricorso alla chirurgia
estetica per correggere un difetto evidente (11,1%) o diventare più attraente (10,1%), mentre per il 5% si è trattato di una scelta
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etero-guidata, cui si è giunti attraverso ilconsiglio di amici (2%) o genitori (3%). La maggior parte ha preferito, tuttavia, non indicare
la ragione del ricorso alla chirurgia estetica (55,6%).
Consumi e scelte d’acquisto. Il 76,7% del campione assume nei confronti del consumo un atteggiamento
coscienzioso: un prodotto si acquista principalmente perché serve o perché il prezzo lo permette. Il 59,9% dei ragazzi afferma di
dare importanza soprattutto all’utilità del prodotto, mentre il 16,8% considera decisivo soprattutto il prezzo. D’altra parte, l’11,4%
considera questione prioritaria, nei propri acquisti, la marca o il fatto di avere visto il prodotto in pubblicità. Mentre per il 5,3%
ritengono importante soprattutto che il prodotto sia di moda o che ce l’abbiano gli amici. Il 2,8%, infine, considera importante
soprattutto il fatto che il prodotto debba essere di proprio gradimento. Nelle scelte d’acquisto le ragazze sono piuttosto
responsabili: poco meno del 78% considera importante soprattutto il fatto che il prodotto sia utile (62,9%) o che abbia un
prezzo ragionevole (15%). L’utilità rappresenta il criterio di scelta prevalente anche tra i ragazzi (56,5%), ma tra di essi si registra,
rispetto alle coetanee, una maggiore attenzione al prezzo (18,8%). Il fatto che il prodotto sia di marca e che venga pubblicizzato
interessa più i ragazzi (13,6%) che le ragazze (9,3%), le quali danno maggiore importanza al fatto che esso sia in linea con le
tendenze della moda, indipendentemente dal logo, o che ce l’abbiano gli amici (5,8%, contro il 4,8% dei coetanei di sesso
maschile). Le scelte quelle relative all’abbigliamento gli adolescenti sembrano essere, nella maggior parte dei casi, poco
condizionabili dai dettami della moda. Un buon 18% di intervistati afferma di non avere interesse a seguire le tendenze del
momento, mentre poco meno di 2 adolescenti su tre (il 65,7%) si vestono seguendo la moda solo se quello che è di moda è
davvero di loro gradimento. Solo per una parte più contenuta del campione (il 15,5%) vestirsi seguendo la moda rappresenta
un must. La stragrande maggioranza degli adolescenti che segue la moda (il 73,5%) lo fa per il proprio gradimento. Per un buon
14,7%, invece, si tratta di adeguarsi alle tendenze del momento per non sentirsi all’antica. Solo una parte contenuta di
adolescenti afferma di seguire la moda perché lo fanno gli amici (1,8%) o i propri idoli (1,8%). Una buona parte degli adolescenti
(il 52,4%) non ha a disposizione molti soldi per i propri acquisti: il 28,1% ha una paghetta settimanale tra l’1 e i 10 euro, mentre il
24,3% può contare su non più di 20 euro a settimana. Non mancano quanti usufruiscono di una paghetta settimanale
generosa, compresa tra i 21 e i 30 euro (12,1%) o che hanno una disponibilità di denaro ancora maggiore (17%), ma accanto
ad essi vi è un buon 9,1% di adolescenti che non può contare per le proprie spese su alcuna somma.Gli adolescenti più maturi
vantano una disponibilità economica maggiore rispetto ai giovanissimi. In particolare, mentre tra iragazzi di età compresa tra i17
e i 19 anni un buon 38,2% può contare su una paghetta settimanale compresa tra i 21 e i 30 euro (15,4%) o su una
disponibilità ancora maggiore (22,8%), tra i15-16enni e tra igiovanissimi tale percentuale scende, rispettivamente, al 28,1% e al
20,4%. Ben il 57,6% degli intervistati più giovani ed il 54,8% dei ragazzi di età compresa tra i 15 e i 16 anni affermano di avere a
disposizione non più di 20 euro a settimana per le proprie spese, contro il 46,3% degli adolescenti più maturi. Tra questi ultimi,
infine, la quota di quanti non hanno alcuna disponibilità economica, pari al 13,6% tra i giovanissimi e al 9,3% tra i 15-16enni, non
raggiunge il 5%. In cima agli acquisti degli adolescenti intervistati vi sono innanzi tutto le ricariche per il cellulare (27,7%) e i capi
d’abbigliamento (23,9%), seguite da snack e altri prodotti alimentari (15%) e accessori e articoli di profumeria (6,2%). Un ragazzo
su dieci spende soprattutto per acquistare videogiochi (4%) cd e film (6%) mentre l’8,1% preferisce acquistare con maggiore
frequenza libri, fumetti o riviste. Infine, circa 3 adolescenti su 100 utilizzano la propria paghetta principalmente per comprare le
sigarette.
Tempo libero
Il 33,1% degli intervistati afferma di trascorrere il tempo libero in casa ascoltando musica via stereo o Mp3, mentre il 7,3%
ascolta la radio. Circa un ragazzo su quattro (24,5%) preferisce guardare la televisione e il 12,8% giocare con i videogames.
Una quota pari all’8,1% del campione naviga in Rete e il 7,6% si dedica alla lettura. La proporzione di ragazze che ama
ascoltare musica è notevolmente superiore a quella dei maschi (sommando stereo, Mp3 e radio complessivamente il 49,5%
contro il 30,9%), inoltre le intervistate preferiscono in percentuale maggiore rispetto ai coetanei guardare la televisione (27%) e
leggere (11%). I ragazzi, d’altro canto, sono i maggiori fruitori di Internet (10,7%) e dei videogames (24,6%).
Giovani lettori. La lettura risulta un’attività abbastanza diffusa tra i giovani: quasi un intervistato su due afferma di leggere
libri (47,9%) e il24,5% ama i fumetti. Il 42,1% del campione si dedica al disegno, mentre il 24,6% suona uno strumento musicale
e il 23,4% ha l’abitudine di tenere un diario. Una quota pari al 16% degli intervistati ama dipingere e il 13,2% scrive poesie e/o
racconti.L’approcciodegli adolescenti allaletturasifapiù frequente alcrescere dell’età:affermadileggere abitualmente libriil44,5%
dei ragazzi tra i 12 e i 14 anni, il 49,7% di coloro che hanno tra i 15 e i 16 anni e il 50,3% di coloro che appartengono alla classe
d’età 17-19 anni. Il fascino del diario personale in cui racchiudere pensieri e segreti coinvolge soprattutto i più giovani: scrive un
diario il 26,2% dei soggetti tra 12 e 14 anni, la percentuale scende al 23,5% tra i 15 ed i 16 anni ed arriva al 21,6% tra i più grandi
(17-19 anni). Complessivamente, i ragazzi intervistati si mostrano dei discreti lettori: il 40,1% afferma di leggere da uno a tre libri
l’anno, il 19,3% arriva ad un numero che oscilla fra i 4 ed i 7 e l’8,4% supera i 12 libri in un anno. Una percentuale più contenuta
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(pari al 7,7%) legge mediamente dagli 8 ai 12 libri all’anno. Ben il 21,5% dei giovani afferma, invece, di concentrarsi
esclusivamente sui testi scolastici, escludendo dalle proprie letture tutti gli altri libri. La passione per la lettura si conferma diffusa
prevalentemente tra le ragazze, che leggono più di 12 libri l’anno nell’11,2% dei casi (contro il 5,5% dei ragazzi), tra gli 8 e i 12 libri
nel 10% dei casi (contro il 5,1% dei maschi) e tra i 4 e i 7 libri nel 23,6% dei casi (contro il 14,8% dei maschi). Circa un ragazzo su
tre (esattamente il 30,7%) non legge altri libri al di fuori dei testi scolastici e il 40,8% si limita ad un massimo di tre libri all’anno.
Mostre e musei. La maggioranza dei ragazzi intervistati ha avuto sporadiche occasioni di visitare mostre e musei (il
43%), mentre circa uno su tre (il 33%) lo ha fatto spesso e il 6,2% vi si reca addirittura sempre. Ha abitudini completamente
opposte il 16,7% degli adolescenti, che non visita mai mostre e musei. Emerge una maggiore fruizione di musei e mostre da
parte dei ragazzi residenti nel Sud e nel Centro (rispettivamente il 7,4% e il 6,3% vi si recano sempre), mentre si registra una
frequentazione dei luoghi culturali leggermente più contenuta tra i ragazzi del Nord-Est (il 37,7% risponde “spesso”). L’Italia
insulare si distingue per la scarsa fruizione di mostre e musei: il 47% compie visite culturali solo raramente, mentre il20% non lo fa
mai. Tra coloro che effettuano visite culturali, il 40,3% afferma di visitare mostre e musei per piacere personale e non, come
accade ad altri coetanei, perché sono obbligati da insegnanti (35,6%) o dai genitori (10%).
Viaggi: abitudini e preferenze. Ben il 72,7% degli intervistati ha avuto occasione di fare viaggi all’estero, mentre il 26%
non ha mai avuto questa opportunità. I ragazzi residenti nell’Italia settentrionale hanno avuto maggiori possibilità di fare viaggi
all’estero, nello specifico l’89,7% degli intervistati del Nord-Ovest e l’87,4% di quelli del Nord-Est hanno visitato un paese
straniero; abbastanza elevata anche la percentuale registrata nel Centro Italia (78,6%). Al contrario, il valore più contenuto si
rileva al Sud (il44,8%); la quota risulta inferiore alla media nazionale anche nell’Italia insulare (54,7%). Si tratta di valori tutt’altro che
modesti se pensiamo che circa un adolescente su due ha già avuto l’occasione di visitare un paese straniero, ma piuttosto
incongrui se paragonati alla media del Paese (72,7%). Una quota elevatissima di ragazzi (87,1%) afferma di compiere viaggi in
occasione delle vacanze estive, il 33,2% anche in prossimità del Natale ed il 22,1% per le festività pasquali. Il 21,9% si
concede la settimana bianca e il 19,8% intraprende un viaggio in corrispondenza con ponti festivi. Molto elevata (32,6%) la
percentuale di intervistati che decide di compiere viaggi in periodi che non corrispondono ad alcuna occasione particolare.
L’abitudine di viaggiare è particolarmente diffusa tra iresidenti nell’Italianord-occidentale, che registrano le percentuali più elevate
nella maggioranza dei periodi indicati. In particolare, nel Nord-Ovest ben il 95,4% dei ragazzi compiono un viaggio per le
vacanze estive (contro il 71,1% del Sud); per le festività natalizie e pasquali rispettivamente il 39,8% e il 30,3% (circa 10 punti
percentuali al di sopra della media nazionale in entrambi i casi); un ragazzo su quattro (24,8%) parte in corrispondenza di ponti
(nelle Isole appena il 12,6%). I residenti nell’Italia centrale si distinguono per una maggiore propensione a fare la cosiddetta
settimana bianca (32,3%), mentre nel Sud si rileva la quota più consistente (38,4%) di ragazzi che affermano di intraprendere
viaggi in periodi che non corrispondono ad alcuna occasione particolare. Quasi la metà degli intervistati (esattamente il 48,1%)
ha trascorso le ferie estive con la propria famiglia. Gli altri si sono organizzati in maniera autonoma condividendo l’esperienza con
uno o più amici nel 30,4% dei casi, con un gruppo organizzato nel 4,5% e con fratelli e sorelle (senza i genitori) nell’1,7%. Il
13,2% del campione non ha avuto occasione di compiere viaggi durante la scorsa estate. Tra le mete suggerite per le proprie
vacanze, i ragazzi hanno scelto prevalentemente il mare (ben il 72,6%), seguito, a grande distanza, dalla montagna (13,5%) e
con percentuali più contenute da tutte le altre destinazioni: città d’arte (5,7%), campagna (2%), lago (0,8%). Una discreta
percentuale (2,5%) ha indicato tra gli “altri luoghi” iparchi divertimento o iparchi acquatici quali mete in cui trascorrere volentieri una
vacanza. Infine, una quota pari all’1,3% afferma di non prediligere alcuna meta. La componente maggiore di intervistati (26,2%)
preferisce la vacanza girovaga e considera il camper la soluzione ideale per i propri viaggi; percentuali simili di ragazzi (24,7%)
preferiscono trascorrere la vacanza tranquillamente in albergo (24,7%) o esprimono il desiderio di fare una crociera (23,2%). A
seguire, una quota più contenuta (10,6%) sceglie l’agriturismo, il 4,8% preferisce il campeggio e il 3,1% il villaggio turistico. La
percentuale più elevata di ragazzi intervistati indica l’Europa come destinazione privilegiata dei propri viaggi (22,2%), seguono
l’America settentrionale (18,1%), l’Australia (17%) e l’America centro-meridionale (15,6%). Solo il 7,5% dei giovani limita i propri
orizzonti al nostro Paese e percentuali più modeste guardano con interesse il continente africano (4,8%) o i paesi esotici (3%).
Giovani e lo stadio. Ben il 45,7% del campione dichiara di non andare allo stadio per mancanza di interesse, la parte
restante si divide tra tifo appassionato e timidi entusiasmi. Solo il7,4% degli intervistati frequenta regolarmente lo stadio e circa un
ragazzo su tre (29,1%) vi si reca in maniera più sporadica. Altri ragazzi preferirebbero seguire le partite di calcio allo stadio ma
evitano di farlo perché intimoriti dai frequenti incidenti (3,6%) o perché non saprebbero con chi andare (9,8%).
Rapporti interpersonali e valori
Il 97,7% del campione attribuisce molta (85%) e abbastanza (12,7%) importanza all’amicizia e il 96% molta (81,1%) e
abbastanza (14,9%) importanza alla famiglia. A seguire, anche l’amore occupa un posto di primaria importanza per i ragazzi
che si esprimono in questo senso nel 92% dei casi. Anche gli aspetti considerati più effimeri riscuotono comunque il consenso
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dei giovani: l’aspetto fisico è ritenuto complessivamente (79,1%) importante da quasi otto ragazzi su dieci (abbastanza e molto
importante rispettivamente per il 55,1% e il 24% del campione). Seguono i soldi (“molto” e “abbastanza” importanti
complessivamente per il 76,8% dei giovani) e il successo (la pensa così il 61,3% del campione). In coda alla classifica si colloca
la religione, ritenuta importante soltanto dal 55,1% degli adolescenti (“molto” e “abbastanza” rispettivamente per il 16,3% e il
38,8% del campione).
Rapporti con gli amici. Interrogati, inoltre, su quale fosse la cosa peggiore che potrebbe fare un proprio amico/a, i giovani
intervistati hanno fornito le seguenti indicazioni: al primo posto collocano il “parlare male alle proprie spalle” (38,4%), seguito dal
timore che il proprio amico possa non essere sincero (26,9%). L’11,8% degli adolescenti teme invece che un segreto confidato
ad un amico possa essere da questi raccontato ad altri, mentre un intervistato su dieci (10,6%) ha espresso il timore di vedersi
“soffiare” il partner. Aspetti importanti, come la disponibilità nel momento del bisogno (7,5%), vengono trascurati in questa fase
della vita e generalmente rivalutati al crescere dell’età. Ai maschi preoccupa principalmente l’eventualità che un amico possa
sparlare allespalle (44,6% contro il33,2% delle femmine), mentre lefemmine temono inmisura maggiore l’ipocrisia(33,5% contro
il 19,9% dei maschi). I ragazzi (13,7%) più delle ragazze (9,8%) hanno poi il timore che una confidenza fatta ad un amico/a
possa essere rivelata ad altri. Tra icomportamenti ritenuti scorretti, la possibilità che un amico possa sottrarre ilproprio fidanzato/a
viene indicata in egual misura dai maschi (10,6%) e dalle femmine (10,8%). Più della metà del campione (55,1%) ha paura del
tradimento da parte del partner e 1/4 circa degli adolescenti (27,9%) teme che il proprio fidanzato possa non essere sincero/a.
Seguono nell’ordine il timore che il proprio ragazzo/a possa raccontare ad altri un segreto (4,2%) e la non disponibilità nel
momento del bisogno (6%). Iltradimento non conosce differenze di genere significative: preoccupa rispettivamente il56,3% dei
maschi ed il 55,1% delle femmine.
Adolescenti: come vedono i genitori. Il giudizio sui genitori espresso dagli adolescenti assume una connotazione
prevalentemente positiva. La quasi totalità degli intervistati (92,3%) considera i propri genitori pronti a fare sacrifici per loro e circa i
3/4 degli adolescenti intervistati (77,7%) li erige a modello di comportamento. Il 73,4% degli adolescenti asserisce che i genitori
sono capaci di comprenderli e l’88,1% non li considera “troppo assenti”. D’altra parte, emerge che nel 12,3% dei casi i genitori
vengono giudicati troppo severi se non addirittura troppo permissivi dal 9,4% dei ragazzi. Al crescere dell’età – e quindi nel pieno
dell’adolescenza – aumenta la percentuale dei ragazzi che non colgono nei propri genitori la capacità di capirli (12,7% nei 1214enni, 19,7% nei 15-16enni e 22,3% nei 17-19enni). Anche il permissivismo è condizionato dalla classe d’età: la percezione
che i genitori siano permissivi diminuisce all’aumentare dell’età (12,7% tra i 12-14enni, 7,8% tra i 15-16enni e 7,6% tra i 1719enni). La classe d’età è ininfluente invece, sulla considerazione del sacrificio dei genitori per i propri figli (92,9% dei 12-14enni,
92,1% dei 15-16enni e 92,7 dei 17-19enni).
L’opinione dei giovani sulle grandi tematiche. Il 58,2% dei giovani si è detto favorevole al divorzio contro il 39,9%
che la pensa diversamente. La fecondazione artificiale divide sostanzialmente il campione tra il 47,9% dei favorevoli e il 46,6%
contrari. Sull’aborto invece si evince una sensibilità maggiore dei ragazzi, che si sono dichiarati contrari nel 52,2% dei casi e
favorevoli in misura inferiore (43%). La pena di morte riscuote l’approvazione di quasi 1/4 degli intervistati (22,6%), mentre
sull’eutanasia le idee non sembrano essere molto chiare: sebbene la maggior parte dei ragazzi (40%) sia favorevole a questa
pratica, il 21,4% ha risposto di non conoscerne il significato. La sensazione più diffusa tra gli adolescenti, alla vista dei ragazzi che
chiedono l’elemosina per strada, è la stessa di quella manifestata dai bambini: il dispiacere (76,8%). A differenza dei bambini
però, tra gli adolescenti è molto alta la percentuale di coloro i quali in tali circostanze provano un senso di diffidenza (19,8%) e di
indifferenza (9,1%). Poco più di un giovane su dieci (13,1%) afferma di intenerirsi in presenza di ragazzi che chiedono
elemosina. La sensazione di dispiacere alla vista di un coetaneo che chiede l’elemosina è più accentuata nelle ragazze (62,7%)
rispetto ai ragazzi (51,4%), come pure la tenerezza (13,3% vs 12,9%). L’indifferenza invece è provata più spesso tra i maschi
che tra le femmine (10,5% a fronte del 7,8%). Per quanto riguarda invece ilgiudizio degli adolescenti nei confronti dei coetanei che
compiono reati emerge che nel 62,7% dei casi esso si basa sulla comprensione. Quasi la metà del campione (46,5%)
considera inconsapevoli delle loro azioni i giovani autori di reati e per il 16,2% degli adolescenti intervistati si tratta solo di una
circostanza sfortunata della vita. Un adolescente su cinque (20,5%) si rivela invece più critico nei giudizi e definisce disonesti i
coetanei che compiono reati. Solo il 6,6% intravede nella cattiveria degli autori la spinta motivazionale a questo tipo di devianza.
Per quanto riguarda l’opinione sulla presenza degli stranieri nel nostro Paese, gli adolescenti esprimono solo nel 31,6% dei casi
l’opinione secondo cui gli immigrati dovrebbero essere accolti e avere gli stessi diritti degli italiani, a differenza dei bambini (cfr.
Identikit del bambino) che nel 52,8% dei casi hanno espresso assoluta disponibilità e accoglienza. Circa un ragazzo su quattro
(22,6%) dichiara invece di essere totalmente in disaccordo e vorrebbe vedere allontanati dal territorio italiano gli immigrati. Più
cauto ma diffidente il 28,2% degli adolescenti disposto ad accettare gli immigrati a patto che questi si rivelino utili al Paese. Infine
l’8,6% degli intervistati non concederebbe agli immigrati la parità dei diritti,anche se ritiene sia giusto accoglierli. Le ragazze hanno
maggiore apertura, disponibilità e capacità di accoglienza nei confronti degli immigrati. Ben il35,1% delle intervistate auspica una
completa integrazione attraverso l’acquisizione degli stessi diritti degli italiani, contro il 27,8% dei coetanei. Si rileva maggiore
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comprensione da parte degli adolescenti, nel caso in cui un parente o un amico/a decidesse di sposarsi con un extracomunitario
proveniente da un paese povero. Nel complesso il 64,2% degli adolescenti si dichiara abbastanza (30%) e del tutto (34,2%)
favorevole a questa ipotesi. La pensa diversamente il 21% del campione che risponde di essere molto (8,5%) e abbastanza
(12,5%) contrario ad una simile situazione, mentre una parte consistente del campione, il 14,8%, afferma di non avere un’idea
precisa a riguardo o preferisce non esprimere il proprio parere.
Benessere/malessere
Il rapporto con il luogo in cui i ragazzi vivono. Quasi la metà degli intervistati (48,9%) ha risposto di trovarsi
abbastanza bene nella città in cui vive ed il 35,8% si ritiene molto appagato. Non la pensa così circa un ragazzo su dieci
(11,1%) che dichiara di vivere “poco” bene nella propria città. I meno soddisfatti della propria città risultano essere i giovani
residenti nelle Isole. Solo il 14,4% di quest’ultimi ha espresso alto gradimento, a fronte di un valore medio delle altre aree
geografiche pari al 38,8%. Questa tendenza è confermata dalla significativa percentuale dei ragazzi delle Isole (28,8%) che
hanno risposto di trovarsi “poco” bene nella propria città. Al Sud (44,1%) e al Centro (42,7%) risiede invece la percentuale
maggiore degli adolescenti che esprimono un elevato livello di soddisfazione. Intervistati, in particolare, sui motivi della loro
insoddisfazione, i giovani hanno indicato nella carenza di spazi a loro dedicati (25,5%) e nella mancanza di stimoli e di iniziative
interessanti (22,3%) le ragioni della loro scontentezza. Al contrario, una visione più ottimista si riscontra nel 14,2% dei ragazzi
intervistati che affermano di non trovare nulla che non piaccia. Ilresto del campione si suddivide tra il 7,3% di coloro iquali temono
la delinquenza, il 6,7% che lamentano l’inquinamento e il 6,4% infastidito dal traffico o caos.
Desideri e percezione di se stessi. La sicurezza in se stessi e l’indipendenza risultano al primo posto nei desideri
manifestati dagli adolescenti. In particolare, alla domanda su ciò che desidererebbe essere, il64,7% del campione ha mostrato di
aspirare ad una maggiore sicurezza nelle proprie capacità, e più di un intervistato su due (58,2%) ambisce ad una maggiore
indipendenza. Il sondaggio ritrae l’identikit di un adolescente che non soffre invece di “manie di protagonismo”: la modalità infatti
meno indicata dal campione riguarda il pensiero di sentirsi più popolare nel proprio gruppo di coetanei (27,7%). La voglia di
sentirsi più grandi (45,5%) e la maggiore disinvoltura (43,7%) dividono sostanzialmente a metà il campione. La voglia di sentirsi
più grandi (49,4% a fronte del 41,6% del dato maschile), più indipendenti (62,2% contro il 53,8% dei maschi che hanno risposto
di sì) e più disinvolte (46,9% a fronte del 40,5% dei maschi), caratterizza in misura maggiore i desideri delle ragazze. La
sicurezza in se stessi, indicata complessivamente dal 64,7% del campione, interessa quasi i 3/4 delle ragazze (70,4% contro il
59,2% dei ragazzi). La voglia di maggiore popolarità tra coetanei è invece un’aspirazione maggiormente maschile (ha risposto di
sì il 29,7% a fronte del 25,9% delle femmine).
Comportamenti a rischio
Consumo di alcool. I ragazzi intervistati bevano più o meno regolarmente. In particolare, solo il28,7% dichiara di non bere
mai nessun tipo di bevanda alcolica, mentre il 14,7% consuma alcool spesso (11,5%) o tutti i giorni (3,2%), e la maggioranza (il
55,6%) qualche volta. Tra la componente maschile del campione circa 1/5 degli intervistati beve alcolici spesso (14,9%) o tutti i
giorni (4,9%), mentre appena il24,1% si dice astemio. Tra le ragazze, diversamente, circa una su dieci è una forte consumatrice
di alcool – l’8,5% beve spesso e l’1,6% tutti i giorni – mentre il 33% dichiara di non fare mai uso di alcolici. Tra entrambe le
componenti del campione prevale, tuttavia, la quota di quanti affermano di bere alcolici qualche volta (55,2% dei ragazzi e
56,2% delle ragazze). Poco meno di 7 adolescenti su dieci hanno dichiarato di aver bevuto il primo bicchiere di vino o di birra
prima dei 15 anni (69,1%). Nello specifico, il 44,8% lo ha fatto tra gli 11 e i 14 anni, mentre il 24,3% ancora prima. Il 13%,
diversamente, ha consumato alcolici la prima volta dopo i 15 anni, mentre appena il 14,1% non ha mai bevuto un bicchiere di
vino o di birra. La maggior parte degli adolescenti beve alcolici in occasione di feste e ricorrenze particolari (40%). Va evidenziato,
tuttavia, come il 23,1% sia solito bere quando si trova in compagnia o quando ne ha voglia (18,1%). Per una minoranza
contenuta di intervistati, infine, il consumo di alcool avviene a tavola, durante i pasti (4,7%). Tra le ragazze è maggiormente
diffusa la tendenza a fare uso di alcolici solo durante feste e occasioni particolari (si comporta così il 43,3%, contro il 36,8% dei
ragazzi) o in compagnia (23,3%, valore lievemente più alto del corrispondente dato maschile, pari al 22,8%). I ragazzi,
diversamente, hanno con l’alcool un rapporto più regolare: il 27,4%, infatti, contro il 18,5% delle ragazze, beve durante i pasti
(7,1%) o quando ne ha voglia (20,3%). Il consumo di alcolici è legato a feste e ricorrenze particolari soprattutto al Sud (45,9%) e
nelle Isole (44,9%) e, in misura minore al Centro (43,1%). Al Nord-Ovest e al Nord-Est il bicchiere di vino rappresenta più
spesso un modo di stare in compagnia (rispettivamente per il 29% e per il 31,8% dei ragazzi ivi residenti). Il consumo di alcool
durante i pasti interessa maggiormente i ragazzi delle Isole (7,7%) e del Sud (6,7%), seguiti dagli intervistati del Centro (4,6%),
mentre trova scarsa diffusione tra gli adolescenti residenti al Nord-Ovest (3,4%) e al Nord-Est (2,4%). Bevono quando ne
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hanno voglia, infine, soprattutto i ragazzi residenti al Nord-Est (20%) e al Sud (19,6%).
Consumo di droghe. In relazione al consumo di droghe leggere, gli adolescenti intervistati possono essere divisi in tre
gruppi differenti. Il primo, più numeroso (39,1% del campione), non esprime un giudizio di valore nei confronti di hashish e
marijuana, ma si limita ad affermare di non essere interessato al loro consumo. Una parte consistente del campione,
diversamente, ha nei confronti del consumo di spinelli un atteggiamento piuttosto favorevole: il 28% degli adolescenti, infatti,
ritiene che non ci sia niente di male a fare uso di droghe leggere (10,2%) o che gli spinelli non facciano male se non si esagera nel
loro consumo (17,8%). I contrari al consumo di droghe leggere, solo lievemente meno numerosi rispetto ai favorevoli (27,7%),
ritengono, infine, che l’uso di hashish e marijuana sia pericoloso e sbagliato. Il 5,2% del campione, infine, ha preferito non
esprimere una valutazione al riguardo. Circa un intervistato su tre (il 33,1% del campione) individua nel desiderio di sentirsi ed
apparire più grandi la ragione principale del consumo di spinelli. Un buon 17,8% ritiene che il consumo di spinelli sia legato al
piacere di trasgredire, facendo una cosa proibita, mentre per 15,1% si tratta di una moda, “perché lo fanno tutti”. Poco meno di
1/5 degli intervistati (il 19,5%) ritiene che i ragazzi consumino hashish e marijuana semplicemente perché lo trovano piacevole
(12,8%) o perché consentono loro di rilassarsi e socializzare (6,7%). Una minoranza contenuta del campione, infine, il 10,3%, è
dell’opinione che il consumo di spinelli sia legato al gusto di fare un’esperienza nuova.
Comportamenti sessuali. La maggioranza degli intervistati (il 64,3%) ha affermato di non aver mai avuto rapporti
sessuali, mentre il 30,2% ha già avuto il primo rapporto sessuale ed il 5,5% ha preferito non rispondere. Tra coloro che hanno
risposto di averlo già avuto, la metà (il 50,1%) lo ha fatto molto presto, tra i 14 e i 15 anni (38,4%), o ancora prima, tra gli 11 e i 13
anni (11,7%). Il 29,7% ha avuto il primo rapporto sessuale tra i 16 e i 17 anni, mentre appena il 4,9% ha “atteso” il
raggiungimento della maggior età. Il 15,3%, infine, non ha voluto rispondere al quesito. Sono soprattutto i ragazzi ad essere
particolarmente precoci: ben il 54,7% ha avuto il primo rapporto sessuale prima dei 16 anni, contro il 45,8% delle loro coetanee.
La “prima volta” è stata particolarmente precoce per il 15,2% del segmento maschile del campione, che ha avuto il primo
rapporto tra gli 11 e i 13 anni. Tra le ragazze questa percentuale è sensibilmente più contenuta (8,3%), mentre è molto più
elevata la quota di quante hanno avuto il primo rapporto dopo i 15 anni (il 40,3%, a fronte di un dato maschile del 30,3%). Lo
scorporo dei dati per area geografica ha evidenziato come la prima volta avvenga molto presto soprattutto tra gli adolescenti del
Sud e delle Isole, tra i quali la percentuale di quanti dichiarano di avere avuto il primo rapporto sessuale tra gli 11 e i 13 anni è pari,
rispettivamente, al 22% e al 15,1%. Mostrano di avere meno fretta gli adolescenti del Centro e del Nord-Est: tra di essi,
rispettivamente il 43,5% e il 39,4% hanno avuto la prima esperienza sessuale dopo i 15 anni, percentuale che scende al
25,6% tra i ragazzi residenti al Sud. L’atteggiamento degli adolescenti nei confronti del sesso sembra essere, poi, piuttosto
incosciente, poco attento ai rischi derivanti dal mancato uso di anticoncezionali: se il 52,8% degli intervistati che hanno già avuto
rapporti sessuali afferma di non utilizzare mai i contraccettivi, il resto ne fa un uso sporadico o saltuario. Il contraccettivo preferito
dagli adolescenti è comunque il preservativo, certamente il più sicuro anche dal punto di vista della protezione da malattie
sessualmente trasmissibili, utilizzato “spesso” (19,4%) o sistematicamente (45,8%) dal 65,2% degli intervistati che hanno già
avuto rapporti sessuali e “qualche volta” dal 14,6%. La pillola, che protegge da gravidanze indesiderate ma non dal rischio di
contrarre malattie sessualmente trasmissibili, è utilizzata “sempre” dal 10,5% delle adolescenti che hanno già avuto rapporti
sessuali. Il 10,3%, diversamente, la usa “qualche volta” (7,5%) o “spesso” (2,8%). Risulta, infine, scarsamente diffuso l’uso del
diaframma, mai utilizzato dall’83% delle giovani che hanno già avuto dei rapporti sessuali. Tra gli adolescenti che hanno già
avuto rapporti sessuali, sono soprattutto i ragazzi a fare un uso più sistematico del preservativo: il 68,6%, infatti, lo utilizza
“sempre” (48,3%) o “spesso” (20,3%), contro il 62,7% delle coetanee. Va evidenziato, tuttavia, come tra i ragazzi sia più
elevata la quota di quanti non utilizzano mai questo tipo di anticoncezionale (11,3%, contro un dato femminile del 7,1%) e più
contenuta la percentuale di quanti lo usano solo qualche volta (11,1% vs 17,9%). Appena l’8,7% dei ragazzi afferma di non
aver mai avuto rapporti sessuali occasionali. La maggioranza degli intervistati (il47,7%), diversamente, afferma di averli avuti ma
di aver sempre utilizzato il preservativo ed il 21,9% ammette di aver avuto qualche volta rapporti occasionali senza usare il
preservativo. Preoccupa, in particolare, quell’8,9% di intervistati che afferma di avere spesso (5%) o sempre (3,9%) rapporti
occasionali senza preservativo. Le ragazze sembrano essere più prudenti rispetto ai loro coetanei: il 13,7%, infatti, afferma di
non aver mai avuto rapporti occasionali, contro appena il 4,4% dei ragazzi. Tra questi ultimi è sì più elevata la quota di quanti
hanno avuto rapporti occasionali utilizzando “sempre” il preservativo (50,8%, contro il 45% delle ragazze), ma è anche più
diffusa la tendenza ad avere “spesso” o “sempre” rapporti occasionali senza utilizzare questo anticoncezionale (10,2%, a
fronte di un dato femminile del 7,3%). Ha rischiato qualche volta, avendo rapporti occasionali senza usare il preservativo, il
25,2% dei ragazzi ed il 18,9% delle ragazze. Quanto all’informazione in materia di sessualità, oltre la metà del campione
individua negli amici (30,4% delle risposte) e nei genitori (20%) i principali canali di informazione. Un ruolo sempre più importante
è assunto dagli insegnanti, che vengono indicati come riferimento per le informazioni sulla sessualità nel 13,2% delle risposte. Se
il 14,9% del campione si affida a libri e riviste medico- scientifiche ed il 5,2% a fratelli e sorelle, ben il 7,9% s’informa attraverso
materiale pornografico, fonte perfino più gettonata dei medici generici (1,4%) o specialistici (2,9%) o del consultorio (2,9%).
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Emergenza
È opinione comune dell’84,3% degli intervistati che un’emergenza sia una situazione di pericolo in cui bisogna intervenire,
per il 9% di essi è sinonimo di un momento in cui qualcuno si fa male ed ha bisogno di aiuto e soltanto il 2,5% associa il termine
emergenza a litigicon amici o con ipropri partners. Lo scorporo dei dati per area georafica di appartenenza mostra una sensibilità
accentuata dei ragazzi del Nord-Est che con l’87,2% delle risposte indicano per emergenza una situazione di pericolo in cui
bisogna intervenire. A seguire, (84,8%), i ragazzi del Centro (83,9%), quelli delle Isole (83,2%) e quelli del Sud (82%).
“Emergenza” è anche relativa ad una situazione in cui qualcuno si fa male e ha bisogno di aiuto per l’11,6% degli intervistati delle
Isole (contro un valore medio del 9%). Evidentemente esperienze in questo senso sono state vissute da una buona parte dei
ragazzi intervistati, se più della metà del campione (il 55,4%) ha dichiarato di essersi trovato in situazioni di pericolo che
coinvolgevano se stessi o persone vicine. A rispondere affermativamente a tale domanda sono stati il 62,7% dei ragazzi ed il
49,2% delle ragazze. Il 57% del campione ha dichiarato di essersi trovato in una rissa, il 31% è stato inseguito e il 20,8% ha
partecipato ad una gara in motorino. Tra i comportamenti assunti al verificarsi di una situazione di pericolo il 56% decide di
difendersi, il 22,5% di chiedere aiuto, 11,3% di scappare e il 6,6% preferisce non rispondere al quesito posto. Diverse sono le
reazioni di maschi e femmine. Tra i ragazzi la percentuale più alta di risposta (70,9%) è quella relativa alla difesa, mentre le
ragazze si dividono tra il difendersi (39,1%) ed il chiedere aiuto (38%). Ipotizzando il verificarsi di una situazione di pericolo, così
come per i bambini (Identikit del bambino in questo stesso Rapporto) anche per gli adolescenti è più frequente (44,2%) la
paura di trovarvisi da solo. Le differenze tra i due campioni esaminati emergono per le altre due alternative di risposta. Nel 37,4%
dei casi gli adolescenti hanno paura di non sapere cosa fare e soltanto nel 7,3%, di non sapere a chi rivolgersi, nei bambini
invece quest’ultima percentuale si raddoppia.
Agli intervistati è stato chiesto anche di indicare a chi essi si rivolgerebbero in caso di pericolo. Il 40,7% preferisce chiedere
aiuto agli amici e/o ai fratelli, il 27,8% ai propri genitori, il 15,9% si rivolgerebbe ad un numero di emergenza ed il 12,7% non sa o
preferisce non rispondere. Per quanto concerne la classifica degli stati d’animo che gli intervistati hanno dichiarato di provare al
verificarsi di una situazione pericolosa, al primo posto con il 47,9% si colloca la paura, al secondo, con una percentuale del 19,3,
l’eccitazione ed al terzo l’impotenza con il 18,5%. Sia per i maschi sia per le femmine la paura è l’emozione più provata, ma
mentre per i maschi è del 37,3%, per le femmine è del 62,1%. Se nei ragazzi è il 29,3% a provare eccitazione e il 16% a
provare impotenza, nelle ragazze la situazione si inverte e la distanza tra le due percentuali si fa molto più ampia: il 22,1% prova
impotenza e solo l’8,1 % eccitazione. Infine, è stato chiesto agli intervistati di scegliere una definizione di emergenza, tra due
alternative di risposta. Per il 71,4% emergenza è intervenire, per il 20,3% è salvarsi.
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