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LUGLIO-AGOSTO 2013 ANNO 10 N 7
periodico dei terremotati o di resistenza umana
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Sembra esserci nell'uomo,
come nell'uccello,
un bisogno di migrazione,
una vitale necessità di sentirsi altrove.
Marguerite Yourcenar
lotta e contemplazione
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il silenzio
Rosalba Manes
“Come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime
ciò che dal cuore sovrabbonda. […] Di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle
tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt
12,34.36-37).
Quando ti imbatti nella malattia di chi vorresti custodire ti senti nudo, impotente. Il tuo sogno di salvare il mondo s’infrange in una frazione di
secondo. Povero il malato che hai davanti ma più povero ancora… tu, che
scopri in te la paralisi non solo del non poter fare nulla, ma anche del non
poter dire nulla. La tua parola è anemica e, a differenza delle volte in cui ne
hai fatto sfoggio senza curarti delle stragi spesso commesse, ora, debole
com’è, non si regge in piedi. Il cuore soffre un’emorragia di emozioni. Non
hai in te un luogo dove estrarre le risorse adatte. In questa carestia emotiva
puoi scoprire una sola riserva: il silenzio. Forse un estraneo per te fino a questo momento, ma che presto, se vuoi, può diventare un grande amico. Se lo
frequenti ne scopri la
seduzione. Non è assenza, ma liberazione da
ogni maschera, accesso
alla tua condizione più
vera. È la chiave per
entrare nel “cuore del
cuore” dove fragilità e
grandezza combaciano.
La malattia è spoliazione, il silenzio pure. Entrambe dicono la stessa
verità: Ecce homo. Realtà fragile sì, ma infinitamente amata perché
Dio ha posto in essa il
suo domicilio. È quindi
solo immedesimandoti
come Lui nell’altro che
il tuo silenzio vibra come la più sensata delle
parole.☺
[email protected]
Carla Llobeta; donna alata
Il tuo sostegno ci consente di esistere
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ABBONAMENTI PER IL 2013
ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI
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marzo 2005
Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
E-mail
[email protected]
Quaderno n. 97
87
Chiuso in tipografia il
26/08/12
26/06/13
Stampato da
Grafiche Sales s.r.l.
via S. Marco zona cip.
71016 S. Severo (FG)
Autorizzazione Tribunale di
Larino n. 6/2004
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Estero
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intestato a:
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via Fiorentini, 10
86040 Ripabottoni (CB)
mamma li turchi
Antonio Di Lalla
Immediatamente dopo il terremoto del 31 ottobre 2002 fu costruito in
legno un villaggio poco distante da San
Giuliano di Puglia perché giustamente la
popolazione avesse un tetto per ripararsi. A
seguito dell’ecatombe di bambini, l’onda
emotiva fu così forte che furono demolite e
ricostruite anche abitazioni che non avevano subito danni, a detta degli stessi proprietari. Ora finalmente, salvo qualche eccezione, le famiglie sono rientrate nelle loro
abitazioni di muratura e così il villaggio è
desolatamente vuoto, addirittura spettrale,
ma ancora in buone condizioni. Averlo
scelto come insediamento abitativo per
profughi, richiedenti asilo e quanti approdano sulle nostre coste fa onore a chi l’ha
proposto e a tutti quelli che sosterranno
l’iniziativa adoperandosi fattivamente per
la riuscita dell’impresa. Disporre di un tetto
è un diritto di tutti, non una concessione
capricciosa e capotica di perbenisti che
hanno avuto sempre il culo comodamente
su una poltrona. Pertanto solidarizziamo
con l’amministrazione e con tutti quelli che
sono pronti a farsi carico di questa situazione che si rivela in ogni caso un’opportunità
insperata per i nostri paesi ormai in via di
estinzione.
Mammaliturchi gridavano i bambini alla fine del ‘700 in Sicilia per richiamare l’attenzione degli adulti e tagliare le
vie di fuga alla più o meno pacifica invasione di marinai musulmani in cerca di
ristoro sulla terraferma. Chi lo grida oggi,
quando finalmente nasce la possibilità di
elaborare un progetto di ripresa dei nostri
centri condannati allo spopolamento, dove
era quando si sperperava denaro pubblico,
per realizzare opere che nascevano morte,
grazie alla incolpevole impreparazione
degli amministratori e alla colpevole miopia clientelare di chi era preposto a coordinare?
Diamola per buona: gli immigrati
che sopravvivono al massacro - in questi
ultimi anni sono circa ventimila gli africani
che hanno avuto per tomba il mediterraneo
nel tentativo di solcarlo impunemente sono “brutti, sporchi e cattivi”. Ma chi li
ha ridotti così nella loro patria? La politica
è una cosa seria e ogni volta che eleggiamo
persone incapaci o senza scrupoli le conseguenze, come boomerang, ci ritornano
addosso. Fomentare guerre tribali per vendere armi, favorire l’insediamento e il
commercio di multinazionali volte a sfruttare e depauperare i luoghi dove riescono a
piantare le grinfie non fa che costringere
chi può a scappare per cercare una via di
salvezza. A qualsiasi costo, anche della
propria vita. Siamo responsabili delle cause, schifiamo gli effetti. In fatto di assunzione di responsabilità non ci frega nessuno!
Al grido di mammaliturchi alcuni
bandiscono la possibilità dell’insediamento
tra noi perché gli immigrati rubano. Questi
maghi nostrani sono capaci di prevedere il
futuro, pur senza essere dotati di palla, ma
non li ho sentiti indignati, anzi magari sono
complici dei consiglieri regionali che non
riescono a fornire pezze di appoggio alle
decine di migliaia di euro di soldi pubblici
sottratti per spese personali. Speriamo che
siano almeno secondi alla mitica Nicole
Minetti che addirittura con quel denaro ci
pagò anche il libro, sicuramente istruttivo
per lei, Mignottocrazia! Silvio Berlusconi,
nostro non gradito rappresentante, essendosi oltretutto attribuito da padrone del
partito il seggio, benché del titolare arrivato secondo non abbiamo migliore stima,
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percepisce gli
emolumenti da parlamentare e tuttavia fino
ad oggi in senato è apparso una sola volta.
Non è furto, e non solo di denaro? Ma di
proteste non ne ho ancora sentite nel nostro
addormentato Molise.
I soliti mammaliturchi ritengono
che stiamo stretti, che non c’è lavoro. Il
Molise è l’unica regione che conta gli stessi abitanti degli anni cinquanta del secolo
scorso, i nostri paesi vanno sempre più
spopolandosi, le scuole sono a rischio chiusura per mancanza di inquilini e intanto
viaggiano già in inqualificabili pluriclassi,
le terre sono incolte e l’artigianato è quasi
scomparso. La presenza stabile degli immigrati, è doveroso ammetterlo per amore
della verità, risolverebbe non pochi problemi a noi indigeni sclerotizzati che disdegnano anche il re per compare. A Campobasso con pochi ettari a loro disposizione
hanno avviato una cooperativa “i colori
della terra”, come più volte abbiamo documentato su queste pagine, e presto ci nutriremo di prodotti strappati alla terra grazie
al loro sudore. Dove sono presenti famiglie
di immigrati ha ripreso vitalità non solo il
paese, ma anche la scuola, il commercio.
Riace, un tempo famosa per i bronzi, ora lo
è per l’impulso dato dai migranti approdati
lì. Chi ha dubbi provi a vedere il filmdocumentario Il volo di Wim Wenders e
prodotto dalla Regione Calabria in cui
recitano Luca Zingaretti e Ben Gazzara,
doppiato da Giancarlo Giannini.
Che gli immigrati producano
reddito è un dato documentato, che non
possiamo farne a meno è una certezza. Se
una badante non è disponibile per un giorno va in crisi l’impianto di una intera famiglia, un giorno senza di loro fermerebbe
tutta la nazione! Un Molise che vede con
favore la permanenza delle mucche di
Granarolo più che le famiglie di umani a
San Giuliano è una regione che preferisce
essere ricoperta di letame!
L’integrazione possiamo ritardarla, non impedirla. Spero di esserci ancora
quando gli immigrati saranno così tanti che
vedendo qualche aborigeno grideranno:
mammaliturchi!☺
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spiritualità
stranieri per vocazione
Michele Tartaglia
Se c’è un aspetto che fa parte a
pieno titolo del DNA del cristianesimo, è
quello della solidarietà con chi è straniero,
partendo dalla convinzione che siamo tutti
stranieri perché in viaggio verso un regno
che ci viene dato da Dio. Pietro nella sua I
lettera si rivolge proprio così ai cristiani a
cui scrive: “Pietro, apostolo di Gesù Cristo,
ai fedeli che vivono come stranieri” (1 Pt
1,1); “Carissimi, vi esorto come stranieri e
pellegrini” (2,11), usando il termine diventato poi nel linguaggio della chiesa, la
“parrocchia”. Ma passando in rassegna
tutto il Nuovo Testamento incontriamo
anche l’autoidentificazione di Gesù con il
forestiero (“ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35); Paolo mette l’accoglienza
degli stranieri tra le caratteristiche di un
amore non ipocrita, usando una parola specifica (filoxenia) che può essere tradotta
come amore per lo straniero oppure amore
per la condizione di “stranierità” (Rm
12,13). La lettera agli Ebrei accomuna gli
stranieri ai carcerati e a quelli che subiscono
violenza, chiedendo ai cristiani di farsene
carico in nome dell’amore fraterno: “Non
dimenticate l’amore per lo straniero; alcuni
praticandolo senza saperlo hanno accolto
degli angeli” (Eb 13,1); e ricorda ai cristiani
che essi stessi sono stranieri: “Non abbiamo
quaggiù una città stabile, ma andiamo in
cerca di quella futura” (13,14).
Si potrebbe pensare che le affermazioni di Gesù e del Nuovo Testamento
siano una parentesi tra il nazionalismo
dell’Antico Testamento e l’affermazione
dell’identità cristiana della storia successiva.
Ma basta approfondire la ricerca per trovarsi
di fronte a una visione coerente che abbraccia tutta la bibbia e la storia cristiana, anche
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se basata su due motivazioni complementari: da un lato quella già accennata all’inizio,
e cioè che il cristiano si sente straniero perché tende a un’altra patria, dall’altro perché
si è ospiti e pellegrini su una terra che è di
Dio e che noi possiamo solo custodire e
coltivare, ma di cui non possiamo sentirci
padroni, men che meno esclusivi usufruttuari. Famose sono le parole della Lettera a
Diogneto: “I cristiani abitano ciascuno la
propria patria, ma come stranieri; partecipano a tutto come cittadini e si adattano a
tutto come stranieri. Ogni terra straniera è
patria per loro; ogni patria è per loro terra
straniera” (5,5). Ancora più sorprendente è
tuttavia guardare all’Antico Testamento,
dove si parla dell’amore del prossimo, comandamento che riassume per Gesù e Paolo
tutta la Legge. È proprio parlando di questo
comando che si esplicita che non può essere
considerato prossimo solo chi appartiene
alla propria etnia, ma
ogni persona che
incrocia il nostro cammino, perché la prossimità non è una qualifica etnica bensì una
condizione che esige
un pronunciamento
giuridico; dice il libro
del Levitico: “Quan-
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do un forestiero dimorerà presso di voi
nella vostra terra, non lo opprimerete. Il
forestiero dimorante fra voi lo tratterete
come colui che è nato fra voi, tu l’amerai
come te stesso, perché anche voi siete stati
forestieri in terra d’Egitto” (Lv 19,33-34).
Queste parole sembrano direttamente rivolte
a noi cristiani europei e soprattutto italiani;
se all’Egitto sostituiamo l’America, il Belgio, la Germania, l’Australia, l’Inghilterra e
tutte le mete delle ondate migratorie italiane,
possiamo comprendere bene di cosa stiamo
parlando.
È specifico della fede biblica non
la difesa di un’identità religiosa o etnica, ma
una solidità nel credere che si fa servizio
accogliente perché si è sperimentata
l’accoglienza di Dio in una terra non propria
e si cammina verso il Regno di Dio che
deve instaurarsi anche per l’impegno fattivo
dei cristiani. Trattare lo straniero come chi è
nato nella terra significa per noi anche affrontare il tema della cittadinanza, o creare
pari opportunità di lavoro e di affermazione
della dignità di ogni persona e quindi degli
immigrati. Per troppo tempo anche la chiesa
ha amoreggiato con chi, in cambio di qualche privilegio accordato, chiedeva il silenzio
o la connivenza con parole e decisioni legislative che negavano i diritti degli stranieri e,
pur avendo a capo della chiesa un papa
polacco, si calpestavano gli immigrati
(compresi i polacchi).
Ringraziando la provvidenza oggi
la gerarchia nostrana non può più nascondersi dietro giri di parole e grandi proclami
sui valori non negoziabili per avallare e
sostenere chi tratta gli stranieri come animali, magari gestendo direttamente dei CPT
(ricordiamo il caso Lecce), ma deve dire da
che parte stare visto che anche il suo capo,
oltre ad essere straniero, non ha nessuna
remora a parlare con chiarezza su questi
temi. Tuttavia troppo male è stato fatto in
questi anni, c’è troppa ignavia, per cui si
richiede urgentemente un impegno moltiplicato perché le rivendicazioni politiche e
giuridiche in favore degli stranieri diventino
scelte efficaci. La Parola di Dio e i segni dei
tempi sono dalla parte di chi torna alle radici
della propria fede, al DNA del cristianesimo, sorto dalla solidarietà con gli oppressi
di chi non aveva dove posare il capo perché
straniero alla logica degli oppressori. ☺
[email protected]
glossario
Foreigner, stranger, alien, non
citizen, outlander, barbarian: tanti termini, un
solo significato: straniero!
L’ampia gamma di traducenti che i
parlanti anglofoni hanno a disposizione deriva, com’è noto, dalla contaminazione con
altre lingue e dall’influsso da esse esercitato
sulla lingua inglese.
Il vocabolo outlander (letteralmente: “al di
fuori della terra”) può considerarsi un contributo lessicale del Sudafrica. La parola alien,
che è di origine latina, è maggiormente usata
nell’inglese americano; etimologicamente il
vocabolo foreigner, di origine francese e
risalente al XIII secolo, ha il significato di
“fuori delle porte”. La costruzione negativa
noncitizen (non + il sostantivo citizen), di
matrice puramente anglosassone, sta ad indicare colui che non appartiene alla nazione,
non ne è cittadino.
Una menzione particolare merita
l’aggettivo di origine greca barbarian, che
traduce letteralmente “barbaro”: esso si riferisce a “qualcosa o qualcuno che proviene da”
o è caratteristico di un paese o una civiltà
stranieri, ritenuti inferiori, ed ha pertanto una
connotazione decisamente negativa.
Nell’accezione più ampia il termine equivale
infatti a “non civilizzato” o “incivile”.
Alcuni termini hanno assunto anche altri significati, del tipo estraneo, forestiero, immigrato, strano e ad esempio stranger e
strange, pur partendo da una matrice etimologica e semantica comune, hanno significati
l’accento straniero
Dario Carlone
diversi, rispettivamente “estraneo” e “strano”.
Paradossalmente - ma soltanto sul
piano linguistico - la presenza di così tanti
etimi che vanno a connotare l’altro da sé
testimonia della molteplicità degli incontri
che gli anglofoni hanno sperimentato nel
corso della storia!
Sulla non neutralità del linguaggio
ci siamo spesso soffermati. Quando parliamo
siamo costretti ad adoperare le parole e, consciamente o in maniera del tutto inconsapevole, scegliamo quelle che “traducono” meglio il nostro pensiero. È accaduto poi, nel
corso degli anni, che vocaboli nati in un determinato contesto siano poi passati ad altri
ambiti, modificando il loro significato primario. Ed ancora che alcuni termini, che utilizziamo tuttora, conservino quell’accezione
negativa che avevano in origine. Una sorta di
assuefazione alle parole fa sì che il loro uso,
pur non risultando spesso consapevole, veicoli messaggi involontariamente negativi.
Altra cosa è la teorizzazione del
pregiudizio nei confronti dello straniero rappresentata ad esempio nel romanzo The Europeans (Gli Europei) di Henry James. Nel
1878, anno della pubblicazione, un qualsiasi
americano avrebbe provato, a contatto con
degli europei, sensazioni identiche a quelle
descritte nel romanzo. Il protagonista, Mr.
Wentworth, nutre una forte diffidenza verso i
nipoti, Felix ed Eugenia, il cui padre è europeo e quindi portatore di valori diversi da
quelli americani: un pregiudizio espresso
prima ancora che lo zio li conosca personalmente. Quando Mr. Wentworth li incontra
non riesce a non essere diffidente e sospettoso. Se Felix non lo convince perché c’è qualcosa di sfrontato e di negativo in lui, malgrado la positività di alcuni suoi tratti, la sorella
Eugenia lo sconcerta, addirittura, per
l’accento straniero, i modi inusuali, la sua
situazione di donna in attesa di essere ripudiata da un nobile, anche questo straniero. Mr
Wentworth è a disagio ed è assalito dalla
paura che la propria progenie americana
possa essere influenzata negativamente dagli
europei.
La visione proposta da Henry James, con le reazioni di sconcerto, diffidenza,
sospetto, paura di fronte a chi viene da
un’altra cultura, anch’essa del mondo occidentale, sembra appartenere ad un’epoca
ormai remota.
La storia recente però ci insegna
che i comportamenti aggressivi sono duri a
morire e vanno dal dileggio alla violenza
fisica, al rifiuto di chi viene da un altro paese.☺
Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
[email protected]
i cani si studiano, gli umani si accoppano
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xx regione
un villaggio agli stranieri
Sabrina Del Pozzo
Le parole dette dal vicepresidente
della Regione Molise, l’assessore alle politiche sociali Michele Petraroia, obiettive e
lucide, riuscendo a non perdersi
nell’assoluta invece non lucida follia dei
politici contemporanei e non solo, sottolineano il non trascurabile tema dell’ immigrazione, cogliendo con esattezza e per
mezzo di espressione di concetti chiari e
giusti soluzioni, utili per provare chissà a
superare (da sempre molto e troppo lentamente) un nostro limite. Due progetti rispettivamente l’uno rivolto a donne e bambini (vittime di violenza, sfruttamento,
tratta di esseri umani) e l’altro finalizzato
all’apprendimento della lingua italiana.
Non nego di essermi stupita nel sentire
quanto sopra perché il Molise non sempre
ha accettato il termine ‘accoglienza’ nella
sua globalità; sembra che interessi davvero
poco, non so se perché molto piccola come
regione o altro. Sicuramente a noi piace
essere noti (e non sempre ci riusciamo)
per buchi e pecche in ogni dove. Non è
retorica, bisogna ricordare e ‘stufare’ per
evitare il puntuale e più antico meccanismo
di difesa, la già citata se non sbaglio rimozione.
Il pensiero è tornato subito lì.
Terremoto del 31 ottobre 2002: vengono
costruiti moduli abitativi temporanei, una
sottospecie di villaggi Alpitour per tutte le
famiglie che ne necessiteranno, muniti, per
quanto nel loro piccolo, di tutto: verde,
stradine, botteghe, campo di calcetto, scuola etc. Sono passati degli anni e un gran
numero di persone sono tornate nelle proprie abitazioni (va anche detto come non
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ancora tutti, in realtà). Ci ritroviamo luoghi
non accessibili, abbandonati, delimitati da
cancelli fantasma, che nel bene e/o nel
male hanno ospitato noi, gli affetti, la vita
di ognuno e dove ognuno ha cercato di
ricostruire se stesso. Soltanto per questo
dovrebbero rappresentare per tutti spazi
preziosi. È dirompente e disgustosa qualsiasi forma e genere di abbandono che per di
più si trasforma in degrado non soltanto
materiale. Luoghi simili e nello specifico il
villaggio abitativo temporaneo sito a San
Giuliano di Puglia, che vanta uno spazio
maggiore e meglio attrezzato rispetto ai
paesi limitrofi, potrebbero rappresentare
luoghi di espressione culturale e sociale
(anche a basso costo) con il coinvolgimento di giovani e non solo.
Un’idea in noi ed in altri è nata.
Accogliere gli Immigrati, sì proprio loro.
Si parla di donne e bambini. Tempo fa è
stato il nostro popolo a dover essere accolto da qualcun altro, è stato a noi che hanno
dovuto dare un tetto, offrire cibo senza
apparentemente nulla in cambio, ed ora
perché non voler donare ospitalità a persone che da sempre o quasi non hanno nulla?
Quale miglior azione se non quella di lasciare questi luoghi a bambini non italiani?
Significherebbe abbattere barriere e nodi
mentali che in molte parti del mondo non
sono mai esistiti. Sono necessari strumenti
ed azioni mirate affinché ci sia un’ integrazione sempre più globale della persona.
Penso ad uno screening sanitario, seguito
da un corso di alfabetizzazione della lingua
italiana, passo di inclusione sociale rilevante, primo step di un processo di autonomia
anche laddove siano
presenti bassi livelli
di competenza linguistica.
Due gli aspetti fondamentali da inquadrare
nelle primissime fasi
di un’accoglienza.
Attivare azioni di
sostegno, di consulenza legale, di accompagnamento, di
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formazione, orientamento, creare spazi di
riflessione e discussione rispetto al proprio
percorso migratorio e alla storia di vita: ciò
permetterebbe non soltanto alla persona
coinvolta di risolvere problematiche inevitabili nel tentativo di integrarsi ma anche a
noi che accogliamo di conoscere la persona e capire di non averne paura. In secondo
luogo attivare azioni di inserimento sociolavorativo attraverso attività di Formazione
Pratica in Impresa (capace di offrire una
reale possibilità di inserimento nel mondo
lavorativo per le fasce svantaggiate). Pensare anche alla possibilità di attivare lavori
di comunità attraverso la cura di spazi lasciati alla deriva, lavorare per il bene comune in un’ottica multifattoriale e multiculturale. Mirare ad un processo di empowerment, una crescita per l’appunto sia
individuale che di gruppo.
Tutti questi aspetti andrebbero a
coinvolgere differenti figure professionali,
il mondo del volontariato e no profit, gli
enti pubblici e privati, al fine di riuscire ad
acquisire ed utilizzare gli strumenti, le
misure e ad individuare le reali opportunità
presenti nel territorio (in merito (ri)
sottolineo l’esistenza, ad esempio, del Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini
di Paesi Terzi - FEI) più volte citato negli
ultimi giorni e da molti noto da tempo.
Ecco, il cuore dell’idea è proprio
questo: offrire a persone svantaggiate i
moduli lasciati a marcire ormai da un po’
di tempo.
Quando leggeremo il prossimo
numero mi auguro di poter affermare di
aver fatto un passo avanti. ☺
[email protected]
xx regione
Cari Sindaci,
a scriverVi è l’Associazione Primo
Marzo Molise che lo scorso anno ha
animato e portato avanti, insieme a
tante associazioni e migliaia di cittadini, la Campagna L’Italia Sono Anch’
io.
Per mesi e mesi abbiamo fatto banchetti, volantinaggio per le strade,
assemblee nelle scuole e nelle piazze,
e tutto questo per portare avanti una
battaglia importante, una battaglia per
il nostro Paese, La battaglia per la Cittadinanza.
In Italia infatti, più di un milione di
bambini e ragazzi, figli di immigrati,
nati e cresciuti nel nostro Paese, si
ritrovano cittadini a metà.
Pur crescendo, studiando, giocando e
vivendo nelle nostre città esattamente
come i loro coetanei, non hanno la
cittadinanza a causa di una legge obsoleta come la legge 91/92 che ne impedisce il diritto alla nascita.
Non si tratta solo di una battaglia per
un diritto in astratto, ma di una rivendicazione di diritti che permettano la
piena realizzazione dei bambini e dei
ragazzi che nascono e vivono qui.
Tante sono infatti le discriminazioni
che vivono i ragazzi di II generazione:
dal non poter andare in gita scolastica
al non poter praticare sport a livello
agonistico; dal non riconoscimento del
titolo di studio ai fini lavorativi al
mancato inserimento nel mondo del
lavoro a causa del loro status di
“immigrati” pur non essendolo.
Per questo motivo, ispirandoci anche
all’articolo 3 della nostra Costituzione
che stabilisce il principio dell’ uguaglianza tra le persone, impegnando la
Repubblica a rimuovere gli ostacoli
che ne impediscano il pieno raggiungimento, abbiamo sostenuto con tutte
le nostre forze questa Proposta di Legge Popolare che promuove lo Jus Soli
e quindi il diritto alla cittadinanza per i
ragazzi che nascono e crescono in
Italia.
Le avversità sono state tante, non tutte
le forze politiche hanno sostenuto la
nostra battaglia e far breccia sulla
stampa e sui media non è stato facile,
soprattutto inizialmente.
ius soli
Le sorprese e le soddisfazioni più
grandi le abbiamo avute per le strade,
nelle città, parlando con le tantissime
persone che, molto spesso, non erano
a conoscenza di una legge così assurda e che davano per scontato che “chi
nasce e cresce in Italia è italiano”.
Giovani, donne, lavoratori e anziani di
tutto il Paese hanno preso talmente a
cuore questa battaglia al punto che il
risultato ottenuto è stato straordinario.
A fronte delle 50.000 firme necessarie
per presentare la proposta di legge
popolare, sono state raccolte più di
110.000 firme!!!
Anche i cittadini della nostra Regione
hanno dato un contributo importante,
oltre 1.500 sono stati coloro che hanno sottoscritto la proposta di legge.
Abbiamo depositato la proposta di
legge ed eravamo davvero entusiasti,
davvero contenti di aver potuto, con le
nostra forze e dal basso, partecipare e
contribuire ad un cambiamento così
grande e cosi bello per il nostro Paese.
Purtroppo però, la proposta di legge
pur essendo stata calendarizzata non è
mai stata discussa in Parlamento durante la scorsa legislatura.
Ecco le ragioni di questa lettera aperta
e del nostro appello a Voi.
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Migliaia di persone hanno creduto e
credono fortemente in questa battaglia
per la cittadinanza ed è giusto dare un
riscontro positivo a questa grande voglia di riscossa nonché grande prova
di partecipazione attiva alla vita del
Paese.
Per questo motivo vi chiediamo di
essere anche voi portavoce in tutte le
sedi istituzionali e di far vostre le rivendicazioni e i contenuti della campagna L’Italia Sono Anch’Io affinché
si discuta la proposta di legge e si
cambi la legislazione sulla cittadinanza.
Vi chiediamo di schierarvi dalla parte
di tutti i cittadini che credono che un
cambiamento “dal basso” sia possibile
e che hanno sostenuto questa proposta
di legge popolare.
La battaglia non sarà facile, non tutti i
partiti e le forze politiche appoggeranno queste idee, però crediamo fortemente che il cambiamento sia possibile e già la raccolta di centinaia di migliaia di firme ne sono la prova tangibile.
Pertanto chiediamo a Voi, come già
avvenuto con regolarità in tante altre
città e comuni del nostro Paese, di
organizzare una cerimonia per la
consegna della cittadinanza onoraria
“ius soli” a ciascuno dei bambini nati
nel Vs. Comune da genitori immigrati
regolarmente soggiornanti e residenti
e ad istituire un apposito “Registro
delle cittadinanze onorarie ius soli”.
Tale iniziativa insieme alle tante altre
promosse su tutto il territorio italiano
contribuirà sicuramente a rimuovere
gli ostacoli che la legislazione attuale
frappone al raggiungimento del riconoscimento da parte dello Stato della
cittadinanza italiana per coloro che
nascono in Italia.
Fermamente convinti delle nostre idee
e fiduciosi di un positivo riscontro.
Vi inviamo i nostri più cordiali saluti.☺
[email protected]
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terzo settore
riscoperta della comunità
Leo Leone
Viviamo in una società in calo
nella dimensione dialogica tra cittadini e
gruppi di ogni genere. Assistiamo ad una
frammentazione dilagante pervasa da individualismo e da una cultura di nicchia centrata
sull’interesse di pochi.
La turbolenza che dilaga contagia
soggetti e gruppi che operano nel sociale e
che, per le finalità poste alla base dei loro
programmi, dovrebbero muoversi in una
dimensione di socializzazione e di interscambio con altri interlocutori operanti sul territorio e anche in contesti di più ampio respiro
nel dare risalto ai valori e nel promuovere
iniziative volte al bene comune. Occorre
rilanciare con forza il principio della Sussidiarietà contenuto nel capitolo quinto della Costituzione all’articolo 118, per rivendicare il
ruolo dei gruppi sociali ad ogni livello e anche per quanti si impegnano nell’ambito delle
imprese e cooperative in diversi settori
dell’economia. Occorre adoperarsi perché le
istituzioni, ad ogni livello, riconoscano il
diritto/dovere di avviare progetti e di interloquire in termini di cittadini e non di “clienti”
negli spazi e nei gruppi di lavoro previsti
nelle sedi dei governi centrali e periferici.
“Una società sempre più incivile
concepisce la sua identità nella relazione”.
Questa l’istanza di un affermato sostenitore
del welfare inteso come democrazia partecipata: Aldo Bonomi. Per stabilire relazioni
abbiamo bisogno di sapere chi sono gli altri e
gli altri hanno bisogno di sapere chi siamo
noi. Questo favorisce anche una più accessibile e motivata presa di coscienza del proprio
pensare e del proprio fare. L’altro mi aiuta a
scoprire i miei talenti e i miei bisogni… e
viceversa. Il processo è già avviato in diversi
territori di un’Italia che si è destata anche se
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contagiata da una crisi che non lascia molto
spazio ad una intraprendenza tesa alla realizzazione di un mutamento epocale proprio in
contesti in cui si andava sempre più accentuando la condizione dei comuni polvere. Da
un decennio possiamo raccogliere esperienze
positive che accomunano il nord e l’estremo
sud della penisola.
Segnali ve ne sono anche in Molise. Torniamo a riascoltare Aldo Bonomi:
“L’alterità non sta nel soggetto, nel suo colore della pelle, nelle sue tradizioni, nel suo
idioma o nella sua religione e nella comunicazione che ognuno di noi instaura con la
comunità più prossima”. Il giudizio si applica
efficacemente nei segnali molto incisivi e
coinvolgenti che andiamo raccogliendo sul
nostro territorio a partire dalla nascita, proprio
nel capoluogo regionale, della già menzionata cooperativa “I colori della terra”. Essa è in
attivazione e coinvolge attivamente cittadini
donatori e volontari nella coltivazione di
prodotti genuini del nostro territorio che a
breve verranno proposti agli acquirenti attraverso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) il
cui elenco si va ampliando sempre più e al
quale hanno già aderito i numerosi cittadini
che si sono fatti carico dell’iniziativa, sostenendone le spese di avvio con le loro donazioni. La peculiarità aggiuntiva che dà ancor
più rilievo al progetto è data dalla presenza al
suo interno di un bel gruppo di giovani immigrati di provenienza diversa: Marocco, Egitto,
Bangladesh. E si stanno rivelando persone
attive responsabili e aperte al confronto e
disponibili all’impegno giornaliero. Insieme
ad un folto gruppo di molisani che hanno
aderito alla cooperativa come volontari e
anche come soci lavoratori si va sviluppando
un progetto che integra l’opportunità di lavo-
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ro all’esperienza concreta di accoglienza
dialogica e operativa tra culture diverse volte
alla crescita del senso di comunità.
Ma occorre anche evidenziare che
tale esperienza si va avviando anche in zone
interne e su terre più soggette al fenomeno
dei comuni polvere che è presente, e in estensione diffusa, nell’area geografica del nostro
Molise, come in tante altre regioni d’Italia. È
stato avviato anche in territorio di Campolieto
e comuni viciniori un progetto simile a quello
già in atto nel capoluogo regionale. Al suo
interno si va delineando un itinerario interessante che, anche lì, consente la coltura di
prodotti agroalimentari propri della nostra
terra, sostenuto dall’assegnazione di una
vasta area coltivabile resa disponibile da parte
della Curia Vescovile di CampobassoBoiano. Tra le due iniziative si va tracciando
un programma d’intesa volto alla creazione
di una rete operativa che dia maggiori opportunità di crescita a tutti i progetti che andranno a svilupparsi e per raccogliere più ricche
opportunità di sostegno con il ricorso a consulenze di esperti in materia e di fruizione di
risorse che possano attingere a fondi di provenienza anche europea.
È questo un segnale di apertura al
futuro per i giovani, e non solo, ma anche per
fornire testimonianze concrete di solidarietà e
di interculturalità come pure per riscoprire
ridare volto e rilevanza a tradizioni e risorse
paesaggistiche, storiche e artistiche della
nostra terra.☺
[email protected]
Dopo lunga malattia è morta Maria
Luigia Tamilia, suocera di Marialucia nostra preziosa impaginatrice
del giornale.
A lei e alla famiglia le condoglianze della redazione e dei lettori.
politica
Dai risultati delle ultime elezioni,
almeno in superficie, ci vengono diversi
paradossi. È paradossale che il Pd e il centrosinistra stravincano le elezioni. Lo è,
perché solo pochi mesi or sono Bersani non
ha vinto le elezioni, ma soprattutto, perché
mai come in questa fase il Partito democratico si presenta come un corpo informe,
come un’insieme di correnti e comitati elettorali, senza un’anima e senza un progetto,
attraversato da una guerra intestina che non
sarà né breve, né indolore. Lo è, perché il
gruppo dirigente del Partito democratico,
dopo aver gestito malamente tutti i passaggi
istituzionali post-elettorali ha finito per stringere un patto con lo stesso Berlusconi. Il
governo delle larghe
intese non era un esito
obbligato e già in queste
prime settimane evidenzia tutte le sue debolezze, contraddizioni e
veleni. La logica formale, e non solo i sondaggi,
lasciava prevedere un
risultato mediocre e
invece le elezioni sono
finite 17 a 0 per il Partito
democratico. Un secondo paradosso è rappresentato dalla parabola
del movimento di Beppe
Grillo. Le ultime amministrative per il movimento cinque stelle suonano come una campana, non un campanello d’allarme.
La politica dei partiti tradizionali
ha dato il peggio di sé in questi mesi dopo le
elezioni politiche, Grillo ha continuato ad
urlare a tutti i partiti “siete finiti …
arrendetevi” e in molti hanno continuato a
ipotizzare magnifiche sorti per i grillini, e
invece il verdetto delle amministrative è
stato un calice molto amaro per Grillo e
Casaleggio. Si dirà: lo spettacolo dei gruppi
parlamentari del movimento cinque stelle e
di Grillo medesimo in questi mesi è stato
molto discutibile, hanno fondamentalmente
litigato su scontrini, diaria, espulsioni e altre
minutaglie. Tutto vero, ma non si giustifica
così una batosta elettorale così clamorosa. È
paradossale lo stesso risultato della destra
che dopo aver sostanzialmente, solo pochi
mesi fa, pareggiato lo scontro elettorale con
il centrosinistra e dopo che i sondaggi dava-
paradossi dalle urne
Famiano Crucianelli
no un’irresistibile ascesa di Berlusconi e
della Pdl, contro ogni previsione in queste
amministrative ha subito una durissima
sconfitta. Non meno problematico è il faticoso risultato del partito di Vendola. Sinistra
e libertà avrebbe dovuto giovarsi alla grande
dalla difficile posizione del Pd, le larghe
intese avrebbero dovuto liberare a sinistra
delle vere e proprie praterie, così non è stato.
Vi è una piccola crescita, ma nulla di clamoroso. L’unico risultato
ampiamente prevedibile
era quello rovinoso della
Lega; è evidente che
senza il contesto delle
elezioni politiche nazionali Maroni avrebbe
perso anche la stessa
sfida per la presidenza
della giunta regionale
Lombarda. I leghisti
appaiono senza una
leadership, moralmente
decaduti, politicamente
sbandati, servitori di
Berlusconi e divorati da
lotte intestine. In realtà
tutti questi paradossi
sono più apparenti che
reali e se andiamo ad approfondire, le cose
hanno una logica interna molto meno oscura.
Che il risultato vittorioso del Partito democratico sia stato agevolato dal forte
astensionismo è cosa sicura; bisogna però
chiedersi, perché questa volta l’ astensionismo ha giocato a favore del Pd. A me paiono due i fattori fondamentali che hanno
aiutato il Pd in questo passaggio elettorale:
in primo luogo l’esistenza anche se residuale di una presenza nel territorio, un’ organizzazione leggera, fragile, con una classe dirigente occasionale, talvolta ambigua, forte
soprattutto per la totale evanescenza di altri
partiti e soggetti politici nel territorio. Verrebbe da dire: beati quelli che hanno un
occhio solo in una valle di ciechi. Il pd sembra essere sempre sull’orlo di una crisi di
nervi, dilaniato in mille particolarismi e lotte
interne, certo non un partito all’altezza di
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questi nostri tempi così duri e pur tuttavia un
partito che si presenta nel territorio come
l’unica cosa che il convento passa. La seconda ragione di questo brillante risultato
elettorale è più squisitamente politico. La
scelta del gruppo dirigente pd di fare il governo con Berlusconi, al di là delle opinioni
di molti, è apparsa come l’unica possibile e
soprattutto ha alimentato l’idea che qualcosa
nella durissima crisi economica e sociale si
sarebbe fatto.
Nella sostanza il Pd si è presentato
come un forza di buon senso e fattiva, da
qui una rendita elettorale. Attenzione però,
perché questa rendita potrebbe rapidamente
trasformarsi in una mela avvelenata, qualora
non vi fossero seri risultati e qualora, come è
probabile, la crisi dovesse continuare a mordere la vita concreta della gente. Allora tutto
si potrebbe convertire nel suo contrario. Il
risultato del movimento cinque stelle potrebbe essere assunto a paradigma della
straordinaria contraddittorietà di questa
nostra fase politica. Grillo ha vinto le elezioni sull’onda di una feroce contestazione del
sistema politico e dei partiti, ha fatto
dell’antipolitica la sua bandiera. Ora la politica si è presa la sua vendetta. La strategia di
Grillo poteva avere due sbocchi: o divenire
esplicitamente sovversiva nel senso più
radicale del termine o approdare su un terreno politico, ovvero porsi il problema dei
rapporti reali di forza nel paese e nelle istituzioni e del che fare qui ed ora. Grillo non
ha fatto nessuna delle due scelte, è rimasto
in mezzo al guado, né rivoluzionario, né
riformista, ma solo un parolaio. Della destra
vi è poco da dire, Berlusconi ha fatto il miracolo di portare a votare alle politiche
quanti in questo paese sono illegalmente e
miticamente legati a lui. Questi miracoli non
si ripetono facilmente e soprattutto quando
le elezioni riguardano comuni, regioni e
territori, dove la destra ha perso ogni radice
organizzata e dove non ha uno straccio di
classe dirigente.
Sin qui l’analisi, resta aperto il
decisivo problema del “che fare” sul quale
torneremo a ragionare. ☺
[email protected]
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l’assessore risponde
Michele Petraroia
La Regione Molise ha necessità di
razionalizzare e ottimizzare la propria attività,
valorizzando il proprio personale, distribuendolo in modo oculato sul territorio, prevedendo specifici corsi di aggiornamento professionale e innovando la strumentazione, le procedure e l’uso della tecnologia digitale. La pubblica amministrazione merita di essere salvaguardata, potenziata e resa efficiente, coinvolgendo attivamente i dipendenti pubblici e le
loro rappresentanze sindacali. Ai dirigenti
vanno assegnati degli obiettivi di servizio che
consentano di verificare
l’efficacia e l’utilità di un
agire individuale e collettivo che potrà essere compensato dal salario di produttività in base a criteri
meritocratici e di misurazione d’efficienza che rendano giustizia a chi si impegna di più, si aggiorna e si
appassiona al proprio lavoro.
Dai primi confronti con le organizzazioni
sindacali si è condiviso di partire dalla riorganizzazione della dirigenza della Regione
Molise per girare pagina su episodi oscuri che
hanno umiliato l’intera categoria. La Giunta
Regionale ha soppresso in via definitiva cinque posti dirigenziali previsti in pianta organica con un risparmio di 600 mila euro annui
che non comprometteranno l’efficienza
dell’amministrazione. I restanti 66 dirigenti
responsabili di servizio a cui si sommano i 4
direttori d’area ed il direttore generale potranno serenamente adoperarsi all’interno di una
riorganizzazione in istruttoria che ha visto
emanare gli avvisi di selezione sia per il personale interno che esterno. Una specifica
commissione presieduta da un docente universitario, titolare di cattedra in diritto del
Quanto spende la regione
Molise per il personale;
incidenza sul bilancio e
confronto con altre regioni virtuose; eventuale possibile razionalizzazione.
lavoro, insieme a due legali del servizio avvocatura regionale, valuterà le istanze e approverà la graduatoria degli idonei. Successivamente la Giunta, previa concertazione con le
organizzazioni sindacali, predisporrà il nuovo
atto di organizzazione in
cui saranno assegnati gli
incarichi dirigenziali con
relativi uffici, personale e
obiettivi. Questo disegno di
riordino mira a semplificare, snellire e rendere più
agile la macchina amministrativa, con un forte impegno a valorizzare il lavoro
pubblico interno per porre
fine a costose consulenze
esterne e ad una miriade di
incarichi tecnici di varia
natura che di fatto sostituivano il personale
regionale nel disbrigo dell’attività d’ufficio.
Il percorso tracciato è stato oggetto
di un’assemblea con tutta la dirigenza e di più
incontri con la RSU e coi sindacati dei dirigenti, a dimostrazione che solo un’azione
condivisa e partecipata può avviare una fase
nuova nella Regione Molise. Al cospetto di
centinaia di rapporti di lavoro precari, stipulati e rinnovati in modo discrezionale sia in via
diretta dall’Ente e sia per il tramite di varie
società esterne, la Giunta Regionale, su proposta del servizio risorse umane, ha adottato
una Direttiva che pone termine a questa pratica deleteria, mette ordine nella materia e pone
le condizioni per riflettere su modalità di
selezione trasparenti che non debbono escludere processi di stabilizzazione del precariato in presenza dei presupposti contrattuali e
di legge. Le persone
che hanno maturato titoli e diritti andranno
rispettate ma la Regione per il futuro dovrà
prevedere concorsi pubblici per assumere il
personale in ossequio al dettato costituzionale. Contestualmente è necessario intervenire
sugli uffici periferici evitando duplicazioni di
sedi, di fitto e di spese, con uno spostamento
del personale di Termoli negli uffici
dell’ASREM e individuando sia a Campobasso che a Isernia locali con fitti bassi. Su
questa voce da una prima istruttoria potremmo recuperare 1,5 / 2 milioni di euro che
sommati al blocco delle consulenze e alla
drastica riduzione delle collaborazioni e degli
incarichi esterni permetterebbero di risparmiare somme considerevoli da orientare
verso le politiche sociali e del lavoro giovanile. La formazione continua e
l’aggiornamento professionale possono implementare le conoscenze del personale regionale con indubbi effetti positivi sull’azione
amministrativa dell’Ente e una maggiore
gratificazione di un esercito di quadri e generali che si sono affastellati nel corso di decenni di gestione non orientata alla valorizzazione del lavoro pubblico e del tutto avulsa da
qualsiasi obiettivo di efficacia ed efficienza.
Sugli enti controllati dalla Regione
si è posto termine alla nomina politica di
commissari, ed in attesa di riformare o sopprimere tali Istituti, Consorzi ed Agenzie, si è
proceduto a incaricare dirigenti della Regione
a costo zero com’è accaduto per la Protezione
Civile, per gli Enti per il Turismo e per le
Case Popolari.
Questi segnali vanno in direzione
di una pubblica amministrazione motivata,
qualificata e competente, capace di dare spinta alla crescita e allo sviluppo con una compartecipazione di obiettivi di innovazione
qualitativa che prescindono da appartenenze
e da cordate clientelari. Il cammino sarà duro.
come ci confermano le troppe vicende amare
e negative degli ultimi anni, ma non per questo non ci si deve impegnare per un Molise
laboratorio capace di andare in pagina nazionale per esemplarità di efficienza più che per
fenomeni di assenteismo o di azioni delittuose.☺
[email protected]
Per non coinvolgere l’assessore nelle scelte del giornale, ma perché
possa continuare la preziosa collaborazione, abbiamo pensato di
rivolgergli ogni mese una domanda a cui darà risposta. Chiunque
vuole risposte pubbliche può inviare le domande al giornale entro il
10 di ogni mese.
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società
Ho un amico indomito, sempre
proiettato in avanti, non desiste, mai.
La sconfitta politica, il fallimento,
sono per lui solo i punti da cui partire per una
strategia adeguata, fatta l'analisi si agisce di
conseguenza, semplicemente. Mi ripete di
continuo che dobbiamo trovare una rappresentanza per la nostra minoritaria e inascoltata visione delle cose e farci largo partendo
dalle basi della vita amministrativa per arrivare, con il tempo e l'esperienza, ad occuparne i
vertici. La mia risposta è sempre uguale “E
chi ci vota?”
Le proposte innovative, modi nuovi
di affrontare i problemi, pratiche democratiche di coinvolgimento, consapevolezza, interessano
veramente? Esiste
ancora una forza
delle idee?
Faccio una breve premessa.
A fronte di una situazione, non solo
locale e nazionale, che definire di estremo
disagio sarebbe come sottovalutarla, esiste un
assetto politico graniticamente legato ai grandi interessi e completamente assoggettato alle
leggi di una economia che oramai uccide.
Nel mondo ci sono migliaia di focolai di
protesta eppure le risposte dei governi sono
sempre uguali, bugie e repressioni. Due esempi dell'ultima ora.
In Brasile milioni di persone protestano per le ingenti spese per il prossimo
mondiale di calcio pretendendo invece stanziamenti per scuole, ospedali e servizi, e la
presidente che fa? Risponde che i soldi in
questione sono della FIFA e dei governi che
partecipano all'evento, per ora il bilancio è di
due morti e decine di feriti. Taciamo poi sulle
menzogne così grossolane.
In Italia si è votato - e non voglio
entrare nel merito! - un decreto sulle emergenze (in cui figura anche il Molise destinatario di 15 milioni di euro per il terremoto),
strade innovative
Cristina Muccilli
ebbene una delle emergenze è risultato il
danno ambientale prodotto nelle zone attraversate dalla TAV Torino-Lione. Come dire
che la dura repressione attuata contro la ribellione di quelle popolazioni è ingiusta ed
arbitraria, come dire che le istanze della protesta sono più che legittime, come dire però, il
potere è nelle mani dei grossi gruppi interessati alla costruzione della linea e lo Stato se
ne fa garante.
Ora io mi chiedo, la
responsabilità delle
scelte, degli accadimenti è solo apicale? Attiene cioè
solo alla sfera di coloro che decidono? O
riguarda, oggi più che mai, la moltitudine che
delega ad occhi chiusi, che delega per un
profitto personale, dimentica dei diritti di tutti,
che delega per non agire in prima persona? E
quanta responsabilità è da attribuire a coloro
che di continuo parlano di cambiamento per
tornare poi sempre all'oggetto delle loro critiche e farne la propria casa? Mi riferisco agli
intellettuali, ai quadri di partito, ai nuovi eletti
del PD, per parlare di casa nostra, che pur
facendo un'analisi spietata dell'organismo
politico che li accoglie, insistono e perseverano in questa scelta di appartenenza. Una scelta, si badi bene, che non può essere considerata solo personale, poiché il loro nome, la
stima e il seguito di cui godono, la rendono
pubblica. Di grande peso.
Anche noi che scriviamo su queste
pagine dovremmo fare uno sforzo per essere
più propositivi, indicare una strada nuova,
con chiarezza, andare nel senso opposto rispetto a ciò che denunciamo. Dovremmo
cercare e proporre esempi di come cambiare
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il mondo, inventarci una nuova vita.
Al mio amico dico sempre “Ti
prego, non morire. Mi sentirei più sola”. In
effetti non so mai con quale gesto lui accompagni questa mia preghiera.☺
[email protected]
processi in famiglia
La magnifica e insonne procura
della repubblica di Campobasso ci ha rinviati a giudizio per presunto linguaggio
offensivo nei confronti del fu sindaco di
Colletorto, ora punito dai cittadini e costretto a fare il capo dell’opposizione. Che
allora appoggiava Iorio e ora se la fa con
Frattura, che militi, e in questo è stabile,
nientepopodimeno nel partito di Mastella,
è un fatto di coraggio quasi eroico, che
abbia sepolto una fontana e innalzato il
palo è quanto in molti hanno contestato e
noi gli abbiamo semplicemente e coloritamente suggerito di fare il contrario. Per
questo affronteremo il processo. Vogliono
tirarci il collo perché si cercano i polli per
mostrare che la giustizia è efficiente, ma
avremmo voluto assistere anche a qualche
rinvio a giudizio di persone che hanno
determinato nefastamente la politica nostrana. Ma ancora non ci è dato.
Che poi si tenti di imbavagliare la
stampa libera perché fa semplicemente il
suo lavoro di informazione; che, guarda
caso, siamo tra le poche testate senza padroni e padrini; che si punisca uno per
educare chiunque potrebbe mettere la testa
fuori dal sacco, è tutto da dimostrare, ma a
pensare male spesso si indovina.
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società
misteri e politica
Gianni Mancino
Anche quest'anno il Comune di
Campobasso ha organizzato l'immancabile
sfilata dei “Misteri”. Ricordo che alcuni anni
fa si tentò di nobilitare la manifestazione,
come meriterebbe, rinnovandone il nome in
“Festival dei Misteri”, ma soprattutto arricchendola con un cartellone di eventi interessanti; l'insieme risultava apprezzabile. Ma - e
ti pareva - è stata esperienza di breve durata.
La mancanza di soldi derivante
dalla crisi è una scusa. Non che le difficoltà
manchino, ma ad esempio, al suo primo anno
di “regno”, il simpatico sindaco di Campobasso, all'atto dell’ insediamento aveva esordito con un: “Non ci sono soldi nemmeno per
un gelato”, poi, in occasione del Corpus Domini, la sua amministrazione prese il lusso di
invitare i Pooh. Un bello spettacolo, certo, ma
il relativo costo sostenuto probabilmente
avrebbe consentito di fare tante altre cose di
qualità. Ritengo però che né i Pooh, né altri
cantanti possano soddisfare la latente fame di
cultura che a Campobasso e in Molise pure
c'è. Inutile far notare che orientarsi in tale
direzione non sarebbe una spesa, ma un investimento. In politica nessuno brilla per sostegno alla cultura, ma il centrodestra in particolare mi sembra abbia in odio tutto ciò che la
riguarda. Forse gli fa comodo tenere ignoranti
i cittadini, o forse è pura arretratezza, e non
sanno apprezzarne il valore. Resta anche
celebre la frase di Tremonti: “La cultura non
si mangia”, una forzatura di una stupidità
monumentale. Con la cultura si mangia eccome, invece! Non è un caso che persino di
questi tempi, si indovini un po' quale settore
non solo continua a funzionare, ma crea posti
di lavoro? La cultura, appunto, perché i nostri
“giacimenti culturali” sono tali e tanti da
consentire anche in una situazione di crisi la
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crescita del settore. Anche qui in Molise si
potrebbe fare tanto, abbiamo tanto. A Pasqua
sono andato a visitare il paleolitico di Isernia,
di recente apertura. Lì dove anche Alberto
Angela ha ritenuto di dover realizzare un
documentario, solo un paio di custodi, nessuna guida, una singola postazione multimediale, pochi visitatori, un clima dimesso, e tanta
tristezza.
I nostri politici si comportano come
quando nella civiltà preindustriale venivano
casualmente alla luce dei giacimenti di petrolio, all'epoca utilizzabili al massimo per alimentare delle lampade. Cos'è poi che li ha
resi preziosi, se non le invenzioni? Le idee?
Proprio la cultura. La ricchezza è sotto i nostri
occhi, nelle nostre mani, ma ignorata da sempre: in Italia il nostro “petrolio” (che tra altre
cose non si consuma) sono i beni artistici,
archeologici, paesaggistici, le innumerevoli e
pregevoli tradizioni (come i Misteri), l'enogastronomia, il turismo che ne può derivare,
lavoro, arricchimento
umano e civile per
tutti. E invece, speriamo nelle nuove generazioni.
Questa ultima tornata
elettorale mi ha suscitato un ricordo. Anni
fa Berlusconi affermava che gli elettori
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che votano a sinistra erano (sono) dei coglioni (termine suo). Oggi ha due condanne sulle
spalle (forse una terza quando leggerete questo giornale), laddove in una di queste i giudici affermano testualmente che “... ha mostrato una particolare capacità a delinquere”.
Insomma, se confermata in Cassazione, certifica che è un delinquente che ha esercitato la
sua “arte” anche mentre svolgeva la sua funzione di capo del governo. Beh quest'uomo
ancora prende milioni di voti. A chi giova
questo? Se la pongono questa domanda i
cittadini che votano per questa persona? Con
serenità si mettano da parte opinioni, politica,
ideologia, ed anche considerando un legittimo sentimento di simpatia, di trasporto che
può esserci verso l'uomo, anzi, ancora di più:
vogliamo anche ipotizzare che sia veramente
innocente e perseguitato? Anche fosse, mancano forse a quest'uomo mezzi e potere per
difendersi? Non sarebbe meglio per noi cittadini separare le sue vicende personali dalle
nostre? Non è meglio per noi che se la riveda
lui con i giudici e con le sue donne? Viviamo
quotidianamente con i nostri problemi, l'abbiamo detto, c'è chi vive drammaticamente
questa crisi, per caso i politici si appassionano
ai nostri guai? Sarebbe un sano egoismo
pensare piuttosto al nostro interesse di cittadini, mettendo anche politicamente fuori gioco
questo signore. Ciò vale anche per chi nonostante tutto continua ad apprezzarlo e votarlo.
Invito a fare un piccolo gioco,
ponendo un po' di attenzione ad un particolare: quando il “cavaliere” esprime opinioni,
apparentemente sembra dia giudizi sugli altri.
Ma noi proviamo, invece, a ribaltare su di lui
ciò che egli afferma dei suoi avversari: si
potrà notare dalle sue stesse parole che è di se
stesso che sta parlando, invece, della sua vita
e di chi lo sostiene; così i suoi giudizi sui
giudici, sui suoi (finti) avversari politici, sugli
elettori. È un gioco che può servire a comprendere veramente con chi abbiamo a che
fare.☺
[email protected]
mi abbono a la fonte
perché gran brutta malattia
il razzismo.
Più che altro strana:
colpisce i bianchi,
ma fa fuori i neri.
il calabrone
La maggiore associazione di scrittrici e letterate, in Afghanistan, si chiama
Mirman Baheer ed è la versione contemporanea dell’associazione Ago d’Oro dell’
epoca talebana in cui le donne di Herat,
fingendo di cucire, si riunivano per discutere
di letteratura. A Kabul, l’associazione odierna non ha bisogno di nascondersi: ne fanno
parte insegnanti universitarie, parlamentari,
giornaliste, intellettuali che hanno una vita
pubblica e le facce scoperte. Ma per le restanti 300 socie delle province Mirman
Baheer funziona come una setta segreta. Al
telefono dell’associazione c’è sempre una
donna, Ogai Amail, che aspetta in orari
concordati le loro chiamate: le socie le recitano le poesie che non è loro permesso creare e la volontaria, anch’ella poeta, le trascrive verso dopo verso.
Zarmina (che firmava le sue poesie con lo pseudonimo “Rahila”) viveva a
Gereshk, a circa 600 chilometri da Kabul. Si
mise in contatto con il
gruppo dopo aver ascoltato alcune sue socie recitare poesie alla radio. A
Zarmina,
adolescente,
non era permesso uscire
di casa. La radio era il suo
solo tramite per il mondo
esterno e le telefonate
doveva farle di nascosto. “Era giovanissima,
ma il suo lavoro era già impressionante per
ricercatezza, originalità e coraggio”, ricorda
Ogai Amail, “e la sua urgenza di creare era
assoluta. Ad esempio, non sopportava i
ritardi o le dilazioni nei nostri colloqui telefonici e a volte mi rimproverava con un
landai di questo tipo: Io sto gridando ma tu
non rispondi. / Un giorno mi cercherai ed io
me ne sarò andata da questo mondo.”
Due anni orsono, Zarmina stava
leggendo al telefono le sue poesie d’amore
quando la cognata la sorprese. “Quanti amanti hai?”, le chiese sprezzante. L’intera
famiglia sposò questa tesi. Dall’altra parte
del filo doveva esserci sicuramente un giovanotto. I fratelli si produssero in un regolare pestaggio della ragazza e fecero a pezzi
tutti i suoi quaderni di poesie. Due settimane
più tardi, Zarmina si diede fuoco e morì
all’ospedale di Kandahar dopo sette lunghi
giorni d’agonia. Non aveva che 17 anni.
Nadia Anjuman, artista afgana,
morì nel 2005 del brutale pestaggio di suo
marito. Aveva 25 anni. Le sue “colpe” era-
di poesia si muore
Loredana Alberti
no l’aver pubblicato le sue poesie ed essere
diventata famosa in ragione di ciò.
In Afghanistan si può morire di
errori umanitari, di armi intelligentissime, di
matrimonio, di parto, di religione, di etnia,
di papaveri da oppio, persino di scuola. La
scelta è così vasta, ma soprattutto è orribile
che si muoia di poesia.
Il Landays è una forma di poesia
brevissima adottata dalle donne afgane
come protesta contro le vessazioni del maschio. Un Landay ha solo alcune proprietà
formali. Ognuno ha ventidue sillabe: nove il
primo verso, tredici nel secondo. Il poema si
conclude con il suono "ma" o "na". A volte
è in rima, ma più spesso no. In Pashto, hanno cadenza interna come
in una sorta di ninna
nanna che però contrasta
con l'acutezza del loro
contenuto, che si distingue non solo per la sua
bellezza, licenziosità, e
arguzia, ma anche per la
capacità penetrante di
articolare un comune verità sulla guerra, la
separazione, la patria, il dolore, o l'amore.
Landai significa “piccolo serpente
velenoso” in lingua Pashto: si tratta di poesie
popolari, composte da due versi, che perdono la loro origine non appena vengono recitate. Un landai non appartiene neppure a chi
lo crea, le persone dicono di “ripeterlo” o di
“condividerlo” anche quando è nato nella
loro mente. Gli uomini possono inventare e
recitare queste poesie che però, quasi esclusivamente, hanno per voce narrante una
donna. “I landai appartengono alle donne”,
dice Safia Siqqidi, poeta ed ex parlamentare
afgana, “Nel nostro
paese, la poesia è il
movimento
delle
donne dall’interno”.
La poesia pashtun ha
una lunga storia come
forma di ribellione
delle donne afgane. E
i landai sono di solito
micidiali proprio come il morso di un
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serpente velenoso: diretti, sboccati, concreti,
arrabbiati, sensuali, buffi, tragici, vanno
diritti al cuore della questione che affrontano. I matrimoni imposti, odiati e derisi tramite dettagli grafici, sono un bersaglio frequente di questo tipo di poesia. Durante le
due settimane trascorse fra il pestaggio e il
suicidio, Zarmina non disse ad Amail quanto era disperata. Le recitò però un altro landai: O giorno del giudizio, dirò a voce alta /
Vengo dal mondo con il cuore pieno di
speranza. “Stupida, le risposi, non dire così.
Sei troppo giovane per morire”, ricorda
ancora Ogai Amail, “Zarmina è solo la più
recente delle poete-martiri afgane. Ce ne
sono centinaia come lei. Tutte le giovani
artiste che ci chiamano al telefono sono in
una posizione molto pericolosa. Sono tenute
dietro alte mura, sotto lo stretto controllo
degli uomini. Io sono la nuova Rahila, mi
ha detto di recente una di loro, Registra la
mia voce, così quando verrò uccisa ti resterà qualcosa di me”. Amail l’ha ovviamente
rimproverata, ma pensa che sarebbe bello
avere un registratore, averlo avuto quando
Zarmina-Rahila recitava le sue poesie ed ora
poterla riascoltare. La nuova Rahila ha scelto come pseudonimo Meena Muska
(Sorriso d’Amore, in Pashto). Non sa quanti
anni ha, perché è una femmina e nessuno si
è preso la briga di registrare la sua data di
nascita. Se le chiedete la sua età (dovrebbe
avere circa 17 anni) lei vi risponderà poeticamente: Sono un tulipano nel deserto.
Muoio prima di sbocciare, e le onde della
brezza del deserto soffiano via i miei petali.☺
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13
cultura
l’ultimo eroe
Roberto Roversi
Non è molto che l’ultimo eroe è passato
anche da Bologna; non più di sette otto
mesi fa. In un mattino di mezzo settembre, lo ricordo bene. Bisogna sapere che
sono vecchio e mi stanco facilmente.
Leggevo quindi il giornale seduto al riparo di un grande albero pieno di foglie, nel
centro della città; proprio sotto le due
torri, la Garisenda e l’Asinelli. Leggevo
adagio, senza gli occhiali - per fortuna
riesco a leggere ancora senza gli occhiali
- e lì davanti avevo anche un bel prato
pieno d’erba e sopra due calabroni indugiavano; quando ho sentito un galoppo,
un vero galoppo da eroe, tanto che i due
calabroni sono volati via sbattendo le ali.
Neanche il tempo di alzare la testa, che
mi è sfilata davanti l’ombra di un cavallo
bianco, a collo teso e con gli occhi di
ghiaccio. In groppa, un guerriero chiuso
in una armatura che sbrilluccicava d’oro
e d’argento, la lancia in pugno, piume sul
cimiero e voce forte che urlava: “Adesso
ti prendo, sei morto”. Che emozione! Era
un gran bell’eroe; e perfino a me che in
modestia stavo leggendo la cronaca di un
delitto di paese, sotto un albero vicino a
casa mia, all’ombra di due torri antiche, è
venuta addosso la nostalgia di correre
un’ultima avventura - fra prati e montagne, voci di venti, dietro il carro del sole.
Ho messo in tasca il giornale mentre
intorno mi giravano auto, bus, moto di
ogni colore seminanti tiepidissimi fumi;
e ho cominciato a considerare - a parte le
mille obiezioni - che dopotutto è bello
essere un eroe, perché all’eroe non si
spezza mai la spada, non si rompe mai il
manico (la spada non è una scopa), non
si azzoppa mai il cavallo - anche se deve
correre su e giù di gran carriera, senza un
momento di requie, senza un lamento, e
buttando fumo e fuoco dalle narici. Inoltre, il cavallone dell’eroe, benché abbia
in groppa un armamentario di ferraglie
d’ogni genere fra bulloni, borchie, stringhe, scudo, visiera, pennacchio, mazza
ferrata eccetera, va famoso per la sua
pazienza, non sacramenta mai, anzi vola
leggero sui prati e sembra una farfalla.
14
Addirittura, come in Ariosto, muovendosi nel cielo. Facevo poi pensieri più profondi, chiedendomi se gli eroi (uomini e
cavalli) sono sopra gli altri uomini o
dentro agli altri uomini. Un incubo costante o un sogno ricorrente. Da buttare
dalla finestra o da non perdere e quindi
inseguire perfino lungo i muri. Ma in
fondo, alle domande non mi importava
molto rispondere; perché l’hanno fatto o
sono sul punto di farlo quelli che già
sanno dicono pensano tutto, formulando
bolle di parole. Potevo solo annotarmi,
con la dovuta cautela, che in questi giorni
fatti di nebbia polvere e cieli bassi come i
culi degli italiani, altro non vediamo che
fiumi di macchine a rappresentare la
nostra attuale felicità; mentre i cavalli
superstiti, coi peli ritti per la paura, rintanati in bicocche/stalle, si mescolano al
fieno per mimetizzarsi e non farsi scoprire. E allora? Allora quell’uomo a cavallo
che insegue il suo futuro con dedizione,
lungo i muri di una città, e non vuole mai
uccidere anche se lo dice e semmai soccorre vecchiette e verginelle, ed è destinato a una morte giovane e generosa, in
fondo non è altro che la semplice rappresentazione sul vetro di una nostra costante aspirazione che cancelli la nostra vergogna. Quella, cioè, di renderci utili agli
altri più di quanto possiamo, e con qualche risultato che duri. L’eroe veramente
eroe ha la mano sull’elsa ma non sfodera
mai la spada. E se mai è costretto al duello, mentre smaneggia parla ammonisce
esorta; non sgarrando mai dalle regole.
Soprattutto è portatore di grandi o forti
emozioni, come quelle del dolore e della
pietà… Il pianto di Achille su Patroclo…
L’eroe dunque è un uomo che può fare
questo, e sa fare questo, senza vergogna.
Appoggiando lo scudo sulla sabbia, vicino alle onde del mare. ☺
(testo pubblicato sull'agenda SMEMORANDA, 1990)
A cura di Loredana Alberti
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marzo 2005
menzogne
Hanno abbassato i monti,
l’hanno chiamata religione.
Hanno impoverito l’orizzonte,
l’hanno chiamata fede.
Hanno spento i sentimenti,
l’hanno chiamata ascesi.
Hanno svuotato il comandamento,
l’hanno chiamata morale.
Hanno omologato il tutto,
l’hanno chiamata unità.
Hanno zittito le coscienze,
l’hanno chiamata ubbidienza.
Hanno mummificato i riti,
l’hanno chiamata divina liturgia.
Hanno ucciso i profeti,
l’hanno chiamata ortodossia.
Hanno chiuso le porte,
l’hanno chiamata identità.
Hanno respinto le barche,
l’hanno chiamata sicurezza.
Hanno cacciato i giudici,
l’hanno chiamata giustizia.
Hanno succhiato i poveri,
l’hanno chiamato equilibrio.
Hanno deliberato leggi ingiuste,
l’hanno chiamata legalità.
Hanno imbavagliato un parlamento,
l’hanno chiamata efficienza.
Hanno manipolato un popolo,
l’hanno chiamata democrazia.
Angelo Casati, Ospitando libertà
cultura
Madre Ignazia Angelini, “Mentre
vi guardo”: perché il libro fosse mio sono
bastati la qualifica dell’autrice, inconsueta
magari, per me rassicurante, e quel titolo che
mi suggeriva una tensione di sé verso gli altri
sostenuta da uno sguardo penetrante e comprensivo.
Una selezione di lettura casuale,
ma guidata dall’intuito di un possibile innamoramento. E mi sono innamorata di fatto,
perché Mentre vi guardo è un libro semplice
e profondo nel contempo, che ha il potere
antitetico di sconvolgere e di placare, di suscitare crisi multiple e di prospettare vie di soluzione, come un amore vero sa fare.
Madre Ignazia Angelini, badessa
del monastero di Viboldone in provincia di
Milano racconta: racconta, naturalmente, dei
modi della presenza di Dio, racconta di sé e
della propria vocazione, racconta del senso e
dei ritmi della vita monastica e di noi che
apparentemente ne siamo esclusi, perché,
tolta ogni stereotipata barriera fuori dal monastero-dentro il monastero, il suo parlare si
appoggia su un vivida ricerca di reciprocità
squisitamente umana. Difficile rintracciare un
percorso logico nella narrazione della badessa, densa e avvincente sempre e in cui liberamente si mescolano avvenimenti e riflessioni
relativi alla comunità monastica e al suo vivere e al mondo laico e al suo vivere; pare,
comunque, di intravedere una sorta di cammino ascensionale dello spirito, per cui
l’ultimo capitolo, intitolato significativamente
In cerca di te, così si conclude: “L’essenziale
è vicino, mischiato al nostro tran tran quotidiano. Esso si scopre poco a poco, alla fine.
L’importante è esistere fino alla morte, e per
via trovare il canto fermo su cui modulare
quotidiane parole di speranza”.
Dio inteso quale l’essenziale, divinità dell’ordinario, speranza: parole-concetto
che ritornano in più luoghi del libro, come in
più luoghi torna, quasi cifra di vita e pensiero,
l’idea di relazione, alla cui insegna si apre il
racconto di Madre Ignazia Angelini: “Il portone del monastero non serve a ripararci o a
escludervi: ogni volta che qualcuno bussa,
infatti, viene aperto. Le mura del monastero
non servono a dividere lo spazio tra interno
ed esterno: a ben vedere, infatti, sono trasparenti. La comunità monastica non nasce per
garantire l’isolamento, ma per cercare, ogni
giorno, relazioni affidabili”. È proprio la
relazione, l’accoglienza ospitale dell’alterità,
la sfida fondamentale di Gesù e, vista la fragi-
donne che stupiscono
Luciana Zingaro
le mobilità dei rapporti tipica della nostra
epoca, è una sfida quanto mai attuale secondo
Madre Ignazia Angelini, che si dice finanche
imbarazzata quando le chiedono di lei in
prospettiva autorappresentativa, perché “Non
ha senso, è stupido… Io sono strutturalmente
fuori da me stessa, sono in relazione. Non so
tematizzare chi sono io al di fuori della relazione con gli altri, con la comunità, con il
Dio che cerco, con il Signore che mi ha parlato”.
Il fascino del racconto di Madre
Ignazia Angelini scaturisce dalla forza di
espressione di una persona autentica, dalla
libertà delle sue parole, spesso radicalmente
nuove e perciò scomode.
Breve l’excursus dedicato alla sua
storia personale di studentessa di filosofia
vivace e appassionata che abbandona una
vita promettente per fare lei stessa una promessa e sopporta in monastero un duro tirocinio di regole sostenendosi col motto
“imparare dalle cose sofferte” e, affamata di
libri, innova il costume culturale delle monache di Viboldone, istruendo pian piano una
biblioteca che conta attualmente 30.000 volumi. Madre Ignazia affronta, quindi, una serie
di questioni comuni, poi attinenti al monastero ordinario, infine al mistero del divino: ad
esempio, discute del mito ormai dilagante
della realizzazione di sé, tessuto - dice - di un
linguaggio nebuloso ed equivoco; parla della
differenza tra sentimento quale percezione di
sé come affetto, toccato dalla presenza di
un’altra persona, e risentimento, all’opposto
presentato quale incapacità di sentire l’altro e
vibrare; sostiene la necessità del senso
dell’umorismo anche all’interno della comunità monastica, che mette a tema
l’imperfezione, perché le religiose non sono
figure angeliche e avulse dalla realtà, ma
donne come tante; esamina le passioni, che di
per sé non sono negative - l’uomo apatico
non è cristiano-, lo diventano se assolutizzano
l’immediato, costruendo barriere, invece che
legami; raccomanda la ricerca della autenticità, perché il cuore umano è uno, e si oppone
all’ipocrisia del mondo attuale formattata sul
modello della televisione, che è puntata ossessivamente sull’aspetto dello scandalo e
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che ha la stessa mentalità di ciò che deplora;
discetta di razionalità e di paura della morte,
paura che si vince non negando la morte
stessa, ma attraversandola con l’aiuto di legami affidabili; spiega l’importanza della sobrietà, che consiste nell’essere pronti alla
privazione perché altri vivano; si esprime
sulla fede e afferma che la traccia di Dio è nel
frammento di umanità più che nell’ ostentazione di un codice morale inoppugnabile;
scopre nell’ordinarietà il luogo di custodia del
divino. Delicata e soave in alcuni momenti, si
mostra spesso energica e capace di dissacrare
i luoghi comuni, anche in ambito strettamente
ecclesiastico, offrendo, per esempio, riflessioni particolarmente accese sul tema del monachesimo femminile più vicino alla vera anima monastica di quanto lo sia quello maschile, ormai troppo clericalizzato e sbilanciato
sul versante del ministero presbiterale; dopo
aver ricordato quanto fossero state presenti
nella vicenda di Gesù le figure femminili, poi
progressivamente marginalizzate, sottolinea
l’importanza del Concilio Vaticano II che ha
favorito la ricomparsa nel dialogo ecclesiale
dell’intelligenza, della sensibilità, della comprensione della realtà al femminile e si augura fiduciosa una rinnovata prospettiva del
monachesimo, perché lo sguardo delle donne
sul mondo è di una potenza straordinaria: “Le
donne -scrive la badessa - sanno distinguere
ciò che è vivo da ciò che è morto. Provate a
immaginare una terra devastata: lì vedrete
uomini agitare penne e fogli per inventare
grandi soluzioni, e donne cercare tracce di
vita tra le rovine, indizi di rinascita”.
Tanti punti della narrazione di
Madre Ignazia Angelini mi hanno rapito
perché emanano una bellezza originaria,
senza fronzoli, così quando a proposito della
gratuità scrive: “La gratuità esce dalla logica
della causa e dell’effetto, non considera categoria quali utile o inutile, migliore o peggiore. La gratuità non sa dare ragione di sé. Ha
a che fare con il mistero della libertà”.
Un po’ quello che mi ha condotto a
questo libro. ☺
[email protected]
15
arte
famiglia di Oratino. Il De Sanctis annota che
ebbe prestigiosi incarichi: Protonotario Apostolico, professore di Teologia e Dottore in
Utroque con cattedra a Napoli. Richiami alle
opere del Massari si riscontrano in diverse
Gaetano Jacobucci
citazioni di eruditi del suo tempo. Un’elegia
La poetica barocca non rispetta più
tale procedimento può peccare di artificiosità,
in lode del Massari è datata 1647 a firma del
le regole del mondo classico, anzi intende
dall’altro può contenere anche una particolare
giureconsulto Francesco Ramunno; Lorenzo
consapevolmente violarle in modo da suscitacarica conoscitiva.
Giustiniani, nelle memorie storiche degli
re maggiore meraviglia, giocando
scrittori di Napoli, osserva: “Da sé sole
sull’effetto dell’imprevisto.
possono formare un compiuto trattato di
Per venire incontro ai gusti
questa memoria”. Nel libro di Nicolò
mutati del pubblico la poetica barocca si
Toppi, Agli uomini illustri in lettere di
adegua alle mode, adattandosi di volta in
Napoli, e del Regno, Biblioteca Napoletavolta alle attese dei lettori, al bisogno di
na Napoli 1678, viene citato il Massari,
novità, alla volubilità del gusto: suscitare
definendolo “erudito in belle lettere”.
effetti di stupore e di meraviglia (“E’ del
“Era legge de Persiani, che ciapoeta il fin la meraviglia / chi non osa far
scuno porgesse al principe loro in dono
stupir, vada alla striglia”). Tra i poeti
in segno di tributaria devotione, cosa la
barocchi non manca la discussione se
quale fosse alle forze del Donante, e non
debba prevalere l’aspetto edonistico e
al merito del Donatario conforludico oppure l’aspetto morale ed edifime”(prefazione del Massari alla raccolta
cante, in ogni caso il primo elemento è
di sonetti dedicati a Don Ferrante Caracsempre ribadito con forza: infatti anche
ciolo, Duca di Castel di Sangro).
coloro i quali sostengono che il fine
“Vergini, che de carmi i nomi armate
dell’arte è morale, teorizzano l’ importanPer vincer gli anni e debellar la Morte,
za del piacere estetico come strumento
Hor, che d’Heroe sovrano altera forte
per diffondere il messaggio morale.
V’apportò questo Ciel, di lui cantate”.
Il poeta barocco sente come suo
Possiamo scoprire nel Massari
compito il provocare nel lettore il piacere,
pienamente realizzati i principali caratteri
e la strada per ottenere tale effetto sta nella
della lirica barocca: dall’attenzione per gli
costruzione di metafore e concetti. Mentre
aspetti esteriori della realtà dell’esperienza
la “metafora” istituisce analogie tra campi
al gusto per le figure, oggetti, elementi
diversi e lontani, solitamente considerati
naturali trattati con elegante linguaggio
inconciliabili, il “concetto”(da cui deriva
tendente al metaforismo concettoso e
la pratica del concettismo) spiega tali
“Epigramma per Francesco Antonio De Angelis”, arguto. La sensibilità del Massari verso il
ardite connessioni attraverso una trovata presente nel Libro di Giovanni Maria Novario principio classico, temi e stile, raggiunge
arguta che dà loro un senso. La capacità “Tractatum de Insolitum”, Napoli 1636.
una freschezza tale da accostarlo ai grandi
dell’arguzia deriva dall’ingegno: intelletpoeti del tempo, come G. B. Marino
tuale e celebrale. Il poeta barocco cerca di
(1569
-1625), dalle raccolte di liriche, poeGiovanni Pietro Massari
stimolare nel lettore un piacere eminentemenmetti
epici,
mitologici, sacri, raggiungendo
Tra gli Uomini Virtuosi (per dirla
te intellettuale: mira a non fargli sentire partil’apice
nell’Adone,
che ha fatto la sua facon Dante Gentile Lo russo, Uomini Virtuosi,
colari sentimenti, ma indurlo a pensare a cose
ma.☺
Edizioni Limiti Inchiusi, 2002; pgg. 95,98.),
nuove, ad operare collegamenti strani e [email protected]
nella geografia culturale del Molise si colloca
zarri, provocando un piccolo shock, un sobGiovanni Pietro Massari, originario di una
balzo di stupore o di meraviglia. Se da un lato
la lirica barocca
CAMPOBASSO
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mondoscuola
Mentre prendono forma le prime
righe di questo articolo, i telegiornali mandano e rimandano, da stamattina, i punti del
famigerato “Decreto del fare” firmato dal
governo Letta. L’occhio (con l’orecchio)
cade, naturalmente, sulla scuola e resta perplesso. Si parla di edilizia scolastica. Manutenzione e messa in sicurezza degli edifici.
Cento milioni di euro. Sarà. Ma, senza disprezzare il gesto di buona volontà, approfitto di questo piccolo spazio di resistenza
personale per dare sfogo ad una fantasia
piuttosto arrabbiata, ed immaginare i punti
di un “decreto” tutto mio, in cui “fare” quello che, secondo il modestissimo parere di
un’insegnante di trincea, occorre subito.
Io, signor ministro, “farei” così.
1. Pretenderei un modo nuovo, serio e adeguato, di reclutamento degli insegnanti, e
un sistema di valutazione severissimo per
quelli che sono già dentro, per il quale se ti
aggiorni e lavori seriamente vai avanti, se
sai collaborare e coltivi relazioni corrette
coi colleghi e coi ragazzi prosegui, altrimenti ti fermi, sei penalizzato, devi
“riparare”. Basta coi docenti che vivono di
rendita con quello che hanno imparato
all’università, o che lasciano impunemente
le classi incustodite per fare altro, o che
insultano il collega perché ha idee che non
combaciano con le proprie. Per le nuove
leve, si dovrebbe avere il diritto ad un anno
di prova con un vero tutoraggio, in classe,
da parte di un docente a fine carriera, e solo
se il “candidato” risulta idoneo deve essere
regolarizzato a tempo indeterminato, altrimenti deve continuare la formazione,
“recuperando” tutti i punti deboli emersi
nel suo bagaglio di competenze. Dai concorsi molte volte escono impiegati e non
docenti, persone che non “sentono” questo
lavoro e non si impegnano per farlo meglio.
Ma chi lo fa seriamente non ne ha alcuna
colpa, anzi, non per questo l’insegnamento
deve essere un lavoro umiliante e umiliato.
2. Fisserei un numero equilibrato di alunni
per classe, per evitare classi-mostro da 30
(così come classi-micro da 10). In Svezia,
ministro, in classe ce ne stanno anche 35,
ma lei sa come funziona in Svezia? E quali
strumenti possiedono gli insegnanti svedesi
per controllare gruppi così numerosi? Hanno anzitutto un prestigio personale e professionale che in Italia è tramontato ormai
da decenni, e poi hanno una scuola sostenu-
per una scuola accettabile
Gabriella de Lisio
ta in palmo di mano dallo stato, stipendi
più che dignitosi, ore pomeridiane e una
didattica che è il fiore all’occhiello dell’ Europa.
3. Rimedierei subito, in maniera precipitosa
direi, alla carenza di personale, per permettere la sacrosanta continuità a gruppi-
classe che, in un quinquennio, possono arrivare a cambiare una decina di insegnanti
sulla stessa disciplina; e per permetterla
anche ad insegnanti che si sentono sradicati, precari dentro, perché impossibilitati a
impostare un discorso di lungo respiro coi
propri alunni.
4. Troverei risorse, signor ministro, per
dotare la scuola di libri, cartine, pc, materiale didattico innovativo di ogni tipo, che
può diversificare e arricchire l’offerta formativa, permettendo la realizzazione di
tante proposte e idee
5. Renderei più accessibile il pagamento di
esperti esterni, da un regista, ad un giornalista, ad un archeologo, a chiunque possa
lavorare con gli
insegnanti mettendo
a disposizione della
classe competenze
che gli insegnanti
non hanno e non
possono avere. È
necessario che la
scuola si apra, entri
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in contatto con tante altre realtà, attivando
collaborazioni qualificate, che non possono
essere gratuite.
6. Stabilirei parametri ragionevoli per il
dimensionamento scolastico, perché un
dirigente non può controllare sette plessi
scolastici, abbinati tra loro dagli Uffici Scolastici come pedine di una dama cieca. Sarà
necessariamente il dirigente dell’uno e non
dell’altro, sarà più presente in un luogo che
in un altro, e non riuscirà - nonostante la
buona volontà - a far funzionare il proprio,
anzi i propri istituti.
7. Il nostro modello di integrazione della
disabilità (o del disagio in senso lato, ora
che si parla di “Bisogni Educativi Speciali”),
diciamocelo francamente, comincia a fare
acqua da tutte le parti, non può continuare
a vivere di rendita, o forse di apparenza.
Nella sostanza, i soggetti svantaggiati hanno bisogno di competenze elevatissime, che
non abbiamo ancora, di strumenti sofisticati, di una didattica di alto livello. Di figure
professionali che mancano.
Ministro, c’è tanto da fare, ma
proprio tanto. L’edilizia scolastica va bene,
apprezziamo. Ma ci dimostri che guarda
lontano, che ha capito la dimensione del
problema e che ha in mente un progetto di
ampio respiro diretto al risanamento, ad
una profonda revisione del sistema scolastico nazionale e ad una lenta, paziente opera
di ricostruzione del prestigio e della dignità
della professione docente, che è stata svilita
dallo stato e da quanti, troppi, l’hanno abbracciata con pressapochismo. Ci conto, ci
contiamo. Buon lavoro.☺
[email protected]
17
libera molise
stato/mafia 1992/93
Franco Novelli
Il 13 giugno scorso, Gaspare Spatuzza - pentito e collaboratore di giustizia davanti alla Corte di Assise di Caltanisetta,
trasferitasi eccezionalmente nell’aula bunker
di Rebibbia a Roma, ha dichiarato che la
persona che era nel garage palermitano, dove
lui aveva portato la 126, piena di tritolo, per la
strage di Via D’Amelio, non era appartenente
a Cosa Nostra. Di qui, il convincimento, oggi
diffuso e da molti condiviso, che uomini dei
servizi segreti - quattro o cinque - fossero
presenti a Palermo nei giorni che precedettero
l’attentato a Borsellino e alla sua sfortunata
scorta. Tale premessa appare necessaria per
entrare nel vivo della questione.
Partiamo dall’analisi e dalla decodificazione dei punti del papello che Vito
Ciancimino, a nome di Totò Riina, tramite
Nino Cinà, medico del capo dei capi, avrebbe
fatto recapitare al comandante del Ros, appena dopo la strage di Capaci.
Il primo punto del papello - la
revisione della sentenza conclusiva del maxiprocesso, gennaio 1992 - attribuisce un carattere squisitamente giudiziario alle richieste di
Totò Riina. La messa in discussione della
sentenza del maxiprocesso è apparsa subito
impraticabile, perché avrebbe implicato
l’annullamento di tutto l’operato che negli
anni precedenti alla loro morte è stato fatto
dai due giudici della Procura palermitana,
Falcone e Borsellino.
Il secondo punto è la richiesta di
annullamento del decreto legge Gozzini del
1986, riguardante l’articolo 41 bis e la sua
applicazione. Per la precisione il 41 bis, regime carcerario duro previsto inizialmente solo
in casi eccezionali di rivolta, dopo la strage di
Capaci fu esteso (dall’8 di giugno 1992)
anche a quanti in carcere erano detenuti per
reati di criminalità organizzata - mafia, camorra, sacra corona unita, ‘ndrangheta - e
questo attesta che potrebbe ipotizzarsi dietro
la strage di Via D’Amelio la presenza di
soggetti non collegati alla mafia, che, se fosse
stata responsabile unica della strage, sarebbe
apparsa come incapace di saper leggere il
corso degli eventi, assistendo complice al
condizionamento della sua stessa funzionalità
operativa.
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Un altro punto fondamentale della
trattativa è la revisione della legge RognoniLa Torre, che ha introdotto il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, prevedendo la confisca dei beni ai mafiosi. In particolare, dobbiamo ricordare che è stata
l’associazione Libera contro le mafie a volere con forza la norma di confisca dei beni dei
mafiosi, sancita dalla legge 109 del 1996,
anche grazie alla presentazione di un milione
di firme. Un altro nodo centrale del papello è
la richiesta di riforma della legge sui pentiti
che era stata approvata nel 1991. Fino al 2001
la legge non viene modificata; le modifiche
partono appunto dal 2001. Tuttavia, nella
norma rimangono operanti le riduzioni di
pena e l’assegno di mantenimento che lo
Stato concede al collaboratore di giustizia.
Nello stesso tempo la legge stabilisce un
nuovo termine, molto più ridotto rispetto al
precedente, entro il quale (al massimo sei
mesi) il pentito deve dire tutto quello che sa
della organizzazione mafiosa, della quale ha
fatto parte. Il pentito, che si trova in carcere,
dovrà scontare un quarto della pena, mentre
la protezione che a lui viene destinata avrà la
durata fino alla cessazione del pericolo. La
richiesta di riconoscimento dei benefici ai
dissociati delle BR anche per i condannati per
reati di mafia è di carattere squisitamente
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politico, perché tende a far avere ai mafiosi lo
stesso trattamento che lo Stato ha predisposto
per i terroristi che collaborano con la giustizia. In questo caso i mafiosi avrebbero auspicato per loro stessi una legge alternativa che
non prevedesse la collaborazione. La legge
sui pentiti, comunque, non prevedendo tra i
beneficiari chi avesse compiuto stragi, implicitamente dava già una risposta negativa alla
cupola di Cosa Nostra.
La rivendicazione dell’arresto domiciliare dopo il compimento dei 70 anni di
età trova in sé la sua giustificazione, in quanto
vuole riferirsi a soggetti che abbiano superato
i settanta anni d’età e che quindi non siano
più capaci di sopportare il carcere duro. La
carcerazione vicino alle abitazioni dei familiari dei mafiosi condannati, pur apparendo
una pretesa innocua, non sarebbe realizzabile,
perché la esclude il regime del 41 bis e lo
stesso vale per l’istanza di assenza di censura
sulla posta dei familiari dei mafiosi. Per quanto attiene alla chiusura delle carceri speciali,
tale richiesta aveva un senso in quel preciso
momento storico - prima metà degli anni
Novanta del secolo scorso - relativo al conflitto armato fra la mafia e lo Stato. Ma dalla
fine degli anni Novanta le supercarceri vengono praticamente chiuse, rimanendo funzionali soltanto le carceri che hanno regimi detentivi “differenziali”, tra i quali un posto
spetta al carcere come è previsto dall’art. 41
bis. In piedi rimane ancora aperta la questione
se la chiusura di Pianosa e dell’Asinara si
debba mettere in relazione al fallito attentato
allo stadio dell’Olimpico di Roma, che per
alcuni pentiti sarebbe dovuto esserci alla fine
di novembre del 1993, mentre dalle deposizioni di Gaspare Spatuzza apprendiamo che
doveva essere messo in pratica alla fine del
mese di gennaio del 1994. In relazione
all’esigenza espressa dalla cupola mafiosa
sull’abolizione delle misure di prevenzione di
carattere patrimoniale, sottolineiamo il fatto
che il Parlamento ha definitivamente approvato nel 2010 il disegno di legge che istituisce
un’Agenzia nazionale per l’amministrazione
e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con sede a
Reggio Calabria sotto la vigilanza del ministero degli Interni. C’è poi la richiesta
dell’arresto solo in flagranza di reato, domanda disattesa perché è sempre in vigore il fermo per chi è indiziato di un qualsiasi delitto.
In conclusione, c’è la rivendicazione di eliminare le accise sui carburanti, come in Valle
libera molise
d’Aosta, proposta che non ha alcuna razionale contiguità con le precedenti di carattere
giudiziario. Dunque, da un lato appare dal
papello la debolezza estrema della mafia
nella fase storica dello stragismo; da un altro,
la pretesa di eliminazione delle accise sui
carburanti si allontana dalla tessitura
dell’intero papello, avvicinandosi ad una
istanza chiaramente politica, come se la cupola mafiosa fosse un partito - sull’esempio
della Lega nord - partecipe dell’agone politico nazionale. In effetti, la mafia siciliana in
quegli anni ambiva a costituire anche un
partito per la presa del potere in Sicilia,
nell’Italia meridionale e magari nel resto del
territorio metropolitano. Ma questa è un’altra
storia che va raccontata soprattutto ai giovani
ai quali in prevalenza vuole rivolgersi la narrazione di queste vicende. 
[email protected]
ipse dixit
“La prostituzione è un fenomeno che purtroppo sta dilagando... Un fenomeno sommerso... di ragazze attirate in Italia con lo
specchietto del lavoro nella moda, o nel cinema, o nella televisione e poi costrette in appartamenti... utilizzate e poi minacciate nel
caso in cui rivelassero a chiunque la loro
condizione... Vere e proprie schiave che patiscono questa condizione intollerabile. Perciò
su questo abbiamo fatto un disegno di legge
che è intervenuto con delle pene elevate per
chi sfrutta la prostituzione e per gli stessi
clienti delle prostitute. Credo che queste pene
siano estremamente giuste, soprattutto quando le prostitute sono minorenni”. Sante parole. Indovinate chi le ha pronunciate? Il solito
moralista della sinistra salottiera? Un giudice
talebano e puritano (naturalmente donna) che
vuole processare lo stile di vita di un avversario politico? Un nemico della pacificazione e
delle larghe intese che vuole perpetuare
all’infinito la guerra dei vent’anni? No, Silvio
Berlusconi, il 24 giugno 2009, presentando
da presidente del Consiglio, seduto accanto
all’allora ministro delle Pari Opportunità
Mara Carfagna, presentando da presidente
del Consiglio, il disegno di legge del suo
governo che inaspriva le pene sulla prostituzione, anche minorile. Il video è in rete, a
disposizione degli increduli e soprattutto dei
creduloni.
trattativa Stato-mafia
Libera ha presentato la richiesta di costituzione di parte civile al processo sulla trattativa Stato/mafia che si è aperto il 27 maggio scorso a Palermo. “Dall’indignazione
- commenta in una nota Libera - a
quell’ondata di violenza criminale che
attraversò l’Italia, nasce Libera. Siamo
alla fine del 1994, giovani, singoli cittadini, associazioni nazionali e locali si incontrano per la costituzione di una rete antimafia. Una rete di associazioni che vogliono rappresentare quell’Italia che non vuole arrendersi alla violenza mafiosa. La
presenza criminale mafiosa ferisce l’intera
società; i colletti bianchi, le tante zone
grigie del nostro paese, rubano il futuro, la
vita delle persone ed è giusto rendere conto di questo. Nel rispetto dei ruoli a partire
dalla giustizia che deve fare il suo corso,
noi vogliamo fare la nostra parte con il
coraggio della denuncia e la forza della
proposta perché non c’è giustizia senza
verità e noi vogliamo incoraggiare la ricerca di verità”.
La richiesta di riconoscimento della presenza dell’Associazione nelle aule di giustizia in cui si processano i principali responsabili del sistema di violenza e intimidazione che ha condizionato e condiziona
la vita civile e democratica di tutti i cittadini, è anche la naturale prosecuzione delle
iniziative che Libera promuove sul territorio, in special modo accanto ai familiari
delle vittime, nelle scuole e nelle università, con le associazioni.
Dopo un’ora e mezza in camera di consiglio, la Corte di Assise di Palermo, presieduta dal dott. Alfredo Montalto, ha accettato la costituzione come parte offesa
dell’Associazione Libera nel processo per
la trattativa Stato-mafia.
A cura della segreteria regionale di Libera
filastrocca
“Ci vediamo domani”
un film sull’elogio degli anziani.
Il protagonista, uno “sfigato”
senza lavoro, né soldi e separato,
mise su un’impresa di pompe funebri
e si recò in un paese del sud
abitato da novantenni e centenari.
Aprì bottega, comprò bare, candelabri,
restò sull’uscio ad aspettar la morte.
I giorni passavano. Nessuno moriva.
Ad uno della scientifica chiese:
“Ma com’è che qui nessuno muore?”
L’altro rispose “Sono persone speciali.
Qui c’è aria e acqua buone.
Vivono tranquille, senza crucci.
È una comunità di “Immortali”.
Il loro motto è: “Ci vediamo domani”.
E così hanno fermato il tempo.
L’impresario rimane fulminato.
Nessuna speranza di guadagno.
Tuttavia divenne amico dei vecchietti.
Con loro si trovava molto bene.
Un giorno essi partirono in gita
per conoscere il mondo.
Ma poco dopo, per un incidente,
finirono nelle sacche della scientifica.
Grande fu il dolore e lo sgomento.
In compenso il guadagno di 7 funerali.
Prima di tornare nella capitale
l’agente si avventurò a Panama.
Con sorpresa ritrovò vivi i suoi amici.
La questione fu subito chiarita.
Era stato simulato l’incidente
perché dei funerali avesse i proventi.
Ripartì contento ma anche cambiato.
Non era più balordo né sgomento.
Dagli arguti vecchietti
aveva imparato la lezione
e capito il senso della vita
che non è solo ansia, stress, malumore
ma pace, concordia, buon umore.
In serena accettazione, pacato distacco
sopravviveva sospeso tra gli ulivi
il paesino colmo di silenzi, stupori,
un Nirvana dove ritrovar se stessi.
Nulla poteva turbare il nostro eroe.
Sì, anche lui era diventato “Immortale”.
Lina D’Incecco
Marco Travaglio
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iniziative
stop femminicidi
Pensavamo che l'uccisione di Fabiana, bruciata viva dal fidanzato sedicenne, esprimesse un punto di non ritorno. Invece no. L'insulto
che è stato rivolto alla ministra Cecile Kyenge - da un'altra donna - dice
molto più di quanto non vogliamo ammettere. E di fronte ad una violenza
verbale simile, non ci sono scuse o giustificazioni che tengano. Noi non
siamo mai state silenziose, abbiamo sempre denunciato questi fatti, le
violenze fisiche e quelle verbali. Ma non basta.
Non basta più il lavoro dei centri antiviolenza, fondamentale e
prezioso. E non bastano le promesse di leggi che neanche arrivano. La
ratifica della convenzione di Istanbul? Un passo importante, ma bisogna
aspettare e aspettare. E noi non vogliamo più limitarci a lanciare appelli
che raccolgono migliaia di firme ma restano solo sulla carta; a proclamarci indignate per una violenza che non accenna a smettere; a fare tavole
rotonde, dibattiti politici, incontri. Adesso chiediamo di più.
Chiediamo di poter vivere in una società che vuole realmente
cambiare la cultura che alimenta questa mentalità maschilista, patriarcale,
trasversale, acclarata e spesso occulta, che noi riteniamo totalmente responsabile della mancanza di rispetto per le donne, e che non fa nulla per
fermare questo inutile e doloroso femminicidio italiano.
Chiediamo che la parola femminicidio non venga più sottovalutata, svilita, criticata. Perché racconta di un fenomeno che ancora in
troppi negano, o che sia qualcosa che non li riguarda. O addirittura che
molte delle donne uccise o violate, in fondo in fondo, qualche sbaglio lo
avevano fatto. Quanta disumanità nel non voler vedere il nostro immenso
lavoro, quello pagato e quello non pagato, il lavoro di cura e riproduttivo,
il genio, la creatività, il ruolo multiforme delle donne.
Chiediamo di fermarci. A tutte: madri, sorelle, figlie, nonne, zie,
compagne, amanti, mogli, operaie, commesse, maestre, infermiere, badanti, dirigenti, fornaie, dottoresse, farmaciste, studentesse, professoresse,
ministre, contadine, sindacaliste, impiegate, scrittrici, attrici, giornaliste,
registe, precarie, artiste, atlete, disoccupate, politiche, funzionarie, fisioterapiste, babysitter, veline, parlamentari, prostitute, autiste, cameriere, avvocate, segretarie.
Fermiamoci per 24 ore da tutto quello che normalmente facciamo. Proclamiamo uno sciopero generale delle donne che blocchi questo
maledetto paese. Perché sia chiaro che senza di noi, noi donne, non si va
da nessuna parte. Senza il rispetto per la nostra autodeterminazione e il
nostro corpo non c'è società che tenga. Perché la rabbia e il dolore, lo
sconforto e l'indignazione, la denuncia e la consapevolezza, hanno bisogno di un gesto forte.
Scioperiamo per noi e per tutte le donne che ogni giorno rischiano la loro vita. Per le donne che verranno, per gli uomini che staranno loro accanto.
Unisciti a noi, firma e diffondi questo appello. Insieme, poi,
decideremo una data.
[email protected]
Proposta di una lettera aperta da inviare al presidente del consiglio dei ministri per la cessazione della illegale
ed insensata partecipazione italiana
alla guerra in corso in Afghanistan
Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
non passa giorno senza che dall'Afghanistan giunga notizia di massacri.
Innumerevoli esseri umani sono già morti e continuano a morire
vittime di una guerra scellerata e insensata che nessuno può illudersi
di vincere.
Una guerra scellerata e insensata cui l'Italia partecipa da oltre dieci
anni in flagrante violazione della Costituzione della Repubblica Italiana.
Una guerra illegale in cui sono morti anche decine di italiani.
Una guerra costosissima, in cui per uccidere degli esseri umani si
sperperano da decenni immense risorse economiche che dovrebbero
essere utilizzate invece in difesa ed a promozione della vita, della
dignità e dei diritti degli esseri umani.
Lei queste cose le sa già.
Faccia dunque l'unica cosa legittima e ragionevole, moralmente decente, necessaria ed urgente: decida la cessazione immediata della
partecipazione italiana alla guerra; ed impegni concretamente il nostro paese per la fine della guerra, per il disarmo e la smilitarizzazione
del conflitto, per salvare le vite anziché sopprimerle.
Cessi di essere complice della criminale violazione della Costituzione
italiana.
Cessi di essere complice dello sperpero di enormi risorse economiche
a fini di morte.
Cessi di essere complice di innumerevoli omicidi.
Cessi di essere complice di questo orrore.
In quanto capo del governo lei e' ora il primo responsabile di una
decisione ineludibile: facendo proseguire la partecipazione italiana
alla guerra afgana lei e' tra i principali colpevoli delle uccisioni; facendo cessare la partecipazione italiana alla guerra afgana lei puo' diventare un esempio di buona politica, di rispetto del diritto, di agire morale.
Se queste parole la raggiungono, vi rifletta.
E sappia decidersi a fare la cosa giusta: solo la pace salva le vite. La
guerra e' nemica dell'umanita'.
Faccia cessare il nostro massacro quotidiano.
Distinti saluti.
Firma
Luogo e data
Indirizzo del mittente
indirizzi istituzionali afferenti al Presidente, alla Presidenza e alla Segreteria del Consiglio dei Ministri:
[email protected]; [email protected];
[email protected]; [email protected]; [email protected];
[email protected]; [email protected]; [email protected];
[email protected]; [email protected];
[email protected]; [email protected]; [email protected]
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europa
Quando mi accingo a scrivere
queste brevi note, non sono ancora chiari i
possibili esiti del braccio di ferro in atto tra il
primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan e
i manifestanti di Piazza Taksim a Istanbul. Di
certo il bilancio degli scontri tra dimostranti e
polizia è già tragicamente pesante con morti e
feriti, frutto di uno sfregio dei diritti civili che
non può essere passato sotto silenzio. La
causa che ha scatenato la rivolta popolare
contro il primo ministro turco è nota, ma la
portata della rabbia popolare che si manifesta
in tutto il paese ci dice che essa non può essere legata alla sola vicenda di Gezi Park che,
peraltro, ha dell'incredibile. Incredibile è infatti il progetto del governo turco di cancellare Gezi Park, adiacente a Piazza Taksim, uno
dei pochi spazi verdi rimasti nella immensa e
straordinaria metropoli di Istanbul.
La reazione di molti
cittadini che, a cavallo tra il
mese di maggio e il mese di
giugno, hanno ritenuto di dover
manifestare il proprio dissenso
rispetto ad una discutibilissima
scelta governativa, non avrebbe
dovuto sorprendere nessuno.
Sorprendente è stata invece la
reazione di Erdogan che ha
subito chiarito il suo pensiero
attraverso l'adozione di una
linea di repressione della protesta. Le disposizioni date alla
polizia turca di “dialogare” con i dimostranti
facendo uso di lacrimogeni, idranti, manganelli e arresti hanno alimentato nel paese un
diffuso sentimento di ribellione.
Piazza Taksim è diventata teatro di
violenze che non avremmo mai voluto vedere. Violenze che io, personalmente, non mi
sarei aspettato di vedere dopo le numerose
attività di confronto sui temi della democrazia
portate avanti con le autorità turche ad Ankara come a Istanbul, ad Antalya come a Samsun. La base del dialogo che, come presidente
del Congresso del Consiglio d'Europa, avevo
impostato con i rappresentanti della Turchia
sui temi della democrazia era solida e credibile. Il lungo incontro che ebbi, nel mio ufficio
di Strasburgo nel 2004 con il primo ministro
della Turchia Recep Tayyp Erdogan fu di
straordinario interesse. Mi parlò della sua
esperienza di sindaco di Istanbul durata 4
anni e mezzo, della sua decisa volontà di
puntare sul protagonismo delle autonomie
piazza taksim
Giovanni Di Stasi
territoriali per rafforzare in Turchia sia lo
sviluppo socio-economico, sia i valori europei di partecipazione democratica e di rispetto
dei diritti umani, compresi quelle delle minoranze.
Nei mesi che seguirono toccai con
mano la difficoltà delle autorità turche a condividere concretamente l'idea stessa di rispetto delle minoranze. Lo spazio che mi capitava di dare ai sindaci curdi all'interno del Congresso del Consiglio d'Europa veniva sottolineato da regolari manifestazioni di disappun-
Strasburgo 2004: Erdogan e Di Stasi
to da parte delle autorità centrali turche. Questo non impediva di implementare regolarmente i programmi di cooperazione con la
Turchia in materia di decentramento e di
sviluppo territoriale, anche per favorire l'agognato ingresso della Turchia nell'Unione
Europea. Era l'epoca in cui moltissimi europei pensavano, con fondate ragioni, che l'accelerazione dell'avvicinamento della Turchia
all'Europa avrebbe fatto crescere un presidio
democratico di stabilità in un'area dagli equilibri geopolitici assai problematici. Era l'epoca in cui la maggioranza dei cittadini turchi
pensava, insieme a
molti dei suoi governanti, che la piena integrazione del loro paese
nelle istituzioni europee
fosse una straordinaria
occasione da cogliere.
Poi le cose
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luglio-agosto
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sono cambiate. Gli europei, colti dalle varie
crisi e dalle conseguenti isterie, si sono concentrati sul loro ombelico e hanno smesso di
confrontarsi con i loro vicini mentre i turchi,
che nel frattempo raggiungevano significativi
livelli di crescita economica, si sono concentrati più sul rafforzamento della loro identità
che sulla condivisione dei tratti valoriali europei. Il rapporto di supremazia della laicità
sugli orientamenti musulmani della popolazione, voluto da Mustafa Kemal Ataturk e a
lungo garantito dall'esercito, è stato man
mano affievolito e rischia di
essere rovesciato del tutto. In
questo processo Erdogan ha
messo in campo una strategia
chiara. Parla sempre meno di
Europa, rafforza le connotazioni
islamiche della sua attività di
governo e comincia a pensare
che la mano dura che usa con i
curdi possa funzionare anche
con i cittadini che ha amministrato da sindaco. Lungo questa
strada rischia però di trovarsi di
fronte altri Gezi Park e di farsi
male, perché nei turchi non si è
spento né il ricordo di Ataturk
né il sogno di una Turchia democratica, laica
ed europea.
E tuttavia, per il momento, a farsi
male sono quei cittadini deprivati del loro
diritto alla libertà di dissentire senza essere
aggrediti dal potere. Ma, a ben vedere, si sta
facendo male anche l'Unione Europea,
schiacciata all'interno dei suoi confini dalla
paura del futuro e incapace di ammettere che
ciò che sta accadendo in Turchia è anche
frutto dalla propria inadeguatezza. ☺
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spazio aperto
ospitalità come vocazione
Lo scopo di questa idea progettuale è quello di incentivare il turismo e
rivalutare nel tempo il valore degli immobili investendo sull’ospitalità.
Nei nostri paesi ci sono tantissime case sfitte, non abitate, abbandonate
da anni. Il loro valore continua a diminuire mentre i loro costi aumentano. Per ovviare a questo problema e per risollevare le sorti dei nostri
paesi sarebbe utile entrare nel mercato del turismo, ma come? I nostri
paesi sono difficili da raggiungere dai grandi centri europei e possono
difficilmente competere con i costi e l’organizzazione con altre realtà più
affermate ed organizzate. Anche l’impegno e l’entusiasmo delle persone
non sembra adeguato ad iniziative di questo genere. Eppure abbiamo un
paesaggio magnifico ed una cucina buonissima, un grande patrimonio
culturale e storico, e tanti stranieri che passano di qui sono spesso incantati e sorpresi. Per portarli qui basterebbe una promozione all’estero e
avere un elemento in più degli altri: l’ospitalità e il “disinteresse”. Tante
case vuote, che rievocano anche un vuoto di vita, potrebbero essere
“donate” agli stranieri per un periodo di villeggiatura, al solo costo delle
spese, organizzando poi solo un pullman per il mare che parte al mattino
e rientra la sera, e un opuscolo informativo in tre lingue. Si potrebbe
costituire una associazione culturale basata sul “dono”. I vantaggi verrebbero dopo in termini di visibilità, di conoscenza dei luoghi e dei prodotti, e non ultimo di valore umano. Chiunque abbia una casa chiusa e
vuota da anni potrebbe aderire all’iniziativa. La selezione degli ospiti si
baserebbe su criteri culturali, le persone potrebbero accedere tramite un
curriculum ed una selezione. Le case andrebbero spogliate delle cose di
valore e riempite con cose che non si possono rompere, e assicurate.
Quando si offre una cosa gratuitamente sicuramente si avranno dei riscontri positivi, le persone verrebbero e spenderebbero, con una certa
probabilità un certo numero di stranieri saranno invogliati ad acquistare
un immobile e questo renderà l’iniziativa di successo. Solo bisognerà
avere la forza di non vedere l’interesse subito e di accettare la possibilità
di impegnare un immobile per un periodo, che comunque sarebbe restato improduttivo. Infine si avrà la possibilità di far tornare un po’di economia, e soprattutto un po’ di vita nei nostri paesi.
Le piccole imprese locali, nonché i bar, gli alimentari, gli agriturismi e
tutti quelli che potrebbero avere un ritorno immediato dall’iniziativa
potrebbero fornire una piccola quota per la costituzione dell’associazione
(in tutto sono 300 euro per la costituzione dell’associazione culturale,
che diviso per 20 esercizi fa 15 euro a testa).
Chiunque sia interessato ad organizzare la cosa, a definirne gli aspetti
tecnici e pratici, a dare consigli legali e non, a costituire l’associazione,
mi contatti.
Domenico Di Memmo
[email protected]
22
Vincenzo Lombardi Le bande musicali molisane
de ll’Ottoce nto,
Palladino editore
Il fenomeno bandistico musicale che
ha coinvolto il Molise fra la metà
dell’Ottocento e
quella del Novecento ha avuto una
formidabile valenza
culturale, sociale,
economica e musicale.
Le attività musicali
bandistiche sono
state strumento di
educazione e formazione per adolescenti e giovani,
mezzo di prevenzione delle devianze sociali, terreno di incontro e
mediazione interclassista, veicolo di integrazione di reddito per le
classi artigiane e di elevazione sociale per i contadini, straordinario mezzo di divulgazione della conoscenza musicale e del repertorio operistico, soprattutto italiano. Le bande hanno prodotto la
colonna sonora delle cerimonie civili, dei riti religiosi, delle feste
paesane, di quelle della borghesia cittadina e dei più vari momenti
di intrattenimento popolare.
Oggi, tale fenomeno è pressoché dimenticato. Questo lavoro
vuole contribuire a tracciarne i confini e a definirne la portata.
Vincenzo Lombardi (Campolieto 1963) è direttore della
Biblioteca provinciale “Pasquale Albino” di Campobasso. Laureato in Lettere, Diplomato in Flauto e Didattica della musica, ha
insegnato Educazione Musicale presso gli istituti secondari statali
ed Etnomusicologia presso l’Università degli studi del Molise.
Fra i suoi lavori: i contributi Quadri di un'esposizione, in Storia
del Molise (Donzelli, 2006), Il teatro in Campobasso. Capoluogo
del Molise (Palladino Editore 2008) ed Emigrazione e musica, in
Rapporto Italiani nel Mondo (Fondazione Migrantes, 2009), la
cura dei volumi Com’a fiore de miéntra. Omaggio in musica a
Eugenio Cirese (Squilibri, 2009), Musiche tradizionali del Molise
(Squilibri, 2011).
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spazio aperto
Papa Bergoglio, secondo una rivista latino-americana, si è lasciato andare ad
una esternazione contro una lobby gay che in
Vaticano condizionerebbe di molto la politica
spirituale, organizzativa ed economica della
nazione cattolica. Questo Papa, che per rispetto a Francesco d’Assisi, continuo a chiamare Bergoglio, dovrebbe chiarire cosa volesse dire. Intanto, già circolano due interpretazioni.
Una sottolinea come il
“santo” padre, volendo parlare in
generale delle lobby che asfissiano il Vaticano e che bloccano i
cambiamenti curiali, abbia fatto
l’esempio di quella Gay. Aver
identificato, anche se solo per fare
un esempio, come gay una lobby,
è indice del profondo senso di
discriminazione introiettata. D’
altronde, anche il “dagli al frocio!” dei meno acculturati è spesso considerata una semplice espressione colorita. Forse non è
così, forse bisognava alzare un
polverone per depistare l’ attenzione: meglio parlare dei gay che
dei peccati finanziari della Chiesa che fu di
Cristo.
L’altra interpretazione afferma
perentoria che è proprio della lobby gay che
voleva parlare il Papa. In questo caso potremmo pensare che in Curia esista una
minoranza sessuale che, discriminata dentro
come fuori dal Vaticano, abbia cercato nel
tempo di difendersi creando una lobby poi
divenuta troppo potente. Non capiamo perché questa lobby non sia riuscita ad attenuare
gli strali della Chiesa cattolica contro i diritti a
favore dei gay. Allo stesso tempo però, sappiamo che probabilmente una minoranza,
una volta soddisfatto e garantito il proprio
desiderio sessuale al chiuso delle stanza vaticane (o appena fuori?), ha patteggiato per
evitare la gogna, schierandosi tra coloro che
la parola e la menzogna
più ferocemente di altri attaccano gli omosessuali fuori dalle mura.
In entrambe le ipotesi, tutto ciò è
imbarazzante. Tutto gira intorno ad un Papa
come Bergoglio che, in una Argentina uscita
da una drammatica dittatura durata 30 anni e
da una crisi economica sociale tremenda, non
ha mai condannato né i militari assassini né
chi ha venduto il Paese ai poteri finanziari e
stranieri. Allo stesso tempo, si è opposto
come nessuno in America Latina ai diritti dei
gay e con veemenza inusitata ha urlato per
anni nelle piazze e sui giornali contro il mondo GLBT ed i governi
laici. D’altronde nel
giorno della sua elezione a Papa, i militari
assassini, in tribunale
sotto processo per crimini contro l’umanità,
hanno orgogliosamente
messo una coccarda
con i colori vaticani al
petto e non ci sembra ci
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sia stato alcun commento del “santo” padre.
In attesa della fine degli annunci pubblicitari
ed ideologici e che nomi e fatti sulla famosa
“lobby Gay” vengano pubblicati, si può anche fare una terza ipotesi sulle dichiarazioni
del Bergoglio alla rivista latino-americana.
Forse (per ignoranza o per calcolo)
non voleva parlare della lobby
gay, ma della lobby dei pedofili.
D’altronde non solo Bergoglio, ma
molti alti e bassi prelati volutamente,
sapendo di fare solo del male, confondono da anni il termine gay con
quello di pedofilo! Da uno dei più
potenti sovrani del mondo e da chi
deve prendere in prestito il nome più
evangelico del panorama italiano per
rifarsi il trucco, non possiamo aspettarci ignoranza. Se però ignoranza
fosse e si trattasse di pedofili, consigliamo a Bergoglio di consegnare
per intero la lobby pedofila alla polizia ed alla magistratura italiana (dato
che di quella vaticana ci fidiamo ancora meno), insieme a coloro che vescovi non sono,
ma che, pur rei-confessi, vengono ancora
protetti.
Renato Di Nicola
[email protected]
23
marginalità
prossimità come valore
Antonio De Lellis e Felice Di Lernia
Il 21 giugno la comunità il noce
ha festeggiato i vent’anni di vita e ha voluto
riflettere sui linguaggi della violenza e sulla
cultura dell’incontro. Guardare al presente
per capire il passato, alla luce del futuro. Le
testimonianze dei ragazzi che hanno subito
violenza e di chi ha cercato in questi anni di
sostenerli in un percorso di liberazione,
reinserendoli nella società affinché anch’essi
potessero, a loro volta, sostenere altri, ha
consentito di riflettere sul perché la società
della collettività (tutti per uno, uno per tutti)
è cessata passando alla società della connettività (uno vale uno anche se in rete). I macroprocessi mondiali avrebbero prodotto la
microdisintegrazione, nella vita quotidiana
di milioni di persone, di quel patto di solidarietà tra uguali che chiamiamo Welfare. Ma
le cose sarebbero potuto andare in maniera
molto diversa, forse in direzione addirittura
contraria. Sarebbe potuto essere il micro
della mutazione della forma morale a produrre il macro delle conseguenze sociostoriche sulle quali ci esercitiamo a riflettere.
Quello che Bauman ha definito “egoismo
dell’opulenza” (da intendersi come una
forma emergente del sistema di benessere)
ha proprio nella disuguaglianza il valore di
misura fondamentale, il volano dello squilibrio nella distribuzione delle risorse. Il superamento, nella coscienza delle masse, del
paradigma della giustizia sociale, la fine del
sociale, hanno la stessa genesi. E se questo
iter ha senso è la disuguaglianza che ha
generato la globalizzazione e non il contrario.
Con la banalizzazione dello scandalo generato dalla disuguaglianza è mutato
irreparabilmente il concetto di prossimità:
24
mi è prossimo non chi ha i miei stessi
interessi/bisogni ma chi è funzionale ai miei
interessi; è uguale a me non chi mi è in qualche modo simile (per esempio nella finitezza) ma chi mi è utile. La nuova uguaglianza
è, cioè, un tessuto di tipo connettivo e non
più collettivo: “mio fratello è figlio unico”
ma ha molti follower, direbbe Rino Gaetano. Ad essere mutata profondamente, cioè, è
la semantica del like: non più like inteso
come uguale ma like inteso come piace; da
like me/come me a I like/mi piace. Insieme
allo scenario morale è mutata ovviamente
anche la semantica del lavoro sociale, e di
conseguenza anche il mandato e la legittimazione degli operatori sociali: complessivamente si potrebbe affermare che questa
palingenesi porta con sé l’evaporazione
dell’operatore sociale. “Sono forse io il custode di mio fratello?” rispose Caino a chi
gli chiese notizie di suo fratello (come Bauman ci ha ricordato recentemente). Sin da
quando il lavoro sociale esiste, nella sua
versione post-moderna che è quella che
conosciamo e sulla
cui evaporazione in
conseguenza della
crisi stiamo ragionando, la risposta a questa domanda-risposta
di Caino è stata la
stessa (“Sì, sei tu il
custode di tuo fratel-
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lo”) ma con una duplice intenzione: la custodia come protezione e la custodia come
controllo. Paradossalmente le due diverse
intenzioni, provenienti da due differenti
platee di mandanti culturali, hanno configurato due diversi mandati, due diverse consegne, che però si sono ricomposti ad unità
nell’azione pratica della custodia dell’altro.
La protezione del proprio uguale e della sua
fragilità, dunque, si è sempre accompagnata
al controllo per conto di coloro che si considerano diversi nel senso di superiori. Anzi:
molto spesso la protezione della fragilità è
stata la foglia di fico del controllo sociale.
Ciò che oggi è cambiato, in molte
comunità e spero poco nella nostra, in conseguenza della evaporazione del ruolo sociale dell’operatore, è il venir meno del
mandato di protezione a totale vantaggio del
mandato di controllo: l’aggettivo “sociale”
dell’operatore sfuma perché è sfumata e si è
modificata l’idea di uguaglianza e insieme
ad essa è sfumata quella massa di persone
che in essa aveva creduto e per essa si era
unita; ma l’aggettivo “sociale” sfuma anche
perché è irreparabilmente venuta meno
quella rappresentazione di sé dell’operatore
sociale che ha consentito al sistema di protezione di reggersi per anni sul vuoto strutturale di un welfare immaturo e incompiuto. Il
mandato di custodia-controllo crea oggi,
negli operatori, molto meno scandalo di un
tempo: si tratta in fin dei conti di un lavoro
come un altro che esaurisce nell’atto di
compiersi la sua ragione di esistere. In quanto non più finalizzato al cambiamento radicale del sistema, in quanto non più concepito come prova tecnica di un altro mondo
possibile, il lavoro sociale diventa soprattutto lavoro precario e l’operatore sociale
“impara” a rappresentarsi innanzitutto come
lavoratore sociale alle prese con la grave
crisi industriale del proprio settore di produzione che costringe a tagliare anche i fondi
del controllo sociale. Lavorare in comunità
ci consente di curare storie spezzate e ferite,
ma anche di generare qualcosa che insieme
alla speranza può chiamarsi proprio il senso
della vita e di una battaglia per sottrarre
consumatori al mercato illegale che crea
dipendenze, ma che inebria e aliena. Qualcuno dice che se trovi uno schiavo addormentato lascialo, perché sta sognando la
libertà, ma noi vi diciamo di svegliarlo per
parlagli della libertà. ☺
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le nostre erbe
Una pianta molto diffusa nel
nostro territorio è l'Heracleum sphondylium, ovvero il panace. Il nome volgare
di panace fa riferimento alle sue molteplici
virtù terapeutiche, che lo rendono appunto
una panacea. Quanto al nome scientifico,
Heracleum deriva dal greco herákleion ed
è stato dato alla pianta in onore di Eracle
(l'Ercole latino), per via delle grandi dimensioni delle numerose specie che appartengono a questo genere. Il nome sphondylium, invece, in greco significa vertebra
e si spiega con il fatto che il fusto presenta
nodi ingrossati, simili a vertebre.
Il panace è conosciuto più comunemente col nome di “sedano dei prati” per
una certa somiglianza che ha con questa
pianta (appartengono infatti tutte e due alla
famiglia delle Ombrellifere). Sempre per le
sue foglie di grandi dimensioni, è chiamato
anche “piede d’orso” o “zampa d’orso”.
Signore dei monti, è presente in
tutte le regioni italiane, con l’eccezione
della Sardegna. È molto comune nei prati
di montagna, nelle macchie, nei boschi e in
particolare negli incolti e sui bordi delle
strade. È una pianta robusta, perenne,
il panace
Gildo Giannotti
rizomatosa, di aspetto erbaceo, con fusti
cavi, scanalati e rivestiti di setole dure. Può
raggiungere anche i due metri di altezza.
Le foglie, lobate, ispide, sono grandi fino a
60 cm. Fiorisce dall’estate agli inizi
dell’autunno e i fiori, bianchi, raramente
rosati o talora giallastri, sono riuniti in
grandi infiorescenze ad ombrello. Tutta la
pianta emana un intenso odore aromatico, che alcuni associano a quello
di una formica schiacciata e che può
non essere gradito a tutti. Inoltre contiene oli volatili che, anche al solo
contatto durante la raccolta, possono
provocare fotosensibilità della pelle
alla luce solare e causare vesciche e
arrossamenti. Per questo si richiede
una particolare attenzione nel riconoscimento e nell’utilizzazione di questa pianta, al fine di non confonderla
con altre ombrellifere a fiori bianchi,
molto simili ma velenose.
Il panace può dare un foraggio verde molto nutriente. Le foglie
vengono anche raccolte come cibo
per i conigli che ne sono assai ghiotti.
È anche un ottimo mellifero
assai ricercato dalle api.
Le radici, le giovani foglie e i
germogli si possono consumare bolliti oppure vengono fatti fermentare per
produrre birra, mentre dai piccioli delle
foglie, distillati da soli o con i mirtilli, si
ricava una specie di grappa. Inoltre i giovani germogli si utilizzano crudi in insalata,
oppure cotti come gli asparagi.
Utilizzato da secoli nella medicina popolare, è noto come pianta ipotensiva,
emolliente, antispasmodica, ad azione
tonica sulla digestione e sedativa; è considerato anche uno stimolante e viene paragonato al ginseng.
Gli indiani d’America facevano
fermentare le radici per alleviare raffreddori, influenza, mal di testa, infiammazione
della gola, oppure le applicavano come
cataplasma per dolori reumatici, gonfiori,
contusioni e foruncoli. Nel Rinascimento
era famoso per la sua capacità di combattere le crisi depressive.☺
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l’aforisma
Riferiscono le agenzie di stampa
che l'eccellentissimo signor Ministro della Difesa avrebbe dichiarato: "Per amare la pace, armare la
pace. F35 risponde a questa esigenza".
Non so se sia il caso di chiamare
Orbilio o un logopedista, il 113 o il
118.
Ma so che le armi servono a uccidere, mentre la pace salva le vite.
So che le armi servono a fare la
guerra e che la guerra consiste
nell'uccisione di esseri umani.
So che l'Italia continua a partecipare illegalmente ed insensatamente
alla carneficina in corso in Afghanistan.
So che uccidere è un crimine.
Amare ed armare non sono la stessa
cosa: l'amore è disarmato e vuole il
bene dell'altro; è l'odio che s'arma e
fa strage.
Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca
per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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febbraio
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società
è già nostalgia
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Carolina Mastrangelo
La scuola è appena terminata ed è
già nostalgia. Seduta in giardino apro il mio
scrigno di carta fiorita per rileggere le letterine che i miei piccoli alunni mi hanno scritto, letterine grondanti arcobaleni, gabbiani,
aquiloni, cuori trafitti e tenerissime espressioni: Non te ne andare, maestra. Tu sei
giovane!…
Guardo il fumetto di un bambino
che mi fa dire: - Non ti preoccupare, non me
ne vado, non ti lascio - e mi commuovo pensando che lui ha sperimentato l’abbandono.
Risento la bella voce di Francy che mi regala
un’ultima canzone, la mia preferita: “… i due
camminavano, il giorno cadeva, il vecchio
parlava e insieme piangeva, con l’anima
assente, con gli occhi bagnati, seguiva il
ricordo di miti passati…” e mi sfilano davanti agli occhi, come in un flashback, immagini,
colori, atmosfere e tutto il possibile che ho
cercato di imprimere nella mia mente per non
dimenticare: i volti, i sorrisi, i litigi, le urla, il
pacificante scambio di figurine; noi accoccolati per terra a parlare, ad ascoltarci; i primi
fiocchi di neve, la pioggia che riga i vetri
delle finestre, le giornate di sole e di azzurro
… ma mi vedo scomparire inesorabilmente,
col mio codazzo di nani e folletti; fatina o
piccola strega trascinante drappi di numeri e
stelle, parole e silenzi di cose non dette.
Per chi non ci lavora, i problemi
della scuola sono di natura burocratica, organizzativa, economica, sociale… per chi ci
lavora, ci mette passione e ci crede, nonostante i tempi avversi, il problema è principalmente di natura emozionale. Per ora sto male
pensando ai bambini a cui non insegnerò mai
più; pensando che non sono più una maestra,
anche se Eugenia continua a ripetermi: Sei la
26
ripeto che come ogni educatore ho piantato
alberi alla cui ombra non siederò mai ma
devo rallegrarmi perché ad essi i bimbi legheranno altalene.☺
nostra maestra per sempre.
Si legge nell’intramontabile
Lettera ad una professoressa: “le maestre sono come i
preti e le puttane, si innamorano alla svelta delle creature. Se poi le perdono non
hanno tempo per piangere”
perché ci saranno altre da
amare. Sarà vero? Non lo so,
so solo che ora sto male
anche se per consolarmi mi
l’assessore mancante
L’attuale maggioranza che nel passato consiglio regionale sedeva su banchi
dell’opposizione approvò insieme all’attuale minoranza la legge 21 del 2013 sulla composizione del consiglio regionale e della giunta. Era il periodo del “siamo sul baratro” e il presidente
Monti, in preda al panico fece approvare dal suo governo un decreto che impose a tutte le
regioni Italiane, alla faccia dell’autonomia regionale, una riduzione del numero dei consiglieri
e degli assessori. Una martellata sulle palle che Iorio accettò di darsi sul prato di piana dei
mulini con l’intento di riconquistare il favore degli elettori molisani che stavano abbandonando
lui e Berlusconi. Non fu sufficiente e così oltre alle palle ci rimise anche il culo. L’attuale presidente che ci tiene sia all’uno che alle altre, in barba alle promesse elettorali, ha fatto approvare dalla sua giunta, una delibera, la 160, per abrogare l’infausta legge, la quale, così com’è, non
gli consente di risolvere un problemino che toglie il sonno all’intero centrosinistra molisano:
l’ingresso in giunta del cognato di Patriciello autorevole esponente della Casa delle Libertà, il
quale, in mancanza, sarebbe pronto a ritornare da dove è venuto, portando seco i suoi preziosi
14 mila voti. Pare che il presidente del gruppo PD in consiglio regionale, politico noto per la
lotta agli sprechi, non ne voglia sapere del quinto assessore. Il consigliere eletto col sistema del
gratta e vinci sarebbe invece favorevole, con la morte nel cuore, ad un rimpastino di giunta.
C’è chi pensa, ma noi non ci crediamo, che a farne le spese potrebbe essere l’assessore
all’agricoltura, compaesano dell’esponente PD, il quale verrebbe sacrificato sull’altare della
riduzione delle spese con infinito dispiacere del suo conterraneo e compagno di tante battaglie.
La legge rinnegata contiene un errore tecnico, dice Frattura; prevede infatti che il Presidente
possa nominare un numero di consiglieri pari a un quinto dell’intero consiglio e siccome 21
diviso 5 fa 4.2, sempre secondo il primo teorema Frattura, si arrotonda a cinque e non a quattro. Il Consigliere Cotugno, a differenza degli altri quattro, non sarà un vero assessore ma
l’assessore 0.2, cosicché dalla prossima riunione di giunta si voterà con la virgola. Pare che
l’assessore Petraroia abbia comprato un pallottoliere coi decimali per
vigilare sull’esatta applicazione della Legge.
I mal di pancia della sinistra non finiscono qui. La nuova maggioranza, diciamo di centrosinistra, dopo la diffida di Romagnuolo, ha
scoperto che i consiglieri regionali possono essere sospesi senza perdere
il posto in consiglio. Ora, per consentire ai primi dei non eletti di entrare
finalmente in consiglio, pare si stia studiando un provvedimento legislativo che equipari la funzione di assessore a quello di condannato. Non sarà
elegante, ma oggi si sa che per creare un posto di lavoro si farebbe di
tutto.
la redazione
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luglio-agosto
febbraio
gennaio
2005
2013
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gennaio
marzo 2005
etica
La linea di scontro tra verità e
potere, nel mondo globalizzato, si attua
perché il potere non può dire la verità sul
mondo ma soprattutto su stesso; per poterlo
conservare ed esercitare il potere deve necessariamente mentire.
La guerra, dal 1945, non può più
essere fondata sul diritto, perché è stata messa fuori legge; non può più essere fondata
sulla ragione perché, papa Giovanni ha
proclamato che ormai è “fuori dalla ragione”. La guerra, oggi, può essere fondata solo
sulla menzogna. In particolare tutte le guerre
combattute dopo il 1989, fine della guerra
fredda, sono state fondate sulla menzogna:
le due guerre del Golfo contro l’Iraq, come
la intramontabile guerra dell’Afganistan,
sono state fondate sulla menzogna. In questo scenario l’incompatibilità del potere con
la verità toglie il velo a tutto il grande capitolo dell’informazione schiacciata sul potere
e della manipolazione del consenso.
Le conseguenze che si delineano
vanno molto al di là di quello che immediatamente è dato di percepire. A causa di questa scissione tra la verità e l’esercizio del
potere si mette in pericolo la democrazia
anche nei paesi di antica tradizione democratica. Perché la democrazia è fondata sul
consenso, ma se venisse fuori la verità degli
intrecci di interessi nelle guerre combattute,
il consenso non lo si potrebbe ottenere e
d’altra parte neppure il potere può efficacemente occultare la verità. Allora
l’inevitabile tendenza a ridurre sempre più la
possibilità di scelta da parte del popolo.
Mentre la FAO, l’ONU e le sue
diverse agenzie ci informano delle crescenti
povertà e ingiustizie, della forbice che separa i ricchi sempre più concentrati e le masse
di povertà in costante aumento, si
“costringe” l’elettore, quando va alle urne come ad es. in Italia - ad un voto bloccato in
cui si vota per un intero pacchetto di offerte
comprendente il candidato del collegio, la
lista la coalizione di governo e il primo ministro. La democrazia è sempre più incompatibile con un sistema che produce e perpetua l’iniquità. Per continuare a mantenere
l’attuale rapporto tra ricchezza e povertà, tra
fame e sazietà, tra dominatori e dominati e
per occultare questa verità il potere non può
far altro che riprodurre invariabilmente se
stesso e sostenere che le scelte scellerate e
ingiuste che compie sono “inevitabili”. La
democrazia non deve più consentire alterna-
potere mendace
Silvio Malic
tive reali anche nei paesi fortunati, come il
nostro, dove ne restano ancora le forme. La
democrazia deve essere affievolita, come
aveva suggerito la Commissione Trilaterale
tra Stati Uniti, Europa e Giappone già alcuni
decenni fa. La ricetta era: raffreddare la
democrazia, e, soprattutto, che la democrazia cessi di essere rappresentativa, di rappresentare e mediare gli interessi di tutta la
popolazione per assumere solo quelli dei
ceti privilegiati che hanno interesse a mantenere la situazione com’é.
Ci si potrebbe chiedere allora:
“Che senso ha il sistema maggioritario invocato perché garantisse efficienza e governabilità?”. Significa appunto che conta solo la
maggioranza, cioè, una parte sola di cui si
riesce a fabbricare il consenso. Gli altri o
perché sconfitti o perché tenuti fuori dal
sistema, come con successo si riesce a fare
in America ma sempre più anche in Europa,
non contano, sono
irrilevanti finanche
rispetto al rito di
designazione
del
potere. Che deve fare
la minoranza in parlamento? Parli! Non
ha il potere di influire
sulle decisioni e di
concorrere alla formazione delle leggi,
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luglio-agosto
febbraio
gennaio
2005
2013
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gennaio
marzo 2005
approvate sempre più per voto di fiducia
blindato: è il cosiddetto diritto di tribuna.
Ma se il parlamento da luogo di incontro per
le decisioni si trasforma in tribuna per mostrare le opinioni, la democrazia diventa
quella dell’Hyde Park: il potere decide nel
palazzo, poi c’è una panchina nel parco in
cui ognuno può dire quello che vuole alle
quattro persone che lo stanno ad ascoltare;
neanche la stampa c’è ad ascoltarlo, perché
quella va alla conferenza stampa a Palazzo,
dove succedono le sole cose che contano.
La democrazia si potrebbe definirla la democrazia del settimo giorno. Per sei
giorni c’è un Dio che fa quello che vuole,
compresa la guerra e al settimo giorno il
popolo va al tempio a riempire le urne per il
rito di investitura. In tal modo l’oggetto
della politica è il potere che diventa il vero e
solo trofeo della politica. Il fine della politica
non è più il bene comune o l’interesse generale ma la riproduzione dell’ordine esistente.
L’iniquità dei rapporti sociali sempre più
ingiusti non è il male da rimuovere ma il
prezzo da pagare al sistema. Le statistiche
sulla fame, la povertà, la disoccupazione
sono l’annotazione marginale annuale delle
vittime offerte in sacrificio. In occasione
dell’inizio della guerra in Afganistan un
fondo del Corriere della Sera sentenziava
“silete sociologi”, tacete sociologi, taccia la
cultura, taccia la verità, dobbiamo vincere.
La democrazia invece va difesa e
promossa verso forme sempre maggiori di
partecipazione perché possa essere contrastato e rovesciato il potere della menzogna e
possano instaurarsi poteri che concordino
con la verità e la giustizia. E da questa simbiosi seguirà la pace. ☺
27
sisma
tre bufale
Domenico D’Adamo
Tre buone notizie, per i molisani
che non ci sono abituati, sono veramente
tante: la prima è che il direttore generale
dell’Agenzia per la Protezione Civile, licenziato dal presidente Frattura, non è stato
reintegrato dal Tribunale; la seconda è che
l’emendamento proposto dal senatore Ruta
per svincolare i fondi del terremoto è stato
approvato dal Senato e quindi passa alla
camera dei deputati per l’approvazione
definitiva; la terza è che dodicimila mucche
gravide vengono in villeggiatura nel Bassomolise, giusto il tempo di partorire per poi
ripartire per il nord. La stampa moderata, è
così che si chiama quella dipendente, ha
dato fiato alle trombe per diffondere la buona novella con grandi titoli e piccole notizie;
noi che siamo invece abituati a fare piccoli
titoli pure quando le notizie sono grandi,
anche questa volta, per non smentirci, vorremmo saperne di più per valutare la portata
di questi provvedimenti e misurarne non
solo il peso ma anche la qualità.
Che il Direttore Giarrusso sia stato
rimosso dal suo incarico dal presidente della
regione è buona cosa solo se al suo posto
non verrà nominato qualcun altro più amico
di lui. Insieme a questa iniziativa, infatti,
vorremmo leggere che il governatore ha
deciso di rimodellare la gestione del post
terremoto abrogando da subito la legge
istitutiva dell’Agenzia per la Protezione
Civile, una legge che la vecchia maggioranza di centrodestra ha tenacemente voluto per
aggirare il patto di stabilità e per sistemare
un po’ di amici. Ora tutti e due gli obiettivi
si sono rivelati fallimentari, il secondo perché non si hanno i soldi per pagare l’esercito
di dipendenti della struttura commissariale,
il primo perché non basta una legge regionale per fregare i tedeschi. Sarebbe il caso
invece di ripensare a un modello di gestione
più vicino a cittadini e meno costoso del
“Modello Molise”.
Per quanto riguarda la seconda
buona notizia, i quindici milioni di euro
disponibili, forse, dopo l’approvazione definitiva del provvedimento voluto da Ruta, è
il caso di rammendare a lui e al governatore
con il quale è in perfetta sintonia, che con
28
quei soldi non si riavvia un bel niente e
tantomeno la ricostruzione. Le imprese
molisane che hanno lavorato per il terremoto avanzano una montagna di soldi, bastava
chiederlo al direttore Giarrusso prima di
licenzialo, così come gli andava chiesto che
fine hanno fatto gli ottanta milioni di euro
della delibera n.685 del 23 agosto 2011, con
la quale il governatore Iorio e il suo staff
hanno disposto un’anticipazione a favore
del commissario delegato con fondi destinati alle aree sottoutilizzate. È noto che con il
detto provvedimento è stata disposto, per la
verità solo sulla carta, uno spostamento di
soldi dalle casse regionali a quelle del commissario delegato, sempre Iorio, fondi mai
pervenuti alla struttura commissariale nonostante i numerosi solleciti di Iorio, sempre
lui: vedi Decreto Commissariale n. 2, punto
9, del 30/03/2012. Avrebbero scoperto, i
due, se appena una volta si fossero occupati
di terremoto nella vita, che quella delibera,
elettorale come tante altre, non si sarebbe
potuta assumere nonostante il parere favorevole di tutta la corte di Iorio. In definitiva dei
346 milioni di euro assegnati al Molise per
la ricostruzione post sisma con delibera
CIPE dell’Agosto 2011, ammesso che
l’iniziativa del sen. Ruta abbia successo, se
ne svincoleranno solo 15. Altro che grancassa, la stampa molisana dovrebbe suonare il
de profundis. Se la Giunta regionale discutesse di queste cose e non del quinto assessore, almeno sapremmo di che morte morire. È utile ancora ricordare che dal 2008,
fondi freschi per il sisma
non ne sono stati mai
stanziati e alla fine di
marzo del 2012, nelle
casse dell’Agenzia della
Protezione civile appena
istituita, c’erano solo tre
milioni di euro. Da allora
ad oggi neanche un centesimo di euro è stato
erogato dallo Stato centrale a favore della Regione, motivo per cui, la
buona novella di Ruta è
utile a fare rumore, non a
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marzo 2005
risolvere il drammatico problema delle imprese che hanno anticipato milioni di euro
sulla base delle buone novelle raccontate da
altri prima di lui.
E veniamo alla terza buona notizia. Ospitare nel Bassomolise dodicimila
vacche per di più anche gravide è cosa buona e giusta. Le mucche producono latte,
carne e anche letame buono per concimare i
campi, mangiano scarti di barbabietola prodotti dal vicino zuccherificio, e secondo il
capogruppo PD alla Commissione agricoltura del Senato, anche senza grandi investimenti sarà un gioco da ragazzi realizzare
questa importante operazione. Ma se è un
gioco da ragazzi, perché non giocano i ragazzi di Granarolo? avrebbe detto Sergio
Leone. Perché la Granarolo spa, pur consumando una parte importante dell’ambiente
molisano, restituisce al Molise solo le briciole, nella migliore delle ipotesi forse un
cinquantina di posti di lavoro, e porta via da
queste terre quello che le stesse hanno prodotto? E poi, trattandosi di sviluppo per il
quale l’Ente Regione ha competenza esclusiva, per quale motivo, di questa partita, si
occupa direttamente il sen. Ruta e non il
governatore col suo assessore all’agricoltura
prima e il consiglio regionale poi? Paradossalmente il Molise soffre meno del Nord la
drammatica situazione economica: nulla
c’era prima, nulla c’è adesso. Non esiste un
modello industriale da trasformare, non un
modello agricolo da riconvertire, in buona
sostanza niente da abbattere. Tutto ciò potrebbe favorire l’avvio di nuovi modelli
sviluppo se solo ci fosse una classe dirigente
capace di pensarlo prima ancora di realizzarlo, senza ricorrere a progetti d’occasione,
dismessi da altri.☺
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Sembra esserci nell`uomo, come nell`uccello, un bisogno