S. Curato d’Ars
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150° anniversario - 4 agosto 1859
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Isolalta, 15 agosto 2009
Solennità dell’Assunzione della Vergine Maria
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PREGHIERA PER L'ANNO SACERDOTALE
Signore Gesù, che in san Giovanni Maria Vianney hai voluto donare
alla Chiesa una toccante immagine della tua carità pastorale, fa' che, in sua
compagnia e sorretti dal suo esempio, viviamo in pienezza quest'Anno
Sacerdotale.
Fa' che, sostando come lui davanti all'Eucaristia, possiamo imparare
quanto sia semplice e quotidiana la tua parola che ci ammaestra;
tenero l'amore con cui accogli i peccatori pentiti; consolante l'abbandono
confidente alla tua Madre Immacolata.
Fa', o Signore Gesù, che, per intercessione del Santo Curato d'Ars, le
famiglie cristiane divengano « piccole chiese », in cui tutte le vocazioni e
tutti i carismi, donati dal tuo Santo Spirito, possano essere accolti e
valorizzati. Concedici, Signore Gesù, di poter ripetere con lo stesso ardore
del Santo Curato le parole con cui egli soleva rivolgersi a Te:
« Ti amo, o mio Dio, e il mio solo desiderio
è di amarti fino all'ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, o Dio infinitamente amabile,
e preferisco morire amandoti
piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore, e l'unica grazia che ti chiedo
è di amarti eternamente.
Mio Dio, se la mia lingua
non può dirti ad ogni istante che ti amo,
voglio che il mio cuore te lo ripeta
tante volte quante volte respiro.
Ti amo, o mio Divino Salvatore,
perché sei stato crocifisso per me,
e mi tieni quaggiù crocifisso con Te.
Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti
e sapendo che ti amo». Amen.
Papa Benedetto XVI
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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 5 agosto 2009
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San Giovanni Maria Vianney,
Santo Curato d’Ars
Cari fratelli e sorelle,
nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars
sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa
nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle
stesse sfide fondamentali umane e spirituali.
Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino
del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua
esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin
dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt
25,34).
Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così zelante pastore!
Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per
mezzo dalla sua opera di parroco e confessore!
Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno
Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del
sacerdote.
Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in
definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.
Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8
maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma
ricca di umanità e di fede.
Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita,
consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi
e al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta.
Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso
religioso che si respirava in casa.
I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà
anche nelle mansioni più umili.
Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo.
Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie
all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma
seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane
veramente singolare.
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Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente
all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire
l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.
Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto.
Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo
si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé Monnin,
Esprit du Curé d’Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete,
vorrei conquistare molte anime” (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu.
Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo
parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col
proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile,
alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le
proprie pecore (cfr Gv 10,11).
Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale.
La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando
la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere
molte ore nel confessionale.
Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione
e rispetto.
Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo
ministero delle confessioni.
Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento
dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi rimetterete i peccati
saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (cfr Gv 20,23).
San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e
maestro spirituale.
Passando “con un solo movimento interiore, dall’altare al confessionale”, dove trascorreva gran
parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di
far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale,
mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per
l’Anno Sacerdotale).
I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle
attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in
un mondo tanto cambiato?
Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c’è
però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare.
A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla
missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di
fiducia, nelle mani della Provvidenza divina.
Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo
leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le
più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con
Cristo.
Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che
nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il
gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio.
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La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più
per il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo
tra Dio e me.
La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza
spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi” (Joseph Ratzinger, La Comunione nella
Chiesa, p. 80).
Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure
ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la
forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima
attualità.
Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo”
volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per
partecipare alla Santa Messa.
Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a
mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici
bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.
Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società
odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la
“dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di
“dittatura del relativismo”.
Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della
propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità.
Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la
sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo
mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere
nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo.
Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua
ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.
Avevano ben presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del
Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, “quali educatori
della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di aprire “a tutti gli uomini la
strada che conduce a Cristo” e di esercitare “una vera azione materna” nei loro confronti,
indicando o agevolando a chi non crede “il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e
costituendo per chi già crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr
Presbyterorum ordinis, 6).
L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che,
alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con
Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno.
Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa
amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore
misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità
spirituale alle comunità che il Signore gli affida.
Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono
alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e
coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che proprio oggi
invochiamo come Madonna della Neve.
(Udienza del S. Padre - 5 agosto 2009 )
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Il Santo Curato d’Ars:un esempio più che mai attuale
In occasione della festa liturgica del Santo Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, che si celebra oggi,
l’arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il clero, ha scritto una lettera ai sacerdoti.
Riportiamo il testo.
Cari confratelli nel sacerdozio, nella fausta ricorrenza del 150° anniversario della nascita al
cielo di san Giovanni Battista Maria Vianney (4 agosto 1859), mi è caro rivolgere a ciascuno un
rinnovato augurio di buon Anno Sacerdotale.
Il Curato d’Ars (1786-1859) si staglia davanti a noi come eccelsa figura di sacerdotale santità,
vissuta non nella particolare straordinarietà delle opere, ma nella quotidiana fedeltà nell’esercizio del ministero; divenuto modello e « faro » per la Francia d’inizio Ottocento e per
la Chiesa tutta, di ogni tempo e luogo, Egli è, per ciascuno di noi, fonte di consolazione e di
speranza, anche in mezzo a talune « stanchezze » che possono toccare il nostro sacerdozio.
La sua totale dedizione è stimolo alla nostra gioiosa donazione a Cristo ed ai fratelli, perché il
ministero sia sempre eco luminosa di quella consacrazione dalla quale deriva lo stesso mandato
apostolico e, in esso, ogni fecondità pastorale!
Il suo amore a Cristo, carico anche di umanissima e sincera affezione, sia per noi
incoraggiamento ad innamorarci sempre più profondamente del « nostro Gesù » : sia Lui lo
sguardo che cerchiamo al mattino, la consolazione che ci accompagna alla sera, la memoria e la
compagnia di ogni respiro della giornata.
Vivere, sull’esempio di san Giovanni Maria Vianney, come innamorati del Signore, significa
riuscire a tenere sempre alta la tensione missionaria, divenendo progressivamente ma realmente,
immagini viventi del Buon Pastore e di colui che proclama al mondo: « Ecco l’Agnello di Dio »
.
Il reale « rapimento » spirituale del Curato d’Ars durante la celebrazione della Santa Messa
sia per ciascuno di noi esplicito invito ad avere sempre piena consapevolezza del grande dono
che è stato affidato alle nostre persone: dono che ci fa cantare con sant’Ambrogio: « ... E noi,
elevati a tale dignità da consacrare il corpo ed il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, tutto
possiamo sperare dalla Tua Misericordia! » .
La sua eroica dedizione al confessionale, nutrita di reale spirito espiatorio ed alimentata dalla
consapevolezza di essere chiamato a partecipare della « sostituzione vicaria » dell’unico
Sommo Sacerdote, ci sproni a riscoprire la bellezza e la necessità, anche per noi sacerdoti, della
celebrazione del sacramento della Riconciliazione.
Esso è, ben lo sappiamo, un luogo di reale contemplazione delle opere meravigliose di Dio nelle
anime che Egli delicatamente affascina, conduce e converte; privarsi di un tale « meraviglioso
spettacolo » è un’irreparabile ed ingiusta privazione, oltre che per i fedeli, anche per il proprio
ministero che si nutre dello stupore che nasce per ogni miracolo della libertà umana che dice «
sì! » a Dio!
Infine l’amore filiale e carico di commoventi attenzioni del Santo Curato d’Ars per la Beata
Vergine Maria, alla quale non esitò a consacrare se stesso e tutta la sua Parrocchia, ci sia di
stimolo, in questo Anno Sacerdotale e sempre, per lasciar risuonare nel nostro cuore di padri,
quasi con ostinata fedeltà, l’eccomi di Maria: il suo «per tutto» e «per sempre» che
costituiscono l’unica reale misura della nostra sacerdotale esistenza.
Buona festa di San Giovanni Maria Vianney.
arcivescovo Mauro Piacenza
segretario della Congregazione per il clero
(Avvenire - 4 agosto 09)
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Un prete felice perché innamorato
S. Giovanni Maria Vianney nella riflessione
del Card. Giovanni Colombo
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di Eliana Versace
Cinquant’anni fa, il 1° agosto 1959, Papa Giovanni XXIII celebrò solennemente il
centesimo anniversario della morte di Giovanni Maria Vianney promulgando un'enciclica,
la Sacerdotii Nostri Primordia, seconda del suo pontificato, rivolta soprattutto ai sacerdoti
ai quali - seguendo il solco tracciato dai suoi predecessori, da Pio X sino a Pio XX proponeva come esemplare per lo svolgimento del loro ministero, l'umile figura del santo
curato di Ars.
Tra i più attenti lettori della seconda enciclica giovannea vi fu il futuro arcivescovo di
Milano e cardinale, Giovanni Colombo, che meditando il testo papale e commentando
l'esperienza del Vianney, scrisse numerose note, riflessioni, sintesi e osservazioni, disperse
in una miriade di appunti. L’interesse suscitato in lui dalla vicenda del curato d'Ars, era
comprensibilmente motivato dalla sua trentennale esperienza d'educatore e formatore di
sacerdoti, alla guida dei seminari milanesi.
E divenuto arcivescovo di Milano, toccò proprio a lui consacrare nel capoluogo lombardo,
nell'ottobre del 1964, una nuova chiesa intitolata al santo Curato d'Ars, adempiendo la
disposizione del suo predecessore, il cardinale Giovanni Battista Montini, che quel rito
avrebbe dovuto presiedere nel giorno da lui stabilito, il 21 giugno 1963.
Ma proprio in quella particolare giornata, che il cardinale Montini voleva riservare al curato
d'Ars, il conclave convocato due giorni prima, lo elesse Papa.
Paolo VI volle pertanto fare dono personale dell'altare alla nuova chiesa milanese, eretta con
la colletta di 2.065 sacerdoti diocesani.
Nel 1986, in occasione della celebrazione del bicentenario della nascita del Vianney, il
cardinale Colombo, che ormai da alcuni anni aveva lasciato la guida dell'arcidiocesi
ambrosiana, riprese quei numerosi appunti suscitati in lui dall'enciclica del 1959 e ampliati
nel corso degli anni e - sollecitato anche dalla Lettera che, nella memoria del curato d'Ars,
Giovanni Paolo II rivolse a tutti i sacerdoti in occasione dei giovedì santo di quell'anno volLe completarli e arricchirli, predisponendo un testo
Che venne pubblicato sulla rivista «Studi Cattolici» (30,1986, pp. 659-664).
L'attualità delle sue riflessioni e una singolare prospettiva offertaci sul Vianney, con quella
sagacia perspicace che era tratto caratteristico e inconfondibile della personalità del
cardinale Colombo, ci spingono a fermare lo sguardo su questo testo che l'evolvere dei
tempi non ha usurato, raccolto con cura meticolosa dal fedele segretario, monsignor
Francantonio Bernasconi, e riproposto ora in un apposito fascicolo de «I Quaderni
Colombiani» - in occasione dell'anno sacerdotale straordinario indetto da Benedetto XVI nel
150° anniversario della morte del santo curato - insieme a un altro lungo articolo di
Colombo sempre sul Vianney, pubblicato sul quotidiano «Avvenire» il 28 ottobre 1986.
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E’ in particolare un interrogativo che determina la riflessione del cardinale Colombo sul
curato d'Ars: perché Givanni XXIII nel 1959 con la sua enciclica – il cui significato venne
ribadito ed attualizzato da Giovanni Paolo II nel 1986, alla luce del Concilio – non trovò «di
meglio che additare l’esempio di un prete piccolo e brutto, non privo di qualche intelligenza,
ma certo non ricco di doti umane, senza possibilità di carriera, parroco di un minuscolo ed
insignificante villaggio francese, donde non si è mai mosso in cerca di nuove e allettanti
esperienze»?
Sembrava un insensato paradosso, quasi una beffa, che ai sacerdoti del XX secolo, in
continuo confronto con le incalzanti sfide della modernità, venisse proposto l'esempio del
prevosto ottocentesco di una sperduta parrocchia di campagna.
Qual era in fondo la sua grandezza, si chiedeva insistentemente il cardinale Colombo,
raccogliendo ed echeggiando le analoghe domande dei suoi sacerdoti?
Se appare comprensibile il quesito da cui muoveva la riflessione del cardinale, sorprendente
ci sembra, a prima vista, la risposta che egli si dava.
Quell'irresistibile attrazione esercitata dall'umile parroco francese su folle sempre più
numerose che accorrevano a lui, non era dovuta, secondo Colombo, ai suoi doni carismatici
di profezia, lettura dei cuori, taumaturgia; «non sono gli interventi straordinari – miracolosi
e divini – che hanno reso efficace l'azione pastorale del curato d'Ars», notava il cardinale.
E nemmeno impressionavano le suggestive lotte notturne col diabolico «principe delle
tenebre, il perfido e chiassoso Grappin», o «l’ascetismo d'eccezione» in cui alcuni hanno
ravvisato la peculiare caratteristica della santità del curato d'Ars.
Ebbene, invece, Giovanni Maria Vianney piaceva alla gente e la avvicinava numerosa a sé
perché era un uomo «perdutamente innamorato». E, se il supremo oggetto del suo amore
era il Signore Gesù, le modalità con cui esprimeva il suo insistente sentimento erano quelle
comuni a ogni innamoramento umano. Gesù - rilevava il cardinale - era divenuto «il suo
pensiero dominante, il palpito infuocato del suo cuore, la logica dei suoi ragionamenti,
il sospiro delle sue notti insonni, l'energia delle sue giornate spossanti, la dolce
presenza delle sue ore solitarie» ed infine anche «l'amplesso che lo attende, a volto
svelato», oltre la morte.
L'amore con cui il curato d'Ars si legò per sempre a Cristo fu - secondo Colombo come ogni sincero e profondo amore umano, «un amore totalitario, esclusivo, geloso».
Talmente intenso da condurre all'annullamento felice di sé per donarsi completamente
all'amato, perdendosi nella sua volontà, pronto a rinunciare a tutto per lui, fin'anche alla
propria identità e - come del resto avviene alla sposa nell'unione matrimoniale - pure al
proprio nome precedente. Si chiamava Giovanni Maria Vianney, notava infatti il cardinale
Colombo ma, per amore, abbandonò anche il suo nome per diventare per tutti solo «il curato
d'Ars».
E per proteggere il suo amore, aggiungeva Colombo, con un'affermazione tanto singolare
quanto perentoria divenne «un violento».
E’ una lettura certamente originale quella del cardinale, che raccontandoci la vita di
Vianney, come un'insolita e suggestiva storia d'amore, intendeva additare il suo esempio
estendendolo non solo ai sacerdoti, cui più direttamente si rivolgeva, ma a tutti i fedeli.
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«Chi non ama per sempre - osservava il cardinale - non ama davvero. Questa legge
radicale e sincera deve guidare anche l'amore umano».
Ma aggiungeva una inusuale considerazione: «chi non ama con violenza - scriveva - non
ama sul serio», perché ogni amore puro, che aspiri a durare per sempre, è un amore violento
e la conquista, anche in questo campo, avviene con violenza, superando l'orgoglio personale
che imbriglia il sentimento e vincendo ogni resistenza che frena il trasporto amoroso.
«Intendiamoci bene - spiegava Colombo parlando del Vianney - egli è un violento
nell'esigere da sé; violento come una fiumana in piena contro gli sbarramenti dell'amore che
sono i peccati; violento contro l'orgoglio delle anime riluttanti ad arrendersi all'amore;
violento, a volte, anche nella predicazione».
Ma l'azione di questa sua violenza, che talvolta in alcune sue espressioni, spaventava coloro
che gli si accostavano, trovava la sua unica ragione «nel fuoco d'amore che gli bruciava il
cuore».
Come ogni innamorato che, quasi mosso da un'insaziabile voracità, vorrebbe possedere tutto
del suo amato e conoscerne, con gelosa curiosità, ogni suo istante, così per amare Cristo,
che trascende il tempo - come un eterno presente in cui nulla di ciò che è passato è perso il curato d'Ars ama con assillante passione tutto ciò che Lui ha amato ed ama.
Spendendosi tenacemente, senza sosta, per ciò in cui crede e dedicando tutta la vita a
colei che di Cristo è creatura ed eredità, il suo lascito alla storia: la Chiesa.
E interpretando in tal modo, con la sua stessa vita, quella che, forse, è la più bella
dichiarazione d'amore di tutti i tempi, pronunciata proprio da Gesù con parole esigenti che
interrogano e scuotono ancora la nostra anima, commuovendola fin nel profondo: «Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni, 15, 13).
Solo così, rinunciando a se stesso, abbandonandosi all'amore divino e lasciandosi travolgere
dall'ebbrezza di questo sentimento, Vianney diventa un uomo felice, con «le vene del suo
essere profondo colme di sovrumana felicità». E’ proprio questo il suo segreto, «la felicità
dell'innamorato» che non teme più nulla perché si sente protetto e sicuro tra le braccia
dell'amato.
Anche se la vita del santo curato non fu priva di quei dolori e quelle fatiche che i disegni
divini, in maniera diversa, riservano a ciascuno nel corso della vita, come a voler provare,
talvolta ripetutamente e con misure a noi sconosciute, la nostra fede, egli fu, per tutta la vita
un uomo felice.
Ma ogni uomo - chiosava il cardinale Colombo - che sappia amare «davvero, cioè con tutto
il cuore, per sempre, con violenza», senza timori, infedeltà, dubbi e resistenze, Dio e
chiunque la divina Provvidenza, nel suo misterioso progetto di, salvezza, gli affiancherà
lungo il corso della vita, diventerà realmente un uomo felice.
«L'amore - osservava il cardinale Colombo con una rara delicatezza, quasi poeticamente,
sublimando così l'esperienza del curato d'Ars e rendendo esemplare per tutti i fedeli il suo
messaggio – è una partenza del cuore verso la riva della persona amata».
E proprio nella smisurata capacità d'amare è la vera grandezza di Giovanni Maria
Vianney che, per amore di Gesù e ispirato da una straripante virtù di carità, seppe intuire e
abbracciare quell'insopprimibile desiderio, nascosto nel cuore di ognuno, d'essere accolto,
ascoltato, amato.
“L’ Osservatore Romano – 3-4 agosto 2009”
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L’essenzialità del S. Curato d’Ars
spiega la sua perenne attualità
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Tra i biografi di san Giovanni Maria Vianney, padre Antonio Maria Sicari, carmelitano
scalzo di Brescia, scrittore e agiografo, fondatore del Movimento ecclesiale carmelitano,
esprime all’interno del libro «Ritratti di Santi» il dramma mistico e spirituale dell’essere
ministro di Dio e di come il santo di Ars possa essere d’esempio per i preti di oggi: «Il
Curato d’Ars era un uomo umile e un prete che agiva 'in persona di Cristo' a tal punto che la
sua persona quasi si identificava col ministero sacerdotale che svolgeva – spiega –. Da un
lato deve credere che il suo ministero è efficace indipendentemente dalla sua bravura e
coerenza personale, ma dall’altro è importante che il prete 'conformi' la sua persona a quella
di Gesù, anche soggettivamente in modo che il suo servizio diventi più glorioso, anche se
non mancheranno aspetti di umana debolezza.
Il santo Curato d’Ars è stato un esempio splendido perché mise al centro della sua vita e
della sua missione la Parola di Dio e i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia».
Qual è il modello di sacerdote testimoniato dal santo? «È un prete – afferma Sicari – che
passa la vita nella sua chiesa, innamorato dell’Eucaristia e confessore instancabile.
Quando parla di Gesù parla da innamorato e non sa parlare che di Lui. Egli non andava in
chiesa, ma 'abitava' in chiesa, accogliendo tutti. E la gente imparò da lui ad amare i
sacramenti e la Parola di Dio; imparò ad amare il perdono del Signore e a vedere il dolore
del peccato: dalla sofferenza del suo volto i peccatori capivano quanto fosse grave trattar
male un Dio così buono».
La «lezione» del Curato d’Ars per la vita, le fatiche e le attese dei sacerdoti vive una nuova
attualità: «I preti – continua il biografo – spesso sono tentati di fare tante cose; quando
cominciano a dimenticare l’Eucaristia, la confessione e la Parola, tutto il resto rischia di
diventare un’opera di assistenza sociale. Quando il prete per primo comincia a non pregare,
a non amare i sacramenti e le Scritture, tutto perde significato. Più la vita diventa frenetica,
più il rischio è grande.
I doni ricevuti da Dio non vanno staccati dai compiti. Se tutti i preti rimettessero al
centro delle loro preoccupazioni pastorali i sacramenti e le Scritture credo che sarebbe
una grande conquista».
Il movimento fondato da padre Sicari testimonia che la mistica e la santità sono per tutti:
«Ogni cristiano è chiamato a scendere nelle profondità del proprio cuore, dove abita Dio
stesso. Non si tratta di intimismo, ma di essere intimi a Dio e incontrarlo in tutti gli spazi
della vita fino a che l’intera esistenza diventi preghiera.
Il santo Curato lo sapeva bene e si dedicò totalmente alle anime di coloro che gli si
avvicinavano, soprattutto nella confessione. Ascoltava i peccatori, leggeva in loro come
in un libro aperto, ma soprattutto li innamorava di Dio. Di tutto ciò abbiamo bisogno
anche in questi nostri giorni».
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(Avvenire – 5 agosto 2009)
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Pensieri del S. Curato d’Ars
•
“Un’anima pura è animata dalle Tre Persone della SS. ma Trinità”: Il Padre contempla
le sue opere: “ecco dunque le mie creature”; Il Figlio, il prezzo del suo sangue “si
conosce la bellezza di un oggetto dal prezzo che ci è costato; lo Spirito Santo vi
abita come in un tempio”.
•
“Non si può capire il potere che un’anima pura ha sul Buon Dio, ma Dio che fa la sua.
•
“La nostra lingua dovrebbe essere usata solo per pregare e il nostro cuore solo per
amare”.
•
“La preghiera è onnipotente presso Dio”.
•
“Se capissimo quanto è dolce camminare sempre alla presenza di Dio, sentirci sotto il
suo sguardo, lasciarci condurre dalla sua mano, penseremmo sempre a Lui, non
potremmo fare altrimenti, sarebbe la nostra più grande gioia”
•
“Un cristiano che avesse fede morirebbe d’amore”
•
“Quelli che non hanno nessuna sofferenza da sopportare, sono come acque che
imputridiscono. Ma quelli che sopportano le sofferenze, sono come le acque che
scorrono veloci e sono ancora più limpide quando passano sulle rocce e cadono in
cascata”.
•
“Le preghiere gradite al Buon Dio sono quelle che sgorgano dal profondo del cuore, con
grande rispetto e vero desiderio di piacere a Dio”.
•
Le prove ci portano ai piedi della Croce e la Croce ci fa entrare in Cielo”.
•
“L’anima che smette di pregare muore di fame”.
•
“La preghiera è il grido dell’angelo, il peccato è il grido della bestia”.
•
“L’immagine di Dio si riflette in un’anima pura come il sole nell’acqua”.
•
“La porta del Cielo è chiusa all’odio, alla cattiveria, al risentimento”
•
“Quelli che serbano rancore sono infelici e isolati: ha la fronte corrugata, il cuore in
subbuglio, degli occhi che sembrano divorare tutto”
•
“Il segno distintivo degli eletti è l’amore, come il segno dei dannati è l’odio”
•
“La collera annienta la pace e distrugge la serenità delle famiglie. Semina a piene mani
divisione, inimicizie, odi”
•
“Oh, figli miei, com’è triste! Tre quarti dei cristiani lavorano solo per soddisfare questo
cadavere (il corpo) che presto marcirà sotto terra (intenti solo al piacere del corpo).
Mancano di spirito e di buon senso!”
•
“L’uomo creato per amare Dio, per possedere Dio, non lo ama e ha altrove i suoi affetti”
•
“Colui che non prega si priva di ciò che è indispensabile per vivere”
•
“Se all’inferno si potesse pregare, l’inferno non esisterebbe più”
11
•
“Non c’è niente che offenda il Buon Dio come la mancanza di fiducia nella sua
misericordia”
•
E’ il nostro orgoglio che ci impedisce di diventare santi”.
•
“Frugate continuamente nella coscienza degli altri – intromettendovi nelle loro vicende –
e trascurate di coltivare la vostra coscienza”
•
L’amor proprio è la patologia spirituale più pericolosa, che porta alla perdizione un gran
numero di anime; quel cercare sempre la stima di se stessi, il compiacimento degli altri
per quello che facciamo: quanto è dannoso per le nostre anime!”
•
“Cristiani che sanno solo accusare gli altri, che non sopportano niente, sempre pronti a
rispondere a qualsiasi piccolo fraintendimento o disattenzione con parole aspre e
pungenti, sono cristiani solo di facciata, dentro sono vuoti di amore per il Signore e per il
prossimo”
•
“L’invidioso vuole sempre salire, prevalere nell’imporre i suoi gusti, avere il
sopravvento sugli altri, il santo, al contrario, vuole sempre scendere, accetta e sopporta
tutto tacendo e perdonando”. “Così l’invidioso, il permaloso, il puntiglioso scende
sempre più nelle miserie, il santo, invece, sale sempre più verso la santità di Dio”.
•
“Non c’è che Dio che conosce la gravità del peccato”
•
“L’anima si trascina nel peccato come uno straccio trascinato nel fango. Nel peccato la
nostra anima è rognosa, marcia. Fa pena”
•
“Noi commettiamo i peccati come si beve un bicchiere d’acqua, senza timori, né rimorsi.
Affondiamo in questo fango, vi marciamo come talpe, per mesi, per anni!”
•
“Il peccato oscura la fede nelle anime come la nebbia spesso oscura il sole ai nostri
occhi: vediamo che è giorno, ma non possiamo distinguere il sole”
•
“Una persona che è nel peccato è sempre triste. Anche se all’esterno ostenta allegria e
felicità. E’ tutta una finzione, una sceneggiata. Non c’è niente che la possa appagare in
profondità. Questi poveri peccatori saranno dunque sempre infelici, in questo mondo e
nell’altro”
• “Maria caccia il demonio che tiene in potere una persona per impedirle la conversione”
• “Rivolgiamoci a Maria con grande fiducia, e siamo sicuri che, per quanto siamo
miserabili, lei otterrà la grazia della nostra conversione”
• “La Santissima Vergine sta tra suo Figlio e noi. Quanto più siamo peccatori, tanto più
Ella sente tenerezza e compassione per noi”
• “Maria è così buona che non smette di mandare uno sguardo di compassione al
peccatore. Aspetta sempre che egli la invochi”
• “Se il peccatore invoca questa buona Madre, essa lo fa in qualche modo entrare dalla
finestra”
• “ Nel cuore della SS.ma Vergine, non c’è che misericordia”
(Pensieri del S. Curato d’Ars)
12
Aspettative di un laico da parte del sacerdote:
“Conoscere i santi di tutti i tempi, risvegliare voglia di santità, trasmettere gli insegnamenti del
Papa, suscitare il gusto della preghiera e della preziosità della vita di grazia come valore supremo”.
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Non mi interessano i campetti di calcio, i cineforum, i teatrini, le conferenze, i baretti con
videogiochi e biliardini, i porticati coi ping pong e il calciobalilla, le vacanze organizzate, il grest, le
pizze dei sabato sera.
In una parola, tutto il ribollente attivismo che ruota intorno alle parrocchie. Lo trovo anche fuori,
nel freddo "mondo", e magari organizzato meglio, più nuovo, luccicante, efficiente, coinvolgente,
appassionante.
Non c'è concorrenza: il "mondo" è specializzato in divertimenti, passatempi, sport, intrattenimenti
vari, in cui ha profuso studi, energie e investimenti.
Voi curatemi l'anima.
Datemi un direttore spirituale che abbia tempo e pazienza per la mia conversione.
Datemi confessori che mi permettano di riconciliarmi con Dio.
Datemi l’Eucarestia da adorare, non tenetela chiusa a doppia mandata nei Tabernacoli d'oro
ad aspettare mentre brucia d'Amore.
Dissetatemi col Vangelo dei semplici, non spiegatemi troppo, sono piccolo, una cosa sola ma
ripetuta, così che possa ritornarmene a casa con la perla preziosa.
Insegnatemi quel digiuno che tutti hanno dimenticato, ma che ho voglia di tentare, non come un atto
di superba autodeterminazione della volontà, ma come fiduciosa invocazione della grazia dello
Spirito.
Mostratemi i Santi, voglio farmeli amici. I filosofi mi hanno condotto su strade sbagliate,
inquinato la mente, divorato la gioia. I Santi sono felici: ditemi il perchè, fatemi scoprire quel filo
segreto che li legava alla SS. Trinità.
Il rosario, ho fame di rosario. Perchè non lo recitate più? Persino nelle veglie funebri, a volte ci si
ferma a tre decine, come se quello intero fosse troppo lungo anche per chi davanti ha l'eternità.
Arricchitemi della Divina Misericordia, fatemi gustare soavemente le invocazioni, le giaculatorie, le
novene- beneditemi e consacratemi ai SS. Cuori di Gesù e Maria.
Parlatemi del mio Papa, di ciò che dice e di ciò che fa. Del Papa si parla raramente fuori dalle
grandi occasioni, se voglio sapere qualcosa devo arrangiarmi con i suoi libri o qualche rivista.
E' poco presente nelle omelie, nelle catechesi.
Mi parlate spesso di voi, di quello che vi sembra giusto, di quello che si dovrebbe fare.
Ma è il Papa la mia bussola, il mio porto sicuro, è lui il "dolce Cristo in terra per favore, fatemelo
gustare.
Incoraggiatemi nella via della carità, dell'altruismo, dell'occuparmi del prossimo.
Plasmate in me uno spirito missionario, inalatemi la voglia di santità.
Pregate per me qualche volta.
Questo desidero, ma tutto insieme, e in ogni parrocchia; non scegliete quello che più vi aggrada,
non discriminate tra ciò che vi sembra più o meno moderno, più o meno consono o proponibile.
Voglio tutti gli strumenti di salvezza che la Chiesa ha preparato per me, ho fame di salvezza
piena,
traboccante, luminosa.
Che abbia 4 o 100 anni, non starò con voi per il grest o il bel campetto o gli amici che ho incontrato.
Ci starò per quel banco consunto in cui mi sono inginocchiato e per quel santo sacerdote che
ho incontrato.
Ci starò perchè Cristo, per mezzo loro, mi ha convertito.
Ecco Chi mi salverà l'anima!
13
Dai quaderni di Maria Valtorta (18 settembre 1943)
Gesù confida a Maria Valtorta: «il destino ve lo fate voi ».
Se siete aperti ad accogliere la volontà del Padre avrete un destino (un futuro) di luce, ma, al
contrario, se chiudete le orecchie e gli occhi per non sentire e non vedere la volontà del Padre,
se chiudete l’anima all’amore per il Signore, per aprirla alla voce della carne, suggestionati da
satana, allora avrete un futuro tenebroso e inquieto che si concluderà con la morte dello spirito.
Chi ama sinceramente Dio si sforza di ascoltarLo e di seguirLo, anche se comporta qualche
fatica o rinuncia.
(La fede non vissuta si riduce a una insignificante superstizione religiosa, a una copertura
ipocrita.)
La misura in cui uno prende sul serio la fede è data dalla misura in cui obbedisce concretamente
ai Comandamenti di Dio, alla Sua volontà, alle sue disposizioni.
E’ falso e illusorio dire di amare Dio e di essere cristiani e poi non voler seguire i suoi
comandamenti.
Chi si intende ingannare con una “doppia vita”, intessuta di atteggiamenti contradditori: “da una
parte, pratiche religiose , attività parrocchiali e dall’altra, al contrario, comportamenti immorali,
cercati e consumati senza scrupoli; si pensa che basti salvare le apparenze?
Ma Dio nessuno lo può ingannare!
Le azioni, le parole, i comportamenti hanno davanti a Dio la loro giusta valutazione, non quella
indulgente e compiacente data da noi o dal mondo.
Dio è amore e misericordia, ma è anche verità e giustizia.
Se diciamo di amare Dio e poi gli rifiutiamo l’obbedienza (perché in concreto facciamo tutto e
solo quello che ci pare e piace), Egli non può che catalogarci tra gli “ipocriti e i mentitori”.
Pensiamo, forse, di imbrogliare satana, assecondando i suoi comodi accomodamenti di
coscienza godendo di questa vita , senza scrupoli, e, ad un tempo, illudendoci di non perdere il
cielo, a motivo di qualche formalismo religioso, barcamenandoci fra satana e Dio, fra il cielo e
l’inferno? Siamo noi che restiamo imbrogliati!
Gesù si è pronunciato categoricamente su questo argomento: “ non si può servire a due
padroni”. “Stare ora di qua, ora di là a seconda di quello che ci soddisfa di più”.
Bisogna fare una scelta radicale.
Ma è proprio questo che noi non vogliamo fare. Perché sotto sotto, ci fidiamo di più di un
piacere, di una soddisfazione del momento, che delle promesse di Gesù.
E’ solo questione di fede e di amore sincero!
Satana è furbo. E ha buon gioco a ingannarci rendendoci diffidenti nei confronti di Gesù, del
Vangelo, della Chiesa. Satana ci lascia nell’illusione di salvarci pur vivendo tranquillamente di
compromessi, di illusioni, di inganni.
In fondo, si tratta di soddisfare una esigenza naturale, un bisogno irrinunciabile, è giusto che ci
si soddisfi, d'altronde fanno tutti così… Quello che ti viene chiesto da Gesù non lo osserva
nessuno, è impossibile! (…quale pretesto comodo e meschino……)
Ma Gesù risponde: “ipocriti, ipocriti, ipocriti”. Nessuno potrà soffocare del tutto la coscienza
che sarà sempre lì a rimproverare la vostra incoerenza, la vostra viltà, la vostra falsità.
“La chiave di certe aberrazioni umane (scrive nel 1943 – non conosceva ancora la RU486)
che crescono sempre più e portano l’individuo a mostruose delinquenze, è in questa voce della
coscienza che voi cercate di attutire con nuovi balzi di ferocia, così come l’intossicato cerca di
dimenticare la sua voluta sventura intossicandosi sempre più, fino a diventare “ebete”.
(Tentativo di tacitare la coscienza).
“Siate dei figli, creature mie. Amate, amate il nostro buon Padre che è nei Cieli. Amatelo per
quanto potete. Facile vi sarà, allora, seguire la sua benedetta Volontà e farvi un destino (un
futuro) di gloria eterna e di pace”.
(Dalle locuzioni interiori di Maria Valtorta – settembre 1943)
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«Questo, forse, potrebbe essere l’ultimo opuscolo.
E’ bello terminare fissando lo sguardo – insieme
– “sacerdoti e fedeli” su questa splendida figura
di “uomo di Dio” che indica a tutti la via del
Cielo, il S. Curato d’Ars.
In lui niente di umano può attirare e affascinare,
è un “piccolo”, un “povero” di cultura e di
qualità prestigiose, che ha “semplicemente”
creduto alla Parola di Gesù, su Gesù ha
scommesso tutto.
Questa è la sua vera grandezza. «Amare il “buon
Dio”, amarLo “perdutamente”, farlo amare da
tutti».
Era l’unica ragione della sua esistenza.
Amava , e insieme si sentiva “intensamente”
riamato, ha trovato sempre un riscontro da parte
di Dio, ha aiutato molti – in un tempo di
razionalismo esasperato, di indifferentismo e di
permissivismo sfrenato – a riscoprire Dio e a
fidarsi di Lui, gustando quanto buono è il
Signore».
Sac. Mario Bonizzato
www.parrocchiaisolalta.it
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Madrid 2011
Giornata Mondiale della Gioventù
(16 – 21 agosto 2011)
Il logo e il suo significato
Il suo autore, il disegnatore grafico e giornalista
spagnolo José Gil-Nogués, ha spiegato durante la
conferenza stampa che lo sfondo del disegno
simboleggia “giovani di tutto il mondo che si
uniscono per celebrare la propria fede accanto
al Papa, ai piedi della Croce, e formano la
corona della Vergine di Almudena, patrona di
Madrid”.
Nella corona spicca proprio la "M" di Maria, iniziale
anche di Madrid.
La Croce rimanda invece al tema della Gmg,
“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”.
Il messaggio del logo è quindi “una catechesi,
un'opportunità di evangelizzazione: la via rapida e
sicura per arrivare a Cristo è la Vergine Maria,
Madre di Dio e degli uomini.
I giovani hanno, nella fede di Maria, l'esempio e il modello per arrivare a
Cristo e realizzare la finalità prioritaria della GMG: far conoscere al
mondo il suo messaggio”.
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