pubblicazioni
Evidenze basate sull’assistenza
per un paziente con un infarto
miocardico
Jaduta Kelly -
Infermiera Waterford Regional Hospital - Irlanda
Traduzione a cura di Sirio Marchetti, Infermiere
A
bstract:
L’assistenza infermieristica di qualità di un
paziente con IMA è realizzata in conformità
con la pratica basata sull’evidenza e dalla compiacenza degli infermieri di adattare la pratica
del nursing con l’emergere di una nuova evidenza.
La cura olistica di un paziente affetto da IMA
racchiude un processo comprensivo di valutazione primaria, pianificazione, intervento e
valutazione finale.
Scopo di questo caso è illustrare le basi e le
prove che puntellano l’approccio olistico nella
cura di questo gruppo di pazienti.
È essenziale ottimizzare i servizi per i pazienti
con problematiche cardiologiche, per intensificare il continuo abbassamento delle percentuali di morte per malattie cardiovascolari.
Di conseguenza, l’evoluzione nell’erogazione
dell’assistenza e la crescente consapevolezza
della necessità di trattare urgentemente i
pazienti con Sindrome Coronarica Acuta (SCA),
hanno portato ad instaurare precocemente la
trombolisi già in P.S. e non solo in UCC.
Comunque, invariabile nella cura dei pazienti
con IMA è l’agire infermieristico in direzione di
un approccio olistico basato sull’evidenza.
Applicando una metodologia di studio del
caso, questo articolo esplora il processo di
valutazione, decisione clinica e selezione degli
interventi infermieristici nelle prime 12 ore di
cura olistica di un paziente con IMA. Il paziente è chiamato con uno pseudonimo.
Presentazione del caso
Joseph Ryan, 60 anni, giunge in PS lamentando toracalgia retrosternale, irradiata alla
mandibola e ad entrambi gli arti superiori. Il
IO INFERMIERE - N.2 /2005
dolore è riferito come “il peggiore mai provato”; ed era accompagnato da dispnea, diaforesi algida e nausea. Il dolore era sorto sotto
sforzo e non è cessato con il riposo, da circa
2 ore. Viene eseguito immediato ECG, raccolta anamnesi centrata sul caso ed una rapida
valutazione fisica. Il tutto conferma un quadro di IMA inferiore.Viene eseguito ECG delle
precordiali destre per escludere un coinvolgimento del ventricolo destro.
Gestione infermieristica immediata in Pronto
Soccorso
Joseph e la famiglia sono stati edotti e rassicurati
rilevazione parametri: PA, FC, FR
O2 terapia 4 l/minuto
monitorizzazione ECG + SO2
somministrazione di ASA 300 mg per os
incanulamento venoso in fossa antecubitale
di entrambe le braccia
prelievo ematico per emocromocitometria,
formula leucocitaria, profilo biochimico, rilevazione dei parametri di coagulazione e
Troponina I.
Valutando le indicazioni e le controindicazioni alla trombolisi, e in accordo con i protocolli ospedalieri basati sull’evidenza
riguardanti il trattamento dell’IMA (tab. 1), il
trattamento trombolitico e la terapia addizionale, previo consenso del paziente, sono
stati iniziati nell’arco di 20 minuti dall’arrivo
in PS (20 minuti è il tempo ideale “door to
neadle” delle linee guida internazionali).
Preparazione per il trasferimento
Woodrow (2000) considera il trasferimento di
pazienti con IMA non complicato presso i centri di UCC come provvedimento ideale.
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Protocollo ospedaliero basato sull’evidenza per il
trattamento della trombosi coronarica
Due puff di nitroglicerina sublinguali
somministrati ogni 5 minuti fino ad un
massimo di 3x2 puff.
ASA 300 mg per os
Valutazione indicazioni e controindicazioni
per trombolisi
Consenso informato del paziente
Tenectaplase 8000 UI in bolo in 10 secondi
(dosare con il peso del paziente)
Eparina (a basso peso molecolare)
1mg/Kg s.c.
Metropololo 5 mg e.v. in 5 min, ripetuto
fino a un totale di 15mg
2.5mg e.v. morfina solfato
Tabella 1
Quindi si è prestata attenzione alla preparazione del trasferimento di Joseph dal PS all’UCC,
ponendo specifica attenzione all’equipaggiamento di trasferimento:
Ossigeno
Monitor
Defibrillatore
Saturimetro
Farmaci di emergenza
Contatto telefonico con personale UCC e
relativa informazione clinica del caso
Compilazione cartella medica/infermieristica
Strategia di valutazione olistica
In UCC è stato realizzato un approccio olistico
sulla valutazione di Joseph, valutando in toto il
suo stato d’essere. L’accurato aggiornamento di
dati clinici era necessario anche dal punto di
vista del benessere psico-fisico-sociale e, quando
necessario, si ricercavano punti di vista e osservazioni dei famigliari per raggiungere tale scopo.
Joseph è stato rassicurato ed edotto sugli interventi praticatigli, avendo cura delle sua dignità e facendo attenzione alla sua privacy.
Valutazione emodinamica
È stato intrapreso un immediato monitoraggio
delle funzioni vitali, incluse PA, FC e ECG a 12
derivazioni. La PA è stata monitorata sul braccio
sn a causa della sua maggior vicinanza all’aorta
(Docher Yy, 2002). L’assenza di vasocostrizione
periferica ha permesso una rapida ed utile perfusione per via periferica (Hillman e Bishop, 1996).
Il monitoraggio ECG per la valutazione di aritmie
e dell’evoluzione del segmento ST è stato impiegato come strumento di valutazione perché non
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invasivo, ben tollerato dai pazienti e fornisce
continue informazioni sul cuore (Docherty e
Douglas, 2003). Ricordare sempre che il paziente
è più importante del monitor (Wark, 1997). Gli
ECG sono complementari alla cura del paziente,
non la sostituiscono (Woodrow, 2000). Quindi, si
imponeva di osservare lo stato di Joseph oltre che
al monitor. Inoltre, Darovic e Frantolin (1999) ravvisano che la valutazione della stabilità emodinamica dovrebbe anche prendere in considerazione
la fisiopatologia e le variazioni compensatorie per
il problema sottostante del paziente. Di conseguenza, una comprensione attiva della fisiopatologia dell’IMA inferiore rafforza il processo di
valutazione dell’emodinamica di Joseph.
Valutazione respiratoria
La valutazione iniziale del paziente coinvolge
l’infermiere ad osservare problemi quali cianosi labiali o freddezza al tatto (Sevon e Ewens,
2001). Polso, ritmo e respiro regolare così
come normo espansione toracica sono state
annotate e documentate (Rocherty, 2002).
Simmetria degli emitoraci, condizioni della
cute e utilizzo della muscolatura accessoria
sono state valutate e documentate (Cox e
McGrath, 1999). Wilson e Channec (1997)
hanno dimostrato che l’ipossienia nelle prime
24 ore è una manifestazione frequente e prevedibile che può non rivelarsi se non si usa il
monitoraggio della saturazione. Il monitoraggio di SO2 di Joseph, teneva comunque conto
di fattori che possono interferire con l’accurata rilevazione di SO2 (tab. 2).
Fattori che interferiscono con un’accurata rilevazione di SO2
Livelli SO2 falsamente elevati
Ipertermia
Luce ambientale
Livelli SO2 falsamente ridotti
Pigmentazione cutanea
Iperlipemia
Luce ambientale
Scarsa rilevazione del segnale
Movimento
Ipoperfusione periferica
Ipotermia
Tabella 2
Ad ogni modo, la SO2 capillare è solo una
componente del complesso sistema del metabolismo dell’ossigeno (Darovic e Franklin,
IO INFERMIERE - N.2 /2005
1999). Perciò, la valutazione respiratoria era
anche effettuata attraverso segni e sintomi di
affaticamento, debolezza, dispnea da sforzo o
vertigini, che possano essere indicativi di ipossia tissutale (Sole et al 2001).
Valutazione del dolore
La valutazione del dolore é stata una priorità perché il dolore continuo é sintomo di IMA che procede, il che aggrava il rischio sul restante tessuto
miocardico non infartuato (Urden et al, 2002).
Teanby (2003) ha commentato che il dolore e la
valutazione del dolore sono vitali per una buona
assistenza medica e infermieristica per giudicare
il progresso del paziente, l’impatto del trattamento e per giungere ad una corretta diagnosi.
Per la valutazione del dolore toracico di Joseph
è stato utilizzato il metodo P,Q,R,S,T (tab. 3).
Metodo PQRST per la valutazione del dolore toracico
P (precipitating end palliative Factors)
Che cosa ha portato al dolore e cosa lo ha ridotto?
Q (quality) Tipo di dolore, a cosa assomiglia?
R (region and radiation)
Localizzazione ed irradiazione del dolore ?
S (severity) grado di dolore da 1 a 10 ?
T (time) da quanto dura il dolore ?
Tabella 3
Per ridurre al minimo le interpretazioni, e al
fine di ottenere dati validi e attendibili, il dolore di Joseph è stato valutato anche in base alla
scala del dolore elaborata dal Manchester
Triage Group (tab. 4), il quale metteva in guardia sulla valutazione dei fattori ambientali-culatroce il peggiore
molto forte
severo
10 nessun controllo
9
8 inabilitante
7 incapacità a svolgere
attività routinarie
abbastanza fastidioso
fitta moderata
6
5
4
3
provoca difficoltà
pochi problemi per
gran parte delle attività
lieve
nessun dolore
2
1
0
attività normali
Tabella 4
IO INFERMIERE - N.2 /2005
turali e psico-percettivi che possono ostacolare
una corretta rilevazione delle caratteristiche del
dolore.
Quindi la valutazione del dolore di Joseph ha
incluso anche manifestazioni soggettive come
smorfie, aumento del tono muscolare o irrequietezza (Kitt et al. 1995).
Valutazione del livello d’ansia
Il livello d’ansia di Joseph è stato preso in considerazione perché ad un aumento dell’ansia
corrisponde un incremento dell’attività neuroendocrina, la quale può peggiorare l’ischemia miocardica (Evans, 1998).
La verbalizzazione dell’ansia, l’espressione del
volto, la tensione facciale, e i movimenti del
corpo sono indicativi dell’ansia del paziente (Sole
et al, 2001). In alternativa, il grado d’ansia viene
ricercato attraverso i meccanismi di adattamento
all’ansia (elevata FC, elevata PA, tachipnea,
midriasi, mucose della bocca asciutte, vasocostrizione periferica). Ciò soprattutto se il comportamento e le risposte verbali sembrano incongruenti alle circostanze (HudaK et al, 1998).
Riscontri oggettivi
La PA di Joseph era 140/90 mmHg, la SO2
99% con 4 l/min, la TC 4°C e la FC 92 b/min,
con, al monitor, un ritmo sinusale normale e la
risoluzione del sopraslivellamento di ST. Non vi
erano né distensione giugulare né edemi periferici. All’auscultazione toracica, non si rilevavano
toni avventizi. Joseph relegava il dolore toracico
al 2° livello della scala Triage Manchester, definendo il dolore lieve. I risultati del prelievo ematico e della radiografia del torace erano nella
norma. Era invece alterato, ed indice di danno
miocardico, la Troponina I (4,8 ng/dl).
Riscontri psicosociali - spirituali
Joseph, contadino vedovo con quattro figli
minorenni, sebbene ansioso, si é presentato
all’UCC vigile e orientato, con GCS 15/15. Ha
una vita attiva, fuma 10-15 sigarette/die e consuma alcolici moderatamente. Fino a qual giorno, Joseph ha sempre goduto di buona salute. I
suoi hobbi includono la pesca ed il tifo per la
nazionale del Galles. È un Cristiano Cattolico.
Piano assistenziale di Nursing
Gli obiettivi del nursing consistevano nell’alleviare i sintomi di Joseph, circoscrivere la lesione
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miocardica, ridurre il carico di lavoro cardiaco e
gestire le eventuali complicanze (Sole et al,
2001). Il piano assistenziale contemplava
anche la prospettiva umana, considerando i
bisogni nella triplice dimensione psichica-fisica-socioculturale (tab. 5) (Kinney et al, 1998).
SOPRAVVIVENZA
RIDOTTA
SOFFERENZA
GUARIGIONE
CONSIDERATO
UN INDIVIDUO
NON UN NUMERO
BISOGNI
FISICI
RELAZIONI
FAMILIARI
INFORMATO
RELAZIONE
CON IL
MONDO
RISPETTATO
BISOGNI
PSICOLOGICI
COINVOLTO
NEL PROCESSO
DECISIONALE
RICEVE SUPPORTO
EMOTIVO
BISOGNI
SOCIO
CULTURALI
CREDO
RELIGIOSO O
SPIRITUALE
VALORI
CULTURALI
REGOLE
INTERPERSONALI
Tabella 5
Interventi di riperfusione miocardica
L’ossigeno terapia é stata continuata a 4 l/min
per via sondino naso-faringeo perché era
importante aiutare il tessuto miocardico a continuare la sua attività di pompa e riparare il tessuto danneggiato attorno al sito d’infarto (Sole
et al, 2001).
Il paziente é stato messo in posizione semiseduta per favorire una migliore espansione
polmonare, diminuire il ritorno venoso, diminuire il precarico ed abbassare così il carico di
lavoro cardiaco (Urden et al, 2002).
L’ossigeno terapia era umidificata per prevenire danni alla funzione mucocialiare e per inumidire le vie aeree superiori, con conseguente
miglioramento nello sacmbio gassoso (Adam
and Osborne, 1997). È stata fornita ulteriore
umidificazione del cavo orale come misura di
maggior confort. È stato predisposto il riposo a
letto, per limitare il consumo di ossigeno, promuovendo il processo di guarigione ed alleviamento del dolore (Thonpson, 1997).
Interventi di alleviamento del dolore
Dopo aver constatato che i tre accessi venosi
periferici di Joseph fossero intatti e funzionali,
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è stata aumentata la perfusione di Nitrati
20mg/20ml (in pompa-siringa) da 0,6 ml/h a
0,9 ml/h come da protocollo ospedaliero, per
dilatare le arterie coronarie e ridurre il dolore
ischemico (Vielteis, 2003). Una ripetuta terapia
narcotica (Morfina Solfato 2-4 mg e.v. in bolo)
mirava a ridurre il dolore e l’ansia, poiché questi ultimi possono portare ad una diminuzione
della soglia di innesco di aritmie, aumento del
carico di lavoro miocardico e stimolo a vasospasmo coronarico (Thomson, 1997). Sebbene
le proprietà vasodilatatorie della morfina inducono riduzione della pressione arteriosa,
Woodson (2000) asserisce che un adeguato
alleviamento del dolore é importante sia per
ragioni prettamente umane che per prevenire
ulteriori risposte allo stress. Oltre a garantire al
paziente un certo comfort durante il dolore, é
stata intrapresa una relazione di fiducia, rispetto e supporto facilitandone la presa di coscienza e l’autostima semplicemente attraverso la
presenza -essere li per lui- e creando un rapporto di complicità (Taylor, 1992).
Interventi sull’ansia e lo stress
Le continue spiegazioni e rassicurazioni sono
state necessarie per dissipare la paura e l’ansia
per Joseph e la sua famiglia. Segnalata dalle
risposte comportamentali, verbali e non-verbali, l’ansia di Joseph é stata ridotta anche con il
contributo del terapeutico uso infermieristico
del tatto e del contatto. Il contatto fisico del
paziente é uno strumento potente per preservare la sua individualità ed unicità (Winney et
al, 1998). Comunque era necessario anche atabilire e mantenere legami professionali assicurando che la relazione infermiere/paziente
non divenisse troppo personale evitando un
eccessivo coinvolgimento col paziente stesso
(Sheets, 2001). Ulteriori misure di promozione
del comfort e riduzione dello stress sono state:
Controllo del rumore circostante
(Urdeu et al, 2002)
Spiegazione del significato del suono degli
allarmi (Woodrow, 2000)
Assicurarsi che la conversazione del personale non disturbasse il paziente
(Kinney et al, 1998)
Riconoscimento delle sue paure e ansie
IO INFERMIERE - N.2 /2005
(Whiteley et al, 2000)
Rivolgersi nei suoi confronti con rispetto
(Kinnry et al, 1998)
Favorire la presenza della sua famiglia, permetterle di toccarlo e confortarlo (Whiteley et
al, 2000)
Ascolto attivo (et al, 1998)
Presentazione del personale col proprio
nome (Kinney et al, 2000)
Appropriato utilizzo di tende o paravento
per garantire la sua dignità e privacy (Kinney
et al, 1998)
Controllo del dolore (Docherty and
Douglas, 2003)
Garantire la propria presenza (Kinney et al,
1998)
Fornire assistenza in un modo calmo, confidente e d’aiuto (Sole ed al, 2001)
Cura spirituale (Hudak et al, 1998; Kinney et
al, 1998; Sole et al, 2001; Urden et al, 2002)
Fornirgli un campanello di chiamata (Urden
et al, 2002)
Interventi nelle complicanze di IMA
Le aritmie sono gli eventi più frequenti tra le
complicanze dell’IMA, con un’incidenza virtuale del 100% (Hubbard, 2003). Un’alta soglia
di attenzione, attraverso il monitoraggio del
tracciato, é stata riservata alla fibrillazione
ventricolare, poiché questa rappresenta un’aritmia che mette in pericolo di vita (Docherty
and Roe, 2001). È stato fortemente incoraggiato il riposo a letto per ridurre il lavoro cardiaco. È stata concessa la comoda a lato del letto,
per garantire una certa dignità e un po’ di
comfort nell’espletamento delle funzioni fisiologiche, monitorizzando la diuresi.
Appena giunto in UCC, sul tracciato di Joseph
sono comparsi un RIVA di 5-10 sec e numerosi battiti prematuri ventricolari. Maj et al (2001)
sostengono che queste aritmie da riperfusione
sono spesso autolimitantesi e non richiedono
un trattamento. Anche se lo stato di Joseph
non richiedeva intervento alcuno, sono stati
preparati e resi immediatamente disponibili
all’occorrenza i farmaci dell’emergenza cardiaca. Gli interventi di nursing includevano anche
un’attenta vigilanza su eventuali ulteriori complicanze (tab.6).
IO INFERMIERE - N.2 /2005
Principali complicanze nell’IMA
Tabella 6
Shock cardiogeno
Rottura del miocardio
Scompenso cardiaco
Morte improvvisa
Tromboembolia
Difetto del setto Interventricolare
Aneurisma ventricolare
Rottura dei muscoli papillari
Estensione dell’infarto
BAV di grado avanzato in seguito a IMA
inferiore poichè nel 90% della popolazione la
coronaria destra irrora il nodo atrioventricolare
Ovviamente, Joseph non ha avuto complicanze
e non si sono osservate oscillazioni soggettive
e oggettive dalla sua linea di base.
Interventi nelle complicanze della terapia
La più importante complicanza potenziale della
terapia trombolitica è il sanguinamento, in particolare l’emorragia cerebrale (Brown et al, 2000).
Da ciò, è stata attuata una continua valutazione
neurologica attraverso la Glasgow Coma Scale
come intervento infermieristico. Joseph, per fortuna, non ha dato segni di sanguinamento, con
variazioni neurologiche, ipotensione, tachicardia, polso flebile (Whiteky et al, 2000). Inoltre, si
è continuato il monitoraggio continuo del ritmo
ECG, FC, SO2 e PA. Inoltre tutti e tre i siti di incanulamento venoso sono stati coperti con medicazioni pulite, occlusive, per facilitare la valutazione di questi accessi dal punto di vista del sanguinamento e infettivo (Casey et al, 1998).
Si è evitato di effettuare iniezioni intramuscolari e
di reperire ulteriori accessi arteriosi o venosi poiché la terapia trombolitica interrompe la normale
coagulazione del sangue e può provocare sanguinamento attraverso questi accessi (Maj et al,
2001). In aggiunta, è stato intrapreso un processo
di valutazione per evidenti sanguinamenti, nelle
urine, espettorato, gengive, feci (Urden et al,
2002). Maj et al (2001) ravvisano di incoraggiare
il paziente a riferire sospetti segni di emorragia o
anafilassi, come cefalea, dorsolombalgia, nausea,
addominalgia, rash, vomito, febbre o ecchimosi.
Cura della famiglia
Aver offerto ampli orari di visita come intervento per ridurre l’impatto critico familiare ha
dato benefici dimostrabili (Carr e Clarire,1997).
Hartshorn et al (1997) hanno argomentato,
comunque, che visite prolungate possono
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esaurire-scaricare il paziente di preziose energie necessarie alla guarigione. Quindi, si è trovato un compromesso tra il bisogno della famiglia di stare vicino e la necessità di riposo di
Joseph, attraverso l’abilità dell’equipe infermieristica che ha rassicurato la famiglia fornendo
dettagliate informazioni senza un eccessivo turbamento di Joseph.
Ricerche sui bisogni delle famiglie di pazienti
ricoverati in UCC sono giunte a conclusione
che per la famiglia è estremamente importante
ricevere speranza e rassicurazioni sul trattamento e la prognosi del paziente (Appleyard et
al, 2000). Leske (1998) ha insinuato che è un
bisogno della famiglia avere comodità ambientali e interventi d’aiuto accessibili. Nella tavola
(tab. 7) sono elencati alcuni pratici interventi a
favore della famiglia di Joseph.
Interventi in favore della famiglia di Joseph:
Bisogni personali, come accessibilità ai bagni,
caffetteria e telefono
Agevolazioni per stare da soli, o parlare in
privato con i medici, psicologi o guide religiose
Orientamento all’interno dell’UCC
Spiegazioni di procedure e trattamenti
Educazione sanitaria
Informazioni attraverso opuscoli
Coinvolgimento nella cura del paziente
Incoraggiamento e supporto
Numero telefonico dell’UCC
Pernottamento notturno nella stanza adibita
alle famiglie
Tabella 7
Valutazione
Il risultato degli interventi basati sull’evidenza, è
stato che i segni vitali di Joseph sono rimasti stabili ed è stata implementata la risoluzione del sopraslivellamento ST. Nelle prime 12 ore del suo ricovero, Joseph non ha mostrato alcun effetto collaterale della terapia trombolitica, né complicanze
dell’IMA, ed il dolore toracico e l’ansia si sono risolti completamente. Lockhart et al (2000) sostengono
che i pazienti ricoverati in ospedale e sopravissuti
ad un infarto sono spesso enormemente motivati a
ridurre i fattori di rischio di un ulteriore infarto.
Da ciò, sono stati preparati moduli specifici di
assistenza e riabilitazione dal punto di vista cardiologico, diabetico e di cessazione del fumo.
Joseph e famiglia hanno espresso soddisfazione per il loro trattamento in toto.
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Conclusione
La rapida espansione di conoscenze sul trattamento dei pazienti con IMA ha portato alla consapevolezza del bisogno di aggiornare la pratica
su fondamenti in evoluzione (Brown et al, 2000).
Nel caso di Joseph, l’instaurarsi precoce, previa
valutazione, della terapia trombolica in PS ha
portato ad un risultato innegabilmente vantaggioso. Un trasferimento sicuro e ben coordinato
del paziente verso il reparto appropriato di UCC
ha assicurato che potevano essere attuati ulteriori valutazioni ed interventi basati sull’evidenza.
Una strategia di valutazione e intervento umanistico omnicomprensivo di aspetti psicologici,
sociali, biologici ed elementi spirituali della persona è stato ritenuto il metodo più appropriato
col quale approcciarsi al pz. in UCC. Sono stati
approntati interventi finalizzati a stabilizzare il
contesto in toto, con apparecchiature di monitoraggio e infermieri con esperienza in cura coronarica, pronti a riconoscere complicanze
dell’IMA e della terapia. Il tenere in considerazione la famiglia è stato valutato come fattore integrale alla cura olistica del paziente in UCC. La
valutazione del paziente ha permesso l’identificazione della necessità di fornire ulteriori misure
di supporto nella forma di prevenzione secondaria, riabilitazione ed educazione sanitaria.
Questo articolo ha dimostrato che il trattamento
supremo del paziente con IMA risiede nella commistione fra nursing di area critica e l’applicazione
di pratiche olistiche basate sull’evidenza corrente e
l’entusiasmo infermieristico di abbracciare nuove
idee non appena emerge una nuova evidenza.
Punti chiave:
Un approccio olistico al nursing del paziente con IMA è ben supportato dall’evidenza e
dalla letteratura
Una comunicazione efficace ed un trasferimento in regime di sicurezza di un paziente
coronaropatico ad un ambiente monitorizzato è
di estrema importanza
Applicazione di una valutazione olistica, programma di assistenza, intervento e valutazione conducono
ad una cura di qualità in questo gruppo di pazienti
L’evidenza basata sulla ricerca fornisce informazioni su come gestire il nursing per ottimizzare la cura del paziente.
IO INFERMIERE - N.2 /2005
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