«AMBROGIO RITORNA A ROMA»
SOLENNE PONTIFICALE IN RITO AMBROSIANO
IN OCCASIONE DEL
IV ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI XXIII
Basilica Vaticana,
4 novembre 1962,
Solennità di san Carlo Borromeo
DOCUMENTI
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INTRODUZIONE
La solenne celebrazione eucaristica in rito ambrosiano tenuta nella basilica di S.
Pietro il 4 novembre 1962 in occasione del Concilio ecumenico Vaticano II – proposta dal card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, ed esplicitamente approvata da papa Giovanni XXIII – fu una delle più solenni del pontificato.
Dopo la proclamazione del Vangelo e il successivo canto dell’antifona Induit
eum stolam gloriae, il Santo Padre tenne l’omelia, iniziata in lingua latina e proseguita
in italiano.
In occasione della celebrazione – a cui, oltre al Pontefice, presero parte 68 cardinali, 10 patriarchi, e più di 2000 tra arcivescovi, vescovi e abati – il card. Montini
donò al papa due copie del Missale ambrosianum (editio V post typicam, Mediolani
1954). Una di esse fu destinata dal Pontefice alla basilica Vaticana, apponendovi la
seguente dedica:
Venerabili Capitulo | Basilicae Vaticanae
Ioannes XXIII | d.d.
in festo S. Caroli Borr.
die IV novembris | anni 1962
IV a sua Coronatione Pontificali
Ioannes XXIII pp.
In quella stessa occasione il Sommo Pontefice fece dono al card. Montini di una
croce pettorale accompagnata dal seguente biglietto:
Pro Missa bene cantata «ritu ambrosiano» a Venerabili fratre Archiepiscopo Mediolanensi in die «Natalis Papae» IV novembris 1962.
Ex Aedibus Vaticanis.
IO. PP. XXIII
Si riproducono, qui di seguito – insieme a una essenziale documentazione iconografica – la trascrizione del biglietto contenente la proposta della celebrazione e l’approvazione, il testo dell’omelia di papa Giovanni XXIII e la «Lettera» inviata dall’arcivescovo Montini alla diocesi di Milano con l’annuncio e, successivamente, con la
memoria dell’evento. In allegato, la riproduzione del sussidio predisposto per i presenti, contenente l’intero rito predisposto per l’occasione. Tutti i materiali sono conservati presso la Biblioteca-Archivio del Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra in Milano.
CARTEGGIO
Nota del card. Giovanni Battista Montini a mons. Loris Capovilla
Confidenziale
[Roma], 24 ottobre 1962
Per la Cappella papale del giorno 4 novembre – Domenica, anniversario
della coronazione di Sua santità papa Giovanni XXIII (festa di san Carlo), sarebbe possibile celebrare la s. Messa in rito ambrosiano?
Milano dovrebbe provvedere all’invio del clero e dei cantori (come questa
mattina è stato fatto per la s. messa in rito bizantino).
+ G[IOVANNI] B[ATTISTA] M[ONTINI]
Nota di papa Giovanni XXIII:
Vedo bene questa Messa in rito ambrosiano nel Concilio, per il IV novembre.
IOANNES PP. XXIII
OMELIA DEL SANTO PADRE
GIOVANNI XXIII
Venerabiles Fratres, dilecti Filii Nostri,
Hic dies animo Nostro singulari sacra perfusus laetitia illuxit: hodie anniversaria celebratur memoria Nostrae in Summum Pontificatum assumptionis
et coronationis; hodie liturgicum est festum Sancti Caroli Borromaei; hodie in
Vaticana Basilica, amplissimus quidem coetus et splendida corona, universi
adstant Antistites, qui Romam convenerunt Oecumenici Concilii Vaticani secundi celebrandi causa.
Optabilius Nobis videbatur vos, Dilecti Filii Nostri et Venerabiles Fratres,
alloqui integro Latino sermone, quippe cum haec communis lingua a Praelatis
Ecclesiae universalis adhibeatur, ubi cum catholici nominis vertice, nempe
cum Apostolica Sede communicant, et in conciliaribus sessionibus usitato more personet.
Pro certo habemus Nostram agendi rationem a vobis recte intellegi, si,
cum celebretur liturgica synaxis extra Concilii ordinem normasque habenda,
cui quidem, una cum clero, etiam christianus populus interest, satis esse putamus, Latino sermone tantummodo exordium facere. Latine igitur Antistites
cuncti catholici orbis salutamus, ac deinde Italico sermone fusius utemur, propterea quod a plerisque hic adstantibus intellectu est facilior, a populo scilicet,
qui, magna frequentia huc una confluxit ad honorandum Pontificatus diem natalem sui Pastoris atque Parentis.
Hisce igitur verbis, quibus universo sermoni Nostro veluti praeludimus,
Latinae linguae principem locum, ut oportet, tribuere cupimus.
Illis autem verbis, quae Italico sermone sequentur, praeclara merita humiliter sed laetissime canemus Sancti Caroli Borromaei, cuius liturgicus dies festus ab omnibus Ecclesiis Latini ritus in universo terrarum orbe die quarto
mensis Novembris quotannis recolitur: merita dicimus, quae sacrorum ille Antistes sibi micantissima comparavit, strenuam adiutricem operam navando catholicae restaurationi, quae ipsius aetate feliciter inchoata est.
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Qua super re, haec, exempli gratia, accipite testimonia, a duobus clarissimis Decessoribus Nostris exhibita, scilicet a Gregorio decimotertio et Benedicto quartodecimo, quae singulari quadam ac diserta nota distinguuntur.
Ac revera die vicesimo septimo mensis Octobris, anno millesimo quingentesimo septuagesimo quinto, Cardinalis Alciati per epistulam Cardinali Borromaeo significabat, Augustum Pontificem Gregorium decimum tertium valde
gratulatum esse, e quod Cardinalis Archiepiscopus Mediolanensis, cum dioecesana Synodus inauguraretur, duas opportunissimas orationes sacerdotibus
suis Latino sermone habuisset. Haec sunt ipsissima verba: « In tanto consesso
" de rebus tam gravibus " abbia orato latinamente ».
Summus Pontifex autem Benedictus decimus quartus, cuius auctoritas in
rebus, quae ad Sanctorum Canonizationem pertinent, fuit maxima, his verbis
summatim perstringebat praeclaras Sancti Caroli laudes ac promerita: « Sanctus Carolus Borromaeus Episcoporum exemplar et splendidissimum lumen ».
Hisce in postremis verbis, quae tam suaviter sonant: « exemplar et lumen », animus conquiescit; inde Episcopi omnes Ecclesiae Sanctae Dei duplicem flagrantissimumque sumunt vigorem, ut in adipiscendam sanctitudinem
atque in animorum curam exercendam studiose semper incumbant.
Omnibus denique, qui hic festivi adstant, sacrorum Antistitibus atque
Romanae Curiae Praelatis, clero populoque christiano, ea optime accommodantur arcana verba, quibus Ambrosiana liturgia praesentem sollemnitatem
induxit, quaeque libentissime, antequam Italico sermone dicere instituimus,
candidum veluti florem vobis proponimus. Audistis enim qualibus vocibus ingressi sumus ad opus liturgicum festivitatis hodiernae: « Pax in caelis: pax in
terra: pax in omni populo: pax sacerdotibus ecclesiarum Dei ».
Venerabili Fratelli, diletti figli.
Questo quarto Anniversario della Nostra Coronazione, che si compone in
data 4 novembre con la festa liturgica di San Carlo Borromeo, assume
quest’anno una irradiazione caratteristica, che si rifrange sui vastissimi orizzonti della Chiesa universale.
Motivo infatti più alto ed eccezionale di straordinaria solennità, così da
renderla avvenimento insuperato nella storia dei secoli passati, e difficilmente
superabile nell’avvenire, è la vostra nobile, devotissima ed esultante presenza,
o venerabili Nostri Fratelli nell’episcopato e diletti figli nei vari ordini della
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Prelatura, — o quanti, o quanti! — qui convenuti dai punti più lontani
dell’universo per questo opus magnum del Concilio Ecumenico Vaticano II,
così bene avviato con l’aiuto di Dio, e seguìto dalla rispettosissima attesa del
mondo intero.
Rammentiamo che lo scorso anno, in questa data festosa del 4 novembre,
Noi chiedemmo la ispirazione alle Nostre parole ad un discorso di San Leone
Magno — di cui ricorreva il XV centenario della morte — giusto, come soleva
dire lo stesso Pontefice, in festo Natalis sui. Di là cogliemmo le espressioni finissime di umiltà e paterna affezione, a ringraziare la splendissimam frequentiam dei venerabili suoi consacerdoti dell’Urbe, che vedeva stretti in gran devozione intorno alla sua persona, e che gli davano l’impressione « come di un
convegno di angeli e di santi insieme associati in superna esaltazione »1.
LA VENERANDA LITURGIA AMBROSIANA
Venerabili e dilettissimi Fratelli e figli!
Che cosa può dire oggi il servus servorum Dei innanzi allo spettacolo della
vostra personale presenza, composta non dei soli prelati della Roma del secolo quinto, il tempo di San Leone Magno, ma di questo vostro coro immenso
di duemila e cinquecento Vescovi, quanti siete qui uniti a questa Nostra Cattedra Apostolica, e variamente distribuiti nel governo di quasi tutte le diocesi del
mondo?
Benediciamo Iddio di questo gaudio, che soavemente palpita nelle nostre
anime.
La coincidenza liturgica di questo giorno — dedicato alla sacra memoria di
San Carlo Borromeo — non reca anch’essa una luce superna, graditissima ai
nostri occhi ed ai nostri cuori, nel richiamo di quella grande ed insigne espressione di altissimo apostolato pastorale, che il nome del Santo, successore ed
emulo di Sant’Ambrogio, significa ed esalta, e che il nostro Concilio Ecumenico intende ad un tempo magnificare e servire?
Con felice pensiero, in conformità a quanto si fece nel Concilio Vaticano
I, le adunanze nostre generali prendono inizio dalla intronizzazione del Vangelo, perché il codice sacro della dottrina e della legge di Cristo resti splendente e al suo posto centrale dei nostri convegni di pacifiche discussioni e di
studi; mentre la celebrazione della Santa Messa apre e santifica il buon lavoro
comune di elevatissimo ordine spirituale.
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A significazione più eloquente di unità e di cattolicità si è convenuto, ben a
proposito, che il Divin Sacrificio di introduzione al lavoro quotidiano Conciliare venga celebrato da Prelati di varia nazionalità, e in successione dei vari riti: Latini e Orientali.
Così l’immagine della Chiesa Santa, nella unità della fede cattolica, e nella
varietà liturgica, appare in pienezza di mistico splendore. « Astitit regina a dextris tuis in vestito deaurato, circumdata varietate »2.
La ricorrenza della festa di San Carlo Borromeo ci richiama tutti al rito
Ambrosiano, di cui il Santo Cardinale fu ai suoi tempi potente e strenuo difensore. E poiché l’intreccio delle disposizioni di ordine ecclesiastico comporta che la Messa anniversaria della Coronazione del Papa venga cantata dal
primo Cardinale da Lui creato, e questa identità spetta ora al Nostro venerabile Fratello il Cardinale Arcivescovo di Milano, è grande il Nostro compiacimento perché, in questa successione di gesti e di cantici, il rito che più si accosta al Romano antico prende oggi il suo posto nella successione delle liturgie
d’Oriente e d’Occidente, qui rappresentate.
Dalle prime note di lieto consentimento voi vedeste come i diletti e fervidi
figli della vastissima arcidiocesi Mediolanense abbiano tenuto al loro grande
onore di partecipare in proporzioni ampie e nobilmente distinte al rito odierno, che si inserisce nelle celebrazioni del sacro Concilio Ecumenico Vaticano.
Mentre dal fervore della loro tradizione rituale Ambrosiana prende più risalto
la sincerità della loro fedeltà Romana sull’esempio dei loro padri e dei loro
avi. Dello spirito vibrante di questi suoi figli di Milano, il loro grande Patrono
Sant’Ambrogio, a proposito di qualche incertezza di allora circa alcune particolarità del rito ancora in formazione, ci lasciò testimonianze in tutto degne di
lui e dei suoi, come queste: « In omnibus cupio segui Ecclesiam Romanam:
sed tamen et nos homines sensum habemus: ideo quod alibi servatur, et nos
rectius custodimus »3.
Poco prima, a proposito della lavanda dei piedi, aveva scritto: « Non ignoramus quod Ecclesia Romagna hanc consuetudinem non habeat, cuius typum
in omnibus sequimur et formam ».
PRECLARO ESEMPIO DI SAN CARLO
Da sua parte non è senza significazione il fatto che Papa Martino V, allorché accettò, il 16 ottobre del 1418, di consacrare l’altare maggiore del Duomo
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di Milano, volle compiere la cerimonia nel rito Ambrosiano in omaggio alle
venerande tradizioni di lassù, dove alla Metropolitana e nella basilica di
Sant’Ambrogio nessuno poteva celebrare in alcuno degli altari — mentre lo si
può ora nei laterali — neppur privatamente, se non in conformità col rito Ambrosiano.
E lasciateCi, venerabili Fratelli, la gioia di invitare il vostro e il Nostro spirito alla contemplazione del preclaro esempio, ed al più fervido incoraggiamento che San Carlo Borromeo offre all’Episcopato cattolico di tutti i riti e di
tutte le nazioni del mondo a proposito della celebrazione del Concilio Vaticano II.
L’esempio innanzitutto. È notissimo agli storici della Chiesa Santa che il
Concilio Tridentino — senza dubbio tra i più importanti celebrati sin qui — riconosce a San Carlo Borromeo il merito di aver collaborato con la sua attività
personale a portarlo alla conclusione, di cui si cominciava a quei tempi a dubitare seriamente.
Sentite il Giussano, lo storico più sicuro di San Carlo, come attesta la soluzione delle grandi difficoltà che facevano dubitare di potervi riuscire. Il Papa
Pio IV, che era lo zio del Cardinale, « negotium Borromaeo dedit ut rem consiliis suis inceptam sollicitudine sua perficeret. Ita quidquid difficile ac periculosum incideret Legati ad ipsum per litteras deferebant. Idque tam saepe
fiebat, ut ne nocturnae quidem gnietis certa tempora haberet. Post tot ac tanta
studiorum incommoda modicum somni capientem cubiculo Praefecti de eius
mandato excitabant, quoties Tridento nuncius aliquis adveniret ... »4.
Immane lavoro personale — anche delle notti insonni — per cui i due Vescovi di Lanciano e di Modena asserivano « impares tot laboribus plures fore,
quibus unus Borromaeus eo tempore sufficeret »5.
Gli affari del Concilio erano stati così aggrovigliati a Trento, che l’attività
del Cardinale Borromeo occorse tutta, in un impiego di garbo, di saggezza e di
forza, da suggerire allo stesso storico Giussano espressioni vivaci nel descriverli, lasciando intendere l’ammirazione generale suscitata dal giovane Cardinale « in conspectu admirandae vere fortitudinis, qua exorta in ipso Concilio
certamina et ineluctabiles fere difficultates sustinuit. Tumultuatum saepe a Patribus erat, saepe a Principum oratoribus: idque tanta contentione animorum,
ut nec aliquid inter tot iurgia perfici, nec iurgia ipsa placari posse viderentur ...
Tunc enimvero Carolus adversa consilia desiicere, finire concordiae rationes,
confirmare Pontificis animum; precibus denique assiduis apud Deum conten11
dere, ne rem eius auspiciis inchoatam ullis hominum artibus intercipi pateretur »6.
E chiuso felicemente il Concilio, ecco dispiegarsi in luce di sempre straordinaria e sapiente attività il genio pastorale caratteristico di San Carlo, trasferitosi personalmente e definitivamente alla sua Milano per promuovere e seguire nelle loro applicazioni le deliberazioni Tridentine.
Monumento di questa instancabile e sapiente attività restano gli Acta Ecclesiae Mediolanensis, stampati a più riprese. Ultima loro edizione e la più
completa quella dovuta ad Achille Ratti, di Nostra gloriosa conoscenza: nobilissima e preziosa fatica di quegli anni laboriosi delle indagini storiche, in cui il
grande bibliotecario della Ambrosiana veniva maturando, senza poterselo immaginare, il suo trasferimento alla successione ed alle sollecitudini del Cardinale Borromeo, come Arcivescovo di Milano, e poco di poi al fastigio del supremo Pontificato del Papa Pio IV, che al nipote suo, lo stesso Cardinale Borromeo, molto dovette del merito della conclusione del grande Concilio.
LE « HOMILIAE » E LE « ORATIONES »
Nei poderosi volumi degli Acta Ecclesiae Mediolanensis occupa un posto
d’onore quanto ha riferimento alla celebrazione dei Concilii Provinciali e dei
Sinodi Diocesani.
Le Homiliae habitae in Conciliis Provincialibus et Synodis Dioecesanis
del Borromeo, in occasione della esemplare applicazione del Concilio di
Trento alla sua diocesi, e a tutta la regione Lombarda, anche alla distanza di
quattro secoli conservano il profumo e la chiarezza di opportuni insegnamenti
pratici di carattere pastorale.
Sono sei orationes per ciascuno dei Concilii Provinciali da lui raccolti e
presieduti coi Vescovi della sua provincia, dalla conclusione del Tridentino
agii ultimi anni della stia vita: ed altre sei orationes riservate al suo clero diocesano, a cui le rivolse in occasione degli undici Sinodi che egli tenne nei quasi
vent’anni del suo governo della sacrosancta Mediolanensis Ecclesia.
Venerabili Fratelli, nell’atto di accogliere i vostri voti per l’occasione anniversaria dell’inizio del Nostro humile servitium Domini, la coincidenza felice
con la vostra cara presenza presso la tomba di San Pietro Ci ha offerta la buona ispirazione di trattenervi, Pastori del gregge di Cristo come noi siamo tutti,
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intrattenervi, diciamo, con tocchi rapidi, innanzi a questa grande figura di Santo — il Borromeo — che impersona nella storia una delle espressioni più alte
del genio e della attività pastorale.
Ogni secolo ed ogni nazione conserva i ricordi e le glorie di altre personalità, di altri Santi insigni e distinti in questo ordine di rapporti spirituali: grandi
Patriarchi e Vescovi antichi e recenti, di Oriente e di Occidente, grandi missionari e religiosi di ogni ordine.
Alla gloria di San Carlo fece splendido onore e fu motivo di merito eccezionale l’essersi egli trovato a servizio della Chiesa nella occasione di un Concilio, di cui non potevasi oltre protrarre la celebrazione, e in condizioni di contribuire in forma provvidenziale al suo successo definitivo, e poi di consacrare
circa venti anni della sua vita santa e santificatrice — dal 1565 al 1584 — alla felicissima realizzazione, come abbiamo detto, attraverso visite pastorali ed apostoliche, celebrazioni di Concilii Provinciali e di Sinodi Diocesani, a tutta una
ristorazione della vita ecclesiastica, che segnò del suo nome benedetto
un’epoca — l’epoca di San Carlo — che, grazie al Signore, ancora si prolunga a
nostra fiducia nell’avvenire.
PREZIOSO INCORAGGIAMENTO
Venerabili Fratelli, come vedete, queste sono constatazioni e parole sacre.
Al grande esempio San Carlo aggiunge per noi tutti un prezioso incoraggiamento. É ben naturale che novità di tempi e di circostanze suggeriscano forme
ed atteggiamenti vari di trasmissione esteriore e di rivestimento della stessa
dottrina: ma la sostanza viva è sempre purezza di verità evangelica ed apostolica in conformità perfetta all’insegnamento della Santa Chiesa, che sovente ci
permette con vantaggio la applicazione dell’ars una: species mille. Particolarmente quando si tratta del bonum animarum, di espressioni pratiche, cioè di
quelle sollecitudini che il capo X di San Giovanni accende ed impone: « Pastor proprias oves voeat nominatim: ante eas vadit: oves illum sequuntur ...
Bonus Pastor animam suam dat pro ovibus suis ... alias oves habeo quae non
sunt ex hoc ovili, et illas oportet me adducere ... »7.
Venerabili Fratelli, che immagini, che tenerezza e quale ansietà nell’animo
del buon pastore, che ricerca contatti con le singole anime, a penetrazione di
luce cristiana nella vita sociale !
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LasciateCi concludere, a comune incoraggiamento, con le parole di San
Paolo ai Tessalonicesi: « Fratres state: et tenete traditiones quas didicistis sive
per sermonem, sive per epistolam nostram. Ipse autem Dominus noster lesus
Christus, et Deus et Pater noster, qui dilexit nos, et dedit consolationem aeternam, et spem bonam in gratia, exhortetur corda vestra, et confirmet in omni
opere et sermone bono »8.
Amiamo por fine a queste Nostre parole di vive grazie alla vostra carità
per i preziosi auguri, che amabilmente Ci avete offerto all’inizio del quinto anno del Nostro servizio paterno e pontificale, con invito soave ad unirvi con
Noi nella preghiera, che il Nostro venerabile Fratello Cardinale Arcivescovo di
Milano pronuncerà ora super sindonem, secondo le indicazioni del rito Ambrosiano.
San Carlo non poteva meglio essere assicurato alla nostra devota ammirazione, ed insieme alla protezione di tutto l’Episcopato cattolico qui riunito per
il felice successo del secondo Concilio Ecumenico Vaticano, che con le sante
parole, che lo salutano e lo invocano, ancor lo ripetiamo, quale vitae magistrum in terris, et patronum in caelis.
« Deus, qui beatum Carolum Sanctorum tuorum numero sociasti: exaudi
propitius supplicum preces: et concede, ut quem vitae magistrum habuimus in
terris, eundem in caelis mereamur habere patronum ».
NOTE
Cfr. A. A. S. LIII. 1981. pag. 763.
Ps. 44, 10.
3
De Sacramentis, 3, 1-5.
4
Giussano: De rebus gestis S. Caroli, Mediolani 1751, ex Tip. Ambrosiana, p. 35.
5
Lettere di S. Carlo all’Ambrosiana circa il Concilio; Giussano: luogo citato.
1
2
6
Ibid.
Cfr. Io. 10, 3-4, 11, 16.
8
2 Thess. 2, 14-16.
7
[Fonte: «Acta Apostolicae Sedis», 54 (1962), pp. 851-859].
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G.B. MONTINI
LETTERE DAL CONCILIO
IV.
CONSIDERAZIONI SUI PRIMI LAVORI CONCILIARI
Dal Vaticano, 3 novembre 1962
[...] Ma come va il Concilio? La stampa nota una certa lentezza del Concilio nel giungere alle sue prime conclusioni. Il numero degli oratori rallenta il
ritmo dei lavori, solleva nuove questioni, porta la discussione sopra punti particolari che proiettano dubbi sopra quelli fondamentali. Ma non è il caso di
trarre da ciò impressioni negative. È un fenomeno comune delle grandi assemblee, quando a ciascuno dei componenti è lasciata libertà di parola; e questa libertà è un fatto che fa onore al Concilio. Che poi i Concilî abbiano avuto
ritmi lenti e disuguali la storia lo insegna; basti, ad esempio, ricordare che il
Concilio di Trento, iniziato nel 1545, ripreso e indetto per la Pasqua del 1561,
ebbe la sua solenne inaugurazione il 18 gennaio 1562 e finiva il 3 dicembre
1563. Bisogna anzi notare che la procedura delle riunioni di questo Concilio
crea ordine e speditezza, toglie la retorica dei lunghi discorsi e impedisce agli
oratori di sconfinare in altri argomenti. Bisogna ricordare ciò che i più avveduti hanno preannunciato: non si deve attendere dalle discussioni del Concilio
risultati spettacolari e immediati. La natura poi del tema ora sottoposto
all’esame è tale da giustificare l’interesse di molti oratori e la necessità di procedere con cautela.
Questo primo fenomeno del Concilio stimola tuttavia una comune curiosità: quale sarà il piano complessivo e logico di questa immensa e formidabile
discussione? Un piano non pare che sia stato delineato: sarà possibile ora stabilirlo? Sarà annunciato?
Intanto sul grande cenacolo l’atmosfera comunitaria comincia a vibrare di
commoventi impressioni spirituali: è stato recitato l’Angelus per la pace in India, quando al mattino la notizia della guerra in quel grande e pacifico Paese
aveva recato un brivido di dolore; la dolce preghiera mariana sembrava carica
di profondo significato storico e di sovrumana speranza.
Altro momento – una buona ora – di religiosa intensità stato quello della
celebrazione in rito greco-bizantino, seguita da tutti i Padri con viva devozione
e particolare interesse.
La bella, ma arcana cerimonia, ha dato al Concilio la inattesa prova sperimentale della necessità che la liturgia sia compresa e seguita dall’assemblea
che vi assiste. Ed ha parimente recato al Concilio l’esperienza della bellezza e
della ricchezza che la varietà dei riti conferisce alla preghiera della Chiesa;
l’unità stessa della comunione spirituale di lingue e di espressioni differenti
sembra risultare da tale varietà non meno meravigliosa e potente che da una
rigorosa uniformità di riti difficilmente partecipata e goduta da tutti. La cattolicità che è multiforme deve essere la ricchezza e l’apologia dell’unità della
Chiesa.
A questo proposito anche il nostro rito ambrosiano vuole portare la sua
testimonianza. Come è stato annunciato, la messa solenne per l’anniversario
della incoronazione del papa sarà domenica, 4 novembre, festa di san Carlo,
da me celebrata in San Pietro, presente il Concilio ecumenico e Roma cattolica, in rito ambrosiano. È un favore straordinario che Sua Santità concede alla
Chiesa di Milano. Deve essere da tutti noi avvertito e ricordato. Non è mai avvenuto che la nostra liturgia ambrosiana avesse l’onore d’essere celebrata nella
Basilica Vaticana con pari solennità. Presente l’orbe cattolica! S. Ambrogio,
che si proclamò seguace degli usi liturgici romani, ritorna a Roma facendo al
centro della cattolicità l’omaggio del suo rito che, tra l’altro, raccoglie fedeli in
numero così considerevole da collocarlo tra i riti particolari più seguiti. E ritorna per celebrare san Carlo, il santo del Concilio di Trento, il santo che papa Giovanni XXIII non tralascia mai di esaltare e di invocare con personale
predilezione.
Rappresentanti del Capitolo del nostro Duomo con chierici e cantori sono
attesi per questa grande «Cappella papale» durante la quale, umile celebrante
l’arcivescovo di Milano, Sua Santità parlerà e benedirà.
Invito clero e fedeli, autorità e popolo dell’area ambrosiana a ben valutare
questo avvenimento, che si inserisce perfettamente nella trama storica dei rapporti fra Roma e Milano, e li esorto tutti a parteciparvi spiritualmente.
+ GIOVANNI BATTISTA CARD. MONTINI
Arcivescovo
[Fonte: «Rivista diocesana milanese», 51 (1962), pp. 923-926 passim].
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V.
INVITO A CURARE L’EDUCAZIONE LITURGICA
Dal Vaticano, 10 novembre 1962
Il 4 novembre di quest’anno deve rimanere giorno memorabile per la
Chiesa ambrosiana e per le cronache milanesi, se ne è già parlato molto, con
larga eco nel mondo cattolico; ma l’avvenimento per noi merita, in questo diario conciliare, ancora una particolare menzione. Ricordiamo la simultaneità di
parecchie circostanze singolari: prima circostanza il quarto anniversario della
incoronazione del Sommo Pontefice; seconda, la celebrazione papale nella
Basilica di San Pietro (per l’addietro si faceva nella Sistina); terza, sono presenti i padri del Concilio ecumenico, cioè tutta la gerarchia della Chiesa Cattolica,
oltre le rappresentanze diplomatiche e dei fratelli separati; quarta, la magistrale
omelia del Santo Padre, parte in latino, parte in italiano, su san Carlo, il nostro
san Carlo, esaltato come uno dei principali personaggi che hanno avuto merito
nel portare felicemente alla fine il Concilio di Trento, e che ha quello singolarissimo d’aver dedicato vent’anni d’indefesso e originale lavoro pastorale per
dare applicazione ai decreti del Concilio stesso; quinta, ed ultima, insperata e
non mai prima avvenuta, la celebrazione della messa pontificale, nel suddetto
incomparabile quadro unico al mondo e nella storia, in rito ambrosiano.
Fermiamoci alla prima: dobbiamo al Santo Padre una gratitudine speciale.
E dobbiamo riconoscenza al Signore d’aver dato alla Chiesa Cattolica un tanto
pontefice, e alla Chiesa ambrosiana un così grande e paterno amico. Gli annali
della nostra storia religiosa dovranno in modo speciale ricordare questo pontificato per i vincoli di straordinaria benevolenza che il papa di Roma ha avuto
per Milano, per la sede dei santi Ambrogio e Carlo.
Non ultimo segno di tanta bontà la magnifica croce pettorale, che Giovanni XXIII ha voluto regalare all’umile arcivescovo « Pro missa bene cantata »!
E che la nostra messa ambrosiana abbia fatto grande figura in questa solennità è pure motivo di compiacenza, che faremo bene a fissare nella memoria. Non era mai stata celebrata una messa solenne in rito ambrosiano in questo centro della cattolicità. Vi assisteva il papa e l’intero episcopato! Devo ringraziare anch’io chi ha collaborato a fare di questa cerimonia una splendida e
pia manifestazione del nostro venerabile rito: canonici del Duomo e clero e
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chierici nostri lo hanno dispiegato nella sua sontuosa e sacra magnificenza,
mentre la cappella del Duomo, in grande forma, si è attestata degna
dell’ammirazione del mondo romano e cattolico. Un bell’opuscolo contenente
spiegazioni e riti sulla messa celebrata, è stato distribuito a tutta l’assemblea, e
resterà non trascurabile documento della memorabile giornata.
Questo avvenimento acquista inoltre un significato speciale per il fatto che
il Concilio sta occupandosi della sacra liturgia, e che la celebrazione della nostra messa ambrosiana ha costituito per moltissimi la prova dell’esistenza, della
dignità e della vitalità del nostro rito liturgico.
Diciamo questo, sì, con legittima soddisfazione, ma ancor più con deliberato proposito di derivare da questo fatto conciliare una prima conseguenza
per la nostra vita diocesana; e cioè dobbiamo risolutamente proseguire nello
sforzo iniziato per dare al nostro popolo una più accurata educazione liturgica.
Dobbiamo riuscire a fare delle nostre messe festive degli atti perfetti di culto
cattolico ed ambrosiano: per rigore di cerimonie, per bellezza di apparati e di
canti, per partecipazione consapevole dei fedeli, per ricchezza di parola e di
significati spirituali, per precisione di orari e compostezza dell’assemblea, ecc.
La nostra prima riforma sia questa: massima cura, sotto ogni aspetto, alla celebrazione e all’assistenza alla messa festiva. Essa è l’espressione normale e centrale della nostra religione, e sorgente più feconda e più nobile della nostra
spiritualità; essa è lo stimolo più efficace per la nostra cristiana coscienza interiore e l’impegno più bello per la nostra carità e socialità comunitaria.
Discorso non nuovo; ma piace ripeterlo, mentre il Concilio si attarda sul
primo tema presentato, quello della sacra liturgia. L’abbondanza, l’esuberanza
forse, delle discussioni suscita il timore che il Concilio si fermi troppo su questo argomento, perda il ritmo del suo svolgimento e consenta l’attestarsi della
divergenza di pareri su problemi pratici e subordinati. Ma sta il fatto che
l’argomento si manifesta in tutta la sua importanza per la vita spirituale della
Chiesa e per la presenza d’una religione viva nel mondo, e rivela la molteplicità dei suoi rapporti con altri campi del pensiero e dell’azione cristiana: la teologia, il diritto, l’apostolato, l’arte, e così via; mentre insieme dimostra la peculiarità delle sue espressioni e dei suoi bisogni nelle diverse civiltà della Terra.
Ancora la discussione è in corso; ma si prevede ch’essa volga alla fine, mentre
si spera che qualche conclusione di principio abbia a coronare questo grande
dibattito e a incoraggiare quel movimento in seno alla Chiesa, che tende a cavare dal suo seno le voci più autoritarie e più belle per una preghiera altrettanto fedele ai misteri e alla tradizione ch’essa porta con sé, quanto appropriata ai
bisogni profondi dell’anima moderna.
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Questi pensieri sono di stagione, sono d’ambiente: la messa in rito maronita, celebrata al Concilio con canti melodici e corali, gravi e dolcissimi, e la
grande inaugurazione dell’anno accademico all’Università Gregoriana hanno,
questa settimana, contribuito a darvi interiore alimento.
L’annuncio che con la Festa dell’Immacolata si chiuderà questa prima sessione del Concilio ecumenico, ci fa ricordare che un mese esatto è trascorso
dalla sua apertura, e riscalda ansie e speranze, nonostante il suo ancora lento
procedere. Ma le vele sono spiegate, e la nave cammina ...
+ GIOVANNI BATTISTA CARD. MONTINI
Arcivescovo
[Fonte: «Rivista diocesana milanese», 51 (1962), pp. 926-928].
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INDICE
Introduzione ....................................................................................... Pag. 3
Carteggio ............................................................................................... »
5
Omelia del Santo Padre Giovanni XXIII ............................................. »
7
G.B. Montini, Lettere dal Concilio
...................................................... » 17
IV. Considerazioni sui primi lavori conciliari ................................... » 17
V. Invito a curare l’educazione liturgica ........................................... » 19
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