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Sociologia dei processi
culturali
Sociologia della cultura
Prof. Luca Salmieri
Lezione 6
‘La cultura a partire dai fattori sociali’
Approcci sociologici al rapporto tra
cultura e società.
Nella sociologia della cultura si condivide l’idea che tra cultura e contesti sociali
esistano rapporti di influenza reciproca e quindi di tipo bidirezionale.
Sia nella sociologia generale che nell’ambito più ristretto della sociologia della cultura
questi rapporti sono stati comunque affrontati con prospettive che possiamo far
risalire a 3 campi:
1) Come le strutture sociali producono effetti sulla cultura. In questo caso la cultura
è una variabile dipendente di fattori strettamente collegabili ai contesti sociali e ai loro
fenomeni (classi, ceti, subculture generazioni, genere, flussi migratori, differenziazione
sociale, istituzioni, etc).
2) Come le forme e le espressioni culturali influenzano la strutturazione sociale. In
questo caso la cultura è una variabile indipendente attraverso cui spiegare il sorgere e
l’operare di determinate azioni sociali riferibili tanto ai soggetti che alle strutture e alle
istituzioni. Ne è un esempio paradigmatico l’influenza dei valori e delle rappresentazioni
simboliche sull’organizzazione sociale.
3) Come la cultura si trasmette, si diffonde e si trasforma. In questo caso l’attenzione
è rivolta ai processi che partono dalla cultura per tornare alla cultura, anche se in questo
ritorno contano gli aspetti di tipo sociale: socializzazione, comunicazione, acculturazione,
inculturazione, ibridazione, etc.
Approcci sociologici al rapporto tra
cultura e società.
Per sintetizzare il diverso peso che la sociologia e la sociologia della cultura hanno
assegnato alla cultura o alla società nell’affrontare il loro rapporto di influenza reciproca
possiamo utilizzare il seguente schema:
Modello funzionalista
Il funzionalismo si sviluppa dapprima in antropologia grazie alle opere di Malinoswki e
Radcliffe-Brown: in analogia alla scienze naturali che tentano di spiegare le funzioni delle
diverse parti di un organismo rispetto alla capacità dello stesso organismo di sopravvivere e
riprodursi, la cultura e le sue parti vengono spiegate per le funzioni che svolgono al fine
di garantire l’integrazione sociale.
Per Malinowski la cultura svolge la funzione di assicurare le forme e le soluzioni per
soddisfare i bisogni fondamentali degli esseri umani (nutrizione, protezione, riproduzione
biologica, comunicazione).
Per Radcliffe-Brown tali funzioni erano invece legate alla struttura sociale (strutturalfunzionalismo) in riferimento anche alla posizione di Durkheim che aveva sottolineato la
funzione integrativa della religione e delle altre forme culturali che legano l’individuo alla
società.
Abbiamo visto che lo struttural-funzionalismo di Parsons propone un rapporto di congruenza
tra sistema dei valori e dei simboli (cultura) e struttura sociale.
Per Merton che distingue tra funzione latente e funzione manifesta, la funzione non indica
una finalità, uno scopo strumentale. Essa rimanda invece al fatto che le funzioni latenti
possono avere conseguenze oggettive (riferite alle strutture sociali) non intenzionalmente
volute o ammesse dai soggetti.
Limiti del funzionalismo: 1) in alcuni casi si trascura il significato che le azioni hanno per il
singolo individuo che le compie. 2) Cultural dope (Garfinkel): l’individuo assume un ruolo
passivo rispetto alla cultura. 3) in quale modo le conseguenze benefiche e collettive di una
norma contribuiscono al suo mantenimento?
Modelli causalisti
Nei modelli di spiegazione causalisti la cultura è direttamente causata da processi e
leggi esterne alla coscienza degli individui. Le cause sono di volta in volta, a secondo
dei campi del sapere, di ordine biologico, psichico, sociologico.
Psicologismo e approccio di Pareto: i valori sono una sorta di derivazione di scelte
istintuali ed emotive. Essi servono come razionalizzazione ex-post. La cultura è causata
dall’interazione tra spinte psicologiche e condizioni sociali.
Determinismo marxista: l’adozione acritica e schematica del pensiero marxista legge la
cultura (la sfera morale, estetica, giuridica, simbolica) come sovrastruttura causata
dalla sottostruttura economica (i rapporti di produzione).
Programma forte della sociologia della conoscenza: David Bloor (1976) e Barry
Barnes (1974) l’avanzamento delle scienze e l’imporsi di nuovi paradigmi esplicativi
dipendono da dimensioni sociali (conflitti di potere, interessi di gruppo, sostituzioni
generazionali, negoziazioni della comunità scientifica).
Prospettiva della produzione di cultura: gli oggetti culturali vengono analizzati a partire
dalle variabili organizzative, istituzionali, relazionali dei processi di produzione.
Modelli strumentali
Il soggetto dell’azione è un individuo attivo che opera secondo la stessa logica applicata alle
scienze economiche: nel conseguire gli scopi vi è una valutazione di costi/benefici.
La cultura è allora la combinazione di tante scelte individuali di tipo strumentale.
Le norme e quindi i valori di riferimento vengono ridotti alla razionalità strumentale.
Esiste in diverse versioni:
a) Le norme sono razionalizzazioni ex post del proprio interesse
b) I soggetti si adeguano alle norme e le seguono in quanto esse sono collegate a
sanzioni positive e negative
c) Si aderisce alle norme perché esse hanno conseguenze benefiche per la società.
Questi modelli presentano molti limiti: il primo riguarda la razionalità rispetto al valore, il
secondo riguarda il fatto che non spiegano perché esistono determinate norme e non
altre, il terzo riguarda il fatto che vi sono norme la cui violazione resterebbe inosservata.
Modelli interazionisti
La cultura riposa sulla interazione comunicativa tra gli individui. Le norme sociali
emergono dalla ripetizione di soluzioni a problemi ricorrenti di cui si è fatta esperienza
attraverso le pratiche ripetute
Interazionismo simbolico: secondo l’interazionismo simbolico la condivisione di uno
sfondo simbolico come bussola che orienta le pratiche sociali non implica che non
vi si la possibilità per l’individuo di progettare e agire secondo la razionalità
strumentale e non implica che non vi sia lo sviluppo di modelli di interpretazione
alternativi rispetto a quelli selezionati dalla pratiche e dai rituali.
Aprroci neo durkheimiani: Randall Collins il contenuto del rituale è arbitrario, tuttavia la
base del rituale è la condivisione.
Modelli strutturalisti
Derivano dalla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure che per la lingua
aveva focalizzato l’analisi sulle strutture basilari del linguaggio, sostenendo che
esso è un sistema formale di segni combinati in modo non aleatorio, dando
rilievo primario all'asse della sincronia rispetto a quello della diacronia.
Rispetto allo studio della cultura, lo strutturalismo prende corpo soprattutto in
antropologia grazie all’opera di Claude Levì-Strauss che concentra l’analisi sulla
struttura interna delle culture. Secondo Levì-Strauss esistono universali culturali.
La mente umana ha una predisposizione universale a classificare la realtà in
termini di opposizioni binarie.
In seguito lo strutturalismo di Levì-Strauss ha influenzato tutte le scienze sociale e la
sociologia della cultura, anche se gli autori hanno abbandonato il tentativo di
giungere a modelli universali, ma hanno continuato ad esaminare diversi tratti
culturali in termini strutturalisti.
Sullo strutturalismo si è poi innestato negli anni ‘60 un ripensamento dell’analisi del
potere di tipo marxista, tra cui i principali autori sono Louis Althusser e Etienne
Balibar. Essi sostenevano l’autonomia della cultura rispetto al classico
determinismo struttura-sovrastruttura. La riproduzione della cultura è data da
apparati ideologici di stato.
L’ideologia e il rapporto con la cultura
Il termine ideologia ha molte accezioni. In termini storici Toynbee sottolinea
come i sistemi di idee religiose entrano in competizione con altri sistemi di idee,
non religiose, come l’individualismo liberale, il comunismo, il nazionalismo.
Quali sono gli elementi che ci consentono di parlare di ideologia quando siamo di
fronte ad un fenomeno culturale?
1. Sistema di idee e di pensieri relativa ad una visione del mondo con un elevato
livello di coerenza interna
2. La genesi di questo sistema di idee avviene nel ceto intellettuale ma si
diffonde a livello delle masse che quindi legittimano l’efficacia di tali idee.
3. Giustificazione dei rapporti di potere esistenti o quelli che si intende imporre
attraverso il cambiamento
4. Richiami e prove di validità che si pretendono scientifiche, ma che spesso
sono solo pseudo-scientifiche.
Niklas Luhmann parla di legittimazione ponderata quando un’ideologia stabilisce una
graduatoria tra valori quando questi sono contradditori e riduce la complessità della
situazione valoriale per non bloccare l’azione razionale. In questo caso l’aspetto più
importante dell’ideologia non è la sua coerenza interna, ma la capacità di costituire una
pragmatica di orientamento di fronte a divergenze tra criteri di scelta contraddittori.
Origini del concetto di ideologia e
ideologia nel pensiero di Marx.
Ben prima che il termine ideologia apparisse la prima volta con il filosofo francese
Antoine Destutt de Tracy che voleva con questa parola indicare la scienza delle
origini delle idee, già verso la fine del 1600 il filosofo Bacone aveva sviluppato la
teoria degli idola, con cui indicava gli elementi che intralciano il raggiungimento
della vera conoscenza.
Marx non dedica un’opera sistematica allo studio dell’ideologia, tuttavia vi dedica uno
scritto intero - L’ideologia tedesca del 1845 - in cui critica duramente l’impostazione
hegeliana e dei seguaci di Hegel secondo cui la storia è il frutto del cambiamento che
riguarda le filosofie e i sistemi di idee. Secondo Marx l’idealismo inverte e capovolge i
rapporti reali. Le idee secondo Marx non hanno una storia e uno sviluppo autonomo, ma
sono la diretta emanazione dei rapporti reali, cioè dei rapporti sociali prevalenti in
un determinato momento storico.
Marx inoltre descrive con cura l’operare dell’ideologia nel sistema capitalistico:
oggettivando e naturalizzando i rapporti tra le persone, li presenta come rapporti tra le
cose. Gli oggetti e in particolare le merci vengono presentati come se fossero dotati di
qualità proprie, quando invece in realtà secondo Marx sono sempre il frutto della
produzione umana. Il feticismo delle merci è quel processo attraverso cui gli individui
della società capitalista tendono a reificare le merci, considerandole dotate di qualità
proprie e a dimenticare che il valore delle merci dipende dal lavoro necessario per
produrle.
L’ideologia nel pensiero di Marx.
Se l’ideologia costituisce dunque una forma di falsificazione della realtà dei
rapporti sociali, tanto che Marx parla di falsa coscienza, le rappresentazioni del
mondo prodotte dalla classe dominante sono ideologiche, cioè non vere, perché
tendono a produrre una distorsione della realtà e a giustificare le
disuguaglianze come frutto naturale delle cose.
Le classi dominate non hanno consapevolezza della falsità delle rappresentazioni
offerte dalla classe dominante, mentre quest’ultima approfitta del suo dominio
oggettivo per produrre una visione del mondo che giustifica i rapporti di forza.
L’ideologia borghese oscura la reale relazione tra le classi e contribuisce a
rappresentare gli interessi della casse borghese come interessi universali.
L’ideologia secondo Pareto.
Vilfredo Pareto (1848-1923) considera l’uomo un animale ideologico. Il sociologo
ed economista italiano ritiene che gli esseri tendano a presentare i propri istinti e
impulsi, soprattutto quelli meno più inconfessabili, sottoforma di costrutti logici e
ragionevoli in modo da ottenere consenso e giustificazione.
La visione di Pareto è capace di definire le ideologie come forme di
razionalizzazioni a posteriori (ex-post). Da questo punto di vista il meccanismo è
simile a quello del funzionamento dell’ideologia secondo Marx. Tuttavia, Pareto
situa la spiegazione a livello psichico e non sociale.
Egli ritiene che le ideologie possano essere analizzate a 3 livelli:
a) oggettivo: al fine di stabilire quanto l’ideologia sia basata su una logica.
b) soggettivo: al fine di comprendere la forza di persuasione che un’ideologia ha
su determinati individui.
c) di utilità sociale: malgrado Pareto, come Marx, ritenga che le ideologie
mascherino interessi diversi da quelli che postulano, suggerisce di prendere in
considerazione il livello di utilità sociale, in quanto possono esservi ideologie che
mostrano di avere elevati livelli di persuasione e quindi anche una certa utilità
sociale.
L’ideologia secondo Mannheim.
Karl Mannheim rientra nella tradizione sociologica tedesca. Infatti, è un sociologo
molto attento a collocare lo studio della società nell’ambito delle dinamiche storiche,
convinto dell’importanza di cogliere lo spirito di un tempo, di un epoca per poter
interpretare le caratteristiche specifiche di una data società.
Nel 1929, proprio in periodo particolare per lo sviluppo e la presa delle ideologie di
massa e in particolare dell’idea e dell’utopia della nazione, Mannheim pubblica
Ideologia e utopia. La proposta di Mannheim è quella di considerare e studiare le
ideologie non dal punto di vista del rapporto che avrebbero con la realtà e le sue
distorsioni, manipolazioni e falsità, ma da un punto di vista di concezioni totali: si
tratta di analizzare la struttura mentale, gli stili di pensiero, il modo di pensare,
rappresentare e interpretare la realtà - da cui deriva anche il modo di agire su di
essa ed entro essa - relativamente ad un’intera epoca storica o gruppo sociale.
L’ideologia assomiglia così ad una complessiva concezione del mondo
(weltanshauung), un ampio insieme di tratti che corrispondono alla quasi totalità di
una cultura.
Il senso comune: una piattaforma per la
comunicazione culturale.
Il senso comune è un sapere implicito, cioè un’insieme di quadri di pensiero,
rappresentazioni, schemi di conoscenza e di percezione che le persone impiegano
a livello implicito. È un sapere incorporato nelle pratiche che si succedono nella vita
quotidiana così come nella storia di una cultura. Boudon ha recentemente parlato
di vere e proprie disposizioni, forme di conoscenza e di agire che a noi sembrano
autoevidenti e scontate, ma che in realtà sono il frutto di un consolidamento
storico.
In parte il senso comune si basa anche su microrituali che l’etnometodologia
(Garfinkel) ha messo in rilievo. I rituali e la pratiche contribuiscono a sviluppare e
mantenere il senso comune.
Anche gli stereotipi nascono dal e fanno parte del senso comune. Gli stereotipi
sono modalità attraverso cui ci rappresentiamo gli altri e l’ambiente sociale senza
possedere le conoscenze dettagliate e precise.
Appartengono al senso comune non solo le 1) categorie, 2) le nozioni generali,
ma anche la maniera di 3) rappresentarsi gli altri e 4) l’ambiente circostante.
Il senso comune è stato affrontato dalla sociologia principalmente attraverso due
filoni interpretativi differenti: le teorie di ispirazione durkheimiana e la fusione tra
pragmatismo americano e fenomenologia.
Senso comune e teorie di ispirazione
neodurkheimiana
Nell’ambito dell’impostazione basata sulle opere e sul pensiero di Durkheim, si
assegna una centralità esplicativa alle categorie fondamentali del pensiero e alle
forme classificatorie, intese come rappresentazioni collettive, cioè come prodotti
del vivere collettivo e sociale.
Esse dipenderebbero dal modo in cui il gruppo sociale è organizzato. Il fatto che
categorie del pensiero e forme di classificazione dipendono dalle rappresentazioni collettive, fa
sì che diventino vere e proprie istituzioni sociali, frutto dell’interazione sociale e capaci di
influire sul comportamento del singolo.
Durkheim sostiene la visione della natura collettiva delle categorie e delle forme di
classificazione in quanto critica sia l’empirismo (la mente umana e dunque la psiche è al
centro di un processo di immagazzinamento), sia il kantismo (tali categorie e forme di
classificazioni esistono a priori).
Durkheim e Mauss nei loro scritti giustificano l’idea che genere e specie, tempo e spazio
siano sistemi classificatori e categorie del pensiero che variano da società a società in
funzione del tipo di organizzazione sociale e del tipo di conformismo logico in esse
presenti.
Norbert Elias svilupperà ulteriormente l’importante concezione di Durkheim del tempo come
come categoria sociale, cioè come una istituzione sociale che è diversa dal tempo
individuale. In particolare Elias traccia l’evoluzione storica che ha portato le società occidentali
industrializzate a giungere ad una dimensione scientifica, astratta e razionale di tempo: il
tempo esatto.
Senso comune e teorie di ispirazione
neodurkheimiana
Anche la categoria di ‘persona’ ha subito un particolare processo di cambiamento
nelle società occidentali. Soprattutto, così come le altre categorie fondamentali del
pensiero umano, mostra un’ampia variabilità nell’ambito delle diverse società e
culture osservate dalla sociologia e dall’antropologia di ispirazione durkheimiana.
Marcel Mauss, ad esempio, ha mostrato come nelle società tribali il concetto di
persona si esaurisca nei ruoli sociali svolti da quella persona.
Successivi studi comparativi realizzati sulla base dell’influenza della sociologia di
Durkheim e dell’antropologia di Mauss, non solo hanno confermato questa
impostazione, ma hanno anche allargato lo spettro delle variabilità, spingendo il
dibattito sulle forme di classificazione, sul linguaggio e sulle categorie verso
posizioni relativiste.
Sempre nell’ambito dell’influenza esercitata dalla sociologia di Durkheim,
Halbwachs ha introdotto il concetto di memoria collettiva che è qualcosa che le
società costruiscono sull’insieme dei quadri di pensiero, delle rappresentazioni dello
spazio e del tempo, dei modi di classificare il mondo.
Anche e persino la memoria individuale dipende da quella collettiva, cioè da
categorie sociali pre-esistenti, da quadri che hanno un’origine sociale e che quindi
portano la memoria individuale a dipendere dall’appartenenza a un gruppo e al fatto
di condividere con altri la medesima esperienza. La memoria dunque opera non
tanto in base alla conservazione, ma grazie a processi di ricostruzione e
selezione del passato in funzione del presente. La memoria dunque è un insieme
dinamico, la cui coerenza è solo parziale e viene ricostruita di volta in volta.
Senso comune: pragmatismo americano e
fenomenologia.
Durkheim non soltanto aveva considerato le categorie e le classificazioni come
rappresentazioni collettive, ma aveva anche legato tali rappresentazioni ai rituali
perché questi costituiscono un forte momento di associazione e interazione in
cui gli individui sperimentano sentimenti e stati emotivi comuni che servono anche a
rinsaldare la trasmissione dell’eredità sociale.
Anche il pragmatismo americano - Peirce, Dewey, Cooley, Mead - considera il
comportamento quotidiano come basato sulla ripetizione di soluzioni per problemi
comuni.
Sia l’approccio di Durkheim che quello del pragmatismo americano condividono
la simile avversione a considerare le azioni degli individui come sempre dettate
dalla logica della scelta razionale. In sintesi, il pragmatismo americano riprende la
matrice di Alfred Schütz secondo cui al centro del comportamento c’è il senso
comune che opera come un sistema di significati e di definizioni della realtà
che collocandosi ad un livello diverso dalle ideologie, dal sapere scientifico o dalle
dottrine filosofiche riguarda un livello pre-teorico.
Alfred Schütz e la sociologia della
conoscenza.
Alfred Schütz (1899–1959), filosofo e sociologo austriaco, è considerato come il
fondatore dell'idea di una sociologia fenomenologica. È influenzato dalla
sociologia di Max Weber, dalle tesi sulla scelta e sulla temporalità di Henri Bergson
e, soprattutto, dalla fenomenologia di Edmund Husserl. Dall’individualismo
metodologico weberiano Schütz mutua la preminenza data all’azione
dell’individuo e al significato dell’azione, ma a differenza di Weber, manca in
Schütz ogni ambizione a tracciare comparazioni fra lunghi archi spaziali o
temporali, cosicché l’analisi rimane sempre centrata sulle strutture dell’esperire
individuale nel mondo sociale e nella vita quotidiana.
A partire dall’opera di Schutz è possibile individuare 5 componenti importanti che
caratterizzano il concetto sociologico di senso comune.
1) Oggettività: le persone nella vita quotidiana tendono generalmente a percepire
la realtà come ordinata, oggettivata e dotata di senso. Il linguaggio costituisce
l’elemento in cui è maggiormente riscontrabile il senso di oggettivazione da parte
del singolo individuo che si ritrova vocaboli, regole grammaticali ed espressioni
come qualcosa di già definito e presente, pronto all’uso nella realtà quotidiana.
2) Intersoggettività e interscambiabilità: la realtà è condivisa sempre con gli altri.
Si ritiene che vi sia una corrispondenza tra i propri significati e quelli degli altri o
quanto meno che ci possa essere. Il linguaggio e la comunicazione servono, tra le
altre cose, proprio a favorire questo continuo confronto per mettere alla prova la
validità dei significati del senso comune.
Alfred Schütz e la sociologia della
conoscenza.
3) Auto-evidenza: il senso comune è quel sapere-agire, quelle disposizionidispositivi che diamo per scontati come evidenti, per i quali non c’è bisogno di
interrogarsi. Nei loro confronti vi è una sospensione del dubbio.
4) Tipizzazioni: le relazioni sociali ordinarie sono modellate e percepite in base a
schemi di tipizzazione. Si tratta di scorciatoie interpretative di azione, pronte all’uso
che regolano la nostra azione. Gli schemi di tipizzazione consentono di prevedere il
comportamento degli altri e forniscono una base per valutare quale possa essere il
proprio comportamento più adatto alla situazione. Essi forniscono a loro volta
schemi di aspettative. Più ci si allontana da una situazione faccia a faccia, più gli
schemi di tipizzazione e gli schemi di aspettative tendono a farsi anonimi e astratti.
5) Fondo di conoscenza comune: esiste un fondo minimo di conoscenza comune
fatto di simboli, vocaboli, modelli di comportamento, tratti culturali, schemi che data
la loro ripetuta validità ed efficacia di fronte a situazioni ricorrenti, sono ormai dati
per scontati e in quanto tali fanno ormai parte del senso comune. La loro
conoscenza non è totalmente omogenea, ma è socialmente distribuita e
relativamente coerente.
La religione e la cultura.
Le concezioni del mondo si hanno quando credenze, valori, simboli sono
integrati in un sistema in cui i vari elementi sono connessi tra loro in modo
abbastanza coerente.
Quando una concezione del mondo ha a che fare con la natura di esseri
sovraumani e con i loro rapporti con il mondo si parala di religione.
La religione rappresenta un vero e proprio sistema culturale se:
1) Vi è la struttura di significati che sono espressi tramite dottrine e dogmi,
attraverso precetti, divieti e simboli.
2) L’individuo e la realtà sono inseriti in un ordine cosmico e sacro
3) Esiste un carattere pubblico di tali tratti e la religione è acquisita attraverso
processi sociali di apprendimento.
La religione e la cultura.
Max Weber ha distinto le religioni universali (induismo, buddismo,
cristianesimo, islamismo, ebraismo) e religioni locali. Inoltre, ha proposto altre
due classificazioni rispetto all’immagine del mondo e al discorso sulla
salvezza. L’immagine teocentrica fa riferimento ad una concezione di un Dio
personale trascendentale, mentre l’immagine cosmocentrica ad un Dio
impersonale e immanente.
Weber parla di ascetismo quando l’uomo è considerato uno strumento del
volere divino, mentre per le religioni che considerano l’essere umano come un
vaso, un contenitore pronto ad ospitare l’essenza divina, Weber parla di
misticismo. Nel primo caso, le tradizioni religiose tendono a prescrivere
un’etica di comportamento precisa, disegnata su una visione del mondo
manichea (opposizione tra il bene e il male). Nel secondo caso, invece, le
religioni tendono ad offrire i percorsi attraverso cui tendere alla conoscenza delle
cose e quindi a strutturare un sistema di carattere cognitivo.
Da queste differenze derivano due modi completamente diversi delle religioni
medio-orientali (cristianesimo, ebraismo e islam) e orientali (induismo, buddismo,
confucianesimo) di essere in rapporto con la cultura intesa in termini ampi. Nel
caso delle religioni medio-orientali, l’essere umano è peccatore e soprattutto la
vita terrena è improntata ad una personalità attiva, mentre nell’ideale orientale
l’atteggiamento di conoscenza e contemplazione produce una personalità più
distaccata rispetto all’ordine terreno delle cose.
La religione e le pratiche culturali e sociali.
A partire dal tipo di organizzazione di una religione è possibile distinguere tra chiesa e
setta. Nel primo caso si tratta di una comunità stabilizzata di credenti, con una lunga
influenza sul sistema culturale di riferimento, tale che la semplice nascita all’interno della
comunità produce nella maggior parte dei casi un’automatica appartenenza alla chiesa.
Al contrario, alla setta non si appartiene per nascita, ma a seguito di una libera scelta e di
solito l’ostracismo della chiesa e di alcune norme sociali comporta un numero limitato di
fedeli. Inoltre, la setta può esprimere convinzioni e credenze che mettono in discussione
alcuni o molti valori della cultura dominante.
La sociologia si è posta di fronte al fenomeno delle religioni o in termini di cause che hanno
portato alla nascita e allo sviluppo di determinate religioni adottando un approccio storicosociale o in termini di funzioni che la religione esplica in termini sociali e culturali.
Ad esempio, l’approccio di Durkheim rientra nel caso delle funzioni che la religione ha nei
confronti della società: attraverso i rituali religiosi, la società esprime un cambiamento
emotivo nelle pratiche quotidiane e attraverso il simbolismo religioso essa non fa altro che
sancire il senso di appartenenza collettiva rinforzando i legami che uniscono l’individuo
alla società. Per il sociologo francese la religione è un sistema di comunicazione di idee,
sentimenti e norme regolative del sistema sociale.
Malinowski, il famoso antropologo che ha dato sviluppo al funzionalismo nello studio
della cultura, sottolinea come la religione e la magia rivestano nelle piccole società la
funzione di risolvere situazioni di forte tensione emotiva, fornendo rassicurazioni di
fronte al rischio del panico, dell’ansia e del disorientamento.
La religione e le pratiche culturali e sociali.
Secondo Niklas Luhmann, uno dei maggiori esponenti della sociologia tedesca del XX
secolo, la religione è un sotto-sistema sociale, di carattere simbolico che ha la
funzione di offrire una visione del mondo sintetica e ridurre così la complessità sociale e
quindi anche elementi a prima vista inspiegabili.
Luhmann applicò alla società la teoria dei sistemi sociali, distinta dalla teoria dei sistemi
sociali di Talcott Parsons. Luhmann parte dalla premessa, che gli elementi primari ed
unici di un qualsiasi sistema sociale non siano gli agenti principali, ovvero gli uomini, ma
gli effetti della comunicazione, ovvero comunicazioni che producono altra comunicazione.
Senza comunicazione non esiste nessuna forma di sistema sociale, anzi la chiusura
operativa del sistema sociale è operata proprio sul concetto di comunicazione.
Si può facilmente notare come le diverse teorie che spiegano il ruolo della religione
rispetto ai sistemi sociali e culturali, utilizzando il paradigma della funzione peccano del
limite di trascurare gli aspetti conflittuali e di protesta che a volte sono insiti nella storia
della genesi e dell’affermazione dei movimenti religiosi.
Chi ha invece saputo offrire un’interpretazione sociologica attenta a questi aspetti è Max
Weber. Egli ha offerto una lettura delle religioni tesa anche a sottolineare il carattere
rivoluzionario delle culture sacre soprattutto nel momento in cui ancora non appaiono
sotto forma di chiese stabilite e istituzionalizzate. Spesso, tuttavia, come sottolinea
Weber, le religioni universali tendono anche a giustificare le disuguaglianze sociali nella
vita terrena. In sintesi se da un lato la storia di una religione può presentare agli inizi un
carattere di anti-tradizionalismo culturale, dall’altro l’assetto istituzionalizzato di una
religione tende a mantenere inalterato il sistema strutturale di una società.
La religione e le pratiche culturali e sociali.
Tra le spiegazioni causaliste della religione vi è soprattutto la visione materialista di Marx.
Secondo Marx, le religioni si sviluppano come false visioni della realtà attraverso cui la
struttura delle disuguaglianze materiali tra le classi sociali viene riprodotta. Si tratta di
sovrastrutture - cioè di idee, credenze, visioni che non hanno a che fare con la realtà
strutturale dei rapporti sociali - nate dall’esigenza di spostare le possibilità di cambiamento
fuori dall’ordine reale delle cose.
Questa tesi è coerente al processo intellettuale dello sviluppo del razionalismo nelle società
moderne: se nelle società tradizionali o in quelle piccole la religione rappresenta il
sistema culturale per eccellenza - nel senso che la religione corrisponde alla concezione
del mondo valida per l’intera comunità - in quelle moderne, industriali, urbanizzate e
basate sulla scienza come sistema di conoscenza e concezione del mondo, la religione
perde la predominanza culturale e si ritrova circoscritta ad ambiti ristretti della vita
sociale.
Da questo punto di vista, la ricostruzione storica e sociologica di questo processo di perdita
del dominio culturale è stata compiuta soprattutto da Weber e in parte da Durkheim.
Quest’ultimo aveva rilevato soprattutto la progressiva autonomizzazione della religione
rispetto ad altre sfere sociali, cioè rispetto all’economia, alla politica, alla vita quotidiana.
Tale autonomizzazione produce anche conflitto tra la sfera religiosa e le altre sfere
sociali e il conflitto a sua volta produce autonomizzazione.
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lezione 6 2010