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15 maggio 2015
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el viaggio degli innamorati verso una vita felice assieme
la tappa del matrimonio rappresenta un primo traguardo.
C’è chi ha già deciso la data delle nozze, in primavera e in
estate,come vuole una tradizione già presente sino dai
tempi dei romani. Altri pensano invece all’autunno e
all’inverno per un matrimonio più originale, fuori dagli
schemi. Qualunque sia il periodo scelto, per il giorno del
fatidico sì la sposa vuole sentirsi bellissima per esprimere
al massimo la sua gioia. «I colori e l’acconciatura, spesso
in armonia con il vestito, esaltano la personalità della sposa che di solito ha le idee chiare su cosa vorrebbe. Sentirsi naturale rende la sposa più bella », garantiscono Donatella e Stefania Saba, parrucchiere di Guspini. Altro simbolo della magia delle nozze è poi il bouquet della
sposa.«Scelto ancora rigorosamente dalla suocera, anche se ormai vengono coinvolte con domande e piccoli
sotterfugi anche le spose affinché il bouquet sia in linea
con l’abito e sia quello preferito dalla protagonista della
festa», precisa Sandra Lobina della Boutique del fiore di
Guspini.
Sul tipo di matrimonio c’è chi sceglie la cerimonia religiosa seguita da una banchetto tradizionale e chi invece sceglie il rito civile in una location suggestiva dal punto di
vista artistico e culturale e una festa informale. In entrambi i casi, sempre più sposi si rivolgono a professionisti
per gli allestimenti. «Siamo accanto agli sposi per creare il
matrimonio che sognano. Di solito c’è un tema conduttore che viene richiamato in ogni dettaglio e che viene deciso insieme alla coppia», ricorda Federica Fadda di Pot
Pourri Guspini. «Sempre più persone oltre che richiedere i
fiori contattano per allestimenti completi », aggiunge Paola Orrù di Angolo Verde Villacidro.
E poi arriva il momento della festa con tanti invitati pronti
a fare baldoria in onore degli sposi in ristoranti rinomati
come la Taverna Romana o in agriturismo come Casa
Marmida, entrambi apprezzati nella zona per l’ottima cucina. Al momento dei saluti poi c’è un piccolo ricordo per
gli invitati per ringraziarli di aver condiviso assieme attimi
indimenticabili. Per tradizione si consegna una
bomboniera: «Oggi si punta a qualcosa di molto originale
o utile, come portagioie oppure portachiavi e cofanetti»,
spiega Gigliola Marrocu. E c’è infine chi decide di regalare i sapori della nostra terra.«Ci chiedono bomboniere di
vino. Graziose bottiglie da 500 ml di vino da tavola o moscato diventano il famoso souvenir da portarsi a casa dopo
la festa», conclude il viticotore Enea Sonedda . (t.e.)
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15 maggio 2015
SAN GAVINO
SAN GAVINO
La piazza è sporca? Non c’è
problema. A San Gavino il sindaco Carlo Tomasi e l’assessore Stefano Musanti si rimboccano le maniche armati di
scopa, paletta e secchio. Succede nella centrale piazza
Marconi che dà sul Comune
e sulla chiesa di Santa Chiara. Il primo cittadino ha appena finito di celebrare un matrimonio con rito civile e subito inizia la festa in piazza con
la tradizionale rottura del piatto e il grano disseminato in
buona parte della piazza. Gli
uffici del Comune sono chiusi e la ditta delle pulizie non
lavora. Che fare? Far finta di
niente o agire? «Nella piazza
– racconta il sindaco Carlo
Tomasi – c’era almeno l’equivalente di un secchio di grano che avrebbe potuto creare
un pericolo per i passanti ed
in particolare per le persone
anziane che passano nei pressi della chiesa o del municipio. Abbiamo comprato a San
Gavino da commercianti locali
scopa, paletta e secchio e ci
siamo messi all’opera. Una
signora anziana del gruppo
dei festeggiati mi voleva aiutare, ma le ho detto di lasciar
stare e di andare a divertirsi.
Abbiamo voluto dare un piccolo segnale alla comunità».
Sulla stessa linea l’assessore
ai lavori pubblici e all’arredo
urbano Stefano Musanti:
«Dopo i classici festeggiamenti, abbiamo visto la piazza sporca e si sembrava carino intervenire. Magari la prossima volta ci daremo da fare
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Il sindaco e l’assessore Musanti Cantieri comunali, in 18 al
lavoro per la cura del verde
puliscono piazza Marconi
per coinvolgere gli sposi. In
una comunità l’esempio lo
devono dare gli amministratori per governare al meglio il
proprio territorio. È importante essere presenti e attivi anche con i fatti. Siamo riusciti
a strappare qualche sorriso e
anche applausi dai passanti». Insomma da qui parte
l’esempio per una costante
cura del paese: «Ci vuole aggiunge Stefano Musanti una partecipazione responsabile sia nel rispetto dell’ambiente che degli edifici: lo
spazio è di tutti sia dell’ambiente che delle diverse strutture. Ognuno deve fare la sua
parte. Chi fa un danno lo fa a
se stesso come quando compie un atto di vandalismo: ci
vuole un senso della convivenza civile. Ora programmeremo delle giornate di sensibilizzazione aperte ai cittadini. Nei nostri interventi in
questi primi mesi di amministrazione per prima cosa abbiamo pensato alla sicurezza
dei cittadini con il posizionamento del guard rail in via
Villacidro, in via Po ed ancora
in via Goldoni e negli altri attraversamenti del Rio Pardu».
Ora, dopo anni di lunghe attese, si aspetta il bando e il
successivo appalto per la realizzazione della rotonda nell’incrocio all’uscita da San
Gavino tra la statale 197 e la
provinciale per Villacidro.
Un’opera fondamentale per la
sicurezza dei tanti automobilisti che ogni giorno transitano in quel punto.
Gian Luigi Pittau
VILLACIDRO
Un nuovo centro per aiutare
le donne vittime di violenze
Donne minacciate e picchiate dal proprio marito o fidanzato,
ragazze abusate dal padre orco o ancora peggio donne vittime
della violenza assurda del proprio ex e uccise come è successo alla villacidrese Marta Deligia il 23 settembre 2013. E proprio nel Comune più popoloso del
Medio Campidano sono sorti un nuovo centro antiviolenza e uno sportello
antistalking ospitato nella Casa della
salute in Viv Guido Rossa e aperto
ogni giovedì dalle 10 alle 13. Gli altri
otto centri sono aperti a San Gavino,
Guspini, Gonnosfanadiga, Lunamatrona, Sanluri, Serrenti e Serramanna,
sono finanziati da Regione e Provincia, e sono gestiti dalla cooperativa
Adest di Santadi.
I DATI La maggior parte delle violenze avviene tra le mura domestiche e secondo i dati dei centri
antiviolenza del Medio Campidano, coordinati dalla pedagogista Cinzia Neri, l’età media delle donne che chiedono aiuto
è di 38 anni e nel 2014 ci sono circa 70 situazioni di carico
mentre nel 2013 ci sono stati 50 nuovi accessi. Nell’85 per
cento dei casi è il marito che picchia la moglie o si tratta di un
fidanzato che è stato lasciato. Spesso le vittime sono dei minori. Purtroppo la Regione ha ridotto i fondi in questo ambito,
ma il servizio è garantito almeno fino a settembre 2015. Per
entrare in contatto con i centri antiviolenza del Medio Campidano si può chiamare il numero nazionale 1522 e nei centri ad
accogliere le donne che hanno bisogno d’aiuto c’è personale
altamente qualificato.
NUOVO SERVIZIO Lo sportello di Villacidro si aggiunge agli
Il sindaco Terersa Pani
altri 8 già esistenti: «Uscire dalla condizione di violenza che si
vive è possibile. I centri - spiega il sindaco di Villacidro Teresa
Pani - nascono per offrire alle donne vittime di violenza percorsi di aiuto e sostegno che permettano loro di riconquistare
quella autonomia e quella libertà che consenta loro di riprendere in mano la propria esistenza e di condurre una vita serena. I Centri lavorano in raccordo con
gli altri servizi presenti nel territorio e prevedono il servizio di ascolto, di accoglienza e di accompagnamento individuale, la
consulenza psicologica e legale gratuita.
La violenza contro le donne e i minori rappresenta un’emergenza che si riflette negativamente non solo sulla condizione
psicologica e fisica delle vittime ma anche sulle persone che vivono a contatto
con loro, soprattutto sui bambini e sulla società nel suo complesso”. Chiamando il numero verde 1522 e con la garanzia del
mantenimento dell’anonimato, l’operatrice indirizzerà al Centro preferito e più vicino».
Di fondamentale importanza è poi la relazione con i servizi
sociali dei comuni, le forze dell’ordine e il sistema sanitario. Lo
sportello è il cuore dell’attività: un operatore accoglie le richieste e getta le basi per un aggancio e l’eventuale elaborazione di un progetto. Può trattarsi di un’emergenza e quindi
vanno incoraggiate la denuncia e l’allontanamento, oppure di
consulenze di carattere psicologico e di un percorso di sostegno, di consulenze legali, sociali e pedagogiche. Inoltre il centro tutela i minori che possono essere vittime dirette o indirette di violenza in casa (per lo più) o in altri contesti. (g. l. p.)
Rendere il paese più pulito e nello stesso tempo creare posti di
lavoro per i disoccupati. È con questo obiettivo che l’amministrazione, grazie ai cantieri comunali finanziati, è riuscita ad assumere ben 15 operai scelti dal servizio sociale e tre capisquadra
scelti dalle cooperative sociali che per tre mesi saranno impegnate nello spazzamento delle strade, nella cura delle aree verdi
e nella bonifica delle discariche a cielo aperto che spuntano nei
luoghi più insoliti del paese. Le persone sono al lavoro da qualche giorno e sono state divise in tre squadre che puliranno
progressivamente l’intero paese. Strade, marciapiedi e piazze
saranno ripulite dalle erbacce, dalla presenza di foglie e spazzatura. Importante anche l’aspetto sociale, come ricorda l’assessore Bebo Casu: «Il cantiere è stato realizzato grazie al finanziamento regionale di 85mila euro ed oltre al lavoro c’è il discorso
dell’impiego di queste persone che possono essere utili alla
collettività e che poi, grazie ai servizi sociali, potranno riprendere a camminare con le loro gambe. Purtroppo bisognerà trovare
altre forme di finanziamento di questi cantieri dal momento che
non c’è più l’Irap regionale che permetteva la realizzazione di
questi interventi». Ora l’amministrazione comunale cercherà
nuove forme di finanziamento lavorando sul bilancio comunale
come ricorda il sindaco Carlo Tomasi: «Favoriremo l’apertura di
nuovi cantieri. Il decoro urbano e le minime offerte occupazionali sono ritenute di rilevanza primaria nella nostra azione
programmatica».
Intanto il Comune prosegue la lotta contro chi abbandona rifiuti soprattutto in campagna anche se da qualche tempo si ha un
migliore controllo del territorio grazie all’azione della compagnia barracellare e ai volontari dell’Anpana (associazione nazionale protezione animali natura ambiente). La vigilanza permetterà un risparmio alle casse del Comune che in passato ha
speso più di 10mila euro per la bonifica di una discarica abusiva
d’amianto in località “Funtan’e canna”. (g. l. p.)
BARUMINI
Proloco: si dimette il presidente
Un fulmine a ciel sereno: a 16 mesi dalla sua elezione a presidente dell’Associazione turistica Pro Loco, Enrico Zucca, 26
anni, nel corso dell’assemblea dello scorso 3 maggio ha rassegnato le proprie dimissioni. «Mi dispiace, ma nonostante i
buoni propositi e il mio impegno, sono rimasto deluso rispetto alle attese iniziali. La causa principale sta nella scarsa partecipazione della gente e dei soci alla realizzazione delle manifestazioni effettuate. Le mie dimissioni vogliono essere una protesta per sensibilizzare i compaesani» dichiara Enrico Zucca.
Eppure la Pro Loco nel 2014 ha avuto ben 130 soci tesserati.
Ora sta ai sei membri del Consiglio di Amministrazione individuare in tempi brevi un nuovo presidente, visto anche l’approssimarsi delle iniziative estive già programmate. La preoccupazione si percepisce anche dall’umore di alcuni soci, i quali
sostengono che per motivi di varia natura pochissime persone hanno tempo da dedicare alla Pro Loco. Certamente sarebbe una sconfitta per tutta la comunità locale, sede dell’unico
sito Unesco della Sardegna, privarsi di un’associazione così
importante anche sotto il profilo turistico. In molti sperano
che in tempi brevi si possa individuare una soluzione per sostituire il presidente dimissionario e farla ripartire.
Carlo Fadda
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15 maggio 2015
PABILLONIS. ISTITUTO DI VIA BOCCACCIO
P
artecipa anche la classe
quarta A della scuola
primaria di Pabillonis alle innumerevoli iniziative promosse dall’Expo 2015. Gli
alunni dell’istituto di via
Boccaccio infatti, da alcuni
mesi sono impegnati nelle
attività di Together in Expo
2015.
Il concorso proposto dal
Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca è uno spazio digitale e interattivo, costruito attorno
agli itinerari tematici di Expo
Concorso Expo 2015: gemellaggio con il Brasile
per gli alunni della quarta elementare
Milano 2015 per dare voce
ai docenti e agli studenti di
tutto il mondo. «La classe
si è gemellata per la partecipazione al concorso finale
con il team Arara Vermelha,
terza C della scuola EMEF
Pracinhas da FEB di San
Paolo Brasile. Il progetto
presentato, dal titolo “Sardegna e Brasile incontro tra
popoli e culture”, ha visto
SAN GAVINO. CONVEGNO
entrambe le classi impegnate nella preparazione di piatti tipici. I brasiliani si sono
cimentati nella preparazioni
dei nostri Mallorreddus alla
campidanese mentre i ragazzi di Pabillonis hanno sperimentato diversi piatti brasiliani dalla Feijoada al Pao de
queijo, passando per la Salada de arroz, per concludere con il Pao de lo recheado
ALLE
com cremi di morango e i
gustosi Brigadeiros», spiega l’insegnante Graziella
Gambella promotrice del
progetto.
Il gemellaggio a distanza
funziona pienamente e i ragazzi inoltre, entusiasti dell’iniziativa, partecipano con
trasporto anche alle Missioni. «Sono giochi interattivi
e sfide organizzate attorno
SCUOLE MEDIE
“Scuola e Famiglia: un’etica familiare e sociale”
“Un’etica familiare e sociale” e il rapporto tra scuola e famiglia. Sono questi i temi del convegno presentati dal docente
Gianni Aresu che, nell’aula delle scuole medie, dà il benvenuto ai relatori e alla platea. Regalo graditissimo per gli ospiti è il
calendario interreligioso realizzato dai ragazzi della seconda B
delle medie insieme al professore Pierpaolo Saba. Il calendario
include le religioni cristiane, musulmane ed ebraiche con fini
culturali, di amore e rispetto verso ogni uomo, di sensibilizzazione al dialogo e all’accoglienza, ma anche pratici, dato che
tali informazioni possono essere utili per scuole, ospedali e
ovunque sia presente un’utenza di differenti religioni e professionalità.
La dirigente scolastica Susanna Onnis saluta i genitori, gli
alunni delle classi seconde e terze, i componenti del Consiglio
d’Istituto, i sacerdoti delle due parrocchie, il comitato scolastico dei genitori di Sardara, l’assessore alla pubblica istruzione di San Gavino. «Cari ragazzi - rimarca la dirigente - siete
persone e come tali vi consideriamo, siete alunni a scuola, figli
a casa, nipoti con gli zii e i nonni, ma il nostro obiettivo resta
quello di considerarvi persone anche se assumete diversi connotati in tante situazioni. Il delicato compito della scuola è
quello di contribuire a costruire la personalità di ogni studente». A seguire il sindaco Carlo Tomasi cita il suo amore per la
scuola dove si è formato e dove si educano e si incontrano i
nostri futuri cittadini. Anche il vescovo monsignor Giovanni
Dettori mette l’accento sull’importante ruolo della scuola nel
fornire formazione ed educazione: «Valorizzare la relazione tra
scuola e famiglia non significa soltanto saper relazionarsi con
il proprio ambiente di vita, ma anche partecipare alla costruzione comune del mondo futuro». Parte dal maggiore della
Guardia di Finanza di Cagliari, Vito Sivilli, la riflessione sul
concetto che «la legalità fa bene a tutti e conviene sempre.
Tutti abbiamo l’obbligo di educarci alla legalità, di informarci
e di combattere gli evasori, i falsi invalidi, i truffatori, i ricicla-
tori di denaro sporco e trafficanti di merce contraffatta». La
docente di religione del liceo delle Scienze Umane Barbara
Pinna affronta il tema del dialogo tra Gesù e Maria. «La Madonna è mamma e le sue parole nel vangelo sono vitali, sono
poche ma molto significative. I suoi silenzi sono vitali anche
più delle parole, ma dialoga con Gesù in ogni istante perché
nessuno deve sentirsi solo. Ogni mamma deve saper dire di
“no” quando è necessario e deve assumersi le proprie responsabilità, come fa Maria con Gesù», afferma l’insegnante.
Successivamente il dirigente della Comunità terapeutica “San
Michele” Giuseppe Dilernia evidenzia che «i ragazzi hanno
già discusso in classe su problematiche giovanili e familiari
tutto l’anno. Si sono affrontati argomenti riguardanti disagio,
devianza e dipendenze attuali. Con Marco Statzu, docente di
antropologia della Pontificia Facoltà Teologica, si è approfondito il tema della famiglia come risorsa e strumento nel processo di crescita. Oggi più che mai assume una notevole importanza la famiglia nell’educazione dei ragazzi, anche se è notevolmente cambiata rispetto al passato. Tra separazioni, divorzi e altri modelli spesso arrivano le crisi dei componenti familiari, ma l’importante è essere se stessi e sapersi accettare.
Ognuno nasce con un dono... perciò alla fine ognuno fa quello che è ed è bello condividerlo con chi si ha accanto».
Con il docente Vincenzo Muntoni si affronta il rapporto tra
genitori e figli ai tempi dei nostri nonni: «Ormai si è modificato
il concetto di obbedienza e in passato non c’era molto spazio
per il conflitto: il genitore comandava e il figlio, volente o
nolente, ubbidiva. Con le nuove tecnologie, i tablet e gli smartphone non esiste più il dialogo diretto ma occorre che ci si
incontri tra generazioni attraverso la costruzione di un modello ideale di crescita, un percorso in cui ognuno ha la responsabilità del proprio compito. Il compito dei genitori e degli
educatori è quindi quello di fare diventare i figli autonomi,
capaci di stare al mondo, di relazionarsi con gli altri». (gi.ar.)
al tema “Nutrire il Pianeta,
Energia per la Vita” che implicano l’utilizzo di strumenti e/o canali digitali, così da
unire gli aspetti educativi
alle nuove tecnologie con la
condivisione di fotografie,
video, impressioni con le
classi di tutto il mondo: attualmente la classe ha partecipato a 28 missioni con
un punteggio di 315 punti e
una posizione in classifica
di tutto rispetto: 336° su
2708 squadre iscritte», spiega l’insegnante. Sogno nel
cassetto? «Poter visitare
l’Expo prima della chiusura, entro il prossimo ottobre: sarebbe un bellissimo
regalo per i ragazzi che hanno lavorato con entusiasmo
in tutti questi mesi», conclude maestra Graziella.
Dario Frau
Separazioni a basso costo
al via anche a Villacidro
È sufficiente il modico prezzo di 16 euro per la richiesta
congiunta di separazione, scioglimento o cessazione degli
effetti civili del matrimonio. L’amministrazione comunale ha
recepito la legge del governo e le parti potranno rivolgersi
al Comune per chiedere informazioni sulla documentazione
occorrente e per fissare un appuntamento per il giorno dell’accordo. E la decisione dell’amministrazione non ha solo
un aspetto economico, ma consente anche una semplificazione burocratica nella prima fase della separazione.
Ci saranno comunque dei tempi di attesa, ma si eviteranno
quelle lunghissime spese da sostenere tra parcelle agli avvocati e convocazioni nelle aule del tribunale. I coniugi
potranno rivolgersi all’ufficio dello Stato civile del Comune mentre il versamento dovrà essere intestato alla tesoreria del Municipio. Per i villacidresi è peraltro un’assoluta
novità: «Al momento - rimarca il sindaco Teresa Pani - nessuno lo ha richiesto. Non ci sarà bisogno di spendere soldi
davanti agli avvocati. In ogni caso come primo cittadino
farò tutti i tentativi di conciliazione possibili con una mediazione. La rottura di una coppia è sempre un qualcosa da
scongiurare».
Le condizioni per ottenere la separazione “low cost” sono
precise. Ad esempio la procedura non è possibile quando
ci sono di mezzo figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, oppure economicamente non
autosufficienti. Così dopo Monserrato, Carbonia e San
Gavino, anche Villacidro applica la legge 162 del 2014 che
disciplina appunto la procedura veloce per la separazione.
Intanto l’appuntamento per la sottoscrizione dell’accordo
da parte dei coniugi, con l’eventuale assistenza facoltativa
di un avvocato, va richiesto all’Ufficio dello Stato civile
presentandosi personalmente in orario di apertura al pubblico, telefonando allo 070 93442251 o inviando una email all’indirizzo servizidemografici@comune.
villacidro.vs.it.
Gian Luigi Pittau
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L’INTERVISTA
Il sogno di Giuditta:
diventare manager culturale
“Essere imprenditori oggi significa avere il coraggio di credere in se stesssi,
ma anche che qualcuno creda in noi e in ciò che facciamo”
S
ebbene oggi sia circondata dai marmi bianchi dell’aula
magna di Economia a Cagliari, dove per lungo tempo ha
vissuto e studiato, Giuditta Sireus è una giovanissima
imprenditrice di Villacidro e questa mattina, nel suo sorriso,
mentre spiega agli studenti quanto fiato ci vuole per correre
dietro ai sogni, puoi leggere affetto, comprensione, consapevolezza e un pizzico di nostalgia, ma non necessariamente in
quest’ordine.
Giuditta, una laurea in storia dell’arte e un sogno grande come
una casa: diventare manager culturale valorizzando i luoghi
della sua infanzia, l’arte, la bellezza, il talento. La sua azienda
“Itte, itinerari teatralizzanti” ha ormai due anni e mezzo ed è
una delle realtà imprenditoriali più conosciute e apprezzate
della provincia: nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo su una storica di trent’anni che, calcolatrice alla mano,
progetta un’impresa fatta di numeri, conti, previsioni economiche, uno sguardo al manuale di matematica contabile e l’altro alle ballerine di Degàs.
Nella sua esposizione, in cui i calcoli cedono volentieri il posto a citazioni della sua amata Maria Lai, c’è la prova che
sogni e impresa sono due parole fatte per stare vicine. «A
fronte della svalutazione delle belle arti io ribadisco che biso-
gna crederci. Valorizzare l’arte, che è un patrimonio essenziale, di tutti, non di un pugno di privilegiati, significa garantire al
paese entrate perpetue e benessere economico - afferma Giuditta Sireus, rivolta alla platea - ma perché questo avvenga è
necessario un cambio di mentalità».
Tecnico dei servizi educativi, operante in siti culturali e ambientali, la giovane di Villacidro si racconta in merito al suo
percorso e all’esperienza di imprenditrice.
Emozionata?
«Un pochino. In realtà è la terza volta che parlo in convegno agli
studenti di Cagliari, sempre su invito della docente Michela Floris che ringrazio di cuore. Per me è una missione parlare da giovane ai giovani e poter raccontare loro la mia esperienza. Il paradosso è che in questo ambiente i tecnici credono moltissimo in questa idea imprenditoriale, di contro, chi fa cultura dalle istituzioni,
dagli istituti e dai privati non si interessa tanto a me».
Perché?
«Forse perché, senza voler essere presuntuosa, vedo il futuro
e esploro la realtà attuale con idee innovative, che non sono
ancora comprese sino in fondo».
Immagina il futuro?
«Esattamente… Il mio motto è sempre stato: “Sogna sempre,
perché a furia di sognare i sogni diventano realtà”. È una frase
di Maria Lai. Lei sì che vedeva oltre».
Qual è stato il suo percorso?
«Ho intrapreso un corso di alta formazione, uno dei primi promossi dalla Regione, per tecnico dei servizi educativi con funzione di promozione esterna operante in siti culturali e ambientali. È da quell’esperienza e dallo stage in Umbria presso
il sistema museo che ho appreso nuove metodologie per trasmettere la cultura. Terminata questa esperienza ho iniziato le
prime sperimentazioni con l’Associazione Elicrysum. Contemporaneamente studiavo per la specialistica. Ho partecipato
con le socie di allora al primo concorso per idee imprenditoriali promosso dall’università e abbiamo vinto. Da lì ho capito
che volevo puntare più in alto»
Cosa significa essere imprenditori oggi?
«Significa non cedere alla crisi, avere il coraggio di credere in
se stessi e nel proprio sogno andando contro anche a chi per
proteggerti ti dice di non avventurarti in un compito così “spericolato”. Significa avere la testa sempre in moto, le idee sempre in circolo. Significa credere nella formazione continua,
perché la concorrenza è fortissima».
La sua giovane età è penalizzante?
“Molto. Si è più facilmente attratti dall’esperienza e dal nome
noto che dalla novità. Essendo ancora poco conosciuta nel-
l’ambiente difficilmente ho accesso agli uffici dei “grandi”, ma
per ottenere uno sponsor o un contributo lotto con tutte le
mie forze».
Sorride, Giuditta, ricordando gli anni difficili della gavetta e
del lavoro non retribuito.
Qualche sassolino nella scarpa?
«Sì. Le professionalità del settore culturale hanno una dignità
e pertanto vanno riconosciute anche finanziariamente. C’è
purtroppo una convinzione diffusa che queste debbano sempre lavorare gratuitamente, senza una retribuzione. È questo il
motivo per il quale non si riesce a crescere e a dare valore al
lavoro in questo campo. Credo che un’impresa debba reggersi senza i finanziamenti pubblici, ma il sostegno che i giovani
imprenditori cercano spesso non è di tipo economico»
E cosa cercate?
«Solo qualcuno che creda in noi e in ciò che facciamo. Senza
un piccolo incoraggiamento, che può sembrar poco ma quando si ha paura vale tantissimo, i più fragili perdono l’entusiasmo e abbandonano i propri sogni. Questo non è giusto».
Lei ha una laurea prettamente umanistica.
«Sì, sono laureata in beni culturali e specializzata in storia
dell’arte».
Tipi di lauree, come saprà, da molti sconsigliate…
«Sì, purtroppo».
Cosa dice a un diciottenne diviso tra la sua passione e ciò che
gli altri si aspettano da lui?
«Mi sento di dirgli che non è più tempo di aspettare che ci
capiti la quasi impossibile occasione della nostra vita all’interno del migliore museo. La cultura può essere considerata
come un settore economico vero e proprio, per cui amare l’arte e sperimentare è fondamentale, ma fare esperienza e formarsi in aspetti come quello manageriale lo è altrettanto»
A conti fatti, se si guarda indietro, ne è valsa la pena?
«Autogestirti, pianificare la tua vita lavorativa è straordinario, ma allo stesso tempo ti mette davanti a tantissime responsabilità perchè devi quotidianamente fare i conti con te stesso. Da queste riflessioni a volte nasce una crisi interiore, ti
senti combattuto. Ma sì, decisamente ne è valsa la pena».
Dubbi?
«Sempre. “Sto facendo la cosa giusta?” è stata la domanda
che mi sono posta più spesso in questi due anni. Gli infiniti
sacrifici che costellano le nostre giornate, e che ormai ho imparato a non vivere come croce ma come opportunità. Bisogna seminare e attendere pazientemente, prima o poi i frutti
del proprio lavoro si raccolgono».
Francesca Virdis
SAN GAVINO
A Monumenti Aperti l’esibizione delle Sirene Mutanti
In un’apoteosi di musica, luci e corpi scintillanti Marcella Ibba
con le sue modelle, in occasione dei Monumenti Aperti di San
Gavino, ha presentato le “Sirene Mutanti”. Piazza della Resistenza lo scorso 3 maggio, è stata presa d’assalto da
numerosissimi compaesani che, dopo aver visitato i vari gioielli e ricchezze del paese, ha voluto assistere ad una breve
sfilata di sette modelle che richiamavano la mostra “Abissi”,
allestita nella sala espositiva “Rip-art” realizzata da artisti del
paese, per dare il saluto alla quarta edizione dei monumenti
aperti di San Gavino.
Le protagoniste dell’artista rappresentavano sirene, prive di
coda, quasi sospese negli abissi dell’oceano. Ricche ed elaborate acconciature, visi quasi mostruosi, bocche enormi e
vitree, corpi, avvolti nel celofan e bagnati da una pioggia di
brillanti e costellate da pesci, così si presentavano le “Sirene
mutanti” su una lunga passerella che attorniava la fontana
della piazza. Il loro lento movimento a suon di musica elettronica diveniva una metafora della ricerca e dell’esplorazione
verso il profondo “io” capace di suscitare momenti di grande
emozione da parte del pubblico presente.
L’obiettivo dell’artista a tuttotondo era quello di rappresentare uno straordinario viaggio alla ricerca di luoghi più remoti ed
ancora inesplorati della terra: gli abissi. Il loro era un vagare
all’indietro e al rallentatore verso i più lontani e reconditi luo-
Foto Casu
ghi del mondo. Un viaggio nel tempo dove più ci si penetra
negli abissi, più ci si allontana dai vincoli e dai controlli della
società alla ricerca di una verità interiore che è ancora segreta
e nascosta.
Secondo la artefice l’unica “avventura” ancora possibile per
l’uomo contemporaneo rimane la conoscenza di sé,
l’inabissamento dell’io e nell’io, in quella parte di se stessi più
profonda e arcaica, affrontando le tenebre dell’inconscio. Il
suo viaggio negli abissi s’identifica con la personalità, la mente e il corpo, ossia come qualcosa di separato dalla vita e dal
cosmo.
Marcella ha immaginato che le sirene mutanti siano dotate di
autocoscienza e percepiscano se stesse come individualità
separate dall’oceano. Riconoscendosi come profondità si rendono conto della propria piccolezza rispetto all’immensa profondità del mare. Le sirene mutanti degli abissi rappresentano
dunque il simbolo di una realtà quasi inquietante, celata dentro di noi; essa è la natura allo stato puro e custodisce il segreto delle nostre origini. Gli abissi quindi custodiscono il fondo
oscuro e misterioso di ognuno di noi.
Il piccolo io le identifica con le sirene mutanti, il grande io con
l’immensità e la profondità degli abissi, quando l’io scompare,
scompaiono sia le sirene sia gli abissi. Ciò che rimane è lo
stato naturale, prima di cadere nel sogno del pensiero da cui
deriva l’illusione dello spazio e del tempo.
Quindici minuti di massima enfasi, forse troppo pochi per gratificare e quantificare le tante ore per la preparazione delle
modelle. Tuttavia Marcella sa che questo fa parte del gioco e
che il paese aspetterà, con ansia, la prossima edizione dei
monumenti aperti per scoprire le sue prossime imprese.
Marcella Pistis
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15 maggio 2015
Collinas: “Alla scoperta dell’Antica Storia della Sardegna”
S
i è rivelata una grande festa culturale e artistica la giornata archeologica “Alla scoperta dell’Antica Storia della Sardegna”, tenutasi a Collinas lo scorso 26 aprile. Già dalle prime ore del mattino, numerosi cittadini del territorio si
sono incontrati all’appuntamento organizzato da Nurtet
Archeo Collinas, l’amministrazione comunale e la Proloco di
Collinas, per recarsi alle Tombe dei Giganti di Sedda Sa
Caudela, guidati dall’archeologo Nicola Dessì che ha illustrato in modo semplice la storia del bene archeologico, appassionando grandi e piccoli.
Come da programma, hanno poi raggiunto la struttura comunale di Pranu Mannu per il pranzo comunitari e per ammirare l’esposizione “Dalla Dea Madre ai Nuraghi” di immagini
scattate dal fotografo Nicola Castangia e illustrate da Dessì,
PABILLONIS. ISTITUTO
COMPRENSIVO
L’artista Antonio Russo regala due dipinti alle scuole
Aveva promesso un suo dipinto agli studenti delle scuole del
paese in occasione della visita didattica organizzata nella
mostra allestita nel palazzo Liberty dell’ex municipio e così è
stato. Anzi, per la precisione, sono due i quadri che l’artista ha
voluto donare, uno alla scuola Primaria e l’altro alla Secondaria di 1° dell’Istituto Comprensivo. “Visita la mostra e vincerai
un quadro di particolare valore artistico”. Era questa la proposta che l’artista Antonio Russo aveva fatto in occasione della
visita guidata degli studenti, programmata dall’Istituto Comprensivo, per il 17 marzo, alla sua personale.
Una lotteria culturale alquanto originale, ma non insolita per
l’estroso artista, siciliano di nascita, ma sardo di adozione,
che vive da oltre quarant’anni a Villanovaforru dove ha il
suo studio atelier. Le sue opere sono vendute e richieste in
tutto il mondo. La sua arte surrealista è apprezzata molto a
New York e Sidney. In programma, tra poco, la partecipazione alla collettiva d’arte “Premio Franca Rame” a Roma dove
saranno presenti, oltre al premio Nobel Dario Fo, numerosi
personaggi della cultura, del cinema e del giornalismo nazionale ed estero.
Dopo la lezione teorica, gli studenti avevano partecipato
all’estrazione di un biglietto dove in palio c’era appunto un
dipinto dell’artista. I due quadri sono stati consegnati alcuni i giorni fa, nel corso di una cerimonia, nei locali di via
Boccaccio.
Dario Frau
GONNOSFANADIGA
Akomodiamoci a teatro
L’Associazione teatrale “Komodìa” si costituisce per promuovere il teatro come forma di volontariato culturale. Nata su iniziativa di un gruppo di attori non professionisti che nel passato
hanno sviluppato diverse esperienze importanti nell’arte della
recitazione, si prefigge di continuare e diffondere l’arte
dell’improvvisazione teatrale in tutte le sue forme attraverso spettacoli gratuiti e disinteressati da parte dei propri associati. Compongono il direttivo Nicolò Saiu Carta Cabras (presidente), Franco Anedda (vicepresidente), Antonio Carta (segretario), Carlo
Sitzia (tesoriere), Giuliana Zurru (direttore artistico), Rosanna
Sardu e Maria Bonaria Uccheddu (consiglieri).
La finalità dell’associazione è quella di impegnarsi a tutelare il
patrimonio culturale e linguistico sardo e veicolarlo in modo trasversale attraverso rappresentazioni teatrali che intende allestire
anche a favore di coloro che più di ogni altro hanno bisogno di
un sorriso (anziani, ammalati, disabili) creando in tal modo occasioni di raduni solidali nella più profonda dimensione sociale
dove si annida la solitudine, la sofferenza, l’isolamento.
In quest’ottica, il teatro diventa uno strumento accessibile là
dove esistono situazioni di disagio grazie al patrimonio di un
linguaggio comune che identifica la tradizione e la natura del
popolo sardo, uno strumento in grado di regalare emozioni, sen-
sazioni e suggestioni sulla trama
di una ironia sottile che segna il
confine tra finzione e realtà rappresentata con scene, talvolta paradossali, costruite ad arte per mettere a nudo certe verità scomode in un momento di catarsi collettiva in grado di tradurre momenti di malinconia
e malessere in momenti di svago. Un primo esempio di tutto ciò si
è avuto la domenica 19 aprile con il primo debutto a
Gonnosfanadiga del gruppo teatrale “Komodìa” che di fronte a
una folta platea ha rappresentato le difficoltà che spesso esistono nel rapporto tra genitori anziani e figli. La calorosa approvazione degli spettatori ha ampiamente dimostrato la validità dei
principi ispiratori del gruppo, positivamente incoraggiato a continuare nella via intrapresa.
Attualmente la neonata associazione non dispone di un adeguato impianto luci e voci che consenta il sereno svolgimento dell’attività, confida, comunque, sulla collaborazione dei propri sostenitori e delle pubbliche istituzioni per realizzare pienamente i
fini che l’associazione si prefigge.
Antonio Carta Saiu Cabras
che ha condotto anche il laboratorio didattico di archeologia e sperimentazione, coinvolgendo bambini e adulti nella
lavorazione e decorazione dell’argilla. «Un laboratorio molto divertente per i più piccoli – ha commentato il consigliere
comunale Barbara Tuveri – ma che ha tirato fuori la vena
artistica anche dei più grandi».
Marisa Putzolu
SANLURI. CONCERTO
CELEBRATIVO
Un brindisi ai 20 anni
del Coro polifonico
Il coro polifonico “Città di Sanluri” spegne 20 candeline. Per
l’occasione, sabato 16 alle 19.30, presso il Teatro del Polo
culturale, si terrà un Concerto celebrativo. In programma le
più belle pagine corali delle opere di Giuseppe Verdi. «Abbiamo scelto - dice la presidente Anna Zuddas - di festeggiare
col compositore italiano più conosciuto anche dai non appassionati di musica. Le sue opere ispirano sentimenti di grande
intensità come anelito alla libertà e all’amor patrio, rievocano
eventi che appartengono alla memoria storica degli italiani».
A dirigere ci sarà il maestro Antonio Pittau, da oltre quindici
anni alla guida del Coro. Racconta un po’ di storia, episodi
cari ai 46 soci fondatori, a partire dalla fondazione, col maestro
Angelo Vinci. «Il nome - aggiunge Zuddas - fu scelto perché
fosse percepibile l’amore per la propria cittadina e la voglia di
dare un contributo alla crescita culturale e musicale della comunità». Di quei soci fondatori, gli unici che possono dire “io
c’ero” in quel settembre del 1995 sono i coristi Pinuccio Tronci,
Piergiorgio Dore, Pinuccio Fenu, Simona Casta.
In questi 20 anni, il gruppo ha animato tantissimi eventi, fra
cui le festività religiose patronali, messe per matrimoni, le Celebrazioni civili per il 150° dell’Unità d’Italia nel 2011 e il 60°
dell’Anniversario della Costituzione Italiana. Ha promosso
rassegne di Cori Polifonici, ha realizzato un progetto con l’Istituto Alberghiero di Villamar e il Colli Vignarelli di Sanluri, ha
collaborato con la banda Ennio Porrino di Arbus, Ponchielli di
Sanluri e la Stanislao Silesu di Samassi con la quale ha partecipato alla prima nazionale del Requiem di Frigyes Hidas nel
2000; ha stretto legami con il coro polifonico parrocchiale San
Sebastiano Martire di Arbus e gemellaggi con Cori d’oltralpe,
i Cori di Annecy e La Roche nell’Alta Savoia. Ha saputo conservare i canti della tradizione sarda che si tramandavano oralmente, ma anche le composizioni musicali in lingua sarda del
nostro concittadino Akino Congia. «Quindici anni fa, con l’arrivo del maestro Antonio Pittau, il coro ha gradualmente innalzato l’asticella sino a cimentarsi con musiche del repertorio
classico tutt’altro che facili. A coloro che hanno tenuto alto il
nome della nostra cittadina deve andare il plauso. Quello che
ci aspettiamo nell’immediato futuro è vederlo ringiovanito nella
sua formazione, un minimo di sostegno economico da parte
delle Istituzioni e il teatro affollato sino all’inverosimile dai
concittadini e dagli amici dei paesi vicini».
Santina Ravì
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SERRAMANNA. SUCCESSO DELLA MANIFESTAZIONE “APERITIVO D’AUTORE”
Incontri nella biblioteca comunale
alla scoperta della lettura
«Perchè ti piace leggere?» - «Perchè si scoprono tante cose
nuove». Anna, sei anni, con la sua risposta semplice e acuta,
lascia senza parole gli adulti intorno a lei.
L’amore per la lettura, certe volte, è un piccolo tesoro che ci
tiene per mano sin dall’infanzia, come se fosse parte del nostro patrimonio genetico, una nota che compone la sinfonia
della nostra vita, accompagnandoci, sorprendendoci e facendoci volare lontano con la fantasia, ogni giorno.
Anna ha avuto questa grande fortuna: il suo amore per i libri
è nato insieme a lei e l’accompagnerà per sempre. Tanti e tanti
libri che certe volte comprerà, ma tante altre volte prenderà in
prestito in biblioteca.
Tanti bambini non lo sanno, ma tutti, proprio come fa Anna,
possono iscriversi in biblioteca e portare a casa i libri che
vogliono e, dopo averli letti, restituirli e prenderne in prestito
altri.
Proprio per promuovere i libri e far conoscere la bellezza della
lettura, la Biblioteca comunale “Giovanni Solinas” in collaborazione con l’associazione culturale “Gruppo F.R.A.D.E.S.”,
con il patrocinio del Comune di Serramanna, già dal mese di
febbraio ha portato avanti un progetto di attività, visite e incontri. Fa parte di questo progetto anche la manifestazione
“Aperitivo d’Autore” che si è di recente concluso. Ogni giovedì, lettori di tutte le età hanno varcato la soglia della biblio-
teca e hanno preso posto per assistere alla presentazione letteraria di turno: romanzi, favole e saggi di autori locali sono i protagonisti di questi piacevoli pomeriggi in compagnia, dove l’amore per la lettura è il
collante che unisce tra loro persone in apparenza diverse e lontane.
Ogni presentazione è stata una sorpresa: diverso libro, diverso autore, diverso modo di esporre, raccontare, leggere, spiegare. Ogni volta, soprattutto grazie
alla preziosa collaborazione della bravissima bibliotecaria Fabiola e dei ragazzi di F.R.A.D.E.S. che accompagnano e guidano gli autori in questa emozionante avventura, un piacevole incontro di condivisione. E ogni settimana,
sempre più gente affolla la biblioteca partecipando al piacevole evento.
Si dice spesso che ormai non si legga più, ma non è così: i
lettori ci sono sempre. Tanti. Si mimetizzano tra i non lettori
senza ostentare la loro più grande passione, spostandosi tra
realtà e voli nel loro mondo incantato fatto di fantasia e sogni,
alternandosi tra pagine ingiallite dal tempo ed eBook Reader
di ultima generazione. Escono allo scoperto, mostrando la loro
natura di divoratori di inchiostro, solo durante le grandi occasioni. E la presentazione di un libro dentro una biblioteca, è
un’occasione grandissima: cosa c’è di più meraviglioso per
un lettore che stare seduto di fronte ad uno scrittore che presenta un libro e avere intorno centinaia di volumi che, in un
muto invito, sussurrano “prendi me...prendi me...prendi me...”.
Così mentre con un orecchio si ascolta l’autore che racconta il
suo lavoro, con gli occhi ci si guarda intorno alla ricerca di un
libro da portare a casa.
Anche Anna fa così, anzi, lei non aspetta di arrivare a casa: lei,
alla fine della presentazione, intanto che i grandi bevono il
loro aperitivo, comincia sfogliare il libro che ha scelto e, seduta su una sedia rossa, guarda le illustrazioni e sogna una nuova storia che la farà volare lontano e che le farà scoprire tante
cose nuove...
Francesca Murgia
Villacidro ha festeggiato i cento anni del romanzo
“Marianna Sirca” di Grazia Deledda
Pabillonis: azalea della ricerca
Una storia d’amore e morte nella Sardegna barbaricina del
primo ‘900: “Marianna Sirca” di Grazia Deledda compie cent’anni, ma non li dimostra. Sabato 2 maggio è stata Villacidro a
omaggiare il romanzo della scrittrice sarda per eccellenza, con
laboratori, dibattiti, interventi da parte di alcuni ospiti d’eccezione e specie attraverso una grande rievocazione storica che
ha coinvolto cittadini, attività commerciali, pubblica amministrazione. Organizzato dall’azienda” ITTE itinerari
personalizzati” con il patrocinio del comune, “Marianna Sircail centenario” si è avvalso della preziosa collaborazione del
Club di Jane Austen, della Fondazione Dessì, dell’Istituto
superiore Regionale Etnografico, dell’Ecole de Madame Foile
e di un nutrito stuolo di ditte locali quali l’Alfa Editrice, il
panificio Cinisu e l’Enoteca Vecchia Botte.
“La rievocazione è stata realizzata interamente con oggetti
originali - racconta l’organizzatrice Giuditta Sireus - e quale
scenario più appropriato di quello offerto dal Mulino Cadoni?
Un rapido passaparola tra le donne del club ha portato alla
luce capolavori d’arte povera, tra cui seggiole e cassapanche
in legno, vecchie madie, piccoli utensili da cucina, catini e
ceste in vimini appartenute alle trisavole, fino all’elemento più
caratteristico dell’intera rievocazione: un sobrio abito da signora borghese di inizio 900, fedelmente riprodotto da Federica Demontis. Gli scorci e prospettive deleddiane, già di per sé
degne di nota, sono inoltre state arricchite dall’esposizione,
tra gli arredi tradizionali, di alcuni abiti d’eccezione messi a
disposizione dall’Associazione Thurpos Eritajos Orotelli e da
Giovanni Loddo dell’ Associazione Barbagia Maschere Olzai.
Al mattino di sabato, i piccoli della scuola primaria del circolo
“A. Loru + Satta” sono stati portati in visita alle ambientazioni
del romanzo e ai laboratori a loro dedicati. “ I bambini erano al
settimo cielo, curiosi, entusiasti e molto divertiti. Una delle
più grandi soddisfazioni - prosegue Giuditta Sireus - è stata
proprio vederli sommergere me e le maestre di domande.”
La manifestazione è proseguita nel pomeriggio con il laboratorio in lingua sarda riservato agli adulti, curato dall’esperto Pietro Perra per Alfa editrice,
cui ha fatto seguito, in tarda serata, il dibattito interattivo
aperto a tutti. “Sei grandi esperti per un convegno di disarmante bellezza - puntualizzano dal Club di Jane Austen - perché poter accogliere personalità del calibro di Neria de Giovanni, prima presidentessa dell’associazione internazionale
dei Critici Letterari, nominata Donna dell’anno e insignita della Medaglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la
sua attività, o aver conosciuto grandi nomi della cultura come
quello di Francarosa Contu, responsabile dell’istituto superiore regionale etnografico, ci ha riempito d’orgoglio”.
Al tavolo dei relatori figuravano anche il noto scrittore Francesco Casula, il presidente dell’Istituto per la storia
dell’Antifascismo e dell’età contemporanea nella Sardegna
Centrale Marina Moncelsi, Duilio Caocci per l’Università degli studi di Cagliari e Simone Pisano per la “Guglielmo Marconi”
di Roma. La storia di Marianna Sirca, divisa in piccoli quadri
simili a momenti narrativi, è stata intervallata dalle domande
dei presenti agli studiosi e dalle letture animate a cura dell’attrice Noemi Medas, reduce dal successo del film “Perfidia” di
Bonifacio Angius. “In oltre un centinaio hanno assistito al
convegno e visitato i locali - conclude l’organizzatrice - ma la
gioia nel vedere una comunità riunita, che nonostante l’orario
tardo si è trattenuta nel cortile del Mulino degustando i prodotti del territorio e contribuendo a formare un’atmosfera conviviale e comunitaria così intensa, ci ha ricompensate ampiamente di ogni fatica . Non si semina invano, ma ricordiamo
l’importanza di valorizzare la lettura e i circoli letterari, promuovendo le eccellenze sarde e non sminuendole o dimenticandole come spesso accade”.
Francesca Virdis
Anche quest’anno alcuni volontari hanno dato la loro disponibilità per distribuire L’Azalea della Ricerca, un’iniziativa che
consente di finanziare la ricerca oncologica. Per tradizione, i
fiori di AIRC arrivano nel giorno della Festa della Mamma e
come sempre sono stati tanti i cittadini che hanno contribuito
con l’acquisto di questo pianta floreale a finanziare le attività
di ricerca per la lotta contro i tumori. Insieme alla piantina è
stato consegnato anche un libretto-guida su informazioni inerenti due tumori più pericolosi, quello al polmone e quello al
colon-retto: “essere informati è importante per fare la giusta
prevenzione” ,spiegano le volontarie che da tanti anni si dedicano a questa forma di volontariato nel giorno della Festa
della Mamma. Per aiutare la ricerca si può devolvere il 5X1000
nella dichiarazione dei redditi inserendo il codice fiscale
dell’AIRC, 80051890152. (d. f.)
Samassi: Deep Love Tattoo
per ricordare Valentia Fais
Il 23 e 24 maggio si svolgerà a Samassi la seconda edizione di
“Deep Love Tattoo”, il Memorial dedicato a Valentina Fais.
«Siamo convinti che anche un’esperienza dolorosa come la
perdita di una persona amata possa diventare fonte di solidarietà e amicizia», queste le parole di amici e familiari che hanno
dato vita alla manifestazione con lo scopo di raccogliere fondi
a favore dell’associazione Karibu Afrika Onlus & Acra San
Geminiano. Si tratta di un passo importante fatto all’insegna
della solidarietà e dell’amicizia, per continuare a ricordare la
cara Valentina. L’evento si svolgerà nei locali della cooperativa “La Collettiva”. In entrambi i giorni è prevista una tattoo
convention e l’intrattenimento per bambini a cura dell’associazione Badrunfa.
Sabato 23 maggio si esibiranno i Train To Roots, diversi
giocolieri, accompagnerà il tutto la body art e l’aerografia.
Domenica 24 maggio alle 13 si svolgerà un pranzo di beneficenza aperto a tutti, la quota è di 15 euro che saranno devoluti
all’associazione Karibu Afrika Onlus e all’Acra San Geminiano.
Seguirà un’esposizione di auto e moto d’epoca con l’esibizione dei Billy Boys, degli Entroterra e altri gruppi. (c.o.)
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Dal Linas al Cho Oyu, Max Caria:
ecco il mio primo 8000
L’alpinista di Oristano ha raccontato in un libro
la sua avventura sulla sesta vetta del mondo
di Paolo Salvatore Orrù
“H
o scalato le mie vette prima dentro e poi fuori”:
l’avventura è prima di tutto sogno, poi diventa
progetto, infine, ragione di vita. Certo, questo
non è più il tempo delle storie raccontate dai nonni ai loro
nipoti con le mani tese verso la brace. Però, nel libro “Cho
Oyu, il primo sardo oltre gli 8000 metri” (Delfino editore),
scritto dall’alpinista sardo Massimiliano (Max) Caria con la
collaborazione di Alberto Cauli, lo specialista di storia contemporanea che l’ha aiutato a stendere il diario delle sue
gesta, potrebbe determinare un felice ritorno, fra molti anni,
a quel “c’era una volta” che ha accompagnato intere generazioni di bimbi: perché le storie raccontate da Max saranno la
pietra miliare, il vademecum di chi vorrà mettersi alla prova in
analoghe imprese. «Guardo frequentemente l’altimetro, la
quota cresce lentamente al contrario della fatica. Intorno ai
4700 metri la traccia è ripida, ripidissima, sembra un muro.
Rinuncio? L’idea mi attraversa i pensieri … Mi guardo attorno, non posso rinunciare; troppi allenamenti, troppi sacrifici,
privazioni e speranze». Che montagna stava scalando Max
quando il suo ego è stato travolto dai dubbi? In quel momento il suo sguardo era rivolto verso la vetta del monte Bianco.
Ma è davvero importante sapere il dove o il quando? O meglio
sapere che Max in quegli istanti ha avuto la meglio nei confronti della paura, la grande nemica di ogni uomo d’avventura? Quella decisione presa ai piedi del monte più alto d’Europa è l’inizio di tutto: il primo gradino di una lunga scalata.
È per questo che dopo la “conquista” del Monte Bianco, e
dopo un breve periodo di riposo passato a inseguire e fotografare i cervi, i mufloni, le codule, il mare e le vette della
Sardegna, decide di sfidare il Cervino. «Sul Cervino si cammina leggeri, quasi a non voler disturbare”, spiegherà poi
Max nelle sue note autobiografiche. L’alpinista sardo rispetta la natura, l’affronta senza arroganza: sa che da un
momento all’altro potrebbe trasformarsi da madre in matrigna. Ma, “una nave in porto è al sicuro, ma non è per questo che le navi sono state costruite», disse una volta Benazir
Bhutto (ex primo ministro del Pakistan). Forse è per questo
che Max decide di staccarsi ancora una volta dalle dolci
brezze del suo mare per arrampicarsi sulla vetta del Munt
Kenia, un’aspra montagna che si slancia verso il cielo nella
terra dei Masai. “La permanenza sulla vetta è stata rapida:
qualche foto, il tempo di srotolare la bandiera della Sardegna e poi giù”. Il piacere dura poco, ma traccia un solco
nella mente.
Il Munt Kenia ha fatto capire all’ex Componidori della
Sartiglia di Oristano che non ci si può cullare sugli allori,
così decide di battere il ferro quando è ancora caldo: la
scalata del Peak Lenin (7134 metri, Kirghikistan) è dettata
da questa convinzione. “Il Peak Lenin sembrava non volersi far conquistare, come se stesse scacciando sempre più
giù … si faceva fatica a respirare, la temperatura era tra i 15
e i 20 gradi sottozero” scrive Max. Ma la vetta è lì, e va
conquistata. A missione compiuta, il Peak Lenin diventa il
prologo del blitz sardo ad Atacama, dove “ogni passo è
un’odissea, pare di stare tra le sabbie mobili, la neve cerca
d’intrufolarsi dappertutto”, però il sardo non si scoraggia,
vince e rilancia: vuole osservare il mondo dalla vetta del
Cho Oyu 8.201 (al confine tra Cina e Nepal). «Guardavo
Claudia e il piccolo Lorenzo e provavo una sorta di paura
per questo ottomila che stavo andando a scalare», ha scritto Max, «al momento dei saluti pensai addirittura di mollare
tutto e tornare indietro», in particolare quando «il proprietario dell’agenzia che organizza le spedizioni mi aveva dato
una siringa con una fialetta di Desametasone, un salvavita».
Solo gli incoscienti non hanno paura. «Poco prima dell’arrivo al Campo 2 ci trovammo a poca distanza da un’altra
spedizione, e vidi davanti a me uno statunitense che cominciava a barcollare”, racconta ancora Max, “… Era perso, lo chiamavo, non rispondeva, come fosse morto in ginocchio».
Un’immagine che allarma ma non impressiona più di tanto
l’alpinista: «Durante la scalata del Yellow band (la parte
soleggiata del Cho Oyu ndr) rischiai più volte lo svenimento, la mancanza di ossigeno si faceva sentire a ogni falcata,
a ogni sforzo». Ci vollero sette ore, dopo un mese di
acclimatazione, di questa estenuante marcia per raggiungere la vetta della Dea Turchese. «Feci velocemente qualche foto mentre l’ombra del Cho Oyu, enorme, si allungava
per decine di chilometri sulla valle sotto di noi. L’aria era
pulitissima, il cielo si presentava ancora come un tappeto
fitto di stelle». E «l’Everest era alle mie spalle e si mostrava
in tutta la sua maestosità … Cominciammo la discesa, verso quella parete che mi avrebbe riportato al campo base
avanzato e da lì al campo base. Era fatta». Il rientro. “Ciao
papà!”, mi salutò il piccolo Lorenzo, mio figlio, in braccio a
Claudia, ero finalmente a casa».
Il riposo del guerriero, si sa, non può durare in eterno: la
mente di Max ha cominciato a scalare, da dentro, la vetta
dell’Everest. C’è da scommetterci, presto l’alpinista di
Oristano la scalerà anche da “fuori”.
Villanovaforru
FEDERAZIONE BANDE MUSICALI DELLA SARDEGNA
Collettiva d’arte in onore alla Brigata Gramsci
Campus di formazione
per giovani musicisti
Nell’ambito del 70esimo anniversario dalla Liberazione, il museo Sa Corona Arrubia, Museo naturalistico del Territorio “G.
Pusceddu”, ospiterà fino al prossimo 30 giugno la collettiva
d’arte “Un gagliardetto per la Brigata
Gramsci” dedicata ai partigiani della Brigata
intitolata ad Antonio Gramsci, partecipi della Resistenza per liberare l’Italia dal nazi-fascismo.
La mostra espone gagliardetti, non di tessuto, ma di opere che si sono ispirate alla forma e sono l’interpretazione della Brigata
Gramsci. All’iniziativa, ideata dalla Biblioteca gramsciana Onlus e organizzata in collaborazione con Nur, il consorzio Sa Corona Arrubia, Lichene
Rosso, La Seggiovia e la Regione, hanno partecipato gli artisti Antonello Alloro, Elisabetta Ardu, Giuseppe Bosich,
Corinna Cadetto, Ielmo Cara, Silvano Caria, Angela Carone,
Donatella Casas, Jacopo Cau, Graziano Cecchini, Gianni
Chessa, Diego Collu, Gianluca Concas, Giulio Concu, Federico Coni, Luca Cossu, Francesco Cubeddu, Deligia Bonacattu,
Simonetta Figus, Roberto Floris, Marta Fontana, Simone Frau,
Augusto Ghiani, Antonella Guidi, Antonio
Ledda, Marco Lorenzetti, Maria Teresa
Manias, Arnaldo Manis, Fernando Marrocu,
Max Mazzoli, Maria Grazia Medda, Gigi Meli,
Michele Melis, Roberto Meloni, Dina
Montesu, Roberto Montisci, l’associazione Morsi d’arte, Gisella Mura, Gabriella
Mura, Paolo Mura, Fabio Muscas, Viola
Niccolai, Vittoria Nieddu, Salvatore Palita,
Marco Pili, Alessandra Raggio, Eva Rasano, Antonello Roggio, Paolo Sanna, Giovannino Sedda,
Antonella Serra, Massimo Spiga, Mariarosa Spina, Maria
Spissu Nilsson, Luigi Todde, Monica Tronci, Franca Tronci e
Michele Zucca.
Marisa Putzolu
Entro il 20 maggio i giovani musicisti, nati tra il 1998 ed il 2003
e appartenenti alle associazioni bandistiche della Federazione
delle Bande Musicali della Sardegna, possono presentare domanda per partecipare alla terza edizione del campus di formazione per la rappresentativa regionale giovanile che si svolgerà dal 12 al 14 luglio nell’Hotel Setar di Quartu Sant’Elena. La
manifestazione, organizzata dalla Federazione, ha l’obiettivo
di dare opportunità di crescita ai giovani che operano nelle
bande musicali dell’isola. Quest’anno a guidare la formazione
sarà il maestro Franco Arrigoni di Como. «Maestro di grande
esperienza e titolare di importanti incarichi a livello nazionale
- fanno sapere gli organizzatori - . Dirige diverse formazioni,
tra cui due svizzere (Novazzano e Bellinzona) e una italiana
(Corpo Musicale di Cadorago)». Il noto maestro dirigerà i
musicisti della rappresentativa regionale giovanile anche il 16
luglio nel concerto conclusivo del settimo concorso bandistico
internazionale “Città di Sinnai”. (m. p.)
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SERRAMANNA
Nessuno ha mai visto la leggendaria cripta
San Leonardo,
la chiesa dei misteri
L
a chiesa patronale di San Leonardo, costruita intorno al XVI secolo, sarà una delle mete di “Monumenti Aperti 2015”. I visitatori potranno ammirare il campanile a pianta ottagonale, unico in tutto il sud della
Sardegna, la bellissima fonte battesimale, le meravigliose tele di Domenico Tonelli, l’antichissima cappella
del Santissimo. Ciò che invece resterà chiuso e nessuno vedrà, è “la leggendaria cripta della chiesa di San
Leonardo”.
Infatti, anche se gli abitanti di Serramanna ne hanno
sempre sentito parlare, questo luogo misterioso nessuno l’ha mai visto e nessuno sa se realmente esista.
Da molte generazioni, “si dice” che dietro l’altare maggiore si nasconda l’ingresso di un luogo segreto. Le
versioni sono tante: una cripta, ciò che resta di un’antica chiesa, un passaggio segreto che attraversava il
paese e conduceva fino alla chiesa di San Sebastiano,
un vecchio cimitero. Dicerie, “Contus de forredda” dei
nostri nonni, leggende, oppure c’è qualcosa di vero?
Le ricerche in rete, i vari testi su Serramanna e sulla
chiesa, gli opuscoli pubblicati nel corso degli anni,
conducono tutti allo stesso nome: Salvador Vidal, monaco e scrittore sardo vissuto tra il 1575 ed il 1647. Nel
VILLACIDRO. L’ARTISTA
AL
1639, nel libro “Annales Sardiniae”, raccontava che la
chiesa di San Leonardo era stata costruita sopra ciò
che restava di un’altra chiesa che custodiva preziose
reliquie di santi (Subterranea subestalia ecclesia
obruta). Forse la leggenda è cominciata proprio con
questo libro, ma non abbiamo la certezza che sia attendibile. Proseguendo la nostra ricerca in biblioteca,
troviamo per caso un atto notarile del 1696 nel quale
“Giovanni Battista Crobu, Procuratore della parrocchiale chiesa del paese di Serramanna” affida al “maestro
Bachisio Pirella, muratore” l’incarico di terminare i lavori già cominciati della cupola e dei tre bracci della
soletta della chiesa. Nasce a questo punto una domanda: se quella zona era ancora in costruzione, l’altare dove si trovava? È possibile che, se la cripta c’è,
non sia sotto l’altare maggiore che conosciamo oggi?
Forse è necessario concentrarsi sulla costruzione più
vecchia.
All’interno della chiesa, la cappella di Santa Maria e
quella della Madonna di Pompei sono le uniche che
ancora conservano il pavimento antico. L’atmosfera profuma di un passato lontano. Potrebbero fornirci qualche
indizio?
“GRANDE
Don Giuseppe Pes, l’attuale parroco, conferma che qualcosa c’è. «Nella pavimentazione della cappella del Santissimo, sembrerebbe che ci sia quantomeno un varco.
Sarebbe bello poter scoperchiare quella fila di mattonelle per verificare cosa c’è sotto. Ma, per poterlo fare,
occorre l’autorizzazione della Sovrintendenza
Archeologica» Ed eccoci quindi, con un po’ di amarezza, giunti al capolinea: sotto la cappella di Santa Maria,
la più antica di tutta la chiesa, potrebbe nascondersi la
cripta che stiamo cercando, antiche sepolture dimenticate, un passaggio segreto che conduce chissà dove,
oppure la chiesa sotterranea di Vidal, ma la nostra ricerca deve interrompersi di fronte al vicolo cieco delle regole e delle difficoltà burocratiche. Rimane la speranza
che la Sovrintendenza Archeologica prenda in considerazione l’ipotesi di inviare persone con le giuste competenze per fare delle ricerche accurate.
Il mistero della cripta perduta per ora resta irrisolto,
ma forse in un giorno non lontano, in occasione dei
futuri “Monumenti Aperti”, i visitatori potranno ammirare quel tesoro del nostro passato di cui in tanti parlano, ma che nessuno ha mai visto.
Francesca Murgia
CANALE DELLA PACE”
Massimo Onnis vola alto
N
uorese di adozione ma villacidrese per nascita,
Massimo Onnis vola a Venezia per esporre al Padiglione “Il Grande Canale della Pace”. La mostra, in
programma fino al prossimo 22 novembre, vede quest’anno artisti provenienti da tutto il mondo. L’iniziativa, curata dal critico d’arte Gregorio Rossi, nasce in
risposta al tragico momento storico attuale e si pone
l’obiettivo di sensibilizzare il mondo con un messaggio
di pace e contro le guerre, mentre gli artisti partecipanti
si uniscono per dare forza a un’idea di fratellanza e di
pace tra i popoli attraverso l’utilizzo del linguaggio universale. Ospiti d’onore alla cerimonia d’apertura del 9
maggio sono stati il Premio Nobel per la letteratura Dario
Fo, il Premio Nobel per la pace Oscar Arias Sanchez e
l’attrice-cantante Romina Power.
Massimo Onnis ha risposto subito alla chiamata di
Gregorio Rossi per un tema di grande importanza come
la pace partecipando con la stessa opera precedentemente selezionata dallo stesso curatore per il Padiglione Costa Rica alla 56esima Biennale di Venezia, “Water,
The origins of life - L’Acqua, le origini della Vita”, dalle
importanti dimensioni di 2x2 metri, che vuole appunto
rappresentare le origini della vita. «Sin dai tempi più
remoti - dice - l’uomo ha riconosciuto nell’acqua la
sorgente di tutta la vita e il legame con la spiritualità
allo stato puro. L’acqua è tutti i liquidi, è fluida, in costante movimento, in costante cambiamento, a volte
lento e quasi impercettibile, a volte veloce e precipitoso. In nessun momento è uguale a se stessa. L’acqua è
profonda, è ricettiva e purificante, è terapeutica, portatrice di energie segrete e guaritrice pulita e trasparente,
proprio come dovrebbe tornare l’essere umano, abban-
donando ogni velleità di guerra». «Per partecipare al Grande Canale della Pace», aggiunge l’artista, «ho posticipato tre grandi mostre personali in Cina al 2016 (Shenzhen, Shanghai e Pechino) in quanto l’opera è stata opzionata da un
collezionista russo che mi ha invitato a fare due
mostre personali a Mosca e San Pietroburgo
nei mesi di giugno e luglio (stiamo vedendo per
le date) dove verrà presentata la collezione Deep
Red in replica a novembre e dicembre a Dubai e
Abu Dhabi». «Personalmente», sottolinea Massimo Onnis, «sono sempre stato convinto che
la propria storia e la propria cultura fanno di
ogni comunità un bene da tutelare e proteggere. È di basilare importanza considerare l’arte e
la cultura non come un costo per la collettività,
ma come un vero investimento per la politica e per la
collettività. Un elemento fondamentale che bisogna
saper valorizzare nel pieno rispetto della tradizione ma
anche in una contemporanea prospettiva di innovazione. Costituisce un validissimo strumento per promuovere l’intero territorio a livello turistico e diffondere la conoscenza al di fuori dell’ambito locale. Chi investe in arte e cultura non sbaglia mai, e soprattutto
non rimane indietro».
Soddisfatto anche il vicesindaco nonché assessore alla
Cultura del comune di Nuoro Leonardo Moro che si
pronuncia con queste belle parole in favore dell’artista nuorese. «Siamo contenti ed onorati che un nostro
concittadino stia percorrendo i più grandi palcoscenici dell’arte contemporanea a livelli elevatissimi. Le sue
opere continuano a stupire per originalità e freschezza
e hanno tracciato una vera impronta nel firmamento
artistico internazionale. Il suo percorso artistico non
fa altro che proseguire nella grande tradizione artistica
nuorese ed esprime il concetto che si deve far vincere
il linguaggio universale dell’arte. Sono convinto che
la sua opera avrà un successo tale da farla stare accanto a quelle di artisti di spessore mondiale in un
palcoscenico di altissimo livello come Venezia. La nostra città sarà al fianco a Massimo Onnis nel “Grande
Canale della Pace”, con la speranza che il messaggio di
pace arrivi ovunque».
Massimo Onnis fa parte della ristretta cerchia di personalità villacidresi che eccellono nei rispettivi campi di
attività, espone in tutto il mondo ed è conosciuto e
apprezzato dalle gallerie d’arte più affermate.
Gian Paolo Marcialis
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20
15 maggio 2015
Serramanna
INIZIATIVA
DELL’ASSOCIAZIONE
IL PUNGOLO
Presentata l’ultima pubblicazione di Giulio Angioni
L
’Associazione culturale Il Pungolo, con il patrocinio del Comune, nell’ambito della “Rassegna di Primavera”, ha proposto al pubblico serramannese la recentissima pubblicazione
di Giulio Angioni, Sulla faccia della Terra, dove l’autore, nella
già collaudata veste di narratore, ha voluto riportare all’attenzione dei lettori la cronaca romanzata di una vicenda fatta
da persone che, anche in circostanze avverse della vita, si
scoprono abili nel trovare soluzioni creative nel fare e capaci
anche di gusto estetico. I fatti raccontati ci riportano nella
Sardegna del XIII secolo; il lato oscuro del medioevo è solo
il quadro storico nel quale si snodano le vicende di un gruppo di scampati, provenienti da luoghi diversi della nostra
isola – immancabile il personaggio di Fraus, l’amata Guasila
– e non solo, che loro malgrado stanno insieme confinati alle
porte di Cagliari, nello stagno di Santa Gia, l’attuale Santa
Gilla nelle cui rive la vita è difficile ma non impossibile e si
trovano costretti a fare di necessità virtù, esperienza antica e
sempre nuova nelle vicende umane. In questo modo la vita
fatta di espedienti diventa un modo per acuire l’ingegno e
trovare soluzioni inaspettate nonché efficaci per la sopravvivenza nella precarietà della malattia e nella cattiva sorte.
Lo stile è avvincente, e il linguaggio risulta modulato per
diverse possibilità di fruizione. Le tracce della sardità vissuta dai personaggi contraddistinguono un’appartenenza e
forse un destino ma pagina dopo pagina ci si rende conto
che il messaggio contenuto nell’opera assume un carattere
universale e pertanto decisamente attuale.
Alcuni significativi passi del volume sono stati presentati
dalla voce narrante di Maria Grazia Cossu, che puntualmente
accompagna gli autori invitati per la rassegna. Al termine di
una breve lettura di qualche riga particolarmente interessante, si apre lo spazio al dibattito. Considerato lo spessore
della formazione antropologica dell’autore, il taglio di natura
sociologica emerge in modo del tutto evidente. Senza dubbio il libro, i cui fatti ci rimandano indietro di sette secoli, ha
costituito uno spunto per diverse riflessioni nelle quali si
riconosce, in parte, la situazione attuale, nelle contraddizioni che rendono incerto il futuro delle nuove generazioni; tensioni sociali, mancato o inadeguato processo di
integrazione fra i popoli, difficoltà nei rapporti
interpersonali, potere soverchiante della gestione strumentale nella comunicazione rispetto all’effettivo valore
del contenuto di pensiero. Mentre si parla, il discorso, dal
tema storico-letterario si sposta su argomenti di carattere
più ampio.
L’autore però in questa circostanza ha manifestato la
volontà di intervenire preferibilmente come narratore;
con rara abilità autoironica per quanti come lui in ambiente scientifico hanno condotto studi antropologici
di natura accademica, ci ha informato sulla sua intenzione di compensare nel tempo, attraverso la produzione
letteraria, i numerosi volumi già realizzati come saggista.
Alcuni suoi commenti hanno quindi focalizzato la riflessione sull’attualità del messaggio narrativo collocato negli eventi passati, peraltro riportati con l’attenzione che
meritano gli studi storici e antropologici. I problemi della condizione umana, di oggi come di ieri, sono stati e
sempre saranno quelli dell’uomo reale - mette in evidenza l’autore – con le capacità ordinarie e straordinarie di
cui egli è capace. Una di queste è quella estetica; la
capacità connaturata all’uomo, attraverso la quale si può
gustare il bello e si apprezza la vita, antidoto efficacissimo contro il male oscuro che oggi, molto spesso ,diventa assolutamente devastante proprio come la lebbra di
ieri. Tuttavia, dalle sue stesse parole, - mi ritengo decisamente ottimista - rimarca il professor Angioni - le future forme di esistenza umana sono legate alla capacità di
raffinare ciò che esiste oggi, anche dal punto di vista
ideologico. Le grandi correnti di pensiero devono
attualizzarsi, non come mero adeguamento quanto piuttosto in termini di qualità della vita, in definitiva nell’orizzonte di un nuovo umanesimo.
SERRAMANNA
La scultura, lavoro ed esaltazione della vita
A chinni po su pai adi traballau e a domu no est torrau
All’interno della manifestazione organizzata per la Giornata Cittadina dei Caduti sul lavoro, il promotore del comitato spontaneo Giuseppe Lasio ha organizzato in collaborazione con l’Associazione culturale Su Stentu ed il
patrocinio dell’amministrazione comunale una mostra di
pittura e scultura.
Intorno al tema del “lavoro” il dibattito è sempre vivo,
disoccupazione, riforme, sicurezza, precarietà, ma come
possiamo trovare un filo conduttore tra il lavoro e l’arte?
in particolare tra l’arte e la sicurezza nel mondo lavoro?
Mario Becciu, scultore che mi ha accompagnato nella visita alla mostra, mi risponde che “la scultura, lavorare la
pietra è fatica, ogni lavoro è faticoso e lo è ancor di più se
non ci soddisfa, mentre il lavoro dovrebbe essere un piacere, le nostre opere vogliono trasmettere un messaggio
di gioia per la vita, gioia per la nostra terra e le sue bellezze”.
La mostra, curata dal direttore artistico Gianluca Devita,
ha esposto le opere degli scultori Aldo Casti e Mario
Becciu di San Sperate e Pino Pinna, serramannese di origini oggi residente a Serrenti. Tutti e tre legati da un’amici-
zia ed una collaborazione solida e quarantennale, provenienti dalla scuola degli scalpellini di Serrenti, appassionati di archeologia ed arte.
In una chiacchierata appassionata sull’archeologia
sarda, il mio cicerone continua “speriamo che ora con
l’eco dei Giganti di Monte Prama venga alla ribalta, e
si dia il giusto spazio al grande popolo degli
shardana” e sorridendo prosegue “ecco che possiamo
spiegarci le origini del nostro carattere così orgoglioso e caparbio”.
E con altrettanto orgoglio e consumata formazione artistica continua: “sarebbe bello parlassero solo le opere, ma, in una società troppo consumistica, abbiamo
spesso bisogno di accompagnarle con le parole”.
In una società frenetica, troppo veloce anche nelle
nostre piccole realtà, dominata da un accentuato individualismo, emerge con forza un bisogno di ascolto e
di condivisione delle attività quotidiane, delle scelte
di vita come delle proprie opere e del proprio laboratorio. Fermiamoci piu spesso ad ascoltare.
Elena Fadda
Nel suo intervento abbiamo modo di ascoltare un eloquio
elevato intercalato da alcune espressioni in sardo
campidanese, in alcuni passaggi dove l’esposizione e il
commento del testo sono veicolati da termini molto particolari. Questo avviene nel momento in cui si parla di rapporti di potere, giustizia sociale, uguaglianza, capacità di
rendere più accettabile la propria condizione sociale ed
esistenziale; argomenti comuni che contraddistinguono
la vita di ogni giorno, per tutte le categorie di persone ma
che nello stesso tempo rimandano ad un più ampio problema di natura intellettuale. Come dire: il linguaggio è
popolare, il significato no, anzi tende verso contenuti
sempre più profondi. Questo forse potrebbe rappresentare un modo alternativo di intendere l’attuale concetto di
identità regionale, talvolta ambiguo e che troppo spesso
afferma l’importanza dell’elemento variabile, quello della
parola rispetto alla durata della struttura di pensiero.
Anche in questo senso il valore del gusto potrebbe costituire un punto di riferimento per apprezzare la propria condizione, forse preferibile rispetto a molte altre esistite in
passato e sicuramente migliorabile per il futuro.
Che significato possono trasmettere questi suggerimenti
nei confronti dei lettori e del nostro pubblico di cittadini
serramannesi? Certamente, come ricordato dalle parole della
curatrice dell’incontro, il privilegio di aver accolto uno fra
i più conosciuti autori nell’attuale panorama letterario isolano, nonché nel campo scientifico in ambito nazionale.
E non ultima una speranza, quella di rilanciare l’interesse
per la lettura e per le iniziative di carattere culturale, tanto
nelle biblioteche come nei circoli spontanei come quello
attualmente esistente, risorse preziosissime per rivitalizzare le attività sociali, la conoscenza reciproca e, come ricorda sempre Giulio Angioni, il gusto per la bellezza, della parola e della scrittura, anche e soprattutto nella vita di tutti i
giorni.
Giovanni Contu
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15 maggio 2015
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
NEL CENTENARIO DELLA GRANDE GUERRA
In trincea con il “grande” capitano Lussu
C
ome sia possibile non riuscire a riempire di gente la
sala dei paesaggi di villa Ghirlanda a Cinisello, presente il sindaco della città, anzi la sindaca come vuole
“Donne, grammatica e media” di Cecilia Robustelli, la presidente del circolo sardo AMIS che organizza l’evento, tre pezzi
da novanta dell’intellighenzia sarda come Franco Siddi, già a
capo del sindacato dei giornalisti italiani, Giacomo Serreli,
celeberrimo giornalista di Videolina e Paolo Pillonca, scrittore
tanto prolifico che non ci sarebbe spazio sufficiente a citare
ogni suo libro, tutti invitati a parlare di Emilio Lussu nel centenario della grande guerra, è mistero glorioso che attiene per
certo ai difetti della comunicazione. Possibile che sia sempre e
solo una questione di soldi? Giacomo Serreli introduce i lavori
dicendo che giornali come il “Guardian” hanno speso 50 milioni di sterline per una campagna tutta loro intitolata “No
Glory in war”, e che di gloria nella prima guerra mondiale ce ne
sia stata poca non occorre che siano gli inglesi a ricordarcelo.
Franco Siddi (membro del Comitato Esecutivo Internazionale
dei Giornalisti, chiosa la locandina) dovrebbe dire di Emilio
Lussu e la Brigata Sassari, roba che neppure il più grande
sintetizzatore mondiale di tutti i tempi riuscirebbe a sviluppare
in meno di mezza giornata, quindi se la cava (poco e male a mio
avviso) con una carrellata sullo scoppio della guerra in cui il
primo ministro Salandra sembra prendersi quasi tutte le colpe
di farci entrare l’Italia. Dice naturalmente dell’eroismo della
“Brigata Sassari” nel Carso, delle due medaglie d’oro al valor
militare che ebbe per quei combattimenti, delle pagine straordinarie di “Una anno sull’altopiano”, che Lussu scrisse nel
’36, esiliato a Parigi dopo la sua fuga da Lipari, confinatovi dal
Fascismo (che gli “revocò” le quattro medaglie al valor militare che si era guadagnato) raccontando in stile giornalistico
ciò che vide nelle trincee assieme ai suoi soldati, la maggior
parte contadini e pastori della sua terra.
Di Armungia Lussu, nel 1890 quando vi nacque contava un
migliaio di abitanti, ora saranno meno della metà, il padre
Giuanniccu di famiglia “nobile” (erano proprietari terreri) sposa una popolana suscitando grande scandalo in famiglia, un
“babbu mannu” che porta il figlio a caccia con lui fin dai dieci
anni del piccolo Emilio. Caccia al cinghiale anche, con una
sola palla in canna, per dare all’animale una possibilità di salvezza. Ad Armungia si va a scuola fino alla terza elementare
(altra non ce ne è), i figli dei “signori”. Emilio continua le sue
a Lanusei e a Cagliari fino all’università: studia giurisprudenza. Quando tutta Europa si ammala di guerra è, come tutta o
quasi la borghesia italiana, un interventista entusiasta. Al seguito di D’Annunzio e di coloro che vedevano nella guerra
l’evento finale della riunificazione delle terre “irredente”:
Trento e Trieste. Incuranti delle ragioni di chi aveva guidato
la politica italiana negli ultimi vent’anni: Giovanni Giolitti era
dell’avviso che con un comportamento incentrato sulla neutralità l’Italia avrebbe ottenuto dagli imperi centrali ogni compensazione territoriale avesse ritenuto di richiedere. E quasi
tutto il Parlamento era con lui. Il governo e il re di tutt’altro
avviso.
L’entrata in guerra dell’Italia fu un vero e proprio colpo di
Stato. Le masse popolari che avrebbero riempito le divise dei
fantaccini non avevano voce in capitolo, né votavano, né
erano scolarizzate. A comandarle all’assalto dei proletari con
mostrine diverse saranno mandati i figli dei borghesi, come
Emilio Lussu del resto, né si può dire che dovettero sparare
solo a gente che parlava una lingua diversa che la loro, nelle
divisioni asburgiche c’erano tanti “italiani”, appunto di Trento
e Trieste mandati a morire per la gloria di Francesco Giuseppe,
i “nostri” con in bocca l’urlo: “Savoia”! Inutile ricordare che i
fanti della “Sassari” di italiano non parlavano neppure una
parola. Parlavano sardo, naturalmente, e il sardo divenne presto la lingua della Brigata, 151° e 152° battaglione. Unico territoriale di tutto l’esercito italiano. Anche gli ufficiali che venivano nella brigata dal resto d’Italia capirono presto che se
volevano sopravvivervi avrebbero dovuto “sardizzarsi”. I
pastori che avevano lasciato il gregge alle donne e ai ragazzini, i contadini che bestemmiavano i loro campi incolti, si fecero portare al massacro come agnelli impotenti, dall’una e dall’altra parte delle trincee, ogni assalto alla baionetta era falciato come grano d’estate dalle nuove miracolose mitragliatrici.
La gioventù d’Europa celebrò un suicidio di massa che ebbe
termine solo alla fine del 1945, che l’intervallo tra le due guerre
servì solo a mettere a punto sistemi d’arma e di massacro
ancora più potenti. I totalitarismi nati dalla prima guerra mondiale, stalinismo e fascismo e nazismo, mutarono dalle trincee
i loro statuti guerreschi con cui militarizzare tutta la società
civile. Emilio Lussu si accorse subito che la guerra sognata tra
i goliardi di facoltà era altra cosa della reale, ma la fece con la
convinzione che un “capo” non diserta mai, specie se vede
morire inutilmente i sottoposti che comanda.
Paolo Pillonca dice la guerra criminalità perenne. Magari si
poteva risparmiare il Tacito de “il pericolo germanico rimarrà
sempre nella storia dell’umanità”, quei germani erano quelli di
Vercingetorige del “De bello Gallico”, Erodoto va già meglio:
“In guerra sono i genitori che seppelliscono i figli, l’ordine
naturale delle cose è rovesciato”. Definisce Lussu grande
scrittore, di questo vuole parlarci con “Un anno sull’altipiano”, una prosa che sconfina in poesia. Lussu in guerra un po’
come i protagonisti del “Il Cinghiale e il Diavolo”, racconto
breve scritto nel ’37, ancora convalescente da un’operazione
molto dolorosa che gli avrebbe impedito anche di andare volontario alla guerra di Spagna, dove sognava di organizzare
una sua brigata sarda, che in effetti si formò dietro la bandiera
dei quattro mori inquartati. Nel “Cinghiale”, dice Pillonca, troviamo una sublimazione del racconto orale, le frasi si susseguono stringate, secche, senza subordinate, quasi un
ermetismo, ricordano il rimare di Ungaretti : “Si sta come le
foglie sugli alberi d’autunno”. I cacciatori che si raccolgono
intorno al fuoco, ognuno dicendo all’altro come il cinghiale gli
fosse sfuggito quasi miracolosamente, l’otre di vino che passa di bocca in bocca, tutti analfabeti ma grandi narratori di
storie. Non si fa fatica a ravvisare i tratti autobiografici del
bambino Lussu, iniziato ai misteri della “caccia grande”, quella al cinghiale e al cervo, ai primi del novecento, la Sardegna
una immensa distesa di boschi incontaminati. Le regole della
caccia da interiorizzarsi e da rispettare se si vuole diventare
“grandi” e rispettati, se si vuole guardare gli altri negli occhi
sempre, inferiori o superiori che siano. Sempre a dorso di cavallo, chi va a dorso d’asino è quasi uomo di serie inferiore.
La caccia, la guerra: una cosa di uomini. Le donne a casa ad
aspettarli con l’ansia nel cuore. Scriverà alla mamma dall’altipiano di Asiago ogni giorno della sua guerra, Emilio. Dirà in
seguito che non gli riusciva di sognare della Sardegna, la notte in trincea, non aveva bisogno di vederla in sogno che l’aveva presente ogni attimo del giorno. I suoi fanti, a riposo nelle
retrovie, facevano gare di “strumpa”, giocavano a morra, facevano gare poetiche. Ogni tanto anche “bardane” di muli e
cavalli verso altre brigate italiane di “amici-nemici”, non sardi,
gente aliena. Da tenere sempre in sospetto.
Giacomo Serreli ci fa sentire i Tenores di Orgosolo che cantano Orune e Bitti con su kentukinbantunu rezzimentu (il 151°
era anche quello di Lussu), una roba che fa così: “ Su
kentukinbantunu rezzimentu/ con su kinbataduos tottu
impare/ non sozzis bois sos continentales/ ki azzis mantesu
su trinceramentu/ Orune e Bitti cun zente orgolesa/ ja nde
portan de pilu in su coro/ tottu su tzirkundariu de nugoru/ bi
fit in sa brigada tattaresa/. E poi Franco Madau che canta
una sua ballata: “Torra fillu miu”, che si può ascoltare anche
nell’allestimento teatrale su Lussu che fece con Mario Medas
e Pietro Marcialis. E ancora le launeddas di Andrea Pisu e la
meravigliosa voce di Gavino De Lunas, l’usignolo di Padria,
che si arruolò volontario nella prima guerra mondiale, ferito a
una gamba, la scampò, per trovare morte da martire alle Fosse
Ardeatine nella seconda. Inevitabile il “Dimonios” della Sassari
che apre la sfilata del 2 giugno. Con la Carla Cividin, presidente dell’AMIS, che ne legge la traduzione in italiano.
Scrive Mario Rigoni Stern nella prefazione a “Un anno sull’altipiano”: “Tra i veri Capitani Emilio Lussu è stato il più grande.
Re pastore, nobile cacciatore, domatore di cavalli, uomo politico in prima linea nei momenti più importanti della storia d’Italia di questo secolo, narratore semplice come un classico antico, ma per me capitano. E basta.”
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15 maggio 2015
LETTERE
[email protected]
ELEZIONI AMMINISTRATIVE
A GONNOSFANADIGA
Con mercoledì 6 maggio, i giochi sono fatti. Quattro liste.
Quattro aspiranti sindaci + 60 candidati. Per tutti i gusti, o
quasi...
E se Antonio Albanese, o Maurizio Crozza, o Lucianina
Littizzetto, come dice affettuosamente Fabio Fazio nelle sua
trasmissione “Che Tempo Che Fa”, si dessero la briga di “esaminare” i “politici” candidati alle amministrative di Gonnos?
Se ne facessero l’imitazione dei loro tratti (dis)umani?
Considerate i 4 poveri diavoli che si sono candidati e si propongono per fare i sindaci: cosa mai avranno in testa per
persuadere gli elettori? Quali programmi, quali novità, quali
tecniche di consenso porteranno magicamente fuori dal cilindro per convincere gli indecisi? Per ora, mistero...
Con tutto ciò, Albanese-Cetto La Qualunque non si lascerebbe sfuggire l’occasione di ironizzare sul nuovo che avanza:
Franco Porta; o sull’antico ormai rancido: Franco Sotgiu; o gli
esperti in allevamento di mandrie di porchette in frizer; o su
certe dinastie tramontate: i Zurru, i Deias; o sull’inutile che si
ricicla: Fausto Lecis; o sull’esperto in neocomunicazioni televisive, il videolinato Fausto Orrù.
E la “quota rosa”? Vacci cauto, Albanese, sulla presenza di
“pilu pi tutti” in Consiglio...
La “quota rosa”, tutto sommato, pare proprio quella che ha
dato i maggiori risultati, dicono i gonnesi, attraverso un impegno costante e coerente. Non hanno fatto male, nel DS, a
candidare Pinuccia Peddis come sindaco. Ha dato buona prova di sè, in altre circostanze, anche nella LIVAS.
Certo, Lucianina Littizzetto - e noi con lei - se la spasserebbe
un mondo con il suo “I dolori del giovane Walter” a confronto con “La Jolanda furiosa”
Spietatamente, se si pensa ai “politici”, agli elettori di Gonnos
fa capolino in testa, appunto, la faccia di Antonio Albanese.
O di [email protected]. O della
Littizzetto. I lineamenti di Cetto La Qualunque emergono dalla
bruma dei politici casalinghi. E i compaesani non pensano che
non ce ne siano: c’è davvero, tra i politici di più o meno vecchia data, un fortissimo “crozzismo”, persistente, diffuso ed
esteso, si racconta, che spinge questi personaggi a ritenersi
come razza eletta, e ad impossessarsi delle stesse battute di
Crozza riproponendole come originali! Si potrebbe fare un elenco notevole di questi aspiranti al massimo del cursus
honorum”, che brigano per affermarsi, con promesse più o
meno occultate e rintanate nei meandri di pateracchi e delle
cose che non si possono dire in pubblico, perché son cose
poco lavate, spesso opache e cupe, al limite talvolta dell’onestà e della correttezza, come vogliono i dettami della “old
politique”. I politici, poi, si lamentano che i cittadini votanti
non capiscono nulla, che son come caproni e pecore e passano dove loro vogliono. Ecco perché l’Italia è un gran paese;
ecco perché Gonnos lo è altrettanto: gli elettori sono asini
caproni, che si lasciano incantare come delle allodole allo specchio! Loro preferiscono altri volatili: la gazza ladra, magari!
Queste cose pensano i politici degli elettori: sono asini caproni.
E si lasci da parte, per carità, il discorso sui giovani...
È difficile capire, si dice, che cosa si candidi a fare l’ex sindaco
Porta: sembra che capeggi una lista di semigiovani, congiuntamente allo “spin doctor” Franco Sotgiu e al mallevadore
Luigi Corda, che tiene su famiglia e a cui deve pensierosamente
pensare. Il candidato Franco Porta, in fin dei conti, forse stanco e annoiato della vita d’ufficio, ritenta la deconcentrazione
della sua ragion d’essere a questo mondo riciclandosi, alla
soglia della saggezza dei 70 anni, come politico. Non gli importa proprio nulla se gli elettori ricordano che trascorse i
primi due anni del suo mandato di dieci anni fa a brigare per
mandar via dall’apparato amministrativo un segretario comunale suo amico che non gli stava a genio; o a prendersela coi
dipendenti che, secondo lui, erano del tutto improduttivi; che
impiegò gli altri due anni a rovesciare le carte e i progetti del
famoso tunnel di via Porru Bonelli, sul quale si erano spese
ingenti risorse nella predisposizione del piano stesso. Gli è
che Franco Porta pensa in grande, è un Uomo della Provvidenza, della presunzione “ante litteram”, ha sistemi e tattiche che toccano le stelle, li sa spendere bene quando ne parla
con gli elettori: solo che, alla prova dei fatti, le sue celebri
strategie cadono rovinosamente dall’alto degli astri e si
spiaccicano al suolo. Non ne azzecca una. Considera gli elettori come scolaretti da biasimare e sgridare!
E la lista cappeggiata dall’ing. insegnante Marras? “Promette
bene - dicono gli intenditori - Ma sembra troppo elitaria.
Lontana dagli interessi quotidiani dei cittadini.”
E il sindaco “in pectore” Fausto Orrù? È poco conosciuto. Gli
elettori lo scoprono, però, improvvisamente ora, pieno di ideali politici. Chi l’avrebbe mai detto? Bene. Bene. Bene! Non fa
nulla, anche se maturati in età... adulta.
A guardarli in faccia, dicono i cittadini, certuni hanno proprio
un muso da squali, con un dentiera a raggiera, prominente,
immensa come quella di Formigoni, pronta a mordere dove ci
son quattrini, lucri e rendite, benefici, tavolate e commensali
con i quali condividere lo spasso e la scorpacciata.
Gli aspiranti sindaci, sono persuasi gli abitanti, dovrebbero
subito proporre, come un tempo, che la “prestazione” la daranno senza costo: perciò niente rimborsi, niente indennità,
niente fondi spese, niente trasferte, niente diarie. Niente di
niente: “Per il bene dei cittadini, lavoreremmo finalmente
gratis!”
E i giovani? E le quote rosa? Sembrano molti i candidati. Finalmente! Chissà. Si starà a vedere.
Comunque, ha proprio ragione Santina Ravì: c’è davvero una
corsa forsennata e sfrenata verso le poltrone.
E, se per poco non li prendi sul serio, i vecchioni riciclati,
fanno persino finta di offendersi: “come”, sembrano dirti: “noi
lavoriamo per il popolo, per i poveri, per i
disoccupati...Poveri? Disoccupati? Ma non ci avevo pensato prima!” E concludono, come Cetto la Qualunque col suo
motto elettorale - : “‘n culo ‘u popolo! W su pilu! Cchiù pilu
pi tutti”.
Augusto Tomasi
“L’ASSESSORE PISU NON SA
REDICONTARE ANALITICAMENTE”
Gentile Direttore,
in questi quattro anni l’assessore alla Pubblica Istruzione di
Sardara non è stato né produttivo né presente e quando gli è
stato chiesto di provvedere a risolvere le problematiche della
scuola con il suo operato non ha fatto altro che confermare le
sue mediocri qualità politco-amministrative.
Con una interrogazione presentata dal nostro gruppo in Consiglio Comunale, gli si chiedeva di rendicontare
“analiticamente”, per il periodo 2011/2014, le spese sostenute
con il contributo mensile (di 10,50 euro) versato dalle famiglie
per ciascun figlio frequentante la scuola dell’infanzia.
La risposta fornita ci ha stupito, ma dopo qualche attimo lo
stupore ha lasciato spazio all’ilarità.
L’Assessore, dopo aver affermato che alle mamme era stata
data risposta nelle varie riunioni, si è lasciato andare a considerazioni politiche verso la precedente amministrazione, dimenticando quanto ha ereditato dalla Giunta Zucca.
Vale la pena elencare alcune opere realizzate, che lui non riesce a vedere:
- Scuola dell’infanzia ampliata;
- Plesso scolastico dotato di spazi ricreativi e sportivi che i
comuni del circondario ci invidiano;
- Finanziamento per la ristrutturazione dell’ex Scuola materna
di via Trento per realizzare l’asilo nido;
- Stanziamento in bilancio per acquisto di giochi per la scuola
dell’infanzia, che lo stesso assessore si è fatto sottrarre da
sotto il naso dai propri colleghi di Giunta, destinandoli ad altri
interventi;
- Messa in sicurezza degli edifici scolastici;
L’elenco potrebbe continuare anche su contributi per gite
d’istruzione etc.
Noi del gruppo consiliare “Nuove Iniziative”, ora nei banchi
di minoranza, possiamo affermare di aver amministrato e portato in cassa diversi finanziamenti. Per l’attuale assessore probabilmente restano da elencare solamente i fallimenti dei pochi finanziamenti richiesti, le cui domande sono state respinte
dalla Regione Autonoma della Sardegna per errori o imprecisioni.
Raggiunge il massimo delle sue qualità quando nella risposta
all’interrogazione di cui sopra si permette di giudicare la precedente Giunta per giustificare la mancata risposta ai genitori
sulle spese (ci piace rimarcare “analitiche”) sostenute con il
contributo da loro versato mensilmente.
Supera ogni limite permettendosi di esporre o di far esporre a
scuola la risposta politica all’interrogazione. Alcuni genitori
hanno chiesto, stupiti, come mai all’ingresso della scuola dell’infanzia sia stata affissa integralmente la risposta all’interrogazione e non “esclusivamente” la rendicontazione, per niente analitica delle spese sostenute, come da loro richiesto.
L’Assessore Pisu negli incontri con i genitori avrebbe dovuto
rendicontare sul “lavoro dei suoi quattro anni”, e non scaricare le sue responsabilità su altri. Questo è un atteggiamento
teso a nascondere l’inerzia e l’incapacità politica non adatta al
ruolo ricoperto.
Un invito: la smetta con questo atteggiamento e amministri il
paese con maturità e responsabilità nel rispetto dei cittadini
della comunità di Sardara.
I Consiglieri del Gruppo Consiliare del Comune di Sardara
“NUOVE INIZIATIVE”
LA STORIA INSEGNA
MA L’UOMO NON APPRENDE
GIOVANNI XXIII
Di cosa parlano a bocca piena i mass media attualmente? Da
che mondo è mondo nel quotidiano si verificano fatti di ogni
genere. Oggi si tende a strumentalizzare fatterelli e fattacci
che ieri passavano in sordina. Per forza, questi tendono a
propinarci con fare eclatante l’informazione, bombardandoci
come volessero farci il lavaggio del cervello. Vedi il G8 del
2001 di Genova, l’irruzione della Polizia nella scuola Diaz, occupata arbitrariamente dai dimostranti: qualcuno in quel frangente s’è fatto prendere la mano. Solo per questo vogliamo
criminalizzare tutto l’operato delle forze dell’ordine? Andiamoci cauti e prendiamo in esame tutto l’operato di quelle giornate, e non facciamoci condizionare dal fatto che il nostro
ordinamento legislativo non prevede attualmente per le forze
dell’ordine l’incriminazione per il reato di tortura.
Da ex celerino quale sono, voglio rispolverare due frammenti
di storia da me vissuti, inerenti gli anni di piombo, dedicati a
quelli di mente corta e disinformati. I fatti che voglio revocare
si sono verificati nel 1969. Ero di stanza a Torino, la città era un
vero e proprio calderone a causa del così detto “Autunno
caldo”, le lotte e conquiste dei metalmeccanici, la guerriglia
urbana tra studenti e forze dell’ordine, la scuola italiana era al
collasso e frange di comunisti spalleggiavano i movimenti
studenteschi. La caserma era precettata, licenze e permessi
revocati e sospesi sino a nuovo ordine.
Nel leggere in bacheca gli ordini di servizio apprendo d’essere comandato di pattuglia, e un mio amico e collega mi propone di voler fare scambio di servizio: non ho nulla in contrario
e dopo previa autorizzazione del nostro comandante, esce in
servizio con altri quattro colleghi a bordo di una Giulia. Nel
volgere di due ore, alla centrale radio operativa perviene un
messaggio: la nostra volante è stata oggetto di un attentato
con una bomba molotov. Il mio amico e collega è rimasto gravemente ustionato, la prontezza di un ragazzo gli ha salvato la
vita avvolgendolo con il suo maxi cappotto, ma ne avrà poi
per parecchi mesi.
A novembre vengo inviato con tutto il reparto a Milano, dove,
il giorno 19, il collega Antonio Annarumma a bordo di una
campagnola viene barbaramente assassinato a colpi di tubo
per impalcature, e i colpevoli non verranno mai scoperti. La
rabbia e lo sgomento offusca le nostre menti, abbiamo poca
esperienza data la nostra giovane età e ben presto, in occasione di un picchettaggio non autorizzato, il diavolo ci mette la
coda. Come sempre, nel caso di questi eventi, siamo inquadrati alla mercè dei facinorosi, soggetti al lancio di monetine
ed epiteti irripetibili. Fremevamo dal livore represso, e
allorquando il commissario di turno si cingeva della fascia
tricolore intimando loro di sciogliersi in nome del Popolo Italiano, se l’appello veniva ignorato ci veniva impartito l’ordine
di attaccare.
Come un’orda selvaggia, ubriachi di adrenalina ci fiondavamo
su chiunque incrociassimo, menando senza alcun distinguo.
Il nostro armamentario per l’ordine pubblico era composto da
due manganelli, uno scudo, un casco, un moschetto 91 che
serviva per sparare candelotti lacrimogeni. Uno dei manganelli era lungo 60 cm. circa e aveva l’anima cava e qualche
mente machiavellica la riempiva con pallini da caccia creando
un corpo contundente micidiale. Durante le esequie di
Annarumma si presentò un esponente del movimento degli
studenti per dimostrare estraneità ai fatti, gli saltammo addosso e solo l’intervento del nostro Commissario lo salvò dal
linciaggio.
Se oggi viviamo in uno Stato di diritto, lo dobbiamo all’abnegazione delle Forze dell’Ordine che mai sono state al soldo di
un padrone. Là dove manca l’ordine regna il caos, pertanto
aborriamo l’anarchia.
Gigi Arixi
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