UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIP.TO DI DIRITTO PUBBLICO E TEORIA DEL GOVERNO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
STORIA, POLITICA E ISTITUZIONI DELL'AREA EURO-MEDITERRANEA NELL'ETÀ
CONTEMPORANEA
CICLO XXV
TITOLO DELLA TESI
L’IDEA DI STATO DEMOCRATICO NEL PENSIERO POLITICO DEL
MOVIMENTO DI RESISTENZA PALESTINESE, 1967-74
TUTOR
DOTTORANDO
Chiar.ma Prof.ssa Anna Maria Medici
Enrico Bartolomei
Chiar.ma Prof.ssa Anna Baldinetti
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Angelo Ventrone
ANNO 2013
Ai prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane,
a tutti i palestinesi che hanno pagato con la vita, con il carcere e con altre privazioni
il coraggio delle proprie idee.
Desidero innanzitutto ringraziare la Professoressa Anna Maria Medici e la Professoressa Anna
Baldinetti, che hanno sempre dimostrato grande disponibilità, consigliandomi e guidandomi nella
stesura di questo lavoro. Inoltre, ringrazio sentitamente il Professor Angelo Ventrone per i preziosi
insegnamenti ricevuti durante questi tre anni di dottorato.
Un pensiero affettuoso va ai miei compagni di corso Matteo, Yllca e Tommaso.
Fra Rita e i miei occhi si leva un fucile (poesia per una ragazza ebrea)
Fra Rita e i miei occhi si leva un fucile.
Quelli che conoscono Rita,
s'inchinano e pregano i suoi occhi di miele divino.
Ho baciato Rita bambina,
lei si è stretta a me, lo ricordo…
I suoi capelli mi coprivano il braccio.
Ricordo Rita
Come l`uccello ricorda la sua fontana.
Oh, Rita!
Un milione di immagini
Un milione di uccelli
Un milione di appuntamenti
Sono stati assassinati da un fucile.
Il nome di Rita, festa per le mie labbra.
Il corpo di Rita, nozze per il mio sangue.
Per due anni, mi sono perduto in lei.
Per due anni lei si è distesa sul mio braccio,
uniti nel fuoco delle nostre labbra,
siamo resuscitati per due volte.
Oh, Rita!
Chi avrebbe potuto sciogliere i nostri sguardi,
prima che si levasse un fucile?
Oh, notte di silenzio!
C`era una volta…
Una luna è calata all'alba…
Lontano, in occhi di miele
E la città ha cancellato Rita e le canzoni…
Fra Rita e i miei occhi, si leva un fucile.
Mahmud Darwish
INDICE
ACRONIMI
3
INTRODUZIONE
Il pensiero palestinese di resistenza
4
Il dibattito storiografico
7
Movimento nazionale, movimento di resistenza: il problema delle definizioni
11
Metodologia e struttura della ricerca
12
Le fonti
18
Nota sulla traslitterazione
20
I. IL PENSIERO POLITICO DI RESISTENZA
Alle radici del pensiero di resistenza
22
Il concetto di thawra
30
Nazionalismo palestinese o nazionalismo arabo?
35
La lotta popolare armata "unica via"
38
L'analisi scientifica del passato
42
Le ragioni della disfatta
44
Il significato della rivoluzione palestinese
52
Gli obiettivi della lotta
56
La rivoluzione palestinese nel mondo arabo
65
Il campo dei nemici
69
II. L'IDEA DI STATO DEMOCRATICO, 1967-70
Origini e rilevanza
76
L'elaborazione iniziale
79
Il quinto CNP: una società libera e democratica in Palestina
84
Lo Stato democratico e il nazionalismo arabo
86
Non contro gli ebrei, ma contro il sionismo
90
La nuova percezione del "nemico"
96
La soluzione democratica popolare
100
Il sesto CNP: uno Stato democratico palestinese
103
Lotta armata e carattere arabo
107
Il ruolo degli ebrei
113
Progressisti e conservatori
118
La questione dei diritti nazionali degli ebrei
125
Democrazia, laicità e contenuto sociale
133
III. DALLO STATO DEMOCRATICO ALL’AUTORITÀ NAZIONALE, 1970-74
La dualità di potere in Giordania
141
Il settimo CNP: l'arena giordano-palestinese
143
Nabil Shaʿth: la Palestina del domani
146
L'ottavo CNP: lo Stato democratico obiettivo strategico
152
La rivoluzione palestinese dopo il Settembre nero
155
Contro le soluzioni liquidazioniste
163
Il Fronte Patriottico Palestinese
172
La guerra dell'ottobre 1973
178
Verso la liberazione per fasi
186
Il dodicesimo CNP: un'autorità nazionale indipendente
197
Il Fronte del rifiuto
209
CONCLUSIONI
216
BIBLIOGRAFIA
232
APPENDICI
Poster sullo Stato democratico
267
Struttura organizzativa dell'OLP
285
Diagramma genealogico delle organizzazioni palestinesi
286
2
ACROMINI
CNP Consiglio Nazionale Palestinese
ELP Esercito di Liberazione Palestinese
FDPLP Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina
FLA Fronte di Liberazione Arabo
FLPP Fronte di Lotta Popolare Palestinese
FLP Forze di Liberazione Popolari
FLP Fronte di Lotta Popolare
FPLP Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
FPLP-CG Fronte Popolare di Liberazione della Palestina – Comando Generale
FPP Fronte Patriottico Palestinese
MNA Movimento dei Nazionalisti Arabi
MRP Movimento di Resistenza Palestinese
OAP Organizzazione Araba per la Palestina
ONU Organizzazione della Nazioni Unite
OLP Organizzazione per la Liberazione della Palestina
PNSS Partito Nazionalista Sociale Siriano
3
INTRODUZIONE
Il pensiero palestinese di resistenza
Non di rado, le vicende del movimento nazionale palestinese sono state rappresentate
attraverso le lenti della pubblicistica israeliana o di quella storiografia occidentale ancora
legata a una percezione orientalista degli arabi1. In questa prospettiva, il pensiero politico
palestinese è stato liquidato come propagandistico, retorico, capzioso. Le affinità tra
l’esperienza coloniale sionista e quella occidentale hanno favorito - consapevolmente o
inconsapevolmente - l’accettazione della narrazione israeliana e la marginalizzazione di
quella palestinese. Se, da un lato, la narrazione israeliana ha contribuito a marginalizzare e
delegittimare la causa palestinese, dall'altra ha assicurato alle politiche israeliane l’appoggio
delle opinioni pubbliche e il supporto dei governi occidentali2. L'impiego da parte sionista di
paradigmi etnocentrici e di mitologie bibliche ("terra promessa", "popolo eletto", "ritorno",
"un popolo senza terra per una terra senza popolo") ha permesso di svuotare
(concettualmente, ancor prima che fisicamente) la Palestina dei suoi abitanti originari e
legittimare le politiche di colonizzazione e pulizia etnica nei confronti dei palestinesi3: «il
sionismo fu (e rimane) non solo qualcosa che ha a che fare con la colonizzazione della terra
palestinese, ma anche con la colonizzazione delle menti - ebraiche, arabe, europee,
americane»4.
Le vicende legate al movimento nazionale palestinese sono interpretate come risposte,
reazioni impulsive agli stimoli esterni (ad esempio, l'identità palestinese come strumento
propagandistico contro il sionismo), oppure come sopravvivenze di un passato medievale
islamico sempre minaccioso (ad esempio, la liquidazione della proposta di Sato democratico
1
Si veda Said E., Hitchen C. (eds), Blaming the Victims: Spurious Scholarship and the Palestinian Question,
Verso, London 1988; Id., The Question of Palestine, Vintage Books, New York 1992 (Revised Edition); trad.
it., La questione palestinese: la tragedia di essere vittima delle vittime, Gamberetti, Roma 1995; Id., Culture
and Imperialism, Knopf, New York 1993; trad. it., Cultura e Imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto
coloniale dell'Occidente, Gamberetti Roma 1998. Sul ruolo dei media nel fornire una rappresentazione
monolotica del mondo musulmano si veda Said E., Covering Islam: How the Media and the Experts Determine
How We See the Rest of the World (Revised Edition), Vintage Books, New York 1997; trad.it., Covering Islam:
come i media e gli esperti determinano la nostra visione del resto del mondo, Transeuropa, Massa 2012.
2
Silberstein L. J., Postzionism: A Critique of Zionist Discourse (Part 2), «Palestine-Israel Journal», Vol. 9, No.
3, 2002.
3
Masalha N., The Bible and Zionism: Invented Traditions, Archeology and Post-Colonialism in IsraelPalestine, Zed Books, London 2007. Per l'impiego del paradigma della pulizia etnica nel contesto palestinese si
veda in particolare Pappé I., The Ethnic Cleansing of Palestine, Oneworld, Oxford 2006; trad. it., La pulizia
etnica della Palestina, Fazi, Roma 2008.
4
Masalha N., The Palestine Nakba: Decolonising History, Narrating the Subaltern, Reclaiming Memory, Zed
Books, London 2012, p. 5.
4
come una riproposizione del sistema ottomano del millet). La valutazione generale della
cultura araba e palestinese come saldamente ancorata al passato, fortemente legata alla
tradizione islamica, impermeabile ai cambiamenti e ostile a ogni innovazione, in poche parole
estranea alla modernità per una tara culturale specifica del mondo arabo, fa parte della
mentalità eurocentrica di molti intellettuali occidentali, in parte dovuta a un'eredità coloniale
con cui ancora non si è ancora fatto pienamente i conti.
La presente ricerca trae motivazione dalla scarsità di studi sull’evoluzione del
pensiero politico palestinese e sul ruolo che i palestinesi stessi hanno giocato nella
formazione del Medio Oriente contemporaneo. L'analisi si concentra sul periodo storico nel
quale la proposta di Stato democratico diventa l’obiettivo ufficiale e strategico del
Movimento di resistenza palestinese (MRP): dalla guerra del giugno 1967, quando
quest'ultimo si afferma come attore indipendente sulla scena mediorientale, fino al
dodicesimo Consiglio Nazionale Palestinese (CNP), svoltosi al Cairo nel giugno 1974, che
prevede l'instaurazione di un'autorità palestinese su ogni parte di territorio liberata. Il periodo
successivo alla guerra del 1967 sancisce il consolidamento delle principali organizzazioni di
resistenza palestinesi - il Movimento Palestinese di Liberazione Nazionale Fatah, il Fronte
Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), e il Fronte Democratico Popolare di
Liberazione della Palestina (FDPLP5), affrancate della tutela degli Stati arabi, in grado di
prendere l'iniziativa nella lotta di liberazione e punto di riferimento per i movimenti popolari
e rivoluzionari arabi.
La grande euforia per la rinascita nazionale e per il nuovo protagonismo politico dei
palestinesi è affiancata da un periodo di effervescenza culturale e di elaborazione ideologica
stimolata dal clima di forte competizione per la guida del MRP. In questi anni, Fatah, il FPLP
e il FDPLP elaborano le linee fondamentali della propria ideologia di liberazione: l'analisi
scientifica delle ragioni che hanno portato alla disfatta araba nel 1967 sono considerate la
garanzia fondamentale per la formulazione di una corretta strategia di liberazione, e questo a
sua volta permette alle varie organizzazioni di giustificare la propria esistenza nel MRP e di
rivendicarne la guida.
All’interno delle organizzazioni di resistenza si sviluppa un vivace dibattito sulle
caratteristiche che avrebbe assunto, dopo la liberazione, il futuro Stato di Palestina. La
corrente di maggioranza dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP),
incarnata da Fatah, propone la creazione di uno Stato democratico non settario in cui ebrei,
5
A partire dal 1974 Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP).
5
musulmani e cristiani convivano e godano di pari diritti. La proposta di Stato democratico,
vivacemente dibattuta e ufficialmente adottata nel 1971 durante l’ottavo CNP, rappresenta
una svolta storica nel pensiero politico palestinese di resistenza: per la prima volta dalla
Nakba si chiarisce la differenza tra sionismo e giudaismo, si accetta la presenza di milioni di
ebrei sul suolo della Palestina, si propone l’idea di una società progressista e non settaria
dove i coloni ebrei avrebbero avuto gli stessi diritti di cittadinanza dei palestinesi indigeni.
Esiste un’ideologia palestinese di resistenza? Qual'è stato il suo contribuito nel
pensiero arabo contemporaneo? Quali sono le idee, le motivazioni, la visione del mondo delle
principali organizzazioni del MRP? Qual è la rilevanza storica del progetto di Stato
democratico? Nel tentativo di rispondere a questi interrogativi, la presente ricerca analizza
l’evoluzione ideologica delle principali organizzazioni di resistenza, in particolare Fatah, il
FPLP e il FDPLP, le concezioni di Stato democratico da queste elaborate tra il 1967 e il 1974
e i fattori che hanno determinato la svolta programmatica del dodicesimo CNP dell'OLP.
La storia intellettuale e politica del MRP va interpretata all'interno di un quadro
globale di analisi dei fenomeni culturali, che sia in grado di rintracciare affinità,
interconnessioni e divergenze con esperienze politiche ed espressioni culturali precedenti e
contemporanee, e che tenga conto della complessità dei fenomeni regionali e mondiali in
campo economico, politico e intellettuale. Come nota Hisham Sharabi «l’importanza del
movimento di guerriglia palestinese non va considerata solamente in termini di lotta ristretta
per il territorio e i diritti, ma alla luce del contesto di liberazione regionale e del Terzo
Mondo»6.
Pertanto, la fecondità e l’innovatività del pensiero palestinese di resistenza vanno
sicuramente al di là dei successi o dei fallimenti politici e militari dei fida'iyyin, specialmente
in un periodo - tra la guerra del 1967 e la prima metà degli anni settanta - in cui la resistenza
palestinese funse da veicolo per il cambiamento sociale e politico rivoluzionario nel mondo
arabo. In ragione della sua particolare condizione di outsider nel sistema politico arabo, il
MRP è stato uno dei canali privilegiati attraverso cui idee e pratiche politiche originatesi in
Europa o altrove, adattate alle tendenze ideologiche locali e innestate su forme di identità
preesistenti (locali, nazionali e transnazionali), furono veicolate in Medio Oriente e
contribuirono ad arricchire il panorama del pensiero politico arabo contemporaneo.
6
Sharabi H., Palestine Guerrillas: their Credibility and Effectiveness, Institute for Palestine Studies, Beirut
1970, p. 19.
6
Il dibattito storiografico
Scrivere la storia del conflitto israelo-arabo-palestinese è un compito arduo7, almeno per due
motivi fondamentali. Il primo attiene all'uso pubblico della storia, vale a dire l'utilizzo della
storia e della storiografia del conflitto a fini politici. L'accettazione di una certa narrazione a
scapito di un'altra ha infatti inciso e incide tuttora in maniera determinante sugli avvenimenti
politici e sulla rappresentazione dell' "altro". Le storiografie nazionaliste (israeliana,
palestinese o araba) hanno descritto in maniera parziale gli avvenimenti legati al conflitto. I
diversi contendenti hanno fornito un'interpretazione distorta della storia del conflitto in modo
da giustificare le proprie azioni politiche.
Il secondo motivo attiene ai rapporti tra lo storico, la materia oggetto di studio e
l'attualità dei temi dibattuti. La scelta di analizzare il pensiero politico palestinese nasce
dall'intenzione di restituire alla vicenda storica palestinese, a lungo oscurata dalla narrazione
dominante sionista, il valore universale della sua elaborazione intellettuale e della sua lotta di
liberazione. Inoltre, la scelta di concentrarsi in particolare sull'idea di Stato democratico ha
molto a che fare con l'attualità. L'accelerazione del progetto sionista di colonizzazione della
Palestina, che procede di pari passo con la pulizia etnica e l'instaurazione di un regime di
apartheid nei confronti dei palestinesi8, ha spinto un numero sempre maggiore di palestinesi e
israeliani a considerare l'ipotesi di uno Stato unico, laico e democratico, che garantisca ad
ebrei, palestinesi e a tutti gli abitanti uguali diritti di cittadinanza. La ricostruzione del
dibattito sullo Stato democratico elaborato dal MRP tra la fine degli anni sessanta e la metà
degli anni settanta intende essere un contributo in questa direzione.
7
Per approfondire alcuni problematiche connesse allo studio del Medio Oriente e del conflitto arabo-israeliano
si veda, ad esempio: Hourani A., How Should We Write the History of the Middle East?, «International Journal
of Middle East Studies», Vol. 23, No. 2, May, 1991, pp. 125-136; Isacoff J. B., Writing the Arab-Israeli
Conflict: Historical Bias and the Use of History in Political Science, «Perspectives on Politics», Vol. 3, No. 1,
March 2005, pp. 71-88; Roy S., Humanism, Scholarship, and Politics: Writing on the Palestinian-Israeli
Conflict, «Journal of Palestine Studies», Vol. 36, No. 2, Winter 2007, pp. 54-65.
8
Nella pubblicistica palestinese non mancano fin da subito paragoni tra le politiche israeliane e il regime di
apartheid vigente in Sudafrica dal 1948 al 1993. Uno dei primi studi sull'argomento è pubblicato dal Palestine
Research Center dell'OLP: Stevens R. P., Zionism, South Africa and Apartheid: The Paradoxical Triangle,
Palestine Liberation Organization Research Center, Beirut 1969. Già a partire dagli anni ottanta diversi studiosi
giunsero alla conclusione che la situazione dei palestinesi nei Territori occupati e in Israele rientrava nella
categoria di "apartheid". Si veda, ad esempio: Quigley J., Apartheid Outside Africa: The Case of Israel,
«Indiana International&Comparative Law Review Indiana International & Comparative Law
Review», Vol. 2, No. 1, 1991, pp. 221-251; Davis U., Israel: an Apartheid State, Zed Books, London 1987. Per
un'analisi dettagliata delle pratiche di apartheid nei Territori palestinesi occupati secondo il diritto internazionale
si veda: Tilley V. (ed), Occupation, Colonialism, Apartheid? A Re-Assessment of Israel’s Practices in the OPT
under International Law, Human Science Research Council, Cape Town, 2009. Disponibile all'indirizzo:
http://electronicintifada.net/files/090608-hsrc.pdf ; Mac Allister, Karine, Applicability of the Crime of Apartheid
to Israel, «al-Majdal» (quarterly magazine of BADIL Resource Center), No. 38, Summer 2008, pp. 11-21.
Disponibile all'indirizzo: http://www.badil.org/en/al-majdal/item/72-applicability-of-the-crime-of-apartheid-toisrael .
7
Per decenni la storiografia israeliana si è concentrata sulla storia del movimento
sionista e della comunità ebraica in Palestina ed è stata scritta da studiosi legati
all’establishment israeliano (ex ufficiali dell’intelligence, militari, diplomatici, politici). Dal
1949 al 1967, la “scomparsa” fisica e politica dei palestinesi si è riflessa, in ambito
storiografico, nell’assenza di studi sui palestinesi. Malgrado i nuovi assetti creatisi in seguito
alla guerra del giugno 1967 abbiano indotto la storiografia israeliana a fare i conti con la
controparte araba e palestinese9, solo a partire dagli anni ottanta una nuova generazione di
studiosi (la cosiddetta "nuova storiografia israeliana") contesta le insufficienze della
storiografia nazionalista e si concentra in maniera critica sulle vicende legate alla nascita
dello Stato ebraico e sulle responsabilità del movimento sionista nella tragedia nazionale dei
palestinesi10.
Fino ad allora, come afferma lo storico israeliano Ilan Pappé, il punto di vista
storiografico nei confronti dei palestinesi era «monolitico e basato su stereotipi»11. Inoltre,
impostando il discorso sull'antisemitismo, la vulgata sionista è riuscita a definire il conflitto
in termini di lotta per la sopravvivenza della comunità ebraica in un ambiente arabo ostile,
antisemita e votato alla sua distruzione. In questa prospettiva, le politiche israeliane sono
state presentate al mondo in termini di legittima difesa e di lotta per la sopravvivenza12. Nella
pubblicistica israeliana e nel parere degli esperti di affari arabi lo Stato democratico è
considerato come maschera delle intenzioni genocide nei confronti degli ebrei o come una
trovata propagandistica destinata al consumo estero13.
9
Harkabi, ex capo dell'intelligence, è stato il primo a proporre un'analisi dettagliata del pensiero politico
palestinese, concentrandosi in particolare su Fatah: Fedayeen Action and Arab Strategy, «Adelphi Papers», No.
53, The Institute for Strategic Studies, London, December 1968. Nel 1981 Aryeh Y. Yodfat e Yuval ArnonOhanna, due studiosi israeliani, pubblicano uno studio approfondito sulle origini, la struttura e l'ideologia
dell'OLP: PLO Strategy and Tactics, Macmillan, Palgrave 1981.
10
I nuovi storici israeliani, che hanno pubblicato i primi lavori a partire dagli anni ottanta (grazie all’apertura
degli archivi israeliani sulla nascita di Israele) hanno rivisitato criticamente e documentariamente la storia del
loro paese decostruendone i principali miti fondativi. Tra questi: Benny Morris, Ilan Pappé, Avi Shlaim, Tom
Segev, Simha Flapan. Per approfondire I temi relative alla nuova storiografia israeliana si veda: Ne'eman Arad,
Gulie (ed.), Israeli Historiography Revisited, Special Issue, «History and Memory», Vol. 7, No. 1, 1995
(Indiana University Press, Bloomington 1995); Silberstein L. J., The Postzionism Debates: Knowledge and
Power in Israeli Culture Routledge, London 1999.
11
Pappe I., Post-Zionist Critique on Israel and the Palestinians: Part I: The Academic Debate, «Journal of
Palestine Studies», Vol. 26, No. 2, Winter 1997, p. 32.
12
Massad J., Palestinians and Jewish History: Recognition or Submission?, «Journal of Palestine Studies», Vol.
30, No. 1, Autumn, 2000, pp. 52-67; Shinko R., Discourses of Denial: Silencing the Palestinians,
Delegitimizing their Claims, «Journal of International Affairs», Vol. 58, No. 1, Fall 2004, pp. 47-73. Per
approfondire la tematica delle attitudini degli arabi riguardo l'Olocausto si veda: Achcar G., The Arabs and the
Holocaust: the Arab-Israeli War of Narratives, Saqi, London 2010.
13
Si vedano in particolare i lavori dell'ex capo dell'intelligence israeliana Yehoshafat Harkabi, tra cui The
Fraudulent Slogan of 'a Democratic Palestinian State', Jewish Agency, Jerusalem 1970; Id., Three Articles on
the Arab Slogan of a Democratic State, Israel Ministry for Foreign Affairs, Department of Information,
8
Per quanto riguarda la storiografia palestinese e araba, è soprattutto a partire dai primi
anni sessanta che fioriscono pubblicazioni su vari aspetti del movimento nazionale
palestinese. La nascita di istituti di ricerca e riviste specialistiche, come il «Journal of
Palestine Studies», l'«Arab Studies Quarterly», «Shu'un Filastiniyya», il Palestine Research
Center dell'OLP e l'Institute for Palestine Studies di Beirut, rappresentano una svolta in
questo senso14. Tuttavia, non sono altrettanto numerose le analisi di più ampio respiro sul
pensiero politico e sull’ideologia di resistenza palestinese. Tra i primi studi vanno segnalati
al-Thawra al-filastiniyya: atfaduha wa qadayaha (1970) di Naji Allush, Palestine Guerrillas:
Their Credibility and Effectiveness di Hisham Sharabi, e al-Fikr al-siyasi al-filastini, 1964–
1974 (1980) di Faysal Hurani15. Più recente è al-Fikr al-siyasi al-filastini (1993) di Husayn
Ghazi16.
Tra i lavori fondamentali sulla politica del movimento nazionale palestinese
contemporaneo bisogna senz'altro menzionare The Politics of Palestinian Nationalism a cura
di Quandt, Lesch e Jabber, The Palestinian Liberation Organization: People, Power and
Politics di Helena Cobban e il monumentale Armed Struggle and the Search for State. The
Palestinian National Movement, 1949-1993 di Yezid Sayigh17. Sull'idea di Stato
Jerusalem 1970 (la pubblicazione raccoglie tre articoli apparsi in ebraico su «Ma'ariv», Tel Aviv, April 3, April
17, July 10 1970); Id., Arab Attitudes to Israel, Keter Publishing House, Jerusalem 1972. Nel 1969 l'Unione
Democratica Amici di Israele pubblicò in italiano un opuscolo, sempre dello stesso autore, intitolato
L'antisemitismo arabo, nel quale si ripropone la tesi secondo cui la volontà araba di distruggere Israele
affonderebbe le proprie radici nell'antisemitismo (benché di natura diversa da quello europeo) e nasconderebbe
intenzioni genocide.
14
Si veda, ad esempio, Arif al-Arif, al-Nakba wa al-firdaws al-mafqud , 1947-1952 [La catastrofe e il paradiso
perduto], Maktaba al-‘Asriyya, Beirut 1956-1960 (6 vol.); ʿAllush N., Masira ila Filastin [La strada verso la
Palestina], Dar al-Tali'a Beirut 1964; le numerose pubblicazioni del Palestine Research Center, tra cui Qasim A.,
al-Iʿdad al-thawri li-ma'rakat al-tahrir [Preparazione rivoluzionaria per la lotta di liberazione], PLO Research
Center, Beirut 1967 e dell'Institute of palestine Studies, tra cui Cattan H., The Dimensions of the Palestine
Problem, Institute for Palestine Studies, Beirut 1967. Tra i più recenti Said E. W.., The Question of Palestine,
cit.; Khalidi W., All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948,
Institute of Palestine Studies, Washington DC 1992; Masalha N., Expulsion of the Palestinians, The Institute for
Palestinian Studies, Washington DC 1993; Khalidi R., Palestinian Identity: The Construction of Modern
National Consciousness, Columbia University Press, New York 1998. Queste pubblicazioni rivalutano anche
l'importanza della storia orale e dei subalterni: si vedano, ad esempio, i lavori pionieristici di Rosemary Sayigh,
raccolti nel 1979 nel volume Palestinians: From Peasants to Revolutionaries.
15
ʿAllush N., al-Thawra al-filastiniyya: atfaduha wa qadayaha [La rivoluzione palestinese: le sue dimensioni e
questioni], Dar al-Taliʿa, Beirut 1970; Sharabi H., Palestine Guerrillas: Their Credibility and Effectiveness,
Institute for Palestine Studies, Beirut 1970; Hurani, F., al-Fikr al-siyasi al-filastini, 1964–1974: dirasa li-lmawathiq al-ra’isiyya li-Munazzamat al-Tahrir al-Filastiniyya [Pensiero politico palestinese, 1967-74: uno
studio dei principali documenti dell'Organizzazione di Liberazione], PLO Research Center, Beirut 1980.
16
Husayn G., al-Fikr al-siyasi al-filastini, Dar Daniyah, Dimashq 1993.
17
Quandt W. B., Jabber F., Lesch A. M., The Politics of Palestinian Nationalism, University of California Press,
Berkeley 1973; Cobban H., The Palestinian Liberation Organization: People, Power and Politics, Cambridge
University Press, Cambridge 1984; Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State. The Palestinian
National Movement, 1949-1993, Clarendon P., Oxford 1997. Altri; Chaliand G., La Resistance Palestinienne,
Editions du Seuil, Paris 1970; Cooley J. K., Green March, Black September: the Story of the Palestinian Arabs,
9
democratico, oltre agli interventi dei protagonisti del dibattito, segnaliamo in particolare il
saggio di ʿAbdul-Majid Wahid, Mas'ala al-dawla al-dimuqratiyya fi al-fikr al-filastini
pubblicato nel 1979 e quello dello studioso francese Alan Gresh, Shaʿar al-dawla aldimuqratiyya fi al-thawra al-filastiniyya, del 198218.
Per quanto riguarda la storiografia occidentale, sebbene non manchino studi più
specifici sull'ideologia di liberazione palestinese, tra cui gli articoli pionieristici di George
Chaliand su «Le Monde Diplomatique», basati sull'esperienza diretta nei campi di
addestramento dei fida'iyyin, poi raccolti e ampliati in La Resistance Palestinienne nel 1970,
e il testo di Oliver Carré L’Ideologie palestinienne de résistance, uscito due anni più tardi19,
mancano delle analisi di ampio respiro sui caratteri fondamentali del pensiero politico
palestinese contemporaneo. In Italia, il volume La lotta del popolo palestinese, edito da
Feltrinelli nel 1969 e curato da Carlo Pancera, presenta per la prima volta al lettore italiano
documenti arabi sulla Palestina20. Nell'introduzione, Guido Valabrega afferma che la visione
eurocentrica ancora incombente sulla cultura italiana, insieme alla propaganda diffamatoria
antiaraba, aveva fatto dimenticare che nello Stato di Israele, accanto alla conquista
pionieristica ebraica, c'era anche la tragedia di un popolo arabo spossessato. Un anno dopo,
viene pubblicata un'altra raccolta di documenti, curata da Eugenio Polizzi, Documenti della
rivoluzione palestinese21.
Il vuoto è stato in gran parte colmato da Alain Gresh in OLP: histoire et strategies
vers l'etat palestinien, pubblicato nel 1983, una ricostruzione dell'evoluzione del pensiero
politico dell'OLP attraverso i principali documenti22. Gresh individua tre fasi principali nel
pensiero politico palestinese: la fase dello Stato democratico (1968-74), la fase dell'autorità
Frank Cass, London 1973; Rodinson, M., Israël et le refus arabe: 75 ans d'histoire, Éditions du Seuil, Paris
1968; El-Rayyes R. N., Nahas D., Guerrillas for Palestine: a Study of the Palestinian Commando
Organizations, Dar an-Nahar, Beirut 1974; Hirst D., The Gun and the Olive Branch, Macdonald and Company,
London 1977; Ateek N., Justice and Only Justice: A Palestinian Theology of Liberation, Orbis Books,
Maryknoll, New York 1989; Brand L., Palestinians in the Arab World, Columbia University Press, New York
1988; Shemesh M., The Palestinian Entity 1959-1974: Arab Politics and the PLO, Frank Cass, London 1988;
Brynen R., Sanctuary and Survival: The PLO in Lebanon, Westview Press, Boulder 1990; Hudson M., The
Palestinians: New Directions, Center for Contemporary Arab Studies, Washington, DC 1990; Robinson G. E.,
Building a Palestinian State: The Incomplete Revolution, Indiana University Press, Bloomington 1997; Sayigh
R., Too Many Enemies, Zed Books, London 1994.
18
ʿAbdul-Majid, W., Mas'ala al-dawla al-dimuqratiyya fi al-fikr al-filastini [La questione dello stato
democratico nel pensiero palestinese], «Qidaya ‘Arabiya», Vol. 6, no. 7, November 1979, pp. 177-86; Gresh,
A., Shaʿar al-dawla al-dimuqratiyya fi al-thawra al-filastiniyya [Lo slogan dello stato democratico nella
rivoluzione palestinese], «Shu'un Filastiniyya», No. 124, March 1982, pp. 78-97.
19
Carré O., L’Ideologie palestinienne de résistance. Analyse de textes 1964-1970, Armand C., Paris 1972.
20
Pancera C. (a cura di), La lotta del popolo palestinese, Feltrinelli, Milano 1969.
21
Polizzi E. (a cura di), Documenti della rivoluzione palestinese, Saperi, Milano 1970.
22
Gresh A., OLP: histoire et strategies vers l'etat palestinien, SPAG (Papyrus), Paris 1983; trad. it., Storia
dell'OLP: verso lo Stato palestinese, Edizioni associate, Roma 1988.
10
nazionale (1974-77) e la fase dello Stato palestinese indipendente (1977-88). Seguendo
questa periodizzazione, si possono tracciare i confini cronologici e il contributo che la
presente ricerca intende apportare alla letteratura esistente: attraverso la disamina dei testi
dell’OLP e delle principali organizzazioni di resistenza si intende analizzare l'evoluzione
dell'idea di Stato democratico tra la guerra del 1967 e il dodicesimo CNP del 1974,
considerata uno degli aspetti più originali e innovatori del pensiero politico palestinese di
resistenza.
Movimento nazionale, movimento di resistenza: il problema delle definizioni
La presente ricerca analizza il pensiero politico delle principali organizzazioni che
costituiscono il MRP. Per "principali organizzazioni della resistenza" si intendono
sostanzialmente Fatah, il FPLP e il FDPLP. Come nota Yezid Sayigh, queste tre
organizzazioni sono guidate da leader - Yasir Arafat, Khalil al-Wazir (Abu Jihad) e Khaled
al-Hasan in Fatah, George Habash e Ahmad al-Yamani nel FPLP, Nayif Hawatma e Yasir
Abd-Rabbo nel FDPLP - considerati degli autentici nazionalisti palestinesi in virtù della loro
lunga storia di attivismo politico indipendente; inoltre, le visioni politiche dei tre gruppi sono
state in larga parte forgiate in armonia con quelle dei rispettivi fondatori, senza l'influenza di
fattori esterni o interessi costituiti, a differenza di gruppi come Saʿiqa, il Fronte di
Liberazione Arabo (FLA) e il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina-Comando
Generale (FPLP-GC), legati invece a certi regimi arabi23. Inoltre, Fatah, FPLP e FDPLP si
distinguono per la loro rappresentatività nella società palestinese (Fatah è di gran lunga la più
grande organizzazione, seguita dal FPLP), l'originalità delle proposte politiche e l'influenza
esercitata sul movimento nazionale nel suo complesso (ad esempio, il peso politico del
FDPLP eccede di gran lunga la sua modesta consistenza numerica e il suo ridotto potenziale
militare).
Quando si parla di "movimento di resistenza palestinese" o di "resistenza palestinese"
ci si riferisce all'insieme dei gruppi combattenti sorti qualche anno prima o subito dopo la
guerra del 1967 e che intraprendono la via della lotta armata contro Israele. In questa
prospettiva, "movimento di resistenza palestinese" e "movimento di liberazione palestinese"
sono usati pressoché come sinonimi, malgrado la prima espressione si riferisca più
strettamente ai gruppi organizzati militarmente, mentre la seconda includa anche quelle
23
Sayigh Y., The Politics of Palestinian Exile, «Third World Quarterly», Vol. 9, No. 1, January 1987, p. 35.
11
organizzazioni, associazioni e personalità attive nella lotta di liberazione ma non
necessariamente coinvolte nella lotta armata.
Con l'espressione "movimento nazionale palestinese" ci si riferisce invece all'insieme
delle istituzioni, organizzazioni, associazioni, personalità palestinesi che partecipano più o
meno attivamente e in varie forme alla causa della liberazione della Palestina. Questa ampia
categoria ingloba l'accademico in diaspora, il combattente di Fatah, il medico della
Mezzaluna Rossa, il funzionario del Palestine Research Center, il membro del Partito
comunista israeliano o dei Fratelli musulmani a Gaza, lo studente che volantina all'Università
di Birzeit e il benefattore che invia soldi dal Golfo, tanto per citare solo alcuni esempi.
L'OLP rappresenta invece l'ombrello istituzionale all'interno del quale convergono le
varie anime del movimento nazionale palestinese rappresentate nel CNP. Per molti aspetti
l'OLP costituisce l'arena privilegiata per il confronto politico tra le diverse organizzazioni,
correnti politiche e personalità del movimento nazionale e rivendica con successo il ruolo di
unico legittimo rappresentante del popolo palestinese e della sua causa nazionale. Per
"corrente di maggioranza" dell'OLP si intende la coalizione di forze politiche e di personalità
che di volta in volta si succedono alla guida degli organi decisionali (la colonna vertebrale, a
partire dal febbraio 1969, è costituita da Fatah). Secondo Yezid Sayigh, l'OLP e il MRP
possono essere considerate, prima della guerra del 1967, le due forme principali del
nazionalismo palestinese contemporaneo: la prima rappresenta l'entità, la cui legittimità è
stata sancita dal sistema politico arabo ufficiale, la seconda l'identità militante di base e
l'autonomia dalla tutela araba24. Pertanto, l'OLP non coincide esattamente con il MRP né con
il movimento nazionale palestinese. Solamente a partire dal 1968, quando le organizzazioni
combattenti incrementano la propria rappresentanza all'interno delle istituzioni dell'OLP, e in
particolare nel febbraio 1969, quando Fatah ne assume il controllo, l'entità burocratica e
l'identità militante tendono progressivamente ad identificarsi.
Metodologia e struttura della ricerca
La presente ricerca intende ricostruire il dibattito sullo Stato democratico al fine di
evidenziarne la rilevanza storica e le implicazioni politiche per il MRP. L'ambito privilegiato
di ricerca e le sue caratteristiche metodologiche attengono quindi alla storia intellettuale o del
pensiero e alla storia discorsiva, più che alla storia delle idee o dei concetti. Quest'ultima è
caratterizzata infatti dalla narrazione storica di un'idea principale, per poi seguire il suo
24
Sayigh Y., art. cit., p. 33.
12
sviluppo e la sua metamorfosi in diversi periodi storici e contesti sociali. Se da un lato questo
approccio permette di rintracciare le caratteristiche comuni e ricorrenti di un'idea nel tempo,
dall'altro è problematico in quanto tende a guardare alle idee e al pensiero come a
manifestazioni astoriche o a proposizioni astratte, sganciate dal contesto storico in cui
vengono formulate e dalle finalità politiche dei soggetti che le concepiscono o se ne fanno
promotori.
Le caratteristiche metodologiche della storia intellettuale sono invece la centralità del
testo scritto e l'interdisciplinarietà della ricerca (l'indagine storica fa spesso ricorso agli
strumenti e agli insegnamenti dell'antropologia culturale, dalla linguistica comparata e dalla
sociologia della conoscenza). A differenza della storia delle idee, la storia intellettuale tende a
considerare le idee come storicamente condizionate e meglio comprese se studiate in un
contesto più ampio e secondo un approccio multidisciplinare che indaga la connessione tra le
idee e le lotte sociali, i cambiamenti istituzionali, la biografia intellettuale, il contesto
culturale e le disposizioni linguistiche nel quale vengono formulate25.
Questo tipo di approccio metodologico consente di indagare un'idea, oltre che per il
suo valore intrinseco, per la sua funzione discorsiva: le idee sono tanto veicoli per la
conoscenza della realtà e la rappresentazione dell'immaginario collettivo, quanto strumenti di
accesso al potere, di legittimazione politica e di condizionamento sociale. L'ambito della
storia intellettuale si intreccia anche con quello della storia culturale: la ricerca tende ad
esaminare le dinamiche e i fattori che hanno favorito l'emergere della discussione sullo Stato
democratico, i canali di ricezione e diffusione del dibattito e gli effetti che i suoi protagonisti
intendevano produrre. La ricerca non può perciò limitarsi a una ristretta elite politica e
intellettuale, ma deve indagare la circolazione culturale di questa idea nella sfera più ampia
25
Gordon P. E., What Is Intellectual History? A Frankly Partisan Introduction to a Frequently Misunderstood
Field, Harvard History Department website (consultato il 30 aprile 2012). Disponibile all'indirizzo
http://history.fas.harvard.edu/people/faculty/documents/pgordon-whatisintellhist.pdf . Sulla storia intellettuale si
veda: Darnton R., Intellectual History or Cultural History, in Kammen M. (ed.), The Past Before Us:
Contemporary Historical Writing in the United States, Ithaca, New York 1980, pp. 327-49; Jay M., The Textual
Approach to Intellectual History, in Jay M., Force Fields: Between Intellectual History and Cultural Critique,
Routledge, New York 1993, pp. 158-66; Hollinger D. A., The MVHR, the JAH, and Intellectual History: From
the Margins and the Mainstream, in Kirkendall R. (ed.), One Hundred Years of Scholarly Journals of the
Organization of American Historians, Oxford University Press, New York 2011; Kloppenberg J. T., Intellectual
History, Democracy, and the Culture of Irony, in Stokes M. (ed.), The State of American History, Berg
Publishers, Oxford 2002, pp. 199-222. Sulla storia delle idee si veda invece: Lovejoy A. O., Reflections on the
History of Ideas, «Journal of the History of Ideas», Vol. 1, No. 1, 1940, pp. 3-23; Skinner Q, Meaning and
Understanding in the History of Ideas, «History and Theory», Vol. 8, No. 1, 1969, pp. 1-53; Grafton A., The
History of Ideas: Precept and Practice, 1950-2000 and Beyond, «Journal of the History of Ideas», Vol. 67, No.
1, 2006, pp. 1-32.
13
della società, nonché occuparsi della sua diffusione e alterazione semantica nel tempo, nello
spazio e nei diversi contesti sociali e politici.
La storia intellettuale o del pensiero politico, più che sull'esposizione dei fatti storici,
si caratterizza per l'attenzione alla dimensione testuale e linguistica e al contesto in cui il
linguaggio si è sviluppato. L'analisi concettuale e lessicale dei testi scritti e i mutamenti di
accezione e di fisionomia di un'idea - e delle sue singole componenti - in un quadro
diacronico caratterizzano la forma espositiva e il metodo di analisi privilegiato della storia
intellettuale26. Secondo Dominik LaCapra la storia intellettuale si distingue dagli altri campi
di ricerca storica per due aspetti: la natura del testo come prodotto di un determinato periodo
storico e di un preciso contesto sociale, e l’interpretazione del testo in base all'intenzione
dello storico e alla scelta del problema che si propone di affrontare, che determina in buona
misura il modo di interpretare e analizzare il testo stesso27.
Prima di analizzare il dibattito intorno all'idea di Stato democratico, è necessario
considerare il periodo storico e il contesto all'interno del quale ha preso forma. Il pensiero
politico del MRP prende forma all'indomani della guerra del giugno 1967, inserendosi a
piano titolo nella critica generale alle forze politiche, ai modelli di sviluppo e al modo di
pensare antecedenti alla disfatta araba. L'analisi delle responsabilità non si limita più al
nemico esterno (l'imperialismo, il sionismo), ma si concentra sui fattori endogeni specifici
delle società arabe così come si erano strutturate dopo l'indipendenza. La critica esula dal
contesto prettamente politico e coinvolge questioni legate ai riferimenti culturali e identitari
delle società arabe contemporanee: quali sono le ragioni del ritardo arabo nello sviluppo
rispetto all'occidente? Come recuperare la gloria e la potenza culturale, politica, economica e
militare del passato? La risposta è nel secolarismo o in una nuova interpretazione dell'islam?
Perché non si è raggiunta l'unità araba? Quali sono le ragioni della disfatta nei confronti di
Israele?28
È all'interno di questo clima culturale e politico che emerge e si radicalizza il pensiero
politico palestinese di resistenza. La proposta di Stato democratico si inserisce all’interno del
più ampio dibattito sulla natura e i fini della lotta di liberazione. Di conseguenza, per
26
Carnino C., Storia intellettuale versus Storia delle idee: spunti metodologici e pratica di ricerca
interdisciplinare, Incontro metodologico del Gruppo interdisciplinare di Storia delle idee, Torino, 31/03/2011
(consultato
il
30
aprile
2012).
Disponibile
all'indirizzo
http://www.gisi.unito.it/files/docs/GISI%202011%20Incontro%20Metodologico%20Carnino.pdf .
27
Lacapra D., Rethinking Intellectual History: Texts, Contexts, Language, Cornell UP, Ithaca 1983, in Carnino
C., cit.
28
Kassab, E. S., Contemporary Arab Thought: Cultural Critique in Contemporary Perspective, Columbia
University Press, New York 2010, pp. 1-15.
14
comprendere il significato che ogni organizzazione di resistenza attribuisce al progetto di
Stato democratico, bisogna prima di tutto esaminare i testi politici fondamentali di Fatah, del
FPLP e del FDPLP tra la guerra del 1967 e l'espulsione dalla Giordania nel 1971. In questo
modo si cercherà di capire chi sono gli autori dei testi politici, quale è la loro formazione
culturale, i valori di riferimento, gli obiettivi politici. Questo è in sostanza l'obiettivo del
primo capitolo.
Dopo aver delineato le caratteristiche fondamentali dell’ideologia palestinese di
resistenza, il secondo e il terzo capitolo tentano di ricostruire il dibattito sullo Stato
democratico dall'elaborazione iniziale fino alla svolta programmatica del dodicesimo CNP
dell'OLP nel giugno 1974. Questi due capitoli si focalizzano sull'idea di Stato democratico
come punto di vista privilegiato da cui ricostruire l'evoluzione del dibattito politico del MRP.
Oltre all'analisi dell'idea di Stato democratico in sé, la ricerca si propone di valutare il ruolo
che tale proposta ha assunto nel cambiamento di identità del MRP, nella riconsiderazione
della fini della lotta di liberazione e nella percezione della figura del nemico.
Da un lato si analizza come quest’idea viene tradotta nei documenti politici dell’OLP,
il minimo comun denominatore della politica palestinese; dall’altro si esamina il dibattito
interno alle varie organizzazioni di resistenza per evidenziare come ognuna di esse proponga
un'interpretazione che risente della formazione socio-culturale dei suoi dirigenti, delle
categorie ideologiche a cui fanno riferimento e degli interessi politici di cui si fanno portatori.
A tal fine occorre prendere in considerazione una serie di elementi che influiscono nella
riflessione intellettuale e politica sull'idea di Stato democratico: il contesto economico e
sociale che la produce; il contesto testuale, vale a dire in che modo e a che fine le idee e i
concetti sono impiegati dalle varie organizzazioni e personalità all'interno dei testi e delle
dichiarazioni, e quali sono le intenzioni dell'autore; le conseguenze e i cambiamenti prodotti
da un testo non solo sulle decisioni politiche di alto livello, ma anche nel più largo contesto
sociale di riferimento; la vita dell'autore, per capire quanto la sua esperienza biografica incida
sulla riflessione intellettuale; l'ambiente culturale regionale e internazionale nel quale le idee
si formano, circolano ed interagiscono con idee precedentemente espresse29.
Tenendo conto di questi fattori, lo studio del pensiero politico palestinese e in
particolare dell'idea di Stato democratico deve tener conto del significato che esse hanno
avuto in quanto espressione di una esigenza culturale, sociale e politica più ampia della
collettività. Questo pone il problema di considerare l'effettiva incidenza dell'idea di Stato
29
Carnino C., cit., pp. 5-6.
15
democratico nella società palestinese, al di là delle formulazioni proposte dai leader, dagli
intellettuali e dalle organizzazioni della resistenza, che costituiscono il grosso del materiale
documentario su cui si basa la ricerca. Problema di non facile risoluzione, vista l'estrema
eterogeneità della compagine sociale palestinese e la difficoltà di reperire fonti primarie sulle
inclinazioni ideologiche e culturali dei diversi segmenti del popolo palestinese.
Tuttavia, gli studi condotti nei campi profughi e nei campi di addestramento per i
combattenti dimostrano che le elaborazioni ideologiche delle elite politiche ed intellettuali
coinvolgono una parte considerevole della popolazione palestinese attiva politicamente.
Questo è oltremodo vero se si considera l'alto grado di politicizzazione dei palestinesi,
soprattutto quelli dei campi profughi, e la grande capacità delle organizzazioni di resistenza
di mobilitare una larga parte della società palestinese.
Mentre il secondo capitolo si concentra maggiormente sull'analisi concettuale e
lessicale dei testi e delle dichiarazioni sullo Stato democratico, e sull'evoluzione del dibattito
strettamente interno a Fatah, FPLP e FDPLP, il terzo capitolo considera i profondi
cambiamenti intervenuti nella scena mediorientale tra il "Settembre nero"30 in Giordania e la
guerra dell'ottobre 1973. In particolare, si analizza come il pensiero politico della resistenza
palestinese si trasforma sia in seguito ai cambiamenti interni, sia in risposta ai
condizionamenti esterni (Israele, gli Stati Uniti, l'Unione sovietica, gli Stati arabi).
Nella presente ricerca si è scelto di lasciar parlare soprattutto i testi stessi, attingendo
il più possibile direttamente ai documenti e alle dichiarazioni dei protagonisti del dibattito, in
modo da presentare senza troppe mediazioni il quadro di riferimento concettuale all'interno
del quale si svolgono le riflessioni politiche dei palestinesi. Questa scelta comporta una serie
di problemi, il primo dei quali è la definizione di un criterio preciso nella scelta dei testi. Il
criterio è il più ovvio: la pertinenza del testo con il tema dello Stato democratico. Se a volte il
lavoro di selezione è stato facilitato dalla raccolta in un unico libro di articoli, interviste e
saggi sullo Stato democratico, nella maggior parte dei casi si è dovuto procedere alla
consultazione sistematica del materiale documentario nel periodo oggetto di studio o
all'estrapolazione di passi scelti da opere più generali sul pensiero politico o sui programmi
delle varie organizzazioni. Un secondo criterio di selezione è stato la rappresentatività del
testo o dell'autore del testo: si è preferito quindi utilizzare documenti ufficiali o opere di alti
dirigenti in quanto - si presume - esprimono una posizione condivisa nell'organizzazione di
30
Indica il mese in cui il re hashemita Husayn di Giordania iniziò la campagna di repressione militare del MRP
(attaccando indisciminatamente i quartieri generali delle organizzazioni e i campi profughi), che si concluse con
l'espulsione dei fida'iyyin dalla Giordania nel luglio 1971.
16
riferimento. Infine, sono stati scelti i testi che, per una serie di ragioni (l'originalità o la
problematicità del contenuto, l'influenza del proponente, la capacità del testo di intercettare
un sentire comune), hanno inciso maggiormente nel dibattito politico intra-palestinese e nel
processo decisionale dell'OLP.
L'abbondante ricorso alle pubblicazioni ufficiali delle organizzazioni di resistenza
pone anche il problema di come distinguere il materiale propagandistico da tutto quello che
influisce più direttamente sul processo decisionale e il funzionamento delle singole
organizzazioni. La natura stessa delle organizzazioni, attori non-statali che operano spesso
clandestinamente in quanto sottoposti a costante minaccia di sicurezza, rende l'accesso alle
informazioni più dettagliate, affidabili e sensibili un compito assai arduo e questo costituisce
uno dei principali limiti del presente studio. A questo inconveniente è possibile ovviare solo
in parte diversificando il più possibile le fonti utilizzate e preferendo di gran lunga il
materiale destinato al dibattito interno rispetto a pensato per l'estero. Inoltre, allo studio della
teoria e dei testi politici occorre affiancare quello delle azioni concrete, al fine di stabilire
connessioni ed evidenziare contraddizioni e sfasature tra il primo e il secondo livello di
indagine.
In conclusione, è importante ribadire che la presente ricerca si concentra sullo studio
del pensiero politico delle principali organizzazioni del MRP. Pertanto, non può certo ambire
a rappresentare il pensiero del movimento nazionale palestinese nel suo complesso, da
sempre contraddistinto tanto per ricchezza quanto per eterogeneità, né riesce a dar conto delle
prospettive e delle storie non contenute nella documentazione prodotta dalle organizzazioni
di resistenza. La ricerca ha preso in considerazione il discorso nazionalista ufficiale dell'elite
politica del MRP, incentrata sugli uomini e basata sui testi scritti, egemone tra la metà degli
anni sessanta e i primi anni ottanta, e funzionale alla costruzione di una narrazione collettiva
ideale e coerente della storia palestinese. Si auspica che future ricerche, adottando un
approccio metodologico che consideri la storia orale come una fonte preziosa per la
ricostruzione storica e la comprensione degli eventi dal punto di vista delle categorie e dei
soggetti sociali esclusi dal discorso ufficiale, prendano in considerazione le narrazioni dei
gruppi subalterni e marginalizzati, che costituiscono in fin dei conti la maggioranza della
società palestinese (contadini, rifugiati, donne, poveri urbani, beduini)31.
31
Sulla critica delle narrazioni egemoniche (israeliane e palestinesi) e sulla necessità di una storia dei subalterni
si veda: Masalha N., The Palestine Nakba: Decolonising History, Narrating the Subaltern, Reclaiming Memory,
cit., pp. 205-228.
17
Le fonti
Il corpus principale di fonti primarie è costituito dai testi politici dell’OLP e delle principali
organizzazioni di resistenza, dalle raccolte di documenti, da periodici, riviste e annuari. Le
fonti riguardanti l’OLP consistono nei documenti e nelle dichiarazioni delle sue istituzioni
politiche principali (i programmi politici del CNP, le dichiarazioni del Comitato Centrale CC, e del Comitato Esecutivo - CE), nelle dichiarazioni e nelle interviste dei suoi dirigenti.
Le fonti sulle organizzazioni di resistenza includono i congressi e i rapporti politici, gli
opuscoli per la circolazione interna e quelli per la diffusione all’estero, i periodici, le
dichiarazioni dei dirigenti. Oltre alle pubblicazioni ufficiali, un'altra categoria di fonti
primarie comprende i libri, gli articoli e gli interventi sullo Stato democratico di personalità
palestinesi o membri di organizzazioni del MRP fatti a titolo personale. Si tratta di
documentazione pubblicata dagli organi di stampa (ufficiali e non) e dai dipartimenti
d'informazione delle varie organizzazioni, dal Palestine Research Center dell'OLP o
contenuta in raccolte di documenti, come in «al-Watha'iq al-ʿArabiyya al-Filastiniyya»,
l'«International Documents on Palestine»32, la sezione "Documents and Sources" del «Journal
of Palestine Studies»33.
I periodici consultati includono gli organi di stampa dell’OLP e delle principali
organizzazioni di resistenza, sia in lingua araba («al-Hadaf», «al-Hurriyya», «al-Thawra alFilastiniyya», ecc.), sia in italiano, francese e inglese («Fateh», «PFLP Bulletin», ecc.);
quotidiani, riviste o annuari in lingua araba e inglese («Arab Report and Record»34, «Middle
East Contemporary Survey»35, ecc.); riviste specialistiche («Shu'un Filastiniyya»36, «Journal
of Palestine Studies»37, «Middle East Research and Information Project Reports»38, «Middle
East Journal», ecc.) o materiale documentario disponibile on line, tra cui bisogna senz'altro
menzionare lo United Nations Information System on the Question of Palestine
32
Raccolta annuale di documenti che tenta di offrire un quadro completo delle diverse adottate dai paesi in tutto
il mondo verso la questione palestinese, come espresse dai loro portavoce e personalità di primo piano. La
collezione è divisa in tre sezioni: internazionale (incluso Israele), Nazioni Unite, e mondo arabo. Comprende
traduzioni dall'ebraico e dall'arabo.
33
Serie annuale in lingua araba pubblicata a Beirut dall'Institute of Palestine Studies a partire dal 1965.
34
Quindicinale pubblicato a Londra.
35
Volume annuale che segue i principali sviluppi nel Medio Oriente, oltre a fornire un’indagine paese per paese.
Pubblicato dal Shiloah Center a Tel Aviv. Precedentemente «Middle East Record».
36
Pubblicato in lingua araba dal Palestine Research Center.
37
Rivista accademica fondata nel 1971. È pubblicata e distribuita dalla University of California Press, per conto
dell’Institute for Palestine Studies di Beirut.
38
Gruppo di ricerca indipendente e senza scopo di lucro fondato nel 1971, che ha pubblicato rapporti e studi su
vari conflitti in Medio Oriente. La sua pubblicazione più importante è il «Middle East Report», che viene
pubblicato sia online sia come rivista di stampa.
18
(UNISPAL)39. L'«Arab Report and Record», il «Middle East Contemporary Survey» e il
«Journal of Palestine Studies» sono stati particolarmente utili sia per la copertura della
stampa araba ed estera sulla questione palestinese, sia per le sezioni cronologiche che
presentano.
Gran parte della documentazione primaria sopra elencata è stata originariamente
prodotta in lingua araba e solamente in seguito tradotta nelle lingue europee, in particolare in
inglese, a volte integralmente altre volte parzialmente. In linea generale, si è preferito
accedere alla documentazione già tradotta in inglese, francese, italiano, con la premura di
utilizzare le traduzioni ufficiali delle organizzazioni palestinesi, di istituti specializzati o di
esperti del settore. In assenza della traduzione inglese, quando si è ritenuto importante
verificare l’accurattezza della traduzione, e quando era importante accedere alla fonte in
lingua originale, si è consultato il testo arabo.
Molte delle fonti primarie è stata a lungo conservata presso il Palestine Research
Center dell'OLP, fondato a Beirut nel 1964 come istituzione culturale e formativa con lo
scopo di documentare vari aspetti della questione palestinese. Le attività del centro sono state
interrotte con l’invasione israeliana di Beirut nel 1982 e molto del materiale è andato
distrutto, disperso o ricollocato altrove40. Per fortuna, parte del materiale prodotto dal
Palestine Research Center è custodito anche presso l'Institute of Palestine Studies di Beirut.
In generale, le fonti primarie sono state reperite durante tre soggiorni di studio. Il primo in
Inghilterra, presso l’ "Arab World Documentation Unit" e l' "Uri Davis Collection", entrambe
all’Università di Exeter. Inoltre, la ricerca è stata condotta anche presso la British Library,
nella School of Oriental and African Studies (SOAS) e la London School of Economics (in
particolare l’ "Archives Reading Room") di Londra. Il secondo soggiorno si è svolto in
Israele e nei territori palestinesi occupati, presso la sezione "Special Collections" della
Biblioteca centrale dell'Università di Birzeit, presso l'Institute of Palestine Studies di
Ramallah, presso il "Roberta and Stanley Bogen Library and Documentation Center"
all'Hebrew University di Gerusalemme e presso il "Moshe Dayan Center for Middle Eastern
& African Studies Library" dell'Università di Tel Aviv. Nel soggiorno in Libano la ricerca si
è svolta presso l'Institute for Palestine Studies di Beirut, probabilmente il più ricco centro di
39
Raccolta online dei testi delle Nazioni Unite relative alla questione palestinese, al conflitto israelo-palestinese
e ad altre questioni relative alla situazione in Medio Oriente.
40
Jiryis S., Qallab S., The Palestine Research Center, «Journal of Palestine Studies», Vol. 14, No. 4, Summer,
1985, pp. 185-187; Masalha N., The Palestine Nakba: Decolonizing History, Narrating the Subaltern,
Reclaiming Memory, Zed Books, London 2012, pp. 135-147. Si veda anche: Gresh A., Information sur les
Centers de recherches palestiniens, «Recherches Internationales», No. 2, 3° semestre 1981.
19
documentazione sulla questione palestinese41, e presso l' "Archives and Special Collections
Department" dell'Università americana di Beirut. In Italia, particolarmente prezioso è stato il
Fondo Giuliani, custodito nel Centro di documentazione sui partiti politici nelle Marche in età
contemporanea dell'Università di Macerata.
Tra le fonti primarie di cui si è avvalsa la ricerca si collocano anche le interviste ai
protagonisti (politici, intellettuali, studiosi) del dibattito sullo Stato democratico dalla fine
degli anni sessanta ad oggi. Tuttavia, l’utilizzo di questa tipologia di fonti richiede cautela per
una serie di ragioni: in primo luogo, gli intervistati sono chiamati a ricordare eventi di circa
quaranta anni fa e il loro resoconto potrebbe non essere accurato; in secondo luogo, molti di
loro sono ancora attivi nella concitata vita politica palestinese e potrebbero adattare i
resoconti storici alle preoccupazioni politiche del presente. Di conseguenza, l’interpretazione
attuale degli eventi passati potrebbe essere oggetto di distorsioni e aggiustamenti dovuti al
mutato orizzonte culturale dell’intervistato o ai diversi interessi politici in gioco. Per questi
motivi, raramente le interviste sono state utilizzate come uniche fonti nella ricostruzione o
nell'interpretazione storica di un evento.
L’uso delle fonti secondarie si è limitato alla studio della letteratura che si occupa del
movimento nazionale palestinese (in particolare il pensiero politico), ed è stato utile per
orientarsi nella galassia politica palestinese e per valutare come i profondi cambiamenti che
hanno attraversato il mondo arabo in seguito alla naksa influiscano sul dibattito politico del
MRP. Questo tipo di fonti, facilmente reperibili presso i centri di documentazione
summenzionati, sono in gran parte contenute in riviste specialistiche e in volumi (l'elenco
delle fonti secondarie consultate è presente nella bibliografia).
Nota sulla traslitterazione
La traslitterazione segue il sistema adottato dall'«International Journal of Middle East
Studies», ma con l'omissione di tutti i segni diacritici con l'eccezione di ayn (ʿ) e hamza (').
Lo stesso sistema è stato adottato per i testi in arabo e per i nomi di persona che non
presentano una traslitterazione inglese accreditata (ad esempio, Shaat, Sha'th, Sha'ath è stato
traslitterato con Shaʿth). La traslitterazione inglese è stata utilizzata per tutti i nomi di luoghi
e di persona che presentano una traduzione inglese accreditata (ad esempio, ʿArafat è stato
41
Estremamente utili ai fini della ricerca sono le serie annuali di documentazione e analisi sulla Palestina: i già
citati «al-Watha'iq al-ʿArabiyya al-Filastiniyya» e «International Documents on Palestine», «al-Kitab al-Sanawi
li-l-Qadiyya al-Filastiniyya» (presenta descrizioni analitiche di eventi e forniscono analisi su vari aspetti del
conflitto arabo-israeliano) e le raccolte di documentazione prodotte dalle Nazioni Unite sulla palestina, «United
Nations Resolutions on Palestine».
20
reso con Arafat, Husayn con Hussein, Nasir con Nasser). I nomi arabi presenti all'interno di
documenti in lingua diversa dall'arabo (generalmente inglese, francese o italiano) non
seguono
il
criterio
di
traslitterazione
e
sono
lasciati
invariati.
21
CAPITOLO I: IL PENSIERO POLITICO DI RESISTENZA
Alle radici del pensiero di resistenza
Tra la nakba1 del 1948 e la naksa2 del 1967, il popolo palestinese era scomparso dalla scena
politica mediorientale. Già negli anni cinquanta però, una nuova generazione di giovani
intellettuali palestinesi aveva riposto le speranze di liberazione nel nazionalismo arabo e
militava in movimenti politici come il MNA, il Partito Nazionalista Sociale Siriano (PNSS),
il partito arabo socialista Baʿth, i movimenti di ispirazione nasseriana e i partiti comunisti3. A
corto di alternative, i palestinesi della diaspora avevano abbracciato le politiche del
presidente egiziano Nasser, confidando che l'unità araba e la modernizzazione economica
fossero i prerequisiti necessari per il ritorno in Palestina.
Nei primi anni sessanta si verificarono due avvenimenti destinati ad accelerare la
formazione di organizzazioni politiche palestinesi: nel 1961 falliva il tentativo di unione siroegiziana, mentre l'anno successuvo l'Algeria otteneva l'indipendenza. I due eventi
dimostrarono agli occhi dei palestinesi che l'unità araba non si sarebbe raggiunta di certo nel
breve periodo e che una lunga lotta popolare di guerriglia poteva essere più efficace dello
scontro tra eserciti convenzionali. Fatah, che era ancora un'organizzazione allo stato
embrionale, decise di lanciarsi nella lotta armata: tra la notte del 31 dicembre e l'1 gennaio
1965 la sua ala militare al-ʿAsifa (la tempesta) compì la prima incursione in Israele4. L'anno
successivo il MNA dava vita agli Abtal al-ʿAwda (eroi del ritorno), la sua prima formazione
di guerriglia.
Con la nascita dell’OLP nel 1964 il movimento nazionale palestinese entrò in una
nuova fase. La formazione dell’OLP, la cui guida fu affidata al rappresentante palestinese alla
Lega Araba Ahmad Shuqayri, può essere letta come il tentativo arabo e in particolare
egiziano di contenere il crescente attivismo nazionalista palestinese entro precisi limiti5. Alla
nuova entità palestinese fu negata qualsiasi pretesa di sovranità sulla Cisgiordania, annessa
dal Regno hashemita di Giordania, o nella Striscia di Gaza, sotto controllo egiziano; in
aggiunta, la sua ala militare, l’Esercito di Liberazione Palestinese (ELP), era composto da
1
"Catastrofe", indica la pulizia etnica dei palestinesi ad opera delle milizie sioniste durante il primo conflitto
israelo-arabo-palestinese, 1947-49. Il termine è stato applicato alla tragedia palestinese in seguito alla
pubblicazione di Maʿna al-Nakba [Il significato della catastrofe] di Constantine Zurayq nel 1948.
2
"Disfatta, indica la sconfitta araba nella Guerra del 1967.
3
Mansfield P., The Middle East: A Political and Economic Survey, Oxford University Press, London, 1973, pp.
66-90.
4
Chaliand G., La resistenza palestinese, cit., pp. 78-79.
5
Shemesh M., The Palestinian Entity, 1959-1974: Arab Politics and the PLO, cit.
forze regolari stazionate in Siria, Iraq ed Egitto e poste di fatto sotto il loro controllo.
Insomma, la tanto agognata entità palestinese nasceva già con le ali spuntate. Per queste
ragioni molti palestinesi guardarono con diffidenza alla nascita di un'organizzazione che
consideravano un mero strumento nelle mani dei regimi arabi.
Secondo lo studioso israeliano Yehoshafat Harkabi, prima del 1967 il pensiero arabo
sulla guerra contro Israele si trovava dinanzi ad un grande dilemma: da un lato, rimandare la
guerra per permettere agli arabi di recuperare il divario con Israele significava permettere il
consolidamento della sua esistenza; dall'altro, precipitarsi nel conflitto avrebbe portato a una
sconfitta che avrebbe a sua volta posticipato ulteriormente l'ora del riscatto6. La disfatta del
1967 rivelò l'impotenza dei regimi nazional-populisti7 e delle forze nazionaliste arabe nel
rinnovare le strutture politiche e sociali nel mondo arabo, segnò la dissoluzione del MNA e il
tramonto definitivo del panarabismo – ma non del nazionalismo arabo inteso come
aspirazione dei popoli arabi all’unità - specie nella versione di stampo nasseriano o baʿthista,
che avevano dominato la scena politica araba fino a quel momento. I regimi nazionalpopulisti ne uscirono fortemente screditati: furono accusati per l'approccio riformista piccoloborghese e per l’incapacità di portare a compimento il processo di integrazione delle masse
nel progetto di ricostruzione nazionale. La morte di Nasser nel settembre 1970 segnò la fine
di un'era. La società nella sua interezza venne messa sotto accusa, aprendo a una nuova
prospettiva radicale di cambiamento8.
Questo spinse molti giovani palestinesi ad abbracciare con entusiasmo la via della
lotta di guerriglia come alternativa all’opzione, miseramente fallita, dello scontro tra eserciti
regolari, ed ad ingrossare le fila delle nascenti organizzazioni di resistenza. Secondo lo
studioso egiziano Anwar Abdel Malek il merito storico del MRP è di aver insegnato ai
movimento di liberazione nel mondo arabo che «era venuto imperiosamente il tempo in cui
conveniva sostituire l’arma della critica con la critica delle armi»9. La "posizione
6
Harkabi Y., Fedayeen Action and Arab Strategy, cit., pp. 5-6.
La defizione è di Samir A., Il mondo arabo nella storia ed oggi, Edizioni Punto Rosso, Milano 2012, p. 149. Si
intendono generalmente quei regimi ispirati al nazionalismo arabo e con programmi radicali di trasformazione
sociale e politica, nati dalla metà degli anni cinquanta. Gli esempi classici sono l'Algeria del Fronte di
liberazione nazionale, l'Egitto di Nasser, l'Iraq e la Siria baʿthisti, la Tunisia di Bourghiba. Lo studioso egiziano
Samir Amin li chiama regimi "nazional-populisti". Nella letteratura del movimento nazionale palestinese sono
spesso chiamati "regimi nazionali", "nazionalisti", "progressisti", o "piccolo-borghesi" nel linguaggio marxista.
8
Sharabi H., Liberation or Settlement: The Dialectics of Palestinian Struggle, «Journal of Palestine Studies»,
Vol. 2, No. 2, Winter 1973, p. 34.
9
Abdel-Malek A., Il pensiero politico arabo, Editori riuniti, Roma 1973, p. XL.
7
23
liberazionista"10 del MRP le consentì di ritagliarsi uno spazio politico autonomo al di fuori
del sistema politico arabo e di svolgere il ruolo di «avanguardia della radicalizzazione
accelerata dei movimenti nazionali arabi»11.
In seguito alla famigerata battaglia di Karama nel marzo del 1968, in cui 300
guerriglieri palestinesi (in gran parte di Fatah) aiutati dall’artiglieria giordana affrontarono
circa 15.000 soldati israeliani muniti di mezzi corazzati, il movimento di guerriglia diventò
agli occhi degli arabi l’alternativa al sistema politico arabo tradizionale12. Forte del prestigio
conquistato, Fatah decise di rafforzare la sua presenza all'interno dell'OLP che, tutto
sommato, godeva di una certa legittimità nel sistema politico arabo13. Come dichiarò anni
dopo Salah Khalaf (Abu Iyad), membro del Comitato centrale di Fatah e numero due
nell'OLP: «we were afraid that certain Arab governements would make use of the P.L.O.
against us [Fatah]. So we joined the P.L.O., not because we had faith in it but rather to
neutralize it»14.
Nel 1968 il dibattito ruotava infatti intorno alla formula da adottare per far convergere
le varie realtà del movimento di liberazione in un unico fronte nazionale. La competizione tra
il Comitato esecutivo dell'OLP, l'ELP, il FPLP e Fatah per la formazione del nuovo CNP, fu
risolta in favore di quest'ultima. Al quarto CNP, tenuto al Cairo nel luglio del 1968, le
organizzazioni di resistenza ottennero 48 dei 100 delegati (38 all'Ufficio permanente delle
organizzazioni palestinesi di guerriglia15, un gruppo di otto organizzazioni dominato da
Fatah, 10 al FPLP)16.
Con l’elezione del portavoce di Fatah Yasir Arafat alla presidenza del Comitato
esecutivo al quinto CNP nel febbraio 1969, l’OLP si trasformava definitivamente in una vera
10
Definizione presa a prestito da Sharabi H., Liberation or Settlement: The Dialectics of Palestinian Struggle,
cit., p. 36.
11
Abdel-Malek A., op. cit., p. 381.
12
Sayigh Y., The Politics of Palestinian Exile, cit., p. 34. Sul ruolo della battaglia di Karama nella mitologia
politica palestinese: W. A. Terrill, The Political Mythology of the Battle of Karameh, «Middle East Journal»,
Vol. 55, No. 1, Winter, 2001, pp. 91-111.
13
Per un approfondimento sul contesto storico, il funzionamento delle istituzioni dell’OLP e la presa di potere
delle organizzazioni di resistenza, si veda: Hamid R., What is the PLO?, «Journal of Palestine Studies», Vol. 4,
No. 4, Summer, 1975, pp. 90-109; Shemesh M., The Founding of the PLO 1964, «Middle Eastern Studies», Vol.
20, No. 4, Oct., 1984, pp. 105-141; Shemesh M., The Palestinian Entity, 1959-1974: Arab Politics and the PLO,
cit.
14
«Jeune Afrique», No. 563, October 19, 1971, pp. 24-26, in «International Documents on Palestine 1971»
(citato in seguito IDP con l’anno di riferimento), The Institute for Palestine Studies, Beirut, 1974, cit., p. 541.
15
Il Permanent Bureau era costituito da: Fateh, Saʿiqa; Palestine Liberation Front; Action Organization for the
Support of the Revolution; Front of the Palestinian Revolutionaries; the Palestinian Popular Front; the
Organization of Palestinian Revolutionary Youth, the Commando Vanguards Organization. In Fateh, al-Kitab
al-Sanawi, 1968, Dar al-Taliʿa, Beirut 1968, n. d., pp. 127-30.
16
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., p. 220.
24
e propria organizzazione di liberazione svincolata dalla tutela araba. Nel giro di qualche
anno, l’OLP sarebbe stato riconosciuto da tutti i segmenti del popolo palestinese, dalla Lega
Araba e dalla comunità internazionale come il legittimo rappresentante dei palestinesi.
Tuttavia, al suo interno, le varie organizzazioni conservarono la propria autonomia politica e
militare. La scelta di Fatah di non liquidare con la forza le organizzazioni minori17 è
comprensibile alla luce di una serie di fattori: l'assenza di un'autorità centrale e di una base
territoriale; la frammentazione sociale e la dispersione geografica del popolo palestinese;
l'esigenza di non alienarsi il supporto di quei regimi arabi che erano legati ad alcune
organizzazioni o ne avevano addirittura create delle proprie18.
Secondo Oliver Carré, le due principali tendenze del pensiero politico arabo nel
Medio Oriente in seguito alla guerra del 1967 furono le teorie palestinesi sulla rivoluzione
araba e l'islamizzazione del socialismo arabo ereditato da Nasser. I testi delle organizzazioni
più radicali, il FPLP e il FDPLP, insieme a quelli più moderati degli intellettuali vicini a
Fatah e all'OLP, apportarono infatti nuova linfa ai movimenti ideologici del baʿthismo, del
nasserismo e del comunismo, scredidati dalla disfatta del 1967. Oltre che il risultato di una
rigorosa analisi del significato e delle ragioni della naksa, la radicalità del pensiero
palestinese di resistenza è anche una conseguenza del processo di deterritorializzazione
subito dai profughi (che formavano il grosso della leadership e dei quadri del MRP), sradicati
dai legami tradizionali con la patria, la famiglia, la società di provenienza e dispersi in varie
zone del mondo arabo. Questo spiega perché molti di loro furono più propensi ad abbracciare
le ideologie radicali che rimettevano in discussione lo status quo e fornivano allo stesso
tempo un immaginario collettivo con cui ricostruire un'identità palestinese militante, sempre
più identificata nell'icona del fida'i col kalashnikov, con cui riscattare l'umiliazione della
sconfitta e dell'esilio.
Le prime formulazioni del pensiero di resistenza si trovano nelle due principali
espressioni della militanza palestinese prima della naksa: Fatah e la sezione palestinese del
MNA. Fatah cercò dall'inizio di dare un’espressione autonoma alla coscienza nazionale
palestinese, garantendone la sopravvivenza e l'autonomia decisionale nel sistema politico
arabo; la sezione palestinese del MNA invece, ancorava il movimento di liberazione
17
Se da un lato la "democraticità" del processo decisionale e il pluralismo delle organizzazioni sarebbe stato un
vanto per l'OLP, dall'altro ne avrebbe di gran lunga rallentato i meccanismi decisionali nei decenni a venire.
18
Diversi leader di Fatah sostenevano la necessità di una "soluzione algerina", vale a dire l'unificazione forzata
sotto lo stesso comando militare e politico tramite la liquidazione delle organizzazioni minori.
25
palestinese a quello arabo, ritenendo che l’unità araba fosse la premessa per la liberazione19.
Yezid Sayigh ha affermato con efficacia che la divisione principale nel movimento era «tra
coloro che articolarono un semplice proto-nazionalismo palestinese e cercarono di situarlo
all’interno di strutture politiche statuali, e coloro che fusero il loro palestinismo
[Palestinianism] con un’identità araba e di classe più ampia e formularono i loro obiettivi
all’interno di un discorso di rivoluzione»20. Malgrado le divergenze di fondo, entrambe le
correnti di pensiero concordavano sul fatto che spettasse ai palestinesi l’iniziativa nella lotta
di liberazione.
Tra la fine della guerra del 1967 e l'espulsione dei fida'iyyin21 dalla Giordania nel
luglio 1971, le organizzazioni di resistenza cominciarono a strutturarsi, aumentarono
vertiginosamente il potenziale militare e cominciarono ad elaborare le linee fondamentali
della teoria e della pratica della lotta di liberazione. L’adozione del concetto di "guerra di
liberazione popolare" consentì al MRP di penetrare larghi strati della popolazione palestinese,
soprattutto quelli disagiati dei campi profughi, garantendosi il consenso e la legittimità
necessari per ergersi a portavoce della causa nazionale. In una comunità eterogenea e
dispersa, la lotta popolare armata fu il perno attorno al quale il MRP - tramite le istituzioni
dell’OLP - ravvivò l’identità nazionale palestinese, costruì le sue strutture organizzative e
fondò la sua legittimità politica, agendo come fattore di mobilitazione politica e come
formidabile collante sociale per la grande maggioranza dei palestinesi22.
Malgrado le differenze ideologiche, le organizzazioni del MRP convenivano su alcuni
temi di fondo: il controllo palestinese sul destino della causa nazionale, il ricorso alla lotta
armata come mezzo privilegiato di lotta, l'obiettivo strategico dello Stato democratico. Al di
là di questo minimo comun denominatore, il MRP non riuscì mai ad unificarsi attorno ad una
strategia condivisa. Le ragioni di questa frammentazione cronica sono diverse: il proliferare
di organizzazioni e gruppi, la mancanza di una base territoriale, la dipendenza da fonti
esterne, l'ingerenza degli Stati arabi, la rivalità tra i leader, le diversità ideologiche. Alcuni
studiosi hanno ricondotto la frammentazione organizzativa del MRP alle differenze socioculturali dei vari leader (da una parte, l’origine non palestinese o non musulmana dei leader
delle organizzazioni marxiste rifletterebbe la preferenza delle minoranze per i programmi
secolari, che depotenziano il settarismo; dall'altra, i leader di Fatah, musulmani sunniti di
19
Chaliand R., La Resistenza palestinese, cit., p. 86.
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., p. 217.
21
In arabo “colui che si sacrifica”.
22
Sayigh Y., The Armed Struggle and Palestinian Nationalism, in Sela A., Ma’oz M. (a cura di), The PLO and
Israel 1964-94, St. Martin’s Press, New York 1997, p. 33.
20
26
religione e arabi palestinesi di nascita, sarebbero più in sintonia con i sentimenti nazionalisti e
conservatori delle classi medio-basse e di origine rurale)23. Altri hanno posto l’enfasi sulla
dispersione geografica e sull’esilio, che avrebbero esposto i palestinesi al controllo di regimi
arabi rivali24.
Le divergenze emergevano quando bisognava affrontare la natura del futuro Stato (si
combatteva per la liberazione nazionale o per la rivoluzione sociale?), o contro chi si
combatteva (lo Stato di Israele o anche i regimi arabi reazionari?). Attorno a questi temi si
può rintracciare la spaccatura tra le organizzazioni strettamente nazionaliste e quelle
panarabiste, e la divergenza tra la vecchia generazione (chiamata appunto jil al-nakba,
generazione della catastrofe), più vicina a una visione nazionalista e conservatrice, e la nuova
generazione di giovani intellettuali, più attratta dalle ideologie radicali e rivoluzionarie25. Se
per Fatah era fondamentale ancorarsi in qualche misura al sistema politico arabo per
mantenere il controllo dell’OLP, il FPLP e il FDPLP ambivano piuttosto a rimettere in
discussione il modo di produzione e l’assetto statuale emerso in seguito alla spartizione del
Medio Oriente ad opera delle potenze occidentali. Il nazionalismo arabo di cui il FPLP e il
FDPLP si facevano portatori era associato, all'interno, a un'istanza di trasformazione
socialista rivoluzionaria e, all'esterno, al rigetto della presenza e dell'influenza occidentale
nella regione. In questo senso, nel periodo tra la guerra del 1967 e la guerra del 1973, queste
due organizzazioni possono essere considerate radicalmente antisistemiche nel mondo arabo.
La mancanza di un preciso orientamento ideologico consentì a Fatah di allargare la
base di reclutamento a vari strati sociali e di ricevere il sostegno di diversi regimi arabi:
questo spiega perché, alla vigilia del Settembre nero in Giordania, Fatah emergesse come il
gruppo guerrigliero più strutturato e con maggiori capacità finanziarie e militari. Secondo
Yasir Arafat, la forza di Fatah derivava proprio dal suo rifiuto di essere classificata come di
sinistra o di destra, occidentale o orientale, o di essere collegata a qualche paese arabo26. In
effetti, è fuorviante proporre classificazioni o azzardare delle generalizzazioni sul pensiero
politico del MRP o ricondurlo alle categorie occidentali tradizionali di destra e sinistra. Una
delle ragioni è la presenza, all’interno di una stessa organizzazione, di soggetti con tendenze
23
Quandt W. B., Jabber P., Lesch A.M. (a cura di), The Politics of Palestinian Nationalism, cit., pp. 89-90.
Sayigh Y., The Politics of Palestinian Exile, cit., p. 3.
25
Hudson M. C., Developments and Setbacks in the Palestinian Resistance Movement 1967-1971, «Journal of
Palestine Studies», Vol. 1, No. 3, Spring 1972, p. 80.
26
Lebanese Newspaper Interview with Palestine Liberation Organization Executive Committee Chairman
Arafat on the Palestinian Revolution in the Aftermath of the Arab Summit Conference at Rabat, January 14
1970, traduzione inglese dell’intervista apparsa in arabo su «al-Anwar», in «IDP 1970», Institute for Palestine
Studies, Beirut 1973, p. 750.
24
27
ideologiche anche piuttosto diverse tra loro, ma tenuti insieme dal comune sentimento
nazionalista e dall’aspirazione alla liberazione, vissuta come esigenza immediata a cui tutto il
resto poteva essere subordinato. Per questo, come nota Salah Khalaf, «non possiamo dire che
esista un’ideologia chiamata "ideologia del movimento di resistenza"; ci sono varie idee,
teorie, opinioni, dichiarazioni. Persino all’interno di una singola organizzazione si possono
rintracciare orientamenti diversi e opposti»27.
Malgrado esercitasse il controllo sulle istituzioni dell'OLP, Fatah dovette sempre fare
i conti con l’influenza sproporzionata che organizzazioni minori come il FPLP e il FDPLP
esercitavano sul movimento nazionale grazie all’attrazione suscitata dalla loro ideologia
radicale (che impiegava il vocabolario marxista e adottava le teorie del marxismoleninismo)28. Persino nei testi politici di Fatah, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni
settanta, emerge chiaramente l’egemonia esercitata sul MRP dall’ideologia marxista e
terzomondista. Il settimanale del FPLP «al-Hadaf», considerata tra le pubblicazioni più
sofisticate della sinistra nel mondo arabo, ha svolto un ruolo considerevole nell'influenzare il
pensiero politico di una parte significativa delle giovani generazioni arabe29. Come ha
affermato William Quandt: «the PFLP and the PDFLP may count less for their armed
strength than for the few well-argued and courageous ideas that they have managed to
introduce into the political arena»30.
La svolta marxista del FPLP può essere considerata l'effetto combinato del clima
politico mondiale (l'influenza del guevarismo e della rivoluzione culturale cinese) e delle
condizioni regionali arabe (la "svolta destrorsa" di Nasser in Nord Yemen dopo il 1964 e la
crisi dei "regimi piccolo borghesi" in seguito alla sconfitta del 1967)31. Nei mesi successivi al
giugno 1967, il FPLP intraprese un repentino cambiamento ideologico-organizzativo che
avrebbe dovuto trasformare le sezioni palestinesi del MNA in un partito marxista-leninista,
avanguardia del proletariato palestinese. Tuttavia, l'adozione del vocabolario marxista e delle
teorie marxiste-leniniste non intaccarono il cuore nazionalista arabo dell'organizzazione e la
supremazia accordata all'unità araba rispetto all'internazionalismo proletario, così come non
27
In Palestine Lives: Interviews with Leaders of the Resistance: Khalid Al-Hassan, Fateh, Abu Iyad, Fateh,
George Habash, PFLP, Nayef Hawatmeh, PDFLP, Sami Al-Attari, Sa’iqa, A. W. Sa’id, Arab Liberation Front,
Palestine Research Center, Beirut 1973, p.66.
28
Sull'adozione del marxismo da parte del FPLP si veda Kazziha W., Revolutionary Transformation in the Arab
World: Habash and His Comrades from Nationalism to Marxism, Charles Knight, London 1975.
29
Sharabi H., The Palestinian Guerrille, Their Credibility and Effectiveness, cit., p. 28.
30
Quandt W. B., Jabber P., Lesch A.M. (a cura di), The Politics of Palestinian Nationalism, cit., p. 100.
31
Revolutionary Transformation in the Arab World, by Walid Kazziha, Review by: Fred Halliday, Lynne
Barbee, «MERIP Reports», No. 53, Dec., 1976, p. 24.
28
riuscirono a trasformarla in un partito proletario (il cuore della leadership e dei quadri era
formato dalle classi medie e dagli intellettuali radicali). Il rigido controllo esercitato
sull'organizzazione dalla figura carismatica di George Habash, la dura disciplina interna, il
dogmatismo ideologico spiegano sia le frequenti scissioni che il FPLP ha subito fin dai primi
anni di attività (tra cui la formazione del FPLP-GC di Ahmad Jibril nel 1968 e del FDPLP nel
1969), sia la modesta presa che ha avuto nei settori più tradizionalisti della società
palestinese. In ogni caso, il FPLP diventò la seconda organizzazione più importante del MRP
(in termini politici e militari), e la sua dedizione incondizionata alla lotta armata e al rifiuto di
qualsiasi compromesso politico ne fece la principale alternativa politica a Fatah32.
Uno dei meriti del movimento di resistenza è stato l'aver introdotto all’interno del
contesto mediorientale la teoria e la prassi terzomondista della guerra di liberazione dal
colonialismo e dall'imperialismo. La causa palestinese assunse una dimensione simbolica
universale in quanto rappresentava la lotta di liberazione di un popolo del Terzo Mondo
contro l’ultima sopravvivenza di colonialismo occidentale e, allo stesso tempo, interpretava
l'aspirazione dei popoli dei Sud del mondo all’eguaglianza e all’indipendenza dall’egemonia
del Nord33. I testi politici di Fatah, del FPLP e del FDPLP sono pressoché privi di riferimenti
religiosi e si richiamano piuttosto alle esperienze di guerriglia in Algeria, Cina, Cuba e
Vietnam e al pensiero scientifico moderno come metodo privilegiato di analisi della realtà. I
trattati sulla guerriglia di Mao Tse-Tung, Giap, Che Guevara e Régis Debray furono tradotti
in arabo e circolavano in opuscoli e nella stampa delle organizzazioni di resistenza34.
All'interno della serie Studi ed esperienze rivoluzionarie, Fatah pubblicò opuscoli sulla
rivoluzione cinese, vietnamita e cubana, mentre nella letteratura del FPLP e del FDPLP non
mancano riferimenti ai testi di Lenin.
Ne risultò un’originale combinazione di ideologie occidentali, come il nazionalismo e
il marxismo, con la più profonda esigenza araba di emancipazione dalla dominazione
coloniale e dagli aspetti più negativi del sistema di produzione capitalista. Il tentativo di
tenere insieme, non senza contraddizioni, patriottismo palestinese e nazionalismo arabo, lotta
di liberazione nazionale e lotta di classe internazionale, rappresenta uno dei contributi più
originali del pensiero palestinese di resistenza all'elaborazione intellettuale araba
contemporanea.
32
AbuKhalil A., Internal Contradictions in the PFLP: Decision Making and Policy Orientation, «Middle East
Journal», Vol. 41, No. 3, Summer 1987, pp. 361-378.
33
Gresh A., Reflections on the Meaning of Palestine, «Journal of Palestine Studies», Vol. 41, No. 1, November
2011, p. 68.
34
Harkabi Y., Fedayeen Action and Arab Strategy, cit., p. 14.
29
Il concetto di thawra
Secondo Hisham Sharabi il termine thawra si inserisce all’interno dell’ondata rivoluzionaria
affermatasi nel mondo arabo in seguito alla seconda guerra mondiale. Questa corrente,
conosciuta anche come thawriyya, rivoluzionarismo, si è sviluppata sia in reazione alla
dominazione europea sia in seguito alle idee disseminate da movimenti e partiti politici negli
anni trenta e quaranta. Il cuore di questa tendenza risiede nella convinzione che la giustizia
sociale non può essere ottenuta senza cambiare radicalmente il sistema di proprietà e la
struttura di classe della società araba. La questione della giustizia sociale ed economica sono
condizioni necessarie per la liberazione dall’oppressione e dalla dominazione coloniale: in
questo senso il concetto di rivoluzionarismo ha senza dubbio un carattere militante e di
impulso alla mobilitazione sociale, e investe non soltanto il campo della politica, ma tutte le
dimensioni della vita sociale, economica, intellettuale Gli interpreti di questa tendenza
affermano che la vera indipendenza non si raggiunge con la fine del sistema di dominazione e
sfruttamento europei, ma deve completarsi con una serie di riforme economiche e sociali
radicali che permettano alle masse di essere integrate nell’ordine politico35. Nel mondo arabo,
tra la metà degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta, il progetto rivoluzionista si
concretizzò attorno a quattro "Stati rivoluzionari", Egitto, Algeria, Siria e Iraq, che
proponevano programmi di radicale riforma sociale e politica legittimati dalle ideologie del
nazionalismo arabo e del socialismo arabo36.
Sharabi fornisce una spiegazione dei lemmi chiave del pensiero politico arabo
contemporaneo, cercando di chiarire il significato letterale e le associazioni psicologiche che
possono avere in determinati contesti. In arabo, osserva lo storico palestinese, thawra è una
buona parola, carica di significati positivi, ha il senso di «intima liberazione e restaurazione
del rispetto di sé stessi»37, al di là del contesto politico in cui viene utilizzata. Le sue
implicazioni precise sono «rapido cambiamento politico, riforma economica, uguaglianza
sociale, potere - ma, in modo significativo, difficilmente il suo significato letterale di rivolta
popolare contro un governo tirannico»38. Con l’emergere del rivoluzionarismo il termine ha
cominciato ad assumere una connotazione più precisa, e cioè di cambiamento radicale non
solo a livello politico, ma anche economico e sociale. In questo senso ampio e senza ulteriori
35
Sharabi H., Nationalism and Revolution in the Arab World (The Middle East and North Africa: New
Perspectives in Political Science), Van Nostrand Reinhold Co., New York 1966, p. 82.
36
Ivi, p. 67.
37
Ivi, p. 101.
38
Ibidem.
30
qualificazioni, il termine thawra indica generalmente lo sforzo da parte degli stati
rivoluzionari verso la giustizia sociale e la vera indipendenza39.
Nel MRP, il termine thawra riveste un’importanza fondamentale e ricorre
insistentemente nel discorso politico delle organizzazioni di guerriglia. al-Thawra alfilastiniyya, la rivoluzione palestinese, è il modo in cui tutte le organizzazioni palestinesi si
riferiscono a loro stesse. Essa ha una precisa data di inizio, la notte tra il 31 dicembre 1964 e
l'1 gennaio 1965, quando il braccio armato di Fatah al-ʿAsifa lancia la prima operazione
militare contro Israele. Nell'immaginario collettivo palestinese questa data segna l’inizio di
un movimento palestinese indipendente, libero dalla tutela degli Stati arabi. In seguito, althawra avrebbe indicato il ricorso alla lotta armata popolare, al-kifah al-musallah al-shaʿbi,
da parte della resistenza palestinese, al-muqawama al-filastiniyya. Nel corso del presente
studio, laddove non ci siano ulteriori specificazioni, il termine "rivoluzione palestinese" è
utilizzato in questa accezione generica.
Legata al concetto di thawra è quello di fida'i, "colui che si sacrifica", il combattente
che impegna la sua vita nella lotta di liberazione. Nel lessico della resistenza palestinese, si il
combattente è indicato con il termine fida'i piuttosto che mujahid. Come nota Nels Johnson,
sebbene i due termini possano essere utilizzati anche come sinonimi, il primo ha una
connotazione nazionalista secolare ed è generalmente usato nel contesto semantico della
thawra, mentre il secondo appartiene alla sfera semantica del jihad e si presta maggiormente
ad un'interpretazione religiosa40. Per la corrente di maggioranza della resistenza incarnata da
Fatah, il termine thawra «assume sfumature che rimandano alla redenzione piuttosto che alla
teoretica politica. È il mezzo per la resurrezione, la restaurazione dei diritti nazionali e la
dignità»41. Secondo Johnson, l'ambiguità semantica e l'intercambiabilità di jihad e di thawra
hanno consentito l'utilizzo di questi termini a diversi attori sociali in diverse circostanze, in
quanto potevano essere letti sia come messaggi religiosi sia come messaggi nazionalisti
secolari42. Questo è vero soprattutto per Fatah, dove il tema religioso della jihad per la
redenzione della ard al-muqassada, la "terra santa", si intreccia con il tema nazionalista della
thawra per la liberazione del watan, la "patria".
Nei primi testi politici di Fatah ricorre il termine jihad, utilizzato sia nel senso
religioso di "guerra santa" sia nel senso secolare nazionalista di "lotta", come sinonimo di
39
Ivi, p. 102.
Johnson N., Islam and the Politics of Meaning in Palestinian Nationalism, Kegan Paul, Boston 1982, pp. 7980.
41
Ivi, p. 82.
42
Ivi, p. 76.
40
31
thawra. Johnson riporta l'esempio del primo comunicato di Fatah, del gennaio 1965, che
rivendica l'operazione eseguita da al-ʿAsifa. Oltre ad iniziare con la basmala, la formula
islamica "nel nome di Dio, il Clemente e il Misericordioso", nel comunicato si afferma che
«la nostra fede è nel dovere della guerra santa»43. Ancora, in una dichiarazione politica
dell'ottobre 1967 Fatah e la sua ala militare affermano di voler «contunuing and escalating
thier revolutionary holy war»44. In una dichiarazione all'ONU dell'ottobre 1968 Fatah
sostiene che fin dalla sua fondazione «it has continued to perform its duty of holy war and
self-sacrifice»45. In seguito alla disfatta del 1967 i riferimenti religiosi sono progressivamente
sostituiti da una terminologia prettamente laica e nazionalista, che pone l'enfasi sulla lotta
armata contro il colonialismo, l'imperialismo e Israele. Nel giudizio di Yezid Sayigh, per
Fatah il termine thawra significa ribellione verso uno stato di cose intollerabile ed era
collegato al «rifiuto delle circostanze materiali e psicologiche nelle quali i palestinesi si
trovavano dopo il 1948»46, e in questo senso il suo uso «era virtualmente identico a quello dei
nazionalisti urbani e dei mujahidin contadini durante la rivolta del 1936-39»47.
Nel caso del FPLP e del FDPLP, il termine thawra assume una connotazione
nazionalista secolare, eredità dell'ideologia panarabista, ma anche una prospettiva di
rivoluzione sociale, legata alla trasformazione in senso marxista intrapresa da queste
organizzazioni alla fine degli anni sessanta. Come nota Sayigh, queste organizzazioni
«lottarono per affermare la dimensione sociale contenuta nel termine "rivoluzione", e
condussero gran parte della disputa intellettuale con Fatah su questo punto»48. Questo emerge
chiaramente se si guarda ai modelli che le varie organizzazioni prendono a riferimento: il
nazionalismo anticoloniale dell'esperienza algerina nel caso di Fatah e la guerra di popolo
elaborata nelle esperienze cinese e vietnamita nel caso delle organizzazioni marxisteleniniste. Tuttavia, uno dei limiti del FPLP e del FDPLP e una delle differenze con i
movimenti di liberazione vietnamiti e cinesi consiste nell'assenza totale di riferimenti alla
letteratura popolare araba e agli eroi del passato, che sono soppiantati invece da riferimenti
43
Ivi, p. 83. Il testo intero del comunicato, tradotto in italiano, si trova in El-Rayyes R., Nahas D., Guerriglieri
per la Palestina, Episteme, Milano 1976, p. 25. Nel testo il tema religioso del "dovere della guerra santa" è
affiancato ai temi nazionalisti e secolari della lotta del popolo palestinese e degli arabi rivoluzionari per
riconquistare la patria perduta.
44
«al-Hurriyya», 2/10/1967, in «IDP 1967», Institute for Palestine Studies, Beirut 1970, p. 682.
45
In «IDP 1968», Institute for Palestine Studies, Beirut 1971, p. 452.
46
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., 196.
47
Ibidem.
48
Ibidem..
32
prettamente marxisti, percepiti come estranei alla tradizione e al sentimento popolare arabo49.
Secondo Abdullah Schleifer, questo spiegherebbe perché in alcuni frangenti le masse
palestinesi politicizzate abbiano adottato la posizione radicale dei gruppi della sinistra
radicale palestinese senza effettivamente passare dalla militanza in Fatah a quella nel FPLP o
nel FDPLP50.
In un'inchiesta pubblicata da «Le Monde Diplomatique» nel marzo del 1969 e basata
sull'esperienza diretta nei campi di addestramento dei guerriglieri palestinesi, il giornalista
francese Gérard Chaliand descrive le ideologie dei vari gruppi di resistenza. Chaliand
considera Fatah un gruppo prettamente nazionalista e fondamentalmente conservatore sul
piano ideologico; il FPLP è giudicato un gruppo nazionalista che sta procedendo verso il
marxismo-leninismo; il FDPLP è invece considerato l'unico gruppo veramente rivoluzionario
in quanto è il solo a non essere solamente nazionalista e ad aver adottato integralmente
l'ideologia del socialismo scientifico. L'inchiesta è interessante in quanto rivela la dura
formazione politica a cui erano sottoposti i guerriglieri del FDPLP, che si preparavano su Il
Manifesto di Marx-Engels, Stato e Rivoluzione e Che fare? di Lenin, Il lavoro salariato e
Socialismo utopistico e socialismo scientifico di Engels, Marxismo contro dittatura di Rosa
Luxemburg, Sulla guerra di lunga durata di Mao Tse-Tung, Guerra di popolo di Giap e
Guerra di guerriglia di Guevara51. Diversi studiosi concordano che il MRP «fu una rivolta
nazionalista, non una rivoluzione sociale. Il tema dominante è stato il recupero della terra e il
ristabilimento di una comunità tipicamente palestinese su di esso»52. E questo nonostante «gli
elementi radicali del movimento hanno cercato di impiantare un’ideologia che consenta di
superare il nazionalismo locale, parrocchiale o liberal-borghese»53.
In un saggio pubblicato nel 1972 sul «Journal of Palestine Studies» Samir Franjieh
afferma l'esperienza del MRP è molto più simile alla guerra partigiana sul modello algerino
rispetto alla guerra di popolo sul modello maoista, il cui fine è il cambiamento dell’ordine
sociale. Franjieh parte dal presupposto che un movimento è rivoluzionario e può sconfiggere
49
Ad esempio, il FDPLP chiamava le proprie operazioni militari "Che Guevara" o "Ho Chi Minh", alzava
bandiere rosse sui minareti delle moschee, chiamava il suo organo «Sharara», "scintilla", in riferimento
all'«Iskra» di Lenin; i riferimenti negli opuscoli del FPLP erano all'esperienza cubana, alla lotta bolivariana,
Jose Marti, il "Che", Mao Tse-Tung.
50
Schleifer A., Roots of the Resistance, «Journal of Palestine Studies», Vol. 2, No. 2, Winter 1973, pp. 127-131.
Un simile giudizio si riscontra anche in
51
Report pubblcato da «Le Monde Diplomatique», March 1969. Poi pubblicato in Chaliand G., La resistance
palestinienne, cit; trad. it. La resistenza palestinese, Jaca Book, Milano 1970, p. 109.
52
Hudson M. C., Developments and Setbacks in the Palestinian Resistance Movement 1967-1971, cit., p. 76. Il
giudizio è condiviso anche da Yezid Sayigh in Armed Struggle and the Search of State, cit., p. 282.
53
Ibidem.
33
l'imperialismo nella misura in cui la sua leadership e i suoi quadri sono formati da proletari,
come nel caso cinese e vietnamita. La forza principale della resistenza palestinese è costituita
dai rifugiati dei campi profughi che, sebbene siano stati paragonati dagli intellettuali
palestinesi a una sorta di proletariato, in realtà costituiscono un gruppo economico marginale
il cui obiettivo principale è il ritorno e non la trasformazione delle relazioni sociali nel mondo
arabo. Un secondo gruppo è costituito dagli intellettuali radicalizzati che hanno spesso
adottato un'ideologia marxista-leninista, ma non sono riusciti a trascendere i limiti della
propria condizione piccolo-borghese e perciò non hanno legato con le masse e non hanno
portato a fondo la critica ai regimi arabi. I contadini della Cisgiordania, dal canto loro, hanno
mantenuto un atteggiamento passivo nei confronti della resistenza, spiegabile col fatto che
quest'ultima basava la mobilitazione sull'idea del ritorno, poco allettante per i palestinesi che
non erano stati sradicati. La classe media borghese palestinese può essere divisa tra quella
parte che era stata privata dei propri averi e assicurava un appoggio parziale alla resistenza, e
quella parte che aveva stabilito solidi interessi con la monarchia hashemita. Un altro gruppo è
costituito dalle masse arabe proletarizzate che forniscono mano d'opera a basso costo in
Israele e che, sebbene potenzialmente rivoluzionarie, sono rimaste isolate dal movimento
nazionale. Di conseguenza, dal momento che il grosso del MRP è formato dai rifugiati
affiliati con Fatah e dagli intellettuali radicali affiliati con il FPLP e il FDPLP, e non dalle
masse proletarie sotto la guida di un partito rivoluzionario, non siamo in presenza di un
movimento rivoluzionario nel senso marxista del termine54.
Più che discutere se e in che misura il MRP sia stato rivoluzionario, in questa sede
interessa
piuttosto comprendere
l'interpretazione
di rivoluzione data
dalle
varie
organizzazioni. Se per Fatah al-thawra simboleggia l'inizio della lotta armata portata avanti
da un movimento nazionale palestinese, ed è rivoluzionaria nella misura in cui combatte
contro Israele e le forze imperialiste ad essa alleate per la creazione di un'entità politica
palestinese, per le organizzazioni di ispirazione marxista-leninista porta anche il significato di
lotta sociale contro le classi arabe reazionarie e di trasformazione politica del mondo arabo in
senso unitario. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta, piuttosto che con al-thawra o
al-muqawama, la lotta palestinese è espressa con il concetto di intifada, che vuol dire
"scrollarsi di dosso", simbolo della fusione armoniosa tra l'aspirazione al ritorno espressa dei
palestinese della diaspora e il desiderio dei palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza di
54
Franjieh S., How Revolutionary is the Palestinian Resistance? A Marxist Interpretation, «Journal of Palestine
Studies», Vol. 1, No. 2, Winter 1972, pp. 52-60.
34
liberarsi del fardello dell'occupazione militare israeliana55. Parallelamente, con l'ingresso dei
movimenti islamisti nella lotta di liberazione, ricompare anche il termine jihad, che è inteso
sia come sforzo della comunità dei credenti verso il cambiamento in senso islamico del
mondo arabo sia come lotta contro il sionismo per la liberazione della terra santa56.
Nazionalismo palestinese o nazionalismo arabo?
Il MRP si trovò ad affrontare una questione chiave nel pensiero arabo contemporaneo: la
relazione tra la l'aspirazione all'unità dei popoli arabi (ʿuruba, wahda ʿarabiyya), espressa
dall'ideologia del nazionalismo arabo (al-qawmiyya al-ʿarabiyya), e la dimensione locale
degli stati definiti dalle frontiere (qutriyya)57. La fedeltà alla nazione araba fu anche distinta
anche dal sentimento patriottico (wataniyya) e di appartenenza legato a una specifica patria
(al-watan al-khas). Secondo l'ideologia panarabista, la realtà nazionale dei popoli arabi si
esprime attraverso una piramide in cima alla quale si trova la fedeltà alla nazione araba, un
gradino più in basso ci sono le fedeltà agli Stati arabi sorti in seguito allo smembramento
dell'Impero ottomano, e infine si trovano le fedeltà provinciali e particolaristiche. Per i
sostenitori dell’ortodossia panarabista i movimenti che propugnano un nazionalismo
d'impronta statale contribuiscono alla divisione artificiale della nazione araba e per questa
ragione le forme "deteriori" di nazionalismo sono chiamate qutriyya58, iqlimiyya, che rimanda
a un'affiliazione regionale o provinciale, o shuʿubiyya, nel caso di stretta fedeltà sciovinista59.
La visione politica palestinese tra il 1948 e il 1967 era stata formulata all'interno di
due concetti fondamentali di nazionalismo arabo, al-qawmiyya al-ʿarabiyya, e di patriottismo
o nazionalismo palestinese, al-wataniyya al-filastiniyya60. Hussein J. Agha indaga la
relazione tra nazionalismo arabo e nazionalismo palestinese distinguendo quattro categorie di
pensiero. Per i "nazionalisti palestinesi conservatori", il fine della lotta è la liberazione della
55
Schulz H. L., The Reconstruction of Palestinian Nationalism: Between Revolution and Statehood,
Manchester, Manchester University Press, 1999, p. 65.
56
Si veda: Litvak M., The Islamization of the Palestinian-Israeli Conflict: The Case of Hamas, «Middle Eastern
Studies», Vol. 34, No. 1, January 1998, pp. 148-163.
57
Amin S., Il mondo arabo nella storia e oggi, cit., p. 143.
58
Il termine qutriyya si differenzia da wataniyya in quanto quest’ultimo rimanda al legame affettivo con la
patria ed è meglio traducibile con patriottismo.
59
Haim Sylvia G., Arab Nationalism: an Anthology, University of California Press, Berkeley 1962, pp. 39-40,
citato in Gershoni I., Rethinking the Formation of Arab Nationalism in the Middle East, 1920-1945. Old and
New Narratives, in Gershoni I. and Jankowski J. (a cura di), Rethinking Nationalism in the Arab Middle East,
Columbia University Press, New York 1997, p. 23. Si veda anche Lucas R., Furia P., Identity and Arab Public
Opinion on Foreign Relations, paper presented at the annual meeting of the The Midwest Political Science
Association, Palmer House Hilton, Chicago, Illinois, April 20, 2006.
60
Nel presente studio al-wataniyya al-filastiniyya si tradurrà con nazionalismo palestinese piuttosto che con
patriottismo palestinese.
35
Palestina a beneficio dei palestinesi; gli interessi degli arabi non-palestinesi giocano un ruolo
secondario; non c’è nessuna contraddizione tra i regimi arabi e la lotta di liberazione
palestinese; non c’è bisogno di nessuna ideologia particolare in quanto è sufficiente la
giustezza della causa nazionale; il futuro della comunità ebraica in Palestina, così come il tipo
di società da edificare, non sono di immediata preoccupazione per i palestinesi. Alla seconda
categoria appartengono i "nazionalisti palestinesi progressisti", secondo i quali la liberazione
della Palestina comporta l’eliminazione degli elementi reazionari dalla resistenza; solo i
regimi
arabi
progressisti
aiuteranno
la
resistenza;
la
considerazione
del
ruolo
dell’imperialismo nella regione e l’adozione di un’ideologia sociale progressista sono
fondamentali; lo Stato democratico è l’obiettivo finale della lotta e rappresenta la giusta
soluzione al problema nazionale palestinese e a quello ebraico in Palestina. Per i "nazionalisti
arabi conservatori" la liberazione della Palestina è solo un passo verso il raggiungimento
dell’unità della nazione araba; la questione palestinese è un problema arabo che va risolto in
termini arabi; tutti i regimi arabi sono coinvolti a vari livelli nella liberazione; ogni interesse
regionale, di classe o di altro tipo va respinto; il nazionalismo arabo è l’ideologia e la nazione
araba unificata l’obiettivo. Infine, per i "nazionalisti arabi progressisti" la liberazione della
Palestina non può avvenire in isolamento dal contesto sociale e politico arabo; è essenziale
l’adozione di un’ideologa progressista che consideri il cambiamento progressista nell’intera
area; il movimento di liberazione palestinese è l’avanguardia del cambiamento nel mondo
arabo verso la liberazione dal colonialismo e dall’arretratezza e l’instaurazione di nuovo
ordine sociale; i regimi arabi reazionari sono quindi da considerare degli ostacoli; lo Stato
democratico palestinese è il modello da estendere al resto della nazione araba61.
Il passaggio dall'adesione a un nazionalismo panarabista di stampo baʿthista o
nasseriano a un nazionalismo specificamente palestinese è evidente se si mette a confronto la
Carta nazionale palestinese del 1964 e quella emendata del 1968. I due testi riflettono la
competizione ideologica tra la leadership tradizionale, legata al sistema politico arabo
ufficiale, e la nuova generazione dei fida'iyyin, che si ispirava invece ai movimenti di
liberazione del Terzo Mondo. Fino alla disfatta araba nella guerra del 1967 il nazionalismo
palestinese non era altro che un'articolazione del panarabismo dominante all'epoca. La Carta
61
Agha H. J., What State for the Palestinians?, «Journal of Palestine Studies», Vol. 6, No. 1, Autumn 1976, pp.
30-31.
36
adottata nel 1964, al momento della fondazione dell'OLP, è impregnata di panarabismo62.
Questo traspare dal nome stesso, al-mithaq al-qawmi al-filastini, dove l'aggettivo qawmi si
riferisce all'ideologia panarabista, e in particolare dal primo articolo: "Palestine is an Arab
homeland [watan] that is connected by strong Arab national [qawmi] bonds to all the Arab
states [aqtar] which form together with her the big Arab homeland [al-watani al-ʿarabi alkabir]". È interessante osservare che la Palestina non è considerata uno Stato [qatar], bensì
una "patria" [watan] connessa alla nazione araba [al-qawmi al-ʿarabi]. All'interno della
prospettiva panarabista, i palestinesi sono "cittadini arabi" [al-muwatinun al-ʿarab] e la
liberazione della Palestina è considerata un "sacro dovere nazionale" [al-hadaf al-qawmi almuqaddas]63. L'art. 10 recita: «The Palestinians will have three mottoes: national [wataniyya]
unity, national [qawmiyya] mobilization, and liberation»64.
Nel 1968 la Carta subisce alcune modifiche che riflettono l'emergere di un
nazionalismo palestinese a base territoriale e allo stesso tempo l'affermarsi delle
organizzazioni di guerriglia, in particolare Fatah, all'interno dell'OLP. La Carta diventa almithaq al-watani al-filastini, e l'articolo 1 recita: "Palestine is the homeland [watan] of the
Arab Palestinian people [al-shaʿb al-ʿarabi al-filastini]", dando maggior peso all'identità
nazionale palestinese rispetto a quella araba65. Nella Carta del 1968, malgrado molte
espressioni del nazionalismo arabo rimangano inalterate, il nome watan e l'aggettivo
wataniyya appaiono con più frequenza rispetto alla stesura del 1964, e questo sta ad indicare
che con la disfatta del 1967 il "sogno" panarabista perde definitivamente di credibilità agli
occhi dei palestinesi66.
Con l'affermarsi di Fatah all'interno delle istituzioni dell'OLP, nel quarto Consiglio
nazionale del luglio 1968 e nel quinto Consiglio nazionale nel febbraio 1969, la tensione tra il
nazionalismo arabo e il nazionalismo palestinese fu progressivamente risolta in favore di
quest'ultimo. Sebbene inizialmente l'OLP di Fatah avesse adottato la retorica della
complementarità tra unità araba e liberazione della Palestina, a partire dalla fine degli anni
sessanta l’indipendenza nazionale palestinese diventò l’obiettivo prioritario del movimento di
liberazione e la precondizione per l'unità araba. Per usare le categorie proposte da Agha, i
62
Holtmann P., The PLO's Charters of 1964 and 1968 and the Hamas Charter of 1988: a Comparative Study,
Scholarly Essay, 2005 p. 3. Disponibile all'indirizzo: http://www.grin.com/en/e-book/126346/the-plo-chartersof-1964-and-1968-and-the-hamas-charter-of-1988#inside .
63
Ivi, pp. 10-11.
64
In Kadi L. S. (ed.), Basic Political Documents of the Armed Palestinian Resistance Movement, Palestine
Liberation Organization Research Centre, Beirut, December 1969, pp. 137-141.
65
Holtmann P., art. cit., pp. 12.
66
Ivi, p. 13.
37
"nazionalisti palestinesi progressisti" e "conservatori" avevano la meglio sui "nazionalisti
arabi progressisti" e "conservatori". Tuttavia, uno degli aspetti più originali della rivoluzione
palestinese consiste proprio nell'aver tenuto insieme allo stesso tempo il patriottismo
palestinese e il nazionalismo arabo, inserendo chiaramente la lotta palestinese in una
dimensione araba. Se da un lato il fuoco geografico è la Palestina e i palestinesi giocano il
ruolo di avanguardia nella lotta di liberazione, dall'altro spetta alla nazione araba nel suo
insieme prepararsi a una guerra popolare generalizzata che porterà prima alla liberazione
della Palestina e poi all'unità araba67.
La lotta popolare armata "unica via"
Senza dubbio, l’adozione della lotta armata popolare come solo metodo di lotta fu il fattore
che unificò maggiormente le organizzazioni del MRP. Nel pensiero di resistenza il popolo
palestinese è il protagonista e l’avanguardia della guerra popolare di lungo periodo che
avrebbe progressivamente coinvolto le masse arabe. Questo rappresenta una radicale rottura
rispetto al pensiero delle elite palestinesi e dei regimi arabi nazional-populisti prima del 1967,
i quali, al di là dei toni accesi della loro retorica, erano molto più propensi nei fatti alla
soluzione diplomatica e al compromesso. Inoltre, per un popolo che aveva subito più di ogni
altro le conseguenze della sconfitta, perdendo la terra e le proprietà, e che viveva in uno stato
di privazione e di umiliazione nei campi profughi, la lotta armata e la violenza rivoluzionaria
servirono per riscattare la dignità perduta, in particolare per la nuova generazione che aveva
imbracciato le armi, la generazione della resistenza, jil al-muqawama.
Col senno di poi, sostiene Sayigh, la lotta armata è stata parte integrante del processo
di costruzione nazionale palestinese: ha rafforzato l'identità nazionale, ha definito obiettivi
comuni, ha reso possibile la mobilitazione di risorse umane e materiali e ha fornito il contesto
di riferimento per la politica interna e per l'emergere di nuovi leader e strutture organizzative.
La lotta armata serviva prima di tutto al raggiungimento di obiettivi politici, e questo spiega
perché i palestinesi continuarono a sottolineare la necessità della lotta armata con tanta
veemenza e per così tanto tempo, nonostante le insoddisfacenti prestazioni militari68.
L'importanza della lotta armata nel MRP e nel pensiero di resistenza si evince anche
dalle numerose formule utilizzare per descriverla: "guerra di liberazione nazionale",
67
ʿAllush N., al-Thawra al-filastiniyya: atfaduha wa qadayaha [La rivoluzione palestinese: le sue dimensioni e
questioni], Dar al-Taliʿa, Beirut 1970.
68
Sayigh Y., The Armed Struggle and Palestinian Nationalism, cit., p. 33.
38
"rivoluzione" o "resistenza armata", "rivoluzione" o "resistenza palestinese", "guerra
rivoluzionaria di popolo", "guerra di guerriglia", "guerra dei fida'iyyin", "guerra popolare di
lungo periodo", e così via69. Dalla famigerata battaglia di Karama nel marzo del 1968, quando
i guerriglieri di Fatah assursero a simbolo del riscatto arabo dalle umiliazioni subite nel
passato, l’adozione della "violenza rivoluzionaria" diventò il minimo comune denominatore
attorno al quale riconoscere i gruppi veramente rivoluzionari del MRP. Questa convergenza è
espressa anche nell'articolo 9 della Carta nazionale del luglio 1968, emendata per rispondere
alla crescita dell'influenza delle organizzazioni di guerriglia in seno all'OLP: «Armed struggle
is the only way to liberate Palestine. Thus it is the overall strategy, not merely a tactical
phase»70.
La violenza rivoluzionaria è una sorta di imperativo categorico che ricorre spesso
nella letteratura del MRP. La contraddizione tra il colonizzatore e il colonizzato è tale da
impedire qualsiasi forma di accordo politico: l'esistenza del primo è incompatibile con quella
del secondo, lo scontro risulterà nell'eliminazione di uno o dell'altro. Il concetto di violenza
rivoluzionaria è inteso da Fatah nella concezione fanoniana di forza liberatrice e creativa, e
inserito alla luce della dicotomia oppresso/oppressore, tipica dei contesti coloniali.
L'influenza del pensiero di Fanon è più che chiara in molti scritti di Fatah, che ripoducono
alla lettera passi da I dannati della terra, e che esaltano la funzione psicologica liberatoria e
l'effetto unificante a livello sociale della violenza rivoluzionaria71. In La liberazione dei
territori occupati, un testo utilizzato per la formazione nei campi di addestramento, si legge
che «è estremamente difficile che l’imperialismo abbandoni i paesi colonizzati a seguito della
semplice pressione politica delle masse: esso è penetrato con la violenza e la conquista e non
potrà essere abbattuto se non con la violenza»72.
Nel caso palestinese di vera e propria
«sostituzione di un popolo straniero a quello originario»73, l'imperialismo mette «profonde
radici»74 nel tessuto sociale e nella struttura psicologica del paese colonizzato, che
permangono oltre la fine dell'occupazione militare. Secondo uno schema tipicamente
fanoniano, Fatah si richiama alla “violenza liberatrice”, sia come mezzo di liberazione
69
Harkabi Y., Fedayeen Action and Arab Strategy, cit. p. 8.
The Palestine National Charter as revised by the Fourth PNC meeting, July 1968, in Kadi L. S., Basic
Political Documents of the Armed Palestinian Resistance Movement, cit., pp. 137–142.
71
Fanon F., The Wretched of the Earth, Grove Press, New York 1963; trad. it. I dannati della terra, Einaudi,
Torino 1962.
72
La liberazione dei territori occupati, in «Studi ed esperienze rivoluzionarie», n. 8, 1968, in «Rivoluzione
palestinese», quindicinale del Comitato di solidarietà con il popolo di Palestina, numeri 2-3, Roma, 1 maggio
1969, p. 9.
73
Ibidem.
74
Ibidem.
70
39
psicologica dalla condizione di umiliazione e oppressione del colonizzato, sia come
strumento antropologico di emancipazione e creazione di una coscienza soggettiva collettiva:
La violenza di Al Fatah è una violenza liberatrice, che si oppone a quella degli
oppressori. Il Movimento è cosciente che il sionismo altro non è che folle violenza e
può quindi essere abbattuto solo con una violenza ancora più forte. Per queste
ragioni Al Fatah ha scelto la lotta armata come necessità inevitabile: la guerriglia
nella prima fase, lo scontro parziale nella seconda e, infine, quello frontale, la
rivoluzione fino alla completa vittoria75.
In quest'ottica la violenza non è una scelta politica, ma diventa appunto una "necessità
inevitabile". La violenza armata deve rivolgersi non solamente alle forze di occupazione
militare, bensì anche alle istituzioni politiche ed economiche. Non si tratta solamente di
eliminare una «base imperialista»76, ma «sradicare»77 l’intera «struttura sionista della
società»78, e questo non può essere fatto tramite un compromesso o una soluzione politica.
In generale, Fatah, il FPLP e il FDPLP hanno accettato il discorso teorico sulla
violenza di Fanon, nel senso che i palestinesi si ribellano per eliminare una forma oppressiva
di identità nativista che è stata violentemente imposta su di loro dal sionismo europeo, nella
stessa misura in cui altre forme di colonialismo europeo sono state imposte agli indigeni
africani79. Tuttavia, per il FPLP e il FDPLP, la violenza è intesa anche nella prospettiva
marxista di acceleratore delle contraddizioni interne a una società ingiusta di
sfruttati/sfruttatori e leva per il suo rovesciamento: da un lato bisognava liberare gli arabi - e
gli ebrei stessi - dal sionismo e, dall’altro, liberare la società araba dalla forze tradizionaliste e
reazionarie in un progetto di trasformazione socialista del Medio Oriente.
L’introduzione della teoria della violenza rivoluzionaria e della pratica della guerra
popolare fu in gran parte favorita dal clima terzomondista che si respirava alla fine degli anni
sessanta. Le esperienze della lotta di liberazione in Algeria e in Vietnam rappresentano agli
occhi dei dirigenti del MRP la dimostrazione dell’invincibilità del popolo in armi,
organizzato socialmente, economicamente e politicamente per una guerra popolare di lungo
periodo, nonostante i costi spaventosi che avrebbe comportato a livello umano affrontare una
potenza militarmente e tecnologicamente superiore. Inserire la lotta palestinese nel quadro
delle lotte di liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo permette al MRP di acquisire
75
Strategia e tattica di Al Fatah, in Pancera C. (a cura di), op. cit., pp. 187-188.
La liberazione dei territori occupati, cit., p. 11.
77
Ibidem.
78
Ibidem.
79
Nakleh E. A., The Anatomy of Violence: Theoretical Reflections on Palestinian Resistance, «Middle East
Journal», Number 25, Spring 1971, p. 189.
76
40
prestigio politico e di mobilitare la solidarietà dei movimenti terzomondisti e dei circoli
progressisti e di estrema sinistra occidentali.
Come osserva lo studioso Anwar Abdel Malek, la decisione di intraprendere la guerra
popolare armata fu una scelta politica dettata da improrogabili esigenze storiche, frutto di
un'analisi scientifica rigorosa del processo di rinascita nazionale80. La lotta popolare armata
doveva soddisfare due esigenze politiche immediate: garantire la sopravvivenza nazionale del
popolo palestinese e sabotare tutti gli accordi politici lesivi dei diritti palestinesi al ritorno e
all’autodeterminazione su tutto il suolo patrio. Inoltre, la scelta della lotta armata deriva da
una precisa valutazione della natura del nemico, Israele, considerato una presenza aliena nel
mondo arabo, strutturalmente irriformabile e moralmente inaccettabile. Infine, il fallimento
delle precedenti esperienze degli scontri tra eserciti convenzionali in campo aperto e la
superiorità tecnologica del nemico, non potevano che portare all’adozione della tattica della
guerriglia armata, nella speranza che assumesse, col tempo, i caratteri di guerra di popolo,
l'unico modo per fronteggiare un nemico sproporzionatamente più forte, proprio come in
Vietnam.
Anche in questo caso, oltre al consenso sul principio generale della lotta armata, i vari
gruppi di guerriglia differiscono ampiamente sugli obiettivi della guerra di liberazione. Per
Fatah trarre ispirazione dalle guerre di liberazione terzomondiste non significa
necessariamente condividerne gli obiettivi di radicale riforma sociale. Per il FPLP e il
FDPLP, che attribuiscono molta importanza alla politicizzazione delle masse, la liberazione
nazionale è organicamente legata alla liberazione di tutto il mondo arabo e alla
trasformazione radicale della società in senso socialista. Per Fatah la lotta per la Palestina è
una faccenda palestinese e l’obiettivo militare si limita a Israele, mentre le organizzazioni
marxiste-leniniste sono impegnate a colpire il nemico e i suoi alleati - l’imperialismo e la
reazione araba - ovunque si trovino, ragion per cui molte operazioni militari sono condotte
oltre i confini della Palestina storica. In quest’ottica si spiega la volontà di Fatah di restaure il
più possibile neutrale nelle dispute interne ai Paesi arabi, mentre il FPLP e il FDPLP sono
stati determinanti nel far precipitare gli eventi in Giordania, invocando apertamente il
rovesciamento della monarchia con slogan come "tutto il potere alla resistenza", e nel
radicalizzare la lotta in Libano schierandosi a fianco della sinistra libanese negli anni della
guerra civile.
80
Abdel-Malek A., op. cit., p. XLI.
41
L'analisi scientifica del passato
I testi politici del MRP si aprono con un’ampia premessa sull’importanza dell’analisi
scientifica della realtà, considerata uno dei caratteri della "modernità", al fine di impostare in
maniera razionale e programmatica la lotta di liberazione. L’oggetto di studio è la storia
passata del movimento nazionale palestinese alla luce delle sconfitte subite ad opera
dell’imperialismo, del movimento sionista e dei suoi alleati arabi; il fine è la corretta
impostazione della strategia di liberazione e delle priorità del movimento nazionale in
ciascuna fase della lotta. L'analisi scientifica della realtà risponde a due funzioni
fondamentali: da un lato, la formulazione di una narrativa chiara e coerente permette alle
organizzazioni di guerriglia di giustificare la propria esistenza, presentandosi come le uniche
in grado di rimpiazzare la "vecchia guardia" dell’OLP; dall’altro, la correttezza dell’analisi
garantisce il successo nell’azione e conferisce il diritto di rivendicare la leadership della
resistenza.
Ad esempio, nel dicembre del 1967, nel comunicato ufficiale con il quale Fatah rigetta
la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU no. 242, si legge: «after the setback of 5
June, how necessary it is for us to come to grips with events in a spirit of scientific
objectivity, with far-reaching and lucid frankness»81. Le cause della disfatta palestinese
risiedono nell’esitazione della leadership ad intraprendere la lotta armata con la
partecipazione delle masse popolari e nell'assenza di un movimento palestinese autonomo.
Ecco quindi giustificata la presenza di Fatah come avanguardia della lotta armata ed
espressione di un movimento di liberazione palestinese sgamnciato dalla tutela dei regimi
arabi.
Per il FPLP e il FDPLP lo strumento privilegiato di analisi scientifica della realtà è
rappresentato dall'ideologia del "socialismo scientifico" e in particolare del "marxismoleninismo". L'importanza dell'analisi scientifica per la corretta impostazione della lotta di
liberazione ricorre abbondantemente in A Strategy for the Liberation of Palestine82, il
documento programmatico del febbraio 1969 preparato in occasione del secondo congresso.
Il primo capitolo del documento sottolinea l'importanza della "mentalità scientifica
rivoluzionaria" nell'analizzare le leggi dell'evoluzione storica e nel formulare una chiara
prospettiva del campo del nemico e delle forze della rivoluzione:
81
Statement of Policy Issued by the ‘Fateh’ Movement Declaring its Rejection of the Security Council
Resolution of 22 November, in «IDP 1967», cit. p. 721.
82
A Strategy for the Liberation of Palestine, Popular Front for the Liberation of Palestine, Information
Department, Amman 1969.
42
A clear perspective of things and of the real forces taking part in the struggle leads
to success, while impetuosity and spontaneity lead to failure. This shows clearly the
importance of scientific political thought which guides the revolution and plans its
strategy83.
Solamente il pensiero scientifico rivoluzionario è in grado di spiegare alle masse le ragioni
dei fallimenti del passato, quali sono le forze della rivoluzione e quali quelle che le si
oppongono, come mobilizzare e unificare le forze rivoluzionarie attorno ad una strategia
politica chiara. D’altro canto, i successi dei movimenti di liberazione e delle rivoluzioni
socialiste sono la prova tangibile che l’acquisizione del pensiero scientifico di derivazione
marxista-leninista conduce alla vittoria: «The October Revolution, the revolutions in China,
Cuba, and Vietnam and all revolutionary experiences throughout the world have arisen
originally on the strength of this theory»84.
Nella visione del FPLP il pensiero rivoluzionario è considerato l'arma più efficace
nelle mani delle masse. Nella piattaforma politica del dicembre 1969 si spiega che in
mancanza di una teoria rivoluzionaria il movimento di liberazione sarebbe portato dalla
borghesia araba al perseguimento di limitati obiettivi nazionali, come nel caso di una
"soluzione pacifica", il cui scopo sarebbe di servire gli interessi della borghesia araba che
assumerebbe il ruolo di «mediatore tra il mercato imperialista e il mercato interno»85. Un
chiaro esempio, si legge nel documento,
A clear illustration of this is the material help that Saudi Arabia offers Fatah while
Fatah declares that she will not interfere in the internal affairs of any Arab
countries. Since most of the guerrilla movements have no ideological weapons, the
Arab bourgeoisie can decide their fate. Therefore, the struggle of the Palestinian
people must be supported by the workers and peasants, who will fight against any
form of domination by imperialism, Zionism or the Arab bourgeoisie86.
La Piattaforma di agosto analizza le lezioni da trarre in seguito alla sconfitta del
giugno 1967. Il documento, presentato e fatto approvare al primo congresso del FPLP dalla
minoranza di sinistra (formata dai futuri dirigenti del FDPLP Nayif Hawatma, Salih Ra'fat,
Yasir Abd-Rabbo, Qays al-Samarra'i, Hasan Ju'ba, Muammad Katmattu), è il primo ad
83
Ivi, Capitolo I.
Ibidem.
85
Platform of the Popular Front for the Liberation of Palestine, December 21, 1969. Disponibile all'indirizzo
http://pflp.ps/english/1969/12/platform-of-the-popular-front-for-the-liberation-of-palestine-1969 (consultato il
17 agosto 2010).
86
Ibidem.
84
43
applicare l'ideologia del socialismo scientifico allo studio del movimento nazionale
palestinese87. Nel documento si legge che
The experiences of the national liberation movements in our countries (Palestine
and the Arab world and in the underdeveloped countries prove that the road to
national salvation and liberation starts with the necessity of arming oneself with
"Revolutionary tools" capable of defeating the military and technically superior
imperialist countries: revolutionary anti-imperialist, anti-Zionist ideology - a
scientific ideology (the ideology of the proletariat)88.
L’adozione del socialismo scientifico nell’analisi politica, l’introduzione della
prospettiva di classe nella definizione delle forze della rivoluzione e la necessità di fondere il
movimento di liberazione palestinese col più ampio movimento di liberazione arabo
costituiscono i tratti originali dell’analisi delle organizzazioni palestinesi di ispirazione
marxista-leninista e rappresentano un contributo teorico notevole alla storia del pensiero
politico del MRP e del mondo arabo in generale.
Le ragioni della disfatta
L'analisi scientifica del passato permette di rintracciare le ragioni delle sconfitte che subite
dal movimento nazionale arabo e palestinese dall'inizio dell'invasione sionista ad oggi. Se per
Fatah la ragione principale risiede nella subordinazione della causa palestinese agli interessi
dei regimi arabi e nell'assenza di autonomia decisionale palestinese, per il FPLP e il FDPLP
le sconfitte sono da attribuire alla natura delle classi che hanno formato la leadership del
movimento nazionale (feudale, borghese, piccolo-borghese).
Fatah
87
La Piattaforma di agosto può essere considerato il documento fondativo del FDPLP (al-Jabha al-Shaʿbiyya
al-Dimuqratiyya li-Tahrir Filastin). Presentato dalla fazione minoritaria "di sinistra" – un gruppo di intellettuali
riuniti intorno alla rivista «al-Hurriya», pubblicata a Beirut – venne adottato mentre George Habash, leader del
FPLP, era tenuto prigioniero in Siria. Il documento accusa i regimi piccolo borghesi (e quindi anche l’Egitto di
Nasser) di aver causato la disfatta del 1967, e contiene un approccio interventista negli affari interni dei regimi
arabi, aspetti difficili da digerire per la maggior parte dei membri e delle fazioni che componevano l'appena nato
FPLP (indicativo è il caso di Ahmad Jibril, che si staccò dal FPLP e fondò il FPLP-GC). Il tentativo della
leadership "di destra" di riprendere il controllo del FPLP determinò la scissione del gruppo "di sinistra",
sostenitore di una trasizione accelerata al marxismo-leninismo. Si veda: Sayigh Y., Armed Struggle and the
Search for State, cit., pp. 227-232.
88
August Platform, in Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine, Committees for Solidarity with
the Palestinian Revolution, Manchester 1969, p. 12.
44
Fatah89 presenta una visione del passato in chiave nazionalista. La storia è di tutto il popolo
palestinese senza distinzioni di classe, di religione o di appartenenza ideologica, che
fronteggia un nemico esterno:
The Palestine problem is the result of the forcible dispossession of the Palestinian
population, their expulsion from their country, and the implantation of an alien
sovereignty on their soil to make room for the ingathering in Palestine of world
Jewry90.
I palestinesi, vittime dell’indifferenza mondiale e costretti a vivere nell’umiliazione della
diaspora, «have lost not only political control over their country but its phisical occupation as
well»91. Il sionismo mondiale, «si è infiltrato nella Palestina con la protezione
dell’imperialismo»92 (la Gran Bretagna, alla quale fu affidato dall'ONU il Mandato sulla
Palestina) con il quale ha concertato un piano di aggressione nei confronti dei palestinesi,
utilizzando la Palestina come «base per l’aggressione»93. La nazione araba ha considerato con
leggerezza la reale portata del problema ed è stata divisa affinché «ogni singolo popolo arabo
si trovasse solo dinanzi a [...] le forze espansioniste dell’imperialismo»94. Il popolo
palestinese ha cercato invano di difendere la sua terra con una serie di insurrezioni (come nel
'36 e nel '47), subito soffocate dall’imperialismo e da quei leader arabi che sono venuti a patti
col nemico.
In seguito alla creazione dello Stato di Israele, le masse palestinesi e arabe riposero le
speranze di liberazione sui regimi politici arabi e gli eserciti arabi regolari. L'attenzione dei
palestinesi si concentrava perciò su quale paese potesse condurre il resto degli Stati arabi alla
guerra di liberazione:
89
L’idea di creare un’organizzazione propriamente palestinese nacque a Gaza nel 1956 durante l’occupazione
israeliana. I primi nuclei clandestini di Fatah (in arabo “conquista”, acronimo inverso di Harakat al-Tahrir alWatani al-Filastini) si formarono al Cairo e in Kuwait grazie all’opera, tra gli altri, di Yasir Arafat (Abu
Ammar), Salah Khalaf (Abu Iyad), e Khalil al-Wazir (Abu Jihad). Sulla nascita e i primi anni di Fatah si veda:
Abu Iyad, Palestinien sans patrie. Entretiens aver Eric Rouleau, Fayolle, Paris 1978; trad. ing. My Home, My
Land: A Narrative of the Palestinian Struggle, Times Book, New York 1981; Helena Cobban, The Palestinian
Liberation Organization: People, Power and Politics, cit. 1984, pp. 21-35; Hart A., Arafat: Terrorist or
Peacemaker?, Sidgwick & Jackson, London 1984; Quandt W., Jabber F., Lesch A., (eds), The politics of
Palestinian nationalism, cit., pp. 55-58 e pp. 83-84; Denoyan G., El Fath Parle: Les Palestiniens Contre Israel,
Editions Albin Michel, Paris 1970; Yaari E., Strike Terror: The Story of Fatah, Sabra Books, New York 1970;
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., pp. 80-92 e pp. 104-108.
90
Al-Fateh, Al-Fateh: the Palestine National Liberation Movement, [S.l.: s.n.], [ca. 1969], p. 1.
91
Ibidem.
92
Fatah, Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, in Pancera C. (a cura di), La lotta del
popolo palestinese, cit., p. 191. Il documento è originariamente tratto da «Rivoluzione palestinese», quindicinale
del Comitato di solidarietà con il popolo di Palestina, numero unico, Roma, febbraio 1969.
93
Ibidem.
94
Ivi, p 192.
45
The Palestinian struggle thus focused on the Arab countries to create therein the
regimes susceptible to build strong regular armies and to import modern armaments
liable to inflict defeat on the enemy's armed forces95.
La realtà dei fatti aveva dimostrato però che la nazione araba, formata ancora da molti paesi
non industrializzati, non era in grado di sostenere il confronto con Israele sul piano militare,
in quanto quest'ultimo poteva contare sull'appoggio di alleati che avevano tutto l'interesse a
mantenerne la superiorità militare. I palestinesi impiegarono più di dieci anni per capire che
«they cannot achieve justice through the dangerous game of Arab or international power
politics and they cannot trust the operators in a political casino like the United Nations»96. In
questa prospettiva, la nascita del MRP «meant a revolution against an existing state of peace
in which all the regimes were participating, with Israel as the party in full control»97. In
seguito alla disfatta del 1967, nonostante i regimi arabi per mezzo della Lega Araba si
affrettassero a proclamare i "tre no" (no al riconoscimento di Israele, no al negoziato con
Israele, no alla pace con Israele), nel giro di due mesi la maggior parte di loro avrebbe già
accettato la risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU del novembre 1967
secondo la quale i regimi arabi, in cambio del ritiro israeliano dai territori occupati nel giugno
1967, avrebbe riconosciuto la legittimità di Israele nell'area. Questo per i palestinesi
significava la liquidazione del movimento di liberazione palestinese e la rinuncia alle
aspirazioni nazionali del popolo palestinese al ritorno e all'autodeterminazione.
Emerge con chiarezza il bisogno di legittimare, attraverso una certa visione degli
eventi, l’importanza storica di Fatah nel risvegliare una coscienza autonoma palestinese e nel
porsi all'avanguardia del MRP. In un comunicato dell'ottobre 1967 Fatah sostiene chef «the
setback was a new proof of the error of keeping the Palestinian people in particular, and the Arab
98
people in general, remote from the field of battle» . Le leadeship precedenti non erano state in
grado di evitare la "catastrofe", sia perché mancavano di autonomia decisionale sia perché
assunsero un atteggiamento passivo di fronte agli eventi, invece di appoggiare i tentativi di
sollevazione popolare. Per dirla con Khalid al-Hassan, tra i fondatori di Fatah, uno dei meriti
dell'organizzazione è di aver compreso che «Palestine has a national depth rather thatn a
geographical one»99. Questa è la ragione per cui, fin dal suo esordio, Fatah ha avanzato tre
slogan: «1. A long-term popular revolution (revolution and not resistance) is our road to the
95
Political Struggle, «Fateh», April 2, 1970, p.12.
8 Fundalemtal Objections to Political Settlement (studio presentato alla Seconda conferenza mondiale sulla
Palestina, tenuta ad Amman il 2-6 settembre 1970), «Fateh», 17 Spetember 1971, p. 8.
97
Ibidem.
98
«al-Hurriya», 2/10/1967, in «IDP 1967», p. 681.
99
Khalid al-Hassan, «Fateh», March 23, 1971, p. 10.
96
46
liberation of Palestine; 2. The liberation of Palestine is our road to Arab unity; 3. Revolution
until victory rather than revolution until suicide»100.
Con la nascita di Fatah il popolo palestinese si dota finalmente di un'avanguardia
rivoluzionaria in grado di lanciare la lotta armata e, grazie all'opera di politicizzazione delle
masse, farla diventare lotta popolare. Due elementi in particolare giustificano il ruolo di
avanguardia rivendicato da Fatah: il primo riguarda il «profondo studio di analisi scientifica
della realtà politica e sociale della Palestina e del mondo arabo»101, che permette
all'organizzazione di «assumere tutte le precedenti esperienze rivoluzionarie»102 del popolo
palestinese, non ripetere gli errori della leadership precedente e formulare con chiarezza gli
obiettivi della lotta. Il secondo elemento consiste nel lancio della lotta armata, grazie al quale
Fatah acquisisce automaticamente il ruolo di «guida [...] verso la creazione dell’entità
palestinese»103.
Nel pensiero di Fatah, il compito del nucleo di avanguardia è di far penetrare le idee
rivoluzionarie nelle masse tramite la partecipazione diretta nella lotta armata.. In polemica
con l’enfasi posta dalle organizzazioni di ispirazione marxista-leninista nell’indottrinamento
dei propri quadri, Fatah sostiene che la pratica della lotta armata, in quanto «rende le masse
coscienti della loro personalità, restituendo loro la fiducia in se stesse»104, deve precedere o
accompagnare la politicizzazione delle masse, «perché l’azione politica da sola non basta a
mobilitarle perennemente, ma favorisce il sorgere di una serie di errori, quali la creazione di
distinte fazioni, la sfiducia nei propri dirigenti e lo svuotamenti del contenuto
rivoluzionario»105.
In breve, nella visione di Fatah gli errori del passato erano consistiti nella mancanza di
autonomia decisionale palestinese, nella subordinazione della causa nazionale palestinese agli
interessi degli Stati arabi o dei progetti panarabisti e nell'assenza di un'avanguardia che
mobilitasse le masse palestinesi in una lotta armata popolare di lungo periodo.
Fronte Popolare di Liberazione della Palestina
100
Ibidem.
Fatah, Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, cit., p. 193
102
Ibidem.
103
Ibidem.
104
La liberazione dei territori occupati, cit., p. 7.
105
Ibidem.
101
47
Riprendendo l’efficace suddivisione proposta dallo studioso Mohammed Muslih, l’ideologia
del FPLP106 consta di tre elementi fondamentali: “il tema del campo del nemico”, di
derivazione maoista, cioè l’individuazione della reazione araba come nemico interno della
resistenza; la "teoria del fronte arabo", eredità della militanza nel MNA, vale a dire la
necessità di costituire un fronte arabo che porti avanti una lotta armata araba per dar vita ad
una nazione araba unita; infine, il principio marxista della “teoria come guida dell’azione”107.
L'analisi di Ghassan Kanafani, scrittore e caporedattore di «al-Hadaf», sulla Grande
rivolta del 1936-39, rappresenta uno dei primi esempi di applicazione del socialismo
scientifico all'interpretazione della storia del movimento nazionale palestinese. Secondo
Kanafani, la cristallizzazione della società coloniale sionista lungo linee aggressive e
militaristiche, il contenimento della classe proletaria palestinese e la guida del movimento
nazionale palestinese affidata alla leadership feudal-religiosa sono le principali cause del
fallimento della rivolta. Anche i regimi arabi, guidati dalle forze reazionarie alleate
dell’imperialismo e del sionismo, fanno parte del campo dei nemici. Secondo Kanafani
Between 1936 and 1939, the Palestinian revolutionary movement suffered a severe
setback at the hands of three separate enemies that were to constitute together the
principal threat to the nationalist movement in Palestine in all subsequent stages of
its struggle: the local reactionary leadership; the regimes in the Arab states
surrounding Palestine; and the imperialist-Zionist enemy108.
Nella visione del FPLP, la storia recente del popolo palestinese non è solo una lotta di
liberazione nazionale, ma è anche la lotta tra le varie classi sociali per la conquista del potere.
La storia del movimento nazionale è innanzitutto la storia delle classi che ne hanno composto
la leadership, in quanto l’atteggiamento tenuto nei confronti dell’imperialismo e del
colonialismo erano la diretta conseguenza degli interessi di ciascuna classe. Oltre alla
liberazione nazionale, il popolo palestinese deve perciò portare a termine anche la rivoluzione
106
Il FPLP (al-Jabha al-Shaʿbiyya li-Tahrir Filastin) affonda le sue radici nel MNA e nacque come
organizzazione palestinese indipendente dalla fusione di tre gruppi di fida’iyyin alla fine del 1967. All'interno
dell’OLP il FPLP rappresentò sempre l’opposizione alla corrente di maggioranza rappresentata da Fatah. Tra i
primi studi sul FPLP e le sue origini dal MNA si veda Quandt W. B. e altri, op.cit., pp. 59-64; Chaliand G., Le
Double Combat du P.F.L.P., «Le Monde Diplomatique», July 1970, p. 6; Kazziha W., Revolutionary
Transformation in the Arab World: Habash and His Comrades from Nationalism to Marxism, cit; al-Kubaysi
B., Storia del Movimento dei Nazionalisti Arabi, Jaca Book, Milano 1977; Sayigh Y., Armed Struggle and the
Search for State, cit., pp. 71-80 e pp. 227-237; AbuKhalil A., George Habash and the Movement of Arab
Nationalists: Neither Unity nor Liberation, «Journal of Palestine Studies», Volume 28, No. 4, Summer 1999,
pp. 91-103.
107
Muslih M. Y., Moderates and Rejectionists within the Palestine Liberation Organization, Moderates and
Rejectionists within the Palestine Liberation Organization, «Middle East Journal», Vol. 30, No. 2, Spring, 1976,
pp. 134-136.
108
Kanafani G., The 1936-39 Revolt in Palestine, Committee for a Democratic Palestine, New York, 1972
(consultato
l'11
novembre
2010).
Disponibile
all'indirizzo:
http://www.newjerseysolidarity.org/resources/kanafani/kanafani4.html.
48
sociale, in modo che le classi che subiscono l’oppressione nazionale e lo sfruttamento sociale
assumano la leadership del movimento.
In Strategia il FPLP fornisce un'analisi esaustiva della storia recente del movimento di
liberazione secondo i principi del socialismo scientifico. Nella prima fase, quando le la Gran
Bretagna e la Francia si spartirono il Medio Oriente, «the national liberation movement
waged by the masses against colonialism was led by feudalists, aristocrats and members of
the bourgeoisie»109. Lo scopo di queste classi, «partner to the colonialists in their exploitation
of the masses’ toil»110, era limitato al raggiungimento di un’indipendenza formale che le
ponesse al vertice della piramide del potere, come dimostrato dalla leadership di Amin alHussein.
Nella seconda fase le masse, guidate dalla classe emergente della piccola borghesia
(giovani istruiti, professionisti e ufficiali liberi dell’esercito), dirigono lo scontro contro le
forze reazionarie alleate, direttamente o indirettamente, con il capitalismo colonialista.
L’evento catalizzatore della trasformazione è stato la creazione dello Stato di Israele, che ha
rivelato alle masse «the truth about the puppet independent regimes established by the
bourgeoisie»111, determinando la sostituzione di alcuni di essi con dei regimi nazionalisti e
sancendo così «the alliance of the workers, peasants and petit bourgeoisie under the
leadership of the petit bourgeoisie against colonialism, Arab reaction and Israel»112 (l'Egitto
di Nasser è l'esempio classico). Tuttavia, questi regimi nazionali hanno una visione del
conflitto limitata ai propri interessi di classe e risultano perciò incapaci di fronteggiare
adeguatamente «the imperialist-reactionary–Zionist–Israeli camp»113 attraverso la completa
mobilitazione in senso rivoluzionario delle masse e delle risorse economiche e militari dello
Stato.
La disfatta degli eserciti arabi nella guerra del 1967 produce le condizioni per il
passaggio alla terza fase della lotta. L'appoggio che i regimi nazionali piccolo borghesi
forniscono alla lotta armata delle masse è solo una tattica per esercitare pressione su Israele,
costringerlo a scendere ad una soluzione di compromesso e recuperare i territori occupati nel
giugno 1967, secondo il quadro di riferimento sancito dalla risoluzione no. 242 del Consiglio
di Sicurezza dell'ONU. A questo punto, si fa sempre più acuta la contraddizione tra gli
obiettivi limitati dei regimi nazionali e quelli della rivoluzione palestinese
109
Ivi, capitolo VII.
Ibidem.
111
Ibidem.
112
Ibidem.
113
Ibidem.
110
49
That seeks a long-term popular liberation war waged by the masses under the
leadership of the working class and the peasants on the basis of radical political,
military and economic programmes represented before us today by the Vietnamese
liberation movement which has proved that it is only with such a formula that we
are able to face imperialism and its technological, economic and military
superiority114.
Alla luce dell’analisi scientifica della struttura di classe del mondo arabo, la rivoluzione
palestinese dovrà per forza di cose scontrarsi con le forze arabe reazionarie e i regimi che le
rappresentano; con i regimi nazionali guidati dalla piccola borghesia dovrà invece costruire
relazioni di alleanza, in quanto antagonisti dell’imperialismo e di Israele, e allo stesso tempo
di conflitto, a causa della loro strategia limitata di lotta. Il movimento di liberazione
palestinese e arabo deve scegliere tra due strategie:
the strategy of the petit bourgeoisie which adopts in theory or moves in practice
towards a traditional war strategy through the reconstruction of the military
institution if a peaceful solution proves to be impossible; and the strategy of the
working class, which adopts in theory and moves in practice towards guerrilla
warfare and popular liberation war, waged by the masses under the leadership of the
working class on the widest national front, opposed to imperialism and with
revolutionary programmes of mobilization which will raise the ideological,
political, economic and military mobilization of the masses to the highest level115.
Nella prospettiva del FPLP, il successo o il fallimento della lotta di liberazione è
strettamente legato alla natura di classe della sua leadership. Gli errori del passato sono da
attribuire al fatto che la leadership del movimento di liberazione fosse stata esercitata prima
dalla classe reazionaria feudale, capitalista e borghese, alleata con l'imperialismo e il
colonialismo, poi da quella piccolo borghese, incapace di realizzare la piena mobilitazione
delle masse in una guerra popolare di lungo termine. Inoltre, le classi reazionarie avevano
lasciato la società araba nell'arretratezza e nell'ignoranza, rendendola incapace di fronteggiare
una potenza moderna e tecnologicamente avanzata come Israele. Secondo Habash «the main
reason for our defeat had been the scientific society of Israel as against our own
backwardness in the Arab world. This called for the total rebuilding of Arab society into a
twentieth-century society»116.
Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina
La Piattaforma di agosto analizza attraverso "l'arma dell'ideologia proletaria" le ragioni della
disfatta del 1967 che, oltre al di là dell'aspetto militare ed economico, è stata anche la disfatta
114
Ibidem.
Ibidem.
116
In Cooley J. K., Green March Black September: The Story of the Palestinian Arabs, cit., p. 135.
115
50
ideologica e di classe dei movimenti palestinese ed arabo di liberazione. La disfatta va
ricercata nell’incapacità della leadership araba di impostare correttamente la lotta di
liberazione in ragione della sua natura di classe. Secondo il segretario generale Nayif
Hawatma, se si guarda alla storia del movimento nazionale palestinese si capisce che
The 1936 Palestinian uprising was suppressed by a decision taken by the Arab
ruling circles, whilst the 1948 war […] was fought and lost by the feudalist and
semi-bourgeois reactionary Arab regimes allied to imperialism in the region117.
La tragedia palestinese fu responsabilità dei regimi feudalisti-borghesi che lasciarono la
società araba nel sottosviluppo e nell’arretratezza. Emerse così alla guida dei movimenti di
liberazione arabi la classe borghese e piccolo borghese che formò un’alleanza con le classi
operaia, contadina, con i soldati per la costruzione di un’economia nazionale moderna. Tali
furono gli esperimenti della Repubblica Araba Unita, della Siria, dell’Algeria e in minor
misura dell’Iraq. Tuttavia, la piccola borghesia, che per natura «fears the popular masses as
much as it fears the feudal-capital alliance»118, non riuscì a costruire una economia nazionale
indipendente dal mercato capitalistico e non fu in grado di porre tutte le risorse umane e
materiali al servizio della guerra di popolo di lunga durata, come era avvenuto in Vietnam e a
Cuba. La ragione della disfatta va ricercata nel rifiuto dei regimi piccolo-borghesi di armare
le masse (in particolare le forze rivoluzionarie costituite da operai, contadini e intellettuali
rivoluzionari), nelle mezze misure adottate in campo economico e nel ricorso allo scontro tra
eserciti regolari nel campo militare.
La questione palestinese, si legge nel documento, non poteva quindi essere isolata
dagli sviluppi nel contesto arabo:
For Palestine, from the beginning of the modern era, it was apparent that its fate
would depend on the outcome of the national struggle - i.e. the class struggle
between the forces of national liberation in the one hand, and the imperialist-Zionist
camp and its allies, the Arab reactionary regimes, on the other119.
Nonostante ciò, la destra del MRP trascurò gli insegnamenti della storia moderna palestinese
e adottò lo slogan della non-interferenza negli affari interni ai regimi arabi che si tradusse
nella pratica in una "cospirazione del silenzio" sulle posizioni disfattiste dei regimi arabi per
quanto riguarda la questione palestinese. Questo impedì alla leadership del MRP di
comprendere a fondo le responsabilità dei regimi arabi nella disfatta del 1967. La necessità di
117
Interview with Nayef Hawatmeh, «Middle East for Revolutionary Socialism», Democratic Popular Front,
London 1970 (a collection of Popular Democratic Front documents and news): mimeographed, n.d., p. 16.
118
August Platform, cit., p. 8.
119
Ivi, p. 5.
51
portare a fondo la critica ai regimi piccolo borghesi e di impostare la lotta di liberazione
secondo i principi del marxismo-leninismo sono all'origine della scissione dal FPLP:
The basic difference between the Democratic Front and the Popular Front is the
refusal of the right wing leadership of the Popular Front to analyze critically the
reasons and causes the led to the military defeat of June 1967, under the pretext of
refusing to interfere in the internal affairs of the Arab states and the Arab
regimes120.
Due sono i fattori da tenere in considerazione per una corretta valutazione delle ragioni della
disfatta: la dimensione araba del problema palestinese e la lotta di classe all'interno del
mondo arabo. Il destino della Palestina dipende in sostanza da una lotta di classe a livello
arabo «between the national liberation bloc on the Palestinian and Arab land and the enemies
of the liberation movement, such as imperialism, Arab reactionary regimes in alliance with
imperialism, and world Zionism»121.
Il significato della rivoluzione palestinese
Per Fatah la rivoluzione palestinese consiste nell'emergere di una personalità e di una volontà
politica specificamente palestinesi, che si manifestano per mezzo della lotta armata; per il
FPLP e il FDPLP la rivoluzione palestinese è articolata secondo le categorie del marxismo e
del nazionalismo arabo, è considerata parte integrante della lotta globale contro
l'imperialismo e consiste nella guerra popolare di lungo periodo guidata dal partito del
proletariato, armato dell'ideologia marxista-leninista.
Fatah
Nella Piattaforma politica dell’ottobre 1968, Fatah afferma che l’avvenimento più importante
dalla nakba è «la nascita di una personalità palestinese, la presa di coscienza del suo ruolo di
avanguardia nella direzione del movimento rivoluzionario per la liberazione della sua
terra»122. La nascita di un soggetto politico palestinese capace di rappresentare tutto il popolo
palestinese, «dall’estrema destra [...] all’estrema sinistra»123, e il ricorso alla lotta popolare
armata contraddistinguono la nuova dimensione del problema palestinese.
120
In «Middle East for Revolutionary Socialism», I, no. 1, cit., p. 6.
August Platform, cit., p. 4.
122
Fatah, Piattaforma politica del Movimento di Liberazione Nazionale della Palestina Al Fatah, in Valabrega
G., op. cit., p. 182. Il documento è originariamente tratto da «Rivoluzione palestinese», quindicinale del
Comitato di solidarietà con il popolo di Palestina, numero unico, Roma, febbraio 1969.
123
Interview with Abu Iyyad, Member of the Central Committee of the Palestnian National Liberation
Movement (Fateh), on the Current Situation of the Arab-Israeli Conflict, and the Attitude of the Palestinian
121
52
L'identificazione della leadership tradizionale dell'OLP con «l’ortodossia panaraba»124 spiega l'insistenza di Fatah sulla priorità della causa palestinese rispetto a quella
araba. Fin dai primi numeri del periodico «Filastinuna», pubblicato dal 1959 al 1964, Fatah
aveva criticato la strategia fallimentare dei regimi arabi che utilizzavano la retorica dell’unità
araba e della guerra contro Israele per mascherare la difesa dei propri interessi particolari. I
leader di Fatah avevano compreso che l’espressione di una personalità palestinese
indipendente non poteva che passare per l’organizzazione di una forza militare autonoma. Lo
stesso Arafat affirm nel giugno del 1970:
The most important achievement of the Palestinian revolution lies in the fact that it
has resuscitated a people which, from being deliberately relegated to the margin of a
cause, to the margin of Arab struggle, is now in the vanguard of Arab struggle and
the vanguard of the Arab advance125.
Fatah, si legge nel documento politico del Comitato centrale del gennaio 1969, rappresenta
«l’espressione del popolo palestinese e della sua volontà di [...] riacquistare la sua identità
nazionale»126, soffocata tra l'esilio, l'occupazione israeliana e la tutela araba. Inoltre, la lotta
del popolo palestinese, come quella del popolo vietnamita e degli altri popoli d’Asia,
d’Africa e d’America, «fa parte del processo storico di liberazione dei popoli oppressi dal
colonialismo e dall’imperialismo»127. "Volontà", "identità", "dignità", "personalità",
"coscienza", sono termini ricorrenti nel discorso politico della più importante organizzazione
del MRP, e suggeriscono che nella concezione di Fatah la rivoluzione palestinese è
innanzitutto psicologica, è una rivoluzione nel comportamento che porterà alla rivoluzione
dell'identità che porterà all'affermazione della volontà politica palestinese128.
Fronte Popolare di Liberazione della Palestina
Mentre per Fatah la rivoluzione palestinese si riassume nella lotta di liberazione nazionale,
per il FPLP si tratta invece di «a battle for national democratic liberation within a socialist
Resistance to the Zionist Movement, «A-Tali‛a» (Cairo), June 1969, pp. 51-87. In «IDP 1969», The Institute for
Palestine Studies and The University of Kuwait, Beirut 1972, p. 715.
124
El-Rayyes R., Nahas D., Guerriglieri per la Palestina, cit., p. 37.
125
Press Interview Statements by the Executive Committee Chairman Arafat of the P.L.O. on relations with
Socialist States and the proposed Democratic State in Palestine, Cairo Early June 1970, in «IDP 1970», cit., p.
829.
126
Dichiarazione del Comitato Centrale di Al Fatah, 1° gennaio 1969, in Khader B. e N. (a cura di), Testi della
rivoluzione palestinese 1968-1969, Bertani, Verona 1976, pp. 200-201.
127
Ibidem.
128
Amos, J. W. II, Palestinian Resistance: Organization of a Nationalist Movement, Pergamon Press, New York
1980, p. 135.
53
framework»129. La lotta di liberazione nazionale deve essere allo stesso tempo una lotta di
classe. Lungi dall'essere qualcosa di astratto, «political thinking is of a tangible practical
value»130, in quanto i problemi attinenti alla lotta in ogni fase vanno affrontati e risolti con
chiarezza di idee secondo i principi del socialismo scientifico.
Se per Fatah la rivoluzione ha una precisa data d’inizio, nella visione del FPLP lo
sviluppo attuale del MRP si inserisce nel solco di una lunga storia di ribellioni del popolo
palestinese contro le «forze globali del sionismo e dell’imperialismo»131. Cionondimeno,
come emerge dal documento costitutivo del FPLP del dicembre 1967, la rivoluzione
palestinese nella fase attuale presenta caratteristiche uniche:
The military defeat suffered by the Arab armies served as the beginning of a new
phase of work in which the revolutionary masses must take their responsible
leadership role in confronting the forces and weapons of imperialism and Zionism,
which history has proved is the most effective weapon to crush all forms of colonial
aggression132.
Nel documento si afferma che, in seguito alla guerra del giugno 1967, le masse arabe hanno
raggiunto un livello di consapevolezza qualitativamente superiore «to the extent that allows
us to raise the slogan of the popular armed struggle and put it into practice until victory in a
long and protracted battle»133. Le condizioni oggettive di questa nuova fase sono rintracciabili
nelle conseguenze della Guerra del giugno 1967 che, per la prima volta, grazie
all’occupazione israeliana della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, ha riunito il popolo
palestinese nel territorio della Palestina del Mandato. Le condizioni soggettive consistono
nella consapevolezza di una serie di elementi: la vera natura del nemico, che vuole la resa
incondizionata e la rimozione della popolazione indigena dalla Palestina; le ragioni della
disfatta del giugno 1967, dettata dall’incapacità dei regimi arabi e dall’ineguatezza degli
eserciti convenzionali nell’affrontare un nemico tecnologicamente superiore; il ruolo delle
masse arabe, che devono assumere la guida della lotta di liberazione «è il coinvolgimento
delle masse nella battaglia che assicura la vittoria nel lungo periodo»134.
Come Fatah, anche il FPLP ritiene che il MRP costituisce l’avanguardia del
movimento di liberazione arabo e il ricorso alla lotta armata rappresenta il riscatto del popolo
129
Press Conference Statements by Dr. George Habbash, General Secretary of the Central Committee for the
Popular Front for the Liberation of Palestine, on the Question of Palestinian National Unity and the Population
Problem in the Democratic State of Palestine, in «IDP 1969», cit., p. 826.
130
Ibidem.
131
Ibidem.
132
First Political Statement Issued by the Popular Front for the Liberation of Palestine, in «IDP 1967», cit., pp.
723-724.
133
Ibidem.
134
Ibidem.
54
palestinese. In una conferenza stampa del luglio 1970, il segretario generale Habash dichiara
che il MRP «is the expression of people who are bearing arms for the first time and feel that
their arms are thier dignity, their life, their country, and their land - their all»135. A differenza
di Fatah, che accentua il carattere palestinese della lotta, il FPLP ritiene che il movimento di
liberazione palestinese deve fondersi in un fronte di lotta che investa le masse del mondo
arabo. L'obiettivo principale della lotta consiste nella «fusione della rivoluzione palestinese
con quella araba»136. La guerriglia palestinese non può da sola fronteggiare le forze del
campo nemico, perciò «la soluzione è nell’estendere le operazioni di commando fino a
quando non assumono la forma di lotta armata araba»137, e questo si realizza costruendo un
«legame organico tra la lotta del popolo palestinese e la lotta delle masse del popolo
arabo»138.
Nella misura in cui la soluzione del problema palestinese è strettamente legata alla
situazione politica del mondo arabo, il compito della rivoluzione palestinese deve essere
quello di trasformare il movimento di liberazione palestinese in un movimento di liberazione
arabo all’interno del quale la liberazione della Palestina rappresenti l’aspetto catalizzatore del
cambiamento in senso unitario e socialista della regione. Il movimento di liberazione
palestinese ha un potenziale rivoluzionario universale: nel documento fondativo del FPLP si
afferma che la rivoluzione palestinese deve non solo allargarsi al contesto arabo, ma
congiungersi «con la lotta delle forze della rivoluzione e del progresso nel mondo»139.
In breve, per il FPLP la rivoluzione palestinese ha due funzioni distinte, ma
inseparabili: liberare la Palestina e l'uomo palestinese dall'oppressione sionista e liberare la
società araba dalle forze controrivoluzionarie e reazionarie140.
Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina
Il FDPLP presenta una visione schiettamente internazionalista della questione palestinese. La
liberazione della Palestina
Is dialectically and immediately linked to the common world-wide struggle against
imperialism and world reaction in exactly the same manner as the maintenance of
135
Press-Conference Statements by Secretary-General Habbash of the P.F.L.P. on the Front’s Attitude Towards
the Rogers Plan and its Acceptance by Certain Arab Governments, in «IDP 1970», cit., p. 878.
136
Press Conference Statements by Dr. George Habbas cit., p. 828.
137
Ibidem.
138
Ibidem.
139
Ibidem.
140
Nakhleh E., The Anatomy of Violence: Theoretical Reflections on Palestinian Resistance, cit., p. 188
55
the structure of Israel is dialectically and immediately linked to imperialism in
general and U.S. imperialism in particular141.
In virtù della stretta adesione ai principi del marxismo-leninismo, il FDPLP ambisce ad
essere una delle avanguardie della rivoluzione araba. Secondo il segretario generale Nayif
Hawatma, «the DPFLP is the only organization among the Palestinian Fedayeen groups
which adopts a critical radical stand directed along class lines in critisising the class structure
dominating the region»142.
Uno degli obiettivi del FDPLP consiste nel «costruire un fronte rivoluzionario arabo di
sinistra che prenda le armi contro la contro-rivoluzione»143. La costruzione di un fronte
rivoluzionario in seno al mondo arabo è necessaria per ribaltarne la struttura di classe,
mettendo alla guida della lotta di liberazione le classi rivoluzionarie – operai, contadini e
intellettuali rivoluzionari. La liquidazione dell’influenza dell’imperialismo e del colonialismo
nella regione non può essere ottenuta senza la «costruzione di regimi con programmi
proletari»144 che portino a termine i problemi della «rivoluzione democratica nazionale»145: la
mobilitazione di tutte le risorse umane e materiali per la costruzione di economie
indipendenti e l’unificazione della regione in un solo Stato arabo. Il significato della
rivoluzione palestinese, più che nel risveglio di una coscienza nazionale e di una volontà
politica palestinese, sta nella radicalizzazione della lotta di classe nel mondo arabo in una
prospettiva di unificazione politica e trasformazione socialista della società.
Gli obiettivi della lotta
Se per Fatah la lotta di liberazione ha un carattere nazionale palestinese e deve portare alla
creazione di un'entità palestinese indipendente al posto di Israele, per il FPLP e il FDPLP la
lotta ha una dimensione araba e di classe e ha l'obiettivo di liberare la società araba nella sua
interezza dal colonialismo e dall'arretratezza.
Fatah
In Political and Armed Struggle Fatah enuncia chiaramente gli obiettivi della lotta: «to
liberate the people of Palestine, to restore their homeland to them and to establish a legitimate
political authority in the liberated country emanating from the will of the Palestinian masses
141
Basic Aims, in Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine, cit., p. 13.
Interview with Nayef Hawatmeh, «Middle East for Revolutionary Socialism», cit., p. 17.
143
Ivi, p. 16.
144
Ivi, p. 17.
145
Ibidem.
142
56
and fulfilling their aspirations»146. In Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e
prospettive Fatah elenca i sei principi fondamentali che caratterizzano l'attuale fase della
rivoluzione palestinese. Nel primo afferma che «la lotta armata e la rivoluzione globale sono
la sola via da seguire per liberare la Palestina e per liquidare l’entità sionista»147.
L’esperienza di lotta del Fronte di Liberazione Nazionale algerino contro i francesi e in
particolare le idee dello scrittore Frantz Fanon, che pose le basi di una dottrina di liberazione
a cui attinsero larga parte delle organizzazioni di liberazione nel Terzo Mondo, esercitarono
un’influenza considerevole sui combattenti palestinesi148. Il secondo principio è il seguente:
«al momento attuale la lotta del nostro popolo attraversa una fase di lotta nazionalista: in esso
devono convergere tutte le energie palestinesi»149. Una posizione troppo radicale a sinistra
avrebbe alienato ampi settori della borghesia palestinese e l’aiuto fornito dagli Stati arabi più
conservatori, mentre una posizione troppo a destra avrebbe alienato gli Stati arabi
progressisti, il blocco degli Stati comunisti e i movimenti internazionalisti della sinistra
radicale.
Faruq Qaddumi (Abu Lutf), membro del Comitato centrale di Fatah, affronta la
questione del ruolo dell’ideologia sociale nella lotta di liberazione. Fatah crede nella
necessità di sottomettere il suo pensiero alla pratica e all’esperienza e per questa ragione non
adotta un’ideologia sociale prescrittiva né segue l’esempio di esperienze socialiste estranee al
mondo arabo. Lo sradicamento del popolo palestinese ha fatto sì che si trovasse in condizioni
differenti rispetto ai movimenti di liberazione nei paesi del Terzo Mondo. Non è corretto dire
che la società palestinese sia divisa in classi, né che Fatah rappresenti la borghesia, in quanto
questo presupporrebbe l’esistenza di industrie, capitalisti e lavoratori. In realtà esiste solo una
classe in seno al popolo palestinese, la nuova classe dei rifugiati, e un solo movimento
rivoluzionario in grado di rappresentarli tutti, al di là delle appartenenze ideologiche o della
condizione economica, cioè Fatah. Qaddumi distingue tra il "conflitto primario", che riguarda
l’occupante sionista, e il "conflitto secondario", interno alle forze che gli si oppongono. Nella
fase di conflitto primario «all the classes which are against Zionism and imperialism shoulf
form an alliance to destroy the Zionist imperialist occupation of Palestine»150. Il conflitto
146
Political and Armed Struggle, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Beirut 1969, p. 5.
Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, in Valabrega G., op. cit., p. 193.
148
Nelle sue memorie, Salah Khalaf scrive che «la lotta di guerriglia in Algeria [...] ebbe un profondo impatto su
di noi», e continua affermando che «Frantz Fanon era uno dei miei scrittori preferiti», in particolare il suo I
dannati della terra, «che ho letto e riletto un'infinità di volte». In Abu Iyad, My Home. My Land, cit., p. 34.
149
Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, cit., p. 193.
150
Abu Lutf Answers Questions, 12 July 1969, in Kadi L. S., Basic Political Documents of the Armed
Palestinian Resistance Movement, cit., p. 104.
147
57
secondario deve essere "congelato" fino alla liberazione: «calling for any social concept in
this phase implies the adoption of a specific erroror, namely, the destruction of the popular
alliance, or the forces of the Palestinian revolution»151. Lo stesso concetto è ribadito da Salah
Khalaf: «Every revolution which raises the standard of liberation and practises the armed
struggle technique must necessarily be of a progressive nature»152. Liberazione nazionale e
liberazione sociale fanno parte dello stesso processo e si risolvono senza contraddizioni nella
lotta di liberazione nazionale. Per i dirigenti di Fatah, restringere l’azione ad una particolare
classe, oltre ad indebolire il movimento di liberazione, è un’operazione arbitraria basata su
un’interpretazione classica del marxismo-leninismo che non tiene affatto conto della
particolare situazione di sradicamento del popolo palestinese.
Il terzo principio afferma: «l’avanguardia rivoluzionaria palestinese non interviene
negli affari interni degli Stati arabi, a patto che gli Stati arabi non intervengano in alcun modo
negli affari interni della rivoluzione palestinese»153. Questo significa che i regimi arabi
devono limitarsi a fornire una base di appoggio e il sostegno finanziario e logistico alle
operazioni dei fida'iyyin, senza limitarne la libertà di azione o l'autonomia, e in cambio il
MRP non mira al cambiamento dei regimi nei paesi in cui si trova. Il principio di non
ingerenza fu duramente criticato dalle organizzazioni di ispirazione marxista-leninista
secondo le quali la mobilitazione delle masse e dei movimenti di opposizione nazionali in
supporto della rivoluzione palestinese avrebbe urtato contro l'interesse dei regimi arabi a
mantenere lo status quo.
Nel quarto principio Fatah respinge «con forza ogni negoziato contro i diritti del
popolo palestinese e ogni “soluzione” imperialista dell’ONU o di altre organizzazioni»154.
Nel comunicato di rifiuto della risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza Fatah mette in
guardia il popolo arabo di Palestina sulla "trappola" della risoluzione ONU Nazioni unite e
dal Consiglio di Sicurezza» che, con lo slogan "eliminare le conseguenze dell’aggressione",
si propone:
la liquidazione finale del problema palestinese; il consolidamento e la
legittimazione dell’occupazione della nostra terra da parte dei sionisti; il
151
Ibidem.
Interview with Abu Iyyad, Member of the Central Committee of the Palestnian National Liberation
Movement (Fateh), on the Current Situation of the Arab-Israeli Conflict, and the Attitude of the Palestinian
Resistance to the Zionist Movement, cit., p. 715.
153
Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, cit., p. 193.
154
Ivi, p. 194.
152
58
riconoscimento del diritto di amministrazione fiduciaria sulla causa del nostro
popolo; l’ostacolo alla rivoluzione di liberazione della Palestina155.
Il testo della Risoluzione156, che auspica il ritiro dai territori from territories occupati nel
recente
conflitto,
prende
in
considerazione
soltanto
le
«ultime
manifestazioni
dell’aggressione»157 e non risolve la «questione della fonte»158, vale a dire l’«aliena presenza
sionista»159 in Palestina. La lotta armata palestinese, ricorda Fatah, è cominciata prima del 5
giugno 1967, e allo stesso modo la questione palestinese non può esser risolta se non
prendendo in considerazione, oltre all’occupazione del 1967, anche l’occupazione del 1948.
In uno studio presentato in occasione della Seconda conferenza mondiale sulla
Palestina, tenuta ad Amman dal 2 al 6 settembre 1970, Fatah ribadisce che la questione
palestinese «is not a quarrell over disputed irrigation water, international waterways or
borders between sovereign and legitimate states»160; non è neanche un semplice problema di
profughi, visto che riguarda anche i palestinesi che vivono come cittadini di seconda classe in
Israele e quei palestinesi che vivono sotto occupazione (in Cisgiordania e Striscia di Gaza);
né è un conflitto religioso o razziale, in quanto gli arabi palestinesi hanno sempre vissuto in
armonia con gli ebrei prima del sionismo e l'obiettivo della lotta di liberazione «is to establish
a democratic state in Palestine which would dispense justice to both elements of the semitic
race»161. Al contrario, la questione palestinese è la lotta per la sopravvivenza fisica ancor
prima che nazionale di una popolazione indigena contro un movimento coloniale che tenta di
sostituirsi ad essa con la forza. La risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza fa solamente
riferimento a una "giusta soluzione del problema dei rifugiati", non considerando invece «the
nationality and the inalienable right to sovereignty»162 del popolo palestinese. Infine, la
possibile accettazione della risoluzione da parte degli Stati arabi costituirebbe un tentativo di
155
Statement of Policy Issued by the ‘Fateh’ Movement Declaring its Rejection of The Security Council
Resolution of 22 November, in «IDP 1967», The Institute for Palestine Studies and The University of Kuwait,
Beirut 1970, p. 721.
156
Tra le condizioni per una pace giusta e duratura in Medio Oriente, il Consiglio di Sicurezza ritiene necessarie
le seguenti misure: «(i) Withdrawal of Israel armed forces from territories occupied in the recent conflict; (ii)
Termination of all claims or states of belligerency and respect for and acknowledgment of the sovereignty,
territorial integrity and political independence of every State in the area and their right to live in peace within
secure and recognized boundaries free from threats or acts of force». Resolution 242 (1967)
of 22 November 1967, il testo integrale è consultabile sul sito dello United Nations Information System on the
Question of Palestine (UNISPAL):http://unispal.un.org/unispal.nsf/0/7D35E1F729DF491C85256EE700686136.
157
Statement of Policy Issued by the ‘Fateh’ Movement Declaring its Rejection of The Security Council
Resolution of 22 November, cit., p. 722.
158
Ibidem.
159
Ibidem.
160
Eight Fundamental Objections to a Political Settlement, cit., p. 8.
161
Ibidem.
162
Ivi, p. 9.
59
liquidare il MRP e legittimare l'esistenza dello Stato di Israele entro confini sicuri e
riconosciuti.
Il quinto principio recita: «la strategia della rivoluzione globale è la guerra popolare a
lungo termine»163. Secondo Fatah l'unico mezzo di liberazione è la guerra popolare con la
piena partecipazione delle masse, che consta della lotta politica e della lotta armata. Se si
dovesse affrontare una forza armata regolare superiore in numero, equipaggiamento e
tecnologia soltanto con la lotta armata, inquadrando il popolo in unità militari, si andrebbe
incontro alla sconfitta. Al contrario, se si dovesse contare soltanto sulla lotta politica,
educando ed organizzando le masse, si capirà immediatamente che non è possibile
sconfiggere il nemico se non con l’annientamento delle sue forze militari. Di conseguenza, è
fondamentale la partecipazione delle masse politicamente educate nella lotta armata sia per
impedire al nemico di utilizzare al meglio i moderni mezzi di guerra, non potendo fissare in
un punto preciso la linea del fronte, sia in quanto garantisce la salvaguardia della linea
rivoluzionaria e rifornisce la lotta di combattenti consapevoli degli obiettivi delle lotte e
quindi più in grado di affrontare le difficoltà164.
Il sesto principio prevede che «la lotta di liberazione palestinese ha la priorità rispetto
a tutte le altre cause arabe: essa è anche la sopravvivenza di tutta la nazione araba e in essa
devono convergere tutte le forze arabe»165. Nel gennaio del 1968 un dirigente di Fatah
afferma in un'intervista che la liberazione della Palestina è la condizione essenziale per la
liberazione e l'unità del mondo arabo. Fin dai primi anni del Novecento le potenze coloniali,
guidate dalla Gran Bretagna, individuarono nella liberazione, nell’unità e nel progresso del
mondo arabo la principale minaccia alla dominazione coloniale europea nel mondo166.
163
Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, cit., p. 194.
Political Struggle, «Fateh», April 2, 1970, p. 12. Il documento, tradotto in italiano, si trova anche in Polizzi
E. (a cura di), Documenti della rivoluzione palestinese, cit., pp. 15-27.
165
Quinto anno dalla Rivoluzione palestinese: analisi e prospettive, cit., p. 194.
166
Nell'intervista, il dirigente di Fatah fa riferimento alla conferenza coloniale di Londra del 1907. In quell'anno,
le potenze coloniali, sotto la guida del Primo ministro britannico Campbell-Bannerman, tennero una conferenza
alla quale furono invitati prominenti studiosi in varie scienze umanistiche, per discutere dei destini dell’Europa
coloniale e delle possibili soluzioni per evitarne il declino. Il rapporto inviato dalla Conferenza coloniale a
Campbell-Bannerman individuava nel progresso del mondo arabo la principale minaccia alla dominazione
colonale europea: «[to fight] against the Union of popular masses in the Arab region or the establishment of any
intellectual, spiritual or historical link between them… [and thus recommended] all practical ways of dividing
them as such as possible should be taught, and one way of doing so would be to construct a powerful, human
‘barrier’ foreign to the region – a bridge linking Asia and Africa – thus creating in this part of the world, and
near the Suez Canal, a force friendly towards imperialism and hostile towards the inhabitants of the region». In
Anwarul Haque Haqqi, West Asia Since Camp David, Mittal Publications, Delhi 1988, pp. 105, citazione tratta
in: Marshall, Andrew G., The Origins of Imperial Israel: A Buffer against Arab Nationalism- Part I, 2011,
(consultato nel gennaio 2012). Disponibile all'indirizzo: http://www.boilingfrogspost.com/2011/12/30/theorigins-of-imperial-israel-part-i .
164
60
Bisognava quindi promuovere la divisione e l’arretratezza nel mondo arabo attraverso la
creazione di un’entità politica artificiale da porre sotto la tutela delle potenze imperialistiche.
In questa prospettiva, la Gran Bretagna e le altre potenze colonialiste non hanno contribuito
alla creazione di Israele a causa della loro simpatia per gli ebrei o della convinzione nel
diritto storico degli ebrei alla Palestina, piuttosto, il loro scopo era «disrupt the Easter
Mediterranean area so that it might remain disunited and backward»167. Israele, «the largest
military base ever known to history»168, è considerato la principale causa della disunità del
mondo arabo e del ritardo nel progresso dell’intera regione. La sua eliminazione diventa
quindi la condizione imprescindibile per raggiungere l’unità araba: «All these considerations
made it essential to adopt the slogan: "Return is the way to unity". Priority in action was to go
to the elimination of Israel»169. La gerarchia nella lotta è chiara: «Fateh sarà il leader, il
popolo palestinese l’avanguardia e le masse arabe la base di appoggio»170.
Fronte Popolare di Liberazione della Palestina
Il FPLP elabora gli obiettivi della lotta di liberazione nel capitolo X di Strategia:
The aim of the Palestinian liberation movement is to establish a democratic national
state in Palestine in which both Arabs and Jews will live as citizens with equal
rights and obligations and which will constitute an integral part of the progressive
democratic Arab national presence living peacefully with all forces of progress in
the world171.
Il fatto che l’esistenza di Israele sia legata agli interessi delle forze imperialiste rende la lotta
palestinese una lotta globale contro l’imperialismo. Allo stesso modo, la connessione tra il
movimento di liberazione palestinese e il movimento di liberazione arabo fa sì che nella lotta
palestinese contro Israele converga la lotta unitaria per la liberazione delle masse arabe.
Uno dei compiti più importanti del movimento di liberazione consiste nella
ristrutturazione sociale e valoriale della società e degli individui attraverso "l’arma" del
socialismo scientifico e la guerra popolare di liberazione:
The habits of […] will change through the struggle into recognition of the value of
time, order, accuracy, objective thought, collective action, planning, comprehensive
mobilization, the pursuit of learning and the acquisition of all its weapons, the value
of man, the emancipation of woman - which constitute half of our society - from the
servitude of outworn customs and traditions, the fundamental importance of the
167
Interview with a Leader of the Palestine National Liberation Movement “Fateh”, Beirut, January 22 1968, in
«IDP 1968», cit., p. 299.
168
Ibidem.
169
Ivi, p. 300.
170
Ibidem.
171
In Strategy cit., Capitolo X.
61
national bond in facing danger and the supremacy of this bond over clan, tribal and
regional bonds172.
Nel porre come precondizione per la liberazione la rivoluzione spirituale e scientifica e la
ridefinizione della mentalità araba in senso moderno, si avverte chiaramente l’influenza
dell’intellettuale arabo nazionalista Qustantin Zurayk, che aveva posto le fondamenta
teoriche dei futuri leader del MNA (tra i quali George Habash)173. In particolare, i testi
Maʿna al-nakba del 1948 e Maʿna al-nakba mujaddadan174 due decenni dopo esercitarono
un'enorme influenza sugli intellettuali arabi nazionalisti. Nella visione nazionalista araba di
Zurayq, priva di riferimenti marxisti, la vera sfida che aveva davanti il mondo arabo era di
combattere una vera e propria "battaglia di civiltà"175 che permettesse il passaggio
dall'arretratezza, dalla frammentazione e dall'irrazionalità, le cause della nakba, a una società
organizzata secondo linee scientifiche e razionali176. Lo stesso Habash, in un'intervista
dell'ottobre 1997, ricorda l'influenza che hanno avuto su di lui, giovane studente della Facoltà
di Medicina all'Università di Beirut, pensatori come Zurayiq e al-Husari:
It was the thought of Zurayk, who had written about the Nakbah, and Sati' alHusari, known then as the father of Arab nationalism. Once, when Husari was asked
why we lost in 1948, he replied: "Because we were seven states". But of course,
reading Zurayk and Husari was not enough. When we began to think of organizing
a political movement, we realized that we had to read everything177.
Nella visione del FPLP, la strategia politica è il frutto dell’analisi scientifica marxista
applicata al contesto arabo, e segue i principi generali enunciati negli scritti del leader cinese
Mao Tse Tung e del generale vietnamita Vo Nguyen Giap, che accomunano tutti i movimenti
di liberazione antimperialisti: “teoria rivoluzionaria”, “partito fortemente organizzato”,
“leadership della rivoluzione da parte dei lavoratori e dei contadini”, “fronte nazionale ampio,
172
Ibidem.
Per il rapporto tra il MNA e le idee di Costantine Zurayq si veda: Kazziha W., Revolutionary Transformation
in the Arab World: Habash and His Comrades from Nationalism to Marxism, cit.. Il nazionalismo arabo di
Zurayq era però privo di qualsiasi riferimento marxista alla lotta di classe.
174
Zurayq Q., Maʿna al-Nakba, Beirut, Dar al-ʿilm li-l-Malayyin, 1948; trad. ing. The Meaning of Disaster,
Khayat's College BookCooperative, Beirut 1956; Ma'na al-nakba mujaddadan, Dar al-ʿilm li-l-malayyin, Beirut
1967.
175
Un suo libro pubblicato nel 1964 era propio intitolato Fi maʿraka al-hadara [Nella battaglia della civiltà],
Beirut, n.d. 1967.
176
Louis R., Shlaim A. (a cura di), The 1967 Arab-Israeli War: Origins and Consequences, Cambridge,
Cambridge Middle East Studies, 2012, p. 297.
177
«It was the thought of Zurayk, who had written about the Nakbah, and Sati' al-Husari,12 known then as the
father of Arab nationalism. Once, when Husari was asked why we lost in 1948, he replied: "Because we were
seven states." But of course, reading Zurayk and Husari was not enough. When we began to think of organizing
a political movement, we realized that we had to read everything». In George Habash and Mahmoud Soueid,
Taking Stock. An Interview with George Habash, «Journal of Palestine Studies», Vol. 28, No. 1, Autumn 1998,
p. 90.
173
62
determinato, unito”, “guerra di liberazione di popolo e resistenza a lungo termine”178.
Liberazione nazionale e rivoluzione sociale sono inscindibili:
National liberation battles are also class battles. They are battles between
colonialism and the feudal and capitalist class whose interests are linked with those
of the colonialist on the one hand, and the other classes of the people representing
the greater part of the nation on the other179.
La questione fondamentale nella lotta di liberazione è la natura delle alleanze di classe da
stringere nelle diverse fasi della lotta. Nella fase attuale di liberazione democratica nazionale,
«the form of national unity is the rise of a front in which all classes of the revolution –
workers, peasants and petit bourgeoisie – will be represented»180. Gli operai e i contadini
sono la base della rivoluzione, perché sono le classi che sperimentano ogni giorno lo
sfruttamento dell’imperialismo mondiale e dei suoi alleati arabi. Il compito storico del FPLP
deve essere quello di organizzare le principali forze della rivoluzione - gli operai e i contadini
- in un partito rivoluzionario d’avanguardia «armed with scientific socialist theory»181.
Anche la piccola borghesia fa parte delle forze della rivoluzione nella fase di
liberazione nazionale, ma deve essere considerata un alleato temporaneo e non deve
raggiungere posizioni di leadership pena la diluizione del pensiero, dei programmi e degli
obiettivi ultimi della rivoluzione:
The petit bourgeoisie […] will join those Palestinian organizations which content
themselves with general liberation slogans, avoiding clarity in thinking and class
view and leading an organizational life which does not demand of it anything
beyond its capacity. In other words, this class will fill “Fateh” and the Palestine
Li-beration Organization (PLO) in the first place182.
La borghesia palestinese invece, essenzialmente mercantile e bancaria, non può considerarsi
tra le forze della rivoluzione. Nel momento in cui il contenuto rivoluzionario del movimento
di liberazione palestinese dovesse crescere, la borghesia palestinese sarebbe portata, in
ragione dei suoi interessi di classe, a opporsi alle forze della rivoluzione. Alla luce
dell’analisi di classe delle forze della rivoluzione, e nella fase attuale di liberazione nazionale,
l’obiettivo immediato del movimento di liberazione deve essere la creazione di un fronte
nazionale anche con le forze non propriamente rivoluzionarie:
The establishment of a national front with “Fateh” and the Palestine Liberation
Organization which will provide the battle with the necessary class alliance on the
178
Ibidem.
Ivi, Capitolo III.
180
Ivi, Capitolo VI.
181
Ibidem.
182
Ibidem.
179
63
one hand, and preserve that right of each to view and plan for the battle according to
its class horizon on the other183.
Secondo il FPLP, la corretta impostazione dell’unità nazionale risiede nell’organizzazione
delle forze della rivoluzione in un fronte nazionale nel quale gli interessi di classe degli
operai e dei contadini siano preservati e chiaramente espressi da un partito rivoluzionario
indipendente, che sappia risolvere il conflitto tra piccola borghesia e classi lavoratrici, latente
durante la fase di liberazione nazionale, a favore di queste ultime nella fase successiva di
rivoluzione sociale.
È la natura del nemico a determinare la natura dello scontro: l’ampiezza e la
superiorità tecnologica del campo nemico (che comprende Israele, il movimento sionista,
l’imperialismo e la reazione araba) non può che determinare, da parte della rivoluzione
palestinese, l’allargamento della lotta armata popolare a tutti i movimenti di liberazione e le
forze rivoluzionarie del mondo arabo: «confinare la rivoluzione palestinese entro i limiti del
popolo palestinese significherebbe il fallimento»184.
In sintesi, le linee principali della strategia del movimento di liberazione palestinese
nella fase di rivoluzione nazionale democratica sono:
The mobilisation concentration of the forces of the poor workers and peasants on
the greatest scale; the leadership of the revolution by these classes through a
political organization which adheres to and is guided by the ideology of scientific
socialism in alliance with the forces of the petit bourgeoisie whose interests do not
conflict with the nature of the democratic national revolution; and reliance on the
armed struggle to overcome the enemy's technological superiority through a
protracted war commencing with guerrilla warfare and developing into a popular
liberation war185.
Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina
Anche per il FDPLP la precondizione per il successo della lotta di liberazione risiede nel fatto
che le masse palestinesi siano armate di ideologia proletaria. Le esperienze delle lotte di
liberazione nel Terzo Mondo hanno dimostrato che
the road to national salvation and liberation starts with the necessity of arming
oneself with "revolutionary tools" capable of defeating the militarily and technically
superior imperialist countries: revolutionary anti-imperialist anti-Zionist ideology the ideology of the proletariat186.
183
Ibidem.
Ibidem.
185
Ivi, Capitolo VII.
186
August Platform, cit., p. 12.
184
64
L’adozione del marxismo-leninismo è indispensabile per l’opera di coscientizzazione politica
delle masse, che comincia mostrando le cause della sconfitte dei movimenti di liberazione
palestinesi e arabi, avvenute ad opera dei regimi reazionari e borghesi, alleati con
l’imperialismo e col capitalismo mondiale. Infine, le masse devono respingere tutte le
politiche "disfattiste" e le risoluzioni dell’ONU e insistere per un programma di guerra
popolare di liberazione che passi per l'organizzazione del popolo in milizie armate. Tra i
compiti immediati del MRP c’è quindi la costruzione di un ampio fronte patriottico in cui
siano rappresentate tutte le classi sociali e le forze politiche antimperialistiche e
antireazionarie, fianco a fianco a tutte le forze antimperialiste mondiali: il blocco socialista, i
movimenti mondiali di liberazione, i partiti socialisti dei lavoratori nei paesi capitalistici
verso un «worldwide anti-imperialist front»187. L’obiettivo della lotta di liberazione è la
liquidazione della "struttura sionista" e l'edificazione al suo posto di «a Palestinian People's
Democratic State»188, invitando gli ebrei progressisti di tutto il mondo e gli israeliani
progressisti a partecipare alla lotta.
La rivoluzione palestinese nel mondo arabo
Per Fatah, dal momento che Israele è il principale ostacolo all'unità e al progresso del mondo
arabo, la liberazione della Palestina è la via per l'unità araba. Gli Stati arabi devono limitarsi a
fornire l'appoggio e a garantire libertà di azione alla resistenza palestinese, che costituisce
l'avanguardia del movimento di liberazione arabo. Per il FPLP e il FDPLP invece, per
affrontare Israele è necessario creare nel mondo arabo regimi rivoluzionari in grado di
mobilitare le masse arabe e le risorse materiali in una guerra di lungo periodo. La liberazione
della Palestina passa quindi per la liberazione delle capitali arabe dalle forze reazionarie,
alleate dell'imperialismo e del sionismo, e per l'alleanza con le forze mondiali che lottano
contro gli interessi imperialistici nella regione.
Fatah
Fatah assegna al popolo palestinese il ruolo di avanguardia che «farà risvegliare la nazione
araba e mobiliterà le sue forze»189. Nella prima fase i palestinesi condurranno la lotta
all’interno dei propri confini per chiarire all’opinione pubblica mondiale che il conflitto è
prima di tutto «tra gli arabi della Palestina da una parte e lo stato di occupazione sionista
187
Ibidem.
Interview with Nayef Hawatmeh, «Middle East for Revolutionary Socialism», cit., p. 18.
189
La liberazione dei territori occupati, cit., p. 12.
188
65
dall’altra»190. Sarà una fase di guerra guerreggiata in cui si dovrà evitare lo scontro frontale
contro un nemico sproporzionatamente più forte. Nella seconda fase è prevedibile che il
nemico allarghi il conflitto ai Paesi arabi e, a quel punto, la lotta di liberazione giungerà alla
fase dello scontro tra la nazione araba e l’esercito sionista. In questa fase sarà necessaria la
coesione di tutte le forze rivoluzionarie arabe con quelle palestinesi, lo schiacciamento di
quelle reazionarie e disfattiste e l’unificazione della leadership araba191.
Secondo Fatah, l’unità della nazione araba non può realizzarsi nel breve periodo a
meno che non si verifichi un cambiamento radicale che ne capovolga i modelli di riferimento:
la «battaglia per la Palestina è il mezzo più adeguato per realizzare questo grande mutamento
storico nel processo di sviluppo della nazione araba»192. È in Palestina che si gioca il futuro
del mondo arabo perché è la lotta armata che permette «l’acquisizione di un’ideologia
rivoluzionaria unica per la società araba moderna»193 attraverso una strategia fondata sulla
difesa e sull’attacco e non solo sulla difesa, come in passato. La lotta dei palestinesi svolge
una funzione molteplice nel contesto arabo: indica quale è il vero obiettivo della rivoluzione,
cioè la liberazione della Palestina, evitando che le masse arabe si concentrino sulla
«realizzazione particolaristica del benessere individuale e del proprio paese»194; è la «spinta
essenziale»195 che permette alla nazione araba di non allontanarsi dalle avanguardie in lotta e
anticipare lo scontro col nemico prima che quest’ultimo si consolidi ulteriormente; infine,
permette di «eliminare dalla mentalità araba tutti i residui passivi di sclerotizzazione»196 e di
complesso di impotenza.
Fronte Popolare di Liberazione della Palestina
Nella visione del FPLP l'«unione tra rivoluzione palestinese e rivoluzione araba»197 è la
condizione fondamentale per la liberazione. La rivoluzione palestinese non potrà essere
vittoriosa fino a quando non si verificheranno dei cambiamenti rivoluzionari nel mondo arabo
tali da rovesciare gli attuali rapporti di forza, sfavorevoli alla rivoluzione, e fino a quando la
rivoluzione non sarà in grado di ricavarsi una solida base di appoggio, protezione e supporto
190
Ibidem.
Ibidem.
192
Ibidem.
193
Ibidem.
194
Ivi, p. 14
195
Ibidem.
196
Ibidem.
197
Strategy cit, Capitolo VII.
191
66
alle operazioni di guerriglia contro Israele198. In attesa che le forze rivoluzionarie nel mondo
arabo maturino fino a convergere in un fronte unico con quelle palestinesi, la resistenza
palestinese potrà stringere alleanze tattiche coi regimi nazionalisti piccolo-borghesi di Egitto,
Siria e Iraq, ma rifiuterà qualsiasi relazione con i regimi arabi reazionari guidati dall’alleanza
tra colonialismo, capitalismo e feudalesimo, come il Libano e la Giordania.
Nel maggio del 1970, il segretario generale del FPLP George Habash afferma che il
processo di lotta nella regione condurrà verso «the full integration of the Palestinian
revolution with the Arab revolution [...] and, consequently, to the unity of the area»199. Non è
possibile liberare la Palestina all’interno dell’attuale struttura del mondo arabo e alla luce dei
rapporti di forza esistenti, dove dominano i regimi arabi reazionari e nazionalisti. Il compito
immediato della rivoluzione palestinese è l'alterazione dello status quo nel mondo arabo: «the
operation of liberating Palestine will be the culmination of unification and radical change
comprehending the Arab area, and the area surrounding Israel in particular»200.
L’unificazione dei movimenti di liberazione palestinese e arabo in una regione trasformata in
senso favorevole alla rivoluzione e alla lotta popolare armata di lungo periodo condurrà
necessariamente alla liberazione della Palestina dal sionismo e dall’imperialismo e alla sua
naturale integrazione in una «unified revolutionary Arab entity»201. Da qui la necessità di
porre
strategic emphasis on the “Arab Hanoi” motto as a revolutionary principle creating
coalescence between the Palestinian revolution and the Arab revolution and forming
a firm foundation for the Palestinian and Arab national liberation movement which
would enable it to stand in the face of the enemy camp and gain superiority over it
202
.
La determinazione a creare una "Hanoi araba" in Giordania porterà il FPLP a ricoprire un
ruolo di primo piano nel far precipitare gli eventi in Giordania alla vigilia del Settembre nero,
dirottando il 7 settembre del 1970 tre aerei di linea e sfidando apertamente la sovranità
giordana.
198
Il principio che la liberazione della Palestina fosse possibile solo attraverso uno sforzo collettivo arabo era
evidentemente uno dei retaggi politici dell’esperienza dei dirigenti del FPLP nel Mna. Secondo quanto riporta
lo studioso e membro del Mna al-Kubaysi nella sua tesi di dottorato sulla storia del Movimento, Wadi Haddad,
in particolare, ripeteva sempre che «la strada per Tel Aviv passa per Damasco, Bagdad, Amman e il Cairo». In
al-Kubaysi B., Storia del Movimento dei Nazionalisti Arabi, cit., p. 80.
199
Newspaper Interview Statements by Secretary-General Habbash of the P.F.L.P. on Theoretical, Political and
Military Questions Related to the Palestinian Movement, «al-Ahrar», May 22 1970, in «IDP 1970», cit., pp.
802.
200
Ibidem.
201
Ibidem.
202
Strategy, cit., Capitolo VII. Per "Hanoi araba" si intende una zona “liberata” dal controllo delle forze
reazionarie in cui il MRP operi in libertà e possa consolidare la sua presenza militare e politica.
67
Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina
Anche il segretario generale del FDPLP Nayif Hawatma colloca la lotta di liberazione
palestinese all'interno del contesto di rivoluzione globale:
We also regard the DPFLP as an inseparable part of the national liberation struggle
in the underdeveloped countries, Asia, Africa and Latin America, and also as an
inseparable part of the world social revolution203.
Dal momento che Israele e il movimento sionista sono direttamente connessi con
l’imperialismo e il colonialismo, il movimento di liberazione palestinese deve allearsi con
tutti i movimenti antimperialisti dell’area che sostengono la lotta armata di lunga durata: il
FDPLP ha l’obiettivo di allearsi con i movimenti di liberazione arabi in generale e con le
forze della sinistra rivoluzionaria in particolare, in modo da assicurarsi che le forze
rivoluzionarie siano dirette contro le forze della controrivoluzione «represented by Zionism
and its colonial base, Imperialism and Arab reaction»204. Bisogna specificare che per il
FDPLP quest'ultima categoria comprende sia i regimi feudali e semi-borghesi, alleati con
l'imperialismo, sia quelli poccolo-borghesi, legati all'imperialismo. I Paesi della penisola
araba e del Golfo sono un esempio di forze reazionarie arabe direttamente alleate
all’imperialismo e al colonialismo. I regimi piccolo borghesi di Egitto, Algeria, Siria e Iraq,
sebbene non facciano parte della reazione araba vera e propria, non possono essere annoverati
nel campo degli alleati. In ragione della loro natura di classe, non sono in grado di mobilitare
e armare le classi lavoratrici e devono quindi essere combattuti dalle masse arabe.
Nella Piattaforma di agosto il gruppo di Hawatma afferma che la destra della
resistenza ha inteso il concetto di non interferenza negli affari arabi in modo astratto e
astorico, demagogico e reazionario, che nasconde di fatto le posizioni disfattiste dei regimi
arabi nei confronti della causa palestinese e le loro responsabilità nella sconfitta del giugno
1967. In un’intervista dell’aprile del 1969 Salih Raʿfat, alto quadro militare e membro
dell’ufficio politico del FDPLP, sostiene che per avere possibilità di successo la resistenza
palestinese, «con alla testa l’alleanza tra operai e contadini e guidati dall’ideologia
proletaria»205, deve innanzitutto «fondersi in un unico fronte arabo rivoluzionario»206 in
opposizione alle forze contro-rivoluzionarie della regione. L'internazionalismo è un elemento
203
Interview with Nayef Hawatmeh, «Middle East for Revolutionary Socialism», cit., p. 17.
Ibidem.
205
Interview with Saleh Ra’fat, «al-Hurriya», April 14 1969, in Democratic Popular Front for the Liberation of
Palestine, cit., p. 16.
206
Ibidem.
204
68
centrale nel discorso politico del FDPLP: le forze rivoluzionarie palestinesi devono fondersi
con le forze rivoluzionarie internazionali: «from Cuba to Vietnam to Palestina, the question
of revolution is one and the same»207. Il ruolo della lotta palestinese ha senso solo se inserito
nel contesto arabo di lotta per la costituzione di una federazione araba socialista, e nel
contesto internazionale per la costruzione di un ordine mondiale socialista208. Questa visione
del ruolo del FDPLP come avanguardia del movimento di liberazione arabo spiega anche
l'attivismo con il quale l'organizzazione di Hawatma perorò la causa dello scontro diretto con
la monarchia hashemita nei mesi che precedettero il Settembre nero, sollevando lo slogan
"tutto il potere alla resistenza, ai soldati e al popolo armato".
Il campo dei nemici
Nella visione palestino-centrica di Fatah il nemico principale della rivoluzione palestinese è
Israele, appoggiato dal sionismo mondiale; contro di esso vanno diretti tutti gli sforzi
politico-militari e decise le alleanze a livello arabo e internazionale. Per le organizzazioni
marxiste-leniniste Israele è solamente lo strumento attraverso cui l'imperialismo mondiale
difende i propri interessi nella regione; di conseguenza, diventa prioritario colpire in primo
luogo le forze imperialiste mondiali e le forze reazionarie arabe e palestinesi che lo
appoggiano.
Fatah
Nella visione di Fatah, i nemici della rivoluzione sono, in ordine d'importanza: Israele, il
movimento sionista e l’imperialismo. In al-Fateh: the Palestine National Liberation
Movement, Israele è descritto come:
Remains a usurper addicted to violence, bent on territorial expansion to occupy all
of the so-called "Eretz Israel", and fundamentally motivated by principles of racial
209
and religious self-segregation, exclusiveness and supremacy .
In generale, nei testi di Fatah Israele è sempre considerato in base all'esperienza diretta che ne
fanno i palestinesi piuttosto che per la sua funzione nel sistema imperialista mondiale. Non è
mai definito come "Stato" (dawla) bensì come "entità" (kiyan), è considerato razzista ed
esclusivista in quanto ha come obiettivo dichiarato la fondazione di uno Stato per soli ebrei.
207
Ibidem.
Ibidem.
209
Al-Fateh, Al-Fateh: the Palestine National Liberation Movement, cit., p. 5.
208
69
Inoltre, alla discriminazione primaria tra sionisti e arabi si somma la discriminazione
secondaria tra ebrei orientali ed ebrei occidentali, che formano l'establishment sionista.
A differenza del FPLP e del FDPLP, secondo i quali la creazione di Israele è in primo
luogo attribuibile alla difesa degli interessi dell’imperialismo statunitense, nella visione di
Fatah «il problema palestinese è un problema creato dallo Stato coloniale sionista di
Israele»210, responsabile dello sradicamento dei palestinesi e della negazione dei loro diritti
fondamentali. La sostituzione del popolo indigeno con un popolo straniero fa del primo un
popolo di sfruttati e di oppressi nella sua totalità, al di là delle differenze di classe o di altro
tipo. In La liberazione dei territori occupati si chiarisce il rapporto tra il sionismo e
l'imperialismo:
con l'occupazione sionista il nostro popolo è stato sostituito da diversi frammenti di
altri popoli [...] diretti da un movimento imperialista e razzista: il sionismo,
appoggiato dai mezzi finanziari, politici e propagandistici dei maggiori Stati
imperialistici: gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra, con i quali hanno collaborato
[...] un pugno di governanti arabi traditori 211.
Nonostante la connessione del sionismo con l'imperialismo internazionale, e l'appoggio
ricevuto da parte dell'elite araba, la lotta di Fatah si dirige specificamente contro
"l'imperialismo sionista". A differenza degli altri movimenti imperialisti che consistono
nell’occupazione militare di un paese per sfruttarne le risorse umane e materiali, il sionismo
si distingue per la particolare forma di colonizzazione, che in Palestina ha comportato la
sostituzione del popolo originario con un popolo straniero, e per l'espansionismo aggressivo,
la spinta cioè ad allargare i propri confini manu militari. Israele è solo la manifestazione
visibile di questo movimento potente e organizzato a livello mondiale. Ne consegue che la
lotta armata «deve portare non solo all’eliminazione di una base imperialista, ma alla
distruzione dell’intera struttura sionista della società [...] per estirparne completamente le
radici, distruggendo le diverse istituzioni militari, politiche ed economiche e stroncando ogni
loro possibile rinascita»212.
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
Nella visione del FPLP, il campo dei nemici è composto da Israele, dal sionismo mondiale,
dall’imperialismo e dalla reazione araba. Attingendo largamente al testo di Mao Tse Tung
Analysis of the Classes of Chinese Society, il FPLP dedica ampio spazio allo studio
210
Ibidem.
La liberazione dei territori occupati, cit., p. 9.
212
Ivi, p. 11.
211
70
scientifico del campo del nemico: solo la valutazione della natura e della dimensione del
campo del nemico permette di impostare correttamente la strategia di liberazione. In
Strategia Israele è descritto in questi termini: «a political. military and economic entity which
is trying to effect the maximum military mobilisation of its two and a half million nationals to
defend its aggressive expansionist racial structure and prevent us from regaining our land, our
freedom and our rights»213.
Nell'analisi del FPLP Israele e il movimento sionista sono definiti soprattutto per la
funzione che svolgono all'interno del sistema imperialista mondiale. Israele ha il compito di
impedire alle forze progressiste arabe di svilupparsi e di unirsi, in modo da garantire alle
forze imperialiste lo sfruttamento delle risorse umane e materiali del mondo arabo. Israele è
lo strumento che l’imperialismo utilizza nel combattere le forze della rivoluzione nel mondo
arabo: il suo compito è contenere le forze della rivoluzione e perpetuare lo sfruttamento della
ricchezza nella regione.
Nella visione del FPLP, Israele è la manifestazione immediata e visibile di un nemico
molto più potente e ramificato a livello mondiale che ne determina, in ultima istanza, la
capacità militare, la sussistenza economica e il sostegno politico. In questa prospettiva,
sarebbe un grande errore confinare la visione del campo del nemico ad Israele. Se si allarga
lo sguardo si comprende infatti che Israele è in realtà parte integrante del movimento sionista
mondiale. Il FPLP considera il sionismo «a usurping racialist movement spread throughout
the world. Most of its resources are in the United States. Therefore the link between Zionism
and United States imperialism is an n organic one»214. Il movimento sionista non si limita al
sostegno morale di Israele, ma è una fonte considerevole di supporto materiale che significa
di fatto «more people, more money, more arms, more technical knowhow and more alliances
concluded by the movement by virtue of its influence, in addition to its support through
publicity and propaganda in every part of the world»215.
Oltre ad Israele ed al sionismo mondiale, il campo dei nemici comprende
l’imperialismo, spesso definito come il nemico principale. Le forze dell’imperialismo hanno
precisi interessi che consistono «in robbing the riches of the underdeveloped countries by
purchasing them at the lowest prices and then processing these riches and re-selling them at
213
Strategy, cit., Capitolo II.
Memorandum by the Popular Front for the Liberation of Palestine to the Fourth Palestine National
Assembly, 10 July 1968, in «IDP 1968», cit., p. 389. L’originale in arabo è stato pubblicato su «al-Hurriyya»,
22/7/1968. In seguito alla formazione del FDPLP l’organo ufficiale del FPLP sarà il settimanale «al-Hadaf».
215
Strategy, Capitolo II.
214
71
the highest prices in the markets of these same countries»216. In Strategy si legge che il
mondo arabo costituisce un’importante mercato di consumo per i beni manufatturieri prodotti
dei paesi capitalistici grazie allo sfruttamento delle risorse naturali arabe. Per questa ragione i
movimenti rivoluzionari arabi che hanno come obiettivo la fine dello sfruttamento
costituiscono la principale minaccia agli interessi dell’imperialismo. Israele rappresenta
perciò la base usata dall’imperialismo per difendere i suoi interessi nel mondo arabo,
impedendone l’integrità territoriale e l’unità politica, principale minaccia all'egemonia
imperialista nella regione. È proprio per mezzo di Israele che l'imperialismo è in grado di
combattere il movimento rivoluzionario arabo.
Nella valutazione del campo del nemico bisogna tenere in considerazione l'esistenza
di «an organic unity between Israel and the Zionist movement on the one hand and word
imperialism on the other, because they are both interested in fighting the Palestinian and Arab
national liberation movement»217. Nel memorandum alla quarta sessione del CNP del luglio
1968, il FPLP afferma che l’economia israeliana «cannot last without the infusion of
American assistance which includes funds, arms and all the means of subsistance»218. La lotta
palestinese non si può fermare alle frontiere israeliane, ma deve tenere conto della
dimensione mondiale delle forze coinvolte per mettere in campo un'altrettanto vasta alleanza
di forze. Per questo motivo il FPLP fu attivo anche in operazioni estere contro obiettivi
sionisti o imperialisti, tra cui i dirottamenti aerei dei primi anni settanta sono tra gli esempi
più spettacolari. In ragione della connessione organica tra imperialismo statunitense e
sionismo mondiale «decisive confrontation of the Israeli menace can only be achieved by the
mobilisation of all Arab resources and forces throughout the entire Arab homeland»219, a cui
bisogna aggiungere l’assistenza e il supporto materiale dei paesi del campo socialista e da un
certo numero di paesi del Terzo Mondo.
Ciò che contraddistingue l’analisi del FPLP è l’individuazione di un quarto nemico
della rivoluzione palestinese: la reazione araba rappresentata dal feudalesimo e dal
capitalismo. In Strategia si legge che
The classification of Arab reaction as one of the forces of the enemy is of the
utmost importance, because failure to recognize this fact means failure to have a
clear view before us. In actual practice it means failure to take account of real bases
216
Ibidem.
Ibidem.
218
Memorandum by the Popular Front for the Liberation of Palestine to the Fourth Palestine National
Assembly, 10 July 1968, cit., p. 389.
219
Ibidem.
217
72
and forces for the enemy camp which are living among us and are capable of
playing a diversionary role which disguises the facts of the battle before the masses
and which, when the opportunity arises, will take the revolution unawares and deal
it a blow leading to defeat220.
Il capitalismo arabo, i cui interessi sono difesi dai regimi arabi reazionari, è
considerato dal FPLP uno dei rami deboli del capitalismo mondiale e non un soggetto politico
autonomo. Gli interessi di classe della reazione araba la pongono come alleato naturale
dell’imperialismo nella regione e quindi automaticamente nel campo dei nemici delle masse:
The millionaires of the Arab world, including merchants, bankers, feudal lords,
owners of large estates, kings, emirs and sheikhs [...] cannot keep their millions
unless our land remains a market for foreign goods and foreign investments, and
unless the colonialists continue to plunder our oil and other resources221.
Nella visione scientifica del campo del nemico la reazione araba occupa un posto particolare
in quanto, a differenza dell’imperialismo, del sionismo mondiale e di Israele, si trova
all’interno del mondo arabo e all’interno della società palestinese. Alla luce degli interessi di
classe delle forze feudali e capitalistiche nel mondo arabo, inconciliabili con quelli delle
masse e delle forze della rivoluzione, la reazione araba non può che approfittare di qualsiasi
occasione per tentare di eliminare la resistenza palestinese. Questo spiega perché il FPLP si
pose sempre come il principale rivale della "destra" (Fatah) del MRP, e sarà tra i principali
sostenitori del rovesciamento della monarchia hashemita di Giordania nel periodo 1970-71 e
del coinvolgimento della resistenza palestinese a fianco del Movimento nazionale libanese
guidato dal leader druso Kamal Jumblatt nel corso della guerra civile libanese.
Come nota Valerio Evangelisti, a differenza di Fatah, che ritiene controproducente la
coniugazione di lotta di classe e di lotta nazionale, l'identificazione di un nemico interno
permette alle organizzazioni marxiste-leniniste di passare
«dalla visione di una società omogenea e omogeneamente oppressa, tipica del
nazionalismo piccolo-borghese, alla consapevolezza di una stratificazione in classi
anche all’interno della società colonizzata, e quindi di una gamma differenziata di
rapporti (dall’antagonismo, all’acquiescenza, alla coincidenza di interessi) con i
colonizzatori»222.
Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina
220
Ibidem.
Ibidem.
222
Evangelisti V., I primi anni del Fronte popolare di liberazione della Palestina, saggio pubblicato per la
prima
volta
nel
1987
(consultato
l'1
ottobre
2011).
Disponibile
all'indirizzo:
http://www.carmillaonline.com/archives/2010/08/003581.html#003581 .
221
73
Nel Memorandum alla settima sessione del CNP del giugno 1970, il FDPLP identifica il
campo dei nemici: «Zionism, plus imperialism, plus the reactionary regimes and classes
linked with imperialism and colonialism»223. A volte appare anche il riferimento al
capitalismo internazionale nel campo dei nemici. Le classi e i regimi reazionari nel mondo
arabo appartengono alle forze della controrivoluzione, sono descritti come alleati naturali
dell’imperialismo e del movimento sionista e di conseguenza sono considerati strumenti
dell’imperialismo che, a partire dalla disfatta del 1948, hanno sempre «have played the part
of policemen in protecting colonial interests in Arab territory and in suppressing and
liquidating the national movement»224. Il sionismo mondiale è collegato con l’entità sionista,
che ne è l’incarnazione. Quest'ultima ha un carattere duale: «it is a racialist and expansionist
entity, and at the same time is linked with imperialism»225 che «implanted it in Palestine […]
to play the role of a firm colonialist outpost and base to serve the interests of imperialism in
the Arab countries»226.
Israele non è solo il "gendarme" degli interessi dell’imperialismo, ma anche lo
strumento per la repressione dei movimenti di liberazione nazionale arabi e palestinesi. La
lotta di liberazione del popolo palestinese è diretta «innanzitutto contro l’imperialismo
mondiale guidato dagli Stati Uniti d’America, i veri sostenitori e protettori dello Stato
sionista227. Cionondimeno, l’individuazione da parte del FDPLP di un nemico a carattere
mondiale, non significa, come nel caso del FPLP e di altre organizzazioni, adottare lo slogan
"colpire il nemico e i suoi interessi ovunque si trovino". Il FDPLP limita infatti la sua attività
militare al territorio della Palestina e a tutte le altre aree arabe dove ci sono concentrazioni di
palestinesi.
L'analisi del FDPLP si contraddistigue per l'individuazione dei regimi piccoloborghesi tra i nemici della rivoluzione: «the struggle for national liberation of the Palestinian
people is intimately related to the struggle of the Arab masses against imperialism, Arab
reaction and the petit bourgeois regimes»228. Questi ultimi infatti sono stati incapaci di
organizzare le classi lavoratrici verso la guerra popolare armata di lungo periodo, in quanto
spaventate dal loro potenziale rivoluzionario, e condividono con i regimi reazionari la
223
Memorandum of the P.D.F.L.P. to the Seventh Session of the Palestine National Assembly on the “Present
Tasks of the Palestinian Resistance Movement”, in «IDP 1970», cit. p. 818.
224
Ibidem.
225
Ibidem.
226
Ibidem.
227
Ibidem.
228
What are we Fighting for?, in , cit., p. 17.
74
responsabilità della disfatta del giugno 1967. Il MRP non dovrebbe quindi in nessun caso
stringere alleanza con i regimi piccolo borghesi in quanto in ultima istanza contrari agli
obiettivi di rivoluzione socialista e di unità politica nel mondo arabo. Il ruolo della piccola
borghesia nella rivoluzione palestinese sarà uno dei temi sui quali si consumerà la scissione
del FDPLP dal FPLP nel febbraio del 1969. Neanche il FPLP, per il quale i regimi piccolo
borghesi sono potenziali alleati nella fase di liberazione nazionale, è stato in grado di
condurre fino in fondo la propria critica ai “regimi patriottici piccolo borghesi” di Algeria,
Siria, Egitto e Iraq. Il FDPLP arrivò a contestare il supporto finanziario che il FPLP riceveva
dall'Egitto nasserista e dall'Iraq baʿthista, vantandosi di essere l'unica organizzazione a non
ricevere
229
il
supporto
di
alcuno
stato
arabo229.
Hudson M. C., Developments and Setbacks in the Palestinian Resistance Movement 1967-1971, cit., p. 81.
75
CAPITOLO II. L'ELABORAZIONE DELL'IDEA DI STATO DEMOCRATICO 196770
Origini e rilevanza
Il dibattito sullo Stato democratico si sviluppò sostanzialmente nel periodo d'oro del MRP, tra
il marzo 1968 e il settembre 1970, quando la resistenza elaborò le questioni politiche
fondamentali legate alla natura e agli obiettivi della lotta di liberazione. Figlia del clima di
competizione ideologica e di fervore intellettuale che caratterizzò il mondo arabo nel periodo
successivo al 1967, l'idea di Stato democratico rappresentò uno degli aspetti più originali del
pensiero palestinese di resistenza. Tuttavia, al fine di non esasperare le divergenze
ideologiche che esistevano tra le varie organizzazioni, gli interventi sul tema erano spesso
abbozzati e presentavano lacune, ambiguità e contraddizioni che si prestavano a varie
interpretazioni e consentivano ai soggetti coinvolti ampio spazio di manovra. Per questa
ragione nei programmi e nelle risoluzioni ufficiali dell’OLP mancò sempre una visione
dettagliata del tipo di Stato che sarebbe nato dopo la liberazione e le organizzazioni del MRP
trovarono più semplice eludere le questioni spinose, raggiungendo una convergenza di fondo
sull’obiettivo generale della desionizzazione di Israele1. Di conseguenza, la proposta di Stato
democratico restò più una visione del futuro che un programma politico dettagliato e
provvisto di un piano di implementazione.
Diverse ragioni spiegano perché la proposta di Stato democratico fu elaborata in quel
preciso periodo storico e perché fu adottata come obiettivo strategico dell'OLP. Sicuramente,
essa rifletteva il processo di consolidamento di un nazionalismo palestinese a base
territoriale, conseguenza del progressivo venir meno dei "tre miti" sui quali era fondato il
nazionalismo panarabo, su cui molti palestinesi avevano riposto le speranze di liberazione: il
mito dell'Egitto come "Piemonte o Prussia araba", tramontato in seguito alla disfatta della
guerra del giugno 1967 e alle successive politiche isolazioniste di Anwar Sadat. Il mito dei
confini artificiali degli Stati arabi fu confutato nel momento in cui anche gli Stati di più
dubbia legittimità riuscirono a consolidare uno stato-nazione in tempi relativamente brevi.
Infine, anche il mito dell'interesse comune arabo cadde in disgrazia nel momento in cui ogni
1
Mohamad H., The Changing Meaning of Statehood in PLO Ideology and Practice, «The Palestine-Israel
Journal», Vol. 6, No. 2, 1999 (consultato il 12 agosto 2011). Disponibile all'indirizzo:
http://www.pij.org/index.php .
stato perseguiva i propri interessi particolari sacrificando la comune causa araba2.
Il discorso sullo Stato democratico esponeva la vera natura della questione
palestinese, e del sionismo, movimento coloniale di insediamento basato sullo sradicamento
dei palestinesi e sull'espansionismo, ponendola nella giusta prospettiva storica: tragedia
nazionale palestinese non cominciava nel 1967, con l'occupazione israeliana di Cisgiordania
e Striscia di Gaza, ma era la diretta conseguenza della creazione dello Stato di Israele nel
1948 che aveva portato all'espulsione di quasi un milione di palestinesi. Di conseguenza, la
soluzione non poteva limitarsi ai palestinesi che si trovavano nei territori occupati nel giugno
1967, ma doveva riguardare anche i profughi e i palestinesi in Israele, cittadini di seconda
classe.
Impiegando la parola d'ordine dello Stato democratico il MRP riaffermava
l'indivisibilità del territorio della Palestina storica3 contro ogni tentativo di spartizione
avanzato da chi sosteneva la formazione di uno "staterello" sui territori occupati da Israele nel
giugno 1967, o di un'amministrazione autonoma sotto gli auspici della potenza occupante, o
addirittura il ritorno alla sovranità giordana. Inoltre, il MRP era costituito per la stragrande
maggioranza da palestinesi della diaspora che lottavano per tornare alle proprie case e
proprietà (che si trovavano nel territorio che costituiva lo Stato di Israele) e non erano
disposti ad accettare qualcosa di meno della liberazione di tutto il suolo patrio. Allo stesso
tempo, i leader del MRP sapevano che la Palestina del 1967 non era più quella del 1948, e
bisognava in qualche modo fare i conti con la sua popolazione ebraica. Dal punto di vista dei
palestinesi, la proposta di Stato democratico rappresentava quindi una concessione storica: i
legittimi proprietari della terra erano pronti a condividerla con i coloni ebraici, la maggior
parte dei quali si erano insediati solo recentemente ed erano percepiti come i responsabili
dello sradicamento degli abitanti palestinesi autoctoni4.
Il fatto che la proposta di Stato democratico sia stata avanzata da Fatah dipende anche
dalla formazione culturale del suo gruppo dirigente. La maggior parte dei membri del
Comitato centrale di Fatah ha avuto una traiettoria biografica simile. Nati in Palestina tra la
fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta da famiglie della borghesia musulmana
2
Sivan E., Arab Nationalism in the Age of the Islamic Resurgence, in Gershoni I., Jankowski J. (eds), op. cit.,
pp. 209-227. Su qest'ultimo tema si veda anche: Hussain M., The Palestine Liberation Movement and Arab
Regimes: The Great Betrayal, «Economic and Political Weekly», Vol. 8, No. 45 (Nov. 10, 1973), pp. 20232028.
3
Si intende la Palestina mandataria che attualmente comprende Israele nei confini antecedenti alla guerra del
1967 e i Territori palestinesi occupati (Striscia di Gaza e Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est).
4
Muslih M., Towards Coexistence: An Analysis of the Resolutions of the Palestine National Council, «Journal
of Palestine Studies», Vol. 19, No. 4, Summer 1990, p. 14.
77
sunnita, si erano formati in Egitto e lì iniziarono l'attività politica nell'Unione degli studenti
palestinesi. Molti furono anche attivi nei Fratelli Musulmani. In seguito, parteciparono alla
resistenza all'occupazione israeliana del 1955-56 e conobbero anche la repressione nasseriana
a Gaza e al Cairo. Non deve stupire che per loro la questione palestinese fosse preminente
rispetto a quella araba e che l'obiettivo della lotta di liberazione fosse in primo luogo
l'edificazione di uno Stato palestinese indipendente.
Al contrario, molti dirigenti del FPLP e del FDPLP (per non parlare delle
organizzazioni legate ai regimi arabi, come al-Saʿiqa e il FLA) erano arabi non palestinesi o
nati fuori dalla Palestina o non musulmani (il leader del FDPL Nayif Hawatma, di origini
cristiano-transgiordane, e il leader del FPLP George Habash, di origini cristiano-ortodosse).
Studiarono a Beirut o ad Amman e furono attivi nel MNA. Per loro la liberazione della
Palestina doveva essere il culmine di un processo che avrebbe condotto alla rimozione delle
"entità artificiali" (gli Stati arabi) e all'unità araba5. Questo spiegherebbe l'opposizione
iniziale delle organizzazioni panarabiste alla creazione dell'ennesimo stato del Medio Oriente
e le accuse di "regionalismo" (iqlimiyya) o addirittura di "separatismo" (infisaliyya) rivolte a
Fatah. Non è un caso che queste organizzazioni preferiscano parlare di "società democratica"
o "soluzione democratica" alla questione palestinese ed ebraica all'interno di un'entità araba
unificata.
L’esigenza di chiarire la natura e gli obiettivi della lotta di liberazione nacque anche in
risposta alle sollecitazioni che provenivano dai nuovi contatti che il MRP stringeva al di fuori
del mondo arabo, in particolare a Parigi e a Londra. Secondo l’allora rappresentante di Fatah
a Parigi Abu Hatim «è alla luce della nostra esperienza e dei nostri contatti che abbiamo
adottato la risoluzione del 1° gennaio 1969, che è stata resa pubblica appunto a Parigi»6. Lo
slogan dello Stato democratico fu avanzato avanzato anche per tranquillizzare l'opinione
pubblica progressista e i movimenti della sinistra in occidente sulle reali intenzioni del MRP
e sulla natura della lotta di liberazione palestinese, nel momento in cui il prestigio dei
fida'iyyin nel mondo arabo era al culmine. Per i leader palestinesi la proposta di Stato
democratico era la risposta alla campagna di delegittimazione del movimento nazionale
palestinese, accusato dalla pubblicistica israeliana e antiaraba di antisemitismo e intenzioni
genocide. Per i leader e gli esperti israeliani di affari arabi israeliani, lo Stato democratico era
5
La spiegazione delle attitudini dei leader palestinesi in base alle loro origini è stata avanzata da Quandt W.,
The Politics of Palestinian Nationalism, cit., pp. 79-93.
6
In Gresh A., Storia dell’Olp, cit., pp. 36-37.
78
considerato uno "slogan fraudolento"7 che avrebbe comportato, assieme alla distruzione di
Israele, l'eliminazione della sua comunità ebraica.
Le organizzazioni del MRP affermarono ad nauseam che il prerequisito per una
convivenza tra arabi palestinesi ed ebrei israeliani fondata su basi di uguaglianza consisteva
nello smantellamento delle strutture ideologiche e istituzionali sioniste di Israele. Per poter
stringere un'alleanza con gli ebrei israeliani potenzialmente sensibili alla causa palestinese
occorreva rompere la sovrastruttura ideologica del sionismo e l'egemonia culturale che
esercitava sugli ebrei, e persuaderli che le basi della coesistenza tra arabi ed ebrei in Palestina
e nel mondo arabo passavano per la liquidazione dello Stato sionista. In questo senso, la
proposta di Stato democratico era anche un tentativo di avvicinare gli ebrei israeliani
antisionisti e progressisti alla causa palestinese.
La proposta di Stato democratico permetteva di ribadire l'ispirazione laica e
anticolonialista della lotta di liberazione palestinese e allo stesso tempo esporre la natura
coloniale della presenza sionista in Palestina. La visione di futuro avanzata dal MRP era
posta in netta antitesi a quella di Israele e del movimento sionista. Se l'obiettivo del
movimento sionista era l'espulsione degli abitanti autoctoni e la loro sostituzione con coloni
ebraici, il MRP avrebbe lottato invece per una società in cui anche i coloni sarebbero stati
accolti come cittadini con pari diritti e doveri. L'obiettivo della lotta di liberazione palestinese
era duplice: liberare la Palestina dall'occupazione sionista e allo stesso tempo liberare gli
ebrei dagli atteggiamenti esclusivisti, espansionisti e aggressivi del sionismo.
Le origini del conflitto sono da ricercare nello sradicamento dei palestinesi e
nell'occupazione della loro terra da parte del movimento coloniale sionista al fine di creare
uno Stato a maggioranza ebraica in Palestina. Non era possibile raggiungere una pace giusta e
duratura tra ebrei e palestinesi in Palestina senza prima lo smantellamento delle strutture
ideologiche e istituzionali colonialiste di Israele. In questo senso l'importanza della proposta
di Stato democratico stava nel formulare la questione palestinese in termini di lotta
anticolonialista, e non di scontro tra culture o civiltà, o tra religioni, o tra due nazionalismi
per la spartizione dello stesso territorio.
L'elaborazione iniziale
Secondo lo studioso Wahid ʿAbdul-Majid a partire dalla nakba l'idea dello Stato democratico
7
Harkabi Y., The Fraudulent Slogan of 'a Democratic Palestinian State', cit.
79
ricompare nel pensiero politico palestinese contemporaneo solo agli inizi del 19688. Nella
conferenza del Permanent Bureau for Guerrilla Action, tenuta al Cairo tra il 17 e il 20
gennaio, le organizzazioni di fida'iyyin ribadiscono che uno degli obiettivi della resistenza
palestinese consiste «nell'istituzione di uno Stato democratico palestinese indipendente e
sovrano che garantisca ai cittadini indigeni [al-muwataniyn al-asliyya] i loro diritti legittimi
senza discriminazioni di religione o credo e con Gerusalemme come sua capitale»9. Da allora,
sostiene ‘Abdul-Majid, lo Stato democratico palestinese come obiettivo della lotta di
liberazione sarà una costante nel discorso politico palestinese.
In My Home, My Land, Salah Khalaf afferma che la proposta di Stato democratico era
stata discussa dalla leadership di Fatah fin dagli esordi del movimento, ma fu resa pubblica
solo nel 1968. La leadership precedente aveva commesso l’errore di sottovalutare
l’importanza di integrare la componente ebraica all’interno del movimento di liberazione, in
modo da convincerla che il suo vero interesse non risiedeva nel sionismo, ma nel
perseguimento di una vera pace con la popolazione araba. Secondo Khalaf la proposta di
Stato democratico su tutta la Palestina in cui ebrei, cristiani e musulmani avrebbero vissuto in
armonia come eguali cittadini fu concepita proprio al fine di raggiungere questa
integrazione10.
Secondo il giornalista Eric Rouleau, alcuni dei fondatori di Fatah avrebbero
confermato che l'idea di Stato democratico nasce durante l'occupazione israeliana della
Striscia di Gaza durante il 1956, quando i nazionalisti palestinesi si trovano di fronte ad ebrei
nati in Palestina e in altri paesi mediorientali e con cui sentono di appartenere a una cultura
araba comune. Alcuni leader di Fatah riferiscono a Rouleau che a partire da quegli eventi «we
realized then that the Palestinians and the Jews of Middle Eastern origin - who constitute the
majority in Israel - had many things in common and could coexist very well in a single state
which would be free of both Zionism and Arab chauvinism»11.
Prima dell'adozione ufficiale della proposta, alcuni leader di Fatah avevano già preso
le distanze dalla leadership tradizionale dell’OLP, accusata di populismo e sciovinismo, per
affermare il carattere progressista della nuova generazione di fida'iyyin. Già nel corso del
1968 Fatah rilascia dichiarazioni generiche sulla Palestina del futuro. Ad esempio, nel primo
comunicato internazionale alla stampa mondiale del gennaio 1968 Fatah annuncia
8
ʿAbdul-Majid W., Mas'ala al-dawla al-dimuqratiyya fi al-fikr al-filastini [La questione dello Stato
democratico nel pensiero palestinese] , «Qidaya ʿArabiya», Vol. 6, no. 7, November 1979, p. 178.
9
Ibidem.
10
Abu lyad (with Eric Rouleau), My Home, My Land, cit., p. 30-31.
11
Rouleau E., The Palestinian Quest, «Foreign Affairs», Vol. 53, No. 2, January 1975, p. 272.
80
pubblicamente che «il giorno in cui la bandiera palestinese sarà issata sulla loro terra pacifica,
democratica e liberata, comincerà una nuova era in cui gli ebrei palestinesi vivranno di nuovo
in armonia fianco a fianco con i proprietari originari della terra, gli arabi palestinesi»12. Nel
giugno dello stesso anno il neoeletto portavoce di Fatah Yasir Arafat dichiara:
Muslims and Christians live side by side in the Arab countries. I believe that the
same option will be open to the Jews. The Jews have lived in Arab Palestine in the
past in peace without experiencing racial or religious discrimination. The situation
continued until the emergence of Zionism. We want to build up our country
regardless of racial or religious discrimination13.
Il terzo congresso generale di Fatah, svoltosi nell’ottobre del 1968, adotta la proposta di Stato
democratico: «Uno Stato democratico, progressista, non settario, in seno al quale ebrei,
cristiani e musulmani vivrebbero in pace e godrebbero degli stessi diritti»14. In una
conferenza stampa del 10 ottobre Salah Khalaf dichiara che la rivoluzione palestinese «is
drafting a humanitarian plan which will allow the Jews to live in dignity [...] under the aegis
of an Arab state and within the framework of an Arab society»15. Fatah è un movimento
nazionale ispirato a principi umanitari e progressisti che lotta «to liberate the Jews themselves
from the strangle-hold of intellectual terrorism and racial exploitation practised by the Zionist
movement against wold Jewry»16. Secondo Khalaf è irrealistico, in questo fase della lotta,
disegnare un quadro dettagliato di questa società che sarà possibile delineare con maggiore
chiarezza solamente nel corso della lotta armata. Qualche giorno dopo la conferenza di
Khalaf, il 15 ottobre, in un comunicato indirizzato all'Assemblea generale dell'ONU, Fatah
respinge la risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza in quanto gravemente
compromettente dei diritti dei palestinesi e rilancia la proposta di Stato democratico. Gli
obiettivi della lotta di liberazione sono due:
A. The liberation of the whole of Palestine from foreign occupation and aggression.
12
In «IDP 1968», cit., p. 351. Anche in Press Release N° 1, The Palestine National Liberation Movement, alFateh, Beirut 1968, p. 14.
13
L'intervista, rirpodotta in «al-Anwar», 23/6/1968, si trova in «IDP 1968», cit., p. 383.
14
«Fiche du Monde Arabe», Fiche IP 14 (18 settembre 1979), citato in Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 52. Si
veda anche Rubenberg C., The Structural and Political Content of the PLO’s Changing Objectives in the post1967 period, in Lukacs Y., Battah A. M. (eds.), The Arab-Israeli Conflict: Two Decades of Change, Westview
Press, Boulder and London 1988, p. 96.
15
News Conference Statement and Remarks by a Spokesman of the Palestine National Liberation Movement
“Fateh” on the Peaceful Settlement of the Middle East Crisis, in «IDP 1968», p. 454.
16
Ibidem.
81
B. The formation of an independent, democratic, sovereign Palestinian state,
wherein all legitimate and legal inhabitants share equal equal rights, irrespective of
religion or language17.
Secondo la ricostruzione storica che fa Khalaf in My Home My Land, subito dopo la
guerra del giugno 1967, Faruq Qaddumi propose al Comitato centrale di Fatah un rapporto in
cui invitava la leadership ad accettare un mini-Stato in Cisgiordania e Striscia di Gaza come
obiettivo intermedio, dato che non era realistico sconfiggere militarmente Israele nel breve
periodo. Il rapporto Qaddumi incontrò una larga opposizione nella leadership di Fatah e fu
perciò accantonato. D’altra parte, sostiene Khalaf, neppure la proposta di Stato democratico
incontrava un supporto unanime. L’insistenza della stampa nel chiedere delucidazioni sugli
obiettivi della lotta di liberazione e l'insistente propaganda israeliana che attribuiva agli arabi
la volontà di “buttare gli ebrei a mare”, spinsero la leadership di Fatah a rendere finalmente
pubblica la proposta di "Palestina aperta" nella citata conferenza stampa dell'ottobre 196818.
Dalle prime formulazioni generali si evince che in questa fase la proposta di Stato
democratico era molto più un’idea generica, indice della volontà di restaurare un passato
armonioso di convivenza e nata dall'urgenza di chiarire gli obiettivi della lotta dinanzi
all'opinione pubblica mondiale, piuttosto che un vero e proprio progetto politico. Per i leader
di Fatah, la configurazione giuridica, il contenuto sociale e il ruolo degli ebrei nel futuro
Stato in esso sono questioni da affrontare nel corso della lotta o in seguito alla liberazione.
Khalaf rammenta di aver risposto in modo evasivo a tutte le domande che gli erano state
poste durante la conferenza stampa dell'ottobre 1968 sul progetto di Stato democratico, in
quanto riteneva prudente aspettare la reazione israeliana prima di entrare nei dettagli della
proposta e prefigurare una soluzione di compromesso. Inoltre, ricorda Khalaf, sebbene posta
in termini così vaghi, la proposta di Stato democratico aveva scatenato dure polemiche sia
all'interno della resistenza (inclusa Fatah), sia tra gli Stati arabi: «The idea that after a half
century of bloody struggles we could coexist with a people who had usurped and colonized
our country was too new not to be intolerable to many»19.
Nella dichiarazione del gennaio 1969, che cade nel quinto anniversario della prima
operazione militare di al-ʿAsifa, Fatah «proclama solennemente che l’obiettivo finale della
sua lotta è la restaurazione dello Stato palestinese indipendente e democratico, in cui tutti i
17
Statement by Al-Fateh to the United Nations General Assembly, October 15, 1968 The Palestine National
Liberation Movement, al-Fateh [S.l.].
18
Abu Iyad, op. cit., pp. 138-139.
19
Ivi, p. 139.
82
cittadini, a qualunque confessione appartengono, avranno uguali diritti»20. La proposta di
Stato democratico è subito affiancata da un’altra affermazione che lo àncora al destino della
nazione araba: «poiché la Palestina fa parte della patria araba, il movimento di liberazione
nazionale palestinese al Fatah si impegnerà affinché lo Stato palestinese contribuisca
attivamente all’edificazione di una società araba progressista e unificata»21.
In questa prima fase gli aspetti più innovativi dell'idea di Stato democratico sono
attenuati per non creare ulteriori fratture nel MRP e all'interno di Fatah. Bisogna anche tenere
presente che Fatah si trova in una fase di rinegoziazione dei rapporti di forza all'interno
dell'OLP (ne avrebbe assunto il controllo solo nel febbraio del 1969): le forze con cui si deve
misurare in questa fase sono la "vecchia guardia" dei notabili, che aveva guidato
l'organizzazione fino al 1968-69, e le organizzazioni di ispirazione panarabista. Questo spiega
perché di Fatah parla di "restaurare" lo Stato palestinese, e di integrazione di quest'ultimo in
una "società araba unificata".
La proposta di Stato democratico viene riaffermata durante l’allocuzione pronunciata
dalla delegazione palestinese alla II Conferenza internazionale di solidarietà con i popoli
arabi, tenutasi al Cairo tra il 25 e il 28 gennaio 1969. In quell’occasione, Nabil Shaʿth,
professore all’Università americana di Beirut, addottorato alla Wharton School of Economics
dell’Università della Pennsylvania, dal 1971 membro del Comitato centrale di Fatah e capo
del Centro di pianificazione dell’OLP fino al 1981, dichiara:
We are fighting today to create the new Palestine of tomorrow: A progressive,
democratic, secular Palestine in which Christian, Moslem and Jew will worship,
work, live peacefully and enjoy equal rights. This is no Utopian dream or false
promise, for we have always lived in peace, Moslems, Christians and Jews in the
Holy Land 22.
È nei fondamenti dell'ideologia sionista (le nozioni di "popolo eletto" e lo slogan "un
popolo senza terra per una terra senza un popolo" per esempio) che vanno rintracciate le
radici del conflitto e della discriminazione tra un popolo superiore, i coloni ebraici, e un
popolo inferiore, gli autoctoni palestinesi. Al contrario, la rivoluzione palestinese «tende la
sua mano di benvenuto a tutti gli esseri umani che vogliono combattere per e vivere in una
Palestina democratica, tollerante, senza distinzione di razza, colore o religione»23.
20
Dichiarazione del Comitato Centrale di Al Fatah, 1° gennaio 1969, in Khader B. e N. (a cura di), op. cit., pp.
200-201.
21
Ibidem.
22
In Address by the Al-Fateh Delegation to the Second InternationalConference in Support of the Arab Peoples,
s.n., Cairo January 1969.
23
Ibidem.
83
Il quinto CNP: una società libera e democratica in Palestina
In questa prima fase i palestinesi tentano di formulare in maniera più precisa la proposta di
Stato democratico in modo che non sia considerato uno slogan propagandistico, ma
un'alternativa credibile per la pace in Palestina. Ne è testimonianza il dibattito portato avanti
dalle varie organizzazioni di resistenza e dal Centro di pianificazione dell'OLP. Hisham
Sharabi identifica due correnti di pensiero principali che attraversano trasversalmente il MRP
in questa fase. La prima propone una "soluzione algerina": se gli ebrei in Palestina
continuano a sostenere uno stato esclusivamente ebraico al MRP non resta che, da una parte,
invitare coloro che accettano l'idea di uno stato laico a rimanere nella Palestina liberata come
uguali cittadini e con la garanzia del rispetto dei diritti religiosi e culturali. Dall'altra, la
resistenza dovrebbe facilitare la partenza di coloro che vogliono andarsene, dietro
compensazione, come nel caso dei coloni francesi in Algeria. I sostenitori di questa corrente
di pensiero partono dalla considerazione che è il sionismo non è interessato all'integrazione
nel mondo arabo, e l'unico rapporto che può instaurare con la popolazione indigena è un
rapporto coloniale di sfruttamento economico e di oppressione politica. Di conseguenza, è
inutile attardarsi nella formulazione di proposte di pace e tutti gli sforzi devono essere
concentrati verso la vittoria della guerra24.
La seconda corrente di pensiero propone una soluzione "una testa-un voto", dal
momento che presentare il problema in termini di "soluzione algerina" alienerebbe quegli
elementi in Israele che potrebbero in futuro cambiare idea sul sionismo man mano che la
guerra di liberazione progredisce. I sostenitori di questa posizione sono convinti che
l'evoluzione della lotta di liberazione e il dispiegamento del suo contenuto progressista
provocherà una significativa trasformazione nel pensiero e nell'atteggiamento di larghi strati
della comunità ebraica di Israele - in particolare gli ebrei di origine araba - e del mondo. Per
avere una qualche influenza su una porzione considerevole delle classi scontente in Israele
occorre prima superare i pregiudizi sciovinisti e chiarire la base socialista del nuovo stato. Un
altro compito della resistenza è stabilire dei contatti con i gruppi ebrei non sionisti in Israele
al fine di avvicinarli al movimento di liberazione e porre le basi della lotta congiunta araboebraica. Entrambe le correnti collegano la realizzazione dello Stato democratico palestinese
all'espansione della lotta armata, escludendo di fatto una soluzione binazionale o una società
24
Sharabi H., Palestine Guerrilla: Credibility and Effectiveness, cit., p. 34.
84
multiconfessionale sul modello libanese25.
Il quinto CNP, svoltosi al Cairo dall’1 al 4 febbraio 1969, fu il primo a discutere la
proposta di Stato democratico avanzata da Fatah in varie sedi. Per permettere l’ingresso di
nuove organizzazioni combattenti il numero dei membri del CNP fu incrementato a 105. Al
FPLP, ad al-Saʿiqa e al Comitato esecutivo furono assegnati 12 posti, a Fatah 33, all’ELP 5,
alle rappresentanze sindacali 3 e agli indipendenti 28. Il FPLP boicottò la sessione perché non
riteneva sufficiente il numero di seggi assegnatigli; questo permise a Fatah di nominare
quattro membri (Faruq Qaddumi, Khalid Hassan, Muhammad Najjar, Yasir Arafat) su 11 (2
ad al-Saʿiqa; 2 all’OLP, 3 indipendenti) nel nuovo Comitato esecutivo, di cui Arafat divenne
presidente26. Il quinto CNP confermò in una risluzione la posizione di Fatah sullo Stato
democratico: l’obiettivo del popolo palestinese «is to set up a free and democratic society in
Palestine for all Palestinians, including Muslims, Christians and Jews and to liberate Palestine
and its people from the domination of international Zionism»27. Il sionismo internazionale è
descritto come un movimento razzista e religioso che serve gli interessi dell'imperialismo, e
come un fattore di promozione dell'antisemitismo in quanto favorisce una doppia fedeltà
nazionale che impedisce agli ebrei nel mondo di integrarsi nelle società in cui si trovano28.
L’appello dell’OLP è rivolto a "tutti i palestinesi", inclusi gli ebrei disposti a vivere
nel futuro Stato democratico, a condizione che rinuncino al sionismo. Si tratta di uno
slittamento semantico significativo: i coloni ebrei, che avevano occupato la terra palestinese
espellendone gli abitanti, sono inclusi nella nozione di "palestinesi". In un’intervista del
giugno 1969 Salah Khalaf ribadisce che nella nozione di popolo palestinese è compresa
anche la comunità ebraica in Palestina: «When I say the Plestinian people I mean the whole
people with all its communities: Christians, Muslims and Jews, but without the Zionist state
which is connected with colonialism, without racism, without Zionism, without religious
fanaticism»29.
È interessante notare che, per non alienare il consenso dei nazionalisti arabi, contrari a
un'ulteriore frammentazione della nazione araba, la risoluzione non utilizza la parola "Stato",
dawla, ma "società", mujtamaʿa. Sebbene a partire dalla battaglia di Karama del marzo 1968
Fatah risulti l’organizzazione più strutturata e prestigiosa del MRP, il suo approccio
25
Ivi, pp. 34-35.
In Hamid R., What is the PLO?, cit., p. 100.
27
Statement of Policy Issued by the Palestinian National Congress during its Fifth Session, in «IDP 1969», cit.,
p. 589.
28
Ibidem.
29
«al-Taliʿa», June 1969, pp. 51-87, in «IDP 1969», cit., p. 720.
26
85
palestino-centrico deve essere mediato con quello panarabista, sostenuto dalle organizzazioni
eredi del MNA (si pensi al FPLP, al FPLP-CGe al FDPLP,) o direttamente legate a qualche
regime arabo (al-Saʿiqa, legata al partito Baʿth siriano, il FLA, legato al Baʿth iraqeno).
In risposta alle soluzioni negoziate to avanzate in sede internazionale, basate sulla
divisione della Palestina e sul riconoscimento di Israele entro confini sicuri (il riferimento è
alla risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU), il testo ribadisce più volte «the
sacred right to the entirety of its homeland»30 e respinge senza mezzi termini tutti i progetti o
le risoluzioni che «would entail the liquidation of the Palestinian cause»31, cioè la spartizione
della Palestina. Il testo respinge qualsiasi ingerenza araba negli affari palestinesi, anmche se
riconosce che il progresso della nazione araba e la totale liberazione della Palestina devono
essere due processi interdipendenti: «se ciò non si verifica, sia le terre sia il popolo della
nazione araba saranno trasformati in una sfera d’influenza permanente per il sionismo e per
l’imperialismo»32. Sebbene il quinto CNP non contenga una chiara formulazione della
proposta di Stato democratico, la sua importanza risiede nel fatto che «introdusse per la prima
volta in un documento ufficiale e collettivo palestinese»33 l’idea di una "società libera e
democratica" per "tutti i palestinesi", ripresa con alcune varianti nelle successive sedute del
CNP.
Lo Stato democratico e il nazionalismo arabo
La proposta di Stato democratico si inserisce all'interno del dibattito sul rapporto tra
nazionalismo palestinese (wataniyya filastiniyya) e nazionalismo arabo (qawmiyya
ʿarabiyya). ʿAbdul-Majid individua due correnti di pensiero nella resistenza palestinese: la
prima prevede la creazione di uno Stato democratico palestinese in un quadro arabo
frammentato come parte del movimento rivoluzionario arabo che porterebbe in un secondo
momento alla creazione di uno Stato arabo unificato (al-dawla al-ʿarabiyya al-muwahhada).
La seconda tendenza ritiene impossibile la liberazione della Palestina senza aver
precedentemente eliminato tutte le tracce della presenza colonialista nella regione. A questo
scopo, la lotta palestinese si integrerebbe alla lotta araba e la Palestina liberata risulterebbe
così parte integrante dello Stato arabo unificato34.
Nella prima tendenza rientra certamente Fatah. Il nodo principale nella strategia di
30
Statement of Policy Issued by the Palestinian National Congress During its Fifth Session, cit., p. 589.
Ibidem.
32
Ivi, p. 590.
33
Muslih M., Towards Coexistence: An Analysis of the Resolutions of the Palestine National Council, cit., p. 14.
34
ʿAbdul-Majid W., art. cit., p. 179.
31
86
Fatah consiste nel porre la questione del conflitto con Israele in termini di wataniyya invece
che di qawmiyya. Nella visione di Fatah, la creazione di uno Stato palestinese indipendente
(dawla filastiniyya mustaqilla) spetta in primo luogo al popolo palestinese ed è considerata
una tappa precedente alla costituzione di una federazione araba unificata. Tuttavia,
l'organizzazione di Arafat mantiene il riferimento al nazionalismo arabo per non essere
accusata di regionalismo (iqlimiyya) e perdere così il sostegno politico e materiale arabo
necessario per raggiungere gli obiettivi nazionali palestinesi.
Fin dai primi anni sessanta, Fatah aveva posto l'accento sul carattere palestinese della
lotta e sulla necessità di riportare in vita un'entità palestinese (kiyan filastini), e questo
accadeva nel periodo in cui la maggior parte degli intellettuali e degli attivisti palestinesi
confluivano nei movimenti panarabi che adottavano lo slogan "l'unità è la strada per la
liberazione della Palestina". Secondo lo studioso israeliano Moshe Shamesh, alla fine del
1960 cominciarono ad apparire sul periodico «Filastinuna» i primi riferimenti alla necessità
di creare «a Palestinian revolutionary national rule in the Arab parts of Filastin»35, vale a
dire le parti della Palestina mandataria che non erano sotto il controllo israeliano, la
Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Già nella Costituzione del 1964 Fatah enuncia chiaramente
il suo obiettivo: «Establishing an independent democratic state with complete sovereignty on
all Palestinian lands, and Jerusalem is its capital city, and protecting the citizens' legal and
equal rights without any racial or religious discrimination»36. Nel suo primo studio sullo Stato
democratico Nabil Shaʿth ne indica chiaramente i confini geografici: «la Palestina prima del
1948, così come definita dal Mandato britannico, costituisce il territorio da liberare dove lo
Stato democratico e progressista deve essere creato»37.
La critica a questo approccio secondo ʿAbdul-Majid rilevava la contraddizione
fondamentale tra gli obiettivi panarabi della liberazione dalle influenze esterne e dell'unità
politica e la fondazione di uno Stato democratico palestinese indipendente, il quale sarebbe
35
«Filastinuna», Beirut, n.11, novembre 1960, p.3, in Shemesh M., The Founding of the PLO 1964, «Middle
Eastern Studies», Vol. 20, No. 4, Oct., 1984, p. 121. Per approfondire il tema si veda: Shemesh M., The
Palestinian entity, 1959-1974: Arab politics and the PLO, cit.; Sakhnini I., al-Kiyan al-filastini 1964-1974
[L'entità palestinese 1964-1974], «Shu'un filastiniyya», No. 41-42, February 1975, pp.46-72; al-Shuaibi I., The
Development of Palestinian Entity-Consciousness: Part I, «Journal of Palestine Studies», Vol. 9, No. 1,
Autumn, 1979, pp. 67-84; The Development of Palestinian Entity-Consciousness: Part II, «Journal of Palestine
Studies», Vol. 9, No. 2, Winter, 1980, pp. 50-70.
36
Articolo 13 della Costituzione di Fatah (1964), Al-Zaytouna Centre for Studies & Consultations. Disponibile
all'indirizzo
http://www.alzaytouna.net/en/resources/documents/palestinian-documents/97061-fatehconstitution.html (consultato il 10 settembre 2010)..
37
Towards a Democratic Palestine, in «Fateh», January 19, 1970, poi raccolto in Mohammed Rasheed,
Towards a Democratic State in Palestine. The Palestinian Revolution and the Jews Vis-à-Vis the Democratic,
Nonsectarian State in the Palestine of the Future, PLO Research Center, Beirut 1970, p. 34.
87
inevitabilmente scaduto nel regionalismo (iqlimiyya) e nell'isolazionismo (inʿizaliyya) dalla
causa araba. Dal canto loro, i sostenitori della corrente di pensiero stato-centrica accettavano
di essere chiamati qutriyyun, ma rifiutavano l'appellativo di iqlimiyyun38.
Nella visione della seconda corrente di pensiero, nel quale possiamo annoverare sia
organizzazioni panarabiste come il FLA e al-Saʿiqa sia organizzazioni di ispirazione
marxista-leninista come il FPLP e il FDPLP, la Palestina democratica deve essere parte
inseparabile della nuova società araba unificata. All'interno di questa visione si possono
rintracciare delle differenze tra chi sostiene che lo Stato democratico palestinese deve essere
parte della presenza araba democratica di avanguardia (al-wujud al-ʿarab al-dimuqrati altaqdimi) e chi ritiene che questo Stato deve essere parte di uno Stato federale arabo
democratico (dawla ittihadiyya ʿarabiyya dimuqratiyya) ostile al sionimo e alla reazione39.
All'interno di questa corrente di pensiero si possono rintracciare delle differenze nella
terminologia che corrispondono alle varie sensibilità politiche. La corrente marxista usa la
formula "Stato democratico nazionale", dawla dimuqratiyya wataniyya, o "Stato democratico
popolare", dawla dimuqratiyya shaʿbiyya, mentre la corrente panarabista ha avuto delle
riserve ad utilizzare la parola "Stato", dawla, preferendo invece parlare di "soluzione
democratica", hall dimuqrati, o "situazione democratica", wadaʿ dimuqrati, o di "Stato arabo
democratico," dawla ʿarabiyya dimuqratiyya40. Secondo l'ortodossia panaraba infatti la lotta
deve mantenere un carattere nazionale (qawmi) e non regionale (iqlimi) o stato-centrico
(qutri), opzione, quest'ultima, che avrebbe portato alla creazione del "quattordicesimo o
quindicesimo" stato del Medio Oriente. Questo spiega perché il FPLP, legato all'ideologia
panaraba, inizialmente si oppone (insieme alle altre organizzazioni panarabe) alla proposta di
Stato democratico avanzata da Fatah e utilizza al suo posto la formula "soluzione
democratica". Il documento più organico elaborato dal FPLP sulla questione dello Stato
democratico si intitola infatti Filastin: nahwa hall dimuqrati. Il FDPLP invece, di rigida
impostazione marxista, parlò sia di hall dimuqrati shaʿbi li-al-mas'ala al-filastiniyya sia di
dawla filastin al-dimuqratiyya al-shaʿbiyya, enfatizzando in questo caso più il discorso di
classe rispetto a quello nazionalista palestinese o arabo.
I sostenitori della seconda corrente di pensiero ritengono che, considerando il legame
storico tra la Palestina e il mondo arabo, lo Stato palestinese può essere edificato solamente in
seguito alla vittoria della rivoluzione araba, alla liquidazione delle entità artificiali create dal
38
ʿAbdul-Majid W., art. cit., p. 180.
Ivi, p. 181.
40
Ibidem.
39
88
colonialismo e all'eliminazione della presenza coloniale nella regione. Al contrario, se si
volesse procedere alla costruzione di uno Stato palestinese isolato dal contesto arabo, il
popolo palestinese sarebbe confinato in uno staterello, duwayla, che avrebbe per forza di cose
ruotato nell'orbita israeliana41. «Non c'è nessuna soluzione separata al problema della
Palestina. La soluzione deve essere all'interno del quadro della rivoluzione araba»42, afferma
il rappresentante del FLA al simposio sullo Stato democratico pubblicato dal quotidiano
libanese «al-Anwar» nel marzo 1970. Nella stessa occasione, il rappresentante di al-Saʿiqa
afferma che nessuna organizzazione può determinare il significato dello slogan di Stato
democratico né acconsentire alla sua implementazione, «perché il disegno sionista minaccia
la regione araba e non solo i palestinesi, e ogni cittadino arabo ha il diritto di esprimere la sua
opinione circa le procedure da adottare in seguito alla rivoluzione»43.
Nella visione del FPLP, la questione del futuro della Palestina è stata viziata da una
«costrizione geografica»44 (al-qasr al-jughrafi), che ha impedito di allargare la prospettiva
oltre i confini palestinesi. La liberazione della Palestina è organicamente legata alla
liberazione del mondo arabo dalle forze della reazione, responsabili dello sfruttamento delle
masse e della condizione di arretratezza e divisione nel mondo arabo:
The basic and main conflict remains one between the progressive Arab liberation movement on
the one hand and the enemy camp embodying world imperialism headed by the United States,
Zionism and Israel as well as Arab reaction, on the other45.
Posto all’interno di una dimensione geopolitica più ampia, si capisce che il coinvolgimento
nella lotta delle masse arabe precede l’ottenimento della liberazione della Palestina da parte
delle masse palestinesi. Per questa ragione il futuro Stato liberato non potrà essere limitato
geograficamente ai confini della Palestina delineati dal Mandato britannico: «The liberation
of Palestine will be achieved by a broad progerssive national liberation movement whose
base is far wider than the Palestinian masses and whose geographical area is larger than
Palestine»46.
Secondo il FPLP, le condizioni fondamentali per la liberazione della Palestina sono
41
Ibidem.
«al-Anwar», March 8, 1970 (in arabo). Stralci del simposio tradotti in inglese si trovano in Harkabi Y., The
Meaning of a Democratic Palestinian State cit., poi inserito nel volume, sempre dello stesso autore,
Palestinians and Israel, Israeli University Press, Jerusalem 1972, pp. 82-95.
43
Ibidem.
44
Palestine: Towards a Democratic Solution, P.F.L.P. Information Departement, [s.l.], 1970, p. 19. Per il testo
arabo si veda: Jabha Shaʿbiyya li-Tahrir Filastin, Filastin: nahwa hall dimuqrati, s.l., s.d. Nella traduzione
inglese "geographical compulsion".
45
Ivi, pp. 23-24.
46
Ivi, p. 24.
42
89
due: il collegamento tra il movimento di liberazione palestinese e il movimento di liberazione
arabo e la trasformazione in senso rivoluzionario del contesto sociale e politico della regione.
L'obiettivo del movimento nazionale arabo progressista (haraka al-tahrir al-watani altaqaddumi al-ʿarabi) è la costituzione di uno «Stato delle masse arabe proletarie socialiste
unite [dawla al-jamahir al-ishtirakiyya al-kadiha al-ʿarabiyya al-muwahhada]»47. Nel
maggio del 1970 il segretario generale George Habash dichiara che «the operation of
liberating Palestine cannot take place within the framework of Arab image as it exists today
[…] [but] will be the culmination of unification and radical change comprehending the Arab
area, and the area surronding Israel in particular»48.
Non contro gli ebrei, ma contro il sionismo
La proposta di Stato democratico era la risposta più adatta a quella che i leader palestinesi
descrivevano come una campagna di propaganda sionista tesa alla delegittimazione del
movimento nazionale palestinese. Per gli esperti israeliani di affari arabi, tra cui Yehoshafat
Harkabi, lo Stato democratico era uno slogan propagandistico con il quale si mascherava
l'intenzione di distruggere lo Stato di Israele, il che avrebbe inevitabilmente portato al
massacro dei suoi abitanti: «per quanto fosse politica (cioè reclamare l'annientamento di uno
Stato), la posizione araba doveva diventare genocida, anche se gli arabi non fossero stati
assetati di vendetta»49.
In Europa, nota Alain Gresh, il conflitto era visto attraverso le lenti della persecuzione
antisemita e della legittima aspirazione del popolo ebraico ad un paese, e i palestinesi in
quanto tali erano a malapena menzionati50. Anche il fatto che Israele si fosse sempre definito
"Stato ebraico" contribuiva alla confusione tra ebraismo, sionismo e Israele51. Nonostante ciò,
il MRP ha sempre cercato di distinguere tra l'ebraismo in quanto religione, il sionismo in
quanto movimento coloniale e l'entità (kiyan) israeliana o sionista, base d'appoggio e
strumento del sionismo, evitando di cadere nella "trappola ideologica" che equipara
antisionismo e antisemitismo. Come ha evidenziato l'antropologa Julie Peteet, i palestinesi
«hanno fatto uno sforzo congiunto per non utilizzare il termine ebrei per riferirsi a coloro che
si stabilirono in Palestina e crearono uno Stato ebraico. Questo faceva parte di un
47
Ivi, p. 26.
«al-Ahrar», May 23, 1970, in «IDP 1970», cit., p. 802.
49
Harkabi Y., The Meaning of 'A Democratic Palestinian State', «The Wiener Library Bulletin», Volumes 2425, 1970, p.1.
50
Gresh A., Reflections on the Meaning of Palestine, cit., p. 68.
51
Ivi, p. 75.
48
90
atteggiamento politico che sottolineava la natura coloniale del conflitto e non le sue
dimensioni religiose o etniche»52. La scelta palestinese di usare il termine 'sionismo' e
'sionista' in riferimento ai loro avversari e la parola d'ordine dello Stato democratico e laico in
Palestina erano presentati in opposizione all'esclusivismo sionista. In termini generali, nel
linguaggio politico delle organizzazioni palestinesi il sionismo è associato all'imperialismo
britannico e statunitense ed è quindi interpretato prevalentemente in termini secolari e
nazionalisti: è descritto come movimento coloniale, espansionista, razzista (più raramente
come religioso)53. Nel suo studio sulle metafore e i concetti chiave dell'ideologia dei rifugiati
palestinesi, Nels Johnson sostiene che è assai rara che una lettura del sionismo in termini
religiosi, riferita cioè al conflitto tra le tribù ebraiche dell'Hijaz e il profeta Maometto nei
primi anni della comunità islamica e che punta il dito sull'antica ostilità tra ebraismo e
islam54.
In seguito alla disfatta degli eserciti arabi e al discredito in cui erano cadute le
ideologie panarabiste e socialisteggianti che ne avevano legittimato i regimi, il MRP divenne
sempre più consapevole dell'importanza di presentare le ragioni della causa palestinese
all’opinione pubblica mondiale. Ne è testimonianza, oltre agli scritti e alle dichiarazioni dei
leader della resistenza, la pubblicazione da parte del Centro di ricerche dell'OLP nel 1970
dell'opuscolo Aims of the Palestinian Resistance Movement with Regard to the Jews.
Quotations from Resistance Leaders and Documents che ha l'intenzione, si legge
nel'introduzione, di contrastare la campagna mistificatrice dei propagandisti israeliani e dei
loro sostenitori all'estero, presentando una vasta gamma di citazioni di dichiarazioni e
documenti politici palestinesi in cui emerge chiaramente l'inclinazione antirazzista del
discorso55. La proposta di Stato democratico aveva senz'altro suscitato l'interesse degli
intellettuali ebrei progressisti e dei circoli della sinistra radicale occidentale, aumentando i
sostenitori della causa palestinese nel mondo. Lo stesso Arafat, in una conferenza stampa del
giugno 1970, riconosce l'efficacia della parola d'ordine di Stato democratico nel chiarire al
mondo il "grande fine umanistico" della lotta palestinese, liberare gli ebrei dalle tendenze
fanatiche del sionismo, e dichiara che l'effetto positivo dello slogan sull'opinione pubblica
52
Peteet J., Words as Interventions: Naming in the Palestine Israel Conflict, «Third World Quarterly», Vol. 26,
No. 1, 2005, p. 170.
53
Carré O., L’idéologie palestinienne de résistance, cit., p. 61; Johnson N., Palestinian Refugee Ideology: An
Enquiry into Key Metaphors, «Journal of Anthropological Research», Vol. 34, No. 4, Winter, 1978, pp. 534535.
54
Johnson N., art. cit., p. 535.
55
Aims of the Palestinian Resistance Movement with Regard to the Jews. Quotations from Resistance Leaders
and Documents, Palestine Research Center / Fifth of June Society, Beirut 1970.
91
progressista europea e mondiale ha costretto Israele a lanciare in risposta una vasta campagna
di propaganda56.
La leadership tradizionale palestinese e araba aveva fornito due letture del sionismo e
di Israele: la prima lo considerava un progetto nazionalista ebraico a cui occorreva
contrapporre un nazionalismo palestinese o un nazionalismo arabo; la seconda, formulata in
termini religiosi, considerava Israele come uno Stato confessionale a cui dover contrapporre
un movimento islamico. Il MRP rifiutò di costruire un antagonismo esclusivamente
nazionalista o religioso, o incentrato sulla disumanizzazione del nemico, ispirandosi invece ai
movimenti di liberazione nazionale e all'anticolonialismo terzomondista. Il sionismo era
concepito come un nazionalismo di natura coloniale e Israele come l'avamposto che
l'imperialismo, con l'aiuto delle forze reazionarie locali, aveva impiantato nel cuore del
mondo arabo per impedirne l'unità e il progresso e sfruttarne le risorse.
Nei testi politici delle organizzazioni di resistenza si opera un ripensamento
fondamentale della figura del "nemico", i cui pilastri sono la netta distinzione tra sionismo ed
ebraismo (che passa anche attraverso la rivalutazione della storia ebraica, "vittima" del
movimento sionista, e di un passato di armoniosa convivenza tra ebrei ed arabi);
l’accettazione di milioni di ebrei sul suolo della Palestina come fatto irreversibile; la proposta
di convivenza futura in uno Stato democratico; l’appello agli ebrei antisionisti e progressisti
affinché si uniscano alla lotta palestinese. Tutte le organizzazioni di resistenza prendono le
distanze dall'accesa retorica del primo presidente dell'OLP Ahmad Shuqayri, «l’uomo che ha
dato un cattivo nome ai palestinesi minacciando di buttare a mare gli ebrei»57, e ripetono
quasi fino alla nausea il carattere non razzista della lotta di liberazione palestinese, che si
dirige alle strutture ideologiche e istituzionali del sionismo. In un'intervista al quotidiano
algerino «al-Mujahid» del dicembre 1967 un leader di al-ʿAsifa, braccio militare di Fatah,
dichiara che
56
Tratto da «al-Shaʿb», in «IDP 1970», cit., p. 830.
Cobban H., The Palestinian Liberation Organisation: People, Power and Politics, cit, p. 31. In realtà questa
frase non sarebbe mai stata pronunciata da Shuqayri, ma gli sarebbe stata attribuita dalla propaganda sionista per
gettare discredito sul movimento nazionale palestinese e giustificare le politiche espansioniste di Israele. Sul
tema di veda: Shemesh M., Did Shuqayri Call For «Throwing the Jews into the Sea?, «Israel Studies», Summer
2003; James W. M., Who is Pushing Whom into the Sea?, «Counterpunch», March 11, 2005. La propaganda fu
talmente efficace da essere utilizzata dai leader del MRP per gettare discredito sulla "vecchia guardia" dell'OLP.
In un'intervista apparsa su «al-Anwar» nel gennaio 1970, lo stesso Arafat, da pochi mesi eletto a capo del
Comitato esecutivo dell'OLP dichiara: «noi respingiamo le parole di Ahmad al-Shuqayri sul buttare gli ebrei a
mare; l'idea non è accettabile al mondo né lo è per noi». In «al-Anwar», January 20, 1970, citato in «IDP 1970»,
cit., p. 749.
57
92
We are not the enemies of Judaism as a religion nor are we enemies of the Jewish
race. Our battle is with the colonialist, imperialist, Zionist entity which has
occupied our land. We affirm that the presence of Israel as a state constitutes a
bridgehead for imperialistic American colonialism in the Arab world58.
Nel primo comunicato internazionale alla stampa mondiale del gennaio 1968, Fatah si
propone di «illuminare l’opinione pubblica mondiale sulla portata e il significato della sua
lotta [...] correggendo alcuni malintesi sulle proprie operazioni e sulla natura della lotta»59.
Nel documento si legge che le operazioni di Fatah «non sono in alcun modo dirette al popolo
ebraico in quanto tale»60, ma al «regime fascista-militare-sionista»61.
Nella prima formulazione di Fatah la proposta di Stato democratico è un'idea-forza,
«il risvolto positivo del rifiuto del sionismo»62, e viene inizialmente definita in negativo: se
Israele è basato sull’esclusivismo e sul razzismo, la futura Palestina sarà inclusiva,
democratica e progressista; se il sionismo è fondato sullo sradicamento della popolazione,
quest’ultima propone un modello di convivenza inclusivo anche dei coloni a patto che
rinuncino al sionismo. Nel maggio del 1969 Yasir Arafat ribadisce il carattere antitetico e
irreconciliabile tra lo Stato ebraico e lo Stato democratico palestinese:
Our aim is to brign an end to the concept of a Jewish Zionist state, a racist
expansionist state. Our aim is to destroy this state, this concept - but not its people.
We want a democratic Palestinian state. We will not force anyone out who I willing
to live under the banner of this state as a loyal Palestinian. It does not matter wheter
he is a Christian, Moslem, or Jew63.
Una della formulazioni più esaustive del pensiero della corrente di maggioranza di
Fatah in merito alla questione degli ebrei in Palestina si trova in una pubblicazione del Centro
di ricerca dell'OLP dal titolo di Towards a Democratic State in Palestine. The Palestinian
Revolution and the Jews Vis-à-Vis the Democratic, Nonsectarian State in the Palestine of the
Future64, che raccoglie tre articoli apparsi precedentemente nel periodico in lingua inglese
«Fateh» tra il novembre del 1969 e il gennaio del 1970, scritti da Nabil Shaʿth con lo
58
«al-Mujahid», 17/12/1967, in «IDP 1967», cit., p. 728.
Press Release No.1 by the Palestine National Liberation Movement Fateh, in «IDP 1968», cit., p. 304.
60
Ivi, p. 305.
61
Ibidem.
62
Benzoni A., Il patto nazionale palestinese e l’idea di uno Stato democratico, «Politica Internazionale»,
maggio 1973, p. 21.
63
«The Arab World», No. 5, May 1969, p. 26.
64
Mohammed Rasheed, op. cit. Si veda anche la versione francese: El Fath, La Révolution palestinienne et les
Juifs, Editions de Minuit, Paris 1970; la versione italiana fu pubblicata sei anni più tardi: Lo stato democratico e
progressista in Palestina, a cura dell’ufficio dell’OLP di Roma, Tecnolitograf, Roma 1976. I tre articoli
originali erano apparsi sull'organo in lingua inglese «Fateh» rispettivamente il 20 novembre 1969 col titolo The
Palestine Revolution and the Jews, il 1 gennaio 1970 col titolo The Jews and the Palestinians, e il 19 gennaio
1970 col titolo Towards the Democratic Palestine.
59
93
pseudonimo di Mohammed Rasheed. Sebbene il saggio non riassuma il pensiero politico di
Fatah, movimento assai eterogeneo e composito, tuttavia si può dire che rappresenta la linea
condivisa dal gruppo dirigente vicino ad Arafat, come testimoniano varie dichiarazioni dei
suoi rappresentanti. Shaʿth fu la persona incaricata di elaborare ulteriormente l’idea e chiarire
le perplessità sorte in seguito alle prime formulazioni. Da molti considerato il "fondatore"
della proposta di Stato democratico (egli stesso si attribuì il merito di essere «il padre
dell’idea»65 in un’intervista rilasciata nel 1996 al Palestine-Israeli Journal e al sottoscritto66),
senza dubbio è stato colui che in Fatah, più di ogni altro, ha articolato e dato corpo alla
proposta, approfondendola in allocuzioni e scritti successivi. In generale, la visione di Stato
democratico proposta da Shaʿth è ispirata ai principi liberal-democratici delle democrazie
occidentali, tradotti nel contesto mediorientale.
Nel primo di questi articoli, The Palestinian Revolution and the Jews, l’autore
sostiene che l'elemento rivoluzionario nell'idea di Stato democratico è il fatto che i
palestinesi, dopo essere stati espulsi dalla loro terra, facciano appello alla creazione di un
paese che comprenda anche gli ex-aggressori e persecutori67. Nei trent’anni del Mandato
britannico l'ostilità dei palestinesi era diretta principalmente contro la potenza mandataria. In
seguito all'espulsione dei palestinesi per mano di leader ebrei che volevano la creazione di
uno Stato ebraico, i palestinesi furono spinti «ad odiare gli ebrei, qualsiasi cosa “ebraica”,
qualsiasi cosa connessa col loro nemico»68. L’inizio della rivoluzione palestinese, scrive
Shaʿth, segnò anche il sorgere di un nuovo atteggiamento nei confronti del nemico, in cui la
distinzione tra "ebreo" e "sionista" cominciò ad aquisire significato. Questo cambiamento fu
determinato da una serie di fattori: l’esigenza di definire gli obiettivi della lotta di liberazione,
che non poteva più limitarsi alla vendetta; il contributo degli ebrei progressisti che
intentavano un dialogo con la resistenza; lo studio della storia ebraica e la riscoperta del
pensiero degli intellettuali ebrei umanisti69.
Nel secondo articolo, An Approach to the Study of Jewish Attitudes, Shaʿth afferma
che molte delle immagini sul conflitto «sono state architettate dai sionisti tramite la loro
macchina propagandistica»70. Ne fornisce un esempio il successo avuto «nell’identificare
65
Shaʿth N., A State in the Making: an Interview, «Palestine-Israeli Journal», Vol.3 No.2 1996. Disponibile
all'indirizzo http://www.pij.org/details.php?id=545 .
66
Intervista a Nabil Sha‘ath, varie volte ministro dell’ANP e responsabile esteri di Fatah, realizzata a Ramallah
nell’agosto del 2010.
67
Mohammed Rasheed, op. cit., p. 13.
68
Ivi, p. 14.
69
Ivi, pp. 16-17.
70
Ivi, p. 19.
94
ebraismo e sionismo agli occhi della maggioranza degli ebrei, specialmente nei paesi
occidentali»71, e le immagini deumanizzanti utilizzate per descrivere i palestinesi e la loro
leadership. Il merito della rivoluzione palestinese, continua l'autore, è di aver presentato una
soluzione alternativa all'esclusivismo sionista. Per questa ragione, «un dialogo si sta
sviluppando tra i rivoluzionari palestinesi e gli ebrei, liberali, progressisti, socialisti e persino
conservatori»72, nella speranza che un numero sempre maggiore di ebrei si unisca alla causa
palestinese.
In un memorandum alla seconda conferenza dell'unione dei giornalisti arabi del
febbraio 1968 il FPLP dichiara che la stampa araba deve adottare un atteggiamento fermo e
chiaro contro l' "antisemitismo" in quanto «esiste una "alleanza non scritta" tra
"antisemitismo" come movimento razzista basato sulla discriminazione e il "sionismo" come
movimento ebraico razzistico che pratica la discriminazione nei confronti degli arabi»73.
Senza la persecuzione degli ebrei in Europa, continua il memorandum, sarebbe stato difficile
per il movimento sionista indirizzare verso la Palestina le grandi ondate migratorie ebraiche;
inoltre, la propaganda razzista araba di destra serve gli interessi del sionismo in quanto è
utilizzata per accusare gli arabi di antisemitismo, e questo malgrado essi siano tra i pochi che
«non hanno praticato alcuna forma di persecuzione contro il giudaismo come religione e gli
ebrei come popolo»74.
In A Strategy for the Liberation of Palestine, del febbraio 1969, il FPLP elenca i
fattori che «haye distorted the truth about our liberation war and still threaten to distort the
proper view of the true nature of this war in the eyes of many people»75. La connessione tra la
nascita del movimento sionista e la persecuzione degli ebrei in Europa è uno dei fattori
iniziali; in seguito si è verificata l'associazione fra l'ascesa del movimento sionista in
Palestina e il trattamento nazista degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. All'influenza
sionista in ampie fasce dell'opinione pubblica mondiale si contrapponeva l'incapacità di certe
leadership palestinesi e arabe nel presentare la vera natura della lotta contro Israele Nel
documento si legge che «Israel has insisted on portraying our war against it as a racial war
aiming at eliminating every Jewish citizen and throwing him into the sea. The purpose behind
71
Ibidem.
Ivi, p. 30.
73
Memorandum by the Popular Front for the Liberation of Palestine “PFLP” to the Second Conference of the
Arab Journalists’ Union on the Tasks of the Arab Press, February 10, 1968, in «IDP 1968», p. 308.
74
Ibidem.
75
A Strategy for the Liberation of Palestine, cit., Cap. X.
72
95
this is to mobilise all Jews for a life-or-death struggle»76. Per questa ragione
a basic strategic line in our war with Israel must aim at unveiling this
misrepresentation, addressing the exploited and misled Jewish masses
and revealing the conflict between these masses’ interest in living
peacefully and the interests of the Zionist movement and the forces
controlling the state of Israel77.
Il movimento di liberazione palestinese
Is not a racial movement with aggressive intentions against the Jews. It is not
directed against the Jews. Its object is to destroy the state of Israel as a military,
political and ecoomic establishment which rests on aggression, expansion and
organic connection with imperialist interests in our homeland. It is against Zionism
as an aggressive racial movement connected with imperialism which has exploited
the sufferings of the Jews as a stepping stone for the promotion of its interests and
the interests of imperialism in this part of the world78.
L'accettazione degli ebrei nel futuro Stato palestinese è condivisa da tutte le organizzazioni
del MRP, che la vedono come un modo per disarmare il sionismo di uno dei suoi principali
fattori di mobilitazione: l'asserzione che l'unico luogo sicuro per gli ebrei in cui vivere sia in
uno Stato ebraico. Nel simposio sull'idea di Stato democratico organizzato dal quotidiano
libanese «al-Anwar» nel marzo del 1970, il rappresentante di al-Saʿiqa afferma che offrendo
agli ebrei un'alternativa reale alla costante minaccia di morte si serve meglio la causa
palestinese: «non possiamo ignorare il fatto che questi ebrei, di cui un gran numero sono nati
in Palestina, non conoscono nessun altra patria»79. Perciò, continua il rappresentante di alSaʿiqa, «non possiamo immaginare di risolvere il problema di questi ebrei senza permettere
loro di risiedere in Palestina o in qualsiasi altro paese possano scegliere»80.
La nuova percezione del "nemico"
Il nuovo atteggiamento nei confronti del "nemico" non si limitava alla leadership del MRP o
agli intellettuali, ma era un fenomeno sociale più ampio, come dimostrato dalle testimonianze
raccolte nei campi di addestramento dei fida'iyyin e dagli studi condotti sulle nuove
generazioni di palestinesi educati tramite le istituzioni dell'OLP o delle varie organizzazioni
76
Ibidem.
Ibidem.
78
Ibidem.
79
«I believe that when we offer those Jews an alternative to their present life, and an alternative to the constant
threat of death,we can better serve our cause on the road to victory. We cannot ignore the fact that these Jews, of
whom a great number were born in Palestine, do not know any other homeland». In «al-Anwar», (Arabic), 8
March, 1970, in Aims of the Palestinian Resistance Movement with Regard to the Jews cit., p. 11.
80
Ibidem.
77
96
di resistenza. Vari studi hanno dimostrato l'alto grado di politicizzazione ricevuto degli
Ashbal, "cuccioli", vale a dire i bambini che si sottopongono all'addestramento paramilitare e
seguono i corsi di formazione politica delle organizzazioni di resistenza. I programmi degli
Ashbal erano orientati non solo all'acquisizione delle competenze militari necessarie per
portare avanti le operazioni di guerriglia, ma anche all'indottrinamento politico e allo studio
dei fondamentali della storia della Palestina. Per questa ragione i palestinesi più politicizzati
di solito provenivano dalle organizzazioni di resistenza81.
Nel 1970 il Palestine Research Center dell'OLP pubblicò uno studio sociologico dei
giovani palestinesi (abitanti dei campi profughi o delle città di Libano e Giordania)
appartenenti alla cosiddetta generazione della liberazione, o generazione della rivoluzione
(per differenziarsi dalla precedente, la generazione della sconfitta, o generazione della
nakba), che cerca di misurare il grado di consapevolezza politica e di attaccamento alla
Palestina dei palestinesi nati in esilio. Il sociologo palestinese Bassem Sirhan, autore dello
studio, fa un'importante puntualizzazione sull'uso del termine "ebreo" in ambito palestinese:
The term "Jews," as used by Palestinians and other Arabs, refers to the Jewish
community in Palestine which took over Palestine by force. It does not refer to Jews
who now live in the U.S.A., Russia, Lebanon or any other country. The term does
not refer to Semites and hence it is not used in a racist sense. Rather, it refers to
"those who occupied Palestine and are still occupying it". The term will be used in
the same sense by the author throughout this book82.
La parola "ebreo" indicherebbe nello specifico un appartenente alla comunità ebraica che ha
colonizzato la Palestina, ed è definito quindi in base a criteri geografici e politici, piuttosto
che religiosi o etnici. Lo studio dimostra che i bambini palestinesi non hanno attitudini
antisemite, ma antisioniste, e non lottano contro gli ebrei per vendetta, ma per riconquistare il
proprio paese. Questo è particolarmente vero per i bambini che si sono formati nelle scuole
delle organizzazioni di resistenza: «indoctrinated Palestinian children are taught to love nonZionist Jews, and to accept the idea of living side by side with them in a democratic
Palestinian state»83.
Sirhan ha posto loro quattro domande: se amano o odiano gli ebrei; se odiano tutti gli
ebrei o solamente quelli che hanno occupato la Palestina; quale è la differenza tra un ebreo o
un sionista; se accettano di vivere in Palestina con gli ebrei. Più di un terzo degli intervistati
81
Kuroda Y., Young Palestinian Commandos in Political Socialization Perspective, «Middle East Journal»,
Vol. 26, No. 3, Summer, 1972, pp. 264-266.
82
Sirhan B., Palestinian Children, "The Generation of Liberation": a Sociological Study, Palestine Liberation
Organization Research Center, Beirut 1970, p. 8.
83
Ivi, p. 50.
97
ha dichiarato di odiare solamente i sionisti e non gli ebrei: «it is worth noting that those who
stated that they hated Zionists and Zionism were indoctrinated tiger cubs from Al-Fateh,
PFLP, and PFLP-General Command»84. Inoltre, tutti i bambini indottrinati sono in grado di
distinguere un ebreo da un sionista mentre la stragrande maggioranza di loro e pronta anche a
vivere con gli ebrei in Palestina. Il restante campione degli intervistati (i due terzi circa) non è
in grado di distinguere tra ebrei e sionisti, odiano gli ebrei e non sono disposti a vivere
accanto a loro nella Palestina del futuro. Tra le motivazioni addotte dai bambini c'è il fatto
che gli ebrei hanno occupato il paese ed espulso i palestinesi, che uccidono i fida'iyyin, che
sono in guerra con i palestinesi ecc.
Secondo Sirhan, il risentimento e la sfiducia verso gli ebrei tra i bambini non
indottrinati è comprensibile perché ai loro occhi sono gli ebrei ad aver occupato la Palestina,
espulso gli abitanti originari, perpetrato numerosi massacri e mosso tre guerre di cui
palestinesi sono state le principali vittime. Non è quindi un odio razziale o religioso, ma il
risentimento naturale che le vittime provano per gli aguzzini, che il nord vietnamita prova per
gli americani e l'ebreo prova per il nazista, sostiene il sociologo85. Tuttavia, come dimostra la
casistica dei bambini educati nelle scuole dei combattenti, «the Palestinian resistance
movement is making a successful attempt to reorientate Palestinian children towards
accepting to live with Jews in a democratic state»86.
Alle stesse conclusioni giunge anche lo studio di Tawfiq Farah condotto sui bambini
palestinesi in Kuwait. Come mostrano le due tabelle riportate sotto87, la maggior parte dei
bambini non distingue tra ebrei e sionisti.
84
Ivi, p. 18.
Ivi, pp. 18-20.
86
Ivi, p. 20.
87
Farah T.E., Political Socialization of Palestinian Children in Kuwait, «Journal of Palestine Studies», Vol. 6,
No. 4, Summer 1977, p. 95.
85
98
Questo è spiegabile col fatto che nell'esperienza dei bambini gli ebrei sono gli artefici
dell'insediamento sionista in Palestina, e vengono quindi identificati come i responsabili dello
sradicamento dei palestinesi; inoltre, questo atteggiamento è il frutto della mancanza di
educazione politica. La conferma arriva se si prendono in considerazione gli Ashbal: in
questo caso si introduce la distinzione tra ebrei sionisti e si attenua il sentimento di antipatia
per gli ebrei88.
Un simile cambio di atteggiamento verso la figura del "nemico" era ancora più
evidente tra i fida'iyyin che avevano intrapreso il periodo di addestramento militare e di
formazione politica nei campi. In un'intervista del 1971, Nabil Shaʿth afferma che Fatah ha
investito gli ultimi due anni in un grande sforzo educativo allo scopo di debellare qualsiasi
pregiudizio dei palestinesi nei confronti degli ebrei: «even the use of the word Yuhud to
describe Israelis has been constantly checked»89, in modo da evitare la pur minima
identificazione dell'ebraicità con il nemico, cioè lo Stato di Israele e il sionismo. Inoltre, gli
sforzi includono l'insegnamento della storia e della lingua ebraica a bambini ed adulti e
l'organizzazione di visite per ebrei ai campi di addestramento dei combattenti.
I rapporti dai campi di addestramento dei fida'iyyin di Ania Francos, ebrea francese
antisionista, pubblicati su «Jeune Afrique», mostrano i risultati di questi sforzi. In visita a un
campo di Fatah, la giornalista francese notava con stupore che i ragazzi palestinesi dicevano
sempre sionista, israeliano, e mai ebreo. Come spiega Abu Ziad, giovane istruttore nel
campo, questo è dovuto al fatto che «insegniamo loro a distinguere. Essere ebreo è un
concetto religioso e gli ebrei non sono nostri nemici. Noi lottiamo contro il sionismo, che è
un'ideologia: si può essere sionisti pur non essendo ebrei»90. In una testimonianza raccolta ad
Amman, Ania Francos racconta la vicenda di William Nassar e Kamel Nimer, giovani
comandanti di Fatah condannati in Israele a centocinque anni di carcere. Entrambi figli di
88
Ivi, p. 102.
Interview Statement by Palestine Resistance Spokesman Shaath Rejecting the Idea of a "Palestine State" on
the West bank and Advocating a Democratic State for Arabs and Jews in All Palestine, in «IDP 1971», cit., p.
472.
90
In «Rivoluzione palestinese», quindicinale del Comitato di solidarietà con il popolo di Palestina, No. 2 e 3,
maggio 1969, p. 28.
89
99
madri ebree, sarebbero eligibili per la cittadinanza israeliana. Il fatto che dei palestinesi di
origine ebraica diventino dei fida'iyyin è un'altra dimostrazione che la lotta palestinese non è
una lotta di musulmani e cristiani contro ebrei, ma dei palestinesi contro "l'ideologia degli
ebrei europei", il sionismo, come ricorda la signora Nassar91.
La soluzione democratica popolare
Tra le organizzazione più sofisticate e radicali del MRP in termini ideologici92, il FDPLP può
essere considerata una delle organizzazioni che ha maggiormente contribuito a far avanzare il
dibattito sullo Stato democratico (così come sarà, a partire dalla seconda metà del 1973, la
prima e principale sostenitrice del programma di transizione per la creazione di un'autorità
nazionale su ogni parte di Palestina liberata). La sua posizione fu esposta in una bozza di
risoluzione presentata alla sesta sessione del CNP che si tenne al Cairo nel settembre del
1969, il primo in cui il FDPLP partecipò come organizzazione indipendente (durante il quinto
CNP, nel febbraio 1969, la fazione di Hawatma stava maturando la scissione dal FPLP),
ottenendo nove seggi.
Nella bozza di risoluzione si chiarisce che «the Palestine National Congress rejects all
chauvinist, reactionary and Zionist - imperialist solutions to the Palestine problem based on
the recognition of the state of Israel as one of the existing 'facts' in the Middle East»93, in
quanto lederebbero il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e sancirebbero di fatto
l'esistenza di Israele nella regione. Sono ugualmente respinte «the Palestine and Arab
chauvinist solutions prevailing before and after June 1967 calling for "butchering the Jews
and throwing them into the sea"»94, così come le soluzioni reazionarie basate sulla
risoluzione no. 242 del novembre 1967 in quanto preservano l'esistenza nella regione di «a
racialist, capitalist, and expansionist state»95, strumento dell'imperialismo e naturale
oppositore dei movimenti arabi di liberazione e delle forze socialiste nel mondo. La bozza
91
In «Jeune Afrique», no. 434, 1969, in «Rivoluzione palestinese», No. 4, giugno 1969, pp. 39-42.
Il giudizio è condiviso da vari studiosi, tra cui George Chaliand in La resistenza palestinese, cit. Scritto
neanche ad un anno dalla nascita dell'organizzazione e basato sull'esperienza diretta dell'autore nei campi di
addestramento, l'opera sembra però esagerare le potenzialità dell'organizzazione. Un'analisi più equilibrata,
anche perché scritta vent'anno dopo la fondazione del FDPLP, è quella di Matti Steinberg, The Worldview of
Hawatmeh's Democratic Front, «The Jerusalem Quarterly», No. 50, Spring 1989.
93
Draft Resolution Presented by the Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine to the Palestine
National Congress, September 1969, in Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine, cit., p. 25. Per
il testo arabo si veda: Al-Jabha al-Shaʿbiyya al-Dimuqratiyya li-Tahrir Filastin, Haraka al-muqawama alfilastiniyya fi waqiʿiha al-rahin: dirasa naqdiyya [Il movimento di resistenza palestinese nella situazione
presente: uno studio critico], Dar al-Taliʿa, Beirut 1969, pp. 163-167.
94
Ibidem.
95
Ibidem.
92
100
propone la soluzione avanzata dal FDLP:
The Palestine National Congress will struggle for a popular democratic solution to
both the Palestinian and Israeli problems [hall dimuqrati shaʿbi li-al-mas'ala alfilastiniyya wa al-mas'ala al-isra'iliyya] based on; a) the overthrow of the Zionist
structure represented by the state institutions (army, administration and police) and
all the Zionist and chauvinist political and trade union institutions; b) the
establishment of a popular democratic Palestinian state where Arabs and Jews enjoy
equal rights without discrimination and where all forms of national and class
oppression shall be abolished [dadd kafa al-wan al-qahara al-tabqi wa al-qawmi];
c) granting both Arab and Jew the right to develop their own national cultures
[tanmiyya wa tatwir al-thaqafa al-wataniyya] 96.
In ragione del legame storico che lega la Palestina e la nazione araba ('umma ʿarabiyya), lo
Stato democratico popolare proposto dal FDPLP sarà «an integral part of a unified Arab state
[dawla ittihadiyya ʿarabiyya]», il quale sarà di natura democratica e si opporsà al
colonialismo, all'imperialismo e alle forze della reazione araba e palestinese. Senza altre
specificazioni, e in particolar modo nel lessico del FDPLP, il termine qawmiyya indica un
nazionalismo esclusivista, etnicista, legato alla specificità di un gruppo che dal
riconoscimento di fattori comuni come la lingua, la storia e un territorio trae occasione per
rivendicazioni nazionali di autonomia politica. In questo senso si avvicina al concetto
peggiorativo di sciovinismo (shufiniyya) 97. Il termine qawmiyya ʿarabiyya indica invece il
nazionalismo arabo, ed acquista un significato positivo nel lessico del MRP, mentre la
nazione araba è indicata con 'umma ʿarabiyya.
Solamente la creazione di uno stato democratico popolare di Palestina, parte di uno
stato arabo unificato e orientato in senso socialista e antimperialista «is capable of freeing
both Jews and Arabs from all forms of chauvinistic and racialist ideology — the Arab will be
liberated from reactionary ideology and the Jew from Zionist ideology»98. Anche il FDPLP
rimarca le distanze della rivoluzione palestinese dalle dichiarazioni infiammate e roboanti dei
leader arabi che, agli occhi dei fida'iyyin, avevano gettato discredito sulla causa palestinese e
araba. Più che porsi in termini nazionalistici, il discorso si inquadra all'interno della
prospettiva marxista-leninista: il nuovo Stato deve essere popolare, non basato
sull'assoggettamento di classe e ottenuto tramite la guerra popolare armata. È necessario
respingere il colonialismo, l’imperialismo e, differenza fondamentale rispetto a Fatah,
96
Ibidem.
Carré O., Évolution de la pensée politique arabe au Proche-Orient depuis juin 1967, «Revue française de
science politique», No. 5, 1973, p. 1051.
98
Draft resolution presented by the Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine to the Palestine
National Congress, cit., p. 25.
97
101
opporsi anche alla reazione araba e palestinese. Pur mantenendo tutte le distinzioni del caso99,
il FDPLP si schiera esplicitamente a fianco dei paesi socialisti, facendo appello «upon all
forces of national liberation and socialism all over the world»100 affinché adottino la
soluzione dello Stato democratico popolare.
La proposta di Stato popolare avanzata dal FDPLP va situata all’interno
dell’orientamento nazionalista arabo ereditato dalla militanza nel MNA, che caratterizza
fortemente l’organizzazione di Hawatma almeno fino alle gravi perdite subite nello scontro
con il regime giordano, tra il settembre 1970 e il luglio 1971. Lo Stato palestinese popolare e
democratico deve essere il culmine di un processo di cambiamento rivoluzionario in senso
socialista e unitario dei Paesi arabi che avrebbe portato alla creazione di uno "Stato arabo
federale". In un contesto arabo e socialista, liberato dal sionismo, dall’imperialismo e dalla
reazione araba, la convivenza con gli ebrei sarebbe divenuta naturale. Bisogna anche
sottolineare il fatto che, rispetto al concetto usato da Fatah di “coesistenza di musulmani,
cristiani ed ebrei”, dove la demarcazione corre lungo linee religiose, nel testo del FDPLP si
parla di “coesistenza degli arabi e degli ebrei”, o di “problemi israeliano e palestinese”,
proponendo una distinzione basata sul riconoscimento di due popoli.
Il testo prosegue affermando che la guerra popolare di liberazione contro i tre nemici,
il sionismo, l'imperialismo e la reazione, è l'unica via per giungere alla completa liberazione
della Palestina e alla «creazione di uno Stato democratico in cui arabi ed ebrei godranno di
uguali diritti e responsabilità nazionali [huquq wa wajibat wataniyya mutasawiyya]»101. Non
a caso il FDPLP utilizza wataniyya per indicare la cittadinanza comune tra ebrei e palestinesi
nel futuro Stato democratico popolare di Palestina, e non qawmiyya, relativo invece alle
specificità nazionali. Il discrimine non è quindi l'etnicità o la nazionalità, ma l'appartenenza
99
La posizione dell’Unione Sovietica, che non metteva in discussione l’esistenza dello Stato israeliano ed era
favorevole a una soluzione pacifica del conflitto sulla base della risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza,
non coincideva con quella del MRP. Dalla guerra dell'ottobre 1973 però le posizioni della corrente di
maggioranza dell'OLP si sarebbero progressivamente avvicinate a quelle della superpotenza alleata. Sulle
relazioni tra il MRP e l'Unione Sovietica in questa fase storica si veda: The Challenge to the Resistance: The
Soviet View, «Journal of Palestine Studies», Views from Abroad, Vol. 4, No. 1, Autumn, 1974, pp. 174-176;
The Soviet Attitude to the Palestine Problem: From the Records of the Syrian Communist Party, 1971-72,
«Journal of Palestine Studies», Special Document, Vol. 2, No. 1, Autumn, 1972, pp. 187-212. Per una
prospettiva più globale e di lungo periodo: Golan G., Soviet-PLO Relations and the Creation of a Palestinian
State, The Soviet and East European Research Center, paper no. 36, Jerusalem 1979; The Soviet Union and the
Palestine Liberation Organization, Praeger Publishers, New York 1980; Soviet Policies in the Middle East,
Cambridge University Press, New York 1990; Ulam A., Dangerous Relations: The Soviet Union in World
Politics, 1970-1982, Oxford University Press, New York 1988.
100
Draft Resolution Presented by the Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine to the Palestine
National Congress, cit., p. 26.
101
Ibidem.
102
ad uno Stato, ad un territorio, ad una patria.
Dal momento che il FDPLP mira ad istituire uno Stato democratico popolare in
Palestina, che funga da base per la costituzione di una federazione araba unificata socialista e
antimperialista, tutti gli ebrei antisionisti o non sionisti sono chiamati in causa. Per la prima
volta un'organizzazione del MRP si rivolge direttamente agli ebrei in Israele, purché
antisionisti, delineando la possibilità di una lotta congiunta:
The Sixth Palestine Council calls on all anti-Zionist and anti-imperialist elements or
groupings within Israel and among Jews to support this solution and rally to the
cause of joint Palestine armed and popular struggle for the implementation of this
democratic and revolutionary solution102.
Il FDPLP è la prima organizzazione a lanciare l'idea di una lotta congiunta con le
organizzazioni israeliane antisioniste, come il Matzpen. Questo aprirà la strada, in seguito, al
dialogo tra rappresentanti dell'OLP e del partito comunista e, dopo la guerra del 1973, con
alcune personalità e gruppi sionisti103.
Il sesto CNP: uno Stato democratico palestinese
Il sesto CNP si tenne al Cairo dall’1 al 6 settembre del 1969 e vide la partecipazione, tra le
organizzazioni combattenti, dei rappresentanti di Fatah, dell’ELP e delle Forze di Liberazione
Popolari (FLP), di al-Saʿiqa, del FDPLP, del FDPLP-CG, dell’Organizzazione Araba per la
Palestina (OAP)104. Anche questa volta il FPLP boicottò la sessione. Nella Circolare interna
riguardante i dibattiti e i risultati della sesta Assemblea Nazionale il FDPLP riconosce che,
fin dalla sua adozione, lo slogan di Stato democratico ha suscitato ampia risonanza mondiale
ma allo stesso tempo anche delle opposizioni. In seno al CNP sono sorte varie posizioni: una
considera lo Stato democratico uno slogan tattico, non strategico, da propagare perché è
accolto favorevolmente a livello internazionale; un'altra lo respinge perché contraddice il
carattere arabo della Palestina e il principio di autodeterminazione previsto nella Carta
nazionale dell’OLP, e comporta un regolamento pacifico con gli ebrei di Palestina105.
Il contenuto socialista, l’orientamento panarabista e l'appello alla lotta congiunta con
gli ebrei contenuti nella proposta del FDPLP non potevano che suscitare l’opposizione degli
102
Draft Resolution Submitted by the Popular Democratic Front for the Liberation of Palestine at the Sixth
Session of the Palestinian National Council Concerning "a Popular Democratic Solution for the Palestine
Problem, in «IDP 1969», cit., p. 778.
103
Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 62.
104
Per permettere la partecipazione di altre organizzazioni di guerriglia, altri 24 seggi furono così distribuiti: 9 al
FDPLP, 3 al FPLP-CG, 2 all’OAP e il resto a gruppi non combattenti.
105
Stralci riportati nell'articolo The Meaning of the Democratic State, The Meaning of the Democratic State, in
Harkabi Y., Palestinians and Israel, Israeli University Press, Jerusalem 1972, pp. 72-73.
103
ambienti più tradizionalisti dell’OLP e dell'ala più conservatrice di Fatah (proveniente dai
Fratelli Musulmani e legata finanziariamente all’Arabia Saudita e agli altri stati del Golfo).
Questo è confermato nel resoconto sulla sesta sessione del CNP pubblicato su «al-Hurriyya»
il 29 settembre 1969, in cui si legge che il blocco reazionario ha contestato tutte le posizioni
avanzate dalle forze di avanguardia, difendendo i privilegi di classe e burocratici acquisiti
nell'OLP, negando l'esistenza di una reazione araba e palestinese, respingendo qualsiasi
posizione rivoluzionaria e di avanguardia nei rapporti con i regimi arabi e con il movimento
di liberazione nazionale nella regione, equiparando le posizioni dell'Unione Sovietica a quelle
degli Stati Uniti per quanto riguarda la questione palestinese e respingendo persino le parole
d'ordine generali accettate dalla destra palestinese, tra cui lo slogan dello Stato democratico
di Palestina. La destra del consiglio, all'interno della quale sono emerse tendenze razziste,
reazionarie e "shuqayriste" per quanto riguarda la questione israeliana, si è rifiutata di
appoggiare qualsiasi risoluzione sul progetto di Stato democratico e persino sulla menzione
del termine "Stato democratico di Palestina"106.
Il comunicato politico emesso al termine della sesta sessione del CNP, sebbene
riaffermi il legame tra rivoluzione palestinese e rivoluzione araba, sancisce l'indipendenza di
azione palestinese e il rifiuto di qualsiasi tutela esterna107. La bozza presentata dal FDPLP
conteneva anche un invito esplicito a rovesciare i regimi arabi reazionari alleati con
l’imperialismo e con il sionismo. Il testo finale approvato dal sesto CNP non menziona però
la "reazione araba" tra i nemici della rivoluzione, che sono individuati invece nella
«occupazione sionista, basata su Israele e con le forze dell’imperialismo mondiale in suo
supporto»108. Il testo non fa neanche riferimento alla necessità di espandere la rivoluzione al
di là dei confini della Palestina mandataria, recependo invece il principio formulato
precedentemente da Fatah di non ingerenza negli affari interni dei Paesi arabi a patto che
questi non ostacolino la libertà d’azione palestinese109.
Sebbene in una formulazione ancora vaga il sesto CNP del settembre 1969 adotta la
parola d’ordine dello Stato democratico: «The Assembly [...] declared the determination of
the people of Palestine to go forward with their revolution until victory is achieved and a
Palestinian democratic state is created, free from all forms of religious and social
106
«al-Hurriyya», 29/9/1969.
Political Statement Issued by the Sixth Palestine National Assembly, Cairo, September 6, 1969, in «IDP
1969», cit., p. 779.
108
Ibidem.
109
Ibidem.
107
104
discrimination»110. Nelle sue raccomandazioni, la commissione politica e d'informazione
sostiene che, pur pronunciandosi per il «mantenimento di questa parola d'ordine nelle sue
decisioni e nelle sue dichiarazioni politiche»111, chiede al consiglio esecutivo la «costituzione
di una commissione per studiarla e darle tutta la sua chiarezza»112 con il compito di
presentare il risultato dei suoi studi durante la prossima seduta del CNP.
Rispetto al CNP del febbraio, dove si parlava di "società palestinese" (mujtamaʿ
filastini), ora il testo si riferiva esplicitamente a uno "Stato palestinese" (dawla filastini).
Inoltre, l’invito contenuto nella bozza del FDPLP “a tutte le forze antisioniste e agli elementi
o gruppi antimperialisti in Israele e tra gli ebrei”, nel comunicato diventava un vago appello
alle “varie altre forze di liberazione e di progresso nel mondo”. Doveva trascorrere ancora
qualche anno prima che la classe dirigente dell’OLP rivolgesse direttamente agli israeliani
non-sionisti l’appello ad unirsi alla lotta.
In un lungo resoconto del dibattito e delle risoluzioni adottate durante la sesta sessione
del CNP l'intellettuale libanese Clovis Maqsud espone i temi principali affrontati dal MRP
per quanto riguarda la proposta di Stato democratico. Lo Stato democratico palestinese non
deve essere intesa come alternativa alla lotta armata, ma ad essa complementare: deve essere
«a substitute for the Zionist existence in our nation»113. L’escalation della lotta armata,
insieme alla proposta di Stato democratico, persegue il duplice obiettivo di scoraggiare il
sionismo mondiale dal fare di Israele il punto focale di raccolta dell’ebraismo mondiale e,
allo stesso tempo, di fomentare le opposizioni tra gli ebrei in Israele. Continua Maqsud: «The
democratic state of Palestine, as manifested in the Palestine resistance's findamental
conviction, is a secular and multisociety state»114.
Tuttavia, nella fase di liberazione nazionale la resistenza non è tenuta a fornire
ulteriori dettagli sulla composizione amministrativo-costituzionale, che risulta dalle
circostanze che porteranno alla liberazione. Infine, la proposta di Stato democratico deve
essere presentata in relazione alla nazione araba: «the democratic Palestine formula will be
the Palestinian extension of the unified democratic Arabb entity»115. È importante notare,
scrive Maqsud, che la maggioranza del MRP considera il dibattito sullo Stato democratico
110
Ibidem.
Hamid R., Muqararat al-majlis al-filastini 1964-1974, Centro di ricerche dell'OLP, Beirut 1975, p. 156, in
Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 66.
112
Ivi, p. 151.
113
«Al-Ahram», September 14, 1969, in Yodfat A., P.L.O. Strategy and Tactics, cit., pp. 156-157.
114
Ibidem.
115
Ibidem.
111
105
un’occasione per affermare le principali convinzioni della lotta palestinese. Vale la pena
riportare per intero le annotazioni del pensatore libanese in quanto riguardano i punti
essenziali del dibattito sullo Stato democratico nel MRP:
1. Removal of the Zionist entity does not necessarily mean removal of Jews from
Palestine.
2. Admission of the right of the Jews to Palestinian citizenship and rejection of their
right to a national existence in Palestine.
3. Being a Jew does not give one additional privileges, as Zionism and the State of
Israel want to insure. Being a Jew also does not prevent one from enjoing the right
of equality and "belonging", as anti-Semitism and racism suggest.
4. It must be sterssed that the Jews as a group have no historical, religious, or
political right to Palestine, but the democratic state of Palestine will guarantee the
rights of the Jews as individual citizens of the state.
5. The Palestinian resistence cannot accept the existence of a Jewish "people". But
naturally it will recognize the existence of Jews as part of the people of Palestine.
6. Zionism continues its efforts to make Israel synonymous with what it terms the
Jewish nation [...].Jews do not have any special link to Palestine other than religion
[...] this spiritual-religious link does not give the Jews any political right or the right
to exist as a distinct group in Palestine [...].
7. [...] The Palestinian resistence is definitely confronting the Zionist entity as a
whole, because it perpetuates the right of a Jewish "group" or the Jewish "people" to
existence as a political ethnic [qawmi] entity at the expense of the Palestinian
people's national and political rights. Moreover, should the existence of a Jewish
"people" be acknowledged, the land on which Israel intends [as published] to
establish its state would be a secondary question. The Palestinian resistence's
opposition to Israel is actually opposition to the latter's right to existence and not
the extent of this existence116.
Emerge con chiarezza l’accettazione della presenza ebraica in Palestina e il diritto degli ebrei
alla cittadinanza e all’eguaglianza in quanto "parte del popolo della Palestina". Quello che la
resistenza non può accettare è il riconoscimento dell’esistenza di un "popolo ebraico", con
mire territoriali e rivendicazioni politiche e nazionali sulla Palestina.
Le osservazioni riportate da Maqsud sono confermate in un discorso tenuto a Nicosia
da un rappresentante dell'OLP durante la conferenza del World Council of Churches, tenuta
tra il settembre e l'ottobre 1969. L'unica soluzione in grado di soddisfare minimamente le
aspirazioni nazionali palestinesi senza causare eccessive sofferenze agli ebrei, e che sia di
lunga durata e fondata sulla giustizia, consiste nella
The setting-up of Palestine as a state in partnership, in which the Palestinian Arabs
and the Jews who are to stay can live together as equal citizens, regardless of
religion, colour or race. For the Palestine Jews opting for the proposal, this means
identifying with Palestine, and with its Arab environment, and therefore shedding
off Zionist associations and expansionist attitudes. For the Arabs, it means
116
Ibidem.
106
accepting the Jewish community and cooperating with it in democratic conditions—
and this for the first time since the Balfour Declaration in 1917117.
Questa soluzione, si legge nel resoconto, sarebbe vantaggiosa per la comunità ebraica in
perché solo l'accordo degli arabi di Palestina fornirà agli ebrei un rifugio pacifico e non
l'esercito israeliano, permettendo per la prima volta l'interazione economica e culturale tra
ebrei palestinesi e arabi palestinesi118.
Se, come evidenzia lo studioso Muhammad Muslih, visto nell'ottica odierna lo Stato
democratico può anche sembrare una visione massimalista, per i palestinesi che la proposero
alla fine degli anni sessanta si trattava invece di una grande concessione storica, nella quale la
popolazione indigena accettava di condividere la Palestina con gli ebrei, la maggior parte dei
quali si era stabilito solamente di recente n quella che era considerata dai palestinesi come la
loro patria di diritto. Inoltre, la proposta di Stato democratico rappresentava anche un
tentativo di prendere in considerazione le istanze di tutta la comunità ebraica che si trovava
già in Palestina119.
In sintesi, la proposta di Stato democratico avrebbe permesso alla resistenza
palestinese di esporre con chiarezza i principi umanitari, democratici e rivoluzionari della
lotta di liberazione, in particolare per quanto riguarda la concessione della cittadinanza agli
ebrei. L'accordo fu che la parola d'ordine di Stato democratico doveva essere formulata a
condizione di non elaborarla nei dettagli, ribadendo che doveva essere raggiunta per mezzo
della lotta armata e dopo lo smantellamento degli apparati ideologici e istituzionali del
sionismo, e che si ribadisse il suo carattere arabo, inserendo lo Stato democratico all’interno
di un contesto arabo unitario. L’adozione della parola d'ordine dello Stato democratico
durante la sesta sessione dell’OLP suscitò nel MRP un vivace dibattito che sarebbe durato
almeno fino all’ottavo CNP, svoltosi al Cairo tra il febbraio e il marzo del 1971, nel quale lo
Stato democratico fu ufficialmente inserito nel programma politico dell'OLP come l'obiettivo
strategico della lotta di liberazione.
Lotta armata e carattere arabo
Per rassicurare gli ambienti più intransigenti del MRP ed evitare che la proposta di Stato
democratico fosse percepita come un cedimento nei confronti del nemico, le prime
dichiarazioni erano sempre accompagnate da riferimenti al carattere arabo del futuro Stato e
117
In Aims of the Palestinian Resistance Movement with Regard to the Jews, cit., 13.
Ivi, p. 14.
119
Muslih M., Towards Coexistence: An Analysis of the Resolutions of the Palestine National Council, cit., p.
14.
118
107
alla lotta armata come unica via per la liberazione. Nel pensiero palestinese di resistenza
Israele è considerato irriformabile, razzista, colonialista ed espansionista, il suo ruolo è di
avamposto dell'imperialismo nella regione: il ricorso alla lotta armata è quindi "l'unica via"
per la liberazione dall'ideologia e dalle istituzioni sioniste, considerate un corpo estraneo
nell'area araba. In un'intervista del luglio 1969 Faruq Qaddumi afferma che «the Israeli entity
is an artificial one contrary to the logic of evolution»120. La natura "artificiale" di Israele
deriva dal fatto che per mantenersi in vita ha bisogno del supporto proveniente dal
capitalismo e dall’imperialismo mondiale. Se per sopravvivere dipende dalle forze coloniali,
non può che essere considerato «a tool in the hands of world imperialism to hinder the Arab
progressive movement»121. Secondo il dirigente di Fatah, l’esistenza di qualsiasi Stato
nell’area araba della Palestina che non sia uno Stato arabo palestinese è contrario alla logica
della storia della regione. In vent’anni Israele non ha impiantato delle radici economiche e
politiche nell’area in cui vive, restando un corpo alieno nel mondo arabo. Inoltre, Israele non
è capace di auto-riformarsi: «There will be no progressive trend and parties in Israel as long
as arms are not carried against the Israeli racist entity and an armed struggle is not embarked
upon for its elimination as a state, society, Zionist movement, and military establishment»122.
Le forze israeliane che si dichiarano progressiste, continua Qaddumi, contestano solamente il
gruppo al governo piuttosto che mettere in discussione la natura stessa del regime. L'unica
soluzione è quindi il ricorso alla lotta armata e l'edificazione di uno Stato arabo palestinese
che si integri armoniosamente con gli altri popoli della regione araba.
La dichiarazione politica del sesto CNP sottolinea infatti che «the goal of the Palestine
revolution is the achievement of the total and complete liberation of all the territory of
Palestine»123 e che «the method followed by the revolution is armed struggle, supported by
other forms of struggle»124. Tuttavia, la contemplazione di "altre forme di lotta" è una prima
apertura rispetto alla posizione precedente, sancita nell’articolo 9 della Carta nazionale
palestinese, in base alla quale «armed struggle is the only way to liberate Palestine. This is
the overall strategy, not merely a tactical phase»125. Secondo quanto riportato su «alMuharrir» il 9 settembre, durante il sesto CNP
120
Abu Lutf Answers Questions, cit., p. 107.
Ivi, p. 108.
122
Ivi, p. 106.
123
Political Statement Issued by the Sixth Palestine National Assembly, Cairo, September 6, 1969, cit., p. 779.
124
Ibidem.
125
Permanent Observer Mission of Palestine to the United Nations. Palestine National Charter of 1968,
http://www.un.int/wcm/content/site/palestine/pid/12362 .
121
108
It was agreed that statements concerning the "Democratic State" should be made
only in the context of the entire liberation of Palestine and annihilation of the Israeli
entity, so that there can be no misunderstanding or comparisons between the waves
of Eurpean Jewish immigrants into Palestine and the original sons of the country126.
Anche le organizzazioni di ispirazione marxista-leninista condividono il giudizio
sull'irriformabilità di Israele e sull'inevitabilità della lotta armata. Nel lungo simposio
pubblicato su «al-Anwar» nel marzo del 1970, il rappresentante del FDPLP afferma che la
coesistenza con l'entità israeliana è impossibile in ragione del legame tra questa e il sionismo,
e tra il sionismo e gli interessi dell'imperialismo nella regione: «perciò, sradicare l'influenza
imperialista nella regione significa sradicare l'entità israeliana [...] e questo può essere
raggiunto solo per mezzo della lotta armata»127. Inoltre, una prospettiva in cui la classe
lavoratrice israeliana arrivi al governo è ritenuta impossibile: «lo status dell'entità israeliana
come colonia straniera impiantata nel cuore della regione spinge la maggioranza dei
lavoratori nello Stato sionista a consolidarsi attorno alla classe dirigente, impedendo in questo
modo lo sviluppo della guerra di classe all'interno di Israele»128.
L'alleanza di classe tra il proletariato palestinese e quello israeliano è impossibile senza lo
smantellamento della struttura coloniale, in quanto il proletariato palestinese è soggetto, oltre
allo sfruttamento di classe, anche all'oppressione nazionale, mentre il proletariato ebraico è
soggetto allo sfruttamento di classe, ma non a quello nazionale, e beneficia a sua volta dello
sfruttamento del proletariato palestinese. Nell'intervento al dibattito su «al-Anwar», il
rappresentate del FPLP afferma che
Although it is in the interest of the proletarian Jew to liberate himself from
exploitation of Zionist ideology and dominance, yet this individual proletarian Jew
finds himself, at the same time, benefiting from the Zionists' exploitation of the
Arabs who experience even deeper and greater exploitation than that experienced
by Jewish proletariat129.
La distruzione dello Stato israeliano è la condicio sine qua non per liberare il proletariato
ebraico dalla condizione, tipica di un contesto coloniale, di essere insieme vittima e
beneficiario del sistema di oppressione e sfruttamento. La soluzione è quindi la lotta armata,
non solo perché «armed struggle alone is capable of destroying the the aggressive imperialist
entity, but also because armed struggle is the course most capable of liberating those classes
which are victims of explitation in Israel away from their minor benefits in the direction of
126
In The Meaning of the Democratic State, in Harkabi Y., Palestinins and Israel, cit., pp. 73-74.
«al-Anwar», March 8, 1970.
128
Ibidem.
129
Palestine: Towards a Democratic Solution, cit., p. 19.
127
109
confrontation of the aggressive entity»130.
Anche secondo Ghassan Kanafani, caporedattore del settimanale del FPLP «al-Hadaf», lo
sviluppo di un'alleanza di classe tra il proletariato palestinese e quello ebraico è ostacolata dal
fatto che esso ricava dei benefici dal suo status coloniale. Per permettere l'alleanza tra il
proletariato antisionista israeliano e il MRP arabo sono necessari due fattori: da una parte il
MRP e, dall'altra, un'opposizione di massa all'interno di Israele. Non ha senso parlare della
Palestina democratica almeno fino a quando in la resistenza palestinese diventa un'alternativa
realistica per il proletariato ebraico: l'unica opzione è quindi la crescita e l'intensificazione
della lotta armata palestinese131.
L’accettazione della presenza ebraica nel futuro Stato democratico introduce a sua
volta un’altra contraddizione: come coniugare la presenza di milioni di ebrei con il carattere
arabo dello Stato democratico? Le risposte dei leader di Fatah sono piuttosto elusive
sull’argomento: se molti ebrei di origine occidentale lascerebbero la Palestina nel corso della
lotta di liberazione, gli ebrei di origine araba integrerebbero senza difficoltà mentre il resto
sarebbe diluito dalla presenza degli arabi cristiani e musulmani e dal ritorno dei palestinesi
della diaspora. Nell’agosto del 1969 Arafat chiarisce che non c'è contraddizione tra la
massiccia presenza ebraica nel futuro Stato democratico e la sua arabicità in quanto «the
social, geographical and historical factors play a major role in determining the nature and
identity of any state»132, e l'identità della Palestina è stata forgiata durante le vicende storiche
dell'area araba che la circonda. Lo Stato palestinese deve integrarsi pienamente nel mondo
arabo, pena il suo dissolversi in quanto corpo alieno destinato a produrre l’antagonismo dei
propri vicini:
The word “Arab” implies a common culture, a common language, and a common
background. The majority of the inhabitants of any future state of Palestine will be
Arab, if we consider that there are at present 2,500,000 Palestinian Arabs of the
Muslim and Christian faiths, i.e., within and beyond Israeli borders, and another
1,250,000 Arabs of the Jewish faith who live in what is now the State of Israel133.
In altre parole, anche nel caso in cui gli ebrei non arabi dovessero restare nel futuro Stato
democratico, la loro presenza sarebbe diluita con quella di tutti gli arabi musulmani, cristiani
ed ebrei presenti in Palestina o in attesa di tornare, in modo da non compromettere il carattere
arabo della patria, condizione essenziale per garantirne la sopravvivenza.
130
Ivi, p. 20.
Ghassan K., (Interviewed by Fred Halliday), On the PFLP and the September Crisis, «New Left Review»
I/67, May–June 1971, p. 57.
132
«Free Palestine» (London), Vol. II, No. 3, August 1969, p. 1.
133
Ivi, p. 773.
131
110
A questo proposito è interessante sottolineare il fatto che Arafat si riferisce agli "arabi
di religione ebraica" per intendere tutti gli ebrei immigrati in Palestina da altri Paesi arabi,
quindi di cultura araba e appartenenti alla nazione araba, per distinguerli dagli ebrei
immigrati dall'Europa, dagli Stati Uniti o da altri Stati non arabi. La classificazione degli
ebrei provenienti dai Paesi arabi come "arabi di religione ebraica" permette ai leader
palestinesi di formulare l'appartenenza identitaria in termini cultural-nazionali, riferendosi al
concetto di nazione araba, che travalica le appartenenze di gruppo, di religione o di altro tipo.
In questo modo è possibile includere gli "arabi di religione ebraica" nel concetto di "popolo
arabo", di "nazione araba" e in quanto arabi di Palestina anche in quello di "popolo
palestinese". Lo Stato di Palestina, inteso come entità politica geograficamente limitata
all'area di competenza del Mandato britannico fino al 1947, viene a coincidere con la nazione
palestinese, definita invece in termini culturali, secondo il modello storicamente dominante di
Stato-nazione.
Il punto di vista di Arafat riflette una concezione molto diffusa non solo nella
resistenza, ma anche nel movimento nazionale palestinese. La formulazione "arabi di fede
ebraica" considera la storia degli ebrei nel mondo arabo come parte integrante della storia e
della cultura araba, e li caratterizza per la loro adesione religiosa, l'ebraismo, che i rende arabi
tanto quanto lo sono i musulmani e cristiani arabi. Gli ebrei di fede ebraica condivono con gli
altri arabi la storia, la lingua, la letteratura, finanche la discriminazione subita per mano
dell'elite di coloni ebrei europei. La divisione è individuata invece tra i coloni europei (ebrei
ashkenaziti), da un lato, e gli arabi dall'altra (inclusi gli ebrei arabi), e non tra ebrei e non
ebrei, come nel discorso sionista, dove a prescindere da sviluppi storici e modelli culturali
diversi gli ebrei rimangono una nazione.
In ogni caso, il tema del rapporto tra la presenza di milioni di ebrei sul suolo
palestinese e il carattere arabo del futuro Stato era stata discussa anche durante il sesto CNP
del settembre 1969. Nel rapporto The Fedayeen della Central Intelligence Agency (CIA) del
gennaio 1971 e recentemente declassificato, si riporta un passaggio decisivo del dibattito:
Popular Struggle Front leader Abu-Gharbiyah questioned Fatah's support of a
secular Palestine with equal rights for Arabs and Jews, on the grounds that there
would be too many Jews in the Palestine of the future to make this feasible. The
final concensus reached was that the base figure for a Jewish population must be
either those Jews in Palestine as of 1948 or "Palestinian Jews who were in Israel
until 1948". This privately agreed upon position of the Council is not compatible
111
with Fatah's public position on this issue, which supports equal rights for all Jews in
Israel now with the exception of those "Zionists" who would not wish to stay134.
Sebbene si basi su “resoconti clandestini” il rapporto della CIA appare verosimile,
soprattutto alla luce delle resistenze di certi ambienti reazionari già segnalate nella circolare
interna del FDPLP. Lo scarto tra le posizioni pubbliche di Fatah sullo Stato democratico e la
vaga formulazione adottata dal sesto CNP appare il risultato di un compromesso tra le varie
anime che compongono l’OLP. Bahat Abu-Gharbiyya, portavoce ufficiale del Comitato
esecutivo dell’OLP fino all’ascesa di Fatah, co-fondatore nel 1955 del ramo di Ramallah del
partito Baʿth e leader del FLP dal febbraio 1969, incarna bene le resistenze che la proposta di
Stato democratico (e l'accettazione della presenza degli ebrei) suscitavano nella "vecchia
guardia" dell’OLP e negli ambienti panarabisti. In primo luogo, vi era la preoccupazione che
la massiccia presenza di ebrei poteva definitivamente compromettere il carattere arabo della
futura Palestina; in secondo luogo, il riferimento esplicito alla formazione di uno Stato
palestinese era visto come un tradimento nei confronti del progetto panarabista di unità araba.
Nabil Shaʿth riconosce che la proposta di Stato democratico avanzata da Fatah è stata
estremamente controversa nel 1970, l’anno in cui, sia all’interno sia all’esterno del MRP, la
proposta è stata largamente dibattuta. Da parte araba, scrive Shaʿth, il dissenso rientra entro
tre categorie: alla prima appartiene chi pensa che la proposta di Stato democratico sia
sinonimo di negoziati o di creazione di uno Stato in Cisgiordania e Striscia di Gaza. Alla
seconda categoria appartiene «chauvinistic minority remote from the basic principles of the
revolution»135, che non riesce a concepire uno Stato palestinese con una massiccia presenza
ebraica al suo interno. Infine, c'è chi sostiene che la creazione di uno Stato palestinese
avrebbe consolidato lo stato di "separatismo regionale" nell’area. A scanso di equivoci,
l’autore ribadisce che il concetto di Stato democratico «it can take root only out of liberation
and as a consequence of liberation: hence, it is not a substitute for liberation»136, né può
essere il risultato di negoziati, ma solo di un lotta armata di liberazione che distrugga le
fondamenta politiche, economiche e militari dello Stato israeliano. In aggiunta, lo Stato
democratico dovrà per forze di cose esser parte della più ampia patria araba, essendo la
Palestina parte del mondo arabo. La creazione di una «democratic, progressive, non sectarian
134
Central Intelligence Agency (CIA), The Fedayeen (Annex to ESAU XLVIII: Fedayeen-- “Men of Sacrifice’),
Directorate of Intelligence, January 1971, p. 85.
135
Towards a Democratic State in Palestine. The Palestinian Revolution and the Jews Vis-à-Vis the Democratic,
Nonsectarian State in the Palestine of the Future, PLO Research Center, Beirut 1970, p. 7.
136
Ivi, p. 8. Corsivo nel testo originale.
112
Palestine»137 che «will encompass the Jewish, Christian and Moslem Palestinians working,
living and worshipping freely and securely without discrimination, exploitation and
oppression»138, è la sola soluzione umanitaria e progressista.
Nabil Shaʿth affronta anche il tema della sostenibilità demografica del futuro Stato. I
critici della proposta di Stato democratico obiettano che il futuro Stato avrà una maggioranza
ebraica, il che renderebbe la situazione altamente esplosiva e riprodurrebbe lo schema di
dominazione sionista. Secondo Shaʿth, dalle statistiche emerge che gli ebrei sono circa 2,5
milioni, mentre i palestinesi, che si trovino sotto occupazione israeliana (dentro e fuori i
confini del 1967) o in esilio, sono circa 2,6 milioni (ed hanno anche un più alto tasso di
natalità). Quindi i palestinesi non sarebbero affatto una minoranza nel futuro Stato. Inoltre,
dal 1949 sono sempre più numerosi gli ebrei europei che lasciano Israele, mentre
l'immigrazione riguarda in gran parte gli ebrei arabi. Nel futuro prossimo
The process of the revolution will inevitably increase the tempo of emigration
especially of those beneficiaries of a racist state who will find it very difficult to
adapt to an open plural society. Parallel to that development will be the increasing
modernization of the Arab countries and toleration of all minorities including the
Jewish citizens. Fateh is already engaged in serious negotiations with several Arab
countries to allow Jewish emigrants back and to return their property and to
guarantee them full and equal rights139.
Shaʿth ripropone la classificazione degli ebrei in arabi e non arabi, il che permette di
considerare tutti gli ebrei immigrati dai Paesi arabi come appartenenti alla nazione araba e
risolvere in questo modo la questione del carattere arabo del futuro Stato: «la maggior parte
degli ebrei in Palestina oggi sono ebrei arabi eufemisticamente chiamati ebrei orientali dai
sionisti. Pertanto, la Palestina unisce ebrei, cristiani e arabi musulmani così come ebrei non
arabi (ebrei occidentali)»140. Secondo Shaʿth, questi fattori, uniti all'integrazione della
Palestina nella regione araba, permetteranno di mantenere una bilancia demografica
accettabile per i palestinesi.
Il ruolo degli ebrei
Profondamente legata alla proposta di Stato democratico è la questione del ruolo degli ebrei
nella Palestina del futuro. Quanti ebrei avrebbero goduto della cittadinanza palestinese e a
quali condizioni? In questo senso le proposte avanzate da Fatah e in generale del MRP
137
Ivi, p. 8.
Ivi, p. 9.
139
Towards the Democratic Palestine, «Fateh», January 19, 1970, p. 11.
140
Ivi, p. 10.
138
113
rappresentano un superamento delle posizioni della leadership tradizionale. La Carta
nazionale palestinese adottata nel 1964, all'articolo 6 stabilisce che sono «palestinesi quei
cittadini arabi che hanno avuto residenza abituale in Palestina fino al 1947, che vi siano
rimasti oppure che ne siano stati espulsi. Tutti i bambini nati da genitori palestinesi dopo
questa data, sia nella stessa Palestina, sia all’estero, sono Palestinesi»141, mentre l'articolo 7
prevede che «gli ebrei di origini palestinesi saranno considerate palestinesi se acconsentono a
vivere pacificamente e lealmente in Palestina»142. In questo caso, osserva Alain Gresh,
verrebbero esclusi dalla cittadinanza il 95% degli ebrei, vale a dire tutti gli ebrei non "di
origine palestinese" che non vivono da generazioni in Palestina, ma sono di recente
immigrazione143. La Carta adottata dal quarto CNP nel luglio del 1968 all'articolo 6 prevede
una definizione ancora più restrittiva: «gli ebrei che risiedevano normalmente in Palestina
prima dell'invasione sionista
saranno considerati palestinesi»144,
laddove "l'inizio
dell'invasione sionista" è generalmente considerato il 1917, anno della Dichiarazione Balfour
che garantisce agli ebrei il diritto ad una "national homeland" in Palestina145. In questo caso
la percentuale di ebrei aventi diritto alla cittadinanza sarebbe ancora più esigua rispetto alla
formulazione della Carta del 1964. Questo lascerà ampio margine alla propaganda israeliana
per accusare il movimento nazionale palestinese di "buttare gli ebrei a mare".
Yussif Sayigh, direttore del Centro di pianificazione dell'OLP, in una lettera
pubblicata dal «Times» il 28 febbraio 1970 dichiara che durante il sesto CNP nel settembre
del 1969, Fatah, al-Saʿiqa e FDPLP «presentarono un emendamento alla clausola 6 con
l'intenzione di renderla più chiaramente inclusiva di tutti gli ebrei, senza alcuna condizione se
non che dovranno liberarsi dagli atteggiamenti colonialisti e accettare di vivere in pace con i
palestinesi cristiani e musulmani»146. In vista della prossima seduta del CNP, continua
Sayigh, un sotto-Comitato è stato incaricato di rivedere l'articolo 6. In realtà, nonostante i
tentativi di modifica, l'articolo 6 non sarebbe stato modificato nelle sessioni successive. E
questo perché gli emendamenti alla Carta avrebbero richiesto la maggioranza dei due terzi del
141
Il testo della Carta nazionale palestinese del 1964 è consultabile sul sito della Permanent Observer Mission of
Palestine
to
the
United
Nations,
Palestine
National
Charter
of
1968,
http://www.un.int/wcm/content/site/palestine/pid/12363 .
142
Ibidem.
143
Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 50.
144
Palestine National Charter of 1968, Permanent Observer Mission of Palestine to the United Nations, cit.
145
Nelle risoluzioni politiche dell'Assemblea nazionale palestinese del 17 luglio 1968 si afferma che «the
aggression against the Arab nation and the territories of that nation, began with the Zionist invasion of Palestine
in 1917», in Lukacs Y. (a cura di), The Israeli-Palestinian Conflict: A Documentary Record, 1967-1990,
Cambridge University Press, New York 1992, p. 300.
146
«Arab Report and Record», 1-15 March 1970, London, p. 164.
114
CNP, e Fatah, al-Saʿiqa e FDPLP insieme non raggiungevano un numero sufficiente di seggi;
in parte perché dinanzi all'acuirsi delle tensioni con le autorità libanesi e giordane e ai
tentativi di soluzione negoziata basate sulla risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU, la priorità nell'agenda del MRP diventava l'unità nazionale147. La proposta di Stato
democratico e soprattutto qualsiasi modifica della Carta in senso favorevole agli ebrei
sarebbe stata vista come una concessione e avrebbe potuto causare pericolose divisioni nel
movimento nazionale.
Lo scarto tra la posizione di Fatah e quella della Carta nazionale è spiegabile anche
dal fatto che l'organizzazione di Arafat era ancora minoritaria all'interno del CNP e l'idea di
Stato democratico, fino all'ottobre del 1968 oggetto di mera discussione interna, era
suscettibile di sollevare delle pericolose divisioni persino all'interno dell'organizzazione. In
ogni caso, le posizioni successive e le dichiarazioni pubbliche di Fatah e delle altre
organizzazioni del MRP costituiscono senza dubbio un superamento dell'articolo 6 della
Carta nazionale. Ne è da esempio lo slittamento semantico che attraversa il termine "ebrei
palestinesi", con il quale non si intendono più gli ebrei presenti sul suolo della Palestina
prima dell’invasione sionista, come suggerirebbe l'articolo 6 della Carta nazionale, ma si
riferisce piuttosto a tutti gli ebrei che risiedono in Palestina, inclusi quelli di recente
immigrazione. Nel primo comunicato di Fatah del gennaio 1968 si legge:
Al-Fatah and the entire Palestinian people […] know that on the day the flag of
Palestine is hoisted over their freed, democratic, peaceful land, a new era will begin
in which the Palestinian Jews will again live in harmony, side by side with the
original owners of the land, the Arab Palestinians148.
Il termine "palestinese" si riferisce in questo caso a qualsiasi persona che risiede nell'area
posta sotto Mandato britannico dalla Società delle Nazioni, e la discriminante è tra gli "ebrei
palestinesi", cioè i coloni ebrei europei, e gli "arabi palestinesi", che includono gli arabi di
religione ebraica (anche se di recente immigrazione), musulmana e cristiana. In un'intervista
pubblicata su «al-Taliʿa» nel giugno 1969 Salah Khalaf afferma: «Naturally we accept the
Jews as citizens on an equal footing with the Arabs in everything»149, poi aggiunge che Fatah
garantirà uguale diritto di cittadinanza non solo ad ogni ebreo antisionista, ma anche a
qualsiasi ebreo che abbia rinunciato alle idee sioniste. In questa prospettiva, dichiara Khalaf:
«We I say the Palestinian people I mean the whole people with all its communities:
Christians, Moslems and Jews, but without the Zionist state which is connected with
147
Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 67.
Press Release N° 1, January 1968, cit., p. 14.
149
In «IDP 1969», cit., p. 720.
148
115
colonialism, wothout racialism, without Zionism, without religious fanaticism»150.
Anche Nabil Shaʿth, unodei principali teorici dell'idea di Stato democratico, enuncia
chiaramente il pieno diritto degli ebrei alla cittadinanza, respingendo la formulazione
restrittiva contenuta nell'articolo 6 della Carta nazionale. Shaʿth elenca le componenti del
futuro Stato democratico:
All the Jews, Moslems and Christians living in Palestine or forcibly exiled from it
will have the right to Palestinian citizenship. This guarantees the right of all exiled
Palestinians to return to their land whether they have been born in Palestine or in
exile and regardless of their present nationality. Equally, this means that all Jewish
Palestinians— at the present Israelis— have the same right provided of course that
they reject Zionist racist chauvinism and fully accept to live as Palestinians in the
New Palestine. The revolution therefore rejects the supposition that only Jews who
lived in Palestine prior to 1948 or prior to 1914 and their descendents are
acceptable151.
Il termine "palestinesi" include perciò i palestinesi in esilio, quelli sotto occupazione (in
Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) e gli ebrei stabilitisi in Palestina durante e
dopo il Mandato britannico.
Anche per il FPLP è chiaro che gli ebrei avranno gli stessi diritti di cittadinanza degli
arabi, ma questi vanno ricercati all'interno di un contesto arabo socialista unificato:
The aim of the Palestinian liberation movement is to to establish a democratic
national state in Palestine in which both Arabs and Jews will live as citizens with
equal rights and obligations and which will constitute an integral part of the
progressive democratic Arab national presence living peacefully with all forces of
progress in the world152.
Il segretario generale del FPLP George Habash dichiara nel maggio 1970 che «all Jewish
citizens in liberated Palestine, which will be organicaly united with the Arab homeland and
the Arab nation, must enjoy all their rights as citizens without distinction»153. Solamente una
società araba democratica e progressista che rimpiazzerà l'entità sionista, continua Habash,
potrà assicurare la piena liberazione economica e sociale di ciascun cittadino: «in this way it
will have provided the scientific solution, the human, democratic and progressive solution of
the Jewish problem»154.
Il simposio sullo Stato democratico organizzato da «al-Anwar» è estremamente
interessante in quanto i rappresentanti delle organizzazioni palestinesi affrontano con tutta
150
Ibidem.
Towards the Democratic Palestine, «Fateh», January 19, 1970, p. 10.
152
Strategy cit., Capitolo X.
153
«al-Ahrar», 23 maggio 1970, in «IDP 1970», cit., p. 802.
154
Ibidem.
151
116
franchezza il tema dello Stato democratico e la questione degli ebrei in Palestina. Farid alKhatib, che afferma di avere visione vicina a quella di Fatah pur non essendone membro,
dichiara che in seguito alla smantellamento dello Stato sionista il futuro Stato democratico
palestinese dovrà essere «deciso in base alla volontà del movimento di liberazione nazionale
palestinese e alla volontà degli ebrei che vivevano in origine in Palestina, vale a dire prima
del 1948, e coloro che arrivarono più tardi»155. Secondo al-Khatib, tutti gli ebrei presenti in
Palestina dovranno concorrere a determinare le caratteristiche del futuro Stato palestinese: gli
ebrei in Palestina hanno il diritto di esprimere in modo democratico la loro visione sul
carattere arabo dello Stato democratico, ma nell'attuale fase della lotta è preferibile non
svelare ulteriori dettagli.
Per il rappresentante del FLA, organizzazione panarabista sponsorizzata dal partito
Baʿth iraqeno, l'alternativa all'entità sionista non è la creazione dello Stato palestinese, che
non serve gli interessi della patria araba, ma nella realizzazione dell'unità araba e del
socialismo: «in uno Stato arabo unificato tutte le minoranze - confessionali e di altro tipo avranno uguali diritti»156. Nella situazione presente infatti Israele gode di superiorità politica,
economica e militare, l'adozione di questo slogan sarebbe un errore perché contribuirebbe al
consolidamento della presenza sionista sulla terra araba.
Shafiq al-Hut, tra i fondatori dell'OLP e rappresentante dell'organizzazione in Libano,
sostiene che lo slogan dello Stato democratico non deve essere elaborato nei dettagli in
quanto potrebbe favorire tra i combattenti un senso di sconforto e di debolezza. Può essere
utilizzato come strumento di propaganda, per controbattere alle accuse di voler "buttare gli
ebrei a mare", ma non come obiettivo politico strategico in quanto non sarebbe compatibile
con l'identità araba della regione e la sua aspirazione all'unità, alla libertà e al socialismo.
Secondo al-Hut «per quanto riguarda la situazione umana degli ebrei [...] dovremmo mettere
a nudo il movimento sionista e dire all'ebreo: il movimento sionista che ti ha portato in
Palestina non ha trovato una soluzione al tuo problema in quanto ebreo»157. La soluzione,
continua il rappresentante dell'OLP in Libano, consiste invece nel tornare al paese di
provenienza e lottare lì per l'assimilazione nella società.
Il rappresentante di al-Saʿiqa, organizzazione panarabista legata al Baʿth siriano,
ritiene che lo slogan dello Stato democratico sia stato avanzato prematuramente, e questo
spiegherebbe le divergenze sorte in seno al movimento nazionale e il fatto che non esista
155
«al-Anwar», March 8, 1970.
Ibidem.
157
Ibidem.
156
117
un'interpretazione univoca del suo significato. Ma il problema del "che fare con questi ebrei",
nella visione di al-Saʿiqa, va affrontato con chiarezza: gli ebrei che vivono in Palestina
non possono tornare nei paesi dai quali sono emigrati, né possono trovare
un'alternativa nell'imbracciare le armi contro la rivoluzione araba, che per gli ebrei
continua significare la polverizzazione e la definitiva liquidazione di milioni di
ebrei in Palestina [...]. Non possiamo trascurare il fatto che questi ebrei, la
maggioranza dei quali è nata in Palestina, non conoscono un'altra patria158.
Con la proposta di Stato democratico, anche se non elaborata nei dettagli e non priva
di contraddizioni, il MRP si allontana decisamente dagli ambienti arabi sciovinisti per porre
la questione della liberazione della Palestina in termini di lotta anticolonialista e
antimperialista e per l'autodeterminazione. Questo consente ai palestinesi di introdurre una
netta distinzione tra sionismo e giudaismo, così come tra Israele e il movimento sionista da
una parte e la comunità ebraica di Palestina dall'altra. Come afferma lo studioso Muhammad
Muslih, «the concept of the secular democratic state provided a clear answer to the question
of the future of the Jews in a liberated Palestine and eliminated the earlier ambiguity that
surrounded this issue»159. Nella proposta di stato democratico la tensione è proiettata verso la
costruzione di una società futura in cui le rivendicazioni nazionali sono sempre meno legate
alla restaurazione della situazione antecedente alla nakba e in cui la presenza degli ebrei non
è più messa in discussione. In questa prospettiva, la proposta di Stato democratico
rappresenta una svolta significativa nel progetto di liberazione del movimento nazionale
palestinese.
Progressisti e conservatori
Lo studioso Hussein Agha individua quattro categorie di pensiero principali nella lotta
palestinese, che in parte rispecchiano il contrasto tra nazionalismo arabo e nazionalismo
palestinesi, in parte quello tra una concezione rivoluzionaria e una concezione conservatrice
della lotta di liberazione160. Se i nazionalisti arabi conservatori temevano che una massiccia
presenza ebraica avrebbe inevitabilmente compromesso il carattere arabo della Palestina, per
i nazionalisti arabi progressisti, invece, il problema ebraico e la questione palestinese
andavano risolti nel contesto di una federazione araba socialista. Inoltre, mentre i nazionalisti
158
159
Ibidem.
Muslih M., Towards Coexistence: An Analysis of the Resolutions of the Palestine National Council, cit., p.
14.
160
Le categorie: nazionalisti arabi conservatri, nazionalisti arabi progressisti, nazionalisti palestinesi
conservatori, nazionalisti palestinesi progressisti sono riprese da Agha H. J., What State for the Palestinians?,
cit., e applicate in questo contesto per esemplificare le varie posizioni circa la proposta di Stato demcoratico.
118
palestinesi conservatori e i nazionalisti arabi conservatori sospettavano che la proposta di
Stato democratico mascherasse la disponibilità al compromesso, i nazionalisti arabi
progressisti e i nazionalisti arabi conservatori obiettavano che la creazione di un ennesimo
stato avrebbe consolidato ulteriormente la frammentazione della nazione araba.
Si può dire che la parola d'ordine di Stato democratico incontri le maggiori obiezioni
negli ambienti nazionalisti arabi conservatori e presso i nazionalisti palestinesi conservatori.
Lo riconosce lo stesso Arafat nel gennaio del 1970, quando si lamenta del fatto che lo slogan
dello Stato democratico avanzato dalla rivoluzione palestinese sia stato oggetto di una
campagna di scetticismo anche da parte araba. Ancorando la parola d'ordine di Stato
democratico alle proposte di convivenza pacifica in uno Stato arabo già avanzate dalla
leadership palestinese prima del 1948, il leader dell'OLP prende le distanze dalla
formulazione più radicale avanzata dal FDPLP, rassicurando al contempo gli ambienti più
tradizionalisti del movimento nazionale arabo e palestinese:
This slogan [...] follows the original slogan which calls for the liberation of the land
and elimination of the Zionist entity, and then the establishment of a democratic
Arab state on the debris of that criminal expansionist entity, so that Christian and
Muslim Palestinians may be able to live with Jews with the same rights and
obligations161.
Lo stesso Nabil Shaʿth afferma che l'idea di una Palestina tollerante e aperta in cui
convivessero pacificamente e in armonia musulmani, cristiani ed ebrei «non è certo un’idea
nuova»162: i palestinesi la proposero già alla Commissione Peel nel 1937. Secondo Shaʿth, di
nuovo e di rivoluzionario c'è che dopo essere stati espulsi dalla proprie case, i palestinesi
facciano appello alla creazione di un nuovo paese che comprenda anche i coloni ebrei. In La
Palestina del domani, un intervento del febbraio 1971 tenuto al II simposio internazionale
sulla Palestina in Kuwait, Shaʿth afferma che
Fin dal 1930, gli arabi palestinesi hanno avuto la visione di uno Stato unitario,
pluralistico, che comprendesse sia loro, sia gli ebrei stanziati in Palestina che vi
vivevano all’epoca [...] L’espulsione degli arabi palestinesi dal loro territorio
nazionale e la loro tragica diaspora distrussero questa visione e la tolleranza in essa
implicita. Dal 1948 al 1968 il sogno dei palestinesi è stato quello del ritorno al
paradiso perduto163.
161
«al-Anwar», January 20, 1970, in Lebanese Newspaper Interview with Palestine Liberation Organization
Executive Committee Chairman Arafat on the Palestine Revolution in the Aftermath of the Arab Summit
Conference at Rabat, in «IDP 1970», cit., p. 749.
162
Mohammed Rasheed, op. cit., p. 12.
163
La Palestina del domani, testo della conferenza tenuta dal dr. Nabil Sha’ath al secondo simposio
internazionale sulla Palestina, Kuwait 13-17 febbraio 1971, in «Al Fatah», marzo 1971, p. 8. Il testo è stato
largamente riprodotto in varie lingue: Palestine of Tomorrow for Jews Christians and Moslems, Committee for
119
Negli ambienti più tradizionalisti del movimento nazionale palestinese la visione di Stato
pluralista e tollerante sembrerebbe rievocare il sistema tradizionale della “dhimma”, uno dei
concetti fondamentali dell’islam. Quest’ultima consiste nella protezione accordata dalla
'umma, la comunità religiosa musulmana, alle minoranze religiose declassate che pagano le
tasse: gli ebrei e i cristiani, appartenenti entrambi alle “religioni del Libro”.164. Al contrario,
nella visione delle nuove generazioni di combattenti e negli ambienti più laici e progressisti
della resistenza palestinese, la convivenza con gli ebrei in Palestina era ispirata al concetto
moderno di democrazia e formulata in termini di euguali diritti di cittadinanza, senza
distinzioni di sorta, ed era del tutto estranea al sistema tradizionale di tolleranza delle
minoranze religiose.
In un discorso tenuto al Central Hall Westminster di Londra il 15 aprile 1970,
l'economista Yusif Sayigh, professore di economia all'Università americana di Beirut e
direttore del Centro di Pianificazione dell'OLP, presenta una delle visioni più lucide ed
articolate della questione palestinese e della proposta di Stato democratico come giusta e
duratura soluzione del conflitto. La questione palestinese, sostiene Sayigh, non è un conflitto
religioso o razziale, in quanto gli arabi non hanno mai discriminato in base al colore, alla
religione o alla cultura; non è neanche una disputa tra Stati, risolvibile con qualche
aggiustamento di frontiera; non si tratta di una mera questione di profughi, anche se questi
costituiscono un aspetto relativo al conflitto; infine, non si tratta neanche di un classico caso
di colonialismo perché il colonialismo sionista è un «premeditated, long-term, ruthless, and
Better Relations, Birmingham 1971; La Palestine de domain, Editions Palestine, Geneva 1971; Filastin al-ghad
[La Palestina del domani], «Shu‘un Filistiniya», May 1971, pp. 5-23; «Fateh» [inglese] 23 marzo 1971; «Al
Fatah» [italiano] marzo 1971. Tra gli altri interventi di Nabil Shaʿth sul tema dello Stato democratico si veda:
Interview Statements by Palestine Resistance Spokesman Shaath Rejecting the Idea of a “Palestine State” on
the West Bank and Advocating a Democratic State for Arabs and Jews in All Palestine, in «IDP 1971», cit.; The
Palestinians will Fight on, interview to Nabil Shaath, «The New Middle East», No. 34, July 1971; The
Democratic Solution, «Journal of Palestine Studies», Vol. 6, Winter 1977, no. 2, pp. 12-18 (testo tratto da un
simposio sul sionismo tenuto a Baghdad nel novembre del 1976).
164
La proposta araba palestinese prima della nakba, riportata dalla Palestine Royal Commission o Commissione
Peel (dal nome del presidente della Commissione Earl Peel), ricorda il sistema dei dhimmi. Nel testo della
Commissione, l’Alto Comitato arabo, nella persona del Mufti di Gerusalemme Amin al-Hussein, proponeva
come unica soluzione il riconoscimento dell’indipendenza araba. Nella dichirazione di al-Hussein alla
Commissione, si esorta alla «soluzione del problema della Palestina a partire dalle stesse basi sulle quali erano
stati risolti i problemi di Iraq, Siria e Libano [...] la conclusione di un trattato tra Gran Bretagna e Palestina in
virtù del quale sarà formato un governo nazionale indipendente in forma costituzionale». Questo, a sua volta,
avrebbe assicurato protezione e tolleranza alla minoranza ebraica. Si legge nel Rapporto stilato dalla
Commissione: «L’Alto Comitato arabo ci ha assicurato che il benessere della minoranza ebraica sarebbe
salvaguardato non solo da specifiche disposizioni nel Trattato che accompagnerebbe la garanzia
dell’indipendenza, ma anche dall’abituale tolleranza di cui le minoranze ebraiche hanno beneficiato in altre terre
arabe». Le due citazioni sono tratte da Palestine Royal Commission Report, presented by the Secretary of State
for the Colonies to the United Kingdom Parliament by Command of His Britannic Majesty Printed And
Published By His Majesty’s Stationery Office, London July 1937 (consultato il 17 gennaio 2012).
Disponibile all'indirizzo: http://unispal.un.org/pdfs/Cmd5479.pdf .
120
tenacious process»165 appoggiato dall'imperialismo che presenta delle caratteristiche uniche:
1. Si tratta di un colonialismo basato sull'insediamento e la rivendicazione della Palestina da
parte dei sionisti; 2. consiste nello sradicamento dei palestinesi per far posto ai coloni sionisti;
3. L'occupazione della Palestina da parte di una minoranza di coloni e la sua trasformazione
in uno Stato ebraico coloniale; 4. La negazione dei diritti politici degli arabi palestinesi alla
nazionalità, alla sovranità e all'autodeterminazione; 5. Il continuo espansionismo dentro a
fuori la Palestina. Per questa ragione non è possibile procedere da uno stato di belligeranza a
uno stato di pace senza passare attraverso la liberazione da una situazione coloniale166.
Sayigh passa in rassegna le posizioni israeliani riguardo la pace: ci sono i sostenitori
del Grande Israele, che propongono un impero che si estende ben aldilà della Palestina; poi i
cosiddetti moderati, disposti a ritirarsi da parti dei territori occupati nel giugno 1967, ma non
dalle zone considerate strategiche per motivi storici o di sicurezza; solamente un gruppo
minuscolo di israeliani, il Matzpen, lotta per uno Stato binazionale contro la struttura dello
stato israeliano. La soluzione avanzata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 22 novembre
1967 è inaccettabile per i palestinesi perché: 1. Si occupa dell'occupazione del 1967, mentre
lascia irrisolta l'occupazione del 1948, legittimandola; 2. Riguarda solamente i palestinesi di
Cisgiordania e Striscia di Gaza, che costituiscono solamente la metà di tutti palestinesi; 3.
Non riconosce una nazionalità palestinese né il diritto dei palestinesi alla sovranità, mentre
legittima l'esistenza di Israele; 4. È un'iniziativa di breve termine che lascia la questione
palestinese fondamentalmente irrisolta167.
Alla pace sionista e alle proposte dell'ONU Sayigh contrappone la visione palestinese
di pace giusta e duratura, che libererà allo stesso tempo la Palestina e gli ebrei stessi dalle
brutalità del sionismo: «the setting-up of Palestine in its entirety as one sovereign state in
which Palestinian Arabs and Palestinian Jews, whether practising Moslems, Christians, Jews,
or atheists, can live together as equal citizens regardless of religion, colour, or race»168.
Accettando questa proposta, gli "ebrei palestinesi" si identificherebbero con il contesto arabo
in cui si trova la Palestina, rinunciando alle attitudini sioniste; gli "arabi palestinesi"
accetterebbero per la prima volta dall'a Dichiarazione Balfour nel 1917 la comunità ebraica e
coopererebbero con essa su basi democratiche e progressiste. La società multireligiosa e non
165
Sayigh Y. A., Towards Peace in Palestine, Fifth of June Society, Lebanon 1970 (Address delivered on April
15, 1970 at Central Hall Westminster, London, under the sponsorship of the Council for the Advancement of
Arab-British Understanding).
166
Ivi, pp. 14-16.
167
Ivi, pp. 17-18.
168
Ivi, p. 18.
121
settaria proposta dai palestinesi non è un progetto propagandistico, ma una visione sincera per
la quale i combattenti i palestinesi sono disposti a sacrificare la loro vita combattenti. La
soluzione palestinese al conflitto rappresenta una "concessione enorme" per i palestinesi,
basata sul riconoscimento della presenza di una grande comunità ebraica in Palestina e sulla
volontà di giungere ad un mutuo accordo con essa: «in inviting the Palestinian Jews to build
the new state and society jointly with us, we are inviting a large community most of whose
members came to our country by force against our will»169.
Sayigh espone la netta contraddizione che esiste tra la pace dei palestinesi e la pace
degli israeliani:
Our peace is non-discriminatory; theirs is racialist. Ours is based on mutual
accommodation and compromise; theirs in essence is a peace dictated by the
colonialist/victor. Ours confers rights and imposes obligations on Arabs and Jews
alike; theirs denies not only our rights but our existence as well. Ours frees Arabs
and Jews alike from self-centeredness; theirs is totally exclusivist. Ours is a
revolutionary joint venture in the building of a new society in the whole of
Palestine; theirs is an anachronistic possessive sole ownership which by forcing us
out, can only establish a settler society on usurped property
La soluzione palestinese, continua Sayigh, è desiderabile per almeno tre motivi: 1. Presenta
vantaggi per gli arabi e per gli ebrei, che potranno finalmente sentirsi sicuri e accettati; 2. È
giusta e morale nei confronti degli ebrei che, se si identificheranno con la nuova Palestina
abbandonando le attitudini sioniste, potranno vivere in pace e in dignità con gli arabi
palestinesi; 3. È una soluzione duratura e di lungo termine, in quanto soddisfa i requisiti
nazionali minimi dei palestinesi; 4. È realista, in quanto eviterebbe uno stato di conflitto
prolungato che porterebbe gli israeliani alla sconfitta nel lungo periodo, in ragione della
progressiva diminuzione del potere israeliano rispetto agli avanzamenti sociali, economici e
tecnologici del mondo arabo, all'accresciuta consapevolezza politica degli arabi sulla vera
natura del sionismo e allo svilupparsi della rivoluzione palestinese. Oltre ad essere
desiderabile, la soluzione avanzata dai palestinesi è morale in quanto basata sull'accettazione
della comunità ebraica nella società di domani, in complementarietà e in cooperazione con la
comunità palestinese170.
Per allargare il quadro del dibattito un poco oltre le organizzazioni di guerriglia vere e
proprie, è interessante riportare le posizioni contrastanti di due personalità prominenti del
movimento nazionale palestinese, non inquadrate in nessuna organizzazione: Amin alHussein, Gran Muftì di Gerusalemme e leader dell’Alto Comitato Arabo (organo esecutivo di
169
170
Ivi, p. 21.
Ivi, pp. 22-29.
122
raccordo della leadership palestinese durante la Grande rivolta del 1936-39) che guidava
ancora dall'esilio, e lo studioso Fayiz Sayigh, fondatore nel 1965 del Centro di Ricerca
dell’OLP e consigliere all'ONU per i palestinesi.
La posizione di Amin al-Hussein è indicativa del tipo di opposizione che un
nazionalista palestinese tradizionalista poteva muovere alla proposta di Stato democratico. Il
comunicato, pubblicato su «Filastin» dell’aprile del 1970, condanna le proposte di "Stato
democratico che includa ebrei, cristiani e musulmani", o di “stato secolare e coesistenza
pacifica”, o addirittura di "cooperazione" e “fraternità” tra i “gruppi arabi ed ebraici di
sinistra”. Secondo l’Alto Comitato Arabo, la proposta di Stato democratico adottata dall’OLP
è un cedimento al nemico e un tradimento dei principi sui quali è stata fondata la causa
palestinese: il rifiuto del Mandato britannico e dell’immigrazione ebraica, delle politiche
sioniste e del “focolare nazionale ebraico”, e dell’affermazione dell’indipendenza della
Palestina all’interno di un'entità araba unificata.
Ci sono una serie di fatti, continua il comunicato, che rendono impossibile
l’attuazione dell’idea di Stato democratico palestinese che include ebrei, cristiani e
musulmani: tutta l’ideologia sionista – come esplicitato dai suoi leader - è basata sul principio
che la Palestina deve essere ebraica; l’Agenzia ebraica rifiutò il Libro Bianco britannico nel
1939 per poter continuare l’immigrazione ebraica e costringere gli arabi a lasciare la
Palestina; ci sono attualmente circa tre milioni di ebrei in Palestina e anche se tutti i rifugiati
palestinesi tornassero, la componente palestinese sarebbe la più debole e la più povera; gli
ebrei, con il loro stile di vita e la loro dottrine razziste, renderebbero impossibile la
coesistenza; gli ebrei in Palestina non vogliono la coesistenza pacifica con gli arabi, al
contrario, tentano in ogni modo di espellerli dalla loro terra.
In aggiunta, l’idea di creare uno Stato palestinese è stata fabbricata ad hoc
dall’intelligence israeliana in seguito all’occupazione della Cisgiordania per far leva sulle
personalità palestinesi meno patriottiche allo scopo di dividere all’interno i palestinesi e
separarli dai fratelli arabi; lo Stato proposto dai sionisti è in realtà un modo per smembrare la
Cisgiordania, annettendo una parte a Israele e un’altra alla “Transgiordania” (il Regno di
Giordania); l’idea di Stato democratico indebolisce il potere contrattuale dei palestinesi e
spegne l’entusiasmo arabo e islamico per la lotta; sta causando spaccature all’interno dei
palestinesi e tra questi e certi Paesi arabi; il MRP è stato fondato con l’obiettivo di preservare
l’originale carattere arabo della Palestina; i palestinesi non possono venir meno al loro dovere
di custodire a nome di tutti i musulmani i luoghi santi. Per queste ragioni
123
The Arab Higher Committee feels itself obliged to warn against the call for a
democratic Palestinian state (including Jews, Christians and Muslims) in the form in
which it has been published [...]. The Palestinians will never so far relinquish their
noble national principles and their lofty ideals as to agree to become a small
minority in a bottomless sea of Jewish elements in the name of a peaceful
coexistence and a democratic state!171.
Il comunicato dell'Alto Comitato Arabo si conclude mettendo in guardia le organizzazioni
palestinesi dall'invitare ebrei antisionisti (giornalisti, intellettuali, attivisti) nelle basi di
addestramento dei fida'iyyin, pratica piuttosto diffusa e di cui molte organizzazioni si
vantavano, per timore che possano rivelarsi degli agenti del nemico172.
La visione di Fayiz Sayigh (come quella di Yusif Sayigh, suo fratello), fondatore e
primo direttore del Centro di Pianificazione dell'OLP e già membro del Comitato esecutivo
dell’OLP, è in sintonia con le posizioni espresse dalle organizzazioni di resistenza palestinesi.
In un intervento alla Seconda conferenza mondiale sulla Palestina, tenuta agli inizi del
settembre 1970 ad Amman, Sayigh prende posizione a favore dello Stato democratico. Fin
dalle origini il sionismo era basato su una dottrina dell'esclusivismo religioso e da un
programma votato alla rimozione degli abitanti arabo-palestinesi dalla Palestina per creare
uno Stato ebraico. Sayigh individua perciò una relazione diretta tra l’esistenza di Israele e lo
sradicamento dei palestinesi: «Israel is, because Palestine is not; and Palestine is not, only
because Israel is. The being of Israel is therefore an act of elimination: it is the nonbeing of
Palestine»173. Non è quindi possibile risolvere il conflitto attraverso un compromesso tra due
istanze fondamentalmente antitetiche, se non per riprodurre una situazione di conflitto che si
protrarrebbe fino all’eliminazione di una parte da parte dell’altra:
Neither an exclusionist "Jewish State," existing in all or part of Palestine at the
expense of deprived Palestinians, or a restored Arab Palestine, in which the
nonindigenous Jewish immigrants cannot aspire to have a place [...] fulfills the
requirements of such a vision […]. Nor can a "binational" state, in which the
barriers between the component "nationalities" are institutionalized and therefore
perpetuated174.
L’unica soluzione che trascenda le due opposte posizioni, non può che risiedere nella
coraggiosa visione di una Palestina pluralista nella quale «Muslim, Christian and Jew will
freely intermingle to form an authentic human community, and will cooperate to set up a
171
«Filastin», No. 109, April 1970, in Statement Issued by the Arab Higher Committee for Palestine on the Idea
of a Democratic Non-Sectarian State in Palestine, in «IDP 1970», cit., p. 770.
172
Ivi, p. 771.
173
Sayegh F. A., A Palestinian View (Paper Presented at the 2nd International Symposium on Palestine, 13-17
February 1971, Kuwait), General Union of Palestinian Students, Kuwait 1971. Corsivo nel testo originale.
174
Ibidem.
124
pluralistic, humanistic, secular and democratic state, of which all will be equal citizens and
all devoted builders»175.
La questione dei diritti nazionali degli ebrei
Con la bozza di risoluzione presentata al sesto CNP nel settembre 1969, il FDPLP fornisce un
notevole contributo al dibattito sullo Stato democratico. Nel documento l'organizzazione
propone una soluzione democratica popolare ai problemi palestinese ed israeliano, vale a dire
la costituzione di uno Stato popolare democratico, parte di un più ampio Stato federale arabo,
in cui siano rispettati i diritti di arabi ed ebrei a perpetuare e sviluppare le proprie culture
nazionali176.
La sostituzione del concetto di "coesistenza di musulmani, ebrei e cristiani" con
quello di "coesistenza di arabi ed ebrei" e il riferimento allo sviluppo della cultura nazionale
degli ebrei rappresentano sicuramente una svolta nel pensiero politico palestinese, ma non
comportano il riconoscimento di una specifica nazionalità (qawmiyya) ebraica in Palestina (il
che avrebbe legittimato le aspirazioni sioniste ad uno Stato indipendente). La posizione del
FDPLP è chiara: i diritti nazionali (wataniyya) della comunità ebraica in Palestina derivano
dalla cittadinanza nello Stato democratico di Palestina, e non dall'appartenenza etnica o da
una specificità nazionale preesistente.
Fino ad allora, nelle dichiarazioni e nei testi politici del MRP gli ebrei di Palestina
sono considerati una comunità culturale e religiosa, alla pari dei cristiani e dei musulmani,
segnando una demarcazione che corre lungo linee religiose e comunitarie, non nazionali. I
termini "israeliani" o "popolo ebraico", che alluderebbero all'esistenza di un popolo in fieri,
sono assenti. D'altronde, la posizione consensuale nella resistenza palestinese è formulata
nell'articolo 20 della Carta nazionale palestinese: «Judaism, being a religion, is not an
independent nationality [qawmiyya]. Nor do Jews constitute a single nation [shaʿb wahid]
with an identity of their own [shakhsiyyati al-mustaqilla]; they are citizens [muwatinun] of
the states to which they belong»177.
Le organizzazioni palestinesi concordano sul fatto che gli ebrei in Palestina non
costituiscono un gruppo nazionale, ma una comunità artificiale composta da varie nazionalità
alla quale accordare diritti religiosi e culturali all'interno di uno Stato palestinese o di
un'entità araba unificata. Riconoscere una realtà nazionale ebraica in Palestina, così come
175
Ibidem.
Draft Resolution Submitted by the Democratic Popular Front, cit.
177
Palestine National Charter of 1968, cit.
176
125
espressa nello Stato di Israele, avrebbe contraddetto l’obiettivo storico del movimento di
liberazione palestinese: l’autodeterminazione del popolo palestinese su tutta la Palestina
mandataria. In un'intervista del luglio 1969, il leader di Fatah Faruq Qaddumi chiarisce che
«l'ebraismo nella nostra visione è una religione e non una nazionalità. Ci sono arabi la cui
religione era l'ebraismo, perciò ci sono ebrei arabi. Ci sono anche ebrei non-arabi come ebrei
francesi ecc.»178.
La proposta di Stato democratico discussa nel settembre del 1969 durante la sesta
sessione del CNP aveva acceso un vivace dibattito tra le organizzazioni combattenti. Il
segretario generale del FDPLP Hawatma affronta ripetutamente la questione dello status della
comunità ebraica nello Stato democratico. Su «al-Hurriyya» il 3 novembre 1969 Hawamta
dichiara che il FDPLP ha avanzato la proposta di uno Stato democratico popolare nel quale
arabi ed ebrei avranno il
Right to propagate and develop their national cultures [al-thaqafa al-watani] along
progressive and democratic lines which would purify Arab culture from ethnocentric and reactionary tendences regarding Jews while also lberating the Jews from
their own ethno-centrism and reactionary tendences as represented in the Zionist
culture179.
Le aspirazioni di arabi ed ebrei vanno realizzate all'interno di uno Stato socialista:
It is the socialist orientation of this popular democratic state that shall guarantee the
elimination of class or national [al-tabqi wa al-qawmi] subjugation among Arabs
and Jews in any shape or form and enable each of the two sides to enjoy the same,
undimished rights and to propagate and develop their national cultures [al-thaqafa
al-watani] along progressive democratic lines180.
Hawatma afferma che a tal fine il FDPLP ha avviato un dialogo con organizzazioni
progressiste e rivoluzionarie israeliane come l’Organizzazione Socialista Israeliana
(Matzpen) che, a differenza degli altri partiti in Israele, ha avanzato delle soluzioni
progressiste al problema israeliano e palestinese, anche se non in piena sintonia con quelle
della resistenza. La proposta di Stato binazionale in Palestina avanzata dall'organizzazione
rivoluzionaria israeliana confligge, afferma Hawatma, con l’approccio progressista e
proletario per la soluzione dei problemi israeliano e palestinese, che non prevede la
distribuzione di diritti e responsabilità in base alla nazionalità. Il FDPLP, continua Hawatma,
si impegna a sviluppare legami con i gruppi rivoluzionari e progressisti tra gli ebrei di Israele
e avanza l'ipotesi di una lotta congiuta: «è possibile, comunque, creare tale Stato espandendo
178
Abu Lutf Anwers Questions, cit., p. 109.
«al-Hurriyya», no. 488, 3/11/1969, in «IDP 1969», cit., p. 805.
180
Ibidem.
179
126
la portata della lotta armata congiunta nella quale arabi ed ebrei e israeliani progressisti
prenderanno parte»181.
Il FDPLP opera una netta distinzione tra le posizioni antisioniste e antimperialiste del
Matzpen da quelle degli altri partiti della sinistra sionista, come il Mapai, o del Partito
comunista israeliano, il Rakah, favorevole alla soluzione negoziata che non mette in
discussione l’esistenza dello Stato di Israele. Nel gennaio 1970 Hawatma dichiara su «Le
Monde» che il raggiungimento della soluzione soluzione democratica, popolare e
internazionalista alle questioni israeliana e palestinese sarà un processo lungo e complicato,
sia perché «più di vent’anni di dominazione sionista hanno smussato i sentimenti
internazionalisti della classe operaia ebraica in Israele»182, alienata dal sionismo, la grande
ideologia della borghesia ebraica secondo Lenin, sia perché «la classe operaia e le masse
arabe sono ancora, in larga misura, assoggettate a ideologie feudali, teocratiche e, nel
migliore dei casi, piccolo borghesi, impregnate di sciovinismo»183.
A questo punto è interessante riportare il giudizio del segretario generale del FDPLP
sul problema del popolo curdo, contenuto nella citata intervista del novembre 1969 su «alHurriyya». Il FDPLP «has been committed regarding nationalist issues to a proletarian
internationalist position based on the right of each people to self determination in its own
land»184. Il popolo curdo «satisfy all the prerequisites for being one people, including a
common language, history and psychological make-up, as expressed in common customs and
traditions»185; di conseguenza, le comunità curde in Iraq, Iran, Turchia e Siria hanno il diritto
di autodeterminazione. La stessa cosa non si può dire per la comunità ebraica presente in
Palestina, in quanto l'ebraismo è considerato dal segretario del FDPLP una "pura e semplice"
religione. Tuttavia, continua Hawatma, il FDPLP riconosce la «legitimacy of "Jewishness" as
a culture for Jewish communities, particularly in the case of the Jewish community that is
found in the land of Palestine today, with special enphasis on the post-1948 generation»186
che gli stessi diritti e responsabilità dei palestinesi. Il FDPLP riconosce l’esistenza di una
comunità ebraica con caratteri specifici in Palestina, ma non l’esistenza di una nazione
israeliana con diritto di autodeterminazione in Palestina. Hawatma è chiaro su questo punto:
la soluzione internazionale al problema palestinese e israeliano «shall be conditional on the
181
Ibidem.
«Le Monde», 27 gennaio 1970, in Moffa C., La resistenza palestinese, Savelli, Roma 1976, pp. 83-84.
183
Ibidem.
184
«al-Hurriyya», no. 488, 3/11/1969, cit., p. 807.
185
Ibidem.
186
Ivi, p. 806.
182
127
right of the Palestinian people to self-determination in their own land»187.
In un articolo apparso su «al-Sharara», intitolato The Leninist struggle against
Zionism, il FDPLP presenta un'analisi della posizioni di Lenin nei confronti del Bund,
l'Unione nazionale dei lavoratori ebrei, e del sionismo. L'articolo prende spunto da uno scritto
apparso su «Iskra» nel 1903 in cui Lenin attacca le tendenze nazionaliste del movimento dei
lavoratori ebraici rappresentato dal Bund, difendendo il principio in base al quale i lavoratori
devono essere organizzati geograficamente e non nazionalmente:
"the concept of the Jewish nation is a Zionist concept”, and furthermore, this
concept “is absolutely incorrect and essentially reactionary”. He went on to present
numerous sources showing that Jews did not constitute a nation because they lacked
a common territory and language, the two most essential factors determing
nationhood. Lenin rejected the view that Jews have common racial characteristics;
“…not only national”, he stated, “but even common racial pecularities are not found
among Jews by modern scientific investigators…"188.
In un'epoca in cui il movimento dei lavoratori insisteva sull'unità della lotta a dispetto delle
differenze religiose o nazionali dei lavoratori, e lottava contro l'antisemitismo nella
convinzione che l'oppressione delle minoranze nazionali e religiose risiedesse in una radicale
trasformazione della società, il sionismo predicava la collaborazione di classe e l'emigrazione
degli ebrei in Palestina come unica soluzione ai pogrom antiebraici. Per queste ragioni Lenin
era un convinto antisionista. Inoltre, continua l'articolo, il leader sovietico era anche
consapevole del legame tra il sionismo e l'imperialismo, come si legge in una dichiarazione
aggiunta alle Thesis on the National and Colonial Question, adottata durante il secondo
congresso della Terza Internazionale nel 1920:
As a striking example of the deception practiced upon the working class of a subject
country through the united efforts of the allied imperialists and bourgeoisie of a
given nation, we may cite the Palestine affair of the Zionists, where - under the
pretex of creating a Jewish state in Palestine, in which the Jews form an
insignificant part of the popularion - Zionism has delivered the native Arab working
population to the exploitation of England189
Il FDPLP chiarisce ulteriormente il suo pensiero sullo Stato democratico in una
comunicazione presentata nel maggio del 1970 da un suo delegato alla prima conferenza
mondiale dei cristiani per la Palestina. Nel comunicato si propone un'interpretazione marxista
187
Ibidem.
The Leninist Struggle Against Zionism, «al-Sharara», Vol. 1, No. 6, in DPFLP Democratic Front for the
Liberation of Palestine, on Terrorism, Role of the Party, Leninism vs Zionism October Buffalo Graphics, New
York, s.d. L'opuscolo, stampato per il pubblico statunitense, reproduce tre articoli apparsi in arabo su «alHurriyya» e «al-Sharara» e tradotti in inglese sul «Palestine Resistance Bulletin» (organo in lingua inglese del
FDPLP), published in Solidarity with the Democratic Popular Front for the Liberation of Palestine.
189
Ivi, p. 11. Nell'originale la citazione è enfatizzata in corsivo.
188
128
delle varie proposte di soluzione del conflitto. La reazione araba ha presentato una soluzione
sciovinista che consiste nel "buttare gli ebrei a mare". Inculcando alle masse un’educazione
sciovinista, la reazione ha accusato le “forze rivoluzionarie arabe” di attentare all’unità
nazionale. In questo modo eludeva i temi della lotta di classe, conservava le strutture arretrate
della società araba tradizionale e mascherava la sua alleanza con l’imperialismo e con il
sionismo dietro una fraseologia sciovinista: «d’altra parte, questa soluzione considera ogni
ebreo come un sionista, ed è esattamente questo che il sionismo tenta di accreditare»190, si
legge nel comunicato. Questa logica porta a sostenere l'opzione pacifista, secondo la quale la
soluzione non starebbe nella lotta al sionismo, ma nel rafforzamento dell’alleanza araba con
l’Occidente per convincerlo di esser vittima di un complotto sionista internazionale.
Il comunicato analizza poi la proposta dei regimi piccolo-borghesi, che pongono la
questione in termini di forza militare e scontro tra eserciti regolari. Data la superiorità
militare israeliana questi regimi non vedono altra soluzione che la risoluzione no. 242 del
Consiglio di Sicurezza che interpretano come un ritorno alla situazione anteriore alla guerra
di giugno. Questa non è certamente una soluzione per i palestinesi, in quanto l'esistenza
stessa di Israele costituisce una violazione del diritto all'autodeterminazione dei palestinesi e
un avamposto dell'imperialismo contro il movimento di liberazione arabo.
Il rappresentante del FDPLP analizza poi la soluzione della sinistra sionista e dalla
reazione palestinese in Cisgiordania, basata sulla creazione di uno Stato palestinese al fianco
di Israele: «questa soluzione mira [...] a creare uno Stato fantoccio nelle mani di Israele»191.
La soluzione binazionale adottata inizialmente dall’organizzazione israeliana antisionista
Matzpen «è sbagliata, poiché stabilisce una separazione arbitraria tra la Palestina e la regione
araba e non costituisce affatto una garanzia contro il ritorno dell’oppressione»192. Infine c’è la
proposta di federazione tra lo Stato di Israele e uno Stato palestinese, avanzata dal pacifista
israeliano Uri Avnery, che «trascura l’essenza del problema: l’esistenza di Israele, come Stato
e qualunque sia la sua forma, è una negazione del diritto del popolo palestinese a disporre di
se stesso»193. L’unica vera soluzione deriva da un’analisi oggettiva della realtà e
consiste nel separare gli ebrei dal sionismo e ritiene, conformemente alla realtà, che
l’antagonismo non si colloca tra gli ebrei e gli arabi, ma tra il sionismo e la nazione
190
Khader B. e N. (a cura di), op. cit., p. 309.
Ivi, p. 311
192
Ibidem.
193
Ibidem.
191
129
araba, di cui il popolo palestinese fa parte. Per questo, la distruzione del sionismo –
e non degli ebrei – è la condizione di questa soluzione194.
Nella visione del FDPLP, la convivenza di arabi ed ebrei su basi di totale eguaglianza si può
quindi realizzare solamente «nella misura in cui la futura Palestina farà parte integrante di
uno Stato socialista che comprenderà tutta la regione»195, che eliminerebbe allo stesso tempo
le basi materiali dello sfruttamento e i problemi di oppressione nazionale.
Nella visione del FPLP l’eredità della lunga militanza nel MNA si intreccia alla
dottrina marxista-leninista di recente adozione: questo spiega in parte il rifiuto del FPLP di
considerare una soluzione che si limiti politicamente e geograficamente alla Palestina e
l’insistenza per affrontare il problema in termini di unità araba e secondo i principi del
socialismo scientifico. La questione delle nazionalità va risolta all'interno di un contesto
arabo rivoluzionario unificato. In un’intervista del dicembre 1969, il segretario generale
George Habash afferma che è sbagliato presentare la questione come se si trattasse di
dividere la Palestina dalla patria araba e «building a special separate entity with dual
nationality, without an Arab identity, and calling it demcoracy. For it would not be
democracy»196. Se si confinasse il problema alla Palestina ci si troverebbe dinanzi al
problema reale degli equilibri demografici e delle differenti fedeltà dei vari gruppi al suo
interno. Per questo non è sufficiente avanzare lo slogan dello Stato democratico, ma bisogna
affrontare il problema in termini arabi in quanto
It is impossible to continue the battle in its present regional form, and there is no
doubt that the process of liberation will lead to the removal of artificial entities. It is
precisely this that will provide the framework of a valid democratic solution for all
nationalities and minorities not only in Palestine, but also in all the other Arab
areas197.
L’intera questione, secondo Habash, va considerata in funzione delle fasi che attraversa la
lotta di liberazione: nell’attuale fase di liberazione democratica nazionale si possono
delineare solamente i principi generali della strategia: «The problem of the number, culture,
religion and democratic rights in one that the succesful revolution will be able to cope with in
a democratic manner and solve in conformity with the principles of scientific socialism»198.
Il FPLP presenta la sua visione nell'intervento al simposio sullo Stato democratico di
«al-Anwar». Il testo contiene una riflessione sul significato di "soluzione democratica" (hall
194
Ivi, p. 312
Ibidem.
196
«al-Hadaf», 10/12/1969, cit., p. 830.
197
Ibidem.
198
Ibidem.
195
130
dimuqrati) e una critica alla proposta del FDPLP. Cosa vuol dire soluzione democratica? Si
tratta di una soluzione alla questione israeliana, alla questione palestinese o alla questione
ebraica? Se si parla di soluzione democratica alla questione israeliana allora diventa legittimo
parlare anche di Stato federale (dawla ittihadiyya) in Palestina, opzione decisamente rifiutata,
in quanto «no progressive national liberation movement is responsible to find a "democratic
solution" of a situation of aggression»199, cioè la presenza di Israele.
Il testo polemizza con alcune dichiarazioni di Nayif Hawatma riportate su «Le
Monde» nel gennaio del 1970, in cui il segretario generale del FDPLP aveva proposto una
soluzione democratica e internazionalista ai problemi palestinese e israeliano. Secondo
Hawatma, «poco importa la forma costituzionale di questo nuovo Stato, che potrà avere le
strutture di una federazione o di una confederazione di tipo jugoslavo o cecoslovacco.
L’essenziale sarà il suo contenuto sociale, la sua natura di classe, il tipo di governo»200.
Qualche mese più tardi, sempre su «Le Monde», il segretario generale del FDPLP afferma:
«possiamo immaginare qualcosa come il modello jugoslavo, con due governi indipendenti
collegati a una singola autorità nei campi dell’economia, della sicurezza e degli affari
esteri»201.
Nell'intervento al simposio di «al-Anwar» il rappresentante del FPLP bolla la
soluzione avanzata da Hawatma come tutt'altro che democratica e progressista: non esiste
soluzione democratica alla questione israeliana, anche se è compito di un movimento di
liberazione nazionale progressista trovare una soluzione democratica ad un popolo che è stato
utilizzato come strumento dal movimento sionista. Spetta al movimento di liberazione
palestinese, continua il testo, rimuovere gli effetti dell’aggressione, l'entità israeliana, e la
causa originaria, l’ideologia sionista. In questo modo è possibile trovare una soluzione al
problema degli ebrei in Palestina che sono stati utilizzati dal sionismo. La soluzione
democratica, nella sua giusta impostazione,
is directed essentialy to the Jews living in Palestine, and not to the Israeli state. It is
a democratic solution" of the "Jewish question" [hall dimuqrati li-l-mas'ala alyahudiyya] in that part of it which concerns the Palestinian-Arab-Israeli
confrontation. It is not a "democratic solution" of the "Israeli entity" nor the Zionist
movement, nor the Palestine Question202.
Se si esamina Israele servendosi dell'ideologia proletaria si vede che «the Zionist
199
Palestine: Towards a Democratic Solution, P.F.L.P. Information Departement, [s.l.], 1970, p. 14.
«Le Monde», 27 gennaio 1970, cit., p. 84.
201
Statement by Secretary-General Hawatmeh of the Popular Democratic Front for the Liberation of Palestine
on the Proposed Democratic State in Palestine, in «IDP 1970», cit., p. 816.
202
Palestine: Towards a Democratic Solution, cit., pp. 14-15.
200
131
entity [....] came as a logical result of the contradiction of European Jewish bourgoisie
interests with those of the European bourgoisie»203, che non ha permesso l’assimilazione
della prima nei propri paesi. A questo punto la borghesia ebraica ha dovuto trovare un luogo
per espandersi liberamente e si servì dell’ideologia sionista per giustificare la colonizzare
della Palestina. In questi termini, sarebbe assurdo parlare di soluzione democratica del
problema israeliano, perché sarebbe come trovare una soluzione democratica al problema del
capitalismo o del colonialismo: «Thus, the "democratic solution" can only be with regard to
the Jewish Question»204. La soluzione del problema ebraico e della questione palestinese
deve essere trovata nella fusione della lotta palestinese con la lotta di liberazione araba, e non
in «a regional, exclusivist and Palestinian-centered attitude which will fond itself speaking of
a "federal state" in the name of democracy, or of a "chauvinistic solution" in the name of
revolution»205, perché né uno Stato liberale e federale può essere veramente democratico, né
una soluzione sciovinista può essere autenticamente rivoluzionaria.
In un altro intervento, un rappresentante del FPLP afferma che i problemi
dell’oppressione e della discriminazione presenti nelle società arabe si risolverebbero
automaticamente solamente in uno Stato arabo, socialista e unito «where all forms of
economic and social exploitation as well as national [qawmi] racial, religious or other
oppression disappears»206. In questo Stato gli ebrei «will be part of the citizenship of that
state» 207, fruendo degli stessi diritti e doveri di qualunque altro cittadino. Nel maggio 1970
Habash sintetizza la soluzione proposta dal FPLP:
the PFLP views that the genuine content of the concept of "democratic Palestinian
state" and its practical interpretation lie in presenting a democratic solution of the
Jewish question in Palestine in a way that all Jewish citizens would and should
equally and indiscriminately enjoy the rights of citizenship within a liberated
Palestine, organically united with the Arab homeland and nation208.
In un'intervista rilasciata nella prima metà del 1971, Ghassan Kanafani esclude chiaramente
l'esistenza di una "nazione israeliana" e la possibilità di una soluzione binazionale in
Palestina, avanzata da alcuni gruppi antisionisti, come il Matzpen, e da alcuni studiosi e
intellettuali ebrei, tra cui Maxime Rodinson: «it is a fantastic intellectual compromise; it
means that any group of colonislists who occupy an area and stay there for a while can justify
203
Ivi, p. 17.
Ivi, p. 18.
205
Ivi, p. 20.
206
Ivi, p. 27.
207
Ivi, p. 28.
208
Ivi, p. 35.
204
132
their existence, by saying they are developing into a nation»209. La presenza ebraica in
Palestina è considerata parte integrante del progetto coloniale sionista e degli interessi delle
potenze imperialiste nella regione, e non può essere considerata un'impresa nazionalista,
anche se esistono delle contraddizioni di classe al suo interno. Per Kanafani gli israeliani non
costituiscono una nazione:
It's a colonial situation. What you have is a group of people, broght for several
reasons, justified and unjustified, to a particular area of the world. Together, they all
participate in a colonial situation, while between them there are also relations of
exploitation210.
Democrazia, laicità e contenuto sociale
La questione del tipo di democrazia auspicata dalle varie organizzazioni era strettamente
intrecciata con la definizione del suo contenuto sociale e del rapporto tra stato e religione. Per
quanto riguarda il contenuto sociale, ʿAbdul Majid individua due principali correnti di
pensiero: la prima evitava di discutere l'argomento, ritenendo prematuro trattare la natura
sociale dello Stato nella fase di liberazione nazionale; la seconda invece sosteneva
apertamente il socialismo come forma organizzativa dello Stato democratico211. Nella prima
corrente possiamo includere Fatah che, fin dalla sua fondazione, evitò di ricondurre il suo
programma politico all'interno di qualsiasi categoria ideologica, limitando l'obiettivo della
resistenza all'indipendenza nazionale palestinese e rimandando a una seconda fase la
determinazione delle strutture economiche, sociali e politiche del futuro Stato. Per la corrente
di maggioranza di Fatah, quest'ultimo sarebbe stato tanto più democratico quanto più avrebbe
garantito agli ebrei israeliani la piena cittadinanza, avrebbe assicurato loro la partecipazione
su basi di parità alla vita politica e all'accesso alle risorse, e avrebbe permesso la libera
espressione religiosa e culturale di tutti i gruppi.
Nell'agosto del 1969 Yasir Arafat, dal febbraio a capo dell'OLP, afferma che «it will
be up to the generation that will finally liberate Palestine to decide upon the structure of their
State»212. Lo Stato palestinese, continua Arafat, sarà progressista e democratico nella misura
in cui «will garantuee equal rights to all its citizens, regardless of race or religion»213, sempre
a condizione che i suoi abitanti desiderino vivere in pace nel futuro stato desionizzato. In altre
209
Ghassan K., (Interviewed by Fred Halliday), On the PFLP and the September Crisis, «New Left Review»
I/67, May–June 1971, p. 56.
210
Ibidem.
211
ʿAbdul Majid W., art. cit., pp. 182-183.
212
«Free Palestine» (London), Vol. II, No. 3, August 1969, in «IDP 1969», cit., p. 774.
213
Ivi, p. 773.
133
parole, la condizione necessaria affinché i coloni ebraici possano accedere alla piena
cittadinanza nel futuro stato è che rinuncino al sionismo.
In generale, i sostenitori di questa corrente di pensiero ritenevano che non c'era
necessità di arrischiarsi in elucubrazioni intellettuali e astratte sulla forma politica o sul
sistema sociale del futuro stato per una serie di ragioni: in primo luogo, non era possibile
prevedere in anticipo ciò che sarebbe avvenuto durante gli anni di lotta e come sarebbe
cambiato il quadro politico regionale; in secondo luogo, la resistenza si trovava nella fase di
liberazione nazionale democratica, in cui la contraddizione principale era tra le forze della
liberazione nazionale e le forze imperialiste e sioniste; ancora, le caratteristiche del futuro
Stato dovevano essere decise in maniera democratica con la compartecipazione dei coloni
ebrei, il che era possibile solamente in seguito allo smantellamento di Israele; discutere il
contenuto sociale dello Stato democratico nella fase di liberazione nazionale rischiava di
escludere classi e fazioni del popolo palestinese dalla lotta, compromettendo l'unità nazionale
nella fase in cui serviva la più ampia coesione nazionale.
Era quindi più facile determinare cosa non sarà lo Stato democratico. Negli articoli
sullo Stato democratico apparsi su «Fateh» e raccolti in Towards a Democratic Palestine,
Shaʿth afferma che esso sarà antimperialista e taglierà tutti i collegamenti con gli Stati Uniti,
rifiuterà «a theocratic, a feudalist, an authoritarian or racist-chauvinistic form of
government»214, così come non permetterà discriminazioni su base religiosa o etnica,
garantendo «equal opportunities for its people in work, worship, education, political decisionmaking, cultural and artistic expression»215. Anche Shaʿth giustificava la mancanza di una
visione chiara e dettagliata con l'irrealizzabilità a breve termine della proposta e con la
necessità di attendere la reazione degli "ebrei palestinesi": la questione della convivenza nel
futuro Stato si sarebbe posta in termini molto diversi se gli israeliani avessero scelto di
spostarsi ulteriormente a destra o se invece si fossero uniti alla lotta di liberazione
palestinese. Di conseguenza, il sistema di governo, l’organizzazione politica, sociale ed
economica dello Stato sarebbero stati decisi in base all’evoluzione della lotta stessa.
Alla seconda corrente di pensiero possiamo ricondurre il FPLP e il FDPLP, per le
quali la lotta di liberazione nazionale era inscindibile dalla lotta di classe: l'obiettivo era la
distruzione dell'entità sionista in quanto strettamente collegata all'imperialismo mondiale e la
trasformazione della Palestina in una roccaforte per il cambiamento rivoluzionario del mondo
214
215
Rasheed M., Towards a Democratic State in Palestine, cit., p. 36.
Ibidem.
134
arabo. La liquidazione delle strutture razziste di Israele e della dominazione imperialista sulle
regione avrebbe condotto a una società di orientamento socialista in cui sarebbero mancati i
presupposti per la discriminazione su base etnica e lo sfruttamento di classe. Per i sostenitori
di questa corrente di pensiero, impegnarsi nella lotta di liberazione nazionale significava
lottare per la rivoluzione socialista, condizione sine qua non per ottenere la vera liberazione,
quella sociale. L'analisi era influenzata dalle teorie di Mao Tse-Tung, sia nel considerare la
fase di liberazione nazionale come una tappa storica indispensabile per i popoli dell'Africa,
dell'Asia e dell'America Latina per il passaggio da una società dominata dalla "borghesia
compradora" a una società a democrazia popolare, sia nella definizione delle forze sociali del
campo della rivoluzione e del campo nemico.
Non deve stupire che questa corrente di pensiero ponesse grande importanza alla
questione del contenuto sociale della democrazia. ʿAbdul Majid individua due questioni che i
sostenitori di questo approccio reputavano importanti nel determinare l'assetto sociale del
futuro Stato: in primo luogo, occorreva non considerare l'obiettivo principale della resistenza
palestinese sganciato dall'obiettivo dello Stato democratico: le due questioni andavano di pari
passo. La distruzione dell'entità sionista, con tutte le sue strutture, avrebbe portato alla
confisca delle proprietà e delle attività economiche (industria, commercio, agricoltura), che si
trovavano già in condizione avanzate di sviluppo, per porle al servizio di tutti i palestinesi del
futuro Stato democratico: questo compito puotevaò essere garantito solamente con la gestione
statale dello sviluppo. In secondo luogo si poneva la questione delle terre confiscate ai
palestinesi da Israele: da una parte, il sistema israeliano di gestione della terra tramite i
kibbutz e i moshav sarebbe stato sostituito con cooperative agricole statali o contadine, in
modo da permettere la continuazione dell'attività produttiva; dall'altro, onde evitare che la
restituzione delle terre e delle proprietà ai legittimi proprietari palestinesi comportasse la loro
frantumazione in due-tre generazioni di eredi, si sarebbe proceduto alla compensazione degli
eredi - con l'esclusione di coloro che sono passati dalla parte del nemico o della reazione - e
alla redistribuzione della terra ai contadini poveri216.
Nel contributo del FPLP al dibattito sullo Stato democratico organizzato da «alAnwar» si afferma che il concetto di democrazia non può mai essere disgiunto da una
posizione di classe perché «ciò che è democratico per un feudalista o un capitalista è
dittatoriale per l’operaio e il contadino. Ciò che è 'democratico' per un liberale è sempre stata
216
ʿAbdul Majid W., art. cit., pp. 184.
135
qualche forma di dominazione politica sulle classi povere e proletarie»217. Il concetto di
democrazia che ciascuna organizzazione professa dipende dalla sua struttura ideologica e di
classe. Per il FPLP, «la democrazia non può mai essere la democrazia liberale, bensì
un'autentica democrazia del popolo [dimuqratiyya al-shaʿb al-haqiqiyya], una democrazia
delle classi operaie e proletarie [dimuqratiyya al-tabqat al-kadiha wa al-ʿamila] che adotti
l’ideologia delle classi proletarie»218, cioè il marxismo-leninismo. Si rifiuta esplicitamente la
concezione liberale e borghese di democrazia, e l'approccio riformista che le è proprio,
marcando la distanza dalle formulazioni della destra della resistenza.
Per quanto riguarda il contenuto dello Stato democratico, il FPLP sostiene che
solamente la creazione di uno stato proletario porterebbe a una vera democrazia, «a
democracy of the working classes where all forms of economic and social exploitation as
well as national racial, religious and other oppression disappear»219. In questo tipo di società
tutti saranno uguali nei diritti e negli obblighi sociali, «indipendentemente dalla sua origine
religiosa, settaria o razziale o altre differenze che si riscontrano nelle società feudali e
capitaliste basate sullo sfruttamento»220.
In sintesi, il contenuto sociale del futuro Stato dipendeva dalla struttura ideologica e di
classe del movimento che avrebbe portato alla sua realizzazione: di conseguenza, solamente
l'organizzazione del proletariato armato di teoria marxista-leninista era capace di fondare uno
stato autenticamente democratico, in grado di portare a termine la liberazione nazionale e la
liberazione delle classi sfruttate e delle minoranze oppresse.
Nel simposio di «al-Anwar» il rappresentante del FDPLP dichiara che «deve essere
chiaro che quando parliamo di democrazia non intendiamo la democrazia liberale alla
maniera "una testa un voto" [la naqdam al-dimuqratiyya al-libraliyya ʿala tariqa rajul
wahad, sawt wahad], ma intendiamo piuttosto un regime democratico popolare [nizam
dimuqrati shaʿbi]»221 che, distruggendo le basi sociali sui quali si è edificato il sionismo,
risolverà di conseguenza i conflitti di classe, confessionali ed etnici. Lo Stato democratico
popolare a cui si riferisce il FDPLP è iscritto in una prospettiva di classe e inserito in una
dimensione regionale araba più ampia. Nel gennaio 1970 Hawatma dichiara:
[lo Stato democratico] farà parte di una grande federazione socialista araba nella
quale il potere, tutto il potere, sarà esercitato dai consigli operai, dai consigli dei
217
Palestine: Toward a Democratic Solution, cit., p. 15.
Filastin: nahwa hall dimuqrati, cit., pp. 24-25.
219
Ivi, cit., p. 30
220
Ibidem.
221
«al-Anwar», 8 marzo 1970, simposio tra le organizzazioni di resistenza sullo Stato democratico.
218
136
braccianti e dei soldati. Poco importa la forma costituzionale di questo nuovo Stato,
che potrà avere le strutture di una federazione o di una confederazione di tipo
jugoslavo o polacco. L’essenziale sarà il suo contenuto sociale, la sua natura di
classe, il tipo di governo222.
Per quanto riguarda il ruolo della religione nella Palestina del domani, il MRP
condivideva la posizione secondo cui l'unica soluzione umanista e progressista per la
risoluzione della questione palestinese e della questione ebraica risiedeva nella creazione di
uno Stato democratico in cui tutte le sue componenti avrebbero vissuto senza discriminazioni
nazionali o religiose. Tuttavia, all'interno di questa posizione condivisa si potevano
rintracciare due correnti pensiero. La prima faceva riferimento allo Stato democratico come
l'unica soluzione per la coesistenza pacifica tra i fedeli delle tre religioni del libro in
Palestina, "cristiani, musulmani ed ebrei", ed era spesso contenuta nei documenti di Fatah,
nelle dichiarazioni dei suoi dirigenti, e venne recepita anche nel programma del quinto CNP
nel febbraio 1969.
In Towards a Democratic Palestine Shaʿth chiarisce che l’appello alla creazione di
una Palestina non settaria «should not be confused with a multi-religious, a poly-religious or
a bi-national state. The new Palestine is not to be built around three state religions or two
nationalities»223. I seggi non verranno quindi assegnati in base alle confessioni religiose. Il
nuovo stato non deve rifarsi alle esperienze del Libano o di Cipro, in cui le divisioni settarie
hanno il sopravvento e definiscono la struttura della politica e delle istituzioni. Il modello
libanese, costruito attorno a linee settarie e religiose, è categoricamente rigettato: «Palestine
combines Jewish, Christian and Moslem Arabs as well as non-Arab Jews (Western Jews)»224.
Il nuovo stato, prosegue Shaʿth, assicurerà a tutti i gruppi «the right to practise their religion
and develop culturally and linguistically as a group»225, e le due lingue ufficiali insegnate a
tutti i palestinesi nelle scuole saranno l’arabo e l’ebraico. Non viene esclusa neanche la
possibilità di eleggere un presidente ebreo.
L'altra corrente di pensiero, di matrice secolare, criticava la formula di Stato per
"musulmani, cristiani ed ebrei", che richiamerebbe alla coesistenza tra religioni, e preferiva
mettere in rilievo l'orientamento apertamente laico che dovrà assumere lo Stato. A questa
categoria appartenevano i palestinesi che si richiamavano al nazionalismo arabo, al
socialismo arabo e al marxismo-leninismo, ed includeva in maniera trasversale membri di
222
«Le Monde», 27 gennaio 1970, cit., pp. 83-84.
Rasheed M., Towards a Democratic State in Palestine, cit., p. 38.
224
Ibidem.
225
Ivi, p. 39.
223
137
organizzazioni come il FPLP, il FDPLP, il FPLP-CG, il FLA, al-Saʿiqa, ma anche i laici e i
marxisti di Fatah o singole personalità non riconducibili a un determinato gruppo politico.
Secondo il FPLP, nel futuro Stato socialista sarebbero scomparsi i problemi legati
all'oppressione delle minoranze nazionali e religiose: di conseguenza, gli ebrei
«diventerebbero parte dei cittadini [sayusayyiruna juz' min muwatinina]»226, godendo degli
stessi diritti e rispettando gli stessi obblighi degli altri cittadini. Si è già visto come il FDPLP
prroponeva fin dal settembre 1969 la creazione di uno Stato palestinese democratico popolare
"per arabi e per ebrei" in cui non ci sarebbe stato spazio per l'oppressione di classe o
nazionale e nel quale si sarebbero rispettati i diritti di arabi ed ebrei a sviluppare le proprie
"culture nazionali" [al-thaqafa al-wataniyya].
Nell'intervento alla Seconda conferenza internazionale in supporto dei popoli arabi,
Nabil Shaʿth, delegato di Fatah, dichiara che i palestinesi stanno lottando per creare «a
progressive, democratic, secular Palestine»227. Secondo Shaʿth, la parola "secular" è stata poi
abbandonata per non creare problemi con il movimento islamista palestinese, ragion per cui
non compare nei successivi documenti ufficiali di Fatah né in quelli dell'OLP228. Yusif
Sayigh, nel citato intervento a Londra dell'aprile 1970, dichiara: «our vision is the setting-up
of Palestine in its entirety as one sovereign state in which Palestinian Arabs and Palestinian
Jews, whether practising Moslems, Christians, Jews, or atheists, can live together as equal
citizens regardless of religion, colour, or race»229. Gli ebrei sono considerati " ebrei
palestinesi" e - fatto del tutto inusuale - si distinguono addirittua gli "atei" tra le componenti
del futuro stato "secolare"230.
Anche Fayiz Sayigh, in un intervento al secondo simposio internazionale sulla
palestina, tenuto in Kuwait nel febbraio 1971, ribadisce che musulmani, ebrei e cristiani
parteciperanno alla costruzione di «a pluralistic, humanistic, secular and democratic state»231
sulla base della loro comune umanità, cittadinanza e volontà di provvedere al bene generale
dello stato. Gli interventi dei Sayigh rispecchiano la visione di un palestinese indipendente
dell'OLP di formazione laica e non legati ad alcuna organizzazione.
226
Filastin: nahwa hall dimuqrati, cit., p. 35.
Address by the Al-Fateh Delegation to the Second InternationalConference in Support of the Arab Peoples,
cit., p. 7.
228
Intervista rilasciata al sottoscritto, Ramallah, settembre 2010. È interessante notare che nelle riproduzioni
successive dell'intervento di Shaʿth la parola "secular" sia stata rimossa. Ad esempio, nella versione riportata in
Abdel-Malek A., op. cit., pp. 382-387, "secolare" è sostituita con "non settario".
229
Sayigh Y., Toward Peace in Palestine, cit., p. 18.
230
Il termione atei, accanto a cristiani, musulmani ed ebrei, si ritrova anche nel testo Lo stato democratico e
progressista in Palestina, a cura dell'ufficio di Roma dell'OLP, del 1976.
231
Sayigh F., A Palestinian View, cit. (corsivo nel testo).
227
138
Generalmente, i sostenitori della prima corrente di pensiero evitavano di usare la
parola "laico" o "secolare", per non urtare la sensibilità dei palestinesi islamisti che avrebbero
assegnato alla parola "laico" la connotazione di "anti-religioso", e preferivano usare "non
settario", "multireligioso", "progressista". La preoccupazione di non ledere i sentimenti delle
componenti più tradizionaliste del mondo islamico trapela in una dichiarazione di Arafat
nella quale il leader dell'OLP prende le distanze dalla parola "secolare" associata allo Stato
democratico. Nel dicembre del 1970 il «Times» riporta una dichiarazione di Arafat secondo
cui il leader dell'OLP avrebbe auspicato la creazione di uno stato "democratico, non sionista,
secolare"; qualche giorno dopo, in Arabia Saudita, interrogato sull'argomento Arafat nega di
aver pronunciato quella frase e afferma di essersi limitato ad auspicare la creazione di uno
Stato democratico in cui cristiani, ebrei e musulmani avrebbero goduto di pari diritti232.
Secondo gli studiosi israeliani Aryeh Yodfat e Yuval Arnon-Ohanna, già nel giugno 1970
Arafat avrebbe affermato che Fatah
"did not issue the slogan for the establishment of a secular state. What happened is
that the French writer, Anna Frankus, author of the book The Palestinians, spread
the slogan in the name of the Palestinian revolution in several articles. I am certain,
however, that this is a distortion of the expression of democracy we proclaim"233.
La concezione di democrazia professata dai fida'iyyin affondava le sue radici nel fenomeno
del thawriyya, "rivoluzionarismo", vale a dire quei profondi cambiamenti politici ed
economici che hanno scosso il sistema socio-politico introdotto in Medio Oriente dalle
potenze coloniali europee. Il centro dell'attenzione politica si spostava sulla struttura di classe
e sull'organizzazione economica della comunità nazionale. La democrazia era definita in
termini di giustizia sociale ed economica, piuttosto che in termini di libertà individuale e
parlamentarismo liberale: non era possibile raggiungere la vera democrazia senza ottenere la
liberazione economica e sociale 234.
Come ha osservato Michel Hudson, nonostante la convergenza di fondo sull’obiettivo
generale dello Stato democratico, la leadership di Fatah (quindi anche dell’OLP) forniva
un'interpretazione
che
si
avvicinava
più
alla
«concezione
liberal-borghese
e
232
Quandt W. B., Ideology and Objectives, in Quandt W. B., Jabber F., Lesch A. M. (eds), The Politics of
Palestinian Nationalism , cit., p. 102, in particolare la nota 21.
233
«al-Jumhurriyya», January 6, 1970, in Yodfat, Aryeh Y., Arnon-Ohanna, Yuval (eds), PLO Strategy and
Tactics, p. 57.
234
Sharabi H., The Transformation of Ideology in the Arab World, «Middle East Journal», Vol. 19, No. 4,
Autumn, 1965, pp. 482-483.
139
tradizionalista»235 comune alla leadership tradizionale; per i gruppi marxisti più radicali,
invece, lo Stato democratico «simboleggiava una prospettiva ideologica radicale e populista i
cui attributi più salienti erano secolarismo, partecipazione e giustizia sociale nel contesto
della
235
236
rivoluzione
di
liberazione
nazionale»236.
Hudson M. C., Developments and Setbacks in the Palestinian Resistance Movement 1967-1971, cit., p. 77.
Ibidem.
140
CAPITOLO III DALLO STATO DEMOCRATICO ALL'AUTORITÀ NAZIONALE
1970-74
La dualità di potere in Giordania
Nel febbraio del 1970 re Hussein di Giordania tenne una sessione speciale del gabinetto che
decise il rafforzamento dei controlli delle attività dei fida'iyyin. In previsione di uno scontro
decisivo con la monarchia hashemita, la resistenza intensificò gli sforzi per costituire un
“comando unificato” che coordinasse le operazioni militari delle varie organizzazioni
combattenti. Il dibattito in Giordania e l’atteggiamento da tenere nei confronti delle autorità
giordane polarizzò le opinioni all’interno della resistenza. Le posizioni politiche delle varie
organizzazioni erano spesso accompagnate da dimostrazioni di forza militare, rotture dei
cessate il fuoco o spettacolari operazioni internazionali (si pensi ai dirottamenti aerei del
ramo Operazioni-speciali del FPLP di Wadiʿ Haddad), che rientravano nel quadro della lotta
politica per cambiare il rapporto di forze all’interno del MRP. Per evitare di finire sotto il
controllo di Fatah il FPLP non aveva mai accettato di far pienamente parte dell’OLP e
proponeva la costituzione di un largo fronte nazionale che comprendesse tutte le forze su un
piano di parità. Tuttavia, il tentativo di rimpiazzare l’OLP come base per l’unità nazionale
incontrò la ferma opposizione di Fatah, di al-Saʿiqa e dell’ELP. Anche il FDPLP cominciava
a prendere le distanze dal PASC1 - pur non rinunciando al suo ombrello protettivo - e dalle
pagine del settimanale «al-Hurriyya» e del quotidiano «al-Sharara» intensificò la sua
campagna contro le forze della reazione giordana, lanciando slogan infiammati come "nessun
potere sopra a quello della resistenza", e preparando piani per la creazione di soviet nei campi
profughi e nei villaggi2.
In generale, a partire dal febbraio 1970, le crescenti tensioni nei confronti della
monarchia hashemita rafforzarono le posizioni della sinistra del MRP, che sostenevano
apertamente la necessità di risolvere a favore della resistenza il doppio potere che si era
formato in Giordania. A favore delle posizioni della sinistra giocarono diversi fattori:
l’atteggiamento più interventista di al-Saʿiqa, che rifletteva lo scontro politico tra il capo del
governo siriano Salah Jadid e il ministro della Difesa Hafiz al-Asad; il comando regionale
giordano di Fatah, in gran parte formato da quadri di sinistra; l’approccio militante del Partito
1
Palestinian Armed Struggle Command (PASC), coordinamento militare unitario creato da Fatah nel febbraio
del 1969 nel tentativo di coordinare la lotta armata palestinese, a cui aderirono al-Saʿiqa, ELP (e la sua
organizzazione di guerriglia, le FLP) e, in seguito, FLA e FDPLP e altri gruppi minori. Il FPLP rifiutò di
partecipare. In Sayigh Y., Armed Struggle and the Search of State, cit., pp. 204-205.
2
Ivi, pp. 246-255.
Comunista Giordano che nel marzo annunciò (in coordinamento con i partiti comunisti di
Libano, Siria e Iraq) la formazione delle Quwwat al-Ansar, "Forze partigiane", la propria
organizzazione di guerriglia. L’atteggiamento più battagliero dei partiti comunisti arabi –
favorevoli ad un accordo negoziato che prevedeva il riconoscimento di Israele entro i confini
precedenti alla guerra del giugno 1967 - rifletteva l'avvicinamento dell’Unione Sovietica al
MRP, in particolare in seguito alla visita di Arafat a Mosca nel febbraio del 1970. Proprio
l’assenza di Arafat, contrario al coinvolgimento armato in Giordania, aveva favorito la
creazione di un Comando unificato nel quale il peso relativo di Fatah era ridimensionato a
favore delle organizzazioni di guerriglia minori3.
In aprile fu annunciata la visita in Giordania del sotto-segretario di Stato statunitense
Joseph Sisco che aveva il compito di ravvivare gli sforzi diplomatici per un cessate-il-fuoco
con Israele. I fida'iyyin riuscirono a far saltare l’incontro intensificando le operazioni in
Israele e le dimostrazioni di forza in Giordania. In questa situazione di crescente tensione tra
il MRP e le forze armate e di sicurezza giordane, il 6 maggio 1970 le organizzazioni di
resistenza pubblicarono un comunicato del Comando unificato del MRP che delineava una
formula di unità nazionale e un programma di azione politica e militare. Il "programma
minimo" riaffermava l’obiettivo della completa liberazione della Palestina tramite la lotta
rivoluzionaria popolare, rigettava tutte le cospirazioni reazionarie e colonialiste che
prevedevano la formazione di uno Stato palestinese su parti della Palestina, e introduceva il
concetto «that the people in Palestinian-Jordanian theatre are one people, that the peple of
Palestine are part of the Arab nation, and that the territory of Palestine is part of Arab
territory»4.
Il concetto dell'unità dei popoli palestinese e giordano implica l'identificazione
geografica tra Palestina e Giordania. Questa proposizione, riaffermata con forza durante
l'ottavo (febbraio-marzo 1971) e il decimo CNP (aprile 1972) dell'OLP, si basava su una serie
di considerazioni storiche, politiche e culturali: il fatto che la Transgiordania sia stata
storicamente considerata parte della Palestina e solo successivamente separata dall'autorità
mandataria britannica; la comunanza culturale e il legame nazionale tra i residenti delle due
rive del fiume Giordano. Per l'OLP l'argomento dell'unità geografica delle due rive e
dell'unità nazionale dei due popoli serviva l'obiettivo politico di creare fronte unico giordanopalestinese di liberazione che rovesciasse la monarchia hashemita, considerata uno Stato
3
Ibidem.
Statement by the Unified Command of the Palestinian Resistance Movement Declaring a Formula for National
Unity and a Program for Political and Military Action, in «IDP 1970», cit., p. 795.
4
142
organicamente legato ad Israele e all'imperialismo, e formasse al suo posto una base sicura
dalla quale procedere alla liberazione del resto della Palestina.
Nel programma del Comando unificato le istanze della sinistra radicale, pur smorzate
nei toni, sono parzialmente recepite: accanto ai nemici tradizionali della resistenza (Israele,
sionismo, imperialismo), figurano anche «all subservient forces linked dialectically and
through their common interests, with imperialism and colonialiam»5, un riferimento esplicito
alla Giordania di re Hussein. Inoltre, i territori arabi che confinano con Israele sono
considerati un "campo legittimo" per la lotta palestinese, denunciando allo stesso tempo i
tentativi di imporre restrizioni alla sua indipendenza e libertà di azione e decidendo di
"armare le masse" affinché proteggano la resistenza. A livello operativo, nel comunicato si
decideva la formazione di Comitato militare unificato e di un Comitato centrale che avrebbe
assunto il comando del MRP.
Il comunicato menziona anche l’obiettivo della coesistenza su basi di eguaglianza dei
cittadini nella Palestina liberata: «The object of Palestinian struggle is the liberation of the
whole of Palestine in which all citizens will coexist with equal rights and obligations within
the framwork of the aspirations of the Arab nation to unityu and progress»6. Israele è
considerato irriformabile, il cambiamento non può arrivare dall’interno:
Israel, by virtue of its structure, is a closed racialist society linked with imperialism
and [...] the limited progressive forces that exist are incapable of bringing about any
radical change in the character of Israel as a Zionist racialist state linked with
imperialism7.
L'obiettivo della resistenza consiste quindi nella liquidazione di tutte le strutture politiche e
sociali di Israele per mezzo della lotta armata e nella liberazione di tutta la Palestina.
Il settimo CNP: l'arena giordano-palestinese medesimo campo di lotta
In questo clima di crescenti tensioni e rinnovati sforzi verso l’unità nazionale si tenne al
Cairo la settima sessione del CNP, dal 30 maggio al 4 giugno 1970. Pur rigettando come
insufficienti gli otto seggi assegnatigli, il FPLP partecipò con una rappresentanza simbolica
di un membro, Ahmad Yamani (Abu Mahir). Il FDPLP espresse la sua posizione in un
memorandum in cui dichiara che «the Jordanian-Palestinian theater is the principal field for
5
Ibidem.
Ibidem.
7
Ivi, p. 796.
6
143
the revolution»8 dove realizzare l’unità tra le masse giordane e quelle palestinesi, allo scopo
di porre un freno alle tendenze regionaliste e al proliferare di organizzazioni politiche e
sindacali separate per palestinesi e giordani. Il FDPLP considera le forze e i regimi reazionari
naturali alleati dell’imperialismo e del movimento sionista, e respinge tutte le soluzioni
reazionarie e colonialiste che prevedono la creazione di uno Stato in parti della Palestina. Nel
memorandum, il FDPLP ribadisce anche che l’obiettivo della lotta di liberazione è «to
establish a democratic popular state in which Arabs and Jews will coexist with equal rights
and obligations. This state will be linked to a socialist federal state, inasmuch as Palestine is
part of the Arab homeland»9. Poi lancia un appello alle forze ebraiche progressite ostili al
sionismo affinché si uniscano ai quadri del fronte nazionale unificato10.
Il settimo CNP non affrontò direttamente il tema dello Stato democratico, ma si limitò
ad incaricare il Comitato esecutivo dell'OLP di condurre un nuovo studio del suo contenuto
da sottoporre alla sessione successiva11. Cionondimeno, durante la settima sessione furono
prese decisioni molto importanti a livello organizzativo: fu decisa la creazione del Comitato
centrale dell’OLP che avrebbe incluso il presidente del CNP, il presidente e i membri del
Comitato esecutivo, il comandante dell’ELP, tre membri indipendenti e un rappresentante per
ciascuna organizzazione combattente. Inoltre, il Comitato esecutivo avrebbe dovuto creare
anche un Comando militare unificato composto dalle varie forze militari dei fida'iyyin12. In
breve, la creazione di nuove strutture in cui l’adesione era allargata a più organizzazioni e il
comando era posto su un piano orizzontale, indebolivano di fatto il peso politico e il controllo
che Fatah esercitava sull’apparato decisionale dell'OLP. Il FPLP, dal canto suo, si era
comunque riservato il diritto di agire in modo indipendente qualora ci si fosse trovati in una
situazione di disaccordo.
L’accettazione del Piano Rogers13 prima da parte dell’Egitto il 22 giugno 1970 e poi
da parte della Giordania il 26 giugno, contribuirono a far precipitare gli eventi. Con
8
Memorandum of the P.D.F.L.P. to the Seventh Session of the Palestine National Assembly on the “Present
Tasks of the Palestinian Resistance Movement, in «IDP 1970», cit., p. 817.
9
Ivi, p. 818.
10
Ivi, p. 819.
11
Hamid R., Muqararat al-majlis al-filastini 1964-1974, cit., p. 16.
12
Resolution of the Seventh Session of the Palestine National Assembly, «IDP 1970», cit., p. 821.
13
I punti fondamentali del piano prevedevano: Negotiations under Jarring's auspices following procedures used
in the 1949 meetings on Rhodes; Israeli withdrawal from Egyptian territory occupied in the war; An agreement
signed by the two sides officially ending the state of war and prohibiting "acts inconsistent with the state of
peace between them"; Negotiations between Israel and Egypt for agreement on areas to be demilitarized,
measures to guarantee free passage through the Gulf of Aqaba, and security arrangements for Gaza; A "fair
settlement" of the refugee problem, a reference to an American proposal for closing out this issue through
agreement on the return of 100,000 refugees phased over 10 years. Si veda: Quandt W. B., Decade of Decisions,
University of California Press, Berkeley 1977, pp. 89-90.
144
l’accettazione del cessate-il-fuoco la situazione politica volgeva decisamente a sfavore del
MRP. In un comunicato del 25 luglio il Comitato centrale dell'OLP denuncia senza mezzi
termini il Piano Rogers: l'avvio di negoziati con Israele e il suo eventuale riconoscimento
avrebbe significato la rinuncia del diritto del popolo palestinese alla Palestina, mentre il
cessate-il-fuoco, che si estendeva alle attività dei fida'iyyin, avrebbe rotto il fronte interno
arabo e permesso di liquidare la resistenza palestinese14. Le reazioni di protesta dei fida'iyyin
furono molto aspre e determinarono la rottura dei rapporti del FPLP con Nasser e la chiusura
del programma di Fatah “The Voice of Palestine” che trasmetteva dal Cairo. Con l’Egitto,
l’OLP perdeva una delle principali garanzie contro le minacce di liquidazione. I tentativi dei
fida'iyyin di sabotare la tregua in atto acuirono le tensioni con la monarchia giordana, e tra i
ranghi del MRP si cominciarono a discutere vari piani per rovesciare Re Ḥuṣayn e
determinare un clima di conflagrazione generale nell’area. Il MRP fu persino costretto a
convocare una sessione straordinaria del CNP il 27-28 agosto 1970 in Amman, nella quale fu
deciso che «l’arena giordano-palestinese è il medesimo campo di lotta»15. Arafat era
contrario allo scontro militare, e in generale la dirigenza di Fatah temeva che un
rovesciamento manu militari del regime hashemita avrebbe comportato l’intervento di Israele
e l’occupazione di altre terre arabe. L’atteggiamento incerto della principale organizzazione
palestinese sulla questione del potere duale in Giordania lasciò campo aperto alle
organizzazioni della sinistra, che parlavano ormai apertamente di stabilire un potere nazionale
rivoluzionario al posto della monarchia16.
Nonostante il FDPLP avesse ridotte capacità militari, potendo contare su circa 250
combattenti alla vigilia degli scontri di settembre, il politburo approvò un piano di
insurrezione armata che avrebbe dovuto trascinare nello scontro anche Fatah, senza la quale
le possibilità di successo militare erano pari a zero. Le parole d’ordine del FDPLP erano
diventate “tutto il potere alla resistenza” e “trasformare la Giordania in una piccola Hanoi”17.
Anche per il segretario generale del FPLP Habash, lo scontro tra la resistenza e la monarchia
era inevitabile: «It is only natural that the reactionary forces shoud strike at the resistance
movement [...] being an inseparable part of colonialism, we can see no difference between
Israel and colonialism and the reactionary forces in this part of the world»18.
14
Statement by the Central Committee of the P.L.O. on the Attitude of the Arab Governements to the Palestine
Question and the Rogers Plan, in «IDP 1970», pp. 882-883.
15
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search of State, cit., p. 260
16
Ivi, p. 254.
17
Ivi, p. 256.
18
«al-Hadaf», August 1, 1970, in «IDP 1970», cit., p. 879.
145
Per il FPLP, che contava su circa 1.500 combattenti, l’obiettivo principale era di
interrompere il cessate-il-fuoco arabo con Israele, percepito come una minaccia esistenziale
per il MRP. A questo scopo l’organizzazione di Habash contribuì notevolmente al
deterioramento della situazione, con una serie di dirottamenti aerei che sfidarono apertamente
la sovranità giordana, il più esclatante dei quali, nel settembre del 1970, fornì alla monarchia
il pretesto per procedere apertamente alla liquidazione della resistenza19. Lo scontro con la
monarchia si sarebbe protratto fino al luglio del 1971, con perdite umane e militari
pesantissime per i palestinesi. La perdita della "base sicura" in Giordania costrinse i fida'iyyin
ad un ripensamento generale degli obiettivi della lotta di liberazione a medio e lungo termine.
Di lì a poco il conflitto generale dell’ottobre 1973 avrebbe completamente rimescolato le
carte nell’arena mediorientale, determinando nuovi rapporti di forza più favorevoli agli Stati
arabi, ma che, paradossalmente, limitarono la libertà di azione del MRP.
Nabil Shaʿth: la Palestina del domani
Qualche giorno prima dell’inizio dell'ottava sessione del CNP, Nabil Shaʿth tenne una
conferenza al secondo simposio internazionale sulla Palestina, svoltosi in Kuwait tra il 13 e il
17 febbraio 197120. Il testo rappresenta una della riflessioni più elaborate sulla proposta di
Stato democratico. Il direttore del Centro di pianificazione dell’OLP elenca le tre proposte
avanzate finora per la soluzione della questione ebraica: la soluzione occidentale liberale, che
prevede l’assimilazione degli ebrei nelle società di cui fanno parte; la soluzione socialista, in
base alla quale la fine dello sfruttamento materiale risolverebbe anche i problemi legati alla
discriminazione; infine, la soluzione sionista, far sì che la minoranza si stabilisca in un paese
per diventare maggioranza, il che ha avuto come conseguenza lo sradicamento del popolo
palestinese. Secondo Shaʿth:
L’idea di uno Stato democratico è chiaramente superiore perché [...] mantiene la
possibilità di rimanere ebrei, praticare la propria religione, parlare la propria lingua,
e egualitariamente partecipare alla costruzione di un nuovo paese ideale [...] senza
diritti esclusivi superiori e senza uno status di seconda classe.
Il testo elenca le caratteristiche del futuro Stato:
1. Comprenderà tutta la Palestina, vale a dire sia i territori occupati nel 1967 sia quelli
19
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search of State, cit., pp. 256-257.
La Palestina del domani, testo della conferenza tenuta dal dr. Nabil Sha'ath al II simposio internazionale sulla
Palestina, Kuwait 13-17 febbraio 1971, «Al Fatah», 23 marzo 1971. Il raffronto col testo arabo è stato fatto col
testo Filastin al-ghad [La Palestina del domani], pubblicato dall'autore su «Shu'un Filastiniyya», No. 2, May
1971, pp. 5-23.
20
146
occupati nel 1948, e non ha rassomiglianza geografica con il Palestinostan, comprendete la
riva occidentale e Gaza;
2. Deve essere uno Stato non razzista, non settario, progressista, parte del movimento arabo
rivoluzionario e della futura federazione araba (al-ard al-ʿarabiyya al-mutahhida);
3. È il risultato della liberazione, che prevede la distruzione dello Stato sionista;
4. La popolazione «deve includere tutti gli immigrati ebrei [kull al-mustautanin al-yahud] e
tutti i palestinesi in esilio o sotto regime di occupazione, che scelgano di vivere in Palestina, e
accettino uguale status [manzila mutasawiyya] come palestinesi senza speciali diritti e
privilegi»21;
5. Non sarà uno Stato binazionale (dawla thanawiyya al-qawmiyya) o multireligioso
(mutaʿaddida al-adyan), come Cipro o il Libano, ma sarà non settario, laico e unitario
(muwahhada, ʿalmaniyya wa ta'ifiyya);
6. Nella fase di liberazione nazionale, quando ancora il processo di liberazione deve essere
portato a compimento, è prematuro definire in dettaglio quali saranno le caratteristiche del
futuro Stato soprattutto visto che nessuna parte della comunità ebraica immigrata è impegnata
finora nella lotta. Pertanto, è più facile definire lo Stato democratico chiarendo ciò che «non
sarà un nuovo Stato razzista ed esclusivo per gli arabi [...], non permetterà un’apartheid de
facto [...], non sarà teocratico, feudale, aristocratico imperialista o base di potenze
imperialiste»22. La distruzione delle strutture esclusiviste sioniste permetterà al futuro Stato di
beneficiare dell’agricoltura e dell’industria palestinesi, e la liberazione dai legami
imperialistici permetterà l’integrazione nell’economia araba.
Shaʿth passa in rassegna le reazioni e gli atteggiamenti palestinesi e arabi in generale
alla proposta di Stato democratico, raggruppandoli in quattro categorie. La prima comprende
la destra araba sciovinista, che valuta lo Stato democratico palestinese come resa al nemico o
necessaria propaganda tattica e considera il problema palestinese in termini religiosi piuttosto
che anticolonialistici, utilizzando lo stesso approccio sionista. E questo nonostante
«l’educazione rivoluzionaria, l’insegnamento dell’ebraico nei campi di rifugiati, l’aumento di
contatti con gli ebrei progressisti [...] hanno creato una più umana comprensione
dell’ebreo»23 tra i palestinesi, tra i quali le paure e l'odio verso l'ebreo erano radicate
nell'occupazione sionista della Palestina. Shaʿth osserva proprio i giovani ashbal hanno
21
Ivi, p. 8. Il grassetto sulla parola "kull", tutti, è presente nel testo arabo, a rimarcare l'accettazione di tutti gli
ebrei in Palestina come cittadini, senza esclusione di sorta.
22
Ibidem.
23
Ibidem.
147
adottato rapidamente quest’idea, mentre la borghesia cittadina rimaneva più legata a una
mentalità sciovinista.
Alla seconda categoria appartengono coloro che, non avendo capito a fondo l’idea,
pensano che sia stata avanzata in sostituzione della liberazione piuttosto che come il suo
compimento, e la confondono con le proposte di Stato su parti della Palestina. Nella terza
categoria rientrano quegli arabi rivoluzionari che, pur accettando l’approccio progressista al
problema ebraico, rifiutano l’idea di uno Stato palestinese separato dal contesto arabo, e
lottano per la creazione di uno Stato arabo unito. In questa categoria rientrano in linea di
massima il FPLP, il FDPLP, il FLA e, per certi versi, l’organizzazione israeliana Matzpen.
Anche per Fatah, sostiene Shaʿth, la creazione di uno Stato palestinese è una tappa verso la
creazione di una federazione araba, nella quale gli ebrei palestinesi godranno completi diritti
politici, culturali e religiosi. Il FLA in particolare ha scatenato una dura battaglia contro la
proposta di Stato democratico, accusando Fatah di regionalismo (iqlimiyya) e costringendo le
altre organizzazioni alla difensiva. Questo stato di paralisi ha ritardato la correzione
dell’articolo sei della Convenzione Nazionale Palestinese, dando così alla propaganda
sionista l’opportunità di attaccare lo Stato democratico come una manovra tattica priva di
findamento. Altra critica frequente riguarda la preoccupazione che i palestinesi possano
costituire una minoranza nel futuro Stato, argomento ribaltato dai sionisti che temono invece
di divinetare una minoranza. Shaʿth sostiene che il problema numerico palestinese sarebbe
risolto dall’integrazione del nuovo Stato nel contesto arabo, mentre i diritti degli ebrei
troveranno garanzie nella natura progressista e democratica della lotta di liberazione, che
attrarrà sempre più ebrei nelle fila della resistenza24.
La quarta categoria di critici respinge l’orientamento religioso dell’idea nella
formulazione originaria di Stato formata da ebrei, musulmani e cristiani. Questi critici
promuovono «insistono sulla interpretazione laica [tafsir ʿalmani], e discutono sul fatto di
non poter accettare se non una repubblica socialista popolare di operai e contadini
[jumhurriyya ʿamal wa fallahin shaʿbiyya ishtirakiyya]»25. Fatah rifiuta di costruire
l’impalcatura del nuovo Stato attorno alle linee religiose, come in Libano, limitandosi a un
approccio non confessionale [la ta'ifiyya] basato sulla libertà di culto secondo le credenze
personali. Inoltre, è prematuro e dannoso discutere del contenuto sociale ed economico del
nuovo Stato, sia in quanto creerebbe degli ostacoli all’unità nazionale, sia perché «una
24
25
Ivi, pp. 8-9.
Ivi, p. 9.
148
genuina applicazione dell’idea di stato democratico richiederebbe una completa
partecipazione democratica degli ebrei insediati nel decidere la nuova forma di governo della
Palestina»26.
Il dato fondamentale è rappresentato dal fatto che tutte le organizzazioni armate
palestinesi, pur divergendo sull’applicazione concreta o il contenuto ideologico della
Palestina del domani, condividono la visione democratica, laica e progressista nei confronti
della comunità ebraica insediatasi in Palestina. Attualmente però, «rimane un grande compito
di educazione e di cambiamento istituzionale per rendere l’idea universalmente accettata e
per farla affondare radici tra le masse arabe»27, a testimonianza del fatto che l’idea di Stato
democratico, inizialmente discussa dagli ambienti più progressisti della leadership del MRP,
era riuscita a coinvolgere gran parte dei palestinesi politicamente coscienti, anche se non si
può sostenere che fosse largamente diffusa a livello popolare.
Shaʿth dedica una sezione del saggio alla descrizione dell'impressione prodotta dallo
Stato democratico sugli ebrei in Israele e all'estero. Pochi ebrei in Israele sono riusciti ad
entrare in contatto con la proposta palestinese senza il filtro distorsivo della propaganda
israeliana. La capacità della resistenza di raggiungere larghi strati di coloni ebraici, tramite
materiale stampato o i programmi radio in ebraico e in inglese trasmessi su The Voice of
Palestine, è stata molto ridotta, tanto che la maggior parte degli israeliani sono stati indotti a
credere che in caso di liberazione tutti gli ebrei sarebbero buttati a mare, dando agli ebrei una
motivazione per combattere come se combattessero per la sopravvivenza.
Dal momento in cui non ci si può aspettare una conversione spontanea degli ebrei agli
ideali dello Stato democratico, e considerato che essi vivono in un sistema di privilegi
esclusivi in cui persino i lavoratori beneficiano dello sfruttamento degli operai e dei contadini
palestinesi, spetta alla lotta di liberazione palestinese procedere fino al punto da constringere
gli ebrei a scegliere tra la perdita totale dei privilegi e l'adesione alla proposta palestinese. Se
in una prima fase la rivoluzione palestinese deve aumentare le sue potenzialità di lotta al fine
di creare delle incrinature nella comunità ebraica, in un secondo momento dovrà intensificare
gli sforzi per persuaderla della fattibilità e della giustezza dell'alternativa palestinese: «con il
procedere della rivoluzione, col suo divenire una forza credibile, la sua responsabilità di
comunicare ad Israele la visione della Palestina di domani, come alternativa progressiva e
26
27
Ibidem.
Ibidem.
149
democratica, sarebbe invece enorme»28.
Secondo Shaʿth, l'impressione prodotta dall'idea di Stato democratico presso
l'opinione pubblica ebraica progressista all'estero è stata tale da costringere il governo
israeliano a enormi sforzi per neutralizzarla. I metodi utilizzati furono due: da una parte
furono mobilitati gli intellettuali per ripulire l'immagine di Israele attraverso una serie di
pubblicazioni destinate ad un uditorio giovanile all'estero, in cui si avanzò per la prima volta
la teoria delle due Palestine, cioè la creazione, al posto di uno Stato unitario democratico, di
uno Stato israeliano e uno Stato palestinese, da crearsi, secondo alcuni, in Giordania, secondo
altri, su parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. In entrambi i casi lo Stato palestinese
sarebbe stato disarmato, legato ad Israele e soggetto alle sue misure di sicurezza. Da un'altra
parte fu organizzata una campagna di propaganda che attaccava lo Stato democratico come
una mossa propagandistica araba, fatta in malafede, proponendo invece un'immagine di
Israele come Stato laico, progressista e democratico29.
Il saggio analizza poi le reazioni del dissenso ebraico in Israele. Il partito comunista di
Israele, Rakah, ha svolto un ruolo importante nell'unire politicamente gli arabi in Israele e
nell'opporsi all'ideologia statale sionista. Tuttavia, accettando la risoluzione no. 242 del
Consiglio di Sicurezza e il principio "due popoli, due nazioni, due stati" come base per la
soluzione del conflitto, Rakah non mette in discussione la legittimità dello Stato di Israele,
assume un atteggiamento negativo nei confronti dell'idea di Stato democratico e accetta di
fatto i principi basilari del sionismo30. Le proposte di federazione semitica avanzate dal
dissidente israeliano Uri Avnery, benché interessanti in un mare di conformismo, non
possono essere prese sul serio vista la sua sostanziale adesione al sionismo. L'unica forza
antisionista organizzata, benché possa contare su appena 100 membri, è l'Organizzazione
socialista israeliana Matzpen, che ha avanzato una soluzione binazionale in Palestina e più
recentemente ha proposto una soluzione araba e non regionale al problema attraverso la
formazione di una Federazione socialista del Medio Oriente in cui gli ebrei avrebbero lo
status di minoranza nazionale riconosciuta, come i curdi. L'organizzazione, benché piuttosto
28
Ivi, p. 15.
Ibidem.
30
Emile Touma, membro palestinese del Partito Comunista Israeliano Rakah ed ex membro della Knesset, il
Parlamento in Israele, chiarì la posizione del partito sullo Stato democratico in varie occasioni: «The Rakah
position is that we don't call for a secular democratic state; we call for the establishment of a Palestinian state
alongside Israel. And we leave for historical developments to change things». In Touma E., Barbee L., Chiar M.,
«Journal of Palestine Studies», Vol. 13, No. 1, Autumn, 1983, pp. 15-16. Si veda anche: Tuma E., A propos de
l'idée d'un Etat palestinien, «Bulletin du Groupe de recherche et action pour le règlement du problème
palestinien GRAPP», No. 8, Édition Sociales, 1974.
29
150
attiva, è di esigue dimensioni e molti dei suoi iniziatori si trovano all'estero, tra cui Lobel a
Parigi, Orr e Machover a Londra, Dror a Boston, e non può realmente incidere nella politica
israeliana31.
Malgrado la guerra del 1967 abbia rafforzato il senso di identificazione tra gli ebrei
all'estero e quelli in Israele, «la comparsa della Rivoluzione Palestinese e il suo ideale di stato
unitario e democratico da raggiungere attraverso una lotta rivoluzionaria di liberazione non
potevano non accendere l'immaginazione dei giovani ebrei della nuova sinistra radicale in
Europa e in America»32. I palestinesi devono fare un grande sforzo per stringere con questi
ebrei rapporti di amicizia e di solidarietà proprio a salvaguardia dell'idea di stato unitario
democratico. I sostenitori della causa palestinese tra gli ebrei progressisti, tra cui Ania
Francos, Marcel Somerhausen, Cohn Bendit, hanno ricoperto un ruolo molto importante non
solo nel diffondere la storia della tragedia palestinese e della sua lotta di liberazione, ma
anche attraverso un dialogo approfondito con i palestinesi, nell'aiutare questi ultimi a
superare pregiudizi e a vedere nell'ebreo un sostenitore della causa palestinese e una vittima
delle discriminazioni e persecuzioni: «attraverso questi ebrei i palestinesi hanno colto per la
prima volta la reale differenza tra un ebreo e un sionista»33.
Nell’ultima parte del testo Shaʿth tenta una valutazione complessiva sullo stato attuale
del “sogno” della Palestina del domani e sulla sua fattibilità. Giocano a sfavore dello Stato
democratico diversi elementi: la resistenza palestinese è in una fase di stallo, sia a causa dei
rovesci subiti in Giordania, sia a causa della mancanza di coesione e unità nei sui ranghi; il
rafforzamento militare sionista; la strategia statunitense di vietnamizzazione del Medio
Oriente, palese tramite la giordanizzazione del conflitto palestinese, che consiste nel trasferire
31
La Palestina del domani, cit., p. 9, p. 15.
Ivi, p. 15.
33
Ibidem. Anche il diplomatico palestinese Afif Safieh ricorda i primi rapporti tra i palestinesi e gli ebrei
progressiti fuori di Israele, e il loro contributo per la conoscenz della causa palestinese in un occidente per molti
versi impermeabile a qualsiasi critica nei confronti di Israele: «Already in those days [i primi anni Settanta]
many of our friends were Jews. They were anti-Zionists or non Zionists. The West, then, was a cemetery for
those in politics, in the media or in academia who dared question Israel’s intentions or dare condemn its politics
and practices. Reputations were ruined, careers were shattered and character assassination was the name of the
game. Israel felt immune to criticism and the most unacceptable intellectual terrorism prevailed, as a powerful
deterrent […]. So some of the best critical books or articles were then mainly written by Jewish scholars. But
even they would not escape insults and abuse. “Self-hating Jews” would be one of the mildest. The most radical
among them would question the very legitimacy of the Zionist enterprise in Palestine while the more moderate
believed that the creation of a Palestinian State was a Jewish moral obligation, a Jewish ethical responsibility. I
still remember, with enormous political gratitude, Rabbi Elmer Berger, Alfred Lilienthal of “What price Israel?”
and of course Naom Chomsky in the USA. In Belgium, Marcel Liebeman and Nathan Wienstock. In France
Ania Francos, Ilan Halevy and Maxime Rodinson and what was then the highly needed eye-opener in
intellectual circles his “Israel: a colonial settler State”. In the UK, Eli Lobel. Moshe Machover, Uri Davis and
Isaac Deutscher», in Safieh A., On Palestinian Diplomacy, PLO Mission to the United States of America,
Washington DC 2006, pp. 62-63.
32
151
la lotta all’interno del mondo invece che contro Israele; la proposizione di uno Stato
palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza che lasci intatto lo Stato di Israele. A favore
dello Stato democratico gioca invece il crescente riconoscimento a livello internazionale dei
diritti nazionali palestinesi; la persistenza della
resistenza a dispetto dei tentativi di
repressione; l’integrazione dell'economia della Cisgiordania a quella israeliana; il rifiuto
israeliano di ritirarsi dai territori occupati e la crescente popolarità della resistenza palestinese
nell’opinione pubblica mondiale34.
Secondo Shaʿth, per quanto siano basse le possibilità di realizzazione dello Stato
democratico a breve termine, questa rimane l’unica alternativa alla perpetuazione di una
società colonizzatrice e razzista nel cuore del mondo arabo. L’alternativa allo Stato
democratico sarebbe un “Palestinostan” creato nel quadro di un accordo generale. Il modello
di società promosso da Israele è evidente: gli arabi in Israele subiscono «dominio razzista,
cittadinanza di seconda classe, detenzione amministrativa, assimilazione culturale,
sfruttamento economico»35, i palestinesi a Gaza vivono sotto uno stato di costante
oppressione e rappresaglie, mentre la situazione dei palestinesi in Cisgiordania, per quanto
venga presentata da Israele come un modello illuminato di coesistenza, è basata su un sistema
di dipendenza e sfruttamento che riporta alla mente i bantustan del Sud Africa36.
L'ottavo CNP: lo Stato democratico obiettivo strategico
Nel mezzo dello scontro militare in Giordania, l’OLP tenne l’ottava sessione del CNP al
Cairo, tra il 28 febbraio e il 5 marzo 1971. Due elementi di novità meritano di essere
menzionati: il primo fu la partecipazione – a titolo personale - di un rappresentante della
formazione combattente comunista Quwwat al-Ansar, ancora non riconosciuta come parte
dell’OLP. Il secondo, più importante, riguarda la presenza di tre eminenti personalità in
rappresentanza dei palestinesi che vivevano in Israele: Sabri Jiryis, il poeta Mahmud
Darwish, e Habib Kahwaji.
Pochi giorni prima dell’inizio dei lavori, il FPLP emette un lungo comunicato nel
quale propone una serie di cambiamenti organizzativi nel sistema politico del MRP:
l’emendamento della Carta nazionale palestinese per ribadire l'obiettivo della liberazione
totale e senza compromessi dell’intero territorio della Palestina e l’esercizio della sovranità
araba su di essa; la costituzione di un fronte nazionale con un comando militare e politico
34
Ibidem.
Ibidem.
36
Ibidem.
35
152
unificato, nel quale i gruppi della resistenza conservino la propria indipendenza ideologica ed
organizzativa, e con un programma rivoluzionario che indicasse chiaramente la reazione
araba tra i nemici della rivoluzione; la ricostituzione del CNP in modo da garantire la
rappresentanza delle organizzazioni su basi di parità. Il comunicato prosegue delineando i
compiti immediati del MRP: utilizzare tutti i mezzi possibili per impedire l’implementazione
della risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e dei piani di compromesso;
respingere fermamente ogni proposta di Stato palestinese su parti della Palestina in quanto
“tradimento storico” della causa; la lotta in Giordania, inoltre, deve avere come fine la
creazione di un regime nazionale democratico che realizzi l’unità del popolo giordanopalestinese. Il comunicato si chiude rivolgendo una forte critica verso la resistenza che in
passato non ha condannato il regime giordano e si è presentata come se la rivoluzione sia
esclusivamente appannaggio dei palestinesi, e non invece la lotta di tutto il popolo arabo
contro la presenza sionista, reazionaria e imperialista nella regione37.
Il programma politico dell’ottavo CNP riflette i rovesciamenti militari subiti dalla
resistenza in Giordania: la leadership tenta una prima riformulazione della strategia politica
senza però rinunciare alla consueta retorica di mobilitazione. La preoccupazione principale
dell'OLP è riaffermare la propria legittimità in quanto unico rappresentante del popolo
palestinese, delegittimando le rivendicazioni della monarchia hashemita a rappresentare i
palestinesi delle due rive del Giordano o le proposte di alcuni notabili della Cisgiordania:
«The Palestine Liberation Organization is the sole rapresentative of the masses of the
Palestinian Arab people»38 e di tutte le fazioni che si riconoscono nei principi basilari della
Carta nazionale. La lotta armata, che nei programmi precedenti era considerata l'unica
strategia per la liberazione della Palestinaforma di lotta, è considerata la principale e non
l'unica forma di lotta, lasciando aperta la strada ad altre forme di lotta, purché procedano
parallele a quella armata39.
Per non lasciare alcun dubbio circa il respingimento di quasiasi soluzine di
compromesso, il testo ribadisce che «the only solution to the Palestine problem is the total
liberation of the soil of Palestine by armed struggle»40, e dichiara «resolute opposition to
those who advocate the establishment of a Palestinian state in part of the territory of
37
«al-Hadaf», no. 89, February 27, 1971, in «IDP 1971», cit., pp. 384-387.
Political Program for thw Conduct of the Palestine Revolution Adopted by the Eight Session of the Palestine
National Council, in «IDP 1971», cit., p. 397. L’originale arabo è apparso su «Fateh», March 30, 1971, mentre
la traduzione italiana si trova su «Al Fatah», Marzo 1971.
39
Ibidem.
40
Ibidem.
38
153
Palestine, inasmuch as efforts to to establish such a state lie within the framework of the
liquidation of the Palestine problem»41. Ridimensionata militarmente e isolata a livello
politico, l'OLP teme che qualsiasi le soluzioni di compromesso e le proposte di creazione di
uno Stato palestinese su parti della Palestina siano un tentativo di liquidare la resistenza e la
causa palestinese nella sua interezza. Poi riafferma l'obiettivo dello Stato democratico:
Palestinian armed struggle is not a racist or sectarian struggle against the Jews.
Therefore the state of the future in a Palestine liberated from Zionist imperialism is
the democratic Palestinian state, in which all who wish to do so can live in peace
with the same rights and obligations and within the framework of the aspirations of
the Arab nation to national liberation and full unity [with] enphasis on the unity of
the people of both Banks of Jordan 42.
Il testo prosegue sottolineando l’unità nazionale, culturale, linguistica dei popoli palestinese e
giordano e l’artificiosità di origine coloniale della separazione geografica tra le due rive:
«The creation of one political entity in Transjordan and another in Palestine would have no
basis»43. Le masse giordano-palestinesi, continua il comunicato, devono unirsi in un fronte
nazionale giordano con l'obiettivo di creare un regime nazionale in Giordania che prenderà
parte alla liberazione della Palestina e supporterà i fida'iyyin44.
Non deve sorprendere il fatto che lo Stato democratico palestinese sia inquadrato
all’interno dell'unità della gente sulle due rive del Giordano. Per il FPLP e il FDPLP la
priorità è ormai nella lotta al regime hashemita giordano e nell'unità delle masse palestinesi e
giordane. In questa prospettiva, la parola d'ordine dello Stato democratico avrebbe limitato la
portata della lotta alla sola componente palestinese, minando l'unità delle due rive del
Giordano. Se da una parte la corrente di maggioranza dell’OLP riafferma la propria autorità
politica e il diritto di rappresentare i palestinesi in merito a qualsiasi soluzione che li
riguardasse, dall’altra ribadisce il rifiuto di qualsiasi soluzione che preveda un mini-Stato in
Cisgiordania e Striscia di Gaza. In un momento storico in cui l’OLP lottava per la stessa
sopravvivenza fisica, qualsiasi soluzione territoriale avrebbe minato la sua aspirazione ad
essere il solo legittimo rappresentante dei palestinesi e, allo stesso tempo, avrebbe indebolito
il potere di mobilitazione dei palestinesi. Come sottolinea lo stesso Arafat, benché in
precedenza anche le altre assemblee avessero discusso la parola d'ordine dello Stato
democratico, la ratifica ufficiale avvenuta con l'ottavo CNP rappresenta «un avvenimento
41
Ibidem.
Ibidem.
43
Ibidem.
44
Ivi, p. 398. Questa parte è mancante nella traduzione italiana apparsa su «Al Fatah».
42
154
senza precedenti»45.
La rivoluzione palestinese dopo il Settembre nero
La sconfitta militare in Giordania - definitiva nel luglio del 1971 quando le truppe del re
Hussein espulsero i combattenti palestinesi dalle regioni montuose di Jirash e Ajlun nel nord
della Giordania - rappresentò per il MRP la perdita del principale "santuario" arabo. Per dirla
con Hisham Sharabi: «The period of euphoria was over. Suddenly the Palestinians found
themselves isolated again, alienated from their Arab hosts and confronting the enemy
alone»46.
Il
duro
colpo
subito
in
Giordania
provocò
un
cambiamento
generale
nell'organizzazione, nella strategia e nel discorso politico del MRP, che si sarebbe
ulteriormente consolidato in seguito alla guerra dell'ottobre 1973. Se da un alto la strategia
della guerra popolare di lungo termine non era andata molto al di là della retorica ufficiale,
dall'altro l'ostilità dei regimi arabi nei confronti di qualsiasi movimento radicale che
rimettesse in discussione lo status quo costrinse il MRP a fare i conti con i rapporti di forza
reali nel mondo arabo, rivelando i limiti della resistenza. A pagare il prezzo più alto furono le
organizzazioni della sinistra radicale: il FPLP avrebbe impiegato anni per tornare ai livelli
precedenti lo scontro, mentre il FDPLP intraprese una seria autocritica e in nome del
"realismo rivoluzionario" (waqiʿiyya thawriyya)47 assunse una posizione intermedia tra l'ala
più intrasnsigente del MRP, ostile a qualsiasi compromesso e favorevole al proseguimento
della lotta armata, e le posizioni "pragmatiche" e "possibiliste" della leadership dell'OLP
vicina ad Arafat. A partire dalla seconda metà del 1972, il FDPLP diventò uno dei principali
promotori del programma per fasi, che prevedeva la creazione di un'autorità nazionale
indipendente su parti della Palestina, e strinse rapporti sempre più stretti con l'Unione
Sovietica.
La sconfitta dei fida'iyyin in Giordania ebbe tre principali conseguenze: in primo
luogo, Fatah emerse come il leader incontrastato del MRP, riservandosi la capacità di
decidere in ultima istanza su tutte le principali questioni politiche e militari del MRP; in
secondo luogo, Fatah approfittò della debolezza delle organizzazioni di sinistra per imporre
definitivamente l'OLP come l'arena comune e il centro decisionale della politica palestinese;
45
«Fateh», 23 marzo 1971, in Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 69.
Sharabi H., Liberation or Settlement: The Dialectics of Palestinian Struggle, cit., p. 35.
47
Steinber M., The Worldview of Hawatmeh's "Democratic Front", cit., p. 23 (la definizione fu coniata durante
il secondo Congresso Generale nel 1981).
46
155
infine, malgrado l'impegno rinnovato nei confronti della lotta armata, i riferimenti alla guerra
popolare e alla guerriglia scomparirono progressivamente dal lessico politico del MRP48.
A questo punto, il dibattito all'interno del MRP si concentrò sull'elaborazione di una
nuova strategia politica, discussa tra il nono - Cairo, 7-13 luglio 1971 - e il decimo CNP Cairo, 6-12 aprile 1972 - che prevedeva: il rovesciamento della monarchia hashemita;
l'accettazione dell'OLP come istituzione di riferimento del MRP; un maggiore sforzo verso la
cooperazione nelle attività politiche e il coordinamento delle attività militari tra i vari gruppi
di resistenza. La resistenza si trovava ad un crocevia storico: militarmente ridimensionata,
politicamente isolata, in calo di popolarità e prestigio presso le masse nei territori occupati e
nel mondo arabo, avviò un'intensa autocritica sulle ragioni della disfatta, rimettendo in
discussione obiettivi politici, strategia militare e struttura organizzativa.
In The Palestinian Resistance and the Jordanian Regime, pubblicato dal Centro di
ricerche dell'OLP nel 1971, riflette il pensiero della corrente di maggioranza dell'OLP
incarnata da Fatah. In esso si denunciano l'infantilismo e l'avventurismo del FPLP e del
FDPLP che, tramite i loro appelli a combattere direttamente i sostenitori della soluzione
pacifica del conflitto, hanno «privato la Rivoluzione di una gran parte delle sue capacità
politiche [e] l'hanno quasi completamente isolata dalle forze arabe»49. Dall'analisi emerge la
sensazione di isolamento e di accerchiamento che vive il MRP e la convinzione che la sua
sopravvivenza sia legata al rifiuto di qualsiasi soluzione politica del conflitto, preludio alla
liquidazione della resistenza. La resistenza, continua il testo, si è trovata sola a combattere su
due fronti contro il potere prezzolato in Giordania e contro le forze di occupazione sioniste;
una parte delle masse giordane si è addirittura schierata con la monarchia giordana, ingannata
dal potere prezzolato; anche l'URSS vorrebbe regolare il problema con mezzi politici,
temendo un conflitto generalizzato che la costringerebbe a dover fronteggiare un intervento
statunitense; i Paesi arabi che appoggiano la resistenza palestinese sono più o meno orientati
a una soluzione politica; infine, bisogna tener conto delle manovre inglesi, americane e
israeliane miranti a dividere le fila palestinesi, cooptando i leader tradizionali e proponendo la
creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza50.
Per uscire dalla crisi e dall'isolamento attuale bisogna ottenere che i Paesi arabi
riconoscano alla resistenza il diritto di continuare la lotta armata, appoggiandola
48
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., p. 683.
Hindi K., Bawarshi F., Mussa S., Shaʿth N., The Palestinian Resistance and the Jordanian Regime (in arabo),
PLO Research Center, Beirut 1971, in Khader B., Khader N. (a cura di), op. cit., p. 211.
50
Ivi, pp. 211-212.
49
156
materialmente e politicamente. È chiaro che la dirigenza dell'OLP percepisce come prioritario
rompere l'isolamento politico che rischia di mettere in dubbio la capacità dell'organizzazione
di farsi portatrice esclusiva delle istanze nazionali del popolo palestinese. La lotta per il
riconoscimento dell’esistenza nazionale palestinese si sposta sempre più dal piano militare a
quello politico e l'obiettivo immediato è aumentare il numero degli alleati arabi, isolando il
regime giordano. Qualsiasi soluzione politica è considerata una soluzione di resa. Nel
rapporto dell'OLP si legge che la Transgiordania deve rimanere la principale base di
appoggio della resistenza, che deve continuare la lotta armata «fino alla liquidazione dello
Stato di Israele e alla istituzione della Stato democratico palestinese nel quadro delle
aspirazioni della nazione araba»51.
In un simposio tra leader della resistenza, Khalid al-Hasan ribadisce la posizione
tradizionale di Fatah in base alla quale la lotta palestinese si trova nella fase di liberazione
nazionale e deve indirizzare tutte le sue forze verso questo scopo, rimandando le discussioni
sull'assetto sociale della società a una fase successiva: «the slogan for the present stage
should call for a moratorium on the social struggle as far as the Palestinian organizations are
concerned»52. Al-Hasan sostiene che «the Palestinian revolution should not work to change
the nature of the society in Jordan or elsewhere […]. Any confrontation that the Palestinian
movement has with the Arab regimes should only result from a conflict between the aims of
the resistance movements and the regimes»53.
Il pensiero di al-Hasan riflette quello della corrente di maggioranza di Fatah, vicina ad
Arafat: malgrado esistano delle contraddizioni tra la rivoluzione palestinese (l'adozione della
lotta armata e il rifiuto di qualsiasi soluzione negoziata) e lo status quo nel mondo arabo, non
c'è tuttavia un'incompatibilità tra l'attività militare palestinese e la sovranità dei regimi arabi,
o almeno non nella misura in cui questi ultimi garantiscono alla resistenza una certa libertà di
azione. Questo è in sostanza il succo degli Accordi del Cairo, firmati nella capitale egiziana
dal MRP e dalle autorità giordane in seguito agli eventi del settembre 1970, che
permettevano, sotto certe condizioni, le attività di guerriglia palestinesi e allo stesso tempo
cercavano di far rispettare la sovranità giordana.
Le organizzazioni della sinistra palestinese leggono in maniera diversa la disfatta e
avanzano proposte diverse per uscire dall'impasse. Per entrambe la disfatta in Giordania è la
51
Ivi, p. 215.
Palestine Lives: Interviews with Leaders of the Resistance: Khalid al-Hassan, Fateh, Abu Iyad, Fateh,
George Habash, PFLP, Nayef Hawatmeh, PDFLP, Sami al-Attari, Sa’iqa, A. W. Sa’id, Arab Liberation Front,
Palestine Research Center, Beirut 1973, p. 30.
53
Ivi, p. 34.
52
157
conseguenza della natura borghese della leadership di Fatah: l'incapacità di fornire una lettura
scientifica del regime giordano ha illuso la leadership sulla possibilità di una coesistenza col
regime e ha dettato un comportamento attendista, di difesa. La risoluzione della
"contraddizione secondaria" con il regime reazionario giordano è prioritaria alla risoluzione
della "contraddizione primaria" con il nemico sionista. Di conseguenza, la liberazione dal
regime reazionario giordano e l'instaurazione al suo posto di un regime nazionale
democratico precedono la liberazione della Palestina dal nemico sionista e l'instaurazione
dello Stato democratico palestinese.
Secondo il leader del FPLP George Habash la struttura ideologica e di classe del MRP
ha impedito alla sua leadership di considerare in maniera scientifica il regime giordano,
creatura del colonialismo britannico nata per facilitare gli obiettivi sionisti in Palestina. Il
regime giordano appartiene perciò al campo dei nemici: «there is absolutely no difference
between [il ministro della difesa israeliano] Dayan, [il re giordano] Hussein and Sharif Nasser
[bin Jamil]; consequently we should act in Jordan as we do in Israel herself»54. Visto il
legame organico tra la presenza israeliana, gli interessi imperialistici e i regimi arabi
reazionari, il FPLP ritiene che gli obiettivi della resistenza siano incompatibili con quelli dei
regimi arabi reazionari, con i quali non è possibile alcuna forma di coesistenza. Il MRP si è
trovato perciò impreparato ad affrontare adeguatamente - a livello di programma politico,
alleanze sociali e mobilitazione popolare - il regime giordano quando quest'ultimo ha deciso
di optare per la repressione militare.
Secondo Habash, il MRP, oltre alla mancata valutazione della natura del nemico, ha
commesso l'altro grande errore di non aver definito la sua posizione nei confronti del popolo
giordano. L'errore è stato proprio quello di non aver voluto interferire negli affari interni del
paese dal quale è chiaro che sarebbe dipeso il futuro della resistenza: «the movement
presented itself as a Palestinian revolution pure and simple»55, quando invece avrebbe dovuto
spostare la bilancia di potere in suo favore attraverso la mobilitazione delle masse giordane
con slogan di classe per la creazione di un fronte comune giordano-palestinese che
rovesciasse il regime di re Hussein. Questo ha permesso al regime giordano di far leva sui
sentimenti patriottici e regionalisti delle masse e mobilitarle contro la resistenza, presentata
54
55
Ivi, p. 70.
Ivi, p. 71.
158
alla stregua di invasore. Di conseguenza, afferma Habash, «we see no difference between
fighting Israel and fighting the Jordanian regime; they are identical in the fullest sense»56.
Il programma politico del terzo congresso del FPLP del marzo 1972 enuncia gli
obiettivi della resistenza nella fase attuale: il primo è continuare la lotta contro Israele con lo
slogan della liberazione della Palestina, mentre il secondo è combattere il regime reazionario
in Giordania con lo slogan della liberazione della Giordania dalla reazione. Il rovesciamento
del regime reazionario è necessario al fine di instaurare un regime nazionale democratico che
si basi sull'alleanza di tutte le forze nazionali democratiche e che mobiliti le sue risorse
umane ed economiche per la lotta contro Israele, sulla base di un programma che garantisca il
diritto del popolo palestinese a continuare le azioni militari; raffori l'integrazione tra il popolo
palestinese e il popolo trangiordano e attui la rivoluzione democratica nazionale in
Giordania57.
I compiti della nuova tappa richiedono una più elaborata forma organizzativa, che si
dipana su due livelli: il primo consiste nella costruzione di un partito rivoluzionario
all'interno di un più largo fronte unitario nazionale che includa tutte le organizzazioni di
resistenza e che sia in grado di mobilitare le masse sulla base di un programma di classe, da
imporre alla leadership di destra del movimento (Fatah). Non è detto che l'OLP, nella sua
strutturata attuale, sia la forma istituzionale più adatta a raggruppare le forze della sinistra
attorno a un programma rivoluzionario. Sottolineando la sua indipendenza di azione, il FPLP
ribadisce che la sua partecipazione al Comitato esecutivo durante il nono CNP del luglio
1971 - che gli ha permesso di opporsi e contribuire al fallimento dei negoziati di Jedda tra la
leadership della resistenza e il regime reazionario giordano - non esaurisce la sua
interpretazione del concetto di fronte patriottico. Sebbene il FPLP aspiri a rappresentare la
corretta linea politica all'interno delle strutture dell'OLP, la creazione di un nuovo fronte
patriottico che raggruppi le forze della sinistra ed escluda le forze "esitanti" e "devianti"
attorno a un programma rivoluzionario da imporre poi alla destra deve essere stabilito al di
fuori delle istituzioni e della mentalità da cui si è originata l'OLP58.
Il secondo livello organizzativo prevede la costituzione di un fronte patriottico che
unisca il movimento patriottico Giordano con le organizzazioni di resistenza palestinesi
impegnate nel rovesciamento del regime hashemita. Non è possible affrontare un campo
56
Ivi, p. 78.
Tasks of the New Stage (the political report of the Third National Congress of P.F.L.P), Popular Front for the
Liberation of Palestine, Foreign Relations Committee, Beirut 1973, p. 56.
58
Ivi, pp. 56-57.
57
159
nemico che comprende le forze reazionarie in Giordania, l'establishment militare israeliano, il
sionismo e l'imperialismo, se non attraverso la creazione di un fronte nazionale giordanopalestinese che includa le forze rivoluzionarie e patriottiche giordane insieme alle forze della
resistenza palestinese che condividono l'obiettivo del rovesciamento del regime. Questo
richiede la formazione di una forza rivoluzionaria giordana in grado di mobilitare le masse
verso la realizzazione della rivoluzione nazionale democratica nella riva est del Giordano59.
Il FDPLP ha prodotto le analisi più elaborate sulle ragioni della disfatta e sui compiti
attuali del MRP. In una serie di articoli apparsi su «al-Hurriyya» nel novembre 1970 il
FDPLP respinge le argomentazioni di chi sostiene che le operazioni giordane del settembre
1970 siano state dirette specificamente alla sinistra palestinese o che attribuisce a quest'ultima
la responsabilità della repressione. Piuttosto, l'offensiva generale di settembre è considerata
una della serie di offensive perpetrate contro la Resistenza negli ultimi quattro anni: dagli
scontri a Beirut e Amman nel febbraio e giugno del 1970 all'approvazione del Piano Rogers
da parte di Egitto e Giordania, si erano create le condizioni affinché le forze arabe reazionarie
- in ragione della loro natura di classe e del loro attaccamento all'imperialismo - entrassero in
guerra contro la resistenza palestinese, spostando il fronte di lotta all'interno del mondo arabo
e all'interno delle stesse fila palestinesi60.
Secondo il segretario generale del FDPLP Nayif Hawatma, i fallimenti del movimento
di liberazione palestinese sono da attribuire in primo luogo alla ristrettezza di vedute della
leadership piccolo-borghese di destra incarnata da Fatah, che fin dall'inizio «developed
isolationist characteristics which rested upon the principle of "Palestinizing" the palestinian
question and turning one's back on the surrondign Arab countries»61. La leadership di destra
ha sviluppato una posizione di difesa passiva davanti ai tentativi di repressione messi in atto
in Giordania, illudendosi di poter ottenere, grazie all'intercessione dei regimi arabi, la
coesistenza col regime di re Hussein, invece di approfittare del periodo tra il settembre 1969
(il settimo CNP affermava la necessità di volgere la Giordania in una roccaforte per la
resistenza palestinese) al luglio 1970 (la prima ondata repressiva) per risolvere a suo favore la
dualità di potere creatasi tra le resistenza e il regime giordano. Questo ha permesso alle forze
reazionarie di organizzarsi, specialmente all'interno dell'esercito e dei servizi di sicurezzza,
isolare la resistenza con l'accettazione del Piano Rogers e procedere alla sua liquidazione62.
59
Ivi, pp. 57-58.
La traduzione italiana dei tre articoli si trova in Khader B., Khader N. (a cura di), op. cit., pp. 292-308.
61
Palestine lives, cit., p. 85.
62
Ivi, pp. 86-90.
60
160
Nell'interpretazione di Hawatma, la leadership di destra ha indotto la resistenza a
commettere due errori: il primo è il non aver capito la natura del regime giordano, per il quale
era di primaria importanza la liquidazione dei fida'iyyin; di conseguenza, la risoluzione della
"contraddizione secondaria", tra le resistenza e i regimi arabi reazionari, in questo caso la
monarchia di Hussein, diventava prioritaria rispetto alla risoluzione della "contraddizione
primaria", tra al resistenza e Israele. Nel giudizio di Hawatma, questa situazione avrebbe
dovuto indurre la resistenza ad intensificare la situazione rivoluzionaria in Giordania, ad
esempio creando delle milizie armate, dei comitati e delle istituzioni nei paesi e nei campi
profughi che fossero in grado di rimpiazzare le autorità del regime63. Al contrario, essa ha
creato una catena di organizzazioni di massa, sindacali e professionali puramente palestinesi,
che ha rafforzato a sua volta le tendenze parrocchiali tra le masse transgiordane. Il secondo
errore della leadership della resistenza è consistito nell'ignorare la causa nazionalista e
democratica in Giordania, abbandonando le masse giordane, sfruttate e oppresse dalle forze
reazionarie, e sviluppando un programma puramente palestinese.64
Secondo il segretario del FDPLP, la resistenza avrebbe dovuto unificare tutte le
organizzazioni di massa, di lavoro e professionali e far capire alle masse trangiordane che era
nel loro interesse stabilire un regime nazionalista che si opponesse all'imperialismo, al
sionismo e alla dominazione dell'oligarchia giordana. Uno dei compiti principali della
resistenza doveva essere quello di dar vita a un fronte nazionale palestinese-giordano
unificato che combattesse per la rivoluzione nazionale democratica attraverso l'instaurazione
di un regime nazionalista ostile al sionismo e alle forze reazionarie; questo avrebbe liberato le
masse dalla dominazione "dell'oligarchia egoista" e mobilitato tutte le forze materiali del
paese in appoggio alla resistenza palestinese. La leadership di destra ha invece sviluppato le
tendenze parrocchiali tra le masse giordane e questo ha permesso al regime giordano di
ampliare le tendenze separatiste tra le masse transgiordane e raggrupparle attorno al regime,
anche grazie al fatto che molte persone furono incorporate nelle agenzie statali e in
particolare nell'esercito65.
Nell'analisi di Hawatma, l'obiettivo della campagna di Settembre è stato eliminare il
principale ostacolo a un accordo bilaterale tra Amman e Tel Aviv, cioè il MRP, il che ha
aperto alle forze reazionarie la possibilità di stringere accordi di compromesso a scapito dei
diritti storici del popolo palestinese. Questo è diventato chiaro negli ultimi mesi in cui il re
63
Ivi, p. 96.
Ivi, pp. 96-97.
65
Ibidem..
64
161
Hussein ha cercato di stringere un accordo con i reazionari palestinesi che garantisca
autonomia alla Cisgiordania sotto la sovranità hashemita; oppure nel tentativo di altre forze
reazionarie in Cisgiordania che cercano di ottenere qualche forma di autonomia sotto gli
auspici della potenza occupante: «Both plans may lead to a Palestinian sub-State will either
stand as such between the Israeli hammer and the reactionary Jordanian anvil, or renew its
ties with the reactionary authirities in Amman on a federal basis»66.
Il modo per ostacolare le proposte di compromesso, sostiene Hawatma, è risolvere il
problema principale, vale a dire il rapporto tra la resistenza e il regime giordano. Per fare ciò
occorre determinare la natura esatta della fase attuale della resistenza palestinese alla luce dei
cambiamenti intercorsi nel mondo arabo in seguito al settembre 1970. È qui che Hawatma
pone il problema della necessità di formulare un programma intermedio che rappresenti per i
palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana e sotto il regime giordano un'alternativa ai
programmi annessionistici israeliani o di dominazione hashemita. Non è più possibile,
continua il leader del FDPLP, andare avanti con slogan strategici, generali e di lungo termine
quali "continuazione della lotta armata fino alla completa liberazione", "rifiuto di tutti i piani
di compromesso ai danni dei diritti dei palestinesi"; nella fase attuale la resistenza ha la
necessità di determinare gli obiettivi intermedi nella sua lotta strategica. Il regime giordano
ha enfatizzato il bigottismo reazionario parrocchiale contro il popolo palestinese e le forze
nazionaliste giordane e, in reazione a ciò, ha sviluppato tendenze secessioniste spontanee tra
il popolo palestinese, che vuole sfuggire alla repressione del regime67.
In questa situazione, fertile per la proliferazione dei progetti delle forze reazionarie e
borghesi palestinesi favorevoli all'autonomia sotto il regime di occupazione o alla creazione
di un mini-Stato palestinese, il primo compito della resistenza deve essere quello di risolvere
la contraddizione fondamentale con il regime giordano, mobilitando le masse sulla base di un
fronte nazionale unito giordano-palestinese. In questo modo è possibile offrire una soluzione
nazionale al posto di quelle anti-nazionali prevalenti in Transgiordania e quelle secessioniste
palestinesi. Il secondo compito della resistenza deve essere quello di rivoluzionare la
Cisgiordania, ma questo secondo compito è subordinato alla risoluzione del primo, vista la
situazione di vulnerabilità e dipendenza della Cisgiordania nei confronti della
Transgiordania68.
66
Ivi, p. 111.
Ivi, p. 104.
68
Ivi, p. 105.
67
162
Il nuovo scenario creatosi in seguito al Settembre nero ha reso impellente la
formulazione di soluzioni nazionaliste in Cisgiordania, strettamente legate alla soluzione
della situazione in Transgiordania. Bisogna impedire, continua Hawatma, che le forze
reazionarie palestinesi e giordane e le forze sioniste e imperialiste frammentino e quindi
procedano alla liquidazione della questione palestinese, avanzando piani di autonomia sotto
la dominazione giordana o sotto l'occupazione israeliana. Il compito attuale - che coincide
con l'obiettivo intermedio - del MRP è fornire ai palestinesi un'alternativa nazionalista; per
far ciò bisogna costruire un fronte giordano-palestinese per la creazione di un regime
nazionale in Transgiordania che sia in grado di concentrare gli sforzi sulla lotta contro il
nemico sionista. Lo slogan nella fase attuale deve essere: «No to secession, no to the rule of
king Hussein, Yes to unity of the two banks of the Jordan on national and democratic
basis»69. Nel programma del fronte unito giordano-palestinese non è possibile alcuna forma
di coesistenza col regime giordano; deve determinare i diritti nazionali del popolo palestinese
in Giordania, tra cui il pieno diritto a portare le armi sia per difendersi da una eventuale
invasione israeliana sia per difendersi dagli attacchi delle forze reazionarie; deve definire il
diritto delle masse nazionaliste transgiordane di edificare un governo nazionale democratico
contrario alle forze reazionarie in Giordania, agenti dell'imperialismo, e trasformare così la
Giordania in una roccaforte della resistenza contro il nemico sionista70.
Nella visione di Hawatma l'OLP rappresenta il quadro di riferimento generale per una
coalizione nazionale, ma deve evolversi in un fronte di liberazione nazionale unito
«committed to a precise transitional program which defines the intermediary goals on the
road of the protracted strategic struggle»71. Se tutte le forze progressiste e di sinistra facessero
uno
sforzo
congiunto
sarebbe
possibile
far
evolvere
l'OLP
politicamente
e
organizzativamente in un fronte di liberazione nazionale che non si limiti a formulare principi
politici generali, ma che li applichi individuando i diversi obiettivi per le diverse fasi della
lotta.
Contro le soluzioni liquidazioniste
All'obiettivo della liberazione di tutta la Palestina per mezzo della lotta armata e
l'edificazione di uno Stato democratico, il MRP associava il rifiuto di qualsiasi compromesso
territoriale che prevedeva la creazione di un mini-Stato palestinese in Cisgiordania e Striscia
69
Ivi, p. 107.
Ivi, p. 110.
71
Ivi, p. 113.
70
163
di Gaza come tappa intermedia della lotta di liberazione. Con l'espulsione dei fida'iyyin dalla
Giordania la questione del rifiuto di qualsiasi soluzione negoziata del problema palestinese
diventò centrale nella strategia politica. La resistenza decise di rinnovare gli sforzi politici per
ottenere il riconoscimento dell'OLP come legittimo rappresentante dei palestinesi e di
intensificare le attività politiche nei territori occupati per evitare che sorgessero tendenze
scissioniste o che finissero di nuovo nelle mani di re Hussein. La leadership dell'OLP cercò di
impedire il sorgere di un'alternativa politica in Cisgiordania e Striscia di Gaza che potesse
mettere in discussione il suo ruolo di unico rappresentante delle aspirazioni palestinesi
all'autodeterminazione. L'edificazione dello Stato democratico su tutta la Palestina per mezzo
della lotta armata e il rifiuto di qualsiasi mini-Stato resta il minimo comune denominatore
attorno cui si riconoscono tutte le organizzazioni della resistenza. In questo frangente, il
riferimento allo Stato democratico su tutta la patria è spesso fatto per rifiutare qualsiasi
proposta di creazione di un mini-Stato su parti della Palestina come tappa intermedia della
lotta di liberazione.
Dopo la guerra del giugno 1967 i palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza si
trovarono direttamente sotto l'occupazione militare israeliana e svilupparono un discorso
politico specifico su come liberarsi nel più breve tempo possibile dal fardello
dell'occupazione, il che divergeva dalle posizioni ufficiali dell'OLP. Questo è maggiormente
vero per la Cisgiordania, dove quasi vent'anni di governo giordano avevano rafforzato i
legami economici e istituzionali tra le elite politiche ed economiche delle due rive del
Giordano72. Nella Striscia di Gaza invece, la disponibilità di una discreta quantità di armi
leggere lasciate dall'esercito egiziano e dall'ELP e la presenza di forze locali legate all'OLP
avevano fin da subito favorito un atteggiamento più militante nei confronti dell'autorità
occupante, che nel periodo 1967-71 fu anche di opposizione armata, spente con la durissima
repressione israeliana (che incluse demolizioni di interi quartieri nei campi profughi, arresti e
deportazioni di massa)73.
In seguito al vuoto politico creatosi dalla dissoluzione dei consigli municipali da parte
dell'autorità occupante, i palestinesi dei territori occupati crearono l'Higher Islamic Council e
i National Guidance Committes, una rete semi-clandestina di rappresentanti di vari gruppi
72
Sui rapporti tra la leadership tradizionale e la leadership dell'OLP in Cisgiordania si veda: Shemesh M., The
West Bank: Rise and Decline of Traditional Leadership, June 1967 to October 1973, «Middle Eastern Studies»,
Vol. 20, No. 3 (Jul., 1984), pp. 290-323.
73
Taraki L., The Development of Political Consciousness Among Palestinians in the West Bank and Gaza Strip,
1967-87, in Nassar J. R., Heacock R. (eds), Intifada: Palestine at the Crossroads, Birzeit University & Praeger
Publishers, New York 1990, pp. 56-57.
164
politici. Durante un incontro tra varie personalità e rappresentanti di organizzazioni tenuto in
Cisgiordania il 4 ottobre 1967 venne redatta una "Carta nazionale degli arabi della
Cisgiordania per la fase attuale", in cui si denunciava che «the conspiracy of aggression will
try to impose a permanent peace in Israel's favour, based on the recognition of Israel and the
guaranteeing of new frontiers for aggression»74, optando infine per la riunificazione della
Cisgiordania alla Giordania. Questa opzione era portava avanti per lo più da figure legate al
sistema politico giordano già nel periodo precedente all'occupazione israeliana del 1967, e
anche da una minoranza di attivisti comunisti o nazionalisti arabi che, per ragioni
ideologiche, vedevano la riunificazione come primo passo verso l'unità araba75.
Anche nella Striscia di Gaza si formò una struttura organizzativa, lo United National
Front, che raggruppava varie organizzazioni politiche e figure nazionali e che, come il suo
omologo in Cisgiordania, limitava le sue richieste al ritorno allo status quo ante: la sovranità
egiziana. In entrambi i casi, questi embrioni di leadership furono debellati nel giro di pochi
anni dalle forze di occupazione israeliane e cessarono di esistere come forze politiche76. In
alternativa alle proposte annessioniste, un gruppo eterogeneo di persone, che includeva, tra le
personalità di spicco, il sindaco di Hebron Sheikh Muhammad Ali al-Ja'bari, il noto avvocato
di Ramallah Shihadeh Aziz, e al-Taji Faruqi, già membro del partito Baʿth giordano,
rifiutarono di tornare sotto la sovranità giordana e sostengono, ognuno in forme e modalità
differenti, la creazione di un'entità palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967
attraverso mezzi politici77.
La leadership dell'OLP seguiva con estrema preoccupazione gli sviluppi nei territori
occupati: tutte le principali organizzazioni della resistenza esprimevano in quel frangente il
rifiuto categorico di qualsiasi soluzione di accomodamento politico o di compromesso
territoriale, che erano equiparati a un tentativo di liquidazione della causa palestinese. In un
comunicato del febbraio 1971 il FPLP afferma: «the proposal for a Palestinian State is just
one aspect of efforts to perpetuate the Zionist presence in our occupied territory and to
liquidate the Palestine problem as a whole»78. L'accettazione di un mini-Stato palestinese o di
74
In «IDP 1967», cit., p. 427.
Jamal A., The Palestinian National Movement: Politics of Contention, 1967–2005, Indiana University Press,
Bloomington 2005, pp. 34-35.
76
Ibidem.
77
Ibidem. Sul tema delle relazioni tra agenti di sicurezza israeliani e personalità palestinesi cisgiordane nel
periodo seguente alla guerra del giugno 1967 si veda: Raz A., The Bride and the Dowry: Israel, Jordan, and the
Palestinians in the Aftermath of the June 1967 War, Yale University Press, London and New Haven 2012.
78
Proposals for the Reconstruction of the Palestine National Council and Statement Opposing any Acceptance
os Settlement Proposals or a "Palestinian State", in «IDP 1971», cit., p. 386.
75
165
altre proposte di compromesso rappresentano agli occhi del FPLP «a historical treachery to
our cause»79 e costituiscono una rinuncia ai diritti storici del popolo palestinese alla
liberazione di tutta la patria e al ritorno.
Il programma politico del terzo congresso generale chiarisce che il pericolo della
liquidazione della causa palestinese esisteva fin dall'accettazione egiziana della risoluzione
no. 242 del Consiglio di Sicurezza. In seguito al Settembre 1970, si legge nel rapporto, i
pericoli sono aumentati per una serie di ragioni: l'indebolimento della resistenza palestinese;
lo spostamento a destra dei regimi nazionalisti; il concentramento degli sforzi internazionali
in particolare statunitensi verso una soluzione negoziata del conflitto arabo-israeliano80. Per
quanto riguarda il futuro della Cisgiordania, il documento prevede tre scenari: il primo è la
continuazione dell'occupazione israeliana della Cisgiordania e quindi il proseguimento della
lotta armata per la liberazione della Palestina. Questo obiettivo non può essere raggiunto
senza il rovesciamento della monarchia hashemita e l'instaurazione di un regime democratico
nazionale che realizzi l'unità tra i due popoli giordano e palestinese. Il secondo scenario
prevede il ritorno della Cisgiordania sotto la dominazione hashemita, il che può avvenire
all'interno di un compromesso pacifico con Israele e in virtù del fatto che il regime giordano
pretende di rappresentare il popolo palestinese. Anche in questo caso il compito della
resistenza consisterebbe nel rovesciamento del regime, il quale costituisce un ostacolo per la
lotta armata palestinese. La terza possibilità è la formazione, all'interno di un compromesso,
di uno Stato palestinese che comprenda la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, soluzione
appoggiata anche dai regimi arabi piccolo-borghesi e dal dipartimento di Stato americano
prima del 1970. Tuttavia, persino questa possibilità è respinta da Israele, dalla Giordania e
dagli altri Stati arabi reazionari81.
In generale, l'idea di creare una "entità vassalla" per i palestinesi è nell'agenda
dell'imperialismo e potrebbe assumere diverse forme in futuro. La priorità del movimento
palestinese nella sua lotta contro le "soluzioni liquidazioniste" o "capitolazioniste" consiste
nel recuperare le sue capacità militari sia in Giordania che nei territori occupati: nel primo
caso perché in presenza di una Giordania rivoluzionaria sarà impossibile negoziare una
soluzione politica, nel secondo perché un'attività di resistenza efficace e continuativa
impedirebbe ad Israele di trovare qualsiasi vantaggio in una soluzione di compromesso82.
79
Ibidem.
Tasks of the New Stage, cit., pp. 102-103.
81
Ivi, pp. 105-107.
82
Ivi, p. 108.
80
166
Nella visione del FPLP non c'è alternativa a una lotta armata di lungo periodo contro tutte le
soluzioni di compromesso fino a quando i rapporti di forza non volgeranno a favore della
resistenza. L'esistenza della causa palestinese è strettamente legata alla continuazione della
lotta armata, «regardless of wheter arms should be carried against the Israeli occupation or
against any other traitor authority (Palestinian or Jordanian)»83.
Anche Nabil Shaʿth, membro del Centro di pianificazione dell'OLP, ribadisce che
l'obiettivo della resistenza è la creazione di uno Stato democratico su tutta la Palestina e non
di uno staterello su parti di essa. In un'intervista del maggio del 1971 Shaʿth sostiene che
«those who support the idea of a quasi-Palestine, a quinsling State, are few "notables"»84 da
tempo in contatto con Israele e gli Stati Uniti. La creazione di un "Palestinostan"
rafforzerebbe la dominazione economica israeliana sulla Cisgiordania - trasformata in una
riserva di manodopera a basso costo - senza che Israele sia costretta assorbire gli abitanti:
«any talks about two "Palestines" is really to talk about a South African situation»85. Shaʿth
sostiene che non è possibile edificare lo Stato democratico per vie pacifiche e tramite la tappa
intermedia di uno Stato in Cisgiordania perché la società israeliana, nettamente più forte,
schiaccerebbe qualsiasi tentativo di integrazione delle due aree che non sia portato avanti
secondo i suoi dettami. Per questa ragione lo Stato democratico deve essere raggiunto tramite
la lotta di liberazione e la lotta congiunta con gli ebrei della Palestina e non può essere il
frutto di una concessione o di un accordo tra due parti palesemente diseguali86.
Per il FDPLP non esiste una soluzione specificamente palestinese: la soluzione deve
essere araba. L?errore in Giordania è consistito proprio nella "divisione verticale" della
società giordano-palestinese, per cui invece dell'unità delle classi nazionaliste e popolari
contro quelle reazionarie, si è creata una divisione tra la società palestinese da una parte e la
società giordana dall'altra, tra l'esercito giordano e la resistenza palestinese. Perciò, onde
evitare che dei settori del popolo palestinese, per sfuggire agli attacchi della repressione
giordana, sostengano la soluzione della creazione di uno Stato su parte della Palestina,
bisogna fornire un'alternativa nazionale che consiste nella creazione di un fronte giordano-
83
Ivi, p. 109.
. Interview Statement oby Palestine Resistance Spokesman Shaath Rejecting the Idea of a "Palestine State" on
the West bank and Advocating a Democratic State for Arabs and Jews in All Palestine, in «IDP 1971», p. 471.
85
Ivi, p. 472.
86
Ibidem.
84
167
palestinese che instauri un regime nazionalista in Transgiordania impegnato nella lotta contro
il nemico sionista87.
Tra il febbraio e il maggio del 1972 l'OLP dovette far fronte al tentativo di mettere in
discussione il ruolo che rivendicava di legittimo rappresentante dei palestinesi: il governo
militare israeliano indisse le elezioni municipali nei territori occupati per il periodo febbraiomaggio 1972; inoltre, il 15 marzo re Hussein propose la creazione di un Regno Arabo Unito
composto da una federazione tra una regione di Palestina, formata da Cisgiordania e con
capitale Gerusalemme, e una regione di Giordania, che comprendeva la Trasgioradnia con
capitale Amman88.
Entrambe le iniziative incontrarono la netta opposizione del MRP. Le elezioni
municipali erano il chiaro tentativo israeliano di creare una leadership palestinese
accomodante che rimpiazzasse l'influenza dell'OLP sui palestinesi dei territori occupati.
L'OLP cercò in tutti i modi di promuovere il boicottaggio delle elezioni - inizialmente
caldeggiato anche dalle autorità giordane - e bollò come collaborazione col nemico qualsiasi
tentativo di partecipazione come, arrivando alla minaccia e all'utilizzo della forza nei
confronti dei potenziali candidati89. In Cisgiordania il Fronte di resistenza popolare, che
includeva vari gruppi nazionalisti sotto l'influenza prevalente dei comunisti90, pubblicò a
metà gennaio un appello al boicottaggio delle elezioni, presentandole come una cospirazione
israeliana atta a perpetuare l'occupazione e legalizzare l'annessione dei territori occupati91.
Sebbene l'OLP non riuscisse ad impedire lo svolgimento delle elezioni, i sindaci eletti non
riuscirono a creare quadri con sufficiente credibilità politica per presentarsi come valida
alternativa all'OLP92.
Il tentativo del re Hussein di affermare la propria influenza politica in Cisgiordania ed
ergersi a difensore degli interessi dei palestinesi incontrò la reazione negativa della
resistenza. Il piano del Regno Arabo Unito - bocciato sia dagli israeliani sia dagli Stati arabi fu immediatamente respinto dal Comitato esecutivo dell'OLP in un lungo comunicato del 16
87
Press Statement Commenting on the Ineffectiveness of the Eight Session of the Palestine National Council
Made by Political Bureau Secretary-General Hawatma of the Popular Democratic Front for the Liberation of
Palestine, Cairo, March 6, 1971, in «IDP 1971», cit., pp. 400-401.
88
Speech by Jordanian King Hussein Concerning the Status of the West Bank in the Event of a Peaceful
Settlement, Amman, 15 March, 1972, in «Journal of Palestine Studies», Documents and Source Materials, Vol.
1, No. 4, 1972, pp. 166-167.
89
Jamal A., op. cit, pp. 40-42.
90
Rabinovich I., Shaked H., From June to October: the Middle East between 1967 and 1973, Transaction
Publishers, New Brunswick 1978, p.273.
91
Statement by the Popular Resistance Front in the West Bank on the Municipal Elections, in «IDP 1972», The
Institute for Palestine Studies and the University of Kuwait, Beirut 1975, pp. 276-277.
92
Jamal A., op. cit, p. 42.
168
marzo in cui si dichiara che l'OLP, «as the legitimate command responsible for the destiny of
the people of Palestine and their cause»93, respinge il piano sulla base delle seguenti
considerazioni: solamente il popolo palestinese ha il diritto di decidere il futuro della propria
causa; il piano è incentrato sulle relazioni tra i popoli delle due rive del Giordano, senza alcun
riferimento alle questioni centrali della liberazione e la restaurazione dei diritti dei
palestinesi; il piano prevede la creazione di un'entità palestinese ridotta, da ottenere con la
collaborazione israeliana; il piano è un tentativo di rompere l'isolamento imposto attorno ad
Israele nel mondo arabo94. Nell'interpretazione del segretario generale del FDPLP Hawatma
«the Hussein plan came about through American-Hashemite cooperation»95 per rafforzare la
borghesia in Cisgiordania e darle la legittimità politica necessaria per firmare un eventuale
pace con Israele. Le elezioni municipali, continua Hawatma, servono proprio allo scopo di
«"select" collaborators with a view of making them partecipate in future peace
negotiations»96.
In risposta agli sforzi israeliani di creare una nuova leadership palestinese nei territori
occupati e al tentativo giordano di ergersi a rappresentante del popolo palestinese, l'OLP
organizzò, nell'aprile del 1972, un Congresso popolare palestinese in concomitanza con la
decima sessione del CNP. Israele minacciò di impedire il ritorno in Cisgiordania a tutti i
palestinesi che avessero deciso di partecipare, mentre la Giordania dichiarò di considerare la
partecipazione alla conferenza (che rivendicava il rovesciamento della monarchia) al pari del
tradimento, impedendo di fatto la partecipazione dei molti palestinesi invitati97. In un
rapporto redatto per l'occasione il fondatore del Centro di ricerche dell'OLP Fayegh Sayegh
riporta che il Congresso poteva essere considerato «the most widely representative meeting of
Palestinians ever to be held since the rise of Israel»98, forte della partecipazione di circa 400
membri in rappresentanza di diverse classi, gruppi, organizzazioni palestinesi, e di oltre 300
membri bloccati da Israele e Giordania. Sayigh nota che secondo il Congresso il piano di
Hussein presenta un aspetto peculiare rispetto ai piani precedenti: «it purported to speak on
93
Statement by the Executive Committe of the Palestine Liberation Organization Rejecting King Hussein's
United Arab Kingdom plan, in «IDP 1972», cit., p. 294.
94
Ivi, pp. 295-296.
95
Press Interview Statements by General Secretary Hawatma of the P.D.F.L.P. Discussing King Hussein's
United Arab Kingdom Plan", in «IDP 1972», cit., p. 305.
96
Ibidem.
97
Rabinovich I., Shaked H., op. cit., p. 283.
98
Sayegh F., Special Report for Action on the Palestinian Popular Congress, Manuscript, s.l., s.d., p. 1.
169
behalf of the Palestinian people and to represent its national aspirations and general will»99, il
che è percepito come uno dei principali pericoli per l'OLP.
Nel comunicato si riafferma con forza la legittimità dell'OLP a rappresentare i
palestinesi e le loro aspirazioni nazionali: «the Palestinian Liberation Organization is the sole
legal representative of the Palestine people as regards expressing their aspirations»100,
qualsiasi tentativo di decidere il futuro della Palestina senza il suo coinvolgimento costituisce
una violatione dei diritti nazionali dei palestinesi e qualsiasi accordo che ne risulti è
considerato illegale. Il Congresso si impegna ad opporsi a tutte le proposte che implicano la
resa e la liquidazione della causa, tra cui il progetto di Regno Arabo Unito del re Hussein.
Nella valutazione del Congresso, «The close connection between Hussein's projects and the
holding of municipal elections in part of Palestine goes beyond the matter of timing to reveal
the organic link between Hashemite and Zionist schemes within the framework of colonialist
strategy»101. Il comunicato chiarisce il compito attuale della lotta nazionale palestinese: il
campo principale d'azione deve restare la Giordania in quanto è lì che si devono costruire
legami organici tra il popolo palestinese e il popolo giordano, così come tra l'OLP e il
movimento nazionale giordano «on the basis of the restoration of the unity of the Banks […]
within the framework of a nationalist democratic regime which will ensure complete regional
equality of rights and duties within the framework of a nationalist democratic government»102
che garantisca ai palestinesi il diritto di portare le armi.
L'undicesimo CNP si svolge tra il 6 e il 12 gennaio 1973 e si concentra su alcuni temi
fondamentali per il movimento di liberazione palestinese: la situazione nei territori occupati;
le proposte di creazione di uno Stato palestinese su parti della Palestina; la questione della
rappresentanza; la definizione degli obiettivi strategici e tattici del MRP. Per quanto concerne
l'arena palestinese, il programma politico ribadisce gli obiettivi strategici della rivoluzione
palestinese: «the total liberation of the soil of the Palestinian homeland»103 e «the
establishment of the democratic Palestinian society in which all citizens will enjoy the right
to work and to a decent life, so that they may live in equality, justice and brotherhood, and
99
Ivi, p. 2.
Text of the Communiqué of the Palestine Popular Congerss, Cairo, April 10, 1972, in «Journal of Palestine
Studies», Documents and Source Materials, Vol. 1, No. 4, 1972, p. 177.
101
Ivi, p. 178.
102
Ivi, p. 179.
103
Aims of the Political Programme of the Palestinian Revolution Adopted by the 11th Palestine National
Congress, Cairo, January 12, 1973, «Journal of Palestine Studies», Documents and Source Materials, Vol. 2,
No. 3, Spring 1973, pp. 169-170.
100
170
which will be opposed to all kinds of ethnic, racial and religious fanaticism»104. Si torna a
parlare di "società", piuttosto che di "Stato", inserita all'interno di una più ampia società araba
unificata:
This society will also ensure freedom of opinion, assembly, demonstration, and the
freedom to strike and form political and trade union institutions and to practice all
religions, inasmuch as this Palestinian society will be part of the comprehensive
unified Arab democratic society105.
La rivoluzione palestinese, continua il programma, combatterà contro i progetti di accordo e
le proposte di creazione di uno Stato su parte della Palestina in quanto comportano la
liquidazione della causa palestinese. Tra i compiti della fase attuale c'è la rinnovata attenzione
per il ruolo dei palestinesi nei territori occupati: la rivoluzione ha il compito di rafforzare i
legami nazionali tra i palestinesi dei territori occupati nel 1948 e quelli dei territori occupati
nel 1967, e promuovere la mobilitazione delle masse in Cisgiordania e Striscia di Gaza. Il
programma riafferma l'OLP come solo legittimo rappresentante dei diritti del popolo
palestinese:
[The PLO] will continue to be the highest command of the Palestinian people; it
alone speaks on their behalf on all problems related to their destiny, and it alone,
through its organizations for struggle, is responsible for everything related to the
Palestinian people's right to self-determination106.
Per quanto riguarda la scenario giordano-palestinese, l'obiettivo strategico della rivoluzione è
quello di insediare un regime nazionale democratico in Giordania e liberare tutto il suolo
palestinese dall'occupazione sionista per stabilire al suo posto «a national democratic regime
that will ensure the protection of the national sovereignty of the Jordanian and Palestinian
peoples and guarantee the renewal and restoration of the unity of the two banks on the basis
of regional national equality between the two peoples»107. Contrariamente alle deliberazioni
dell'ottavo CNP del febbraio-marzo 1971, in cui si affermava che vi era un solo popolo in
Palestina e in Transgiordania, e che la creazione di un'entità a est e una a ovest del fiume
Giordano non aveva alcun fondamento, nel testo si parla di due popoli distinti: uno
palestinese e uno Giordano. L'obiettivo primario è instaurare, per mezzo di un fronte
nazionale giordano-palestinese, un regime nazionale democratico nella riva est del fiume
Giordano al posto della monarchia hashemita, che dovrà poi ricongiungersi su basi di parità
con un regime nazionale democratico sulla riva ovest del Giordano, creato al posto
104
Ibidem.
Ibidem.
106
Ibidem.
107
Ivi, p. 171.
105
171
dell'occupazione israeliana grazie alle azioni militari della resistenza palestinese. I due regimi
si ricongiungerebbero infine per dar vita ad un solo regime nazionale democratico che
garantirebbe eguaglianza di diritti costituzionali, legali, culturali ed economici e
assicurerebbe uno sviluppo congiunto dei due popoli: il popolo palestinese e il popolo
transgiordano, considerati ora distinti.
Infine, per quanto riguarda lo scenario arabo, il programma politico dell'undicesimo
CNP sottolinea il legame indissolubile che esiste tra il movimento di liberazione palestinese e
il movimento di liberazione arabo, affermando che «the liberation of Palestine is not only a
Palestinian national duty, but also the national duty of all Arabs»108, in quanto solo dopo
l'eliminazione delle «Zionist imperialis bases»109 dal territorio arabo sarà possibile ottenere
l'unificazione degli sforzi per «the Arab national democratic revolution»110.
Come evidenzia Muhammad Muslih, a partire dalla sessione di emergenza dell'agosto
1970, che condannava qualsiasi partizione del territorio, e poi con le risoluzioni dei
successivi Consigli nazionali fino all'undicesimo del gennaio 1973, c'è un rifiuto categorico
dell'idea di stabilire un'entità statuale nei territori occupati da Israele nel 1967, tanto che la
parola usata per riferirsi a tale progetto è duwayla, "staterello", un diminutivo peggiorativo
della parola dawla, "stato"111.
In sintesi, nel periodo tra il coinvolgimento militare della resistenza in Giordania e la
guerra dell'ottobre 1973, l'obiettivo dello Stato democratico è sussunto all'interno della parola
d'ordine dell'unità delle due rive del Giordano. La costituzione di uno Stato democratico di
Palestina, che il nono CNP del luglio 1971 ha promosso ad obiettivo strategico della lotta di
liberazione, è ora condizionata alla creazione di un regime nazionale democratico nelle due
rive del Giordano, frutto a sua volta dell'unione di due entità distinte, una palestinese e una
giordana, legate da interessi e radici storiche e culturali comuni. Il progetto di Stato
democratico e il dibattito sulle sue caratteristiche future venne perciò progressivamente
relegato ai margini del dibattito politico del MRP.
Il Fronte Patriottico Palestinese
In una lettera del 13 agosto 1973 indirizzata al Consiglio di Sicurezza e al segretario generale
dell'ONU da varie personalità e rappresentanti di organizzazioni religiose, professionali e di
108
Ivi, p. 172.
Ibidem.
110
Ibidem.
111
Muslih M., Towards Coexistence: An Analysis of the Resolutions of the Palestine National Council, «Journal
of Palestine Studies», Vol. 19, No. 4, Summer, 1990, p. 15.
109
172
lavoratori, gli abitanti di Cisgiordania, Gerusalemme e Striscia di Gaza esprimono
preoccupazione per le misure israeliane tese ad alterare il carattere geografico e demografico
dei territori occupati. I firmatari chiedono il rispetto del loro diritto all'autodeterminazione e
alla sovranità sul loro territorio, come riconosciuto da varie risoluzioni dell'ONU112.
Le iniziative statunitensi, israeliane e giordane fecero emergere nell'OLP e negli
ambienti nazionalisti dei territori occupati la necessità di costituire un quadro organizzativo
unico che comprendesse al suo interno tutte le forze nazionali e democratiche e che riesca ad
agire in coordinamento con l'OLP, esprimendo allo stesso tempo un certo grado di autonomia
decisionale. Questa necessità fu soddisfatta grazie alla creazione, nell'estate del 1973, del
Fronte patriottico palestinese (FPP)113. Sebbene alcuni studiosi avessero sostenuto che la
decisione di formare il FPP fosse avvenuta su iniziativa sovietica114, o in mera esecuzione di
risoluzioni prese all'estero dall'OLP (il decimo e undicesimo CNP)115, sembrano esserci pochi
dubbi che sia invece il frutto di un'iniziativa partorita all'interno dei territori occupati116.
In una conferenza stampa tenuta a Beirut nel dicembre del 1973, Arabi Awwad e
Jiryis Qawwas, due membri del FPP deportati da Israele fuori dalla Cisgiordania, dichiarano
che il Fronte è nato «as a culmination of numerous contacts between the various nationalist
forces in the occupied territories and as a response to the resolution adopted by the [11th]
Palestines National Council»117. Ai fini della nostra analisi è importante esaminare l'impatto
che la formazione del FPP ebbe nel cambiamento del programma politico dell'OLP, nel quale
aumenta progressivamente il peso dei palestinesi "dell'interno" e la sensibilità nei confronti
alle loro proposte politiche.
112
Appeal Addressed By Representatives of Municipalites, Religious Bodies and Labour and Professional
Unions of the West Bank and the Gaza Strip to the President of the Security Council and the Secretary-General
of the United Nations, «Journal of Palestine Studies», Vol. 3, No. 1, Autumn 1973, p. 187.
113
In inglese a volte tradotto Palestinian National Front, altre Palestine Patriotic Front. Si preferisce tradurre
l'arabo wataniyya con "patriottico" invece che con "nazionale", per non generare confusione con altre proposte
di creare fronti "nazionali", nel significato di qawmiyya, il che ha un 'accezione politica differente.
114
Golan G., The Soviet Union and the Palestine Liberation Organization, cit.), p. 165, in Matthews W. C., The
Rise and Demise of the Left in West Bank Politics: The Case of the Palestine National Front, «Arab Studies
Quarterly», 20, Fall 1998, pp. 13-31.
115
Moshe M., Palestinian Leadership on the West Bank. The Changing Role of the Arab Mayors under Jordan
and Israel, Frank Cass, London 1984, pp. 106-108 e Arabi A. (membro del FPP), Discussion: Issues in the
National Struggle in the West Bank and Gaza Strip, «Shu'un Filastiniyah», 118, September 1981, pp. 55-56 in
Matthews W. C., art. cit.
116
Matthews W. C., art. cit. e Dakkak I., Back to Square One: A Study of the Re-emergence of the Palestinian
Identity in the West Bank, 1967-1980, in Scholch A. (ed.), Palestinians Over the Green Line: Studies on the
Relations Between Palestinians on Both Sides of the 1949 Armistice Line Since 1967, Ithaca Press, London
1983, p. 75. La stessa versione sembra essere confermata anche da uno dei fondatori, Saleh A. J., The
Palestinian Non-Violent Resistance Movement, sito dell'Alternative Palestine Agenda, September 3, 2002.
117
Resistance in the Occupied Territories, «Journal of Palestine Studies», Arab Reports and Analysis, Vol. 3,
No. 4, Summer 1974, p 165.
173
Il programma politico del FPP fu pubblicato nell'agosto 1973. In esso si dichiara che il
Fronte è una parte integrante del movimento di liberazione palestinese. Il programma include
la resistenza all'occupazione sionista e la liberazione dei territori arabi occupati; la
salvaguardia dei diritti legittimi del popolo palestinese tra cui il diritto all'autodeterminazione
e al ritorno. In linea con le posizioni dell'OLP, il FPP combatte sia i tentativi della Giordania
di assumere il ruolo di rappresentante dei diritti dei palestinesi nei territori occupati sia gli
sforzi annessionistici israeliani, impegnandosi a respingere
All conspiracies aiming at liquidating the national question of our people [...]
whether they are Zionist plans such as the Palestine entity, the civil administration,
autonomy and the Allon plan or King Hussein's plan, the American solutions or
similar settlements involving liquidation and surrender118.
È importante evidenziare che il programma del FPP non fa riferimento né alla
proposta di Stato democratico palestinese, adottata ufficialmente dall'ottavo CNP, né alla
liberazione di tutta la Palestina per mezzo della lotta armata, formulazione tipica nei testi del
MRP in quegli anni. Il programma del FPP àncora la salvaguardia dei diritti palestinesi alla
legalità internazionale, richiamando le risoluzioni, le dichiarazioni e gli incontri dell'ONU
sulla questione mediorientale, e punta al supporto delle organizzazioni di massa, sindacali, di
associazioni studentesche, religiose, di donne, preferendo l'azione politica a quella militare119.
Inoltre, a livello diplomatico, il FPP ribadisce l'importanza dell'alleanza con i paesi socialisti
e in particolare con l'Unione Sovietica, come aveva fatto di recente l'OLP120. Queste
discrepanze nel lessico e negli obiettivi generali dell'azione politica sono indice di una certa
divergenza tra le posizioni della leadership all'estero e la nuova leadership nazionale che sta
emergendo nei territori occupati121.
Il Comitato centrale del FPP era formato da rappresentanti del partito comunista
giordano, di Fatah, del FDPLP, del movimento delle donne e da indipendenti (il FPLP decide
di stabilire un coordinamento, ma non la piena adesione)122, sebbene l'influenza dei comunisti
fosse preponderante123. Nonostante le differenze tra la leadership dell'OLP e quella del FPP,
quest'ultima cercò di coordinare con la prima le sue attività, presentandosi come il
118
Programme of the Palestine National Front in the Occupied Territory, in «IDP 1973», The Institute for
Palestine Studies and The University of Kuwait, Beirut 1976, p. 459.
119
Ivi, pp. 459-500.
120
Matthews W. C., art. cit.
121
Jamal A., op. cit., p. 44.
122
Dakkak I., op. cit., p. 76.
123
Jamal A., op. cit., p. 44.
174
rappresentante dell'OLP nei territori occupati124. Durante la guerra di ottobre le attività del
FPP furono mirate ad ostacolare le attività belliche, facendo in modo che i lavoratori arabi si
astenessero dall'andare al lavoro presso istituzioni e imprese israeliane e inscenando diverse
manifestazioni di disobbedienza civile125.
Il FPP svolse un ruolo molto importante nel vanificare i progetti di soluzione politica
avanzati dalle autorità israeliane di occupazione o dal regime hashemita, raccogliendo la
maggioranza dei palestinesi attorno alle insegne dell'OLP in quanto unico legittimo
rappresentante dei palestinesi. Forte del ruolo e dell'autorità guadagnate nei territori occupati,
il FPP non esitò a sollevare i propri dubbi sulla strategia di liberazione dell'OLP, i cui
obiettivi, generali e di lungo termine, erano ritenuti inadeguati ai bisogni dei palestinesi che
vivevano sotto occupazione e che erano desiderosi di trovare una soluzione politica realistica
e di breve periodo per i palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza nell'eventualità di un
ritiro israeliano. Il FPP svolse quindi un'importante funzione di riorientamento delle priorità
politiche nel movimento nazionale palestinese che sarebbero culminati nella formulazione del
programma di liberazione per fasi durante la dodicesima sessione del CNP nel giugno 1974.
In una lettera indirizzata al Comitato esecutivo dell'OLP, datata 1 dicembre 1973, il
FPP valuta le possibilità aperte dalla guerra dell'ottobre 1973 e propone alcune considerazioni
in vista della possibile convocazione di un conferenza di pace sulla questione mediorientale.
Neanche questo documento presenta riferimenti alla liberazione di tutta la Palestina per
mezzo della lotta armata e alla creazione di uno Stato democratico, opzioni considerate
impraticabili e non realizzabili nel breve periodo dati i rapporti di forza a livello regionale e
internazionale sfavorevoli all'OLP. Tanto per la leadership dell'OLP quanto per quella del
FPP, i problemi centrali in questa fase sono in essenzialmente due: la questione della
rappresentanza del popolo palestinese; la questione della partecipazione a una conferenza di
pace e a quali condizioni.
L'OLP è riconosciuto «the only body capable of representing the Palestinian
people»126; tuttavia, in ragione della dispersione geografica dei palestinesi, l'organizzazione
dovrebbe trovare il modo di estendere la base della propria rappresentatività a settori più
ampi di masse popolari e forze politiche. Il FPP prosegue facendo una serie di considerazioni
preliminari sulla situazione emersa in seguito alla guerra dell'ottobre 1973: 1. Gli obiettivi
124
Ibidem.
The Palestinian National Front, «MERIP Reports», No. 25, February 1974, pp. 22-23.
126
Letter to the Executive committee of the Palestine Liberation Organization from the Palestinian National
Front in the Occupied Territory, December 1, 1973, in «Journal of Palestine Studies», Arab Documents on
Palestine and the Arab-Israeli Conflict, p. 187.
125
175
strategici dell'OLP sono irrealizzabili nel breve periodo e alla luce dei rapporti di forza
esistenti; 2. La guerra dell'ottobre ha mostrato le capacità militari e la solidarietà politica a
livello arabo e ha intensificato l'isolamento internazionale di Israele; 3. Un'eventuale
conferenza di pace basata sulla risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza si terrebbe in
condizioni sfavorevoli ad Israele e favorevoli agli arabi; 4. I palestinesi devono rafforzare i
legami con i Paesi arabi, in particolare con Egitto e Siria; 5. Se l'OLP boicotta la conferenza
di pace i territori palestinesi torneranno sotto il controllo del regime hashemita. La non
partecipazione dell'OLP alla conferenza rischierebbe perciò di privare i palestinesi della
possibilità di «exercising their right to attain their legitimate rights and to establish their state
in response to the wishes of the international community, as represented by the authority of
the United Nation»127.
Israele si oppone alla creazione di uno Stato palestinese per una serie di ragioni: esso
confuterebbe l'affermazione israeliana che la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono "territori
abbandonati"; la presenza di uno Stato palestinese con confini precisi demarcherebbe a sua
volta le frontiere israeliane, limitando l'espansionismo sionista; una volta che i palestinese
recuperano la sovranità come stabilito dalle legge internazionale, non sarà più possibile sviare
il popolo israeliano dai problemi interni in Israele con il pretesto della sicurezza, come nelle
guerre del 1956 e del 1967; il ritorno alla propria terra e l'esercizio del diritto di
autodeterminazione condurrà i palestinesi a chiedere il rispetto di tutte le risoluzioni
dell'ONU a partire dal 1947, ridimensionando l'espansione israeliana sulle terre arabe; gli
Stati arabi potranno liberare le ingenti risorse prima destinate agli armamenti e alla difesa e
destinarle al soddisfacimento dei bisogni delle popolazioni. In ragione di tutto ciò, la lettera
conclude:
In the case of the peace conference leading to Israel's withdrawal to the 1967
frontiers or further, should legitimate Palestinian rights be taken into account, the
result would be the ruin of the Zionist plan, which Israel will only accept under
coercion and pressure128.
Il riferimento alle risoluzioni dell'ONU e alla necessità di formulare un obiettivo intermedio
non è molto lontano dalla visione sovietica di una conferenza internazionale basata sulla
risoluzione n. 242 dell'ONU, con la partecipazione di una rappresentanza palestinese, e che
127
128
Ibidem.
Ibidem.
176
preveda il ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967, ed è stata letta come un indice
dell'influenza dei comunisti all'interno del FPP129.
Alla vigilia del dodicesimo CNP il FPP chiarisce la sua posizione in un messaggio
indirizzato al presidente del Comitato esecutivo dell'OLP Arafat in cui si esorta l'OLP, «sole
legitimate rapresentative of the Palestine people»130, ad adottare un programma di liberazione
per fasi che impedisca il ritorno della Cisgiordania e della Striscia di Gaza al regime
giordano:
The present stage requires agreement on an interim programme of action affirming
the authority of the revolution, as embodied in the Palestine Liberation
Organization, on every inch of Palestine soil from which the Zionist presence is
dislodged131.
A tal fine è necessario ottenere il supporto arabo, in particolare dell'Egitto e della Siria, e
consolidare i rapporti a livello internazionale con le forze della liberazione, in particolare
l'URSS, la Repubblica popolare cinese e i paesi socialisti.
In un messaggio indirizzato al Comitato esecutivo dell'OLP132 nell'agosto del 1974,
poco dopo la chiusura della dodicesima sessione del CNP, il FPP esprime il supporto per il
programma di transizione recentemente approvato e chiarisce la sua posizione di fronte ad
un'eventuale della partecipazione dell'OLP alla Conferenza di pace di Ginevra. Uno dei
principali pericoli è rappresentato dal rifiuto di Israele, Stati Uniti e Giordania di riconoscere
all'OLP il diritto di rappresentare i palestinesi e la loro causa: per questa ragione, nel giudizio
del FPP
The fundamental precondition for any coordination with Jordan must be its explicit
recognition that the Palestine Liberation Organization is the sole representative of
the Palestine people wherever they may be and of its right to exercise national
sovereignty, on behalf of the Palestinian people, over any Palestinian territory freed
from occupation133.
La condizione fondamentale per la partecipazione alla conferenza di Ginevra è che l'OLP
venga pienamente riconosciuto come il solo legittimo rappresentante dei palestinesi ovunque
129
Matthews W. C., art. cit.
Message from the Palestine National Front in the Occupied Territory to the PLO Executive Committee
Chairman Arafat on the occasion of the twelfth session of the Palestine National Council, in «IDP 1974», The
Institute for Palestine Studies and The University of Kuwait, Berut 1977, p. 448.
131
Ivi, p. 449.
132
Il nuovo Comitato esecutivo eletto l'8 giugno 1974 durante la dodicesima sessione del CNP presenta 3
membri (Abdel Muhsen Abu-Maizer, Jawwad Saleh, Waid Qamhawi) su 14 del FPP, a testimonianza
dell'influenza crescente dei palestinesi dell'interno sull'OLP. In «Arab Report and Record», 1-15 June 1974,
239.
133
Message from the Palestine National Front in the Occupied Territory to the Executive Committee of the PLO
supporting the decision of the twelfth Palestine National Council, cit., p. 489.
130
177
essi siano, un invito piuttosto esplicito a preferire le vie politiche e diplomatiche a quelle
militari. Nella parte conclusiva del messaggio, il FPP ribadisce la necessità che l'OLP estenda
la cooperazione con i Paesi arabi progressisti e con i paesi del blocco sovietico, e rivolge un
appello per la maggiore integrazione dei palestinesi che lottano nei territori occupati134.
Come osserva lo studioso Alexander Schölch, il FPP è stato in grado di raggiungere
quattro obiettivi fondamentali nel movimento nazionale palestinese: 1. La mobilitazione delle
masse nei territori occupati e il rafforzamento dei legami delle forze nazionali con l'OLP; 2. Il
maggior peso attribuito ai palestinesi dell'interno si è riflettuto nelle risoluzioni del
dodicesimo e tredicesimo CNP; 3. L'adozione di una posizione ferma nei confronti dei
tentativi di contenimento dell'OLP da parte dei Paesi arabi e l'incidenza nelle elezioni
municipali del 1976; 4. La creazione di un primo embrione di istituzioni nazionali che
formeranno le basi per la costituzione del National Guidance Committee nel 1978135.
La guerra dell'ottobre 1973
Alla vigilia della guerra dell'ottobre 1973 la resistenza palestinese si trovò ad attraversare una
fase di isolamento politico: liquidata in Giordania, strettamente controllata in Siria, sotto
attacco in Libano, abbandonata dall'Egitto dopo la morte di Nasser nel settembre 1970 e quasi
sradicata dalla dura repressione israeliana nei territori occupati, la resistenza sembrò trovarsi
sull'orlo del collasso politico-militare. Come ha osservato il giornalista francese Eric
Rouleau, questa situazione è dovuta anche a fattori interni: 1) le laceranti divisioni all'interno
dell'OLP, la cui facciata di unità nascondeva una realtà fatta di accese rivalità tra i leader,
anarchia organizzativa e d'azione tra i vari gruppi; 2) il culto della forza, che l'aveva portata a
santificare la lotta armata come unico mezzo di liberazione, sottovalutando l'importanza di
creare organizzazioni e strutture politiche più ampie che potessero sopravvivere alle sconfitte
militari dei combattenti; 3) la politica del "tutto o niente", vale a dire la distruzione dello
Stato di Israele e la creazione al suo posto di uno Stato democratico palestinese, che avesse
impedito all'OLP di ottenere l'appoggio degli Stati arabi favorevoli a una soluzione di
compromesso e di quei palestinesi convinti della necessità di proporre soluzioni praticabili e
di breve termine136.
La guerra d'ottobre mutò radicalmente il quadro della situazione mediorientale: il
nuovo equilibrio di potere creò una situazione favorevole alla convocazione di una
134
Ivi, pp. 489-490.
Dakkak I., op. cit., p. 78.
136
Rouleau E., The Palestinian Quest, «Foreign Affairs», Vol. 53, No. 2, January 1975, pp. 276-277.
135
178
conferenza di pace sulla questione mediorientale, limitando di conseguenza le opzioni
dell'OLP: le restrizioni poste dagli Stati arabi al proseguimento della lotta armata costrinsero
l'OLP a ridefinire la sua immagine di catalizzatore del cambiamento rivoluzionario nel
mondo arabo per presentarsi come un legittimo attore del sistema politico arabo ufficiale.
Sebbene avesse svolto un ruolo del tutto marginale nel conflitto, l'OLP ne uscì politicamente
rafforzata. La possibilità di raggiungere un accordo generale in Medio Oriente in una
condizione non svantaggiosa per i Paesi arabi rese l'OLP un interlocutore imprescindibile per
giungere a una soluzione della questione palestinese.
Già nel settembre 1973 la Quarta conferenza dei paesi non allineati, tenuta ad Algeri
nel 5-9 settembre 1973, in una dichiarazione invita a riconoscere l'OLP «as the legitimate
representative of the Palestinian people in its just struggle»137. In un incontro tenuto al Algeri
nel novembre del 1973, i capi di Stato arabi dichiaravano il loro «commitment to the
restoration of the national rights of the Palestinian people in accordance with the decision of
the Palestine Liberation Organization (PLO) in its capacity as the only legitimate
representative of the Palestinian people»138, anche se la risoluzione fu tenuta segreta per non
imbarazzare re Hussein di Giordania, che non rinunciava alla rappresentanza dei palestinesi
dei territori occupati. Inoltre, l'OLP rafforzò i legami con il blocco dei paesi socialisti e in
particolare con l'Unione Sovietica, soprattutto in seguito all'espulsione da parte dell'Egitto di
Sadat del personale militare sovietico e l'avvicinamento agli Stati Uniti.
Il riconoscimento regionale e internazionale come unico legittimo rappresentante del
popolo palestinese comportò però una maggiore dipendenza politica dagli Stati arabi: se
quest'ultimi avevano compreso l'importanza di includere l'OLP in qualsiasi compromesso che
riguardi la questione palestinese, a sua volta l'OLP fu soggetta alle pressioni dei suoi alleati
arabi e internazionali affinché moderasse le sua richieste e adottasse una strategia di
liberazione per fasi. Come evidenzia Yezid Sayigh, la guerra offrì all'OLP un'opportunità
storica, ma pose allo stesso tempo delle grandi sfide: l'OLP sarebbe potuta entrare nel
processo negoziale, sfruttando il maggiore peso negoziale conquistato dagli Stati arabi per
ottenere dei vantaggi territoriali, ma la partecipazione al sistema politico regionale e
l'eventualità di negoziare con Israele avrebbe comportato anche un sostanziale allentamento
dagli obiettivi e dagli slogan tradizionali del movimento nazionale palestinese: «in essence
137
In Bari Z., New Dimensions of the Palestinian Question: Contradictions in. Arab Attitude, «The Turkish
Yearbook if International Relations», Vol. XVI, 1976 p. 103.
138
Le risoluzioni segrete furono pubblicate in arabo per la prima volta su «al-Nahar», e in inglese su «Arab
World Weekly» l'8 dicembre 1973. In Bari Z., art. cit., p. 100.
179
the debate was about the historic nature and purpose of the Palestinian national movement, as
the revolutionary and statist options were now brought into direct conflict»139.
L'OLP si trovò stretta tra l'impegno verso una strategia politica rivoluzionaria e la
necessità di lavorare di concerto con gli Stati arabi e con l'URSS per impedire che si
raggiungesse un compromesso generale sul Medio Oriente che non ignorasse o ledesse i
diritti fondamentali palestinesi. Questo avrebbe comportato un graduale cambiamento della
sua struttura organizzativa, che si avvicinò sempre più ad un'istituzione para-statale, e della
sua visione politica, sempre più legata a una concezione di statualità territorialmente
limitata140. Come nota Yezid Sayigh, «Palestinian political institutionalization took
increasingly overt statist forms and the quest for a territorial base became paramount,
ultimately turning the PLO from a state-within-the-state in Lebanon more broadly into a
state-in-exile»141.
In termini generali, una delle principali conseguenze della conflitto fu l'emergere e il
consolidarsi di due tendenze politiche fondamentali a livello arabo: la prima, tra cui si può
annoverare, con diversi gradi di adesione, Giordania, Egitto e Siria, non rifiutava una
soluzione politica del conflitto arabo-israeliano; la seconda, minoritaria e abbastanza isolata,
che si oppone decisamente a qualsiasi soluzione negoziata, e include la Libia e l'Iraq. La
stessa divisione emerse all'interno dell'OLP, con una coalizione predominante formata da
Fatah, FDPLP e al-Saʿiqa, favorevole sotto certe condizioni alla partecipazione alla
conferenza di pace di Ginevra, e un gruppo minoritario formato dal FPLP, dal FPLP-CG, dal
FLPP e dal FLA, che rifiuta la partecipazione a qualsiasi conferenza di pace142.
Due i problemi principali che l'OLP si trovava ad affrontare in questo frangente: come
assicurarsi il diritto di parlare a nome dei palestinesi e come impedire che si raggiungesse un
accordo negoziato che pregiudicasse i diritti storici all'autodeterminazione e al ritorno.
Ridotto ai minimi termini, la questione principale è come acquisire il controllo dei territori
occupati senza dover fare concessioni tali da privare l'OLP della legittimità politica
conquistata a così caro prezzo. La formulazione da parte della corrente di maggioranza
dell'OLP del concetto di "autorità nazionale", sulta wataniyya143, rispondeva precisamente
all'esigenza di stabilire il controllo palestinese sui territori evacuati da Israele, impedendone il
139
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., p. 332.
Mohamad H., The Changing Meaning of Statehood in PLO Ideology and Practice, cit., pp. 8-16.
141
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, cit., p. 333.
142
Muslih M. Y., Moderates and Rejectionists within the Palestine Liberation Organization, cit., pp. 127-128.
143
Si tradurrà con "autorità nazionale", anche se la traduzione letterale sarebbe "autorità patriottica", cioè legata
alla patria e al territorio palestniese, per distinguerla dal qawm arabo.
140
180
ritorno alla sovranità hashemita, senza tuttavia dover riconoscere direttamente l'esistenza di
Israele e dover rinunciare esplicitamente ai diritti storici palestinesi all'autodeterminazione su
tutto il suolo della Palestina e al ritorno dei profughi alle loro case. Per questo non si parla
ancora di dawla, vale a dire di uno Stato con una struttura istituzionale che esercita la
sovranità su un territorio definito, ma si utilizza il concetto più fluido di sulta, "autorità",
"potere", "governo", "giurisdizione", per riferirsi alla sovranità provvisoria e temporanea da
stabilire sui territori liberati o evacuati da Israele.
Tuttavia, il concetto di sulta wataniyya presentava delle ambiguità di fondo su vari
aspetti. Il primo attiene all'interpretazione che si dava di sulta wataniyya: per alcuni stabilire
un'autorità nazionale su qualsiasi terrtiorio liberato non significava creare una struttura statale
vera e propria, con il fardello delle strutture istituzionali e burocratiche; per altri, l'autorità
nazionale era semplicemente un eufemismo per Stato. Un secondo aspetto riguarda la
relazione con gli obiettivi strategici della resistenza: la questione centrale era se, alla luce dei
rapporti di forza che si erano determinati dopo la guerra dell'ottobre 1973, la creazione di
un'autorità nazionale sarebbe stato un passo verso la creazione dello Stato democratico
oppure sarebbe stata un suo sostituto e avrebbe sancito un nuovo status quo con due Stati
nazionali separati in Palestina. Una terza ambiguità attiene al modo in cui l'autorità nazionale
doveva essere raggiunta: sarebbe stata il frutto della partecipazione a una conferenza di pace
tra Stati arabi e Israele, e avrebbe perciò comportato per l'OLP il riconoscimento del quadro
generale e dei principi di base dei negoziati o sarebbe stata la conseguenza delle pressioni
esercitate su Israele dal rafforzamento della lotta armata? Infine, non era chiaro se questa
autorità avrebbe avuto le caratteristiche di uno Stato nazionalista palestinese o di uno Stato
secolare aperto agli ebrei, preludio dello Stato democratico unitario del futuro144.
La creazione di uno Stato democratico unitario, non settario, democratico e
progressista diventò sempre più agli occhi della leadership della resistenza un obiettivo di
lungo termine, impossibile da realizzarsi nelle condizioni presenti. In seguito alla nuova
situazione araba e internazionale, la corrente di maggioranza dell'OLP incarnata da Fatah
realizzò che la resistenza non possedeva né la forza militare né la capacità politica di ottenere
la distruzione di Israele e di creare al suo posto lo Stato democratico di Palestina. Inoltre, i
suoi alleati arabi e internazionali (in particolare l'Unione Sovietica) non erano disposti a
rimettere in discussione l'esistenza di Israele e rendono esplicito il loro appoggio a una
144
Agha H., What State for the Palestinians?, cit. pp. 4-7.
181
soluzione che prevedeva la creazione di un mini-Stato palestinese sui territori da cui Israele,
in applicazione alla risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, doveva ritirarsi.
A partire dal febbraio 1974 l'asse Fatah-FDPLP-al-Saʿiqa si fece promotrice di una
svolta fondamentale nel pensiero politico di resistenza: l'accettazione di una autorità
nazionale sui territori da cui Israele si sarebbe ritirata come obiettivo intermedio e prima
tappa di una lunga lotta che avrebbe portato all'instaurazione, in una fase successiva, dello
Stato democratico su tutta la Palestina. Nel dibattito sulla necessità di formulare una strategia
di liberazione per fasi, lo Stato democratico assume un'importanza secondaria e, sebbene non
scompaia del tutto dal discorso politico, viene menzionato principalmente in maniera
strumentale, per rafforzare il discorso delle varie correnti politiche.
Per la corrente di maggioranza dell'OLP, sostenitrice dell'autorità nazionale in
Cisgiordania e Striscia di Gaza come obiettivo intermedio, il riferimento allo Stato
democratico serve per allontanare i dubbi sulla possibilità di un accordo negoziato con Israele
che comporti la rinuncia ai diritti storici del popolo palestinese; inoltre, viene utilizzato per
rassicurare i quadri intermedi delle organizzazioni, più restii ad accogliere la politica per fasi,
e i palestinesi dei campi profughi, timorosi che l'instaurazione di un'autorità nazionale in parti
della Palestina comporti la rinuncia al diritto al ritorno nei territori conquistati da Israele in
seguito al primo conflitto arabo-palestinese-israeliano. Sebbene la formulazione della
strategia di liberazione per fasi escluda in questa fase qualsiasi accordo negoziato con Israele,
alcune personalità - sicuramente minoritarie, ma interpreti di un nuovo modo di guardare al
conflitto - avanzano per la prima volta la possibilità di una transizione pacifica dall'obiettivo
intermedio, la creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza,
all'obiettivo strategico dello Stato democratico su tutta la Palestina, frutto di un accordo tra il
popolo palestinese e quello israeliano.
Negli ambienti più intransigenti dell'OLP, invece, il riferimento allo Stato
democratico - a cui si accompagna spesso il richiamo ai principi della Carta nazionale
palestinese - come obiettivo ultimo della liberazione è strettamente legato al rifiuto di
qualsiasi obiettivo intermedio o soluzione di compromesso che non siano imposti con le armi.
In questa prospettiva lo slogan dello Stato democratico permette di riaffermare l'adesione alla
lotta armata come unica via per la liberazione di tutto il territorio della Palestina e il rifiuto di
qualsiasi accordo negoziato con Israele.
In vista di un possibile accordo generale sul Medio Oriente il dibattito all'interno
dell'OLP subisce una rapida accelerazione: bisognava decidere se partecipare alla conferenza
182
di pace e a quali condizioni. L'urgenza di garantirsi il riconoscimento arabo e internazionale e
la possibilità di un accordo sui territori occupati che la escludesse, spinse l'OLP a definire gli
obiettivi intermedi nella lotta di liberazione che potessero incontrare il sostegno degli Stati
arabi alleati e dell'Unione Sovietica.
Il FDPLP occupa sicuramente un posto unico nell'arena palestinese sia per il calibro
intellettuale dei suoi dirigenti, che gli ha permesso di anticipare la necessità di cambiamenti
politici prima che fossero dettati dalle circostanze, sia per il rapporto speciale che instaurò
con l'Unione Sovietica specialmente a partire dal 1974145. Già prima della guerra il FDPLP
pubblica una serie di articoli su «al-Hurriya» nei quali constata l'impossibilità di realizzare
nel breve periodo e in una sola tappa l'obiettivo strategico della distruzione di Israele e della
creazione al suo posto dello Stato democratico; il programma di liberazione deve invece
elaborare degli obiettivi intermedi da realizzare successivamente ad ogni stadio della lotta146.
L'elaborazione di un programma per fasi rappresentò una svolta nel pensiero politico del
FDPLP: promotori dell'idea di Stato democratico popolare fin dal settembre 1969 (ancorché
inquadrato all'interno di un progetto panarabista), il FDPLP rifiutò con fermezza l'ipotesi di
costituire un mini-Stato su parti della Palestina come tappa intermedia. Inoltre, con il
coinvolgimento sempre più stretto della resistenza negli affari giordani durante la seconda
metà del 1970, il FDPLP si fece sostenitore del rovesciamento del regime hashemita e della
costituzione al suo posto di un "regime nazionale democratico" come condizione preliminare
alla liberazione della Palestina.
A partire dalla metà del 1973, il FDPLP riordinò le priorità politiche nel nuovo
scenario: giudicando irrealistica la possibilità di rovesciare il regime giordano come prima
tappa verso la liberazione, si fece promotore di un programma di liberazione per fasi che
prevedeva come prima tappa la costituzione di una autorità nazionale palestinese
indipendente in Cisgiordania e Striscia di Gaza non condizionata al rovesciamento di re
Hussein147. I punti essenziali del nuovo programma per fasi furono delineati e ufficialmente
approvati durante la quarta sessione generale del Comitato centrale del FDPLP, svoltasi
nell'agosto 1973. Nel documento "Linee-guida per il programma di transizione nei territori
145
Steinberg M., The Worldview of Hawatmeh's Democratic Front, cit., p. 22.
«al-Hurriyya», nos. 626-9, July 1973, citato in Salim Q., Resistance and National Self-Determination in
Palestine, «MERIP Reports», No. 28, May, 1974, p. 8. Secondo un documento recente redatto da due membri
dell'ufficio politico del FDPLP, le discussioni sull'adozione di un programma di liberazione per fasi
cominciarono a partire dal terzo incontro del Comitato centrale nell'agosto del 1972. Si veda Qais Abdel Karim
Fahed Suleiman, The Democratic Front for the Liberation of Palestine (DFLP) Emergence and Itinerary 1969
- 2007, 2010, p. 15 (consultato nel dicembre 2011). Disponibile all'indirizzo www.dflp-palestine.net .
147
Steinberg M., art. cit., p. 25.
146
183
occupati e in Giordania" [a-Khat al-ʿam li-l-barnamij al-marhali fi al-manatiq al-muhtalla
wa al-urdun] si legge:
The goal 'of total liberation' is transformed into an abstract goal if it is not linked
with transitional slogans that express the direct interests of the patriotic classes in
this struggle against the enemy, for only such slogans are capable of mobilizing the
widest sectors of these classes and organizing them by clarifying their immediate
tasks in a given period148.
In un'intervista al quotidiano libanese «al-Nahar» il segretario generale del FDPLP
Hawatma sostiene che le varie proposte di Stato palestinese avanzate dal ministro degli esteri
egiziano Zayyat, dal presidente della Tunisia Bourghiba e dal Re di Giordania Hussein, «in
the light of the present balance of power in the area, are purely fanciful, and would lead in
practice to new concessions in favour of Israel»149, oltre a causare divisioni all'interno del
MRP. Il compito della resistenza nella fase attuale consiste nell'intensificare la lotta sia
all'interno sia all'esterno dei territori occupati «with a view to dislodginig the occupation and
establishing our people's right to self-determination and national sovereignty over their
liberated territories after the expulsion of the occupation»150, che non sia posta sotto la tutela
di alcun regime arabo. Questo obiettivo, sostiene Hawatma, può essere raggiunto eliminando
la presenza della monarchia hashemita nei territori occupati e infliggendo ad Israele una
sconfitta militare che determini un nuovo rapporto di forze più favorevole agli arabi.
Hawatma riassume così il compito della resistenza in questa fase: «expulsion of the
occupation and dislodgement of the reactionary Jordanian presence in the occupied
territories, and appropriation of the right of self-determination for our people once that
occupation has been dislodged»151. Il diritto di formare un'autorità nazionale palestinese sui
territori liberati, chiarisce il segretario generale, deve però accompagnarsi al rifiuto di cedere
qualsiasi porzione di territorio, di riconoscere lo Stato di Israele o di allearsi con gli Stati
arabi reazionari. Poi Hawatma traccia una linea di separazione tra le tendenze "genuinamente
rivoluzionarie" della resistenza e quelle "tendenze nichiliste" che impiegano slogan strategici
genereci e di lungo termine senza impegnarsi nella formulazione dei compiti e degli obiettivi
148
«al-Hurriyya»., no. 634, Aug. 27, 1973, citato in Ibidem. Il testo arabo anche su Hawatma N., ʿAbd al-Karim
Q., al-Barnamij al-marhali, 1973-1974, Sharika Dar al-Taqaddum al-ʿArabi li-l-Sihafa wa al-Tibaʿa wa alNashr, Bayrut 2002.
149
Interview with the Secretary-General of the Central Committee of the Popular Democratic Front for the
Liberation of Palestine, Nayef Hawatmeh, in «al-Nahar», August 17, 1973, in «Journal of Palestine Studies»,
Documents and Source Material, Vol. 3, No. 1, Autumn 1973, p. 200.
150
Ivi, p. 201.
151
Ibidem.
184
immediati in ciascuna fase della lotta. È evidente il riferimento polemico all'ala più
intransigente dell'OLP incarnata dal FPLP di Habash.
L'adozione del programma per fasi e il ruolo di avanguardia svolto dall'organizzazione
di Hawatma nel determinare un cambio di programma politico riaccesero il dibattito tra le
organizzazioni della resistenza. Fatah, l'organizzazione più influente politicamente e più
importante militarmente, ma assai eterogenea al suo interno, rinunciò a prendere fin da subito
una posizione chiara sull'argomento, anche se inizialmente prese le distanze dal programma
per fasi avanzato dal FDPLP. Già nell'aprile del 1972 il leader dell'OLP Arafat ribadisce che
non c'è spazio per una strategia di liberazione che preveda tappe intermedie: «as for telling
our plans piecemeal, stage by stage, that is ridiculous»152, in quanto Israele avrebbe la forza
di dettare in ogni caso le sue condizioni. In un'intervista apparsa su «Filastin al-Thawra» il
gennaio 1973 Arafat ribadisce che la lotta per la liberazione della Palestina sarà lunga ed
estremamente costosa, e i primi frutti potrà raccolgierli solamente la generazione futura: «we
have always said: a long-term people's liberation war»153. Nell'agosto 1973 l'organo dell'OLP
«Filastin al-Thawra» afferma che «the requirements of the present period are not the raising
of realistic slogans and transitional programs»154, bensì l'intensificarsi della lotta in Giordania
e nei territori occupati.
Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali celavano l'emergere in seno a Fatah di posizioni
contrastanti sull'eventualità di formulare una politica pragmatica fatta di tappe successive e
obiettivi intermedi realizzabili nel breve termine. Khalid al-Hasan può essere considerato il
rappresentante di quella che Matti Steinberg ha chiamato la "corrente pragmatica di pensiero"
nell'OLP155. Già nel gennaio del 1973 al-Hasan, alla testa del dipartimento politico dell'OLP,
aveva esortato l'organizzazione ad adottare un approccio favorevole alla creazione di uno
Stato su parti della Palestina come tappa intermedia verso l'obiettivo finale dello Stato
palestinese democratico: la dura opposizione che suscitò a sua presa di posizione lo costrinse
a lasciare il suo incarico156. Nella visione dell'ala più pragmatica di Fatah, il perseguimento di
ciò che è impossibile nelle condizioni presenti, vale a dire gli obiettivi finali della lotta (la
distruzione di Israele e la creazione dello Stato democratico), non deve impedire
152
Interview with the Leader of the Palestine Liberation Organization Yasser Arafat, in «Journal of Palestine
Studies», Documents and Source Materials, Vol. 1, No. 4, Summer 1972, p. 181.
153
Interview with Yasser Arafat in "Filastin al-Thawra", in «Journal of Palestine Studies», Documents and
Source Material, Vol. 2, No. 3, p. 167.
154
«Filastin al-Thawra» no. 57, Aug. 22, 1973, citato in Salim Q., art. cit., p. 8.
155
Steinberg M., The Pragmatic Stream of Thought Within the PLO According to Khalid al-Hasan, «The
Jerusalem Journal of International Relations», Vol. 11, No. 1, March 1989, pp. 37-57.
156
Ivi, p. 37.
185
l'ottenimento di ciò che è possibile e realistico, cioè obiettivi intermedi e parziali che,
sebbene siano frutto di negoziati e compromessi politici, devono comunque lasciare aperta la
strada al perseguimento degli obiettivi strategici.
In un editoriale di «al-Hadaf» dell'agosto 1973, il FPLP esprime subito il rifiuto
categorico di un programma di transizione, considerato "disfattista", "revisionista"157. In
un'intervista «al-Akhbar» dello stesso mese il segretario generale George Habash prende una
posizione netta riguardo l'idea di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza:
«The object of submitting the idea of a Palestinian state is to lure the Palestinian resistance
into a trap, in view of the fact that the resistance is still comparatively distinct [in its policy]
from the traditional Arab liberation movement»158. Secondo Habash, il vero obiettivo di chi
cospira alla creazione di uno Stato palestinese è quello di determinare una rottura all'interno
delle fila della resistenza, privarla di rilevanza politica e procedere quindi alla sua
liquidazione.
Habash ribadisce che l'obiettivo strategico della rivoluzione palestinese «is a
Palestinian democratic state in the territory of Palestine brought into existence by the struggle
of the oppressed revolutionary and class forces, both Arab and Jewish»159, anche se è chiaro
che questo non può essere raggiunto in un solo passo. Il segretario generale del FPLP non
scarta aprioristicamente l'ipotesi di una presenza palestinese su una parte di territorio liberato,
«but there is a difference between the liberation of an area of occupied Palestine, in which the
struggle continues to complete the liberation of the whole of Palestinian territory, and a
Palestinian state in part of Palestinian territory, as proposed by imperialism»160, in quanto,
alla luce degli attuali rapporti di forza, quest'ultima opzione non potrebbe che rispondere alle
condizioni imposte dall'imperialismo ed avere come fine la liquidazione della lotta armata
palestinese.
Verso la liberazione per fasi
Dinanzi alla nuova realtà creata dalla guerra di ottobre e alla necessità di definire una linea
politica chiara in vista di un possibile accordo negoziato, il dibattito tra le organizzazioni di
resistenza riprende con maggior vigore. I punti principali di discussione in questa fase sono
157
«al-Hadaf», no. 214, Aug. ll, 1973, in Ibidem.
Interview with the Secretary-General of the Central Committee of the Popular Front for the Liberation of
Palestine, George Habbash, in «al-Akhbar», I August 4, 1973, in «Journal of Palestine Studies», Documents
and Source Material, Vol. 3, No. 1, Autumn, 1973, p. 194.
159
Ibidem.
160
Ibidem.
158
186
quattro: la validità del concetto di programma per fasi nella lotta di liberazione; l'obiettivo di
creare un'autorità nazionale palestinese sui territori eventualmente evacuati da Israele; la
battaglia per il riconoscimento dell'OLP come unico legittimo rappresentante dei palestinesi e
l'atteggiamento da tenere in vista di una convocazione alla conferenza di pace di Ginevra. Nel
novembre del 1973 le organizzazioni palestinesi pubblicano dei comunicati in cui respingono
i tentativi di compromesso avanzati in seguito alla firma dei cessate-il-fuoco in quanto
pregiudizievoli dei diritti fondamentali dei palestinesi. Spesso le posizioni delle varie
organizzazioni, che siano di rifiuto o di accettazione della politica per tappe e della creazione
di un mini-Stato palestinese, sono legittimate dal riferimento allo Stato democratico su tutta
la Palestina come obiettivo strategico della lotta di liberazione. Per alcuni, non è possibile
preservare l'obiettivo strategico dello Stato democratico senza una tappa intermedia in cui si
edifichi un potere nazionale su parte del territorio in grado di soddisfare il minimo dei diritti
nazionali palestinesi; per altri, non è possibile realizzare gli obiettivi intermedi senza
pregiudicare l'obiettivo strategico e i diritti storici del popolo palestinese, perseguibili
soltanto attraverso una guerra di liberazione di lungo periodo.
Di fronte all'eventualità che i Paesi arabi intavolino negoziati diretti con Israele e
limitino i diritti del popolo palestinese alla creazione di un mini-Stato, in un comunicato del 4
novembre Fatah ribadisce che l'obiettivo strategico della rivoluzione palestinese non è in
discussione: «The Palestine revolution was proclaimed in order to achieve a basic strategic
goal, namely the liberation of our usurped homeland and the establishment of a democratic
state of Palestine on all our occupied soil»161. Qualsiasi decisione futura, precisa il
comunicato, sarà il risultato delle consultazioni che il movimento sta conducendo tra i suoi
ranghi, all'interno e all'esterno dei territori occupati, tra gli alleati arabi e internazionali, e sarà
basata sui seguenti principi: dovrà preservare gli interessi legittimi e storici del popolo
palestinese; assicurare la continuazione della lotta politica e armata; preservare le conquiste
del passato e l'unità delle fila della resistenza e del popolo all'interno e all'esterno dei territori
occupati.
Le posizioni di Fatah sono ancora oscillanti in questa fase: nel dicembre del 1973
Arafat ribadisce di non essere a conoscenza di nessun piano per la creazione di uno Stato
palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza e che l'obiettivo della rivoluzione resta «the
liberation of all of Palestine and the creation of a democratic state through a long popular
161
Policy Statement Issued by Fatah Rejecting Current Reassessments of the Palestine Question, November 4,
1093, in «IDP 1973», cit., p. 507.
187
liberation war»162. Ma è chiaro che il leader di Fatah cerca di stemperare un dibattito interno
molto animato che dura da mesi sui temi della partecipazione alla conferenza di pace e
dell'instaurazione di un'autorità nazionale sui territori eventualmente evacuati da Israele.
Persino la sinistra di Fatah risulta divisa tra un "gruppo sovietico" (formato, tra gli altri, da
Majid Abu-Sharar, nominato direttore del dipartimento di notizie dell'OLP, e da Ahmad Abd
al-Rahman, che diventa il nuovo capo redattore del settimanale ufficiale dell'OLP «Filastin
al-Thawra») favorevole a un approccio più pragmatico e a un'alleanza più stretta con l'Unione
Sovietica, e una tendenza nazionalista di sinistra, formata in realtà da diverse fazioni (la
"linea vietnamita" di Hanna Mikha'il, la "tendenza maoista" dell'ex caporedattore di «Filastin
al-Thawra» Munir Shafiq, rimosso dal ruolo per la sua opposizione alla linea pragmatica
dell'OLP) accomunate dalll'opposizione a qualsiasi accordo di compromesso in ragione della
priorità accordata agli interessi dei profughi del 1948, e che si è guadagnata una certa
popolarità nei quadri medi e inferiori di Fatah163.
Il FDPLP, in un comunicato del Comitato centrale, parte dall'analisi delle
conseguenze della guerra d'ottobre per riaffermare con maggior forza la necessità di
salvaguardare i diritti nazionali del popolo palestinese e allo stesso tempo impedire alle forze
imperialiste e sioniste, con l'appoggio della reazione giordana, di trovare una soluzione di
compromesso
pregiudizievole
nei
confronti
del
diritto
del
popolo
palestinese
all'autodeterminazione. Questi tentativi, oltre a isolare la resistenza palestinese e procedere
alla sua distruzione, avrebbero come conseguenza la cancellazione dell'identità nazionale dei
palestinesi e del loro diritto di «recover their land and build a democratic state in the whole of
their national territory»164. Per preservare questo obiettivo strategico, continua il comunicato,
bisogno però fare i conti con il compito immediato che si pone dinanzi alla resistenza nella
fase attuale: «we must establish the right of the Palestine resistance to be the sole legitimate
representative of our oppressed people»165 al fine di impedire che altri si arroghino il diritto
di parlare a nome dei palestinesi e di trovare una soluzione di compromesso pregiudizievole
dei loro diritti. Nella fase attuale, si legge nel comunicato, la resistenza palestinese deve
assumersi la responsabilità di guidare «the struggle of our Palestinian masses in the occupied
162
«Arab Report and Record», 1-15 December 1973, p. 573.
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search for State, 349-357.
164
Statement Issued by the Central Committee of the PDFLP Urging Solidarity with the Palestine Resistance
and Rejecting any Settlement Compromising the Rights of the Palestinian People, in «IDP 1973», cit., p. 509.
165
Ibidem.
163
188
territories to their urgent right to end the occupation, to safeguard their freedom to decide
their destiny and to impose their national sovereignty [...] in their land»166.
In un memorandum indirizzato al Comitato esecutivo dell'OLP a metà novembre il
FPLP esprime il suo rifiuto netto sulla partecipazione dell'OLP a una conferenza di pace
basata sulla risoluzione no. 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONUin quanto comporterebbe
il riconoscimento di Israele all'interno di confini sicuri e, malgrado metta fine all'occupazione
iniziata nel 1967, legalizzerebbe l'occupazione del 1948. Nel memorandum il FPLP spiega
che
l'implementazione
della
risoluzione
avverrebbe
sotto
le
condizioni
dettate
dall'imperialismo, tra cui l'istituzione di zone demilitarizzate, una presenza internazionale, il
riconoscimento di Israele, scambi economici e sancirebbe definitivamente la legalità
dell'esistenza di Israele. Anche se il memorandum non tratta direttamente la questione
dell'istituzione di un'autorità nazionale sui territori eventualmente evacuati, emerge con
chiarezza che esiste una contraddizione fondamentale tra il perseguimento di obiettivi tattici e
intermedi e la realizzazione degli obiettivi strategici:
On this basis any participation [...] in a conference based on resolution 242 cannot
be regarded as an attempt to win a tactical victory that would help us to win a
strategic victory. On the contrary, the result of our participation […] would be the
winning o a partial victory in return for actual and total relinquishment of the
strategic goal167
Alla luce degli attuali rapporta di forza, conclude il memorandum, qualsiasi appello al
realismo, alla prudenza e al tatticismo equivarrebbe a una dichiarazione di resa.
Come riporta Eric Rouleau in un articolo apparso su «Le Monde» il 6 novembre 1973,
i "leader storici" di Fatah hanno recentemente deciso di partecipare alla conferenza di pace in
caso siano invitati, anche se i tempi non sono maturi per annunciare la decisione. Secondo
quanto riferisce un leader di Fatah, bisogna preparare il popolo palestinese ad accettare un
compromesso che prevede il riconoscimento di uno Stato (Israele) che nell'ultimo quarto di
secolo hanno giurato di distruggere, e questo per impedire che i territori occupati finiscano
nella mani di re Hussein. L'accettazione di un compromesso che divide la Palestina è fatta
nella speranza di una riunificazione futura in uno Stato democratico, non necessariamente
conseguenza della lotta armata. Continua il leader di Fatah: «peace with the state of Israel
could open the way to a gradual transformation that could bring about a riunification of
166
Ibidem.
Memorandum from the PFLP to the PLO Executive Committee Opposing PLO Participation in a Middle
East Peace Conference Based on Security Council Resolution 242, in «IDP 1973», cit., p. 510.
167
189
Palestine, which would one day become the homeland of both Jews and Arabs»168. Anche il
FDPLP, scrive Rouleau, ha accettato la partecipazione alla conferenza di pace, a quattro
condizioni: 1. Il popolo palestinese deve essere rappresentato dai leader della resistenza e non
da re Hussein; 2. Il Piano del Regno arabo unito avanzato da Hussein non deve essere in
agenda; 3. I palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza devono ottenere il diritto
all'autodeterminazione (vale a dire l'edificazione di uno Stato democratico e sovrano); 4.
Israele deve acconsentire ad evacuare tutti i territori occupati nel 1967169.
Tra il dicembre 1973 e il febbraio 1974 le organizzazioni palestinesi chiariscono
definitivamente le loro posizioni: all'interno dell'OLP emerge uno schieramento largamente
maggioritario, composto da Fatah, da al-Saʿiqa e dal FDPLP, favorevole alla costituzione di
un'autorità nazionale sui territori evacuati da Israele, all'ottenimento del minimo dei diritti
nazionali palestinesi e alla partecipazione alla Conferenza di pace di Ginevra sotto certe
condizioni. È il FDPLP a chiarire ulteriormente la propria posizione: già il 7 dicembre del
1973 Hawatma aveva dichiarato che i palestinesi avrebbero dovuto prendere quasiasi parte di
territorio da cui Israele si fosse ritirato per impedirne il ritorno sotto re Hussein: solamente
tramite l'edificazione di un'autorità nazionale il popolo palestinese sarebbe preservato dalla
liquidazione e potrebbe continuare la lotta «for the establishment of a democratic State in all
of Palestine»170.
In un simposio tra leader della resistenza organizzato da «Shu'un Filasṭiniya» nel
febbraio 1974, Hawatma dichiara che, alla luce dei fatti emersi in seguito alla guerra di
ottobre, l'essenza del problema è nella elaborazione di un programma che «will make it
possible to frustrate action involving surrender and liquidation and to frustrate the
annexationist and expansionist plan - whether expansion on the part of Israel or annexation
on the part of King Hussein»171. Bisogna impedire a tutti i costi che i territori occupati nel
1967 tornino sotto la sovranità di re Hussein, e questo può essere fatto concentrando tutti gli
sforzi verso la liberazione dei territori occupati da Israele nel 1967 e l'instaurazione della
"giurisdizione nazionale palestinese indipendente" [sulta al-wataniyya al-filastiniyya al168
«Le Monde», November 6, 1973, in The Palestinian Resistance at the Crossroad, «Journal of Palestine
Studies», Views from Abroad, Vol. 3, No. 2, Winter 1974, p. 185.
169
Ivi, p. 186.
170
«Arab Report and Record», 1-15 December 1973, p. 574.
171
Interviews with Resistance Leaders Nayef Hawatmeh, Zuhair Mohsen, George Habbash, And Abu Ayyad, in
«Shu'un Filastiniya», February 1974, in «Journal of Palestine Studies», Documents and Source Material, Vol. 3,
No. 3, Spring, 1974, p. 199. Per il raffronto col testo arabo: al-Muqawama al-filastiniyya amam al-tahadiyyat
al-jadida [La resistenza palestinese dinanze alle nuove sfide], «Shu'un Filastiniyya», No. 3, February 1974, pp.
5-58 (atti del simposio con leader della resistenza: Salah Khalaf, Zuhayr Muhsin, George Habash, Nayif
Hawatma, Shafiq al-Hut).
190
mustaqilla] al suo posto. Secondo Hawatma, questo permetterà di capitalizzare il supporto dei
regimi arabi nazionalisti, mobilitare le masse palestinesi attorno ad un programma concreto e
riorganizzare il movimento di liberazione in vista dell'obiettivo strategico della liberazione di
tutto il suolo palestinese nelle fasi successive della lotta. La mancanza di un programma
intermedio per l'ottenimento di certi diritti nazionali porterebbe invece alla liquidazione del
problema palestinese in questa fase, alla cancellazione dell'identità palestinese e alla
riannessione dei territori del 1967 all'interno di soluzioni bilaterali o parziali avanzate
dall'imperialismo, dal sionismo e dalla reazione hashemita172.
Ad animare ulteriormente il dibattito è un'intervista rilasciata da Hawatma al
giornalista statunitense Paul Jacobs e pubblicata il 22 marzo in ebraico su «Yediot
Aharonot», tra i più diffusi giornali israeliani. È un passo che suscita clamore soprattutto tra
le fila palestinesi: per la prima volta il leader di una fra le più importanti organizzazioni
palestinesi si rivolge direttamente al pubblico israeliano, mostrando la disponibilità
palestinese al compromesso territoriale con Israele e al dialogo con le forze israeliane
progressiste. Nell'intervista traspare lo sforzo del segretario generale del FDPLP di
distinguere tra le varie correnti del sionismo, e di cercare di riscuotere simpatie non solo tra le
forze antisioniste, ma anche tra quelle che definisce "sioniste democratiche e progressiste".
Hawatmah afferma che i punti di partenza per arrivare a una soluzione reale e pacifica
del problema mediorientale consistono, da un lato, nello sviluppo delle forze democratiche e
progressiste all'interno di Israele affinché ne limitino le tendenze aggressive ed
espansionistiche. Al contrario, il paese sta scivolando sempre più verso le posizioni della
destra. Da un'altro lato, è necessario che i palestinese ottengano certi diritti nazionali, prima
di tutto il diritto dei palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza di formare uno Stato
nazionale indipendente e il diritto dei rifugiati al ritorno. Il riconoscimento di questi diritti
minimi, continua Hawatma, permetterebbe l'instaurazione di un dialogo tra le forze
democratiche e progressiste palestinesi e israeliane, permettendo a entrambe le parti di
elaborare delle soluzioni democratiche radicali al conflitto. Anche in questo caso, il governo
israeliano, col supporto degli Stati Uniti e della Giordania, rifiuta di riconoscere i diritti del
popolo palestinese e non acconsente neppure al raggiungimento di una soluzione parziale.
Poi il leader del FDPLP definisce la sua idea di soluzione pacifica: «living in peace
means arriving at basic and democratic solutions to questions inside a united, democratic
state where Palestinians and Israelis will live together with the same rights and the same
172
Ibidem.
191
responsibilities»173. Ma la possibilità di instaurare uno Stato unitario e democratico restano
utopiche in questa fase ed è quindi necessario che i palestinesi ottengano almeno il minimo
dei propri diritti nazionali prima di avviare un dialogo con le forze israeliane sul futuro della
regione: «at the present time, the possibilities of a fruitful dialogue between the Israeli people
and the Palestinian people depend upon the establishment of an independent, national
Palestinian state and the restoration of their rights to the Palestinian refugees»174. Hawatma
affronta anche la questione della nazionalità:
dal punto di vista scientifico, è falso parlare di "nazionalità" israeliana, perché gli
israeliani non si sono evoluti come nazione [...]. Uno studio scientifico della società
israeliana dimostra l'esistenza di notevoli differenze nazionali, dovute al fatto che
essa si compone di una moltitudine di nazionalità diverse175.
Agli israeliani, afferma il segretario generale del FDPLP, mancano gli elementi basilari per
costituire una nazione: una lingua, una storia e una psicologia comune. Allo stesso modo, le
nozioni di "terra promessa" e "diritto storico" degli ebrei sulla Palestina sono mitologie prive
di fondamenti storici176.
Il 25 marzo Hawatma spiega a «Le Nuovel Observateur» che la scelta di pubblicare
l'intervista su un giornale israeliano è stato un tentativo di stabilire un dialogo tra le forze
progressiste israeliane e palestinesi affinché «la population israélienne connaisse la réalité de
la position palestinienne et se rende compte que les déformations sionistes nous présentent
faussement comme les ennemis de l'homme juif et israélien»177. Hawatma spiega che non è la
prima volta che il FDPLP si rivolge agli israeliani, lo aveva già fatto nel settembre del 1969:
Après avoir été, en septembre 1969, le premier à proposer un Etat démocratique et
laïque en Palestine, où vivraient Arabes et Israéliens — et non pas musulmans,
chrétiens et juifs (la nuance est capitale) —, il milite pour la création d'un Front de
Libération unifié en Palestine, comprenant côte à côte la révolution palestinienne et
les forces progressistes israéliennes pour une lutte commune contre le sionisme et la
réaction arabe178.
173
Press Statement by the PDFLP General Secretary Hawatma Analyzing the Palestine Question, in «IDP
1974», cit., p. 418. La traduzione inglese dell'intervista è apparsa anche su «New Outlook», XVII, 3, MarchApril 1974, pp. 65-67, oltre che sul «Washington Post», a cui era destinata. Il testo francese è apparso su «Le
Monde», 23 marzo 1974. In arabo su «al-Nahar», 22 marzo 1974.
174
Ivi, p. 419.
175
«Bullettin du Groupe d'Etudes sur le Moyen-Orient» (Ginevra), No. 60, 4 maggio 1974, in Khader B.,
Khader N., op. cit., p. 317. Il testo del «Bullettin» è più completo rispetto a quello apparso in francese su «Le
Monde», che non riporta il passo sulla nazionalità.
176
Ibidem.
177
«Le Nuovel Observateur», Lundi 25 mars 1974, p. 34. Stralci dell'intervista sono apparsi in traduzione
italiana in Moffa C., op. cit., pp. 136-138.
178
Ibidem.
192
Presentando il punto di vista palestinese rivoluzionario a un pubblico così ampio, spiega
Hawatma, pensava di costringere gli israeliani a fare i conti con la realtà di un popolo - quello
palestinese - privato dei suoi diritti nazionali e spingerli a riflettere sugli errori del sionismo.
Anche le posizioni di Fatah si delineano con maggiore chiarezza a partire dal gennaio
1974: le aperture verso il programma di transizione e l'instaurazione di un'autorità nazionale
vengono giustificate con la necessità di impedire che i territori occupati tornino sotto il
controllo di re Hussein. Si introduce nel lessico politico del MRP il concetto di "diritti minimi
del popolo palestinese". Già nel novembre 1973 Faruq Qaddumi, membro di Fatah nel
Comitato esecutivo dell'OLP - che aveva già presentato nel 1967 un documento in cui
invitava la leadership di Fatah ad accettare uno Stato in Cisgiordania e Striscia di Gaza invita al coraggio nelle decisioni politiche della fase attuale e all'utilizzo delle armi della
politica con abilità e flessibilità: «Armed struggle which achieves no political achievements,
at any stage is a sterile struggle and misplaced effort»179, osserva Qaddumi, riferendosi alla
liquidazione della resistenza palestinese in Giordania e all'ottimismo di chi pensava che la
liberazione potesse arrivare in una fase sola. Le posizioni di Qaddumi sono tutt'altro che
isolate. Nel gennaio 1974, il membro del Comitato centrale di Fatah Abu Salih dichiara: «We
are not against any independent national government, provided three conditions are met; no
peace, no recognition, and no relinquishing of historical right»180.
Arafat manda segnali di apertura al compromesso ancora più espliciti, non
esponendosi personalmente, ma tramite suoi uomini di fiducia. Uno di questi è il
rappresentante dell'OLP a Londra Said Hammami che, in un momento in cui la dirigenza di
Fatah non si era ancora espressa al riguardo e manteneva un atteggiamento cauto, scrive il 16
novembre 1973 un articolo al «New York Times» in cui elenca le condizioni per la
partecipazione dei palestinesi alla conferenza di pace: 1. La comunità internazionale deve
riconoscere il diritto dei palestinesi a partecipare alla conferenza su basi di parità con gli altri
partner 2. Rappresentanti autorizzati del popolo palestinese, sia in esilio sia nei territori
occupati, devono essere invitati a partecipare alla conferenza 3. Il riconoscimento dei diritti
inalienabili del popolo palestinese, tra cui il diritto all'autodeterminazione come previsto dalla
Carta dell'ONU, costituisce una parte indispensabile di qualsiasi accordo duraturo sul Medio
Oriente. Poi Hammami esplicita che «many Palestinians believe that a Palestinian state on
179
Speech by Abu Lutf, Member of the Executive Committee of the Palestine Liberation Organization on the
Occasion of the Fifty-Sixth Anniversary of the October Revolution, Beirut, November 12, 1973, in «Journal of
Palestine Studies», Documents and Source Material, Vol. 3, No. 2, Winter 1974, p. 207.
180
Speech by Fateh Central Committee Member Abu Salih, Delivered in Sidon, Lebanon, January 7, 1974, in
«Journal of Palestine Studies», Documents and Source Material, Vol. 3, No. 3, Spring 1974, p. 193.
193
the Gaza Strip and the West Bank […] is a necessary part of any peace package»181. Le
posizioni di Hammami indicano chiaramente che l'OLP sarebbe pronto ad accettare uno Stato
sui territori occupati da Israele nel giugno 1967 come parte di un accordo di coesistenza
pacifica tra i due popoli e in questo senso possono essere considerate una delle prime
formulazioni della soluzione "due stati per due popoli".
In un secondo articolo pubblicato nel dicembre successivo, Hammami ribadisce
l'obiettivo ideale e di lungo termine dell'OLP: «we, as Palestinians, have no reason to change
our belief that a bi-national secular state consisting of all Palestine, in which all Palestinian
Arabs and all Israeli Jews can live together democratically is ultimately the only just solution
for the conflict»182. È da notare che Hammami parla di Stato "binazionale", il che implica il
riconoscimento di due nazionalità, "ebrei israeliani" e "arabi palestinesi", in Palestina: «the
Israeli Jews and the Palestinian Arabs should recognize one another as peoples, with all the
rights to which a people is entitled»183, vale a dire il diritto all'autodeterminazione. Inoltre,
Hammami avanza la possibilità che questo Stato sia edificato in partnership e non tramite la
lotta armata e lo smantellamento delle strutture sioniste dello Stato israeliano, come previsto
nelle risoluzioni del CNP e nei documenti delle organizzazioni di resistenza. Tuttavia,
Hammami ritiene che nella fase attuale l'obiettivo di Stato democratico sia impraticabile: da
qui la necessità di riconoscere uno Stato palestinese indipendente e membro dell'ONU come
primo passo verso il riconoscimento reciproco e la riconciliazione tra i due popoli. Le
posizioni di Hammami, tanto audaci quanto compromettenti, gli costeranno ben presto la vita.
All'interno di Fatah le posizioni sono tutt'altro che unanimi e lasciano intuire
l'esistenza di una spaccatura tra il Comitato centrale e i quadri intermedi. Come ammette uno
dei massimi dirigenti di Fatah Salah Khalaf (Abu Iyyad), nel simposio tra leader della
resistenza pubblicato nel febbraio 1974 su «Shu'un Filastiniya», i quadri di Fatah non hanno
compreso a pieno il significato delle fasi nella lotta e la necessità di fissare degli obiettivi
minimi che siano accettabili a livello arabo e raggiungibili nella fase attuale, in cui «the
demand exists for establishment of a national government in part of the territory of
Palestine»184. L'opposizione all'edificazione di un potere nazionale emerge in un'intervista
181
Article by the PLO's London Representative Hammami Suggesting Principles for Palestinian Participation in
a Middle East Peace Conference, in «IDP 1973», cit., p. 517.
182
«Times», 17 dicembre 1973, in Hammami S., A Man of Peace: In Memoriam, Council for the Advancement
of Arab-British Understanding, London 1978, p. 5.
183
Ibidem.
184
Interviews with Resistance Leaders Nayef Hawatmeh, Zuhair Mohsen, George Habbash, And Abu Ayyad,
cit., p. 203.
194
rilasciata nella primavera del 1974 da Abu Hatim, membro del Consiglio rivoluzionario di
Fatah: «Al-Fatah è ostile a ogni compromesso. L'unica soluzione per essa è il riconoscimento
di uno Stato democratico sull'insieme del suo territorio»185, poi aggiunge, avvicinandosi alle
tesi dei gruppi più intransigenti, «nell'immediato non siamo contro l'edificazione di un potere
rivoluzionario su qualsiasi parte del nostro territorio che verrà liberata dalla forza delle
armi»186.
Tuttavia, all'interno del gruppo dirigente più vicino ad Arafat si costruisce un solido
consenso per l'edificazione di un'autorità nazionale e la partecipazione, a certe condizioni,
alla conferenza di Ginevra. La nuova linea è annunciata nel gennaio 1974 in un editoriale del
settimanale ufficiale dell'OLP «Filastin al-Thawra», in cui si afferma che in seguito alla
guerra di ottobre l'OLP deve impedire che i territori liberati dall'occupazione israeliana
tornino sotto il controllo di Hussein; al contrario, i palestinesi devono esercitare su quei
territori «their full rights of national sovereignty and establish their independent national
presence»187. Si tratta della chiara enunciazione del programma per fasi, in cui la tappa
intermedia del governo palestinese su parti della Palestina è giustificata dal riferimento allo
Stato democratico su tutta la patria come obiettivo ultimo: «this would be a victory that
reinforces the struggle to attain the strategic goal of building the democratic Palestinian state
[…] over the whole of national soil»188. Nel febbraio del 1974 Yasir Arafat dichiara che
nell'eventualità di un ritiro di Israele dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza imposto dalla
nuova posizione di forza dei Paesi arabi, le possibilità sarebbero due: la prima, appoggiata
anche da Israele e Stati Uniti, consisterebbe nella realizzazione del Piano di re Hussein, in cui
i territori occupati diventerebbero una sorta di vice regno palestinese con un primo ministro;
la seconda possibilità è che venga instaurato un regime palestinese, o che venga realizzato il
Piano Allon, vale a dire uno governo palestinese indipendente che sarebbe niente più che una
riserva di lavoro per Israele. Secondo Arafat ci sono due opzioni: «either war - and if that is
the case we shall fight it until we reach the sea - or else a settlement - in which case it shall
not be at the expense of the Palestinian people»189. Non si esclude la possibilità di un
accordo, a condizione che non sia pregiudizievole dei diritti minimi dei palestinesi.
185
«Nouvelle Revue Socialiste», No. 5, 1974, citato in Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 166.
Ibidem.
187
«Filastin al-Thawra», 31 January 1974, in Sayigh Y., Armed Struggle and the Search of State, cit., p. 338.
188
Ibidem.
189
Speech by the Chairman of the Executive Committee of the Palestine Liberation Organization, Yasser Arafat,
in Kuwait, February 20, 1974, in in «Journal of Palestine Studies», Documents and Source Material, Vol. 3, No.
3, Spring, 1974, p. 198.
186
195
Nel simposio organizzato da «Shu'un Filasṭiniya» Habash presenta le posizioni del
FPLP: sul piano internazionale, in seguito ai nuovi rapporti di forza emersi in seguito alla
guerra di ottobre, l'imperialismo statunitense ha modificato la sua posizione sul conflitto
arabo-israeliano ed è disposto ad esercitare maggiori pressioni su Israele per contenere il
problema all'interno di un accordo negoziato che salvaguardi gli interessi imperialisti; poi c'è
la posizione sovietica secondo la quale è nell'interesse del movimento di liberazione arabo
raggiungere un accordo basato sulla risoluzione no. 242. In breve, nota Habash, è emerso un
consenso internazionale sulla necessità di trovare un accordo negoziato al conflitto che riduca
le tensioni nella regione. Poi si chiede: è possibile, come sostengono alcuni palestinesi, alla
luce degli attuali rapporti di forza, ottenere la creazione di una giurisdizione nazionale
democratica palestinese sui territori evacuati senza il riconoscimento, senza la pace, senza
confini sicuri, zone demilitarizzate, presenza internazionale e tutte le altre garanzie che
sarebbero sicuramente imposte? La risposta è negativa, perché anche nel caso si accettasse la
proposta sovietica di risoluzione del conflitto, questa implicherebbe il riconoscimento di
Israele all'interno di confini sicuri. La resistenza, invece, deve presentare all'alleato sovietico
la sua posizione in autonomia e mettere al primo posto la difesa dei diritti storici del popolo
palestinese, che cozzano con il consenso internazionale sulla questione, lavorando ad un
nuovo programma politico che rafforzi la posizione della rivoluzione araba e palestinese e sia
quindi in grado di determinare un cambiamento nel punto di vista sovietico.
Per quanto riguarda il futuro dei territori occupati, il leader del FPLP afferma che, in
seguito al ritiro israeliano, le alternative in discussione sono due: il ritorno alla giurisdizione
giordana o la creazione di una giurisdizione palestinese. Quale tra queste alternative si
avvicina più alla realizzazione degli obiettivi della rivoluzione palestinese? Se la scelta fosse
veramente tra queste due alternative nessuna organizzazione della resistenza esiterebbe a
rigettare la sovranità del regime reazionario giordano. Ma la domanda in realtà è mal posta:
The trap in the question lies in our thinking that the Geneva Conference might result
in a Palestinian national regime [sulta wataniyya filastiniyya]. But in view of the
present balance of forces, it is impossible that a Palestinian national regime should
result from the Geneva Conference; an Israeli withdrawal from the West Bank in
only possible in the event of there being established there a reactionary force or a
force that is ready to surrender190 .
190
Interviews with Resistance Leaders Nayef Hawatmeh, Zuhair Mohsen, George Habbash, And Abu Ayyad,
cit., p. 203. Per il raffronto col testo arabo: al-Muqawama al-filastiniyya amam al-tahadiyyat al-jadida [La
resistenza palestinese dinanze alle nuove sfide], «Shu'un Filastiniyya», cit.
196
Habash sostiene che alla luce degli attuali rapporti di forza è impossibile un ritiro israeliano
dalla Cisgiordania,; questo potrà avvenire solamente in seguito ad un'altra guerra o quando la
resistenza avrà riformulato un programma di lotta per la fase attuale, in breve, nel momento
in cui si determineranno nuovi rapporti di forza favorevoli alle forze della rivoluzione nel
mondo arabo.
In sintesi, Habash non sembra contrario per principio alla conferenza o all'autorità
nazionale palestinese: la sua opposizione è spiegabile in ragione del fatto che, nell'attuale fase
e alla luce degli attuali rapporti di forza, qualsiasi risultato non potrebbe che essere
svantaggioso per la resistenza. Habash sembra essere favorevole all'edificazione di un potere
palestinese su parte della Palestina, ma a condizione che i territori siano liberati per mezzo
della forza, e non siano il frutto di una concessione. In seguito alla nuova situazione emersa
in seguito alla guerra di ottobre, il FPLP accetta l'idea del "gradualismo" nell'azione politica:
è la richiesta di concessioni da parte dei palestinesi per l'ottenimento di obiettivi parziali ad
essere respinta sul presupposto che nelle condizioni attuali qualsiasi soluzione intermedia
sarebbe diventata definitiva. Come nota Matti Steinberg, nel pensiero del FPLP il
gradualismo è concepito come un processo unilaterale nel quale Israele è costretto con la
forza a una serie successiva di ritiri dai territori palestinesi. Il FPLP traccia una distinzione
fondamentale tra un gradualismo negativo e un gradualismo positivo: il primo è in realtà un
modo per mascherare l'intenzione di scendere a patti con Israele e rinunciare alla liberazione
di tutto il suolo palestinese, il secondo è invece inteso come lotta di lungo termine in cui ogni
tappa rappresenta un avanzamento verso il raggiungimento della successiva191.
Il dodicesimo CNP: un'autorità nazionale indipendente
Molteplici fattori influenzarono l'adozione dell'OLP del programma di liberazione per fasi. Si
è già visto il ruolo crescente svolto dal FPP nei territori occupati nello spingere la leadership
in esilio ad adottare una posizione più pragmatica volta ad impedire il ritorno dei territori
sotto il controllo di re Hussein. Allo stesso modo, gli alleati dell'OLP a livello internazionale
e arabo, in particolare l'URSS e la Siria192, spinsero l'OLP a moderare le sue richieste per
191
Steinberg M., The Worldview of Habash's 'Popular Front', «The Jerusalem Quarterly», Number 47, Summer
1988, p. 7.
192
La politica di negoziazione unilaterale dell'Egitto, sempre più vicino alle posizioni degli Stati Uniti, che
porterà alla firma degli accordi israelo-egiziani nel settembre 1975, spingono l'OLP e la Siria, col sostegno
dell'URSS, a formare un'asse rivale e a coordinare gli sforzi politici e militari. In Muslih M., Moderates and
197
renderle compatibili con il quadro generale della conferenza di pace di Ginevra, concentrando
gli sforzi diplomatici sulla richiesta di un governo palestinese su Cisgiordania e Striscia di
Gaza.
L'Unione Sovietica fu determinante nel persuadere la leadership dell'OLP alla svolta
programmatica: Dall'espulsione del personale militare sovietico dall'Egitto nel luglio 1972 i
palestinesi rappresentavano potenzialmente uno dei principali canali di influenza sovietica nel
mondo arabo. Nel giugno 1973, grazie alla pressione sovietica193, il comunicato congiunto
dei presidenti di USA e URSS, Nixon e Brezhnev, fa riferimento alla necessità di un accordo
sul Medio Oriente che «should take into account the legitimate interest of the Palestinian
people»194. Secondo il leader di Fatah Salah Khalaf, l'URSS svolse un ruolo importante nel
persuadere i palestinesi dell'importanza della via diplomatica e della necessità di
programmare in diverse fasi la lotta di liberazione195. In termini negoziali, sebbene i sovietici
sostenessero il diritto dell'OLP a partecipare alla conferenza di Ginevra su un piano di parità
con le altre delegazioni, non acconsentirono a modificare la risoluzione no. 242 nelle parti
che l'OLP considerava lesive dei diritti dei palestinesi; al contrario, ritenevano importante, ai
fini negoziali, il riconoscimento reciproco israelo-palestinese196.
La corrente di maggioranza dell'OLP non si oppose tanto all'idea di una Conferenza di
pace, ma al quadro di riferimento all'interno del quale si svolgeva, vale a dire la risoluzione
no. 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che relega la questione palestinese alla
categoria umanitaria della "giusta risoluzione del problema dei profughi" e prevede il
riconoscimento dello Stato di Israele. Gli Stati Uniti, dal canto loro, mutarono di poco la
posizione nei confronti dei palestinesi: considerati meri "rifugiati" nel 1967, nel 1970
l'assistente della Segreteria di Stato per il Medio Oriente Joseph Sisco dichiara che un
accordo sul Medio Oriente deva tenere conto dei "diritti" dei palestinesi, mentre nel
comunicato congiunto con Brezhnev si parla di "legittimi interessi" del popolo palestinese,
ma mai di "diritti nazionali" e di "diritto all'autodeterminazione". La posizione israeliana
rimase immutata: uno Stato palestinese accanto a Israele era considerato una bomba a
Rejectionists within the Palestine Liberation Organization, cit., pp. 131-134. Si veda anche: Sayigh Y., Armed
Struggle and the Search of State, cit., pp. 319-327.
193
Macintyre R. R., The Palestine Liberation Organization: Tactics, Strategies and Options towards the
Geneva Peace Conference, «Journal of Palestine Studies», Vol. 4, No. 4, Summer 1975, p. 82.
194
Quandt W. B., Decade of Decisions: American Policy Toward the Arab-Israeli Conflict, 1967-1976, cit., p.
160.
195
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search of State, cit., p. 342.
196
Golan G., Soviet Policy in the Middle East: Growing Difficulties and Changing Interests, «The World
Today», Vol. 33, No. 9, Sep., 1977, p. 338.
198
orologeria; qualsiasi soluzione per la Cisgiordania doveva prevedere un solo Stato tra le
frontiere dell'Iraq e Israele197.
La corrente di maggioranza dell'OLP avrebbe accettato di partecipare alla conferenza
di pace su invito ufficiale come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese,
portatore di diritti nazionali, e avrebbe acconsentito di creare un'autorità nazionale
indipendente per evitare che i territori occupati tornassero sotto il controllo hashemita.
Inoltre, l'OLP avrebbe chiesto l'implementazione di tutte le risoluzioni dell'ONU, da quelle
del 1947 sulla partizione della Palestina, alla risoluzione del 1948 sul diritto al ritorno o alla
compensazione dei profughi, fino alle più recenti risoluzioni del novembre 1974 sul diritto
all'autodeterminazione, alla sovranità, all'indipendenza. Infine, l'OLP non avrebbe
formalmente rinunciato all'obiettivo strategico dello Stato democratico su tutta la Palestina198.
In sintesi, gli obiettivi immediati della leadership dell'OLP in questa fase consistevano
nell'assicurarsi, tramite un'intensa attività diplomatica, il riconoscimento come "unico
legittimo rappresentante del popolo palestinese" e, allo stesso tempo, stabilire un potere
palestinese su qualsiasi terra liberata dall'occupazione israeliana. Va da sé che la
partecipazione dell'OLP alla conferenza di Ginevra non riguardava solamente il
perseguimento di obiettivi politici nella fase corrente della lotta ma, come fanno notare gli
oppositori
al
compromesso,
avrebbe
avuto
ripercussioni
decisive
sulla
natura,
sull'organizzazione e sui compiti della rivoluzione palestinese.
Prima di analizzare l'evoluzione del dibattito politico nell'OLP è necessario esaminare
brevemente le posizioni e il ruolo di al-Saʿiqa, l'organizzazione creata dal ramo siriano del
partito Baʿth, in linea con le posizioni della Siria. L'avvicinamento strategico dell'OLP alle
posizioni siriane, specie in seguito all'accordo bilaterale di disimpegno firmato da Israele ed
Egitto nel gennaio 1974, si rifletteva nel maggior peso acquisito da al-Saʿiqa all'interno del
MRP. In un comunicato del 22 dicembre 1973, il giorno seguente il primo incontro a Ginevra
della Conferenza di pace sul Medio Oriente, al-Saʿiqa chiarisce che, alla luce dei rapporti di
forza esistenti e del quadro generale all'interno del quale si svolge, la conferenza non è in
grado di definire con chiarezza quali siano i diritti legittimi del popolo palestinese e non c'è
197
Macintyre R. R., The Palestine Liberation Organization: Tactics, Strategies and Options towards the Geneva
Peace Conference, cit., p. 81.
198
Muslih M. Y., Moderates and Rejectionists within the Palestine Liberation Organization, cit.; Rouleau E.,
The Palestinian Quest, cit., pp. 264-283.
199
nessuna ragione per sperare di andare al di là dei termini stabiliti dalla risoluzione no. 242 del
Consiglio di Sicurezza dell'ONU199.
Il comunicato elenca i punti fondamentali della posizione di al-Saʿiqa, contraria in
questo frangente alla partecipazione alla conferenza di pace: 1. Deve essere chiaro che il
principale diritto dei palestinesi - che non può essere derogato da alcun obiettivo intermedio è il diritto al ritorno «so as to build their own society and to achieve their unified political
existance through the exercise of sovereignty and the right to self-determination in the whole
of territory»200; 2. La conferenza di pace di Ginevra non è in grado di ottenere neanche la
soddisfazione di parte dei diritti nazionali dei palestinesi; 3. La partecipazione a un accordo
generale focalizzato sulle conseguenze dell'aggressione del 1967 significherebbe la
liquidazione generale della causa palestinese; 4. Il destino politico e costituzionale dei
territori palestinesi eventualmente evacuati si ritirerebbe deve essere deciso dopo il ritiro e
all'interno di un contesto prettamente arabo; 5. Le future relazioni tra l'OLP e i territori
palestinesi devono essere decise in base alla volontà della masse palestinesi, con l'obiettivo di
garantire il diritto alla continuazione della lotta e la salvaguardia dell'identità nazionale del
popolo arabo palestinese201.
Nel febbraio 1974 il segretario generale di al-Saʿiqa, Zuhair Muhsin, sembrava
assumere una posizione intermedia tra la linea possibilista di Fatah e del FDPLP e la linea del
rifiuto del FPLP. La partecipazione alla conferenza di pace doveva essere posticipata fino alla
stesura di un piano che definisca chiaramente i diritti minimi dei palestinesi: «Before we
decide to take part in the Geneva Conference, we must also draw up a programme defining
our minimum demands at the present stage and the limit of concessions that the area can
accept»202, e in seguito far sì che gli alleati arabi e l'URSS si impegnino per rispettarlo. Il
segretario di al-Saʿiqa accetta il principio degli obiettivi intermedi e del programma di
liberazione per fasi: per opporsi ai progetti hashemiti-sionisti-statunitensi è necessario
definire un programma comune tra OLP, URSS, Egitto e Siria, e sulla base di questo decidere
se la partecipazione alla conferenza serve gli obiettivi minimi palestinesi nella fase presente
oppure no203. Secondo Muhsin, «the requisite tactical goal at the present stage is to prevent
199
Statement Issued by Saiqa Rejecting the Idea of Palestinian Participation in the Middle East Peace
Conference, December 22, 1973, in «IDP 1974», cit., pp. 546-547.
200
Ivi, p. 547.
201
Ivi, pp. 547-548.
202
Interviews with Resistance Leaders Nayef Hawatmeh, Zuhair Mohsen, George Habbash, and Abu Ayyad,
cit., p. 200.
203
Ibidem.
200
the Arab states slipping into a termination of the state of war for a trifling price»204, in quanto
questo impedirebbe ai palestinesi di ottenere quei diritti minimi necessari per mantenere la
loro identità nazionale e continuare la lotta.
Nella metà del febbraio 1974 Fatah, il FDPLP e al-Saʿiqa presentano al Comitato
centrale dell'OLP un documento di lavoro che riflette il consenso creatosi negli ultimi mesi
attorno alla creazione di un'autorità palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza. I punti
principali del documento, così come riportati dall'organo dell'OLP «Filastin al-Thawra» il 20
febbraio, sono i seguenti:
1. The basic duty of the Palestine revolution at his stage […] is to struggle
stubbornly to eject the Zionist occupation from Palestinian territory occupied in
1967 and to prevent the Jordanian regime from returning to this territory […]
2. The only alternative to occupation and to Jordanian guardianship is Palestinian
national sovereignty over these territories and the declaration of national
independence under the leadership of the PLO, the only legitimate representative of
the Palestinian people
3. The exercise of national sovereignty … is … important … in the struggle to
liberate all Palestinian land so that the Palestinian people can exercise their full
right to self-determination over their entire territory205.
Il documento di lavoro non incontrò il favore di alcuni gruppi dissidenti, tra cui il FPLP, e la
sua approvazione venne rimandata. In una dichiarazione del 20 febbraio, il membro
dell'ufficio politico del FPLP Salah Salah afferma che i gruppi contrari al documento di
Fatah- al-Saʿiqa-FDPLP presenteranno un nuovo piano basato sul rifiuto della conferenza di
Ginevra, della risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza e della crezione di uno Stato
palestinese su parti della Palestina206. Tuttavia, il documento di lavoro Fatah-Saʿiqa-FDPLP
segnò una presa di posizione esplicita da parte della corrente di maggioranza dell'OLP a
favore dell'autorità nazionale sui territori liberati e rappresentò per certi versi un punto di non
ritorno nel dibattito interno alla resistenza: l'autorità nazionale su ogni parte di territorio
liberata era sempre più identificata con lo Stato palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza.
Questo è evidente nel lessico dei leader della resistenza, dove il termine sulta è
progressivamente sostituito con dawla.
In Fatah i sostenitori del programma di liberazione per fasi esplicitarono con maggior
chiarezza le proprie posizioni, anche se ammantate da uno strato di retorica liberazionista.
Nel marzo 1974 Arafat fa capire che, in caso di invito ufficiale da parte dei suoi alleati, vale a
dire URSS, Siria ed Egitto, accetterebbe di partecipare alla conferenza di pace di Ginevra, a
204
Ivi, p. 201.
«Arab Report and Record», 15-28 February 1974, p. 74.
206
Ivi, p. 75.
205
201
condizione che non sia richiesta l'adesione alla risoluzione no. 242, lesiva dei diritti minimi
del popolo palestinese. Inoltre, qualsiasi decisione della leadership palestinese sarà basata su
quattro principi: «continued use of the rifle, no waiving of historical rights, no peace, and no
negotiations»207. Per quanto riguarda l'idea di un'autorità nazionale in Cisgiordania e Striscia
di Gaza, Arafat ricorda che fin dall'aprile del 1972 la Conferenza popolare palestinese e
l'undicesimo CNP avevano approvato il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese
nel suo territorio, al di fuori della tutela del regime di Hussein: «the idea was that the future
of the West Bank and the Gaza Strip were to be decided on the basis of our people's right to
decide the destiny of this territory and to establish a national government in it»208. Il 2
maggio Salah Khalaf, considerato uno dei leader di Fatah più vicini alle posizioni della
sinistra della resistenza, dichiara su Voice of Palestine (programma radio dell'OLP che
trasmetteva dal Cairo) che «the establishment of a Palestinian state on any territory given up
by Israel would not mean the revolution had given up its aim of regaining all Palestinian
territory»209, considerato un diritto storico che non riguarda solamente l'attuale generazione,
ma è appartenuto a quelle passate e deve rimanere integro per le generazioni future.
Nonostante ciò, continua Khalaf: «in an emergency situation, the leadership must be
courageous and propose an interim solution for the situation. The solution will negate neither
the historic right nor the basic slogan of the establishment of the democratic state»210.
I cambiamenti lessicali preparano a quelli programmatici. Nel nuovo discorso politico
del MRP, il riferimento all'autorità nazionale è fatto nel quadro del raggiungimento dei diritti
minimi del popolo palestinese, la sovranità su parti della Palestina, concepita come tappa
intermedia e in un'ottica di breve periodo. La parola d'ordine dello Stato democratico è situata
invece nel contesto della salvaguardia dei diritti storici alla liberazione di tutta la Palestina e
al ritorno ed è inserita in un discorso liberazionista che fa riferimento a una prospettiva di
lungo termine.
Per risolvere le discrepanze sollevate dal documento di lavoro di Fatah-FDPLP­alSaʿiqa del febbraio 1974, il Comitato centrale dell'OLP decise di costituire un comitato di
dialogo nazionale presieduto da Arafat, a cui parteciparono i segretari generali di FDPLP,
FPLP, al-Saʿiqa, FLA e FPLP-CG e un rappresentante del FPP. Il comitato si riunì nella
207
Interview with Chairman of the Executive Committee of the Palestine Liberation Organization, Yasser
Arafat, in «al-Safir», Beirut, March 26, 1974, in «Journal of Palestine Studies», Vol. 3, No. 4, Summer 1974, p.
212.
208
Ivi, p. 213.
209
«Arab Report and Record», 1-15 May 1974.
210
Ibidem.
202
prima parte del maggio 1974 e raggiunse un compromesso - il cui contenuto non venne reso
noto - che riusciva a tenere insieme le varie anime dell'OLP. Sullo sfondo di questo fragile
equilibrio si tenne al Cairo la dodicesima sessione dell'OLP, 1-8 giugno, che approvò un
documento programmatico di dieci punti, stilato nelle settimane precedenti dal comitato di
dialogo, con la raccomandazione aggiuntiva di riconvocare il CNP in caso fossero
sopraggiunti importanti cambiamenti nella situazione palestinese.
Tre organizzazioni, l'ALF, il FPLP e il FPLP-CG misero a verbale le loro riserve al
"programma dei dieci punti". Le tre organizzazioni chiesero l'inserimento di due punti: il
rifiuto di qualsiasi negoziato con Israele e la riconvocazione del CNP in caso bisognasse
prendere decisioni importanti sul futuro della lotta palestinese. Dei due punti, il primo venne
rifiutato, provocando l'abbandono della sessione da parte del segretario del FLA AbdulWahab Kayyali. All'intransigenza della posizione del FLA, che riflette la linea del partito
Baʿth al potere in Iraq, fece da contrappeso l'atteggiamento di al-Saʿiqa, allineata alla Siria,
favorevole al compromesso211. La pressione esercitata dai palestinesi dell'interno per
l'adozione del programma di liberazione per fasi si rifletté nell'inserimento di tre membri del
FPP nel nuovo Comitato esecutivo dell'OLP.
Nella dichiarazione politica rilasciata in conclusione della dodicesima sessione, il
CNP rileva che, in seguito alla guerra dell'ottobre 1973, è emersa nello scenario arabo una
netta divisione tra il movimento di liberazione arabo e i nemici della nazione araba, che
cercano di limitare i successi della guerra cercando di imporre una soluzione politica ai danni
dei diritti del popolo palestinese. A livello palestinese, gli sviluppi più significativi sono stati
l'estensione delle attività del FPP nei territori occupati e il largo riconoscimento ottenuto
dall'OLP come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese. Ma gli aspetti più
importanti sono naturalmente contenuti nel programma politico approvato dal CNP.
L'introduzione al Barnamij al-siyyasi al-marhali, "programma per fasi" o "transitorio" o
meglio conosciuto come "programma dei dieci punti", contiene un riferimento alla Carta
nazionale palestinese e ai diritti fondamentali dei palestinesi, e il diritto al ritorno e
all'autodeterminazione su tutto il suolo della Palestina.
Il testo è il risultato di uno sforzo di mediazione tra le due principali correnti di
pensiero all'interno dell'OLP, delineatesi chiaramente a partire dal febbraio 1974 in seguito
alla presentazione del documento congiunto Fatah-FDPLP-al-Saʿiqa. Il risultato è una
formulazione generale e piuttosto ambigua che lascia ampio spazio di manovra e
211
«Arab Report and Record», 1-15 June 1974, p. 1974.
203
interpretazione. Il primo punto ribadisce il rifiuto della risoluzione no. 242 «which obliterates
the national rights of our people and deals with the cause of our people as a problem of
refugees», e di qualsiasi iniziativa basata su di essa, inclusa la conferenza di Ginevra,
esortando implicitamente a una modifica della risoluzione per favorire la partecipazione
dell'OLP.
Il
secondo
punto
enuncia
l'obiettivo
transitorio
della "autorità nazionale
indipendente", qualificata come "combattiva", per ottenere il consenso dei sostenitori della
linea più intransigente:
The Liberation Organization will employ all means, and first and foremost armed
struggle, to liberate Palestinian territory [li-tahrir al-ard al-filastiniyya] and to
establish the independent combatant national authority [sulta al-shaʿb al-wataniyya
al-mustaqilla al-muqatila] for the people over every part of Palestinian territory that
is liberated. This will require further changes being effected in the balance of power
in favour of our people and their struggle212.
Come nel precedente CNP, la lotta armata non è più l'unico mezzo di lotta, ma il principale,
lasciando implicitamente spazio ai mezzi politici e diplomatici. Inoltre, il riferimento
tradizionale alla liberazione della Palestina è sostituito qui con "liberazione della terra
palestinese" che, secondo Faisal Hurani, si presta a due interpretazioni: per i palestinesi
potrebbe significare tutta la terra palestinese, mentre per il diritto internazionale potrebbe
indicare i territori palestinesi occupati da Israele nel 1967213. È interessante evidenziare che,
secondo il CNP, l'instaurazione dell'autorità palestinese necessita di ulteriori cambiamenti
negli equilibri di potere, attualmente sfavorevoli ai palestinesi.
Riguardo il terzo punto, l'OLP dichiara di lottare contro «any proposal for a
Palestinian entity [kiyan filastini] the price of which is recognition, peace, secure frontiers,
renunciation of national rights»214, e che comporti la rinuncia al diritto al ritorno e al diritto
all'autodeterminazione «on the soil of their homeland»215 [fawq turabihi al-watani]. La
formulazione non rigetta esplicitamente la possibilità di intraprendere negoziati e lascia
aperta la porta a un'interpretazione che prevede l'esercizio dell'autodeterminazione anche su
212
Political Programme of the Present Stage of the Palestine Liberation Organization Drawn up by the
Palestinian National Council, Cairo, June 9, 1974, in «Journal of Palestine Studies», Documents and Source
Material, Vol. 3, No. 4, Summer 1974, p. 224. Per il testo arabo si veda: Hawatma N., ʿAbd al-Karim Q., alBarnamij al-marhali, 1973-1974, cit., pp. 68-69.
213
Hawrani F., al-Fikr al-siyasi al-filastini 1964-1974 [Pensiero politico palestinese, 1964-1974], PLO
Research Center, Beirut 1980, p. 209, in Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p. 175.
214
Political Programme of the Present Stage of the Palestine Liberation Organization Drawn up by the
Palestinian National Council, cit., p. 224.
215
Ibidem.
204
parte della patria, in quanto non è esplicitamente dichiarato "sulla totalità del suo suolo
patrio" [ʿala kamil turabihi al-wataniyya], come nell'introduzione al programma.
Il quarto punto ribadisce che la tappa intermedia trova la sua legittimazione solamente
nella continuazione della lotta per la creazione dello Stato democratico: «Any step taken
towards liberation is a step towards the realization of the Liberation Organization's strategy of
establishing the democratic, Palestinian state»216, come specificato nelle risoluzioni dei CNP
precedenti.
Il quinto punto dichiara che l'OLP lotterà per la creazione di un fronte giordanopalestinese che miri all'edificazione di un'autorità nazionale democratica in Giordania, in
stretto contatto con l'autorità nazionale palestinese. Scompaiono definitivamente i concetti di
"un popolo solo in Transgiordania e Palestina", o "dell'unità delle due rive del Giordano":
l'idea è la stretta connessione tra l'autorità nazionale del popolo giordano nella riva est e
l'autorità nazionale del popolo palestinese nella riva ovest. Nel sesto punto si dice che l'OLP
lotterà per stabilire l'unità nella lotta dei popoli giordano e palestinese mentre nel settimo si
ribadisce l'impegno nel rafforzare l'unità nazionale dei palestinesi. L'ottavo punto ribadisce la
fedeltà ai principi della liberazione di tutto il suolo palestinese e dell'unità araba: «the
Palestinian national authority will strive to achieve a union of the confrontation countries,
with the aim of completing the liberation of all Palestinian territory, and as a step along the
road to comprehensive Arab unity»217. Il nono invita a rafforzare la solidarietà con i paesi
socialisti e le forze della liberazione nel mondo. L'ultimo punto afferma che in base a questi
punti programmatici la leadership palestinese deciderà la tattica che permetterà la
realizzazione degli obiettivi enunciati, fermo restando che, in caso emrgano nuovi fattori in
grado di influenzare il destino della causa palestinese, l'assemblea si riunirà in sessione
straordinaria.
La faticosa strada percorsa per giungere alla formulazione di un testo accettabile a
tutte le organizzazioni palestinesi permette di fare un bilancio sul funzionamento interno
dell'OLP. Il primo aspetto che emerge è il carattere democratico del processo decisionale,
testimoniato dal fatto che erano serviti otto mesi per raggiungere un consenso più ampio,
visto che una decisione a maggioranza avrebbe rischiato di spaccare l'OLP o di inimicare
qualche stato arabo. Il secondo aspetto riguarda la necessità del compromesso: vista la debole
integrazione tra le varie organizzazioni e l'autonomia politica e militare di cui godono,
216
217
Ibidem.
Ibidem.
205
l'accordo deve essere raggiunto attraverso faticose trattative tra le varie organizzazioni, più
che all'interno delle istituzioni dell'OLP, che pure funge da simbolo unificatore della
resistenza. Infine, i fattori esterni giocano il ruolo maggiore nell'influenzare il processo
decisionale dell'OLP e delle varie organizzazioni della resistenza: priva di una base sicura e
costretta a barcamenarsi in un ambiente arabo frammentato, l'OLP dipende per appoggio
politico e per assistenza militare, il che spiega la sua difficoltà a prendere l'iniziativa politica
e la sua propensione a reagire agli eventi piuttosto che a determinarne il corso218.
Gli studiosi del movimento nazionale palestinese concordano sul fatto che il
dodicesimo CNP rappresentò un punto di svolta decisivo nel pensiero politico palestinese219.
Malgrado le risoluzioni del programma non facciano riferimento ad uno "stato", ma usino il
termine meno definito di "autorità", e malgrado quest'ultima sia considerata una tappa
intermedia verso l'immutato obiettivo finale, la dodicesima sessione del PNC «represents a
remarkable break with the past, given the repeated and vociferous rejections of the
"ministate" and the principle of partition, even as an interim stage, in earlier PNCs»220. Se per
alcuni nell'OLP l'introduzione del concetto di sulta wataniyya rappresentò l'implicita rinuncia
all'obiettivo dello Stato democratico su tutta la Palestina, mentre per altri solamente la
temporanea posticipazione dell'obiettivo strategico, ciò che traspare dalle dichiarazioni e dai
documenti di tutte le organizzazioni di resistenza è la consapevolezza storica della svolta
programmatica che si stava producendo. Per i sostenitori dell'autorità palestinese era ormai
chiaro che in mancanza di una base sicura era possibile ottenere risultati politici concreti solo
aumentando gli sforzi a livello diplomatico e facendo dolorose concessioni politiche. Questi
ultimi si possono ulteriormente suddividere tra chi concepiva l'autorità nazionale come una
presenza destabilizzatrice nella regione, vale a dire una base che fungesse da trampolino di
lancio per la continuazione della lotta di liberazione e per riprendere l'offensiva contro il
regime hashemita, e chi la concepiva come il primo decisivo passo verso la soluzione pacifica
del conflitto nel quadro della coesistenza tra Israele e un'entità statale palestinese su
Cisgiordania e Striscia di Gaza.
A partire dalla svolta programmatica sancita dal dodicesimo CNP, la corrente di
maggioranza dell'OLP utilizzerà l'obiettivo dello Stato democratico, le cui caratteristiche
sono tutt'altro che definite, sempre più come artificio retorico che serve un duplice scopo. Da
un lato, esso serve a riaffermare le credenziali rivoluzionare della leadership, accusata dagli
218
Gresh A., Storia dell'OLP, cit., p., 177-178.
Muslih M., Toward Coexistence: An Analysis of the Resolutions of the Palestine National Council, cit., p. 18.
220
Ibidem.
219
206
ambienti più intransigenti della resistenza di svendere i diritti storici dei palestinesi, così
come è utile per smorzare i timori dei palestinesi della diaspora che nell'autorità nazionale
vedono la rinuncia alla liberazione dei territori occupati nel 1948, da cui in gran parte
provengono. Dall'altro lato, la rinnovata fedeltà all'obiettivo dello Stato democratico
nasconde la disponibilità della corrente di maggioranza dell'OLP a scendere a compromessi
sui diritti storici del popolo palestinese, vale a dire il diritto al ritorno e
all'autodeterminazione su tutto il suolo patrio, per costruire un mini-stato palestinese
indipendente su Cisgiordania e Striscia di Gaza.
Anche dopo l'approvazione del "programma dei dieci punti", la cui formulazione è
sufficientemente ambigua da concedere un certo grado di elasticità tattica, la posizione
ufficiale della leadership dell'OLP rimase il "parlare per ultimi"221. LOLP non poteva
permettersi di compromettere la fragile unità dei suoi ranghi dicendo chiaramente quanto
fosse disposta a concedere, almeno fino a quando non avesse ottenuto un invito ufficiale al
tavolo negoziale con delle garanzie precise per i palestinesi. In un'intervista rilasciata a fine
ottobre, pochi giorni prima del vertice arabo di Rabat, Arafat dichiara che, poiché Israele non
ha ancora demarcato confini o presentato alcuna mappa sul ritiro dai territori occupati, la
resistenza non è tenuta a scoprire le carte prima del suo avversario: «If the side that obtains
territory by force refuses to put its cards on the table, why should we be expected to do
so?»222. Incalzato dall'intervistatore su quali siano precisamente le richieste dei palestinesi,
Arafat spiega che l'obiettivo generale della resistenza è chiaro: «Our strategic demand is a
democratic secular state in the whole of the territory of Palestine in which all the inhabitants
will live regardless of religion or race»223, e altrettanto chiaro è l'obiettivo intermedio
formulato nella recente sessione del CNP: «Our tactical demand is the right of this Palestinian
people to self-determination in their own land, along with this people's right to establish their
national authority in that territory»224, dove per "territorio" si intende ormai chiaramente le
aree della Palestina occupate da Israele nel giugno del 1967.
L'adozione di una linea programmatica più possibilista e più vicina alle posizioni
dell'Unione sovietica e degli alleati arabi permise all'OLP di incassare dei successi senza
precedenti a livello politico e diplomatico. In un comunicato congiunto con l'OLP dei primi
221
Gresh A, Storia dell'OLP, cit., p. 163-164.
Interview with Chairman of the Executive Committee of the Palestine Liberation Organization, Yasser
Arafat, in «Rose el-Youssef», Cairo, October 21, 1974, in «Journal of Palestine Studies», Documents and
Source Material, Vol. 4, No. 2, Winter, 1975, p. 174.
223
Ibidem.
224
Ibidem.
222
207
di agosto l'Unione Sovietica dichiara che l'unica pace giusta in Medio Oriente può essere
ottenuta per mezzo del ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967 «and the attainment of
the legal national rights of the Palestinian Arab people in accordance with the United Nations
Charter and resolutions»225, supporta la partecipazione dell'OLP alla conferenza di Ginevra
su base di parità con gli altri partecipanti e decide di aprire una rappresentanza ufficiale
dell'OLP a Mosca. L'OLP aveva già ottenuto il riconoscimento di legittimo rappresentante del
popolo palestinese dal Movimento dei non allineati e a Lahore nel febbraio del 1974 durante
il vertice dei paesi islamici. Nell'ottobre dello stesso anno l'OLP ottenne pieno
riconoscimento politico durante la settima conferenza dei Paesi arabi. In una risoluzione
dedicata alla questione palestinese, la conferenza afferma di riconoscere il diritto dei
palestinesi all'autodeterminazione e al ritorno alla loro patria e «the right of the Palestinian
people to establish an independent national authority under the command of the Palestine
Liberation Organization, the sole legitimate representative of the Palestinian people in any
Palestinian territory that is liberated»226.
Il 13 novembre il capo del Comitato esecutivo dell'OLP Yasir Arafat fu invitato a
parlare dinanzi all'Assemblea generale dell'ONU: il suo storico discorso227 sancisce il
riconoscimento della causa palestinese al più alto livello delle organizzazioni internazionali.
Il 22 novembre successivo le risoluzioni 3236 e 3237 dell'ONU riconobbero i diritti del
popolo palestinese all'autodeterminazione, all'indipendenza, alla sovranità nazionale e al
ritorno dei rifugiati, e garantirono all'OLP, rappresentante del popolo palestinese, lo status di
osservatore. Nel discorso Arafat si riferisce allo Stato democratico come a un "sogno" di
convivenza pacifica tra arabi ed ebrei sulla terra di Palestina. Dopo aver inserito il
movimento di liberazione palestinese all'interno delle lotte mondiali contro l'imperialismo e il
colonialismo, Arafat ribadisce: «we distinguish between Judaism and Zionism. While we
maintain our opposition to the colonialist Zionist movement, we respect the Jewish faith»228.
Il leader dell'OLP insiste sul carattere esclusivista e discriminatorio del sionismo, ribaltando
le accuse rivolte ai palestinesi dalla propaganda sionista: «Zionism is an ideology which is
imperialistic, colonialist, racist; it is profoundly reactionary and discriminatory; it is united
225
Joint Palestinian-Soviet Communique August 4, 1974, in «Journal of Palestine Studies», Documents and
Source Material, Vol. 4, No. 1, Autumn 1974, p. 203.
226
The Palestine Resolution of the Seventh Arab Summit Conference, Rabat, October 29, 1974, in , in «Journal
of Palestine Studies», Documents and Source Material, Vol. 4, No. 2, Winter, 1975, p. 178.
227
Il testo inglese, basato sul testo inglese ufficiale dell'ONU e da cui si attinge in questa sede, è apparso sul
«Journal of Palestine Studies», Palestine at the United Nations, Vol. 4, No. 2, Winter, 1975, pp. 181-194. Il
testo arabo è apparso su «al-Nahar» (Beirut), November 14, 1974.
228
Ivi, p. 187.
208
with anti-Semitism in its tenets and is the other side of the same coin»229. Per il sionismo la
soluzione del problema ebraico starebbe nell'alienazione degli ebrei dalle comunità o nazioni
di cui hanno fatto storicamente parte, e nel loro insediamento con la forza e il terrore nella
terra di un altro popolo: in questo modo il sionismo ha trasformato gli ebrei europei in
strumenti dell'aggressione contro il popolo palestinese.
Arafat ricorda la vicenda dell'ebreo rivoluzionario Ahud Adif230 che durante il suo
processo ha dichiarato davanti a un tribunale israeliano il suo sostegno per la creazione di uno
Stato democratico. Il leader dell'OLP si chiede:
Why therefore should I not dream and hope? For is not revolution the making real
of dreams and hopes? So let us work together that my dream may be fulfilled, that I
may return with my people out of exile, there in Palestine to live with this Jewish
freedom-fighter and his partners, with this Arab priest and his brothers, in one
democratic state where Christian, Jew and Muslim live in justice, equality,
fraternity231.
Dopo aver ricordato le sofferenze e le ingiustizie subite dai palestinesi, Arafat offre agli ebrei
"la più generosa delle offerte", la convivenza con i palestinesi su un piano di parità in uno
Stato democratico. Il leader dell'OLP chiarisce dinanzi all'Assemblea l'intenzione di accettare
tutti gli ebrei che risiedono in Palestina: «when we speak of our common hopes for the
Palestine of tomorrow we include in our perspective all Jews now living in Palestine who
choose to live with us there in peace and without discrimination»232. La rivendicazione dei
diritti dei palestinesi è inserita all'interno dei diritti riconosciuti dall'ONU. In attesa che il
"sogno" dello Stato democratico diventi realtà, Arafat si appella all'ONU affinché garantisca
ai palestinesi il diritto all'autodeterminazione, «consecrated in the United Nations Charter and
[…] repeatedly confirmed in resolutions adopted by this body»233, e il diritto al ritorno dei
profughi palestinesi affinché possano tornare a vivere nella propria patria godendo dei pieni
diritti di nazionalità e sovranità: «I appeal to you to enable our people to set up their national
authority and establish their national entity in their own land»234.
Il Fronte del rifiuto
229
Ivi, p. 184.
Nel febbraio del 1973 si avvia in Israele un processo che vede imputato, tra gli altri, Udi Adiv, appartenenti
al gruppo Revolutionary Communist alliance - Red Front, il cui obiettivo è la formazione in Israele di un fronte
militare composto di arabi ed ebrei e collegarsi alle attività dell'OLP.
231
Ivi, p. 191.
232
Ibidem.
233
Ibidem.
234
Ivi, p. 192.
230
209
La precaria intesa raggiunta durante la dodicesima sessione dell'OLP non durò a lungo. Il
FPLP rese subito noti i suoi malumori pubblicando la sua versione degli eventi del
dodicesimo CNP e la sua interpretazione del "programma dei dieci punti". Sul «PFLP
Bulletin», periodico inglese dell'organizzazione, il FPLP sostiene che le posizioni dei
"Geneva-bound diplomats", vale a dire la leadership dell'OLP vicina ad Arafat, sono state
seriamente contrastate prima e durante lo svolgimento dei lavori. Arafat, criticato per la sua
"intima relazione" con la leadership egiziana, ha impedito in tutti i modi l'emergere di una
coalizione intorno alle tesi del rifiuto: prima di tutto decidendo di non far circolare un
memorandum firmato da Hammuda (ex capo ad interim dell'OLP dopo le dimissioni di
Shuqayri) e da Abu Gharbiyya (ex membro del Comitato esecutivo dell'OLP), fortemente
critico della proposta di mini-Stato: non è possibile raggiungere un compromesso, dice il
memorandum, a meno che la resistenza non sia eliminata e la legittimità dello stato di Israele
sia riconosciuta in Medio Oriente; la creazione di un'entità palestinese è un mezzo per deviare
i palestinesi dalla strada della rivoluzione e, lungi dal rappresentare una base per la
liberazione, sarà utilizzata per procedere alla liquidazione del movimento nazionale235. In
aggiunta Arafat è stato responsabile di un'altra malefatta prima della convocazione della
sessione del CNP: la cooptazione, in violazione della procedura, degli otto membri
"deportati" dalla Cisgiordania, alcuni dei quali non hanno aderito ai principi della Carta
nazionale palestinese e al programma dell'undicesima sessione dell'OLP, ma che sono
sostenitori convinti del mini-Stato palestinese236.
L'articolo riporta poi la campagna di aggressione dei leader del FDPLP, definiti i
"cavalli di Troia" di Arafat, nei confronti del FPLP, definito una forza "nichilista, verbosa,
reazionaria". Visto che questi "re filosofi" non hanno avuto grande influenza nella
discussione, continua l'articolo, il fronte del rifiuto guidato dal FPLP conquistava alleati tra
gli indipendenti e tra i quadri di secondo e terzo grado di Fatah, col risultato di moderare le
posizioni dei sostenitori dell'autorità nazionale e riuscendo a proporre emendamenti e
proposte davanti al comitato politico237. Infine, il rischio di andare incontro a una scissione è
stato evitato da un accordo raggiunto all'ultimo momento, l'8 giugno, e reso pubblico il
giorno successivo, al quale il FPLP ha aggiunto una dichiarazione in cui spiega la sua
interpretazione dei "dieci punti". La dichiarazione elenca i cinque punti interpretativi ai quali
235
Fighting Authority: Yes, Deviationist State: No, in «PFLP Bulletin», 12 July-August 1974, Foreign relations
committee of the Popular front for the liberation of Palestinene, Beirut, p. 2.
236
Ivi, p. 3.
237
Ibidem.
210
il FPLP condiziona l'approvazione del testo finale: 1. Il rifiuto chiaro della risoluzione no.
242, al di là della terminologia usata nel programma approvato dal CNP, in quanto significa
la liquidazione della causa palestinese; 2. Il rifiuto chiaro di partecipare alla conferenza di
Ginevra, che implica la cessazione della resistenza armata; 3. La rivoluzione non può quindi
prendere parte ad alcun accordo negoziato; 4. «The national authority that we all struggle to
achieve is a true national authority [...] that can only be achieved through armed struggle and
the mass political struggle linked to it»238; 5. Il regime fantoccio reazionario di Giordania è
uno dei principali partecipanti nella cospirazione per un accordo negoziato e di conseguenza
uno dei principali compiti consiste nella creazione di un regime nazionale democratico in
Giordania.
Le posizioni del FPLP erano contenute nel programma alternativo presentato
dall'organizzazione durante la dodicesima sessione. Nel testo si esplicita la necessità di lottare
per far fallire la conferenza di Ginevra e tutte le altre iniziative basate sulla risoluzione n.
242; sconfiggere i compromessi capitolatori basati su un'autorità o Stato palestinese su parti
della Palestina, considerati una distorsione della causa palestinese; rifiutare qualsiasi
negoziato col nemico sionista; imporre la sovranità palestinese su qualsiasi terra liberata, allo
scopo di continuare la lotta armata, e sottolineare che qualsiasi entità palestinese frutto di un
compromesso basato sulle risoluzioni 242 o 338 del Consiglio di Sicurezza non può che
essere un'autorità reazionaria o capitolazionista239. In sostanza, la principale differenza tra il
testo del FPLP e il programma ufficiale approvato dal dodicesimo CNP sta nella mancanza,
in quest'ultimo, del rifiuto esplicito dell'opzione negoziale.
Già poche settimane dopo la chiusura del CNP, incalzato da un comunicato congiunto
giordano-egiziano240, il FPLP pubblicò un duro comunicato in cui ribadiva la sua
interpretazione dei "dieci punti": rifiuto della risoluzione no. 242, rifiuto di partecipare alla
conferenza di Ginevra, rifiuto di qualsiasi compromesso negoziale e di qualsiasi autorità
negoziale che non sia il frutto della lotta armata, rifiuto di qualsiasi contatto con la monarchia
238
Our Understanding of the PLO Program, in «PFLP Bulletin», cit, p. 6.
PFLP Alternative Program, in «PFLP Bulletin», cit, p. 5.
240
Nel comunicato congiunto le parti dichiarano che per assicurare una pace giusta e duratura nell'area occorre
lottare per «the just goal of withdrawal of the Israeli forces from all the occupied Arab lands including Arab
Jerusalem and the achievement of the legal rights of the Palestinian people», collegando così i diritti "legali" dei
palestinesi alritoro dai territori occupati da Israele nel giugno 1967. La parte più controversa del comunicato,
che costituisce un passo indietro rispetto alle risoluzioni segrete stipulate nel vertice arabo di Algeri, è quando le
parti annunciano che «the Palestine Liberation Organization is the legal representative of the Palestinians, with
the exception of the Palestinians in the Hashemite Kingdom of Jordan». Infine, il comunicato esprime «the
necessity of the participation of the Palestinian Liberation Organization independently in the Geneva
Conference at the appropriate stage». In Joint Communique Issued by the Egyptian and Jordanian Governments
in Cairo and Amman, July 18, 1974, «Journal of Palestine Studies», Vol. 4, No. 1, Autumn 1974, p. 192.
239
211
giordana. In un comunicato del 28 luglio indirizzato al Comitato esecutivo dell'OLP, il FPLP,
il FPLP-CG e il FLA dichiarano che il comunicato congiunto fu il risultato dell'approccio
sterile e subalterno tenuto della leadership dell'OLP nei confronti del regime egiziano e degli
altri regimi arabi capitolazionisti241. Le posizioni del FPLP furono ulteriormente chiarite dal
segretario generale George Habash su «al-Hadaf», il 4 agosto 1974. Uno dei principali
sviluppi a livello internazionale, afferma Habash, è stato il ritorno dell'influenza statunitense
nell'area in seguito alle proposte di compromesso generale basate sulle risoluzioni 242 e 338
del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, il che ha determinato a sua volta un avvicinamento
dell'Unione Sovietica alle posizioni arabe. A livello arabo invece, gli accordi di disimpegno
sui fronti siriano ed egiziano hanno privato questi due paesi del loro potere di deterrenza
militare. Alla luce di questa situazione, è prevedibile che gli statunitensi facciano ulteriori
passi verso una soluzione di compromesso che protegga i suoi interessi nella regione: «in
return for every piece of land recovered by the Arab side, the Arabs are required to pay the
price to the imperialistic powers and Israel - part of this price paid to imperialism and part to
Israel»242. Habash ci tiene a sottolineare l'esistenza all'interno dell'OLP di due linee politiche
contraddittorie, rimarcate dall'assenza del FPLP nella delegazione dell'OLP in visita ufficiale
a Mosca:
One political line says that the only way open for the resistance movement is to
enter into the framework of the political solution and to struggle within this framework to achieve whatever is possible. On the other hand, there is another line that
believes in the continuity of the revolution and in staying away from political
settlements in spite of the imperialistic powers' proposed dissolution attempts and
plots243.
Nonostante l'unilateralismo nel processo decisionale dell'OLP, continua Habash, è necessario
mantenere l'unità nazionale e lavorare all'interno dell'organizzazione per impedire la sua
partecipazione a un compromesso generale. Il FPLP sarà parte dell'OLP fino a quando
quest'ultima rimarrà al di fuori del quadro di riferimento della conferenza di Ginevra.
Nel settembre del 1974 le tensioni si risolsero definitivamente in aperta rottura. Il 21
settembre l'OLP pubblicò, insieme a Egitto e Siria, un comunicato congiunto in cui i diritti
palestinesi erano collegati al recupero dei territori arabi occupati, in cui si sosteneva la
creazione di un'autorità palestinese indipendente nei territori liberati tramite mezzi politici o
241
Memorandum ssued bu the PFLP, the Arab Liberation Front and the PFLP-GC to the Executive Committee
of the PLO pn the Egypt-Jordan joint communiqué, in IDP 1974, cit., pp. 474-475.
242
Interview with General Secretary of the Popular Front for the Liberation of Palestine, Dr. George Habbash,
in «al-Hadaf», Beirut, August 3, 1974, in «Journal of Palestine Studies», Documents and Source Material, Vol.
4, No. 1, Autumn, 1974, p. 200.
243
Ivi, p. 201.
212
militari. Agli occhi dei più intransigenti era evidente la disponibilità a limitare l'esercizio dei
diritti palestinesi ai "territori liberati", vale a dire Cisgiordania e Striscia di Gaza, e a
perseguire la via negoziale. Il 26 settembre il FPLP annunciò il ritiro dal Comitato esecutivo
dell'OLP in una conferenza stampa tenuta da Ahmad Yamani (Abu Mahir), rappresentante
del FPLP al Comitato esecutivo, al campo profughi di Shatila. Nel comunicato si legge che il
FPLP si ritira dagli organi decisionali dell'OLP «so as to avoid bearing the responsibility for
the historical deviation that is being pursued by the command of the Organization»244. Dopo
un'attenta analisi della situazione, continua il comunicato, il FPLP è giunto alla conclusione
che il compromesso che si sta preparando nella regione non può che essere un compromesso
liquidazionista, la cui conseguenza sarà «on the one hand, the expansion and extension of
American imperialist influence in the area and, on the other, the establishment of Israel's
legality and the safeguarding of her future and her security»245. Inoltre, ci sono stati ripetuti
tentativi spingere l'OLP a prendere parte a questo accordo imperialista, sia per far sì che la
soluzione duri il più a lungo possibile sia per coprire la volontà al compromesso di certi
regimi arabi246.
La leadership dell'OLP, continua il comunicato, ha dimostrato ripetutamente la
volontà di prender parte al compromesso, rigettando gli inviti del FPLP a consolidare l'unità
nazionale sulla base del netto rifiuto di partecipare alla conferenza di Ginevra e della
riaffermazione della linea rivoluzionaria, e rifiutando di prendere una posizione col pretesto
di non aver ricevuto nessun invito ufficiale. In aggiunta, la formulazione dei dieci punti si è
rivelata in realtà una trappola: lungi dal tenere in considerazione le richieste del FPLP di
includere nel verbale della seduta la sua interpretazione dei dieci punti, la leadership ha
interpretato il testo in base alla sua linea politica, che è in contraddizione sia con la Carta
nazionale palestinese sia con le risoluzioni dei precedenti Consigli nazionali. La leadership
dell'OLP ha anche cercato di stabilire un coordinamento con il regime reazionario di
Giordania ed ha avviato dei contatti segreti con gli Stati Uniti senza sottoporre la questione
agli organi dell'OLP. Inoltre, ha presentato la lotta come se si trattasse di una
contrapposizione tra Israele e la Giordania da una parte e l'OLP dall'altra, e all'interno di
questo quadro quest'ultima avrebbe dovuto determinare il tipo di alleanze. Al contrario, la
corretta visione della lotta mostra come si stratti in realtà di «a continuous battle between
244
Statement Issued by the Popular Front for The Liberation of Palestine, Beirut, September 26, 1974,
pubblicato su «al-Hadaf» (Beirut), September 28, 1974, in «Journal of Palestine Studies», Documents and
Source Material, Vol. 4, No. 2, Winter, 1975, p. 165.
245
Ibidem.
246
Ivi, p. 166.
213
Israel, Jordan, Arab reaction and the forces that advocate surrender, on the one hand, and the
masses of the Palestinian and Arab revolution, on the otlher»247.
Alla luce di tutto questo, prosegue il comunicato, è necessario che il FPLP si ritiri
dagli organi decisionali dell'OLP, anche se mantiene la presenza all'interno del CNP allo
scopo di rettificare il corso deviazionista intrapreso dalla leadership. L'obiettivo del FPLP,
conclude il comunicato, è la costruzione di una vera unità nazionale, basata sul rifiuto
incondizionato della conferenza di Ginevra e di tutte le soluzioni che comportano la
legalizzazione della presenza israeliana nell'area: «The revolution must continue until the
fascist Zionist racist entity established in the land of Palestine is smashed, and along with it
the reactionary Arab regimes linked to imperialism in Jordan and elsewhere»248, anche se il
prezzo sarà una lotta che durerà decenni e costerà la vita a milioni di martiri palestinesi. Il
FPLP chiude ribadendo le sue credenziali rivoluzionarie:
We shall continue to employ the method of armed struggle and all methods of
struggle linked thereto until we succeed in eliminating the Zionist entity and the
subservient regime in Jordan, and in establishing a democratic Arab society in
Palestine as part of a comprehensive and unified democratic Arab society249.
L'obiettivo della creazione di una società democratica in Palestina, organicamente legata a
una più ampia società democratica araba, permette al FPLP di riaffermare il principio della
liberazione di tutta la Palestina e della distruzione dell'entità sionista per mezzo della lotta
armata. Coerentemente alle convinzioni nazionaliste arabe del FPLP, Habash parla di società
e non di Stato, rimarcando il legame organico tra movimento di liberazione palestinese e
movimento di liberazione arabo. È importante evidenziare che il FPLP, inizialmente
sfavorevole alla proposta di Stato democratico palestinese avanzata da Fatah, utilizza in
questa fase la parola d'ordine di società o soluzione democratica palestinese per combattere la
nuova linea politica della corrente di maggioranza dell'OLP, favorevole alla creazione di
un'autorità nazionale su parti della Palestina, ed ergersi a garante dei diritti storici
fondamentali del popolo palestinese alla liberazione di tutta la Palestina e al ritorno dei
profughi.
Il giorno seguente anche il FPLP-CG e il FLA dichiararono il loro appoggio alla
scelta del FPLP. Le basi per la formazione del Fronte del rifiuto erano poste: il 10 ottobre
FPLP, FPLP-GC, ALF e il FLPP annunciano la formazione del Fronte delle forze palestinesi
247
Ivi, p. 169.
Ivi, p. 166.
249
Ivi, p. 170.
248
214
per il rifiuto delle soluzioni di resa, con l'appoggio di Iraq e Libia250. L'8 novembre
indirizzano un memorandum al presidente del CNP in cui esprimono la necessità di
convocare una sessione straordinaria per discutere la linea politica della leadership dell'OLP
considerato che quest'ultima: 1. Sta seguendo la linea del compromesso politico reazionario
avanzato dagli Stati Uniti, facilitandone l'implementazione 2. Sta cercando di raggiungere un
accordo di coordinamento con il regime reazionario giordano, violando le risoluzioni del
CNP che chiedevano il suo rovesciamento 3. Sta cooperando con i regimi arabi pronti alla
resa, malgrado sia noto che il loro obiettivo di lungo termine sia il disarmo della resistenza,
che costituisce una minaccia per la loro esistenza 4. Sta dirigendo i suoi sforzi per far parte
degli accordi internazionali che porteranno alla coesistenza con e al riconoscimento dello
stato usurpatore.
Sulla base di queste posizioni le organizzazioni del rifiuto boicottarono la delegazione
dell'OLP al vertice arabo di Rabat e all'Assemblea generale dell'ONU. In una conferenza
stampa tenuta a Beirut alla vigilia del vertice arabo di Rabat, che riconoscerà l'OLP come
unico legittimo rappresentante del popolo palestinese, il segretario generale del FPLP Habash
spiega le ragioni del ritiro della sua organizzazione dal Comitato esecutivo dell'OLP. L'unica
soluzione giusta e duratura nella regione, afferma Habash, consiste nella creazione di una
società democratica in Palestina che includa anche gli ebrei: «The Palestinian revolution's
slogan of a democratic society in Palestine is the only way to the freedom and progress of all
the inhabitants of the area, including the Jews themselves»251. Il leader del FPLP prosegue
distinguendo l'arena araba in due campi: da una parte quei regimi arabi reazionari, asserviti
allineati alla proposta di Kissinger di terminare lo stato di guerra con Israele in cambio della
promessa di un ritiro da certi territori arabi; dall'altra ci sono quei regimi arabi nazionalisti,
progressisti e antimperialisti, come l'Iraq, Algeria, lo Yemen democratico e la Libia, inclini
ad appoggiare la guerra popolare di liberazione nazionale. Ritirandosi dal Comitato
esecutivo, ma non dal CNP, il FPLP lotta per correggere la linea di compromesso adottata
dall'OLP e caldeggiata da Arabia Saudita ed Egitto, e allo stesso tempo presenta un
programma alternativo in cui l'OLP assume il ruolo di avanguardia nella guerra popolare di
liberazione con l'appoggio delle classi oppresse e dei regimi arabi nazionalisti e progressisti.
250
Sayigh Y., Armed Struggle and the Search of State, cit., p. 344.
Statement Issued by General Secretary of the Popular Front for The Liberation of Palestine, Dr. George
Habbash, at a Press Conference in Beirut, October 25, 1974, in « Journal of Palestine Studies», Documents and
Source Material, Vol. 4, No. 2, Winter, 1975, p. 175.
251
215
CONCLUSIONI
In sintesi, si può affermare che l’emergere del MRP mise direttamente in discussione lo status
quo sul quale si reggeva il sistema statuale postcoloniale mediorientale. Le organizzazioni del
MRP rappresentavano una minaccia per l’ordine economico, sociale e politico degli Stati in
cui si trovavano: l'agenda sociale e politica delle organizzazioni del MRP minava alla base le
fragili strutture statali dei Paesi arabi, metteva in gioco nuove forze e favoriva la
radicalizzazione di quelle già esistenti. In questa prospettiva si possono interpretare gli eventi
che portarono al Settembre nero in Giordania, quando il regime conservatore della monarchia
hashemita – insieme ai leader tribali che formavano l’elite politica e militare - vide nel
consolidamento di un movimento nazionalista palestinese radicale una minaccia diretta alla
sovranità dello Stato e procedette all’eliminazione militare dei fida'iyyin. Similmente, nel
caso del Libano, l’ideologia politica progressista e non settaria del MRP, il supporto popolare
intersettario di cui godeva (tra le masse rurali sciite del sud, la popolazione sunnita urbana, le
forze cristiane progressiste) l’effetto catalizzatore che esercitava sulle forze della sinistra
libanese (in particolare il Movimento nazionale libanese, coalizione di partiti guidata dal
leader druso Kamal Jumblatt), rimettevano in discussione gli equilibri di un sistema basato
sul settarismo e sui privilegi di casta (difeso dalla borghesia urbana sunnita, dai leader feudali
rurali sciiti, dalla destra cristiana falangista e conservatrice)1.
Tuttavia, in seguito alla guerra dell'ottobre 1973, il MRP fu costretto ad accettare una
realtà regionale composta da Stati-nazione ormai consolidati, in cui prevaleva di gran lunga la
ragion di Stato alle questioni della liberazione della Palestina, dell'unità araba o della
rivoluzione sociale. Per sopravvivere in un contesto regionale sempre più ostile, la leadership
dell'OLP accantonò gli obiettivi di cambiamento radicale del mondo arabo, concentrò il
discorso politico e le azioni militari sulla liberazione della Palestina ed entrò nel gioco delle
alleanze nel sistema politico arabo ed internazionale.
Il pensiero palestinese di resistenza seguì una traiettoria simile: nella misura in cui
inserì la lotta palestinese in una dimensione araba e globale ringiovanì le ideologie
nazionaliste e della sinistra araba e funse da veicolo per la penetrazione in Medio Oriente di
varie correnti ideologiche. Nel momento in cui la corrente di maggioranza dell'OLP formulò
concreti obiettivi territoriali, il pensiero palestinese di resistenza si fece sempre più statalista e
perse gradualmente la sua ascendenza sui circoli intellettuali arabi radicali. A partire dalla
1
Brynen R., Sanctuary and Survival: The PLO in Lebanon, cit.
guerra del 1973, una serie di condizionamenti esterni (la mancanza di una base territoriale, i
limiti imposti dal sistema statale arabo alle attività dei fida'iyyin, la posizione dell'Unione
Sovietica in favore di una soluzione politica, l'unicità di Israele in quanto potenza coloniale di
insediamento appoggiata dalla principale superpotenza mondiale)2 spinsero l'OLP verso
cambiamenti strutturali e programmatici che ne alterarono natura e fini: da movimento di
liberazione nazionale che praticava la lotta di guerriglia per la liberazione di tutta la Palestina
dalla presenza sionista, l'OLP si trasformò progressivamente in un'istituzione protostatale
che, utilizzando una combinazione di lotta armata e diplomazia, mirava alla creazione di uno
Stato palestinese indipendente e sovrano sui territori occupati da Israele nel giugno 1967.
La disfatta militare in Giordania e la nuova situazione emersa in seguito alla guerra di
ottobre spinsero il MRP a un ripensamento generale degli obiettivi e dei metodi di
liberazione, in parte abbozzati durante la dodicesima sessione dell'OLP e chiariti
definitivamente tre anni dopo, nella tredicesima sessione. La creazione dello Stato
democratico, obiettivo strategico dell'OLP, lasciò gradualmente il posto alla creazione di
un'autorità palestinese indipendente su parti della Palestina come obiettivo intermedio nella
lotta di liberazione.
In una conferenza tenuta a Londra nel dicembre 1974, l'ex segretario generale
dell'Unione degli studenti palestinesi di Parigi, Ibrahim Sous, fornisce un bilancio della
politica dell'OLP in seguito alla guerra d'ottobre. La leadership dell'OLP aveva ottenuto un
certo numero di risultati politici: l'unità nazionale palestinese attorno ad un programma
minimo di azione con l'approvazione del "programma dei 10 punti"; l'allargamento delle
alleanze internazionali con la visita di Arafat a Mosca e il consolidamento dei legami tra
Unione Sovietica e OLP; l'isolamento della Giordania e il rafforzamento dello status dell'OLP
con il vertice arabo di Rabat; la legittimazione degli obiettivi palestinesi con l'apparizione di
Arafat all'Assemblea generale dell'ONU3.
Il nuovo corso programmatico inaugurato dalla corrente di maggioranza dell'OLP,
sostiene Sous, aveva inasprito le contraddizioni interne al MRP, facendo emergere quattro
posizioni differenti: i sostenitori della linea sovietica, secondo cui bisognava riconoscere lo
Stato di Israele e concentrare gli sforzi nello sviluppo della lotta di classe dentro Israele e nei
Paesi arabi; i favorevoli al riconoscimento di Israele sotto certe condizioni e alla creazione di
2
Rubenberg C., The Structural and Political Context of the PLO's Changing Objectives in the Post-1967
Period, in The Arab-Israeli Conflict. Two Decades of Change, Lukacs Y., Battah, A. M. (eds), Westview Press,
Boulder, p. 97.
3
«Arab Report and Record», 1-15 December 1974, p. 565.
217
uno Stato in Cisgiordania e Striscia di Gaza; la posizione della corrente di maggioranza
dell'OLP, contraria al riconoscimento di Israele, ma favorevole alla creazione di un'autorità
palestinese indipendente su ogni parte di Palestina liberata dall'occupazione con qualsiasi
mezzo, e che funga da base per la continuazione della liberazione e da presenza
destabilizzatrice nei confronti del regime hashemita di Giordania; infine, i sostenitori del
Fronte del rifiuto, contrari a qualsiasi soluzione parziale e alla creazione di uno Stato
palestinese 4.
Le due principali posizioni - favorevoli e contrari all'autorità nazionale - nascevano da
due diverse valutazioni della situazione emersa in seguito alla guerra di ottobre e dei rapporti
di forza tra la resistenza palestinese, il mondo arabo e gli attori internazionali. Per la corrente
di maggioranza dell'OLP, alla luce dei rapporti di forza esistenti, la creazione di un'autorità
palestinese indipendente era l'unica alternativa che avrebbe impedito al regime hashemita o ai
notabili della Cisgiordania di parlare a nome dei palestinesi, oltre a costituire il massimo
risultato raggiungibile in caso di accordo tra gli Stati arabi e Israele. L'autorità nazionale era
considerata l'obiettivo intermedio necessario per proseguire la lotta di liberazione ed
avvicinarsi alla creazione dello Stato democratico su tutta la Palestina. Per le forze riunite
attorno al Fronte del rifiuto, qualsiasi soluzione frutto di negoziati avrebbe comportato la
cristallizazione dello status quo a favore degli Stati arabi, di Israele e degli Stati Uniti,
snaturando la lotta palestinese. Considerate le condizioni prevalenti sfavorevoli alla
resistenza, il raggiungimento di qualsiasi obiettivo intermedio avrebbe perciò implicato la
sostituzione dell'obiettivo strategico dello Stato democratico con un'autorità nazionale che
avrebbe facilitato ad Israele il controllo e la repressione del movimento di liberazione
palestinese.
Nel periodo tra il dodicesimo e il tredicesimo CNP, cioè tra il giugno 1974 e il marzo
1977, la corrente di maggioranza dell'OLP chiarì ulteriormente le sue posizioni, sancendo il
passaggio dalla rivendicazione dell'autorità nazionale su ogni parte di territorio liberata a
quella di uno Stato nazionale indipendente. Lo Stato democratico fu relegato al rango di
sogno, di esito auspicabile di lungo termine della lotta di liberazione, perdendo qualsiasi
prospettiva di concretezza e fattibilità agli occhi dei dirigenti palestinesi. Nel gennaio 1975
Arafat constatava con rammarico che il "sogno" della Palestina unificata e democratica, della
"coesistenza pacifica in fraternità ed eguaglianza" tra gli arabi e gli ebrei di Palestina,
proposto nell'intervento all'Assemblea Generale dell'ONU, nel novembre 1974, non aveva
4
Ibidem.
218
avuto alcun seguito in Israele ed era stato addirittura bersaglio della propaganda sionista, che
aveva rispolverato l'ignobile tesi secondo cui i palestinesi volevano "buttare a mare gli
ebrei"5. Non c'è dubbio che per la leadership dell'OLP la proposta di Stato democratico aveva
cessato di rappresentare un'orizzonte politico realistico e praticabile nel breve periodo. Di
seguito si esporranno molto brevemente le principali posizioni all'interno MRP sullo Stato
democratico nel periodo tra il dodicesimo e il tredicesimo CNP dell'OLP.
Sabri Jiryis fu tra i primi membri del CNP a sostenere apertamente l'opzione dei due
Stati come soluzione pacifica del conflitto con Israele e alternativa alla lotta armata. In una
conferenza stampa del giugno 1975, il futuro direttore del Centro di ricerche dell'OLP delinea
l'auspicabilità e la fattibilità di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel
giugno 1967. La creazione di uno Stato palestinese ha già il supporto della maggioranza dei
membri del PNC, dichiara Jiryis, e incontrerebbe il favore del 95% dei palestinesi della
Cisgiordania, anche se riconosce che fuori dai territori occupati il consenso diminuisce. Poi
spiega la sua contrarietà all'obiettivo dello Stato unico in tutta la Palestina, che egli accetta in
linea teorica, ma respinge nella pratica: «Even if we had a single democratic state now, the
Arabs would be of a lower class, attached to the Israeli economy»6. Prima che le condizioni
siano mature per una discussione seria su uno Stato unico, i palestinesi hanno bisogno di
almeno 20 o 25 anni di sviluppo separato in uno Stato pienamente indipendente - onde evitare
la dominazione israeliana - per risolvere i gravi problemi sociali ed economici nei territori
occupati. Solamente alla fine di questo processo si giungerebbe al riconoscimento tra i due
Stati, ma nella fase attuale è ancora prematuro chiedere ai palestinesi un pieno
riconoscimento di Israele: «full recognition would mean giving up rights to land and homes
inside Israel and abandoning the democratic state idea»7. L'idea di Stato democratico è
considerata infattibile e irrealistica, da riprendere solamente in un futuro lontano, ma non per
questo deve essere invalidata, in quanto ciò comporterebbe la rinuncia ufficiale e definitiva ai
diritti storici palestinesi al ritorno e all'autodeterminazione su tutto il suolo patrio.
La posizione ufficiale dell'OLP venne ribadita nel novembre dello stesso anno da
Faruq Qaddumi, membro del Comitato esecutivo dell'OLP: l'obiettivo transitorio della
creazione di uno Stato indipendente su parti della Palestina era considerato funzionale
5
Press Interview Statement by Executive Committee Chairman Arafat of the PLO Reviewing the Current
Situation and Discussing the Policy Options of the Palestinian Resistance, in «IDP 1975», The Institute for
Palestine Studies and The University of Kuwait, Beirut 1977, p. 368.
6
Press Interview Statement by Palestine National Council Member Jiryis Discussing his Views on the Direction
of the Future Struggle and a Two-State Solution to the Arab-Israeli Conflict, in «IDP 1975», cit., p. 426.
7
Ivi, p. 427.
219
all'obiettivo strategico dello Stato democratico non settario su tutto il suolo patrio. In un
intervento all'Assemblea Generale dell'ONU, Qaddumi dichiara: «the events taking place in
Lebanon test the credibility of our strategic slogan and vision, our vision for the
establishment of a democratic non-sectarian State with a unified society»8. I nemici della
rivoluzione palestinese tentano di distruggerla aizzando il conflitto confessionale in Libano,
ma il legame nazionale tra il popolo palestinese e il popolo libanese sta dimostrando che il
secolarismo e l'unità nazionale sono più forti del confessionalismo. Qaddumi presenta la
visione palestinese di Stato democratico come l'antitesi del sionismo in quanto ideologia
razzista e altra faccia dell'antisemitismo (riprendendo le argomentazioni avanzate nel celebre
discorso di Arafat un anno prima)9, che tenta di manipolare la fede ebraica confondendola
con l'ideologia sionista. Nel suo ragionamento stabilisce una relazione diretta tra l'obiettivo
intermedio dell'autorità nazionale e l'obiettivo strategico dello Stato democratico:
We declare clearly and explicitly before you our unfaltering adherence to the goal
of establishing a national authority in order to found a secular democratic State in
all of Palestine, where all of us - Moslems, Christians and Jews - can dwell together
in brotherhood, equality and openness to the world, and live free from any fear of
anxiety10.
Qaddumi conclude il discorso enunciando chiaramente che al popolo palestinese deve essere
fornita l'opportunità di esercitare il legittimo diritto all'autodeterminazione attraverso la
creazione di «an independent State on its national soil»11.
Il FDLP12 chiarì la sua posizione nel programma politico approvato dal Comitato
centrale nell'ottobre del 1975 (reso pubblico nel febbraio 1976). La rivoluzione palestinese, si
legge nel programma, si trova ancora in una fase di rivoluzione nazionale democratica che,
per essere risolta e procedere alla fase successiva di sviluppo socialista, necessita di una
soluzione radicale al problema della frammentazione nazionale e dello sradicamento del
popolo palestinese. Questa soluzione consiste nell'esercizio del diritto di autodeterminazione
su tutto il suolo nazionale, il che significa lottare per ottenere l'indipendenza nazionale del
8
Speech by PLO Executive Committee Member Faruq Qaddumi Made before the UN General Assembly, in
«IDP 1975», cit., p. 507.
9
Qaddumi tiene il suo discorso pochi giorni prima che l'Assemblea Generale approvi la risoluzione no. 3379
che equipara il sionismo a una "forma di razzismo e di discriminazione razziale". Il testo della risoluzione, che
costituisce senza dubbio una vittoria del discorso palestinese sul conflitto, è disponibile nell'archivio on line
dell'ONU all'indirizzo: http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/761C1063530766A7052566A2005B74D1 .
10
Speech by PLO Executive Committee Member Faruq Qaddumi Made before the UN General Assembly, cit.,
p. 510.
1111
Ibidem.
12
Nel 1974 l'organizzazione decise di eliminare la parola "popolare", diventando Fronte Democratico per la
Liberazione della Palestina (FDLP).
220
popolo palestinese dalle tendenze annessionistiche hashemite e lottare «for the establishment
of a unified democratic state in Palestine, opposed to Zionism and imperialism, where Arabs
and Jews co-exist within the framework of complete national equality»13.
Per giungere alla soluzione radicale bisogna prima realizzare una serie di obiettivi
politici concreti: 1. Il riconoscimento di un'esistenza nazionale indipendente al popolo
palestinese e l'esercizio del diritto di autodeterminazione «within the framework of an
independent national State»14; 2. Il riconoscimento del diritto al ritorno e al ripossesso dei
beni dei profughi arabi; 3. L'abolizione della Legge del ritorno15 e lo smantellamento di tutte
le istituzioni sioniste; 4. L'abolizione di tutte le forme di discriminazione e l'introduzione di
garanzie costituzionali che assicurino l'uguaglianza e la coesistenza su un piano di parità
all'interno di uno Stato democratico unificato. Solamente lo sviluppo della lotta palestinese e
araba contro il sionismo sarà in grado di acuire le contraddizioni all'interno della società
israeliana, gettare le basi della lotta comune tra ebrei antisionisti e palestinesi e convincere gli
ebrei che l'unica soluzione è la convivenza in uno Stato democratico16.
L'evoluzione del dibattito sullo Stato democratico nel MRP andava di pari passo con
le risoluzioni adottate dai vari CNP dell'OLP. La quinta sessione (febbraio 1969) menzionò
per la prima volta l'obiettivo di creare in Palestina una "società libera e democratica" per
"musulmani, cristiani ed ebrei"; nella sesta (settembre 1969) l'obiettivo era uno "Stato
democratico palestinese"; l'ottava (febbraio-marzo 1971) ribadì l'obiettivo dello "Stato
democratico palestinese", sebbene concepito nel quadro della "unità delle due rive del
Giordano", mentre l'undicesimo (gennaio 1973) chiedeva la creazione di una "società
democratica" in cui "tutti i cittadini" avrebbero vissuto in "uguaglianza, giustizia e fraternità".
La svolta storica nel pensiero politico e nel programma dell'OLP arrivò con il
dodicesimo CNP (giugno 1974), che accettò la creazione di "un'autorità nazionale" su "ogni
parte di territorio palestinese liberato" come tappa intermedia verso la realizzazione
dell'obiettivo strategico, la creazione dello Stato democratico palestinese su tutto il suolo
patrio. Per la prima volta nella storia del movimento nazionale palestinese si ventilava
l'ipotesi di dividere la Palestina. Il tredicesimo CNP, tenuto al Cairo nel marzo del 1977,
elaborò ulteriormente il concetto di autorità nazionale, rivendicando la creazione di uno Stato
13
Political Programme Adopted by the Central Committe of the Democratic Front for the Liberation of
Palestine, in «IDP 1975», cit., p. 475.
14
Ibidem.
15
La Legge del ritorno è una legge approvata dal Parlamento israeliano nel 1950 che garantisce la cittadinanza
ad ogni persona di discendenza ebraica nel mondo qualora si trasferisca in Israele.
16
Ivi, pp. 475-478.
221
nazionale indipendente in Cisgiordania e Striscia di Gaza (che non sono però chiaramente
indicati come i territori del futuro Stato).
La tredicesima seduta si tenne nel mezzo del coinvolgimento palestinese nella guerra
civile libanese e in seguito agli Accordi del Sinai tra Egitto e Israele, che ruppero la posizione
unitaria araba, isolando l'Egitto dal resto del mondo arabo (e in particolare dall'OLP e dalla
Siria). Nel suo discorso di apertura Arafat cercò di ottenere il consenso del CNP sulla
rivendicazione esplicita di sovranità palestinese, che avrebbe rappresentato un passo in avanti
rispetto al programma transitorio approvato durante la precedente sessione: mentre il
dodicesimo CNP del giugno 1974 sosteneva la creazione di un'autorità nazionale palestinese
su ogni parte di territorio liberata, la tredicesima sessione più chiaramente enunciava
l'obiettivo di creare uno Stato palestinese sovrano sui territori evacuati da Israele. Questo,
secondo il leader dell'OLP, sarebbe stato in linea con le risoluzioni 3236 del novembre 1974
e 31/20 del novembre 197617, che definivano i limiti della sovranità palestinese (i territori
occupati da Israele nel giugno 1967) senza implicare la rinuncia allo Stato democratico su
tutta la Palestina, e avrebbe massimizzato il consenso internazionale per i palestinesi e
armonizzato le politiche dei Paesi arabi con quelle dell'OLP a livello regionale. Arafat
giustifica i contatti tra esponenti dell'OLP e rappresentanti dell'Israeli Council for Peace18,
che avevano attirato molte polemiche, all'interno dello sforzo necessario per chiarire i
principi della resistenza e presentare agli ebrei l'obiettivo dello Stato democratico non settario
in Palestina, in cui ebrei, musulmani e cristiani avrebbero goduto di pari diritti di
cittadinanza19.
Benché non menzionato nelle risoluzioni e nella dichiarazione politica della
tredicesima sessione, l'idea di Stato democratico, oltre che nel discorso di Arafat, viene
ricordata nel comunicato conclusivo dell'ufficio del presidente del CNP20:
17
La risoluzione no. 3236 riconosceva il diritto del popolo palestinese, definito "parte principale
nell'instaurazione di una pace giusta e durevole in Medioriente", all'autodeterminazione secndo i principi della
Carta delle Nazioni Unite, garantiva ai palestinesi il diritto alla sovranità, all'indipendenza nazionale e ribadiva
il
diritto
al
ritorno
dei
profughi.
Il
testo
è
disponibile
all'indirizzo:
http://domino.un.org/UNISPAL.NSF/0/025974039acfb171852560de00548bbe . La risoluzione 31/30 ribadisce i
diritti inalienabili del popolo palestinese al ritorno, all'indpendenza nazionale e alla sovranità.
18
Tra i fondatori, che appartenevano al campo sionista moderato, il generale Matti Peled, che era stato un
membro dello stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane nel 1967, il giornalista Uri Avnery e l'economista
Ya'akov Arnon, ex capo della Federazione sionista olandese e direttore generale del Ministero delle Finanze
israeliano. Si veda: http://otherisrael.home.igc.org/ICIPP.html .
19
Abu-Lughod I., Renewed Commitment and Positive Pragmatism: the Thirteenth Session of the Palestine
National Council, Association of Arab-American University Graduates, Detroit 1977.
20
Alla presidenza fu eletto Khalid al-Fahum, già membro del Comitato esecutivo, considerato vicino alla Siria.
In Ibidem.
222
The Palestine National Council also affirms its adherence to the strategic goal of
[...] the liberation of Palestine from racist Zionist occupation, to make it the
homeland of the people of Palestine where they may establish a democratic
Palestinian state in which all citizens live without discrimination as regards religion,
colour or sex in an atmosphere of tolerance, peace and fraternity21.
Il comunicato ribadisce che la Palestina del domani includerà tutti gli ebrei che vorranno
vivere in pace e senza discriminazioni in Palestina e che rinunceranno alle attitudini razziste
proprie del sionismo. Inoltre, l'OLP riconosce il diritto di ogni ebreo a una vita decente nella
propria patria, e a tal fine si è impegnata insieme agli Stati arabi a garantire il rispetto di
questo diritto nei confronti di quegli ebrei che volessero tornare nei Paesi arabi di origine22.
Nel programma adottato dal CNP (che rifletteva il predominio indiscusso di Fatah) al
punto undici si enuncia l'obiettivo della lotta: «the struggle to recover the national rights of
our people, first and foremost, its right to return and self-determination, and to establish its
independent national state on the soil of its homeland»23. Bisogna evidenziare che nel testo
non c'è nessun riferimento alla liberazione di tutta la Palestina e all'obiettivo dello Stato
democratico, ma si richiamano le risoluzioni dell'ONU sul diritto palestinese alla sovranità e
all'indipendenza. L'enfasi usuale accordata alla lotta armata è ulteriormente stemperata dal
richiamo ad altre forme di lotta, tra cui la lotta politica e di massa, da affiancare alla prima
per rimuovere l'occupazione dai territori occupati. Gli sforzi di dialogo avviati da vari
rappresentanti dell'OLP (benché a titolo personale o comunque non ufficiale) con esponenti
israeliani moderati o appartenenti al "campo della pace" erano riconosciuti da una
formulazione che non si rivolgeva esclusivamente alle forze ebraiche antisioniste: «The
Palestine National Council stresses the importance of relations and coordination with
democratic and progressive Jewish forces, inside and outside the occupied homeland, that are
struggling against the theory and practise of Zionism»24. L'ultimo punto riguarda l'eventuale
partecipazione alla conferenza di pace di Ginevra, e ribadisce il diritto dell'OLP a partecipare
in maniera indipendente ed eguale
a qualsiasi iniziativa internazionale riguardante la
21
Statement Issued by the Office of the Chairman of the Palestine National Council at the End of its Thirteen
Session, in «IDP 1977», Institute for Palestine Studies and Kuwait University, Beirut 1979, cit., p. 347.
22
Ibidem. Già a partire dal vertice arabo di Rabat nel 1974 la leadership dell'OLP stava improntando dei piani
per il ritorno degli ebrei arabi nei paesi di origine. Si vedano le dichiarazioni di Arafat in «Arab Record and
Report», 16-31 gennaio 1975; Radio Interview Statements by Executive Committee Member Faruq Qaddumi of
the PLO Reviewing his Visit to the URSS and Italy and Welcoming Plans to Invite Jews to Return to their Arab
Countries of Origin, in «IDP 1975», cit., pp. 225-227; Shaath N., The Democratic Solution to the Palestine
Issue, «Journal of Palestine Studies», Vol. 6, No. 2 Winter 1977, p. 15; il tredicesimo CNP dell'OLP ribadì lo
stesso impegno in una risoluzione: Resolution on Occupied Homeland Affairs Adopted by the Thirteen Session
of the Palestine National Council, in «IDP 1977», cit., p. 350.
23
Political Statement of the Thirteenth Session of the Palestine National Council, in «IDP 1977», cit., p. 349.
24
Ibidem.
223
questione palestinese al fine di realizzare i diritti non negoziabii dei palestinesi sanciti dalla
risoluzione no. 3236 dell'Assemblea Generale dell'ONU del novembre 197425.
Per il FPLP, che si era ritirato dal Comitato esecutivo - ma non dal CNP - nella
seconda metà del 1974, la tredicesima sessione confermò la linea deviazionista della
leadership dell'OLP e rappresentò un passo indietro rispetto al programma della dodicesima
sessione almeno su tre punti. Il primo riguarda l'assenza totale di qualsiasi riferimento alle
forze arabe reazionarie, capitolazioniste e fasciste (come il regime mercenario di Giordania e
le forze fasciste della destra libanese che si oppongono alla resistenza e al Movimento
nazionale libanese), il che rappresenta una capitolazione dell'OLP nei loro confronti, come è
testimoniato tra l'altro dagli incontri segreti tra rappresentanti dell'OLP e del regime giordano.
Il secondo, la non differenziazione tra i regimi arabi nazionali, con cui coordinare la lotta, e
quelli non nazionali, i cui interessi confliggono con quelli della resistenza (piuttosto, il
programma fa riferimento a una lotta araba comune). Il terzo punto di arretramento riguarda
la conferenza di Ginevra che, benché nella sessione precedente fosse respinta solo
nominalmente, nel programma attuale non è affatto menzionata26.
Il FPLP individua molte ambiguità nella dichiarazione programmatica. Ad esempio, il
riferimento ai "diritti non negoziabili", senza specificare quali sarebbero i diritti negoziabili, o
quando si parla di "diritti nazionali". Il passaggio dall' "autorità nazionale combattente per il
popolo" - sancita dalla dodicesima sessione - allo "Stato nazionale indipendente" ha una
chiara dimensione nazionale e di classe: il riferimento al carattere popolare dell'autorità
evidenziava il contenuto sociale della democrazia, che doveva essere popolare e contraria alle
classi borghesi e reazionarie, mentre il riferimento alla combattività, eliminato nel
programma attuale, sminuiva il carattere combattente nei confronti di Israele. Infine, la
sostituzione del riferimento alla sinistra antisionista con la formulazione "forze ebraiche
democratiche e progressiste", lascia la porta aperta al dialogo con organizzazioni che, pur
critiche nei confronti dell'ideologia sionista, riconoscono l'esistenza dell'entità israeliana: «the
proper and correct slogan for alliance with the Jewish forces is the "democratic secular state"
on all of Palestine. Unfortunately this was dropped by the PLO»27.
In un'intervista del marzo 1977, Habash spiega la posizione del FPLP durante il
tredicesimo CNP: la proposta di Stato palestinese rischia di compromettere il raggiungimento
degli obiettivi ultimi della resistenza, in quanto troverebbe una soluzione al problema dei
25
Ibidem.
The Palestine National Council: Where to?, «PFLP Bulletin», No. 23, October 1977, p. 10.
27
Ibidem.
26
224
palestinesi che vivono in Cisgiordania e Striscia di Gaza, che sono un milione su un totale di
tre milioni e mezzo, ma lasciarebbe irrosolto il problema della maggioranza dei palestinesi
che ha il diritto di tornare su tutto il territorio della Palestina. Il segretario generale delinea la
sua idea di Stato palestinese: «a democratic state [...] in which all Palestinians, Muslims,
Christians, and Jews, will be citizens with equal rights [...] on the basis of a democratic
socialist society»28, il che sarà possibile solamente quando, negli anni a venire, gli ebrei
progressisti lotteranno fianco a fianco con i palestinesi per la liberazione della Palestina dallo
Stato sionista. Per il FPLP, solamente all'interno della formula dello Stato democratico è
possibile pensare il dialogo e la cooperazione con gli ebrei e trovare una soluzione per tutti i
palestinesi, siano essi rifiugiati o sotto occupazione.
La formazione del Fronte del rifiuto (che comprendeva PFLP, PFLP-CG, ALF e
FLPP), con l'appoggio di Iraq e Libia, si rivelò un'arma a doppio taglio per il FPLP: se da un
lato permise all'organizzazione di Habash di presentarsi come la principale alternativa
politica alla leadership di Fatah grazie alla posizione intransigente nei confronti di qualsiasi
accordo negoziato, dall'altro, la presenza di organizzazioni legate a doppio filo con certi
regimi arabi accordò all'Iraq, alla Libia e alla Siria un'influenza politica considerevole. Come
per Fatah, che riceveva da tempo lauti finanziamenti dall'Arabia Saudita e dai Paesi del
Golfo, anche il FPLP non seppe rinunciare all'aiuto degli alleati di turno, e questo, oltre a
comprometterne l'indipendenza politica, favorì la burocratizzazione e la perdita del carattere
rivoluzionario militante dell'organizzazione di Habash. Il Fronte del rifiuto, che non riuscì
mai a rappresentare una reale alternativa alla leadership di Arafat, si sciolse durante il 1977,
in seguito al viaggio a Gerusalemme del presidente egiziano Anwar Sadat che determinò il
momentaneo riavvicinamento tra Siria e Iraq. La dissoluzione del Fronte del rifiuto segnò
anche l'inizio del declino della sinistra palestinese e l'ascesa dell'islam politico come punto di
riferimento ideologico nel mondo arabo, in gran parte per effetto della Rivoluzione islamica
in Iran29.
Nonostante le evidenti aperture sancite dal tredicesimo CNP sulla partecipazione a
una conferenza di pace, indice della vittoria dell'ala moderata vicina ad Arafat, le iniziative
politiche dell'OLP furono presto vanificate da una serie di eventi, tra i quali la vittoria di
28
Press Interview Statement by Secretary-General George Habash of the Popular Front for the Liberation of
Palestine Discussing its Position on the Palestine National Council and Other Palestinian Issues, in «IDP
1977», cit., p 344.
29
Nel suo Quarto congresso (1981) il FPLP accettò per la prima volta il programma per fasi del giugno 1974. In
AbuKhalil A., Internal Contradictions in the PFLP: Decision Making and Policy Orientation, «Middle East
Journal», Vol. 41, No. 3, Summer 1987, p. 376.
225
Begin (del partito di destra Likud) in Israele nel maggio 1977 e la visita di Sadat a
Gerusalemme nel novembre dello stesso anno, che aprì la strada ai negoziati di pace tra i due
Stati. L'idea di Stato democratico, che in Israele non aveva incontrato il favore delle forze
progressiste (fatta eccezione per una ristrettissima minoranza di ebrei antisionisti), cessò di
essere menzionata nei documenti ufficiali dell'OLP, ma non per questo fu relegata ai margini
del dibattito politico. In un simposio sul sionismo tenuto a Bagdad nel novembre 1976, Nabil
Shaʿth traccia un bilancio sull'idea di Stato democratico e dichiara che tale proposta, avanzata
dalla rivoluzione palestinese nel 1968, intendeva in primo luogo instaurare un dialogo con gli
ebrei dentro e fuori della Palestina e avanzare un programma per risolvere la questione
ebraica in Palestina su basi democratiche e progressiste. Lo Stato democratico, osserva
Shaʿth, non ambiva certo a costituire un programma politico particolareggiato sulla forma
costituzionale e politica che avrebbe dovuto assumere il futuro Stato, ma offriva agli ebrei
un'alternativa praticabile al sionismo razzista e un quadro intellettuale attorno a cui costruire
la lotta comune con i palestinesi30.
La mancanza di un'elaborazione dettagliata può essere considerata uno dei maggiori
limiti della proposta di Stato democratico e una delle cause del suo insuccesso tra gli ebrei
dentro e fuori Israele. Tuttavia, l'intransigenza delle posizioni israeliane nel corso degli anni e
il rafforzamento delle tendenze razziste e ultranazionaliste nella società e nella politica, fanno
dubitare che una formulazione più chiara e dettagliata della proposta palestinese avrebbe
avuto esiti diversi. Lungi dal cadere nel dimenticatoio, l'idea di Stato democratico continuò
ad essere una delle questioni più dibattute dai palestinesi e dalle forze progressiste mondiali
antisioniste in quanto era considerata l'unica soluzione per la liberazione della Palestina dal
sionismo e per stabilire su basi egualitarie la convivenza tra tutti i suoi abitanti.
Una delle elaborazioni più articolate ed originali sul tema è contenuta in Towards a
Socialist Republic of Palestine, basato sulle discussioni di tre autori tenute in Europa
nell'aprile 1976, che aveva l'intenzione di stimolare il dibattito sulla creazione di una
Palestina laica e democratica, approfondendo una serie di questioni legate alla lotta armata,
all'autodeterminazione nazionale e culturale, al nome del futuro Stato, all'individuazione dei
criteri per la cittadinanza palestinese, alla natura del regime politico ed economico, alla
condizione della donna e al ruolo della religione. Gli autori incarnavano le varie tipologie di
cittadino che avrebbero formato il futuro Stato: "un ebreo palestinese con passaporto
israeliano", Uri Davis, studioso ed attivista per i diritti umani; "un arabo palestinese con
30
Shaath N., The Democratic Solution to the Palestine Issue, cit., pp. 12-13.
226
passaporto israeliano", Fawzi al-Asmar, autore nel 1975 del celebre To Be an Arab in Israel,
in cui racconta la discriminazione subita dai palestinesi in Israele31; un "arabo palestinese con
passaporto giordano", Naim Khader, rappresentante dell'OLP a Bruxell. Il testo fu anche
utilizzato nelle carceri israeliane per l'educazione politica dei prigionieri palestinesi32, e le
traduzioni in arabo ed ebraico dell'originale inglese ne fecero uno dei punti di riferimento nel
dibattito della sinistra antosionista in Israele e all'estero33.
Nel 1981 fu pubblicato, a cura degli stessi autori, Debate on Palestine, inteso come
complemento alla pubblicazione del 1976, che contiene un saggio di Naim Khader sulle
caratteristiche fondamentali della Palestina laica e democratica di cui fu un ardente
sostenitore. Per il diplomatico palestinese la creazione di uno Stato democratico su tutto il
suolo della Palestina è l'unica soluzione giusta e duratura al problema degli arabi palestinesi e
degli ebrei israeliani, in quanto
is the only solution that can secure the dismantling of the Zionist movement and the
advancement of an acceptable alternative both for the Jews who are currently
resident in Palestine and for a just solution for the exiled Palestinian Arab people, as
well as for those who live under the occupation34.
Secondo questa prospettiva, ogni obiettivo intermedio raggiunto prima della creazione dello
Stato democratico deve essere considerato come un passo temporaneo e transitorio verso la
realizzazione dell'obiettivo strategico. Se così non fosse, qualsiasi soluzione intermedia
rappresenterebbe un pericolo per e un contenimento dei movimenti progressisti e
rivoluzionari palestinesi, rafforzando la legittimità della dottrina e del movimento sionista
nella regione.
È interessante notare che Khader considera la tesi di Stato democratico "umanista" e
"rivoluzionaria" in quanto dotata di un valenza politica e morale universale. Da una parte,
essa mira allo smantellamento della dottrina sionista nella formulazione e nella pratica attuale
e in ragione della sua natura espansionista, imperialista e reazionaria. Dall'altra, la proposta di
Stato democratico va al di là della contrapposizione univoca col nemico sionista, per
raggiungere la persona ebrea israeliana con la quale è necessario costruire un futuro di pace e
fratellanza:
31
al-Asmar F., To Be an Arab in Israel, F. Pinter, London 1975.
Secondo quanto dichiarato da Uri Davis in un'intervista rilasciata al sottoscritto a Ramallah nel settembre
2010.
33
Davis, Uri, El-Asmar, Fouzi and Naim Khader (eds), Towards a Socialist Republic of Palestine, Ithaca Press,
Miftah Publishers, London 1978.
34
Khader N., An Initial Response to Dr. Emile Tuma and his Comments on "The Socialist Republic of
Palestine", in Davis, Uri, El-Asmar, Fouzi and Naim Khader (eds), Debate on Palestine, Ithaca Press, London
1981, p. 86.
32
227
given our understanding of the problem of the Jewish people and given our belief
that the revolution must entail the liberation of the land and the human person, we
therefore submitted the project of a democratic state which affords the opportunity
for every human being who currently resides in Palestine, including the foreigner
who came to Palestine as invader, an occupier and a colonizer to remain in Palestine
and to live with us in peace and to assist us and to be assisted by us in the building
of a democratic society which will secure equal rights to all its inhabitants and equal
duties by all its inhabitants without any reference to sex, colour or religion35.
Il nome del futuro Stato, continua il diplomatico dell'OLP, sarà "Repubblica Democratica di
Palestina". Si evita la parola "laico", per non dare ad intendere che si vuole abolire la
religione, che deve rimanere una questione personale e non un elemento che sottrae o
aggiunge diritti ai cittadini che la professano. Si evitano anche le parole "popolare", in quanto
la partecipazione popolare è insita nel concetto di repubblica, e "socialista", in quanto la
giusta distribuzione della ricchezza, il rifiuto dell'oppressione del forte sul debole, del ricco
sul povero, di un gruppo su un altro, è insito nel concetto di democrazia.
Secondo Khader, la lotta politica, insieme alla pressione militare, spingerà un numero
crescente di ebrei a realizzare che la dottrina sionista costituisce un pericolo (fisico, oltre che
politico) non solo per gli arabi palestinesi, ma anche per gli ebrei stessi, che ne sono in realtà
le vittime. Sebbene è lecito aspettarsi che un certo numero di ebrei israeliani parteciperà
gradualmente alla lotta con i palestinesi, «so long as the Zionist doctrine remains dominant in
the minds of the Israeli leaders and dictates their racialist, expansionist and oppressive
practice, armed struggle will remain the only way for it has no substitute»36. È chiaro che lo
Stato democratico non sarà il frutto di una concessione di Israele o dell'adesione volontaria
dei suoi cittadini, per questo è necessario insistere nella lotta di liberazione popolare di lungo
periodo, accompagnata dalla lotta politica e diplomatica, per il raggiungimento di obiettivi
intermedi, in attesa che i rapporti di forza nella regione siano più favorevoli ai palestinesi.
Khader affronta infine la questione dell'autodeterminazione, che è un diritto
fondamentale, riconosciuto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni dell'ONU, e può
essere legittimamente esercitato da un popolo sulla sua terra, come è accaduto per molti Stati
del Terzo Mondo, e non sulla terra di qualcun altro. Lo Stato di Israele è privo di legittimità,
perché fondato in seguito a una raccomandazione dell'Assemblea generale dell'ONU e non a
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza; perché l'Assemblea generale non ha la facoltà di
contravvenire ai principi findativi della sua Carta, primo fra tutti il diritto di un popolo
all'autodeterminazione sulla propria terra; infine, perché è stato fondato con l'uso della forza,
35
36
Ivi, p. 87.
Ivi, p. 88.
228
della violenza e del terrorismo: «there is therefore no right of self determination for the
Israelis in the land of Palestine»37. Nello Stato democratico di Palestina gli ebrei israeliani
avranno gli stessi diritti dei palestinesi: «we are willing to accept as our partners in our dear
land those who came as colonisers and attempted to expel us from our land in order to seize
our entire homeland for the establishment of a Jewish state»38. Inoltre, ogni gruppo avrà la
possibilità di sviluppare liberamente e in autonomia la propria religione, lingua e cultura
senza discriminazioni di sorta e senza la dominazione di un gruppo sull'altro.
Come emerge da questa ricerca, il pensiero palestinese di resistenza elaborò una
riflessione originale su molte delle principali questioni che erano al centro del dibattito
politico nel mondo arabo: il rapporto tra il nazionalismo arabo e il nazionalismo statocentrico, l'analisi delle ragioni della disfatta araba del 1967 e la discussione sui compiti e
sulle prospettive del movimento di liberazione arabo, la sfida della modernità, la lotta per la
liberazione dal sionismo, dall'imperialismo e dall'arretratezza, l'analisi della natura del
nemico (Israele e il movimento sionista), la soluzione della questione ebraica in Palestina.
La proposta di Stato democratico fu il tentativo del MRP di delineare in modo
coerente e innovativo le caratteristiche fondamentali che avrebbe assunto la società
palestinese in seguito alla liberazione e, sotto questo punto di vista, rappresenta uno degli
aspetti più originali del pensiero di resistenza. Certamente, essa fu il cavallo di battaglia
dell'OLP presso l'opinione pubblica mondiale e lasciò irrisolte molte questioni relative
all'implementazione pratica, all'ordinamento giuridico, al contenuto sociale e al ruolo degli
ebrei nel futuro Stato, ma non per questo si trattò, come insisteva la propaganda sionista, di
uno slogan propagandistico destinato al consumo estero o di una formula volutamente
lasciata ambigua per mascherare la doppiezza politica della leadership palestinese. Al
contrario, le discussioni sulla proposta di Stato democratico furono portate avanti con
franchezza e rappresentarono una costante del dibattito interno a partire dalla seconda metà
del 1968 e fino alla sua adozione come obiettivo strategico dell'OLP durante l'ottava sessione
del CNP (febbraio-marzo 1971).
L'idea di Stato democratico rappresentò una svolta storica nel pensiero palestinese di
resistenza. In primo luogo, riformulò la natura e gli obiettivi della lotta di liberazione,
presentando la questione palestinese in termini di lotta anticolonialista e antimperialista
contro la presenza coloniale sionista in Palestina e ponendo come obiettivo la costruzione di
37
38
Ivi, p. 93.
Ibidem.
229
una società progressista che avrebbe incluso i coloni ebraici su basi di eguaglianza. Da questo
punto di vista, la proposta di Stato democratico rappresentava una concessione storica: la
popolazione indigena arabo-palestinese, in parte sradicata e in parte costretta a vivere sotto
occupazione, si dichiarava disposta alla riconciliazione con i coloni ebraici ed accettava di
condividere con loro la Palestina. In secondo luogo, l'idea di Stato democratico implicò un
ripensamento fondamentale della figura del "nemico", basato sulla netta distinzione tra
sionismo ed ebraismo, sull’accettazione della presenza ebraica in Palestina, sul rifiuto delle
soluzioni scioviniste basate sulla discriminazione o sull'espulsione dei coloni ebraici,
sull’appello alle forze ebraiche antisioniste, democratiche e progressiste in Israele e nel
mondo a liberarsi dalla mentalità e dalle attitudini sioniste per unirsi alla lotta palestinese.
Questo studio ha messo in evidenza l'evoluzione e le caratteristiche fondamentali
dell'idea di Stato democratico nel pensiero palestinese di resistenza tra la fine degli anni
sessanta e la prima metà degli anni settanta, dando ragione del suo carattere rivoluzionario e
della sua rilevanza storico-politica. Tuttavia, l'analisi del pensiero di resistenza e in particolar
modo dell'idea di Stato democratico possono anche essere utili per orientarsi nel presente. La
questione dello Stato democratico, nelle nuove formule della soluzione di uno Stato unico
(uguaglianza di tutti i cittadini) o della soluzione binazionale (uguaglianza dei due gruppi
nazionali), è tornata di stringente attualità, specialmente in seguito al fallimento del
cosiddetto processo di pace, allo scoppio della Seconda Intifada e all'impraticabilità della
divisione territoriale su base etnico-religiosa sancita dal principio "due popoli due Stati"39.
Il tema dello Stato democratico, nella situazione attuale, presenta sia un valore pratico
come proposta di soluzione politica alla questione israelo-palestinese, sia una rilevanza
teorica come paradigma interpretativo della natura del conflitto in atto. Malgrado le mutate
circostanze storiche, molti palestinesi ritengono che la creazione di uno Stato democratico
unitario, in seguito allo smantellamento della struttura ideologica e istituzionale sionista di
Israele, sia l'unica soluzione globale, giusta e duratura del confltto, perché in grado di
39
Dopo la Seconda Intifada si è manifestato un rinnovato interesse per la soluzione dello Stato unico e oramai
l'idea è entrata nel dibattito corrente. Negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione di scritti sulla
soluzione dello Stato unico o sulla soluzione binazionale. Di seguito si elencano solo alcuni dei testi più recenti:
Qumsiyeh M. B., Sharing the Land of Canaan : Human Rights and the Israeli-Palestinian Struggle, Pluto Press,
London 2004; Tilley V., The One-State Solution: a Breakthrough for Peace in The Israeli-Palestinian
Deadlock, University of Michigan Press, Arbor Ann 2005; Abunimah A., One Country: a Bold Proposal to End
the Israeli-Palestinian Impasse, Metropolitan Books, New York 2006; Hilal J. (ed), Where Now for Palestine?:
the Demise of the Two-State Solution, Zed Books, London, New York 2007, trad. it. Palestina quale futuro? : la
fine della soluzione dei due Stati, Jaca Book, Milano 2007; Karmi G., Married to Another Man: Israel's
Dilemma in Palestine, Pluto Press, London 2007, trad. it. Sposata a un altro uomo: per uno Stato laico e
democratico nella Palestina storica, DeriveApprodi 2010.
230
risolvere allo stesso tempo la questione ebraica in Palestina e il problema dei palestinesi in
Israele, nei territori occupati di Cisgiordania e Striscia di Gaza, dei rifugiati e in generale
della diaspora. Lo Stato democratico rappresenta tuttora un valido paradigma interpretativo
che, inscrivendo la vicenda palestinese all'interno delle imprese coloniali europee
ottocentesche, punta dritto al cuore del problema: la natura coloniale del regime israeliano e il
carattere esclusivista ed espansionista dell'ideologia che lo sostiene, il sionismo, i quali
rappresentano il principale ostacolo per giungere alla convivenza tra palestinesi ed israeliani
su
basi
di
eguaglianza,
di
non
discriminazione
e
di
solidarietà.
231
La sezione bibliografica è suddivisa in due parti. La prima attiene alle fonti primarie e
contiene i documenti delle organizzazioni di resistenza, i periodici, le raccolte di documenti e
leinterviste realizzate sul campo. La seconda parte attiene alle fonti secondarie ed è suddivisa
in volumi e pubblicazioni a stampa, articoli e periodici.
Per una bibliografia di riferimento sul conflitto arabo-israeliano e sulla questione palestinese
si veda: Atiyeh, George Nicholas, The Contemporary Middle East, 1948-1973: a Selective
and Annotated Bibliography, G. K. Hall, Boston 1975; Hussaini Hatem I., The Arab Israeli
Conflict:
an
Annotated
Bibliography,
Association
of
Arab-American
University
Graduates, Detroit 1975; Khalidi, Walid, Khadduri, Jill, Palestine and the Arab-Israeli
Conflict: an Annotated Bibliography, Institute for Palestine Studies, Beirut 1974; Perry Glenn
E., The Palestine Question: an Annotated Bibliography, Association of Arab-American
University Graduates, Belmont 1990
Per una selezione di articoli sul MRP pubblicati sui principali periodici del mondo arabo a
partire dal 1967 si veda: The Palestinian Resistance Movement and the Arab-Israeli Conflict
in Arabic Periodicals, «Journal of Palestine Studies», Vol. 1, No. 2, Winter 1972, pp. 121132
Per una selezione di articoli sul MRP pubblicati sui principali periodici in lingua inglese a
partire dal 1967 si veda: The Arab-Israeli Conflict in English Periodicals, «Journal of
Palestine Studies», Vol. 1, No. 3, Spring 1972, pp. 120-131
Per una lista dei periodici e degli opuscoli delle principali organizzazioni del MRP si veda:
Periodicals and Pamphlets Published by the Palestinian Commando Organizations, «Journal
of Palestine Studies», Vol. 1, No. 1, Autumn 1971, pp. 136-151
FONTI PRIMARIE
Le fonti primarie, ordinate cronologicamente, sono divise per tipologia di documento.
Ciascuna tipologia di fonte è ulteriormente suddivisa per organizzazione che la ha prodotta.
DOCUMENTI DELLE ORGANIZZAZIONI DI RESISTENZA
Includono i testi ufficiali delle organizzazioni pubblicate da esse stesse o da altra fonte. Non
sono incluse le interviste e gli interventi di dirigenti e personalità palestinesi pubblicate in
periodici, raccolte di documenti o volumi.
Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese Fatah:
Costituzione di Fatah (1964), Al-Zaytouna Centre for Studies & Consultations. Disponibile
all'indirizzo
http://www.alzaytouna.net/en/resources/documents/palestiniandocuments/97061-fateh-constitution.html
Press Release: No. 1, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Beirut 1968
Statement by Al-Fateh to the United Nations General Assembly, October 15, 1968, The
Palestine National Liberation Movement, al-Fateh [S.l.]
The Palestine National Liberation Movement al-Fateh, The Palestine National Liberation
Movement, al-Fateh, [S.l.] [ca. 1968]
The Freedom Fighters, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, [S.l.] 1968
They Claim There is no Resistance: A Collection of Poems from Occupied Palestine,
Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Beirut, 1969
Address by the al-Fateh Delegation to the Second International Conference in Support of the
Arab Peoples, Palestine National Liberation Movement, Cairo 1969
Dialogue with Fateh, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Beirut 1969
Political and Armed Struggle, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Beirut 1969
Al Fatah: strategia politica e militare, Comitato Vietnam, Milano [ca. 1970]
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Dawla dimuqratiyya muwahhada fi Filastin: al-ard allathi yuharib min ajliha alFilastiniyyun [Uno Stato democratico unitario in Palestina: la terra per la quale lottano i
palestinesi], [s.n.] Beirut 1970.
Revolution until Victory, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Amman 1970
1970
La revolution palestinienne et les juifs, Les editions de Minuit, Paris 1970
Towards a Democratic State in Palestine for Moslems, Christians and Jews, contributed by
Fateh to the Second World Conference on Palestine, held in Amman, 2-6 September, 1970,
General Union of Palestine Students [ca. 1970]
Revolution until Victory, Palestine National Liberation Movement, al-Fateh, Amman 1970
Il programma politico del movimento di liberazione nazionale palestinese Al-Fatah, a cura
del movimento di liberazione palestinese al-Fatah, Roma [s.n.], 1980
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Disponibile
all'indirizzo:
http://pflp.ps/english/2012/12/founding-document-of-the-popular-front-for-the-liberation-ofpalestine-december-1967
al-Bayan
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fondatore].
Disponibile
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delivered on April 15, 1970 at Central Hall Westminster, London, under the sponsorship of
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Sayegh Fayez A., Special Report for Action on the Palestinian Popular Congress,
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The 2nd International Symposium on Palestine. (Kuwait). February 13-17, 1971, Volumes 12 of Palestine Discussion Papers, General Union of Palestine Students 1971 [S.l.]
Shaʿth, Nabil, Palestine of Tomorrow for Jews Christians and Moslems (Talk delivered at
conference Second International Symposium on Palestine held in Kuwait Feb 1971),
Committee for Better Relations, Birmingham 1971
PERIODICI
238
Questa sezione comprende i periodici che possono considerarsi o organi ufficiali delle varie
organizzazioni palestinesi o pubblicazioni riconducibili ad esse. Sebbene alcuni di essi
abbiamo avuto periodicità irregolare o siano usciti per qualche anno e per pochi numeri, in
linea generale, ladddove reperibili, sono stati consultati sistematicamente per il periodo 19671974. Tra parentesi sono indicati gli anni per i quali è stato effettuato lo spoglio.
Fatah:
Fateh (1969-1971), bisettimanale in lingua inglese
Free Palestine (1968-1974), in lingua inglese
a-Thawra al-Filastiniyya (1968-1971), mensile in lingua araba
Al Fatah (1971), bisettimanale in lingua italiana
Rivoluzione palestinese (aprile-dicembre 1969), quindicinale in lingua italiana
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina:
al-Hadaf (1969-74), settimanale in lingua araba
PFLP Bulletin (1972-1974), in lingua inglese
Democratic Palestine (1984-1993), in lingua inglese
Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina:
al-Hurriya (1969-74), settimanale marxista, organo non ufficiale pubblciato a Beirut, in
lingua araba
Palestine Resistance Bulletin (1971-1972), in lingua inglese
Information Bulletin PDFLP (periodicità irregolare), in lingua inglese
DFLP Bulletin (1985-1986), in lingua inglese
al-Sharara numero unico a cura dei sostenitori FDPLP (1970) in lingua inglese
239
OLP:
Filastin al-Thawra (1972-1974), in lingua araba
PLO Information Bulletin (1975-77), in lingua inglese
Shu'un Filastiniyya mensile del PLO Research Center, Nicosia e Beirut (1971-77), in lngua
araba
Arab Palestinian Resistance mensile dell'Esercito di Liberazione Palestinese (1970-72), in
lingua inglese
RACCOLTE DI DOCUMENTI
Il periodico «Journal of Palestine Studies», e gli annuari «International Documents of
Palestine»
e
«al-Watha'iq
al-ʿArabiya
al-Filastiniya»
costituiscono
gli
strumenti
indispensabili per lo studio del pensiero politico palestinese in quanto contengono ampie
raccolte di documenti e dichiarazioni dell'OLP, delle varie organizzazioni e associazioni
palestinesi, interviste a personalità e leader del movimento nazionale. Il «Journal of Palestine
Studies» e l'«International Documents on Palestine», pubblicati a cura dell'Institute of
Palestine Studies, hanno curato la traduzione inglese dei documenti in arabo. Tra parentesi i
numeri e i volumi consultati in maniera sistematica.
Bassiouni, M. Cherif, Ben Ami, Shlomo, A Guide to Documents on the ArabPalestinian/Israeli Conflicts: 1897-2008, Martinus Nijhoff Publishers, Danvers 2009
Bichara e Naïm Khader (a cura di), Testi della rivoluzione palestinese, 1968-1969, Bertani,
Verona 1976
Documents of the Palestinian Resistance Movement, Pathfinder Press, New York 1971
International Documents on Palestine (dal 1967 al 1977)
Journal of Palestine Studies, Documents and Source Materials (dal Vol. 1, No. 1, Autumn
1971 al Vol. 7, No. 2, Winter 1978)
Khan, Zafarul-Islam, Palestine Documents, Pharos Media & Publishing, New Delhi 1998
240
Laqueur Walter, Rubin, Barry (eds), The Israeli-Arab Reader: a Documentary History of the
Middle East Conflict, Penguin Books, New York 2008 (7th ed.)
Lukacs, Yehuda, (ed.), Documents on the Israeli-Palestinian Conflict, 1967-1983, Cambridge
University Press, Cambridge 1986
Id., The Israeli-Palestinian Conflict: a Documentary Record 1967-1990, Cambridge
University Press, Cambridge 1992
Stetler, Russell (ed), Palestine, the Arab-Israeli Conflict, Ramparts Press, San Francisco 1972
United Nations Information System on the Question of Palestine (UNISPAL), Documents
Collection, http://unispal.un.org/unispal.nsf/udc.htm .
al-Watha'iq al-ʿArabiya al-Filastiniya [Documenti arabo-palestinesi] (dal 1967 al 1974)
INTERVISTE
Nabil Shaʿth (più volte ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese; membro del Comitato
centrale di Fatah; Capo negoziatore), Ramallah, settembre 2010
Qais Abdel-Karim (Abu Layla) (membro dell’ufficio politico del Fronte Democratico di
Liberazione della Palestina), Ramallah, settembre 2010
Abdul-Rahim Malluh (vice segretario generale del Fronte Popolare di Liberazione della
Palestina), Ramallah, settembre 2010
Salim Tamari (direttore dell’Institute for Jerusalem Studies e sociologo della Birzeit
University), Bir Zeit, agosto 2010
Saleh Abdel Jawwad (storico della Birzeit University), Bir Zeit, settembre 2010
Uri Davis (scrittore, attivista per i diritti umani e accademico, membro del Conciglio
rivoluzionario di Fateh), Ramallah, settembre 2010
Iyad Barghouti (direttore del Ramallah Center for Human Rights Studies), Ramallah,
settembre 2010
Jamil Hilal (sociologo palestinese indipendente), Ramallah, settembre 2010
As’as Ghanem (scienziato della politica all’Università di Haifa), Ramallah, settembre 2010
241
Yoav Bar (membro del Comitato centrale di Abnaa al-Balad), Haifa, settembre 2010
Michel Warschawski (ex membro dell'organizzazione israeliana anti-sionista Matzpen,
direttore dell’Alternative Information Center), Gerusalemme, settembre 2010
Akiva Orr (co-fondatore di Matzpen), Hadera (Israele), ottobre 2010
Marwan Abdul Al (membro dell'ufficio politico del Fronte Popolare di Liberazione della
Palestina), Beirut, settembre 2011
Sabri Jiryis (direttore del Centro di ricerche dell'OLP; primo rappresentante dell'OLP a
Washington DC), email, gennaio 2012
242
FONTI SECONDARIE
VOLUMI E PUBBLICAZIONI A STAMPA
Abu-Lughod, Ibrahim, Renewed Commitment and Positive Pragmatism: the Thirteenth
Session of the Palestine National Council, Association of Arab-American University
Graduates, Detroit 1977
Abunimah, Ali, One Country: a Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse,
Metropolitan Books, New York 2006
Abu-Rabi', Ibahim M., Contemporary Arab Thought. Studies in post-1967 Arab Intellectual
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Achcar, Gilbert, The Arabs and the Holocaust: the Arab-Israeli War of Narratives, Saqi,
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Liberation of Palestine, Popular Front for the Liberation of Palestine-General Command
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Arif al-Arif, al-Nakba wa al-firdaws al-mafqud , 1947-1952 [La catastrofe e il paradiso
perduto], Maktaba al-‘Asriyya, Beirut 1956-1960 (6 vol.)
Ateek, Naim, Justice and Only Justice: A Palestinian Theology of Liberation, Orbis Books,
Maryknoll, New York 1989
Baron, Xavier, Les Palestiniens un peuple, le Sycomore, Paris 1977; trad. it. I palestinesi:
genesi di una nazione, Baldini & Castoldi, Milano 2002
Bober, Arie, The Radical Case against Zionism, Anchor Books, New York 1972
Boullata, Issa J., Trends and Issues in Contemporary Arab Thought, State University of New
York Press, Albany 1990
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State, Columbia University Press, New York 1988
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PERIODICI
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Arab Report and Record, bimestrale, Londra
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Journal of Palestine Studies, trimestrale, Beirut
al-Kitab al-Sanawi li-l-Qadiyya al-Filastiniyya [Il libro annuale della questione palestinese],
serie annuale, Institute of Palestine Studies, Beirut
al-Nahar Arab Report, settimanale, Beirut
Middle East Contemporary Survey, annuario, Dayan Center, Tel Aviv
Middle East Record [The Middle East and North Africa], serie annuale, Shiloha Center, Tel
Aviv
Middle East Research and Information Project Reports, Washington, DC
Middle East Journal, trimestrale, Washington DC
The New Middle East, mensile, Londra
Palestine-Israel Journal, trimestrale, Gerusalemme
Quotidiani
al-Anwar (Beirut)
al-Muharrir (Beirut)
al-Nahar (Beirut)
al-Safir (Beirut)
266
POSTER SULLO STATO DEMOCRATICO
La seguente sezione include una selezione di poster e materiale fotografico sullo Stato
democratico prodotti dalle principali organizzazioni dell'OLP e reperiti presso la Biblioteca
dell'Institute of Palestine Studies e on line su The Palestine Poster Project Archives
(disponibile all'indirizzo: http://www.palestineposterproject.org ).
Fatah (Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese)
"Palestina unitaria, non settaria, democratica" (1970)
268
Fatah (Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese)
"Sì allo Stato democratico"
269
Fatah (Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese)
"Con le armi creiamo la Palestina del domani"
270
Fatah (Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese)
"Stato democratico unificato di Palestina: la terra per la quale i palestinesi combattono..." (196-?)
271
Fatah (Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese)
"Lottiamo oggi per creare la nuova Palestina del domani. Uno Stato democratico unitario e non settario nel
quale cristiani, musulmani ed ebrei pregano, lavorano e godono di eguali diritti [...]" (ca. 1970)
272
Unione Generale degli Sudenti Palestinesi
"Verso uno Stato democratico secolare in Palestina", dibattito organizzato a Londra dall'Unione generale degli
studenti palestinesi (1975)
273
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP)
"Verso la liberazione della Palestina e la costituzione di una società democratica" (ca. 1970)
274
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP)
"La rivoluzione continua per la creazione di una società democratica in Palestina" (1977)
275
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP)
"13 anni di lotta: verso una Palestina democratica" (ca. 1980)
276
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP)
"Palestina democratica", il periodico in lingua inglese del FPLP
277
Fronte di Lotta Popolare Palestinese (FLPP)
"Non c'è soluzione se non la distruzione dell'entità sionista e la creazione di uno Stato democratico palestinese"
(1978)
278
Fronte di Lotta Popolare Palestinese (FLPP)
"Non c'è alternativa a uno Stato democratico palestinese" (1980)
279
«Free Palestine» (mensile in lingua inglese
di Fatah), Vol. 7, No. 9, September 1973
«Free Palestine», Vol. 6, No. 11,
November 1973
283
PLO Unified Information
"Per uno Stato democratico secolare in Palestina" (1978)
284
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Lebanon, Westview Press, Boulder 1990 (consultato il 10 novembre 2010). Disponibile
all'indirizzo http://prrn.mcgill.ca/research/papers/brynen2_02.htm .
285
Genealogia delle organizzazioni dell'OLP. In Sayigh Y., Armed Struggle and the Search
for State, cit., p. XLII
286
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