Il percorso
Sulla sinistra del Tagliamento scorre
una “vaga riviera la quale chiamano il
Varmo, ed è così cara e allegra a
vedersi, come silvestre verginetta che
non abbia né scienza, nè cura della
propria leggiadria”: così descrive il
fiume Varmo lo scrittore Ippolito Nievo,
che soggiornò per lungo tempo a
Camino al Tagliamento.
Il fiume Varmo nasce a S. Vidotto in via
Sorgente
da
una
piccola
olla
sorgentifera
ora
prosciugata,
per
l’abbassamento
che
le
falde
acquifere
Una suggestiva immagine del Varmo
hanno subito negli ultimi anni. La
scomparsa delle sorgenti si fa risalire
principalmente allo sfruttamento idrico sotterraneo da parte dell’acquedotto di
Biauzzo e dei numerosi pozzi per l’irrigazione dei campi che si trovano in queste
zone di risorgenza.
Partendo da via Sorgente, dopo un breve tratto, si incontra il primo rigagnolo del
Varmo prodotto dall’apporto di varie
pompe “a getto continuo”, sfruttate per
uso domestico.
A valle dell’area di risorgenza, nella
piazza del paese,
il corso riceve le
acque del canale artificiale Ledra. In
questo tratto prende corpo il fiume vero
e proprio, con un letto largo due metri ed
un percorso rettilineo. Dopo l’abitato il
suo alveo si piega verso occidente, e il
fiume
assume
un
andamento
meandriforme fino a raggiungere il
centro di Camino, dove prosegue verso
il piccolo centro abitato di Glaunicco.
Attraversa dapprima la suggestiva
località “il Mulino”, quindi si addentra
nella campagna e giunge fino alla
peschiera “ Le Gru”, dove il suo alveo si
è notevolmente ampliato per l’apporto
della roggia di Gorizzo .
Quando ha raggiunto il territorio di
La confluenza a Madrisio
Varmo, la roggia assume l’aspetto di
un vero e proprio fiume, con una
portata più consistente ed un ampio alveo arginato che prosegue il suo corso fino
alla confluenza con il Tagliamento, a Madrisio. Qui attraversa un piccolo lembo di
bosco naturale, ultimo residuo della vasta foresta planiziale che un tempo occupava
tutto il territorio della Bassa Friulana
La storia
Plinio ricorda il Varamus, attuale Varmo, che attraversa entrambi i nostri comuni e
che in epoca romana aveva probabilmente un corso parallelo e indipendente dal
Tagliamento, gettandosi nell’Anaxum, lo
Stella, a sud del territorio di Varmo.
Il
conte Vettore Savorgnano di Belgrado
riproduce, in un disegno del 1612 (di fianco
riportato) su carta ed acquerello, il percorso
di un ramo del Tagliamento dopo la grande
inondazione, a seguito della quale il fiume
devia verso est, fino a raggiungere lo Stella,
occupando
l’alveo
del
Varmo
e
probabilmente anche il vecchio percorso di
quest’ultimo.
Plinio il Vecchio
Disegno del secolo XVI raffigurante il
Tagliamento nella inondazione del 1612.
ASVD:R: Ud Fr b 6,d.4 (Soc. Filol.
Friulana)
La poesia
Aghis dal Var
Aghis dal Var claris ‘ne volte e dolsis
Il soreli a foropàus
Tra i pendacuj di vencjâr
E il neri tajà vie di un merlo,
In dreturis di piere ué costretis
Ma bielis ancjemò
Parcè che il sîl us rît di stéss e chel
Nissun lu dome in ta la vongule da ‘l cuièt uestri
portajmi vie ancje me
e po lassaimi in ta la prime polse
Acque del Varmo
Acque del Varmo chiare una volta e dolci
il sole a trapassarvi tra le ramaglie pendule di
salice
e il nero dritto volare via di un merlo,
in dritture di pietra oggi costrette ma belle
egualmente
perché il cielo vi ride lo stesso e quello
nessuno lo imprigiona nell’onda della quiete
vostra
portate via anche me
E poi lasciatemi al primo vostro fermo
da Cansonetutis di E. Bartolini
IL TEATRO
La nota novella “Il Varmo” di Ippolito Nievo ci ha ispirato la sceneggiatura di un
lavoro teatrale avente per tema l’incontro immaginario dei due ragazzini del
racconto, Sgricciolo e Favitta, con due giovani d’oggi sulle rive del fiume
immortalato dallo scrittore.
INTRODUZION
Inte note di Gianmarco Gaspari che al à vût curât l’edizion pal Gazetin o cjatìn scrit
che la novele “ Il Varmo” e je stade
publicade dal Nievo sul periodic udinês
“L’annotatore friulano” diret da Pacifico
Valussi , intai numars che a van dal 20 di
marz al 22 di mai dal 1856. Tes
intenzions dal autôr, che in chê volte al
veve 25 agns, la novele e veve di fâ part
di un volum di contis paesanis, cul titul
di “Novelliere campagnolo”. Il progjet
nol è lât mai a bon fin, ma tal 1956,
Iginio De Luca al à ricostruît la filusumìe
dal Novelliere, cul tiarç volum des
Oparis nievianis, publicât di Einaudi,
mitint ancje cheste conte.Par plui di
cualchidun la frutute dal racont, Favitta, e je
spudade de Pisana, intes “Confessioni”,
cussì ancje il fogolâr di Gradiscje nomenât
tal racont, al sarès chel dal Priorât, doprât
instès tal famôs libri, par descrivi la cusine
di Frate.
2004: Il
Varmo
La scena è spoglia . In un angolo la narratrice racconta . In
sottofondo si sente il suono della chitarra. Musica rococò.
N. “ Nel mezzo di questo territorio da parecchie sorgenti, che
forse pigliano vita per sotterranei meati dal vicino
Tagliamento, sgorga una vaga riviera la quale chiamano il
Varmo, ed è così cara e allegra cosa a vedersi, come
silvestre verginetta che non abbia nè scienza, né cura della
propria leggiadria:”
Si spengono le luci su Federica e si accendono in mezzo alla
scena, che rappresenta un paesaggio campestre, sulle rive
del Varmo. Sul fondo della scena viene proiettata l’immagine
del mulino di Glaunicco.
BALLETTO
Luci sulla scena. Sulle rive del fiumiciattolo, visualizzato con
semplici effetti luminosi, passeggiano, mano nella mano, due
ragazzi d’oggi: Marco e Giulia. Si fermano in mezzo alla
scena perché hanno visto un libro per terra: Giulia lo
raccoglie e nota che mancano le prime pagine. Lo sfoglia e
legge un passo:
G.: D’ognuna di queste
cotali
meravigliose
bellezze …mmmm il Varmo
fa cortese omaggio in
passando
al
meschinissimo villaggio di
Glaunicco. …… Oh bella! Il libro parla di questo
posto….
(Va avanti nella lettura) mmmmm…… Né un
mulino che è lì presso toglie per nulla di vaghezza
a quella semplice scena……. Ma guarda, curioso,
nomina anche il mulino, dove siamo appena stati
a prenotare il nostro pranzo di nozze!
Si spengono le luci e si riaccendono sulla narratrice:
“ Quel mulinetto non ha ora che una sola macina da polenta, ma in tempi meglio
avventurati triturava del bel frumento, e così finamente e a giustizia di peso che
l’era salito a gran rinomanza. Mastro Simone ch’era il mugnaio se ne gloriava a
buon diritto, e benché dei molti figliuoli non gli fosse restato che il maggiore il
quale s’era accasato a parte, pure campavasela colla moglie in qualche agiatezza; e
all’agiatezza, tutti lo sanno, s’accompagnano l’allegria e la pace del cuore molto
volentieri. Quello era il tempo quando uno staio
di farina gialla costava un saluto, e il vino correva
a rigagnoli e Dio mandava a proposito la pioggia,
il sereno, la vita e la morte.”.
Si spengono le luci sulla narratrice e si
accendono in mezzo alla scena, illuminando
Marco e Giulia, intenti a leggere il libro
G.: Leggi Marco, qui dice che al mulino abitavano
Simone, il mugnaio, sua moglie Polonia e
Fortunata, la loro figlioletta, detta Tina.
(Continuano a scorrere le righe del testo)
G.: Mamma mia, qua dice c’è stata una pestilenza
e il vicino di casa di Simone è morto lasciando
una vedova e un figlioletto…. Oh, poveretta è morta anche lei.
Marco (le prende il libro) . : Che strazio, fammi leggere!…..Mmmmm Beh, dice anche
che Simone porta il ragazzino, di nome Pierino, a casa sua e lo adotta……..
In quel mentre si sente un canto di ragazzi fuori scena e poco dopo appaiono due
bambini che entrano in scena cantando una villotta.
Marco e Giulia si girano di scatto:
G.: Ciao ragazzi, da dove venite?
Tina:Vualtris, pluitost, sêso di Vignesie?
G.: Perché?
Sg.: Parcèche fevelais par talian
G. : No, no sono friulana
T.: E alore parcè no cjacaristu cemût che
tu mangis?
G.: Ma a casa mia si parla italiano
T.: Mmmh, brute usance
M.: Si può sapere da dove siete sbucati?
T.: Jo o soi a stâ tal mulin e lui lu à puartât
miò pâri a cjase me, dopo che je muarte
sô mâri .Jo o ai non Tina, ma ducj mi
clamin Favitta e lui al è Pierino, ma ai disin
Sgricciolo
Si spengono le luci e si accendono sulla
narratrice.
N.: Il vecchio Simone rientrò in casa
Brut rimbambît di vecjo, di dolà vegnial chel
traendosi per mano uno zingarello così
sbrendul?
sudicio e selvatico che parea proprio, come
si dice, il figliuol di nessuno, e sotto l’ascella
aveva un involto di cenci i quali erano tutta l’eredità del povero Pierino.In vedere
quel diavoletto così nero lurido e sparuto, e quel mucchio di stracci, la Polonia si
mise le mani nei capelli, e prese a strillare ….
Luci sulla scena con Polonia, Simone e Pierino:
Po.: Brut rimbambît di vecjo, di dolà vegnial chel sbrendul? Nond’avino avonde di
ce bassilâ cence vê altris fastidis?
Il frut spaurît si plate daûr di Simon e lu prèe:
Sg.: Us prei puartaimi là di mê mâri
Simon lu cuiete.
S. Sta bon frut, (Si volte viers la femine ) e tu, ce ti
zovie vosâ. Il frut ti cjaparà in odi e cussì tu varâs
dôs crôs al puest di une. Se invessit tu lu tratis cu
lis buinis, come che al fos tiò fì, tu lu tiris sù tânt
che un toc di pan e cuant che al deventarà
grandùt, ti darà une man tal curâ lis bestiis, o tal
tignî a ments la frute, cuant che tu vâs al marcjât a
Rivignan. E in plui, intai dis di vèe lu mandarin a
pescjâ e tu podarâs preparâ chês friturutis di
gjavedôns che ti fasin sumiâ.
Si spengono le luci sulla scena e si riaccendono
sulla scena dei quattro ragazzi
( Marco e Giulia ridono)
T.: (stizzita) Parcè ridêso?
G.: Perché avete due soprannomi ridicoli:
Sgricciolo e Favitta
T.: ( Ancora più stizzita) Al è pôc ce ridi, no o sin Tu âs di cjatâ une sglàvare…
libars come i passarîns che svuàlin disôre i
cjamps.
Lo Sgricciolo corre aprendo le braccia a mo’ di ali.
M.: Stai fermo , veh, che sembri Montella
Sg.: Cui êse Montella?
M.: Un giocatore di calcio
Sg.: Un zujadôr? Di calcio? E ce zûc al êse? Noâtris o zuin a passarîns, no savin ce
che al je il calcio.
M.: Come sarebbe a dire a passarîns?
Sg.: Cumò tal fâs viodi (Si china alla ricerca di un sasso) Tu âs di cjatâ une
sglàvare… (Vede che l’altro rimane un po’ incerto) … Supo, no stâ dîmi che no tu
sâs ce che e je une sglàvare, un clap biel taront e plac
M.:Ah, sì
Sg: Colte che tu l’âs cjatât tu lu butis cussì su l’aghe ( lo lancia nell’acqua)
M.: Ma che cosa c’entrano i passarîns?
Sg.: Stupit, no viostu che la sglàvare e slitte su l’aghe e e salte come un ucelùt?
M.: Aah, hai ragione
A Giulia suona il telefonino. La Favitta fa uno scatto all’indietro come se fosse stata
punta da un’ape
T.: Oh, Diu ce striament êsal?
Giulia prende in mano il telefonino e risponde, mentre Tina e Pierino la guardano
sbigottiti
G.: ( Finisce la conversazione e chiude il telefonino. Passa una mano davanti agli
occhi dei due ragazzi esterrefatti) Sveglia! non avete mai visto un telefonino?
T.: Malafenò, ce dal bambìn êsal?
M.. E’ uno strumento che serve per comunicare con persone che stanno in un altro
posto
Sg.: Us lu ae dât il diaul?
M. : Ma che cosa dici ? Il telefono è stato inventato da Meucci più di un secolo fa
Sg.: E pos stai, ma jo no ai mai viodût un
imprest dal gjenar
La Tina guarda con curiosità i vestiti di
Giulia. Questa indossa un paio di jeans
rattoppati e pieni di scritte
T.: Dispo, tu parcè setu vistude di omp?
G.: Io, vestita da uomo? Ma che cosa ti
salta in mente?
T.: Tu as lis barghessis, no sin migo a
carnevâl?
G.: Ohe, ma cosa dici, ma dove vivi?
T.: (Pronta) A Glaunic di Cjamin, e o soi fie
di Simon e Polonie, paròns dal mulin.
G.:Eppure avrei scommesso che il
padrone del mulino si chiama Gino e non
Simone.
T.: Tu ses fûr cu la cassèle tu, miò pâri al
fâs di nom Simon di cuant che al è nât e te
Sveglia! Non avete mai visto un telefonino?
sô vite no lu à mai gambiât
G.: Va bene, va bene , non riscaldarti per
così poco.(Si volta a guardare lo Sgricciolo
che è scalzo) Perché non hai le scarpe tu?
Sg (vergognandosi guarda la Favitta) No ai bisugne di scarpis jo, o voi discòlz come
la siore Polonie.
Le luci si spengono e si accendono in un’altra parte della scena, dove appaiono
Simone e la Polonia.
P.: Viôt cun ce raze di pîs cragnôs che o ai di lâ a messe
S.: Sumo Polonie, us ai pur comprât un
par di scarpis l’ultime volte che o soi
stât a Codroip
P.: Lis scarpis gnovis no van puartadis
inta chei pantans chì
S.: E i scafaròts e i zocui e i sandui che
o vês sot il jet, che parin un esercit?
P.: I scafarots si piardin tal pantàn, i
zocui a ruvinin i pîs e cui sandui si
cjapin i polès veso capit, vecju
insiminît?
S.: (Al met la pipe in bocje, al fas un
gjest di stize) Al è miôr che o ledi a
controlâ tal mulin.
Si spengono le luci e si riaccendono
sulla scena dei ragazzi. Fuori scena si
sente una musica assordante e poco
dopo appaiono alcuni ragazzi, amici di
Marco e Giulia che si mettono a ballare.
Hanno un impianto stereo ed alcuni sentono la musica con le cuffie e il compact
disc.
Marco e Giulia si uniscono al ballo degli amici, mentre lo Sgricciolo e la Favitta
rimangono impietriti di fronte alla confusione creata dal gruppo e guardano con
stupore i ragazzi mentre ballano. La Favitta, ad un certo punto vince il timore, si
avvicina agli altri ragazzi e li imita, muovendo alcuni passi incerti di danza, poi, pian
piano si fa più sicura e si butta a capofitto in una danza sfrenata. Lo Sgricciolo è
rimasto fuori dal gruppo e guarda a bocca aperta.
Finito il ballo i ragazzi salutano e se ne vanno, mentre la Favitta si lascia cadere per
terra ridendo. Lo Sgricciolo finalmente si scuote:
Sg.: Dispo astu mangjât sbissis? O ti ae muardût un sarpînt?
T.: Puar batocjo, impare ancje tu a moviti, che tu mi sameis un mani di scove
Sg.: (Al alze lis spalis e al fas un gjest cu la man, come par disi di lassâ piardi)
T.: (A Giulia) Ma dolà erie la bande che e sunave la musiche?
G: Ma no, stupidina che cosa c’entra la banda? Suonava uno stereo
Sg.: E dolà al vevie i struments Stereo?
M.: Non è mica una persona Stereo, è un apparecchio a batterie che produce
musica
T.: No pos crodilu, un casselòt cun drenti ducj i struments e i sunadôrs? Ma dolà
stavino?
G.: (ride) Non ci sono né strumenti, né suonatori, c’ è un CD sul quale è incisa la
musica
T: (rabbiosa) Tu, tu, tu brute pandole tu volis cjapâmi in zîr, ma no mi fâs menâ ator
jo, satu. A cui croditu di dâle a intindi. Pfh, cence struments e sunadôrs! Robis di
chel altri mônt!
(Si cuiete) Ce musiche sunavino?
G.: Hip hop
T.: Aah, o ai capit ( sculetta a sinistra)
Hip… (sculetta a destra) Pop
G.: (Per non innervosirla di nuovo) Sì, sì,
un pressappoco così
M.: Dai Giulia, muoviamoci che dobbiamo
ancora andare a Rivignano
T.: Ce lêso a fâ, no je migo zornade di
marcjât? E po’ no rivais , al je masse tart
M.: Ma cosa dici? Con questo bolide (e
segna la moto parcheggiata poco più in
là) ci andiamo in 5 minuti.
T e P. guardano stupiti la moto ed
esclamano:
Ce trabicul êsal chel lì?
M. : E’ un’Honda RC2 11 valvole
Sg.: Honda e ce? Torne a disi
M.: Tanto non capisci niente lo stesso
(Accende il motore e lo Sgricciolo e la
Favitta urlano spaventati e scappano)
G.: Ma dove andate? Venite qua
( I due ragazzi stretti l’uno all’altro si Ce trabicul êsal?
avvicinano lentamente timorosi)
T.: Ferme chel diaul di robe
Marco e Giulia ridono
M.: Ma ditemi, che cosa c’entra il mercato?
T.: Stupidàt, no sâstu che a Rivignan si va al marcjat par vendi la robe
M.: Che roba?
T.: Ma sêstu rimambît: a vendi ûfs e pes
M.: Pesce? E dove prendi il pesce?
Sg.: Intal Var, mone, jo e la Tina cjapin un grun di gjavedôns e sgjardulis, e cuant
che al ven su dal mar, o pescjìn ancje l’aurìn, chel però tal Tiliment
T.: E cuant che me mari si è ben sglonfade di fartàe di gjavedôns, chel che al reste
lu vendìn al marcjât
G.: No, ma noi non andiamo al mercato, a Rivignano c’ è il fotografo che ci farà le
fotografie per le nozze
Sg.: No, no, spete un moment, no podês cjacarâ cemût che us comude par no fâsi
capî. . Êse robe di mangjâ fotografìe?
G.: (Spazientita) Ma non sapete niente voi? Venite dalla luna?
Sg.(ride di gusto) Noaltris de lune? E vualtris, cun chei striaments che o vês
puartât?
G.: (Spazientita estrae dal portafoglio la carta d’identità e fa vedere la sua fotografia
ai due ragazzi)
Ecco, guardate, questa è una fotografia
T.: (Guarda incuriosita) Ma cheste tu sês tu ! La fotografìe al è un ritrat alore?
G.:Sì, sì una specie, è troppo complicato spiegarti
M.: Sì una specie di ritratto che per il matrimonio ci costerà la bella sommetta di 500
euro
Sg.: Carantâns us domandin, francs e centêsims, a Rivignan
M.: Sì, ai tempi di Marco Caco, non c’è più la lira, al posto suo ci sono gli euro
M.: (Prende qualche moneta e banconota
dal portafoglio)
Lo Sgricciolo e la Favitta si avvicinano e
guardano con curiosità i soldi
Sg.. ( prende in mano un euro) Ce si
comprie cun cheste patache?
G.: Quasi niente, per prendere qualcosa di
decente, ci vogliono almeno 50 euro
Sg.: E trop valino?
M.: Come 50 di questi ( E segna l’euro che
lo Sgricciolo ha in mano)
T.: Podio comprâmi lis tôs barghessis cun
chei lì?
G.: (scuote la testa) Non sempre…
T.: Marie Vergine ce mont, par cjoli un par
di barghessis sbregadis e pezotôsis, no
bastin ducj chei bês? Alore cuissà trop che
e costin lis barghessis interis :
G. : A volte costano meno
Mandi fantats, us ai puartât il menu pes
T.: Mah, il vuestri al è un mont cul cûl par gnocis
aiar
A questo punto entra in
scena,
fischiettando, il ristoratore del Mulino di Glaunicco
R.: Mandi fantats: us ai puartât il menù pes gnocis. Us doi chestis dos pussibilitâts
Legge i due menu. Dopo presentato i due menu, i ragazzi ne scelgono uno, il
ristoratore prende nota, li saluta e se ne va.
T.: Ducj chei bês lì par mangjâ? A no no nus bastarés une vite par pajâlu
M e G. : ( ridono) Ma siete proprio dei pidocchiosi
T.: (Sustade): Tu cjacaris tu che tu as
lis barghessis a sbrendolon
G. : Sì, ma sono trendy
Sg:Ma ce ditu po’, jo non viôt tre, a
mi parin ugnulis
G. : E’ inutile parlare con voi, siete di
un altro mondo. Beh, stateci bene
ragazzi. Ciao
Marco e Giulia se ne vanno: Si
spengono un attimo le luci e si
riaccendono, mentre entra in scena
Giorgietto il figlio del mugnaio di
Gradiscutta.
Le luci si spostano sul nuovo arrivato Videro due occhietti vispi e puntuti….
e si accendono sulla narratrice :
“Videro due occhietti vispi e puntuti trasforare una siepe e i due garzonetti si
diedero a correre a quella parte col braccio arcato e un bel sasso in mano, il quale
null’altro aspettava che un piccolo cenno di mala volontà per punire
quell’importuno. Ma quegli occhietti perciò non mossero palpebra; anzi di lì a poco
dalla medesima siepe sbucarono due braccia,
e poi due gambe con tutto il resto, e un bel
contadinello con un paniere in mano s’avanzò
verso loro con viso ilare e aperto. I due
selvatichetti avezzi a mettere in rotta con una
vociata amici e nemici, rimasero sbaiti per
tanta confidenza e prima la Favitta si fece
incontro allo sconosciuto:
T.: Ohe, specie di saradele, ce venstu a fâ, a
cjapâ aghe o claps?
Gi.: ( Si cjale ator) Tabaistu cun me?
T. : Sì, sì, cjacari propit cun te. No êse vere
Pierin, che se nol vûl rispuindi a dovê iai
lavarin la muse tal Var?
Gi.: A mi, lavâmi la muse tal Var?. Tu, tu
fevelis propite tu mieze cartuce ? Chì mi soi
fermât par miò plasè e chì mi mi fermi par
faus un dispiet
T.: (A zighe) Aaah, tu tu vûs fâmi un dispièt?
Tu vedarâs tu cumò. Êse vere Pierino che il
dispièt lu puartarà a cjâse lui cumò? Fai viodi
di ce paste che tu sês fat , dai une biele
petenade! E tu (
viers Giorgietto) sta in
vuaite!
Eco il dispiet che mi puarti a cjase….
G.: Jo di chì no mi mûf!
T.: Cioh! Vidìn ce chest clap ti insegne un
poce di creance (e i tire un clap)
G.: (al fâs une smorfie, parcèche i è rivade la claponade tal comedòn) Ah, cussì tu
tu la intindis
G.: Vignêt indenant se o vês cûr
T : Ti mostrarìn che o vin cûr e coradèle ( e va cuintri Giorgetto, ma cuant ch’e
sta par cjapâlu, lui, svelt i fâs il sgambèt e la mande par tiare . Svelt daur di je lo
Sgricciolo al sta par meti lis mans intor a Giorgetto, ma chel altri lu sbrunte e lu fâs
colâ)
G.: Eco il dispièt che mi puarti a cjase e vualtris o saressis chei che vevin di lavâmi
la mûse!
Sg.: ( rabiôs si jeve in pîs e i da cuintri) Sì, sin nô che ti la fasarin viodi (a barufin e
Giorgetto a la fin lu bute te aghe. Si volte viers la Favitta ) e cumò ti tocje a ti ( al va
cuintri la Favitta, a fasin barufe fin che la Favitta s’inçopede,e cole par tiere e reste
ferme cence dà segns di vite. Lo Sgricciolo al cor a tirâle su, sigant .
G.: Setu cussì batocjo, no tu viodis che fâs fente. (al cjape un poce di aghe in man e
la spruze su la muse de frute. Chê si jeve in sentòn di scat) Astu viudût che je plui
vive di te.
Al cjape su il cjapiel che al jere colât par tiere, al cjale i doi fruts: Cussì imparaits
vualtris ucelùts di barascàn a stiça il
falchet ( e s’invie fur di scene )…..
La Favitta lu clame: Ehi tu, ce atu nom ?
T.: Ehi, Giorgetto spetimi…. (i cor incuintri
e lu cjape pe man)
Si distudin lis lûs su la sene e si impîn a
iluminâ un stran personàz che al cjamine
planc. A jentrin in sene Giulia e Marco
clamânt “Sgricciolo, Favitta dove siete?
Ippolito Nievo:
“ Quella Favitta è un’augellina da
macchia, che per serbare la carissima
libertà darebbe ben volentieri l’ali e la
coda; ma più assai della stessa libertà
un’altra cosa le sta a cuore, di tenere
cioè il primo e il miglior posto al di sopra Ehi Giorgieto, spietimi….
degli altri……..”
G.: Ma che strano discorso. Che cosa è
successo allo Sgricciolo e alla Favitta?
Dove sono andati?
I.N. Che cosa è successo? Orbene la
Favitta e lo Sgricciolo, rimasti soli
pensarono bene di maritarsi, ma il
dabennuomo, che per iscrupolo avea
rifiutato una fanciulla fresca e mansueta,
s’accontentò di sposare una vedovella
arcigna e appassita con una figlioletta di
tre anni per soprammercato.
G.: Lei chi è, scusi ?
I.N. : ( sorridendo) Il mio nome è Ippolito
Il mio nome è Ippolito……..
(sempre camminando si allontana
e
scompare nel buio. Giulia, sbigottita guarda
Marco e alzando le spalle): Chi era quello? Che gente da manicomio!
Lo prende per mano e se ne vanno.
Fin
La narratrice: La Favitta, il nostro augellin di bosco, come avete intuito, sceglierà
come sposo Giorgetto, figlio del mugnaio di Gradiscutta, ma rimasta
vedova con una figlioletta a carico, tornerà alla fine dal suo fedele
compagno di giochi, lo Sgricciolo .
La nostra storia finisce qui, ma non la nostra voglia di metterci in
gioco con altre esperienze teatrali.
I atôrs si presentin:
Favitta:
O soi la Favite e lui al è Giorgetto, fì dal mulinâr di Gridiscjute
Giorgetto:
Tâs lengate, che o soi bon di presentâmi dibessôl
Sgricciolo:
Il miò nom al è Pierino, ma mi clamin Sgricciolo e no capìs parcè…
Giulia:
Giulia
Marco:
Marco
Ostêr :
A son doi fantats che fasaràn il gustâ di gnocis tal miò ristorânt
Polonie:
Ce, ce tal miò ristorânt. Tal nestri mulin pluitost, anzit miò di me
Che o soi Polonie e dal miò omp, che al è Simon
Simon:
E à fat dut je!
Veh, che al rive chel secjemirindis che nol à nuje altri ce fâ che
cjaminâ dut il dì su e ju pes rivis dal Var (al ven denant palncut
Ippolito Nievo)
Narratrice:
Nô us vin contât la storie inventade dai fruts des classis 2A e 2B
ispirâts di chel personaz lì ( e a mostre Ippolito Nievo)
Indirizzati dalla professoressa Mirmina, appassionata studiosa del Nievo, abbiamo
condotto una ricerca sulla vita dello scrittore e soprattutto sulla sua permanenza a
Camino, presso i parenti proprietari della villa di Gorizzo.
CUI
ERIAL NIEVO?
Ippolito Nievo al è nât a Padue il 30 novembar
1831.
Al a passât la sô infanzie a Udin, dolà che la sô famèe si è trasferide tal 1837, dongje
il cjscjèl di Colorêt di Montalban.
Tal ’44, al è lât a stâ a Verone par studiâ e lì al a scuviaert i grâncj autôrs romantics
come Foscolo e Manzoni.
Tal 1849, a Creme e podopo a Pise, indolà che al jere stât par finî i studis, al à vût a
ce fâ cu lis teorîs mazzinianis.
Tal 1851, Ippolito Nievo si è iscrit ai cors di giurisprudenze de Universitât di Pavie e
ju à finîts a Padue.
Il cjscjel di Coloret
Italie”
dal
Galilei”.
Nievo,
leterature e
dal pâri che
Cussì,
che cjacarin
provincie.
Intânt, a jerin vignudis fûr lis sôs
primis provis leterâris come il so
scrit ”Studis su la poesie popolâr in
1854 e il so dram “I ultims agns di G.
apene laureât, al a decidût di dâsi ae
al giornalîsim, lânt cuintri la volontât
lu voleve nodâr.
Nievo al a publicât lis sôs novelis,
de vite di campagne, tai giornâi de
Jenfri il 1857 e il ’58, Ippolito al à
scrit il so plui
grânt
libri Il cjscjel di Frate
intitolât “Lis confessiôns di un
talian”, ambientât tal cjiscjel di Frate.
Tal 1859, a Turin, al è lât a finîle tai i cjacjadôrs a cjaval di
Garibaldi,e cun lôr al à combatût a Varês e a San Ferm.
Dopo la pâs di Vilefrancje, Nievo al à scrit l’opuscul
“Vignesie e la libertât d’Italie” e si è trasferît te cjase di
Fossât.
L’an dopo, al à fat part dai Mil, che a son sbarcjâts a Marsale,
dolà che si è guadagnât il titul di prepost all’Indipendenze da
Cjacjador di Garibaldi
part di Garibaldi e dolà che al a dât aes stampis “Amôrs
Garibaldîns”. Tal 1861, dopo che al a vût une licenze, al è e
lât in Sicilie. Ippolito Nievo al è muart tornant indaûr, su la
nâf che je lade a fônts.
Ippolito Nievo nacque a Padova il 30 novembre 1831.Trascorse l’infanzia a Udine dove la sua famiglia
si trasferì nel 1837 vicino al Castello di Colloredo di Montallano.
Dal ’44 si trasferì a Verona per compiere gli studi ginnasiali e qui
avvenne la sua scoperta dei grandi autori romantici come
Foscolo,Manzoni…
Dal 1849, anno in cui si trasferì prima a
crema e poi a Pisa per completare gli studi venne a contatto con
teorie mazziniane.Nel 1851 si iscrisse ai corsi di giurisprudenza
dell’università di Pisa e li completò nel ’55 a Padova.Intanto erano
già apparse le sue prime prove letterarie come il suo saggio “
Studi Sulla poesia popolare massimamente in Italia” del 1854 e il
suo dramma “ gli ultimi a Anni di G. Galilelei. Nievo appena
laureato decise di dedicarsi totalmente alla letteratura e al
Giornalismo
andando contro la volontà del padre che lo voleva notaio. Così Nievo pubblicò dalle novelle ispirate
alla vita di campagna nei giornali di Provincia.In seguito tra il 1857 e il ’58 Ippolito scrisse il suo
maggiore romanzo intitolato “La confessione di un italiano”. Nel 1859 a Torino si arruolò tra i
cacciatori a cavallo di Garibaldi coi quali combattè a Varese e a San Fermo. Dopo la pace di
Villafranca scrisse l’opuscolo “Venezia e la libertà d’Italia” e si stabilì nella casa di Fossato .L’anno
seguente fece parte dei Mille che sbarcarono a Marsala dove si guadagnò il titolo di preposto dell’
Intendenza da parte di Garibaldi e dove diede alle stampe gli “Amori Garibaldini”. Nel 1861 dopo
aver ottenuto una licenza sbarcò in Sicilia. Morì durante la traversata di ritorno in seguito al
naufragio dell’imbarcazione sulla quale viaggiava.
IPPOLITO NIEVO A CJAMIN
Il Nievo al à vût stât un grum di tîmp intal cumun di Cjamin, par vie che a Gurìz al
veve parîncj te vile che e jere dai Colloredo-Mels fintremai dal 1359 .
Te vile, a lu ospitave Ermes
Mainardi, fì di Elisabetta di
Colloredo che e jere la sôr de none
dal scritôr.
Ippolito Nievo al a batût la nestre
zone in lunc e in larc e unevore di
tîmp, soredut a Cjamin, Guriz e
ancje Glaunic, lì che al faseve
passegjadis su lis rivis dal flum Var.
In tal tîmp che il Nievo al è stât a
Cjamin, al à cugnussût Antonio
Giavedoni che al è deventât
ministradôr dai siei bêns a Mantue e
che al jere a stâ tal “borc dai siôrs”,
La vile di Guriz intune stampe
cumò clamât “via Tagliamento”.
Giavedoni al jere un om sevêr ma
just che al à ispirât a Ippolito il ritrat di Antonio Provedoni.
A Cjamin al reste ancjemò sculpît sul steme dai Giavedôns, il pessùt tantis voltis
nomenât tal racont il Varmo.
Dongje Cjamin e je la Plêf di Rose, ancje chê ricuardade dal Nievo in doi raconts
“La Pieve di Rosa. Storia di un Villaggio” e “I fondatori di Treppo”. La Plêf di Rose e
je une glesie che veve sot di sé un grant teritôri di cà e di là de aghe, parvìe che
prime e dipendeve de Badìe di Sest e podopo de arcidiocesi di Udin. Tornant a
Cjamin, il Nievo al lave spès al vecjo mulin di Glaunic, lì
che al à ambientât la conte dal Sgricciolo e de Favite. In dì di
vuè il mulin al è stât trasformât in ristorant e il cumun di
Cjamin al à picjât une targhe che e ricuarde, cu lis peraulis di
Ippolito Nievo, l’impuartance e la storie di chest lûc.
Un toc plui indenant, su la strade che puarte a Gridiscjute,
al è ancjemò il puntùt simpri menzionât tal stes lîbri, mentri
che inte confluence de Marzie cul Var, o cjatin il bosc di
Caligaro , plen di plantis tipichis de zone de risultivis, lì che
a saressin lâts a zujâ i doi fruts de conte.
Cualchi centenâr di metris plui in là si va incuintri a chel altri mulin di Gradiscjute,
tal cumun di Vil di Var. Culì il Nievo al descrîf un grant fogolâr, simbul de vite rurâl
dal Friûl, che forsit al à viodût tal Priorât e che ai è plasût tant di vêlu nomenât
ancje tes “Confessions”, come fogolâr di Frate.
La vile di Guriz
Il Nievo ha risieduto per parecchio
Colloredo-Mels, proprietari della villa di
parenti. Lo ospitava Ermes Mainardi
sorella della nonna dello scrittore.
passeggiate
nella
nostra
zona,
e Glaunicco, dove si recava per lunghe
Varmo.Nel
periodo
in
cui
ha
ha conosciuto
Antonio Giavedoni,
amministratore dei suoi beni a
dai siôrs” .
Giavedoni era un uomo severo, ma
al Nievo la figura di Antonio Provedoni.
tempo a Camino poiché i
Gorizzo dal 1359, erano suoi
figlio di Elisabetta di Colloredo,
Questi amava compiere lunghe
soprattutto a Camino, Gorizzo
camminate sulle rive del fiume
frequentato Camino, lo scrittore
diventato
in
seguito
Mantova, che abitava nel “borc
giusto e saggio, tanto che ispirò
La Plêf di Rose
A Camino rimane ancora
lo stemma di questa famiglia che riporta scolpito il noto pesce
“gjavedon” , più volte nominato nel racconto Il Varmo.
Nei pressi di Camino c’è la Pieve di Rosa, al cui interno si può
ammirare un affresco popolare che riporta l’immagine della
Madonna, anch’esso menzionato negli scritti di Nievo. La Pieve è
una chiesa che in tempi passati esercitava il suo potere su un
vasto territorio, di qua e di là dell’acqua, poiché prima dipese
dall’Abbazia di Sesto al Reghena e
poi passò all’Arcidiocesi di Udine.
Tornando a Camino, il Nievo si recava spesso al vecchio mulino di Glaunicco,
dove ambientò il racconto dello
La ruede dal mulin di Glaunic
Sgricciolo e della Favitta. Oggi il
mulino è stato trasformato in un
rinomato ristorante
che ha mantenuto le tracce dell’antica storia.
L’amministrazione comunale vi ha posto una targa che riporta attraverso le
parole dello scrittore l’importanza e la storia del luogo. Un po’ più a valle di
Glaunicco, sulla strada che porta a Gradiscutta esiste ancora il ponticello
menzionato dal Nievo nel racconto, mentre alla confluenza della Marsia con il
Varmo si estende il bosco planiziale dei Calligaro, ricco di essenze tipiche della
nostra zona di risorgiva e luogo di giochi dei due protagonisti della novella.
Poco più a sud ritroviamo il mulino di Gradiscutta, all’interno del quale però non
esiste il grande focolare immaginato dal Nievo, forse ispirato da quello reale del
Priorato di Varmo, lo stesso che descrisse nella cucina di
Fratta, nel famoso romanzo “Le cconfessioni..”
I RAPUARTS CUI
GJAVEDÔNS
Nievo al veve rapuarts cun Giuseppe, miedi de
famèe, e in particolâr cun Antonio, che al
ministrave i siei bêns di Mantue.
A Cjamin e je ancjemò la cjase dolà che al jere a
stâ Antonio, tal “borc dai siôrs” e, ta une cjase
de stesse famèe, si cjate conservade la lapide de
tombe di famèe, cul steme che al puarte come
simbul un “gjavedon”. Intal cimitêri e je la tombe di Antonio, muart a 90 âns.
Cheste famèe e je une des plui vecjs e impuartantis dal paîs.
Antonio al è nomenât di Nievo pe prime volte ta une letare dal 1 lui 1842, mandade a
sô mari di Verone.
Al faseve ancje di consiliêr de famèe e al doveve vê unevore di credit, se Ippolito al
à scrit a un cert pont: “Vorrei aver qui Giavedoni per consigliarmi”.
Cjamin ai plaseve tant al Nievo soredùt il borc dai siors, lì che jerin un grum di
bielis cjasis . Ricuardin ancje che dai Savorgnan .
Nievo aveva rapporti con Giuseppe, medico di famiglia e in particolare con Antonio che amministrava i suoi
beni nel mantovano. A Camino c’è anocora la casa dei Giavedoni nel “borc dai siors” dove viene conservata
la lapide della tomba di famiglia con lo stemma che porta
Sul fondo la casa dei Savorgnan
come simbolo un ghiozzo (gjavedon), mentre nel cimitero c’è
la tomba di Antonio, moryto a 90 anni.
Questa famiglia era una delle più vecchie e importanti del
paese. Antonio è nominato dal Nievo per la prima volta in una lettera del 1 luglio 1842, mandata alla madre a
Verona. Faceva anche da consigliere di famiglia e doveva avere anche molto credito, se Ippolito ad un certo
punto, di fronte ad un impegno particolarmente oneroso scrive: “Vorrei aver qui Giavedoni per consigliarmi”.
Camino piaceva tanto al Nievo soprattutto il borgo dei signori, dove si allineavano le più belle case del
paese. Ne ricordiamo una fra tutte: la residenza dei Savorgnan
LA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE DI “2004, IL VARMO”
Fine
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Il Varmo - Gruppo Culturale Ippolito Nievo