LUIGI DE ROSA
LA CONDIZIONE DELL’INFANZIA
IN COLOMBIA
EDIZIONI YOUCANPRINT
Indice
7
Introduzione
15
Juan
19
Capitolo 1
Il processo di socializzazione in America Meridionale durante
la colonizzazione dei secoli XVI e XVII.
33
Capitolo 2
Immagini e condizione dell’infanzia nello sviluppo storico.
51
Capitolo 3
La condizione in America del Sud.
57
Capitolo 4
La famiglia in Colombia.
69
Capitolo 5
Instituto de Bienestar Familiar Colombiano (IBFC).
79
Capitolo 6
I risultati della ricerca qualitativa in Colombia.
111
Conclusioni e analisi.
115
Interviste ai testimoni privilegiati.
191
Bibliografia.
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www.luigiderosa.org
Introduzione
Come fenomeno sociale, la quantità dei bambini di strada
cresce in maniera inquietante in molte nazioni dell’America
meridionale. In Colombia quelli tenuti in istituti sono circa
20.000; quelli in stato di abbandono, nelle strade, sono oltre
400.000; infine i minori in fuga dalle loro zone per motivi di
scontri armati tra forze regolari, guerriglieri e paramilitari
sono circa un milione.
La popolazione giovane è la più colpita dalle restrizioni che
durante gli ultimi anni hanno fatto crescere il debito estero, e
non sfugge alle crisi politiche, ai danni dell'economia instabile,
all'inefficienza delle istituzioni pubbliche, alla crudeltà del
conflitto, ormai più che trentennale, con la narcoguerriglia. Le
possibilità dell’infanzia colombiana d’inserirsi normalmente,
con la crescita, nel mondo adulto, si sono ristrette. Le offerte
educative sono scarse; la disoccupazione è alta; la famiglia, da
qualche tempo, mostra segni di disgregazione.
Le caratteristiche d’insicurezza sociale, l’aumento della
violenza e dei crimini, le varie forme di frantumazione sociale
provengono, in gran parte, dalle discriminazioni e
dall’impoverimento che alla Colombia sono imposti dal
sottosviluppo e dagli interessi delle organizzazioni criminali
legati al prodotto “droga”. Negli ultimi venti anni, circa l’8%
degli abitanti si sono trasferiti all’estero perché minacciati con
le famiglie di sequestro o morte. Ciò ha fatto sì che ingenti
capitali sono stati spostati in altri stati.
La situazione politica e socio-economica che attraversa il
paese si ripercuote in tutti gli ambiti della società, avendo come
manifestazione, nelle città più grandi, oltre a fenomeni come la
delinquenza, l’impoverimento, la crescita dei cinturoni di
miseria intorno alle periferie urbane, anche il fenomeno del
bambino di strada, che si presenta in varie forme, da meno
tragiche a disperate, da meglio assistite a ignorate.
Quando potei iniziare la ricerca sul “gaminismo”, (ora
indicato come abbandono alla strada), dovetti permanere in
Colombia ma non immaginavo la realtà vissuta da migliaia di
bambini nel paese e non sapevo fino a che punto le persone che
volevo intervistare avrebbero potuto aiutarmi o esporsi, data la
situazione creata dagli attacchi ai civili da parte dei vari
gruppi armati in lotta tra loro e con lo Stato.
Attendevo che sul nastro trasportatore della sala arrivi
comparisse la valigia, quando la mia attenzione fu richiamata
dalla figura di un prete, ben piantato a dire il vero. Veniva da
Roma come me.
Cominciammo a parlare e mi domandò i motivi del mio
arrivo. Mentre gli esponevo il desiderio di avviare una ricerca
sociologica sull’infanzia, in grado di darmi un quadro reale
sulle cause che portano il bambino alla strada, giunse sul
nastro ruotante la sospirata valigia dove avevo premuto una
quantità di testi e fotocopie.
- Vede parroco, sono confuso perché non so dove è meglio
cominciare, non ho alcun supporto da parte dell'università La
Sapienza. Spero nella “Universidad del Meta”.
Era come dirgli che, benché non fossi un emerito
sprovveduto, credevo nel detto “aiutati che Dio ti aiuta” che
spesso ha l’esatta funzione di assicurare loro che un qualcosa
realmente si avveri. Gli occhi del prete brillarono un attimo
nella penombra che cadeva su El Dorado per l’approssimarsi di
un temporale tropicale, di quelli duri.
- Qui ci bagneremo. Facciamo così, venga a trovarmi
domani mattina, ecco l’indirizzo. Al portiere dica che don
Paolo la sta aspettando e vedrò di darle dei suggerimenti.
L’idea di un aiuto mi diede coraggio. Presi alloggio nei
pressi dell’aeroporto, riordinai le carte e i miei numeri di
telefono.
La mattina seguente mi feci accompagnare da un taxi.
Restavo fermo dinanzi al cancello e rileggevo la targa in
spagnolo che dichiarava l’ubicazione della Commissione
Episcopale. Un portiere, dopo avere verificato le mie
intenzioni, mi disse di procedere diritto fino al cancello
centrale, oltre il piazzale. Sarebbero venuti a prendermi.
Un prete che indossava il clergyman uscì dall’ascensore e
mi tese la mano con aria amichevole, mi sospinse
nell’ascensore.
- Sua Eccellenza il Nunzio Apostolico mi ha detto tutto.
- Don Paolo è il Nunzio?
- Monsignor Paolo Romeo, sì.
Che figura! Ma come si fa ad arrivare in Colombia senza
conoscere il nome del Nunzio? E pensando di iniziare una
ricerca sui bambini di strada, per giunta!
Il segretario mi fece sedere da un lato della scrivania.
Chiamò una suora affinché mi portasse una tazzina di caffè
italiano. Mi sentii sollevato: mi aveva fissato una serie di
appuntamenti con persone che a Bogotà lavorano in enti e
organizzazioni per il recupero dei bambini di strada. Mi dette
una lettera di Monsignor Paolo Romeo.
“Non si perda d’animo. Non dimentichi che qui il problema
principale è la disgregazione familiare. Lasci da parte le
biblioteche e gli enti di statistica e si metta subito nella strada
accompagnato dalle persone che le ho annotato. Sono certo che
in Colombia imparerà a usare bene la sua ferramenta. Buona
fortuna”.
Devo gratitudine a Sua Eminenza Monsignor Paolo Romeo.
Mi ha impartito una gran lezione. Per tale ragione ho
completato la
colombiana.
ricerca
sulla
condizione
dell’infanzia
*
Ho dovuto, nel primo capitolo, necessariamente fare una sintesi
dello sviluppo sociale e della dinamica familiare ai tempi della
conquista. L’intuizione di un bambino coloniale diverso da
quello europeo, muoveva la mia curiosità. Ho tentato le
possibili comparazioni e ne è apparso il fenotipo. Il bambino
colombiano attuale ne è l’erede e le precipue percezioni delle
differenze etniche sono interessanti.
Ho poi presentato, nel secondo capitolo, la condizione
storica dall’infanzia in Europa, per comparare la diversità dei
due tipi e ho evidenziato come, in massima parte, l’infanzia
colombiana, non essendo derivazione diretta della lunga e
multivariata esperienza che ha formato il bambino europeo,
rimane diversa, nel modo di essere e di ritrovarsi, da quella
italiana, certo più fortunata.
Nel terzo capitolo, ho affrontato la problematica generale
dei minori in Colombia, puntualizzando le caratteristiche del
fenomeno e le risposte date attraverso i progetti nazionali e
internazionali.
L’immagine idealizzata del bambino, che in Europa
l’adulto si è rappresentata, dal medioevo ai nostri giorni, (ossia
fino al consolidamento del sentimento dell’infanzia all’interno
della famiglia moderna), in Colombia si è formata in modo
differente. La rappresentazione del bambino europeo non può
essere presa come unico parametro per verificare il sistema dei
valori di una società come quella colombiana. La natura
simbolica e la natura reale, se si vuole confrontarle, devono
essere vedute in ottica diversa da quella che è presentata in
Italia, vuoi dai mass media, vuoi dalle istituzioni, (come ad
esempio i Tribunali dei Minori, che nel rispetto delle Legge, e
nel tentativo di garantire al massimo l’interesse e il benessere
del minore abbandonato, applicano alla stessa maniera, per i
bambini di tutto il mondo, parametri e limiti che, in un paese
dilaniato come la Colombia, dove minori di ogni età, in numero
impressionante, sono “non protetti”, vengono a perdere
significato).
In Italia, mediamente, sono solo un migliaio i minori in
istituti, o presso famiglie in affido temporaneo, che i Tribunali
possono dare in adozione. In Colombia, vertiginosamente, il
numero sale a 400.000. Il problema non è solo colombiano.
Riguarda ogni europeo. L’importante è togliere, prima
possibile, quei minori dalla strada, perché non ci sono strutture
pubbliche o private sufficienti per ospitare la gran quantità di
bambini in abbandono. In Colombia, per facilitare le adozioni,
la differenza di età tra minore e genitore, non esiste; nessuno si
sogna d’imporla, non ha senso intrinseco. Fa più male sapere, a
chi è a conoscenza di questa realtà, che il minore passa, prima
dei dieci anni, nella prostituzione minorile, nel sicariato, nelle
unità della guerriglia o, fondo del barile, dinanzi alle pistole
spianate dagli squadroni di “limpieza social” che ne buttano i
corpi crivellati nella spazzatura.
Nuove impostazioni devono essere date alle iniziative a
favore delle adozioni internazionali. Certo, bisogna agire sulle
cause della rinuncia a educare e adeguare le misure
d’intervento. Il disagio e l’emarginazione sono legati alla vita e
alla crescita del bambino, perché l’estensione della povertà ha
radici profonde. Si deve aggiungere che spesso l’uscita dal
disagio è legata a cause culturali mediate dall’ambiente che
determina il comportamento, le valutazioni, il modo di vita e i
rapporti tra le persone e le istituzioni. L’impoverimento odierno
delle periferie urbane non è un incidente di percorso, ma il
risultato delle attuali strutture economiche, sociali, politiche.
Una nuova animazione sociale è perciò necessaria come
misura di prevenzione, poiché l’educazione di bambini in
condizione di disagio è un fatto eminentemente sociale.
Durkheim, in Educazione e Sociologia, scrive: “... in ogni
società vi sono tante educazioni speciali quanti sono i differenti
ambienti sociali. Persino nelle società ugualitarie, che tendono
a eliminare le differenze ingiuste, l’educazione varia secondo le
professioni. Non vi è dubbio che queste educazioni speciali si
appoggiano su di una base comune, però esse variano da una
società all’altra. Ciascun gruppo si forma un certo ideale
dell’uomo, ed è questo che poi costituisce il polo
dell’educazione, il solo mezzo con cui si preparano nel cuore
del bambino le condizioni essenziali della propria esistenza...”
In sostanza, ogni popolo ha la sua educazione, che gli è
propria e che può servire per ben definirlo, allo stesso modo
della sua organizzazione morale, politica e religiosa.
L’educazione sociale è l’azione esercitata dalle generazioni
adulte sopra di quelle che non sono mature per la vita comune.
Essa ha per obiettivo sviluppare nel bambino stati fisici,
intellettuali e morali, in altre parole socializzarlo. Il problema
della sopravvivenza nella famiglia colombiana ha origini
antiche; dalle formazioni delle prime aggregazioni sociali,
formatesi subito dopo la conquista spagnola, alla famiglia
costretta a vivere nei cinturoni di miseria. Dalle politiche
parassitarie adottate dai paesi conquistatori, ai programmi
economici del ventesimo secolo.
I disagi si sono aggravati anche per l’instabilità politica,
endemica; per la nascita della guerriglia, a metà del XX secolo,
che prima era comunista e poi è stata narcoguerriglia, alleata
delle organizzazioni criminali internazionali, dedite a massacri
e a sequestri di persona, avendo perso, i capi stessi, gli ideali di
una giusta rivoluzione popolare. La risposta alla guerriglia fu il
paramilitarismo, che aggravò ancor più la crisi. La famiglia
colombiana, indubbiamente, risente della crisi economica e
sociale che, a sua volta, è figlia delle crisi politiche e della
corruzione dilagante.
Tale stato di fatti, è certo, perdurerà fino a che non vi sarà
un vero interesse mondiale nei riguardi della morsa
narcoparassitaria che affligge la Colombia. Il primo obiettivo,
inevitabilmente, dovrebbe essere il soffocamento del mercato
della cocaina prodotta. Si sa bene quanto ciò sia difficile, aldilà
di ogni idea politica o religiosa.
Il capitolo quinto descrive l’Istituto de Bienestar Familiar
Colombiano, che da questo punto chiamerò IBFC. Esso è un
ente che dipende dal Ministero della Salute ed è responsabile
del benessere della famiglia e del minore. Sono esaminati le sue
competenze, i suoi interventi e la maniera di utilizzare le
organizzazioni non governative, dette ONG, che collaborano
con il Ministero suddetto per l’attuazione dei progetti.
Nel capitolo sesto, infine, sono presentati i risultati della
ricerca qualitativa, dopo una breve descrizione della
metodologia usata. L’analisi delle diciotto interviste ai
testimoni privilegiati si sviluppa intorno a quattro temi: 1) la
condizione dell’infanzia in Colombia; 2) il gaminismo; 3) le
attività delle organizzazioni governative e non governative; 4) i
progetti delle organizzazioni nel campo dell’assistenza al
minore bisognoso. Il lavoro è chiuso dalle conclusioni.
Spero che questa ricerca serva all’interesse del minore e
stimoli un più mirato intervento di quelle organizzazioni
umanitarie che vogliono aiutarlo.
*
JUAN
Visitando un Progetto Pilota, che in forma sperimentale
sostituisce il carcere minorile, mi colpì un’intervista, (fatta alla
presenza del direttore del Progetto), che feci a un minore, Juan.
D.: Juan, da quanto tempo sei ospite del Centro Pilota?
R.: Da due mesi, signore.
D.: Perché?
R.: Mia madre mi picchiava perché rubavo delle cose
dentro casa.
D.: Non capisco. Ti picchiava?
R.: Sì, mi legava e mi dava con un bastone. Sono scappato.
A questo punto interviene il direttore del Progetto che mi
chiarisce che Juan era scappato da casa, che aveva percorso
molti chilometri a piedi con altri due suoi amici, anch’essi
scappati, e si erano diretti verso il Centro Pilota, dove già una
volta Juan era stato rinchiuso.
D.: È vero che sei venuto qua volontariamente?
R.: Sì.
D.: E quanto pensi di rimanerci?
R.: Fino a che non mi buttano fuori. Ho portato con me
anche due amici.
D.: Come ci stai qui dentro?
R.: Sto bene. Però uno dei miei amici ieri è scappato.
D.: Perché?
R.: Non so perché. Però la “limpieza” l’ha ucciso stanotte.
Rivolgo nuovamente lo sguardo al direttore e lui mi spiega
che il ragazzo che è rimasto ucciso è evaso. Di notte viene tolta
la sorveglianza alla rete di recinzione del Progetto Pilota che
non vuole essere un carcere. I ragazzi devono capire che stanno
lì per essere reinseriti, che non sono considerati delinquenti
comuni. Sono come gli altri, devono agire per libera scelta. Gli
chiedo ulteriori spiegazioni e il direttore mi dice che durante la
notte è stato fatto un furto a uno dei magazzini dove è custodito
il necessario per i ragazzi. Viveri, sapone, vestiario. Sono in
corso le indagini. Probabilmente, chi ha commesso il furto ha
dato incarico al nuovo venuto di andare all’esterno del Progetto
Pilota per piazzare la refurtiva e procurare della droga. C’è stata
una sparatoria della “limpieza”.
D.: Il tuo amico si drogava?
R.: No signore.
D.: Secondo te perché gli hanno sparato la notte scorsa?
R.: È successo altre volte. Non lo so.
D.: Quanti anni hai?
R.: Quattordici.
D.: Hai fratelli?
R.: Cinque.
D.: Tua madre viene a trovarti?
R.: No. Io sto qui per protezione.
Il direttore mi spiega che il ragazzo non è un recluso, come
gli altri, ma un ospite: per un caso eccezionale, si trova presso il
Centro Pilota. Per proteggerlo dalla violenza materna. Mi dice
che non è compito del Centro dare protezione; che sarebbe
l’Istituto del Benestare Familiare a doversene occupare. Io
continuo a fissare il direttore per avere altri dettagli. “Il
Benestar Familiar non ha i mezzi per proteggere tutti i ragazzi
vittime della violenza. Mi sto battendo per tenere qui Juan
quanto più posso. Uscito, andrà nella strada perché non ha altre
alternative”.
Riprendo a parlare con il ragazzo.
D.: Juan, dove vivevi?
R.: Nella strada, signore.
D.: Raccontami. La prima volta perché ti mandarono qui?
R.: Perché prendevo a sassate mia madre.
D.: Che cosa dicesti al giudice?
R.: La verità. Che lei mi picchiava.
D.: Lei ti picchiava e tu lanciavi i sassi.
R.: Sì. Una volta mi ruppe un braccio.
D.: Juan, hai qualcosa in particolare che desideri chiedere
al direttore dell’istituto?
R.: Sì. Che mi porti a casa sua. Solo la domenica.
D.: Vuoi bene al direttore?
R.: Siamo amici.
D.: Sai leggere?
R.: Sì.
D.: Dove hai imparato?
R.: Da solo. Qui dentro.
D.: Cosa ti piacerebbe fare?
R.: Studiare.
D.: Cos’è la ferita che hai alla gamba?
R.: Lavorando.
D.: Dove?
R.: Qui dentro.
D.: Che lavoro ti hanno dato da fare?
R.: Devo rinchiudere i vitellini nel recinto.
D.: Qui non ti hanno curato?
R.: Il direttore mi ha portato all’ospedale.
D.: Che ti hanno fatto?
R.: Il gesso.
D.: E dov’è il gesso?
R.: Me lo sono levato.
D.: Perché hai tolto il gesso?
Il ragazzo resta muto e il direttore rivela come il ragazzo si
sia tolto il gesso per farsi riaccompagnare all’ospedale così da
poter uscire alcune ore dal Centro Pilota.
D.: Ma dimmi, come stavi nella strada?
R.: Avevo degli amici. Facevano i lustrascarpe. Sono stati
uccisi anche loro. Uno aveva diciotto anni.
D.: Perché sono stati uccisi?
R.: Parlavano molto.
D.: Con chi?
R.: Con la polizia. La guerriglia pensava che fossero
spioni.
D.: Come passavi il tuo tempo nella strada?
R.: Toccando il sedere alle ragazze e scappavo.
D.: Come ti guadagnavi da vivere?
R.: Lustrando scarpe. Quando guadagnavo bene, mi pagavo
una stanza, altrimenti dormivo nella strada.
D.: Quanti eravate nella stanza?
R.: Quaranta.
D.: Hai ricordi di quando eri più piccolo?
R.: No. Una volta mia madre picchiò mio padre.
D.: Hai altri ricordi?
R.: No.
D.: Andavi a scuola?
R.: Mi mandavano. Non frequentavo.
D.: Ricordi qualche tuo maestro?
R.: Una maestra dell’asilo. Mi promosse alla fine
dell’anno.
D.: Che altro ti piacerebbe fare?
R.: Vorrei che qualcuno la domenica mi portasse a fare un
giro fuori di qua. Mi piacerebbe.
Capitolo Primo
Il processo di socializzazione in America Meridionale
durante la colonizzazione dei secoli XVI e XVII.
1.1
La relazione stabilita dalle potenze europee con la
civilizzazione del Nuovo Mondo seguì un Modello di
Dominazione preciso ove si mischiavano elementi economici e
ideologici e anche religiosi. Le quattro fasi, scoperta invasione
organizzazione dominazione, intersecarono tempi precisi e
costarono sangue da una parte e dall’altra. Si piantò una
complessa rete d’istituzioni che assicurava il governo delle
popolazioni autoctone; libri e registri scritti dalla “Real
Audiencia” dicono che i suoi membri furono considerati dagli
spagnoli, persone di seconda classe.
La società europea viveva, alla fine del quattordicesimo
secolo, attanagliata dalla lotta per la proprietà, dalle guerre per
il potere. Il contrasto tra povertà e ostentazione delle élite era
forte. L’errore inevitabile dei paesi invasori, fatale per i popoli
delle terre appena scoperte, fu di trasferirvi tali contrasti. Poco a
poco civilizzazioni che non conoscevano né la fame, né la
proprietà, né gli stermini delle guerre, furono contaminati dal
fanatismo europeo e dalle ambizioni di avventurieri e politici.
La forma disordinata in cui iniziò il processo di conquista
del Nuovo Mondo dopo il secondo viaggio di Cristoforo
Colombo, con l’entrata in vigore del così detto Sistema di
Capitolazione - particolari facoltà rilasciate dalla corona di
Spagna ai conquistatori - dette luogo a una serie infinita di
soprusi e illeciti che si tradussero nel rapido annientarsi della
popolazione aborigena, come pure in lotte sanguinose tra coloni
e conquistatori, in seguito, per la divisione delle terre.
Le prime istituzioni create dalla Spagna per i suoi
possedimenti oltreoceano furono la Casa di Contrattazione (la
prima fu quella di Siviglia del 1503) e, sopra di essa, il
Consiglio delle Indie. La prima aveva obiettivi commerciali, il
secondo, politico legislativi. Seguirono le “Governatorie” che
erano, nell’intenzione della corona spagnola, organizzazioni
amministrative dei nuovi territori, che dovevano accertare e
vigilare affinché le terre scoperte non cadessero nelle mani di
avventurieri e scopritori non al servizio della Spagna. I reali si
servirono anche di navigatori stranieri; conferivano mandato
affinché una spedizione partisse, ma capitava che il capo non
fosse designato da loro, ma dalla Casa di Contrattazione o dal
Consiglio, oppure che il capo spedizione morisse o fosse
destituito o tradito dai suoi uomini, o che una spedizione
spagnola scoprisse terre che nello stesso periodo erano percorse
da truppe di altri stati ed era inevitabile che ne nascesse uno
scontro spesso sanguinoso.
La prima provincia di “Terra Ferma” fu quella di Panama,
stabilita nel 1515 sotto Pedro Arias Davila e comprendeva
numerose tribù native: Veraguas, Chagres, Cariaries,
Carabaries, Panamaes, Uriraes, Dururies, Pacorosas,
Comagre, Tubana, Darienes, Chames, Capeche, Chiruca,
Pauca, Coiba, Quema, Nata, Cutara, Aburena, Sobrara, Burica,
in maggior parte comandate da un cacique sottomesso agli
aztechi o ai maya.
Gli invasori, prendendo possesso di una regione, come
prima azione ufficiale, facevano la ripartizione dei “solares”,
appezzamenti che dovevano rispettare una maglia reticolare nel
cui centro si trovava la Piazza d’Arme o Piazza del Re,
fiancheggiata dalla casa del governatore, dalla chiesa, dal
“Cabildo” o Giunta ecclesiastica, e dalla “Real Audencia”.
Quest’ultima cos’era?
I re di Spagna, per essere sicuri che oltremare tutto, o quasi,
si svolgesse nell’interesse della corona, stimolarono la nascita
delle “Audiencias” e le incaricarono di inviare visite periodiche
nelle provincie per rilevare ogni irregolarità. Esse giunsero ad
avere poteri sommi, al punto che potevano processare
governatori e persino viceré. Ispezionavano le “haciendas” dove
erano tenuti al lavoro gli indios e dispensavano tratti di corda
senza troppo lesinare, giacché, nell’intenzione, vi era la volontà
di tenere gli indios lontani dalle ambizioni che affliggevano i
colonizzatori.
Il piano primitivo delle nuove città contemplava la
costruzione di mura difensive, in un primo tempo dagli attacchi
degli indios, in un secondo tempo, in particolare lungo la costa,
dai bucanieri inviati a bella posta da sua Maestà Britannica a
solcare i mari delle Nuove Indie. Le nascenti città, in tal modo,
parevano più fortezze che centri abitati in espansione. In tale
contesto, metà militare, metà civile, prese forma la nuova
società colombiana.
1.2 A differenza degli invasori inglesi e francesi
dell’America settentrionale, gli spagnoli accettarono l’unione
con le donne indigene come elemento essenziale per lo sviluppo
della colonia. Si andò profilando l’identità “criolla”, in un
mosaico che incorporò elementi autoctoni e ispanici, si
sviluppava perciò il tipo latino-americano.
Le due invasioni, a Nord e a Sud del nuovo continente,
ispanica e inglese, iniziate con uno stacco di tempo di cinquanta
anni, furono differenti principalmente per il carattere religioso
dato alla conquista, (cattolica, anglicana o protestante), e per il
diverso spirito colonizzatore che le accompagnava: era idea
degli spagnoli, dopo averne tratte ricchezze, rimpatriare. I coloni
inglesi partivano dall’Europa con le famiglie, decisi a non farvi
ritorno.
Le differenti forme culturali che vivificarono le
colonizzazioni hanno portato a una differente maniera di sentire
il colore della pelle nel Nord e nel Sud del continente
americano. Di clan xenofobi in America meridionale non si è
veduta formazione. Di fenomeni come l’apartheid, in America
meridionale non se n’è sentita la necessità, anche se non si può
negare che esiste una differenziazione sociale di carattere
etnico.
La prima voce che si levò ufficialmente, contro gli abusi dei
conquistatori, fu quella del domenicano padre Antonio de
Montesinos, durante un sermone pronunciato in una chiesa
dell’isola detta Spagnola la notte di Natale del 1511. Un
secondo frate, padre Bartolomé de las Casas, fece rapporto alla
corona che attuò, in breve, leggi e cedole reali affinché i coloni
trattassero gli indios al pari degli spagnoli, ma la distanza da
Madrid fece restare tutto come prima, anzi, venendo a mancare
mano di opera locale, si dette inizio a una massiccia
importazione di africani, come schiavi. Da notare come questi
fossero spesso più avanzati degli indigeni e dotati di abilità.
L’educazione restò prerogativa dei missionari e le decisioni
sinodali di Santa Fé, nel 1555, sono considerate la base storica
sulla quale si cominciò a costruire la struttura per organizzare la
vita sociale, religiosa e educativa d’indios, grandi e piccoli, nel
Nuovo Regno.
Nel 1573 si promulgarono le Nuove Leggi del Patronato che
marcarono la divisione tra potere religioso e civile. Le leggi
assegnarono ai religiosi il compito d’istruire i nativi. Fu
possibile, dal 1576, ordinare sacerdoti i creoli, figli di spagnoli e
indie, e solo dopo la petizione al re e al papa del vescovo Zapata
il diritto fu esteso ai meticci, figli di spagnoli con negri. Nella
seconda metà del sedicesimo secolo ci fu una preoccupazione
più viva per l’educazione. Sul finire del secolo si rimise in
funzione il seminario di San Bartolomeo a Santa Fe (Bogotà),
chiuso per mancanza di fondi nel 1586.
Dobbiamo, ora, renderci conto del significato della parola
Castas. Con essa s’identificavano segmenti di popolazione
dell’America ispanica, formati ognuno da individui procedenti
da incroci tra spagnoli, indios e negri che si crearono sin
dall’inizio del dominio coloniale, secolo XV, dando poi origine
a una confusione di sottocaste che in più occasioni
rappresentarono un serio rompicapo per i notai quando gli eredi
impugnavano i testamenti, in forza delle percentuali di sangue
provenienti dagli antenati originali.
La monarchia spagnola tentò all’inizio di organizzare la
complessa società coloniale attraverso la creazione di un
sistema di governo basato sulla divisione della popolazione. I
figli di soldati e donne indie facilitarono il radicarsi delle
strutture di parentela indigena, basate sulla famiglia estesa,
rinforzando tali alleanze come elemento chiave della conquista.
Nello stesso tempo, quegli indios integrati nei valori della
società ispanica, furono parte decisiva del suo trapianto. Lo
spazio occupato dalla nuova popolazione creola e meticcia fu
ampio e allo stesso tempo ambiguo a causa dell’estrema
mobilità sociale. La vita di un creolo poteva svilupparsi nei
pueblos, assimilandosi alla popolazione indigena, come nei
paesini e nelle città, e situarsi in uno status sociale impreciso
che permetteva di eludere l’ordinamento ufficiale - molto
restrittivo nella distribuzione delle cariche pubbliche - per
mezzo dell’acquisto del suo “biancore”, o per la prossimità
economica alle élite formate da spagnoli peninsulari e spagnoli
americani. L’ultimo scalino sociale era per la gente di castas. Il
termine generico “casta” era di uso comune nel diciottesimo
secolo, e poteva includere, a diversi livelli, meticci (bianco +
india), mulatti (nera + bianco), zambo (india + nero), o le più
disparate provenienze etniche, uniformate dal fatto di
appartenere a uno status inferiore. Il numero di figli “incrociati”
crebbe con tale rapidità che fu considerato dall’amministrazione
coloniale come fonte permanente di conflitti, derivanti, secondo
la suddetta amministrazione, dall’oziosità e dall’indolenza,
caratteristiche assegnate a gente di casta e sottocasta.
Geografia e territorio.
Il suolo colombiano ha differenti qualità. Intanto cinque
frontiere e due oceani, Atlantico e Pacifico, che bagnano,
rispettivamente, a Nord e all’Ovest le due sponde. Una triplice
cordigliera divide da Nord a Sud il territorio. La zona a est
della cordigliera, fino alla foresta amazzonica, andando verso
il Brasile, è pianeggiante e si presta all’allevamento del
bestiame. I differenti gruppi d’indigeni che abitavano l’America
Precolombiana generarono, data l’orografia e il corso dei
grandi fiumi, una rete d’intercambi tra i gruppi, che permetteva
di scambiare diversi prodotti e conoscenze, necessari alla
sopravvivenza. Tale rete fu spezzata dai conquistatori e vaste
porzioni di territorio furono isolate.
Le zone di guerriglia, il paramilitarismo mutante, le
coltivazioni illecite, sono eredità di quel macroscopico errore.
Bogotà è divenuta la capitale accentratrice di ogni cosa, dal
potere, di ogni tipo, alle popolazioni che vi accorrono da ogni
angolo. La conseguenza, col passare dei secoli, è stata una
lenta progressiva inevitabile perdita del controllo del territorio.
Lo stato si è eclissato, così come fece la Corona spagnola.
Prima della scoperta, la continuità dei diversi territori
indigeni facilitò il mutuo servizio dei popoli che occupavano
ecosistemi differenti. La vita di ogni giorno era intrisa di
cultura locale, apprendimento, insegnamento e ciò per il valore
della stessa vita. È la razionalità di quegli antichi scambi e il
modo d’insegnare al ragazzo indigeno che può darci, se
volessimo costruire un paradigma precolombiano, il destino
promesso per quei popoli e quelle terre oggi bagnate di sangue
a causa del narcotraffico. Risorse come il cotone, piante
tossiche o medicinali, metodologie di cura erano gestite dagli
sciamani. La trasmissione della conoscenza era per tutti i
bambini; i più sensibili verso i fenomeni della natura erano
chiamati dagli sciamani per un maggiore apprendimento del
riconoscimento delle piante e dell’arte curativa, o della
“sanazione” quando la guarigione aveva caratteristiche
prodigiose. Ogni albero, ogni corteccia, ogni foglia, ogni seme
esiste per un preciso scopo e non se ne può perdere la memoria.
In Colombia, fatta eccezione per il popolo inca, nessun gruppo
andino si avventurò per stabilirsi nella parte a est della
cordigliera e pertanto le relazioni degli indios di questo lato
non furono mai marcate dai conflitti, (come accadde in Perù o
Bolivia). Non era l’Eden ma gli indigeni che vi dimoravano
avevano stabilità. La dottrina delle superiorità razziale e della
spada, portata dagli spagnoli, tentò di giustificare il sopruso,
ma la mancanza delle appropriate conoscenze da parte dei
conquistatori e la cecità sociale innescarono la disgregazione
che porta oggi ai loro eredi una problematica più che mai
violenta.
1.3
Com’era rappresentato il bambino al tempo della
colonizzazione? Se ammirassimo il tipo di pittura sviluppato
durante il diciottesimo secolo da artisti che vivevano nelle
colonie spagnole, in particolare in Messico, potremo vedere il
modo di fissare sulla tela l’idea che nella mente di quegli artisti
si formava circa la rappresentazione della famiglia coloniale. Il
gruppo dipinto era formato dal padre, dalla madre e da uno o
due figli vestiti con gli abiti della casta di appartenenza.
Un'iscrizione sul quadro identificava il censo e segnava un
albero genealogico, dal primo incrocio del capostipite spagnolo
con l’india e poi con la nera. Molti di questi dipinti furono
ordinati dal viceré Fernando de Alencastre perché fossero inviati
in Spagna come documento visivo.
La conquista ebbe importanti conseguenze demografiche, la
nuova popolazione aumentò continuamente di numero, sia in
forma naturale, per l’arrivo di nuovi coloni, sia per gli incroci
con le donne locali. A causa delle malattie portate dai
conquistatori, la riduzione delle popolazioni indigene fu
drammatica. In un secolo si ridusse da cinquanta milioni a tre.
All’inizio della conquista la popolazione in Spagna era di circa
sette milioni. Gli indios che abitavano l’Amazzonia erano circa
sei milioni. Su di un territorio conquistato di due milioni di
chilometri quadrati, quattro volte la Spagna, le malattie
esantematiche uccisero un numero di persone sette volte gli
abitanti della Spagna d’inizio XVI secolo. Nonostante ciò gli
invasori popolarono duecento città e mantennero vaste
“haciendas”, dove gli indios, lasciati in libertà a causa della loro
vulnerabilità fisica, vennero man mano sostituiti dagli schiavi
negri in arrivo dall’Africa. Furono importati nelle colonie
spagnole circa 550.000 schiavi.
I Vicereami in America meridionale inizialmente furono
due: quello della Nuova Spagna che comprendeva Mexico,
Santo Domingo, Guatemala, Guadalajara, le Antille, e
l’America Centrale ad eccezione di Panama, e il secondo,
Vicereame riconosciuto nel Perù, che comprendeva tutto il
territorio continentale dell’America del Sud ad eccezione di
Panama e della costa nord del Venezuela. Nel 1776 si creò il
Vicereame della Plata che, per decongestionare quello del Perù,
integrò Argentina, Paraguay, Uruguay e Bolivia.
Il bambino sud americano, pertanto, nacque, crebbe, e si
ritagliò una nicchia sociale in un mondo differente da quello
ispano europeo; le indie che lo partorirono, gli uomini che lo
crebbero, erano diversi: le donne che lo allattavano avevano
conoscenze diseguali da quelle europee, e le stesse leggende che
esse raccontavano trattavano di una natura magica sconosciuta
in Spagna. L’educazione era principalmente una scuola di
sopravvivenza, dove prima di ogni altro gesto naturale si
interpretavano i segni della natura, generosa ma impietosa con i
distratti.
I suoi educatori erano sciamani o missionari, secondo le
distanze o secondo le rivali correnti politiche le quali facevano
sì che i missionari a volte erano benvenuti e a volte scacciati e
richiamati imperiosamente in Europa. (Accade nel 1767 e nel
1851). Il nuovo bambino sud americano, là dove si creava
adattamento reciproco, dovette dividere le sue conoscenze con i
bambini indigeni e, nelle due direzioni, avvenne uno scambio
proficuo di conoscenze. Quando un bambino si ammalava, in
posti che distavano giorni di marcia dal centro più prossimo, era
lo sciamano a curarlo, allo stesso modo e con gli identici rimedi
che si davano al bambino indigeno della selva inesplorata.
Nel cuore della Colombia, zona delle vaste pianure, si dette
inizio a una fase di colonizzazione spirituale e di sottomissione
della popolazione aborigena. Mentre nella zona Andina essa fu
destinata alla produzione di alimenti, nella zona pianeggiante fu
destinata all’allevamento. Elementi precolombiani si fusero con
nuove risorse e viceversa.
Oggi sono in molti, studiosi e osservatori, ad affrontare il
bosco umido tropicale o la zona dei Piani come un mondo
aperto alla creazione di formule sociali più umanizzate e
armoniche. Le recenti leggi speciali per i popoli indigeni
prevedono per il bambino un accesso doppio all’educazione e
alla cultura. I maestri e i professori che insegnano nelle riserve
devono essere bilingui e l’allievo, da grande, sceglierà se restare
nella riserva, vivendo di caccia, pesca, agricoltura, o se
trasferirsi nelle città. Non tutte le ottantaquattro organizzazioni
indigene procedono di pari passo verso il miglioramento locale,
usando un’agile gestione e interpretazione delle leggi speciali.
Per ottenere benefici bisogna lottare e citare lo stato dinanzi alla
corte internazionale.
L’UNUMA, cui fanno capo quindici riverse indigene, è
l’organizzazione più arretrata e bisognosa. S’identifica nella
zona dei Piani ed è molto lontana dai benefici della burocrazia
centrale. Nelle sue riserve vi sono scuole primarie, ma solo una,
quella del Wacoyo, ha scuola media e superiore mandata
innanzi da quattro suore, due italiane, una colombiana, una
portoghese. Ciò rappresenta un’apertura da parte degli indigeni
che, generalmente, non accettano la presenza di missionari e il
loro sistema di lavoro. L’anziano comincia ad appostare sul
giovane, sperando nella sua completa formazione scolastica per
il vantaggio comune. Quei ragazzi che si diplomano presso
Wacoyo devono però restare per dare insegnamento agli altri
alunni e così, nella mancanza di generi di prima necessità,
nessuno prosegue per l’università, lontana centinaia di
chilometri: l’indigeno si istruisce come può e molti diritti
restano lettera morta. I processi di occupazione mal diretti e
orientati dallo stato, la colonizzazione originata dalla lotta di
gruppi armati, l’altra colonizzazione indotta dalle compagnie di
estrazione del petrolio, hanno generato processi di sfruttamento
che prendono dal territorio indigeno e nulla danno.
1.4 Un decreto reale del 1514 autorizzò il matrimonio tra
spagnoli e amerindi. L’unione dei negri d’Africa ebbe un altro
processo: la corona non permetteva il loro matrimonio con
persone di differente razza, ma fu permissiva e si deve qui
segnalare che la chiesa cattolica disimpegnò un ruolo decisivo
per un ordinamento della situazione, poiché preferiva matrimoni
misti alla proliferazione del concubinato.
Gli sforzi fatti dalle potenze europee per materializzare la
conquista con insediamenti e missioni significarono che già nel
1776 l’Europa dominava una superficie del Nuovo Mondo
molto più ampia di quella posseduta nel vecchio. Esistevano
quattro zone di occupazione: nella costa atlantica dell’America
settentrionale le colonie inglesi coprivano 2.072.000 chilometri
quadrati ossia quindici volte l’Inghilterra; avevano una
popolazione di circa due milioni di abitanti, della quale la quarta
parte circa era costituita da schiavi negri. Non vi erano, in
pratica, discendenti dell'originaria popolazione indigena.
Nel Nord-ovest sorgevano cittadine con scarsa popolazione,
il cui commercio erano le pelli, ed erano concentrate nella valle
del Mississippi e del San Lorenzo sotto dominio francese.
Nel Centro Nord vi erano i possedimenti spagnoli che
partivano dalla parte Caraibica fino alla California, dove una
catena di missioni univa San Francisco a Città del Messico.
La quarta zona era quella della parte continentale
dell’America meridionale, che da Panama scendeva fino alla
Terra del Fuoco.
La popolazione ispano-americana delle colonie ascendeva a
dodici milioni di abitanti, dei quali solo una quinta parte era di
nascita spagnola. La metà era indigena e la parte rimanente fatta
di mulatti, creoli e negri.
Benché la società coloniale spagnola fosse più aperta di
quella iberica, data la nuova condizione sociale, nell’ambito
della produzione mostrava una chiara stratificazione che si
plasmava in una gerarchia sociale piramidale al cui vertice si
posero gli spagnoli; creoli e mulatti di rango legittimato dalle
istituzioni politiche; indios; meticci non legittimati; negri e
mulatti liberi; e infine gli schiavi negri.
1.5
Sin dall’inizio della conquista la corona incaricò la
Chiesa della cristianizzazione degli amerindi. Il sistema usato
consisteva nel tenere gli indios in piccole comunità organizzate
dette “reducciones” perché sviluppassero il senso cristiano. Tale
sistema, anche se facilitava l’organizzazione del lavoro e la
riscossione delle imposte, distruggeva la cultura e la religione
dei popoli amerindi, poiché s’imponevano loro una differente
religione e altri usi e costumi. Con l’alienazione spirituale la
Spagna si aiutò nel controllo della popolazione molto più che le
armi o con i governi municipali. I colonizzatori trovavano zone
disabitate e vi si stabilivano riproducendovi la stessa
organizzazione sociale e produttiva del paese di origine.
I bambini che lì nacquero e crebbero, interiorizzarono
modelli di apprendimento europei.
Nelle regioni dove la popolazione indigena non accettò
nessuna subordinazione, o non era abituata a vita sedentaria o al
rispetto delle autorità imposte, ci si limitò alla conquista e allo
sterminio degli abitanti.
Quando s’incontravano comunità giunte a un certo grado di
sviluppo e che pertanto avevano già radicato la divisione dei
compiti, del lavoro e l’idea dell’autorità e del tributo, il compito
del colono era più facile. I gruppi indigeni già sottomessi dagli
Incas e dagli aztechi avevano appreso norme imposte loro dalle
due classi dominanti suddette. Vi era tra Incas e Aztechi una
netta stratificazione sociale, scuole differenti per bambini della
classe dominante e della classe sottomessa, ma non era negato ai
bambini l’accesso alla classe superiore durante la crescita:
molto dipendeva dal coraggio e dalle capacità del bambino. Gli
aztechi avevano come schiavi le genti vinte in battaglia, ma i
figli degli schiavi nascevano come esseri liberi e pertanto
potevano scegliere come vivere, in funzione, chiaramente, delle
loro capacità.
Ma la schiavitù continuò anche se sostituita gradatamente
da quella dei negri in arrivo dall’Africa e durò fino al XVI
secolo. Essa si confuse con il termine alleggerito di naboria, che
nelle terre oggi corrispondenti al territorio colombiano, si
riferiva a Nabori, un indio “liberato” che era tenuto come
ragazzo di casa, addetto alle faccende domestiche. La schiavitù
si mutava in servitù permanente; i bambini nascevano e
crescevano nella fattoria del colono spagnolo; erano qui istruiti
spesso da missionari e il colono doveva provvedere alla loro
alimentazione e alle cure mediche necessarie.
Le nuove leggi varate da Carlo V nel 1542 per disciplinare
la situazione trovarono scarsa applicazione. L’autorizzazione
(Encomienda) della corona data a un colono per esercitare il
dominio sugli indios che rientravano nel suo territorio, era
seguita dall’obbligo di fare il possibile per convertire gli indios
alla fede cattolica e riscattarlo dalla schiavitù, dando educazione
ai bambini nati.
Le leggi di Burgos, firmate in tale città nel 1512 e
conosciute come “Ordinanza per la Buona Amministrazione e
Trattamento degli Indios” da applicare nelle colonie del Nuovo
Mondo, avevano prescritto che per ogni cinquanta indios fosse
scelto un “bambino monitor” da controllare come campione per
verificare i profitti delle comunità indigene e stabilire se
l’apprendimento della religione cristiana e la distribuzione dei
sacramenti avvenissero regolarmente.
La monarchia spagnola, volendo vegliare sulla purezza
religiosa e morale, intese selezionare la popolazione emigrante e
iniziò a proibire l’andata verso l’America a nuovi cristiani o
recenti convertiti, ai giudei, ai musulmani, ai gitani e ai
condannati dal tribunale dell’Inquisizione. Né lo permise ai
vagabondi, anzi, si decretò affinché quelli trovati a mendicare
oltre oceano fossero subito rimpatriati. Una Real Cedula del
1509 proibiva l’emigrazione degli avvocati senza uno speciale
permesso, poiché alcuni erano stati accusati d’indurre i coloni
alle liti, solo per dilapidarli. Inizialmente fu proibito l’ingresso
agli stranieri che commerciavano. I Re Cattolici dettero
particolari dispense ma le proteste dei coloni non mancarono
mai. Non è possibile citare il numero esatto di spagnoli che
emigrarono nel sedicesimo secolo, benché la Casa de
Contratacion mantenesse registri di viaggiatori per l’America,
perché non sempre sono affidabili: in molte occasioni i permessi
si ottenevano in forma illegale. Si possono citare cifre di
250.000 imbarcati nel sedicesimo secolo ma non è possibile
sapere quante di queste persone tornarono in Spagna dopo il
loro soggiorno in America. Alcuni storici affermano che la
depressione economica e sociale che afflisse il diciassettesimo
secolo, nella sua prima metà creò circa 200.000 emigranti.
L’emigrazione spagnola fu volontaria, montata dalla fama delle
ricchezze della Nuova Spagna e dal Vicereame del Perù. Si
conta che la percentuale di donne emigrate nella prima metà del
sedicesimo secolo fu del 10% degli uomini, per salire fino al
20% verso la fine del secolo. Questa fu una delle principali
cause che favorirono l’unione dei coloni con le indie e le
meticcie. La monarchia giunse a pagare il biglietto e il
mantenimento delle emigrate per i primi mesi, nei nuovi
vicereami. Non mancarono i casi di uomini sposati, autorizzati
dalle mogli al trasferimento senza di esse, in attesa che
l’emigrante avesse casa e un campo, spesso coltivato con il
lavoro degli indios.
Un secolo dopo la scoperta, il cosmografo Juan Lopez de
Velasco compilò una lista di 225 località la cui popolazione era
di 150.000 persone. Esse si triplicarono in mezzo secolo
confermando il dinamismo demografico del territorio.
Capitolo secondo
Immagini e condizione dell’infanzia nello sviluppo storico.
2.1 Nell’antica Pompei gli affreschi della Villa dei Misteri
ci riportano l’iniziazione di bambini ai riti dionisiaci. Il bambino
romano era fonte di preoccupazione per il genitore che teneva
alla sua educazione. Spesso i figli erano mandati presso scuole
greche. La società medievale europea aveva scordato tutto ciò.
Dice Ariès che essa non aveva l’idea d'educazione né il
sentimento dell’infanzia (Ariès: 1994).
Cos’era accaduto? Il medioevo aveva dimenticato le scuole
degli antichi, romani o greci, e non conosceva ancora un tipo di
educazione più moderna. I fanciulli verso i sette anni erano
mandati presso altre famiglie per apprendere arti o mestieri,
come ci raccontano le miniature medioevali. Il bambino era il
compagno naturale dell’adulto. I greci presupponevano il
passaggio dal mondo dei bambini a quello degli adulti attraverso
l’iniziazione e l’educazione e i romani ne avevano ricopiato il
costume. Il medioevo non colse tale differenza né questo
passaggio. I fanciulli erano confusi con gli adulti.
Accade sul finire del Medioevo che l’attenzione alla vita del
ragazzo si fa più forte e specifica, soprattutto nelle famiglie dei
ricchi, i quali fuggono la promiscuità che i tempi imponevano.
Le scuole, che dall’inizio del Medioevo erano rimaste comuni
alle diverse generazioni, all’inizio dei tempi moderni si
differenziano; alcune scuole erano per i bambini di elevato
lignaggio, altre, come gli istituti o scuole di carità del seicento,
destinate ai poveri. Nel Medioevo, dunque, il bambino entrava
nel mare degli adulti e non si distingueva in esso.
In quegli anni che molti chiamano di oscurantismo
medioevale, in America, prima della scoperta, prima che due
culture s’incontrassero, com’era considerato il bambino? I
codici arrivati a noi, e con essi la cultura Maya e Azteca, danno
grande importanza alla sua educazione: è educato alla moralità e
al coraggio, doti gli permetteranno di essere un buon capo o di
salire nella scala sociale. Non bisogna dimenticare, ad esempio,
che i bambini nati dagli schiavi erano considerati liberi,
indipendenti dalla sorte delle madri e potevano scegliere la loro
strada sin da piccoli, studiare o divenire artigiani, o guerrieri se
avevano abbastanza coraggio. L’idea di uguaglianza, gli antichi
amerindi la applicavano alla nascita; se poi il corso della vita,
nella fase della maturazione, cambiava il destino del bambino,
ciò era per volontà divina.
L’educazione dava importanza alla conoscenza della storia,
della mitologia e della poesia e perciò un fanciullo doveva saper
leggere, cantare, preparare discorsi. Tutto era scritto nei codici e
il bambino era dunque parte integrante della società.
L’amministrazione coloniale e religiosa permise l’uso della
scrittura basata sui logogrammi tanto per utilità educativa ed
economica, come per il conoscimento delle antichità indigene e
ciò favorì l’evangelizzazione. Con il passare del tempo la
cultura del bambino indio fu sostituita. Pertanto, ancora nel
quindicesimo e sedicesimo secolo, per motivi religiosi,
l’attenzione data all’educazione del bambino americano è
maggiore che in Europa. Padre Bartolomeo della Casa era
costantemente preoccupato della maniera di educare quei
bambini indigeni o di sangue misto. Il suo maggiore scopo era
d’insegnare il nuovo senza distruggere il vecchio e ciò fu spesso
fonte di scontri con i potenti dell’epoca.
Nel sedicesimo secolo, in Europa, il sentimento verso il
minore si completa: nella vita quotidiana si delineano due vite,
quella adulta e l’altra adolescente. Nel seicento il bambino
smette di essere coperto come un adulto. Nel settecento il
pargolo è vestito, si parla di moda infantile, il suo abbigliamento
diviene più comodo, meno rigido. Sono ancora solo i bambini
poveri e quelli del popolo più in basso che seguono a indossare
gli abiti adatti agli adulti. Si pubblicano i primi galatei per
insegnare le buone maniere. Finalmente appare il metodo, la
gradualità nell’insegnamento, poiché gli umanisti erano convinti
che l’educazione si ricevesse nel trascorrere della vita, nella
lotta per il quotidiano.
Nel nuovo mondo sono i missionari ad andare di villaggio in
villaggio per fondare l’educazione a cui essi danno grande
importanza. Agli inizi del settecento si aprirono collegi per le
bambine povere. L’educazione femminile ebbe inizio grazie alla
presenza di comunità religiose. Il primo collegio femminile,
l’Enseñanza, aprì le porte il 23 aprile del 1784 con il patrocinio
del vescovo Virrey.
In America Latina, all’epoca della colonizzazione, data la
scarsezza di strutture educative, il bambino non può essere
separato dal mondo degli adulti, come in Europa, ma vive a
stretto contatto con tutte le problematiche coloniali del tempo. I
nuovi territori sono sconfinati e l’educazione è impartita, dove
non arriva il missionario, dal colono, e se costui è buono, con
mezzi, trova un insegnante che istruisca i figli propri e quelli dei
suoi dipendenti.
Questi casi di sostituzione di compiti, stato-cittadino,
centralità-periferia, sono tuttora presenti, (una sorta di latenza
dell’encomienda) là dove grandi latifondi chiedono l’impiego di
lavoratori che si trovano distanti centinaia di chilometri dal
posto abitato più vicino che dispone di una scuola. I piani
economici non prevedono una ristrutturazione del territorio
coltivato o di allevamento, creando sul posto scuole o
università.
La preoccupazione principale dei governi che si sono
succeduti è stata l’industria che ha creato uno spostamento di
milioni di persone, dal campo alla città, con nefaste
conseguenze. La narcoguerriglia del ventunesimo secolo
aggrava la situazione, distruggendo le poche scuole rimaste nei
territori dove è scarsa o nulla la presenza dello stato e negando
ai bambini il diritto all’istruzione e alla stessa famiglia il diritto
a essere una buona base sociale.
In Europa, come abbiamo visto, è dunque il crescere del
sentimento della famiglia che sviluppa nella società il
sentimento dell’infanzia. In America, assegnata la politica
coloniale, è la necessità di dare una nuova fede, la cristiana, a
rendere centrale il sentimento dell’infanzia.
L’America vede un nuovo fenotipo di bambino. Regole altre
sono stabilite da norme non codificate in Europa. Alla corona
spagnola non basteranno cento anni per mettere ordine nella
famiglia sud americana. Il re nulla può a migliaia di chilometri
di distanza per ordinare un territorio molte volte più grande
dell’Europa. Più vi è incrocio tra spagnoli e indios, più cresce il
disordine. Alla fine del 1600 le castas e le sotto castas sono il
risultato dei ripetuti incroci di etnie. Bianchi, indios, meticci,
creoli, mulatti, e poi suddivisioni delle suddivisioni, in quarti e
ottavi e così via.
In Europa, dal 1700 in poi, anche se la famiglia scoprirà il
“privato”, gran parte della popolazione, più povera e numerosa,
viveva alla meglio e molti ragazzi dovevano procurarsi un
lavoro per vivere. In America il bambino, la cui vita non è
semplice, vive a stretto contatto con l’indio, ma il continente è
ricco di risorse. Si muore però di malattie trasportate
dall’Europa.
2.2
Nello scorrere dei secoli le rappresentazioni nelle
favole per i bambini costituiscono una valida verifica del
sistema di valori di una società. Le favole caratterizzano sia chi
le esprime, sia chi in esse è raffigurato. De Lawue diceva che il
racconto ha valore per la rappresentazione di ogni soggetto e
che la rappresentazione del bambino nella favola ha il vantaggio
di riguardare il passato di ognuno.
Anche il gioco ha la sua importanza essendo il seguito o
l’applicazione pratica della favola. È per il bambino americano
una sorta di apprendimento teorico e applicazione delle nozioni
che l’adulto, adattato alla selva, gli passava. Un modo per capire
la natura e vivere in essa. Questo fu trasmesso al bambino
meticcio, figlio dei nuovi conquistatori e delle indigene, e ciò lo
salvò in più occasioni da morti accidentali.
L’infanzia indigena è raccontata e idealizzata secondo le
concezioni del rispetto della natura. Le favole degli indios
parlano del bambino come attore principale, lo presentano
spesso in forma magica: è parte della natura, e pertanto può
trasformarsi in un pezzo di essa. Nelle favole amerinde non si
parla di fate, ma di bambini eroi, di bambini spiriti, di bambini
fatti di mais. Quei popoli che non conoscevano le terribili guerre
che sfinivano l’Europa, non avevano necessità di creare un
Merlino o una Morgana.
Una leggenda chibcha narra l’amore di Tintoba per Sunuba,
figlia di un potente capo tribù, promessa a un altro giovane
guerriero. Incuranti del sacrilegio essi fuggono per realizzare il
loro sogno, lasciando inascoltate le parole del gran sacerdote di
Sogamoso. Giungendo nei pressi di una laguna Tintoba sente le
membra divenire dure e lentamente si trasforma in cactus.
Presso di lui, Sunuba, piangendo, cessa di essere bambina e
diviene un giunco. Là si trovano.
I Sikuani, indigeni itineranti che abitano nelle riserve
colombiane attraversate dal Rio Meta, ancora raccontano ai figli
le antiche favole degli avi, ma in esse è la natura a essere il tema
centrale. “La madre dei pesci del fiume è la sirena
Bakatsolowa. Quando appare Maggio i pesci, quelli di razza
buona, salgono il fiume e vanno in cerca della sirena. Bevono
la fermentazione del mais, che li rende allegri e perciò
cominciano a cantare. (Le mamme cantano la canzonetta ai
figlioletti). Poi i pesci portano via la sirena perché lei è la loro
madre”.
Origini di fiumi, storie di animali, di orchi, di alberi che
danno frutta, di miracoli fatti dal fuoco, dell’inizio della folgore,
dello spirito che vive negli animali e nella selva, questo cantano
le favole dei Sikuani. Non vi sono guerra, armi, ricchezze
favolose, come in quelle europee. Il valore simbolico è diverso.
Principalmente educativo, è orientato alla natura ed è trasmesso
dalla tradizione orale. La tradizione orale dei Sikuani, ancora
viva, dimostra come l’educazione del bambino e il rispetto per
la natura sono più sentiti in quelle terre ignote.
Nel secolo scorso, il ventesimo, ove regna la civiltà, il
racconto orale della favola è stato sostituito dal programma
televisivo. La favola è porta dalla “madre televisione”, che non
interagisce ma solo presenta scene, immagini cui il bambino,
spesso, non è in grado di dare il giusto valore.
In effetti, la televisione non permette ciò che gli indios
precolombiani, come gli attuali, avevano ben radicato:
l’educazione del bambino svolta dalla favola orale che permette
al futuro ometto anche d’interagire con il grande.
Mediante la favola, al bambino viene fatto capire che la
natura non esiste come realtà esterna al gruppo sociale: caccia,
pesca, raccolta di frutta e semi sono appropriazione di beni della
natura; creature e acqua hanno un padrone invisibile e supremo,
al quale bisogna rivolgere il rito ringraziamento, da compiere
periodicamente. Al bambino è insegnato il valore di ogni pianta,
perché da esse dipende la sua sopravvivenza. La cosmovisione si
rinnova nella favola indigena ed è oggetto di attrazione di molte
persone, antropologi ed ecologisti. La sociologia cosmologica
indigena ha prodotto una vasta gamma di conoscenze ed è il
prodotto di osservazioni ataviche e di sperimentazione.
Il gioco è un altro modo del nuovo bambino americano di
rapportarsi al reale. Tre grandi strutture caratterizzano i giochi
infantili che si svolgono nella selva: l’esercizio fisico, il simbolo
magico e la regola antica. Aldilà di una schematizzazione
puramente analitica, il tentativo di classificazione dei giochi fa
apparire l’interessante manifestazione della sua personalità. Il
bambino come essere spontaneo che apprende il gioco della vita
e della morte vivendo ogni giorno all’ombra del rischio, uno
qualunque. Lo spirito della foresta o della vasta pianura penserà
a lui, o morirà.
Nel nuovo continente, il gioco tra bambini differenti per
condizione o colore di pelle, ove la colonizzazione lo rende
possibile, diventa azione aderente al ruolo dell'età, creato
dall’insieme d'attese coloniali associate all’appartenenza di una
particolare “casta”. Il bambino americano percepisce che, come
un adulto, deve dominare la natura per non esserne travolto e il
gioco lo aiuta in questo esercizio. Il fenotipo spontaneamente fa
riferimento a una nuova base biologica per l’assegnazione di
ruoli diversi secondo l'età. Il bambino indigeno non è adatto per
il lavoro pesante, troppo fragile, ma il nuovo, incrociato, ricco di
rigoglio ibrido, è più forte. Lavorerà meglio.
La società ispano americana si aspettava dunque che il
bambino raggiungesse l’età adulta avendo già un suo ruolo che
richiedeva abilità fisiche e mentali per non soccombere dinanzi
ad una natura diversa da quella del vecchio mondo.
Qual è il gioco odierno del bambino colombiano? Molto
diverso dal passato. Sospettare di tutto. Per molti minori è
obbligatoria la fuga. Fuggire per non essere ammazzati. In
Colombia, il numero di bambini in fuga dai paesi di origine a
causa delle invasioni di narcotrafficanti è vicino al milione.
Dopo, nei centri urbani dove arrivano, molti sono costretti, per
sopravvivere, a mendicare o a vendere ai semafori delle
cittadine e delle città ogni sorta di prodotti, dormendo di notte
nei posti più insoliti e pericolosi, come la sponda di un fiume a
carattere torrentizio che non avvisa nessuno della piena in
arrivo. A loro è negato il diritto al gioco e in un punto della loro
mente ciò farà sentire il peso negativo nei rapporti intersoggettivi.
I bambini delle riserve indigene sono in un certo senso
protetti dall’isolamento; ma restano lontani dalla gente comune
e ricevono meno degli altri bambini. Sono nutriti male e non
approfittano di un’istruzione “regolare”. Però socializzano
meglio, con valori più fondanti che permettono il sogno.
In Colombia, all’inizio del secolo ventesimo, la famiglia
estesa era il nucleo sociale centrale e tutte le attività
sospingevano genitori, figli, nipoti, zii e nonni verso un’unità
completa. La relazione famigliare trascendeva l’unità domestica
e impregnava tutte le attività sociali. Questa era la ragione per
cui i bambini presenziavano le festività dell’anno che
divenivano occasione di gioco e di divertimento. Partecipavano
agli eventi religiosi, politici e sociali, ai rodei ed erano parte in
causa. Spesso il gioco riproduceva, nell’immaginazione
infantile, il mondo adulto in cui il bambino si trovava immerso e
ciò acuiva la sua percezione delle strutture e delle funzioni
sociali. I bambini della capitale vivevano in una città non ancora
espansa, con molto contenuto rurale, e le due maniere di vita si
fondevano nei giochi, dove si era grandi signori o lavandaie di
panni nel fiume, o vaccari. Il gioco aveva come funzione
primordiale quella di suggerire ai più piccoli il ruolo che
avrebbero dovuto disimpegnare da adulti e l’imitazione era
predominante più che l’invenzione.
2.3 In Colombia,
la confusa industrializzazione, la narcoguerra in corso da decenni, non permettono un inserimento
regolare del soggetto che, terminata l’infanzia, si approssima al
mondo del lavoro. Le cifre di bambini che lavorano illegalmente
o presi di forza dai gruppi banditeschi sono altissime e la causa
sta nella difficoltà di sopravvivenza della famiglia, spesso
numerosa e povera. I casi di abbandono sono numerosi, ma
quello contadino è diverso da quello cittadino perché diversi
sono i contesti sociali. Nelle città, la rinuncia al figlio minore è
ricorrente: va a rubare, mendica, lavora presso padroni crudeli,
fugge. Per molti ragazzi la strada diventa il luogo principe delle
esperienze e della socializzazione, il posto dove essi annodano i
legami con i coetanei e con certi strati deviati della società
adulta. Non mancano casi dove il figlio viene donato o lasciato a
persone o enti. Non si assiste, come nei paesi ricchi, stando alle
cronache, (quelle italiane ad esempio), alla ripetizione di
anomalie, a volte vere e proprie esecuzioni di neonati, dove la
madre, rotto il cordone ombelicale, come estremo segno di
disprezzo, butta il nascituro nella spazzatura, o lo sopprime.
L’abbandono, perciò, è figlio della povertà, dell’ignoranza,
dell’odio, della disperazione. Se alla povertà si aggiunge un
vuoto sociale, la situazione si complica.
La famiglia colombiana è in crisi, l’ordine dei valori è
confuso in una nazione dove la vita umana è di scarso valore, a
giudicare dalle cifre di morte violenta fornite annualmente
dall’ente di statistiche dello stato, che non riesce a punire tutti i
casi di violenza criminale. I minori risentono dei cambiamenti
che la famiglia moderna subisce in modo traumatico: la
struttura, rispetto al passato, è mutata, nuovi nuclei si formano
senza regolare l’unione e spesso dopo il naufragio di una
precedente unione che ha dato figli. Se il mondo dei grandi è la
fonte dei modelli di ruolo di cui si alimenta l’infanzia, da esso
scaturiranno atteggiamenti e comportamenti che saranno la
risultante delle componenti interiorizzate dal sistema
motivazionale. Correggere sarà perciò difficile.
All’inizio del ventesimo secolo il maltrattamento infantile
accadeva nelle case di ogni ceto. Quando era il padre a
castigare, l’azione ricadeva sia sul figlio sia sulla madre.
L’infanticidio per percosse era frequente. Solo per i sospetti dei
vicini la polizia scopriva il delitto e il caso diveniva un fatto
pubblico da mettere sotto osservazione come oggetto di studio o
scritto di natura scientifica. I bambini erano il capro espiatorio
di pene gravi che affliggevano gli adulti, sia maschi sia
femmine.
Nella guerra civile dello scorso secolo i bambini erano
uccisi per ottenere informazioni sui nemici dell’opposta fazione.
(Tale vile procedura viene applicata tutt’oggi dalle narcofazioni). Il maltrattamento infantile era poche volte motivo di
preoccupazione sociale. L’infanticidio considerato inaccettabile,
generalmente, denigrava la madre. Le cause che spingevano al
gesto sia gli uomini sia le donne erano di solito la necessità
disperata, provocata dalla miseria, e l’alcolismo. Pareva che il
dovere di allevare un figlio senza l’appoggio paterno
colpevolizzasse unicamente la donna. Se il gesto malsano era
commesso dal padre, si parlava d’infermità mentale.
In Colombia l’educazione è mutata; tali mostruosità non
accadono se non sporadicamente. La vendita dei bambini
appena nati o la donazione a persone danarose che possano
prendersene cura, quando le madri non vogliono affidare il loro
frutto all’IBFC, pare, a questo punto, il male minore, se porta
vantaggio al neonato e gli salva la vita. È in atto un crescente
processo d’individualizzazione sia economica sia culturale dei
soggetti; la pluralizzazione degli stili di vita ha legittimato, da
un punto di vista culturale, nuove forme familiari che si
adattano alla costante riorganizzazione del quotidiano, alla
diversa gestione della dimensione affettivo - relazionale che nel
passato era confinata in zone molto isolate e lontane dalle città.
Per quanto attiene alle funzioni educative, la crescita degli
apparati scolastici e di altre agenzie di riproduzione
socioculturale ha modificato il ruolo della famiglia. La
formazione della personalità e dell’identità individuale è
influenzata da agenzie extra-familiari, poiché la famiglia è
inserita in un complesso sistema d’interdipendenze al cui
interno le funzioni condivise con altre istituzioni costituiscono il
presupposto del funzionamento della società.
2.4 Il bambino, durante il primo anno di vita, trae dal
rapporto con la madre gli elementi psicologici fondamentali su
cui costruirà la sua personalità. Ogni madre è “l’organizzatore
psichico” del bambino. Nello sviluppo vi sono dei periodi
particolarmente critici in cui le direttive della madre danno
luogo alla formazione di una struttura psichica a un livello
elevato. Data l’importanza della relazione e dell’evoluzione dei
rapporti madre-figlio, il dibattito sulla formazione della
personalità nei primi tre anni di vita è acceso. La personalità,
comunque, si forma in famiglia, in particolare in quella
nucleare, dove la reciproca dipendenza psicologica è rafforzata.
La madre colombiana oggi o è troppo permissiva, o troppo
autoritaria, ostaggio di una lotta quotidiana che la affligge e le
conseguenze si vedono nel numero di minori lasciati alla strada
o nel crescente numero di bambine in età scolare che restano
incinte e devono lasciare gli studi.
La famiglia appare come un organismo sociale che va
adattandosi alla logica della società industriale cresciuta male e
confusa. Ecco che l’educazione dei figli si trasforma e cambiano
anche i rapporti tra adulti e bambini. Altri modelli, alieni,
tendono a sostituirsi agli antichi modelli di comportamento. La
guerriglia, il paramilitarismo mutante, offrono una paga che il
mondo del lavoro non può dare.
La socializzazione di un giovane comporta la trasmissione
dei valori, delle norme e degli atteggiamenti dai membri più
anziani a quelli più giovani. Di solito questo processo fa
registrare un certo grado di contrasto, poiché la cultura è
essenzialmente il prodotto di esperienze e tradizioni diverse.
Così, fra generazioni è sempre esistito un conflitto latente, le cui
manifestazioni sono state troppo spesso attribuite alla
passionalità e all’idealismo dei giovani. In Colombia il contrasto
non è tra generazioni, ma tra fazioni che propongono “eroi”
come Pablo Escobar, Tito Fijo, Castagno, e altri soggetti.
Le esperienze e i mutamenti nella vita dei giovani sono stati
e sono così differenti da quelli delle passate generazioni, dove le
pressioni della famiglia e della comunità locale avevano spesso
la meglio nella risoluzione dei conflitti generazionali, a spese
delle aspirazioni, delle ambizioni o dei sogni dell’adolescente.
Oggi, il conflitto è influenzato da una vecchia povertà e da una
nuova delinquenza senza regole.
I bambini hanno un loro sistema cognitivo e semiotico che
si sviluppa per tutta l’adolescenza, così non solo preferiscono
forme di svago diverse da quelle degli adulti, ma reagiscono
anche diversamente dinanzi a certi stimoli. La televisione
colombiana ogni giorno passa immagini e informazioni di
massacri a cui segue il silenzio delle istituzioni, soprattutto di
quelle internazionali. L’indifferenza alla notizia di un massacro
è la regola di una disattesa corretta informazione. Essi possono
non capire o fraintendere il contenuto di un programma, se non
hanno il background culturale necessario.
2.5 L’antisocialità minorile è in genere vista come un
effetto della mancata o imperfetta socializzazione, attribuendola
alle carenze della struttura familiare. Certamente, non si può
negare che fattori delinquenziali minorili si riscontrano in seno a
famiglie in cui è venuta meno la singolarità dei compiti
educativi, o minate nelle proprie basi dalla scarsa moralità dei
genitori, dall’isolamento dei nuclei, dall’aridità affettiva.
Se il problema affonda le radici nella mancata o difettosa
socializzazione del minore, non può essere trascurato quel che la
delinquenza minorile si trova concentrata nelle aree più
depresse delle grandi città e si manifesta attraverso atti compiuti
da gruppi organizzati di coetanei. L’ingresso nelle bande non è
limitato solo a soggetti in cui è carente il processo di
socializzazione. Un aspetto del ruolo delle bande minorili nel
comportamento deviato è quello di creare nell’adolescente il
desiderio d’innalzarsi al livello dell’uomo adulto, ed è un
esempio tipico di sub-cultura urbana.
In Colombia, l’arruolamento volontario nei gruppi di
guerriglia o paramilitarismo mutante è dovuto, nella quasi
totalità dei casi, a bisogno di soldi, essendo gli ideali politici
scarsamente rilevabili dato il particolare tipo di politica
individualista ed esageratamente clientelare in atto, dove è
sufficiente essere eletti deputati per avere diritto alla pensione
da parlamentare, senza che sia necessario terminare la
legislatura. Vi è il sospetto che alcune campagne politiche siano
sovvenzionate con dollari del narcotraffico; la corruzione estesa
a tutti i livelli crea mancanza di fiducia, compartimentazione.
Se è impresa ardua individuare nel comportamento del
bambino la linea di demarcazione che delimita la bravata
infantile, sciocca e imbarazzante, ancorché fastidiosa,
dall’atteggiamento delinquenziale, non meno lo è stabilire
quella che separa la delinquenza dalla patologia criminale, per
cui la “delinquenza” risulta essere un’etichetta troppo vaga per
comprendere le azioni che ne conseguono. Molte forme di
comportamento problematico sono tipiche in certe fasi dello
sviluppo e non sono collegabili a eventuali degenerazioni.
Piuttosto, le tendenze asociali si presentano soprattutto nei casi
in cui il bambino è costretto a staccarsi da entrambi i genitori o
vive in una situazione sociale e culturale come “deprivato”.
Con la nascita del paradigma sociale, l’analisi dell’anomia e
della criminalità minorile si è spostata dal singolo individuo,
con le caratteristiche fisiche e psichiche, alla struttura sociale e
culturale, al sistema delle norme. Venendo meno l’ottica
individualistica, se n’è sviluppata un’altra, rivolta allo studio dei
fattori extraindividuali. Durkheim, Simmel, Parsons, pur senza
studiare direttamente i gruppi devianti, individuarono i
meccanismi di produzione della devianza. Essi posero a
fondamento dell’equilibrio sociale due specie di variabili: la
coesione dei rapporti sociali e la coerenza delle rappresentazioni
collettive. Per Durkheim nelle società tradizionali, la coesione
sociale, quale legame verticale e orizzontale, era basata su un
insieme di rappresentazioni collettive coerenti tra loro e capaci
di unire gli individui. Nelle società moderne il problema critico
è proprio l’incoerenza e la frammentazione delle
rappresentazioni collettive. Per il sociologo tedesco è in questo
vuoto che si produce l’anomia, la disgregazione sociale. Anche
per Simmel il conflitto della società moderna si colloca nelle
rappresentazioni collettive, perché si producono rapporti di
esclusione e un’ostilità sociale generalizzata. Per Weber
rimangono critici alcuni aspetti tipici della società, in
particolare non sembrano sufficienti a coprire il vuoto provocato
dal processo di razionalizzazione, né la legittimità legale razionale, né l’etica del capitalismo. In altre parole, la
disgregazione sociale si associa a deficit di rappresentazioni
collettive che involvono per mancanza di norme e producono
perciò anomia. Viene meno la socialità fissata nell’organismo
complessivo, attraverso la coscienza collettiva guidata dalle
norme. I comportamenti devianti sono resi possibili da un
insieme di variabili esogene e variabili endogene che agiscono
sui singoli: crisi delle forme d’integrazione, limiti del controllo
sociale, livelli di urbanizzazione e industrializzazione,
indebolimento della struttura familiare, insufficienza della
struttura scolastica, stili di vita centrati sul consumo,
sradicamento legato alla mobilità geografica, crisi economiche
indotte da svariate cause.
I dati confermano che i detenuti in carceri minorili
appartengono in maggioranza alla fascia più povera della
società, anche se alcune teorie sottovalutano la criminalità quale
effetto primario della povertà, di condizioni di vita anomale,
della disgregazione familiare. Devo però osservare che quando
si cerca di ricostruire il fenomeno della delinquenza minorile
basandosi esclusivamente sulle statistiche ufficiali, non si
compie un’operazione scientifica completa, ma si aderisce
spesso a uno stereotipo. La Scuola di Chicago ha, infatti,
documentato i rapporti tra criminalità e aree urbane e li ha
interpretati sulla conformità di categorie quali la disgregazione
del territorio, la disorganizzazione sociale. Le due categorie
sono dominanti in Colombia e ne consegue che la devianza
cresce nelle aree urbane caratterizzate dalla densità
demografica, dalla presenza simultanea di culture diverse,
dall’instabilità di sistemi culturali, dal degrado ambientale. La
classe sociale di appartenenza, (retaggio delle antiche castas,
oggi mutate e applicate in zone urbane definite in sei “estratti”,
da quello più basso e miserabile a quello più alto), è fattore
decisivo per la delinquenza minorile. Le bande delinquenziali si
collocano nelle comunità sub culturali, nelle minoranze etniche,
dove sono minime le probabilità di realizzazione. La pressione
sociale e le tensioni strutturali dei soggetti messi in ambienti
marginali danno origine a diversi adattamenti collettivi, secondo
le possibilità differenziate di accesso alle risorse. L’estensione
dei fenomeni di guerriglia e contro-guerriglia, il narcotraffico, le
nuove bande nate dalle ceneri del passato paramilitarismo
disciolto dal presidente Uribe, da anni giocano su questi
elementi, supportate dai grandi contrabbandieri della cocaina.
Nelle file d’irregolari sono presenti minori di basso strato
sociale, ragazzi fuggiti dai campi, principalmente. Quelli di città
entrano nei reparti di spionaggio, fornendo nomi di persone da
sequestrare per estorsione.
In Colombia un comportamento di protesta adolescenziale
sorge come conseguenza della mancanza di possibilità e come
adattamento al disagio creato dai modelli di ricchezza proposti
dai mass media, ma non raggiungibili da tutti: alle limitazioni
segue l’impiego facile di mezzi illegittimi. Le proibizioni non
sono interiorizzate, esse non rappresentano un ostacolo
socialmente strutturato. Il paradigma della costruzione sociale
della devianza, nella versione interazionista, afferma che la
reazione pubblica e sociale al comportamento deviante si
esprime a due livelli: quello informale, che si concreta in
processi di stigmatizzazione e marginalizzazione e quello
istituzionale, esperito dalle agenzie di controllo chiamate ad
applicare le norme e dalle istituzioni incaricate del trattamento
dei devianti. Volendo applicare il contenuto essenziale della
teoria interazionista al fenomeno della devianza minorile
colombiana si può sintetizzare il seguente punto: il bambino
abbandonato alla strada percorre un cammino fatto di piccoli
passi, ognuno dei quali è condizione dello svilupparsi di una
determinata prospettiva che è premessa di nuovi peggiori
comportamenti, con mutazione d’identità. Perciò, se la società
colombiana definisce la condotta di minori marginali come
deviante, e non interviene in modo completo e organico, deve
sopportare le conseguenze del comportamento di questi esseri.
Una tara è appunto l’indifferenza.
È chiaro che le teorie del disagio e della devianza pensate
per i paesi opulenti non sono del tutto applicabili ai paesi
poveri. La Colombia è considerata appartenente al terzo mondo.
Qui, però, le circostanze in cui nasce e si sviluppa la devianza
sono diverse. Le microanalisi fatte in una città come Chicago
non trovano riscontro per Bogotà. Nei paesi in via di sviluppo la
devianza nasce dalla povertà, dalla necessità di sopravvivere e
non è originata dalla meta del successo, dal confronto diretto,
dalla frustrazione. Le teorie della trasmissione della cultura e
dell’integrazione dicono che il meccanismo di apprendimento
del comportamento deviante passa per vie diverse. Come nella
maggior parte dei paesi Sud Americani, manca una vera classe
media, la forbice tra ricchi e poveri e molto aperta, perciò ne
scaturisce un’accettazione passiva del comportamento deviante;
l’élite socioculturale non soffre in primo piano delle
conseguenze immediate e visibili di un certo tipo di devianza.
In Colombia i ricchi abitano in zone residenziali con
sorveglianza armata, (estratto sei) il ceto medio - alto in
quartieri decenti, (estratto 4-5) dove c’è comunque sorveglianza.
Non c’è pertanto reazione alla devianza, ma inibizione della
cultura, e la divisione delle città in estratti ne è portatrice.
La povertà, la mancanza di famiglia, i livelli di cultura
molto dissimili, fasce sociali, processi d’interazione
differenziati, portano a una forma di devianza che,
indubbiamente, nasce da un disagio, ma è diversa per il paese
ricco e il paese povero. La devianza dei minori non è una
devianza “espressiva”, come quella degli hooligan, un
comportamento deviante che Cohen ben identificò nelle aree
subculturali. Quella dei paesi poveri è strumentale, dovuta alla
fame, alla miseria, al bisogno, là dove i reati servono a
sopravvivere.
La marginalità minorile non è solo conseguenza della
povertà, della disgregazione familiare, della deprivazione
culturale, ma anche del mancato riconoscimento di realtà
culturali caratterizzate dalla diversità di valori di riferimento;
essa è conseguenza della tendenza statale ad adottare soluzioni
assistenzialistiche monche, che non valorizzano la capacità di
auto-sviluppo dei soggetti.
Capitolo terzo
La condizione in America del Sud.
3.1 Per le Nazioni Unite, le conquiste ottenute in fatto di
salute e di educazione danno ragione a tre su cinque dei paesi
che lottano per tali obiettivi, facendo aumentare le probabilità di
sopravvivenza dei bambini in situazione critica. Tra i successi
più indicativi ottenuti, figurano l’espansione mondiale dei
servizi d’immunizzazione, la virtuale eliminazione della
poliomielite e della dracunculiasi (verme della Guinea); la
somministrazione di sale iodato a 1500 milioni di persone; la
conversione di varie migliaia di ospedali in strutture “Amici
dell’infanzia”; il salvataggio di un milione di bambini per anno,
aumentando le capacità familiari di trattare la disidratazione
diarroica in seno alla stessa famiglia, implementando la
reidratazione orale. D’altro canto l’ONU ha riconosciuto anche
delle sconfitte. Lo zoccolo duro rimane la nutrizione. Quasi un
terzo dei bambini di età inferiore ai cinque anni mostra nei paesi
in via di sviluppo un peso inferiore al normale.
Ma ci sono altre brutte vicende. Vediamo.
- Sfruttamento sessuale.
I modi per avviare minori alla prostituzione sono vari. Dalla
coercizione, agli inganni, al sequestro, alla vendita. È implicito
che lo sfruttamento sessuale attenta alla dignità, all’identità,
all’autostima del minore, e mina la fiducia negli adulti. Inoltre
mette in pericolo la salute fisica, psicologica ed emozionale dei
bambini, viola i loro diritti e minaccia il loro futuro. Infine li
priva di uno sviluppo sessuale naturale e spontaneo.
Per le piccole vittime, la violenza, la sfiducia, la vergogna,
il rifiuto, possono convertirsi in norma e finiscono per dipendere
dai loro sfruttatori in quanto a stabilità emozionale e appoggio.
Sebbene la prostituzione infantile sia un problema presente in
quasi tutte le società, essa è tollerata in maniera tacita, mediante
diversi livelli di complicità.
I minori coinvolti sono adolescenti e in maggioranza
bambine. La povertà e l’ingiustizia economica sono fattori
comuni. I bambini provengono da ambienti poveri, dove le
possibilità e opportunità economiche sono inesistenti. I membri
stessi della famiglia possono venderli intenzionalmente a
commercianti del sesso o per l’equivoco che gli stessi
troveranno un lavoro al bambino.
Ma la povertà combina spesso un’immagine svalorizzata del
figlio e a volte lo si vende. Si è di fronte ad un mercato in piena
attività, con clienti, rotte di distribuzione, posti di vendita e tutte
le caratteristiche di un’industria organizzata. Per ultimi vi sono i
gruppi di pedofili che ricevono attenzione dai commercianti di
sesso minorile e meno dai mass media.
Lo sfruttamento ha numerose cause soggiacenti, come
l’ingiustizia sociale ed economica, le disparità ricchi-poveri, le
migrazioni, l’urbanizzazione e la disintegrazione familiare.
L’ignoranza, il consumismo, l’ansia di possedere, di comprare,
esaltate dalla pubblicità e dai mezzi di comunicazione, spingono
coloro che non valorizzano i propri figli a scambiarli con beni
più desiderati. Altre volte gli stessi bambini vendono parti del
corpo per mantenersi al livello dei loro pari in una società che
dice loro che i beni materiali sono più importanti della dignità.
Negli ultimi venti anni molti paesi in via di sviluppo hanno
dovuto lottare con le profonde mutazioni dovute alla povertà,
alle guerre, alle crisi politiche ed economiche come gli
aggiustamenti strutturali e i pesanti debiti internazionali. Molte
comunità sono state spiazzate e distrutte, sono aumentate le
disparità e a vari livelli sono state destabilizzate le strutture e le
relazioni familiari. È un paradosso, ma la povertà è maggiore e
più difficile da superare che ieri.
La pornografia infantile è una componente dell’abuso
sessuale che abbraccia un segmento specifico e lucrativo del
crescente mercato della pornografia mondiale. Questa è una
violazione dei diritti che genera gravi conseguenze fisiche ed
emozionali. Deterioramento dello sviluppo psicosociale ed
emozionale, comportamento antisociale, depressione, timori,
ansie, infermità, lesioni, violenza.
È stata provata l’esistenza di un effetto modellatore che in
molti casi fa apprendere ai bambini il relazionarsi dell’attività
sessuale con la violenza e con l’uso della forza che provocano
poi vincoli di dipendenza emozionale con gli sfruttatori. I
bambini corrono il rischio di perpetrare essi stessi atti illeciti e
di sottoporre ad abusi sessuali altri coetanei.
Molti dei fattori che portano i bambini a farsi sfruttare dalla
pornografia sono gli stessi che li spingono alla prostituzione. I
più vulnerabili alla coazione, seduzione e alla forza fisica
esercitata per il reclutamento sono i minori che provengono da
famiglie povere o disintegrate, o da famiglie dove sono stati
sottoposti a violenza e ad abusi.
In Colombia, i rifugiati, le persone cacciate dal loro paese in
seguito all’entrata in campo del narcotraffico, si sono viste
obbligate a transitare per territori ostili, facili prede di
battaglioni non regolari. I programmi locali di riordino
strutturale hanno distolto quei fondi destinati ai vari settori
sociali, facendo così aumentare le difficoltà sociali ed
economiche. In molti casi, agli adulti come ai bambini, non
rimane in alternativa che la prostituzione, in cambio di alimenti,
panni, denaro o soccorso.
Un’indagine pubblicata recentemente dalla Camera di
Commercio di Bogotà indica che nella capitale vi sono 7000
prostitute di età inferiore ai diciotto anni. Si calcola che un terzo
del totale delle prostitute ha meno di quattordici anni. Più della
metà hanno contratto malattie veneree, meno di un terzo AIDS.
- Lavoro minorile.
Non esistono statistiche complete sul lavoro minorile perché
nella gran parte dei casi i datori di lavoro si rifiutano di
ammetterne l’esistenza o comunque sono difficili le rilevazioni
statistiche ufficiali.
A dispetto delle leggi internazionali e nazionali, si continua
a sfruttare il lavoro minorile: bambini minatori, piccoli pastori
che vengono fatti lavorare per quindici ore al giorno, servitori,
braccianti in miniatura, ecc.
- I minori soldati.
Migliaia hanno combattuto nell’ultimo decennio, alcuni
negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La
maggioranza ha da quindici a diciotto anni ma ci sono reclute
anche di dieci anni e la tendenza che si nota è verso un
abbassamento dell’età.
Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come
soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto
aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi
prevalentemente di narcotraffico. L’uso di un bambino imbottito
di esplosivo per un attentato è segno della mancanza
dimensionale dell’infanzia in una parte del loro cervello. Gli
autori di tali scandalosi ma teatrali omicidi non hanno avuto
infanzia, giacché non ne riconoscono i diritti.
L’uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile
l’arruolamento dei minori; oggi un bambino di dieci anni può
usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono
paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un
adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per
esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei
territori nemici come spie). Inoltre la lunghezza del conflitto tra
stato e narcoguerriglieri rende urgente trovare nuove reclute per
rimpiazzare le perdite e si ricorre a ragazzi che non hanno
documenti che mostrino la loro età. Si dice che alcuni
aderiscono come volontari e in questo caso le cause possono
essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c’è
di mezzo la fame o il bisogno di protezione; oppure per rancori
e odio verso le fazioni opposte che hanno provocato morti nelle
loro famiglie; oppure per dare, arruolandosi, una specie di
protezione alle loro famiglie, minacciate da una fazione o
dall’altra.
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno
riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico
sono comunque gravi. Oltre alle malattie ci sono le ripercussioni
psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o avere
commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a
perseguitare questi ragazzi dopo anni. Si aggiungano le
conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell’inserirsi
nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale
che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze, dopo
essere state nelle bande armate, non riescono a sposarsi e spesso
finiscono prostitute.
Oggi migliaia di bambini partecipano alle guerre del
narcotraffico come combattenti, spie, guardiani, messaggeri. Nel
mondo, le guerre degli ultimi dieci anni hanno ammazzato
2.000.000 di bambini, 1.000.000 sono rimasti orfani, 6.000.000
feriti. La loro vulnerabilità si ripercuote sull’intera società, esige
che vi sia posto per i bambini nelle agende di pace che si
riferiscono specificamente alla protezione del minore, affinché
non sia parte delle ostilità, in modo da garantire i diritti umani e
il miglioramento del sistema della giustizia.
Senza dubbio in Colombia i bambini non possono attendere.
La quantità di persone sfollate, la spiacevole situazione di
bambini costretti a partecipare alle ostilità, l’uso del sequestro
come mezzo di pressione politica, fanno sì che 1.200.000
persone sono state cacciate dalle loro case.
Capitolo quarto
La famiglia in Colombia.
4.1 Agli inizi del ventesimo secolo Bogotà aveva 100.000
abitanti e manteneva l’aspetto di una città coloniale, dove le
chiese erano le principali costruzioni intorno alle quali si
svolgeva la vita cittadina.
Il processo di espansione iniziò senza controllo, in modo
disordinato, e in assenza di strutture pubbliche i quartieri
periferici si allargarono sulla cordigliera, verso l’esterno della
vecchia città, in condizioni d’insalubrità, mentre le grandi
antiche costruzioni cittadine si suddividevano al loro interno
creando affitti generalizzati. La parte orientale della città si
riempì di ciminiere circondate da casupole. La zona nord riuscì
a conservare un volto meno brutto e un’aria più pulita e ciò vi
richiamò la vecchia classe abbiente dal lato orientale della città.
La suddivisione, per ciò che riguardava le imposte municipali,
nei così detti estratti, accentuò la divisione territoriale.
Chiarendo meglio, l’alcaldia, il municipio, fece la revisione
toponomastica e per la riscossione d’imposte, inizialmente, si
assegnarono le tasse municipali per zona di domiciliazione,
indirettamente e indipendentemente dal reddito fisico. Sarebbe a
dire che conclusa la parte organizzativa urbana, si decisero gli
estratti, (estractos), per incollarvi strettamente il presunto
reddito delle persone, giacché dal punto di vista del direttivo
fiscale del municipio, una persona ricca non abita una zona
povera e viceversa. Le quote d’imposta, i costi di acqua, luce,
gas, fecero (e fanno) riferimento alla zona di residenza e non al
reale reddito fisico della persona.
Ciò divide ancor più le città colombiane e il loro tessuto
sociale, creando barriere che neppure gli antichi romani vollero.
Un siffatto sistema classificatorio non potrà mai spingere lo
Stato a intervenire sul miglioramento delle qualità di vita nei
quartieri abitati da gente povera o di bassi ingressi salariali. Il
risultato sono i grandi cinturoni di miseria che circondano le
città della Colombia. È negata a priori l’integrazione sociale,
assegnando a ognuno uno strato in cui annaspare. Perciò anche
le scuole sono, di conseguenza e inevitabilmente, divise in
scuole di poveri e scuole di benestanti, essendo la forbice
salariale apertissima.
Nel complesso fenomeno di accrescimento e concentrazione
delle popolazioni contadine nelle città, con un andamento
disordinato, la mancata applicazione dei piani regolatori, la
lentezza della burocrazia, l’assenza di servizi e opere pubbliche,
si ripercuote su tutta la struttura istituzionale.
L’economia urbana soffre la pressione demografica giacché
la domanda di lavoro supera l’offerta dei capitali industriali e
commerciali. Le donne di ogni strato sociale sono entrate in
competizione con gli uomini sul mercato del lavoro, acuendo le
scarse possibilità d’impiego. Piccoli gruppi hanno accumulato
grossi capitali, mentre la maggioranza delle persone è rimasta
priva del salario minimo di sussistenza. Il loro adattamento è
stato rapido e violento, scontrandosi con la cultura e i modi di
vita cittadini. Il gigantesco accrescimento delle città si è
trasformato in un processo multiplo e sincrono di espansione, di
concentrazione o rimodulazione, che in una certa maniera
attenua gli effetti della tremenda trasformazione e di ciò che
essa riflette nella situazione sociale e culturale che la avvolge.
L’integrazione delle persone cacciate dai campi, o
allontanatosene di loro volontà, nella realtà urbana si è sempre
rilevata fragile e parziale, a causa del basso livello di
scolarizzazione e di professionalità di quanti emigravano in
città. Ciò ha impedito l’accesso a settori capaci di offrire salari
più alti e condizioni di vita migliori. Tal emarginazione, iniziata
con la crisi delle attività rurali tradizionali, ha fatto crescere la
pressione sul mercato del lavoro e sui servizi di base. Se a ciò si
aggiunge l’instabilità, economica e politica, generata dalle
organizzazioni criminali, che fanno della Colombia (dopo
Bolivia e Perù) il terzo paese per la produzione e trasformazione
di coca, ci si rende conto della difficile situazione sociale,
politica, culturale ed economica che il paese sta vivendo da
diversi decenni.
Le conseguenze sono state la crescente disoccupazione;
l’aumento del settore informale dell’economia; lo sviluppo di
periferie urbane spontanee, dove il problema della casa è
particolarmente grave, creando situazioni di promiscuità con
elevato indice di rischio per le donne e i minori. Così immense
baraccopoli, bidonville, ranchitos, sono nati senza regole, senza
servizi igienici, senza elettricità, senza trasporti, in precarie
condizioni di abitabilità. È aumentata la disoccupazione nelle
fasce di età tra i venticinque e quaranta anni (dove una
percentuale espressiva è costituita dai capi famiglia) e nella
fascia tra i quindici e diciannove anni, corrispondente al gruppo
di giovani più adatto a essere inserito nel mercato del lavoro e
da cui gli eserciti paramilitari e narcoguerriglieri hanno fin qui
reclutato i loro uomini.
Vi è un successivo aspetto che emerge dalle origini storiche
del paese e costituisce la relazione tra il colore della pelle e la
povertà. All’interno di questo fenomeno, l’equilibrio già fragile
dei nuclei familiari difficilmente resiste alle rotture. La
recessione e la disoccupazione creano una sorta di
psicopatologia specifica nella struttura familiare: il capo
famiglia, senza lavoro o con un’occupazione marginale e mal
retribuita, vive con senso d’impotenza e frustrazione che spesso
provoca cambiamenti comportamentali (reazioni che fanno
perdere al capofamiglia la propria autostima). Le relazioni
interne alla famiglia si ridefiniscono. Il figlio che prima era
considerato “quello che riceve” dal padre educazione e
sostegno, diviene un soggetto con cui il padre, se è ancora
presente, divide il ruolo di fornitore di sostentamento, poiché il
contributo di ognuno diventa fondamentale per il gruppo
familiare. Il basso tasso di attività, l’ambiguità e la
relativizzazione dei ruoli di fronte all’aggravamento dei livelli
di povertà, danno luogo a fenomeni di violenza tra i membri
della stessa famiglia, contribuendo a disgregarla.
Per tali cause si fa visibile il fenomeno dei minori
abbandonati che solo nella strada hanno modo di sopravvivere,
dato che hanno perduto i legami familiari e l’identità sociale.
Molti adolescenti convivono con questa realtà. Marginalità,
devianza, morte, sono per loro le uniche previsioni possibili. Sul
medio raggio, i programmi di aiuto e recupero spesso non
riescono a raggiungere il target. La vita di strada caratterizzata
dalla sopravvivenza, segnata da gravi rischi fisici e sociali,
rende ancora più drammatico e inevitabile il destino di ciascuno
di loro. Solo attenti studi e oculati progetti, con la
collaborazione statale e privata, e la sensibilizzazione dell’intera
popolazione, potranno arginare il fenomeno. L’analisi
dell’istituzione familiare parte dal riconoscimento che la scarsa
offerta istituzionale di sostegno configura una struttura familiare
che origina devianza e bambini di strada. Come risposta, la
famiglia rimanda alla società il problema, ossia un’infanzia di
strada che diviene deviante e criminosa.
Questi presupposti obbligano a definire la posizione che
ogni famiglia detiene nella scala occupazionale, a pianificare
meglio le prestazioni sociali delle pubbliche strutture. Diviene
pure indispensabile analizzare la funzione di socializzazione. La
copertura di questa funzione è condizionata dalla struttura e dal
modello d’integrazione familiare.
La madre rimane la figura genitoriale stabile, anche se con
un gruppo filiale eterogeneo, frutto di unioni successive con altri
compagni. Il padre biologico lascia spesso la casa e un altro
uomo s’inserisce come figura supplente. L’ambiente familiare si
parcellizza nel conflitto di relazioni tra patrigno e familiari. Le
urgenze vitali del gruppo, semi-coperte dal regime del patrigno,
sono minacciate dai dissapori familiari. Quando si acuisce la
tensione domestica, la madre deve scegliere tra i figli, carico
oneroso, e il patrigno che aiuta l’andamento familiare. Spesso la
decisione della donna è a favore di quest’ultimo.
L’attuale struttura della società colombiana, dove una parte
della popolazione vive una drammatica situazione socioeconomica ed è emarginata dai processi educativi, dà origine al
fenomeno che anni fa è stato etichettato con la parola
gaminismo, del quale sono vittime i minori.
Gamin è una parola francese, che letteralmente si traduce
con "ragazzo di strada". L’importazione della parola e la sua
applicazione in senso peggiorativo da parte degli agenti del
controllo sociale, ha marcato i ragazzi di strada, fino ad
assumere un senso dispregiativo. Oggi, l’IBFC, organi di Stato e
organizzazioni private evitano tale termine, usando per
l’identificazione “Niñes de calle”.
Gli sforzi a livello governativo e le opere promosse dal
settore privato non hanno potuto finora arginare tale fenomeno,
che crea disagio e insicurezza. Gruppi di gamines si succedono
nelle strade per mendicare e vagabondare, cercando lavoro e
inserimento in attività marginali.
I minori della strada riflettono l’avvenire storico della
società in cui vivono. Tale situazione colloca migliaia di
bambini in universi sociali di grande vulnerabilità, e molte volte
non hanno la minima possibilità di uscire. Ciò genera un sistema
di relazioni conflittuali che ha dato come risultato i fenomeni
socio-politici di violenza degli ultimi tempi, (dipendenza dalla
droga, delinquenza, sicariato, bande o pandillerismo).
Il polimorfismo della famiglia è frutto delle possibilità che
le sono offerte. Pertanto nelle città gli immigrati s’identificano
come gruppi sociali differenti. La famiglia urbana adotta una
subcultura che si definisce nel tessuto istituzionale mediante
meccanismi d’interazione permanente. Abbiamo, quindi, due
tipi di famiglia in uno stesso strato sociale: una che abbandona i
figli sulla strada e una che lo evita; in entrambe esiste possibilità
di rottura di ogni legame con i genitori.
Per comprendere le differenze bisogna considerare: la
struttura familiare, il numero di membri per sesso e per età. La
prima accusa peculiarità specifiche, come la frequenza con cui
una donna è capo famiglia, e di conseguenza la disparità di
rappresentazione per sesso nella famiglia. In un dato istante le
famiglie nucleari sono incomplete per assenza del padre o
perché in presenza di ragazze madri. A volte queste famiglie si
ristrutturano con un padre suppletivo.
Le città colombiane con maggiore indice di matriarcato
sono Cali e Bucaramanga, con una percentuale del 60% di
famiglie con a capo una donna. Spesso la donna capo famiglia è
costretta a doppi lavori e la sua assenza da casa si riflette
negativamente sulla stabilità familiare e sulla filiazione.
La proporzione dei membri della famiglia per sesso presenta
un maggior numero di donne e ciò per l’allontanamento sia dei
mariti sia dei figli maschi. Inoltre, la prostituzione minorile,
spesso sollecitata dagli stessi genitori, richiede la presenza delle
ragazze in famiglia per ragioni di sostentamento.
Le aree che originano più affido alla strada sono le cinque
maggiori città colombiane, Bogotà, Medellin, Bucaramanga,
Cali, Cartagena. A Bogotà, su 100 bambini di strada, sessanta
sono nati nella capitale, mentre quelli immigrati sono ventidue.
Cali è la città dove la presenza di bambini immigrati è
notevolmente superiore a quelli nativi. Le famiglie che
giungono a Cali e affidano alla strada i figli sono l’85%.
Se il minore riesce a partecipare al ruolo di sostenitore
economico della famiglia, insieme alla madre, acquisisce uno
status di considerazione, ma spesso conflittivo con il capo
famiglia. Nella dinamica dell’autorità familiare, la condizione di
essere uomo si sovraimpone a qualunque altra considerazione.
Già verso i dieci anni il grado di potere-comando
(decisionale) del figlio maschio è maggiore di quello della
madre e divenendo adolescente è pari a quello del padre, in
particolare se il figlio diventerà un vero sostegno per la famiglia,
con i proventi del suo lavoro, che può essere svolto alle
dipendenze di un operaio più grande di lui, oppure nella strada,
vendendo prodotti di ogni genere.
Il potere dell’uomo, padre naturale o patrigno, primo
compagno o successivo, restringe in queste famiglie la
possibilità della donna in tutti i campi e genera un principio
d’insicurezza nel rapporto di coppia, che il più delle volte si
traduce in liti e maltrattamenti che ricadono sui figli, spesso
della donna. Il principale punto di attrito tra padre sostitutivo e
figli sta nell’esercizio dell’autorità. Circa il 50% dei figliastri
non riconosce l’autorità suppletiva e ciò facilita la fuga del
minore verso la strada. L’obbedienza al patrigno è motivata
dalla soddisfazione del ruolo che egli assume. Tale
riconoscimento è maggiore (38%) nelle famiglie che non
permettono ai figli di andare sulla strada, mentre è minore in
quei casi dove vi sono gamines (17%).
Il contrasto tra donna è uomo cresce, dunque, secondo la
presenza di figli sulla strada e del ruolo della madre nella
famiglia, a ciò si aggiunge il contrasto tra padri e figliastri per
l’esercizio dell’autorità e infine vanno aggiunte cause come la
gelosia e l’esercizio del potere economico. La volontà di non
avere più figli e la differenza di opinioni è altra causa di
contrasto nelle famiglie con infanzia sulla strada.
L’allarme è maggiore nelle famiglie patriarcali, gruppi dove
il minore corre rischi più gravi, compreso l’abuso sessuale
familiare. Il fattore economico non è molto importante al fine
dell’espulsione dei figli. Nelle cause che determinano
l’allontanamento, esso ha una percentuale del 10%. I rapporti
con il patrigno, nel 22% dei casi, sono causa di avvio alla strada.
Seguono la disaffezione, il maltrattamento, il mancato
soddisfacimento dei bisogni primari, la personalità del minore
che non si adatta alle norme di autorità del patrigno. Nel 20%
dei casi è la madre ad allontanare i figli. Tale percentuale non
sbalordisce se si tiene in considerazione l’alto indice di donne
con ruolo di capo famiglia. Per molte il matrimonio è una via di
fuga dalla dipendenza familiare. La valutazione di soddisfazione
della vita matrimoniale con un compagno presente è stata di
“felicità regolare” nel 57% dei casi e di molta felicità nel 14%
dei casi. Il pentimento per il matrimonio si ha per il non
mantenimento del ruolo da parte del compagno ed è nella
misura del 25%. La causa del fallimento del matrimonio è
attribuibile principalmente a cause occupazionali femminili che
porta al consumo di alcool, con peggioramento della
frustrazione femminile. Le donne maltrattate sono il 32%.
Situazioni problematiche di conflitto, assenza del minore da
casa, incidenti, fame, malattia, vengono a crearsi con l’assenza
di entrambi i genitori. In condizione di sostentamento minimo il
bambino è forzato a uscire da casa per soddisfare i suoi bisogni
primari. Oltre a ciò, nelle baraccopoli, si creano spesso tensioni
di vicinato. Ora, in assenza dei genitori, è molto facile che i
bambini siano oggetto di rappresaglie, conseguenza della
tensione esistente tra famiglie che coabitano.
Le denunce all’Istituto di Benestare Familiare (IBFC) per
l’internamento dei minori provengono in massima parte dalle
madri che, spesso, non si rendono conto che il minore, nella
famiglia, è divenuto solo una vittima di situazioni non adatte.
Il ragazzo, a tal punto, rompe i vincoli familiari e si rende
conto che nella strada può sopravvivere, che non morirà, che
potrà aggregarsi a un gruppo di pari. Per le ragazze è più
complicato, perché esse s’identificano come prostitute.
Generalmente hanno subito violenze sessuali in famiglia.
Bisogna tenere conto di una differenza: che mentre nei confronti
del ragazzo la famiglia diviene espulsiva, nei confronti delle
ragazze la famiglia, con l’aiuto della mercificazione del corpo,
ne trae un beneficio e pertanto l’espulsione è quasi assente,
poiché sarà lei ad andare via quando troverà il suo uomo.
Il ragazzo matura nella strada soffrendo un processo
d’isolamento, un processo inverso a cui è destinato quando
abbandonato in una città. Dovrà adattarsi per sopravvivere;
cambierà fisicamente e nel comportamento; creerà certe difese
nel suo organismo e, come un cane, potrà nutrirsi anche con cibi
avariati. (È questo fatto che spinge De Pineda a usare il termine
“bestializzazione)”. Il gamin potrà dormire in un tombino, senza
curarsi del puzzo di fogna. Non userà mai l’acqua. Non prenderà
mai un medicinale. Mangerà dalla spazzatura. Comincerà a
inalare il boxer, una colla che ha proprietà allucinogene e che
sconvolge la mente e il corpo. Non avrà più rispetto di sé, né del
mondo che lo circonda. Perderà un fattore importante per ogni
uomo: la cognizione del tempo.
Il gamin non sa nulla dell’ora, del giorno, del mese
dell’anno. Perderà parte dell’uso della parola. Pensa che siano
gli altri abitanti della città a essere diversi da lui. A tal punto il
fenomeno d’inversione è completo e la città lo avrà già
etichettato come “desechable”, disprezzabile; che si vuole
vedere morto, con l’indifferenza manifesta, più presto possibile.
Difficilmente il gamin dichiarerà la verità, teme di essere
aggredito, ha paura. È un ragazzo che come altri ha un suo
processo di socializzazione, elabora proprie leggi; è debole e
forte, piange per un uccellino o litiga per un coltello, ma ha
attraversato la barriera del rischio.
A Bogotà è facile vedere bande di ragazzi minori di quindici
anni, alcuni appena maggiori di quattro anni, spesso con ragazze
inserite nel contesto, che sciamano per i quartieri, in balia del
nulla. Mendicano, vagano, hanno una condotta irregolare perché
hanno rotto con le norme familiari e presentano problemi
d’iniziazione alla delinquenza, all’anormalità sessuale, alla
droga, alla prostituzione.
Verso i quattordici anni i ragazzi di strada mostrano
un’intelligenza superiore a qualunque altro ragazzo della stessa
età, superiore non tanto per il cumulo di nozione acquisite ma
per la capacità di adattamento a un ambiente difficile.
Il gamin ha una personalità che non accetta la frustrazione,
non è capace psicologicamente di sopportare una madre crudele,
un padre che lo abbandona. L’aspetto più caratteristico della sua
personalità è l’instabilità e l’aggressività verso gli adulti, mentre
sono solidali con il gruppo di strada in cui convergono.
Il gruppo “la gallada” ha una struttura interna specifica.
Essa intende un gruppo sociale formato da minori, il cui punto
vitale di coesione è il raggiungimento di una sicurezza
materiale, psichica e affettiva; costituisce l’unità basica di
sopravvivenza. Il bambino ne risente l’influsso, ne riceve anche
una certa sicurezza; è un gruppo sociale marginale, ma presenta
una coesione interna per far fronte agli attacchi esterni; è
un’organizzazione che nasce in modo naturale e che risponde
alle esigenze. È prevista la lealtà di tutti verso ogni appartenente
e uno sfruttamento paritario delle risorse raccolte.
Le infrazioni che commettono possono essere marginali,
come elemosinare, o delittuose, contro la proprietà o le persone.
Rubano principalmente cose che possono piazzare presso i
ricettatori in breve tempo. Quando il bambino cresce vanno
aumentando anche le modalità dell’azione delittuosa.
Le campagne per la salute mentale dell’infanzia
presuppongono l’esistenza di un sistema scolare capace di
prevenire i danni psicologici prodotti nel bambino abbandonato,
poiché il problema dell’infermità mentale del bambino di strada
costituisce un grave fardello. Si fanno grandi sforzi per
abbassare la soglia della delinquenza minorile ricorrendo
all’istituzionalizzazione dei minori.
L’attuale legislazione colombiana sulla delinquenza del
minore è principalmente preoccupata di non essere repressiva.
Essa tenta di operare nel rispetto del codice minorile.
Indubbiamente, esistono difficoltà di natura strutturale che non
permettono l’applicazione di un atteggiamento totalmente
protettivo nei confronti del minore che infrange la legge.
4.2 Come si presenta l’infanzia colombiana al sorgere del
terzo millennio? Il quadro non è chiaro. Infatti, a volte mancano
i dati ufficiali al DANE (dipartimento nazionale di statistica). O,
se esistono, non sono a disposizione. O, spesso, contrastano con
i dati di altri organismi.
Sono qui di seguito riportati i dati della Fondazione
Restrepo Barco perché i più aggiornati: In Colombia il 42%
della popolazione colombiana è minore di diciotto anni, ossia
16.000.000 sono bambini e bambine. Di questi 5,6 milioni sono
in povertà e 1,3 milioni sono in miseria. Il loro numero pare
destinato ad aumentare, dato l’esodo massiccio dalle zone
agricole provocato dagli scontri tra esercito regolare e guerriglia
´e paramilitari.
I governi colombiani che si sono succeduti nelle ultime
legislazioni, non hanno preparato piani d’intervento efficaci a
favore dei bambini provenienti dalle zone di conflitto. In molti
hanno pensato e pensano che il “desplazamiento” (sfollamento)
dalle campagne, a causa dei combattimenti, sia temporaneo e
che in breve dovrà risolversi, si spera, con il ritorno dei fuggitivi
alle terre di origine. Ma il narcotraffico è un male difficile da
debellare. Intanto il tempo passa e i bambini trovano, nelle città
dove giungono, un ambiente che non è favorevole alla loro
educazione e crescita. Insieme alle famiglie, quando ciò è
possibile, alloggiano in baracche improvvisate. I genitori
ricevono un minimo sussidio per un paio di mesi. In queste
condizioni l’infanzia ha poche speranze di progredire in modo
sano e le zone marginali delle città diventano un serbatoio anche
per chi cerca mano d’opera per ogni tipo d’impresa.
Se si osserva la situazione riguardante il lavoro infantile,
troviamo che 2,5 milioni di bambini sono sfruttati dai genitori o
da conoscenti. Nella zona urbana lavora il 15,6% della
popolazione tra i dodici e i diciassette anni. In genere fanno da
aiuto ai muratori, ma molti sono nelle strade a vendere ogni
sorta di prodotti. Nella zona rurale l’indice sale al 33%. Più del
50% dei bambini lavoratori svolge solo questa attività e non
studia. Di quelli che lavorano il 75% riceve una quarta parte del
salario minimo legale, (circa 70.000 lire mensili), il 25% dei
bambini sfruttati non riceve alcuna paga.
La Fondazione Barco ha stimato in 21.000 i bambini vittime
dello sfruttamento sessuale. L’intervento dello Stato per
arginare questo tipo di fenomeno è basso. In tutto il paese 2,7
milioni di bambini non ricevono alcuna scolarizzazione. Il tasso
di analfabetismo minorile è del 10% circa nelle zone urbane.
Sale al 30% nelle zone rurali. Per quanto riguarda i conflitti
voluti da bande di narcotrafficanti la situazione è la seguente:
6.000 bambini sono vincolati a una fazione o all’altra. Di
questi minori il 19% ha ucciso; il 60% ha visto uccidere; il 78%
ha visto cadaveri e mutilati; il 25% ha visto sequestrare; il 13%
ha partecipato a sequestri; il 19% ha visto torturare; il 40% ha
usato armi da fuoco. L’8,2% dei delitti al di fuori degli scontri
armati, è stato commesso da minori.
La terra sottratta ai campesinos serve sia a chi deve produrre
coca, sia ai guerriglieri che attaccano i paramilitari e viceversa.
E la spirale continua senza fine a spese di chi dovrebbe essere
difeso e non lo è. I danni del “desplazamiento” sono ingenti e di
diversa natura, da quelli economici, a quelli politici, a quelli
sociali, a quelli psicologici, a quelli di salute. Le città, già
congestionate non possono accogliere altre ondate di profughi.
In alcune la popolazione è raddoppiata in pochi anni, come nel
Meta, a Villavicencio, la capitale del Piano Orientale.
Capitolo quinto
L’Instituto de Bienestar Familiar Colombiano (IBFC):
sinergie, competenze e interventi.
5.1
Dinanzi alla miseria, agli orfani, alla mancanza di
protezione dei bambini, la capitale a inizio ventesimo secolo,
attraverso le autorità, i medici, le dame di carità, creò una rete
d’istituzioni per assisterli. Tali istituzioni erano generalmente
massive, adattate in ampie case e davano assistenza, educazione,
sussistenza. Le molteplici istituzioni religiose e private che
esistevano con questo fine non erano sufficienti per la quantità
di orfani. Dinanzi a tale evidenza la Giunta di Bogotà si vide
costretta a creare nell’aprile del 1914 una sezione dipendente
dal sindaco che fu detta “Oficina Municipal de Mendicidad” ed
era diretta da un medico scelto dal sindaco. Quest’ufficio però
non riuscì a coordinare le molteplici istituzioni private
incaricate di dare assistenza; mancavano piani e progetti comuni
per classificare i bisogni primari: alloggio, alimentazione,
insegnamento e cure. Data la situazione, “l’Academia
Pedagogica de Cundinamarca” spinse la Giunta a creare la
“Sociedad Protectora de Niños” il cui principale proposito era
l’unificazione dei diversi programmi per dare aiuto al minore.
Nel 1968 fu creato l’Instituto del Bienestar Familiar
Colombiano che dipende dal Ministero della Salud Publica. Fu
riorganizzato dalla legge 7 del 1979. Suoi obiettivi primari sono
l’attenzione al minore e alla famiglia. Propone e controlla
progetti in due fasi: di prevenzione e di attenzione. Suoi organi
direttivi sono la Giunta e il Corpo direttivo. Al suo fianco vi
sono la Polizia Minorile e la Polizia Nazionale, e poi il
Defensor di Familla, la Personerias Municipales, la “Comisaria
permanente de familla”, il cui commissario è eletto dal sindaco.
L’università dello Stato fornisce progetti per migliorare il suo
funzionamento. La “Procuradoria” vigila in forma giuridica e
amministrativa i suoi atti. Operatori e medici gli sono assegnati
dal “Consejo Municipal o Distral”. Il Direttore dell’IBFC è
membro permanente del “Consejo Nacional de Television”;
inoltre la “Comision para la vigilancia de la television” è
integrata permanentemente da un rappresentante dell’IBFC.
Il Difensore del Popolo, organo dell’IBFC, attraverso la
Defensoria Publica para niños, o il Personero Municipal per
delegazione e sotto vigilanza del Difensore del popolo, avrà le
seguenti funzioni:
1) Prestare attenzione alle inquietudini del minore, vegliare
per i suoi diritti innanzi a qualunque violazione possibile e
interporre azione di tutela o qualunque altra azione che sia
pertinente. Intervenire in difesa dell’interesse del minore in
qualsiasi processo giuridico o amministrativo.
2) Assicurare il consulto medico della donna in gravidanza e
seguire la protezione per il futuro nascituro.
3) Analizzare i fatti occorsi, unitamente ai genitori o ai
responsabili del minore di dodici anni che ha commesso
un'infrazione penale e stabilire le misure preventive e educative
da prendersi.
4) Agire presso le autorità competenti per ottenere
l’amnistia o l’indulto dei minori svincolati dai gruppi armati.
5) Aggiornare il Servizio Nazionale IBFC in merito alla
gestione realizzata in favore dei bambini.
6) Assegnare i bambini a persone che garantiscano amore
quando si sia estinta questa possibilità, o a un centro di
protezione integrale.
7) Sollecitare la collaborazione delle autorità competenti
per assicurare l’effettività dei diritti minorili.
8) Stabilire le cause per le quali i minori non frequentano
centri educativi e prendere misure per correggere la situazione.
9) Stabilire il trattamento medico, psicologico, psichiatrico
o terapeutico, sia in forma ambulatoriale o d’internamento.
10) Sradicare il lavoro infantile; ottenere permessi di lavoro
per i bambini nei casi autorizzati dalla legge.
11) Decretare e praticare le perquisizioni ove necessario.
12) Compiere le pratiche sollecitate dai giudici di famiglia.
13) Applicare sanzioni come dalle sue facoltà legali.
14) Conoscere i casi di reato commessi da minori, mediare,
fare pesare la tutela alla persona che esercita podestà al fine di
correggere il minore.
15) Rimettere il caso alla “Fiscalia” se il minore ha
commesso atti delittuosi, senza pregiudicare con ciò i suoi
compiti di “Consejos tutelar”.
16) Informare il Servizio Nazionale dell’IBFC delle gestioni
che realizza in favore dei minori.
17) Agire in rete con le organizzazioni sociali che difendono
i diritti del minore.
18) Mediare i conflitti interfamiliari e prendere immediate
misure di protezione per il minore.
Nello spirito dell’art. 4, legge 294/1996, tali compiti
eviterebbero quei formalismi che richiedono lungo percorso
giuridico. Il Giudice di Pace avrà le competenze del Difensore
del Popolo e approverà con effetto vincolante le conciliazioni
familiari e quanto segue:
1) Identificazione provvisoria dell’abitazione di uno dei
membri della famiglia da separare.
2) Imposizione delle regole di comportamento dei membri
della famiglia.
3) Fissare l’ammontare degli alimenti.
4) Stabilire le custodie dei membri della famiglia.
5) Stabilire le visite per il mantenimento dei legami
familiari.
6) Stabilire le modalità per l’educazione scolastica.
La “Defensoria” fa osservare che uno Stato il quale non
garantisce il diritto e la giustizia, né il debito processo per i
minori perché ha preferito istituzionalizzare il problema della
delinquenza giovanile e criminalizzare la povertà, dove solo gli
adolescenti di basse risorse sono privati della libertà come
sanzione alle loro condizioni socio familiari, è uno Stato che
volta le spalle all’infanzia. Il Principio di Corresponsabilità
implica una filosofia per il trattamento dei problemi del minore
deviante e genera un nuovo modello in cui prevalga la
comprensione, l’amore e l’educazione sui classici strumenti di
prevenzione e repressivi propri del diritto penale. La
“Defensoria del Pueblo” ricorda agli organi di Stato che i
minori devianti sono soggetti in pieno dei diritti umani. Lo Stato
attraverso l'attenzione integrale deve rispondere pienamente agli
obiettivi di socializzazione e rieducazione; non può continuare
ad assegnare per contratto i minori "infrattori" a diverse entità
religiose miste o private sotto il pretesto che esiste incapace
statale di procurare quanto dovuto per diritto di Costituzione.
Le istituzioni pubbliche colombiane, oltre l’IBFC, che
contribuiscono alla protezione integrale del minore e della
famiglia sono molteplici, forse troppe (Policia, Fiscalia,
Alcaldia, Municipalidad, Personeria, Comisaria, S.I.S.B.E.N.
(segreteria per la salute), Seguro Social, Instituto Medicina
Legal, Ministerio Publico, Defensoria del pueblo, C.A.I.M.A.
(Centro Atencion Integral al Menor Maltratado), Controlaria
General de la Republica, Corporacion Reunir y Asociacion
Colombiana para la defensa del menor maltratado, Ministerio
de la Educacion, Consejo Tutelares, Jueces de paz, Jueces de
familla. Inoltre istituzioni private controllate da IBFC, le ONG e
infine il COFREM che trattiene il 4% dei salari per dare assegni
familiari e dopolavoro.
L’IBFC agisce come organo del Consejo Nacional de
Proteccion Integral de la Niñes y de la Adolescencia. Elabora il
progetto di Piano Nazionale per sottometterlo alla
considerazione del Consejo. Controlla e indirizza i Municipi,
tanto con riferimento alle prestazioni di servizi sociali, culturali,
educativi per bambini in età prescolare, quanto all’elaborazione
di piani, progetti e programmi di protezione integrale
dell’infanzia.
I programmi sono di prevenzione e di attuazione. Sono
attuati sia in forma diretta sia attraverso la collaborazione di
ONG, che possono essere interpellate dall’IBFC o possono a
loro volta presentare progetti di appoggio all’IBFC.
5.2 I modelli generali d’intervento dell’IBFC, che lo stesso
ente suggerisce alle ONG che collaborano, propongono tre aree
d’intervento:
1) pre-abbandono
2) post-abbandono infantile
3) post-abbandono adulto.
Per sradicare il problema è necessario agire su tutte e tre le
aree in maniera simultanea. Questo modello presuppone uno
sviluppo nel tempo, giacché si tratta di un vero processo i cui
effetti devono essere progressivamente crescenti a partire dalla
famiglia che produce tale anomia. Così gli interventi primari
che devono influire sugli individui dalla sua età scolare,
cominceranno a dare effetti quando gli alunni avranno raggiunto
l’adolescenza e si saranno integrati in coppie di genitori
efficienti nei loro ruoli psico-sociali che renderanno lo sviluppo
dei bambini del tutto normale. Sono perciò necessari dei
mutamenti trans generazionali.
I modelli d’intervento richiedono un sistema di continua
valutazione dei progressi ottenuti. Un intervento primario
riguarda più specificamente le famiglie in crisi o in situazione
caotica, abbracciando in tal modo il livello del preabbandono.
L’obiettivo di tale intervento è la prevenzione, che cerca
d’impedire che il funzionamento anormale dei ruoli di coppia e
genitoriali rompa i legami familiari. Si tratta quindi di fare
interiorizzare ai genitori una certa immagine di comportamento
quando essi hanno sulle spalle il ruolo di sviluppatori dell’ego
ideale del minore e della sua condotta. È naturale che, anche se
si tratta di processi intrapsichici individuali, questa promozione
dei ruoli psico-sociali non può effettuarsi in maniera isolata, ma
in maniera di gruppo. Lo sviluppo del legame madre figlio è
l’area di azione meglio conosciuta e dove più si sono tentati
interventi nell’intento di normalizzare la situazione, poiché la
deprivazione materna è stato uno degli elementi iniziali per la
conoscenza del problema dell’abbandono.
Durante il trattamento per il recupero si centra lo scopo di
ottimizzare la diade madre-figlio, (matrice comportamentale e
perciò duale primaria), senza disconoscere che lo sviluppo
emozionale è anteriore allo sviluppo intellettuale e che la
normalità della vita emozionale si assicura nella cornice della
relazione materna. Il programma mira alla conservazione del
vincolo così come alla sua ottimizzazione e alla sua qualità.
In relazione alla crisi familiare vi sono famiglie più a rischio
di altre e molto dipende dall’assunzione dei ruoli. In relazione
alla comunità si deve evidenziare che certi gruppi familiari
mancano d’identità comunitaria, sono disaggregati, in
particolare se vivono in quartieri baraccopoli, senza obiettivi
comuni che costituiscano una vera realtà comunitaria.
La capacità strumentale dell’uomo e la capacità
interpretativa della donna sono deficitarie, mancando le
condizioni di cooperazione economica e di simultanea
esclusività sessuale, (l'uomo mantiene più relazioni nello stesso
tempo), evidenze che rendono la coppia instabile e con scarsa
possibilità di prolungare l’unione nel tempo. Di solito queste
coppie provengono da genitori a loro volta in crisi. In questi
gruppi ad alto rischio vi è un’alta percentuale d’infermi mentali
e di ragazzi di strada. Il caos familiare implica la distruzione
della famiglia a causa della fuga di un coniuge e non permette lo
sviluppo normale dei figli.
Un altro intervento previsto dai modelli è la terapia del
bambino abbandonato. Il suo obiettivo primario è di conseguire
che il minore sia adeguatamente protetto. L’abbandono è un
fenomeno bipolare poiché esistono un abbandonato e un
abbandonante, il trattamento implicherebbe intervento sulla
vittima e su chi la abbandona ma tale considerazione è spesso
dimenticata nei programmi di riabilitazione.
La povertà di funzioni parentali costituisce il nucleo intorno
al quale si organizza il complesso processo di “abbandono non
esplicito” del minore. In un gran numero di famiglie vi sono
padri che non si comportano come tali, anche se soddisfano
bisogni come l’alimentazione e l’alloggiamento. A volte essi si
comportano come padri abnegati solo per soddisfare e
compiacere il proprio narcisismo.
Diremo che il recupero del minore va dall’integrazione
della figura abbandonante alla sostituzione della funzione
paternale, passando attraverso misure sociali che riducano il
deficit di sviluppo psicologico. Si deve tentare in lui il cambio
di norme di condotta anomale che adottò per catturare oggetti
anaclitici, (originati dalle pulsioni remote) sviluppando il fattore
delinquenziale come anormale funzionamento psicologico,
conseguenza spesso di quel labeling fatto dalla società che non
ha in sé caratteristiche riparatrici del deficit di sviluppo nei
confronti dell’abbandonato.
Certo è: il bambino non può abbandonare la famiglia, anche
quando le condizioni familiari sono molto sfavorevoli per lui, se
egli non ha raggiunto un certo grado di sviluppo che gli
permetta di sopravvivere nelle pesanti condizioni della vita di
vagabondo. A tal punto avrà raggiunto un certo livello di
capacità psicologiche generali per adattarsi alla cultura della
strada. Qualora il livello di funzionamento sia inferiore a tale
capacità, sia perché il bambino è troppo piccolo o perché
ritardato mentale, non sarà possibile l’adattamento alla cultura
della “calle” e l’abbandono prenderà forme diverse e mortali.
Il bambino lascia la famiglia principalmente quando è in
pericolo la sua incolumità fisica all’interno del nucleo familiare.
Quello che qualche anno fa era etichettato con la parola
gaminismo ha una stretta relazione con quella che è definita
“Sindrome del bambino maltrattato”.
5.3
Sono già stati considerati i livelli di preabbandono e
postabbandono infantile e adulto. Tali livelli obbligano ad
adoperare regole di azione più adeguate possibile alla
situazione, ossia atti che in generale si mettono in opera per
raggiungere un obiettivo preventivamente definito.
Il buon funzionamento della famiglia, e perciò la protezione
del minore, dipende dalla capacità della coppia di compiere
azioni appropriate al loro ruolo sociale e giuridico. Pertanto lo
sviluppo di tali ruoli consiste basicamente nel favorire i processi
d’interiorizzazione di quelle immagini ideali che corrispondano
a quei ruoli interni alla cultura data, così come alla facilitazione,
attraverso il quadro sociale, all’espletamento del ruolo.
Questo modo di raggiungere l’ottimizzazione dei ruoli
psicosociali è assolutamente necessario, giacché i modi di
condotta che li caratterizzano nascono da mancate condizioni
oggettive, prodotte dalle distorte giustificazioni. Il nocciolo
della questione sta nell’importanza dei termini economici in cui
è stretta la famiglia che non riceve, né ridistribuisce le risorse
della nazione e si trova quindi nell’impossibilità di ottimizzare il
disimpegno dei ruoli psico-sociali e strumentali, data l’estrema
povertà. Se citiamo il concetto di modernizzazione e diciamo
che esso è strettamente legato al numero delle opzioni presenti
nella società e sfruttabili da ogni suo membro, dobbiamo dire
che nella società colombiana la modernizzazione non è neppure
iniziata per la maggior parte della popolazione.
La promozione ideale della coppia madre-figlio costituisce
una modalità di azione capace d’influire sull’abbandono. Il buon
funzionamento della diade dipende da certe caratteristiche del
funzionamento della donna che in un dato momento della sua
vita si trova a dover assumere il ruolo di madre. La
valorizzazione dell’immagine materna ideale, l’incremento della
capacità della donna per accettare i cambi emozionali che la
maternità implica, il trattamento dei deficit e degli handicap che
la maternità implica, ecc. costituiscono fattori determinanti per
ottimizzare l’attitudine materna.
Senza dubbio il fattore più importante è che il figlio sia
desiderato e ciò dipende principalmente dal fatto che sia il
concepimento sia la gravidanza siano accettati della madre, fatto
che implica pieno controllo della femminilità e della sessualità,
ciò significa il raggiungimento di una maturità adulta e il buon
funzionamento psicologico. È ovvio che in qualunque
circostanza l’accettazione del figlio richieda che la donna abbia
opportunità di scegliere le condizioni in cui le sue relazioni
sessuali sono riproduttive e non imposte con forza o per vendita.
Una volta che i meccanismi difensivi dell’integrità familiare
falliscono, si presenta la crisi. Qualunque sia la forma che
assume, essa pone il gruppo dinanzi alla duplice alternativa: o di
passare a un più stabile equilibrio, o di cadere nel caos.
Non si deve scordare che esistono condizioni familiari,
come infermità mentale, delinquenza, alcolismo, che riflettono
la presenza di equilibri particolarmente instabili e che
suggeriscono la necessità d’interventi speciali, cosa che richiede
una conoscenza approfondita di tali sistemi familiari. Il nucleo
familiare carente di uno dei due genitori significa, per il minore,
lo stato di orfano.
La supplenza familiare può essere data in forma pratica con
l’adozione temporanea o definitiva, oppure con la permanenza
in istituti adatti. Seguirà la restituzione della funzione
psicologica del minore, poiché una disfunzione di tal genere
affetta il normale sviluppo. Sarà necessaria la psicoterapia la cui
diagnosi terrà conto della gravità del danno, dell’età, del livello
di sviluppo, così come delle risorse disponibili e delle
caratteristiche culturali del gruppo familiare, come pure del
livello intellettuale ed emozionale empatico del bambino. La
restituzione della funzione familiare passa attraverso fenomeni
d’interazione che devono correggere il manomesso
funzionalismo familiare eliminando condotta stereotipata e
ripetitiva.
Tra le tante azioni di supporto le ONG mettono a
disposizione case di assistenza e ricovero; finanziano crediti per
piccoli progetti produttivi assessorando le microimprese;
promuovono la ricerca per il miglioramento delle tecniche agropastorizie; individuano gruppi di base a cui danno educazione
civica partecipativa, valori culturali, cultura dello sviluppo
sostenibile, programmi locali e municipali, prestazioni di servizi
pubblici domiciliari; danno impulso al sistema di controllo
interno degli enti governativi, ai processi di pianificazione e di
gestione ambientale; prestano attenzione alla terza età e agli
ammalati terminali, ai bambini portatori di AIDS.
La realtà attuale necessita di persone con capacità di
organizzarsi, le quali appoggino e promuovano lo sviluppo
dell’identità, dell’autostima, dell’autonomia della persona e
della collettività. Tali persone sono identificabili negli
educatori, che possono aiutare gli alunni a raggiungere i suddetti
obbiettivi, e che richiedono, in prima istanza, un lavoro in cui le
persone vincolate ai processi educativi migliorino le capacità di
risoluzione dei conflitti psicologici e sociali, che rinforzino le
relazioni di solidarietà e di rispetto, che promuovano la
partecipazione come responsabilità di primo ordine, con un
auspicabile miglioramento della qualità di vita per ognuno,
come compromesso collettivo per risolvere situazioni
esistenziali, e nella libertà, la cui realizzazione è possibile con la
conoscenza che ognuno avrà delle sue necessità e potenzialità.
Capitolo sesto
I risultati della ricerca qualitativa in Colombia.
6.1 Premesso che alcuni fatti sono considerati "infrattori"
del codice in alcuni paesi ma non lo sono in altri, e che il
termine di delinquenza minorile non ha alcuna relazione con
fenomeni psicologici ma che attiene strettamente a un’entità
giuridica che valuta il peso dell’infrazione, rimarchiamo che
tale concetto contiene parametri arbitrari: da un lato si parla di
minori "infrattori", dall’altro lato d’infrazione legale commessa
dal minore. Si suppone di essere di fronte a una terminologia
variabile che non tiene conto dei differenti ambiti e momenti
socio culturali in cui l’infrazione viene commessa dal minore.
Nella maggior parte dei casi l’atto deviante nasce nel
regime della stretta necessità di sopravvivere del bambino. Le
statistiche ufficiali dell’IBFC elencano che gli atti criminosi
sono in realtà lo sforzo del minore di strada di sopravvivere con
ogni mezzo. Perciò, quando si fa riferimento all’eliminazione
della delinquenza minorile dalle strade cittadine, si deve
indicare la partecipazione della società all’intera problematica
del fenomeno delinquenziale, quindi di adeguata legislazione
per eliminare quelle infrastrutture illegali che fanno valido l’atto
deviante come mezzo di sopravvivenza: ricettatori e sfruttatori
del minore.
La cultura della strada offre possibilità di sopravvivenza e si
fonda su una struttura economica, dove il delinquente maggiore
approfitta del minore, struttura favorita dalla dinamica del
gruppo, dove la coesione è la base del convivere nella strada in
condizione di alta emozionalità. Le campagne fatte contro
l’abbandono infantile devono generare programmi di
cooperazione con le istituzioni appropriate.
In Colombia vi è una necessità di riabilitazione del minore
delinquente, una modalità che permetta il recupero e il
reinserimento di molti giovani. È necessario che i vari
Dipartimenti intervengano non solo su uno specifico problema
ma simultaneamente e su differenti aree delle disfunzioni
psicologiche che producono delinquenza.
L’oggetto di questa ricerca è rappresentato dall’infanzia
colombiana, passando per la sua condizione, l’attenzione delle
varie istituzioni ai suoi problemi, i progetti messi a punto per
venire in aiuto ai ragazzini colombiani. Si è cercato di
ricostruire la realtà del minore disadattato, alla luce delle
contraddizioni presenti nella società attraverso tre fasi: 1) la
preparazione dell’inchiesta, 2) la raccolta dei dati, 3) l’analisi
dei dati.
Nella stesura finale è stato ricostruito il percorso della
ricerca, dalla preparazione alla conclusione, precisando le linee
di forza dell’inchiesta e dimostrando come esse conducano a
un’interpretazione obiettiva dei risultati.
Ciò ha comportato il tentativo di essere vicini alla realtà più
di quanto le istituzioni colombiane permettano.
Le interviste sono state fatte a operatori che lavorano
giornalmente per l’infanzia colombiana. Sono state registrate a
Bogotà e nell’area di Villavicencio. La durata complessiva delle
registrazioni è stata di undici ore. Le interviste sono avvenute in
lingua spagnola, presente un interprete che è intervenuto solo
quando richiesto da una parte o dall’altra e le registrazioni sono
state poi trascritte.
Nelle interviste è emersa una crescente preoccupazione per
il fenomeno del “desplazamiento”. La massa di bambini, circa
700.000 che vaga in cerca di una sistemazione dopo la cacciata
dalle terre di origine per opera della guerriglia, preoccupa la
popolazione. Il bambino di strada è una vittima della guerra e la
gente spera che presto qualcuno risolva il suo problema.
Dei diciotto testimoni privilegiati, undici lavorano in
Villavicencio, sette a Bogotà. Di essi tre sono funzionari
dell’IBFC; uno è consulente esterno dell’IBFC; quattro prestano
i loro servizi presso ONG; uno è giudice minorile; due sono
docenti universitari, rispettivamente di medicina familiare e di
diritto canonico; uno è funzionario della Croce Rossa
Internazionale; uno dirige un centro cattolico che ospita ragazzi
di strada; uno è giornalista; uno è psichiatra infantile; uno è
medico del Seguro Social; uno è pedagogo; uno è magistrato
della Procura di Stato.
Sin dall’inizio si è notato che, da un lato, i funzionari
dell’IBFC ritenevano soddisfacente il comportamento del loro
istituto, mentre dall’altro lato, gli specialisti delle ONG
lamentavano l’insufficienza e la scarsità di mezzi dell’IBFC.
Segno questo di un evidente contrasto nella valutazione delle
possibilità dell’IBFC.
Sia lo psichiatra sia il medico del Seguro Social hanno
ritenuto insufficiente l’assistenza medica ai bambini di strada.
Mentre giudice e magistrato hanno espresso parere positivo per
l’applicazione del codice del minore nel rispetto dei suoi diritti.
Nelle interviste è risultato che oltre la piaga della guerriglia,
altre problematiche affliggono i bambini di strada: la droga, la
violenza e il cattivo uso del tempo. Molti hanno riconosciuto
che c’è indifferenza verso il bambino di strada. Il problema in
evoluzione è il “desplazamiento”, che va a coprire quello
iniziale del gaminismo. La verifica della correttezza di questo
problema, scoperto in una situazione reale, è stata fatta durante
le interviste.
Prima delle interviste è stato esposto agli intervistati
l’obbiettivo che s’intendeva realizzare. Il medico, intervistato
per ultimo, è stato presente a tutte le precedenti interviste,
essendo egli l’interprete designato.
Le sedici domande poste ai testimoni.
La prima è servita, nella maggioranza dei casi, a stabilire un
primo contatto, conoscere l’intervistato, la sua professione,
l’attività della sua organizzazione.
La seconda tende a conoscere i progetti dell’organizzazione
e quindi valutare il livello d’impegno nella problematica del
minore.
La terza vuole misurare l’estensione, la forza,
l’organizzazione in termini di operatività dell’ente di
appartenenza dell’intervistato.
La quarta tende a disporre l’intervistato nell’universo
problematico, enunciando la specifica conoscenza del problema
e la sua opinione in merito all’IBFC.
La quinta vuole appurare il merito e la considerazione delle
tre distinte organizzazioni (le religiose, lo Stato e le private).
La sesta ha lo scopo di verificare il grado di soddisfazione
dell’intervistato nel suo campo di lavoro.
La settima vuole fissare una serie di valori presenti nella
società colombiana e connessi alla “salute” della famiglia.
L’ottava è la chiave per la scoperta del nuovo problema
connesso al "desplazamiento", problema che sta coprendo quello
vecchio e insoluto del gaminismo.
La nona riferita ai possibili interventi da fare prima che il
minore diventi di strada, vuole verificare se le persone hanno
coscienza dell’importanza del vincolo familiare e se esse sono a
conoscenza di programmi d’intervento.
La decima sonda se esista un vero interesse dell’IBFC verso
l’infanzia di strada, essendo chiaro che i minori passati allo
stadio di “desechables”, disprezzabili, da buttare, sono soggetti
difficilmente recuperabili.
L’undicesima sulla conoscenza delle cifre di ragazzi in
abbandono tocca la sensibilità al tema della miseria che affligge
un ampio strato della società.
La dodicesima vuole stabilire se, nel sentito comune, il
bambino di strada è generato dalla miseria o da scarsa cultura e
conoscenza degli aiuti disponibili.
La tredicesima vuole conoscere l’impegno dei mass media
nella lotta all’abbandono.
La quattordicesima tende a verificare la presenza del
machismo in Colombia. In sostanza si cerca di verificare la
solidità del ruolo filiare e di sposa.
La quindicesima vuole verificare l’efficienza delle
organizzazioni statali e se l’applicazione del codice del minore è
operante, e se lo è, a quali livelli.
La sedicesima misura i limiti del codice del minore, poiché
oggi è in corso una sua rivisitazione. Scaturisce dal crescere del
fenomeno del “desplazamiento”, poiché il codice del 1989 non
poteva prevedere la fuga massiccia e continua di famiglie dalle
zone di combattimento.
6.2 Analisi delle interviste.
Le diciotto interviste sono state sottoposte a un’analisi del
contenuto e i criteri adottati hanno fatto riferimento a quattro
dimensioni di analisi: 1) La situazione dell’infanzia in
Colombia. 2) Il gaminismo. 3) Le organizzazioni che curano i
bambini in abbandono. 4) I progetti dell’IBFC e delle ONG.
Emerge preoccupazione per l’attuale situazione di scontro
tra Stato e Guerriglia. I funzionari e gli educatori sono del
parere che l’aumento del numero di bambini “desplazados”
faccia peggiorare la situazione, tra l’altro già pesante,
dell’infanzia colombiana. Tutti sono coscienti che il denaro
speso per i combattimenti, potrebbe essere impiegato per
migliorare le condizioni di vita di molti bambini. Ma l’idea
strisciante è che la corruzione non permetta una facile soluzione
del problema.
Molti riconoscono gli sforzi fatti dall’IBFC, ma nello stesso
tempo sanno che i soldi stanziati per i progetti sono pochi, non
bastano e che, nell’insieme, i progetti non sono integrali, ossia
non accompagnano il processo di recupero dall’inizio alla fine.
Un bambino tolto dalla strada, vi ritornerà in breve tempo,
perché le strutture non possono sviluppare programmi che
prevedano una sistemazione completa del minore. I programmi
spesso s‘interrompono per esaurimento dei fondi messi a
disposizione dell’IBFC o da donatori privati.
Da molti intervistati è avvertito che il sistema di assistenza
medica ai bambini di strada è quasi nullo e che lo Stato ha poco
interesse a risolvere il problema del gamin che diviene adulto,
ormai detto “spazzatura” dalla gente, in segno di disprezzo. I
costi per il recupero di questi gamines sono troppo alti e
pertanto la loro triste situazione passa in secondo ordine e si
trascinano tra droga e alcool fino a consumare la loro esistenza.
Sono molte le ONG che collaborano con l’IBFC, e che da
questo istituto ricevono stanziamenti dopo l’accettazione dei
loro programmi, ma quelle che meglio funzionano sono le
religiose, poiché riescono ad ottenere ingenti donazioni da
privati esteri.
Molti intervistati hanno lamentato che non vi è sufficiente
assistenza per le ragazze che restano incinte e che non vi è
interesse a fermare la prostituzione giovanile.
6.2.1 La situazione dell’infanzia in Colombia.
La Colombia ha circa 30.000 persone che abitano la
strada. 12.000 sono bambini. La problematica del bambino di
strada non è tutta uguale. Ci sono differenti tipologie di bambini
in stato di abbandono con identificazione di stato e di ruolo. La
capacità di rispondere in pieno alle problematiche dei bambini
da parte dello stato è limitata. Alcuni intervistati segnalano
come il problema sia molto grave (Intervista n. 2). Negli ultimi
anni però l’attenzione delle istituzioni governative ai bambini
pare aumentata (Intervista n. 18). I minori oggetto di attenzione
da parte di enti statali e privati sono ad alto rischio, provenienti
da famiglie disgregate o disperse per cause e fenomeni
molteplici, che si vanno via via presentando e sommando nella
struttura sociale, aggravando la situazione e i carichi di lavoro e
d’impegno dell’IBFC e delle ONG. La problematica del
bambino è multiforme e va affrontata nella sua globalità,
pertanto è difficile da definire entro modelli obsoleti. Servono
nuovi paradigmi che raccolgano in un unico schema la
multifattorialità delle variabili che intervengono in un fenomeno
tanto complesso quanto quello della società e della famiglia
colombiana. Se da una parte nella società vi è una perdita di
valori, dall’altra un certo numero di bambini smarrisce le norme
di convivenza, solidarietà, riflessione. Le norme, dice un
testimone privilegiato, devono essere interiorizzate dal minore
con dinamiche graduali (Intervista n. 1). L’infanzia che fugge da
casa è oggetto di violenza, abuso sessuale, abbandono,
mancanza di affetto. A questo il bambino preferisce la vita di
strada. Il maltrattamento è una diretta conseguenza della
violenza interfamiliare, scaturita da ignoranza e difficoltà
economiche che affliggono la famiglia. Il maltrattamento
avviene anche fuori della casa: nel vicinato, nel gruppo dei pari,
nella scuola. Molti degli intervistati sono coscienti che vi sono
in Colombia 6.000.000 di bambini in povertà e che gli indigenti
tra i cinque e i quattordici anni sono aumentati nel 1999 del
30%. Nella strada i bambini trovano qualcosa da mangiare,
incontrano una sorta di protezione dal maltrattamento familiare.
Nella strada i bambini perdono la maniera di utilizzo del tempo
sociale. Quelli tra essi che preferiscono non fare più ritorno alle
famiglie, accettano la strada e tutto ciò che essa offre. Quelli
che vorrebbero cambiare vita e trovare nella loro famiglia un
diverso ambiente, non possono che subire la miseria che avvolge
la famiglia cui appartengono. I più hanno riferito che il bambino
vuole cambiare, ma in famiglia le cose vanno molto male
(Intervista n. 1). Altre volte non è una scelta del bambino quella
di andare verso la strada, ma è la famiglia che ve lo scaccia.
Nello stato è stata creata la “Rete di promozione al buon
trattamento” che interviene per fermare il maltrattamento. Gli
operatori, sia dell’IBFC sia delle ONG, intervistati sanno che si
sta lavorando molto per il maltrattamento (Intervista n. 4). In
certe famiglie si continua a educare con il vecchio metodo,
quello delle botte, ed è opinione diffuse tra gli intervistati che
ciò che i genitori appresero dai loro padri, danno. (Intervista n.
5). I genitori non si rendono conto di fare violenza ai figli se
hanno confusione sul metodo educativo e correttivo. I medici
intervistati hanno dichiarato che arrivano al pronto soccorso
bambini con fratture, bruciature, anche dopo alcuni giorni dal
trauma, e i genitori non si rendono conto (Intervista n. 6). In
genere il castigo materiale è inflitto dal patrigno, mentre la
madre usa il castigo psicologico, che va a ledere l’autostima del
bambino. Infine i minori stessi attribuiscono alle botte un
significato educativo, usato nei loro confronti, perché anch’essi
non hanno visti adoperati altri metodi. I bambini vedono la
realtà in modo differente dagli adulti. Per loro il castigo dei
genitori è accettato in una logica preinteriorizzata e si danno una
ragione del castigo. Altro motivo che spinge il bambino a
scappare verso la strada è spesso l’instabilità familiare, dovuta
alle relazioni della madre con altri uomini dopo il fallimento
della prima unione e la figura del patrigno è determinante nel
maltrattamento. Questi non accetterà facilmente i figli della
nuova donna e le femmine specialmente sono a rischio di
violenza carnale. Quello che interessa il bambino è l’amore.
(“Una casa fatta con il fango e il cartone è un’oscenità per noi,
ma per un bambino la cui famiglia non possiede altro, quella
capanna è la sua casa e lì si sente protetto”- Intervista n. 15).
C’è un altro problema, i figli dei carcerati. Questi bambini
spesso non hanno alcuna assistenza se non quella della loro
madre. Mancando il sostegno paterno, il bambino finirà per una
via o per un’altra al “baliato” stradale, dovendo la madre andare
a trovare un mezzo di sopravvivenza, qualunque esso sia. Alcuni
intervistati hanno detto che i bambini presi in consegna
dall’IBFC, dopo poco scappano, trovando essi repressivi i
metodi dell’istituto (Intervista n. 15). Questi bambini finiscono
spesso nel giro della prostituzione infantile. Molti dei bambini
ammazzati da serial killer sono in prostituzione. Il bambino
abbandonato perché il padre è in prigione, apprenderà che una
regola di sopravvivenza è la delinquenza. Le necessità basiche,
per molti bambini, non sono soddisfatte, molti mangiano una
sola volta il giorno, vanno senza scarpe a scuola e dopo alcuni
giorni lasciano le aule per motivi d’indigenza familiare. Il
bambino di strada, mancandogli tranquillità ed equilibrio,
deforma il suo modo di pensare e di agire coerentemente,
diviene portatore di patologie e manifesta stati mentali confusi e
aggravati dalle pessime droghe che inala e che bruciano i
neuroni, come il collante boxer. La “stradizzazione del
bambino” prende quindi avvio, in maggioranza, nelle famiglie.
La fuga di un bambino non è subito denunciata alle autorità. Gli
avvocati dell’IBFC hanno fatto notare che dopo un anno che
mancano da casa sono dati per morti dai genitori (Intervista n.
5). L’epilessia è alta tra i bambini. L’attenzione alla salute
mentale è scarsa, come emerge dalle preoccupazioni dello
psichiatra intervistato (Intervista n. 16). Un rischio è la
mancanza di affetto, che genera depressione e da questa
all’esclusione il passo è breve. La speranza è la scuola, che può
identificare la depressione del bambino è curarla. I figli dei
trafficanti di droga sono ad altissimo rischio. (“I narcos sono
psicopatici, i loro figli, in maggioranza, saranno trafficanti di
droga, per eredità” - Intervista n. 16). La scuola, non preparata
strutturalmente a tenere quei ragazzi che mostrano particolari
problematiche, allontana i bambini ed è anch’essa iniziatrice del
suddetto fenomeno. Gli operatori che lavorano con le ONG
hanno dichiarato che la scuola non capisce le loro crisi
emozionali (Intervista n.1). Il governo chiude le scuole e vuole
mutare l’aspetto educativo senza rendersi conto che fare cambi
di progetti educativi in un momento come questo è un rischio.
Alcuni hanno dichiarato che poco interessa l’educazione dei
bambini (Intervista n.4). La televisione ha sostituito la madre in
molte famiglie e i bambini sono lasciati da soli innanzi allo
schermo e gli educatori pensano che non possa capire quali
valori prendere dal televisore (Intervista n. 4). I figli sono
lasciati alla strada perché manca tempo per l’affettività e
l’educazione. Tre milioni di bambini non ricevono
scolarizzazione. Le scuole non preparano i bambini nella
conoscenza dei loro diritti. E intervistati lamentano che manca
l’informazione (Intervista n. 9). La scuola costituisce l’unica
struttura che pone attenzione a certi fatti. Spesso è il maestro ad
accorgersi che un bambino è malato, o che ha subito un abuso
sessuale (Intervista n. 9). In molte famiglie si dà massima libertà
al figlio, limitando quella della figlia. Quest’atteggiamento
distorce l’apprendimento di modelli di parità necessari in una
società moderna. In diversi hanno sostenuto che il bambino è
cresciuto per un ruolo puramente strumentale, quello di fare
soldi (Intervista n. 6). Il "machismo" è passato al figlio maschio:
egli può fare tutto, ma la sorella no. La strada è ridondante di
rischi per un ragazzino che spesso deve cercarsi un gruppo di
pari in cui trovare, inevitabilmente, protezione e sottomissione
al capo e sfruttamento. Di sera, e più di notte, la strada e i rischi
avvolgono il bambino. Il bambino della strada ha rotto i legami
familiari e sa che la strada gli offre di più. Se si provocano
ferite, se si ammala, la cura dl ragazzo di strada dipenderà
unicamente dal buon cuore del medico dell’ospedale, nella gran
parte dei casi. È stato rilevato che un gamin pugnalato non è
accolto in ospedale (Intervista n.1). I bambini che, una volta
dichiarati in stato di abbandono, possono essere adottati, sono
presi in protezione dall’IBFC che assegna loro una famiglia
temporanea, detta sostituta, in attesa di quella definitiva. I diritti
del bambino affidato sono controllati periodicamente da
personale dell’IBFC.
La sensibilità verso il bambino della strada è bassa. Spesso
gli intervistati hanno marcato che la gente detesta il bambino
della strada (Intervista n. 4). Pare che le persone siano assuefatte
a vedere la stessa scena, ogni giorno, di bambini buttati sui
marciapiedi o a chiedere elemosina. La sensibilità, se c’è,
procede tra contraddizioni. Inoltre, la guerriglia provoca il
fenomeno del “desplazamiento”, un esodo massiccio e violento
verso le città, ovviamente verso una vita di miseria giacché le
città non sono mai state preparate ad accogliere, in emergenza,
tanta gente. Tutti conoscono il numero, 1.200.000, di fuggitivi, e
sanno che di essi 700.000 sono bambini. Molti bambini sono
allontanati da casa per evitarne il reclutamento coatto nella
guerriglia. È stato detto che la paura dei sequestri di massa, pesca miracolosa-, fa sì che i genitori allontanino i figli verso
altre città (Intervista n. 7). È inevitabile che in uno scontro
armato i primi a essere colpiti siano i bambini. I testimoni
intervistati sanno che la guerriglia attacca anche la popolazione
(Intervista n. 10). I bambini, di una fazione o dell’altra, vengono
raccolti nelle zone di conflitto dalla Croce Rossa e portati via
per il soccorso. Nella nuova miseria i figli sono sfruttati dai
genitori per aiutare il misero bilancio e saranno mandati a
vendere nelle strade qualunque cosa o a elemosinare. (“E il
bambino messo di fronte alle responsabilità, vorrà avere voce in
famiglia, perché produce soldi in qualche modo”- Intervista n.
1). Poco è dato ai bambini che giungono dalle zone di conflitto e
ciò è più chiaro soprattutto tra gli intervistati che non
appartengono all’IBFC (Intervista n. 4). Tutti gli intervistati
hanno lamentato che molti bambini sono presi dai gruppi
irregolari (Intervista n. 7). Circa 4000 sono stati reclutati in
modo coatto negli ultimi quattro anni. Si parla di 400-500
sequestrati l’anno per la guerra allo stato. I bambini che vanno
volontariamente alla guerra sono quelli i cui genitori sono stati
minacciati di morte dai gruppi fuorilegge in guerra. In nessun
conflitto si sono impiegati tanti bambini quanto in Colombia,
perché il conflitto è esteso e subdolo, impastato com’è, da trenta
anni, con moventi politici, privati, criminali cui non sono
estranei gli interessi internazionali. Una ragazza madre che si fa
cogliere in flagranza di reato, superato un certo valore di oggetti
rubati, è mandata presso un centro riabilitativo. Non può tenere
con sé, nel centro, il figlioletto. Chiarisce un testimone:
L’istituto non è adatto per la crescita del bambino (Intervista n.
5). Il figlioletto sarà preso in cura dall’IBFC. Neonati senza
diritto a un nome ve ne sono. Se il “padre” nega al nascituro il
diritto del nome, o nega il sostegno, dovrà essere la ragazza a
sporgere denuncia presso il CAIMA o presso la Defensoria del
Pueblo, per l’avvio del procedimento civile e penale. Ma spesso
il padre non ha nulla da dare, solo il nome. Succede che ragazze
madri attendano molti mesi prima di registrare la nascita, in
attesa che il padre si decida ad assegnare il nome. Nel piccolo
intento di evitare al bambino la vergogna di avere un solo
cognome, quello materno, si cade nell’altro errore di non
assegnarglielo affatto. Le ragazze che restano incinte e si
presentano presso centri convenzionati, come le ONG, per avere
orientazione sul parto o sulla rinuncia al figlio, sono di classe
bassa in maggioranza, come dichiarano alcuni medici (Intervista
n. 11). La loro gravidanza è spesso involontaria, per mancanza
di educazione sessuale e di affetto. Si tenta, con le ONG che
assistono le gravide, di evitare che facciano aborto. Le cifre, non
ufficiali, di aborto clandestino sono di circa 500.000. Quelle
violentate hanno subito il sopruso dai patrigni o dai vicini di
casa. La preoccupazione delle ONG è di non sapere casa farà la
ragazza rimasta incinta una volta che sarà uscita dal centro,
dopo una visita medica o un suggerimento. Dovrà affrontare, da
sola, la famiglia, che spesso la scaccia; la scuola, che spesso la
scaccia; le amiche, che spesso la scacciano. La ragazza avrà
poche scelte e pochissimo appoggio dalle istituzioni. Nella
capitale vi è un solo istituto religioso che accoglie ragazze
partorienti. Neppure l’aborto per violenza carnale è ammesso.
Chi ci rimette è la ragazza di strato basso. La ragazza di buona
famiglia, che casualmente restasse incinta, ha altre vie per
praticare l’aborto. Miami è a quattro ore di volo. La
prostituzione minorile non viene osteggiata con determinazione
dalle autorità competenti. È stato dichiarato da alcuni
intervistati che un pubblico funzionario che volesse affrontare
questo problema avrebbe serie noie (Intervista n. 3). Mancano
quelle istituzioni che aiutino la ragazza in prostituzione. Non ci
sono programmi per trattare i casi di prostituzione. Nel
frattempo che la ragazza incontri un qualunque centro sociale
che la aiuti, continuerà a prostituirsi. La prostituzione affligge la
Colombia. Molti intervistati hanno detto che il fatto grave è
l’assenza dello stato che non raccoglie i bambini in
prostituzione (Intervista n. 9). Manca, è stato detto, una
responsabilità collettiva che impieghi sinergicamente gli enti e i
ministeri e mancano fondi. L’abuso sessuale, se avvenuto in
famiglia, difficilmente è denunciato. Gli intervistati sono
concordi quando affermano che è denunciato solo se la ragazza
ha rotto con la famiglia (Intervista n. 4). L’abuso è presente in
tutte le classi sociali, ma il maggior numero di denunce è
esposto dalla classe bassa. Si nota che la classe più
irresponsabile è quella medio alta, perché i genitori non si
presentano, per vergogna, all’IBFC o al CAIMA. Il fatto che sia
la classe bassa a fare più denunce, significa che l’unico modo
che la donna appartenente a tale classe conosce, per punire
l’uomo, è la denuncia alle autorità. A ciò si deve aggiungere che
una ragazza violentata che si presenti alle competenti autorità,
non è ricevuta con discrezione, né le si offre aiuto psicologico,
dovendo raccontare più volte, a diverse persone, l’accaduto e a
richiesta mostrare le prove della violenza subita. Viene detto
dagli intervistati che l’abuso è un problema primariamente
culturale (Intervista n. 12). Si pensa che i bambini non siano
importanti e di loro si fa ciò che si vuole. La ragazza che pratica
l’aborto si caricherà inevitabilmente di risentimento verso la
società. È facile passare da un aborto, a un secondo e alla
prostituzione infantile, facili prede di persone senza scrupoli e
che rischiano poco o nulla. I medici intervistati hanno dichiarato
che secondo il dipartimento di medicina legale, le lesioni subite
da bambini sono al primo posto come causa d’infortunio, data
l’assenza dei genitori in casa. Spesso i bambini ricevono
violenza interfamigliare (Intervista n. 14). Tutti gli intervistati
sanno che molti bambini sono nel narcotraffico e sono
preoccupati per il futuro (Intervista n. 4). Il denaro, quello
buono, ha molto valore. I messaggi televisivi che propongono
tutto per tutti, creano false attese e inducono bisogni in modo
distorto in una società che ha che fare con gravi problemi
politici, sociali, economici, educativi e dove ogni mattina la
prima cosa da tenere d’occhio è il valore del dollaro e la
svalutazione del peso. Le famiglie di bambini portatori di
handicap possono ricevere un sussidio, ma sarà il difensore di
famiglia ad assegnare il sussidio e sarà lui a sorvegliare che la
famiglia usi il denaro per le cure e le protesi. È stato fatto notare
che se la madre usa il denaro per altri scopi, il bambino è
cancellato dal “programma di vincolamento” (Intervista n. 5).
L’assistenza medica per i bambini poveri è scadente. La
gran parte degli intervistati sa che se un bambino richiede
medicinali e la famiglia non ha soldi, il bambino muore
(Intervista n. 6).
La delinquenza comune, sapendo che il minore è protetto
dal Codice del Minore, assume ragazzi per commettere omicidi.
Il sicariato infantile sta prendendo piede nelle grandi città.
Alcuni intervistati hanno fatto notare che i criminali abusano di
questa tolleranza, a danno dei bambini (Intervista n. 7).
I bambini delle comunità indigene hanno problematiche
diverse. Nella foresta e nelle riserve vigono altre regole. Ci sono
leggi speciali che tengono conto delle tradizioni e dei riti delle
varie tribù. Ogni tribù ha le sue leggi. Eppure sono bambini
colombiani anch’essi a rischio. Mancano fondi per la loro
educazione. La cura dei loro malanni è affidata allo sciamano.
La scolarizzazione a insegnanti indigeni, ma dentro le loro
comunità. Le scuole fatte in passato, in prossimità di alcune
comunità, sono state chiuse o sono state assalite dalla guerriglia.
Il bambino indigeno malato mentale ha qualcosa di magico e
viene aiutato nella tribù. Il bambino cui si deve amputare una
gamba o un braccio, è abbandonato e cacciato dal gruppo. In
alcune tribù, se nascono due gemelli, uno solo sopravvive. Il
futuro non è certo. Tutti gli intervistati sono coscienti della
situazione di pericolo (Intervista n. 7). Quelli che ne usciranno
avranno solo imparato violenza e non avranno avuto infanzia. Si
nega il diritto all’infanzia di essere vera infanzia, ma s’insegna
l’uso delle armi. Nascono più femmine. La mortalità maschile è
molto alta. Nella classe alta, la natalità è bassa. Le donne del
ceto basso fanno molti figli per sentirsi protette, per vincolare i
loro uomini alla casa. Alla Colombia mancheranno molti
uomini nella prossima generazione. Aumentano le domande di
ragazzi che chiedono di entrare nei seminari. Si è creato un
senso d’incertezza. Le differenti forme d’indigenza sono parte di
una sintomatologia della crisi che cresce. Il problema riguarda
in particolare i bambini che, nella miseria, faranno delle
alternative della strada il loro stile di vita. Gli intervistati sanno
che molti bambini sono disorientati (Intervista n. 13), che la
società tende a stigmatizzare. Tende all’intolleranza e produce
comportamenti erronei che fanno mancare una sana
competitività tra i giovani. (Intervista n. 13). Il bambino si sta
abituando a vivere con la violenza. E ciò è molto grave.
6.2.2 Il gaminismo.
Fino a qualche anno fa i bambini, figli della strada, erano
identificati con la parola “gamin”. Per evitare il labeling, le
istituzioni colombiane si sono adoperate in ogni senso per
cancellare dai testi la parola “gamin”, chiamando “bambini di
strada” quei minori che hanno rotto ogni vincolo familiare e
permangono notte e giorno nella strada; e chiamando “bambini
nella strada” i minori che, in qualche modo, mantengono
contatti familiari. (Intervista n. 1).
L’ingiustizia sociale è una delle cause che produce il
bambino della strada. Questa realtà è chiara a tutti gli
intervistati (Intervista n. 18). In effetti è un problema strutturale
che riguarda tutta la società colombiana e non può essere
ascritto alle sole istituzioni dello stato. La mancanza di lavoro,
di una solida figura paterna, spinge la famiglia ad abbandonare
il bambino, che dovrà andare in cerca di cibo all’esterno
dell'abitazione, sia questa una capanna, un "ranchito", o una
casupola. Fame, maltrattamento e sfruttamento, le tre cause
apparenti che spingono il bambino verso la strada. Ve ne sono
molte altre, radicate nel tessuto sociale, a tutti i livelli. Gli
operatori intervistati hanno detto che nella cultura di strada il
bambino non si sentirà un oppresso (Intervista n. 18). Motivi
socioeconomici, giuridici, politici, morali, etici sono causa dei
bambini di strada. L’indifferenza degli altri stati è causa dei
bambini di strada. La mancata campagna di sensibilizzazione
dei mass media, per questo fenomeno, è anch’essa causa del
bambino di strada (Intervista n. 12).
I bambini di strada si riuniscono e si ritrovano nella
“gallada”, conservando un pur rudimentale bisogno di
organizzazione e protezione, un bisogno di comunione e di
legge. Nella “gallada”, nella sua comunione normativa, si
divide tutto: il cibo, il rottame di auto in cui ci si ripara per la
notte, il collante, il maledetto boxer, con cui si drogano, o il
"bazuco", peggiore del "boxer", e infine i tiri dei loro assassini.
Il significato che il bambino dà alla strada è molto importante
per lui. Gli intervistati hanno dichiarato che nella strada il
bambino si sente sicuro (Intervista n.6). I ragazzi della
“gallada” difficilmente escono dal gruppo, un gruppo composto
di ragazzi di tenera età fino ai venti anni. I bambini di strada
che, miracolosamente, raggiungono l’età adulta, superando
malattie, droga, fame, verranno poi detti, dalla popolazione,
“desechables”, rifiuti, spazzatura. Loro non hanno speranza.
Alla fine saranno eliminati dalla “limpieza”. Gli operatori delle
ONG si sono mostrati molto preoccupati per le uccisioni che ci
sono state (Intervista n. 1). Il numero dei “desechables” non è
noto. Molti intervistati si sono detti convinti che essi non sono
oggetto dell’interesse dello Stato. Ci sono problemi più grandi:
la guerriglia, il narcotraffico, la corruzione politica. Molti
credono che un bambino vittima di violenza, povertà,
sentimento di perdita e frustrazione, se esce dalla famiglia e
viene assorbito dalla strada, si salverà (Intervista n. 1).
Nell’origine del popolatore della strada c’è al primo posto la
crisi della famiglia, poi la crisi sociale e culturale, poi quella
politica economica. Della fuga verso la strada è responsabile la
violenza interfamiliare, il “padrastrismo”, le unioni successive e
ripetitive della ragazza madre e della moglie abbandonata. Ci
sono poi l’indifferenza e la paura del ragazzo di strada. Nessuna
assistenza medica per il ragazzo di strada, nessun programma
perché costano troppo. È troppo tardi per qualsiasi intervento
delle istituzioni. L’aiuto, quel poco che viene elargito ai ragazzi
di strada, ai “desechables”, è dato da ONG private,
sovvenzionate da stranieri, che offrono il minimo, un pasto e
una doccia a quelli tra loro che hanno il coraggio o la lucidità di
entrare in un’organizzazione senza fine di lucro, per un’ora, non
di più. Poi di nuovo nella strada. Quando c’è pericolo di vita per
un bambino di strada, l’ospedale deve dare soccorso, ma gli
intervistati sanno che l’ospedale interviene solo in casi gravi
(Intervista n. 17). Chi non è grave viene mandato via, perché
non è “carnetizzato”, non ha tessera sanitaria. La privatizzazione
del servizio sanitario, la scomparsa del medico di famiglia,
l’alto costo dei medicinali, fanno sì che per un bambino curarsi
sia una faccenda complicata, un diritto cui rinunciare.
Tutti gli intervistati sanno che la “bazuchizzazione” è
dilagante. Il "bazuco" è lo scarto della lavorazione della coca,
costa poco, si trova facilmente e stende subito. Uccide in breve.
Il “desechable”, ragazzo di strada, oggi più di ieri solo, non ha
più nemmeno il cane, il vecchio cane con cui veniva in passato
ritratto. Oggi, con sé, ha il "bazuco", preferibile al cane perché
non passa le pulci e brucia il cervello in fretta. Il “desechable”
non s’incontra nella banda, nella “gallada” o nella “pandilla”. È
solo. Muore da solo (Intervista n.1). La sua vita si è accorciata.
La mano nera gli dà la caccia. La sua presenza non è gradita.
La violenza armata nelle zone di conflitto provoca la fuga
verso le città, verso la miseria. I bambini giunti in città hanno
scarsa assistenza dalle istituzioni, quelli che possono vanno ai
lavori informali, quelli meno fortunati andranno verso i
cinturoni di miseria; tra questi, i più bravi nel sicariato, nel
narcotraffico, nella prostituzione. I meno bravi nella
disperazione. La sensibilità verso i ragazzi di strada è bassa.
Molti degli intervistati hanno detto che manca la coscienza
sociale (Intervista n.15). Si è fatta l’abitudine a vederli per la
strada. Hanno altresì dichiarato che il fattore economico ha il
suo peso. La stabilità della famiglia è aggredita dall’incertezza,
dalla precarietà, dalla sfiducia. La famiglia castiga e abbandona
il figlio, sapendo che è sola e non riceverà aiuto da nessuno
(Intervista n. 3). Per le ragazze in abbandono totale è stata creata
da qualche anno, una struttura di aiuto, un’ONG, il CAIMA,
che, come centro di attenzione al minore abusato, dà assistenza
come può. I soldi che riceve sono pochi e i suoi sforzi a volte
sono vani. Le ragazze violentate possono, se ne trovano il
coraggio, rivolgersi al CAIMA. Le ragazze in prostituzione sono
nel girone più basso. Se si rivolgono al CAIMA vengono
picchiate nel migliore dei casi. Non esistono istituzioni per il
ricovero di tali ragazze. Non c’è una legge protettiva per loro.
Le ragazze in prostituzione non sono attenzione dello stato,
come i ragazzi della strada. "Bazuco" e SIDA (AIDS) sono le vie
di uscita. Non un solo soldo viene stanziato per loro. Gli unici
interventi di aiuto sono dati da qualche sporadica ONG
religiosa.
Tutti gli intervistati sono concordi nell’affermare che la
guerriglia sta provocando ogni giorno più “desplazados”. Che
aumentano i miserabili e le ragazze in prostituzione perché non
ci sono soldi per programmi imponenti. Che lo stato non si è
preparato a questa logica di guerra (Intervista n. 4). Che i
bambini di strada malati, senza soldi per le loro medicine, hanno
scarsa assistenza. Che molti bambini di strada, raccolti dalla
strada da ONG, non accettano le norme che regolano la vita
nell’ONG e preferiscono riscappare alla strada, dove si sentono
più liberi. Passare al furto, al piccolo crimine quotidiano,
diviene una vera alternativa per la vita, in una società che ignora
il bambino di strada e ne sente repulsione (Intervista n. 13). Di
certo il numero dei bambini di strada è in aumento in seguito al
concatenamento di molti eventi: la guerra dei narcotrafficanti e
della Farc, la disoccupazione, la fuga dalle terre, la
disorganizzazione nel distribuire gli aiuti dello stato,
l’emarginazione ogni giorno più marcata di alcune fasce sociali.
La rabbia, la delusione, l’esclusione, la povertà, sono tutti
elementi di una miscela che porta il ragazzo al bordo della
società e lo spinge nel pozzo senza ritorno dell’abbandono alla
strada, o di attività illecite (Intervista n. 13). Molti intervistati si
sono detti convinti che la crisi della famiglia è anch’essa causa
dell’abbandono alla strada del bambino (Intervista n. 13). Crisi
educativa, crisi ideologica, crisi morale, si fondono, lievitano
nella crisi economico-politica che la Colombia sta vivendo da
anni. Molte famiglie, per sopravvivere, sono costrette a mandare
i figli ai semafori, per vendere qualunque cosa. Spesso, il
mattino, i bambini prendono da certe persone cassette con
caramelle e dolci. A sera riportano la cassetta, mancante di
quello che hanno venduto, e ricevono un compenso. Capita pure
che il bambino non sappia resistere, durante la lunga giornata
del venditore, alla tentazione di un dolcetto, e giunta la sera, il
compenso per ciò che ha venduto non basti a pagare ciò che il
bambino stesso ha preso dalla cassetta, per lui, per la sua fame.
L’immigrazione verso le città è motivo di crisi. Le famiglie
finiscono nei cinturoni di miseria, ai margini delle città, o lungo
i fiumi che attraversano la città, in condizioni di alto rischio per
la salute. Là i figli sono abbandonati. Alcuni intervistati sono
convinti che il gaminismo non nasce con la città, che sia un
fenomeno importato (Intervista n. 16). Vengono riversati
bambini della strada tolti alle grosse città con i camion, per
“ripulire la facciata”. I rapporti familiari, a causa della
situazione economica, spesso non sono dei migliori. Ci va di
mezzo il bambino che avrà scarso rendimento a scuola. Le
madri, depresse, non hanno comprensione per i figli. Alla fine
verranno a trovarsi nella condizione di non volere più andare
alle lezioni e finiranno nella strada, dove troveranno l’appoggio
della banda. Molti sono convinti che il consumo di droga inizi
nella banda (Intervista n. 16). L’adozione di un “bambino di
strada”, a differenza di un “bambino nella strada” è molto
complicata. La problematicità è alta. Il bambino, per essere
adottabile, deve essere dichiarato in stato di abbandono
dall’IBFC e deve essere internato. Molti sono certi che egli non
accetta le regole dell’IBFC Per arrivare a ciò deve essere
rieducato, ma mancano tempo e soldi per fare ciò che sarebbe
giusto fare e il risultato è che il bambino della strada resta dove
si trova: nella strada (Intervista n. 16). Le istituzioni
intervengono in modo destrutturato, incapacitate dal loro stesso
crescere e moltiplicarsi che, in qualche modo, compromette la
buona volontà e la capacità dei tecnici. Alcuni intervistati sono
certi che esiste un’atomizzazione dei livelli istituzionali che
peggiora gli interventi (Intervista n. 13). Tutti gli intervistati
hanno dichiarato che il lavoro sociale con il bambino della
strada è molto più difficile che con l’altro bambino, detto: nella
strada. Il recupero di un bambino rovinato dal "bazuco" ha alti
costi per i servizi sociali. Pertanto questi bambini sono lasciati
al loro destino (Intervista n. 13). Ma il bambino della strada non
è uno psicopatico. Non è un delinquente nato. È il risultato degli
errori dell’intera società. Su di lui si dovrebbe intervenire prima
possibile. Gli intervistati hanno mostrato di sapere che l’assenza
del padre e della madre, le difficoltà nello studio, il bassissimo
reddito dei genitori, si accompagnano ad altre difficoltà, per cui
i bambini vanno a vivere nelle “galladas”, rubano, si
prostituiscono, consumano e spacciano droga. Che la
delinquenza è il comportamento di chi si ribella alla legge
stabilita dalla società e che il ragazzo di strada è stato sputato
fuori dalla società e dalle sue norme.
6.2.3 Gli enti d’intervento.
Gli intervistati sono coscienti che le istituzioni, governative
e non, sono individuate in tre grandi aree: La Defensoria del
Pueblo, l’IBFC, (Istituto Bienestar familiar colombiano), le
ONG, (Organizzazioni non Governative). Come pure sanno che
l’IBFC ha il compito di proteggere il bambino e la famiglia,
essendo l’organismo principale del sistema nazionale di
benestare familiare e che esso, a livello nazionale, prende
contatto con le varie ONG che danno attenzione all’infanzia
(Intervista n.1). L’IBFC riceve risorse dal Ministero della Salute
e paga le ONG per i loro servizi. I bambini in grave stato di
necessità vengono raccolti dall’IBFC che dà loro assistenza e
provvede per l’adozione se vi sono i presupposti dell’abbandono
definitivo. Tutti sono concordi nell’armare che il personale è
volenteroso, ma mal retribuito. Come pure che tra le ONG vi
sono gli istituti religiosi, in genere più organizzati e più ricchi di
mezzi (Intervista n. 1). Gli intervistati hanno fanno notare che in
genere i programmi sono abbastanza buoni, come, ad esempio,
quello del CAIMA, per l’assistenza alle ragazze violentate
(Intervista n. 3) e il programma pilota per il recupero di ragazzi
che hanno violato la legge, detto Progetto Pilota (Intervista n.2).
L’IBFC agisce in due campi: prevenzione e protezioneassistenziale a vari livelli, (alimentari, di salute, educativi, di
sostegno, legali, di recupero di minori). L’istituto è solo
coordinatore, non esecutore dei programmi. Di sua competenza
sono le adozioni. Interagisce con altre istituzioni dello stato per
la protezione e il rispetto dei diritti del minore, ma affida
all’esterno lo sviluppo dei programmi d’intervento, i quali
saranno poi vagliati da un Coordinamento inter-istituzionale.
Quasi tutti gli intervistati hanno lamentato scarsità di
sovvenzioni da parte dello Stato (Intervista n. 6). L’IBFC
s’incarica di trovare le cosiddette “famiglie amiche” e “famiglie
sostitutive” che affiancano le ONG nell’assistenza ai bambini in
stato di abbandono. In genere i bambini che sono candidati
all’adozione transitano attraverso le “famiglie sostitutive”, che
spesso si affezionano al bambino e ne chiedono l’adozione
definitiva. A tal punto non riceveranno più alcun sussidio
dall’IBFC. Prima dell’affido l’istituto tenta con avvisi radio e
stampa di rintracciare il genitore scomparso. L’IBFC provvede
anche al primo aiuto per i “desplazados”, dando un sussidio di
circa 300.000 pesos mensili, a famiglia, per alcuni mesi e a detta
degli intervistati non governativi, tale sussidio è insufficiente
(Intervista n. 10). L’IBFC ha nella sua struttura la figura del
giudice di famiglia, il cui compito è principalmente quello di
proteggere il minore che ha commesso infrazioni. Una critica
mossa da molti intervistati e che l’IBFC non dà attenzione ai
ragazzi detti di strada (Intervista n. 3), né alle bambine in
prostituzione (Intervista n.4). Manca all’IBFC la capacità di
completare i programmi, ossia di fare in modo che essi siano
davvero integrali. (Intervista n. 2). Lamento generale è la
mancanza di fondi, che è uno dei più gravi handicap del
completamento dei programmi (Intervista n. 4). Altro lamento è
che gli assistenti sociali non sono in numero sufficiente per
verificare che il reinserimento di un minore rilasciato da un
“centro di attenzione” veramente si concretizzi. Altra critica è la
scarsa attenzione data a bambini figli di persone in carcere.
Questi bambini avvertono principalmente come repressive le
misure adottate dall’IBFC nei loro confronti (Intervista n. 15).
Come pure la scarsa attenzione dell’IBFC sia nella prevenzione
sia nell’assistenza verso bambini che presentano forme di
patologia mentale (Intervista n. 16). Spesso è lasciato ai maestri
il riconoscimento della malattia mentale e chiaramente, a quel
punto, sarà tardi. La privatizzazione del servizio medico non
aiuta l’infanzia povera. In molti sono convinti che la recente
nascita dell’ONG CAIMA permetta un migliore approccio alla
problematica della ragazza che ha subito violenza sessuale ed è
segno di una maggiore sensibilità dell’istituzione verso queste
ragazzine, che non sono costrette, come prima, a raccontare la
loro esperienza, a poliziotti (Intervista n. 9).
Le ONG lavorano sulla prevenzione, protezione, recupero.
In genere conseguono risultati migliori dell’IBFC (Ciò è
confermato in molte interviste, in particolare nella n. 1) In
generale gli intervistati credono corretto il controllo e il
rendiconto delle ONG all’IBFC. Ogni ONG è specializzata in un
certo campo e nasce e si sviluppa se ha una buona équipe
tecnica. Ricevono sovvenzioni dall’IBFC o da organizzazioni
private. La loro nascita e la vita sono strettamente legate alla
bontà dei progetti che, una volta accettati dall’IBFC,
permetteranno l’assegnazione di fondi statali e il lavoro delle
ONG. La gravità della situazione odierna rende insufficiente il
numero di ONG che accolgono bambini (Intervista n. 14). Altro
punto debole è che i progetti ONG approvati dall’IBFC, hanno
una durata breve, sei mesi mediamente (Intervista n. 15). E sei
mesi non sono sufficienti per completare il recupero o la
socializzazione del bambino. Questo è uno dei motivi che
impedisce l’attenzione verso il bambino della strada, già
"bazuchizzato". Molti pensano che un esito armonico
nell’attuazione dei progetti si possa avere, per esempio, con la
vigilanza di un procuratore sui programmi (Intervista n. 2). Le
ONG, private e religiose, danno aiuto ai “desplazados” più che
l’IBFC È stato detto da alcuni che in Colombia, se da un lato si
tenta di costruire qualcosa, con gente di buona volontà e
preparata, da un altro lato si vanificano gli sforzi a causa della
corruzione (Intervista n. 14). L’atteggiamento dell’IBFC è
assistenzialista. Le cause che generano le problematiche sono
indubbiamente note, ma situazioni economiche e politiche non
permettono ampie soluzioni.
6.2.4 I progetti d’intervento.
L’IBFC comunica con le ONG che possano dare assistenza
ai bambini rimasti soli e senza genitori, in attesa di dare loro una
famiglia che li accolga. Oltre a queste, operano ONG religiose
che possono accogliere un gran numero di bambini, come la
Città dei Ragazzi (Intervista n.2). I progetti delle ONG religiose
sono sovvenzionati sia dell’IBFC sia da privati. Gli intervistati
mostrano di sapere che un progetto integrale richiede molto più
tempo di ogni altro progetto e sono al corrente delle difficoltà
dell’attuazione di un progetto integrale (Intervista n. 3). In caso
di maltrattamento da parte dei genitori, il giudice di famiglia
può decidere, dopo una denuncia che può anche essere anonima,
l’affido del bambino all’IBFC al fine di proteggerlo dagli stessi
genitori. Lo stato di abbandono di un minore sarà comunque
dichiarato, nei casi più urgenti, dall’avvocato detto “difensore di
famiglia”. Sono state fatte campagne su TV e stampa affinché i
minori conoscano i loro diritti. Capita, però, che i bambini di
strada non sappiano leggere, né possiedano TV (Intervista n. 5).
Gli intervistati che lavorano con istituzioni giuridiche hanno
dichiarato che il minore deviante, in Colombia, in accordo con
lo spirito del Codice dei Minori, sarebbe da quest’ultimo
protetto. Gli sono date misure correttive, affidandolo, dove e
quando si può, a centri sociali di recupero, dopo che il giudice
dei minori ne avrà deciso il suo ricovero. Non essendo però tali
interventi strutturati in modo completo, dopo un certo periodo si
riavrà il minore rimandato alla famiglia, che non essendo stata
fatta oggetto di attenzione da parte delle istituzioni, rimetterà il
bambino in condizione di una nuova fuga verso la strada e verso
il mondo della delinquenza. È confermato che il ragazzino sente
la necessità di tornare alla strada (Intervista n.2).
Principalmente, è nell’atteggiamento di chi è al servizio
d’istituzioni statali, credere o affermare che il lavoro, gli
impegni, i piani e i programmi dello stato sono abbastanza
buoni per l’infanzia (Intervista n. 4). Molti intervistati sono a
conoscenza che sono eseguiti programmi di salute sessuale e
riproduttiva, ma criticano la preparazione professionale degli
insegnanti, ritenendo il Ministero dell’Istruzione, per certi
aspetti, improvvisatore (Intervista n. 6). Anche se sono presenti
programmi di appoggio alle bambine vittime di violenza, sono
insufficienti le strutture di appoggio alle bambine che restano
incinte dopo una violenza. La legislazione in tale ambito è
deficiente e non sono state introdotte leggi per proteggere i
diritti delle ragazze rimaste incinte. Nella realtà, essendo
l’aborto illegale, non si vede come si possano conciliare
proposte di leggi protettive, tabù e religione. Le iniziative a
favore delle ragazze sono lasciate alla discrezione delle ONG
competenti in materia (Intervista n. 6). Il progetto CAIMA,
(Centro de Atencion Integral al Menor Abusado), è stato avviato
da pochi anni ed è considerato un buon progetto (Intervista n. 9).
Il personale che lavora presso il CAIMA viene prestato da enti
statali. Si occupa dei delitti contro la libertà sessuale e la dignità
umana. È parte della Fiscalia General de la Nacion. Il principale
obiettivo è di investigare sui delitti sessuali in maniera tecnica,
non solo per fare chiarezza e individuare gli autori del crimine,
ma dare trattamento biopsicosociale alle vittime, tenuto conto
delle conseguenze che un tale atto può provocare nella vittima.
Ha alle sue dipendenze psicologi, commissari, avvocati e medici
legali. Si affianca al lavoro interistituzionale e interdisciplinare
dell’IBFC, del Cuerpo tecnico de investigacion, della Policia de
Menores per migliorare la qualità delle indagini e prevenire le
irregolarità in cui si vengono a trovare le vittime dell’abuso
sessuale. La scarsa preparazione degli insegnati porta a magri
risultati. Nelle scuole s’impara poco sulla sessualità. Lavorano
meglio le ONG che negli ultimi due anni hanno portato a
termine un progetto di preparazione sulla pianificazione
familiare per 2600 giovani che poi sono stati mandati a
insegnare. Altro progetto è l’approccio delle ragazze di strada,
(Gamines), ed è fatto dalle ONG con progetti approvati
dall’IBFC (Intervista n. 11). La sensibilizzazione di giudici,
avvocati, commissari di famiglia, avviene mediante congressi
organizzati dall'ONG Pro Familla, che opera a livello nazionale,
e dal CAIMA. Un buon progetto ecclesiale è quello dei Vescovi
che hanno creato una rete di parrocchie per ospitare i bambini
fuggitivi vittime degli scontri armati (Intervista n. 7). I centri di
accoglienza sono divisi per sesso e il lavoro all’interno è
organizzato anche da volontari stranieri. I progetti delle sessanta
organizzazioni che sono presenti nel dipartimento del Meta,
mostrano un’attenzione al minore a tutto campo. Ma esse non
possono sostituirsi in tutto alle istituzioni dello stato ed essere
l’alter ego dell’IBFC. I progetti sono di prevenzione, assistenza
e recupero. Evidentemente, i progetti sono parziali e
parcellizzati, il più delle volte vanificano gli intenti di lavorare
in rete che si sono dati le maggiori ONG. Ogni progetto
svilupperà al suo interno dei programmi mirati. Il bambino di
strada difficilmente si rivolge a un’organizzazione. Dovrà essere
il personale dell’ONG ad andare in caccia dei bambini, nella
prima fase del progetto, e tentare l’aggancio. Poi si potrà
lavorare all’interno della struttura e applicare il vero progetto,
renderlo effettivo, positivo, producente. Ma prima si deve
fermare il bambino, distrarlo dal fascino della strada per tirarlo
nella rete di protezione. La seconda fase è quella
dell’abilitazione, il bambino comincerà a imparare le norme.
Nel caso di un’ONG che lavora per il recupero dei ragazzi di
strada i programmi saranno di educazione, lavoro sociale e
terapia occupazionale, psicologia, pedagogia, salute. Che cosa
accadrà al bambino una volta rimesso fuori dall'ONG, non è
dato sapere, perché non si hanno progetti a lungo termine e
totalmente integrali, a causa dei costi altissimi. I programmi
integrali con terapia occupazionale che formano il bambino di
strada in previsione di un inserimento nel mondo del lavoro
sono lunghi. Si devono esplorare le abilità del bambino,
sondarne e valutarne la parte prevocazionale. Addestrarlo.
Formarlo. Farne un cittadino (Intervista n. 1).
Per le piccole prostitute esistono progetti di orientamento,
ma mancano i mezzi di attuazione e i progetti restano morti.
L’IBFC non ha le strutture per il trattamento della minore in
prostituzione (Intervista n. 4). Anche il CAIMA è un’ONG di
orientamento della minore, poiché i mezzi a disposizione del
CAIMA sono scarsi. Per i bambini orfani i progetti di
prevenzione e protezione si realizzano, per la prima fase, nelle
famiglie sostitutive che accolgono il bambino e sono
periodicamente visitate da assistenti sociali e per la seconda fase
in organizzazioni che possono prepararli alla vita adulta. I
progetti per i bambini abbandonati sono applicati per fasce di
età: fino a due, da due a sette, da sette a dieci e così via
(Intervista n. 2). Il grande problema resta il tempo. Il tempo
concesso dall’IBFC per la realizzazione dei progetti è breve. È
un tempo spesso dipendente dal mandato del politico di turno.
Manca la previsione politica sul lungo termine.
Uno dei progetti più ambiziosi dell’IBFC è quello detto di
attenzione al minore deviante, che dopo la proclamazione del
codice del minore ha visto la creazione di centri piloti misti, con
ragazzi e ragazze, dove avviene il recupero del minore
(Intervista n. 3). Il progetto anzidetto investe nella sua
realizzazione il giovane, la famiglia, la comunità e le
organizzazioni governative. Gli avvocati e i magistrati
intervistati hanno detto di applicare l’articolo 204, che prevede
il richiamo ai genitori affinché osservino le regole di
comportamento idonee per il benessere del minore (Intervista n.
3). Il progetto permane in una fase continua di costruzione e
valutazione e cerca fondamentalmente di contribuire alla
formazione individuale e creativa del minore, facilitando il
restauro della sua vita. Genera spazi di dialogo e costruzione
collettiva, all’interno di ognuna delle istanze chiamate in causa,
famiglia, istituzioni, gruppo, società. Integra e completa i
processi istituzionali e sociali che si sono fatti per i giovani in
difficoltà, con l’intento di arricchirli e trasformali ove
necessario. Proporziona le basi concettuali perché in ogni
dipartimento dello stato si costruisca un Progetto di attenzione
integrale al minore deviante e contravventore, in accordo con il
contesto culturale, economico, educativo del dipartimento e che
trasformi il concetto di assenza di futuro per il minore che
affronta la legge. Il progetto opera a livello macro, come
orientatore di politiche, piani, programmi e compromessi
interistituzionali che potenzi il sistema nazionale di attenzione
integrale al minore. Opera a livello operativo dove si richiede la
partecipazione effettiva di tutte le istanze compromesse nella
costruzione di migliori condizioni di vita del minore deviante.
Resta chiaro che dipenderà dal ragazzo uscire dal centro di
attenzione. Se allo scadere del tempo non avrà dimostrato il
ravvedimento, rimarrà ancora nel Centro Pilota (Intervista n. 3).
Per il maltrattamento infantile l’IBFC ha messo in atto il
progetto Aspas e la rete di promozione al buon trattamento. Con
il primo si è voluta fare su vasta scala la sensibilizzazione verso
la non violenza in seno alla famiglia, con l’intento di salvare i
piccoli dalla violenza familiare. Il secondo progetto è mirato a
ciò che il bambino ha intorno a sé. Vuole inculcare il rispetto
per i diritti del minore indifeso (Intervista n. 5). I progetti
d’inserimento di un bambino “incapacitato” nei programmi
dell’IBFC sono gestiti dalla Defensoria del pueblo o
dall’avvocato di famiglia, figura dell’IBFC che assegna il
sussidio. Il bambino viene perciò vincolato a un programma di
assistenza. Un controllo è fatto per accertarsi che i soldi siano
spesi solo ed esclusivamente per la cura o le protesi. I
programmi di sostegno ai bambini "desplazados" prevedono il
loro alloggiamento presso famiglie amiche o presso ONG.
Questo problema è particolarmente grave perché il numero dei
bambini in fuga è molto alto. Sono programmi di breve termine,
perché l’IBFC è convinto che la situazione si dovrà risolvere
prima possibile. Alcuni operatori non sono d’accordo sui tempi
di soluzione del conflitto (Intervista n. 8). Ciò mostra una certa
sottovalutazione del problema giacché nessuno sa quando i
"desplazados" torneranno alle loro terre, dato il progredire della
guerra. I progetti di medicina preventiva sono presentati e svolti
da un’ONG riconosciuta a livello internazionale: Pro Familla. I
suoi programmi sono principalmente mirati all’individuazione
delle cause che sono all’origine del maltrattamento e
all’orientamento delle ragazze che restano incinte senza averlo
desiderato. Nel primo caso Pro Familla raggruppa le famiglie
che maltrattano i bambini e propone loro metodi di educazione.
L’Organizzazione può anche sollecitare l’IBFC affinché prenda
in carico un bambino maltrattato. Nel secondo caso Pro Familla
cerca di evitate che la ragazza abortisca in modo clandestino,
ma la orienta affinché partorisca in modo naturale e scelga
liberamente se tenere o rinunciare al nascituro.
Altro progetto dell’IBFC riguarda la scelta e la selezione di
famiglie amiche, famiglie sostitutive. Una rete di assistenti
sociali e psicologi bada a metterle in elenco. Le prime ospitano
ragazzi per brevi periodi, ricevono un sussidio dall’istituto e
possono ospitare più bambini nello stesso tempo. Le famiglie
sostitutive accolgono bambini, ma hanno attese di adozione
permanente, per cui possono essere paragonate a famiglie che
stanno facendo un periodo di prova preazione. Le ultime sono
famiglie che adottano a distanza, sono di ceto medio alto e
danno mensilmente un sostegno per un bambino abbinatogli
dall’IBFC e che è ospitato da istituti statali o privati. È questo
uno dei casi di progetto su lungo periodo (Intervista n. 8).
I progetti basati sull’altruismo spontaneo sono i meno
presenti sul territorio. Forse è il progetto più grande in senso
assoluto perché riceve scarsi sostentamenti (Intervista n. 18).
Possono mancare i soldi, le strutture, può essere assente
l’interesse politico, ma se alla base di un progetto, anche del più
risicato, vi è la fiducia, la speranza, l’orgoglio, i risultati si
otterranno e saranno superiori a quelli di una grande
organizzazione legata, magari, al politico di turno (Intervista
n.13). Le ONG lavorano molto sull’autostima, ritenendolo
fondamentale per un ricollocamento del bambino in un dato
ambiente. Un altro punto è lo stimolo della competitività tra i
ragazzi, essendo questa importante per la socializzazione.
Il codice del minore è forse il progetto più grande e
ambizioso dello Stato. Indubbiamente è un progetto di un codice
di difficile attuazione. Gli articoli per il minore ci sono proprio
tutti, anche quelli per le comunità indigene, ma a volte resta
inapplicato (Intervista n. 14). Con i suoi innumerevoli articoli il
codice dovrebbe essere garante irreprensibile dei diritti del
minore, ma i fatti e la realtà dimostrano il contrario, basta
leggere i giornali o semplicemente guardarsi intorno in una
qualunque città della Colombia. L’ignoranza e la
disinformazione sono i principali nemici del codice. C’è poi la
violenza di tutte le razze e di tutti i colori. (Intervista n. 14).
Alcuni intervistati hanno evidenziato che mancano progetti
per l’aggiornamento e l’autoformazione, in generale, dei maestri
e degli educatori (Intervista n. 15). Anche volendo riconoscere il
buon lavoro della Fundacion Restrepo Barco e della Fes, con i
loro controlli di autoevaluacion y fortaleciemiento del personale
che lavora nell’IBFC e nelle ONG (Intervista n. 9) alcuni
ritengono non sufficientemente aggiornato il personale
dell’IBFC rispetto alle nuove problematiche che affliggono la
Colombia. Un progetto di preparazione giovanile è definito
dalla CRI che raccoglie giovani, purché in grado di leggere e
scrivere, e li addestra per il soccorso. A questi giovani la CRI
garantisce corsi di studi e di formazione professionale
(Intervista n. 10). Anche la CRI ha tra i suoi programmi
“l’aggancio della gallada”, in modo da salvare il maggior
numero di ragazzi di strada. La CRI si autofinanzia con la
vendita di medicinali.
CONCLUSIONI
Dalla ricerca è emerso che sono molti i problemi che
minano l’infanzia colombiana. Alla vecchia piaga del
gaminismo se ne sono aggiunte altre e più gravi: la piaga dei
bambini sfollati dalle loro case per gli effetti nefasti della guerra
in atto da molti anni. Inoltre, vi è un aumento della violenza
famigliare ed extrafamiliare di cui i bambini, per primi, sono le
vittime.
La precaria situazione politica, il pessimo stato
dell’economia non permettono alle istituzioni di operare su
ampio raggio e per lungo tempo con i progetti per l’infanzia.
Un intervento incompleto dello Stato e la crisi che avvolge
molte famiglie colombiane a causa della miseria, tolgono
attenzione al minore che viene così, molto spesso, a trovarsi in
condizione di abbandono.
Le ricerche fatte dall’IBFC avevano, indubbiamente, avviato
il controllo della proliferazione del gamin in ambito urbano e
costituivano un piano di cambio cosciente e diretto che,
primariamente, si avvaleva di politiche preventive centrate sulla
famiglia.
Lo stesso Codice del Minore, varato nel 1989, è stato
recentemente sottoposto a revisione, data la sua non aderenza
alla realtà.
Se si accetta l’ipotesi, data l’odierna situazione, che è la
cellula domestica, così importante, a generare abbandono,
secondo le mancanze, si comprende che il risultato è la
precarietà e il conflitto.
Le istituzioni non hanno la capacità di agire in profondità
sulle basi educative della famiglia, non per cattiva volontà, ma
perché la situazione reale non lo permette. Resta difficile
trovare una forma occupazionale stabile per i capi famiglia,
come ricorso basico per il soddisfacimento delle necessità
primarie. Resta difficile stimolare per la coppia un ingresso
razionale nel campo lavorativo, cercando di evitare che il
maschio lo voglia attuare in maniera esclusiva e privilegiata.
È difficile migliorare le condizioni abitative del gruppo
familiare, migliorare le condizioni fisiche e sociali del quartiere,
premere per azioni istituzionali per la creazione d’infrastrutture
concrete, sopprimere i costi accessori per l’educazione e coprire
la mezza giornata libera di alunni sotto i dieci anni con attività
dirette che li mettano in occupazione produttiva e socializzante.
Rimane difficile organizzare il vicinato perché si crei il
sentimento di gruppo e si giunga a mete d’interesse comune,
giacché il sospetto per gli altri e la sfiducia stanno avendo il
sopravvento.
Educare la famiglia per la soluzione congiunta dei problemi,
per ridurre i conflitti della struttura coniugale e creare tendenza
sincretica, non è più possibile se vi è un attacco sferrato al cuore
dello Stato, dalla guerriglia, che rende precario ogni attimo della
vita colombiana.
Dalle interviste è emersa la paura per la situazione
quotidiana. I temi indagati, l’infanzia colombiana, i gamines, gli
enti d’intervento, i progetti d’intervento, fanno emergere uno
squilibrio. Ossia, mentre da un lato l’infanzia è sottoposta ogni
giorno a più gravi condizioni di vita, dall’altro le istituzioni e i
progetti non riescono a risolvere l’intera problematica minorile.
I principali risultati della ricerca hanno messo in luce la
crescente preoccupazione delle persone per le conseguenze che
la guerra riversa sull’universo infantile. Hanno evidenziato in
modo netto che gli aiuti sono insufficienti e che i finanziamenti
per i progetti non bastano per portare a compimento quelli che,
per la particolarità dei casi, dovrebbero essere integrali e
applicati dall’inizio alla fine dello spazio d’intervento.
È altresì emerso che lo Stato ha “scaricato” il gamin,
lasciandolo al suo destino, alla sua droga, in attesa che qualcun
altro intervenga per porre fine alle sue sofferenze. È stato
verificato che gli operatori dell’IBFC e delle ONG lavorano con
coscienza, i loro sforzi non ripagati, dato che la loro maggiore
frustrazione è vedere vanificati i loro sforzi, poiché mancano le
strutture per integrali per il completamento di un progetto.
Promuovere e canalizzare le utilizzazioni istituzionali,
oppure quelle dei vicini o del gruppo consanguineo esteso,
appare ogni momento più difficile. Stimolare l’esercizio dei
diritti della famiglia, della madre e dei figli diviene più
complicato perché lo Stato non riesce ad affrontare in maniera
seria il problema. Essendo in forte aumento il numero delle
vocazioni sacerdotali, si può dire che la credenza religiosa
fortifica i giovani in questo periodo d’incertezza. Prendiamo
atto che la Colombia sta “sfornando” più sacerdoti di qualunque
altra nazione.
INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI.
(Allo sbobinamento hanno fatto seguito la traduzione e la
trascrizione senza alcuna correzione di forma e di stile e lasciando
l’autenticità delle testimonianze nel modo in cui si sono apprese).
intervista n. 1
psicologa di una ong.
Domanda.: Mi può parlare della sua organizzazione?
Risposta.: In Colombia l’IBFC ha il compito di proteggere il
bambino e la famiglia. A livello nazionale l’IBFC contratta differenti
istituzioni per dare l’attenzione ai differenti gruppi di bambini, per
fascia di età e per la diversa problematica. Convidame, la mia
organizzazione è “non governativa”, ossia è un’ONG, è indipendente
ma controllata dall’IBFC Convidame significa Corporacion Nueva
Vida para el Menor de y en la calle. Non ho detto gamin, come lo dice
lei. Ho detto minore della strada e minore nella strada. Sono fatti
doversi. Gamin è offensivo, non si usa. Siamo un’entità senza fine di
lucro, a partecipazione mista, con autonomia amministrativa e
personalità giuridica per compiere fini d’interesse pubblico e sociale.
Compiamo azioni tendenti a dare protezione al minore oggetto di
attenzione e propendiamo per il suo recupero riadattamento e
socializzazione. Contiamo sull’appoggio di organi pubblici e privati. Il
ministero della Salute, tramite l’IBFC ci paga un coupon per ogni
bambino che teniamo qui. Quest’ultimo contatta la direzione quando
vi sono bambini ad alto rischio di strada da attendere, valuta le
modalità che noi offriamo, ossia che tipo di Attenzione possiamo dare
ai bambini e si fa un contratto, sarebbe a dire che noi riceviamo dallo
Stato una certa cifra. In questo momento abbiamo circa ventotto
bambini nella nostra sede, li teniamo dalle otto alle diciassette. Sono
bambini ad alto rischio, con famiglia disgregata. Qui non abbiamo la
possibilità di accogliere altri bambini con gravi problematiche, come il
bambino della “calle”, consumatore di droga, poiché la sede è piccola
e non abbiamo i medici né le medicine per dare aiuto. Iniziamo il
processo di socializzazione. Come? In cinque fasi. Qui operiamo le
prime due fasi perché le ho detto che non abbiamo i mezzi e lo spazio
sufficiente. La prima fase è quella ambulatoria. Si parte con un
processo di aggancio, nella strada, nel quartiere, ed è un processo
dinamico, creativo, di amicizia, educativo che si basa sul dialogo e
sulla confidenza, il rispetto, la motivazione permanente e cerchiamo di
propiziare un ambiente espansivo, spontaneo e di responsabilità. La
seconda fase è quella di abilitazione. Questo processo di formazione
comincia con la comprensione delle norme istituzionali di routine. I
bambini devono acquisire le norme di convivenza, solidarietà e
riflessione. Norme che devono essere interiorizzate dal minore a
partire da dinamiche graduali previste dalla cornice metodologica. Noi
portiamo il bambino ad apprendere facendo. E lì che gli diamo gli
strumenti per cambiare, dialogare e creare. Per questa seconda fase
sviluppiamo cinque programmi che sono di educazione, lavoro sociale,
psicologia, lavoro-terapia, e salute. I bambini fanno dei lavori manuali
bellissimi e con l’arte danno il massimo dell’espressione. Abbiamo
però altre Comunità in Ambiente Aperto, che dopo vi porterò a visitare
perché abbiate un’idea del nostro lavoro all’esterno.
D.: Che cos’è un ambiente aperto?
R.: Sono i cortili, gli spazi aperti messi a disposizione per i
bambini da persone che abitano nel quartiere. In genere queste persone
sono proprietarie del locale in cui vivono e che dispongono di uno
spazio sufficiente per accogliere un certo numero di bambini che sono
seguiti dal mattino alla sera da personale professionale e da volontari.
Le allieve infermiere che assistono i bambini sono inviate da una
scuola d’infermieri della città. Poi diciamo che le padrone di casa che
cucinano i pasti per i bambini ricevono un sussidio dalla nostra
organizzazione. Convidame è l’unica organizzazione che lavora
direttamente in certe zone misere di quartieri squallidi, portiamo avanti
il nostro programma di prevenzione e intervento direttamente nel
quartiere e non stiamo copiando nessun modello cubano né altro.
Cerchiamo di fortificare la comunità mandando dove servono i nostri
educatori, tra l’altro mal pagati. In questa proiezione comunitaria in
ambiente aperto proponiamo un modello di prevenzione che si realizza
in settori che presentano un alto livello di “disprotezione” e di rilevanti
condizioni di marginalità, come nei quartieri di Brisas del Guatiquia,
Santafé, Delicias, Industrial. Noi siamo in contatto con altre istituzioni,
come l’Alcaldia, la Gobernacion, la Comisaria de familla, e il
CAIMA. (Il CAIMA è il centro di attenzione al minore abusato
sessualmente. È uno dei contenitori legali dell’IBFC e vi si rivolgono i
minori che vogliono denunciare abuso sessuale da parte di un adulto).
Se il padre del ragazzo picchia la madre io lo devo mandare, il
ragazzo, alla Comisaria. Se ha subito abusi, lo devo mandare al
CAIMA. Se al bambino il padre non vuole riconoscere il cognome o
gli alimenti lo rimettiamo all’IBFC. Come vede lavoriamo a rete.
L’Alcaldia lavora con noi, perché le uniche istituzioni pubbliche sono
appunto IBFC e Alcaldia. A esse compete realmente assistere i
bambini della strada. Ma dico anche alla Gobernacion, ai politici.
Questi, sì, dovrebbero realmente conoscere i nostri programmi, il
nostro lavoro, per darsi conto che esiste una grande popolazione di
bambini ad alto rischio e in pericolo.
D.: Convidame è la sua organizzazione. Me ne può chiarire la
filosofia?
R.: Propiziare una ridefinizione dei valori nel minore. I valori.
Questi si sono persi. Se vogliamo un nuovo tipo di società, dobbiamo
arrivare a ottenere un cambio di attitudini che permettano una vita più
umana. Dobbiamo sviluppare una pedagogia che risponda al proposito
di formare nuovi uomini. In Colombia il machismo è imperante.
Dobbiamo arrivare a uomini riflessivi, partecipativi, coerenti; capaci di
essere protagonisti della trasformazione del paese e della loro vita.
D.: I programmi sono di lungo termine o di breve termine?
R.: Le spiego come noi lavoriamo in rete. Per quanto tempo? ... Il
problema dei bambini a rischio non ha tempo. Noi accogliamo
bambini con problemi molto gravi, con problemi di violenza, di
abbandono, di maltrattamento, di mancanza di affetto. Lavoriamo con
bambini di cinque e quattro anni. Però quello che noi chiediamo è che
il bambino comprenda che la vita di strada non gli conviene. Con noi
si prepara, comincia a studiare, a occupare il suo tempo in altre cose
diverse dalla strada. Da qui, la famiglia e lui si vanno trasformando.
Questa trasformazione se dura un anno, magnifico! però abbiamo
famiglie che consumano droga, famiglie delinquenziali, famiglie che
non soddisfano le necessità basiche, famiglie che si sostengono con la
prostituzione, e allora dobbiamo procedere con il passo di una
tartaruga. Rallentare il processo. Non possiamo fissare un tempo per il
recupero di un bambino. Bisogna vedere cosa lo circonda.
D.: Le caratteristiche del vostro programma?
R.: Immaginiamo che sia arrivata una bambina. La dobbiamo
conoscere. Aprire una storia, vincolarla a un programma. Quale
programma? Ci sono programmi pedagogici. Se la bambina non studia
o non ha mai studiato, qui inizia come kinder, ma per quelli che stanno
qui si fa un rafforzamento scolastico e cerchiamo di livellarli. Per
quelli che iniziano a studiare c’è la parte pedagogica, parallelamente
vincolata alla parte ricreativa, culturale, e sportiva. Nelle ultime tre
parti dobbiamo appunto ricreare, ossia riformarli. Gli insegniamo a
utilizzare il proprio tempo e a ritrovarsi nella ludica e nell’arte. I ludi e
le arti sono molto importanti per l’istruzione. La nostra è un’istituzione
con pochi mezzi, ma nella parte artistica abbiamo fatto meraviglie. Ci
è capitato che un’istituzione si sia interessata al nostro programma
artistico e ci hanno donato tredici milioni di pesos per danza musica e
pittura. Per i bambini fu grandioso. Abbiamo una sezione di psicologia
dove lavoriamo con il bambino e la famiglia, per orientazione
psicologica del bambino e scuola dei genitori. Abbiamo un
programma di sessualità e vita integrata. Un programma di
prevenzione della farmaco - dipendenza.
D.: Al termine del programma di socializzazione, il bambino sarà
pronto per ritornare in famiglia?
R.: È difficile dare una risposta. Dobbiamo tenere conto del
momento storico che vive la Colombia. Stiamo attraversando una
tappa di violenza e di povertà molto grave. Non possiamo inculcare
nel bambino l’amore per il lavoro, lo studio e la responsabilità. Alcune
volte il bambino vuole cambiare, ma in famiglia le cose vanno molto
male. E anche nella società. Perciò dobbiamo lavorare nella famiglia e
con la famiglia. Perché se noi non aiutiamo la famiglia, e la famiglia
non aiuta il bambino, ci troviamo innanzi un bambino a rischio, tra i
tredici e diciassette anni. A questa età i bambini chiedono soldi. Soldi
per aiutare la propria famiglia. Alcuni s’incontrano con la droga e con
la delinquenza e con opportunità di commettere furti.
D.: Quale sarebbe un buon intervento preventivo da parte
governativa per arginare il rischio?
R.: Sarebbe un buon programma la terapia occupazionale. Qui
non lo possiamo realizzare per mancanza di mezzi. Che cosa è? 1)
Esplorazione dell’abilità del bambino. 2) Sondare e valutare la parte
propria prevocazionale, cosa vorrebbe imparare a fare. 3) Vocazionale.
4) Parte produttiva. Il bambino produce. Se noi formiamo un ragazzo
fra tredici e diciassette anni che conosce le sue capacità, che le ha
maturate e interiorizzate, abbiamo formato una vocazione. Il ragazzo
esce a lavorare, a produrre ed è preparato.
D.: Lei pensa che ci siano sufficienti centri per accogliere ragazzi
a rischio?
R.: No. Inoltre, con quanto ci proviene dall’IBFC per 130
bambini, ventiquattro qui e i rimanenti nelle Comunità di quartiere,
dobbiamo pagare i nostri professionali, trovare medici volontari.
Viviamo bussando di porta in porta. I centri sono insufficienti data la
crisi della famiglia. Quando la famiglia è in crisi il bambino è espulso
e buttato nella strada, perché la famiglia non può garantirgli il
sostentamento di base. Per la crisi nella famiglia, non per povertà.
Perché se in una famiglia c’è povertà, ma pure amore, ambizione per
superare i problemi, la crisi si supera. Me se abbiamo di fronte droga,
alcool, delinquenza, prostituzione, i figli andranno a imitare i genitori.
D.: Il gaminismo, diciamo, è un fatto di cultura o di economia?
R.: È un problema di cultura, valori e salute mentale. Noi
colombiani non godiamo tutti di buona salute mentale. Una persona
vittima di violenza, povertà, sentimento di perdita e frustrazioni, o che
ha avuto un padre alcolizzato, che non ha cultura, è già stato in passato
un bambino altamente depresso. Un ragazzo depresso che esce dalla
famiglia e va alla strada viene assorbito dalla strada. A volte la strada
lo salva dalle percosse della famiglia.
D.: Il CINDE dichiara sei milioni di bambini in stato di povertà. Il
dato è reale?
R.: In Colombia ci sono quaranta milioni di abitanti. Penso di sì e
credo che sono in forte aumento.
D.: Quanti ragazzi in povertà soffrono di problemi mentali?
R.: Io credo quasi tutti. La salute mentale si associa a stati interni
di tranquillità. I colombiani non la conoscono, da cinquanta anni. I
nostri bambini ogni giorno soffrono molto perché noi adulti, la
generazione del 70, abbiamo sofferto molto.
D.: Qual è la causa maggiore del gaminismo?
R.: Ve ne sono molte. I popolatori della strada non sono solo
bambini. Sono vecchi, anziani, prostitute. Gamin, come si diceva anni
fa, non si usa più. Diciamo “popolatori della strada”. Gamin è un
termine dispregiativo, come immondezza, niente da fare per loro, da
buttare. Nell’origine del “popolatore della strada” c’è al primo posto la
crisi della famiglia. Secondo, la crisi sociale e culturale in cui viviamo.
Della crisi economica e politica del paese. Della violenza familiare.
Del padrastismo, ossia del padre sostitutivo di quello biologico. Delle
ragazze madri. Delle unioni successive, una dopo l’altra.
D.: Sarebbe possibile intervenire prima di arrivare a tal punto?
R.: Sì, questo è un nostro programma. Perché prima che il
bambino subisca la stradizzazione, arriva Convidame e cerca di fargli
capire che c’è una casa alternativa. Dobbiamo rinforzare i programmi
di protezione e formazione, perché chi va nella strada, va a consumare
bazuco, (lo scarto della cocaina, N.d.A.), marijuana, boxer (colla per le
suole delle scarpe). I nostri ospiti ancora non consumano droga. È
molto difficile recuperare un drogato.
D.: Qual è la sensibilità della popolazione verso il bambino della
strada e quale la sensibilità dei mass media?
R.: È triste. Noi cittadini siamo indifferenti. Quando c’è
indifferenza sociale e personale il bambino non trova rete di
protezione. Il cittadino ha perso l’interesse di chiedere a un bambino:
perché piangi? Lo Stato è molto indifferente. Il governo dice che
aiuterà i bambini, i politici fanno i programmi per aiutare i bambini.
Ma quali bambini? Se nelle scuole i bambini con problemi caratteriali
vengono espulsi! Non capiscono le sue crisi emozionali. Sono rifiutati
dallo Stato perché non esistono a largo raggio, in zone decentrate come
Villavicencio, programmi con modelli bio-psico-sociali. Qui non
abbiano centri dove curare drogati. In Bogotà ce ne sono. Ma i
programmi con tale focalizzazione sono pochi, perché molto costosi
per lo Stato che non può sostenerli. Il bambino di tredici e quattordici
anni che consuma droga ha bisogno di medico e di psichiatra. Deve
fare la disintossicazione. Ed è costoso. Altro problema: se un gamin
viene pugnalato, non viene accolto in ospedale. Niente assistenza
medica. Ragazzi con problemi seri non si curano solo con parole. Noi
siamo aperti dalle otto alle diciassette. Che orario è questo? Il governo
deve disporre istituti che funzionino ventiquattro su ventiquattro. Alle
cinque p.m. noi rimandiamo alla strada i bambini. Alle cinque
comincia nella strada la parte di vita più pericolosa per loro. Questo
fatto ostacola l’ottenimento di buoni risultati. Nessuno chiede di
togliere i bambini alle famiglie, ma i genitori devono essere più
responsabili. E a noi mancano i fondi.
D.: C’è relazione tra programmi centrali e periferici?
R.: Certo. Al bambino si deve dare attenzione integrale. Su tutto il
territorio. Se un bambino a rischio è in grave stato di necessità, deve
essere affidato all’IBFC.
D.: Come funziona la parte statale?
R.: Bene perché hanno il settore tecnico che funziona. È pur vero
che gli impiegati sono pagati male e a volte il lavoro è pesante.
D.: E gli istituti religiosi?
R.: Ricevono altre sovvenzioni. Pagano bene il personale. Vada a
visitare il Cammino della Speranza, fondato dai tedeschi. Hanno tutto.
Assistenza medica, ristorante, scuola, internato, cappellano, soldi dalla
Germania, dall’E.U., dalla Caritas. Vada a vedere, la prego. Chiedi di
padre Carlo. Presentò un progetto in Germania, a qualcuno piacque ed
ecco che arrivano i soldi. Tanti.
D.: Sono importanti, vero?
R.: Ci permettono d’intervenire in tempo, sulla famiglia, sul
bambino. Con buoni programmi portiamo avanti il bambino, lo
proiettiamo nel sociale. Se interveniamo in tempo possiamo fare
qualcosa di positivo. Se avessimo più soldi, potremmo accogliere più
bambine, mettere i turni notturni con personale professionale. Fare
terapia medica. C’è un preoccupante fenomeno di “bazuchizzazione”
nella strada. Lì il bazuco brucia il cervello, le reni. L’idea di un gamin
che vive nella strada con quattro o cinque cani non esiste più, è
un’immagine del passato. La pandilla, la banda, è difficile da
incontrare. Ora il gamin è un solitario. Solo con la sua solitudine, va in
cerca di se stesso e consuma bazuco. Prima era uno che consumava
alcool, boxer. Oggi è peggiorato, consuma lo scarto. Qui una dose di
bazuco costa 300 pesos, (al cambio del nov. 99 circa 300 lire italiane).
La sua vita si è molto accorciata perché il bazuco uccide in poco
tempo.
D.: La violenza contro i bambini. In Brasile abbiamo gli
squadroni della morte. E in Colombia?
R.: Qui opera la Mano Nera. Si dice pure limpieza social. Se siano
i commercianti, o la polizia, o lo stesso Stato non si sa. Ci sono stati
molti morti. Nella nostra città il fenomeno si è calmato. Di popolatori
della strada tra i cinque e i dodici anni qui ce ne sono pochi. Di più
vediamo adulti e adolescenti nella strada. Detti desechables, rifiutabili,
o spazzatura. A Bogotà si vedono bambini di strada tra i dieci e i
dodici anni. Qui da noi no, fortunatamente.
D.: Perché?
R.: Il nostro dipartimento è vittima della violenza armata, della
guerriglia. La zona sud-est. Il desplazamiento fa si che la gente di
Porto Rico, di Puerto Lopez e altri posti, venga nella nostra città. Il
cinturone di miseria nella nostra città si è esteso per questo nuovo
fenomeno, più grave che mai.
D.: Il desplazamiento provoca gaminismo?
R.: Certo. La violenza armata provoca la fuga e la fuga la miseria.
La gente comincia a chiedere l’elemosina. A sfruttare i figli perché
aiutino la famiglia. Che possono fare d’altro lato? E il bambino messo
di fronte alle responsabilità vorrà avere voce in famiglia perché
produce soldi in qualche modo. E inizia la discussione. Da noi capitò
un vecchio in fuga. Ci ha chiesto aiuto. Il figlio è stato ucciso dagli
scontri con la guerriglia. Dalla violenza. Dissi aiutiamolo. Pordios.
D.: Vorrei chiedere ancora una cosa...
R.: Basta. È meglio se venite con me a vedere la nostra Comunità
al barrio industriale, nella strada della morte. Ma state tranquilli. Con
me non correte pericolo. Vado da sola lì dentro ogni giorno. I
delinquenti ormai mi conoscono. Ha con lei la macchina fotografica?
La porti la prossima volta.
intervista n. 2
consulente dell’ibfc.
D.: Come funziona il Bienestar Familiar?
R.: Il Bienestar Familiar ha due grossi campi: la prevenzione e la
protezione. Cerca di diminuire il rischio dei bambini che soffrono di
maltrattamenti, che sono nella prostituzione, nella droga, nella strada,
nel delitto. Lavoriamo da oltre quindici anni. Il più grande progetto è
quello che raccoglie minori di cinque anni da mamme non sposate o
che non hanno famiglia. L’ente sviluppò un programma educativo per
strati molto umili, dove si aiutano le madri bisognose. Un altro
programma è quello dell’alimentazione nelle scuole per minori di
dodici anni. I programmi sono a livello nazionale e dipartimentale.
Quelli nazionali offrono differenti servizi secondo lo sviluppo di ogni
dipartimento. Generalmente l’IBFC contatta le ONG, ma chiarendo
che le ONG non esistono su tutto il territorio nazionale. Io, per
esempio, ho sviluppato il progetto CAIMA, centro per i minori che
subiscono violenza sessuale. Il programma si sviluppa in campi
distinti, socializzazione per i minori che hanno infranto la legge, poi
recupero dei minori della strada e nella strada. Il CAIMA è il primo
esperimento in Colombia. Il personale del CAIMA, dietro spinta della
Fiscalia, è scelto tra tutte le istituzioni, ogni ente mette a disposizione
un esperto e si è creato un intergruppo di lavoro. Nel CAIMA si
sviluppa un processo di aiuto al minore violentato, e da qui, dopo la
denuncia del minore, la stessa Fiscalia provvede all’arresto del
violentatore. Se il violentatore è un giovane sotto i diciotto anni, egli
sarà mandato dal giudice dei minori che lo invierà a un centro di
recupero.
D.: Perché l’IBFC non opera direttamente, ma con ONG, come ad
esempio il CAIMA?
R.: Le ONG hanno équipe di tecnici che mettono in opera la
politica d’intervento. In Bogotà c’è la sede nazionale, dove si sviluppa
la politica per l’infanzia e tutte le riforme escono da un gruppo di
esperti dell’IBFC Esso ha una struttura che arriva ad amministrare i
grandi progetti di prevenzione e protezione. Ha degli esperti per area
ma non ha il numero di persone né le infrastrutture per sviluppare in
proprio i programmi. La legge colombiana dice che non è solo
compito dell’IBFC, ma che deve essere lo Stato e le varie istituzioni ad
aiutare l’infanzia. Anche la società civile si deve integrare, perché in
essa operano le ONG, che sviluppano proposte mirate. Io penso che
dal punto di vista dell’efficacia l’IBFC fa buoni contratti, nel senso che
quando vi sono alcune situazioni in cui né il municipio, né la
Governacion, né l’Alcaldia, possono risolvere il problema che si
presenta, l’IBFC contatta un’ONG esperta nel campo che ci preoccupa.
Per esempio, nel progetto del Minore Deviante, nacque e si sviluppò
un coordinamento interistituzionale. Si contrattò un’ONG di esperti e
precisamente operatori in comunità terapeutica di scuola italiana. Essi
fecero una coniugazione di tecniche per lavorare con i minori infrattori
che arrivano al centro di riabilitazione. Il direttore del centro è il coautore del progetto rieducativo.
D.: Le ONG operano in maniera differente dalle istituzioni
religiose?
R.: Le religiose sono ONG con una linea di lavoro diversa. Per
esempio la nostra Benposta, la città dei ragazzi, ha origine in Spagna.
Ha delle proposte sviluppate qui in Colombia, in tre istituti e in tre
città diverse. Le città dei ragazzi offrono alle istituzioni un servizio. In
che senso? IBFC offre un internato per la protezione dei bambini
abbandonati, ma questi crescono internati nei centri dell’IBFC pur non
essendo gamines e non avendo nessuna problematica associata alla
droga. Sono semplicemente ragazzi che sono rimasi soli, a prescindere
da tutti gli sforzi fatti per dargli una famiglia. A tal punto si
contrattano posti alla città dei ragazzi al fine di dare assistenza
integrale ai suddetti bambini, che non devono restare ai centri IBFC, e
si dà loro, con l’internato, tutto l’appoggio per il loro sviluppo. Ci
sono ragazzi che compiuti diciotto anni sono sistemati nella società e
fanno la loro vita come cittadini. Ma sono contratti che IBFC mantiene
solo per un determinato tempo. Poi, abbiamo il problema dei bambini
scappati dalle zone di conflitto, che hanno necessità di protezione
poiché i loro genitori sono restati nella zona di conflitto. Le parlerò del
fenomeno del “desplazamiento” più tardi. Tornando alla distinzione tra
prevenzione e protezione, diciamo che la Città dei Ragazzi è ONG di
protezione. La prevenzione viene fatta nelle abitazioni di “famiglie
sostitutive” dove vi sono madri che ricevono una mensilità dall’IBFC
per il mantenimento del bambino loro affidato temporaneamente. Altre
madri aiutano a tenere il bambino abbandonato per qualsiasi motivo
fino a che non si decida sulla sua situazione. Tutte le ONG sono
iscritte all’IBFC e sono da questo controllate. Ad esempio un’ONG
che voglia esercitare nel campo delle adozioni, anche se a capitale
privato, deve sempre attenersi alle regole internazionali di adozione e
sottostare alla vigilanza di IBFC che dirige la politica e la
metodologia.
D.: I risultati ottenuti dalle ONG sono positivi?
R.: La capacità di rispondere alle problematiche del bambino da
parte dello Stato è limitata: il problema è molto grave e si va
accentuando ogni ora. In secondo luogo se ci sono più norme che
possono vincolare le ONG, queste vanno rispettate, però a volte si
sbaglia nella selezione di dette organizzazioni, o per negligenza
politica o amministrativa. Quando un’istituzione riunisce tutte le
caratteristiche per lavorare con i bambini, i risultati sono positivi. Però
il lavoro con i bambini non s’inventa da un giorno all’altro, perché è
un lavoro di riabilitazione, di socializzazione, terapeutico, che implica
pure vincolare la famiglia e quando la famiglia si è persa, è molto
difficile arrivare al successo. Ma dopo avere operato le suddette fasi,
recuperato il bambino, non esiste un’altra fase di transizione per
entrare nella società. Sì, c’è un processo, ma mancano i soldi per un
processo completo. Diciamo che un minore deviante, dopo il verdetto
del giudice, debba trascorrere due anni in un centro di riabilitazione.
Là si farà un lavoro interno con esperti, cercando di inserire anche la
famiglia. Ma se mancano soldi il progetto non può essere completato.
Parliamo del minore “nella” strada. Lui è inserito in un processo di
recupero. Poi dovrà tornare al suo quartiere, pieno di carenze,
maltrattamento, dove c’è una famiglia che non lo vuole. Il ragazzino
sente la necessità di tornare alla strada. Ciò perché non esiste la
possibilità di avere processi di transito in cui inserire il minore, dato il
loro alto costo.
D.: È importante che un’organizzazione diventi ONG?
R.: Sì. È importante per la parte tecnica, punto di forza delle
ONG. Sia in campo nazionale che internazionale, un’organizzazione
presenta la sua proposta all’IBFC, che valuterà con la sua équipe
interdisciplinare la nuova organizzazione.
D.: Qual è la sensibilità della gente di fronte al bambino di strada
e nella strada?
R.: Lo vede come un problema. Dobbiamo stare attenti a che non
vengano violati i loro diritti. L’esito positivo sta nel coordinamento
istituzionale armonico che si può avere per esempio con la vigilanza di
un procuratore sui diritti dei bambini e sui programmi. Nel quotidiano
la gente ha paura del minore gamin, lo sente come un problema di
vergogna sociale.
D.: Perché è difficile trovare famiglie che ospitino i bambini che,
dopo essere stati in un’ONG, vengono rimandati alla strada?
R.: Nel dipartimento del Meta ci sono circa cinquanta “famiglie
sostitutive”. Però non hanno un contratto fisso con l’IBFC, ma
ricevono mensilmente un sussidio. Ci sono bambini che sono accolti
all’IBFC per proteggerli dagli stessi genitori, ma la legge dice che il
padre biologico ha la priorità, anche se tra le madri vi sono delle
prostitute. Spesso i genitori non rinunciano completamente al figlio,
spesso confondono le botte con l’educazione.
D.: Perché non si prova a educare i genitori?
R.: Il problema è enorme. L’educazione è un programma
costosissimo e deve avere chiarezza tecnica, coordinamento di diritti
umani. È un programma dove non si può dare un tempo politico. La
politica deve sapere educare i bambini, una politica che faccia suo il
problema e aiuti a trovare la giusta soluzione.
D.: I centri di educazione e protezione sono sufficienti?
R.: Per questo la politica dovrebbe lavorare in previsione di
prevenire i rischi. Il governo attuale ha formulato una politica detta
Aspas 2000, che invita alla pace in famiglia e che prevede scuole per i
genitori in ogni municipio, coinvolgendo tutta la società per far
rispettare i diritti dei bambini.
D.: Il bambino della strada è un problema di origine culturale
oppure economica?
R.: Da un punto di vista sociologico il primo. Il paese in questo
momento attraversa un pessimo periodo. L’apparato statale è il
maggior detentore di mano di opera intellettuale, c’è molta
disoccupazione perché lo Stato segue la politica del fondo monetario
internazionale. Dove non c’è lavoro che classe di famiglia può uscire?
In prevalenza la famiglia che castiga e abbandona il figlio.
D.: Lei pensa che il fenomeno della guerriglia influenzi il
gaminismo?
R.: Non mi azzarderei a dirlo perché io sono stata in una delle
“zone di estensione”, iniziando il processo di pace, come funzionario
del governo per fare una valutazione d’impatto. Gli sfollati delle zone
di conflitto sono aiutati dall’IBFC con 357.000 pesos per soddisfare le
loro prime necessità. Queste famiglie sfollate, maggiormente, sono
composte di campesinos che restano uniti e preferiscono dormire sotto
un ponte anziché separarsi. A tali famiglie viene offerto di lasciare i
figli in “famiglie sostitutive” e a loro di andare alla diocesi. Sono
famiglie che non chiedono, sono spaventate, perseguitate. Le vediamo
ai semafori a vendere frutta e mandano i loro figli la mattina a scuola.
Tali famiglie non generano gamin. Tali bambini sono molto
maltrattati, ma restano nella famiglia.
D.: Dove c’è più maltrattamento, nella famiglia del campo o in
quella della città?
R.: Risulta uguale. La città offre l’anonimato, l’alternativa del
telefono, così che si può fare una denuncia di maltrattamento senza
dovere lasciare il nome. Qui c’è una rete che si chiama Contro il
Maltrattamento Infantile. Le reti hanno i numeri telefonici di tutte le
istituzioni e qualsiasi cittadino può telefonare.
intervista n. 3
giudice minorile
D.: Come giudica un minore deviante?
R.: Il giudice distingue delitti e contravvenzioni. Giudica secondo
la gravità del fatto compiuto. Il giudice del minore, come dice il
codice, giudica per i delitti commessi da ragazzini di età tra i dodici e i
diciotto anni. Per loro, dopo il giudizio di primo grado, è previsto
l’appello. Il giudice minorile è una figura differente dal giudice di
famiglia dell’IBFC. Quest’ultimo giudica per i delitti compiuti dai
minori di dodici anni. Inoltre, il giudice di famiglia giudica anche per
quegli atti detti “contravvenzioni” - atti, perciò, diversi dai delitti compiuti dai ragazzini di età tra i dodici e i diciotto anni. Non è
previsto l’appello quando giudica il giudice di famiglia. Perché non è
previsto? Perché il giudice di famiglia non infligge il carcere, ma
immediate misure di recupero. Però in nessun caso il codice parla di
castigo del minore. Non è come nel campo penale, dove si cerca
unicamente la riparazione del danno causato. Nel giudizio minorile
l’IBFC prevede un giudice civile e penale unico, detto per l’appunto “
Promisquo de familla” data la sua duplicità di capacità e competenza
nell’emettere il giudizio. La rieducazione avviene in locali adeguati,
dove il minore deviante possa avere un trattamento psicologico che lo
aiuti e dove gli sia data attenzione integrale.
D.: Esistono i riformatori?
R.: La parola è sparita. Vi sono centri rieducativi di
organizzazioni non governative. Il minore va in enti istituzionali solo
quando abbia commesso in maniera ripetitiva gravi delitti. I centri
rieducativi sono di carattere aperto, semichiuso e chiuso. Il minore vi è
inviato secondo la gravità del delitto. Al Centro Pilota abbiamo una
ragazza di anni sedici che ha rubato in una casa più di cinque milioni
di pesos. Vi deve permanere due mesi, ma uscirà dal Centro solo se
dimostrerà di avere interiorizzato le norme che regolano la vita sociale.
D.: Ha figli questa ragazza?
R.: Sì, una figlia.
D.: Non è un male separare madre e figlia?
R.: In questo caso vale il parere della psicologa dell’IBFC Il fatto
di essere separata dalla figlia fa sperare che il suo istinto materno la
aiuti ad accettare le norme sociali per uscire dal Centro. C’è anche da
dire che il Centro non è attrezzato per ospitare una bambina di tre
mesi. Le misure del giudice in genere s’integrano con le altre
dell’articolo 204 del codice del minore che prevede misure
pedagogiche e di prevenzione. In questo momento si sta rivedendo il
codice del minore perché prima vi era il solo processo d’istanza unica.
Oggi vi è anche la seconda istanza e alcuni articoli vanno rivisti
nell’interesse del minore. Il 204 prevede anche il richiamo ai genitori
affinché osservino le regole di comportamento idonee per il benessere
del minore, come l’ubicazione istituzionale e la riabilitazione. Quando
un minore commette delitto e viene colto in flagranza ed è minore di
dodici anni, il giudice lo manda al difensore di famiglia per
competenza. Se la polizia mi porta un minore tra i dodici e i diciotto
anni, la decisione di mia competenza è rapida ed io decido per il centro
di accoglienza e per quanto tempo. Resta chiaro che dipenderà dal
ragazzo uscire dal centro. Se allo scadere dei due mesi non avrà
dimostrato il ravvedimento, rimarrà lì ancora e via così. Il Centro
Pilota che lei conosce non ha sorveglianza notturna, la rete non è
vigilata. Se i ragazzi scappano per andare a rubare di notte e vengono
individuati non avranno buona possibilità per uscire dal Centro. Se nel
frattempo diventano maggiorenni passano alle istituzioni di pena.
D.: Che succede a un minore preso durante la sua assenza?
R.: Se il giudice è assente, la polizia trattiene il minore presso la
stazione di polizia. Mi rendo conto che mancano locali dove trattenere
il minore in attesa di incontrare il giudice. Ciò non è un bene per il
ragazzino che a volte è in contatto, lì dentro, con delinquenti adulti
pericolosi.
D.: I giudici sono severi?
R.: Il mio giudizio, lo ripeto, non è di punizione. Devo agire come
un secondo padre. Le cose cambiano quando una persona danneggiata
da un minore si costituisce parte civile. La causa si fa in un’altra corte,
ma questa deve comunque tenere conto della mia prima sentenza.
D.: Quali risultati si ottengono con la tecnica del recupero?
R.: I risultati ottenuti sono buoni. Le misure correzionali ora sono
diverse. Prima dell’approvazione del nuovo codice i minori venivano
mandati in vere università del crimine, per castigo. E che ne poteva
uscire?
D.: Lei può decidere per le adozioni di minori?
R.: Gli articoli 44 e 45 della costituzione garantiscono i diritti del
minore e lo Stato deve intervenire per garantirli. Quando un minore è
dichiarato in stato di abbandono dal difensore di famiglia viene
affidato all’IBFC. La protezione viene anche data al minore che si
trova in situazione irregolare o è dichiarato tale dalla “Comisaria de
familla o dal Defensor de familla”. La prima tappa, completamente
amministrativa, è tutta a carico dell’IBFC. Poi subentra l’avvocato
privato per le pratiche di adozione.
D.: Le istituzioni rispettano i diritti del minore?
R.: Il giudice dei minori non ha podestà per intervenire presso
altre istituzioni perché ottemperino alle loro mansioni nei confronti dei
minori. Io posso obbligare un padre a dare gli alimenti per il figlio,
punirlo se non lo fa. È la “Procuradoria” che deve intervenire verso la
pubblica istituzione inadempiente nei riguardi del minore.
D.: C’è la coordinazione del giudice con altri enti?
R.: Ci dovrebbe essere. È importante lavorare con lo psicologo
nell’ambito della famiglia, preparare un reinserimento del minore. Ma
non si fa. Non si terminano i programmi per via dei fondi.
D.: Il codice del minore, i loro diritti, sono conosciuti dai
bambini?
R.: Abbastanza. Qui si è fatta una buona campagna affinché i
minori conoscessero i loro diritti. In televisione e sui giornali.
D.: C’è molta prostituzione minorile in Colombia?
R.: Un fatto molto grave. Un funzionario pubblico che volesse
affrontare questo problema avrebbe serie noie. Non è piacevole farsi
dei nemici in certi ambienti. No. Qui c’è una doppia morale
incredibile. C’è il problema economico da non sottovalutare. C’è una
grande indifferenza. La gente non collabora. In Colombia la donna è
sottomessa. Per la prostituzione in città dovrebbe intervenire l’alcalde.
Ma come? Certo va a scontentare altri. Qui vogliamo ricevere tutto
senza dare nulla. Ma siamo noi stessi che dovremmo risolvere i nostri
problemi, con un po’ di sacrificio e recuperando valori e avendo meno
miseria morale.
D.: Cosa si può fare per la Colombia?
R.: Causare un dolore che duri pochissimo tempo. Un’azione fatta
bene, dolorosa, certo, ma sul breve tempo. Le faccio un esempio: se si
deve pavimentare una strada, le auto in sosta vietata devono essere
rimosse e tutti urlano, i commercianti al primo posto perché calano le
vendite. Però è importante tappare le buche stradali. E allora? Fare
multe e rimozioni e riappare le buche e tutto in breve tempo.
D.: La violenza familiare?
R.: Con la legge 194 del 1996 il giudice di famiglia può imporre
rimedi e obbligazioni per modificare il comportamento nella famiglia.
Può cercare di risolvere i danni quando c’è violenza. Si applica o
multa o arresto. La violenza in Colombia è alta. C’è sempre stata.
D.: Lei prende in considerazione denunce anonime?
R.: Ogni cittadino ha il dovere di fare denuncia se a conoscenza di
violenza contro un minore o una madre. Il giudice sarebbe di fronte a
un caso di violenza non denunciata dal soggetto passivo. Il funzionario
addetto dovrà fare le opportune verifiche per appurare la realtà dei
fatti. In genere s’invia un assistente sociale per verificare la veridicità
della denuncia anonima.
D.: Qual è la causa primaria delle liti?
R.: La mancanza di dialogo. È una delle principali cause di liti.
Moglie e marito litigano, vengono qua senza essersi parlato, non
conoscono i loro stessi problemi, non verificano e litigano. L’ultimo
caso è di una coppia dove la moglie voleva la separazione dei beni e il
marito non voleva dargliela. Leggendo il loro atto di matrimonio mi
sono reso conto che i due erano già in regime di separazione dei beni.
E questo è solo un esempio. Viene poi la parte economica. La vita non
è facile, complica i rapporti familiari. Quando i soldi non bastano, e
spesso si produce conflitto. Ci vuole molto amore per superare certi
contrasti in questo momento che stiamo vivendo qui.
D.: Ha qualche dato sulla “limpieza social”?
R.: Le posso dire che c’è più controllo. Però ci si dovrebbe
preoccupare di più dei bambini della strada. Si fa poco.
intervista n. 4
funzionaria dell’ibfc.
D.: Esistono provvedimenti per lo sfruttamento della prostituzione
minorile?
R.: No. E se ci sono non vengono applicati.
D.: L’IBFC può intervenire in qualche modo per frenare tale
problema?
R.: Per le ragazze in abbandono totale, esiste la figura del
difensore di famiglia.
D.: La gente ha paura nel riferire alle autorità competenti uno
sfruttamento minorile della prostituzione?
R.: Io posso dirle che per il minore in prostituzione non ci sono
istituzioni che abbiano programmi per trattare i casi di prostituzione.
Esiste da poco il CAIMA che cerca di fare qualcosa. Non esiste una
misura coercitiva, perché la minore in prostituzione non dovrebbe
esistere, ma essere sottoposta a un trattamento orientativo perché
cambi la sua mentalità e il suo modo di agire. Abbiamo a disposizione
la possibilità di dire alla ragazza di studiare, di guadagnare per il suo
sostentamento, ma lo Stato non garantisce in questo. Nel frattempo che
la ragazza si reca presso un centro sociale che la consigli e la assista,
ella continuerà a prostituirsi per sostenersi.
D.: l’IBFC ha qualche progetto per aiutare le piccole prostitute?
R.: Ci sono i progetti di orientamento, ma mancando i mezzi di
attuazione, ossia di trattamento, essi sono cosa morta. L’IBFC non ha
le strutture per il trattamento della minore in prostituzione, le sue
strutture sono principalmente per aiutare il minore abbandonato dai
genitori, totalmente o parzialmente. È la stessa struttura familiare che
c’è in Colombia che è malata. Per esempio, che si sta facendo con i
“desplazados”? Che si fa per i figli di questa gente che arriva nelle
città? Non gli si offre nulla. Come palliativo gli si offre una
cucchiaiata di minestra. La soluzione seria sarebbe che i “desplazados”
tornassero alle loro campagne. Lo stesso possiamo dire con la minore
in prostituzione. Se non si va dentro la famiglia, all’origine dello
squilibrio, dove c’è la disintegrazione, come fa la ragazza a trovare
buoni consigli? Spesso nella famiglia i genitori, i fratelli sono nel giro
della prostituzione. Orientamento e trattamento della ragazza sono due
fatti che dovrebbero operare congiuntamente ma ciò non avviene, lo
stesso CAIMA è solo di orientamento. Per la prostituzione l’IBFC
attua in collaborazione con la polizia, la “Procuradoria” di famiglia, il
giudice di famiglia. Se una minore minorenne viene trovata in
esercizio di prostituta sarà competente il Bienestar Familiar, ma è
molto difficile fare qualcosa quando non si hanno strutture
specializzate per tale problematica.
D.: Ci sono ONG che lavorano al problema prostituzione?
R.: No.
D.: Bambini abbandonati. L’IBFC ha locali per ospitare bambini
abbandonati?
R.: Sono in contratto. Come ONG.
D.: Perché l’IBFC non interviene direttamente con le sue
strutture?
R.: Perché non è facile.
D.: Per mancanza di fondi?
R.: Sembra che la Stato non sia un buon amministratore.
D.: Ho impressione che l’IBFC dia maggiore sostegno al minore
nella “calle” che al minore della “calle”. È così?
R.: Le istituzioni che s’interessano di minori della o nella “calle”
dipendono Alcaldia e non hanno soldi per mancanza di approvazione
di preventivi. Il bambino della “calle” è un minore che fa uso di boxer,
che ruba, che ha rotto i legami familiari, di solito perché è maltrattato.
La strada gli offre molto di più della famiglia. I bambini nella “calle”
invece non hanno rotto i legami parentali, sta nella strada, magari con
qualunque tipo di lavoro, ma la sera torna alla sua famiglia. Le ONG
che accolgono ragazzi “nella calle” la sera li rimandano alle loro case.
Per i minori “della calle” il processo di recupero, se ci sono risultati, è
molto lento. Quando questi minori della strada vengono portati in
un’istituzione essi non vi restano perché nella strada non ci sono né
regole né norme e i minori della “calle” pensano di essere
completamente liberi. Per il minore “della calle” il trattamento deve
essere diverso da quello usato per il minore “nella calle”. Abbiamo
bisogno di persone con buone attitudini a lavorare con questi bambini.
C’è bisogno di spazi, di sussidi, e non ci sono perché il minore “della
calle” non da voti politici. Il settore del recupero del minore di strada
deve avere personale ben preparato e che abbia un amore speciale per i
bambini. Il gruppo di bambini dovrà essere piccolo, con pochi
bambini, al massimo cinque. Non ci si può attendere buoni risultati da
un educatore che lavori con dieci o venti bambini per volta. Siccome
all’Alcaldia non interessa avere buoni successi in questo ramo, e
siccome l’IBFC è solo il coordinatore e non l’esecutore dei
programmi, si sta perdendo tempo.
D.: L’IBFC lavora indipendentemente?
R.: È un Istituto con strutture decentrate. Lavora con il minore e
con la sua famiglia. Con le adozioni. Lavora nel campo preventivo e
assistenziale. Nella parte preventiva abbiamo l’assistenza che
corrisponde alla prevenzione diretta come i centri o le case di
accoglienza infantile, che da attenzione prescolare. Nei locali dove si
assistono i minori di aree più marginali, l’assistenza è più integrale.
L’integrità primaria è nella salute, nell’aspetto pedagogico, nella parte
nutrizionale.
D.: Il “desplazamiento” provoca miseria?
R.: Io penso che questa violenza sta provocando la nascita di altri
cordoni di miseria intorno alle città. Ecco. Abbiamo una nuova
miseria. La gente bussa alle case per chiedere da mangiare o da vestire.
Ma il fatto nuovo è che molti abitanti della strada, che lo sono stati da
sempre, oggi si vanno convertendo e confondendosi ai “desplazados”
per un loro tornaconto. Provoca prostituzione. Teniamo presente che la
problematica che sta vivendo il nostro paese è in atto da molti anni, da
più di trenta. È antica. Prima, nei paesini non era così grave. I ricatti e
le minacce perché il contadino lasciasse la terra erano meno feroci di
oggi.
D.: Erano minacce di paramilitari o di guerriglieri?
R.: No. Trenta anni fa non esisteva il paramilitarismo, che è
recente. Trenta anni fa esisteva la sinistra, ed era solo un problema tra
fazioni politiche.
D.: Lei pensa che il “desplazamiento” finirà in breve tempo?
R.: No. Con quali mezzi? Con quali soldi vanno a coltivare e
dove? E che vanno a coltivare? Coca? Se non c’è una legge agraria che
protegga il “campesino”! Non esiste che il “desplazado” ritorni al
campo perché essi sono tanti e sono in tutte le città e il governo non fa
nulla. A chi interessa che ci siano “desplazados” è solo alla guerriglia,
per creare problemi al governo centrale. Fino a che non ci sarà una
vera volontà politica che cerchi la pace, e smettano di perseguitare i
“campesinos”, non ci sarà soluzione.
D.: Perché il governo non responsabilizza i municipi?
R.: E quanti alcaldes sono stati trucidati dal tempo del governo del
presidente Samper? La guerriglia è andata sollecitando nelle varie zone
voti regionali ma il presidente Samper non lo permetteva. Questo
governo invece lo permette.
D.: Quando termineranno i dialoghi di pace adesso in atto nella
capitale tra governo e guerriglia?
R.: Nessuno ha idea. La guerriglia è molto forte. Essa prende
forza dai campesinos, prendono i loro figli. I politici sono corrotti, la
gente ha paura di parlare e denunciare, le nostre leggi sono crollate
sotto il peso dell’ambizione di molta gente. Ci interessa l’educazione
dei bambini? Che possiamo fare se il governo chiude le scuole e vuole
mutare l’aspetto educativo senza rendersi conto che fare cambi di
progetti educativi in un momento come questo è un alto rischio.
L’infanzia che futuro ha? Narcotraffico, denaro facile? Tutti vogliono
vivere di quello che la televisione trasmette. Pensi che in molte
famiglie il bambino viene lasciato da piccolo e da solo innanzi al
televisore. Ma come fa a capire quali valori prendere?
D.: La televisione ha colpa in quello che qui succede?
R.: Molta colpa. Per un popolo grandemente non emancipato, con
un altissimo analfabetismo, si proiettano modelli americani non
attuabili da queste parti.
D.: Quali sono le cause della violenza nella famiglia?
R.: Io penso che questa violenza sia in accordo e conseguenza
della violenza politica.
D.: Una ragazza madre che ruba per mantenere il proprio
figlioletto può finire in una casa di correzione?
R.: Sì.
D.: Può tenere con sé il figlioletto?
R.: No. Perché l’istituto non è adatto per la crescita del bambino.
Tali centri hanno modelli pedagogici per la madre e la possono aiutare.
Si prevede un controllo psicosociale della famiglia della ragazza per il
suo giusto reinserimento una volta uscita dell’istituto.
D.: Se una minore resta incinta di un maggiorenne ha qualche tipo
di protezione?
R.: Sì. È la ragazza o i suoi genitori che devono denunciare il
fatto. Le leggi ci sono perché il padre riconosca il figlio e provveda al
suo sostentamento. È la ragazza che deve fare la prima mossa
denunciando chi la messa incinta. L’IBFC fa un consiglio e lo cita
affinché accetti le sue responsabilità.
D.: Qual è la sensibilità della gente di fronte ai bambini della
strada?
R.: La gente detesta il bambino della strada. La sensibilità è molto
diminuita e va a momenti, con molte contraddizioni. A volte, ad
esempio, il Bienestar Familiar viene chiamato da qualcuno per
raccogliere un bambino che sta chiedendo l’elemosina. L'operatore
sociale si presenta sul posto, è insultato dalla gente presente al fatto
che lo accuserà di volere prendere il bambino per darlo in affidamento
dietro compenso.
D.: La sensibilità del momento, volubile verso il minore di strada,
varia da città a città?
R.: No. Nelle piccole città c’è sensibilità volubile. Nelle grandi
città c’è l’indifferenza più totale.
D.: Quanti sono i bambini scomparsi?
R.: Difficile rispondere. Nel periodo di dicembre, in chiusura
dell’anno scolastico, molti denunciano la scomparsa dei figli, che in
realtà si vanno a nascondere perché sono stati bocciati e temono il
castigo familiare. Altri se li prende la guerriglia, altri vanno nel
narcotraffico.
D.: I bambini sfruttati sono protetti?
R.: Quando arriva la segnalazione, s’interviene.
D.: Abusi sessuali sui minori.
R.: Difficilmente un abuso sessuale subito in famiglia viene
denunciato. Ma solo se la ragazza ha rotto i legami con la famiglia.
L’abuso sessuale è presente in tutte le classi sociali, anche se le
maggiori denunce vengano dalla classe bassa. La classe medio alta è la
più irresponsabile. Ci sono stati casi di ragazzi i cui genitori non si
sono presentati all’IBFC perché si vergognavano.
D.: Funziona bene l’IBFC?
R.: Io potrei dire che funziona bene. Ha molti progetti per il
benestare del minore. Direi che manca di mezzi, di personale. Ha una
parte che corrisponde alla protezione extragiudiziale e una parte che
lavora con il minore e la famiglia, assistendoli nei processi legali,
domande
per
alimenti,
adozioni,
paternità responsabile,
riconoscimento del minore. Ci sono progetti di prevenzione come
quello del minore abbandonato.
intervista n. 5
avvocato dell’ibfc.
D.: Qual è il ruolo dell’avvocato di famiglia?
R.: Il compito principale dell’avvocato di famiglia è dare
protezione al minore e di fare prevenzione quando si è alla presenza di
violenza familiare, mediante l’avvio di un processo amministrativo di
protezione, quando un minore si trova in situazione di abbandono o di
pericolo. Si deve parlare di emergenza quando il minore è stato
completamente abbandonato dalla famiglia. Il principale diritto del
minore è la famiglia e l’IBFC si preoccupa di dare una famiglia al
bambino o di assegnare una madre sostituta, scelta da noi, pagata da
noi, e che attende anche ad altri bambini, nel frattempo che il Bienestar
Familiar trovi una situazione definitiva per il bambino. Questo che le
ho descritto è un processo di protezione del minore. Ma questa è solo
una fase del processo, perché il minore ha altri diritti, come il nome e
il cognome. Noi cerchiamo il padre e ci preoccupiamo d’identificare il
bambino, anche attraverso i registri di nascita e con l’aiuto della
polizia. La ricerca dei genitori di un bambino abbandonato è fatta su
tutto il territorio nazionale, mediante i periodici, ed è pubblicata la foto
del minore trovato senza famiglia. Si fa anche per radio. È capitato che
bambini di Bogotà, scappati dalla città con un autobus, sono stati dati
per morti dai genitori che dopo un anno non li hanno visti riapparire.
Non per disattenzione della famiglia. Lei immagini, semplicemente
perché il bambino prese un autobus e se ne andò in un’altra città. Il
bambino resta al Bienestar fin quando non si rintracciano i genitori e
siano stabilite le condizioni in cui il minore andrà a vivere. Se i
genitori non compaiono dopo gli appelli fatti dall’istituto, passato un
anno si avvia il processo di adozione, che è la misura massima di
protezione per il minore. Prima avevano in Colombia adozione
semplice e adozione piena. Oggi esiste solo l’adozione piena.
L’adozione semplice non garantiva tutti i diritti del nuovo figlio
rispetto ad altri fratelli acquisiti. Pertanto è stata abolita e i diritti, tutti i
diritti, compresi quelli ereditari, sono uguali tra fratellastri. È
un’adozione irreversibile, al contrario di quanto previsto dall’adozione
semplice, che non esiste più.
D.: C’è un periodo di prova per l’adozione?
R.: Sì. Un comitato visita periodicamente il bambino in adozione
e verifica il suo stato. A prescindere che sono fatte prima dell’adozione
le dovute verifiche sulla coppia che desidera adottare un minore.
D.: Che succede con bambini più grandicelli abbandonati dalla
famiglia?
R.: Facciamo il caso di un bambino di tredici anni che si trovi in
stato di abbandono. Il processo di protezione è lo stesso di un bambino
di tenera età. Si ricercano i genitori nello stesso modo e dopo un anno,
se essi non appaiono, lo si dichiara in abbandono totale e s’iniziano le
pratiche che adozione. Le famiglie in genere preferiscono ragazzi
piccoli da adottare.
D.: Che succede se dopo che un bambino è stato dato in adozione
ricompaiono i genitori biologici?
R.: Sempre che essi dimostrino di avere le capacità di assicurare al
minore i suoi diritti, riavranno il loro bambino, essendo prioritario il
diritto del genitore biologico su quello acquisito.
D.: È sempre il Bienestar Familiar ad assegnare i genitori adottivi
che ne fanno richiesta?
R.: Abbiamo anche il “consentimiento de adopcion”. Succede
quando sono i genitori naturali a decidere quali dovranno essere, dopo
la loro rinuncia al figlioletto, i nuovi genitori. Le ricordo che L’IBFC è
un’équipe interdisciplinare è il suo principale scopo è di puntare
all’unione della famiglia. Noi cerchiamo di capire se realmente la
famiglia non può sostenete il figlio e pertanto essa decide di darlo in
adozione ad altre famiglie. Come? Stimolando la comunicazione tra
noi e loro; vincendo la loro paura di non parlare di fronte a un certo
problema. Interveniamo in caso di maltrattamento infantile e nel nostro
stato abbiamo creato la “rete di promozione al buon trattamento” che
serve proprio a intervenire nei casi di maltrattamento. Si sta lavorando
molto per il maltrattamento. I tempi sono mutati e i modi di pensare
delle generazioni sono differenti. È facile che nascano incomprensioni
nella famiglia quando non ci s’intende. Una volta le busse erano di
aiuto per fare apprendere. Oggi è diverso, ma in certe famiglie si
continua col vecchio metodo: quello i genitori appresero dai loro padri
e non ne conoscono altri. Anche nelle scuole lo stesso maestro ti
bacchettava se non apprendevi. La funzione di prevenzione che il
maestro può esercitare è molto importante. Il maestro è una delle
persone che meglio dei genitori può accorgersi quando qualcosa non
va. Egli può vedere dal rendimento del bambino, dalla sua attenzione
in classe se c’è qualche problema, magari proprio all’interno della
stessa famiglia del bambino. Dopo che qui da noi giunsero i metodi
europei e dopo la dichiarazione del codice del minore, del 1989, si è
cominciato a muovere qualcosa. Il codice mette in risalto i diritti del
minore, che sono prevalenti sui diritti di chi lo circonda. Quando un
padre manda a lavorare suo figlio anziché mandarlo a scuola, egli gli
sta negando il diritto all’educazione. Il Bienestar deve preoccuparsi di
coscientizzare le persone dei diritti che hanno i minori.
D.: Il minore sa di avere a disposizione un codice che prevede per
lui una serie di diritti?
R.: Sono stati fatti diversi programmi, anche spot televisivi e
stampa, come manifesti, opuscoli. Vede, succede che ragazze madri
attendano anche vari mesi per registrare all’anagrafe il figlio nato da
una relazione, in attesa che il papà si decida a dargli il proprio
cognome. Noi le abbiamo avvisate tramite la pubblicità che esse
stanno negando in quel momento il diritto del bambino ad avere un
nome, qualunque sia, della madre o del padre. Qui abbiamo il doppio
cognome. E allora cosa succede quando il bambino arriva a scuola? Tu
come ti chiami? E perché hai un solo cognome? Allora non hai padre!
Lei capisce il problema? È con questa mentalità che dobbiamo lottare,
prima di tutto per dare garanzia al minore di avere subito il nome.
D.: Vi sono aiuti ai bambini down?
R.: Possono nascere bambini normali e speciali, con
sintomatologia mentale. Il Bienestar Familiar ha una protezione
speciale per questi minori speciali. Quando la famiglia non ha i mezzi
per curare i bambini, egli verrà “vincolato” alla protezione dell’IBFC e
alla madre sarà dato mensilmente un assegno per l’assistenza medica.
D.: Fino a che età, o per quanto tempo viene dato il sostentamento
per il minore con handicap?
R.: Normalmente per un anno. Perché per un anno? Perché ci sono
troppi ragazzi con problemi e mancano fondi per tutti e poi perché in
un anno si può verificare se ci sono stati miglioramenti del ragazzo. Il
tempo dipende dal difensore di famiglia che di volta in volta valuta la
situazione del bambino e della famiglia. Il difensore di famiglia, una
volta assegnato il sussidio, deve controllare che, se il bambino ha
bisogno di un certo apparecchio, la madre glielo compri e non spenda
il denaro per altre cose. Ecco perché un anno.
D.: Che succede se un genitore spende i soldi assegnanti per un
apparecchio per cose diverse?
R.: Il bambino è cancellato dal programma di “vincolazione”.
D.: Quanto è forte il diritto di un genitore di chiedere aiuto alla
Stato quando ha un figlio down?
R.: Oltre all’IBFC e ai suoi programmi vi sono altre istituzioni
possono aiutare, come la “Defensoria del pueblo” che può fare
“vincolamento” di fronte a una problematica di questo tipo.
D.: Qual è la differenza tra “Defensoria del pueblo” e “Defensoria
de familla”’
R.: Se una persona ha un problema giudiziale o amministrativo si
rivolge alla “Defensoria del pueblo” che può orientarla per trovare la
soluzione del suo problema. È a livello generale per tutta la
popolazione, non solo per l’infanzia.
D.: Esiste la polizia minorile?
R.: Sì. Il loro lavoro è di tutelare il bambino e intervenire quando
necessario, quando il minore è in abbandono. Essa può richiedere
l’intervento del difensore di famiglia. Riassumendo, la polizia
minorile, il difensore del popolo, il difensore di famiglia possono
chiedere l’intervento dell’IBFC per la sistemazione del bambino in
lasciato in mezzo alla strada o in pericolo.
D.: Lei pensa che nelle attuali condizioni della Colombia, l’IBFC
stia compiendo al cento per cento il suo lavoro di protezione
all’infanzia?
R.: No. Cerchiamo di fare ciò che possiamo. Gli stanziamenti
sono quelli che sono e i programmi sono innumerevoli. I programmi ci
danno soddisfazione ma mancano i soldi per portali avanti. Il lavoro
del difensore di famiglia è di entrare nella famiglia per tentare di
sistemare tutta la sua problematica. È un grosso lavoro. Custodia,
alimenti, liti familiari, violenza, conciliazioni familiari. Il difensore di
famiglia non è l’unico a intervenire nella problematica familiare, egli è
parte di un gruppo interdisciplinare, composto di avvocati, psicologi,
lavoratori sociali, nutrizionisti, tutti uniti per la salute del minore.
Quando c’è da rimettere un bambino in seno alla sua famiglia, prima
mandiamo l’operatrice sociale. Ma la decisione del suo reinserimento
verrà presa in modo congiunto da tutta l’équipe.
D.: Qual è l’inquietudine dell’IBFC per i bambini che restano
fuori dal programma di assistenza?
R.: Le rispondo con un esempio. Passiamo lungo il greto di un
fiume e notiamo una casupola di cartone. Tutti i suoi occupanti vanno
al mattino a fare qualche piccolo lavoro e tornano la sera alla “casita”
di cartone tutti uniti. In quelle case c’è unione. Con i pochi pesos
racimolati da tutti comprano un poco di mangiare per la sera. Lì c’è
amore. Non lusso ma amore. Il Bienestar Familiar non ha il diritto di
andare sul margine del fiume, nella “casita” di cartone per dire agli
occupanti che essi vivono miseramente, quando sappiamo che lì c’è
amore e quando sappiamo che nelle famiglie con molti soldi i figli
sono poco considerati, gli si danno soldi, solo soldi, e poi a nessuno
interessa quello che fa o che amicizie frequenta, perché il padre è preso
dal lavoro e la madre deve fare i tornei di bridge. La famiglia si attua
in accordo con le condizioni e con le possibilità di vita, in base
all’amore che c’è in essa. Noi come Bienestar controlliamo che il
bambino vada a scuola e abbia la sua istruzione.
D.: Le persone che abitano ai margini dei fiumi o sotto i ponti
sono desplazados?
R.: Non tutte. Sono di diversa condizione. I desplazados sono
alloggiati in apposite strutture. L’IBFC prende i bambini dei
desplazados e li mette in “hogares familiares” (famiglie amiche). Con i
desplazados lavorano anche la C.R.I. e la Sanità.
D.: Per quanto tempo vengono ospitati i bambini desplazados
negli “hogares familiares”?
R.: Non c’è un limite. Fino a che la loro famiglia non trovi una
sistemazione. Ci sono molti bambini desplazados. Il Bienestar aiuta
questi bambini ma non le loro famiglie. Per queste ci sono altre
istituzioni, ma dobbiamo anche tenere conto che in questo momento in
Colombia la mancanza di lavoro è un problema gravissimo.
D.: Il minore che infrange la legge.
R.: Che facciamo con un minore che commette un omicidio? Ha
infranto la legge ed è identificato come deviante. Noi prendiamo
misure di protezione. Lo mettiamo in un centro specializzato. Il Centro
del minore contravventore e deviante dove lavora un gruppo di
recupero composto di personale specializzato che darà una
rieducazione a questo ragazzo affinché possa reinserirsi nella società.
La decisione del suo ricovero nel centro la prende il giudice di
famiglia detto “promiscuo”, perché ha competenza in campo penale e
civile. Il compito del Bienestar è di monitorare come prosegue il
recupero del minore rimesso al centro.
D.: Si conseguono buoni risultati di recupero?
R.: È una soddisfazione vedere ragazzi che oggi sono
all’università dopo la rieducazione nei centri e molti già laureati.
D.: Quando la polizia prende un minore in fragranza di reato,
dove lo conduce?
R.: Il bambino non può essere condotto né in carcere, né in una
stazione di polizia. Ciò è decretato del codice del minore per
proteggere i suoi diritti. Egli deve essere condotto da un giudice di
famiglia. Il giudice deciderà quale intervento avviare come misura di
protezione e di recupero. Se il reato commesso non è molto grave, per
esempio un furto del valore di 50.000 pesos, il ragazzo non va messo
nel centro, ma gli verrà fatto un discorso affinché comprenda la sua
situazione e sarà libero di presentarsi presso assistenti sociali per la sua
rieducazione. Se invece ruba per più di 5.000.000 di pesos verrà
mandato al centro di recupero.
D.: Come può un minore dare il giusto valore all’oggetto da
rubare?
R.: Un ragazzo o una ragazza che rubano gioielli, vanno a
rivenderli da un ricettatore. Essi sanno quanto possono ricavare dalla
vendita a costui. È necessario avviare tali ragazzi ai centri di recupero,
altrimenti andando avanti con gli anni, diventeranno esperti criminali.
D.: Che succede se il giudice non è disponibile al momento del
fermo di un minore deviante?
R.: Lo si conduce al centro di attenzione, e il giorno successivo
dal giudice di famiglia.
D.: Il Bienestar Familiar dà aiuto ai ragazzi una volta usciti dai
centri di recupero?
R.: In genere i ragazzi vengono ancora seguiti dagli assistenti
sociali per verificare il loro reinserimento nella famiglia e lo stesso
comportamento della famiglia nei confronti del ragazzo.
intervista n. 6
docente universitaria di medicina familiare preventiva.
D.: Che peso ha il maltrattamento infantile?
R.: Il motivo principale che spinge il bambino a scappare da casa
è di solito un’instabilità familiare dovuta alle relazioni della madre con
altri uomini dopo il fallimento della prima unione. La figura dal
patrigno è spesso determinante nel maltrattamento del bambino. La
tipologia della famiglia colombiana è cambiata moltissimo negli ultimi
tempi. Prima, quando la famiglia era stabile intorno alle figure
principali padre, madre, figli, sottoposta all’autorità del padre-padrone,
anche se vi era un forte maltrattamento, l’atteggiamento dei membri
della famiglia era diverso. Tutti sopportavano tutto. Oggi invece la
donna ha diversa mentalità, non accetta più di essere maltrattata, lascia
il marito e si unisce a un altro uomo, il quale porta con sé, spesso, i
suoi figli. In questa nuova famiglia entra a predominare la figura del
patrigno che accetta i suoi figli consanguinei, ma non accetta i figli
della sua nuova donna, per i quali non ci sarà amore, né alimenti, né
vestiti, né educazione e se si tratta di femmine, molto spesso sono
violentate. Gli abusi si contano anche su bebè. La donna che ha i figli
violentati, data la situazione di precarietà, non farà denuncia alle
autorità di tali abusi e violenze, data la primaria necessità della pura
sopravvivenza di lei e dei suoi figli biologici. Nelle classi povere
nessuno ha una casa propria, tutto il ciclo di vita è improntato al
sopravvivere quotidiano, non vi è alcuna pianificazione, e l’ignoranza
imperante non suggerisce alla donna di usare anticoncezionali, anche
perché non vi sono soldi per comprare le pillole, dato il misero
bilancio familiare.
D.: Vi sono centri pubblici che fanno sterilizzazione?
R.: Sì. Qualunque donna che va a partorire può chiedere al
ginecologo di chiudere le tube, ma le donne non ne usufruiscono
perché glielo vieta il “machismo” dei loro uomini.
D.: Perché?
R.: Perché l’uomo teme di perdere il controllo della donna. Non
potendo più restare incinta, l’uomo teme che la donna possa avere
rapporti con chiunque. La nostra medicina preventiva ha il compito di
tentare un’educazione di queste famiglie per evitare che si
concepiscano troppi figli nelle famiglie indigenti, con problemi di
unioni successive al primo matrimonio. Ciò per evitare il
maltrattamento della figliolanza, meno figli vi sono, meno
maltrattamento vi sarà. Le necessità basiche per molti non vengono
soddisfatte, mangiano una volta al giorno. Abbiamo bambini che
vanno a scuola scalzi, senza quaderni, senza avere fatto colazione. Il
maltrattamento per molti genitori e l’unica maniera di educare, essi
non hanno altra conoscenza di altri metodi, pensano che le botte siano
il solo mezzo per correggere i figli, perché essi stessi, dai loro padri
ebbero lo stesso trattamento punitivo. Arrivano bambini al pronto
soccorso con fratture, o con bruciature, anche dopo alcuni giorni dal
trauma, e capita di trovarsi di fronte a genitori che non si rendono
conto della violenza inflitta, poiché per loro è naturale l’uso del castigo
corporale. Data la forma di cultura, succede che il bambino si stanchi
della violenza e scappi da casa nella strada, dove non ci sarà un
patrigno o una matrigna a picchiarlo. Il significato che il bambino dà
alla strada è molto importante per lui, perché, al contrario della più
ovvia normalità, nella strada si sente al sicuro, nella libertà e senza
violenza familiare.
D.: La causa principale di violenza familiare?
R.: Alcolismo e machismo connessi a ignoranza. Anche la donna,
la madre diciamo, crea machismo, perché ella permette ai figli maschi
di andare alla strada, senza porgli divieti, purché la sera portino soldi a
casa, ella cresce e abitua i futuri uomini di domani. Come? Dando
massima libertà ai figli maschi, senza inculcargli il rispetto della parità
dei sessi, creandolo per la parte strumentale, economica. Il bambino
cresce con l’idea che può fare qualunque cosa se porta soldi. E sarà
l’uomo di domani, in un cerchio ripetitivo di modi di fare scorretti.
Inoltre in molte famiglie i genitori devono lavorare entrambi dal
mattino a sera tardi e i figli sono lasciati alla strada e manca tempo per
l’affettività e l’educazione per i figli, in una famiglia dove il marito o
l’uomo patrigno, cresciuto nel concetto machista, non darà il minimo
aiuto nelle faccende di casa o nell’educazione dei figli. Nelle classi
sociali di livello più alto, i compiti familiari sono divisi tra i due
genitori. Nelle classi basse la donna non è stata preparata a uscire da
casa per un lavoro. Lei si trova spinta fuori di casa per un lavoro
qualunque che le permetta di sopravvivere. Queste povere donne
guadagnano quanto il marito, (che è spesso, anche lui, al salario
minimo), ed esse vorranno in casa la stessa autorità del marito e nello
stesso tempo avranno sulle loro spalle il lavoro della casa e
l’educazione dei figli, il tutto in presenza di uomo che pensa in forma
machista. In questa problematica come può svilupparsi il carattere di
un bambino?
D.: Che cosa è il machismo?
R.: Intendiamo il machismo come il potere che ha un uomo nel
senso della distinzione dell’azione. Per l’uomo tutto è permesso. Qui
ci sono locali dove la donna non può entrare. Il bambino di quindici
anni può uscire da casa e far e qualunque cosa, la femminuccia no. Ci
sono delle ore della notte in cui una donna perbene non deve essere in
giro, mentre per l’uomo non ci sono orari che lo vestono di una forma
o dell’altra. Alla bambina insegnano le faccende di casa, al bambino
mai. La cultura non è ancora cambiata, si dovrà insegnare al bambino a
fare le stesse cose che fa la sorellina in casa. Il machismo è un fatto
culturale molto marcato, specie in alcuni dipartimenti. È una
deformazione dei valori. Ecco.
D.: Rapporti tra medicina preventiva e IBFC
R.: In questo momento abbiamo un programma che riguarda i
genitori che maltrattano i figli.
D.: Per tutti i genitori?
R.: Genitori che risultano da unioni regolari. Le ripeto che i
patrigni non intervengono nell’educazione dei figliastri. Perciò i nostri
programmi educativi non possono riguardare patrigni che sono il
risultato di unioni di fatto. Ora l’IBFC interviene quando c’è
avvertimento che è in atto un maltrattamento di un figlio da parte dei
genitori. Questo ente interviene togliendo il bambino alla famiglia. La
medicina preventiva ha iniziato un raggruppamento delle famiglie che
maltrattano i figli per individuarne le cause e intervenire per
correggerne le spinte e rieducare i genitori, cercando di proporgli
metodi di educazione mirati e basati sul valore dell’autostima.
Abbiamo lavorato prima sui genitori scoprendo che spesso la madre è
quella che castiga psicologicamente e il padre materialmente. Dopo il
trattamento abbiamo chiesto all’IBFC di ridare alle famiglie i figli
tolti, figli che hanno dimostrato di amare molto i genitori, anche se
erano stati in precedenza percossi, fatto che ha confermato come i
bambini avessero attribuito alle percosse un significato educativo,
l’unico da essi conosciuto. Il nostro programma vale sia per i genitori
sia per i bambini, deve essere un nuovo modo di fare educazione per il
futuro.
D.: In quale classe sociale il maltrattamento è più frequente?
R.: Rispondendo con i dati alla mano devo dire nella classe bassa,
perché è questa la classe che fa più denunce, ma ciò non vuol dire che
realmente il maltrattamento sia più in atto in tale classe. Dobbiamo
tenere in considerazione che la classe alta difficilmente denuncia un
abuso sessuale o un maltrattamento.
D.: Se il governo decidesse per aumento del salario minimo, ciò
permetterebbe un calo della violenza sui bambini?
R.: È relativo. Vede, c’è una parte della Colombia, il Chocò, (in
maggioranza la popolazione è nera, N.d.A.), che è uno dei dipartimenti
più poveri del nostro paese. Lì non esiste il maltrattamento, né
l’abbandono, né la violenza sui bambini. È raro che vi sia qualche
denuncia. Non è la violenza un fatto economico, ma è un fatto
culturale.
D.: Le ripongo la stessa domanda da un altro lato. Se le famiglie
dov’è presente il fenomeno del maltrattamento venissero trasferite in
un’altra città, magari dove siano presenti maggiori opportunità, il
fenomeno diminuirebbe?
R.: No. Non siamo dinanzi a un fenomeno ambientale, ma
culturale. Non è l’ambiente circostante il massimo fattore di violenza
familiare. Il maltrattamento viene da un modo di vedere diverso. Ad
esempio, se uno psicologo va in una famiglia, egli sicuramente
individuerà certe forme di maltrattamento di natura psicologica. Un
giudice vedrà dal suo punto di vista il maltrattamento corporale. Lo
stesso è nella famiglia, dove la madre vede il maltrattamento in un
modo, il padre in un altro e il figlio in un altro ancora. Il
maltrattamento è multiforme, è sociale, è politico, è economico, è
mancanza di solidarietà, di vincolo sociale. Nei piccoli paesini
certamente vi è più solidarietà che nei grandi centri.
D.: Secondo lei, i dati statistici pubblicati dagli enti ufficiali, sono
dati reali, o quanto si discostano dal reale?
R.: Non sono reali al 100% e non lo potranno essere fino a
quando ogni bambino, ogni donna, non sarà a conoscenza dei propri
diritti. Pochi sono quelli che conoscono i propri diritti. Il fatto che sia
la classe bassa quella che sporge il maggior numero di denunce, non
significa che tale classe conosca i propri diritti. L’atteggiamento, la
propensione alla denuncia, vuole essere principalmente un modo per
castigare l’altro, forse l’unico modo e va visto nel costume,
nell’educazione: tu mi picchi io ti denuncio.
D.: Quante denunce può ripresentare una stessa donna?
R.: In genere una sola volta. Qui i processi sono molto lenti. Per
esempio, una bambina violentata come si sente quando va a sporgere
denuncia? Lei si sentirà ancora più violentata che nel fatto già
accaduto, perché dovrà ripetere la violenza subita a oltre venti persone
e alla fine, la ragazza si sentirà peggio di prima, fino a che dirà: basta,
non m’importa nulla, io me ne vado.
D.: Ciò è un fatto di burocrazia o incapacità delle istituzioni?
R.: Incapacità delle istituzioni, principalmente. Si è tentato di fare
la denuncia su nastro registrato, in modo da non fare ripetere alla
ragazza violentata la stessa denuncia più volte a persone diverse, ma vi
sono stati casi di corruzione in cui la cassetta è stata manomessa.
D.: Come sta la situazione di assistenza medica ai minori?
R.: La legge 100 prevede che tutti gli ospedali diano assistenza.
Ma non va così. Se incontri al pronto soccorso un medico di cuore che
si commuove, forse si ha un risultato, ma se un bambino ha necessità
di medicinali e la famiglia non ha soldi, spesso il bambino muore. La
Colombia è in un momento terribile, negli ospedali non ci sono
medicinali, bende, ferri. L’unica farmacia internazionale di questa città
fornisce tutta la zona orientale della Colombia e ha un fatturato molto
alto. Le medicine costano moltissimo e pochi se le possono
permettere.
D.: Le infermiere che ho veduto lavorare nelle strade, in un
quartiere molto povero della città, chi le manda e chi le paga?
R.: Nessuno le paga. Sono universitarie che devono fare tirocinio.
L’università sceglie i quartieri più bisognosi e vi manda le allieve di
medicina e infermeria.
D.: Che fanno queste ragazze?
R.: Principalmente prevenzione e nutrizione. Ma qui nasce il
problema. Perché se viene detto a certe persone che devono fare dieta
equilibrata con proteine, vitamine, zuccheri e altro, ma queste persone
non hanno mezzi per pagarsi queste belle cose, è tempo perso.
L’IBFC, a costoro, dà settimanalmente delle farine combinate, con una
dose equilibrata di tutto ciò che serve a un corpo umano, nel nostro
clima tropicale, e che succede? Che dopo molte settimane le persone si
stancano di mangiare solo farina e la danno al cane, perché, badi bene,
qui ogni famiglia povera ha un cane. È un fatto pure questo. Il cane
riceve la farina dell’IBFC.
intervista n.7
docente di diritto canonico.
D.: Qual è l’attuale situazione sociale in Colombia?
R.: La situazione sociale è molto grave in Colombia perché la
violenza è aumentata. Prima avevamo violenza dal narcotraffico e
dalla guerriglia, oggi dobbiamo aggiungervi quella del
paramilitarismo, nato come fattore armato d’opposizione alla
guerriglia e, anch’essi, i paramilitari, si sono nominati liberatori del
popolo. Con quale risultato? Che sia gli uni sia gli altri si sono accaniti
contro i campesinos, perché se favorisci l’uno sei nemico dell’altro e
viceversa. In questo momento la campagna è più vuota che due anni
fa. Teniamo presente che la Colombia è un paese preminentemente
agricolo e la fuga dai campi crea scompenso. Nel dipartimento del
Meta sono stati sottratti dalla guerriglia 10.000 capi di bestiame agli
allevatori. Anche gli allevatori fuggono dagli allevamenti di bestiame.
Siamo alla presenza di sequestri di persone, sia campesinos, sia
allevatori, sia industriali, sia investitori stranieri. Oggi la milizia
bolivariana, i guerriglieri, sono già operanti in Bogotà, e fanno attentati
e sequestri. È stato minacciato ultimamente il presidente della
commissione episcopale. La gente comune non ha più chi la difende. Il
governo fa quello che può, ma la guerriglia è molto forte ora e il
governo ha consegnato alla guerriglia 40.000 chilometri quadrati di
territorio con città e popolazione. E lì sopra comandano loro e fanno
ciò che vogliono. Vengono scacciati insegnanti, suore, si chiudono o
distruggono scuole. Il governo disattende la costituzione, non
garantendo i diritti del singolo cittadino e la Carta Magna è lettera
morta.
D.: Si può giungere a un accordo di pace che dia sollievo al
popolo?
R.: No. Io non credo che ciò avverrà. La guerriglia chiede il potere
centrale e ciò non può essere. Il governo sta facendo sforzi per la pace,
ma non sarà possibile. Il cartello di coca più grande della Colombia in
questo momento è nelle mani della F.A.R.C. In Italia avete avuto le
B.R. ma avete risolto. Qui non si risolve nulla. C’è molta corruzione.
La guerriglia mascherata da ideali marxisti leninisti sta dissanguando la
Colombia. Ma essi non hanno ideali, è solo finzione. Come si può
immaginare il livello di degradazione quando sono massacrate, al
campo, famiglie e presi ragazzi di dieci anni che vengono portati al
monte a fare bombe antiuomo e ragazze prese per fare nascere i figli
della guerriglia? In Italia non avete idea e poco vi è detto. Qui la
guerriglia ha più di 4000 bambini reclutati in modo coatto. Bambini e
bambine. Se il bambino non va al monte è massacrata la famiglia,
perciò il bambino deve andare. Se non hai soldi da dare alla guerriglia
devi dare i figli. Non hai scelta. È grave perché si sta eliminando una
generazione. Quelli che ne usciranno avranno solo imparato a uccidere,
non avranno avuto infanzia. Cosa potranno fare domani da grandi?
Conoscono solo la violenza. La gente qui a paura, paura di parlare,
perché se parli male della guerriglia ti ammazzano, sicuramente. Dov’è
finita la democrazia? La libertà in Colombia è finita molti anni fa.
Come cresci un bambino senza libertà?
D.: Qual è il programma ecclesiale per aiutare i bambini del
desplazamiento per la violenza?
R.: Abbiamo fatto una rete di parrocchie che sono connesse con la
Pastoral Social, il vescovado, che ha creato la città del bambino e lì
vengono ospitati i bambini fuggitivi. La città delle bambine è a Porfia,
un altro quartiere della città. Così lavoriamo sia con bambini della città
sia con bambini venuti dal campo, dividendo maschi e femmine
perché le strutture a disposizione sono quelle che sono.
D.: Mi parla dei diritti del minore?
R.: Qui abbiamo una ricchezza in materia legislativa per i diritti
del bambino, della famiglia, dello studente, del contadino, della donna,
del cittadino, ma è tutto fermo, perché essendo in guerra, lo stato non
può garantire nessun diritto a nessuno. In nessuna rivoluzione si sono
impiegati tanti bambini e bambine come in questa guerra colombiana.
A me piacerebbe che i paesi europei dicessero basta alla vendita di
armi per fermare l’eccidio in atto in questa parte del mondo. La
Germania ha sospeso gli aiuti alla nostra diocesi per i giovani
seminaristi. Gli aiuti sono stati dirottati per armare il F.N.L. e la
denuncia è venuta dai vescovi italiani e tedeschi. Che cosa possiamo
fare per la gioventù con tali presupposti? Gli aiuti alla guerriglia da
parte di Germania e Spagna avvengono alla luce del sole, apertamente.
D.: La famiglia colombiana.
R.: La famiglia colombiana sopporta tutto. Ma la famiglia del
campo è smembrata, distrutta dalla situazione di guerra e violenza. La
paura che i figli sono rapiti dalla guerriglia fa si che i genitori li
allontanino verso posti più sicuri, verso altre città. C’è un altro dato
preoccupante: la mortalità maschile è alta, la mortalità infantile è alta,
la violenza causa un grandissimo numero di morti. Violenza di
guerriglia e violenza sociale. Qui nel giro di pochi minuti è distrutto un
paese fondato ai tempi degli spagnoli. Il numero di piccoli
dipartimenti distrutti dalla guerriglia sono superiori a quello dei paesi
distrutti durante la seconda guerra mondiale. Le vittime più colpite
sono i bambini che perdono tutto, genitori, casa, amici, scuola,
assistenza. Le prossime generazioni colombiane saranno piene di
risentimento perché non si permette loro, oggi, una vita umana come è
nel diritto di ogni bambino. Che cosa fa un bambino che per tutta la
vita, da bambino, ha ammazzato perché così gli hanno insegnato, cosa
farà dopo? In Europa non hanno idea di quanto ci accade. Ora se
parliamo dell’educazione della famiglia, la chiesa sta facendo
qualcosa, ma abbiamo bisogno di aiuto internazionale, ma non aiuti
alla guerriglia, ma al popolo bisognoso, perché siamo giunti a un punto
di non ritorno, molto serio e grave. Io sta parlando perché conosco chi
mi sta intervistando, ma se le mie parole venissero rese pubbliche in
questo paese, io sarei un uomo morto. Qui non si può parlare
liberamente perché non sai chi è la persona che hai di fronte. Ci sono
infiltrati da tutte le parti. E la costituzione dice che siamo uomini
liberi. L’Europa deve interrompere le forniture di armi. Subito. Dando
armi è come mettere il lupo a vegliare sugli agnelli. Sono preoccupato
per l’infanzia, sta sparendo. Ci sono bambini che non sanno né leggere
né scrivere, ma maneggiano un fucile come fossero soldati.
D.: La chiesa cattolica che fa?
R.: Il Papa in testa è preoccupato per l’infanzia colombiana e per
gli aiuti. Ma molti aiuti vengono manipolati e prendono la strada degli
armamenti non ufficiali.
D.: Il desplazamiento che cosa provoca?
R.: Il desplazamiento. Una parola conosciuta internazionalmente
dice che un uomo è emigrante quando muta da uno stato a un altro. In
Colombia ora siamo emigranti nel nostro stesso paese. Perché la
guerriglia arriva al campo e ti caccia via. Il desplazamiento produce
zero, eleva il livello della disoccupazione oltre la soglia del 22% della
popolazione totale, uno dei più alti nel mondo. Oltre la disoccupazione
produce violenza, prostituzione, insicurezza, rapine, delitti perché la
gente senza lavoro non sa che fare e la guerriglia crea la
destabilizzazione in una situazione già grave, annullando la capacità di
reazione del mondo del lavoro alla situazione. La gente qui paga la
guerriglia per lavorare. I ragazzi con che voglia vanno a scuola se
sanno bene che possono essere ammazzati o sequestrati. La gente che
sta lasciando la Colombia spaventa. I capitali vanno via all’estero.
Dove? In Spagna e USA. Qui i colombiani che vanno via all’estero
sono professionisti, non è la stessa fuga dall’Argentina o dal Cile di
anni fa, qui c’è fuga di cervelli, di giudici, di magistrati, di capitani
d’industria, di funzionari governativi, avvocati, gente preparata che
viene rifiutata. La fuga della povera gente è verso gli Stati confinanti e
non credo che Brasile, Perù, Venezuela, Ecuador, Panama,
sopporteranno a lungo.
D.: Al Bienestar Familiar asseriscono che il problema dei
desplazados è temporaneo. Che ne pensa?
R.: Non può essere temporaneo perché la terra dei contadini è
stata presa da altri. Quando gli sarà restituita? Chi lo sa. I funzionari
del Bienestar Familiar sono funzionari pubblici. Credono nel governo.
E bisogna capire che in questa guerra non è il ricco che perde.
D.: Il sicariato infantile.
R.: Sia la comune delinquenza che la guerriglia assoldano minori
per azioni criminose volte a eliminare nemici. I minori sono protetti
dal nuovo codice del minore, che essendo essenzialmente di
protezione, non prevede pene ma recupero per il minore che commette
omicidio. Molti criminali abusano di questa tolleranza e usano i
bambini per le loro azioni. Negli Usa in questo momento ci sono
diciassette minori che aspettano nelle carceri la maggiore età per essere
sottoposti alla pena di morte. Ma qui il minore che uccide sa che non
avrà alcun carcere da scontare. Tutti i sicari dei narcotrafficanti sono
minori di età. È la stessa legge colombiana che produce sicariato. Qui
c’è molta impunità e l’impunità è la coltivazione della violenza e di
ogni tipo di criminalità.
D.: C’è guerra civile in Colombia?
R.: Non è dichiarata pubblicamente ma c’è.
D.: Chi comanda in Colombia?
R.: Ora la paura. Il presidente non parla della guerra perché
verrebbero immediatamente a cessare gli aiuti esterni. La guerriglia
non farà mai la pace con lo Stato.
D.: Mi può parlare della limpieza social?
R.: Dati reali statistici non esistono ma sarebbero interessanti.
Molti sono i ragazzi uccisi dalla guerriglia negli attacchi ai centri
abitati. Sono le vittime della violenza. In Colombia non c’è alcuna
forma di sicurezza.
D.: Il machismo e la violenza.
R.: Il machismo è finito dodici anni fa. La guerra ha fatto molte
vittime in Colombia e in maggioranza tra gli uomini. Ci sono più
donne che uomini. La popolazione è fatta dal 57% di donne e
continuano ad aumentare perché c’è alta mortalità infantile e perché è
alto il numero di uomini che si uccidono nella guerra. Non sto dicendo
che l’uomo colombiano sta sparendo ma facendo riferimento ai miei
battezzati devo dire che battezzo molte più bambine che maschietti.
Anche se faccio riferimento agli studenti di diritto vediamo che il 90%
sono donne. La violenza familiare: c’è violenza ed essa è figlia anche
della miseria, perché quando non c’è da mangiare i primi a soffrire
sono i figli, cui si aggiunge l’alcolismo, anche femminile, collegato
alla violenza nella famiglia. C’è anche il “madre solterismo”, ossia le
donne madri che vivono senza uomo e devono tenere conto di tutte le
necessità. La cultura colombiana si è sviluppata in fretta ma in modo
errato, prendendo il peggio dei modelli proposti dai nordamericani. Le
donne che non lavorano perché non ne hanno bisogno, mandano
ugualmente i figli agli asili, perché in casa il bambino dà fastidio e il
bambino impara tanto bene la lezione che poi manderà i genitori in un
ospizio una volta che saranno vecchi. Sono i valori che stanno
sparendo in Colombia, quelli della famiglia soprattutto. La famiglia
unita è sparita. Il terzo genitore in una famiglia colombiana Qual è? La
televisione. Una televisione spazzatura, che propone violenza,
null’altro che violenza gringa. Anche la stessa alimentazione basica del
colombiano è mutata. I fagioli li facciamo venire dal Venezuela e la
carne dal Brasile perché in un paese con milioni di vacche la guerriglia
non permette più di fare il mestiere di vaccaio a nessuno. La classe
media sta sparendo. Governo e guerriglia la stanno smembrando.
Dobbiamo solo sperare che prevalga l’orgoglio della famiglia, lo
spirito dei padri che ritorni, che risorga per la salvezza della famiglia.
In Spagna in cinquanta anni sono state approvate solo sei sette
religiose straniere. In Colombia il presidente Pastrana in un mese ha
approvato settanta sette religiose straniere. Questa non è la maniera per
salvaguardare i valori della famiglia, già smembrata.
D.: Ci sono abbastanza matrimoni religiosi?
R.: Quaranta anni fa in Colombia non si conoscevano le unioni
libere. Il parroco faceva un po’ tutto e il suo primo intento era di
salvare l’unione intervenendo dove poteva. Oggi la situazione di
miseria e la mancanza di lavoro annientano l’unione. Però i battesimi
sono in aumento, perché in questa baraonda la gente trova nella fede
un valore. Anche coloro che seguono le sette protestanti vengono a
battezzare i figli perché siano iscritti nei registri della chiesa cattolica.
Posso dire che sono aumentati i ragazzi che entrano nei seminari e la
Colombia sta dando più preti dell’Italia.
intervista n. 8
funzionaria dell’ibfc.
D.: Quali sono i tempi necessari per un’adozione in Colombia?
R.: Normalmente sei mesi salvo complicazioni. In questo periodo
di attesa il bambino viene ospitato in famiglie sostitutive
appositamente selezionate dai nostri operatori sociali, in attesa che il
minore trovi la famiglia che farà adozione definitiva. In queste
famiglie provvisorie si fanno visite periodiche per controllare lo stato
del bambino ospitato.
D.: Le famiglie che ospitano i bambini ricevono compenso?
R.: Non proprio. Ricevono un bonus per gli sforzi che fanno per il
mantenimento del bambino.
D.: Ci sono altre forme di adozione?
R.: Le famiglie padrine. Sono famiglie di livello economico alto
che donano periodicamente un assegno al bambino per la sua
educazione in istituti normali e speciali, a scelta della famiglia che
aiuta.
D.: La famiglia padrina può scegliere il bambino da aiutare?
R.: No. Il Bienestar decide l’assegnazione anche sulla base del
programma stabilito per il bambino, perché noi lavoriamo anche sul
lungo periodo.
D.: Le famiglie che vogliono diventare “padrine” vengono scelte
tra altre famiglie?
R.: No. Esse decidono solo di aiutare un bambino, ma non hanno
nessun contatto con il bambino.
D.: Altre forme di adozione?
R.: La famiglia amica. Esse hanno bambini con loro
permanentemente, e hanno già fatto domanda di adozione e tale
domanda è stata già approvata. In queste famiglie amiche si pongono
bambini generalmente grandi con la speranza che i componenti la
famiglia gli si affezionino e lo adottino.
D.: Lei pensa che la lista di famiglie che sono disposte ad
accogliere bambini è abbastanza ampia per accogliere bambini in caso
di grandi calamità?
R.: Noi non lavoriamo così. Quando si presenta un’emergenza,
l’Alcaldia dispone gli alloggi per le famiglie che restano senza casa.
D.: E se i bambini perdono tutta la famiglia nella calamità?
R.: Il Bienestar li mette nelle famiglie sostitute in attesa che si
trovino familiari più stretti.
D.: Perché il governo sta apportando modifiche al codice dei
minori del 1991?
R.: Nel ‘91 si tenne conto delle disposizioni dell’ONU, ma in
quell’anno non si poteva conoscere la rapida modifica della società
colombiana, né si tenne conto di tutta la tipologia di bambini in stato
di necessità a cui dare la protezione. Non si potevano abbracciare tutti i
punti della risoluzione per il minore “disprotetto”, ma quelli più
pressanti come il minore sfruttato, abbandonato, in prostituzione,
abusato sessualmente, che infrange la legge, maltrattato, orfano. Le
modifiche vogliono ampliare la protezione in accordo alla nuova
situazione della comunità colombiana. Ci sono bambini che non
rientrano nelle sette categorie di minori “disprotetti” che attualmente il
codice del minore prevede. Il codice non prevede il minore
“desplazado” per la violenza, minore che oggi abbiamo per la forma
violenta che ha assunto la guerra nel nostro paese. Oggi stiamo
cercando con una legge di non far prestare servizio militare ai minori
infrattori, ma di fargli svolgere servizio sociale che è molto più
produttivo per la formazione del ragazzo.
D.: A quanti anni si presta servizio militare?
R.: Ai diciotto anni.
D.: Che cosa provoca il “desplazamiento”?
R.: La violenza armata.
D.: Quanti sono i bambini fuggiti dalla loro terra?
R.: Le cifre dicono circa 700.000.
D.: Il “desplazamiento” dal campo alla città può provocare altri
fenomeni di miseria? Come si può intervenire?
R.: Sì. Ma siccome la situazione è tanto imprevedibile, e il
fenomeno è il risultato di scontri armati, non si sa dove avverranno i
prossimi scontri e non si sa come e dove intervenire. Gli scontri
potrebbero essere nel campo o nella città, ma la gente che si troverà
nel mezzo tenterà la fuga e lì comincia la deambulazione per le città e
nessuno aveva previsto questo fenomeno e non ci sono programmi per
assistere queste persone. Il governo ha decretato in accordo all’articolo
386 per questa gente per i primi bisogni, ma gli stanziamenti non sono
sufficienti. Il governo ha stabilito che a ogni istituzione dello stato
competa la responsabilità del problema dell’esodo dalle terre. Ma non
si è potuto tenere conto della rapidità del fenomeno e il decreto non è
ancora legge e non ci sono strutture adatte alla situazione di emergenza
con centri di attenzione umanitaria definitivi. Si sono unite tutte le
ONG per dare appoggio ai fuggitivi ma anche queste organizzazioni
non hanno grandi disponibilità o programmi.
D.: Il “desplazamiento” si può avere per cause naturali?
R.: Sì, però in questo caso dobbiamo parlare di “dannificati” e
rientrerebbero in un altro programma.
D.: I bambini “sfollati” hanno gli stessi rischi di divenire bambini
della strada?
R.: Non si può dire che tutti vadano a essere bambini di strada.
Certo che il rischio esiste. Dipende dalla famiglia, dai mezzi di
sostentamento che troverà. Molti bambini andranno al lavoro
informale, lavando vetri di auto, vendendo frutta. In qualche modo si
vincoleranno alla strada ma si spera non per sempre.
D.: I valori della famiglia del campo sono diversi da quelli della
famiglia di città?
R.: Sono vincoli più solidaristici. Lo vediamo da ciò che accade ai
desplazados che restano tutti uniti e si mettono a vendere qualunque
cosa per la sopravvivenza.
D.: Quanto durerà il fenomeno?
R.: Non si sa.
D.: C’è aiuto economico per le famiglie fuggitive?
R.: Sì. L’IBFC ha creato appoggi per i gruppi più vulnerabili,
programmi per donne incinte, per bambini minori di due anni,
programmi per minori da due a sette anni. Sussidi per anziani
attraverso le ONG o attraverso i municipi. Gli si da appoggio
alimentare e di salute, ma il problema più grave resta l’alloggio.
L’IBFC le aiuta per pagare un affitto ma solo per due mesi perché noi
consideriamo le famiglie transitorie, perché esse hanno casa sulla loro
terra e vi dovranno fare ritorno.
D.: Le statistiche danno 9.000.000 di bambini in povertà. Sono
reali?
R.: In Colombia? Non hanno dati esatti. Le sue cifre sono del
1996. La situazione si è molto deteriorata. Sono aumentati.
D.: Quanti bambini segue l’IBF?
R.: Gli strati sociali in Colombia vanno da zero a sei. Dal basso
verso l’alto. Zero, uno e due non soddisfano le necessità basiche e
sono le nostre frange prioritarie. Tendiamo a coprire il 100% di queste
frange ma non arriviamo a coprire tutto e ci aiutano in questo le ONG,
contattate dall’IBFC della capitale. Abbiamo la Cofinanziazione, ossia
che l’IBFC mette il 70% e lo stato, attraverso gli enti territoriali, il
restante 30% ma bisognerebbe aumentare il supporto degli enti
territoriali per distribuire più aiuto.
D.: Ricevete aiuti stranieri?
R.: Quando facciamo programmi di appoggio a comunità
straniere, riceviamo sussidi.
D.: Ad esempio?
R.: Quando lavoriamo con “Save the children” o con la Caritas. Ci
sono ambasciate straniere che cofinanziano istituzioni, per esempio le
scuole d’agricoltura e allevamento finanziate da Olanda e Germania.
D.: Se un italiano volesse aiutare l’organizzazione Convidame, a
chi deve inviare il denaro?
R.: Convidame è un’ONG, non interviene l’IBFC e può ricevere
direttamente denaro da chiunque. Il supporter può anche decidere il
programma per cui vanno spesi tali soldi.
intervista n. 9
funzionaria del caima (centro atencion integral menor abusado)
D.: Cos’è il CAIMA?
R.: Il CAIMA è un centro per il minore abusato sessualmente. È
controllato dalla “Fiscalia Nacional”. È l’unico nel suo genere ed è
gestito da personale specializzato a trattare un tema delicato come
l’abuso. Qui vengono i minori violentati che denunciano i loro
violentatori e ricevono assistenza. Ma siamo di fronte a bambini non
protetti, malnutriti, che provengono da un ceto sociale quasi sempre
basso, spesso malati. Dietro una denuncia ci muoviamo con gli
assistenti sociali che vanno nella famiglia dov’è avvenuta la violenza e
spesso ci troviamo di fronte a patrigni, in un’abitazione dove vivono
ammucchiati sei o sette figli e la promiscuità è assoluta. Noi cerchiamo
di far valere i diritti dei bambini come dettato dalla legge del 1991.
D.: L’abuso sessuale in quale strato sociale è maggiormente fatto?
R.: Dove c’è ignoranza, promiscuità e miseria. La causa è da
vedere come conseguenza delle continue unioni della madre, che
passando da uomo a uomo metterà le sue figlie in presenza di un
patrigno che prima o poi abuserà di esse.
D.: I bambini conoscono i loro diritti. Le scuole li insegnano?
R.: No. Le scuole non preparano i bambini nella conoscenza dei
loro diritti. Se ci fosse un ente d’informazione e di preparazione anche
per i genitori, sarebbe diverso. Manca l’informativa ai genitori che non
sanno come comportarsi in caso di violenza a un loro figlio. Spesso
sono i maestri che scoprono l’abuso sessuale subito da un bambino. I
diritti del minore dovrebbero essere affissi in tutti gli uffici pubblici e i
mass media fare più propaganda.
D.: Ci sono istituzioni che accolgono le minorenni in stato di
gravidanza?
R.: Sono private, religiose.
D.: Differenza tra maltrattamento infantile e abuso sessuale.
R.: Il maltrattamento non è un crimine, l’abuso sessuale è
considerato crimine.
D.: Il machismo.
R.: Ce n’è molto. Le donne qui sono ancora un oggetto da usare.
D.: La prostituzione infantile.
R.: È una piaga della Colombia. Il fatto più grave è l’assenza dello
Stato che non raccoglie i bambini in prostituzione per dare loro una
vita e un avvenire migliore.
D.: La causa della prostituzione.
R.: Bassa cultura, mancanza di affetto, miseria.
D.: Ci sono studi sulla cultura del costume sessuale dell’uomo
colombiano?
R.: No. Nell’ultimo congresso nazionale di psicologia si è cercato
di puntare sulla necessità di far cadere i tabù del sesso, di portarlo nelle
scuole per la sua conoscenza, e di responsabilizzare la donna per l’uso
del suo corpo.
D.: I programmi del CAIMA.
R.: È necessario capire la responsabilità di tutti gli enti pubblici e
ministeriali per prendere più seriamente la problematica dell’infanzia,
perché ogni bambino violentato oggi sarà un violentatore domani. I
programmi si sostengono con i soldi e soldi non ce ne sono. Il CAIMA
è l’unico istituto nel suo genere di assistenza al minore abusato.
D.: L’IBFC vi aiuta?
R.: Giusto se riceve qualche bambina che noi gli inviamo.
D.: Perché il CAIMA non presenta progetti a enti europei per
averne sostegno economico?
R.: Credo che sia l’unica cosa che ci rimane data la nostra
situazione.
intervista n. 10
funzionario della c. r. i.
D.: Come opera la CRI nel dipartimento orientale della
Colombia?
R.: Operiamo in tutto il piano orientale, sarebbe a dire che
copriamo con i nostri interventi mezza Colombia e non solo il
dipartimento del Meta. La mia zona di operazione è grande due volte
l’Italia. In questo momento stiamo lavorando freneticamente per
portare medicine e soccorso nelle zone di combattimento, che sono
estese.
D.: I gruppi che si stanno scontrando vi lasciano lavorare senza
crearvi problemi?
R.: Abbastanza tranquillamente. Noi diamo soccorsi a tutti, senza
esclusione, a guerriglieri, paramilitari, civili.
D.: Da quanti anni operate in questo campo?
R.: Da circa cinque anni io personalmente, ma la Croce rossa da
più di venti anni.
D.: In generale, ci sono bambini tra i feriti?
R.: Certamente. Oggi la guerriglia attacca in città, tra la
popolazione. È inevitabile che ci siano bambini colpiti. Chi ha fortuna
si nasconde dove può, ma i più colpiti sono bambini.
D.: Quanti ospedali ci sono nella sua zona?
R.: Due. Ripeto, in un territorio grande due volte l’Italia. Uno a
Villavicencio e l’altro a San José del Guaviare.
D.: Ricevete soldi dall’estero?
R.: No. Ci autofinanziamo con la nostra farmacia che ha un
fatturato giornaliero di sette milioni di pesos.
D.: E gli aiuti internazionali?
R.: Arrivano solo quando presentiamo programmi di salvataggio
di bambini nelle zone di conflitto e dopo che vengono approvati a
livello internazionale.
D.: La CRI che iter segue per aiutarvi?
R.: Si presenta un programma alla CRI, i governi e i preti delle
varie nazioni mandano aiuti. I governi Svedesi e Olandesi ci stanno
aiutando molto, loro accettano più rapidamente i nostri programmi ma
chiedono accurati controlli di gestione. Per la zona di Antiochia, una
zona con molti combattimenti, i paesi europei hanno collaborato molto
per l’attuazione di programmi fatti per dare aiuto ai bambini delle aree
di combattimento. Le spiego: noi raccoglievano i bambini orfani e li
concentravano in locali della croce rossa, dove ricevevano assistenza
medica e psicologica, dato che i bambini erano traumatizzati dalle
violenze a cui avevano assistito, anche alla morte dei loro genitori.
Questo programma che ebbe l’aiuto di tutti i governi europei dava
attenzione integrale all’orfano e il personale che vi prendeva parte era
esclusivamente personale della croce rossa. Ora i programmi sono
mirati ai bambini desplazados, ma sono diversi dai precedenti, dove
s’interveniva prima e direttamente sul posto di conflitto. Ora
s’interviene molto in ritardo, quando già il bambino è stato portato da
qualcuno nella città e già ormai vive nella strada. Bisogna dire che ora
i programmi sono improvvisati all’ultimo momento. Noi raccogliamo
alla meglio questi bambini e li consegniamo a istituti religiosi.
D.: La CRI lavora con l’IBF?
R.: L’IBFC ha i suoi programmi. Ci sono dei casi in cui lavoriamo
congiuntamente.
D.: Per esempio?
R.: Quando raccogliamo bambini o bambine guerriglieri. In
questo caso il tipo di sostegno che essi devono ricevere è particolare e
qui interviene, attraverso l’IBFC, il CAIMA. Si usano mezzi della
croce rossa per lo spostamento dei bambini per evitare attacchi sia
della guerriglia sia dell’esercito.
D.: Chi valuta l’entità dei danni di un disastro?
R.: L’Alcaldia valuta. La croce rossa riparte gli aiuti.
D.: Per quanto tempo vengono aiutati dagli enti statali i bambini?
R.: Dall’IBF? Per tre mesi al massimo.
D.: Vi è capitato d’intervenire in aiuto di comunità religiose?
R.: Sì.
D.: Ricevono attacchi dalla guerriglia?
R.: Se non s’impicciano degli affari della guerriglia non ricevono
assalti. Ci sono però le comunità di stampo americano protestante che
vengono scacciate dalla guerriglia perché sospettate di essere fatte da
spie della CIA.
D.: C’è violenza in Colombia?
R.: Dappertutto.
D.: E il dialogo di pace ora in atto?
R.: La guerriglia vuole parlare di pace senza lasciare di fare la
guerra.
D.: Come recluta i bambini la guerriglia?
R.: A partire dai nove anni. Sono minori che non conoscono
televisione, non si sono mai allontanati dalla fattoria, non conoscono
delicatezze da mangiare. La guerriglia offre loro queste cose e poi gli
chiede se desiderano tornare al campo o se restare con loro alla
macchia. Cosa può rispondere un bambino? Questo è il modo più
semplice. C’è l’altro del reclutamento coatto e i fucili sono più grandi
dei bambini.
D.: Che fa la stampa?
R.: La stampa colombiana fa troppa pubblicità alla guerriglia,
perché va solo a caccia di notizia, ma non vede se il governante cerca
di fare qualcosa di positivo in questo combattere continuo.
D.: Cosa si dice del desplazamiento?
R.: Che le zone torneranno ai proprietari. Ma la gente ha imparato
che l’esercito va a liberare una zona, ci resterà al massimo tre giorni e
poi se ne riandrà. La gente ha capito il gioco e non se ne andrà più
dalle città. La situazione qui è grave.
D.: La croce rossa di Ginevra, che fa dinanzi a questa gravità?
R.: Nelle zone di alto conflitto c’è una delegazione della croce
rossa internazionale. Queste delegazioni intervengono dopo due o tre
giorni dalla fine di ogni combattimento. Aiutano i superstiti per tre
mesi e dopo niente. Quelli che non vengono più aiutati, non hanno
altro tipo di sopravvivenza che il provento del rubare. Io conto più di
un milione e mezzo di desplazados in Colombia.
D.: Qui chi lavora nella Croce rossa?
R.: Solo volontari che non ricevono un soldo. Ci sono due tipi di
volontari: maggiori di diciotto anni e bambini a cominciare dagli otto
anni. Qui abbiano 120 bambini che lavorano come volontari cui noi
diamo i mezzi per la loro educazione scolastica, interamente a carico
nostro.
D.: Chi sceglie i volontari?
R.: Li scegliamo noi, quasi tutti nella classe media. Abbiamo
bisogno che essi sappiano leggere, scrivere, altrimenti non possono
darci aiuto all’occorrenza.
D.: Aiutate qualche tipologia di bambini in modo particolare?
R.: I bambini di strada. Abbiamo ambulanze di pattuglia notturna
che vanno nei quartieri poveri a dare aiuto.
D.: Quante ambulanza avete?
R.: Abbastanza. Ci sono state donate da paesi europei. Con questi
mezzi ogni notte andiamo di pattuglia.
D.: Di notte quante ambulanze sono in servizio per i bambini di
strada?
R.: Tre o quattro. In aiuto al drogato e alla donna in pericolo. È
molto complesso lavorare con i ragazzi della “gallada”, difficilmente
essi escono dal gruppo, che è composto di ragazzi di età dai dieci ai
venti anni ed è un gruppo misto. Dobbiamo andare noi. In
maggioranza si feriscono per liti. Ma ci sono anche malattie veneree.
D.: Quanti aerei di soccorso avete?
R.: Due. Sequestrati alla guerriglia. Gli unici in tutta la Colombia.
intervista n.11
ginecologa di un centro pro famiglia- villavicencio.
D.: Pro famiglia è la sua organizzazione. Che cosa fa?
R.: È un’organizzazione privata, riconosciuta a livello mondiale,
che tratta tutta la problematica della famiglia. Progetta, presenta,
amministra e dirige i differenti programmi necessari per le molteplici
problematiche della famiglia.
D.: In questo centro medico in cui ci troviamo ora, quale
programma è attuato?
R.: Pianificazione familiare e sessualità.
D.: La problematica delle ragazze incinte che vengono presso
questo centro di assistenza.
R.: Il centro apre una cartella clinica per iniziare il rapporto di
assistenza alla ragazza. Molte ragazze vengono qua per il timore di
essere incinte e qui si fanno i test di gravidanza. Se risulta una
gravidanza si cerca di trovare la soluzione migliore, ossia capire se la
ragazza vorrà tenere il bambino o rifiutarlo dopo la nascita. Se la
ragazza ha una famiglia noi cerchiamo di fare da intermediari per far sì
che la ragazza possa avere comprensione dai suoi familiari. Certo non
possiamo parlare di aborto perché la legge lo vieta, ma non tutte le
ragazze che vengono da noi portano a termine la gravidanza.
D.: Di che classe sociale sono le ragazze che vengono presso
questo centro?
R.: Classi basse.
D.: L’età media?
R.: Tra quattordici e sedici anni in maggioranza. Ce ne sono anche
di più piccole e qualcuna maggiorenne.
D.: La maternità di esse è volontaria o involontaria?
R.: Involontaria, per completa ignoranza dei metodi contraccettivi
di entrambi, maschio e femmina. In molti casi la ragazza cerca il
rapporto sessuale come rifugio, per mancanza di affetto in famiglia,
come unico modo per ricevere affetto.
D.: Mi parla dei casi di abuso sessuale?
R.: Da noi si presentano pochi casi di ragazze abusate
sessualmente. La maggioranza di quelle che vengono da noi sono già
attive sessualmente da tre anni o più. Il CAIMA si prende cura degli
abusi sessuali. Chi ha subito abuso sessuale passa prima per la Fiscalia,
la medicina legale, la polizia, poi va al CAIMA. Se qualche ragazza
violentata viene da noi, passiamo il caso alla “Comisaria de Familla”
che seguirà poi l’iter previsto. Per l’abuso sessuale quasi sempre è la
famiglia a sporgere denuncia alla magistratura. In molti casi che noi
abbiamo seguito di gravidanza prematura si è visto che le ragazze sono
state violentate dai patrigni o da vicini di casa.
D.: Che educazione hanno le ragazze?
R.: Ottavo, nono grado. (seconda, terza media, N.d.A.). Ma non è
escluso che vengano ragazze universitarie.
D.: C’è educazione sessuale nella famiglia colombiana?
R.: No. Dal 93 si sta cercando d’inserire nelle scuole
l’educazione sessuale. I genitori temono di parlare di sessualità in
famiglia perché essi stessi non hanno avuto alcuna educazione in
merito e non sanno come affrontare il tema. Il ministero
dell’educazione fu d’accordo a inserire nelle scuole l’educazione
sessuale, ma il problema è che bisogna educare prima i professori
perché la possano insegnare. È importante arrivare a parlare la stessa
lingua quando si tratta di educazione sessuale, perché il maestro molte
volte è la prima persona che può rilevare un abuso sessuale subito da
un bambino. Siamo però in una fase di transizione, dove si cerca di
canalizzare questa educazione sessuale, perché prima c’era il tabù e
dopo si è cominciato a parlare liberamente di sesso, e il ragazzo crede
di essere emancipato con queste nozioni e pensa di fare sesso
liberamente.
D.: Dov’è che più manca educazione sessuale?
R.: A tutti i livelli. Ora stiamo costatando che molte di queste
gravidanze sono frutto d’informazione sessuale incontrollata.
D.: L’aborto è vietato in Colombia?
R.: Sì. Ma si fa e questo è il punto grave. Non sappiamo che
succede alla ragazza una volta uscita da questo centro, dove va e che
ha deciso nella sua testa. Se ha deciso di abortire andrà in qualunque
posto facciano aborto clandestino che è la causa più elevata di
mortalità di ragazze incinte.
D.: Dati non ufficiali danno circa 450.000 aborti annuali. Sono
reali?
R.: Sì.
D.: Che succede alla ragazza incinta che resta nella famiglia?
R.: Ugualmente avrà di fronte la scuola, gli amici, la società. Le
conseguenze di una gravidanza non pianificata. La ragazza può essere
cacciata da casa, o ci sono casi di coppie di genitori che si
colpevolizzano vicendevolmente e la coppia entra in crisi conflittuale.
Un altro problema avviene nella scuola, dove gli stessi professori, per
il buon nome della scuola, invitano la ragazza a cambiare scuola,
pertanto molte ragazze nascondono la gravidanza fino al settimo mese.
I ragazzi che mettono incinte le ragazze non sono responsabili della
loro paternità e dicono alla ragazza che il problema è esclusivamente
suo. Molte vivono così una situazione di maternità completamente
sole, respinte dal ragazzo, dai genitori, dalla società.
D.: I provvedimenti della legge in questi casi.
R.: Molta burocrazia e poco, di fatto, all’atto pratico. Noi
forniamo alle ragazze un decalogo che le informi dei loro diritti in
modo che sappiano cosa fare nella situazione e questo decalogo lo
distribuiamo anche nelle scuole. Noi organizziamo incontri anche tra
ragazzi di diverse scuole per dibattiti su questo tema.
D.: Qui le ragazze arrivano volontariamente?
R.: Sì e di tutte le classi.
D.: Che tipo di assistenza medica procurate?
R.: Di natura ambulatoriale. Non siamo attrezzati per interventi.
Per casi di una certa gravità inviamo le ragazze agli ospedali pubblici.
D.: Le ragazze gamines vengono presso il vostro centro?
R .: No. Siamo noi che andiamo da loro, in genere presso i centri
che alcune ONG come Convidame organizzano nei quartieri poveri.
D.: Avete programmi per le ragazze vittime del desplazamiento?
R.: Stiamo preparando un programma a basso costo per orientarle
e aiutarle. Il programma è stato portato avanti con l’aiuto di un privato.
Questo mese finirà l’aiuto e non sappiamo se il programma proseguirà.
Il desplazamiento oggi riguarda tutta la Colombia e mancano fondi per
i programmi su vasta scala.
D.: Come vi giungono gli aiuti per i programmi?
R.: Presentando progetti anche all’estero attraverso la direzione
generale di Bogotà.
D.: Come scegliete i possibili donatori?
R.: Ci sono gruppi di persone all’estero che ricevono i nostri
programmi, li valutano e poi assegnano un donatore. La nostra
organizzazione lavora con le ragazze da più di trentacinque anni e
quest’anno le è stato assegnato un premio in denaro che ci aiutato.
Abbiamo vinto il premio perché abbiamo abbassato l’indice di natalità.
Siamo al secondo posto nel mondo come organizzazione mondiale per
la pianificazione delle nascite. La nostra è un’entità privata e non
abbiamo nessuna relazione con l’IBFC I nostri contatti con l’IBFC
sono unicamente per la pianificazione. Abbiamo preparato negli ultimi
due anni 2600 ragazzi e ragazze sulla pianificazione, sull’educazione
sessuale, sull’orientazione e sono stati mandati a educare persone in
altri centri.
D.: Che relazioni ci sono tra la vostra organizzazione e lo Stato?
R.: Lavoriamo con il ministero dell’educazione e della salute e
facciamo dei convegni con il loro personale. È stato fatto nel 1993 un
decreto governativo per inserire nelle scuole pubbliche l’educazione
sessuale. Però il problema sta in chi insegna la materia, perché, come
ripeto, non sono sufficientemente preparati. Il nostro programma si è
potuto sviluppare solo dopo gli incontri con giudici, avvocati e
commissari di famiglia perché con loro si è creato un solo punto di
vista ed è stato ottimizzato il modo di fare propaganda e lavoro. Se ad
esempio viene da noi una madre maltrattata, noi, Pro famiglia,
possiamo oggi iniziare una denuncia e subito si apre il processo, senza
attesa di tempi lunghi come succedeva prima. Noi abbiamo creato una
rete di servizi, ampliato le conoscenze dei nostri servizi presso i vari
enti e ogni ente sa quello che facciamo, cosa succede presso di noi e
cosa noi vogliamo che essi facciano per noi. La recente legge 360
parla della libertà sessuale e della dignità umana e le sanzioni previste.
La recente legge 294 parla della violenza familiare. Oggi si
cominciano ad applicare per i diritti della donna e del minore.
D.: Ci sono centri di accoglienza per ragazze prossime al parto e
senza famiglia?
R.: Sì. A Bogotà. I nascituri vanno subito in adozione se la madre
fa subito rinuncia. Parliamo del CRAN.
intervista n. 12
funzionaria dell’ong fes (fundation estudios superiores).
D.: Quali sono i problemi dell’infanzia di strada in Colombia?
R.: Non si può solo parlare dell’infanzia di strada, del gamin
come si diceva anni fa. La problematica infantile è multiforme e va
vista nella sua globalità e gravità. Io sono preoccupata per il suo lavoro
perché il mio timore è che lei non riesca a focalizzare l’aspetto di
questa vasta problematica che è tuttora l’infanzia colombiana. Vorrei
però pregarla di non dimenticare che dietro l’infanzia sofferente ci
sono uomini e donne che lavorano seriamente per aiutare i bambini.
Non approvo ciò che è già successo in passato, quando operatori di
televisioni europee si sono rivolti alla nostra organizzazione per fare
dei reportage, ma non sono stati chiari, anzi! Venire qua in Colombia
per filmare la miserevole condizione di alcuni quartieri della città,
presentare in Europa la tragica realtà dei bambini e fare ciò solo per
avere un servizio televisivo che faccia effetto sulla massa, noi non
possiamo che biasimarlo. Le ricordo che dietro ogni bambino che
soffre c’è un gruppo di persone che lavora per lui e pertanto il lavoro
di queste persone va rispettato aldilà degli interessi privati di ogni
giornalista o ricercatore che si rivolge a noi. I lavori e gli studi fatti in
passato sul gaminismo erano fatti nell’ottica dell’assistenzialismo,
direi: poverino il bambino povero! Ma i tempi sono mutati e il
problema infantile è molto grave. Ora rispondo alla sua domanda circa
gli orfani di questa guerra. Non ci sono statistiche di orfani di guerra.
Né abbiamo statistiche sugli abusi sessuali perché le denunce fatte non
rappresentano la totalità dei casi di abuso sessuale. Tanto meno
abbiamo statistiche sull’aborto, perché l’aborto è proibito per legge in
Colombia. Se io faccio un aborto sarò l’ultima persona a denunciarlo e
il medico che lo pratica sarà l’ultimo anche lui. Gli aborti clandestini
dichiarati sono quelli che si mutano in processi di setticemia e che
finiscono perciò in un ospedale, ma sono quelli delle ragazze povere,
perché chi può pagare va in clinica privata o a Miami.
D.: L’aborto è illegale?
R.: Totalmente. È permesso solo per ragioni mediche. Ma il
problema è: chi è che deve stabilire queste ragioni mediche.
D.: La gravidanza che origina da una violenza sessuale può essere
interrotta?
R.: No. È assurdo ma qui è così. Il progetto dell’America Latina è
far si che vengano rispettati i diritti dell’infanzia, di tutta l’infanzia,
indipendentemente dal fatto che i bambini siano ricchi o poveri. Non
ci possiamo fermare a dire: poveri bambini. No, dobbiamo lottare
perché siano rispettati e garantiti i loro diritti. Il nocciolo sta nel
continuo attualizzare le problematiche in ragione dell’evolvere di una
situazione.
D.: Oltre i progetti fatti per i bambini, ci sono progetti fatti per la
famiglia?
R.: La famiglia e lo stato sono corresponsabili del benessere del
minore. Ogni ONG è specializzata in una data problematica. Ci sono
ONG che lavorano sulla famiglia. I bambini soffrono di
maltrattamento in ogni classe sociale. Non è solo un fatto economico.
Sarà un differente tipo di maltrattamento, ma esiste. Nella
prostituzione lavorano ragazze ricche e povere. Questo è un problema
sociale e non possiamo criminalizzare la povertà. Non si può affermare
che un episodio accada solo perché la gente è povera. Un fatto accade
per mancanza di educazione, di cultura, di gestione della famiglia.
Bambini sfruttati, lo stesso! Li abbiamo in classe bassa e classe media.
Diverso tipo di sfruttamento ma pur sempre sfruttamento. Orfani di
guerra ne abbiamo moltissimi, per la guerriglia, per il narcotraffico,
per la violenza, per la miseria. Abbiamo bambini desaparecidos,
bambini desplazados dal conflitto, di ogni classe sociale. Questo è il
motivo per cui io non volevo che lei si soffermasse solo sullo studio
del gaminismo, uno studio già iniziato venti anni fa, ma la situazione
del gamin continua uguale con l’aggiunta di nuove problematiche. La
situazione sociale da venti anni non è migliorata, è peggiorata.
D.: Quanti tipi di progetti per l’infanzia ci sono?
R.: Molti. Per ogni problematica che tocca il minore. Ma i
problemi sono più grandi delle istituzioni e delle persone che lavorano
a questi progetti.
D .: Si ottengono buoni risultati con i progetti?
R.: Sì, ma come ripeto i problemi che abbiamo in Colombia sono
più grandi delle stesse istituzioni. Noi avevamo progetti per i quali
venivano stanziati 200 milioni di pesos, ma erano insufficienti e per
questo la nostra ONG si fonde con la Restrepo Barco. Noi facciamo
statistiche, indagini, non lavoriamo direttamente con i bambini. Noi
lavoriamo con istituzioni che lavorano con i bambini.
D.: Si sa quanti soldi dà Unicef alla Colombia, per i bambini?
R.: No, impossibile saperlo perché nessuno lo dice. Unicef non
lavora con lo stato colombiano; il governo non c’entra. Unicef lavora
attraverso organismi non governativi. L’aiuto dipende dai paesi
stranieri. Ci sono progetti finanziati da molti paesi europei. Neppure
c’entra l’IBFC. Il denaro arriva direttamente alle ONG. Noi sappiamo
che la Colombia è un paese sottosviluppato e che riceviamo assistenza
da altri paesi, ma uno straniero che viene qua non può capire subito la
problematica e noi non abbiamo solo bisogno di soldi ma pure d’idee.
D.: Il desplazamiento crea altri bambini di strada?
R.: Chiaramente.
D .: Quanto durerà questo fenomeno?
R.: Dieci anni? Chi lo sa.
D.: L’abuso sessuale su ragazza minore.
R.: È un problema primariamente culturale. Noi avemmo
l’invasione spagnola, che non fu solo conquista di terra, ma anche di
donne. La cultura tramanda certi modi di fare, di trattare la donna
come oggetto e l’abuso accade sia nel campo sia nella città. Siccome si
pensa che i bambini non sono importanti, di loro si fa ciò che uno
vuole. Ma non è solo problema della Colombia. La donna fino a poco
fa non era valutata. La violenza, la prostituzione, eccetera, non passano
per un solo fattore, ma ci sono molte cause che non sono solo
economiche, ma sociali, culturali, isteriche e altre. Per un investigatore
sociale è difficile l’indagine se egli non vive dentro la stessa
problematica che vuole studiare. La comparazione delle scienze esatte
e delle scienze umanistiche non è facile.
D.: Che succede a un progetto quando cambia il politico di turno?
R.: Nel settore pubblico più che nel privato, quando cambia il
capo, il progetto esistente va a morire. Ma si deve riconoscere che il
paese è più maturo che in passato e ora ci sono delle proteste.
intervista n. 13
direttore di ong missionaria (Bogotà).
D.: Quale approccio adoperate con i bambini di strada?
R.: Il metodo più naturale è l’amore. Se un bambino raccolto da
noi nella strada e portato nella nostra sede non volesse restarci, noi lo
lasciamo andare, con gran dolore ma lo lasciamo andare. Con l’amore
abbiamo mutato il carattere di bambini molto aggressivi, di strada.
Molti bambini presi nella strada, ritornano alla strada se non sentono
che si da loro amore e non solo un alloggio o una scodella di zuppa.
Noi diamo loro un ambiente personalizzato, a loro misura. Lavoriamo
con la psicologia, tentiamo di fargli capire che la sua situazione, quella
della strada non è una situazione di normalità come lui crede. Essi non
hanno idea del tempo, noi cerchiamo di posizionarli nel tempo e di far
loro comprendere che c’è un futuro, un futuro che li attende. Qui
lavoriamo in équipe e le valutazioni di ogni singolo bambino sono
fatte da più educatori. Il nostro metodo pedagogico si basa molto sul
lavoro manuale e artistico che tenga molto impegnato il bambino. Li
educhiamo in maniera che essi si sentano partecipi della comunità, e
facciamo sì che essi lavino il loro piatto, la loro biancheria, che
rifacciano la mattina il letto. Non usiamo il castigo. Ogni bambino ha
una sua diversa problematica e il nostro lavoro consiste nel tentare di
comprenderli. In Colombia pochi si attendevano un aumento così
grande dell’indigenza che colpisce soprattutto i bambini. Stanno
cambiando i valori umani. Se da un lato sta aumentando la
vulnerabilità, da un altro sta aumentando la sensibilità verso il
problema. Si è creato un senso d’incertezza verso il futuro per una
generazione di bambini che sta in fase di crescita. Le differenti forme
d’indigenza sono parte della sintomatologia della crisi che viene
crescendo nella popolazione. Questo è un problema che riguarda tutti,
ma in particolare i bambini. Data la loro situazione naturale,
psicologica e sociale, il loro stile di vita, nella miseria, si converte in
un’alternativa di sostentamento e sopravvivenza, vedendosi obbligati a
delinquere e ad assumere sostanze allucinogene che li configurano
nell’ambiente in cui vivono. Sono bambini disorientati e rifiutati dalla
società, invischiati in atti delinquenziali, essi sono soli o in bande e
formano una popolazione in aumento dato il desplazamiento fatto
dalla guerriglia nelle zone di conflitto. Le famiglie del campo
scappano verso le città e aumentano il numero delle persone in miseria
perché le città non offrono protezione, né il minimo per sopravvivere
degnamente. L’equilibrio sociale si sta rompendo, i bambini tra cinque
e quattordici anni, bisognosi, sono aumentati nell’ultimo anno del
30%. Questa crescita sarà parallela all’aumento della violenza nelle
zone povere della città. Se continuerà così, la futura società sarà
formata in buona parte da uomini violenti e risentiti. Nella sola
Villavicencio abbiamo 32000 bambini in povertà e 7600 in miseria.
Secondo il dipartimento di medicina legale a partire dai cinque anni le
lesioni ai bambini sono al primo posto come causa d’infortunio, data
anche l’assenza permanente o temporanea dei genitori e la mancanza
di responsabilità di molti di questi ultimi che li sfruttano a ogni livello,
per lavoro e per prostituzione e creano nei bambini rancori e
risentimenti fino a che non scappano dal locale dove alloggiano. I
giovani che sono nella delinquenza nascono in frange sociali che non
hanno avuto spazio per la partecipazione e il riconoscimento sociale,
non sono riconosciuti come soggetti che hanno una loro identità di
vita. Le circostanze associate con la problematica della violenza
giovanile sono la mancanza di accesso e l’esclusione; la delusione che
viene dalla scuola; la condizione di disimpiego; la povertà; le scarse
prospettive d’integrazione al mercato formale che permetta livelli
degni di ubicazione psicosociale; di efficienti possibilità socioculturali
che permettano l’apertura verso la società e l’interiorizzazione di
norme e valori. Tutto ciò si associa alla crisi familiare, educativa,
economica, ideologica se dobbiamo tenere conto della presa che ha
fatto il narcotraffico nella società. Altro punto sono le atomizzazioni e
frammentazioni sociali nei livelli istituzionali dei differenti quartieri,
scuole, municipi che implicano la mancanza d’integrazione della
comunità, un basso livello di autostima, d’immaginazione sociale, di
sicurezza sociale e psichica di ogni persona. Manca interrelazione e
maniera di comportarsi come un’unica società. I concetti predominanti
sono escludenti e stigmatizzanti e producono comportamenti
intolleranti e schemi mentali erronei. Manca una sana competitività fra
i giovani.
D.: Perché la vostra organizzazione non vuole divenire un’ONG?
R.: Perché vogliamo autonomia e perché abbiamo una visione
evangelica. Apriamo i nostri centri dove vediamo la necessità, poiché
quelli dell’IBFC non sono assolutamente sufficienti.
D.: Gli operatori che lavorano con i bambini di strada sono
abbastanza motivati?
R.: Sì.
D.: La crisi familiare.
R.: Nella famiglia c’è più crisi di qualche anno fa e molto è
dovuto alla situazione che sta attraversando tutto il paese.
D.: Le cause che originano il bambino della strada?
R.: La decomposizione familiare che a sua volta dipende da cause
molteplici, come le condizioni sociali ed economiche. C’è anche,
come detto, lo sfruttamento degli stessi genitori verso il bambino. A
ciò non sono estranee la mancanza di cultura e l’ignoranza delle
persone.
D.: Si può intervenire prima che il ragazzo diventi delinquente?
R.: Andargli incontro nella strada con amore e farlo partecipe di
tutto.
D.: L’IBFC aiuta più il bambino della strada o il bambino nella
strada?
R.: Il bambino della strada è molto più difficile del bambino nella
strada. Richiede più lavoro e maggiori spese. Il bambino nella strada
ha pur sempre un padre e una madre, e in qualche modo la sera torna
presso i suoi familiari. Il bambino della strada ha perso ogni legame
con la famiglia di origine ed è molto difficile dargli un’educazione. La
parola gamin non si usa più. Sono bambini, minori che vanno visti
come esseri umani, non come oggetti di protezione ma come esseri di
protezione. Sono prodotti dalla miseria, dalla mancanza di lavoro,
dalla mancanza di cultura, dalla scarsezza di valori, dalla famiglia
distrutta, dalla disattenzione politica.
D.: La sensibilità delle persone dinanzi ai problemi dell’infanzia?
R.: La gente vede nel gamin un ragazzino cui fare beneficenza, ma
il gamin deve apprendere, attraverso noi, a guadagnare le cose di cui
ha bisogno, non a elemosinare o a rubare. Altre persone hanno paura
del gamin, alcuni chiamano la polizia. C’è violenza verso il gamin,
perché la stessa legge ha atteggiamento punitivo verso il gamin. I
mezzi di comunicazione lo presentano come oggetto di
commiserazione, non come entità con diritto umano. Il codice del
minore approvato nel 1991 stabilisce i diritti del bambino, ma siamo
ancora lontani.
D.: Quale caratteristica deve avere un progetto per bambini?
R.: Che sia un progetto che dia appoggio integrale al minore.
Integrale vuol dire completo e per lungo periodo, per tutte le sue
necessità, non solo per la minestra per un mese. Appoggio integrale
che stabilisca valori sociali, religiosi, fisici, spirituali ecc.
intervista n. 14
Giornalista.
D.: Come vede la situazione politico-sociale in Colombia?
R.: Una domanda molto complessa. Primo: la corruzione.
Secondo: il conflitto armato. La corruzione intesa come l’incapacità
dello Stato di garantire il sostentamento minimo alla popolazione. I
politici guardano più agli interessi privati che a quelli della nazione.
C’è una debolezza nella classe dirigente che non risponde alle direttive
dello stato. C’è un compromesso individuale che accentua il problema
della corruzione. I politici prendono beni dello stato per loro e non li
usano per i cittadini. Altro problema è il conflitto armato che dalla
decade degli anni 70 alla decade degli ottanta si è acutizzato, passando
dalla sola guerriglia alla presenza di un altro gruppo armato di difesa
privata, che è conosciuto come paramilitarismo. Abbiamo due eserciti
di guerriglia, uno di paramilitari e uno dello stato. È un conflitto molto
complicato che sta interessando tutta la Colombia e porta con sé
miseria e morte. C’è paura, in città come nei campi. La gente che si
schiera da un lato viene massacrata dall’altra fazione.
D.: Le ONG riescono effettivamente ad aiutare i bambini in stato
di miseria o di abbandono?
R.: Non sono sufficienti gli aiuti portati con i loro programmi
perché ogni giorno il conflitto diviene più grave. Aumentano i
desplazados. La gente arriva alle città ma non ci sono strutture
adeguate ad accoglierli e l’IBFC non ha mezzi per tutti.
D.: Il suo giornale ha mai proposto un programma per aiutare i
bambini desplazados o sensibilizzare l’opinione pubblica?
R.: Pubblichiamo articoli sul problema. È che la gente si abitua
alla violenza, a vedere la miseria. I notiziari televisivi propongono
continuamente violenza e la gente ci fa l’abitudine. Abbiamo
collaborato con Convidame per promuovere il loro lavoro e
raccogliere del denaro per i bambini. Quando usciamo con un articolo
umanitario lo facciamo disinteressatamene, ma non posso dirle quanta
gente risponde al nostro appello e quanti soldi arrivino a Convidame.
D.: Che pensa della famiglia colombiana?
R.: La famiglia è diversa per molti aspetti, ma in questo momento
la maggiore preoccupazione è la crisi economica. Molte famiglie si
spaccano per andare in cerca di lavoro, chi da un lato chi dall’altro,
inclusi i figli che devono collaborare per il sostentamento della
famiglia.
D.: Che diritti ha una bambina in prostituzione?
R.: C’è il codice del minore. Ma c’è anche il tramite giuridico che
è molto lento e complesso, con molta burocrazia. È tutto scritto ma è
tutto di difficile attuazione, specialmente in quei casi in cui si
dovrebbe intervenire subito. Molte volte le bambine sono ignoranti e
non conoscono i loro diritti, ma anche nelle loro famiglie non si
conosce il diritto. I difensori del popolo sono disponibili per
accogliere le denunce. C’è anche assenza dello stato nel difendere
queste ragazze.
D.: La principale violenza contro le bambine da chi proviene?
R.: Dai patrigni e dall’ignoranza. Maltrattate e violentate nella
famiglia. Anche il conflitto armato fa danni principalmente ai bambini.
Spesso i bambini vengono usati come scudi umani in una lotta
incontrollabile. Sono anni che c’è guerra e siamo abituati a vedere e a
sentire questi fatti.
D.: C’è volontà nel processo di pace in atto?
R.: Non vediamo un reale interesse della guerriglia a terminare
con la guerra. Speriamo. Forse si arriverà alla pace.
intervista n. 15
magistrato della procura di stato.
D.: Mi parla dell’aiuto ai bambini di strada?
R.: Il fattore più importante è la preparazione delle persone che
devono lavorare con dei bambini. E mi riferisco a tutti. Non si può né
si deve usare la violenza. La formazione dei maestri è importante in
questo momento che viviamo, con i problemi che abbiamo.
L’insegnamento deve formare l’uomo colombiano già nella scuola. Ma
si deve cominciare dai maestri. Sono stati fatti progetti di
autoformazione per i maestri, come quello di Teresa Armento per
conto dell’Università Cattolica, ma i progetti spesso non vanno a
termine per mancanza di fondi. In Colombia c’è molta violenza. Molti,
nascendo e crescendo, nelle stesse famiglie, ricevono violenza e poi da
adulti non sanno che ridare violenza. Nelle forme di maltrattamento
infantile si riconoscono anche quelle credute educative. I genitori,
nello strato medio basso, non conoscono altro metodo e per loro è
naturale che sia così. I bambini vedono la realtà in maniera diversa
dagli adulti. Per loro, il castigo dei genitori può essere accettato in una
logica pre- interiorizzata, e lui stesso, il bambino che vive in un dato
ambiente sociale, si dà una sua ragione del castigo che gli è inflitto.
Quando si vuole intervenire a modificare questi atteggiamenti, bisogna
farlo con molta attenzione, perché si possono spezzare degli equilibri
che si sono formati nella famiglia. Un bambino che vede il padre preso
dalla polizia (perché ha picchiato il figlio), né può avere un trauma più
grave di quello che gli potrebbero procurare le botte. Una casa fatta
con il fango e il cartone è un’oscenità per noi, ma per un bambino la
cui famiglia non possiede altro, quella capanna è la sua casa e lì dentro
il bambino si sente protetto più che in una scuola dove gli fanno pesare
la sua condizione. Si deve fare attenzione ai progetti che poi
s’intendono applicare su larga scala. Prima di fare ciò sarebbe
necessario vivere più da vicino con queste persone, con questi bambini
bisognosi, per non soffocarli con le varianti alla loro vita che
porterebbero i programmi. Un progetto deve essere completo per avere
un buon esito, ma il governo non dispone di bilanci tali che permettano
l’attuazione di programmi che abbraccino tutto lo sviluppo di cui
necessità la nostra società. Mancano la preparazione e l’organizzazione
dove magari arrivano i soldi per portare avanti un progetto.
D.: Qual è la soluzione?
R.: Una democrazia dove tutti imparino i loro diritti e tutti
imparino i loro doveri.
D.: Una soluzione per i bambini di strada?
R.: L’IBFC propone progetti che hanno durata di sei mesi. Non si
può lavorare con i bambini di strada su questi tempi così corti.
Servono tempi più lunghi. I processi umani di comportamento
richiedono di molto tempo. La socializzazione si fa con la ripetizione e
poi ancora con la ripetizione. Il progetto di padre Nicolò ci ha
dimostrato che solo la metodologia adeguata dà dei risultati. Ma padre
Nicolò lavora da moltissimi anni e i suoi progetti sono sul lungo
termine. Quando un gamin va da padre Nicolò e questi lo educa e lo
porta a conseguire una laurea, anche se capita che il labeling continui a
marchiare il giovane laureato con il suo passato di gamin, e che il
giovane non trovi impiego, è l’intervento dello stesso padre Niccolò a
trovargli un impiego. Ciò ha richiesto un lavoro e un’organizzazione
trentennale, ma dà buoni risultati.
D.: Perché lo stato non adotta il modello di padre Nicolò?
R.: Perché padre Nicolò ha dato tutto. Lo stato no. Qui c’è molta
corruzione. Nei programmi per bambini non c’è nulla da guadagnare,
si tratta di dare. E perciò interessa poca gente. I politici hanno interesse
nei programmi a breve termine, il cui periodo non superi il loro
mandato e ciò per ovvie ragioni di opportunismo. In Colombia è molto
facile per un genitore che non ha lavoro avere problemi con la
giustizia. Dove andranno i figli di queste persone? L’IBFC non è un
ente educativo. La sua natura è repressiva, perché i funzionari non
sono sufficientemente preparati per educare, quindi si viaggia verso la
repressione. I bambini presi in consegna dall’IBFC dopo un poco
scappano. Dove vanno? A dare sostegno alla loro famiglia, poiché il
genitore è in carcere. Che lavoro faranno? Furto e prostituzione, le vie
più facili per arrivare a un guadagno sicuro. L’ultimo drammatico caso
del serial killer di bambini, centoquaranta in pochi mesi, rivela che la
maggior parte di questi trucidati erano nella prostituzione per sostenere
la famiglia giacché il padre era in carcere o senza lavoro. Il sistema
giuridico non è adeguato per la protezione del bambino. Se un genitore
esce dal carcere, di certo non troverà un lavoro onesto, dati i suoi
antecedenti. Cosa potrà dare come insegnamento al figlio? Il bambino
apprende una regola: che delinquere è un modo per sopravvivere.
Apprende dal padre che la sanzione ricevuta dalla legge è
principalmente restrizione del diritto civile e politico. L’infrastruttura
giuridica non è adeguata a riabilitare né l’adulto, né a dare protezione
al minore.
D.: La sensibilità della gente di fronte al problema dell’infanzia.
R.: Non c’è opinione in merito. La società cerca principalmente
protezione per se stessa, dato il contesto. Ha paura di parlare di certi
problemi. Manca la coscienza sociale. Si usa spostare in massa, con
dei pullman, i gamin da una città all’altra, ma questo non risolve il
problema. La Colombia è una e il problema pure è unico.
D.: C’è guerra civile in Colombia?
R.: Sì. Le disparità sono troppo grandi. Oggi lo stato ha iniziato
un dialogo con la sovversione. Perché? Perché è uno stato con molti
problemi e deve sedere al tavolo con i guerriglieri perché non ha altra
scelta. La Colombia è in guerra da molti anni e sarà difficile estirpare
la violenza poiché essa ci viene come eredità. La gente si sente indifesa
e ci sono diverse manifestazioni di risposta a certi stimoli che
provengono da tutta una serie d’interrelazioni sociali. Per esempio, le
donne del ceto basso fanno molti figli perché esse, facendo figli con
uomini diversi, si sentono protette e garantite, perché non hanno altro
sostentamento. Nella classe alta la natalità è bassa. Nella classe bassa
non ci si fanno domande prima di procreare. Si fanno i figli
naturalmente e basta. Più cultura hai e più pensi. Meno cultura hai e
meno pensi ai problemi che ti circondano. Qui, da circa due anni, la
chiesa ha iniziato a sensibilizzare la donna affinché pianifichi le nascite
e non metta altri figli nella miseria. Però per un curato di campagna
non è facile fare questo tipo di propaganda. Come fa a dire a una
contadina di fare pochi figli, se nel campo le braccia servono e la
mortalità infantile è altissima. Nel campo dove, la contadina, che
avesse un rapporto sessuale con il profilattico, sarebbe capace di
pensare che sta commettendo aborto.
D.: Ha qualche cifra riguardante l’aborto in Colombia?
R.: I dati, i 500.000 aborti di cui si parla, sono della classe alta. La
classe bassa non si rivolge alle cliniche, ma lo fa in clandestinità. Non
concedere l’aborto è violare i diritti della donna quando la gravidanza
non è desiderata. Le bambine qui restano incinte molto precocemente.
Molti genitori della bambina puerpera, danno il loro nome al nascituro
che così viene a essere il fratello e non il figlio della bambina che l’ha
partorito. Ma ciò snaturalizza i ruoli dei componenti la famiglia.
L’aborto clandestino procura danni sia alla ragazza sia alla stessa
società, perché la donna che fa l’aborto si carica di risentimento verso
la società. I giovani non hanno educazione sessuale perché non gli
viene data, ma si pretende da loro la responsabilizzazione di fronte a
una gravidanza che magari non è voluta. Il problema dove si gonfia? Il
primo aborto si può capire: la famiglia aiuta la bambina a farlo. Ma al
secondo aborto la problematica non riguarda più il ginecologo che
pratica l’aborto. Siamo prossimi alla prostituzione e quindi sarebbe
necessario l’intervento di uno psicologo. Spesso è la famiglia che
decide se la bambina deve avere o no il figlioletto, il giovanissimo
padre non viene interpellato e anche qui si sbaglia, in quanto si violano
i diritti di divenire padre, ove desiderato.
D.: La ragazza che resta incinta è protetta?
R.: Non molto. Spesso è cacciata di casa per vergogna. Da parte
della famiglia del padre-bambino viene affermato che è stata la
ragazzina a sedurlo. A tal punto la ragazza madre ha già un figlio senza
futuro, perché non ci sono istituzioni che accolgono la ragazza madre.
D.: Cosa mi può dire dei bambini nella guerriglia?
R.: La gioventù colombiana si sta esaurendo. La guerra ne
richiede molti. Nella guerriglia ci sono ragazzi di tredici anni. A noi
mancherà una generazione. Molta gente è scappata fuori dalla
Colombia, soprattutto i professionisti e i loro figli. Per paura. Si spera
in un cambiamento, si spera che la pace vada in porto, si spera che i
politici corrotti vengano perseguiti, si spera che la narcoguerriglia
termini.
intervista n. 16
psichiatra infantile.
D.: Qual è la sua opinione sul gaminismo?
R.: È un fenomeno principalmente dovuto all’immigrazione.
Riguarda le grosse città dove la gente della campagna si è rivolta e
dove non ha trovato inserimento, finendo nel cinturone della miseria.
Come risposta al fenomeno del gaminismo, una delle più violente è
stata la “Mano nera”, un’operazione di pulizia sociale che elimina
fisicamente i gamines. Il gaminismo non nasce con una città. Il
gaminismo è un fenomeno importato, dalla campagna o da un’altra
città per opera delle squadre di “pulizia”.
D.: La salute mentale nei bambini delle famiglie povere.
R.: La gente povera si da conto di avere un bambino con problemi
solo quando questi inizierà ad andare alla scuola dell’obbligo, quindi
verso i sei anni. I poveri non possono mandare i figli all’asilo, quindi
una diagnosi precoce non è possibile. Sono i maestri ad accorgersi che
qualcosa non va nel bambino. Si trovano di fronte a una creatura
aggressiva, che non rende, che è difficile da controllare. I genitori non
si accorgono del dramma del loro figlio. Spesso nelle famiglie che
abitano lontano dalla città, le visite mediche non sono usuali. Non è
raro che i genitori chiudano il bambino in una gabbia per evitare che si
provochi ferite o che lo stesso aggredisca i fratelli o i vicini. Nel nostro
dipartimento esiste un solo reparto psichiatrico che può accogliere
bambini affetti da psicosi o altre sindromi. Ancora: abbiamo problemi
con le comunità indigene. Non accettano bambini che subiscono
mutilazioni. Essi vengono abbandonati nella giungla. Quando sono
portati qui, per noi inizia un doppio lavoro: prima con il bambino e poi
con la sua tribù affinché lo riaccolga.
D.: Il maltrattamento infantile.
R.: La parte più grave è la non assistenza del minore. La legge
protettiva esiste sulla carta, ma mancano i soldi per fare ciò che
andrebbe fatto. Un bambino ricoverato da noi richiede cure lunghe, ma
succede che sono gli stessi genitori che spesso vengono a riprendersi il
bambino da noi. Le turbe mentali non si originano solo per miseria, o
abbandono, ma anche per la guerra in atto. Un bambino che vede
trucidata la sua famiglia, o che viene lui stesso ferito a morte, subisce
un trauma che non è facile da curare. I familiari sopravvissuti pensano
che le nostre cure siano tempo perso e si riprendono il bambino. Una
successiva problematica è che le cure sono costose e i rimedi che
applichiamo, le medicine in altri termini, non sono proprio delle
migliori. La Colombia è al primo posto nel mondo per l’epilessia
temporale. La causa principale è legata al parto. Ciò si potrebbe evitare
se ci fosse attenzione pre-natale. In molti casi si deve applicare il
cesareo, ma bisogna saperlo. Molte spesso il maltrattamento del
bambino inizia durante la gestazione, per denutrizione della madre, per
alcolismo del padre, per mancanza di medicinali. Molti bambini sono
frutto della violenza carnale, e si crescono senza desiderio, con
fastidio. Prima della nascita già c’è maltrattamento. Alla mancanza di
affetto seguono le psicosi organiche transitorie, che fanno quello che è
detto il “bobo”, il ritardato.
D.: Qual è l’attenzione dell’IBFC verso questa problematica?
R.: Non esiste. Non c’è gente preparata. L’università statale non
produce psichiatri infantili. Quelli esistenti si sono laureati all’estero
ed esercitano privatamente. Forse il primo centro di psichiatria
infantile della Colombia sarà aperto nel 2000. Un piccolo ospedale
infantile di psichiatria a Bogotà è per pochi bambini, diciamo pure,
privilegiati. Siamo in un circolo. La produzione di psichiatri per
l’infanzia cresce con l’aumento della domanda di psichiatri infantili.
Ma ci deve essere la coscienza della malattia infantile. Cosa che non
esiste. Perché il piccolo malato mentale è ancora qualcosa di magico, il
bambino che non mostra coerenza è frainteso e si crede che egli stia
giocando o che stia fingendo. Perciò sono maltrattati dai genitori che li
vedono bizzosi e la catena si allunga fino a che un maestro non si
rende conto che qualcosa non va nel bambino. In Colombia non c’è
tecnologia medica per la neurologia. L’istituto neurologico di Bogotà
dei padri gesuiti ha visto il primo apparecchio per la risonanza. Non
c’è rispetto verso il diritto del bambino malato mentale se non si
riconosce la sua malattia. Gli stessi genitori ai quali è suggerito di
accompagnare il figlio da uno psicologo, da uno psichiatra, reagiscono
male, si risentono, la prendono come un’offesa alla famiglia.
Purtroppo non tutte le tare sono sanabili. La psichiatria e la psicologia
non possono arrivare a curare ogni disturbo o malattia, ma non volere
accettare che un bambino può essere malato è grave. Qui in Colombia
succede che anche un bambino con doti fuori dal comune, diciamo un
bambino genio, viene respinto dalla stessa scuola perché ritenuto
irrequieto, insopportabile. I maestri non captano che hanno di fronte un
bambino con intelligenza superiore alla media. C’era nella capitale un
istituto statale per bambini prodigio, ma è stato chiuso per mancanza
di fondi. In altri paesi il genio è salvaguardato dalle istituzioni, qui è
un problema da evitare.
D.: L’infanzia indigena presenta qualche tipo di problemi mentali?
R.: Le comunità indigene hanno lo stregone e i bambini sono
curati con rimedi naturali dallo sciamano. Almeno fino a che non si
presenta l’estrema gravità. La malattia mentale del bambino indigeno è
vista diversamente da quella del bambino non indigeno. Perché il
piccolo indigeno è visto come portatore di qualcosa di magico. Non è
appellato con la parola “bobo”. Anche nei piccoli paesi della costa il
malato mentale è accolto dal tessuto sociale e viene aiutato. È la
cultura che stabilisce la forma di malattia mentale. Nei paesi
industrializzati aumenta l’indice di depressione. Diciamo che più si
sviluppa la società e più si studia il problema mentale. In un paese
come il nostro dove la mortalità infantile è molto alta, vuoi per
malattie, vuoi per denutrizione, non c’è posto per dare l’attenzione ai
problemi mentali dei bambini. È triste ma è realtà. Quando una
popolazione giunge a un buon livello di vita, allora dà attenzione ai
problemi di salute mentale. Il rischio più grande per i bambini in
Colombia è la mancanza di affetto, che genera depressione. Qual è la
sintomatologia del bambino depresso? Non piange, non pensa alla
morte, come l’adulto. Sono aggressivi, timidi, malati immaginari i
bambini depressi; non fanno sport. Perciò sono sospesi o mandati via
dalle scuole, dai collegi, per le molte assenze. La conseguenza è un
cattivo rapporto con i genitori, il bambino finirà per andarsene nella
strada, dove troverà cattive amicizie, e comincerà con il boxer, con la
droga, una maniera per vincere la sua depressione. Le madri, a loro
volta, sono depresse, non hanno mai avuto comprensione e spesso
generano figli depressi. Nella strada il bambino deve sopravvivere e se
vuole sopravvivere deve sottostare alla legge del più forte, dove il più
aggressivo ha più possibilità, a sua volta, di sopravvivere. Adottare
uno di questi bambini non è sufficiente, perché egli ha disturbi della
personalità e deve essere seguito con le appropriate cure.
D.: Lei, come psichiatra, chiamato dall’IBFC per i test previsti per
le adozioni di minori, riferisce ai genitori adottanti la malattia che
turba il bambino?
R.: Sì. Perché per un bambino con disturbi della personalità è
importante continuare la terapia, anche se va a vivere in altra nazione
con genitori adottivi. Un disturbo della condotta va curato a fondo,
altrimenti si avrà uno psicopatico. L’uno per cento della popolazione è
psicopatico e non c’è guarigione. Il bambino della strada non è uno
psicopatico, ma il capo banda sì, è persona psicopatica e approfitta dei
bambini più piccoli. Il bambino di strada non è un delinquente nato,
ma è stato formato dalla società, che ha mancato nelle sue
responsabilità. Vediamo dal punto di vista della genetica. In una
prigione americana, per esperimento, fu fatto un esame genetico per
vedere i cromosomi su alcuni detenuti. Un certo cromosoma in più, x
y+y, rivelava un soggetto psicopatico. Il 40% presentava trisomia. In
Colombia, uno studio condotto in una prigione, ha rivelato che i
detenuti che presentavano trisomia avevano disturbo antisociale della
personalità. Ora un altro aspetto. La sociobiologia dice che il problema
è culturale-biologico. I sociobiologi dicono che non è la genetica che
determina la cultura, ma è la cultura che determina la genetica. Da
questo punto di vista un narcotrafficante con alto tenore di vita, genera
molti figli, con donne diverse. Siccome gran parte dei narcos sono
psicopatici, i loro figli saranno trafficanti di droga, per eredità genetica
prima e per l’ambiente che li circonda dopo. Sul bambino di strada,
che non è psicopatico, si deve intervenire per aiutarlo prima possibile.
Manca la cultura. A Bogotà c’è un laboratorio di genetica, dove si
fanno gratuitamente esami di cromosomi. Ma nessuno ci va. Quando
mi arriva un bambino difficile, aggressivo, violento, a un certo punto
devo iniziare a studiare i genitori, la loro mappa cromosomica. E
spesso capita che essi si accusino tra di loro, per mancanza di cultura.
Sarebbe bene richiedere, per ogni matrimonio, anche il certificato
genetico da far controllare da un medico. Si eviterebbe di mettere al
mondo bambini ritardati o con altri problemi. Qui in Colombia si può
parlare di pianificazione delle nascite solo dal 1991. Prima era vietato.
Com’è ancora vietato l’aborto. Lei non immagina i mezzi e gli
strumenti disgustosi che vengono usati per procurarsi un aborto. La
prima causa di mortalità di donne incinte qui è l’aborto clandestino a
causa di ciò che provoca alla donna. Chi ha soldi va in clinica e trova il
modo per abortire. Il problema è della gente povera. Uno dei costi
ospedalieri più incisivi è dato dalle cure per tentare di salvare le donne
che tentano di abortire per conto loro.
D.: Il bambino preferisce il gioco o la televisione?
R.: Il gioco, lo sport, sono importanti per l’equilibrio di un
bambino. Parigi, Londra, hanno parchi bellissimi dove i bambini
possono giocare in modo creativo. In Colombia i parchi non esistono.
Esistono le “fincas”, ma sono associate alla “ganaderia”, oppure al
lavoro dei campi. I bambini a Bogotà sono segregati in casa, innanzi a
un televisore. Ora se un bambino ha un televisore, vuol dire che ha
pure da mangiare. Ma sarebbe meglio se uscisse anche a fare una
passeggiata, una corsa in un parco. Dall’altro lato abbiamo i bambini
che vendono frutta ai semafori, dal mattino alla sera, e quando tornano
alla loro baracca, certamente il televisore non lo trovano. C’è un altro
fatto: che forse gli adulti hanno inconsciamente un po’ di fastidio per
quei bambini che sanno tutto di computer. Ma dobbiamo aggiungere
che c’è anche il culto della televisione, perché propone modelli,
cantanti, marche di scarpe e un bambino prende dalla tv queste
informazioni, le fa sue per non essere deriso dai compagni che ne
sanno più di lui in fatto di marche di scarpe; la tv diventa così mezzo
di comunicazione tra i bambini, diventa veicolo di una certa cultura.
Certo, la tecnologia ha un prezzo, magari in neuroni. Il cervello dei
bambini è sottoposto a un eccesso di lavoro. Prima fu inventata
l’automobile e dopo la cintura di sicurezza. I genitori devono fare
molta attenzione ai videogiochi, perché alcuni sono portatori di
messaggi troppo violenti. Il computer, Internet, sono pur volendo
giochi, ma è necessaria la presenza dell’adulto. Inutile dire che
computer, Internet, eccetera, sono una bazzecola di fronte alle brutte
notizie passate dai telegiornali di ogni giorno, senza contare che la
ripetizione della ripetizione della violenza crea l’abitudine nel
bambino. Una curiosità per lei che è europeo. Le favole dei Grimm,
Hansel e Gretel, portano con sé valori di alto contenuto. Ma in
Colombia sono difficili da trovare e se le trovi sono carissime, una
cifra che un operaio non può minimamente permettersi. La favola è
importante per un bambino e certamente il bambino sarebbe più felice
di ascoltare la madre che stare dinanzi al televisore perché c’è un
contatto differente, più carico di significato.
intervista n. 17
medico del seguro social.
D.: Come funziona il Seguro Social e l’assistenza ai bambini.
R.: Il Seguro Social partì negli anni 60, copia parziale di quello
messicano. La prima idea fu di creare un ente che desse attenzione
medica, assicurazione infortunistica e pensioni ai lavoratori. Dovevano
supportarlo tre entità: lo stato, i lavoratori, le imprese private. Lo stato
non ha mai dato un centesimo, in trenta anni, al Seguro Social. Lo
stato, in passato, ha però fatto pressioni sugli organi direttivi del
Seguro Social per far ottenere prestiti miliardari a istituzioni statali,
diminuendo così il capitale dell’istituto. A questo punto al Seguro
giungono i versamenti dell’imprenditore e del lavoratore,
rispettivamente 2/3 e 1/3, ossia il 12% del suo salario: l’impresa paga
l’otto e il lavoratore paga i quattro. L’inizio del Seguro: dare assistenza
100% al lavoratore per infermità comuni e infortuni del lavoro. Alle
donne si dava assistenza per la maternità, prima e dopo il parto e ai
bambini durante il primo anno di vita. Alcuni anni fa, nel 1990,
nuovamente il Seguro ritornò a copiare dal Messico e riprese quella
che si chiama Medicina Familiare, dove si ampliò la copertura a tutta
la famiglia. Adesso il Seguro copre tutta la famiglia e i figli fino a
diciotto anni o superiori ai diciotto ma con problemi mentali
permanenti. Ha aumentato, con la legge 100, la copertura medica. Nel
1993, con la privatizzazione della medicina, lo stato cedette le sue
obbligazioni della salute al capitale privato e passò al privato il
servizio medico, tanto che ora il servizio medico si gestisce in
funzione della redditività. Il Seguro Social agisce attraverso
l’assistenza privata. Questi servizi medici sono raggruppati nelle
E.P.S. (Empresa Publica Salud): sarebbe a dire imprese che prestano
servizi per la salute. Con le E.P.S. il servizio medico per i bambini è
migliorato. Pochi anni fa se una minore restava incinta perdeva il
diritto a essere assistita dal Seguro Social. Ora la minore è assistita in
ogni situazione. La licenza di maternità è stata portata a novanta giorni.
Anche il padre può avere la stessa licenza. Tutte le vaccinazioni per i
bambini sono fatte dal Seguro Social.
D.: I bambini di strada hanno diritto al Seguro Social?
R.: Sì. C’è il Regime Sussidiato, detto anche C.I.S.B.E.N., che
assicura gli strati bassi, uno e due. È un ente assicurativo municipale
che si regge con l’apporto dei grandi contribuenti. Le persone povere
hanno diritto alle cure mediche. La legge 100 penalizza chi, medico o
clinica, non presti assistenza d’urgenza ai poveri senza assicurazione.
D.: Si danno assegni familiari ai lavoratori?
R.: Soldi per ogni figlio? Non esiste. Solo carnet per assistenza
medica. Posso dire che nelle Forze Armate, per ogni figlio che nasce,
il padre riceve un aumento di stipendio del 30% e se si sposa del 50%.
Lo scapolo che si sposa e fa figli vede aumentare sensibilmente il suo
stipendio. Ma solo nelle forze armate. Un poliziotto guadagna, al
salario minimo, quanto un operaio, ossia circa 240.000 pesos. Però
nelle forze armate hanno medicine e ricoveri pagati dallo stato.
D.: I figli delle impiegate domestiche, visto il loro salario previsto
dalle leggi e dai contratti, più basso di quello dell’operaio medio, che
tipo di assistenza medica ricevono?
R.: Il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare sia la domestica
sia i figli, se quest’ultima è capofamiglia, anche se i figli non risiedono
presso la casa di chi dà lavoro alla domestica. La legge prevede che
dove lo stato non copre, sia il privato a coprire e qui i giudici sono
molto rigidi per le manchevolezze fatte per questo tipo di
assicurazione. C’è un paradosso: il Seguro Social è controllato dallo
Stato, ma non riceve un soldo dallo Stato. Lo Stato non assicura i
lavoratori, ma controlla che i privati assicurino i lavoratori.
D.: Atteggiamento di un medico privato di fronte a un’urgenza di
un bambino di strada.
R.: Quando c’è pericolo di morte ogni medico è tenuto a
intervenire. Quindi solo casi gravi. Chi può essere visitato per
appuntamento viene rimandato. C’è molta richiesta d’interventi di
urgenza e non è possibile visitare anche i casi normali. C’è attesa
anche per i casi gravi perché, materialmente, non c’è possibilità
d’intervento immediato per tutti. Si va in ordine di gravità. Ai bambini
gravi, per regola, è data precedenza sull’adulto. Si fa pur sempre una
valutazione di gravità. Prima dell’istituzione del Seguro Social era
presente la figura del medico di famiglia. Si creava una buona intesa
tra il medico e la famiglia. Spesso il medico diveniva padrino di uno
dei figli. Ora è sparito. Per i malanni si va in clinica o al consultorio.
Nel 1956 il medico di famiglia fu abolito. Subentrò il Seguro Social
con il suo modello messicano. Nel 1976 si configurò, nel Seguro
Social, il gruppo multimedico. Questo nuovo gruppo, dotato anche di
ambulanze, faceva interventi di urgenza sul luogo. Ogni gruppo
assisteva 120 famiglie e non poteva assistere famiglie che non erano di
sua competenza. Ma dopo alcuni anni anche il gruppo multimedico
fallì, sempre per mancanza di fondi, e fu abolito. Ora non esiste più un
centro di salute mobile. Gli affiliati del Seguro Social fanno la scelta
del medico in una lista di cento, ma devono ogni volta recarsi presso il
Seguro Social per l’assistenza e la diagnosi.
D.: Che si fa per i bambini con problemi mentali?
R.: Spesso le famiglie non si rendono conto che il loro bambino
ha un problema mentale. Non c’è cultura. Il fatto è ignorato,
sottovalutato. La sordità la si scopre solo quando il bambino va a
scuola. Lo stesso per le capacità intellettive. Non abbiamo psichiatri
infantili. Riconoscere un danno cerebrale è difficile. Una situazione la
si ricostruisce attraverso il racconto o l’interrogazione della madre. Ci
sono problemi mentali congeniti, altri legati al parto traumatico per
mancanza di assistenza prenatale. Il parto delle contadine è affidato a
mani inesperte, spesso con gravi conseguenze.
D.: Qual è la causa del maltrattamento infantile?
R.: Spesso è difficile da capire. Un padre che ha percosso il
bambino asserisce che una contusione è accaduta in maniera fortuita.
Solo dopo molteplici interventi di cura può nascere il sospetto del
maltrattamento. Un bambino che viene maltrattato deve essere
condotto ripetutamente al pronto soccorso. Il medico passerà all’IBFC
l’informazione e questo ente manderà presso la famiglia un assistente
sociale per verificare se c’è maltrattamento infantile.
D.: Come interviene l’IBFC per i bambini bisognosi?
R.: C’è assistenza. Dove non interviene il Seguro Social interviene
l’IBFC. Ad esempio in caso di labbro leporino. Ma ci sono anche
istituzioni private senza fine di lucro che pagano gli interventi
chirurgici per questi bambini.
intervista n. 18
pedagogo in italia presso la casa generalizia salesiana.
D.: Come funzionano le istituzioni governative per i minori?
R.: Le istituzioni governative si stanno dando da fare più che negli
altri anni. C’è maggiore attenzione per l’infanzia. I problemi politici
però permangono. Quello che più preoccupa il governo è di mostrare
che qualcosa fa. Mancano però i programmi integrali. Programmi che
seguano i bambini dall’inizio dell’azione di recupero fino al loro
completo reinserimento nella società; programmi che li aiutino a
comprendere la realtà, il perché di certi fenomeni e di certi
accadimenti, a intendere il loro passato, a recuperare i valori. Essi,
invece, dovrebbero essere veri protagonisti. Dopo il loro recupero ci
sarà il problema del loro reinserimento, perché manca una struttura
sociale che li accetti completamente e li formi. Molte volte, anche se
trovano lavoro, mancherà loro il senso della responsabilità, a causa di
una scarsa formazione di base. Ci sono altre istituzioni non
governamentali che rispondono a programmi più integrali, più
strutturati e che tengono in conto la gran problematica della Colombia.
Esse cercano di agire sia sul ragazzo sia sulla famiglia del ragazzo. I
salesiani con Bosconia accolgono più di 10.000 ragazzi con differenti
problematiche. Si cerca di dare una risposta strutturale alle loro
problematiche, facendoli sentire protagonisti. Padre Niccolò con il suo
programma varato nel 1970 ha eseguito il suo programma integrale,
accompagnando e aiutando i bambini fino a che non si sono realizzati
e reinseriti nella società. Il nostro aiuto è rivolto ai bambini più
bisognosi, di strada, in prostituzione, in guerriglia, desplazados,
dannificati, violentati, disoccupati, tossicodipendenti, paramilitari.
Cerchiamo di essere con loro anche se sono in situazioni illegali. Noi
crediamo nel recupero dei ragazzi per ristrutturare la loro esistenza. Un
modo per aiutare i ragazzi è quello di creare una rete che abbracci tutte
le aree problematiche. La nostra maggiore risposta alle problematiche
era nel dare educazione. Nelle scuole arrivano bambini della classe
povera, ma non della più povera. Questa classe non va a scuola. Non
né ha alcuna possibilità data l’estremo stato d’indigenza. Noi abbiamo
fatto tempo fa un programma scolastico per cento ragazzi poveri,
dando loro tutto. Dopo una o due settimane solo trenta frequentavano
la classe. Ciò significa che organizzare dei programmi senza guardare
alla problematica della famiglia è puramente inutile. Con la rete noi
vogliamo creare differenti centri, con caratteristiche mirate e adatte alle
disparate situazioni che accompagnano i bambini. Ossia istituti,
officine, centri giovanili e di preparazione ove il bambino impara e
lavora e comprenda la problematica della strada.
D.: Avete operatori di strada?
R.: A Bogotà i nostri programmi partirono dalle carceri minorili.
Capimmo che dovevano iniziare dalla strada. Entrare nelle loro bande.
Di notte. Perché di giorno ognuno di loro ha un modo proprio di
sopravvivenza. Di notte si riuniscono nella “gallada” e solo allora li
puoi avvicinare, dopo che ti sei guadagnato la loro fiducia. Le nostre
équipe sono formate da un minimo di tre operatori, un educatore, un
assistente sociale e un terzo membro che può essere un medico o uno
psicologo. L’importante però è guadagnarsi la loro fiducia affinché
vengano presso i nostri istituti, dove avranno assistenza, e nessuno li
obbliga a restare. Arrivano, si lavano, si nutrono, sono curati da un
medico, fanno un po’ di socializzazione e poi se ne vanno. Fino a che
non decideranno di restare.
D.: Che pensa del bambino della strada?
R.: Il bambino di strada nasce quando c’è ingiustizia sociale e non
solo in Colombia ma in tutto il mondo. È un problema strutturale della
nostra società, che riguarda tutti. Se in famiglia il bambino soffre la
fame, andrà nella strada a cercare. Se viene maltrattato dai genitori,
andrà nella strada a cercare protezione. Fame, maltrattamento, tensioni,
sfruttamento, spingono il bambino verso la strada. La strada è il posto
ideale dove il ragazzo si sentirà libero. Là si creerà la cultura di strada,
dove il bambino non si sentirà oppresso, dove parlerà un linguaggio
riservato ai soli abitanti la strada, incomprensibile agli estranei. Sono
stati pubblicati dei libri sul linguaggio dei bambini di strada,
sull’idioma parlato nella “gallada”, sulle regole della “gallada”. Il
bambino di strada africano nasce da una problematica differente.
Nasce dal rifiuto legato a motivazioni tradizionali. Ad esempio, se in
una famiglia, il padre perde il lavoro, o va male un affare, la colpa
viene data al più piccolo della famiglia, specie se è maschio, che sarà
cacciato di casa e per forza sarà un bambino di strada. Non potrà più
tornare in famiglia, dato che, secondo la credenza, egli è portatore di
influssi negativi. I motivi che creano bambini di strada sono socio
economici e poi familiari.
D.: Com’è il recupero dei bambini della “gallada”?
R.: È un recupero estremamente difficile. Bisogna prima di tutto
avere fiducia nel giovane. Questi ragazzi di strada vivono per la strada
e consumano boxer, che brucia i neuroni. Il nostro compito è di aiutarli
fino a dove possiamo. Il governo dovrebbe creare delle strutture dove
inserire questi ragazzi con il cervello bruciato dal boxer. Il programma
di don Niccolò funziona con i tre stadi che sono: la prevenzione,
l’attualizzazione e la conclusione del programma di recupero. Molti
ragazzi di Bosconia sono oggi ben inseriti nella società.
D.: I bambini colombiani ricevono sufficiente assistenza dallo
Stato?
R.: No. Non c’è neppure per gli adulti. Negli ultimi tempi le
persone che lavorano fanno assicurazioni private. I poveri non hanno
assistenza.
D.: Sei milioni di bambini poveri in Colombia sono reali?
R.: Sì. Il 20% della popolazione colombiana è in miseria.
D.: La famiglia colombiana che fase sta vivendo?
R.: Una fase di transizione, dove alla base ci sono ancora valori
morali e religiosi. Tradizionali. Che sostengono la famiglia e i figli. I
ragazzi che sono nella guerriglia o nel paramilitarismo o nel
narcotraffico, sanno di sbagliare, ma sanno pure che non hanno altra
alternativa. Questo mostra che ci sono alla base dei valori.
D.: Si può intervenire prima sul ragazzo?
R.: Nella famiglia. Sì. A livello politico, sì. Bisognerebbe creare
un gruppo unico istituzionale che lavorasse a 360 gradi sulla famiglia.
Politico, industriale, privato, religioso ecc. per creare una nuova
politica di protezione per la famiglia.
D.: Esiste protezione per il bambino ancora in grembo?
R.: Non ho le statistiche sugli aborti. Però la realtà è una: non c’è
educazione per la coppia al fine d’insegnare loro il controllo delle
nascite e a essere responsabili, perché la coppia deve sapere che il
mantenimento di un figlio costa.
D.: Ci sono educatori capaci d’insegnare educazione sessuale?
R.: Nel 1978 fu inaugurato l’insegnamento dell’educazione
sessuale. Ma il problema serio era che non c’erano professori preparati
a dare tale insegnamento. Qualunque professore poteva insegnare
educazione sessuale e per di più senza testi scolastici scelti dal
ministero. Questo nelle scuole pubbliche. Nelle private, che coprono il
30% della struttura scolastica, gli insegnanti sono preparati. Tuttora
non abbiamo persone sufficientemente preparate per tale
insegnamento. Prima bisognerebbe preparare gli insegnanti per questa
materia. Mancano le basi per insegnare a una coppia il minimo per
arrivare preparati al matrimonio. Gli educatori sarebbero i genitori, ma
essendo presenti i tabù, chi educa i figli?
D.: Esiste ancora il machismo?
R.: Il machismo è sempre esistito in forma camuffata. La donna
lavorava solo in casa, cresceva i figli, non amministrava soldi, non era
sentita nelle opinioni, poche donne facevano carriera. Ora si sta
cambiando.
D.: Nei cinturoni di miseria, intorno alle città, esiste machismo?
R.: Sì. Il machismo è un fatto culturale. Più basso è il livello
culturale e più forte è il machismo. L’uomo che non ha educazione
non darà mai spazio alla donna. Però la donna comincia a capire che
ha dei diritti e non sta più zitta, oggi la donna si ribella: se deve
menare le mani, le mena.
D.: La “limpieza social” uccide ancora?
R.: I privati organizzano operazioni di “pulizia sociale”, verso
bambini e barboni. Sono mercenari privati che uccidono:
paramilitarismo.
D.: Quali sono le conseguenze del “desplazamiento”?
R.: Destabilizzazione in tutto lo Stato. Più di 300.000 persone
vagano da città in città.
D.: Le cifre parlano di 1.200.000.
R.: Sì. In totale. Ma 300.000 sono le persone che non hanno
travato alcuna assistenza o alloggio e non hanno una fissa dimora.
D.: L’IBFC aiuta i “desplazados”?
R.: Principalmente sono le organizzazioni private e religiose che
danno aiuti ai “desplazados”. Chi soffre di più in questa situazione
sono donne e bambini. Dovremmo già parlare di un’infanzia senza
infanzia e di una gioventù senza gioventù. La situazione che sta
vivendo la Colombia non permette ai bambini di vivere la loro
condizione, il ruolo di bambini. I giovani non hanno cosa attendersi
dal futuro. Ogni giorno la situazione peggiora e non c’è una fine del
problema. Si distrugge economia, valori, tempo per la formazione
dell’individuo. La domanda che affligge i ragazzi è: quale futuro ci
aspetta?
D.: Serve creare altre istituzioni per bambini?
R.: No. Qui si tratta di creare un nuovo modo di lavorare con i
bambini. Le istituzioni governative sono assistenzialiste. Si
preoccupano dei bisogni primari. Invece si devono creare reti
d’intervento, dove il bambino possa entrare e svilupparsi fino a trovare
un lavoro e sia responsabile.
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la condizione dell`infanzia in colombia