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Teresa
Casini
un’offerta d’amore
per la santità dei Sacerdoti
Infanzia 3 • La “sepolta viva” 7 • Alla scuola della “poveretta” 9 • Fondatrice 11
La nascita delle Oblate 14 • Dall’Opera alle opere 15 • Gli ultimi anni della Madre 19
Le Oblate oggi 22 • L’attualità del carisma 25
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Infanzia
Fatto sta che furono in molti a sgranare gli occhi. Le famiglie di un casato ricco come quello dei Rayner, che aggiungeva
al rango anche la suggestione di forestieri proveniente da
mondi lontani – chi diceva Belgio, chi addirittura la Russia – e
la rappresentanza dignitosa e rispettata dei Casini, con salde
radici del posto, guidavano i passi di quella ben strana passeggiata diretta alla cattedrale dove tutto era pronto per il battesimo di una bambina che, inconsapevole di tutto, aveva già
richiamato su di sé, appena venuta al mondo, l’attenzione di
tutto il paese.
Nessuno poteva avere dubbi che la prima meta, dopo la
culla, dovesse essere la chiesa. Don Antonio1, il parroco, aveva
già preparato tutto con largo anticipo e senza trascurare il minimo particolare. Quasi con la stessa cura della liturgia battesimale, al termine della cerimonia, il parroco dispose, già aperto
INFANZIA
n corteo così a Frascati, ma anche negli altri centri dei Castelli
romani, non s’era mai visto. “Stravaganze di ricchi”, pensò
qualche bottegaio che vide passare, accanto al negozio, uno dopo
l’altro, quasi in fila indiana, tutti i mendicanti del paese.
Seguivano, con il passo che potevano, un piccolo gruppo leggermente staccato, in testa a quella che aveva tutta l’aria di una processione senza santi. O magari, chissà…
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Siamo negli ultimi anni dello Stato Pontificio, un periodo segnato da
rivolgimenti politici e turbamenti sociali. Ma queste cose sfiorano appena la
vita della piccola Teresa, che riceve un’educazione profondamente cattolica,
alimentata dalla partecipazione quotidiana alla Messa e dalla pratica regolare dell’elemosina ai poveri della cittadina.
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Panorama di Frascati.
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Infanzia
alla pagina giusta, il registro degli atti di nascita, custodito nello
scaffale più alto di una cassettiera a muro, sempre chiusa a chiave, e per questo anche un po’ misteriosa.
Teresa, Maria, Adelaide… Al nome successivo, dettato
dall’ingegnere Tommaso, padre della bambina, don Antonio
alzò contemporaneamente la penna e gli occhi dal foglio:
“Lutgarda?”. Benedetti nobili, pensò tra sé, rassegnandosi però
subito, dal momento che bisognava tener conto che, in aggiunta, si trattava anche di mezzi forestieri.
La penna, in quel tratto, attraversò il foglio quasi con prudenza, e non solo per l’attenzione che si doveva a quel nome
così inusuale. Fino all’ultimo quel battesimo si rivelava del tutto
speciale.
Un segno premonitore? Poteva anche darsi, ma il clima di
festa si sovrappose presto a tutto il resto e quello strano corteo che
s’era mosso in direzione della Chiesa, prese, dopo poco tempo, la
via opposta per il ritorno a casa.
Era il 29 ottobre del 1864. Teresa, Maria, Adelaide,
Lutgarda – secondo l’ordine dei nomi trascritto sul registro parrocchiale, aveva appena due giorni di vita, e divenne, così, la
primogenita di una famiglia di condizioni agiate.
I genitori di Teresa Casini: Melania Rayner e Tommaso Casini.
Tommaso Casini, purtroppo, muore prematuramente e
Teresa viene allevata soprattutto dalla mamma, Melania Rayner,
una giovane donna di origine belga, cresciuta in un ambiente
intellettualmente stimolante e ricco di contatti sociali, anche lei
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profondamente religiosa, ma molto lontana dal pensare per la
figlia un futuro da suora.
Dalle suore, comunque, Teresa compie gli studi perché,
come si usava nelle famiglie della buona società ottocentesca,
viene mandata a Roma, nel Collegio delle educande retto dalle
Sorelle del Sacro Cuore, a S. Rufina in Trastevere. Qui riceve la
prima comunione, il 7 maggio 1878, e avverte i primi segnali di
una vocazione religiosa in cui la devozione al Cuore di Gesù
avrà sempre un posto di primo piano.
Teresa, però, è anche una bambina dalla salute un po’
cagionevole e l’ambiente del convento, che pure tanto l’attrae,
sembra per altri versi respingerla provocandole continui malanni. Alla fine deve tornare a Frascati, dove la mamma, sempre
secondo le usanze dell’Ottocento, cerca di preparare il suo
debutto in società. Agli inviti alle feste, però, Teresa preferisce i
momenti passati in preghiera nella cappella di famiglia e la settimanale elemosina ai poveri. Inoltre sembra dare davvero poca
importanza alle cose per cui andavano, e tuttora vanno pazze,
le ragazze della sua età, tipo gioielli e bei vestiti. Ad un certo
punto la famiglia si trasferisce a Grottaferrata, nella casa del
nonno materno. Qui Teresa conosce l’Abate basiliano Arsenio
Cattedrale di Frascati: Fonte Battesimale.
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Infanzia
Pellegrini, una figura di sacerdote carismatico, intellettualmente
molto preparato e spiritualmente assai esigente. L’abate è alla
guida della famosa Abbazia di S. Maria di Grottaferrata dal
1882 e vi resterà fino al 1920, artefice della rinascita spirituale
della badia, fondata mille anni fa da S. Nilo, e pioniere del dialogo tra l’occidente latino e l’oriente ortodosso. Padre Pellegrini
sarà, per molti anni, il direttore spirituale e il consigliere di
Teresa, almeno fino al momento in cui la stanchezza per i troppi impegni e le tante responsabilità accumulate non renderanno
la sua direzione, prima tanto assidua e severa, distante e distratta. Ma perché questo avvenga devono passare parecchi anni.
Intanto, il desiderio di consacrarsi interamente a Dio si fa
sempre più pressante. Tanto intenso che, ad appena diciotto
anni, Teresa decide di diventare suora e Padre Pellegrini non
esita ad indirizzarla verso la più stretta clausura, qual’era quella praticata allora in un monastero romano di clarisse poco
distante dalla basilica di San Pietro in Vincoli, conosciuta da tutti
perché ospita la statua del Mosé di Michelangelo e la reliquia
delle catene che imprigionarono l’apostolo Pietro.
La clausura di quel monastero era talmente proverbiale che
gli abitanti d’intorno chiamavano le sue monache “le sepolte vive”.
Badia Greca di Grottaferrata.
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La “sepolta viva”
L’idea di passare tutta la vita in un posto del genere avrebbe spaventato qualsiasi ragazza diciottenne, anche se fortemente motivata alla vita religiosa. A Teresa, invece, l’idea entusiasma e basta.
A nulla valgono i tentativi della mamma di dissuaderla da un
passo tanto definitivo. Teresa entra tra le “sepolte vive”.
LA “SEPOLTA VIVA”
eresa intraprende con impegno il cammino della vita claustrale. Il suo comportamento è esemplare, conforme al proposito
che rivela alla maestra delle novizie nel suo primo incontro con lei:
“Madre, io sono entrata con l’idea di farmi santa, quindi mi metto
nelle sue mani”. Un’idea che aveva sin da bambina e che ora cresce fino a diventare un bisogno, una necessità.
Dedica molto tempo alla preghiera e all’ascolto interiore.
Una voce, dal profondo, sembra ammonirla: “sei entrata qui per
apprendere la vita religiosa, ma non per restarvi”. Dapprima
non la capisce, crede che sia una suggestione diabolica, però
continua ad ascoltare. Passa, anzi, ancor più tempo in orazione,
davanti al Santissimo Sacramento.
L’Eucarestia le dà sollievo e consolazione, spingendola a
meditare continuamente la passione del Signore, le indicibili sofferenze patite dal Suo Cuore, trafitto a causa dei peccati degli
uomini. Teresa sente che questa sofferenza continua, perché continuamente molte anime non corrispondono all’amore universale
di Gesù. Di fronte a tanta ingratitudine, cosa può fare una povera suora chiusa in un convento? Apparentemente nulla, eccetto
l’essenziale: assumere su di sé quella parte che è umanamente
T
Padre Arsenio Pelegrini, Abate.
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La “sepolta viva”
possibile sopportare, del dolore del Signore, per condividerne e
alleviarne in qualche misura la pena, e offrendo a Dio, attraverso una tale espiazione, quelle preghiere e quei sacrifici che altri
gli negano; portare a Lui nuove anime.
Nell’ambiente religioso del XIX secolo la devozione al
Cuore di Gesù, introdotta per prima da S. Margherita Maria
Alacoque, e la pratica della spiritualità “vittimale” non erano
una novità. Ciò che in Teresa appare nuovo è, però, l’intensità
con cui questa vocazione si fa largo nella sua anima ed i vasti e
impensati orizzonti di azione che, man mano, apre al suo spirito. Nella preghiera Teresa sente la sofferenza di Gesù e scopre
che ciò che più di tutto lo rattrista è il tradimento dei cuori che
proprio a Dio sono consacrati, in particolare i sacerdoti. Questo
dolore lo vede, nel senso mistico dell’espressione, come una
spina che trafigge il Cuore di Gesù.
La sua risposta è, allora, un sì incondizionato a tutto ciò
che il Signore vorrà chiederle. Tutto, in nome e per l’“opera” di
portare anime al Cuore Trafitto di Gesù.
Tutto, anche rinunciare alla permanenza in quel monastero
che pure immagina come la sua casa. Alcuni dubbi dell’abate
Pellegrini, che comincia a cercare per lei un istituto maggiormen-
Santa Margherita Maria Alacoque e il Cuore di Gesù.
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Alla scuola della “poveretta”
te centrato sulla spiritualità del Cuore di Gesù, e, soprattutto, un
grave peggioramento delle sue condizioni di salute rendono
impossibile prolungare la sua permanenza tra le “sepolte vive”.
A quasi due anni dal suo ingresso la badessa decide che
deve tornare a casa. “Signore, eccomi qui, fate quello che volete di me, se mi volete rimandare dalla vostra casa, vado, se volete ritenermi, resto e vi servirò”. Questa è la sua risposta.
La partenza, però, è dolorosa. In carrozza, la mamma ed
il nonno sono tornati a riprenderla. La buona donna spera per
sempre, ha perfino venduto la casa di Grottaferrata a una comunità di suore per ritornare a Frascati, il luogo dove la sua bambina aveva trascorso la fanciullezza.
Ma, giusto il tempo di rimettersi in forze, ed anche a
Frascati Teresa ricomincia a passare il tempo pregando il Sacro
Cuore di Gesù, nella cappella a Lui dedicata nella chiesa di S.
Rocco. Il suo voto, anziché scemare, si rafforza.
ALLA SCUOLA DELLA “POVERETTA”
uello compreso tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi
del Novecento è un periodo molto intenso della storia
della Chiesa e tuttora assai studiato e dibattuto dagli storici. Si
sviluppano nuovi fermenti. Alcuni destinati a maturare nel lungo
periodo, altri ad esaurirsi nel volgere di pochi anni. L’abate
Pellegrini, che si reca spesso a Roma e in Vaticano, viene a sapere che una donna, soprannominata “la poveretta del Cuore di
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Alla scuola della “Poveretta”
Per Teresa, indubbiamente, anche questa si rivela un’esperienza negativa. In prospettiva, però, pure questo insolito noviziato dimostra una sua provvidenzialità: se dalle clarisse aveva
imparato la vita religiosa, dagli errori della “Poveretta” e dalle
responsabilità che ha accettato di prendere durante la malattia
di quest’ultima e in seguito alla sua morte, Teresa apprende la
capacità di guidare altre donne. Ancora non lo sa, ma dentro di
sé, misteriosamente, è già diventata una fondatrice. Nessun istituto religioso sembra capace di accoglierla perché l’“opera” cui
è chiamata da Dio le chiede di crearne uno nuovo. Anche se ha
appena 23 anni.
L’esperienza, e la prudenza, consigliano a Padre Pellegrini
di prospettare a Teresa una soluzione diversa al suo desiderio di
farsi suora. Vivere, per il momento, da consacrata laica, in una
casa privata, praticando le preghiere e le pratiche di penitenza
più consone al suo spirito in attesa di conoscere meglio e più a
fondo la volontà di Dio nei suoi confronti, senza fretta.
Ancora una volta la risposta di Teresa è un sì senza condizioni.
Gesù”, vive ritirata nella soffitta della canonica di S. Lorenzo in
Damaso, insieme con poche compagne, che intendono fondare
la congregazione delle “Vere amanti del Cuore di Gesù”, una
comunità di suore di clausura stretta dedite alla finalità di aprire scuole di perfezione cristiana per sacerdoti e laici.
Poteva essere il nuovo istituto adatto alla tempra ed allo
spirito di Teresa, che vi viene indirizzata, nonostante qualche
perplessità sulla possibilità di conciliare la clausura stretta con
l’apertura di scuole. Teresa è accolta dalla “Poveretta”, ma
impiega poco tempo per rendersi conto che nemmeno questo
può essere l’approdo giusto per lei: il nuovo istituto, pure benvoluto dalle autorità religiose, manca di adeguata assistenza spirituale e la fondatrice non possiede le capacità di guidare delle
religiose. Teresa, memore del suo voto, accetta con buon animo
tutte le sofferenze e le incomprensioni che rapidamente si accumulano. Padre Pellegrini non tarda a rendersi conto dell’errore,
ma Teresa teme di mancare d’obbedienza non adempiendo alle
direttive della “Poveretta” o lasciando quella comunità.
Sarà la tubercolosi, la malattia sociale del tempo, a risolvere
il problema. Il male attacca la fondatrice che, amorevolmente assistita proprio da Teresa, muore ed in breve tutto il gruppo si scioglie.
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Fondatrice
FONDATRICE
omincia così una nuova avventura. Come si direbbe ai nostri
giorni, Teresa va a vivere da sola nella modesta stanzetta di
un appartamento sul corso cittadino, il cui unico lusso è un ingresso indipendente, un po’ con l’aiuto economico della famiglia, un
po’ arrangiandosi da sé con parecchi sacrifici. L’esperienza, pur
non facile, produce i suoi frutti: la giovane donna si impone una
piccola regola di vita che
rispetta fedelmente e, pregando, approfondisce la sua
fede, affina la vocazione, coltiva il carisma di fondatrice e
la spiritualità vittimale. Tali e
tanti sono i peccati degli
uomini, e tanto dolorosa è la
spina che le infedeltà dei
sacerdoti hanno conficcato
nel Cuore di Gesù, che nessun sacrificio le pare sufficiente ad alleviare il dolore
del Signore. Per questo imma-
gina che l’approdo finale del suo cammino non potrà che essere la clausura, l’espiazione perpetua, la totale offerta di sé fino
alla morte. Ma sente, da principio in maniera confusa, che Dio
non la chiama solo ad offrirsi, anche a fare qualcosa di concreto per i sacerdoti, a creare un’“opera”, appunto, che possa contribuire ad una positiva riforma del clero secolare. Che cosa, non
capisce bene, e per capirlo prega ancor di più, sottoponendosi
anche a dure forme di penitenza.
Presto non è più sola: il suo esempio comincia ad attrarre
altre ragazze, tra le quali Clorinda Canestri. Ad un certo punto
la stanzetta non basta più e il gruppetto si trasferisce in un
appartamento appena più grande. Purtroppo rinnova le sue visite anche la tubercolosi: Clorinda si ammala, deve tornare a
casa. Teresa la assiste fino alla fine, consapevole che stare
davanti alla sua compagna sofferente equivale a stare davanti al
tabernacolo del Santissimo Sacramento, perché si fa compagnia
a Gesù, presente nel dolore e nell’Ostia consacrata.
Clorinda muore, ma il suo posto viene preso da due nuove
giovani. L’offerta e l’espiazione totale di una vita ha prodotto
nuove vocazioni. Bisogna affittare, così, un appartamento completo, una cui stanza si trasforma in cappella. È quasi un mona-
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stero, il che spinge le sue ospiti ad adottare una specie di abito
religioso scuro, di stoffa assai povera. Ma crescono anche le
spese e, insieme con queste, i primi dubbi dell’abate Pellegrini
che ormai non si trova più ad essere solo il direttore spirituale di
un’aspirante religiosa ma la guida di una nuova comunità. Sarà
proprio volontà di Dio questa nuova fondazione? O forse il frutto di un peccato di orgoglio? Occorre mettere l’opera alla prova,
affidandola totalmente alla Provvidenza. Teresa, così, si vede
costretta, lei che appartiene ad una famiglia agiata, lei che desidera vivere ritirata in un chiostro, ad andare a Roma per sfibranti giri di questua lungo le strade. Come sempre, obbedisce, ma
è un sacrificio che le pesa moltissimo e desta forti incomprensioni nella sua famiglia. Le elemosine raccolte, inoltre, sono sempre
insufficienti rispetto al bisogno, pur contenuto al minimo del
minimo. Per fortuna, la Provvidenza interviene all’ultimo momento, attraverso vie e persone inattese.
Per sottrarsi all’incubo della pigione, prende una decisione coraggiosa: vendere la sua parte di eredità e iniziare, col
denaro raccolto, la costruzione di una residenza religiosa per sé
e per le nuove consacrate, a Grottaferrata. La famiglia le si rivolta contro, ma alla fine accetta la proposta anche se al pensiero
Casa di Fondazione.
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sola. Sei arrivata dove sentivi di dover arrivare per la tenacia della
tua fede, per la forza della tua volontà che ha amato Dio più di
qualunque altra cosa, più di qualunque altro bene sono stato più
spettatore che attore, nei tuoi confronti. A volte ho cercato perfino
di ostacolare il corso degli avvenimenti. Ma tu hai trionfato su
tutto, perché hai amato. Oggi il sogno si compie: il tuo e il mio!”.
Sembrava un punto di arrivo, il traguardo tanto atteso
dopo anni di sfibranti fatiche. Ma Teresa è ben consapevole che,
invece, si tratta della linea di partenza, che il suo lavoro, l’opera di portare anime a Dio, e particolarmente anime di sacerdoti, è appena all’inizio.
dell’affitto da pagare si sostituisce quello, che si rivela ben maggiore, delle spese per la costruzione, del vitto, del riscaldamento. Attraversa un tempo di angoscia e timore di avere sbagliato
completamente strada. Però, il pensiero costantemente rivolto
alle sofferenze della Passione del Signore le dona la forza di
andare avanti, nonostante tutte le apparenze e tutte le sempre
più dure richieste di “prove” e di giri di elemosine che le vengono imposte da Padre Pellegrini.
Le chiavi della casa arrivano, infine, il 12 ottobre 1892 e
sembra davvero un miracolo. Pochi giorni dopo, il 17, la piccola comunità di consacrate, che tali ormai sono state riconosciute
dalla Chiesa, prende possesso della nuova abitazione. Ancora
due anni e, il 2 febbraio 1894, si benedice anche la cappella del
nuovo istituto, nella quale, grazie al permesso del Cardinale
Vannutelli, viene conservato Gesù Eucarestia.
Intanto, nonostante le periodiche visite della tubercolosi, è
cresciuto pure il numero di queste prime “Vittime del Sacro Cuore
di Gesù”, che ora sono in sei. Perfino Padre Pellegrini, che pure
non abbandonerà più un certo scetticismo sul futuro di un’opera
che egli stesso ha fatto nascere, si lascia andare ad una significativa confessione: “Teresa... hai saputo lottare con coraggio, da
Cappella della Casa di Fondazione.
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LA NASCITA DELLE OBLATE
e “Vittime del Sacro Cuore di Gesù” non hanno ancora una
regola canonicamente definita, ma seguono un modello di
vita che, in pochi ed essenziali princìpi, sintetizza la loro aspirazione alla condivisione della sofferenza di Gesù e al sacrificio di
sé per il bene delle anime: “clausura completa, tolto anche l’uso
del parlatorio. Il silenzio pressoché continuo. L’esercizio dell’annegazione della propria volontà, senza eccezione. Una perfettissima vita comune e povera, quanto il comportino le necessità
della vita. Un moderato esercizio di mortificazione esterna. Il
lavoro delle mani. La preghiera”.
Una scuola dura, che però, proprio grazie alla sua radicalità, attrae. Passano ancora due anni e le “Vittime” diventano
tredici. La bontà dell’albero si vede dai suoi frutti e il fiorire delle
vocazioni fuga, seppur con una certa lentezza, gli ultimi dubbi
delle autorità ecclesiastiche e facilita, attraverso i soliti ed inaspettati canali, il lavoro della Divina Provvidenza che interviene
per pagare i conti dei muratori e procurare il pane e la verdura
per il quotidiano sostentamento delle sorelle.
Di tutto questo, purtroppo, solo una persona sembra non
accorgersi. Il direttore spirituale del monastero, Padre Pellegrini,
pone difficoltà, rallenta il cammino verso le vestizioni, raffredda
l’entusiasmo delle suore dicendo che l’Istituto non ha futuro e
morirà con loro, sempre che non se ne tornino tutte nelle loro
case prima. Il comportamento indifferente del direttore spirituale
diventa la spina del cuore di Teresa che sopporta la situazione
pregando per lui. E per altri sacerdoti per i quali, attraverso una
sempre più fitta corrispondenza, giungono, anche dall’estero,
richieste di “intervento spirituale”.
Tutto appare ben avviato, anche se sopraggiungono
segnali opposti: alcune suore rinunciano, altre creano o fomentano dissidi, mettendo in discussione le direttive della fondatrice
le cui forze e la cui salute, provate da tanti anni di patimenti,
cominciano a ridursi. Uno alla volta, con serena pazienza e
tranquilla determinazione, i problemi vengono risolti da Teresa
che aspetta e sopporta. Certa che quel che non viene da Dio non
dura a lungo mentre ciò che risponde alla sua volontà presto o
tardi emerge con chiarezza.
A confortare le suore arrivano apprezzamenti autorevolissimi. Quello del Vescovo di Frascati Cardinale Francesco Satolli,
innanzitutto, e poi un’udienza da Papa Pio X, nel 1903, che invita Teresa a “proseguire l’Opera senza lasciarsi spaventare dalle
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difficoltà che sono indispensabili nei principi delle opere di Dio”.
L’invito si rivela quanto mai opportuno perché sulle “Oblate del
Cuore di Gesù” – come si chiamano adesso – piove ora un’altra
accusa: quella di essere troppo povere, per colpa dei debiti
ancora da pagare e per la troppa generosità della fondatrice
che accoglie le novizie senza chiedere loro la tradizionale
“dote” da portare in soccorso delle finanze del monastero.
Teresa non si scompone e si difende con forza: “Se l’opera ha sempre progredito, perché mai temere che la Provvidenza
possa ritirare la sua protezione? Certo che quando per la sola
colpa di essere povera si farà comprendere che quest’opera non
può più essere tollerata, allora a noi non resterà altro che
abbandonare la diocesi, sicure che il Signore ci seguirà ovunque
e continuerà a proteggere la sua opera”. Come si vede, il fatto
di sentirsi ed offrisi “vittima” non impediva a Teresa di esprimere chiaramente la sua opinione, quando la coscienza le suggeriva che era necessario. Fermo restando che, se le fosse stato ordinato di chiudere od andar via, ella avrebbe prontamente obbedito. Ma questo non succederà mai.
Nel 1908, alcune divergenze con Padre Pellegrini circa le
costituzioni che quest’ultimo vuole ora imporre alle suore, senza
averle mai consultate a riguardo, sono la goccia che fa traboccare il vaso. L’abate perde la pazienza, se ne va e, col parere
favorevole della Curia, viene prontamente sostituito da un “confessore straordinario” marista.
Il passaggio è importante perché si accompagna ad un’evoluzione dell’Istituto che, dalla clausura stretta, si apre verso l’esterno. Senza modificare in nulla i punti cardine della spiritualità
vittimale delle Oblate (del resto la parola “oblata” vuol dire proprio cosa o persona totalmente offerta a Dio), le suore cominciano a rispondere ad alcune richieste di servizio che arrivano loro
dai fedeli e dalla diocesi.
DALL’OPERA ALLE OPERE
l primo campo d’azione delle Oblate è, con straordinaria
intuizione, quello delle famiglie, nelle quali Teresa già allora
scorge quei germi di disgregazione che tanti problemi producono, ai nostri giorni, alla società civile ed alla Chiesa. Si comincia con semplici “scuole di lavoro”, create con pochissimi mezzi
per insegnare alle ragazze di più umile condizione alcune pratiche nozioni di economia e lavoro domestico, il catechismo e la
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capacità, quando necessario, di riportare “anche gli sposi traviati sul retto sentiero della Fede”.
L’iniziativa ha un successo davvero inaspettato, al punto
che le ragazze finiscono con l’avere un tale desiderio di andare
a lezione dalle suore da non farsi più vedere in parrocchia.
Parrocchia che, a Grottaferrata, coincide con l’Abbazia di Padre
Pellegrini. Per evitare nuove incomprensioni ed ostilità, l’esperienza viene trasportata a Roma, sotto forma di educandato. La
risposta della capitale è molto buona: Teresa si trasferisce a
Roma e, nel volgere di pochi anni, arrivano richieste di aprire
altri educandati da varie diocesi.
L’Istituto delle Oblate si orienta perciò verso la vita attiva.
Per Teresa il passaggio presenta qualche rischio. Come avrebbe potuto il suo ancor giovane e piccolo Istituto rispondere e
resistere agli innumerevoli bisogni di una società in rapida
evoluzione?
Ancora una volta, la decisione finale viene presa con il
metro dell’obbedienza, rinforzato da una riflessione che matura
lentamente e rappresenta, per così dire, la quadratura del cerchio: ella ha sempre desiderato, insieme con le compagne, sacrificarsi per portare anime a Dio, particolarmente anime di sacer-
Castelletto Medici a Roma.
doti. Aiutare le giovani destinate a diventare madri a generare
figli cristiani, e poi, magari, aiutare quelli tra questi che presentino i segni di una vocazione a coltivarla e maturarla nel migliore dei modi può essere il modo più efficace per portare a compimento il carisma dell’Istituto: lavorare per la santificazione dei
sacerdoti e portare nuove anime a Dio.
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Con il pieno sostegno del Cardinale Satolli e di altri autorevoli prelati, è proprio questa la via che intraprendono le oblate. Di conseguenza, agli educandati (un’esperienza destinata a
ridimensionarsi per il progresso dell’istruzione scolastica) si
affianca l’accoglienza dei bambini orfani o abbandonati, all’accoglienza dei bambini la loro istruzione e, per alcuni di loro, la
preparazione all’ingresso nel seminario.
Era accaduto, lungo gli anni, un fatto naturale: lo spirito di
preghiera, l’umiliazione, l’obbedienza e quel sacrificio senza limiti
che porta all’espiazione, avevano agito insieme, e più che respingere il mondo, l’avevano invece attratto e reso misteriosamente più
vicino, come se proprio in quel luogo di nascondimento, i drammi e
le tragedie trovassero un’eco più vera e più profonda. Quella che
poteva sembrare una fuga dal mondo, si rivelava, sempre più chiaramente, un modo per vedere più da vicino i problemi per affrontarli innanzitutto dalla parte del cuore. Come testimonierà anni
dopo l’oblata Maria Clara D’Amico, lo scopo principale dell’Istituto
restava quello di pregare e santificarsi per la santificazione del clero
e da questo, in secondo luogo, era maturato quello di “prendere
bambini, educarli e formarli molto bene e, se avessero avuto il
germe della vocazione, indirizzarli al sacerdozio”.
La prima guerra mondiale, con il suo carico di lutti e di distruzioni, provvede a condurre alla porta delle suore tanti piccoli bisognosi, per i quali Teresa si rivela “madre” in tutti i sensi della parola.
L’arrivo dei “Piccoli Amici di Gesù”, come saranno chiamati, induce Teresa anche a scrivere un utile trattato sul modo di
insegnare il catechismo ai fanciulli.
Piccoli Amici di Gesù.
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Va precisato, a questo punto, che Teresa Casini, pur avendo ricevuto un’educazione accurata, propria del rango della sua
famiglia, non ebbe mai inclinazioni accademiche o desiderio di
scrivere libri. L’elevatezza della sua spiritualità ci viene testimoniata, però, non solo dal ricordo delle consorelle ma anche da
alcuni opuscoli e da diverse “conferenze” da lei preparati per le
suore. Tenendo conto che la presenza discontinua dell’Abate
Pellegrini la obbligò in più di una occasione a fare da consigliere spirituale alle compagne.
Anche questa tappa della vita di Teresa Casini, come tutte le
altre, non le risparmia fatiche e difficoltà. Non tutti, anche all’interno della Chiesa, considerano giusto affidare a delle donne, ancorché consacrate, l’educazione di futuri sacerdoti. Qualcuno si
lamenta del metodo, che sarebbe troppo blando, adatto tuttalpiù a
formare bambine alla vita domestica, e non futuri sacerdoti alle
durezze dell’apostolato, altri accusano le suore di superbia.
Teresa sopporta, confortata dal fatto che, a dispetto delle
chiacchiere, il numero dei Piccoli Amici cresce sempre di più ed
anche il metodo educativo (in cui si vede anche la mano del
nuovo direttore spirituale don Perrone) dimostra la sua validità,
per molti aspetti allora veramente innovativa: niente mezzi estre-
mi e tantomeno punizioni corporali, ma persuasione, dialogo,
esempio e linguaggio adatto alle capacità di comprensione dei
più piccoli. Come suggerito nel catechismo di Teresa.
Col crescere dei bambini, si fanno anche delle gite a Roma
o fuori porta, per una salutare partita di pallone.
Nel 1925 viene chiuso l’educandato femminile ed il lavoro delle Oblate viene assorbito tutto dai Piccoli Amici che il
nuovo Vescovo di Frascati, Michele Lega, porta anche dal Papa.
Ha buoni motivi per farlo perché parecchi seminari, compreso
quello Romano, e noviziati di ordini religiosi aprono le porte ad
alunni provenienti dalla scuola delle suore. I quali, in non pochi
casi, si fanno onore negli studi, ad ulteriore smentita delle insinuazioni sulla validità della loro educazione.
Nello stesso anno, quello del “Giubileo della riconciliazione”, Teresa incontra il Vescovo di Foggia, Fortunato Maria
Farina, ammiratore e sostenitore dell’opera delle Oblate. Al
punto da invitarle ad aprire un collegio di Piccoli Amici nella sua
diocesi pugliese, iniziativa che si concretizzerà nel 1929 dopo
un lungo e memorabile viaggio in treno di cinque piccoli e poche
suore. Da questo seme germoglierà, nel 1933, il “Piccolo
Seminario Vescovile” di Foggia.
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Esito opposto ha, invece, il progetto di costruire una nuova
e capiente casa per i Piccoli Amici a Tormarancia, una zona
periferica di Roma. La cerimonia della posa della prima pietra
viene turbata da un attacco di paralisi che colpisce Teresa, anche
se ella poi sembra, almeno in parte, guarire. La costruzione si
blocca sul nascere, a causa di promessi finanziamenti che non si
concretizzano per colpa di speculatori senza scrupoli. Alla
prima pietra, così, segue solo una pietra sopra.
Il fallimento viene però almeno parzialmente riscattato
dalla partenza di alcune suore per gli Stati Uniti. Nate e cresciute nella piccola Grottaferrata, le Oblate ormai varcano l’Oceano
dando alla giovane congregazione un respiro universale come
quello della Chiesa di cui sono figlie.
Grottaferrata di quando era
solo una giovane aspirante
religiosa, Teresa compie questo ultimo viaggio, consapevole che sta arrivando il
momento di fermarsi e di affidare ad altri tutto quel che ha
fatto in nome di Gesù. Questa
prospettiva, però, non la
turba: sin dall’inizio ha desiderato offrire a Dio tutta se
stessa e l’offerta della propria
vita è solamente l’ultimo
necessario anello di una catena di sacrifici intrapresi per
Madre Teresa con Mons. Perrone.
portare anime a Gesù.
Teresa è costretta a letto. Ma questo non significa per lei
inattività. Tutt’altro. Con il pensiero sempre rivolto al bene e al
futuro dei Piccoli Amici, ella trasforma il suo giaciglio di ammalata in cattedra da cui esercitare la funzione di guida delle consorelle e dell’Istituto delle Oblate. La porta della sua stanza si
GLI ULTIMI ANNI DELLA MADRE
un anno di distanza da quello del 1925, Teresa subisce un
altro attacco di paralisi dal quale, stavolta, non riesce a
riprendersi. I medici le suggeriscono di cambiare aria. Quella di
Grottaferrata è meno umida della romana e così, certamente
ripensando ai suoi precedenti ritorni da Roma a Frascati e
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apre a chiunque abbia bisogno di un colloquio con lei. Arrivano
visite anche dall’esterno. Una donna le si presenta su invito di
Padre Pio da Pietrelcina, il quale non ha mai incontrato Teresa
Casini ma, attraverso le misteriose vie delle anime mistiche, la
conosce bene come “vera vittima” del Cuore di Gesù. La donna
si trattiene per due ore dopodiché torna a casa raggiante per
quell’incontro “provvidenziale per la sua anima”.
A volte Teresa ascolta parole che vorrebbero consolarla
della sua malattia, cui risponde, invariabilmente, con un: “Figlia
mia, perché mi devo lamentare? Io offro tutto al Signore”. Più dei
dolori la rattristano alcuni malumori che sorgono, all’interno
stesso della casa di Grottaferrata, quando, su richiesta dei rettori dei seminari Minore e Maggiore di Roma che hanno deciso di
allungare alla prima e alla seconda ginnasiale il periodo di preingresso nelle loro strutture, viene affidato alle suore anche questo compito educativo. Il che comporta, aumentando l’età dei
fanciulli da educare, la creazione di un nuovo collegio.
Lo stesso desiderio di essere più vicine alla loro madre
malata, di entrare a far parte di una immaginata cerchia di predilette provoca l’invidia di qualche sorella e mormorazioni che
arrivano fino al capezzale di Teresa. Che prega, ascolta e scri-
ve alcuni opuscoli, offerti in dono alle sue suore in occasione di
particolari festività. Si intitolano “Lo spirito dell’Istituto” e “La mia
vita sotto lo Sguardo Divino”. Senza pretese letterarie esprimono il desiderio di definire ogni aspetto del carisma delle Oblate
e indicare la via per restare fedeli alla vocazione originaria,
contro ogni tentazione di smarrimento.
Nel 1937 la malattia giunge al termine del suo corso.
Quattro Piccoli Amici del Seminario Romano ottengono il permesso di un’ultima visita. Don Cosimo Petino trova il coraggio di
dire: “Madre, ora non deve morire, perchè deve assistere alla
mia prima Messa, che celebrerò nel prossimo anno”. Teresa, che
tante volte ha chiesto a Dio proprio questa grazia, di assistere
alla prima messa di uno dei suoi Piccoli Amici, sussurra: “Io non
ci sarò più. Tuttavia, se Iddio me lo permetterà, io assisterò in spirito al lato dell’altare, mentre tu celebrerai la prima Messa”. E
allora Don Cosimo: “Da che parte si metterà, Madre?” “Dalla
parte che vorrà il Signore”.
La sera del 2 aprile, profittando di un breve miglioramento,
Teresa riceve il sacramento della riconciliazione. Afferma: “sto
tanto tranquilla. Sento Dio vicino a me”. Sono le sue ultime parole. Muore, serenamente, nelle prime ore del mattino del 3 aprile.
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Per tre giorni la casa delle Oblate di Grottaferrata è meta
di un continuo pellegrinaggio. Tutto il paese vuole rendere omaggio a colei che tutti considerano una santa. Proprio quel paese
che, quando era giovane, le aveva voltato le spalle, non la capiva, la prendeva in giro perché, pur di famiglia altolocata, vestiva
di stracci e portava le fascine di legna da ardere sul capo, come
le contadine, ora non la vuole mollare più, riconosce che è stata
una madre per tutti, piccoli e grandi amici di Gesù.
Madre Teresa Casini viene sepolta, provvisoriamente, nel
cimitero cittadino. Tornerà nella sua casa di Grottaferrata, come
si è detto all’inizio, dopo la seconda guerra mondiale. Nel
1938, ad un anno di distanza dalla sua morte, viene ordinato
sacerdote il primo seminarista proveniente dai Piccoli Amici.
I funerali di Madre Teresa.
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Le Oblate oggi
LE OBLATE OGGI
a catastrofe della guerra mondiale, che travolge direttamente il territorio dei Castelli Romani, non risparmia l’Istituto delle
Oblate del Sacro Cuore, che patiscono la fame e dispensano
comunque aiuti e ospitalità alle persone che bussano alla loro
porta. Tra gli assistiti ci sono anche alcuni sacerdoti che si ritrovano abbandonati, bisognosi di cure, senza nessuno. È il segno
di un nuovo campo di apostolato, destinato ad espandersi. Il collegio di Villa Doria si trasforma in una specie di “pronto soccorso sacerdotale”. Molte suore, inoltre, vengono chiamate nelle
parrocchie dai parroci di Roma. Dalla clausura, alle opere apostoliche; dai “Piccoli Amici” all’assistenza ai sacerdoti, anche
fuori dall’Istituto... il carisma di Madre Casini dimostra una sorprendente flessibilità nell’adattarsi a nuove situazioni e nuovi
bisogni. A qualcuno sembra, forse, un percorso un po’ contraddittorio e facile agli scossoni. Altri, i più, vedono in questa evoluzione lo sforzo costante di essere in ogni momento utili strumenti di servizio al progresso della santità sacerdotale.
Il servizio nelle parrocchie produce una nuova realtà,
quella delle sorelle aggregate. Sono donne mature che aiutano
le suore nel servizio ai sacerdoti, pronunciando voti temporanei.
Nel 1950 le Oblate devono abbandonare la residenza di
Villa Doria, richiesta dai proprietari. Fortunatamente si rende
disponibile un casale poco distante. Grazie all’intervento di
Monsignor Ernest Moodie, un prelato americano in possesso di
buone disponibilità finanziarie, l’edificio viene ottimamente adattatato alle necessità di una casa d’accoglienza per sacerdoti, con
una capienza di sessanta posti letto ed un parco attrezzato. Con
il passare degli anni il complesso subisce continui miglioramenti,
diventando l’attuale “Villa Maria SS. Assunta”, la casa sacerdotale delle Oblate.
Parallelamente, il collegio dei Piccoli Amici si struttura tra
convittori e semiconvittori esterni, aumentando lo spazio disponibile per i sacerdoti che formano, così, una vera e propria
comunità. Proprio quella comunità sacerdotale immaginata, tanti
anni prima, da Teresa Casini.
Oltreoceano, le Oblate si stabiliscono in Ohio nel 1949, e
poi nel Maranhao (Brasile) nel 1966, compiendo così, anche la
scelta missionaria, sempre in nome del servizio ai sacerdoti.
Nel 1960, le Oblate trasferiscono la loro casa generalizia
in un nuovo fabbricato a Via del Casaletto. Grottaferrata,
comunque, resta la casa madre dell’Istituto, particolarmente cara
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alle sorelle perché custodisce le spoglie della fondatrice, che in
seguito saranno trasferite nella Casa Generalizia.
Siamo arrivati, ormai, all’epoca del Concilio Vaticano II
alla luce del quale l’apostolato delle oblate appare per molti
aspetti anticipatore dei tempi. Secondo Renato Luisi, Vescovo di
Nicastro, Madre Teresa Casini ha anticipato, con la sua opera,
ciò che il Vaticano II ha scritto nel decreto “Presbyterorum
Ordinis”, dedicato ai sacerdoti, soprattutto laddove si invitano i
Via del Casaletto.
Villa Assunta, Roma.
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sacerdoti a perseguire la via della santità facendosi i più alti
testimoni dell’amore di Cristo. “Teresa – disse Monsignor Luisi
commemorando il trentesimo anniversario della scomparsa di
Madre Casini – contemplava questo vertice della santità come se
le appartenesse in proprio”. Da questa appartenenza derivava
tutta l’azione delle Oblate: pregare per i sacerdoti infermi e per
quelli perseguitati, per i moribondi e per i defunti, per i tentati e
per quelli caduti lungo il cammino, aiutandoli tutti, memore di
quella spina che non cessa di angustiare il Cuore di Cristo.
Questa sollecitudine per i Sacerdoti porta le Oblate ad
aprirsi apostolicamente su altre frontiere. Nel 1992 in Guinea
Bissau (Africa) e in Kerala (India).
Brasile.
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USA.
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L’attualità del carisma
L’ATTUALITÀ DEL CARISMA
lle origini della spiritualità di Teresa Casini troviamo,
indubbiamente, la devozione al Sacro Cuore di Gesù, tipica del periodo storico in cui nacque la fondatrice delle Oblate.
Sarebbe però profondamente riduttivo considerare oggi,
all’inizio del terzo millennio, ottocentesco o comunque sorpassato, il suo carisma. Esso, viceversa, è straordinariamente al passo
con i tempi e merita di essere riscoperto e rivitalizzato.
L’azione di Teresa ha accompagnato, e forse per qualche
aspetto anticipato, tutto lo sforzo di rilancio della santità sacerdotale compiuto dalla Chiesa, nell’arco di tempo teso tra il
Concilio Vaticano I e il Vaticano II, per porre rimedio a situazioni di decadenza che, oltre a danneggiare le anime nulla avrebbero potuto opporre contro l’avanzare delle ideologie atee e
materialistiche e della secolarizzazione.
Alla luce di questo condiviso bisogno di riforma, anche
l’aspetto più propriamente “vittimale”della spiritualità di Teresa
(quello, certamente, più difficile da comprendere oggi) perde
ogni connotazione patologica. Teresa non cerca il sacrificio per
il gusto di soffrire o per una sorta di morbosa gratificazione fine
a se stessa. Tutt’altro: la ragione sta nella costatazione della gra-
vità dei peccati degli uomini, e dei sacerdoti in particolare, perché rinnovano la sofferenza del Cuore di Cristo. Partecipando
della sofferenza di Cristo, si compartecipa della sua azione di
salvezza e così non solo si “ripara” al dolore di Dio, ma si propaga all’umanità il dono della salvezza e della redenzione.
Opera tanto necessaria nel secolo scorso quanto urgente anche
in quello attuale e nei futuri.
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L’apertura, spirituale e mentale, di Madre Casini, è chiaramente testimoniata proprio dall’evoluzione dell’Istituto. Le
Oblate hanno affrontato, specie all’inizio, sacrifici e rigori notevoli, ma di fatto non vi è nulla di rigidamente preordinato nel
loro offrirsi a Dio. I modi variano nel tempo e a seconda del sorgere di nuove esigenze. In attento ascolto dei segni dei tempi e
dei bisogni della Chiesa, le Oblate, oggi, esprimono il loro carisma attraverso l’accompagnamento e il sostegno delle vocazioni
e la vicinanza operosa al ministero sacerdotale.
Nel compito loro affidato di “accompagnare queste anime
dall’alba al tramonto della vita”, si dedicano:
• alla formazione umana e cristiana dei bambini nelle scuole, per favorire le vocazioni di speciale consacrazione;
• all’accoglienza dei Sacerdoti, in case che favoriscono la
fraternità, affiancandosi ad essi nelle loro varie e quotidiane necessità;
• alla pastorale parrocchiale e diocesana a favore delle
vocazioni.
La cosa veramente fondamentale – l’oblazione, se vogliamo usare il termine appropriato – non consiste dunque nel fare
una certa opera di carità, semplice o difficile che sia, o nel patire una certa sofferenza, grande o piccola, cose importanti però
esteriori se considerate fini a sé stesse, ma nell’essere interiormente in stato di grazia, cioè sempre in ascolto e a disposizione della volontà di Cristo, quale essa sia, in fiducioso abbandono alla Provvidenza. Con un particolare amore e una particolare attenzione, questo è evidente, per la Chiesa di Cristo e per i
suoi sacerdoti.
Tutto il resto, poi, viene da Dio e dal suo amore perché,
come diceva Teresa, quando uno ama, non sente la fatica.
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SUORE OBLATE DEL S. CUORE DI GESÙ
Via del Casaletto 128 • 00151 Roma
Tel 0653273861• Email [email protected]
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Teresa - Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù