Giulio Girardi, compagno di strada, educatore e teorico
dell’educativa dell’amicizia liberatrice
di Gérard Lutte
Compañeras y compañeros,
grazie per la vostra presenza a questa festa della memoria di Giulio Girardi, che
per molti di voi è stato compagno di strada con il quale si condividevano sogni,
ideali, lotte, conquiste e anche sconfitte.
La parola “compagna” o “compagno” è densa di significati, di storia, di
emozioni. Evoca tutte le persone che lungo la storia hanno dato la loro vita per
costruire una società giusta e fraterna, partecipando alle lotte della classe contadina e
operaia, dei partigiani e dei popoli oppressi dall’imperialismo. Il “compagno” è anche
la persona con la quale si condivide il pane, e rimanda a Gesù, ai compagni di
Emmaus, alle prime comunità cristiane in cui la condivisione del pane in ricordo di
Gesù corrispondeva ad una condivisione dei beni. Erano comunità comuniste.
Giulio era ‘compagno di strada’, non si è rinchiuso in un convento, nell’ufficio
di un professore universitario o nelle biblioteche. E’ uscito ed ha percorso le strade
dell’Europa e del mondo. Non in jet privati con sciame dei giornalisti e auto blindate,
ma come Gesù a piedi, come quando raggiungeva nel Chiapas in impervi sentieri di
montagna il luogo di un convegno internazionale. Come Paolo di Tarso usava i mezzi
di trasporto dei poveri che nel nostro tempo sono le classi economiche dei treni o
degli aerei. Chi non si ricorda di Giulio con le sue valigie zeppe di libri o le borse con
il computer e i manoscritti che si trascinava dappertutto. ‘Strada’ evoca anche il
Movimento dei Giovani di Strada del Guatemala con i quali vivo e lavoro e che
Giulio conosceva, apprezzava ed aiutava.
Giulio è stato un umanista, un grande filosofo, un prestigioso teologo della
liberazione, un cultore di molte scienze umane, ma innanzitutto era un educatore e
anche un grande pedagogo.
In questo mio intervento che vorrei fosse un inno all’amicizia parlerò di Giulio
educatore che utilizza la pedagogia dell’amicizia liberatrice. Non lo farò con
un’analisi dei numerosi scritti di Giulio sull’argomento. Si dovrà farlo, ma io non ho
né gli occhi né il tempo necessario per tale lavoro. Tenterò di ripercorrere con voi la
vita di Giulio per vedere come lui stesso si libera progressivamente e diventa sempre
più capace di amicizia. Utilizzerò i miei ricordi e il racconto della storia che fece
Giulio ad una mia studentessa, Monica D’Ettorre, in quindici incontri nei mesi di
marzo ed aprile del 2004.
Giulio è nato al Cairo nel 1926 da una madre libanese e da un padre italiano,
tutti e due di cultura francese. Egli passa i primi cinque anni della sua vita a Parigi,
1
poi si trasferisce con la madre e la sorella a Beirut perché i genitori si separano. Per
qualche anno la madre rimane da un fratello a Beirut e Giulio a 6 anni, inizia a
frequentare la scuola italiana dei domenicani. Già parlava francese e arabo e ora
apprende anche l’italiano. La madre per essere autonoma si trasferisce con i figli ad
Alessandria d’Egitto dove apre un salone di bellezza ma vive nella povertà ed è
spesso ammalata. Ed è la ragione per la quale iscrive Giulio, quando lui aveva 11
anni, all’internato della scuola dei Salesiani.
A Giulio i limiti dell’internato in una scuola religiosa pesano ed all’età di
undici, dodici anni scrive le sue prime due opere, che raccoglie in un libro-quaderno.
Il primo, che intitola “Uscire dal collegio”, è una protesta contro i limiti alla libertà
nell’internato. Il secondo, dal titolo “L’amore ai ragazzi”, è un dialogo immaginario
con educatori ai quali chiede, perché i bambini non possono amare, perché l’amore è
loro proibito. Il libro contiene anche due poesie dedicate a due cugine delle quali si è
innamorato.
Malgrado queste ribellioni Giulio apprezza il collegio perché è un ottimo
alunno e gli piace essere il primo. Non avendo altre figure di riferimento in questo
mondo ripiegato su se stesso, si identifica con alcuni professori che ammira al punto
che vuol diventare anche lui professore e salesiano. I superiori ai quali ha confidato
il suo desiderio, gli dicono che è meglio andare via dall’Egitto, ambiente, pericoloso
per la sua vocazione. E gli offrono di rinchiudersi in un aspirandato isolato in una
campagna del Piemonte, perché anche le città italiane mettono in pericolo le
vocazioni religiose. Gli aspirandati erano internati in cui si preparavano ragazzi,
spesso provenienti da famiglie povere, per diventare salesiani.
Nel 1939, all’età di tredici anni, Giulio lascia l’Egitto per andare in Italia con
una nave, la madre che ha lasciato Giulio partire perché si sente ammalata e vuole
assicurare il suo avvenire, lo accompagna con una carrozza. L’ultimo ricordo che
Giulio ha di lei è quando la vede allontanarsi sventolando un fazzoletto bianco.
Giulio sente il dolore di separarsi dalla persona che più ama al mondo.
Nell’aspirandato le contraddizioni già vissute nel collegio si acutizzano, una
vita di totale isolamento dal mondo, in un’istituzione totale, dove si incontrano solo
maschi, non le ragazze tentatrici, nella quale c’è un vero lavaggio del cervello, si
coltivano i sensi di colpa e si reprime duramente la sessualità, l’affettività, le
amicizie, la libertà, le relazioni con la propria famiglia e si esalta l’umiltà come
annientamento della propria personalità. Ma Giulio riesce a sopportare questi limiti
perché si dedica allo studio che gli piace molto. Già è presente a questa giovane età
una caratteristica di Giulio che privilegia l’intellettualità, la cultura e tende a
negligere la cura del corpo, l’alimentazione. E’ apprezzato dai superiori e dai suoi
compagni per i suoi eccellenti risultati. E’ anche molto socievole, e forma facilmente
delle amicizie non ancora di totale reciprocità, perché lui si crede superiore agli altri.
Era il tempo del fascismo che rinforzava ulteriormente l’autoritarismo
nell’aspirandato. Giulio è capo balilla. Ci divertiva recitando a memoria il giuramento
dei balilla di fedeltà al duce se necessario fino alla morte e cantando canzoni fasciste.
Un altro repertorio suo erano le canzoni romantiche soprattutto francesi, degli anni
2
trenta che penso, piacevano alla madre. L’inizio degli anni’70 eravamo andati,
Giulio, mio fratello ed io ad un cinema a Parigi dove si proiettava un film con molte
canzoni e Giulio ad alta voce cantava con gli attori al punto che per noi lo spettacolo
si era trasferito nella sala.
Le contraddizioni e i sensi di colpa dell’aspirandato lo accompagnano nel
noviziato che fa all’età di quindici anni, e che si conclude con l’emissione dei voti
religiosi di povertà, castità ed ubbidienza.
Dopo il noviziato fa il liceo in un collegio salesiano, che finisce all’età di
diciotto anni. Nel 1944 inizia gli studi della filosofia. A 19 anni quando nel ’45 gli
fanno sapere che la mamma è gravemente ammalata e che i medici dicono che solo la
presenza di Giulio, che era il suo prediletto, poteva guarire, ottiene il permesso di
andare in Egitto e va a Roma per richiedere alle autorità inglesi un visto che non gli
fu concesso. E’ sempre a Roma quando riceve una lettera della sorella che gli
annuncia che la mamma è deceduta. E affranto dal dolore, un salesiano che lui
ammirava gli rimprovera questo dolore, dicendogli che ora doveva solo occuparsi
della congregazione e dimenticare la famiglia. Giulio è profondamente ferito da
queste osservazioni e inizia a mettere in dubbio l’umanità di una vita religiosa che
non permette di adempiere il dovere di curare i propri genitori. Si sente in parte
colpevole per rimpiangere la morte della madre, però questo sarà un punto di
partenza di una riflessione che gli farà in seguito rimettere in discussione la Chiesa
cattolica e la sua morale repressiva. Questa ferita, questo dolore per la scomparsa
della madre e soprattutto per non essere rimasto vicino a lei, lo accompagnerà fine
alla fine della sua vita. Non amerà mai una persona come ha amato la propria madre.
Anche se l’amore per Gesù sarà un’altra costante di tutta la sua vita. Gesù come
amico e non come superiore. Giulio supera parzialmente questo dolore attraverso lo
studio della filosofia nella quale realizza il suo desiderio di incontrare la modernità,
“non mi ritrovavo” dice lui “in una visione filosofica chiusa scolastica e cominciavo
a desiderare una forma di dedizione agli studi filosofici che fosse in qualche modo un
momento di incontro con il mondo moderno, con la cultura moderna, con la cultura
urbana e non fosse accettata come una forma di cultura monarchica... “
A 22 anni è nominato docente di storia di filosofia medioevale nella facoltà del
Pontificio Ateneo salesiano. Imposta una relazione di amicizia e di dialogo con gli
studenti e diventa il loro confidente. Questo atteggiamento è contestato dal rettore
dell’Università che lo invita a comportarsi come superiore e non come compagno dei
suoi studenti. Giulio dice: “per me era più importante essere amico, loro confidente,
quindi avere nei loro confronti un rapporto molto democratico”. Egli vuole che il
suo insegnamento aiuti i suoi studenti a crescere e a maturare e per questo inserisce la
storia della filosofia nella storia universale. Persiste nella sua impostazione malgrado
le osservazioni del suo superiore. Continua in questo modo il suo processo di
liberazione personale dalle imposizioni dall’alto.
Ciò che mi ha colpito in Giulio è il rigore con il quale preparava sia le lezioni
sia ogni conferenza o intervento. Consultava di continuo le nuove pubblicazioni
3
sull’argomento e scriveva ogni volta le lezioni senza ripetersi mai. Lavorava per
lunghe ore al giorno. Scriveva dappertutto, utilizzava tutti i momenti per scrivere o
leggere quando stava in aereo o in treno, a volte non rendendosi conto che non
scendeva dove era aspettato per una conferenza e varie volte perse l’aereo perché non
aveva sentito l’annuncio di partenza. Voleva eccellere come professore come aveva
fatto da studente.
A 25 anni inizia teologia all’Università gregoriana di Roma. Aveva chiesto di
andare a Lione in Francia, dove l’insegnamento era fortemente connesso con la vita
del mondo e dove era possibile vivere e sperimentare la teoria nella vita reale. Ma i
superiori non accettano la sua richiesta. Rimane deluso dell’insegnamento molto
ortodosso dell’Università gregoriana, non relazionato alla vita reale dei credenti e non
credenti.
Fu per lui un sollievo quando dopo il secondo anno di studi viene richiamato a
Torino per insegnare la metafisica il corso più importante della filosofia scolastica.
Allo stesso tempo finiva gli studi della teologia nella facoltà del Pontificio Ateneo
salesiano di Torino.
In questi anni di studio fonda con alcuni compagni un gruppo per realizzare un
progetto ispirato all’espressione del Vangelo: "Tutto quello che avete fatto ai più
piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me". Da allora Giulio concepisce la vita
religiosa e sacerdotale come un servizio di amicizia e amore per tutte le persone.
Nel 1955 è ordinato sacerdote, evento che vive con forte commozione. Pensa a
sua madre che non può condividere con lui la felicità di quel giorno e conferma che
vuole fare della sua vita “una forma di messaggio d’amore, di testimonianza
dell'amore di Dio nella storia”. “Questo è rimasto in qualche modo un desiderio in
tutta la mia vita anche se l'ho attuato solo in parte, con debolezze... e tante…, ma la
mia ambizione è stata sempre quella”.
Sul retro dell’immagine che regalava alla sua famiglia e alle persone a cui era
legato aveva scritto: “Abbiamo creduto all'amore” e per lui questo indicava che nella
sua vita voleva avere una fiducia illimitata nell’amore di Dio liberatore e nell’amore
di Gesù.
Nel 1958 le facoltà di Filosofia, Diritto ecclesiastico e Pedagogia sono
trasferite nell’Istituto salesiano di via Marsala a Roma.
In quell’anno sono stato chiamato ad insegnare Psicologia dell’età evolutiva,
come si chiamava a quel tempo, nella facoltà di Pedagogia. E’ lì che comincia fin
dalle prime settimane una profonda amicizia con Giulio che durerà più di mezzo
secolo, fino a quando la morte ci separerà.
Negli anni ‘60 Giulio ha la prima crisi di depressione che ci fa capire quanto
era difficile e sofferto il suo cammino di liberazione.
Nell’intervista dice che non si ricorda bene di quel periodo, ma io l’ho seguito
e lo andavo a trovare ogni pomeriggio e mi è sembrato che questa depressione che
dopo Giulio descriverà come una specie di morte, di perdita di fiducia in se stesso e
negli altri, sia dovuta a motivi esistenziali, al fatto che sente la sua umanità soffocata
da regole troppo rigide, che sente l’ostilità di alcuni colleghi che si ritengono
4
ortodossi. In queste caserme che sono case religiose di più di 100 persone non trova
la comunità di vita e di amicizia che lui ha sempre desiderato.
Giulio esce da questa crisi con le cure che ricevette in una casa di riposo e
soprattutto con l’amicizia di alcuni colleghi che venivano a trovarlo regolarmente.
Dopo alcune settimane riprende la vita normale come se nulla fosse accaduto.
Gli eventi degli anni ’60 gli danno l’occasione desiderata di incontrare
pienamente il mondo moderno e di studiare un aspetto importante della cultura
moderna, l’ateismo.
All’epoca mi disse che questo studio corrispondeva anche al desiderio di capire
come suo padre, ateo convinto, godeva della vita ed era felice, mentre gli avevano
sempre detto negli anni di formazione che gli atei erano tristi e infelici.
Dal ’62 al ’71 coordina l’elaborazione di un’enciclopedia sull’ateismo con la
collaborazione di molti studiosi europei, opera monumentale pubblicata con il titolo:
“l’Ateismo moderno”. Lo studio di questo argomento permette a Giulio di studiare
l’ateismo marxista, da lui chiamato ‘ateismo militante’, per distinguerlo dall’ateismo
edonista del padre. Scopre nel marxismo e nella pratica di molti comunisti, valori e
modi di vivere conformi al Vangelo che spesso non incontra in uomini di chiesa ed in
molte persone che si dicono credenti. Questa scoperta accelera notevolmente il
processo di liberazione di Giulio. Si lega di amicizia con alcuni comunisti come
Lucio Lombardo Radice, ma non sarà mai vicino al partito comunista in cui ritrova
un dogmatismo, un’ortodossia e pratiche autoritarie non dissimili da quelle della
chiesa istituzionale.
Nel 1966 Giulio pubblica “Marxismo e Cristianesimo”, libro tradotto in molte
lingue e che avrà un profondo influsso su decine di migliaia di cristiani che vivevano
un profondo disagio per la contraddizione tra la fedeltà al Vangelo e l’obbedienza alla
gerarchia o l’adesione a partiti sedicenti cattolici. Più di trent’anni dopo la
pubblicazione Giulio, che nel frattempo aveva scritto decine di altri libri, mi diceva:
“tante persone mi dicono che hanno letto il mio libro del ’66, ma non conoscono
quelli posteriori”.
Nel 1962 inizia il concilio Vaticano II voluto da Papa Giovanni XXIII e Giulio
vi partecipa come esperto. Ha scritto interventi per vari vescovi ed ha partecipato alla
redazione della Gaudium et spes, uno dei documenti più importanti del concilio.
Incontra molti altri esperti progressisti tra i quali un certo Josef Ratzinger. Dopo il
concilio Giulio fa anche parte nell’università salesiana di un gruppo di docenti,
chiamati “i manco 20” che elaborava documenti per rinnovamento evangelico della
congregazione e dell’università.
Di questo gruppo facevano parte anche Bruno Bellerate, Pepe Ramos Regidor,
Manolo Gutierrez ed un certo Tarciso Bertone. A questo gruppo il superiore generale
intimò l’ordine perentorio di non scrivere e non diffondere più alcun documento.
Nel ’68-’69 Giulio è coinvolto molto profondamente nella contestazione
studentesca, si identifica con i giovani sessantottini. Questa esperienza gli apre nuovi
orizzonti, gli rivela un marxismo alternativo, non più autoritario e gerarchico ma
5
democratico e di base. Gli fa capire che deve cambiare il suo modo di insegnare e
come dice lui :“capivo che non dovevo solo formare persone competenti ed oneste,
ma anche persone impegnate politicamente e capaci di analizzare la società, di
criticarla, di assumere un impegno politico molto preciso, dal punto di vista etico e
politico. Compresi che la mia vita non solo cristiana ma anche di sacerdote doveva
essere caratterizzata da un impegno politico dal punto di vista degli esclusi, quello
degli sfruttati. Quella prospettiva doveva ormai orientare i miei studi”.
In quegli anni si interessa anche ai movimenti di base nel mondo operaio e a
Roma al movimento dei baraccati. E varie volte venne a Prato Rotondo dove
lavoravo con baraccati e studenti che volevano fare una scuola come quella di
Barbiana di Don Milani e dove lottavamo per conquistare una casa e far rispettare
tutti i diritti alla salute e all’educazione.
Nel 1969 Giulio ed io siamo espulsi dall’Ateneo salesiano. Non fu una sorpresa
per me ed altri amici come Ettore Masina, ma per Giulio sì. La sera prima di ricevere
questo ordine diceva a Germano Proverbio e a me che fino a quando ci sarebbe stato
il provinciale spagnolo dell’università lui non temeva nessuna sanzione, al punto che
fu talmente sorpreso quando lo stesso provinciale gli annunciò la notizia che rimase
stupefatto e non riuscì a dire nemmeno una parola. Io ebbi una reazione totalmente
diversa e il superiore citò come esempio di buon religioso Giulio che non aveva
proferito nessuna parola di protesta.
Giulio ha vissuto molto male questa espulsione. Una volta che nei mesi
successivi ero andato a trovarlo a Parigi, dove ero stato ospitato in una camera vicina
alla sua, lo sentii gridare durante un incubo notturno per questa espulsione. Ricevette
la solidarietà di molti colleghi ed amici e di gran parte dei salesiani di base.
Quelli di una provincia francese lo avevano eletto come loro rappresentante in un
capitolo generale o assemblea generale dei salesiani del 1972. Giulio non fu capace di
sopportare la freddezza dei superiori e l’ostilità di alcuni confratelli e rinunciò a
partecipare a quell’assemblea. Ebbe una seconda crisi di depressione rapidamente
superata perché era coinvolto con i movimenti di base di quell’epoca ed aveva molti
amici che lo appoggiavano. Un’analisi di tipo freudiano lo aiutò a superare in parte i
sensi di colpa dai quali ebbe molte difficoltà a separarsi totalmente. Però si sentiva
ferito dall’abbandono dei salesiani che riteneva amici e non si erano manifestati per
esprimergli la loro solidarietà.
Sempre nel 1969 è chiamato a tenere vari corsi nelle facoltà di Teologia e
Filosofia dell’Institut Catholique (Università Cattolica) di Parigi, in particolare
‘Introduzione al Marxismo’.
Nel 1970 è chiamato a tenere corsi simili all’Istituto Superiore di Pastorale,
Lumen Vitae, di Bruxelles.
Nel 1972 Giulio fa un’esperienza determinante per la sua vita futura. E’ uno
dei pochi europei ad essere invitato a Santiago del Cile all’Incontro Continentale dei
Cristiani per il Socialismo. L’Episcopato cileno condanna duramente questo evento e
qualche mese dopo Pinochet che ha rovesciato con violenza il governo socialista di
6
Allende, perseguiterà questi cristiani. Giulio è profondamente amareggiato perché
durante il concilio aveva ottimi rapporti con il cardinale cileno Silva Enriquez, anche
lui annoverato tra i padri conciliari progressisti. Lo stesso anno Giulio è invitato in
Colombia, Ecuador e Cuba. In Colombia i vescovi tentano di impedire che parli, però
i salesiani colombiani accolgono con affetto Giulio, come faranno anche i salesiani
ecuatoriani.
Nel 1973 è espulso dall’Institut Catholique e nel 1974 dall’Istituto Superiore di
Pastorale, Lumen Vitae. Queste decisioni sono prese dall’alto e sospetto che ci sia lo
zampino del Vaticano. Per Giulio sono dolorose ma contribuiscono senz’altro alla sua
liberazione manifestando chiaramente che nelle università cattoliche sottoposte alla
gerarchia c’ è solo una libertà condizionata di ricerca e di espressione.
In compenso nel 1975 è invitato dalla FLM di Torino, la federazione dei lavoratori
metalmeccanici e punta avanzata del movimento operaio, dalle Acli, dalla GIOC
(Gioventù Operaia Cristiana) e dalla chiesa Valdese a condurre una ricerca sulla
coscienza operaia. Parlando di questa esperienza Giulio afferma che in quell’epoca
era emersa una nuova figura storica, quella del cristiano marxista. In uno dei
primissimi incontri un metalmeccanico gli disse: “ti espellono le università
cattoliche, ma il movimento operaio ti accoglie come il suo intellettuale organico”.
Per i più giovani spiego che “intellettuale organico” è un espressione con la
quale Gramsci designa gli intellettuali che con il loro contributo favoriscono le lotte e
l’organizzazione degli oppressi. Giulio conduce la sua inchiesta con il metodo
partecipativo con numerose discussioni di gruppo di operai metalmeccanici, delle
persone che vivono una situazione di oppressione e di lotta. A Torino ci sono tre
collettivi di ricerca, due della FIAT e uno dei rappresentanti delle piccole e medie
imprese. Giulio utilizza un metodo qualitativo che dopo sarà rivalutato da molti
sociologi e da alcuni psicologi che hanno constatato l’inutilità delle ricerche
quantitative. Non considera i partecipanti come ‘oggetti’ della ricerca, ma come
‘soggetti’ che fanno la ricerca a partire dalla propria esperienza di vita.
I risultati di questa ricerca esemplare sono pubblicati nel 1980 nel libro:
“Coscienza operaia”. Giulio pensa che questo metodo deve essere applicato anche
nella ricerca teologica, dalla gente semplice e non da esperti e tenta di farlo in
Nicaragua. Anche lì Giulio è all’avanguardia in quanto pensa che la scienza va
elaborata dalle persone che vivono una condizione di disagio e vogliono liberarsene.
Con lo stesso metodo condurrà una ricerca molto importante con giovani delle
comunità di San Benedetto al Porto di Genova fondata da Andrea Gallo, anche lui ex
salesiano. Questi giovani hanno fatto uso di droghe e si sono poi organizzati in
comunità autogestite. Non sono comunità terapeutiche nelle quali i giovani sono
considerati come malati non capaci di prendere decisioni per la loro vita. Nelle
comunità con cui lavora Giulio sono i giovani che prendono responsabilmente le
decisioni per la loro vita, lottando anche contro una organizzazione sociale che
produce le tossicodipendenze. La ricerca fu pubblicata nel 1990 con il titolo: “Dalla
dipendenza alla pratica della libertà”.
7
In tutte le sue ricerche Giulio ha una relazione di amicizia con i partecipanti e
non si comporta come un professore che si crede a loro superiore.
Ho consigliato i libri di Giulio ai miei studenti con i quali lui ha condotto vari
seminari sull’America Latina, perché sapeva entusiasmare gli studenti e animarli a
studiare con serietà. Moltissimi ricordano ancora Giulio come un maestro di vita.
Nel 1977 i superiori salesiani lo espellono dalla congregazione e automaticamente Giulio è sospeso “a divinis”, ossia non può più celebrare la messa e i
sacramenti. Questa espulsione lo libera definitivamente da un’istituzione che ha
tentato di imprigionarlo e di impedirgli di realizzare la sua vocazione umana ed
evangelica, egli afferma che è servita a fargli approfondire e maturare la sua fede
come scelta libera. Riflettendo sui quarant’anni di vita passati nelle case salesiane
Giulio constata con rammarico che non ha mai fatto l’esperienza di una vera
comunità unita dai legami di stima e di amicizia per realizzare un progetto comune.
Egli ricorda l’affermazione di Voltaire, secondo il quale, i religiosi si uniscono senza
conoscersi. Vivono senza amarsi e muoiono senza rimpiangersi. Però, Giulio
distingue tra i superiori salesiani che l’hanno espulso e i molti confratelli che in tutto
il mondo gli hanno in quell’occasione manifestato solidarietà e affetto.
Con Giulio e con Bruno Bellerate abbiamo parlato più volte di formare una
comunità in un quartiere popolare di Roma in cui avremmo realizzato attività
culturali, sociali e politiche. Dello stesso progetto abbiamo anche parlato in seguito
con Nora Habed e Mimmo Sarra. Non abbiamo potuto realizzare questo sogno
soprattutto perché non avevamo le risorse necessarie per comprare una casa adatta a
questo scopo e anche perché eravamo sempre in giro per il mondo. Sempre per motivi
economici, Giulio non si poté trasferire come desiderava alla Magliana dove sarebbe
stato più facile incontrarci ogni giorno.
Dal 1978 al 1996 Giulio è stato professore di Filosofia politica all’università di
Sassari. La casta dei filosofi accademici non gli ha mai concesso la nomina a
professore ordinario, in particolare per l’opposizione di certi docenti cattolici.
Il 1980 è un anno importantissimo per Giulio e segna l’inizio di un periodo
molto bello della sua vita. Un anno prima il popolo del Nicaragua guidato dai
Sandinisti, ha rovesciato la feroce dittatura dei Somoza, rappresentanti
dell’imperialismo statunitense in questo paese. Questa rivoluzione concordava con le
idee e le attese di Giulio e grande fu la sua gioia quando ricevette l’invito a
partecipare al primo anniversario della campagna di alfabetizzazione realizzata da
studenti universitari e delle scuole secondarie che erano i protagonisti della
rivoluzione. Per molti di loro, cristiani, l’alfabetizzazione era un modo di annunciare
il Vangelo di liberazione di Gesù.
Giulio ricorda anche la visita nel 1983 di papa Wojtyla che invece di
incoraggiare i cristiani ad impegnarsi per la realizzazione dei progetti di giustizia nel
loro paese, fece rimproveri ai sacerdoti che ricoprivano incarichi ministeriali. Durante
una celebrazione di fronte ad una moltitudine di gente venuta da tutte le regioni del
paese, il Papa invece di ascoltare la voce delle madri che gli chiedevano una
8
preghiera per i loro figli morti nella guerra scatenata dagli Stati Uniti contro la
rivoluzione, volle imporre il silenzio ad un popolo che aveva conquistato il diritto alla
parola. Il papa richiamò i cristiani all’obbedienza ai vescovi che combattevano la
rivoluzione sandinista. Giulio dice che il papa polacco non si rendeva conto della
differenza tra la Polonia e il Nicaragua, dove erano proprio i cristiani gli artefici della
vittoria della rivoluzione. Così il Papa serviva gli interessi dell’imperialismo
statunitense nel paese. D’altronde, Wojtyla combatteva duramente la teologia della
liberazione e al posto dei vescovi fedeli allo spirito del Concilio Vaticano II,
nominava vescovi reazionari. Giulio arriva così alla distinzione tra la chiesa
gerarchica e la chiesa popolare, formata da comunità di base in cui fratelli e sorelle
sono uniti dall’amore e protagonisti dell’annuncio del Vangelo, dove non ci sono
gerarchie e imposizioni dogmatiche.
Dal centro ecumenico Valdivieso fu invitato ad analizzare da un punto di vista
teologico la rivoluzione sandinista. Nei cristiani rivoluzionari Giulio scopre la
convergenza non solo del marxismo e del cristianesimo, ma anche del sandinismo. E
analizzerà questa sintesi tra le tre correnti in un libro pubblicato nel 1986.
Dal 1980 fino al 2007 Giulio passerà ogni anno qualche mese in Nicaragua. È
lì quando nel 1990 i sandinisti sono sconfitti alle elezioni e devono lasciare il posto a
Violetta Chamorro del Partito liberale, vicino agli Stati Uniti. È testimone della
deriva di buona parte dei comandanti che hanno in mano il partito del fronte
sandinista, che si identificano sempre più con gli interessi della borghesia. Giulio
reagisce e condanna questa involuzione nelle colonne del periodico “El Nuevo
Diario”.Inviterà pubblicamente Daniel Ortega a dimettersi da deputato per rispondere
in tribunale alle accuse formulate contro di lui dalla figlia della sua compagna.
Questo tradimento dei rivoluzionari borghesi non scoraggia Giulio che continua a
impegnarsi con la base sandinista, perché da molto tempo lui sa che è la base, gli
esclusi, che possono cambiare la società e non i ricchi e i potenti.
Giulio fa parte di Unicaragua, organizzazione di solidarietà di universitari
italiani con le università del Nicaragua, associazione che avevo fondato nel 1986 con
colleghi dell’università La Sapienza di Roma, tra cui Bruno Bellerate, Raul Mordenti,
Ezio Ponzo. Nel 1990 Unicaragua accetta la richiesta di Nora Habed di cercare
finanziamenti per borse di studio a sandinisti che avevano abbandonato i loro studi
universitari per impegnarsi nella rivoluzione. L’associazione ha potuto in questo
modo accompagnare più di 500 giovani universitari che avevano un impegno sociale
e politico nella loro comunità. Giulio partecipò attivamente a questa associazione
pagando ben dieci borse di studio. Egli non si è arricchito e ha condiviso non solo la
sua vita, il suo impegno culturale e politico con gli oppressi, ma anche le poche
risorse materiali che possedeva. Non è mai stato proprietario di una casa.
Quando nel 1996 siamo entrati in conflitto con dirigenti sandinisti che volevano
utilizzare le borse di studio per rafforzare il loro potere, Giulio ci ha suggerito di dare
al centro Valdivieso la gestione di questo progetto.
Le relazioni tra il Nicaragua e Cuba erano strette e questo facilitò l’impegno di
Giulio anche in questo paese, dove dal 1986 al 1997 collabora con il Dipartimento
9
America, le chiese evangeliche, il centro Martin Luther King, l'Accademia delle
Scienze (centro di studi socio-religiosi) e l’Istituto di filosofia. Durante il viaggio di
papa Wojtyla nell’isola, Giulio è stato invitato con il belga François Houtart, il
brasiliano Frei Betto e un sociologo dello stesso paese per dare a Fidel Castro
un’interpretazione dei discorsi tenuti dal Papa durante la giornata. Giulio mi raccontò
che dopo la partenza del Papa, furono invitati a cena dal leader cubano che disse che
Wojtyla era il mal di testa degli Stati Uniti. Uno degli invitati gli rispose: “però è un
mal di testa che si cura con una semplice aspirina!” Tuttavia Giulio criticava
l’autoritarismo dello stato cubano. Mi aveva invitato a svolgere una inchiesta sulla
condizione dei giovani cubani. Gli risposi che accettavo però a condizione di avere la
libertà di intervistare chi volevo e non solo i giovani indicati dal partito. Questa
condizione non fu accettata e Giulio approvò la mia decisione di non svolgere questa
inchiesta.
Negli stessi anni, Giulio svolge vari incontri in Messico e ricorda in particolare
quello con Samuel Ruiz, vescovo di San Bartolomé de Las Casas che gli fa scoprire
l’importanza del movimento indigeno con il quale Giulio collaborerà soprattutto in
Nicaragua, Ecuador, Bolivia. In Nicaragua si impegna con l’università indigena
URACCAN della Costa Atlantica per la promozione della cultura indigena e
incoraggia a rivalutare la loro religione come componente essenziale della loro
cultura. Egli fa parte della campagna continentale “500 anni di resistenza indigena
nera e popolare”. Giulio non è settario e anche quando non è d’accordo con
l’ideologia e la pratica di una istituzione, egli può collaborare con persone che stima e
stringere con loro relazioni di amicizia. Così tiene ottimi rapporti con vescovi, non
solo con Samuel Ruiz del Chiapas, ma anche con Sergio Méndez Arceo, anche lui del
Messico, e con Pedro Casaldàliga del Brasile.
Giulio è stato molto influenzato dal pensiero del vescovo Leonidas Proaño,
dell’Ecuador, eminente teologo della liberazione che ha lavorato con gli indigeni nel
loro impegno per liberarsi dall’oppressione che subiscono da 500 anni. Non sono
riuscito a verificare, se Giulio abbia incontrato personalmente Proano. Nel 1998, a
dieci anni della morte di questo vescovo, Giulio partecipa ad un incontro nel luogo
dove è stato sepolto e svolge un seminario che pubblicherà poi, con la collaborazione
di Gianni Novelli, in un opuscolo dal titolo: "Seminando l’amore come il mais.
Leonidas Proaño, testimone e teologo dell’amicizia liberatrice”.
Abbiamo già visto che nella vita di Giulio l’amicizia assume un’importanza
vitale. Amicizia con Gesù e di conseguenza con tutte le persone. Egli non può
concepire una vera educazione che non sia fondata sull’amicizia. Giulio scopre
nell’autobiografia di Proaño il concetto non solo di amicizia, ma anche di amicizia
liberatrice. E questo gli permette di esprimere meglio ciò che già pensa e lo spinge ad
una sistematizzazione della sua concezione dell’amicizia.
Dal 1994, Giulio seguiva con molto interesse il Movimento dei Giovani di
Strada del Guatemala che avevo formato con un gruppo di ragazze e ragazzi di questo
paese. Il nostro movimento autogestito favoriva il protagonismo dei giovani e voleva
difendere i loro diritti con la loro partecipazione ad una trasformazione della società.
10
Privilegiava l’amicizia nel rapporto educativo e dava una importanza fondamentale
alla formazione di un pensiero autonomo e critico di ogni giovane. Corrispondeva
quindi alle idee di Giulio. Fu lui stesso a proporre di svolgere un seminario sul tema
dell’amicizia liberatrice con giovani e lavoratori del Movimento. Era la prima volta
che assistevo ad un seminario di Giulio e ho constatato che sapeva organizzarlo molto
bene, partendo dall’esperienza di ogni giovane per fargli prendere coscienza
dell’importanza dell’amicizia nella propria liberazione. Grazie a questo seminario
abbiamo approfondito maggiormente il tema dell’amicizia che abbiamo abbinato
anche noi alla liberazione, come faceva Giulio. Le ragazze e i ragazzi hanno
partecipato all’elaborazione di un video dal titolo: “Educazione è amicizia e libertà”.
Giulio era anche membro della rete di amicizia con le ragazze e i ragazzi di
strada, Amistrada, che abbiamo formato in Italia e in Belgio per condividere con le
ragazze i ragazzi del Guatemala il sogno e l’impegno di una società più umana e
fraterna. Giulio fece interventi molto apprezzati nelle assemblee della nostra rete,
nella quale vedeva i valori che avevano ispirato tutta la sua vita, in particolare
l’amicizia e l’impegno per trasformare la società internazionale .
Il suo coinvolgimento con il movimento indigeno indurrà Giulio a partecipare
nel 2001 al primo Social Forum a Porto Alegre. Era un incontro dei movimenti per la
globalizzazione alternativa, per coordinare le campagne mondiali, condividere e
raffinare le strategie organizzative, informarsi vicendevolmente sui diversi movimenti
sparsi per il mondo e sulle loro tematiche. Fino al 2004, Giulio parteciperà a tutti
questi incontri annuali del Movimento di Porto Alegre, come lui lo chiamava. Questo
lo aiuterà a sottolineare l’importanza di unire tutte le realtà di base per combattere la
globalizzazione neoliberista che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità e del
nostro pianeta. Per Giulio, il movimento “…è la più interessante espressione
internazionale di solidarietà e di alternativa alle forme dominanti di cultura, che
sono invece quelle che tendono a fare del mondo un terreno di dominio da parte dei
più forti, da parte dei più potenti su coloro che sono deboli, su coloro che sono
emarginati. A noi sembra che sia la migliore risposta a questo tentativo di violenza
verso tutti i settori emarginati, noi stiamo invece cercando di cogliere questi settori e
di comunicare loro la coscienza che hanno un potere, ma non è un potere basato
sulle armi, basato sulle ricchezza, ma un potere basato sulle loro capacità di amare,
di donarsi, sulla loro capacità di costruire costantemente delle alternative a questo
tentativo di dominazione”.
Alla fine del 2004 Giulio è colpito da una grave depressione che durerà vari
mesi, molto più grave, delle due anteriori. Giulio si sente emarginato ed inutile, ma
più profondamente si sente colpevole per aver ceduto a volte al desiderio di
primeggiare e non all’amore disinteressato e alla condivisione con gli esclusi.
Durante tutta la sua vita, egli ha lottato per far prevalere l’amore sull’egoismo. Ma in
questa fase molto dolorosa della sua vita è assalito da dubbi e sensi di colpa che lo
tormentano al punto che si chiede se sarà salvato. Gli è stato molto duro uscire da
questa depressione - come dice lui - e attribuisce la sua guarigione alle cure mediche,
e soprattutto all’amicizia delle persone che andavano a trovarlo frequentemente.
11
Questa depressione aiuta Giulio a crescere umanamente e spiritualmente, ad
approfondire l’amicizia come rapporto di parità e di condivisione. Scopre un’altra
categoria di persone che subiscono la maggiore esclusione perché sono depresse,
tagliate fuori dalle relazioni con la società e con gli altri, e scopre che la depressione
che colpisce milioni di persone si estende rapidamente per l’oppressione del sistema
globale al servizio del profitto che umilia la dignità di tante persone, le loro
possibilità di avere un lavoro che gli permetta una vita umana e la realizzazione dei
propri sogni. Giulio vorrebbe che la sua testimonianza sia un segno di speranza per
tutte queste persone e, implicitamente, ci invita tutti ad una maggiore solidarietà con
quelle persone vittime dell’oppressione globale.
Un altro progresso significativo è che si rende conto dell’errore, le cui origini
risalgono alla vita nell’aspirandato, di aver preso in considerazione solo
l’intelligenza, lo spirito e non il corpo. Non si è preso sufficientemente cura di se
stesso, mangiava ciò che gli capitava perché non dava importanza agli aspetti
materiali dell’esistenza, come se il corpo, l’intelligenza, la cultura, la spiritualità, non
fossero un tutt’uno.
Giulio, che al momento delle interviste frequentava ancora il day hospital, fa
una dichiarazione sorprendente dicendo che questo è il periodo più felice della sua
vita. Pensa che si sia finalmente liberato dai sensi di colpa e raggiunta la pienezza
della maturità umana e spirituale che gli permette di realizzare la sua vocazione di
testimone dell’amore liberatore di Dio e di Gesù per gli uomini nella storia di oggi.
D’ora in avanti concepisce l’amicizia come rapporto di parità assoluta e di
condivisione e vuole condividere la sua vita soprattutto con gli indigeni che ha
conosciuto in vari paesi dell’America Latina e con le ragazze e i ragazzi del
movimento dei giovani di strada del Guatemala.
Dopo la depressione Giulio ha in cantiere vari progetti: finire il libro sul Che
Guevara nel quale intende “approfondire le motivazioni di fondo del Che, quelle che
spiegano la sua capacità di dedicare la vita completamente agli altri… alla lotta
contro /'imperialismo che è la forma di emarginazione più dolorosa, più profonda
...”; vuole anche scrivere un libro con il titolo: “Il movimento sovversivo di Gesù
nella società capitalista”; non dice la chiesa o le chiese di Gesù. Per lui tutte le
religioni e anche l’umanesimo ateo sono ugualmente validi quando sono al servizio
dell’umanità. Nella parabola del giudizio ultimo Gesù dice che tutto ciò che è stato
fatto per il più piccolo dei suoi fratelli è fatto a lui stesso. Anche se chi l’ha fatto non
lo conosceva; un terzo progetto è quello di scrivere un libro sulla pace considerata
come “la capacità di far valere delle motivazioni … e dei valori,… quelle esperienze
che danno un senso alla vita e che dovrebbero contribuire a dare ancora un senso a
questa società”.
Giulio ha studiato Gandhi che ammira molto e si è interessato al buddismo e
alla meditazione trascendentale. Anche lui è convinto che non si risponde alla
violenza del capitalismo con un’altra violenza, ma con un pacifismo attivo riempito
da queste esperienze che danno un senso all’esistenza, particolarmente per tutti quelli
che sono emarginati e si sentono inutili nella società capitalistica.
12
La depressione dolorosa che ha vissuto e l’analisi lucida che ha realizzato lo
inducono a cercare come una alternativa che dà un senso alla sua vita, la ricerca della
condivisone dell’amore con i popoli indigeni e con le ragazze e i ragazzi di strada del
Guatemala. Questa condivisione si può esprimere come esperienza di amicizia
liberatrice “che realizza gli altri come soggetti, quindi che non è vissuta come una
forma di risposta al problema semplicemente della povertà, ma che è nello stesso
tempo di valorizzare in positivo le risorse che ci sono in queste persone, che ci sono
nei popoli indigeni, che ci sono nei ragazzi e ragazze di strada. Gli orizzonti che si
sono aperti, che si sono precisati nella mia ricerca che intendo vivere come un
progetto centrale di vita, di amore e di speranza per me .... Credo di averti detto
l’essenziale di questo periodo che è fondamentalmente un periodo di grande
ricchezza, di grande soddisfazione, un periodo che è quasi una forma di resurrezione.
Per il superamento di quell'esperienza di emarginazione che credevo di vivere, il
superamento di morte, di abbandono delle esperienze terrene, perché in questo
momento tutte quelle esperienze negative si stanno rovesciando e diventando uno
stimolo profondo a vivere, uno stimolo profondo a sperare, uno stimolo profondo ad
amare...”.
Giulio realizzerà solo il primo progetto, quello di finire il libro sul Che che sarà
pubblicato nel 2005 e che presenterà in varie città d’Italia.
Il 26 maggio del 2006 dopo un intervento in un convegno internazionale
sull’America Latina a Roma, Giulio è colpito da un ictus leggero di cui non si rende
nemmeno conto. Claudio e Ornella Giambelli, amici fedeli che lo accompagnano, si
rendono conto della gravità dell’accaduto e portano Giulio ad un pronto soccorso
dell’ospedale più vicino. Lì è colpito da attacchi più gravi e rimane semi-paralizzato.
Le cure riabilitative non migliorano la sua condizione e Giulio accetta la proposta di
Bruno e Marina Bellerate di andare a vivere nella loro abitazione nei Castelli
Romani. La lontananza impedirà a molte persone di andare a trovarlo
frequentemente. E malgrado le premure di Bruno e Marina e dei loro figli, inizia per
Giulio un lungo periodo di solitudine e penso anche di depressione. In questa lunga
notte buia e fredda c’è qualche raggio di sole. La presenza di Maria, una giovane
donna rumena che lo assiste con disinteresse e amore, le visite di Bruno, di tanto in
tanto, la presenza di amici fedeli, di ragazze di strada. Vorrei ringraziare e ricordare
in particolare Claudio Giambelli per la sua fedeltà, Aldo Zanchetta, Benito Fernandez
dalla Bolivia e Uriel Molina dal Nicaragua e tutti quelli che di tanto in tanto sono
andati a trovarlo. Giulio rimane lucido, ha informazioni dalla televisione, ma si sente
prigioniero del corpo che non gli obbedisce più. Soffre di non poter fare più nulla e
sogna di realizzare progetti, nella sua condizione totalmente irrealistici. Si rifugia
sempre di più in un mutismo ostinato e rifiuta sempre di più di mangiare. In dicembre
dell’anno scorso, si pensa che la fine è vicina. Nei primi giorni di febbraio sorprende
tutti perché comincia a parlare e a mangiare. E’ un’altra resurrezione.
Avvisato da una lettera elettronica di Nora di quanto accade, dal Guatemala
telefono immediatamente a Giulio. Gli dò notizie delle ragazze e dei ragazzi di strada,
gli comunico che una ragazza che ha conosciuto e appoggiato, e sua figlia della quale
13
è il padrino e che entrerà il prossimo anno all’università, verranno a visitarlo nel
novembre prossimo. Lui si rallegra molto della notizia. Gli chiedo allora cosa
vorrebbe dire alle ragazze e ai ragazzi di strada e mi risponde: “Devono credere alla
resurrezione”.
Dobbiamo credere alla resurrezione. Quest’ultimo messaggio di Giulio vale
anche per noi tutti, compagne e compagni. Non siamo riuniti qui per piangere un
morto, ma per dare continuità al sogno di Giulio di contribuire a creare una terra
nuova e cieli nuovi.
Oggi il potere della morte si estende su tutto il nostro pianeta. E’ il potere della
globalizzazione neoliberista, della finanza speculativa internazionale, delle
multinazionali che continuano a saccheggiare i paesi del terzo mondo, degli Stati
Uniti e dei paesi ricchi e della maggior parte dei governi sottoposti al potere
economico. Non bisogna andare in America Latina o in Africa per constatarlo. Anche
qui possiamo vedere i disastri che provoca. La disoccupazione in aumento che
colpisce soprattutto le donne e i giovani, la precarietà del lavoro per milioni di
persone che non hanno i mezzi necessari per una vita decente, le pensioni infami
dopo lunghi anni di lavoro. Lo sfruttamento degli immigrati, la distruzione dei diritti
duramente conquistati dai lavoratori con lotta e sangue, l’annientamento dello stato
sociale. Ma il sistema dominante non causa solo miseria materiale, distrugge anche
l’umanità nell’uomo. Provoca depressione in milioni di persone, favorisce
l’individualismo, il razzismo, il risorgere di movimenti nazisti che nel ’45 credevamo
per sempre sepolti. Giulio ha analizzato come il dominio imperialista è anche
colonizzazione delle menti e delle coscienze. Distrugge i legami di solidarietà che
sono la base di una vita civile. Attraverso la scuola, i mezzi di comunicazione di
massa come la televisione, il consumismo, le droghe, il tifo e gli spettacoli
dell’industria dello sport, la moda, le invenzioni tecnologiche, fa apparire necessari i
duri sacrifici imposti alla maggioranza delle persone. Domina una cultura del vuoto,
dell’apparenza, dietro alla quale c’è il non senso e la disperazione.
Il sistema dominante sta distruggendo anche il pianeta, inquina la terra, l’acqua
e l’atmosfera.
Per difendere il loro dominio i padroni del mondo ricorrono anche alla guerra,
devastano paesi per i loro interessi come fecero gli Stati Uniti per distruggere la
rivoluzione sandinista in Nicaragua e il movimento popolare indigeno in Guatemala e
in molti altri paesi dell’America Latina. Devastano paesi come Iraq e l’Afganisthan,
precipitandoli nel caos per controllare le risorse petrolifere.
È urgente una riscossa, non aspettiamo la venticinquesima ora quando non si
potrà più reagire per nulla. Per cambiare il senso della storia Giulio ci dà preziose
indicazioni su chi lo può fare e su come prepararla. Per lui sono gli esclusi, gli
emarginati, gli ultimi che hanno la forza, che hanno la possibilità di realizzare
un’inversione di rotta della storia. E qui parla di movimenti, movimenti degli studenti
e della classe operaia negli anni ’70, movimento dei giovani sandinisti, degli indigeni
del Chiapas e di tutta l’America Latina, movimento delle ragazze e dei ragazzi di
14
strada, movimento dei cristiani per il socialismo, movimento di Porto Alegre e anche
il movimento di Gesù.
Nel lungo racconto della sua vita, non cita mai un partito, anche se si è
avvicinato maggiormente ai partiti che sono alla sinistra della sinistra però senza
identificarsi con loro. Egli cita invece la Federazione dei Metalmeccanici di Torino
negli anni ’70, la Chiesa Valdese, la GIOC e le Acli di quei tempi. Giulio è utopista
ma non ingenuo, sa benissimo che non basta essere escluso per poter contribuire a un
cambio di società, ma che è necessario che gli esclusi siano coscientizzati e si
organizzino alla base. Giulio vede che il cambiamento è possibile se le organizzazioni
locali dove le persone unite da amicizia decidono tutto insieme nella loro lotta per il
diritto degli esclusi , si uniscono a livello mondiale come hanno iniziato a fare a Porto
Alegre. Non a caso Giulio parla del movimento di Porto Alegre.
Egli non preconizza una lotta armata contro il sistema globale, ma una
resistenza e un cambiamento pacifico, basato sull’amicizia e sull’amore, sui valori
alternativi di condivisione. Parla di un metodo educativo basato sull’amicizia
liberatrice che per lui è condivisione d’amore. Nella sua vita così densa Giulio ha
realizzato il sogno che si era formato durante l’adolescenza, di essere educatore e di
annunciare la buona notizia dell’amore e della liberazione che aveva annunciato
Gesù, l’amico della sua vita.
L’intervista realizzata da Monica D’Ettorre sarà inserita nel sito di AMISTRADA, Rete di
amicizia con le ragazze e i ragazzi di strada, sotto il titolo “Giulio Girardi ci racconta la
sua storia: un messaggio di speranza per le persone depresse”. Questa biografia può essere
riprodotta, diffusa e tradotta, a condizione di citare l’intervistatrice ed il sito amistrada.net.
Il video “Educazione è amicizia e libertà” può essere richiesto all’ indirizzo e-mail:
[email protected] o al cel. 334 2185468, può anche essere scaricato dal sito
amistrada.net dove si può anche trovare la pubblicazione: “Seminare amore come il mais.
L'insorgere dei popoli indigeni” e altre pubblicazioni di Giulio Girardi
Sono stato aiutato nella redazione di questo testo da: Ana Maria Zuluaga, Chiara Brunetti,
Cecilia Simi, Nora Habed, Sabina Broggini, Stefania Santuccio che ringrazio
affettuosamente.
15
Scarica

Giulio Girardi, compagno di strada, educatore e