CDU 908(497.4/.5Istria)“18/19”
ISSN 0350-6746
CENTRO DI RICERCHE STORICHE – ROVIGNO
QUADERNI
VOLUME XXIV
U N I O N E I TA L I A N A – F I U M E
UNIVERSITÀ POPOLARE – TRIESTE
ROVIGNO 2013
QUADERNI - Centro Ricerche Storiche Rovigno, vol. XXIV, pp. 1-520, Rovigno, 2013
CENTRO DI RICERCHE STORICHE – ROVIGNO
UNIONE ITALIANA – FIUME
UNIVERSITÀ POPOLARE – TRIESTE
REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE
Piazza Matteotti 13 – Rovigno (Croazia), tel. +385 (052) 811-133 – fax (052) 815-786
internet: www.crsrv.org e-mail: [email protected]
COMITATO DI REDAZIONE
Rino Cigui, Rovigno
Carlo Ghisalberti, Rovigno
Luciano Giuricin, Rovigno
William Klinger, Rovigno
Raul Marsetič, RovignoOrietta Moscarda Oblak, Rovigno
Antonio Pauletich, Rovigno
Raoul Pupo, Trieste
Alessio Radossi, RovignoGiovanni Radossi, Rovigno
REDATTORE
Orietta Moscarda Oblak
DIRETTORE RESPONSABILE
Giovanni Radossi
Recensori:
Marino Budicin
Egidio Ivetic
Redazione immagini Supporto digitale Nicolò SponzaMassimo Radossi
Coord. editoriale
Fabrizio Somma
© 2013 – Tutti i diritti d’autore e grafici appartengono al Centro di Ricerche
Storiche di Rovigno, nessuno escluso.
Opera fuori commercio.
Il presente volume è stato realizzato con i fondi
del Ministero degli Affari Esteri – Direzione generale per i Paesi dell’Europa.
INDICE
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?. . . . . . . . . . . . Pag.7
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia.
Il ruolo dell’Ozna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.29
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato. La lotta per
l’egemonia culturale nella Venezia Giulia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.63
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane» dell’Adriatico
orientale (1922-1943). Zara: il Piano Regolatore Generale del 1938
(Parte prima) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.117
William Klinger, Organizzazione del regime fascista nella Provincia del
Carnaro (1934-1936). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.191
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti: la carità tra l’Istria e Trieste. . . Pag.211
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri (corrieri) postali militari in
Istria (1940-1948). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.227
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda (1944-1945). Pag.261
Giovanni Radossi, Parenzo tra la “Serenissima” e la “Superba”. Le reliquie
dei santi Mauro ed Eleuterio: memoria storica sulla loro restituzione . . . . Pag.353
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
7
ESISTE ANCOR SEMPRE L’EUROPA CENTRALE?
DRAGO ROKSANDIĆ
Università di Zagabria
CDU 321(4)“654“
Saggio scientifico originale
Novembre 2012
Riassunto: Oggi in Croazia, riguardo alla sua identità, di solito si parla come di un paese
dalla millenaria identità (o del “circolo”) culturale europea, senza attribuzioni regionali.
Ancor “ieri” un discorso politicamente corretto sottintendeva la messa in rilievo della
sua identità mitteleuropea, spesso con una netta separazione dall’Europa sudorientale,
in particolare rispetto alle ambivalenze balcaniche della storia e della cultura croata.
Quest’articolo è un tentativo di spiegare i cambiamenti nel régimes d’historicité croato
nell’ultimo ventennio, focalizzandoli nei loro contesti regionali europei.
Summary: Does Central Europe still exist? – In terms of identity, Croatia is regarded
as a country with an ancient European cultural identity or “circle”, without regional
attributions. Only “yesterday” a politically correct discourse implied the highlighting of
its Central European identity, often with a clear separation from the Southeast Europe,
in particular with respect to the Balkan ambivalences of the Croatian history and culture.
This article is an attempt to explain the changes in the Croatian régimes d’historicité of
the past twenty years, focusing them in their regional European contexts.
Parole chiave / Keywords: Croazia, 1991-2011, storia contemporanea, regioni della storia
europea, Europa Centrale, Mediterraneo, Europa sudoccidentale, Balcani / Croatia,
1991-2011, Contemporary History, Regions of European History, Central Europe,
Mediterranean, Southwest Europe, Balkans
Lo scrittore Miroslav Krleža (Zagabria, 1893 – Zagabria, 1981) è da
molti ritenuto il nome più importante della cultura croata del Novecento.
In quasi ogni sua riga, metaforicamente parlando, è riconoscibile lo spirito mitteleuropeo,1 anche se egli ha sempre rifiutato con decisione di avere qualcosa in comune col “complesso centro-europeo”, spiegandolo più
volte in vario modo, spesso con ironia (dunque, in maniera tipicamente
La Bibliografia di Miroslav Krleža (Istituto enciclopedico Miroslav Krleža,
Zagabria, p. 404) contiene, tra l’altro, i dati bibliografici di tutte le sue opere tradotte fino
al 1999. L’indice (pp. 204-205) permette l’esame di tutte le traduzioni in ceco, ungherese,
tedesco, come pure nelle altre lingue. In ceco ci sono 61 traduzioni, in ungherese 111 e in
tedesco 98.
1
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
8
mitteleuropea!). Predrag Matvejević nei suoi Discorsi con Krleža (“Razgovori s Krležom”), pubblicati per la prima volta nel 1969, ha caparbiamente
cercato di indagare con acute domande le argomentazioni di Krleža contro
l’Europa Centrale, ma alla fine il tutto si è ridotto alla seguente affermazione dello scrittore:
“Anche se saremmo inclini ad accettare un certo tipo di presupposto secondo
il quale nell’ambito della decomposizione dell’Impero coloniale austro-ungarico,
eterogeneo ed eteroclito, si siano potuti manifestare alcuni, a prima vista simili, o chiamiamoli così, “dei riflessi comuni” nella sensibilità letteraria formatasi
in quest’area geografica, ritengo che il cosiddetto “complesso letterario centroeuropeo” sia un fantasma. Oggi, questo è un richiamare spiriti ormai defunti a
una seduta medianica… (…)… oggi questa è la formula per delle mistificazioni
pseudo letterarie che per necessità di opportunismo politico si applicano a svariati
motivi, per dimostrare come il mito di Vienna non si sia ancora spento. (…)”.2
Al cimitero zagabrese Mirogoj, che qualsiasi maggiore città centroeuropea potrebbe ritenere come proprio, Miroslav Krleža è stato sepolto di sua
volontà in una tomba che per aspetto ricorda le “eretiche” steli bosniacomedievali.
Il suo esame critico di alcuni valori culturali mitteleuropei all’apparenza
indiscutibili, come pure l’affermazione che i numerosi opus rappresentativi
“centroeuropei” non possono essere compresi al di fuori dei contesti occidentali o europeo-orientali e che tra loro non hanno dei riconoscibili legami
“centroeuropei”, è indubbiamente esatta. Le esperienze transculturali nella
moderna cultura croata – e Krleža ne è una chiara testimonianza – sono
all’essenza di ciò che in essa è di maggior valore. In essa l’esperienza mitteleuropea è facile da scorgere, ma è assai poco creativa quando si cerca di
inserirla entro determinati canoni.
Che questo non sia solo un caso croato, lo testimoniano nel migliore
dei modi i fatti di natura geopolitica, quelli che implicano la quasi totalità
degli aspetti d’identificazione mitteleuropea e riguardano in primo luogo
la questione dei confini nell’Europa Centrale. Qualsiasi discussione in merito, prima e dopo il 1989, non può eludere tale argomento.3 Il caso croato,
Predrag MATVEJEVIĆ, Razgovori s Krležom. VIII. prošireno izdanje [Discorsi
con Krleža. VIII edizione ampliata], V.B.Z., Zagabria 2011, pp. 65-66. La prima edizione
è stata pubblicata nel 1969.
3
Il convegno internazionale “Les politiques culturelles transnationales: Autriche,
Croatie, Hongrie, République Tchèque” (Strasburgo, 12-13 novembre 2010), convocato
2
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
9
anche in quest’occasione, è uno dei migliori esempi con le sue continuità
e discontinuità. I rapporti della Croazia con l’Ungheria, l’Austria e la Repubblica Ceca sono di lunga durata, ma quando si prende in considerazione
l’intero evo moderno europeo, è impossibile trascurare che i croati, con gli
ungheresi, i tedeschi d’Austria, i cechi e diversi altri popoli vicini sono stati
sudditi asburgici dal 1527 al 1918. Lo sono stati, in effetti, con un differente
status giuridico-amministrativo, nonché, quel che più conta, nell’ambito di
realtà socio-culturali notevolmente diverse. Per quanto la storia abbia “unito” questi quattro popoli fino al 1918, tanto li ha poi “diviso” dopo il 1918.
L’unico tentativo di loro “reintegro” all’interno del Terzo Reich non è stato
solo una farsa storica, ma anche il più tragico e a tutt’oggi il più traumatico
periodo storico per ciascuno di loro singolarmente e certamente anche per
i loro vicini.
In tal senso il periodo dopo il 1990/1991, per quel che riguarda la Croazia, rappresenta effettivamente un nuovo inizio mitteleuropeo. Questo è
ancor più fatale, poiché l’indipendenza statale conseguita dalla Croazia nel
1991, nella tragica dissoluzione bellica della RSF di Jugoslavia, ha avuto
molte più implicazioni di quante in quel momento siano sembrate alla maggioranza. Lo “jugoslavismo” moderno è stato in origine nel XIX secolo un
“prodotto” culturale e politico innanzitutto croato. I numerosi tentativi di
riformare la Jugoslavia dopo il 1918, rendendola quanto più accettabile per i
croati, ma anche, con maggiore o minore coerenza, pure per gli altri popoli
jugoslavi, spesso hanno avuto inizio proprio in Croazia e sono proseguiti
fino al 1989/1990.4 L’uscita dal paradigma jugoslavo ha ridefinito in modo
nello spirito mitteleuropeo, inevitabilmente solleva delle domande: se si accetta
l’approccio austrocentrico, legittimamente proposto, dove si trovano in questo discorso la
Germania e la Slovenia, ma anche la Svizzera e la Slovacchia, per non parlare dell’Italia,
la cui “Transpadania” è indubbiamente mitteleuropea.
4
Bisogna dire che uno dei motivi di ciò risiede nel fatto che fino al 1995 in Croazia
viveva una numerosa comunità serba, resasi autoctona nel periodo tra il XV e il
XVIII secolo. Essa aveva creato, nel corso del XIX e XX secolo la propria moderna
coscienza nazionale serba, come pure la coscienza di appartenere alla “patria croata”.
Di fronte alla Croazia degli ustascia dal 1941 al 1945 stava la Croazia partigiana, creata
fondamentalmente dalla coalizione antifascista croato-serba. I serbi in Croazia si sono
divisi sull’atteggiamento da tenere riguardo all’indipendenza statale della Croazia nel
1990/1991. (Vedi Drago ROKSANDIĆ, Srbi u Hrvatskoj od 15. stoljeća do naših dana
[I serbi in Croazia dal XV secolo ai giorni nostri], Vjesnik, Zagabria 1991). Molti hanno
partecipato alla rivolta contro la Croazia, ma molti hanno pure preso parte alla difesa
della stessa. Nel 1971 i serbi formavano il 14,6% della popolazione della Croazia, nel 1991
10
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
innovativo le tradizioni “dimenticate”. Tra queste, quella mitteleuropea si è
imposta come la più efficace.
La formula jugoslava della questione nazionale croata era però transregionale nell’ambito europeo, cioè sia mitteleuropea, sia mediterranea, sia
balcanica. Dunque, nel caso croato il rapporto con il concetto “Europa
Centrale” è permanentemente ambivalente. Negli anni Ottanta, quando in
Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia proprio questo concetto era, nelle numerose dichiarazioni dei dissidenti e anche negli umori delle opposizioni,
l’espressione concentrata dell’alternativa politica e culturale al “socialismo
reale”, in Croazia non è stato scritto neanche uno studio originale sull’Europa Centrale, mentre pure le traduzioni dei testi chiave sono comparse con
relativo ritardo.5 Erano questi gli anni della pubblicazione di libri come Breviario mediterraneo (“Mediteranski breviari”) di Predrag Matvejević, che è
stato quello di maggior successo (tra l’altro, fino a oggi il libro più tradotto
della letteratura croata contemporanea). Ce n’erano anche molti altri che
però per tematiche e sensibilità erano maggiormente orientati verso il Mediterraneo, persino quando inevitabilmente trattavano di argomenti mitteleuropei. Ciò è particolarmente visibile nelle opere con tematiche fiumane,
istriane e triestine di stampo mediterraneo-centroeuropeo. Tra gli autori, i
più influenti sono stati Enzo Bettiza (Spalato, 1927) e soprattutto Claudio
Magris (Trieste, 1939). Dunque, è importante rilevare che la problematica
mitteleuropea è in gran parte “entrata” nella cultura contemporanea croata attraverso il circolo culturale triestino, egualmente aperto sia verso gli
aspetti mediterranei sia verso quelli centroeuropei del proprio patrimonio
culturale. Gli stimoli innovativi sono stati nuovamente transculturali.
Molte cose sono cambiate in venti, trenta anni. L’opinione pubblica croata oggi, o meglio con continuità dal 1990, nella maggioranza dei casi ritiene
indubbiamente la Croazia un paese mitteleuropeo. Senza tali convinzioni
il 12,16%, mentre nel 2001 il 4,5%, cioè 201.631 abitanti. (Censimento della popolazione,
dei nuclei famigliari, delle abitazioni e delle economie agricole. 21 marzo 1991. La
popolazione in base alla nazionalità per abitati. Documentazione 881. Repubblica di
Croazia. Istituto repubblicano di statistica, Zagabria, 1992, p. 14; http://hr.wikipedia.org/
wiki/Srbi_u_Hrvatskoj. Rilevato il 6 gennaio 2012 alle ore 14.01).
5
Gordogan, la rivista edita dal Centro per le attività sociali della Lega della gioventù
socialista di Zagabria, aveva pubblicato in due occasioni, nel 1985 e 1987, alcuni testi
europei fondamentali per il dibattito sull’Europa Centrale. Fino al 1990 però, per parte
croata non sono apparsi testi che dal punto di vista creativo potrebbero essere paragonati,
per esempio, a quelli di Kundera o Konrad.
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
11
sarebbe stata difficile la plebiscitaria opzione per l’indipendenza statale nel
1991. Dopo il 1990, nell’accelerato processo di disintegrazione jugoslava,
è iniziato in Croazia il “rinascimento mitteleuropeo”. Nella cultura questo
si è manifestato, tra l’altro, in una specie di riscoperta del barocco, come
avveniva contemporaneamente, con processi analoghi, in altri paesi centroeuropei che avevano in comune l’esperienza della restaurazione cattolica.
Gradualmente si è poi esteso ad altri settori e argomenti. Non necessariamente gli stessi che erano inevitabili dall’aspetto mitteleuropeo in Austria o
nella Repubblica Ceca. Ad esempio, il cresciuto interesse per il patrimonio
illuminista centroeuropeo, primariamente asburgico, a differenza che in
Austria o nella Repubblica Ceca, in Croazia è di origine recente.6
A prescindere da cosa e quando è stato fatto nel processo di ricostruzione dell’identità mitteleuropea croata, il che indubbiamente era e rimane una
necessità fondamentale, sia dall’aspetto di reinterpretazione del patrimonio
sia dall’aspetto delle attuali necessità culturali e sociali croate – nell’ambito
dei propri orizzonti, ma pure in quelli europei e centroeuropei – il problema
principale fino al 2000 era, e in parte lo è anche oggi, sebbene in misura
molto minore, l’atteggiamento negativo vigente ancor sempre nei confronti
del Sudest europeo e in particolare dei Balcani (per non parlare di qualsiasi
altra cosa con l’attributo jugoslavo!).7 Anche se molti pensavano e pensano
In ciò anche questa volta l’influenza esterna ha avuto un ruolo importante. Mi
riferisco al 13. Internationaler Kongress zur Erforschung des 18. Jahrhunderts (Graz,
25–29 luglio 2011), ai cui lavori hanno partecipato numerosi studiosi croati. Nello stesso
spirito è stato realizzato recentemente, l’11 e 12 novembre 2011, il colloquio scientifico
croato-serbo sul tema “I croati e i serbi nella Monarchia asburgica del Settecento: aspetti
interculturali della modernizzazione ‘illuminata’”, svoltosi alla Facoltà di filosofia
dell’Università di Zagabria. È stato stampato pure il libro programmatico (ISBN 978953-175-409-5).
7
La destra politica croata negli anni Novanta era entusiasta del libro Clash
of Civilisations di Huntington, perché lo recepiva come una nuova legittimazione
geostrategica attuale del concetto di antemurale Christianitatis. Il problema era, tenendo
presenti le simili ispirazioni nazionalistiche per parte serba, che pure si riferivano a
Huntington, se il confine sudorientale della Croazia si sarebbe trovato sul fiume Una,
limite occidentale della Bosnia ed Erzegovina, oppure sul fiume Drina, limite orientale
della stessa (viceversa per parte serba). La politica serba come pure quella croata verso
la Bosnia ed Erzegovina oggi è posta sotto una specie di protettorato internazionale,
come del resto la stessa Bosnia ed Erzegovina dopo l’accordo di pace di Dayton del
1995. La politica croata nei confronti della Bosnia ed Erzegovina ha iniziato a cambiare
gradualmente dopo il 2000, ma seri problemi riguardo a questa repubblica rimangono
6
12
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
che in questo modo “difendano la Croazia”, proseguendo la tradizione
dell’antemurale Christianitatis, ciò naturalmente non poteva essere il caso.
La guerra mossa dalla parte serba (e montenegrina) in Croazia e contro
la Croazia ha traumatizzato i rapporti croato-serbi/serbo-croati in modo
da lasciare impronte durature che ancora oggi sostanzialmente aggravano
l’(auto)riesame critico croato.8
In Croazia, inoltre, rimane all’ordine del giorno la questione se essa è un
paese mediterraneo, in base a cosa e in quale maniera. Nessuno, certamente, vorrà rinunciare a questo status per principio, ma cosa questo significa,
in rapporto alla scelta mitteleuropea, saranno ben pochi a voler o a saper
rispondere, anche quando si tratta di esperti riconosciuti. Le numerose difficoltà, maggiori o minori, nei rapporti con la Slovenia, l’Italia, la Bosnia ed
Erzegovina e meno di tutto col Montenegro (insolito ma comprensibile) nel
Mare Adriatico, testimoniano che la questione adriatica, come problema
euromediterraneo par excellence, rimane latente e aperta. Sono convinto
che sia possibile risolverla innanzitutto in maniera bilaterale, ma non di
meno anche in modo multilaterale, o più esattamente transnazionale.
Naturalmente, è molto più complessa e “infiammabile” la domanda se la
Croazia sia un paese balcanico. La maggioranza delle persone risponderà
con un diniego. Però, dopo tutto quello che è successo nell’ultima ventina d’anni e tenendo presente quello che continua ad accadere, ben pochi
potranno sostenere oggi che la Croazia non abbia niente in comune con i
Balcani.9 Alla fin fine, anche se non si trattasse della sola Croazia, la questione riguarda l’indubbiamente balcanica Bosnia ed Erzegovina, senza la
quale è impossibile, ripeto, risolvere le problematiche essenziali del passato
croato, del presente e del futuro in Europa. La Bosnia ed Erzegovina nella
storia croata è, in diverso modo, altrettanto importante come nel caso bosniaco e serbo. Di questo ce ne siamo potuti render conto durante la guerra
del 1992-1995 e ce ne rendiamo conto anche oggi, cosicché si può liberamente affermare, senza timore di sbagliare nella sostanza, che il futuro
ancor sempre aperti, con implicazioni sul piano politico interno in Croazia.
8
Anche se si potesse mettere ad acta tutto il resto nei rapporti croato-serbi/serbocroati, le reciproche accuse di genocidio sono un onere duraturo, indipendentemente
dall’esito dei processi giudiziari promossi alla Corte dell’Aia.
9
Il distanziamento culturale dai Balcani si manifesta oggi in maniera diversa in tutti
i paesi dell’Europa sudorientale, anche se ciascuno di loro sarebbe ben lieto di vedere se
stesso quale “leader regionale” in questa o quell’area.
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
13
mitteleuropeo della Croazia sottostà alla “verifica” del successo della sua
politica balcanica.10
Se a ciò si aggiunge il fatto che la mescolanza etnica croato-serba in
Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e anche in Montenegro (nelle Bocche di Cattaro) è notevole – persino dopo la guerra del 1991-1995 – e che i
problemi di ogni genere ereditati in seguito a tale mescolanza sono ancora
più grandi, si può affermare con certezza che è suicida qualsiasi politica
croata che ignora gli aspetti e gli interessi balcanici della Croazia.
In conclusione, dal XVI secolo in poi la Croazia è stata innanzitutto un
paese mitteleuropeo, ma le questioni fondamentali per garantire la sua esistenza nel XIX e XX secolo sono sempre state di natura adriatico/mediterranea, mentre in questo stesso periodo era impossibile assolvere il processo
d’integrazione nazionale croata al di fuori del contesto balcanico.
Nella sua lunga durata storica, la Croazia e un paese sia mitteleuropeo, sia
mediterraneo, sia balcanico (o, per meglio dire dell’Europa sudorientale).11
Con ciò non è meno mitteleuropea, mediterranea ed europea-sudorientale
di qualsiasi altro paese. In altre parole, le macroregioni europee (inclusa
l’Europa Centrale) sono inevitabilmente ambivalenti nell’Europa degli stati-nazioni, ogniqualvolta un determinato stato-nazione ritrova se stesso in
più di una macroregione. Lo stesso problema diventa ancora più complesso
se mediante la “decostruzione” culturale di qualsiasi singolo stato-nazione
si solleva la questione della sua policentricità strutturale interna nel corso
della storia.12
Questo, certamente, non si riferisce soltanto alla Bosnia ed Erzegovina, ma
innanzitutto all’intero complesso dei rapporti serbo-croati.
11
Da questa convinzione di principio è nato il mio progetto di ricerca presso l’Istituto
per la storia croata della Facoltà di filosofia dell’Università di Zagabria, inizialmente
basato nel 1996 sulla collaborazione con i partner dell’Università di Graz e dell’Università
centroeuropea di Budapest, intitolato “Triplex Confinium: molteplicità confinaria croata
nel contesto euromediterraneo”. La collaborazione si è in seguito ampliata all’Università
di Padova ecc. Il progetto include anche gli studi di orientalistica. (Vedi: www.ffzg.hr/
pov/zavod/triplex).
12
Vedi i primi tentativi in riguardo: Hervé LE BRAS; Emmanuel TODD, L’invention
de la France, Pluriel. Inédit, 1980. Ora è diventato ormai un classico: Fernand BRAUDEL,
L’identité de la France (1986.). È riportata la nozione che ritengo fondamentale anche
nel mio modo d’intendere la Croazia come multipla terra di confine europea (multiple
borderland). Vedi Drago ROKSANDIĆ, Triplex Confinium. O granicama i regijama
hrvatske povijesti 1500-1800.[Triplex Confinium. Sui confini e sulle regioni della storia
croata 1500-1800], Barbat, Zagabria 2003.
10
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
14
Durante l’intero “secolo breve” (1918-1989) il concetto di “Europa Centrale” ha ovunque cambiato i propri significati13 e non ha cessato di farlo
nemmeno dopo il 1989. Oltre all’inizialmente privilegiato “triangolo”, ossia
“quadrilatero”, euroatlantico (Repubblica Ceca e Slovacchia, Polonia, Ungheria), è rimasta sempre aperta, in diverso modo, la questione dello status
mitteleuropeo di una serie di nazioni: dalle indubbie Slovenia e Croazia a
sudovest fino alla Romania, alla Serbia (talvolta esclusivamente riguardo
alla Transilvania nella prima e alla Vojvodina nella seconda) e anche alla
Bulgaria a sudest. Non sono rari i sostenitori dello status centroeuropeo
della Bosnia ed Erzegovina, mentre rimane aperto il quesito se a oriente la
Moldavia e l’Ucraina (per intero o soltanto le loro regioni occidentali) rientrano nell’Europa Centrale, domanda che si ripete anche per la Bielorussia.
È ormai abituale invece, ritenere mitteleuropei i paesi baltici, cioè Lituania,
Lettonia ed Estonia.
Allo stesso tempo, per citare un caso che tange in particolare la Croazia,
questa era fino a non molto tempo fa, assieme agli altri stati successori
dell’ex RSF di Jugoslavia (esclusa la Slovenia) e all’Albania, categorizzata
nei documenti ufficiali dell’Unione Europea quale paese dei Balcani occidentali. Si è cessato di usare questo concetto dal momento dello sblocco
delle trattative di adesione della Croazia all’Unione Europea. Il rinnovato
interesse per la Mitteleuropa coincide da un lato con le difficoltà strutturali e funzionali dell’Unione Europea e dall’altro con le genuine necessità
di ciascuno dei citati paesi di sviluppare a livello regionale, bilaterale e
multilaterale i rapporti con i propri vicini. In ciò sono stati ottenuti svariati
risultati in diversi campi, ma potrebbero essercene molti ma molti di più.14
È importante, inoltre, tenere sempre a mente che qualsiasi politica tedesca e austriaca avrà sempre il proprio contesto mitteleuropeo, mentre anche
In merito ho scritto per la prima volta nell’articolo “Serben, Kroaten und
Mitteleuropa”, in Gerd BACHER, Karl SCHWARZENBERG, Josef TAUS, (Hg.),
Standort Österreich. Über Kultur, Wirtschaft und Politik im Wandel, Graz: Styria, 1990.
Vedi pure, IDEM, “Völkerkerker, Vielvölkerstaat, neue Nationalstaaten. Illusionen und
Realitäten der kleinen Völker Mitteleuropas” in Helmut STEINER, (redattore), Was.
Zeitschrift für Kultur und Politik, nr. 79, Mürzzuschlag 1995, pp. 31-42. Il capitolo
centroeuropeo Mitteleuropa II contiene anche gli articoli di Daniela Strigl, Ferenc Glatz,
Eduard Goldstücker, Peter Hanák e Helmut Konrad.
14
Un grande problema è rappresentato dalla proliferazione delle iniziative regionali,
non di rado con gli epicentri al di fuori della regione, il che evidentemente riflette la
discordia degli interessi euroatlantici.
13
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
15
nel caso di tutti gli altri paesi citati, la cornice centroeuropea presupporrà
la definizione dei rapporti con l’Austria e la Germania, nonché, con criteri
ancor più chiari, i rapporti impliciti ed espliciti con la Russia e sempre più,
nuovamente, anche con la Turchia.15
Ventitré anni dopo il 1989, di questo si parla ancor sempre con una specie di trasporto religioso, come di un Annus Mirabilis, che anche oggi, molto più di quanto sarebbe necessario in un’Europa secolare, è interpretato
come un anno di “resurrezione”. Penso che proprio questo sia il problema
principale. La storia europea – intesa come storia della civiltà europea, in
particolare la storia contemporanea intesa come storia della modernizzazione nel breve XX secolo – esclude relazioni “miracolose” nei confronti
del proprio patrimonio. Essa include soltanto quelli che tramite le categorie
analitiche della storia della civiltà sapranno criticamente esaminare e valorizzare i cinquantacinque anni europei, cioè il periodo dal 1944/1945 al
1989/1990. Non va sottovalutato quanto realizzato dopo il 1989, però le crisi
correnti, che in parte sono evidentemente di natura strutturale, inducono
alla conclusione che molte cose riguardanti il patrimonio centroeuropeo dal
1944/1945 al 1989/1990 non sono ancora state criticamente assolte.
Le società mitteleuropee dal 1918 al 1945, a prescindere dalle differenze,
erano innanzitutto delle società contadine basate sull’economia agricola.
Anche se non ci fossero stati gli effetti devastanti della Prima e della Seconda guerra mondiale, il “nuovo inizio” nel 1945, persino senza l’Unione
Sovietica, sarebbe stato comunque conflittuale, o perlomeno contraddittorio.16
L’originale Mitteleuropa nel XIX e agli inizi del XX secolo, ma anche dopo, è
germanocentrica. (Vedi Jacques LE RIDER, Mitteleuropa, Barbat, Zagabria 1998.
L’edizione originale, con lo stesso titolo, in Presses Universitaires de France, 2004). Da
ciò derivano anche i termini Ostmitteleuropa, Westmitteleuropa, Südostmitteleuropa,
ecc. Nel caso austriaco è più frequente l’uso del termine Zentraleuropa, mentre in
francese l’Europe Médiane. È di fondamentale interesse mitteleuropeo ed europeo che
l’Austria e la Germania, per quanto siano paesi partner in vari campi, rimangano distinte
e riconoscibili nella politica, nella cultura, nell’economia, ecc. Nell’Europa Centrale dei
popoli tanto numerosi e degli ancor più numerosi traumi storici, di fronte all’incertezza
del futuro lo stato-nazione avrà ancora per molto tempo il proprio ruolo di emancipatore,
naturalmente a condizione che non perda le sue origini autenticamente democratiche.
16
L’attuale crisi in Ungheria, caratterizzata da una moltitudine di dichiarazioni
nazional-populiste, dimostra come uno dei paesi che dopo il 1989 in Europa e nel mondo
era percepito quale “storia di successo della transizione” è ancora ben lontano dal
rappresentare un modello.
15
16
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
Non potendo prevedere gli effetti della spartizione dell’Europa in zone
d’interesse tra le due maggiori potenze della coalizione antifascista dal 1943
al 1945, è importante rilevare che ciascuno stato centroeuropeo è entrato a
far parte della zona sovietica in maniera diversa, oppure ha evitato di entrarci. Nel 1945 non era uguale essere dalla parte dei vinti o dei vincitori,
essere dalla parte di quelli le cui armate avevano combattuto nell’Unione
Sovietica come alleati dei tedeschi o tra quelli che, in vario modo, erano
alleati dei sovietici. Non era lo stesso trovarsi tra quelli che tra il 1939 e il
1941 erano stati occupati e persino esposti al genocidio o tra quelli che nello stesso periodo, assieme alle forze fasciste, occupavano e distruggevano
altre genti e popoli di “minor valore”. Non era indifferente quante erano e
dove si trovavano le forze politiche (pro)comuniste nell’Europa Centrale tra
il 1944 e il 1945 e come immaginavano il proprio paese dopo la “vittoria”,
nonché in che modo e in quale misura avevano realizzato la loro “solidarietà socialista” nei confronti dell’Unione Sovietica staliniana. La guerra
fredda aveva soltanto all’apparenza “soppresso” l’Europa Centrale.
D’altro canto, nel 1989/1990 ciascun paese mitteleuropeo è uscito in maniera diversa dal “comunismo”. La Jugoslavia nel 1948 aveva cessato di
trovarsi nella sfera d’influenza sovietica, mentre dal 1950 aveva iniziato
l’“esperimento” del socialismo autogestito che doveva garantire l’effettiva
rottura con il socialismo staliniano. In questo vi è riuscita soltanto in parte,
forse proprio per il quarantennale incoerente e oscillatorio distanziamento
dal socialismo di stato. I “risorgimenti nazionali” nella plurietnica Jugoslavia sono stati l’unico indubbio effetto. L’accumulo delle contraddizioni
di transizione dal 1950 al 1990 alla fine ha causato l’implosione del sistema. L’autogestione è scomparsa come se non fosse mai esistita. La Romania, dopo la Jugoslavia, era il paese che con maggior persistenza riusciva
a evitare i limiti del monopolio geopolitico sovietico, ma in pratica senza
neanche tentare di aprire un dibattito sulle alternative politiche interne al
“socialismo reale rumenizzato”. Le resistenze, profondamente più autentiche, allo stalinismo e all’imperialismo sovietico in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia necessariamente avevano una portata limitata in seguito alle
condizioni vigenti di “guerra fredda”, ma per questo hanno potuto ottenere
il proprio pieno effetto con gli inizi della “perestrojka” sovietica.
La Repubblica cecoslovacca – stato nel quale il putsch comunista del
1948, diretto dall’Unione Sovietica ma eseguito con un massiccio appoggio, anche se non maggioritario, dal “basso”, ha avuto buon esito – è stata
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
17
la prima a orientarsi, dopo il XX Congresso del PCUS, con molte esitazioni ma soprattutto spinta dal “basso”, verso la possibilità d’introdurre
un socialismo democratico e pluralista, proprio perché aveva una cultura
politica di sinistra tradizionalmente forte, sorta in una tra le prime società
industrializzate dell’Europa Centrale. Quindi il fallimento della “primavera
di Praga” e del “socialismo dal volto umano” nel 1968, con l’occupazione “fraterna” del paese, la “normalizzazione” telecomandata e così via,
ha avuto probabilmente un effetto molto più devastante per il futuro di
qualsiasi alternativa socialista nell’Europa Centrale che non quanto accaduto anni prima in Ungheria o in Polonia, ad esempio. In questi ultimi due
paesi il socialismo era stato importato dai sovietici nel 1944/1945 e non
aveva alcuna chance di essere socialmente interiorizzato. A prescindere
dalle differenze e dalle somiglianze tra Ungheria e Polonia nel periodo dal
1944/1945 al 1989, in definitiva la maggior differenza sta nel fatto che dopo
il 1956 i comunisti ungheresi erano quelli che con molte incoerenze creavano gradualmente i presupposti per la transizione democratica (“socialismo
al gulasch”), mentre nel caso polacco la massiccia alternativa anticomunista si è articolata gradualmente dopo il 1968 con il reciproco impulso tra
strati operai e intellettuali, tra Polonia spirituale e laica, nonché mediante
la capillare disintegrazione del sistema comunista di governo e di potere.
Nel 1989 sembrava che le reazioni a catena dell’implosione dei sistemi
fossero impossibili da fermare a lungo termine. Ben presto è prevalso il
convincimento che i cambiamenti democratici dal “basso”, ovvero che le
“rivoluzioni” di vario colore avrebbero stabilizzato per molto tempo le condizioni di transizione del sistema verso i modelli europeo-occidentali. È
successo invece, che le nomenclature nazionalcomuniste si sono adeguate
agli imperativi momentanei della transizione, disperdendosi in vari partiti politici, mentre la transizione democratica, intesa in senso più complesso, ha dovuto rallentare. Chissà come si sarebbe svolta in generale la
transizione, se non ci fosse stato l’imperativo euroatlantico che persino la
Romania, stato ai confini del mondo postsovietico, doveva divenire una
success-story? Non è anche questa un’ironia transnazionale e mitteleuropea
del destino?
Quello che sta succedendo oggi nell’economia mondiale, a giudicare
dalle diagnosi contraddittorie provenienti da varie parti del mondo, non
è facile da capire. Non è difficile notare, indipendentemente da ciò, che
nonostante le dimensioni globali della crisi e le inevitabili strategie globali
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
18
per uscirne, cresce dappertutto il ruolo dello stato-nazione nell’assumersi le
responsabilità per la situazione nella propria economia, ossia nella società e
nella cultura. La domanda è soltanto in quale misura e dove il potere statale
è stato costituito democraticamente, o quanto egli è uno strumento nelle
mani dei centri di potere che sono ben lontani dal sottostare a una verifica
democratica.
In ciò le comunità regionali europee, incluse quelle mitteleuropee, hanno un ruolo limitato, mentre i rapporti reciproci tra vicini non sembrano
incoraggianti, almeno per quel che riguarda il prossimo futuro. Dall’aspetto
croato, gli scandali legati alla corruzione ai massimi livelli del potere hanno le proprie coordinate centroeuropee in Austria e in Italia, in Ungheria e
Slovenia, mentre d’altro canto, le condizioni di gestione dei settori chiave
dell’economia croata sono una causa diretta delle serie difficoltà nei rapporti con alcuni vicini regionali (Agrokor vs. Mercator nel caso della Slovenia,
INA vs. MOL con l’Ungheria, ecc.). D’altronde, i citati paesi e la Germania
da un lato, la Bosnia ed Erzegovina e la Serbia dall’altro, sono i principali partner commerciali ed economici della Croazia, il che è la migliore
garanzia dell’esistenza d’interessi regionali comuni per risolvere insieme i
problemi fondamentali.
Proprio per questo sono maggiormente preoccupato, perché non noto
maggiori investimenti comuni nelle innovazioni socio-umanistiche e tecnico-tecnologiche, mentre la mobilità regionale dei ricercatori, dei professori
universitari e degli studenti è ancor sempre estremamente limitata e molto
spesso a senso unico: dai meno sviluppati verso quelli sviluppati. Partendo
dall’esperienza personale della Facoltà di filosofia dell’Università di Zagabria, nella quale ci sono oltre 750 persone con diverso status di discente e
all’incirca 10.000 studenti, non posso fare a meno di notare che gli studi
centroeuropei nella maggioranza dei casi si muovono su direzioni tradizionali e anche tradizionalistiche, con ben poche innovazioni (vedi allegato 1). La novità sta nel fatto che differenti tematiche centroeuropee sono
studiate e insegnate più spesso, ma ciò, sicuramente, non è sufficiente.17
Insegnando Storia dell’Europa centrale e sudorientale al Dipartimento di storia
della Facoltà di filosofia presso l’Università di Zagabria e redigendo varie collane di
diversi editori zagabresi, ho realizzato come redattore e come autore di introduzioni ed
epiloghi tutta una serie di titoli che hanno permesso di prendere in visione, per la prima
volta in lingua croata, le interpretazioni originali della storia dei popoli mitteleuropei.
Ad esempio Péter HANÁK, (red.), Povijest Mađarske [Storia dell’Ungheria], Zagabria
17
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
19
La cornice mitteleuropea è di per sé molto importante, ma non bastante. È
indispensabile che sia almeno europea. Per il futuro dell’Europa e in particolare dell’Unione Europea, è importante innanzitutto che la Germania e la
Francia riescano a concordare le strategie per il “superamento della crisi”
e, quel che è ancora più fondamentale, appoggino la formazione di modelli
alternativi di sviluppo.
C’è ancora un problema importante per quel che riguarda il futuro
dell’Europa Centrale. Recentemente ho ricevuto da Graz l’informazione
che l’Università di Graz, in occasione del 40. anniversario d’attività del
Centro universitario per la storia dell’Europa sudorientale, promuove la
nuova serie di pubblicazioni SEEMES (South East European and Middle
East Studies): vedi www.seemes.at.18 L’iniziativa mi ha indotto a riflettere.
Condivido, ripeto, l’opinione che il futuro dell’Europa sudoccidentale sarà
in gran parte legato al futuro del Mediterraneo, in particolare del Medio
Oriente, ma per niente meno – non è necessario ripeterlo – sarà legato al
futuro dell’Europa centro-orientale, di quell’Europa compresa tra Germania, Russia e Turchia. In altre parole, la contestualizzazione dei problemi
di sviluppo futuro dell’Europa centro-orientale, primariamente nell’ampio
orizzonte sudorientale, cioè centro-orientale, non è possibile sentirla se non
come un riflesso dell’Europa che è “stanca dell’ampliamento” e che è interessata soprattutto a mantenere nella “macchia bianca sudorientale” l’aspetto della sicurezza. Quello che collega l’Europa sudorientale e il Medio
Oriente, nell’ottica euroatlantica, è fondamentalmente la conflittualità geostrategica, nonché il (sotto)sviluppo periferico e l’incerta stabilità interna.19
La Turchia è il paese più grande di tutta l’area mediorientale e sudorientale europea e allo stesso tempo quello con la più rapida crescita economica e, sotto certe condizioni, con il maggiore potenziale militare (con la
1994; Erich ZÖLLNER, Therese SCHÜSSEL, Povijest Austrije [Storia dell’Austria],
Zagabria 1997; Jacques LE RIDER, Mitteleuropa, Zagabria 1998; Jean-François NÖEL,
Sveto Rimsko Carstvo [Il Sacro Romano Impero], Zagabria 1998; Ulf DIRLMEIER e
altri, Povijest Njemačke, [Storia della Germania], Zagabria 1999.
18
In merito vedi l’opera di Karl KASER, Balkan und Naher Osten. Einführung in eine
gemeinsame Geschichte, Böhlau-Verlag, 2011.
19
Questo, naturalmente, include un gran numero di tensioni/conflitti interconfessionali
che relativizzano lo status giuridico internazionale di diversi stati (Bosnia ed Erzegovina,
Serbia/Kosovo, Macedonia, Cipro, Israele/Palestina, Libano, Iraq…). C’è da aspettarsi
che questo elenco sia destinato ad allungarsi piuttosto che ad accorciarsi. Mi riferisco in
primo luogo all’ormai inevitabile apertura della questione curda.
20
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
condizionale, a causa di Israele!), ma anche con una discutibile legittimità
democratica e un’insostenibile politica verso le minoranze. Piaccia o no a
qualcuno in Europa, la Turchia oggi riconfigura le realtà politiche e culturali di tutta quest’area. Sono concorde che davanti a tutto ciò, soprattutto
dopo la serie di cambiamenti avvenuti nei paesi arabi del Mediterraneo,
non si possano chiudere gli occhi. In tal senso è chiaro il motivo per cui i
colleghi austriaci iniziano a occuparsi in modo nuovo di ricerche incentrate
sull’Europa sudorientale e sul Medio Oriente e a promuovere una serie di
pubblicazioni.
Personalmente, comunque, sono preoccupato perché da parte austriaca,
parallelamente a queste iniziative, non ce ne siano di altre analoghe indirizzate verso un più totale collegamento scientifico dell’Europa Centrale e
Sudorientale. Con questo tipo di collegamenti la collaborazione scientifica
e di ricerca austro-croata potrebbe svilupparsi in maniera più produttiva,
proprio perché la Croazia è un paese sia mitteleuropeo sia europeo sudorientale. Questo, però, non è solo un interesse croato. In tutti i paesi dell’Europa sudorientale si sente la mancanza di un nuovo approccio verso i loro
problemi da parte del “nucleo” centroeuropeo.
Durante le mie lezioni agli studenti a Zagabria, spesso rilevo che
nell’Europa sudorientale, all’epoca della nascita degli stati nazionali, non
c’è stata nazione che abbia creato il proprio stato, ossia lo stato-nazione,
senza attingere al sapere, alle conoscenze e alle svariate altre esperienze
della Monarchia Asburgica, ovvero della Mitteleuropa tedesco/austriaca.
È sufficiente riferirsi all’esempio serbo e citare in tutto alcuni esempi più
evidenti. Il riformatore della lingua serba Vuk Karadžić non sarebbe mai
riuscito a standardizzare con tale successo la lingua serba moderna se per
decenni non avesse lavorato a Vienna, con l’appoggio di importanti autorità
nel campo della glottologia. La tradizione orale serba difficilmente avrebbe
conseguito il proprio status infranazionale e internazionale senza l’appoggio di autorità come Goethe e i fratelli Grimm. La moderna storiografia
serba avrebbe con molte più difficoltà orientato il proprio sviluppo critico
senza il Geschichte der serbischen Revolution di Leopold von Ranke, per
non parlare di Konstantin Jireček. La moderna legislativa serba del 1844
poggia sull’appropriazione del Codice civile austriaco del 1811. Di trasferimenti analoghi ce n’è a iosa nel caso rumeno, greco, bulgaro, albanese e
di altri paesi. Molto di ciò è noto agli studiosi, ma, oserei dire, non ha un
significato più ampio nelle mentalità collettive, sia nelle élite sia in qualsiasi
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
21
altro strato sociale. È stato così nel passato e non credo che nel prossimo futuro sarà diverso. Dunque, i rapporti europei centro-sudorientali, nei
quali la Croazia, ripeto, è uno dei paesi chiave, aspettano ancora il proprio
“rinascimento”.20
Nel caso vengano a mancare complesse ricerche e valorizzazioni del
passato dell’Europa Centrale e Sudorientale, nonché nel caso non sia articolata a sufficienza, in maniera pratica, la coscienza sugli attuali e futuri
interessi comuni dell’Europa Centrale e Sudorientale, i soli stati-nazioni
potranno sempre trovarsi esposti ad anacronistici errori nelle proprie strategie regionali. Con la reinterpretazione delle tradizioni – senza abbandonare l’orizzonte mitteleuropeo – si possono sovradimensionare le preferenze
per determinati rapporti bilaterali quali elementi primari per la costruzione
dell’identità centroeuropea della Croazia. Mi sembra, nel concreto, che ciò
talvolta sia venuto all’evidenza nell’ultimo ventennio nel caso dei rapporti
ungaro-croati. Forse ciò è dovuto al fatto – e sono propenso a crederlo – che
per anni questi rapporti, dal 1918 al 1941 e dal 1948 agli anni Sessanta, non
siano stati supportati e sviluppati a sufficienza. Nel 2002 è stato celebrato
il 900. anniversario dello stato comune di Ungheria e Croazia e in questa
occasione è stata pubblicata una ponderosa e rappresentativa raccolta scientifica nella cui introduzione si legge:
Novecento anni fa il re ungherese Colomanno della dinastia degli
Arpad è stato incoronato re croato a Biograd na moru (Alba Marittima). Era questo l’inizio di una tra le più durature unioni statali
nella storia d’Europa. Allora ha avuto inizio la convivenza storica tra
Croazia e Ungheria. Questa comunità ha assicurato per secoli ai
propri abitanti nell’area centroeuropea e mediterranea il libero
sviluppo e ha offerto protezione contro le espansioni imperiali e
i tentativi di annessione sia che si tratti dei Tartari, di Venezia o
degli Asburgo (nota – sottolineato da D.R.).
Sebbene nel periodo della nascita dei moderni stati, a causa dei diversi interessi, i croati e gli ungheresi si siano talvolta trovati in parti
contrapposte, la comune tradizione europea e la plurisecolare eredità
spirituale possono far ricordare loro, agli inizi del XXI secolo, il comune passato e arricchire i rapporti di buon vicinato. (…) (pag.4).21
Menzionerei senz’altro il libro „Mitteleuropa“ und „Südosteuropa“ als Planungsraum, uscito nel 2010.
21
Milka JAUK-PINHAK, Croato-hungarica. Uz 900 godina hrvatsko-mađarskih
povijesnih veza / A horvát-magyar történelmi kapcsolatok 900 éve alkalmából, [Per i 900
20
22
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
La ricostruzione del lungo “idillio” storico ungaro-croato, protrattosi
fino al XIX e XX secolo è, certamente, insostenibile storicamente, nonché
politicamente e culturalmente retrograda. Lo stesso si può dire per i tentativi simili di apologia della fedeltà croata agli Asburgo, ecc.22 È importante
rilevare che il futuro dell’Europa Centrale non si può costruire basandosi
su anacronismi storici. Qualsiasi ricostruzione interculturale, affinché sia
possibile in senso bilaterale, deve avere in sé i presupposti transculturali
e, quel che è ancora più importante, il potenziale creativo. Al contrario,
l’idea di Mitteleuropa si riduce a livello di incubo pseudoromantico che può
generare soltanto stereotipi ereditati e nuovi conflitti. Ad ogni modo è molto importante che l’interculturalità ungaro-croata si sia indirizzata verso i
propri nuovi “confini”.
Non volendo entrare nelle tradizioni alto e basso medievali dell’interculturalità ungaro-croata, mediata fino all’Ottocento dalla lingua latina e i cui
valori sono davvero duraturi, per comprendere la situazione attuale è molto
più importante tener presente che all’epoca dei “risorgimenti nazionali” –
nel caso croato raggiunse il proprio apice nel periodo tra il 1835 e il 1848
– la croatizzazione della cultura croata supponeva la deungarizzazione (ma
anche la degermanizzazione e la deitalianizzazione).23 Gli anni 1848/1849
anni dei legami storici ungaro-croati] Cattedra di ungarologia della Facoltàdi filosofia di
Zagabria e Matica hrvatska, Zagabria 2002, 544 pagine. Nella raccolta sono presenti 40
autori sia croati sia ungheresi.
22
Naturalmente non si tratta di una peculiarità croata. Fenomeni tipologici simili sono
presenti ovunque nell’Europa Centrale e Sudorientale. Ho approfondito quest’argomento
nel contributo “Shifting Boundaries, Clientalism and Balkan Identities” (Jacques
REVEL, Giovanni LEVI, (eds), Political Uses of the Past. The Recent Mediterranean
Experience, Frank Cass, London & Portland OR, 2002, pp. 43-48.
23
È importante rilevare che questo processo non era unidirezionale neanche nel caso
croato. La croatizzazione non escludeva l’uso funzionale dell’italiano e/o del tedesco, più
raramente dell’ungherese. Ho verificato cosa ciò significasse nel concreto sull’esempio
della lingua tedesca: Drago ROKSANDIĆ, “Controversies on German Cultural Orientation
in the ‘Croatian National Renewal’: German Language and Culture in Croatian Everyday
Life, 1835–1848” in Charles W. INGRAO, Franz A.J. SZABO, (red.), The Germans in the
East, West Lafayette, Indiana: Perdue University Press, pp. 129-146. Lo stesso articolo
è stato pubblicato anche in croato: “Kontroverze o njemačkoj kulturnoj orijentaciji u
hrvatskom narodnom preporodu: njemački jezik u hrvatskoj svakodnevici, 1835.–1848.”
[Controversie sull’orientamento culturale tedesco nel risorgimento nazionale croato: la
lingua tedesca nella quotidianità croata, 1835-1848], Historijski zbornik [Miscellanea
storica], anno LX, Zagabria 2007, pp. 65–82.
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
23
segnarono il vertice di tale processo. L’uso della lingua ungherese in Croazia dopo il 1868, cioè dopo l’ineguale “concordato” (Ausgleich) tra Ungheria e Croazia, era vissuto regolarmente per parte croata come simbolo della
mancanza della parità di diritti e come un atto di violenza politica e culturale. Nella moderna Università di Zagabria, aperta nel 1874 – a prescindere
dal fatto che il parlamento croato la aveva legittimata già nel 1861, quindi
nella prima convocazione dopo il restauro della costituzionalità – ritardava
anche l’introduzione della lingua ungherese nell’insegnamento. Il lettorato
per la lingua ungherese è stato istituito nel 1880, mentre la Cattedra di lingua e letteratura ungherese appena nel 1892, rimanendo però incompleta
fino al 1902! Ha operato con continuità fino al 1923. Da allora e fino agli
anni Sessanta all’Università di Zagabria non c’è stato insegnamento di lingua e letteratura ungherese.24 Fino a quando l’istruzione universitaria nella
Jugoslavia socialista non è diventata competenza esclusiva delle autorità
repubblicane, l’ungarologia era insegnata e si sviluppava esclusivamente
presso l’Università di Novi Sad, capoluogo della regione autonoma della
Vojvodina, abitata in buona parte da magiari. Appena dopo gli anni Sessanta è iniziato il graduale sviluppo, invero molto rallentato, dell’ungarologia
a Zagabria. Bisognerà attendere l’indipendenza della Croazia nel 1991 e il
radicale cambiamento della situazione geopolitica e geoculturale croata per
arrivare finalmente nel 1994 all’istituzione di due nuovi collegi di studio
presso il Dipartimento di linguistica generale e di studi orientali: l’ungarologia e la turcologia. In seguito, questi si sono evoluti in Dipartimenti a
sé stanti della facoltà. Il Dipartimento di ungherese è oggi in piena ascesa,
tra l’altro perché la maggioranza delle lezioni è tenuta da professori la cui
lingua madre è l’ungherese, ma che sono ottimi conoscitori del croato e
ricercatori che pensano e operano in maniera inter e trans culturale. Il collegio di ungarologia fa progredire da un lato le politiche concordate degli
stati ma ancor più i progetti di ricerca bilaterali e multilaterali, la mobilità
dei docenti e degli studenti, nonché le iniziative culturali che rendono viva
la conoscenza della lingua.25
Il fatto citato non dovrebbe trarre in inganno. La Hungarica nella cultura croata è
permanentemente riconoscibile, mentre una parte importante dell’opus di alcuni scrittori,
come il citato Miroslav Krleža, è del tutto incomprensibile senza conoscere il patrimonio
dell’interculturalità ungaro-croata.
25
Op. cit., pp. 7-10; Stjepan DAMJANOVIĆ (redattore), Filozofski fakultet Sveučilišta
u Zagrebu. Monografija [Facoltà di filosofia dell’Università di Zagabria. Monografia],
24
24
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
All’inizio degli anni Novanta è diventato chiaro anche ai meno informati
che parte della moderna cultura croata, a dispetto della percezione generale
sulle “guerre culturali” ungaro-croate, è di provenienza interculturale ungaro-croata, il che è stato rilevato in particolare da Jadranka Damjanov, redattrice della prima raccolta scientifica sui rapporti culturali ungaro-croati:
“Il libro vuole essere d’aiuto alla miglior comprensione tra le persone di lettere
croate e ungheresi. (…) E ora, se permettete, qualcosa di personale. Sento che
lavorando a questa raccolta soddisfo le esigenze della mia duplice origine, coltivando l’atmosfera nella quale, in seguito all’incontro dei miei genitori, sono nata
e sono stata educata.” (p.12) 26
A prescindere se si tratti di esperienze personali o famigliari di provenienza austro-croata, croato-ceca, ungaro-croata, o croato-slovena e croato-serba, che sono tutte molto presenti nella società croata contemporanea,
esse rappresentano le fonti più stabili per la ricostruzione delle tradizioni centro e sudorientali europee, cioè del potenziale creativo per il futuro
transregionale croato. In riguardo ne sappiamo ancora troppo poco. Il fatto
è che i patrimoni mitteleuropei vanno umanizzati, resi umanamente riconoscibili, indipendentemente se si tratta del passato o del futuro.
Allegato 1: Dottorati di ricerca su temi croato-austriaci, croato-cechi e
croato-ungheresi sostenuti alla Facoltà di filosofia dell’Università di Zagabria dal 1990 al 2010 27
704. 09.07.1990.: Šorošac, Đuro, Bosanski Hrvati u okolici Pečuha [I
croati bosniaci nei dintorni di Pecs] (etnologia)
744. 05.12.1991.: Perunović, Sreća, Etnički identitet i kulturna obilježja:
Hrvati u Mađarskoj [Identità etnica e caratteristiche culturali: i croati
in Ungheria] (sociologia)
Zagabria 1998, pp. 245–252.
26
Jadranka DAMJANOV, (redattore), Hrvatska/Mađarska. Stoljetne književne
i likovno-umjetničke veze [Croazia/Ungheria. Legami letterari e artistici secolari],
(edizione bilingue croato-ungherese), Biblioteca Relations, Zagabria 1995, 436 pag.
27
È importante rilevare che il numero di dottorati di ricerca nei quali, in varia
maniera, sono trattati i contesti e le problematiche centroeuropee, è ben maggiore. Non
è stato possibile identificarli senza prendere in visione i manoscritti. In quest’occasione
è stata usata la documentazione amministrativa. Ringrazio Sanja Ivanović dell’Ufficio
per gli studi post-laurea della Facoltà di filosofia dell’Università di Zagabria per la sua
cortesia.
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
25
756. 06.03.1992.: Beljak, Nives, Tradicijska kultura gradišćanskih Vlaha
s osobitim obzirom na poljodjelska oruđa [La cultura tradizionale
dei valacchi del Burgenland con particolare riferimento agli arnesi
agricoli] (etnologia)
764. 15.07.1992.: Grbić, Jadranka, Povezanost materinskog jezika i
etničkog identiteta Hrvata u Mađarskoj [Legame tra lingua materna
e identità etnica dei croati in Ungheria] (etnologia)
850. 02.02.1996.: Lukežić, Ervin, Proza u gradišćanskih Hrvata [La prosa
dei croati del Burgenland] (croatistica)
852. 27.04.1996.: Aničić, Mladen, Ugarsko-hrvatsko kraljevstvo i Bosna u
doba anžuvinske vlasti [Il regno ungaro-croato in Bosnia ai tempi del
potere angioino] (storia)
857. 23.05.1996.: Häusler, Maja, Učenje njemačkog jezika u Hrvatskoj
s povijesnog aspekta [Lo studio della lingua tedesca in Croazia
dall’aspetto storico] (germanistica)
872. 10.10.1996.: Petlevski, Sibila, Modernizam: primjeri iz hrvatskog
kazališta i drame i njihov srednjoeuropski kontekst [Il modernismo:
esempi del teatro e del dramma croato e loro contesto centroeuropeo]
(letteratura comparata)
874. 11.10.1996.: Sečić, Dora, Kraljevska sveučilišna knjižnica u Zagrebu
1874.-1918.: razvoj srednjoeuropske knjižnice s dvojnom funkcijom
[La Reale biblioteca universitaria a Zagabria 1874-1918: sviluppo
di una biblioteca centroeuropea con duplice funzione] (scienze
informatiche)
888. 20.12.1996.: Gajger, Vladimir, Njemačka etnička zajednica u Đakovu
i đakovštini od početka 19. do sredine 20. stoljeća [La comunità
etnica tedesca a Đakovo e dintorni dagli inizi del XIX alla metà del
XX secolo] (storia)
926. 05.11.1997.: Agičić, Damir, Hrvatsko-češke veze i odnosi na prijelazu
iz XIX. u XX. stoljeće [Legami e rapporti croato-cechi a cavallo tra
XIX e XX secolo] (storia)
936. 15.01.1998.: Grgin, Borislav, Kralj Matijaš Korvin i Hrvatska [Il re
Mattia Corvino e la Croazia] (storia)
951. 13.03.1998.: Ambruš, Viktor, Viktor Axmann i izgradnja modernog
Osijeka [Viktor Axmann e la costruzione della moderna Osijek]
(storia dell’arte)
969. 18.06.1998.: Berčić, Boran, Filozofija bečkog kruga [La filosofia del
circolo viennese] (filosofia)
26
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
1017. 18.06.1999.: Kabić, Slavija, Dnevnik kao književni oblik u njemačkoj
književnosti nakon 1945. godine: Max Frisch, Marie Luise Kaschnitz
i Peter Handke [Il diario come forma letteraria nella letteratura
tedesca dopo il 1945: Max Frisch, Marie Luise Kaschnitz e Peter
Handke] (germanistica)
1090.27.02.2001.: Uvanović, Željko, Das Motiv des vermissten Vaters in
den deutschsprachigen Prosawerken nach 1945. (germanistica)
1109.02.10.2001. Piškorec, Velimir, Germanizmi u podravskom dijalektu [I
germanismi nel dialetto della Podravina] (germanistica)
1114. 05.12.2001. Ivanković, Katica, Karel Taige i češka književna avangarda [Karel Taige e l’avanguardia letteraria ceca] (slavistica)
1145. 14.12.2002. Golubić, Silvija, Mutterliebe-Klischee und Erfahrung
(germanistica)
1182.18.11.2003. Vidulić Lacko, Svjetlan, Geschlechter- und Liebesdiskurs
in der österreichischer Literatur Ende des 19. und Ende des 20.
Jahrhunderts (germanistica)
1203.17.05.2003. Piskač, Davor, Književnoteorijski pogledi praškog
strukturalizma [Aspetti letterario-teorici dello strutturalismo praghese] (letteratura comparata)
1217. 13.07.2004. Petravić, Ana, Slika o stranom i vlastitom u udžbenicima
njemačkog jezika [Concetto di estraneo e di proprio nei manuali
scolastici di lingua tedesca] (germanistica)
1240.16.12.2004. Turković, Slađan, Osobitost njemačkog jezika hrvatskih
autora od kraja 16. do početka 19. stoljeća (rječnici, gramatike,
arhivski zapisi) [Peculiarità della lingua tedesca negli autori croati
dalla fine del XVI all’inizio del XIX secolo (dizionari, grammatiche,
note d’archivio)] (linguistica)
1254.26.04.2005. Jakobović, Zvonimir, Razvoj hrvatskoga tehničkog i
prirodnoznanstvenog nazivlja [Sviluppo della terminologia tecnica e
naturalistica in lingua croata] (scienze informatiche)
1263.14.07.2005. Lovrić, Goran, Pripovijedanje i pripovjedač u austrijskom
Heimat- i Anti-Heimatromanu [La narrazione e il narratore nel
romanzo Heimat e Anti-Heimat austriaco] (germanistica)
1322.04.07.2006. Holjevac, Željko, Hrvatsko-mađarski odnosi 1860.-1873.
[I rapporti croato-ungheresi 1860-1873] (storia)
1410.03.12.2007.: Šabić, Marijan, Češka književnost i kultura u hrvatskoj
književnoj periodici 19. stoljeća [La letteratura e la cultura ceca nella
periodica letteraria croata del XIX secolo] (filologia e croatistica)
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
27
1470.10.07.2008. Car Prijić, Milka, Njemački dokumentaristički roman u
posljednoj trećini Dvadesetog stoljeća [Il romanzo documentaristico
tedesco nell’ultimo terzo del XX secolo] (germanistica)
1477.18.07.2008. Ladanyi, Istvan, Problemi narativnog identiteta u
postmodernim romanima autobiografskoga karaktera u hrvatskoj,
mađarskoj i srpskoj književnosti [Problematiche d’identità narrativa
nei romanzi postmoderni di carattere autobiografico nelle letterature
croata, ungherese e serba] (filologia)
1504.03.12.2008. Kordić, Ljubica, Njemački kao strani jezik u pravnoj
struci: postignuća, potrebe, perspektive [Il tedesco come lingua
straniera nella professione giuridica: risultati, necessità, prospettive]
(germanistica)
1590.13.10.2009. Tkalec, Gordana, Hrvatska književnost na internetu (recepcija suvremene hrvatske književnosti na internetskim stranicama
srednjoeuropskih zemalja) [La letteratura croata su Internet (ricezione della letteratura croata contemporanea sulle pagine Internet dei
paesi centroeuropei] (filologia)
Nel protocollo Dottorati in scienze (Università di Zagabria, Facoltà di
filosofia), usato per questa ricerca, il primo atto è registrato in data 29 aprile 1933, mentre l’ultimo è stato consultato nell’appendice al n. 1.729 del 29
ottobre 2010. L’elenco dei 1354 dottori in scienze della Facoltà di filosofia
dell’Università di Zagabria, che hanno conseguito il dottorato dal 30 novembre 1878 al 22 dicembre 1997, è stato pubblicato in: Stjepan Damjanović, (red.), Filozofski fakultet Sveučilišta u Zagrebu. Monografija, Zagabria
1998, pag. 3-358.
28
Drago Roksandić, Esiste ancor sempre l’Europa centrale?, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.7-28
SAŽETAK
POSTOJI LI JOŠ UVIJEK SREDNJA EUROPA?
Danas se u Hrvatskoj njezinu europskom identitetu najčešće govori bez
regionalnih atribucija kao zemlji tisućljetnog europskog kulturnog identiteta («kruga») i sl. Još «jučer» politički korektan govor podrazumijevao je
naglašavanje njezina srednjoeuropskog identiteta, nerijetko s oštrim razgraničenjem spram jugoistočnoeuropskih, napose spram balkanskih ambivalencija hrvatske povijesti i kulture. Ovaj članak je pokušaj da se promjene u hrvatskim régimes d’historicité u posljednjih dvadesetak godina
fokusirajući se na njihove europske regionalne kontekste.
POVZETEK
OBSTAJA ŠE CENTRALNA EVROPA?
Glede identitete se danes na Hrvaškem govori, kot o državi s starodavno
identiteto evropske kulture brez regionalnih pooblastil. Še pred kratkim
politično korekten govor je poudarjal Hrvaško srednjeevropsko identiteto,
pogosto z jasno ločitvijo od jugovzhodne Evrope, zlasti v zvezi z ambivalenco balkanske zgodovine in Hrvaške kulture. Članek je poskus razložiti
spremembe v hrvaškem zgodovinskem režimu v zadnjih 200. letih, katere
so usmerjene v regionalni kontekst Evrope.
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
29
LA PRESA DEL POTERE IN ISTRIA E IN JUGOSLAVIA.
IL RUOLO DELL’OZNA
ORIETTA MOSCARDA OBLAK
Centro di ricerche storiche-Rovigno
CDU 323+940.53(497.4/.5-3Istria)“1945”
Saggio scientifico originale
Marzo 2013
Riassunto: Il presente contributo mira ad illustrare una serie di considerazioni generali
relative allo sviluppo del movimento di liberazione jugoslavo nei territori che costituirono
la federazione jugoslava e in particolare nella regione istriana, con riferimento al ruolo
dell’Ozna, il servizio di sicurezza e di informazione dell’esercito jugoslavo, e poi
polizia politica nella stato jugoslavo. In tale contesto l’autrice affronta il tema relativo
dell’uso della violenza politica da parte del movimento partigiano a guida comunista
nella liberazione e nella conquista del potere in quella regione che sarebbe divenuta parte
integrante del nuovo stato jugoslavo.
Summary: The taking of power in Istria and Jugoslavia. The role of Ozna – This paper
aims to outline some general considerations concerning the development of the national
liberation movement in the territories that constituted the Yugoslav federation and in
particular in the Istrian region, with special reference to the role of (the Department
of National Security military intelligence and secret police) Ozna, the security and
information agency of Yugoslav army, which later became the Yugoslav state political
police. In this context, the author addresses the issue regarding the use of political
violence by the Communist-led Partisan movement in the liberation and the conquest of
power in the region that would become an integral part of the new state of Yugoslavia.
Parole chiave / Keywords: Jugoslavia, Istria, Ozna, potere popolare, presa del potere,
violenza politica / Yugoslavia, Istria-Istra, Ozna, People Power, Taking of power, Political
Violence
Violenza politica e movimento di liberazione jugoslavo
Dopo la caduta del muro di Berlino, la dissoluzione del blocco sovietico
e lo smembramento della Jugoslavia, dapprima in Slovenia, ma in seguito
anche in Croazia, sono emerse nuove interpretazioni della storia della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra, accompagnate da una serie di polemiche, di accesi interventi sulla violenza dei regimi totalitari, in particolare del sistema comunista, e in anni recenti, anche di studi sull’instaurazione
30
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
di tale forma di governo nei territori che andarono a costituire la nuova
entità statale. In quel contesto, uno dei temi allora maggiormente dibattuti
fu proprio il ruolo e l’uso della violenza politica da parte del movimento
partigiano a guida comunista nella liberazione e nella conquista del potere
in quello che sarebbe divenuto il nuovo stato jugoslavo1.
In generale, la resistenza nei territori jugoslavi si manifestò come un
fenomeno di massa, molto articolato e complesso, le cui caratteristiche
dipesero da una serie di fattori che andavano dalla capacità o volontà di
stringere alleanze da parte dei comunisti, dal rapporto fra città e campagna e non ultimo dal loro settarismo. Il movimento dei partigiani jugoslavi, comunque, si configurò sin dagli inizi come una forza rilevante non
tanto sul piano militare, quanto sul versante dell’organizzazione interna e
dell’impatto sociale. Il movimento aveva al suo interno aderenti che provenivano da ambienti sociali e politici molto vari, ma la guida era saldamente
in mano al partito comunista, alla leadership composta da giovanissimi e
guidata da Tito2.
Non irrilevanti furono le differenze che, nello spazio e nel tempo, si manifestarono tra gli uomini guidati da Tito. Così, mentre in Montenegro sin
dall’inizio i partigiani dimostrarono un fortissimo zelo rivoluzionario, con
una violenta intransigenza ideologica3, in Slovenia il movimento partigiano
1
All’interno della vasta produzione storiografica slovena e croata vedi V. SIMONITI, “Permanentna revolucija, totalitarizem, strah”, in D. Jančar (a cura di), Temna
stran meseca: kratka zgodovina totalitarizma v Sloveniji 1945-1990, Ljubljana, Nova Revija, 1998, pp. 24-36; T. GRIESSER-PEČAR, Procesi proti duhovnikom in redovnistvu
po maju 1945, in Ivi, pp. 113-125; N. KISIĆ-KOLANOVIĆ, “Pravno utemeljenje državnocentralističkog sistema u Hrvatskoj 1945.-1952. godine”, in Časopis za suvremenu povijest, 1, 1992, pp. 49-101; “Vrijeme političke represije: veliki sudski procesi u Hrvatskoj
1945.-1948. godine”, in Ibidem, 1, 1993, pp. 1-23; “Problem legitimiteta političkog sustava u Hrvatskoj nakon 1945.g.”, in Ibidem, 3, 1992, pp. 177-196; J. VODUŠEK STARIČ,
Kako su komunisti osvojili vlast 1944-1946, Zagabria, Naklada Pavičić, 2006; AA.VV.,
1945. – Razdjelnica hrvatske povijesti, Atti del convegno, Zagabria, 5-6 maggio 2006,
Hrvatski institut za povijest, Zagreb, 2006.
2
Tra gli autori che si sono occupati della resistenza jugoslava, nell’ambito della più
ampia storia della Jugoslavia, ricorderemo i fondamentali S. BIANCHINI, La questione
jugoslava, Firenze, Giunti, 1999; J. PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, Jugoslavia 19181992, Torino, Nuova Eri, 1993; D. BILANDŽIĆ, Historija Socijalističke Federativne
Republike Jugoslavije, Glavni procesi, Zagabria, Školska knjiga, 1979; B. PETRANOVIĆ,
Istorija Jugoslavije 1918-1988, vol. II, Belgrado, Nolit, 1988.
3
M. DJILAS, Memoir of a Revolutionary, New York, Harcourt Brace Jovanovich,
1973.
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
31
conobbe un certo pluralismo politico grazie alla presenza, nel suo seno,
anche di forze cattoliche e liberali. Nel 1943, però, i comunisti sloveni decisero di affermare la propria egemonia nella condotta della guerra, sicché
la loro posizione politica si irrigidì, e il movimento perse quei tratti pluralistici che avevano costituito la sua peculiarità originaria. Infatti, dopo una
manovra politica del partito comunista, con la cosiddetta dichiarazione delle Dolomiti (marzo 1943) le forze cattoliche e liberali dovettero riconoscere
al partito comunista la supremazia politica nel movimento di resistenza, il
quale divenne così l’unico soggetto politico dotato di organizzazione autonoma nell’ambito del Fronte.4
In Croazia, invece, nel momento in cui il regime di Pavelić vacillava a
causa della crisi e poi del crollo fascista in Italia, una politica più elastica
dei comunisti permise alle ali democratiche del Partito contadino croato –
il più numeroso e forte partito croato d’anteguerra – di affiancarsi ad essi,
rompendo così l’isolamento politico dei partigiani. Infatti, con il passaggio
all’illegalità durante lo Stato indipendente di Croazia, gran parte della dirigenza e dei membri del Partito contadino aveva rifiutato la collaborazione
con gli ustaša, anche se inizialmente una parte dei suoi dirigenti vi aveva
dato il loro appoggio. Adottando la tattica dell’attendismo, molti attivisti
furono arrestati, e alcuni uccisi. Già nel 1942, ma soprattutto nel corso del
1943-1944, gli attivisti del Partito contadino croato si inserirono sempre più
numerosi nella lotta armata, unendosi al movimento dei partigiani di Tito5.
La guerra combattuta dal movimento di resistenza jugoslavo a conduzione comunista presentava una serie di peculiarità: di liberazione dagli
occupanti, di scontro etnico (scaturiva dai conflitti che dividevano soprattutto i movimenti nazionalisti dei četnici e degli ustaša, laddove i partigiani di Tito manifestavano un carattere jugoslavo) e di scontro civile
sulle prospettive politico-istituzionali del dopoguerra (i partigiani di Tito
contrapposti agli ustaša, ai četnici e i vari gruppi locali di orientamento
nazional-fascista).
E dunque, quando si parla di questo movimento c’è da distinguere innanzitutto tra la lotta per la liberazione dagli occupanti, lotta che trovava
ampio consenso tra le varie popolazioni jugoslave coinvolte, e i progetti
J. PIRJEVEC e M. KACIN-WOHINC, Storia degli sloveni in Italia, 1866-1998,
Venezia, Marsilio, 1998; J. PIRJEVEC, Serbi, croati, sloveni. Storia di tre nazioni, Bologna, Il Mulino, 2002.
5
N. ANIĆ, Antifašistička Hrvatska 1941-1945, Zagabria, Multigraf marketing, 2005.
4
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
32
politici dei vertici comunisti, che presentavano un programma di liberazione nazionale e di unione di tutti i popoli jugoslavi. I comunisti, però,
fedeli seguaci della Terza internazionale, intendevano la lotta come una rivoluzione atta a cambiare radicalmente l’ordine istituzionale e i modi della
convivenza sociale jugoslava, con la costruzione di uno Stato comunista6.
Nella Venezia Giulia, accanto alla resistenza italiana si sviluppò quella
croato/slovena, che aveva anche chiare mire di liberazione di quelli che
erano considerati territori etnicamente croati e sloveni. Infatti, i comunisti,
per trovare sostegno e consenso popolare, fecero propri e privilegiarono i
termini del nazionalismo “borghese” croato e sloveno (le cui aspirazioni
erano sorte prima del 1914 ed erano state esacerbate durante il ventennio
fascista), sostenendo che tutta la penisola istriana, addirittura tutto il territorio fino all’Isonzo, dovevano passare alla Croazia e alla Slovenia, ovvero
alla Jugoslavia. La Regione Giulia, e l’Istria in particolare, che dopo la I
guerra mondiale non erano state inserite nel Regno degli Sloveni, Croati e
Serbi, venivano rivendicate in quanto facenti parte del “territorio etnico”
di quelli che diventarono due popoli costitutivi la federazione jugoslava. I
“proclami di annessione” dell’Istria alla Croazia e del Litorale sloveno alla
Slovenia del settembre 1943, attuati dagli organismi regionali che furono
espressione del movimento popolare di liberazione jugoslavo, rappresentarono degli elementi distintivi e assolutamente inediti rispetto alle altre
zone e regioni in cui si sviluppò il MPL. In questi territori perciò i motivi
del riscatto nazionale si fusero con quelli della liberazione dall’“occupante/
oppressore” e con i motivi di carattere sociale, come la distribuzione della
terra e l’espropriazione dei latifondi7.
Un’altra caratteristica fondamentale da rilevare è legata al fatto che sin
dal 1941 la dirigenza del movimento di liberazione jugoslavo stabilì che
nelle zone liberate la vecchia amministrazione regia sarebbe stata sostituita
Cfr. PETRANOVIĆ, Istorija Jugoslavije 1918-1988, cit., dedicato alla resistenza e
alla rivoluzione jugoslava.
7
Vedi AA.VV., Istra i Slovensko primorje, Belgrado, Rad, 1952; Ljubo DRNDIĆ,
Oružje i sloboda Istre, 1941-1943, Zagabria-Pola, Školska knjiga, 1978, tra. it. Le armi
e la libertà dell’Istria, 1941-1943, Fiume, Edit, 1981; G. LA PERNA, Pola-Istria-Fiume
1943-1945, Mursia, 1993; O. MOSCARDA OBLAK, “Il Novecento 1918-1991”, in Istria
nel tempo, a cura di E. Ivetic, Rovigno, Centro di ricerche storiche, 2006, in particolare
le pp. 561-574. Tali tematiche sono riprese e analizzate anche negli studi di R. PUPO, Il
lungo esodo, Milano, Rizzoli, 2005 e Il confine scomparso, Trieste, IRSML, 2007.
6
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
33
dai “comitati di liberazione”, che in seguito diventarono i nuovi organi politici e civili del potere jugoslavo. Si creavano, perciò, i fondamenti di una
nuova statualità, di un nuovo potere, che fu definito “potere popolare” in
quanto sarebbe stato espressione della volontà del popolo. Il modello sperimentato nel primo territorio libero, a Užice, nella Serbia centro-occidentale
(1941), fu proprio quello di un nuovo ordine di potere che azzerasse il precedente.
L’attacco dei četnici su Užice – dopo alcuni tentativi di accordo tra il
movimento di Mihailović e quello di Tito, in funzione antitedesca – rappresentò l’inizio della guerra civile, in Serbia e in tutti i territori, dove i due
movimenti di resistenza erano presenti fianco a fianco. La lotta tra i due
gruppi rivali sarebbe continuata, senza esclusione di colpi, fino alla fine
della guerra. Le ragioni della definitiva frattura fra di loro vanno ricercate nei gravi dissensi ideologici, politici e strategici che separavano i due
movimenti. Il movimento politico e militare dei četnici, sorto all’indomani dell’invasione della Jugoslavia nell’aprile 1941 sulle ceneri del disciolto
esercito monarchico, si riallacciava alla tradizione, alla monarchia, ai miti
della storia serba, riconoscendo in Draža Mihailović, ex colonnello, loro
capo e leader. Fedeli alla monarchia di re Pietro Karađorđević, che a Londra costituì un governo in esilio, in un primo momento (1941-1943) le formazioni cetniche ottennero il sostegno del governo inglese. Inizialmente, i
četnici si opposero a un confronto armato contro i tedeschi, preferendo preservare le forze per il momento in cui la monarchia sarebbe stata restaurata.
Di chiara impronta nazionalistica, ferventi anti-comunisti, che prospettavano una Serbia “omogenea”, il movimento dei četnici ben presto entrò in
conflitto con l’altro movimento di resistenza sviluppatosi in Serbia, sotto
la guida di Tito. Il fatto poi, che buona parte degli uomini di Mihailović
confluì, in seguito ad accordi segreti, nelle fila della gendarmeria di Nedić
(governo collaborazionista serbo), offrì ai comunisti un pretesto per accusarli di tradimento.
Agli attacchi dei tedeschi, degli italiani, degli ustaša e dei četnici, nel
Montenegro e nell’Erzegovina il movimento partigiano rispondeva, però,
fucilando i disertori e incendiando i villaggi diventati nemici, alimentando
così una guerra che andava assumendo sempre più i caratteri di una guerra
fratricida.
Nei territori in cui si erano alleati con i četnici, gli italiani riuscirono
a trovare fra le popolazioni locali delle forze disposte ad appoggiarli. In
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
34
particolare, in Slovenia le scolte contadine o domobrani8 o belogardisti9
si ramificarono in un movimento che contava diverse migliaia di aderenti.
L’avversione del clero e delle strutture politiche tradizionali nei confronti dei comunisti, nonché la spregiudicatezza della giustizia rivoluzionaria contro i nemici di classe, provocarono così delle fratture incolmabili
nell’ambito della società slovena.
L’8 settembre 1943, data dell’armistizio (ma in sostanza della capitolazione dell’Italia), in Jugoslavia il movimento partigiano si era già rafforzato
a tal punto da mettere in pericolo la sicurezza delle retrovie balcaniche proprio quando gli eserciti dell’Asse si dibattevano in difficoltà crescenti. Benché sconfitto, tra l’inverno e la primavera 1943, nelle battaglie della Neretva
e della Sutjeska (Bosnia), il movimento di Tito era riuscito a sfuggire ai tedeschi, sebbene con forti perdite, e a riorganizzare le file. Pertanto, quando
giunse la notizia dell’armistizio, essi furono in grado di appropriarsi della
maggior quantità di armi dell’esercito italiano in rotta, e di raccogliere in
nuove brigate (Garibaldi, Matteotti, Italia, ecc.) ampie ali di tale esercito.
Tra le macerie della Jugoslavia occupata, tra gli Stati fantoccio filofascisti, i comunisti alla guida della resistenza jugoslava riuscirono dunque a
trovare uno spazio per l’affermazione politica combattendo non solo contro
l’occupante tedesco e italiano (il movimento partigiano era diffuso nei primi anni tra le montagne dinariche), ma soprattutto contro gli ustaša croati
e i četnici serbi. Per controllare il territorio liberato imposero nuove leadership in ogni comunità: non bastarono la simpatia o il consenso (che comunque c’erano) della popolazione. Chi non accettava il nuovo potere, magari sperando in una copertura nazionale (croata o serba), veniva eliminato.
Intere élites furono soppresse dai villaggi del Montenegro a quelli della
Dalmazia interna, al Gorski Kotar. In Slovenia si fecero i conti con le scolte
contadine e con quelle forze slovene che fiancheggiarono le truppe italiane.
Il fine della rivoluzione, cioè la presa del potere e la creazione di un nuovo
ordine (il potere popolare), era addotto a giustificazione dell’eliminazione
del nemico della rivoluzione, o nemico del popolo.
Il periodo che va dal 1943 e il 1945 fu denso di cambiamenti e non poteva
essere altrimenti. Il disarmo delle truppe italiane aveva portato armamenti,
munizioni e vestiario alle forze partigiane jugoslave; inoltre, dal dicembre
Termine che significa “difensori della patria”.
Termine, preso in prestito dalla terminologia russa, che significa “guardie bianche”,
ma usato dai comunisti in senso dispregiativo.
8
9
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
35
1943 il movimento di Tito fu riconosciuto dagli alleati, che dall’Italia meridionale iniziarono a rifornirlo con mezzi e viveri. Il 1944 vide una crescita,
senza eguali tra i movimenti di liberazione in Europa, di quello che era diventato a tutti gli effetti l’esercito jugoslavo. Nell’ottobre del 1944, Tito era
già a Belgrado10 e disponeva di intere armate che dovevano marciare verso
occidente, fino al confine etnico definito dai filo-jugoslavi nel 1915-17. Il
Movimento popolare di liberazione (MPL) disponeva non soltanto di un
esercito e di un territorio, ma si era sviluppato in un organismo maturo, con
volontà e ambizioni politiche proprie. In effetti, alla fine di novembre 1943,
l’AVNOJ (Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia),
si era autoproclamato massimo organo del potere delle forze partigiane, e
dunque governo provvisorio. Nonostante fosse in realtà espressione della
volontà e degli interessi di un gruppo ristretto, che deteneva saldamente
nelle proprie mani le leve del comando, nell’Avnoj furono inclusi esponenti
della vita politica e culturale prebellica, non affiliati al partito comunista,
per dare all’assemblea la parvenza della più vasta rappresentatività possibile11.
Presa del potere e ruolo dell’Ozna
Con il termine “presa del potere” da parte del MPL jugoslavo, s’intendono due processi fondamentali, che non avvennero parallelamente, ma che
consentirono al Partito comunista jugoslavo (PCJ) il controllo effettivo e
concreto del territorio istriano. Il primo è di carattere tecnico-organizzativo, e consiste nella presa dell’apparato amministrativo, delle banche e di
tutte le istituzioni nelle cittadine istriane che man mano vennero “liberate”
dall’esercito jugoslavo nel maggio 1945. Tale “presa” fu organizzata molto
tempo prima della fine della guerra, seguendo il medesimo schema adottato
in tutti gli altri territori “liberati” dai partigiani di Tito.
L’altro processo assume un significato molto più esteso, dal momento
che s’intende l’adozione di una serie di misure politiche da parte del PCJ,
Sulla situazione in Serbia, in particolare in Vojvodina, vedi M. PORTMANN,
Die kommunistische Revolution in der Vojvodina 1944-1952, Vienna, Verlag der
Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 2008.
11
Cfr. B. PETRANOVIĆ, Istorija Jugoslavije 1918-1988, cit., pp. 280-302.
10
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
36
risultato quindi di una strategia politica deliberata, che assicurarono progressivamente al PCJ il controllo politico sull’Istria.
La penisola istriana era l’unica regione che mai prima aveva fatto parte
di uno stato o regno slavo, dove a guerra finita, il clima politico fu influenzato dalla netta divisione tra Movimento popolare di liberazione e tutto il
resto, dove ogni cittadino venne politicamente valutato in base alla partecipazione e all’atteggiamento avuto nei confronti dell’MPL, in base alla sua
militanza nel partito comunista croato, alla nazionalità e, non ultimo, tra
filo jugoslavi e filo italiani. Suddivisa da tante fratture, appariva chiaro che
nel dopoguerra la società istriana e la sua politica avrebbero prodotto un
clima affatto pacifico e sereno.
Sulla base di una serie di fonti archivistiche inedite12, in questo articolo
ci si sofferma sul secondo aspetto tratteggiato, all’interno del quale si illustra le modalità con le quali il Servizio informativo dell’esercito jugoslavo
(Odjeljenje za zaštitu naroda – Ozna), in accordo con il Partito comunista
croato (PCC)/PCJ preparò la presa del potere sul territorio istriano ben
prima della fine delle operazioni militari della primavera del 1945, individuando e tenendo sotto il massimo controllo tutti gli avversari politici, reali
e presunti, che avrebbero potuto contrastare la presa del potere da parte del
PCJ, ovvero del Movimento popolare di liberazione jugoslavo. In questo
contesto, il lavoro dei servizi segreti, l’Ozna, addestrata alla lotta ai nemici
interni, fu basilare e determinante13.
La Sezione per la sicurezza del popolo – Odjeljenje za zaštitu naroda
(OZN-a) nacque nella primavera del 1944 come organo informativo e di
servizio informativo dell’esercito jugoslavo, sotto la dirigenza e il controllo
del PCJ. Ma già dal 1941, su direttiva di Tito, avevano iniziato a formarsi
i primi nuclei di organismi informativi presso i Comandi partigiani locali
e territoriali nei territori che man mano ponevano sotto li loro controllo.
Dunque, costituita il 13 aprile 1944 su decreto di Tito, comandante supremo del movimento partigiano jugoslavo, come servizio di sicurezza dello stato, quattro mesi più tardi, il 15 agosto 1944, l’Ozna ricevette il suo
Si tratta dei fondi relativi ai comitati di partito istriani, a livello locale e regionale,
consultati presso l’Archivio di Stato di Pisino e quello di Zagabria.
13
In generale sull’Ozna vedi il recente volume di William KLINGER, Il terrore
del popolo. Storia dell’Ozna, la polizia politica di Tito, Ed. Italo Svevo, Trieste, 2012
e l’articolo “Nascita ed evoluzione dell’apparato di sicurezza jugoslavo 1941-1948”, in
Fiume, n. 19, Roma, 2009.
12
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
37
braccio armato, il Corpo di difesa popolare della Jugoslavia (Korpus narodne odbrane Jugoslavije – KNOJ). Le azioni di quest’ultimo furono direttamente gestite da Tito, in quanto Commissario per la difesa popolare, a
cui era subordinato il capo dell’Ozna, A. Ranković. Modellata sullo schema
organizzativo dell’NKVD sovietico (la polizia segreta sovietica), l’OZNA
nacque con il compito di difendere la rivoluzione (il “braccio armato della
rivoluzione”), che corrispose a una funzione essenzialmente politica, ovvero di controllo del territorio liberato. Gli jugoslavi perciò seguirono il
modello repressivo sovietico e i suoi quadri furono direttamente addestrati in URSS. Il Knoj avviò la sua attività operativa alla fine del 1944, in
Vojvodina, dove con la liberazione di Belgrado fu istituita l’Amministrazione militare del Banato, della Bačka e della Baranja (regioni costituenti
la Vojvodina), che durò fino al febbraio 1945, quando fu lasciato il posto
all’amministrazione civile del territorio, attraverso i Comitati popolari di
liberazione14. Furono inizialmente in questi territori che gli “istruttori”
sovietici aiutarono gli jugoslavi a punire “esemplarmente” innanzitutto la
minoranza tedesca, che si era schierata in massa coi nazisti; mentre quei
tedeschi che non erano riusciti a fuggire nei convogli organizzati dalle SS
furono uccisi, deportati o rinchiusi in campi di concentramento, per essere
espulsi in massa dal paese, se sopravvissuti, alla fine della guerra15.
L’OZNA fu un’organizzazione militare completamente indipendente, i
cui membri erano contemporaneamente iscritti al partito comunista; fu alle
dirette dipendenze del Ministero della difesa popolare federale a Belgrado
fino a marzo 1946, quando furono separati la sezione militare da quella civile, con la nascita del VOS (Vojno obavještajna služba) e del KOS (Kontra
Obavještajna Služba) in campo militare e dell’UDBA (Uprava Državne
Bezbednosti) in campo civile.16
Come il partito comunista jugoslavo, fu un’organizzazione centralizzata,
con un centro direttivo e un unico metodo di lavoro in tutta la Jugoslavia.
Sulla presa del potere in Vojvodina è fondamentale il volume già ricordato M.
PORTMANN, Die kommunistische Revolution in der Vojvodina 1944-1952, cit.
15
Su queste tematiche vedi in modo più approfondito, oltre al volume di M. Portmann,
gli studi di V. GEIGER e I. JURKOVIĆ, Što se dogodilo s folksdojčerima? Sudbina
njemaca u bivšoj Jugoslaviji, Zagabria, Njemačka narodnosna zajednica-Volksdeutsche
Gemeimschaft, 2003 e V. GEIGER, Folksdojčeri. Pod teretom kolektivne krivnje, Osijek,
Njemačka narodnosna zajednica, 2002.
16
Diana MIKŠIĆ, “Arhiv Ozn-a s osvrtom na godinu 1945.”, in AA.VV., 1945.
razdjelnica hrvatske povijesti, cit., p. 475.
14
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
38
La sua organizzazione interna seguiva perciò il modello verticistico dei
comitati di partito, delle unità militari e dei comitati popolari di liberazione
(CPL). In quanto “braccio della rivoluzione” o “braccio armato del partito”, l’Ozna era presente in tutti i livelli delle organizzazioni legate al MPL
(comitati di partito, unità militari e CPL), ma rispondeva della sua attività unicamente al corrispondente segretario di partito, ma tali competenze
spesso si mescolarono.
Aleksandar Ranković, uno dei più stretti collaboratori di Tito e capo
dell’Ozna a livello jugoslavo, alcuni anni dopo la fine della guerra puntualizzò che nel momento della presa del potere, il compito principale degli
organismi dell’Ozna era stato quello di
(…) ripulire i nostri territori e le nostre città dai servi dell’occupatore, dai traditori e dai nemici che per anni si sono macchiati di crimini
contro il popolo.
Nel giorno dell’attesa liberazione, i nostri organismi, assieme all’esercito, controllavano i confini e impedirono la fuga di tale massa
(…)17
Infatti, man mano che i territori vennero “liberati”, alla fine del 1944 e
nel 1945, nel momento della presa del potere fu l’Ozna che ebbe il compito
di mettere in atto una spietata resa dei conti con gli occupanti (tedeschi,
italiani), i četnici, gli ustaša, i belogardisti, i domobrani, ma anche contro
tutti i potenziali o presunti collaborazionisti e nemici di classe; vennero
eliminati sistematicamente non solo i nemici di ieri, ma anche quanti – nel
presente e nel futuro – avrebbero potuto mettere in discussione gli obiettivi politici dei comunisti jugoslavi18, che nel territorio della Venezia Giulia
equivaleva alla sua annessione e contemporaneamente alla creazione di un
nuovo ordine politico, il potere popolare.
Ebbe inizio un periodo che portò progressivamente alla persecuzione
contro i nemici reali e presunti del nuovo regime, dato che ogni oppositore
politico (esponenti di qualsiasi partito diverso da quello comunista), sociale
Vedi Jefto ŠAŠIĆ, “Obavještajna služba i služba bezbednosti u NOR”, in Iskustva
narodnooslobodilačkog rata, Vojnoizdavački zavod, Beograd, 1965, p. 44.
18
Le recenti ricerche sul ruolo dell’Ozna nella presa del potere in Croazia sono
riportate in Zdenko RADELIĆ, “Uloga OZNE u preuzimanju vlasti u Hrvatskoj 1945”,
in AA.VV., 1945.- Razdjelnica hrvatske prošlosti…, cit., pp. 97-135.
17
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
39
(piccola e grande borghesia, ceto medio), religioso o culturale (gli intellettuali) sarebbe stato etichettato di essere collaborazionista, o nemico del
popolo, e il solerte lavoro dei “tribunali del popolo” avrebbe ridotto presto
al silenzio qualsiasi voce di dissenso19.
In effetti, la resa dei conti, in Slovenia e in Croazia, ma in tutti i territori
jugoslavi, contro i domobrani, gli ustaša e i četnici fu caratterizzata da
feroci violenze. Anche quelli che riuscirono a consegnarsi agli alleati, furono riconsegnati ai comandi jugoslavi. Ci furono arresti e deportazioni in
massa nei campi di concentramento. Corpi di soldati tedeschi, di fascisti, di
collaborazionisti processati dal “tribunale del popolo” e anche di molti civili furono gettati nelle cave carsiche e nei pozzi minerari. Inoltre, uccisioni,
fucilazioni e liquidazioni sommarie di prigionieri, violenze verso chi venne
incolpato (senza processo) di essere collaborazionista, verso chi non si allineava con il potere jugoslavo. In questo modo a cadere furono anche molti
antifascisti non comunisti, tutti etichettati di collaborazionismo, ma in realtà colpiti perché considerati potenziali oppositori politici. Tristemente noti
rimangono, soprattutto nella memoria dei croati e degli sloveni, i massacri
di Bleiburg, elevato a simbolo della tragedia dei croati20, di Kočevje e di
un’infinità di fosse comuni scoperte in anni recenti nei territori sloveno e
croato. In queste ondate di violenze, persero la vita un numero imprecisato
di persone. Il loro numero sul territorio croato varia a seconda delle fonti
da cui provengono: da un minimo di 50.000 ad un massimo di 250-300.000
vittime. In base alle sentenze, nel periodo che va da luglio ad agosto 1945,
in Croazia i tribunali militari condannarono circa 5200 persone, e di queste
più di 1500 furono le condanne a morte21. Quanto ai domobrani sloveni, la
cifra varia dalle 12.000 alle 20-30.000 vittime22.
Vedi Z. DIZDAR, V. GEIGER, M. POJIĆ, M. RUPIĆ, Partizanska i komunistička
represija i zločini u Hrvatskoj 1944.-1946. Dokumenti, Slavonski Brod – Zagabria,
Hrvatski institut za povijest, 2005; J. JURČEVIĆ, Bleiburg – Jugoslavenski poratni
zločini nad Hrvatima, Zagabria, Dokumentacijsko informacijsko središte, 2005.
20
V. GEIGER, “Osvrt na važniju literaturu o Bleiburgu” 1945, in Časopis za suvremenu povijest, 1, 2003, pp. 189-216;
21
Z. Dizdar nel 2005 riportava il dato di più di 1000 fosse comuni nei territori dell’ex
Jugoslavia, nelle cui profondità sarebbero finiti in gran parte prigionieri politici; di
queste si troverebbero 700 circa in Croazia, 90 in Bosnia Erzegovina e 200 in Slovenia,
vedi Z. DIZDAR, “Prilog istraživanju problema Bleiburga i križnih putova (u povodu 60.
obljetnice)”, in Senjski zbornik, 32, 2005, pp. 117-196.
22
Cfr. SIMONITI, Permanentna revolucija, totalitarizem, strah, cit., pp. 24-36;
19
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
40
Il ruolo dell’Ozna fu determinante nella presa del potere vero e proprio
anche in Istria, essendo l’Ozna investita del fondamentale compito di “ripulire” il territorio dai nemici del popolo, dai traditori e da qualsiasi ostacolo
al nuovo potere popolare. In Istria e nella Venezia Giulia, l’Ozna fu perciò
direttamente collegata alle violenze e alle repressioni che si manifestarono
con l’arrivo delle formazioni partigiane a Trieste e nei centri istriani nel
maggio 1945: incarcerazioni, invio nei campi di internamento, deportazioni, ma anche uccisioni e scomparse nelle foibe da parte di soldati italiani e
tedeschi, di quadri intermedi del fascismo, guardie di finanza, guardie civiche, esponenti del CLN, partigiani italiani contrari all’egemonia del MPL
e cittadini (sloveni, croati e italiani) considerati nemici di classe, contrari
al comunismo23.
Tale funzione repressiva era stata stabilita da precisi accordi tra l’Ozna e
il IX corpo d’armata, che informavano con “direttiva riservatissima” il Comitato popolare regionale per l’Istria sulle rispettive funzioni nel momento della presa del potere da parte delle truppe jugoslave nei diversi centri
istriani.24
Infatti, le modalità di entrata-occupazione nel territorio istriano si conformavano alle istruzioni impartite dall’Ozna per la Croazia per gli altri
territori croati25 ben prima della fine della guerra. La presa del potere fu
perciò organizzata con precisione molto tempo prima della conclusione delle operazioni militari sul territorio croato. Già nel dicembre 1944, l’Ozna
per la Croazia aveva inviato ai suoi organismi locali nella zona di Zagabria,
Sul fenomeno delle foibe esiste una vasta bibliografia di provenienza italiana,
ma anche croata e slovena, generalmente in contrapposizione tra loro, vedi per tutti
G. VALDEVIT (cur.), Foibe, il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945, IRSML,
Trieste, 1997; R. PUPO – R. SPAZZALI, Foibe, Mondadori, Milano, 2003; R. PUPO,
Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli storica, Milano, 2005;
J. PIRJEVEC, Foibe, Einaudi, Torino, 2009; Elio APIH, Le foibe giuliane, Libreria
Editrice Goriziana, Gorizia, 2010; J. PIRJEVEC, N. TROHA, G. BAJC, D. DUKOVSKI,
G. FRANZINETTI, Fojbe, Cankarjeva Založba, Ljubljana, 2012.
24
Hrvatski Državni Arhiv Pazin (=HDAP), fondo (=f.) Oblasni Narodni Odbor za
Istru (=ONOI), b. 9, fasc. “Izvještaj o zadatcima ONO u oslobođenim krajevima”, vedi
anche D. DUKOVSKI, Rat i mir istarski, CASH, Pola, s.a. (ma 2002), p. 149.
25
AA.VV., Partizanska i komunistička represija i zločini u Hrvatskoj, 1944.-1946.,
Zagreb, 2008, pp. 257-258, vedi la riservatissima del CPL regionale della regione di
Zagabria al CPL circondariale di Zagabria dell’8 maggio 1945, “Zadatci upravnih odjela
pri oslobađanju novik krajeva” (Compiti delle sezioni amministrative nella liberazione
dei nuovi territori).
23
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
41
una comunicazione con relative istruzioni e compiti spettanti all’Ozna e ai
CPL durante le fasi di liberazione del territorio (”Compiti dei CPL durante
la liberazione dei neoterritori”).
Tali istruzioni stabilivano che ad entrare per primi nelle cittadine dovevano essere i rappresentati dell’esercito, le truppe armate dell’Ozna (il
KNOJ) e gli organismi dell’Ozna. Inizialmente, tutto il potere, in particolare quello amministrativo, doveva essere concentrato nelle mani dell’Ozna,
ai cui ordini dovevano sottostare pure gli organismi amministrativi dei
CPL. Solo in seguito, dopo alcuni giorni, quando l’Ozna avrebbe ultimato
il suo compito di “ripulire” il territorio dagli “elementi nemici”, il potere
sarebbe passato ai CPL, i quali avrebbero provveduto ad organizzare la
struttura politica e il potere popolare. Alla fine di aprile 1945, l’Ozna della regione zagabrese inviò nuove direttive, molto più dettagliate, ai suoi
organismi inferiori. Venivano indicate le istituzioni che dovevano essere
occupate dall’esercito, il sequestro di tutto l’inventario e l’archivio di tali
istituzioni, ovvero degli stabilimenti industriali, delle banche e tutte le altre
principali istituzioni cittadine.26
L’Ozna non si limitò all’arresto dei nemici del popolo, ma assieme ai
rappresentanti della sezione amministrativa dei CPL, aveva il compito procedere pure al sequestro di tutti i beni relativi a tali nemici del popolo. Infatti, uno degli obiettivi del PCJ fu quello procurare i beni per la proprietà
statale, quale base fondamentale dei cambiamenti rivoluzionari che avrebbero portato alla creazione del nuovo stato comunista jugoslavo. E l’Ozna
agì anche in questo senso. Ad esempio, già nel marzo 1945 l’Ozna stimò
che a Fiume il 75% delle aziende e degli stabilimenti industriali sarebbero
stati confiscati a favore dello stato, essendo in mano a “elementi fascisti”
che si erano “sufficientemente” compromessi con il MPL.
Tale modo di procedere nel controllo del territorio fu messo in pratica in
tutte le zone liberate dai partigiani. Tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945
erano state liberati gran parte dei territori di quello che sarebbe diventato il
futuro stato jugoslavo. Il fine della rivoluzione, cioè la presa del potere e la
creazione di un nuovo ordine, cioè il potere popolare, giustificava qualsiasi
azione di eliminazione dell’ordine precedente. Rancori e ritorsioni personali,
Vedi la documentazione reperibile presso l’Archivio di Stato di Zagabria, relativa al
fondo dell’Ozna in Zdenko RADELIĆ, “Uloga OZNE u preuzimanju vlasti u Hrvatskoj
1945”, in AA.VV., 1945.- Razdjelnica hrvatske prošlosti…, cit., pp. 100-101.
26
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
42
la decapitazione delle elite nei villaggi e nelle cittadine trovavano una motivazione rivoluzionaria e di liberazione nazionale. In questa dinamica della
violenza, in cui l’alternativa a un regime totalitario era un regime analogo,
molti innocenti persero la vita.27
I mesi più critici nei territori dell’Alto Adriatico, l’Istria, Fiume e il
Litorale sloveno, furono maggio e giugno 1945, quando furono eseguiti
numerosi abusi e crimini, arresti e deportazioni, confische e uccisioni da
parte degli appartenenti all’Ozna e di quegli organismi del nuovo potere
(l’apparato amministrativo dei Comitati popolari di liberazione, la milizia
popolare) che avevano il compito di sottostare ai loro ordini.28
Gli arrestati venivano inviati nella sede centrale dell’Ozna, che nel maggio 1945 risulta essere a Pola29, e di tali arresti venivano informati sia le
relative strutture militari, sia quelle amministrative (Comitato distrettuale
CPL) che quelle politiche (sezione Agit-prop del PCC) locali.
Nulla impedì che in quei giorni di grandi cambiamenti fossero arrestate anche persone che non si erano compromesse con gli occupatori e che
avevano mantenuto un comportamento leale nei confronti del movimento
partigiano jugoslavo durante la guerra. Non avendo accuse specifiche da
addebitare a quest’ultima categoria di arrestati, l’Ozna affidava al segretario politico del partito distrettuale la sorte di tali persone, che godeva
anche dell’arbitrio di decidere il loro invio al lavoro coatto nella miniera ad
Arsia.30
Nei primi momenti della presa del potere, in alcuni casi l’Ozna impostò
una difficile collaborazione con i comitati di partito locali. Infatti, ci fu
una parte degli organismi del potere regionale e locale (comitati di partito,
CPL) più moderata, che richiamarono e biasimarono l’Ozna per l’estensione
e la profondità della “pulizia” che stavano attuando, specie nelle cittadine
Sulla resa dei conti in Istria vedi, tra l’altro, O. MOSCARDA OBLAK, “Il Novecento”, cit., p. 565.
28
HDAP, f., Kotarski Narodni Odbor (KNO) Buie, b.1, Fascicolo dell’Ozna del
distretto di Buie, contenente tra l’altro un elenco di nominativi di persone arrestate, un
verbale di sequestro dei beni di un “fascista”, un verbale di un arrestato per contrabbando, una richiesta del CPL di scarcerazione da un campo di lavoro forzato (giugno e luglio
1945).
29
HDAP, f. KNO Buie, b.1, Elenco degli incarcerati dall’Ozna nel distretto di Buie, 21
maggio 1945.
30
HDAP, f. KK KPH Labin, Comitato distrettuale PCC Albona, b.1, Ozna per l’Istria –
Segretario del Com. distrett. Albona, Elenco di trasferimento di 9 arrestati, 5 giugno 1945.
27
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
43
italiane, e soprattutto in un territorio “particolare”, percorso da lacerazioni
nazionali, dove la lotta politica per la sua annessione era ancora tutta da
giocare.31
Struttura e organizzazione dell’Ozna in Istria
Con l’ordine n. 496 del Comando dell’XI corpus, l’8 agosto 1944 viene
formato il 2° battaglione (istriano) della IV brigata dell’Ozna. Fino allora, l’Ozna era stata attiva, con una brigata, in tutto il territorio istriano
in cui era presente il movimento popolare di liberazione (MPL), eccetto
nelle città. Nel nuovo battaglione dell’Ozna, confluirono le precedenti unità
che operarono a livello di circondari di partito (Fiume, Pinguente, Pisino e
Pola). Incaricato dal Settore operativo per l’Istria, Vinko Brnčić Frančikina
ricevette il compito di formare il nuovo battaglione; a comandante fu posto
Ivan Blažina, commissario politico Kazimir Jelovica, aiuto commissario
politico Lino Verbanac, segretario Gioventù comunista Cesare Vlacich32.
Già allora, notevoli difficoltà si incontravano nella reperibilità di quadri
idonei per operare nella II sezione, che si occupava del servizio contro informativo, come di collaborazionismo, del controllo dei gruppi che avevano
aderito al movimento di liberazione, ecc.33
Uno dei compiti di intelligence fu quello di raccogliere informazioni
sui gruppi politici che erano rimasti estranei, ma anche di quelli che avevano aderito al MPL, tutti considerati “elementi nemici” o potenzialmente
“nemici”, che si trovavano nelle cittadine istriane. Di conseguenza, l’Ozna
regolò la sua organizzazione in base alla sua attività di informazioni e di
controspionaggio.34
All’inizio del 1945, l’attività dell’Ozna in Istria fu molto ben sviluppata,
comprendendo una rete di informatori e di collaboratori diramata in tutte
Hrvatski Državni Arhiv Zagreb (=HDAZ), Libro dei verbali del Comitato regionale
PCC per l'Istria, verbale del 13 luglio 1945, e D. DUKOVSKI, op. cit., p. 149.
32
“Relazione del Com. Reg. PCC per l’Istria del 4 ottobre 1944”, in Pazinski memorijal,
cit., p. 537 e Milan Klobas, Borbeni put Operativnog Štaba za Istru. Svjedočanstva
generale Milana Klobasa, Histria Croatica CASH, Pula, 2010.
33
“Izvještaji Oblasnog komiteta KPH za Istru”, Relazione del Comitato regionale
PCC del 27 settembre 1944, firmata dal segretario Mate Kršul, in Pazinski memorijal,
13, Pisino, 1984, p. 529.
34
W. KLINGER, op.cit., p. 32.
31
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
44
le cittadine e i centri istriani, i quali fornivano, chi per convinzione, chi
per delazione, ricatto o costrizione, dati sull’attività politica e militare dei
“nemici” e non solo.
L’Ozna era strutturata in tre centri informativi circondariali: Parenzo,
Pola e città di Pola.35 La sede del centro dell’Ozna del circondario di Pola
era composta da 4 membri, tutti membri del PCC, con centri operativi diramati in cinque località, che corrispondevano ai distretti di Rovigno, Pola,
Prodol, Albona e Gimino. Nel distretto di Rovigno vi operavano due membri dell’Ozna, di cui uno era membro del PC e l’altro era ancora a livello
di candidato del PC; a questi si affiancavano 32 “fiduciari” (povjerenici);
il distretto di Pola aveva quattro membri, tutti membri del PC e 31 “fiduciari”; nel distretto di Albona, l’Ozna poteva contare su 3 membri, di cui
due erano membri del partito e uno a livello di candidato di partito, con 30
“fiduciari”; il distretto di Gimino contava sei membri, tutti nel partito, con
ben 97 “fiduciari”. Complessivamente l’Ozna del circondario di Pola poteva
disporre di 26 membri e di 273 “fiduciari”.36
L’Ufficio dell’Ozna per la Croazia era guidato dal generalmaggiore Ivan
Krajačić “Stevo”, che dopo la guerra divenne anche ministro degli interni
della Croazia. Il metodo di lavoro degli uffici succursali istriani, si basava
sulle direttive impartite dalla centrale repubblicana, che consisteva nella
compilazione di “relazioni sulla situazione politica” e di elenchi di persone,
di gruppi, di partiti che non avevano partecipato all’MPL, che erano contrari al movimento partigiano guidato da Tito, ma anche di tutti i rappresentanti del Terzo reich, delle forze militari tedesche e fasciste, di tutte le
organizzazioni di partito, di quelle giovanili, come pure di tutte le istituzioni civili, militari e intellettuali.
A febbraio 1945, la I sezione dell’Ozna per la Croazia informava la direzione dell’Ozna per la Croazia che già alla fine del 1944 aveva portato a
termine tutti i compiti in vista della “liberazione” della Croazia, in particolar modo delle grandi città.
Anche in Istria l’Ozna aveva preparato il “materiale” per tutte le cittadine e i comuni, mentre risultava ancora incompleto per il territorio di Pola e
D. MIKŠIĆ, op. cit., p. 485.
HDAZ, f. Okružni komitet (=OK) Komunistička Partija Hrvatske (=KPH) Pula,
fasc. I, Relazione politica dell’Ozna del circondario di Pola al Comitato circondariale
PCC di Pola, 10 febbraio 1945.
35
36
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
45
di Fiume, dove per l’Ozna, si trovava il centro della “reazione” dell’intero
territorio istriano.37
Fu nel marzo 1945, in vista della fine della guerra e della presa del potere, che venne avviata la riorganizzazione dell’Ozna per l’Istria, con l’istituzione di un centro e di un apparato regionale, completamente indipendente dalle altre strutture del potere. Già a febbraio 1945 una circolare
del Comitato circondariale del PCC di Pola, firmata dal segretario Vlado
Juričić38, comunicava a tutti i comitati distrettuali di partito dell’arrivo in
Istria del “compagno Petrović, dell’XI corpo d’armata jugoslavo, per organizzare il servizio informativo militare sul territorio istriano”, motivo per
cui ordinava a tutti i membri di trovare le persone “adeguate” per svolgere
tali funzioni.39
Z. RADELIĆ, Uloga Ozne…, cit., p. 104.
Vladimir Juričić (Zagabria, 1922 - Rovigno, 2012), nato a Zagabria da genitori
istriani (padre dell’Albonese, la madre di Medolino) emigrati nel Regno di Jugoslavia.
A Zagabria entrò a far parte del Club degli studenti “Istra”, punto di riferimento per
tutti gli emigrati istriani. La sua carriera politica iniziò allorchè entra nelle fila della
Gioventù comunista prima della guerra; nel 1942 si arruolò nella I unità militare istriana,
arrivando così sul suolo istriano. Nel marzo 1943 fu uno dei componenti del primo
gruppo dirigente comunista a livello regionale, assieme e Josip Matas, Božo Kalčić, i
fratelli Ante e Ljubo Drndić, che si costituì a Caroiba. Durante la guerra Vlado Juričić
fu responsabile per il lavoro politico sul campo (commissario politico – politkomesar)
nel distretto di Pisino e in seguito, fino alla fine della guerra, fu membro del Comitato
circondariale del PCC di Pola. Nell’estate del 1945 entrò nel massimo organismo di
partito a livello regionale, che nel maggio-giugno ‘46 lo cooptò nel CPL regionale per
l’Istria. Ebbe l’incarico di accogliere la commissione interalleata per la delimitazione
dei confini nella primavera del 1946. Nel settembre 1947, con il passaggio di Pola alla
Jugoslavia, e con lo scioglimento del CPL regionale per l’Istria, il CC PCC gli assegnò
la carica di segretario del Comitato cittadino del PCC di Pola. In seguito ricoprì la carica
di segretario del Comitato cittadino del PCC di Fiume. Accanto alla carriera politica,
ultimò gli studi ginnasiali e la facoltà di economia. Nel 1951 fu messo alla carica di
direttore dell'azienda Borovo, dove rimase per 11 anni. Quindi ritornò a Zagabria come
vicepresidente della Camera di commercio repubblicana. Dal 1963 al 1970 fu assistente,
poi vice ministro dell’economia della Jugoslavia, e in seguito, per cinque anni, capo della
missione jugoslava presso il Comecon a Mosca. Dal 1975 fino al pensionamento nel 1980
fu direttore del complesso fieristico di Zagabria. Per due mandati (8 anni) fu deputato al
Sabor croato e all’Assemblea federale jugoslava. Vedi HDAZ, f. Oblasni komitet KPH za
Istru, b.5, 1945, documento manoscritto (20 marzo 1945); Libro dei verbali del Comitato
regionale del PCC per l’Istria, Verbali del 5 agosto 1945 e del 30 maggio 1946; nonchè
“Rovinj se oprostio od Vlade Juričića”, in Glas Istre, 7 agosto 2012.
39
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Circolare del Comitato circondariale del PCC di
37
38
46
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
Nella documentazione interna dell’Ozna si affermava che con l’istituzione di un apparato indipendente, essa avrebbe dovuto essere seconda, o subordinata, soltanto al partito. I suoi organismi inferiori (comitati distrettuali
e circondariali) ne furono istruiti a tempo debito soprattutto in relazione alla
scelta dei nuovi quadri per l’apparato distrettuale e circondariale dell’Ozna
istriana. Già a marzo 1945, dunque, si informavano i comitati distrettuali e
circondariali del partito che con l’avvicinarsi della presa del potere, il ruolo
dell’Ozna doveva cambiare, motivo per cui si rendeva necessario dirottare
la concentrazione di “tutte le sue forze” dalla “lotta contro gli eserciti nemici”, a quella contro la “reazione” interna al MPL e alle “sue diverse forme
di sabotaggio”, con il fine di “assicurare la sicurezza interna del territorio”.
Durante la guerra, nelle fila dell’Ozna erano stati inseriti “quadri ai quali
era stata inflitta una punizione, o ai quali per altri motivi non poteva essere
loro affidato alcun incarico; nel nuovo apparato dell’Ozna dovevano entrare
i “comunisti migliori”, unica garanzia affinché l’Ozna diventasse la “mano
destra del partito”. Allo stesso tempo, però, i dirigenti regionali raccomandavano di non privare il partito di “tutti i migliori comunisti”, in modo
tale da indebolire la struttura organizzativa locale del partito. Se durante la
guerra i membri distrettuali dell’Ozna, i “commissari”, avevano avuto un
incarico temporaneo, ora questo diventava permanente. Insomma, essere
membro dell’Ozna diventava una professione.
In ogni organizzazione locale dell’Ozna, doveva entrare un membro del
comitato distrettuale del partito, che non doveva per forza essere il segretario del partito, visto che tale funzione poteva essere svolta anche da altri
“validi” comunisti. I segretari del partito, però, avevano il compito di elevare, cioè istruire politicamente i quadri dell’Ozna e fornir loro qualsiasi altro
tipo di aiuto, educandoli in modo tale da non frenare in loro l’iniziativa
personale, dote invece ritenuta molto importante nell’attività dell’Ozna, ma
anzi dovevano fare in modo di svilupparla.
Concretamente, l’Ozna regionale ebbe il compito di trovare e inviare
almeno due nuovi membri, provenienti dalle fila di tutti gli organismi di
partito e dei CPL distrettuali e circondariali istriani, nel territorio interno della Croazia, precisamente nel Kordun, dove sarebbero stati istruiti e
addestrati in vista della presa del potere in Istria, dove una volta rientrati,
Pola a tutti i comitati distrettuali, 4 febbraio 1945.
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
47
sarebbe stato loro assegnato l’incarico “a seconda delle capacità dimostrare
nell’addestramento”.40
A livello circondariale e distrettuale, perciò, la riorganizzazione dei quadri inferiori dell’Ozna fu avviata nella primavera del 1945, ma nonostante a più riprese (febbraio e marzo 1945) i comitati di partito fossero stati
avvertiti di essere molto accorti e prudenti nella scelta dei quadri, specie
nelle cittadine abitate da popolazione italiana (Pola, Rovigno, Dignano)41,
la scelta non soddisfaceva il massimo organismo del partito a livello regionale e il CC PCC, in quanto i nuovi quadri furono ritenuti “inaffidabili e
incompetenti”42.
La soluzione suggerita dalla dirigenza regionale del partito al Comitato
Centrale croato fu perciò quella di inserire nelle strutture distrettuali e circondariali dell’Ozna alcuni membri fidati provenienti dalla fila del medesimo partito regionale.43
A livello regionale, l’Ozna per l’Istria risultò essere così composta:
-- a capo della prima sezione, che si occupava di intelligence nel territorio occupato, si trovavano Pipo Miletić Plavi, Veljko Vučinić-Marković,
Čedo Vuksanović44, tale Rodica, Marija - Dunja Radetić;
-- la seconda sezione, che aveva compiti di controspionaggio nel territorio
liberato (collaborazionismo, controllo di gruppi che avevano aderito al
MPL, ecc.) era affidata a Makso Glažar (capo responsabile)45, Dušan
Rapotec, Vilim Štefan, tali Đuro, Brajković e Dmitar;
-- la terza sezione: nei documenti consultati non è stato rinvenuto alcun
dato;
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. II, Comunicazione di Makso Glažar, capo della II
sezione dell’Ozna regionale e membro del Comitato regionale del partito, al Comitato
circondariale PCC di Pola, 18 marzo 1945.
41
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Comunicazione del Comitato regionale PCC per
l’Istria al Comitato circondariale PCC di Pola, 21 febbraio 1945.
42
Galiano LABINJAN, Dražen VLAHOV, “Izvještaji Oblasnog komiteta KPH za
Istru 1944-1945”, in Pazinski memorijal, n.13, Pisino, 1984, Relazione del Com. Reg.
PCC per l’Istria al CC PCC del 29 marzo 1945, p. 548.
43
Ibidem.
44
Montenegrino, studente di medicina, membro del PCC circondariale di Pola.
45
Nel 1948-1949 verrà condannato per cominformismo.
40
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
48
-- la quarta sezione, che raccoglieva dati statistici e tecnici, era affidata a
tre uomini e una donna, i cui nomi non sono forniti dalla documentazione consultata.46
Contemporaneamente, con la riorganizzazione dell’Ozna, il massimo
organismo regionale del partito richiedeva che all’interno di tutte le organizzazioni locali fosse avviata un’operazione di pulizia interna di tutti quei
membri che avevano dimostrato titubanze, disattenzioni nello svolgimento
dei propri compiti.47
Lotta contro i “traditori, gli spioni, e i provocatori”, la “reazione
nemica”, i “banditi” e i nemici del popolo
Parte dell’attività dell’Ozna precedente alla sua riorganizzazione interna,
si esplicò nella raccolta di informazioni sulla forza e sulle mosse degli eserciti nemici, come pure sul loro potenziale bellico. Nella relazione dell’Ozna
circondariale di Pola, firmata dal responsabile Mijo Pikunić48, che ricopriva
anche la carica di commissario politico del Comando militare territoriale
di Pola, e inviata il 10 gennaio 1945 al Comitato circondariale del PCC di
Relazione del Com. Reg. PCC per l’Istria al CC PCC del 29 marzo 1945, cit., p. 548.
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Circolare del Comitato regionale PCC per l’Istria
al Comitato circondariale PCC di Pola, 10 febbraio 1945, firmata da Dina Zlatić.
48
Mijo Pikunić, (Stignano-Pola, 1914 – Pola, 1976) – antifascista e comunista
croato. Nel 1936 emigrò a Zagabria, dove venne in contatto con il movimento operaio
e il PCC. Operò nella società degli immigrati istriani “Istra”, che raccoglieva i giovani
di orientamento antifascista. Divenne membro del PCC nel 1940; dopo l’invasione
della Jugoslavia, su ordine del PCC ebbe il compito, come molti altri emigrati istriani,
di ritornare in Istria ad organizzare l’insurrezione. Lavorò presso il cantiere navale di
Pola, dove operò illegalmente nel campo politico. Assieme a Mario Spiler nel 1942 fu
arrestato dalla polizia mentre stavano viaggiando alla volta di Trieste, dove avrebbero
dovuto incontrarsi con alcuni rappresentati del PCI per programmare un’azione comune
contro il fascismo in Istria. Rilasciato nell’aprile 1944, si inserì nel MPL in Istria
diventando segretario del Comitato circondariale del PCC di Albona, mentre nel giugno
1944 divenne commissario politico del Comando militare di Pisino e quindi di Pola.
Nel dopoguerra ricoprì alte cariche nell’ambito degli Affari interni, e fu presidente e
segretario del Distretto di Pola, mentre dal 1962 fino al pensionamento nel 1964, ricoprì
la carica di direttore dell’“Elektroistra” di Pola, vedi S. ZLATIĆ, “Životni put i lik Mije
Pikunića”, in Pazinski memorijal, 1979, 9 e H. BURŠIĆ, voce “Mijo Pikunić”, in Istarska
enciklopedija, 2005.
46
47
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
49
Pola, si segnalò che il “Battaglione speciale” di San Vincenti rappresentava
la peggiore e la più crudele delle guarnigioni nemiche. Veniva, poi, dettagliatamente descritta la composizione nazionale delle guarnigioni di Marzana e di Rovigno: dei complessivi 42 militari fascisti, a Marzana più della
metà, ben 22 venivano segnalati come “domaći” (locali), mentre i restanti
erano italiani; il comandante era italiano, mentre dei due sottoufficiali, uno
era italiano (“fascista agguerrito”), l’altro un locale del posto.
La guarnigione di Rovigno, invece, era molto più numerosa e contava
148 militari, 56 marinai, 53 soldati tedeschi, 1 corriere fascista, nonché
40 marinai italiani e 8 finanzieri (impiegati per il contrabbando), i quali,
si affermava, “avrebbero collaborato con il MPL”, ovvero “sono al nostro
servizio, per cui si può contare su di loro in qualsiasi momento”. La guarnigione di Villa di Rovigno era formata da 42 militari, mentre quella di Valle
da 27 soldati fascisti49.
Oltre a raccogliere informazioni sugli eserciti nemici, l’Ozna aveva il
compito di individuare e punire i “traditori, gli spioni, e i provocatori”,
raccogliere informazioni sugli “elementi controrivoluzionari che (…) si opponevano ai nuovi rapporti sociali e alle nuove autorità popolari”50, sulla
“reazione nemica”, ovvero sul controllo di gruppi “nemici” e dei singoli
che li componevano. L’attività degli agenti dell’Ozna o degli informatori, in
realtà consisteva nella raccolta di “parole e di notizie” che venivano qualificate come carattere propagandistico, allarmistico e di “spionaggio”.
L’Ozna suddivideva i suoi avversari o “nemici” politici in “gruppi reazionari”, e dagli atti rinvenuti nella documentazione consultata, emerge
che la principale preoccupazione e attenzione nei centri istriani dall’inizio
del 1945 fino al maggio 1945, fosse riservata a due gruppi in particolare,
vale a dire al “clero” e agli “italiani” in generale. I nemici più accesi erano
considerati quei preti e sacerdoti che non collaboravano con il MPL, motivo
per cui raccoglievano dati sul loro atteggiamento nei confronti del MPL,
sui loro incontri e sulla loro attività in generale, come pure sull’influenza
che esercitavano nei confronti dei giovani e nelle organizzazioni religiose.
Se nei territori interni della Croazia il potenziale avversario politico era
costituito dal Partito contadino croato, in Istria il “gruppo reazionario” più
acerrimo era rappresentato dal clero.
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione politica dell’Ozna circondariale di Pola,
10 febbraio 1945.
50
Vedi Jefto ŠAŠIĆ, “Obavještajna služba…”, cit., pp. 18 e 43.
49
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
50
Nei confronti del clero e in particolare di singoli sacerdoti che non collaboravano con il MPL, l’organismo di partito circondariale di Pola, a febbraio 1945, aveva dato la seguente direttiva alle proprie organizzazioni inferiori: “Noi oggi siamo forti, e perciò la questione va risolta militarmente.
Non accarezziamo più, bensì attacchiamo”. In sostanza, la politica della
carota andava sostituita con quella del bastone. Il metodo da seguire doveva
essere quello di avviare un vero e proprio linciaggio morale e politico, con
una dura campagna critica, denigratoria, di vera e propria diffamazione,
nei confronti di ogni singolo sacerdote che fosse stato contrario al MPL, ma
non dell’istituzione ecclesiastica nel suo complesso.51
Il concetto di “reazione” fu gradualmente esteso a tutti i reali e potenziali avversari politici del MPL. Perciò la lotta politica che l’Ozna sviluppò
ben prima della fine della guerra fu una lotta che si rivelò essere condotta
con sistemi diversi da quelli usati contro l’occupatore e i loro collaboratori,
perché si trattava di ostacolare e sopprimere il clero, le forze antifasciste
italiane che, anche se deboli, contrastavano le rivendicazioni nazionali jugoslave, e finivano per essere considerate alla stregua dei fascisti e tutti
considerati come “forze reazionarie”. Nella zona di Fiume i “nemici” principali furono gli autonomisti perché godevano di forte consenso e di autorevolezza politica fra la popolazione, impedendo al MPL di coinvolgerli e di
inserirli nelle proprie strutture, mentre nelle varie cittadine istriane operavano diversi “gruppi reazionari italiani”; oltre ai “badogliani” ed i vari comitati antifascisti mobilitati in difesa dell’italianità della penisola istriana.
In questo contesto, il gruppo “reazionario” indicato dall’Ozna come il
“più pericoloso” fu il “Comitato del Partito Liburnico”52, che segnalava al
Comitato circondariale del PCC di Pola, aveva sostenitori nell’Istria orientale, ad Arsia, ad Albona, a Rabaz, e a San Lorenzo, ma anche in alcuni villaggi come a Castelnuovo e a Puntera. Questi erano stati individuati dagli
agenti dell’Ozna in una decina di sostenitori, ovvero nel farmacista (Pilar
Francesco), nel tenente della Milizia Confinaria (Flori Angelo), nell’ex segretario del fascio Repubblicano del comune di Arsia, nel responsabile del
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. II, Comunicazione del Comitato circondariale PCC
di Pola a tutti i comitati di partito distrettuali e le unità di partito circondariali, 2 febbraio
1945.
52
Erano gli autonomisti di Riccardo Zanella, che seguivano un programma politico
che prevedeva la creazione di uno stato fiumano con l’aiuto degli anglo-americani,
contrari alla lotta armata, favorevoli a una soluzione tramite trattativa politica.
51
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
51
porto di “Bersice” (?), nel responsabile della Cassa di risparmio di Arsia,
nel sorvegliante della Miniera e in altre due persone che, si affermava, si
riunivano regolarmente e tenevano riunioni.53
Nella città di Albona, invece, venivano tenuti sotto controllo il gruppo
“reazionario” dei commercianti, composto da Ezio Picoti, Silvano Manzoni, Albino Lenuzzi, Mario Lenuzzi, Ivan Skopaz (commerciante), Ivan
Mohorovic, dott. Lazzarini, Checo Faraguna, gruppo che era stato arrestato
dall’Ozna e condotto a Pisino il 5 dicembre 1944. Furono rilasciati il 10
dicembre 1944, ma continuarono nella loro attività.
Nonostante il gruppo dei commercianti collaborasse con i partigiani, era
sorvegliato per il fatto che, sostenendo posizioni attendiste nei confronti
della lotta contro i tedeschi, venivano considerati “doppiogiochisti” e, si
supponeva, fossero legati ai gruppi dei “quadri verdi” della zona di Barbana.54 Ad Arsia si seguiva invece il gruppo legato al farmacista locale.
A San Pietro, nel distretto di Gimino, si segnalava un “Comitato cetnico-belogardista”, dove il 12 gennaio 1945 l’Ozna “liquidò”, ovvero uccise,
colui che veniva considerato il suo segretario, tale Lojzo Paris, che prima
di essere ucciso aveva fatto i nomi di 12 suoi collaboratori dei villaggi della
zona (Banovci, Gorinci e Dolcani). Si segnalò che tale gruppo avesse una
rete di sostenitori, e che si riunissero nel villaggio di Banovci.
Un altro gruppo definito “di banditi”, che veniva controllato perché
considerato collaborazionista dei tedeschi, era costituito dalla “banda dei
corrieri Pola-Arsia” (kurirska banda Pula-Raša), ovvero i conducenti di
camion che trasportavano merci militari per conto dei tedeschi. Si trattava
di gente locale di Pola o dei villaggi circostanti, dei quali l’Ozna forniva
non soltanto nome e cognome di ogni conducente, ma segnalava anche tutti
i loro spostamenti e i luoghi che questi frequentavano ad Arsia e a Pola. Se
ne deduce, perciò, che l’Ozna fosse riuscita a creare una vasta e diffusa rete
di informatori tra la popolazione della città e dei villaggi.55
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione politica dell’Ozna del circondario di
Pola al Comitato circondariale PCC di Pola, 10 febbraio 1945, p. 4.
54
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione politica del Comitato circondariale PCC
al Comitato regionale KPH per l’Istria del 24 gennaio 1945, p.2. Il fenomeno dei “quadri
verdi” viene trattato nelle pagine seguenti.
55
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione politica dell’Ozna del circondario di
Pola al Comitato circondariale PCC di Pola, 10 febbraio 1945, p. 5.
53
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
52
Nel comune di Medolino si segnalava l’arrivo di un ufficiale dell’esercito
ustaša, tale Skifić Anton di Lisignano, intellettuale con 8 classi ginnasiali,
che era stato arrestato l’anno precedente da una pattuglia dell’Ozna, alla
quale in seguito era sfuggito. Era riuscito a raggiungere Sussak e poi l’interno della Croazia, dove fino al gennaio 1945 era rimasto nelle fila dell’esercito ustaša. Al suo ritorno in Istria, armato, provvisto di documenti tedeschi che gli permettevano di circolare liberamente sul territorio istriano,
e con l’aiuto di un’insegnante del luogo, aveva portato con sé due sacche
di libri, che l’Ozna riteneva essere “pericolosi” perché avrebbero potuto
far presa sui “nazionalisti croati”. Ma nei primi giorni di febbraio, l’Ozna
segnalò che “l’ufficiale ustaša” aveva avuto degli incontri non molto fruttuosi con la popolazione locale, in cui aveva esposto posizioni pro-alleate
e antipartigiane, nonché divulgato l’idea nazionalistica degli ustaša, con il
fine di guadagnare dalla sua parte il clero locale.
Sempre a febbraio 1945, in una relazione straordinaria, l’Ozna informò
il Comitato circondariale del partito di Pola che nelle località di Lisignano,
Promontore e Scatari nel distretto di Pola, i tedeschi stavano organizzando
l’apertura delle scuole croate, guidati dall’ex ufficiale ustaša, Anton Skifić
di Lisignano, considerato anche un anti italiano, che si era servito dell’aiuto
di preti locali. Un mese più tardi, l’Ozna segnalò che lo Skifić si era rifugiato a Trieste.56
Nell’area compresa tra Dignano, San Vincenti, Carnizza e Barbana, si
stava organizzando un gruppo di attività antipartigiana, composto da una
cinquantina di contadini della zona, definiti nella relazione “grandi anticomunisti”, in un’altra “narodnjaci”, che sarebbero stati in procinto di chiedere ai tedeschi di formare una unità militare, con l’intenzione di aggregarvi
dei soldati ustaša e dei domobrani, in funzione antipartigiana e “per eliminare fino all’ultimo partigiano”.57
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione straordinaria del Centro dell’Ozna
circondariale di Pola al Comitato circondariale PCC Pola, 19 febbraio 1945; Relazione del
Comitato circondariale PCC Pola al Comitato regionale PCC per Istria, 27 febbraio 1945
e Relazione dell’Ozna del circondario di Pola al Comitato circondariale PCC di Pola, 22
marzo 1945.
57
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione straordinaria dell’Ozna circondariale
di Pola al Comitato circondariale PCC Pola, 19 febbraio 1945 e Relazione del Comitato
circondariale PCC Pola al Comitato regionale PCC per Istria, 27 febbraio 1945.
56
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
53
In effetti, all’inizio del 1945 tra la popolazione istriana apparve anche
quello che nelle comunicazioni interne del partito e del Comando partigiano venne definito il fenomeno dei “quadri verdi” 58. Esso era legato non
soltanto alla mobilitazione, in molti casi forzosa, nelle fila partigiane che
all’inizio del 1945 il Comando militare partigiano e le organizzazioni di
partito istriane avevano avviato per contrastare l’arruolamento tedesco, ma
anche alla moltitudine di diserzioni di partigiani istriani dalle formazioni
militari croate e dalla 43° divisione istriana che si trovava nel Gorski Kotar.
Nella zona sud-orientale dell’Istria, nel distretto di Prodol59, appartenente all’allora comune di Barbana, gruppi di contadini armati si erano
nascosti nel bosco, per difendere i loro villaggi dal Comando partigiano
di Canfanaro, del quale non volevano saperne al punto che, si legge nel
rapporto del Comando territoriale di Pola, “se (i partigiani) continuavano
a circolare per i loro villaggi, non servirà che i tedeschi li uccidano, perché
lo avrebbero fatto prima loro”. Questi contadini, tra cui anche un ex partigiano appartenente al Comando partigiano di Canfanaro, contrastavano
l’attività dei comitati di liberazione partigiani nei loro villaggi, al fine di
distogliere i contadini che ne facevano parte a non collaborare con il MPL.
Armati di fucili, mitra e pistole, uscivano dai nascondigli soltanto nelle ore
notturne per rifornirsi di cibo nei villaggi, e in ciò venivano aiutati dalle
loro famiglie. Il fenomeno, valutava l’Ozna, era diffuso anche in altri villaggi del comune di Barbana, ma più a nord rispetto a Prodol, in particolare
in quelli di Juricev Kal, Zamlici, Prnjani, Melnica e Prhati. Questi contadini, ritenuti di idee monarchiche, diffondevano apertamente idee contrarie
al MPL, e appoggiavano l’idea di unirsi ad un’eventuale “divisione cetnica”
che si sarebbe dovuta formare a Fiume.
Altri gruppi minori, composti da pochi contadini, furono segnalati anche nel comune di Carnizza e in quello di San Lorenzo: in questo caso si
trattava di contadini non armati che, non volendo entrare nell’esercito partigiano e senza motivazioni politiche, si nascondevano in bosco.60
Il fenomeno dei “quadri verdi” si sviluppò in Croazia e in Bosnia Erzegovina
dopo la I guerra mondiale, quando per svariati motivi, migliaia di persone disertarono
dall’esercito austro-ungarico, rifugiandosi e nascondendosi nei boschi; trovarono
sostegno e aiuto dalla popolazione dei villaggi, di solito dai familiari, che li rifornivano
di cibo e di indumenti.
59
La località di Prodol si trova tra Marzana e Barbana.
60
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione del Comando militare del territorio di
58
54
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
Questi “gruppi di disertori” istriani rappresentarono un problema politico interno non indifferente per il comando partigiano del territorio di Pola
(Mijo Pikunić, capitano-commissario politico) che, nonostante avesse ricevuto direttive superiori, a voce, dal massimo organismo militare sul suolo
istriano, il Comando operativo del distaccamento partigiano per l’Istria,
con a capo il comandante maggiore Vitomir Širola Pajo e il commissario
politico Mirko Sušanj, di intraprendere nei loro confronti “le misure più
energiche”, non avevano ritenuto opportuno agire in tal senso (eliminarli tutti?), per non provocare conseguenze politiche che sarebbero andate
a scapito del movimento partigiano, e soprattutto per non attirarsi contro
tutta la popolazione contadina della zona. Alla decisione di agire “secondo
lo sviluppo della situazione e di agire di conseguenza”, determinante fu la
valutazione espressa invece dal Comitato circondariale del partito di Pola,
che invitò il comando partigiano alla “cautela”.61 Ben presto, però, quattro
di loro furono arrestati dal Comando territoriale partigiano di Pola e uno
ucciso62. Gli altri non si sa che fine abbiano fatto.
Nel marzo ’45 la situazione politico-informativa nel circondario di Pola
appariva invariata rispetto a gennaio-febbraio: si seguivano i Liburnisti ad
Albona, nel distretto di Gimino il gruppo legato a Benso, che però secondo l’Ozna stava perdendo terreno a San Pietro; il prete Glavic con il suo
gruppo; a Canfanaro un gruppo di Badogliani – “talijanaši” 63; nel distretto
di Prodol i fascisti di Marzana, che non avevano seguito nei villaggi circostanti; nel distretto di Pola il gruppo di Skifić che se ne era andato a Trieste;
nel distretto di Rovigno si segnalava che la popolazione di Villa di Rovigno
diffondeva notizie a favore di Re Pietro e si stava legando ai tedeschi.64
Nei comuni di Medolino e di Lavarigo, dove i tedeschi conducevano una
politica più flessibile e del consenso, si osservava che la popolazione fosse
ancora distante dal MPL e non ne conoscesse nemmeno i fini.
Pola al Comando operativo partigiano dell’Istria, 14 gennaio 1945; Relazione politica
distrettuale del Comitato circondariale PCC di Pola, 24 gennaio 1945.
61
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione del Comando militare del territorio di
Pola al Comando operativo partigiano dell’Istria, 14 gennaio 1945; Relazione politica
distrettuale del Comitato circondariale PCC di Pola, 24 gennaio 1945.
62
Herman BURŠIĆ, Od ropstva do slobode. Istra 1918-1945. Male bilješke o velikom
putu, Histria Croatica C.A.S.H., Pula, 2011, p. 310.
63
Venivano così chiamati i veri o presunti croati italianizzati in Istria e in Dalmazia.
64
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. II, Relazione dell’Ozna del circondario di Pola al
Comitato circondariale PCC di Pola, 22 marzo 1945.
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
55
Nelle località considerate italiane65, invece, i servizi informativi ritenevano che gli italiani avevano “paura” dei croati per il fatto che non esistevano strutture che stessero lavorando a favore del MPL, e vi regnava, al
contrario, uno “spirito italiano” (talijanski duh).66
Verso la metà di aprile 1945, mentre si stavano svolgendo le operazioni
militari dell’Armata jugoslava per la presa di Trieste e dei maggiori centri
istriani, l’Ozna della città di Pola (Povjereništvo Ozne za grad Pula – relazione firmata dal capo responsabile Mijo Pikunić) comunicava al Comitato circondariale del PCC di Pola i cambiamenti avvenuti nella situazione
politica cittadina. Erano giorni convulsi per la città di Pola, dove le truppe
tedesche e italiane cercarono di predisporre nuove misure difensive, ma che
nulla poterono contro l’assedio delle formazioni partigiane jugoslave. Nelle
valutazioni del capo dell’Ozna del circondario di Pola, si accennava al morale delle truppe tedesche e italiane presenti in città, che sarebbe stato molto
basso, al contrario di quello che andava affermando Luigi Bilucaglia67 che
aveva sottoscritto un ultimo appello alla popolazione per la predisposizione
di nuove opere per l’estrema difesa della città.
Pola era una città lacerata, non soltanto dai pesanti bombardamenti
alleati ai quali era stata sottoposta sin dal gennaio 194468, ma soprattutto sotto il profilo resistenziale e politico, dove le strutture politiche italiane di orientamento antifascista, causa l’attività investigativa nazifascista e gli ostacoli, le accuse e le intimidazioni dei comunisti filo jugoslavi,
non furono in grado fino allora di opporsi e di esprimere compiutamente
delle forme autonome di resistenza italiana diverse dal MPL jugoslavo69.
Nella relazione non sono specificate le località, ma in successive relazioni si
definiscono italiane le cittadine di Dignano, Gallesano e Rovigno. In quest’ultima, nel
gennaio 1945 il PC circondariale aveva sciolto d’autorità l’organizzazione locale del
partito, che fu ricostituita con elementi “maggiormente affidabili” soltanto dopo la
liberazione della città (30 aprile 1945).
66
Si pensa a un profondo spirito di appartenenza nazionale e un forte attaccamento al
sentire nazionale.
67
Luigi Bilucaglia (1891-1971) fu una delle maggiori figure del fascismo istriano e
primo podestà di Pola (1929-1934), lasciò Pola nell’aprile 1945, vedi O. MOSCARDA
OBLAK, “Il Novecento”, op.cit., p. 560.
68
Sui bombardamenti alleati a Pola vedi Raul MARSETIČ, I bombardamenti alleati
a Pola 1944-1945. Vittime, danni, rifugi, disposizioni delle autorità e ricostruzione,
Monografie, vol. VII, CRS, Rovigno-Trieste, 2004.
69
Ottavio PAOLETICH, “Riflessioni sulla resistenza e il dopoguerra in Istria e in
particolare a Pola”, in Quaderni, vol. XV, CRS, Rovigno-Trieste, 2003, pp. 83-119.
65
56
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
La popolazione cittadina – ad eccezione di quegli italiani che erano entrati
nelle fila del MPL e che avevano accettato l’annessione dell’Istria e di Pola
alla Jugoslavia – era valutata dall’Ozna come “reazionaria”. Le nuove informazioni che provenivano dall’Ozna riferivano di nuovi consensi politici
fra la popolazione italiana di Pola, dove l’opera di “convinzione”, sembrava
aver avuto successo dopo molto tempo.
Pikunić informava perciò che la “reazione” si era frazionata in due gruppi, fra i “locali di Pola (i polesani)” e gli “immigrati dall’Italia (i regnicoli)”.
Grossi traguardi erano stati ottenuti nel primo gruppo, che guardava ormai, eccetto alcuni casi non specificati, con favore all’annessione del territorio istriano alla Jugoslavia, e non si distinguevano in una specifica attività
reazionaria. Non erano perciò ritenuti pericolosi per il nuovo potere, con il
quale invece, avrebbero cercato contatti “per salvare le loro posizioni”. Nei
confronti dei “regnicoli”, i “locali” si esprimevano negativamente in quanto
li percepivano come “assetati di potere”, i quali volevano concentrare tutto
il potere nelle loro mani.
Il secondo gruppo, quello dei “regnicoli”, si valutava fosse un gruppo
“abbastanza unito”, dal momento che erano soliti riunirsi nei salotti di alcune famiglie, dove i membri si “abbandonavano in lunghe discussioni”
sulla situazione politica in Istria. Sembrava che i “regnicoli” non avessero influenze sulle masse, mentre avrebbero trovato appoggio politico nelle
forze armate italiane, in primo luogo nella X Mas, che stava aumentando
di numero e si stava armando sempre più, nel Battaglione “Koata”? e nella
Milizia repubblichina. Un loro confidente li informava che il programma
di questo gruppo consisteva nella difesa della città dai partigiani locali del
MPL, appoggiati dalle truppe fasciste italiane in attesa dello sbarco degli
anglo-americani e della capitolazione della Germania. Altre notizie parlavano anche della formazione delle Brigate Nere, unità militari aiutate personalmente da Mussolini.
Gruppo “reazionario” e dunque oppositore politico dell’MPL, fu considerato il clero italiano. Gruppi legati ai sacerdoti e parroci locali che svolgevano attività politica contraria al MPL e alla sua soluzione jugoslava per
Pola e l’Istria, venivano segnalati a Pola, a Dignano, Gallesano e Rovigno.
Quest’ultime erano considerate “cittadine italiane”, dove l’Ozna osservava
un “certo movimento” da parte di singole persone definite “elementi reazionari”, che in base a diverse fonti, che coincidevano, trovavano la loro base
d’appoggio nel vescovo di Trieste, Antonio Santin. Essendo considerato
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
57
“difensore dell’italianità di Pola”, veniva tenuto “sotto il massimo controllo”, sorveglianza che era estesa anche al fratello del vescovo, cassiere presso la Banca d’Italia di Pola. Questi “elementi reazionari” avrebbero sostenuto che, qualora la “parte croata” dell’Istria avesse dovuto essere annessa
alla Jugoslavia, le località abitate da italiani invece dovessero appartenere
all’Italia. Le personalità cittadine che secondo l’Ozna seguivano tale posizione politica, nonostante fino a quel momento non si fossero pronunciate,
sarebbero state il direttore della Banca d’Italia, il notaio Francesco Jaski,
l’avvocato Della Zonca ed altri non specificati.
Presso le “famiglie fasciste” di Pola e quelle “compromesse con il fascismo” provenienti da Arsia, Albona e Piedalbona, perché “maltrattate dagli
slavi”, il morale sarebbe stato basso.
La relazione dell’Ozna informava, inoltre, dell’avvenuta eliminazione
(“liquidazione”) dei fascisti Niccolini70 e Miani a Pola e di Steno Ravignani
a Rovigno. Si riteneva che tali uccisioni avessero portato effetti positivi
alla situazione politica generale nel circondario, in quanto avrebbero creato
consensi favorevoli al MPL e alle nuove strutture del potere jugoslavo che
di lì a poco avrebbero preso il controllo militare e politico.71
Le “liquidazioni”
Nelle sue relazioni politico informative, l’Ozna comunicava ai comitati
di partito circondariali, che a sua volta relazionavano al Comitato regionale
del partito, anche sulle “liquidazioni”, ovvero sulle uccisioni che, di volta
in volta, venivano compiute dagli agenti dell’Ozna. Nella relazione del 10
febbraio 1945 inviata al Comitato circondariale del PCC di Pola, l’Ozna del
circondario di Pola fece rapporto sui “nemici del popolo” che, da dicembre
Spiridione Ottone Niccolini, membro della Sipo (Polizia di sicurezza tedesca) e
decorato con la “croce di guerra germanica di II classe con spade” per i suoi servigi, vedi
“La consegna di decorazioni germaniche a due concittadini”, in Corriere istriano, 24
ottobre 1944. Ricordato come un fascista violento e sadico, fu ucciso con alcuni colpi di
pistola da Oriente Raunich il 7 aprile 1945, nei pressi dell’Ufficio anagrafico; vedi quanto
scrive M. BOGNERI, Cronache di Pola e dell’Istria 1939-1947, Trieste, 1989, p. 48.
71
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. II, Relazione politica del Centro dell’Ozna per la
città di Pola al Comitato circondariale PCC di Pola, 17 aprile 1945.
70
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
58
’44 a febbraio ’45, l’Ozna aveva ucciso, ovvero “liquidato”. In poco più di
due mesi, nel circondario di Pola l’Ozna aveva complessivamente arrestato
e poi eliminato 12 persone, tra cui 5 donne: 4 nel distretto di Rovigno, 2
nel distretto di Pola, 2 nel distretto di Prodol, 2 nel distretto di Gimino,
2 nel distretto di Albona, tutte ritenute collaborazioniste dei fascisti e dei
tedeschi.
Le persone “eliminate” nel distretto di Rovigno furono Abbà Giuseppina e la figlia Alice, “arrestate” e poi “eliminate” dall’Ozna distrettuale il 13
gennaio, con la motivazione di essere collaborazioniste dei tedeschi, divenute tali per vendicarsi, così nella relazione, della morte del rispettivo marito e padre, che nel settembre 1943 era stato eliminato-infoibato a Rovigno,
perché ritenuto “fascista-squadrista”72; Fioranti Domenico (1919), abitante
a Dignano, fermato dai partigiani del comitato distrettuale del PC di Rovigno nei pressi di Rovigno, fu trovato in possesso di documenti tedeschi
e, sottoposto a tortura, non parlò; Ana Mordušan (1925) di Gulas-Golas,
arrestata il 16-17 gennaio, perché ritenuta “agente” della polizia tedesca a
Pola sin dall’aprile 1944. In seguito a una visita ai genitori nel villaggio,
fu arrestata, interrogata e uccisa dopo aver “confessato” le sue colpe. Nel
distretto di Pola, una persona fu uccisa a Dignano, tale Vitasovic Miho,
arrestato il 22 dicembre 1944 perché “fascista e spia tedesca”, una nel comune di Jursici, tale Velikanja Josip, arrestato il 23 gennaio 1945, perché
collaboratore dei fascisti e dei tedeschi.
Nel distretto di Prodol, Maria De Bianchi, arrestata il 6 febbraio 1945,
e Banovic Ivan, arrestato il 3 febbraio 1945, entrambi di Carnizza, perché
sarebbero stati spie fasciste e tedesche.
Giorgio Abbà (Rovigno 1896-1943) era di professione vigile urbano o guardia
municipale; nelle testimonianze degli esuli rovignesi viene ricordato come una persona
che non si era compromessa con il fascismo;
Giuseppina Abbà (Rozzo 1895-1945), moglie di Giorgio, casalinga, nelle testimonianze
traspare che, dopo la scomparsa del marito, la signora non si fosse rassegnata al silenzio e
avesse chiesto e indagato sulla sua sparizione;
Alice Abbà (Rovigno 1932-1945), studentessa, aveva 13 anni quando fu uccisa assieme
alla madre. Su questa vicenda si legga l’intervista ad Antonio Abbà, figlio di Giorgio
Abbà, che all’epoca dei fatti era prigioniero in un lager nazista, e una volta rilasciato, non
fece mai più ritorno a Rovigno; vedi a cura di Francesco ZULIANI, L’esodo da Rovigno,
Famìa Ruvignisa, Trieste, 2008, pp. 30-34, 42, 222.
72
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
59
Nel distretto di Gimino, tali Bruno Rufo, cittadino italiano di Barbarano, arrestato insieme a quella che fu ritenuta la sua amante, Libera Bacchia
di Albona, il 2 febbraio 1945 a Piedalbona, perché informatori dei tedeschi.
Nel distretto di Gimino, Anton Hrelja di Hreljini, arrestato il 17 gennaio
1945, e Paris Lojzo di un villaggio nel comune di San Pietro, arrestato il 7
gennaio 1945, perché collaboratori dei fascisti e dei tedeschi.73
Il fenomeno del collaborazionismo femminile, reale o presunto? 74
Lo spostamento delle donne dai villaggi alle città e viceversa veniva
costantemente seguito e segnalato nello scambio di informazioni delle organizzazioni di partito. Nell’estate del 1944, una donna membro del comitato distrettuale del partito di Cepic informava il comitato superiore, il
circondariale di Pisino, del ritorno al paese di cinque donne che con il rastrellamento dei tedeschi sarebbero fuggite in città “per salvare la pelle”.
Colpisce, in tali segnalazioni, la violenta critica ideologica espressa contro il proprio genere, definendo opportunista, vigliacca, codarda, quella
donna che si riparava dai bombardamenti che avvenivano nelle città o dai
combattimenti nei villaggi tra fascisti e partigiani. Ma se tale spostamento
si fosse in qualche modo collegato a un lavoro a favore dei tedeschi, già
nell’estate del 1944 gli organismi di partito locali affermavano che sarebbe
stata condannata dal tribunale del popolo quale “traditrice”.75 Come si è
visto, durante la guerra, un certo numero di donne furono direttamente
eliminate perché considerate collaborazioniste: è difficile indagare sulla
realtà o meno di tali attribuzioni di colpa, in quanto non esiste altra documentazione a parte quella prodotta. Nei momenti della presa del potere e
della “pulizia” che seguì nei primi giorni di maggio 1945, queste giovani
donne dei villaggi del Circondario, che prestavano servizio o lavoravano
a Pola come domestiche, sarte, dattilografe, cuoche, ecc. furono arrestate
dall’Ozna locale non appena fecero ritorno nei loro luoghi d’origine, sulla
HDAZ, f. OK KPH Pula, fasc. I, Relazione politica dell’Ozna del circondario di
Pola al Comitato circondariale PCC di Pola, 10 febbraio 1945, pp. 7-8.
74
Il collaborazionismo femminile è un tema che non è ancora stato affrontato dalla
storiografia croata e slovena, laddove invece esiste una vasta storiografia che si è occupata
del fenomeno in Francia, ma anche in Italia e Germania.
75
HDAP, f. OK KPH Pazin, fasc. II, Comunicato del 3 luglio 1944.
73
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
60
base di dossier che avevano provveduto a compilare per ognuna di loro.
Le schede contenevano i dati biografici, testimoniavano i pedinamenti e il
loro presunto atteggiamento negativo tenuto nei confronti del movimento
partigiano jugoslavo durante la guerra. Queste donne furono arrestate, incarcerate e messe a disposizione dell’Ozna regionale. 76
Conclusione
In tutti i territori e all’interno di tutti i popoli jugoslavi, la presa del potere da parte dell’Ozna e delle altre strutture dell’MPL comportò l’arresto, la
prigionia, la morte, di un numero elevato di persone causa la resa dei conti
contro i cosiddetti nemici del popolo, nemici di classe, collaborazionisti e la
conquista del controllo politico del territorio. La vittoria sul fascismo e sul
nazismo, che in Jugoslavia causò più di un milione di vittime tra soldati e
civili77, assunse, in Istria e nei territori jugoslavi, un sapore particolarmente
amaro in quanto anche il nuovo potere, che ambiva a farsi portatore della
“volontà del popolo”, aveva trovato la sua affermazione attraverso l’uso
disinvolto della violenza politica, la cui rilevanza sarebbe risultata chiara
anche più tardi, nella costruzione e nel consolidamento del nuovo regime.
HDAP, f. KK KPH Labin, b.1, f. 4/1945, Ozna di Dignano, 6 giugno 1945, Cartelle
di due sorelle di Cavrano, vicino a Marzana.
77
Cfr. V. ŽERJAVIĆ, Gubici stanovništva Jugoslavije u drugom svjetskom ratu, Zagabria, Jugoslavensko viktimološko društvo, 1989 e il successivo Opsesije i megalomanije
oko Jasenovca i Bleiburga, Zagabria, Globus, 1992; dalle sue ricerche è risultato che in
Jugoslavia, durante la seconda guerra mondiale, persero la vita 1.027.000 persone, delle
quali 295.000 in Croazia. Le vittime civili in Croazia furono complessivamente 153.000.
76
Orietta Moscarda Oblak, La presa del potere in Istria e in Jugoslavia, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp.29-61
61
SAŽETAK
OSVAJANJE VLASTI U ISTRI I JUGOSLAVIJI. ULOGA OZNE
U ovom se doprinosu predstavlja niz općenitih razmatranja o razvoju
jugoslavenskog oslobodilačkog pokreta na područjima kojima su ušla u sastav jugoslavenske federacije, a posebice u istarskoj regiji, s osvrtom na
ulogu OZNE, odjelenja za sigurnost i informiranje jugoslavenske armije, a
kasnije politička policija u jugoslavenskoj državi. U tim okvirima, autorica
razmatra tematike vezane uz upotrebu političkog nasilja od strane partizanskog pokreta pod komunističkim vodstvom u oslobođenju i osvajanju vlasti
u regiji, koja će kasnije postati sastavni dio nove jugoslavenske države.
POVZETEK
PRIDOBIVANJE OBLASTI V ISTRI IN JUGOSLAVIJI. VLOGA OZN-JA
Prispevek ponazorjuje nekatere splošne ugotovitve v zvezi z razvojem
osvobodilnega gibanja Jugoslavije na območjih, ki so tvorile jugoslovansko
federacijo zlasti v Istri, s poudarkom na vlogo Ozn-ja (varnostna in obveščevalna služba jugoslovanske vojske, nato pa politična policija v Jugoslaviji). V tem kontekstu avtorica obravnava vprašanje v zvezi z uporabo političnega nasilja s strani partizanskega gibanja pod komunističnim vodstvom za
osvoboditev in osvajanje oblasti v regiji, katera bo postala del nove države
Jugoslavije.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
63
LEGA NAZIONALE E GOVERNO MILITARE ALLEATO.
LA LOTTA PER L’EGEMONIA CULTURALE NELLA
VENEZIA GIULIA
IVAN BUTTIGNON
Università di Trieste
CDU 323VeneziaGiulia:008”1945/1954”
Saggio scientifico originale
Marzo 2013
Riassunto: Il saggio è il frutto del lavoro di ricerca archivistica condotto principalmente
negli archivi della Lega Nazionale e in quelli del Foreign Office, laddove si mettono
in luce le contrapposizioni tra le organizzazioni filo-italiane, che vedono nella Lega il
loro principale momento di amalgama, e il potere d’occupazione della Venezia Giulia
incarnato dal Governo Militare Alleato. La ricerca ha inteso porre in particolare evidenza
il carattere culturale dei dissidi tra una tradizione filo-italiana e una politica dell’american
way of life.
Summary: Lega Nazionale and the Allied Military Government. The fight for cultural
hegemony in Venezia Giulia – As a result of research conducted mainly in the archives
of the Italian National League and those of the Foreign Office, the essay highlights the
contrasts between the pro-Italian organizations, which consider the League as their
main moment of cohesion, and the power of occupation of Venezia Giulia embodied by
the Allied Military Government. The research sought to place particular emphasis on the
cultural character of the disagreements between a pro-Italian tradition and the policy of
the American way of life.
Parole chiave / Keywords: Governo Militare Alleato, Lega Nazionale, Italianità, Territorio
Libero di Trieste / Allied Military Government, National League, Italianity, Free Territory
of Trieste
Siamo abituati a ragionare in termini di egemonia culturale quando
parliamo della sinistra marxista in Italia. Stando alla celebre definizione
gramsciana, l’egemonia culturale è un concetto che indica le varie forme
di dominio culturale e di direzione intellettuale e morale da parte di un
gruppo o di una classe che «sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino
alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema
di controllo». Inoltre, riprendendo ancora il politico e filosofo sardo «Un
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
64
gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare
il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa
conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene
fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente»1.
Il presente saggio illustra proprio le rispettive condotte di due gruppi
avversi, quello filo-italiano capeggiato dalla Lega Nazionale e quello anglo-americano rappresentato dal Governo Militare Alleato, durante l’occupazione del ’45-’54, si contendono il “controllo” culturale della Venezia Giulia. La parte filo-italiana, che vuole “essere dirigente già prima di
conquistare il potere governativo”, si scontra con il direct rule del GMA.
Questo esprime infatti tutta la sua ufficialità attraverso l’Ordine generale n.
11 dell’11 agosto 1945, che gli conferisce una completa nonché esclusiva autorità di governo, controllo e supervisione della zona A. Vi si legge infatti:
“Il governo militare alleato è l’unico governo in quelle parti della Venezia
Giulia che sono occupate dalle forze italiane ed è l’unica autorità che abbia
il potere di emanare ordini e decreti e procedere alle nomine in uffici pubblici od altri”2. Si scrive direct rule, si legge potere assoluto.
Ma quanto assoluto?
La rinascita della Lega Nazionale
Noi infatti siamo riusciti a ciò che il CLN non era ancora arrivato: far
entrare nelle nostre file sia la massa degli operai che della borghesia,
che del capitalismo. Ci sono pure moltissimi comunisti logicamente
italiani non solo di nome e tessera ma anche di fatto3.
Il 19 ottobre 1945 emerge un progetto ambizioso. Quello di unire in
un’unica associazione tutti gli italiani della Venezia Giulia, di ogni orientamento politico e credo religioso. Due mesi prima era già nata a Gorizia
l’Associazione Giovanile Italiana (A.G.I.), sorta in opposizione alle ripetute
A. GRAMSCI, “Il Risorgimento”, Quaderni del carcere, a cura di F. Platone,
Einaudi, Torino, 1948-1951, p. 70.
2
Archivio della Lega Nazionale, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 1, Verbale di seduta
19 ottobre 1945.
3
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 8, doc. 24, lettera minuta non firmata,
s.d., probabilmente di Mario d’Osmo.
1
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
65
invasioni che quella terra aveva subito. Il richiamo goriziano sveglia Trieste
che vede sedersi allo stesso tavolo rappresentanti di gruppi patriottici, associazioni di esuli istriani, politici di estrazione socialista, azionista, liberale
e indipendente nonché l’Associazione Partigiani Italiani (API). Proprio un
rappresentante di quest’ultima presiede la prima seduta che manifesta chiaramente l’intenzione di “ricostituire la Lega Nazionale, perché con la sua
tradizione e con il suo nome che tanti ricordi desta negli italiani di Trieste,
sarebbe garanzia sufficiente per un buon successo”4.
Si pensa quindi a un’organizzazione che abbia l’obiettivo espresso di
“rafforzare nella Venezia Giulia la conoscenza e l’amore per la lingua, la civiltà, le tradizioni italiane. Essa tende soprattutto ad elevare il livello culturale delle masse lavoratrici, concedendo inoltre alle stesse ed alle famiglie,
non appena la disponibilità dei mezzi lo consentirà, assistenza materiale,
igienica, sanitaria”. Tutto ciò attraverso “istituti ricreatori, dopo-scuola,
asili. Anche la vecchia ‘Università Popolare’, che tanto fece a Trieste nell’epoca pre-fascista (è stata abrogata dal fascismo e presa d’autorità nell’Istituto fascista di cultura), è destinata ad essere ricostituita dalla Lega” 5.
La proposta viene approvata all’unanimità e il suggerimento di mantenere la vecchia denominazione “Lega Nazionale” trova 14 voti favorevoli
su 18. Durante la seduta successiva del 24 ottobre i promotori dell’iniziativa
parlano di presidenza e di statuto6, prospettando ipotesi confermate nella
nuova riunione del 1° novembre7.
Ancora, nella sede successiva la dicitura “Lega Nazionale”, considerata dai due terzi dei deliberanti troppo nazionalista e nazionalistica, lascia
il passo alla formula più delicata di “Lega Italiana”. Compito della rinata
Lega è di “inquadrare gli Italiani senza Partito”. I mezzi e le attività sono
quelle della “propaganda, sviluppo della cultura, assistenza”. Si parla anche
di un’“organizzazione militare segreta” proposta dal Partito d’Azione cui si
associa quello socialista8.
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, Lega Nazionale, verbale di seduta 19
ottobre 1945.
5
Archivio della Lega Nazionale, Trieste, Busta 1, Verbale di seduta 19 ottobre 1945.
6
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, Lega Nazionale, verbale di seduta 24
ottobre 1945.
7
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, Lega Nazionale, verbale di seduta 1°
novembre 1945.
8
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, Lega Italiana, verbale di seduta 9
novembre 1945.
4
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
66
Si avvicendano altri raduni tra l’11 novembre e il 2 dicembre in cui si
continua a discutere sulla connotazione di “Nazionale”, che alcuni promotori considerano sinonimo di “non operaio”9. All’ottava seduta, quella del 5
dicembre, il Partito socialista si ritira dal Comitato promotore perché taccia
la Lega di essere monarchica, mentre obiettivo dei socialisti triestini è di restituire Trieste all’Italia, traguardo che secondo loro si può raggiungere solo
attraverso la formula repubblicana. Lo segue a ruota il Partito d’Azione10.
Il rimanente Comitato promotore decide allora di valutare la seduta dell’11
novembre 1945 che ribattezzava la Lega “Italiana” e ripristina la denominazione originaria di “Nazionale”. È con questa forma che la Lega si rivolge
in modo sempre più articolato, capillare e sistematico al palcoscenico politico e soprattutto nei confronti del Governo Militare Alleato, delle forze
politiche italiane, delle sedi diplomatiche internazionali per dichiarare la
sua presenza nella difesa dell’identità nazionale in tutta la Venezia Giulia.
La meta più urgente è quindi quella di individuare le organizzazioni che
condividono l’obiettivo di difendere l’italianità della Venezia Giulia, per
poter creare un blocco comune e far valere efficacemente quel principio.
Il vertice filo-italiano: gli amici della Lega Nazionale
La Lega Nazionale non fatica a trovare dei compagni di viaggio che
condividano la sua linea filo-italiana. Sin dai primissimi periodi di attività
dalla sua ricostituzione del ‘46 l’Associazione intreccia formidabili legami
con le costituende Associazioni Cristiani Lavoratori Italiani, ACLI. Queste, che detengono un loro specifico “servizio sanitario con ambulatorio e
gabinetto radiologico” e che “da tempo presta assistenza sanitaria gratuita
anche a quei profughi, esuli o persone della zona B che, avendone bisogno,
ne fanno una regolare richiesta”, nel ’49 chiederanno alla Lega di collaborare a coordinare l’attività assistenziale11.
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, Lega Italiana, verbale di seduta 11
novembre 1945, verbale di seduta 19 ottobre 1945 e verbale di seduta 2 dicembre 1945.
10
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, Lega Italiana, verbale di seduta 5
dicembre 1945.
11
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/III, lettera dd. 16 marzo 1949, a firma
della Presidenza della Sezione provinciale delle ACLI di Trieste.
9
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
67
Incalzano i legami con il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che
riconosce formalmente la Lega Nazionale e che ne approva lo statuto sociale, come da decisione della seduta del 5 dicembre 194512. La posizione del
CLN, tuttavia, è di “non ingerenza” rispetto alla Lega, un atteggiamento di
laisser-faire cauto e misurato, com’è opportuno nei riguardi di un’organizzazione in via di costituzione13. C’è comunque koinomia tra Lega Nazionale e il CLN, che vede alcuni suoi membri inseriti nel Consiglio di Presidenza. Tanto che il CLN chiede l’adesione della Lega Nazionale alla Consulta
degli enti e delle organizzazioni italiane che avrebbe dovuto affiancare il
“Comitato Politico” che si sta costituendo in sostituzione al CLN. Questione trattata nella riunione, piuttosto animata, del 5 novembre14. Con il CLN
dell’Istria la Lega Nazionale ha anche uno scambio di foto, simboli del
patriottismo15.
Un’altra amicizia della Lega Nazionale è quella con l’Associazione Giovanile Italiana Etico-politica, che il 18 gennaio 1947 propone al Segretario
Generale dell’Associazione di Trieste di “fondare a Padova una Delegazione della Lega Nazionale” assicurando “sicuro successo”. Tuttavia, la nota a
piÈ di pagina in risposta alla proposta recita “non è il caso”16.
Il Centro Sportivo Italiano, Comitato provinciale di Trieste, comunica
alla Lega Nazionale di Trieste di “accettare di buon grado di far parte della
L.I.A.S.T. di nuova costituzione, cui hanno già aderito Libertas, Robur, Invicta, Juventus”17. Sempre in ambito sportivo, rapporti amichevoli scorrono
anche tra l’A.S. Edera (già G.S. Edera), collaterale al Partito Repubblicano
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale 1946: La
ricostituzione, Edizioni Triestepress, Trieste, 1987, pp. 22-25.
13
Archivio della LN, Cartolare 1946/I, Busta 1, CLN convocazione di Mario d’Osmo
del 13 dicembre 1945 – prot. 1233/III e CLN convocazione di Mario d’Osmo del 26
dicembre 1945 – prot. 1372/III.
14
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Libro Verbali Consiglio Direttivo,
seduta del 5 novembre 1946, pp. 187-192. Busta 2, doc. 6, verbale di seduta Consiglio
Direttivo del 5 novembre 1946.
15
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/IV, lettera prot. n. 798 dd. 10 maggio
1950, a firma del Presidente del CLN dell’Istria dott. Rinaldo Fragiacomo.
16
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 293/O-3, dd. 20/01/1948,
senza oggetto e firmata da Panzera Lucio.
17
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 925, dd. 14/11/1947, di
oggetto non specificato e a firma del Presidente del C.S.I. Comitato provinciale di Trieste
N. Nesbeda.
12
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
68
Italiano, e il C.S. Internazionale, con la Lega18. La Lega invia alla prima
alcuni biglietti omaggio per una rappresentazione programmata per il 13
luglio ’47 al Teatro Fenice19. Il G.S. Edera non tarda a rispondere con un
ringraziamento per il “gentile omaggio”20. Il 29 ottobre del ’47 l’A.S. Edera
esprime piena solidarietà alla Lega Nazionale e versa Lire 1.000 pro assistenza scolastica dell’Associazione21.
E a proposito di strutture repubblicane, il Partito d’Azione partecipa volentieri alle iniziative organizzate dalla Lega Nazionale, come nel caso della Festa della Canzone “Meloneide”22.
Rispetto allo spirito recisamente filo-italiano del Partito d’Azione va
considerato quanto segue. Le tensioni tra le autorità jugoslave e la sinistra
non comunista si manifestano in tutto il loro fervore nel ’47, quando la
Jugoslavia chiede espressamente che il Partito Repubblicano d’Azione (denominazione dell’ormai ex Partito d’Azione) sia dissolto e i suoi capi puniti
esemplarmente. Questo perché filo-italiani e perché cercano di penetrare
negli ambienti operai controllati dai comunisti, dove fare apostolato e acquisire più lavoratori possibile alla causa azionista e repubblicana. Questa
la traccia estrapolata dal dispaccio tra il “British Political Advisor” di Trieste e “H.M. Principal Secretary of State for Foreign Affaire” del Foreign
Office di Londra compilato il 21 novembre 1947:
Yugoslavia’s request that the Italian Republican Party of Action
be dissolved and its leaders punished has not been received with
much gravity among Italian circles here. The threatened Party has
indeed drawn quite unmerited cachet from the attack and one of its
spokesmen has travelled still further down the road of self-delusion,
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 1327/I, dd. 22/04/1947,
di oggetto “II Festa del Lavoro e dello Sport. 1° Maggio 1947 promossa dall’A.S. Edera e
dal C.S. Internazionale” a firma del Presidente della Giunta Ing. dr. Gianni Bartoli.
19
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 2063/L, dd. 12/07/1947,
di oggetto non specificato.
20
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 2063/L, dd. 17/07/1947,
di oggetto non specificato e a firma del Presidente del G.S. Edera.
21
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/II, lettera prot. n. 3461/A, dd. 30/10/1947
(ricezione), di oggetto “Giornata della Lega Nazionale” e a firma del Presidente dell’A.S.
Edera G. Colmani.
22
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 1730/L, dd. 04/06/1947,
di oggetto non specificato a firma del Rappresentante della Gioventù d’Azione.
18
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
69
declaring that the communists must be alarmed at the growing
sympathy felt by the workers for the Action Party23.
D’altronte, il giornale repubblicano e socialdemocratico Voce Libera, ossia il riferimento mediatico del PRI d’Azione, dimostra senza riserva la sua
filo-italianità e i documenti inglesi ben lo registrano:
Voce Libera of the 17th November publishes a note addressed by the
Istrian C.L.N. to the Security Council and the Italian Government
which expresses concern that up to date the Yugoslavs have not
made any provisions, as laid down in paragraph 2, article 11, of this
Peace Treaty, and according to which the government of the ceded
territory must adopt measures to enable former Italian citizens to opt
for Italian nationality. The note repeats former charges that human
rights are denied the inhabitants of the Yugoslav zone of the Free
Territory. It requests the fulfilment by the Yugoslav government of
the provisions of the Peace Treaty relative to the right of option; that
Italians be allowed to leave former Italian territory, together with
their movable goods and money; and that an Italian delegation be
located in Istria to supervise and guarantee such free exit24.
Il Partito Repubblicano Italiano d’Azione (che dal ’49 si federata al PRI)25
sarà tra i primi acquirenti dei calendari filo-italiani messi in circolazione
dalla Lega, come si legge in una nota del ’4826.
23
National Archives London, FO 371-67410, R 1146/108/92, Savingram n. 39, 21
novembre 1947, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 15th January to 21st Novembre, 1947”, p. 1.
24
National Archives London, FO 371-67410, R 1146/108/92, Savingram n. 39, 21
novembre 1947, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 15th January to 21st Novembre, 1947”, pp. 2-3.
25
Il Partito Repubblicano d’Azione lascia cadere l’ultima parte del suo ingombrante
nome (d’Azione) e assurge a federazione triestina del PRI: “The Republican Party of
Action at a recent congress decided to drop the latter part of its cumbersome title and to
militate hanceforth as the Trieste federation of the Italian Republican Party” in National
Archives London, FO 371-78627, R 679/1013/90, Savingram n. 3, 14 gennaio 1949, da
“W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal Secretary of State for
Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation report covering period 8th
to 14th January, 1949”, p. 3.
26
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/II, lettera prot. n. 342/S-6, dd. 29/01/1948
(ricezione), di oggetto non precisato.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
70
A ospitare il complesso bandistico dell’Associazione dal marzo ‘46 è
invece la Democrazia Cristiana, che però, obtorto collo, nel gennaio del ’47
sarà costretta a pregare la Lega Nazionale di lasciare liberi i locali occupati
dalla sua banda27. Così che l’Associazione si rivolge poi al Partito Liberale Italiano, chiedendogli di ospitare il complesso bandistico nella Sala
Dante28. Il PLI esprime simpatia all’Associazione anche quando le chiede
di inviare “alcuni articoli o studi di carattere storico, economico, politico,
riguardanti l’Istria e la Venezia Giulia” per curare la pubblicazione sul giornale veneziano del PLI29. PRI d’Azione, DC e PLI non sono gli unici partiti
a spalleggiare la Lega Nazionale. Il Partito del Fronte dell’Uomo Qualunque, per esempio, compra francobolli chiudi lettera della Lega Nazionale
per un totale di Lire 3.000 e a titolo di elargizione devolve Lire 2.000 “Pro
Lega Nazionale”30. Anche la “Giunta d’Intesa dei Partiti politici italiani
Trieste” (ex CLN) si qualifica amica della Lega. Il 25 ottobre del ’47 organizza le celebrazioni del 2, 3 e 4 novembre includendo tra le ricorrenze del
2 novembre la “Giornata della Lega Nazionale”, durante la quale è prevista
la “distribuzione della coccarda o cartolina ricordo della Lega Nazionale”.
Inoltre, “L’organizzazione delle manifestazioni di questa giornata è
completamente affidata alla Lega Nazionale”. Il 3 novembre invece è dedicato alla “Commemorazione dei Defunti – Sbarco delle truppe italiane” e il
4 alla “Festa della Vittoria”, cui è previsto alle 12 un concerto della banda
della Lega Nazionale in Piazza Unità31.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 34/H, dd. 10/01/1947,
di oggetto non specificato e a firma del Segretario Provinciale della DC. Nella nota si
legge: “Siamo spiacenti di dover privare la Vostra Banda – per un periodo che potrà
essere di circa due mesi – del locale sinora a sua disposizione, ma il movente che ha
dettato la nostra risoluzione giustifica comprensibilmente il provvedimento: il nostro
Comitato Provinciale ha istituito presso di sé un Ufficio Assistenza per l’ESODO DA
POLA e si rende pertanto immediatamente necessario l’ambiente in parola che, adattato
a dormitorio, offrirà temporaneamente asilo agli esuli in transito”.
28
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 88/H, dd. 13/01/1947, di
oggetto “Banda, Locali prove” a firma del Segretario Generale della LN Tullio Faraguna.
29
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 3851/D, dd. 08/09/1947,
di oggetto non specificato e alla firma del componente del Comitato provvisorio Antonino
Bonacini.
30
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 421/B, dd. 20/02/1947,
di oggetto non specificato a firma del Segretario del Partito del Fronte dell’Uomo
Qualunque – Unione Regionale della Venezia Giulia Bruno Monciatti.
31
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 3531/A, dd. 29/10/1947,
27
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
71
Marche da bollo del Governo Militare Alleato.
Archivio della Lega Nazionale, cartolare 1949/V.
Per queste occasioni il 31 ottobre 1947 perviene il permesso da parte
del “Comando Polizia – Venezia Giulia – Zona Anglo-Americana TLT” di
“Dimostrazione, Riunione o Corteo”32.
Con sua lettera del 26 dicembre del ’47 la Giunta fa affidamento ai fondi
della Lega Nazionale per soddisfare l’aiuto economico che il Ricreatorio
“La Gioiosa” chiede33. Così fa pure la Pontificia commissione assistenza,
Sezione speciale per il Territorio Libero di Trieste, che il 22 settembre del
’47 chiede aiuto in termini economici (si parla di un “sussidio straordinario” alla “signora Gregoris Maria”) all’Associazione. Saranno concesse
Lire 30034.
Altra organizzazione vicina alla Lega è l’Associazione Nazionale Arditi
d’Italia che così esprime il proprio sostegno: “Il magico nome di Trieste,
sogno della nostra giovinezza, realtà del nostro sacrificio, compimento del
nostro Risorgimento, è oggi riferimento e certezza dell’avvenire storico
della Nazione”35. Il celebre avvocato Falcone Lucifero, già socialista turatiano, prefetto di Catanzaro e di Bari e Ministro della Real Casa, sostiene
di oggetto “Celebrazioni 2.3.4. Novembre 1947” a firma del Presidente della Giunta Ing.
dr. Gianni Bartoli.
32
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/IV, lettera prot. n. 3590/A, dd. 02/11/1947,
di oggetto “Permit for Demonstration, Assemblage or Parade” a firma dell’“Area
Commissioner”, Police Trieste City Zone.
33
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 4624/G, dd. 30/12/1947,
di oggetto “Richiesta aiuto Ricreatorio ‘La Gioiosa’” a firma del Presidente della Giunta
prof. Giuseppe Dulci.
34
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 3062/M, dd. 30/09/1947,
di oggetto non specificato.
35
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, telegramma prot. n. 2282/A, dd.
04/08/1947, di oggetto non specificato e sottoscritto dal Commissario Nazionale Magg.
A. Ciavarella.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
72
la Lega di Trieste con la generosa somma di Lire 5.00036. Nel frattempo,
una copia è inviata anche al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano
Alcide De Gasperi, precisando che la documentazione è stata fornita dal
CLN istriano37.
Il 26 agosto 1946 la Lega Nazionale si rivolge nuovamente al Ministro
della Pubblica Istruzione Giuseppe Gonella per chiedere l’approvazione di
un piano per assistere con libri scolastici gli studenti della Venezia Giulia.
In questa missiva si legge anche che l’iniziativa, promossa inizialmente dal
CLN di Trieste, viene dal presidente dello stesso delegata alla Lega38. Questo prova quindi un accordo esplicito tra CLN e l’Associazione.
Tra l’altro, è proprio al CLN che la Lega Nazionale chiede fondi per la
sua banda39. Banda cui il comitato di sezione si riunisce alle ore 20 del 7
settembre 1946 nei locali della Democrazia Cristiana40. Partito che “in occasione della visita dell’On. De Gasperi a Venezia […] indice una gita alla
volta di quella città con un treno che partirà da Trieste alle ora 4.10” e per
la quale “i gitanti devono essere in possesso del permesso di oltrepassare la
Zona A”. Tra gli invitati all’iniziativa, oltre alla Lega Nazionale ci sono il
Partito d’Azione, il PLI, il PSVG, il Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque, il PRI e l’API41.
La Lega Nazionale invia alla DC, Direzione Centrale – Centro Assistenza Militare, copie del “Proclama ai Fratelli Italiani”. Nella lettera di risposta
la DC ben esprime la convergenza di principi con l’Associazione, precisando che “Il Vostro appello trova nel cuore degli italiani degni di questo
nome, un’eco profonda ed alimenta la sicura speranza che la cara terra di
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 824/D, dd. 14/03/1947,
di oggetto non specificato.
37
Archivio della LN, 09Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 4153/P-5, dd. 13/1948,
di oggetto non specificato e a firma del VicePresidente della LN ing. Ennio Nunzi.
38
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III “L’azione politica e
culturale”, fascicolo c “La pubblica istruzione”, lettera 5, prot. n. 488/G, dd. 26/08/1946,
di oggetto “Promemoria Ministero P.I.”.
39
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 7 “Associazionismo della LN”,
fascicolo c “La banda musicale – coro”, lettera 8, dd. 11/04/1947, di oggetto “Richiesta
fondi per la Banda della Lega Nazionale”.
40
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 7 “Associazionismo della LN”,
invito al trattenimento programmato per il 7 settembre 1946.
41
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/II, lettera prot. n. 1928/B, dd. 27/06/1947
(ricezione), di oggetto “Gita a Venezia” e a firma del Segretario Organizzativo della DC,
Comitato Provinciale di Trieste Nereo Stopper.
36
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
73
S. Giusto, per la cui liberazione molti di noi combatterono e diedero il loro
sangue, sia – con le altre sorelle Giuliane – restituita alla Madre Patria”42.
A proposito di collateralismi, la società “Dante Alighieri” tiene invece
una riunione nella sede del Partito Democratico del Lavoro, in Piazza San
Francesco, 1, cui il Presidente della Lega, Prof. Baccio Ziliotto, è invitato43.
Traspaiono bene l’amicizia e gli intenti collaborativi rispetto alla Società
Dante Alighieri, coltivati nel tempo, tanto che alla riconferma alla carica
di Presidente della Società da parte di Vittorio Emanuele Orlando (12 settembre 1952), la Lega Nazionale dispensa parole di questo tenore: “Per la
riconferma alla carica che in Voi, Uomo illustre a noi tanto caro, trova l’espressione della più pura italianità, io porgo le felicitazioni più vive anche a
nome e per incarico del Consiglio Direttivo Centrale della Lega Nazionale
di Trieste. In fraterna solidarietà con la Dante Alighieri la nostra Lega ha
sempre operato con inesausto slancio d’amore per la difesa italica di queste
terre, oggi purtroppo dilaniate dall’ingiustizia degli uomini. E a Voi oggi
invia l’augurio cordiale di quanti si attendono la seconda redenzione”44.
Ancora, il CLN effettua l’ordine alla Lega di 20 calendari 194745.
L’11 ottobre 1946 il CLN con una missiva privata comunica alla Lega
che intende riorganizzarsi in un Comitato Politico composto dai rappresentanti dei sei partiti e una Consulta risultante dagli “enti, i ceti e gl’interessi cittadini”46. Tuttavia, in una postilla di una lettera datata 26 dicembre
1945 si legge “Riferito nuovamente che il CLN non appoggerà né ostacolerà il sorgere della Lega Nazionale, come richiesto. Assicurazioni solo
orali.”47. Il 6 settembre del ’46, alle 21 nella Sala Foschiatti del Partito d’AArchivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 1332, dd. 06/10/1948, di
oggetto non specificato e a firma del Segretario del Comitato Direttivo Centrale, Centro
Assistenza Militare della DC Avv. Evaristo Matteini.
43
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/II, 5 dicembre 1945.
44
Archivio della LN, Cartolare 1952/V, lettera dd. 12 settembre 1952 destinata all’On.
Vittorio Emanuele Orlando Presidente della “Dante Alighieri” e a firma del Presidente
della Lega Nazionale Carlo de Dolcetti.
45
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 8 “Propaganda e sistemi di
comunicazione sociale”, doc. 32, CLN, Trieste, 10 dicembre 1946, di oggetto “Calendario
1947”.
46
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946 “Ricostituzione”, cartella “costituzione
Lega”, prot. n. 828/A, 11 ottobre 1946, di oggetto “Convocazione”, diretta al futuro
fondatore della LN Mario D’Osmo quale invito alla riunione del CLN programmata per
l’indomani.
47
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946 “Ricostituzione”, cartella “costituzione
42
74
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
zione, in via delle Zudecche n. 1C viene proiettato il film sulla Venezia
Giulia e specificamente sulle manifestazioni italiane. Il CLN invita l’Associazione, cui la “presenza sarà particolarmente gradita”48. Ciò non toglie
che la Lega Nazionale coltivi rapporti anche con la destra della Venezia
Giulia. Per esempio con il Partito dell’Uomo Qualunque, che il 18 luglio
le invia un primo augurio, “onde salutare in Lei la compatezza [sic!] e la
indissolubile unità di tutti gli Italiani, che Le si son stretti d’attorno per
difendere i loro più elementari Diritti”49. Oppure con l’Unione Monarchica Italiana, che si associa all’auspicio dell’Associazione “che i destini
di codesta città dovranno ricongiungersi a quelli della Madre Patria”50
e che in coincidenza del pellegrinaggio a Redipuglia organizzato dalla Lega
i monarchici di Trieste inviano due loro rappresentanti51.
Il Presidente dell’Assemblea Costituente Saragat riceve l’opuscolo “Trieste e la Venezia Giulia” da parte della Lega Nazionale, che ringrazia e
assicura “costante e fraterna simpatia dei Fratelli Giuliani”52. Il volume è
inviato, forse per provocazione, anche al GMA, che dall’“Area Commissioner” e nella figura del Colonnello H.P.P. Robertson ringrazia53.
Una formidabile sostenitrice della Lega è senza dubbio la già citata Associazione Partigiani Italiani (API), che invia in omaggio una copia del II
e III volume della collana “In memoria dei nostri caduti” alla Lega Nazionale54. La stessa API prega la Lega Nazionale di ricordare che “il 26
aprile 1944 un Capo Tecnico e 14 operai delle Ferrovie dello Stato, addetti
alla Sottostazione Elettrica di S. Pietro del Carso, mentre si recavano al
Lega”, prot. n. 1372/III, 26 dicembre 1945, di oggetto “Convocazione”, diretta al futuro
fondatore della LN Mario D’Osmo quale invito alla riunione del CLN programmata per
l’indomani.
48
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946, doc. 620, 4 settembre 1946.
49
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946, doc. 349, 18 luglio 1946.
50
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 1180/P-3 (ricezione),
dd. 13/03/1948, di oggetto non specificato, di data 9 marzo 1948 e a firma del Segretario
Generale dell’Unione Monarchica Italiana dr. Benedetto Siciliani.
51
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 3936/(sigla illeggibile),
dd. 16/09/1948 (ricezione), di oggetto “Pellegrinaggio L.N. a Redipuglia”, e a firma del
Segretario dell’U.M.I. di Trieste.
52
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/II, doc. 1726, 6 dicembre 1946.
53
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/II, doc. 1518, 29 novembre 1946.
54
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 2519/P-7, dd.
21/05/1948.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
75
lavoro, vennero catturati da un gruppo di partigiani sloveni armati”55. Per
le commemorazioni del 25 aprile 1949 il Comitato Direttivo Provinciale
dell’API invita la Lega Nazionale a partecipare al raduno dei Volontari della
Libertà programmato per il “24 aprile alle 10.30 al Teatro Azzurro, con la
presenza del Generale Senatore Raffaele Cadorna valoroso Comandante
del C.V.L.”56. Tra l’altro, la Lega sostiene alcune spese dell’API57. Spesso gli
associati alla Lega sono partigiani iscritti all’API. Non solo, capita talvolta
che l’API chieda alla Lega di aiutare, logisticamente o economicamente, i
suoi associati58. Nel ’47 vi è pure un accordo tra la Lega Nazionale e l’API
per la pubblicazione del settimanale “In Vedetta”59.
Sempre con l’API, l’Associazione organizza un viaggio a Trieste per il 6
marzo 1947 “per rendere l’estremo omaggio dei triestini alla salma di Nazario Sauro che sul Toscana varca l’Adriatico per riposare in terra italiana
ad esservi tumulata”. L’invito alla cerimonia è valido per tutti. Vi si legge
infatti “Autorità, partiti, enti, associazioni, giornalisti, sono invitati ad intervenire nel numero a fianco fissato data la limitata capienza del pullman”.
Gli invitati nominalmente sono: il Partito d’Azione (in cima alla lista), la
DC, il Partito Democratico del Lavoro, il PLI, l’Associazione combattenti,
il Messaggero Veneto, il Giornale di Trieste, il Capitano Casilli d’Aragona,
il Consiglio di Zona e il Consiglio del Comune60.
Un’altra occasione di lavoro congiunto tra Lega e API avviene al momento della raccolta delle “firme della promessa”, dal 10 al 15 febbraio
‘47, in cui quattro ex partigiani lavorano di buona lena a questo progetto61.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 814/S-1, dd. 30/04/1948.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/I, cartolina invito dd. 24/04/1949, a timbro
della Federazione Italiana Volontari della Libertà, Associazione Partigiani Italiani Trieste.
57
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera protocollo n. 2113 dd.
29/09/1949 (ricezione), a firma del Segretario del Comitato Direttivo dell’API Alessandro
Piovesan.
58
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 6 “L’attività padronale”,
fascicolo a “Assistenza ai profughi – ex deportati e sinistrati”, lettera 7, prot. n. 3438/34,
dd. 03/12/1946, diretta al Ministero dell’Assistenza Post-bellica.
59
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 2326, dd. non leggibile,
di oggetto non specificato.
60
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 574/A, dd. 05/03/1947,
di oggetto non specificato e a firma del Segretario Generale della LN Tullio Faraguna.
61
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 516/A, dd. 27/02/1947,
di oggetto “Firma della promessa” e a firma del Segretario Provinciale dell’API dott.
Marino Colombis.
55
56
76
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
Il volantino promotore delle “firme della promessa” recita quanto segue:
“Italiani! Nel triste giorno della firma del trattato la Lega Nazionale invita
la cittadinanza a manifestare il suo sentimento patrio firmando la seguente
promessa: L’ITALIA RESTA E RESTERÀ SU QUESTE TERRE: GIURIAMO DI EDUCARE NELLA LINGUA E COL PENSIER DI DANTE
I NOSTRI FIGLI. Accorriamo tutti perché questo atto divenga un solenne
plebiscito che impegni la storia al trionfo della Giustizia”. Le sedi che accolgono le firme sono quella del CLN, le quattro sedi della Lega Nazionale,
quella dell’Ass. Naz. Combattenti, quelle rispettive del Partito d’Azione,
della DC, del PLI, del Partito Dem. Lib. Dell’Uomo Qualunque, la sede del
Gruppo Esuli Dalmati e quella dell’API.
Volantino promotore delle “firme della promessa”
A proposito di ex partigiani, anche la Divisione Italiana Partigiani “Garibaldi”, sezione di Trieste, sostiene l’attività della Lega Nazionale sin dal
10 marzo 1948 quando, neo costituita, “si propone di continuare la lotta a
difesa dell’italianità di Trieste con tutti i mezzi, trovandosi in periodo di
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
77
iniziativa e quindi in ristrettezze, avendo bisogno di una bandiera, si pregia
farne richiesta a codesta benemerita Lega italiana (sic!)62.
Anche il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Federazione di
Trieste, si associa al giudizio di “diktat” rispetto alla soluzione del TLT
espressa dalla Lega nella missiva del 16 settembre del ’46 e diretta al Segretario Generale della Conferenza di Pace di Parigi (quando il TLT era ancora
un’ipotesi in via di formulazione)63.
Un altro organismo vicino alla Lega Nazionale è il “Movimento Nazionale per l’Italianità dell’Istria”, costituito il 10 febbraio 1947 (“contemporaneamente alla firma dell’imposto trattato di sedicente pace”) che ha la
sua sede centrale ad Alassio (Savona) e che è formato da profughi istriani.
Il 7 marzo del ’47 il Movimento scrive alla Lega “per prendere contatto, e
vedere la possibilità di concordare la nostra azione, el (sic!) fine di renderla
più forte e sentita”64.
A Ravenna si forma invece l’Associazione Giovanile Amici della Venezia Giulia Italiana (AGAVI), che organizza feste di ballo “satirico-politiche” durante le quali distribuiscono cartoline che sono proposte all’Associazione65. In una lettera si legge che la Lega Nazionale aspira ad assumere
la gestione del vecchio ricreatorio eretto con il fondo Ermanno Gentilli
(patriota italiano) ma dubita che il GMA autorizzerà l’Associazione a ciò66.
Un altro sostenitore della Lega Nazionale è il Movimento Istriano Revisionista, che prende contatti con l’Associazione (oltre che con il CLN
dell’Istria, il Sindaco di Trieste Gianni Batoli e il Presidente di Zona Gino
Palutan) per “conoscere, con la maggior urgenza possibile, l’opinione dei
rappresentanti italiani di Trieste, allo scopo di poter tempestivamente concordare l’azione in comune da intraprendere” a fronte della “richiesta del
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/II, lettera prot. n. 1274/S-4, dd. 20/03/1948
(ricezione), di oggetto non specificato.
63
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 308/A, dd. 11/02/1947,
di oggetto non specificato.
64
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 622/A, dd. 10/03/1947
(ricezione), di oggetto “Presa di contatto” e a firma del delegato del Comitato fondatore
Carlo Natta.
65
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/II, lettera prot. n. 279/S-6, dd. 20/01/1948
(ricezione), di oggetto non precisato e a firma del Presidente dell’A.G.A.V.I.
66
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 7 “Associazionismo della LN”,
lettera 2, dd. 07/03/1947, diretta all’erede di Ermanno Gentilli Sig.a Maria Gentilli in
Cassini.
62
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
78
controllo dei ‘sobborghi’ di Trieste quale moneta di scambio per la Zona
B del TLT”. L’azione congiunta che il Movimento propone alla Lega Nazionale sarebbe diretto al Governo italiano allo “scopo di conoscere il suo
punto di vista e premunirlo per l’eventualità che la mossa tattica jugoslava, concordata verosimilmente con gli anglo-americani, divenga oggetto di
discussioni”67. La voce risulta infondata68 e tutto si risolve in una bolla di
sapone69.
Il Comitato d’Intesa fra le Associazioni combattentistiche di Trieste
chiede alla Lega Nazionale di partecipare con la propria banda alle manifestazioni indette per il 23 maggio 194870 e così avviene anche l’anno
successivo per quelle del 24 maggio, cui l’Associazione di Trieste “aderisce
al programma disposto dalle Associazioni combattentistiche e d’arma”71.
L’Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di Guerra si avvale di
contributi della Lega per far fronte a spese come nel caso dei doni natalizi ai
bambini72.
L’Oratorio S. Rita si rivolge con questo tono alla Lega Nazionale: “In
occasione […] dello straordinario Convegno della Gioventù a Roma ai primi di settembre l’assoc. desidera possedere la sua bandiera e perciò pensò
di offrire alla LEGA NAZIONALE, ente cittadino che più di tutti gli altri
esprime e realizza l’unione della Patria, l’incarico di far da madrina consegnando la bandiera nazionale all’Assoc. nel corso di una breve cerimonia
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera protocollo n. 2164 dd.
03/10/1949 (ricezione), a firma del Presidente del Movimento Istriano Revisionista dott.
Anteo Lenzoni.
68
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera protocollo n. 6985 dd.
03/10/1949 (ricezione), a firma del Presidente del CLN dell’Istria dott. Rinaldo Fragiacomo.
69
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera protocollo n. 2164 (in
risposta a) dd. 04/10/1949, a firma del Presidente Reggente della Lega Nazionale Marino
Szombathely.
70
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 11/P.R./48, dd.
14/05/1948, con oggetto “programma manifestazioni” e a firma del Segretario G.
Gregoretti.
71
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/VII, lettera prot. n. 909 dd. 10 maggio
1949, di oggetto “Celebrazioni 24 maggio” e a firma del Presidente Reggente Prof. Avv.
Marino de Szombathely.
72
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/IV, lettera prot. n. 2847 dd. 20 dicembre
1950 (ricezione), a firma del Presidente dell’Associazione Nazionale fra Mutilati ed
Invalidi di Guerra T. Col. Luigi Brunetti.
67
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
79
la cui data verrebbe fissata di comune accordo”73. La Consulta d’Intesa dei
Circoli Italiani chiede alla Lega Nazionale di unire nel forze nell’impedire
che piazza Unità non sia “profanata dalle orde slovene e ciò ad evitare reazioni da parte degli italiani”74.
Legami, anche economici, intercorrono tra la Lega Nazionale e il “Circolo G. Oberdan” (con il logo tricolore e la scritta centrale “ORA E SEMPRE”), che chiede in prestito alla Presidenza della Lega Nazionale di Trieste 20.000 lire. Prestito che il Circolo è nell’impossibilità di restituire e che
quindi chiede sia commutato in “elargizione a favore del circolo”75.
Ovvi collateralismi si ravvisano tra la Lega Nazionale e il Comitato
triestino pro Ente giuliano autonomo di Sardegna, che raccoglie “gli aiuti
destinati allo sviluppo di Fertilia, la cittadina assegnata dal Governo italiano ai profughi giuliani”. Il Comitato invia i nomi di tutti i suoi membri
alla Lega Nazionale, indicando che “Eventuali obbiezioni potrebbero venire espresse entro il giorno 5 di novembre […]”. L’Associazione ha quindi
un peso politico nei confronti del Comitato76. Lo spirito di collaborazione incalza anche con la “Missione Italiana Trieste”, che indica alla Lega
Nazionale nominativi di bisognosi da aiutare77. La Lega Nazionale aiuta
l’Associazione Sportiva “La Fiaccola” a titolo di “contributo alla dotazione
premi della corsa Trofeo della Vittoria nell’importo di L. 3000”78.
Il quotidiano Fanfulla di San Paolo del Brasile è il giornale dei venetogiuliani in Brasile che solidarizza con la Lega Nazionale e gli esuli tutti79.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 3494/P-7, dd.
04/08/1948, a firma del Direttore don Giorgio Apolloni.
74
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/VI, lettera prot. n. 1153 dd. 24 maggio
1949, a firma del Presidente della Consulta d’Intesa dei Circoli Italiani rag. Emilio
Tomaselli.
75
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/II, lettera prot. n. 1309 dd. 27 giugno
1950, a firma del Commissario del Circolo G. Oberdan Enzo Verdi.
76
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera prot. n. 2481 dd. 5 novembre
1949 (ricezione), a firma del Presidente del Comitato triestino pro Ente giuliano autonomo
di Sardegna.
77
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera prot. n. 2154 dd. 03/10/1949
(ricezione), a firma del rappresentante della Missione Italiana Trieste A. Castellani.
78
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera prot. n. 2487 dd. 5 novembre
1949 (ricezione), a firma del Vicepresidente dell’A.S. “La Fiaccola” Dr. Nicolò Sulligoi.
79
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/III, lettera prot. n. 126 dd. 16 gennaio
1950 (ricezione), a firma di quattro rappresentanti della “Fanfulla” Rodolfo De Gasperi,
Glauco Gaber, Giovanni Valcich, José Regio.
73
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
80
Altro giornale vicino alla Lega è il romano Brancaleone, che elogia enfaticamente la ricezione del “Numero unico” inviato dall’Associazione80.
La lagnanza del settimanale “Brancaleone. Voce d’Italia”, che richiede il consueto calendario
filo-italiano stampato dalla Lega Nazionale. Archivio della Lega Nazionale, cartolare 1951/VI.
Il Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste (gli altri centri culturali
della città sono Il Gabinetto di Minerva, il Centro per la Storia del Risorgimento, il Cenacolo triestino, la Società di Scienze naturali principalmente81) appare meno collaborativo con la Lega Nazionale.
A fronte della richiesta della Sala sociale per una manifestazione da parte dell’Associazione, il Circolo risponde con diplomazia ma incisività: “la
Sala sociale può essere infatti concessa soltanto per manifestazioni di ‘importanza cittadina’ o rigorosamente culturali sotto gli auspici del Circolo”82.
“Brancaleone”, 21 gennaio 1950, p. 4, colonna 3.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 112 dd. 7 febbraio 1949, a
firma del Dirigente della Sezione Educativa della Lega Nazionale prof. Edo Funaioli, p. 2.
82
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera prot. n. 2486 dd. 5 novembre
1949 (ricezione), a firma del Presidente del Circolo della Cultura e delle Arti prof. Carlo
Schiffrer.
80
81
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
81
Attività promozionale: la comunicazione politica filo-italiana
Non appena la Lega Nazionale si ricostituisce, predispone un memorandum da trasmettere alla Commissione alleata, vista la sua incipiente visita
a Trieste (27 marzo 1946)83.
L’Associazione, sin dai suoi primi passi, non sembra curarsi degli aspetti
politici e ancor meno partitici e preferisce adoperarsi per una linea convergente con il CLN, che continua a gestire rapporti diretti con i partiti e le
associazioni politiche dello schieramento italiano84.
Durante la seduta del 25 marzo 1946 il Direttivo della Lega Jona suggerisce di escludere dall’iscrizione “delinquenti politici, delinquenti abituali,
collaborazionisti dei tedeschi e militanti nell’esercito repubblicano fascista
o iscritti al partito fascista repubblicano. Per tutti gli altri basta una dichiarazione che attesta che l’aspirante socio sia guarito, senza rimpianto, dal
fascismo”85.
La Lega evita sedute pubbliche e di riunirsi in sedi che non siano la solita. Questo perché la sua attività è scandita da una severa riservatezza ed
è volta a restare il più possibile nell’ombra, soprattutto agli occhi dei suoi
antagonisti politici, in prima fila il GMA, che però sanno della sua attività
in fase di svolgimento nella Venezia Giulia86.
Prendendo atto del distacco cui il giornale La Voce Libera accoglie gli
articoli della Lega Nazionale, il direttivo dell’Associazione decide che la
questione politica si debba giocare tutta al proprio interno. Durante la seduta del Consiglio Direttivo del 28 maggio 1946 sono distribuiti i rispettivi
incarichi e ruoli tra il Consiglio Direttivo e il Comitato Promotore evitando
un intervento esterno delle forze partitiche del CLN che l’anno prima hanno dato il loro assenso alla sua costituzione87.
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale 1946: La
ricostituzione, cit., pp. 29-31. La LN organizza vere e proprie manifestazioni di protesta,
a Trieste come a Gorizia, durante la visita della Commissione Interalleata. Ibidem, p. 77.
84
Ibidem, p. 33.
85
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 1, Consiglio Direttivo, verbale di
seduta del 25 marzo 1946.
86
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale 1946: La
ricostituzione, cit., pp. 29-31.
87
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Libro Verbali Consiglio Direttivo,
seduta del 28 maggio 1946, pp. 70-71.
83
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
82
È proprio dalla seduta del 28 maggio che la Lega assume una connotazione maggiormente politica, decidendosi per un’attività di pressione nei
confronti delle istituzioni politiche. A partire dagli enti statunitensi, cui la
Lega invita “ad avere comprensione per gli Italiani della Venezia Giulia”,
a seguito del messaggio di De Gasperi che esprime il “rincrescimento per
la mancata partecipazione dei Giuliani al referendum”88. Allo stesso modo
la Lega decide di contattare il Ministro degli Esteri inglese Bewin e di inviare un messaggio al popolo americano indirizzandolo all’Onorevole Viti
Marcantonio, al prof. Max Ascoli, al Col. Poletti ed a Fiorello La Guardia.
A Don Marzari, di stanza a Parigi, comunica invece che l’Associazione ha
superato i 180 mila soci e che vanno costituendosi clandestinamente gruppi
istriani. La Lega decide anche di invitare a mezzo stampa e manifestini la
cittadinanza per la manifestazione del 12 giugno alle ore 19.00 in Piazza
Unità89.
Il 1947 è un anno complicato per l’Italia e soprattutto per Trieste. Al
Trattato di Pace la Lega Nazionale – membro interministeriale per la Venezia Giulia – risponde con il giuramento “L’Italia resta e resterà su queste terre: giuriamo di educare nella lingua e col pensiero di Dante i nostri
figli”90 e raccoglie 154.000 firme in pochi giorni. L’anno dopo viene murata
una targa sull’edificio del Tergesteo: “Qui il 10 febbraio 1947 154.000 cittadini firmarono solenne giuramento di fedeltà alla Patria”91.
Il 15 settembre, in occasione dell’applicazione delle clausole del Trattato
di Pace la Lega emana un proclama “ai fratelli d’Italia”, lanciato dal cielo
negli stadi di tutta Italia. Quel giorno i negozi restano chiusi in segno di
lutto. Monsignor Santin celebra nella Cattedrale di San Giusto una messa,
mentre la delegazione dell’Associazione raggiunge Roma per consegnare al
Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, le firme raccolte.
Il ’47 è anche l’anno della drammatica vicenda di Maria Pasquinelli e
dell’aggressione subita da Mons. Santin a Capodistria. Vengono svolte dalla
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Libro Verbali Consiglio Direttivo,
seduta del 28 maggio 1946, pp. 75-76.
89
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Libro Verbali Consiglio Direttivo,
seduta del 1° giugno 1946, pp. 76-77, del 4 giugno 1946, pp. 77-83, dell’11 giugno pp. 77-86.
90
Archivio della Lega Nazionale, Trieste, Foglio per la raccolta delle firme, Trieste,
11 febbraio 1947.
91
D. REDIVO, Le trincee della Nazione: cultura e politica della Lega Nazionale,
Edizioni degli ignoranti saggi, Trieste, 2005, p. 125.
88
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
83
Lega Nazionale le prime onoranze funebri agli infoibati in coincidenza della riesumazione di 21 salme della Foiba Plutone. Si deposita la lapide in via
Imbriani a ricordo dei Caduti del maggio 1945 e il primo pellegrinaggio del
secondo dopoguerra al Sacrario di Redipuglia.
È ancora il ’47 quando la Lega si propone di rilanciare l’Università Popolare92. L’idea è già stata adottata l’anno prima dalla società Dante Alighieri
e il motivo della sua istituzione è duplice. Serve una istituzione che porti il
verbo nazionale ai ceti popolari tentati dall’ideologia comunista ma anche
presso i margini linguistici dell’Italia93.
Interessante in questo senso le considerazioni di Roberto Spazzali: “L’azione riguardante la pubblica istruzione era considerata dalla Lega Nazionale come la pietra miliare del mantenimento dello spirito italiano nella
Venezia Giulia, proprio quando nella zona B si assisteva alla nuova impostazione ideologica e nazionale e nella zona A il Governo Militare Alleato
non aveva avuto difficoltà nell’accordare alla minoranza slovena la riapertura delle proprie scuole di ogni ordine e grado”94.
Si costituisce così, in seno alla Lega Nazionale, una sezione educativa
articolata in tre strutture interdipendenti: l’Università Popolare, la Commissioni scolastiche (Elementare, Medie Licei, Medie Uniche, Avviamento,
Università) e il Centro Studi”95. A rimarcare la continuità ideale tra la Lega
Nazionale e l’Università Popolare concorrono la nomina di Baccio Ziliotto
a Presidente dell’Associazione al quale successe Marino de Szombathely
(Commissario Prefettizio nominato dal Presidente di Zona). Entrambi questi uomini hanno in precedenza prestato opera in favore dell’Università
Popolare. Nel primo anno di Università Popolare si aprono la biblioteca e
la sala di lettura, si avviano le esecuzioni concertistiche (inaugurate il 25
novembre 1947 dalla “miglior violinista italiana” Gioconda De Vito accompagnata al pianoforte da Bruno Bidussi) e l’organizzazione di diverse mostre. Il 21 aprile 1948 inizia la straordinaria attività nell’ambito della Mostra
della Stampa Italiana e della Fiera del Libro, del Centro Cinematografico
dell’Università Popolare, animato da Fausto Faraguna. In meno di tre mesi
“La Lega fa risorgere l’Università del Popolo”, in La Voce Libera, 12 maggio 1947.
D. REDIVO, “Storia dell’Università Popolare di Trieste”, in Università Popolare di
Trieste 1899-1999, U.P.T., Trieste, 2000, pp. 21-88.
94
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale. 1946: la
ricostituzione, Edizioni Triestepress, Trieste, 1987, p. 91.
95
Ivi.
92
93
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
84
il Centro Cinematografico presenta in anteprima ventotto film (inizialmente solo per invitati, viste le proteste dei proprietari delle sale cinematografiche), proiettato trentasei spettacoli educativi, dieci riprese di alcuni film
più significativi e sei spettacoli per la Mostra del fanciullo ai quali hanno
assistito complessivamente oltre 30.000 spettatori96. All’interno del Centro
Cinematografico si forma un Cineclub teso ad affrontare i vari temi tecnici
e artistici della cinematografia per formare nuovi professionisti del settore.
Nel giugno 1949 la Lega Nazionale festeggia il centenario della Repubblica Romana con un conferenza dal titolo “L’idea unitaria in Giuseppe
Mazzini” interpretata dal prof. Elio Predonzani nel teatro di Gradisca d’Isonzo97, mentre il mese prima (domenica 15 maggio) a Trieste l’Associazione partecipa alla commemorazione organizzata dal “Comitato cittadino per
le onoranze a Mazzini nel centenario della proclamazione della Repubblica
Romana del 1849”98, preventivamente invitata dal Comitato anche alla seduta del 6 maggio 194999.
La Lega inaugura la Mostra “Trieste Italiana” alla Galleria d’Arte “Trieste” e invita anche T.S. Airey C.B. e Brig. Ridgely Gaither, alti ufficiali del
GMA100.
Il primo “veglione della Lega” si tiene sabato 4 maggio 1946 alle 21 nelle sale dell’Unione Ginnastica Goriziana101. Per le proiezioni del film “27
marzo”, programmate per il 19 e il 23 giugno 1946 la Lega fruisce della
Sala Dante di via P. Reti, 1 presso la sede del Partito Liberale Italiano102.
La sezioni della Lega Nazionale dal giugno 1949 al 15 aprile 1950 sono:
Educativa, Università Popolare, Assistenza Ricreativa, Sportiva, Turismo e
“Eccezionale attività del Centro Cinematografico dell’Università Popolare”, in Il
Messaggero Veneto, 6 luglio 1948.
97
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/I, lettera prot. n. 861/4, dd. 27/06/1949, a
firma del Capo Ufficio Stampa e Propaganda Giuliano Gaeta.
98
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/I, lettera prot. n. 903/S-1, dd. 10/05/1949,
a firma del Presidente del Comitato avv. Michele Miani.
99
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/I, lettera dd. 03/05/1949, a firma del
Presidente del Comitato avv. Michele Miani.
100
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/I, lettere prot. nn. 1013/S-1 e 1014/S-1 dd.
30/05/1949, a firma del Presidente Reggente prof. Avv. Marino de Szombathely.
101
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 8 “Propaganda e sistemi di
comunicazione sociale”, lettera 14.
102
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 8 “Propaganda e sistemi di
comunicazione sociale”, lettera 15.
96
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
85
gli Uffici di Stampa e Propaganda e Colonie estive103. La sezione educativa
“provvede alla distribuzione, in prestito, di libri di testo dei figli dei soci
col dono di quaderni e requisiti scolastici. Con molta cautela i doni si fanno
pervenire anche nella Zona ‘B’. È molto frequentato l’apposito ufficio di
consulenza scolastica al quale si rivolgono i soci per pratiche e consigli. Si
fanno corsi gratuiti di ripetizione e preparazione specie per alunni profughi”. L’Università Popolare “sta svolgendo 71 corsi culturali e tecnici con
una frequenza di circa 1500 iscritti. Provvede a cicli di manifestazioni musicali, programmi cinematografici, conferenze, gite di istruzione; dispone
di una ottima biblioteca circolante e di sale di lettura molto frequentate”.
La Sezione Assistenza “aiuta i soci indigenti con sussidi, viveri, buoni
pasti per mense popolari. In occasione del Natale, Capo d’anno (sic!), Epifania e Pasqua sono stati offerti circa 1400 pranzi in un ristorante cittadino
a bambini e vecchi bisognosi […]. Soci profughi vengono aiutati per la sistemazione in alloggi e per poter trovare a Trieste un lavoro allo scopo di
evitarne l’esodo; molti soci disoccupati vengono così assistiti ed avviati al
lavoro. Funziona l’assistenza medica e legale […]. Gli assistiti con i suddetti
provvedimenti sono qualche migliaio. È anche molto attivo l’apposito ufficio Consulenza che svolge le varie pratiche di cittadinanza, residenza, compilazione di moduli speciali i beni abbandonati in Istria dai profughi […]”.
La Sezione Ricreativa “ha avviato il tradizionale concorso della canzone
popolare triestina, il veglione sociale e la festa dell’uva. Ha costituito una
Sezione filodrammatica giovanile e indice concerti e saggi musicali molto
frequentati. Il complesso bandistico sociale, composto di oltre 60 elementi,
è considerato il migliore di Trieste e partecipa a tutte le manifestazioni patriottiche, anche fuori residenza”.
La Sezione Sportiva “dispone di varie squadre per le singole attività
sportive fra le quali quella di atletica leggera che annovera alcuni campioni
d’Italia. Compito particolare della sezione è quello di formare nuovi atleti
di sicuri orientamenti nazionali da immettere nei vari settori dello sport
giuliano”104.
La Sezione Turismo “senza alcun aggravio del bilancio, organizza gite
turistiche, soggiorni estivi e campeggi invernali per i soci. Ha allestito un
‘Villaggio invernale della Lega Nazionale’ ove sono stati ospitati alcuni
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/V, documento titolato “Attività della
Lega Nazionale dal giugno 1949 in poi”.
104
Ibidem, p. 1. Corsivo mio.
103
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
86
mutilatini (sic!) di guerra”. L’Ufficio Colonie ha ospitati “in tre turni circa
1600 bambini” fra la colonia montana di Strigno e quella marina di Sistiana105.
Poi sul piano ideologico si precisa anche che “la Lega Nazionale svolge
anche un’attività politica in funzione anticomunista. A tale scopo ha formato una specie di vallo spirituale presso l’attuale confine fra il T.L.T. e l’Italia
istituendo varie Sezioni nei punti cruciali ove maggiormente fervono le
attività antinazionali o filojugoslave”, mentre sul piano operativo si spiega
che “L’Ufficio Stampa e Propaganda invia comunicazioni e articoli a giornali cittadini, nazionali ed esteri e pubblica in una serie di quaderni saggi
storici e politici. La Presidenza ha inviato, sui problemi più gravi dell’ora,
memorie documentate dell’O.N.U. e al Governo Nazionale”106.
Come da richiesta dell’Associazione Nazionale per la Venezia Giulia e
Zara di Tripoli, la Lega Nazionale invia i seguenti opuscoli e giornali: Carlo Schiffrer, Sguardo storico sui rapporti fra italiani e slavi nella Venezia
Giulia; Centro studi della Lega Nazionale, Trieste e la Venezia Giulia; Ufficio stampa del Partito Socialista della Venezia Giulia, Il socialismo triestino nella lotta antifascista e nella difesa dell’italianità; Ufficio stampa e
propaganda della Lega Nazionale, Numero Unico Lega Nazionale107.
La Lega Nazionale scrive al Foreign Service of the USA per chiedere
indicazioni circa biblioteche ed università americane “per eventuali invii
da parte nostra di nostre pubblicazioni”108 e ottiene indicazioni, oltre a un
rimando al Sig. Moffly, Director of Information and Public Relations del
GMA “che Le potrà fornire interessanti dettagli e Le potrà fare consultare i libri della Sala di Lettura americana109. L’Associazione chiede anche
all’Ambasciata statunitense facoltà universitarie con insegnamento di geografia110, alché l’USIS, United States Information Service di via Veneto,
Ibidem, p. 2.
Ivi.
107
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 1420/2, dd. 16/11/1948,
a firma del Capo Ufficio Stampa e Propaganda della LN Giuliano Gaeta.
108
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 581/3 dd. 9 aprile 1949,
a firma del Capo Ufficio Stampa e Propaganda della Lega Nazionale Giuliano Gaeta.
109
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera dd. 11 maggio 1949, a firma
dell’Addetto Culturale del Foreign Service of the USA C.R. Morey.
110
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 1008/4 dd. 20 settembre
1949, a firma del Capo Ufficio Stampa e Propaganda della Lega Nazionale Giuliano
Gaeta.
105
106
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
87
62, Roma, consiglia di rivolgersi alla Allied Reading Room di via Trento,
2, “dove troverà materiale da consultare”111.
In effetti la Lega Nazionale invierà una cospicua quantità di materiale
promozionale alle biblioteche universitarie, e non, degli Stati Uniti. A solo
titolo di esempio, alla Library of Congress, Washington 25 D.C.112 sono
inviate queste pubblicazioni: G. Gaeta, Il giornale di Trieste, Trieste, 1949;
G. Gaeta, Il problema di Tunisi nel Giornalismo Triestino del 1881, Trieste, 1939; G. Gaeta, Storia del giornalismo, Trieste, 1947; G. Gaeta, La
fine della Dominazione Austriaca nella Venezia Giulia ed a Zara, Trieste,
1938; C. Schiffrer, Historic Glance at the Relations Between Italians and
Slavs in Venezia Giulia, Trieste, 1946; E. Predonzani, Pietro Stancovich,
Trieste, 1950; E. Predonzani, Gabriele Foschiatti, Trieste, 1950; E. Predonzani, Quattro Novembre 1918, Trieste, 1950113; Collana di Opuscoli di Volgarizzazione storica, n. 4; Il Civico Museo Rivoltella di Trieste. Catalogo
della Galleria d’Arte Moderna con Settantasei Tavole; Comune di Trieste:
Celebrazioni degli Istriani Illustri. Pittori Istriani. Pagine Istriane, Numero Speciale, Anno 1, n. 4, 1950114; 4° quaderno pagine di storia giuliana
di Attilio Gentile; 5° quaderno pagine di storia giuliana di Giuliano Gaeta; 1° quaderno pagine di cultura giuliana di Eliseo Sonetti; A. Scocchi,
Ispirazione mazziniana della tentata insurrezione di Trieste del 23 marzo
1848; Relazione sulla situazione dei lavoratori della zona B del T.L.T. dal
maggio 1945 ad oggi115; G. Gaeta, Trieste ed il Colonialismo Italiano, 1943;
G. Gaeta, Trieste durante la Guerra Mondiale, 1938; G. Gaeta, Ora o Mai,
1938; Trieste et la Vénétie Julienne, 1946116.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera dd. 24 settembre 1949, a firma
del “Director of Libraries” Philip G. Hodge.
112
Archivio della Lega Nazionale, Cartolare 1951/II, lettera prot. n. S.P. gen. 85/6, dd.
30 gennaio 1951 e Archivio della Lega Nazionale, Cartolare 1951/II, lettera prot. n. S.P.
gen. 1104/6, dd. 8 febbraio 1951.
113
Archivio della Lega Nazionale, Cartolare 1951/II, lettera di ringraziamento per il
materiale inviato prot. n. E-51-69, dd. 29 marzo 1951 inviata dalla Library of Congress a
firma di Lewis C. Coffin, “Chief Exchange and Gift Division”.
114
Archivio della Lega Nazionale, Cartolare 1951/II, lettera di ringraziamento per il
materiale inviato prot. n. E-51-69, dd. 23 gennaio 1951 inviata dalla Library of Congress
a firma di Lewis C. Coffin, “Chief Exchange and Gift Division”.
115
Archivio della Lega Nazionale, Cartolare 1951/II, lettera prot. n. S.P. gen. 503/5, dd.
27 maggio 1950.
116
Archivio della Lega Nazionale, Cartolare 1951/II, lettera di ringraziamento per il
materiale inviato prot. n. E-Trieste, dd. 26 aprile 1950 inviata dalla Library of Congress a
firma di Lewis C. Coffin, “Chief Exchange and Gift Division”.
111
88
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
Lega Nazionale contro Governo Militare Alleato. Italianità contro
american way of life
Ovviamente, per poter operare la Lega necessita del permesso di attività, concesso dall’Headquarters Allied Military Government, city of Trieste
Area, il 24 gennaio 1946 a fronte di una domanda in cui si precisa che
“l’Associazione, pur dovendo essere composta di italiani e da simpatizzanti
della lingua e della cultura italiana, non ha fini politici, ma soltanto culturali, educativi, assistenziali, ricreativi, sportivi” e ancora, che le finalità sono
di “rafforzare nella Venezia Giulia la conoscenza e l’amore per la lingua,
la civiltà, le tradizioni italiane. Essa tende soprattutto ad elevare il livello culturale delle masse lavoratrici, concedendo inoltre alle stesse ed alle
famiglie, non appena la disponibilità dei mezzi lo consentirà, assistenza
materiale, igienica, sanitaria”.
Comunicato che invita a una conferenza filo-italiana organizzata dalla Lega Nazionale. Archivio
della Lega Nazionale, cartolare 1952/IV.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
89
Tutto ciò attraverso – come già rilevato – “istituti ricreatori, dopo-scuola,
asili. Anche la vecchia ‘Università Popolare’, che tanto fece a Trieste nell’epoca pre-fascista (è stata abrogata dal fascismo e presa d’autorità nell’Istituto fascista di cultura), è destinata ad essere ricostituita dalla lega”117. In
effetti il GMA decide di appoggiare l’azione intrapresa dal Presidente di
Zona che fa dipendere l’Università Popolare dalla Lega Nazionale. Come
da nota di E.G. Shinkle, titolare del Ministero degli Interni118. In una missiva successiva, la Lega chieda al capitano Buckly la disponibilità di un
locale al centro della città119.
La Lega Nazionale si professa “un’associazione culturale-assistenziale”,
nonché “apolitica in quanto è fuori da ogni inclinazione od influenza di
partiti politici e perché nella difesa stessa dell’italianità ella trascende i patti
contingenti della politica per operare nel campo della lingua, della cultura
e nelle tradizioni del popolo, lasciando però sempre aperta la porta agli
scambi culturali che possano cercare una miglior comprensione fra i popoli
della Regione”120.
I rapporti con il GMA sono tesi, e sin da subito. Nel corso della seduta del 19 novembre 1946, infatti, viene comunicato che “il GMA avrebbe
l’intenzione di indire al Politeama Rossetti una stagione operistica slava”
e che pertanto “la possibilità di occupare il teatro in detto periodo viene
demandata allo studio della Sezione Ricreativa”121.
La stessa domanda di costituzione della Lega, depositata negli uffici
del GMA ed accettata il 24 gennaio 1946122 permette sì la sua attività ma
richiede ora una maggior definizione sia sul piano legale e ordinativo, che
su quello degli equilibri interni tra gli organi direttivi centrali, quelli periferici e l’Assemblea generale. Il GMA opera così nel senso di un’ingerenza
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 1, GMA, documento di
autorizzazione.
118
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/II, lettera dd. 28/12/1948, di oggetto
“Università Popolare” e a firma del titolare del Ministero degli Interni E.G. Shinkle.
119
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 1, “To Cpt. Buckly”, Trieste.
120
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 6 “L’attività padronale”, fascicolo
a “Assistenza ai profughi – ex deportati e sinistrati”, lettera 2, dd. 19/08/1946, diretta al
Ministero dell’Assistenza Post-bellica.
121
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 2, doc. 9, verbale Consiglio
Direttivo del 19 novembre 1946.
122
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 1, doc. 13, lettera di richiesta
autorizzazione al GMA, s.d.
117
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
90
mossa da un profondo senso di diffidenza nei confronti dei propositi della
Lega Nazionale.
Nel gennaio del ’48 l’Associazione tenta di ottenere la registrazione quale ente di beneficenza in base ai termini dell’Ordine alleato n. 29 del 1947,
ma il GMA, una volta esaminatane la domanda, la rigettata con questa
formula: “Il Governo Militare Alleato è spiacente di non poter accogliere la
vostra richiesta per tale registrazione e non siete ulteriormente autorizzati a
continuare la vostra opera assistenziale (Ordine 29 Art. II paragrafo 1)”123.
La Prefettura di Trieste della Zona Anglo Americana del TLT invia una
riservata alla Lega in cui fa emergere alcuni rilievi: “un asservito scivolamento della Lega nel campo politico, avendo essa favorito il sorgere del
blocco nazionale, prestando ad esso ogni occorrente attrezzatura; la tuttora mancata applicazione dello Statuto e la conseguente indizione delle
elezioni; […] l’opportunità che siano definite le responsabilità nell’ordine
amministrativo, e anche qui i colpevoli siano identificati e la loro posizione,
rispetto alla Lega, sia una volta per sempre, chiaramente risolta124.
A fronte delle decisioni assunte dalla Conferenza di Parigi vedrà il CLN
invitare la Lega Nazionale a contribuire alla costituzione di un comitato
scientifico “allo scopo di mantenere l’unione delle forze democratiche per
la difesa dell’italianità della Regione”125. Questo comitato, sviluppandosi
attorno ai sei partiti del CLN, avrebbe il compito di coordinare ogni attività politica quanto gestire i rapporti con il Governo italiano e il Governo
Militare Alleato.
La Lega scavalca il GMA e raggiunge il Nuovo Continente dopo aver
contattato a colpi di missive Generoso Pope, leader del Progresso ItaloAmericano126, Anna McCornich O’Hara, dello staff editoriale del New York
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 452/P-6, dd. 30/01/1948,
di oggetto non specificato e a firma del Responsabile della Divisione “Welfare &
Displaced Persons” del GMA Maggiore J.A. Kellett.
124
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 60-Ris., dd. 27/06/1949,
a firma del Presidente della Prefettura di Trieste del TLT dott. Gino Palutan. Archivio
della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 61/B-Ris., dd. 01/08/1949, a firma del
Presidente della Prefettura di Trieste del TLT dott. Gino Palutan. Archivio della LN,
Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 65-Ris., dd. 16/08/1949, a firma del Presidente
della Prefettura di Trieste del TLT dott. Gino Palutan.
125
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 2, doc. 2, CLN della Venezia
Giulia, lettera “riservata” correlata di allegati dell’11 ottobre 1946.
126
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/II, doc. 19, lettera a Generoso
Pope, Progresso Italo-Americano, 25 novembre 1946.
123
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
91
Times127 e Colonnello Charles Poletti, Presidente del “Comitato per una
giusta pace con l’Italia”128.
In seguito (e precisamente l’11 giugno ’48) la Lega Nazionale contatta
l’Italian Chamber of Commerce (Camera di Commercio) dell’Illinois in cui
si chiedono gli indirizzi delle principali sedi statunitensi dell’interlocutore,
oltre che quelli di banche americane129. La Camera di Commercio dell’Illinois (fondata nel 1907 e rivolta alla promozione del commercio tra gli USA
e l’Italia) dopo tre mesi risponde130.
Alla regia del sodalizio tra la Lega Nazionale e gli Stati Uniti è in tutta
probabilità il Maggiore americano Ferguson, responsabile per il Nord-Italia
dell’USIS, United States Information Service. L’ipotesi è suggerita dalla
lettera inviata dalla Lega e all’attenzione di Ferguson in cui lo si ringrazia
per le indicazioni e gli spunti131.
Il 4 aprile 1948 La Voce d’Italia, settimanale indipendente newyorkese di matrice italo-americana invia al Segretario di Stato una nota in cui
spiega che “La Lega Nazionale di Trieste, interpretando il sentimento
della popolazione sacrificata da un duro trattato, ci ha inviato un messaggio di profonda gratitudine, diretto non soltanto agli italo-americani
che sperano sulle sorti della martoriata città adriatica, ma anche agli
americani ed agli artefici della vera giustizia democratica che hanno riacceso la speranza nei cuori di quei Figli d’Italia la cui esistenza spirituale in seno alla madre patria rappresenta il presupposto necessario
per la esistenza materiale […]. L’Adriatico non è oggi che una tomba
fluttuante sui corpi straziati delle foibe di Tito. Trieste e l’Istria non significano Italia e Italianità, ma rappresentano la Civiltà e la Democrazia.
La Civiltà non può assistere impassibile alla distruzione di quei simboli
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/II, doc. 20, lettera a Anna
McCornich O’Hara, 26 novembre 1946.
128
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/II, doc. 21, lettera al Col.
Charles Poletti, 25 novembre 1946.
129
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 2751- 2765/P-3, dd.
11/06/1948, di oggetto non specificato e a firma del ViceSegretario Mario D’Osmo.
130
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 2751/P-3, dd. 18/10/1948,
di oggetto “V/11 giugno 1948” e a firma del Segretario dell’Italian Chamber of Commerce,
Chicago 6, Illinois John Ugolini.
131
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/II, doc. 24, lettera al Maggiore
Ferguson, 6 dicembre 1946.
127
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
92
che segnano, fino al Quieto, il limite tra i popoli liberi d’Occidente e la
barbarie asiatica […].”132.
Ambasciatore d’Oltreoceano per la Lega Nazionale è Fiorello de Farolfi,
che distribuisce centinaia di copie della pubblicazione “Trieste e la Venezia
Giulia”, libello attraverso il quale illustrare e documentare la posizione sostenuta dagli italiani della Venezia Giulia sulla questione della pace. L’Associazione si dichiara pronta ad affrontare un eventuale plebiscito sull’italianità dell’area, forte delle sue 200 mila adesioni133.
Altro discorso riguarda l’educazione e la scuola, ambiti che la Lega Nazionale considerano cavalli di battaglia al fine della difesa dell’identità italiana. Sono anni in cui nella zona B monta l’ostilità anti-italiana e nella
zona A il GMA accorda alla minoranza slovena la riapertura delle scuole
di ogni ordine e grado. Anche in questo ambito, quindi, Lega Nazionale e
GMA cavalcano posizioni discordanti134.
La Lega Nazionale reagisce tentando di riaprire le scuole italiane soprattutto nella zona B, dove la tutela nazionale è più urgente e necessaria135. Si
adopera in questo senso distribuendo gratuitamente libri, quaderni, materiale didattico vario e anche vestiario ai più bisognosi136.
L’Associazione apre scuole italiane nella Zona A anche cercando di impedire sorgano quelle di cultura slava. Interessante rilevare, per esempio,
come il Dirigente per la Sezione Educativa della Lega, il prof. Edo Funaioli,
rimproveri il Presidente della Lega dopo aver appreso che “gli slavi hanno
aperto una scuola elementare con tre scolari a Miramare”. Questa l’invettiva: “Ora mi domando che fa la ‘Lega Nazionale’? Non è suo dovere d’aprire
scuole in ogni luogo pericolante in linea nazionale e non spendere un sacco
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera dd. 04/04/1948 intestata “La
Voce d’Italia Weekly Newspaper Independent For Italo-americans. New York” e diretta
al Segretario di Stato Washington D.C.
133
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale 1946: La
ricostituzione, cit., p. 89.
134
Ibidem, p. 91.
135
Al Ministero della Pubblica Istruzione la LN ricorda che “Attualmente vivono
a Trieste in situazioni logistiche difficilissime, del tutto provvisorie, ed ormai quasi
insostenibili per difficoltà finanziaria, molti studenti istriani e fiumani i quali vengono
tenacemente allettati dalla propaganda slava che cerca di avviarli alle loro scuole in città
e nei loro collegi in Jugoslavia. Busta 5/III, doc. 2, promemoria per il Ministero della
Pubblica Istruzione, 3 agosto 1946.
136
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 1, Sezione Educativa, s.d.
132
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
93
di denaro per squadre sportive? Urge di aprire scuole, magari in una stanza, a Miramare, Sistiana, Grignano e Duino. Anche per eliminare il cuneo
slavo fra Trieste e Monfalcone”137.
D’altronde, l’intervento del GMA in questo ambito è oltremodo parziale.
È limitato solo al libro di lettura per gli scolari iscritti alla prima elementare, mentre nelle altre classi diversi studenti restano senza libri perché non
possono sostenere le spese di acquisto138.
La situazione nella zona B e nella città di Pola precipita ma la Lega
Nazionale non si dà per vinta e interviene con ogni mezzo per garantire
la continuità degli studi agli italiani ancora residenti139. Cerca di evitare
la chiusura delle scuole italiane in quelle zone, cercando di mantenere le
strutture e il personale insegnante140. Oltre ad aiutare chi decide di rimanere e resistere il più a lungo possibile nella terra natale, la Lega Nazionale
favorisce l’afflusso di profughi verso collegi e convitti di studio in Italia141.
Per far pervenire nella zona B i libri e il materiale acquistato dalla Lega
Nazionale, questa si appoggia al CLN dell’Istria, cui la Lega chiede regolarmente assicurazione sulla reale destinazione dei doni142. La Lega mette
inoltre a disposizione un fondo per pagare sussidi mensili per spese di viaggio e tasse scolastiche143.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 114 dd. 12 febbraio
1949, a firma del Dirigente della Sezione Educativa prof. Edo Funaioli.
138
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale 1946: La
ricostituzione, cit., p. 93.
139
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 3, lettera al dott.
Scaglioni – Capo Gabinetto del Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, 26 agosto
1946. La Lega Nazionale entra a far parte del Comitato per l’assistenza della popolazione
profuga della zona B, presieduto da Gino Palutan, Vicepresidente di zona Delegato nel 30
luglio 1946. Busta 6, doc. 1, Provincia di Trieste, 30 luglio 1946.
140
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 4, lettera alle Case
Editrici d’Italia e per conoscenza al Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, 26
agosto 1946. Busta 5/III, doc. 5, lettera al Prof. Giuseppe Gonella Ministro della Pubblica
Istruzione, Roma, 26 agosto 1946. Busta 5/III, doc. 6, Comitato Alta Italia per la Venezia
Giulia e Zara, lettera a LN di Trieste, 3 ottobre 1946, prot. 1837.
141
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 9, lettera alla
Reverendissima Direttrice del Collegio Notre Dame de Sion, Trieste, 28 ottobre 1946.
142
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/VII, lettera prot. n. 2689 dd. 23 novembre
1949, a firma del Presidente Reggente Marino Szombathely.
143
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/V, lettera prot. n. 6 dd. 10 gennaio 1950,
a firma del Dirigente della Sezione Educativa prof. Edo Funaioli.
137
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
94
La Lega Nazionale vanta un primato memorabile e riguarda l’idea di
istituire un asilo-scuola per anormali psichici144. La Lega si fregia di aver
diretto azioni preliminari in favore delle classi differenziali con l’assegnazione di sillabari e libri di testo dedicati a queste particolari unità educative145.
È infatti il 5 novembre quando nella sede della Provincia di Trieste si
tiene una riunione tra diversi enti e associazioni, tra le quali la Lega Nazionale, per discutere dell’istituzione a Trieste di una “Scuola-Asilo per anormali psichici”146. L’assise prevede sia la Lega Nazionale a curare l’assunzione degli insegnanti del costituendo istituto. L’iniziativa, tuttavia, parte
su basi molto diverse perché il GMA decide di intervenire per ridefinire i
ruoli degli enti gestori del progetto. Alla Lega resta comunque il merito di
essersi mossa per prima in questo particolare ambito, nonché di essere intervenuta attraverso proposte concrete e collaterali rispetto a quelli previste
dal GMA147.
La Lega organizza alcuni concerti durante il primo e il 2 maggio ’46 (e
da quel momento lo farà con una certa frequenza), tutte iniziative comunicate al Tenente Colonnello Smutz del GMA per la necessaria autorizzazione148.
Il consiglio direttivo del 22 febbraio del ’46 anticipa una formidabile
questione: si ipotizza la distribuzione di scatole di fiammiferi pro-Lega da
distribuire nella zona A149.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 22, “Dichiarazione”,
Trieste, 30 ottobre 1946. Busta 5/III, doc. 26, istituzione Scuola-Asilo per anormali
psichici, 30 ottobre 1946.
145
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 22, “Dichiarazione”,
Trieste, 30 ottobre 1946. Busta 5/III, doc. 23, Direzione tecnica delle classi differenziali,
Trieste, preventivo per libri approvato in data 14 settembre 1946.
146
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III, doc. 27, verbale di seduta
per l’istituzione a Trieste di una “Scuola-Asilo per anormali psichici”, 5 novembre 1946.
147
R. SPAZZALI, Contributi di ricerca per una storia della Lega Nazionale 1946: La
ricostituzione, cit., p. 98.
148
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 7, doc. 9, lettera al Tenente
Colonnello Smutz, programma concerto, 23 aprile 1946.
149
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 1, Consiglio Direttivo, verbale di
seduta 22 febbraio 1946.
144
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
95
Scatola fiammiferi della Lega Nazionale.
Archivio della Lega Nazionale, cartolare 1952/V.
L’idea viene ripresa nel periodo aprile-giugno 1946: la Lega accarezza l’idea di diffondere francobolli chiudi-lettera e fiammiferi recanti sulla
confezione il tipico motto del sodalizio giuliano. Al GMA l’iniziativa non
piace e in una lettera del 10 aprile 1946 il Tenente Colonnello Smutz precisa
che la Lega Nazionale non può “vendere fiammiferi con tale soprascritta.
La produzione è controllata dal Monopolio e sarebbe inopportuno mettere
in circolazione anche solamente alcuni con questa soprascritta”. La missiva
specifica anche che i francobolli della Lega, seppur autorizzati a circolare,
non possono essere usati per l’affrancatura della corrispondenza150.
Il prototipo di francobollo arreca la scritta “Date aiuto all’opera civile
della Lega Nazionale” e in aggiunta l’intercalare giobertiano “Si ricordino tutti a cui cale della patria comune che, secondo l’esperienza, la morte
delle lingue è quella delle nazioni. Gioberti”151. La riedizione dei vecchi
francobolli, stavolta venduti come semplici chiudi busta, conoscono qualche fortuna in più. Grazie al contributo della Banca Nazionale del Lavoro
e della cartotecnica Modiano sono distribuiti migliaia di francobolli che
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 8 “Propaganda e sistemi di comunicazione sociale”, doc. 25, Allied Military Government, Area Headquarters, Trieste,
10 aprile 1946, a firma di J.C. Smuts.
151
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 8 “Propaganda e sistemi di comunicazione sociale”, allegato al doc. 25, Allied Military Government, Area Headquarters, Trieste, 10 aprile 1946, a firma di J.C. Smuts.
150
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
96
riproducono l’antico ed originale bozzetto anteguerra152. Tuttavia, l’anno
successivo la Lega Nazionale chiede nuovamente il permesso al GMA di
distribuire scatole di fiammiferi portanti avvisi di propaganda153, richiesta
che viene nuovamente respinta154.
La Lega Nazionale comunica la sua politica anche attraverso le fotografie dei martiri nazionali come quelle di Nazario Sauro, Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti, Francesco Rismondo. Lo si evince dalla missiva della
Lega, Delegazione di Genova, che chiede tali fotografie alla Direzione Centrale della Lega di Trieste con una missiva datata 1° agosto ’47 e giunta a
destinazione tre giorni dopo155.
Un altro strumento di divulgazione del senso nazionale è la pubblicazione e distribuzione di quaderni storici di volgarizzazione a fronte della raccolta di proverbi e canti istriani, sul quale il prof. Giuliano Gaeta,
dell’Ufficio stampa e propaganda della Lega, può contare su un contributo
di Lire 20.000 elargiti dal Segretario Generale della stessa Associazione156.
L’Associazione crea una collana di volgarizzazione storica con “l’intendimento di far conoscere figure ed episodi storici giuliani che rientrano nella storia del Risorgimento italiano”157 e altri opuscoli storici come Il triestino Giulio Ascanio Canal ed i Fratelli Bandiera di Piero Sticotti, Domenico
ed Antonio Piatti Martiri Triestini dell’epoca napoletana del 1799 di Elio
Predonzani e Fabio Severo di Pietro Sticotti158.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 8, doc. 26, lettera della ditta
Modiano, Società Anonima Industria Cartotecniche, 7 giugno 1946, prot. dir. n. 38 NB/
MR.
153
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 2642/D, dd. 05/09/1947,
di oggetto non specificato.
154
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 2642/D, dd. 12/09/1947,
di oggetto “Propaganda Advertisments on Monopoly Matches” e a firma di N.T. Beard,
Lt. Col. Chief Finance Officer.
155
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 2289/E/1B, dd.
04/08/1947, di oggetto “Richiesta di fotografie”.
156
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 4432/D, dd. 20/12/1947,
di oggetto non specificato.
157
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/III, lettera prot. n. 1425/2, dd. 17/11/1948,
indirizzato al Chiarissimo prof. Arturo Castiglioni, 40.85 Hampton Street, New York,
di oggetto non specificato e a firma del Capo Ufficio Stampa e Propaganda della Lega
Nazionale Giuliano Gaeta.
158
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/III, lettera prot. n. 127, dd. 16/01/1950, a
firma del Capo Ufficio Stampa e Propaganda della Lega Nazionale Giuliano Gaeta.
152
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
97
La Lega distribuisce così cartoline ai periodici “amici”, finché “La
Rivolta Ideale” muove un’obiezione costruttiva. Spiega infatti all’Ufficio
Stampa della Lega Nazionale che “le cartoline che Voi ci mandate così per
Natale e per Capodanno come per la Pasqua”, gentile dono cui la Rivista
ringrazia, se anziché distribuirle in questo modo asettico “le metterete in
vendita presso i cartolai e librerie, noi allora annunceremo che tali cartoline si possono acquistare presso i medesimi. Ne trarrete un utile materiale
e soprattutto morale. Ma in questo caso Voi le cartoline le distribuirete in
tutta Italia molto prima delle feste e date poi l’annuncio della distribuzione
avvenuta”159.
La Lega fa tesoro di questo consiglio ed elabora un progetto di distribuzione delle cartoline articolato e capillare su tutto il territorio nazionale,
affidando alle singole delegazioni la propaganda e lo smistamento del materiale promozionale, oltre che ai “negozi che le accettano”160.
Sul “Telegraph”, da Roma, Agenzia di Informazioni per la stampa dd.
20 e 21 dicembre 1949, appare un curioso articolo dal titolo “La cittadinanza triestina rammenta. A mezzo di cartoline natalizie suo forzato distacco
dalla Madre Patria” in cui si legge “I cittadini di Trieste, seguendo una
tradizione di questo dopoguerra, anche quest’anno invieranno gli auguri
per le prossime festività ai fratelli italiani, a mezzo di una cartolina- tipo
fatta stampare a cura della Lega Nazionale, la cartolina rappresenta i tre Re
Magi, i colori dei cui vestiti formano insieme il tricolore della Patria”161.
Grande eco in tutta la penisola hanno le cartoline “bandiera in pugno”,
che la Lega Nazionale stampa solo per la Delegazione di Bari 13.450 esemplari a 10 lire l’una162. In vista dell’anno entrante 1951 la Lega fa stampare
10.000 calendari con riproduzione fotomeccanica dello “Sbarco dei Bersaglieri a Trieste”163. L’Associazione, sempre nell’ottica di mantenere vivo il
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera dd. 27/03/1948, di oggetto non
specificato e a firma del Segretario de “La Rivolta Ideale”.
160
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 42/D, dd. 06/04/1948, di
oggetto non specificato e a firma del Capoufficio Stampa e Propaganda della LN.
161
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/II, lettera prot. n. 1336/4 dd. 29 dicembre
1949, a timbro della Lega Nazionale, Ufficio Stampa e Propaganda.
162
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/IV, lettera prot. n. 2437 dd. 30 maggio
1949, di oggetto “materiali in sospeso” e a firma del Presidente Reggente Avv. Prof.
Marino de Szombathely.
163
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/V, lettera prot. n. 2368 dd. 16 ottobre
1950 (ricezione), a timbro della Tipografia Litografia Moderna.
159
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
98
senso di appartenenza sia locale che nazionale, indice concorsi sulle canzoni popolari164.
Come già illustrato, la costituzione della Lega Nazionale avviene con
l’approvazione da parte del GMA165, che il 15 novembre successivo chiederà di “comunicare a questo Ufficio con cortese sollecitudine lo statuto, i
regolamenti interni, l’elenco nominativo delle cariche sociali ed ogni altra
notizia intorno all’organizzazione ed attività di codesta Associazione. Si
prega altresì di comunicare di volta in volta gli eventuali cambiamenti e
sostituzioni dei componenti il Comitato Esecutivo”166. Segue nota in cui
si sollecita il riscontro della precedente e “si prega di comunicare anche
dove hanno sede i circoli dipendenti da codesta associazione”167. Segue a
sua volta un secondo sollecito da parte del GMA alla Lega Nazionale168, la
quale però risponde che la documentazione è già stata inviata e si allega
l’attestazione di ricezione169.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1950/III, lettera prot. n. 2402 dd. 6 novembre
1950 (ricezione), a firma della Direzione del quindicinale “Tutto dei concorsi” di Torino.
165
È richiesta l’approvazione, avvenuta poi il 22 gennaio 1946. Archivio della LN,
Trieste, cartolare 1946/I, s.d., “To Cpt. Buckly”. È assicurato il permesso circa l’inizio
delle attività della LN. Archivio della LN, Trieste, cartolare “1946. Ricostituzione”, cartella “Costituzione Lega”, prot. n. AMG/CT/9/5/, 24 gennaio 1946. È richiesta una “sede
adeguata” al Colonnello Smuts del GMA. Archivio della LN, Trieste, cartolare “1946.
Ricostituzione”, cartella “Costituzione Lega”, doc. 12 “Relazione attività”, prot. n. 31/E,
28 febbraio 1946. È richiesta una “sede adeguata” al Colonnello Smuts del GMA.
166
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 3870/A, dd. 18/11/1947,
di oggetto “Associazioni”, inviata dalla “Division C.I.D., Sez. Speciale”, intestazione
“Allied Military Government – Public Safety Division, Venezia Giulia Police Force,
Venezia Giulia, C.M.F.”, in data 15 novembre 1947 e a firma del Sovraintendente Dott. E.
Corsi.
167
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera dd. 27/12/1947, di oggetto
“Associazioni”, inviata dalla “Division C.I.D., Sez. speciale”, intestazione “H.Q. Venezia
Giulia Police Force, Allied Military Government – British-United States Zone – Free
Territory of Trieste”, in data 22 dicembre 1947 e a firma del Sovraintendente Dott. E.
Corsi.
168
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 419/P-6, dd. 28/01/1948,
di oggetto “Associazione. Secondo sollecito”, inviata dalla “Division C.I.D., Sez. speciale”, intestazione “H.Q. Venezia Giulia Police Force, Allied Military Government –
British-United States Zone – Free Territory of Trieste”, in data 23 gennaio 1948 e a firma
del Sovraintendente Dott. E. Corsi.
169
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 419/P-6, dd. 29/01/1948,
di oggetto non specificato, di data 29 gennaio 1948 e a firma del Segretario Generale della
LN Tullio Faraguna.
164
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
99
Anche il giornale della Lega Nazionale è soggetto a controlli e interrogazioni170. Tanto che l’Associazione è costretta a rispondere con toni rasserenanti: “Il giornale da noi richiesto, essendo voce di una società con finalità eminentemente culturali ed assistenziali, non avrà contenuto politico e
non intende sostenere polemiche di tale natura con altri giornali”171.
Più avanti, il 13 settembre del ’48, la Lega Nazionale spiega in tono polemico qual è l’unico tipo di riunione che non è soggetta a permesso da parte
della polizia, cioè quello che contempla la presenza, in un ambiente chiuso
all’esterno, solo e rigorosamente di membri dell’associazione/organizzazione. Così recita la missiva:
1. As a result of applications which have recently been forwarded
to this HQ it is obvious that some doubt appears to exist as to when
a meeting is classified as ‘public’ or ‘private’ and whether or not an
application has to be submitted to the Police Force for a meeting
to be held. 2. A private meeting is one which is held in enclosed
premises when only members of the Association or Organisation
are invited to attend. This is the only type of meeting which does
not require a permit from the Police. 3. If, however, in addition to
the private meeting, loudspeakers are used to convey the speeches
made at the meeting to persons outside the enclosed premises, this
constitutes a public meeting and application must be submitted to
the Police, for approval, at least seven days before the meeting is due
to take place172.
La Lega si rende immediatamente operativa. Il 25 luglio del ’46 invia
un promemoria al Ministero degli Interni e il 3 agosto al Dicastero della
Pubblica Istruzione. Servono convitti soprattutto per gli studenti istriani
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 4178/D, dd. 11/12/1947,
di oggetto non specificato.
171
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1947/III, lettera prot. n. 4290/D, dd. 16/12/1947,
diretto a Maj. P. Sasson M.B.E., Chief Press Officier, A.I.S. – V.G.,di oggetto non specificato e a firma del Segretario Generale della LN Tullio Faraguna.
172
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 3942/P-6, dd. 14/09/1948,
di oggetto “Private and public meetings”, inviata dalla “H.Q. Venezia Giulia Police Force,
Allied Military Government – British-United States Zone – Free Territory of Trieste”, in
data 13 settembre 1948 e a firma del Col. A.H. Gardner.
170
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
100
di nazionalità italiana a caduta libera a Trieste, città priva di un collegio
maschile173.
Il 16 settembre l’Associazione scrive al Segretario Generale della Conferenza di Pace di Parigi, spiegandogli tra l’altro e senza mezzi termini
che il disegno di costituzione del Territorio Libero di Trieste (ancora sotto
esame da parte della Conferenza di Pace di Parigi) è per gli abitanti della
Venezia Giulia un “diktat” antitetico ai principi democratici174. Due anni
dopo, il 13 settembre del ’48 la Lega Nazionale di Trieste invia al Consiglio
di Sicurezza dell’ONU un memoriale che delinea la tragica situazione degli
optanti Giuliani175. L’ONU risponde con una nota del 29 settembre 1948176.
Due anni dopo l’Associazione invia nuovamente opuscoli filo-italiani
della sua collana di volgarizzazione storica. Precisamente, invia 5 copie di
due diversi opuscoli di stampa, editi dall’Ufficio Stampa e Propaganda della Lega Nazionale: Il triestino Giulio Ascanio Canal ed i fratelli Bandiera
di Piero Sticotti e Domenico e Antonio Piatti martiri triestini dell’epopea
napoletana del 1799, di Elio Predonzani177.
La reazione del GMA è solo apparentemente cordiale e quasi compiaciuta. Così risponde il Maggiore P. Sasson: “Ringrazio sentitamente codesta Lega Nazionale per il gentile invio degli opuscoli, molto interessanti,
pubblicati dai Sigg. Pietro STICOTTI ed Elio PREDONZANI.” Ma ecco la
tirata d’orecchi: “Nello stesso tempo prego codesto Ufficio Stampa e Propaganda di voler attenersi scrupolosamente al proclama n. 2 del Generale
AIREY riguardante la stampa e che ripete le disposizioni già emanate in
merito dal Generale ALEXANDER178 col proclama n. 3 nel quale è disposto che: per ogni pubblicazione di giornali, riviste, libri, ecc. deve essere
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 5/III “L’azione politica e
culturale”, fascicolo c “La pubblica istruzione”, lettera 2, prot. n. 408/G, dd. 03/08/1946,
di oggetto “Promemoria Ministero P.I.”.
174
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946, prot. n. 662/A, dd. 16/09/1946.
175
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 3860/P.5, dd. 07/09/1948,
di oggetto “Situazione optanti giuliani” e a firma del Presidente della LN Mons. dott.
Edoardo Marzari e del VicePresidente ing. Ennio Nunzi.
176
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 4253/P-5, dd. 22/10/1948
(ricezione), di oggetto non specificato e senza firma.
177
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/III, lettera prot. n. 645/1, dd. 05/05/1948,
diretta all’Ufficio Stampa (Press Office) dell’Headquarters Allied Military Government,
British-United States Zone, Free Territory of Trieste.
178
Comandante Supremo per il Mediterraneo, nota mia.
173
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
101
richiesto, prima della stampatura, il nulla osta di questo Ufficio Stampa del
G.M.A.”179.
La Lega Nazionale si conforma all’ordine (e al relativo richiamo) da parte del GMA (né potrebbe fare altrimenti) e gli richiede il nulla osta per la
pubblicazione di un numero unico intitolato “La Lega Nazionale”, cui si
spiega riguarda il “carattere culturale ed informativo della vita della nostra
Associazione”180. Il Press Office del GMA risponde che “non ha nulla in
contrario circa la pubblicazione” del volume in parola, tuttavia specifica
che “Desideriamo soltanto che ci inviate in visione per il 20 c.m. le bozze
della pubblicazione in questione”181.
Il 31 agosto il VicePresidente della Lega Mario d’Osmo chiede all’Ufficio
Stampa del GMA che “le venga riconfermata regolare autorizzazione per la
pubblicazione del giornale settimanale della Lega Nazionale, recante sulla
testata invece di “Lega Nazionale” la dicitura “Il Quadrante giuliano”182.
Evidentemente però il GMA, e nello specifico il suo ufficio stampa,
registra qualche scorrettezza formale e procedurale in merito alle disposizioni vigenti da parte delle redazioni di “molti giornali e pubblicazioni
periodiche” che “non si sono ancora resi conto dello spirito dell’Ordine N.
270 (GAZZETTA UFFICIALE – Volume I° [sic!] N. 30 – 11 luglio 1948
del Governo Militare Alleato Zona Anglo-Americana del T.L.T.), che reca
le disposizioni sulla stampa”. Pertanto, “Per venire incontro a tutte quelle
pubblicazioni che alla data dell’11 Novembre c.a. non hanno ottemperato a
questo ordine, l’Ufficio Stampa del G.M.A. ha deciso di prorogare il termine della registrazione al 31 Dicembre 1948”. L’intimazione colpisce anche
la Lega Nazionale183.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/III, lettera prot. n. 645/1, dd. 11/05/1948
(ricezione), di oggetto “Risposta alla lettera in data 5 corrente” e a firma del Maggiore P.
Sasson (Major P. Sasson M.B.E.), Chief Press Officer B.U.S.Z., F.T.T., A.M.G.
180
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 2430/P-6, dd. 15/05/1948,
di oggetto non specificato, e a firma del Segretario della LN Tullio Faraguna.
181
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 2430/P-6, dd. 21/05/1948
(ricezione), di oggetto non specificato e a firma del Capo Ufficio Stampa del GMA
Maggiore P. Sasson.
182
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 3769/P-6, dd. 31/08/1948,
di oggetto non specificato, e a firma del VicePresidente Mario d’Osmo.
183
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/I, lettera prot. n. 4734/P-6, dd. 14/12/1948,
di oggetto non specificato e a firma del Capo Ufficio Stampa del GMA Maggiore P.
Sasson.
179
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
102
Interessante l’attività di contropotere che la Lega Nazionale svolge, vale
a dire l’assistenza al collocamento del lavoro. Dopo quattro mesi di attività l’Associazione colloca al lavoro 134 operai, per lo più capifamiglia, 50
apprendisti sono collocati ai Cantieri navali e sei donne ottengono la residenza in località che dovrebbero appartenere al Territorio Libero. È però
anche vero che l’iscrizione è vincolante, visto che i documenti accampano
una dichiarazione di questo tenore: “La maggior parte delle ditte a Trieste, è d’accordo di chiedere a codesta sezione l’invio di personale iscritto o
presso la Lega Nazionale o presso la Camera del Lavoro o presso il patronato della DC”184. Frequenti le raccomandazioni dirette ai Cantieri Riuniti
dell’Adriatico185.
Rispetto all’attività di collocamento, non mancano né lettere di richiesta
di permesso straordinario, per esempio quella diretta al capo sezione (ed
ex capo ufficio sezione operaia) Stefano Marangoni186, né lettere di raccomandazioni implicite187, né, ancora, quelle più esplicite188. Le risposte ai
raccomandati dalla Lega sono inviate per conoscenza in copia all’Associazione189.
La Lega giunge anche a prendere le difese di dipendenti licenziati. È
il caso del lavoratore congedato dal CRDA. L’Associazione si appella alla
Commissione di Epurazione presso il Tribunale Civile e Penale, riferendosi
all’ordine del GMA n. 265 pubblicato sulla G.U. dell’1 giugno 1948 n. 26,
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1946/I, Busta 6, doc. 5, minuta “Sezione
Operaia”, s.d. Busta 6, doc. 6, minuta “Sezione Assistenza”, s.d.
185
Per esempio: Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/III, lettera dd. 31/08/1948,
diretta al Sig. Moretti dell’Ufficio Personale dei C.R.D.A.
186
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettere prot. n. 490/S.O. e 491/S.O.,
dd. 29/09/1948, rispettivamente indirizzate alla “Direzione Fabbrica Birra Dreher” e al
“Rag. Mario Moretti, Capo Ufficio Personale del C.R.D.A.”, entrambe a firma del Capo
Ufficio Sezione Operaia della LN Alfredo Caburazza.
187
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 358/S.O., dd.
31/05/1948, indirizzata al Capoufficio Economato del Comune di Trieste, a firma del
Capo Ufficio Sezione Operaia della LN Stefano Marangoni.
188
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 475/S.O., dd. 16/09/1948,
indirizzata all’industria “Alabarda”, con oggetto “Lettera di raccomandazione”, a firma
del Capo Ufficio Sezione Operaia della LN Alfredo Caburazza.
189
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera prot. n. 22/17-48, dd.
30/10/1948, da parte della Provincia di Trieste, recante la nota: “Per conoscenza, in
risposta alla nota del 12.10.1948 allegata alla domanda di lavoro presentata dalla signora
Marega. Il Presidente Avv. Tanasco”.
184
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
103
così che la posizione dell’attore “venga esaminata nel senso di poter ottenere nuovamente il suo posto di lavoro”190.
Sulle elezioni locali del ’49. Il numero unico preelettorale
La Lega Nazionale autorizza la pubblicazione di un numero unico intitolato Triestini, alle urne!, “destinato a tutti gli iscritti nelle liste elettorali di
Trieste sparsi per la Penisola”. Nella missiva di autorizzazione si specifica
anche che “Il numero unico deve essere distribuito esclusivamente fuori
Trieste e non intralciare in alcun modo l’attività elettorale che la Lega si
propone qui di svolgere”191.
La società editrice “La Velocissima” (via Ciamician, 7, Trieste) segnala
alla Lega che “debitamente autorizzati dal GMA, in collaborazione con i
partiti italiani di Trieste, stiamo curando la compilazione e la pubblicazione
di un numero unico dedicato alle nostre ultime elezioni amministrative,
che ancora una volta hanno affermato l’italianità di questa città e di queste
terre” confidando che “la Lega Nazionale ci vorrà incoraggiare con la sua
approvazione, così come ci auguriamo che al termine della nostra fatica si
raccolga di frutti quanto basta perché la Lega possa essere ricordata”192.
L’attività goriziana
La Lega Nazionale di Gorizia prende parte alla competizione elettorale
triestina svolgendo “una intensa propaganda a favore delle liste nazionali”193.
Esiste un programma specifico ed espresso che rivela i metodi e i meriti
attraverso i quali la Lega Nazionale intendere incidere sulle elezioni amministrative194. Il documento, titolato “Programma e fabbisogno della Lega
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1948/VI, lettera dd. 12/07/1948.
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/VII, lettera prot. n. 898 dd. 10 maggio
1949, a firma del Presidente Reggente Prof. Avv. Marino de Szombathely.
192
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/V, lettera prot. n. 1875 dd. 12 settembre
1949 (ricezione), a firma della Direzione della società editrice “La Velocissima” comm.
Carmelo Caria.
193
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/VI, lettera prot. n. 73/A dd. 9 aprile 1949,
a firma della Segreteria della Lega Nazionale di Gorizia.
194
Archivio della LN, Trieste, cartolare 1949/VI, lettera prot. n. 566/P-1 dd. 1 aprile
190
191
104
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
Nazionale per le attività da svolgere a favore delle elezioni amministrative”,
spiega che la propaganda potrà svolgersi attraverso “riunioni sportive, […]
musicali e culturali”; “spettacoli cinematografici […] documentari e […]
un’intensa propaganda con la radio”; in tutti i luoghi e “locali pubblici popolari”; attraverso la distribuzione di bandiere nazionali; soprattutto, al primo
punto, “per mezzo di cartoline di soggetto patriottico, satirico, umoristico,
di volantini, di manifesti, di segni e grafici, di numeri unici settimanali (4
o 5)”195. I pericoli che la Lega Nazionale vuole combattere a colpi di propaganda sono: “quello dell’astensione da parte di cittadini non iscritti a partiti
e riluttanti a dare il loro voto a liste di partito; quello dell’indipendentismo
che fa leva su tenaci sopravvivenze di spirito campanilistico, su nostalgici
ricordi della prosperità di un tempo, sulla delusa scontentezza d’un recente
passato e sull’apprensione di perdere impieghi e guadagni legati, in apparenza, al permanere del Territorio Libero; quello dell’espansione slava, congiunta pur sempre nell’animo di molti, a rivendicazioni sociali, all’astio del
povero contro l’agiato borghese; quello infine del comunismo, strettamente
legato alla fede, sincera o simulata, nella Russia rivoluzionaria, destinata a
emancipare il proletariato di tutto il mondo”196.
I documenti inglesi sulle elezioni locali del ‘49
Le elezioni si avvicinano e i partiti si organizzano. Quello dell’Uomo
Qualunque, per esempio, si unisce a quello Liberale per presentarsi insieme
in una lista unica alle elezioni locali, esattamente come fece l’anno prima,
il 18 aprile, con l’esperienza del “Blocco Nazionale”197. Il telegramma del
14 gennaio inviato dal Political Advisor britannico di Trieste al Foreign
Office di Londra riporta infatti: “The ‘Uomo Qualunque’ party now joined
1949, a firma del Presidente Reggente della Lega Nazionale Prof. Avv. Marino de
Szombathely. Una copia si trova anche nel cartolare 1949/V, mentre la sua bozza, chiosata
ed emendata, si trova nel cartolare 1949/III.
195
Ibidem, p. 2.
196
Ibidem, p. 1.
197
Il Fronte dell’Uomo Qualunque, presentatosi insieme al PLI con la lista “Blocco
Nazionale”, ebbe il 3,83% dei voti alla camera (19 seggi), contro il 5,28% che ottenne
presentandosi da solo alla competizione elettorale del 2 giugno 1946 (30 seggi). P.
DEOTTO, L. GARIBALDI, La vera storia dell’Uomo Qualunque, Solfanelli, Chieti,
2013, p. 77.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
105
the Liberal Party in adovocating the presentation of a single Italian list at
the local elections”198.
Lo stesso telegramma, alla voce “Communist activity” pone enfasi
sull’elenco dei principali nemici del movimento democratico che secondo
Vidali sono i titini, la reazione italiana e l’imperialismo americano:
The cominformist communist party has warned its followers against
a communist party Electoral Committee organised by Babic and has
declared again in unequivocal terms that there will be no electoral
unity with the ‘Tito cliqué’. Indeed, at a recent all-party meeting
Vidali classed the Tito communists along with Italian reaction
and American imperialism as the three principal enemies of the
‘democratic movement’199.
Anche il telegramma successivo dell’11 febbraio considera la situazione
triestina in vista alle imminenti elezioni. Alla sezione “Elections” si legge
infatti di una deflagrante divisione in casa riformista, sulla quale come vedremo tornerà il telegramma successivo, del 17 febbraio. Il PRI intende infatti staccarsi dal fronte comune con il PSLI di Saragat per correre da solo:
“The Republican Party, through the Voce Libera, which it controls jointly
with the Saragat Socialists, is trying to take the lead in the campaign for a
single Italian list”200.
Sempre sotto la voce “Elections” è spiegata una situazione che sfiora il
grottesco: i comunisti filotitini propongono un’unità elettorale ai cominformisti, che però si indegnano:
The pro-Tito communist party and its satellite organisations have
issued an appeal for the electoral unity of all the ‘democratic parties’,
based on the programme of the cominformist communists, which the
‘schismatics’ have accepted in its entirely. The cominformists have
National Archives London, FO 371-78627, R 679/1013/90, Savingram n. 3, 14
gennaio 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 8th to 14th January, 1949”, p. 2.
199
Ivi.
200
National Archives London, FO 371-78627, R 1870/1013/90, Savingram n. 7, 11
febbraio 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 5th to 11th February, 1949”, p. 1.
198
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
106
indignantly rejected this appeal and have issued a new condemnation
of the ‘local hirelings of the Belgrade reactionaries’. These rather
desperate appeals probably conceal the weakness of the pro-Tito
communists in this zone, where Radich’s revival of the Sindacati
Unici has succeded in attracting a large proportion of Slovene labour
into the cominformist fold201.
L’anno inizia all’insegna del disgelo tra gli amministratori anglo-americani e i circoli filo-italiani triestini. Come spiega il dispaccio del 18 febbraio
compilato da Sullivan, consulente politico inglese a Trieste e diretto al Segretario di Stato del Foreign Office:
Italian circles in Trieste are particularly satisfied with the vigorous
stand taken by the United States and United Kingdom delegates at
the Security Council in connexion with the Soviet move to appoint
a Governor, and their open admission of the inapplicability of that
section of the Peace Treaty which created the Free Territory”.
A ciò aggiunge qualche informazione circa l’attività di pressione politica
filo-italiana svolta dal CLN dell’Istria che contatta il Consiglio di Sicurezza
precedentemente alla discussione della questione triestina, durante la quale
gli alleati hanno rigettato la proposta avanzata dall’Unione Sovietica di nominare un loro governatore in riferimento alla Venezia Giulia:
Prior the session on Trieste, the Committee of Liberation of Istria
sent a message to the Security Council in which it petitioned the
Council to send a commission to examine conditions in the Yugoslav
Zone. It also asked that, while waiting for the evenutal return of the
whole territori to Italy, the two zones should be brought more closely
together202.
Nella sessione legata all’evento delle elezioni intitolata appunto “Elections”, si parla di strategie politiche ed elettorali di alcune strutture partitiche
National Archives London, FO 371-78627, R 1870/1013/90, Savingram n. 7, 11
febbraio 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 5th to 11th February, 1949”, p. 2.
202
National Archives London, FO 371-78627, R 2111/1013/90, Savingram n. 8, 13
febbraio 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 12th to 18th February, 1949”, p. 1.
201
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
107
e associazionistiche. Segnatamente, nell’ordine, di: scaramucce interne al
gruppo dirigente politico della Voce Libera, vale a dire la componente repubblicana e quella socialdemocratica saragattiana già trattate nei messaggi
precedenti; della conferenza stampa della Lega Nazionale in vista alle elezioni; dell’atteggiamento del comunista Vidali sempre nell’ottica elettorale.
Rispetto alla questione della Voce Libera, ecco le informazioni che Sullivan riferisce al Foreign Office:
There are still no signs of agreement between the italian parties
on the method of conducting the forthcoming elections. A polemic
has now broken out in the columns of the Voce Libera between the
Republicans and the Saragat Socialists concerning the merits of
a single of multi-party lists, the single list being supported by the
former. The controversy is rendered all the more ridiculous by the
fact that the Voce Libera is the joint organ of these two parties.
Sulle posizioni della Lega Nazionale che intende fungere da catalizzatore di una lista nazionale, ecco lo stralcio: “The commissioner of the Lega
Nazionale recently gave a press conference in which he appealed to all
Italians to sink their differences and to go to the polls with a single list under the leadership of the League. He has been severely taken to task by the
Christian Democrats for talking out of turn”.
Infine, rispetto alla campagna elettorale di Vidali e dei comunisti cominformisti, il dispaccio osserva che:
Vidali, the able leader of the cominformist communist party, opened
the communist electoral campaign at a party meeting on the 11th
February. The party has adopted the slogan ‘the commune to the
people and the people to the commune’. Vidali did his best to present the communists as labouring under savage discrimination from
A.M.G. and the police, and promised to denounce to the whole world
the crimes of the imperialist colonial military government.
Degno di nota il riferimento retorico di un Vidali che vede il Governo
Militare Alleato come un organo crudelmente discriminatorio nei confronti
dei comunisti cominformisti203.
National Archives London, FO 371-78627, R 2111/1013/90, Savingram n. 8, 13
febbraio 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 12th to 18th February, 1949”, p. 2.
203
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
108
La sezione “Italian activities” fornisce invece alcune indicazioni riguardanti i liberali e i monarchici. Spiega che l’ufficio centrale del Partito Liberale Italiano da Roma scioglie la deludente sezione di Trieste, per sostituirla
con una commissione atta a indicare un nuovo comitato esecutivo composto da nomi triestini conosciuti e rispettabili. E aggiunge che il Partito Monarchico Italiano è stentatamente sostenuto dall’elettorato, sebbene il suo
segretario pensa che potrebbe guadagnare 2 o 300.000 voti se le elezioni
fossero contestate204.
Il telegramma del 1° aprile svela l’orientamento del Governo Militare
Alleato rispetto ai crimini commessi durante l’occupazione delle armate titine nei tristemente famosi “quaranta giorni”. La linea sembra essere quella
della non ingerenza:
The police have been receiving numbers of denunciations against
former partisans numbers of denunciations against former partisans
allegedly implicated in the disappearance or death of Italians during
the troubled days of the Yugoslav occupation of Trieste and the
area which later became Zone A of Venezia Giulia. In some cases
these denunciations have led to arrests and trials before the local
courts. Sentences of nine years’ imprisonment on two Slovenes who
confessed to murdering in barbarous circumstances, in early May,
1945, an agent of the notorious Collotti band, a gang of neofascist
sadists who ran their own torture racket in Trieste during the Salò
republic, has aroused indignation even outside communist circles.
The communists accuse A.M.G. of ordering these arrests as part
of the anti-communist electoral campaign. In fact, A.M.G. is not
concerned in the arrests and trials and cannot interferes with the
application of the law, however unfortunate these trials may be
politically205.
National Archives London, FO 371-78627, R 2111/1013/90, Savingram n. 8, 18
febbraio 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 12th to 18th February, 1949”, pp. 2-3.
205
National Archives London, FO 371-78627, R 3763/1013/90, Savingram n.15, 1° aprile
1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal Secretary of
State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation report covering
period 26th March to 1st April, 1949”, pp. 2-3.
204
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
109
Rispetto alle attività italiane, nell’apposita sezione titolata “Italian activities” si leggono considerazioni sul CLN istriano, che anela il ritorno
all’Italia sia della zona A che della B, e su un gruppo che si firma “Gruppo d’azione fascista repubblicano”, che dissemina volantini in occasione
del trentennale della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento del 23
marzo 1919. Rispetto alla questione ciennellina:
The Istrian Committee of national Liberation sent Count Sforza a
telegram before he left Rome for Paris and Washington urging him to
solicit a renewal of the 20th March declaration, favouring the return of
both zones of the Free Territory to Italy, and also to request the great
powers to take immediate measures to alleviate the conditions of the
population of the Yugoslav zone, until such time as this is re-joined
to Italy”. In merito alla presunta organizzazione di squadre d’azione
neofasciste, invece, “On the night of the 23rd March, the thirtieth
anniversary of the foundation of the fascist action squads, pamphlets
were thrown from a car in the centre of Trieste reading ‘Italy will
rise again! Blackshirts, to your feet! Courage, Italians!’. The leaflets
were signed ‘Republican Fascist Action Group’. Investigations are
being made206.
Il telegramma del 22 aprile esprime perplessità e preoccupazione rispetto alla linea editoriale adottata dal quotidiano indipendente Giornale di
Trieste e allo spazio dedicato al filo-italiano professor Diego de Castro:
In a leading article in the Italian independent daily Giornale di
Trieste of the 17th April, Professor Diego de Castro, a well-known
professor of economics and member of the Istrian Committee of
National Liberation, appeals to the allies to remember Zone B of the
Free Territory in any negotiations, secret or otherwise, which might
eventually be undertaken with Tito […]. Professor de Castro takes it
for granted that the British / United States Zone will return to Italy,
war or not war; Zone B on the other hand, can be returned to Italy
only as a quid pro quo resulting from an appeal by Tito to the allies
for assistance in dealing with his own internal situation; any other
method would only lead to an immediate conflict207.
Ibidem, p. 3.
National Archives London, FO 371-78627, R 4430/1013/90, Savingram n. 18, 22
aprile 1949, da “W.J. Sullivan, British Political Advisor, Trieste” a “H.M. Principal
206
207
110
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
Subito dopo Sullivan spiega che due deputati, un socialista e un democratico cristiano, sollevano una questione che preoccupa gli alleati. I due
rappresentanti alla Camera chiedono infatti come potrà essere ricollocato il
personale del GMA quando la Zona A tornerà in Italia:
The Trieste papers give some prominence to the news received from
Rome that a Socialist and a Demo-Christian deputy have tabled a
question in the Italian Chamber of Deputies on the subject of what
will the Italian Government do to find employment for the local
civilian employees of Allied Military Government, the civilians
employed by the Anglo / American forces in Trieste and the Civil
Police (who far exceed the number who would normally be employed
in an area of this size) when the Free Territory returns to Italy. It is
expected that Signor De Gasperi will himself reply to this question,
the electoral tinge of which must be obvious to all parties208.
Nella sezione “Elections” di questo telegramma è interessante leggere
della strategia politica dei liberali, che includono nella loro lista candidati indipendenti, noti simpatizzanti monarchici che non aderiscono però al
Partito Monarchico:
Their list is also to include independent candidates with necessary
administrative qualifications, but it will also include the names of
well-known local monarchist sympathisers who are not, however,
members of the political Monarchist Party but who reflect certain
anti-clerical traditions in Trieste. The Liberals hope in this way to
attract the votes of a large section of the electorate whose monarchist
sympathies would otherwise lead them to abstain from voting rather
than give their support to the Vatican controlled Christian Democrats.
A suscitare qualche timore è invece il Blocco Italiano, che intercetta
parecchi voti di ex fascisti e nazionalisti estremisti:
The so-called ‘Italian bloc’, which includes the ‘Qualunquisti’, the
Italian Monarchist Party and the various Italian splinter groups, will
present a single list. Leader of this bloc is the Colonel Slataper […]
Secretary of State for Foreign Affaire, Foreign Office, London”, Soggetto: “Situation
report covering period 16th to 22nd April, 1949”, p. 3.
208
Ivi.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
111
whose presence will no doubt attract the votes of ex-fascists and
extreme nationalists and reactionaries209.
Poi viene il turno della “Giunta d’Intesa”, che ha ricevuto dal Governo
italiano un nutrito finanziamento elettorale:
The ‘Giunta d’Intesa’ have begun distributing the election grant
received from the Italian Government and as was to be expected
the lion’s share has gone to the Christian Democrats. More than two
million lire have been given to the party and an additional threequarters of a million have been given to the party newspaper La
Prora210.
Infine: i comunisti. Il telegramma parla soprattutto della composizione
nazionale della lista cominformista: “The pro-Cominform Communist Party followed up the publication of its final electoral programme […] with its
list of candidates, twenty-one of whom are Slavs and thirty-nine Italians”.
I principali titoli di giornale
Intanto, questi i titoli degli articoli dei giornali giuliani che compaiono nel periodo pre e post elettorale: “Tito conferma il suo anti-marxismo.
Gli sloveni della regione Giulia e di Trieste non sono ancora liberati causa
l’opposizione dei gruppi imperialisti”211, “Scambio di villaggi invece del
rispetto del trattato di pace?”212, “I ras di Capodistria contro gli operai”213,
“La cricca di Tito tradisce la rivoluzione socialista”214 215, “Auspicabile la
cordialità con Belgrado”216, “Il dramma degli istriani entrato in una nuova
fase”217, “Nuova infiltrazione slava a Trieste”218, “De Gasperi vende l’Italia
Ibidem, p. 3.
Ivi.
211
Il Lavoratore, 13/11/1948, p. 1, colonna 6.
212
Il Lavoratore, 13/11/1948, p. 1, colonna 8.
213
Il Lavoratore, 13/11/1948, p. 2, colonna 3.
214
Il Lavoratore, 13/11/1948, p. 3, colonne 5-7.
215
Ultimissime, 13/11/1948, p. 1, colonna 5.
216
Il Popolo, 13/11/1948, p. 2, colonna 7.
217
Il Giornale di Trieste, 13/11/1948, p. 2, colonna 2.
218
Il Messaggero Veneto, 13/11/1948, p. 2, colonne 2-3.
209
210
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
112
in cambio di armi per la guerra”219, “La rabbia dei disperati” (polemica con
i titini, N.d.A.)220, “La cricca di Tito nel campo imperialista”221, “Tito è furibondo contro i cominformisti”222, “Non vogliono sapere di Tito i provati
carinziani”223, “Storia e Verità. Austriacantismo e…slavismo socialista”224,
“Fissata la data per le elezioni amministrative a Trieste. Domenica 12 giugno si vota”225, “Le elezioni amministrative a Trieste. La costituzione del
‘Blocco Italiano’”226, “La posizione del PRI nelle prossime elezioni. Si presenterà con lista propria”227, “Ancora soprusi in zona B. Ritirati i documenti
ai nati nei territori ceduti”228, “Si celebri ufficialmente il 25 aprile. Richiesta di celebrare ufficialmente come in Italia l’anniversario dell’insurrezione
partigiana”229, “Solidarietà degli USA con il PC del TLT. L’Unità del popolo sulle elezioni a Trieste”230.
L’egemonia culturale come scontro
Non c’è possibilità di riappacificazione tra i sodalizi filo-italiani capitanati almeno implicitamente dalla Lega Nazionale e le forze occupanti
incarnate nel Governo Militare Alleato.
Le attività più squisitamente propagandistiche dell’Associazione, massimamente funzionali alla causa italiana, sono stroncate. Come il tentativo
di diffusione di francobolli chiudi-lettera e fiammiferi personalizzati tra
l’aprile e il giugno 1946. La Lega vede ciò come un affronto al senso di
appartenenza nazionale italiano, al quale di aggiungono i primi dissidi sul
Il Lavoratore, 09/04/1949, p. 1, colonne 2-4.
Il Lavoratore, 09/04/1949, p. 1, colonna 9.
221
Il Lavoratore, 09/04/1949, p. 4, colonne 1-4.
222
La Voce Libera, 09/04/1949, p. 1, colonne 6-8.
223
La Voce Libera, 09/04/1949, p. 4, colonne 1-3.
224
La Voce Libera, 09/04/1949, p. 2, colonne 6-8.
225
Il Giornale di Trieste, 20/04/1949, p. 2, colonne 3-5.
226
Il Messaggero Veneto, 20/04/1949, p. 2, colonne 1-2.
227
Il Messaggero Veneto, 20/04/1949, p. 2, colonna 1.
228
Il Messaggero Veneto, 20/04/1949, p. 2, colonne 4-6. “Secondo una relazione del
GMA 80mila profughi transitati per Trieste”, in La Voce Libera, 20/04/1949, p. 2, colonne
2-3.
229
La Voce Libera, 20/04/1949, p. 2, colonna 7.
230
Il Lavoratore, 20/04/1949, p. 1, colonna 8. Articolo con particolare risalto al discorso
di Vidali, N.d.A.
219
220
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
113
piano della cultura e dell’istruzione. Il GMA infatti riapre le scuole slovene
e riconosce la Facoltà di lettere e filosofia quale bastione d’italianità ma
chiede di istituirvi corsi di lingue e culture slave. Il Rettore Angelo Ermanno Cammarata, componente della Lega, non ci sta. Sostenuto dagli studenti
e dagli insegnanti, risponde di no e manda a monte il progetto.
Ma la Lega Nazionale reagisce principalmente tentando di riaprire le
scuole italiane soprattutto nella zona B, dove la tutela nazionale è più urgente. Lo fa attraverso pressioni al Ministero della Pubblica Istruzione e
anche distribuendo gratuitamente libri, quaderni, materiale didattico vario
e anche vestiario ai più bisognosi. Così anche nella zona A, anche per supplire la carenza dell’iniziativa assistenziale del GMA, limitata agli iscritti
alla prima elementare.
Monumento ai caduti del novembre ’53 che si trova nel cimitero di S. Anna a Trieste.
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
114
Gli anglo-americani non stanno a guardare e provvedono a sequestrare
giornali, arrestare, processare e condannare, oltre che far intervenire la polizia civile che non esita a fare fuoco sui manifestanti.
D’altra parte gli archivi della Lega Nazionale e del Foreign Office dimostrano che attorno alla Lega Nazionale si crea un vertice collegiale filoitaliano che resiste al nuovo corso anglo-americano, fino a radicalizzarsi.
Nel ’52 la Lega Nazionale si sposta infatti a destra. Da patriottica diventa aspramente nazionalista. Alle elezioni interne prevale la lista influenzata
dal Movimento Sociale Italiano.
Alla stampa locale più o meno vicino agli alleati la nuova veste dell’Associazione non piace affatto. Il Presidente di zona Gino Palutan si irrita per
l’accaduto e nomina un Commissario prefettizio, l’avvocato Oreste Pierotti
all’Università Popolare, mentre nel 1952 azzera i vertici della Lega Nazionale e nomina a condottiero dell’Associazione il professor Antonio Palin,
decisamente più vicino ai partiti di governo italiani. La strategia politica
conciliatoria si sostituisce così allo scontro muscolare231.
Al di là di queste vicende poco chiare e a volte equivoche, la questione
del confine orientale è al centro delle preoccupazioni dei cittadini giuliani e
non solo. Difatti, l’impatto della questione di Trieste sull’opinione pubblica
è stato per tutto il periodo dal ’45 al ’54 fortissimo. Come ricorda Emilio
Gentile nel suo lavoro La grande Italia, la mobilitazione nazionale per Trieste è stata, nel dopoguerra, forse il solo caso in Italia di reazione patriottica
preideologica e prepolitica. Mobilitazione che ha il suo perno nella Lega
Nazionale e il suo sostegno nello spirito patrio degli italiani.
A. SECCO, In vedetta operosa. Cento anni di storia della Lega Nazionale. 1891 –
1991, Vol. I, Studio 92, Trieste, 1995, p. 221.
231
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
115
SAŽETAK
NACIONALNA LIGA I SAVEZNIČKA VOJNA UPRAVA: BORBA ZA
KULTURNU HEGEMONIJU U JULIJSKOJ KRAJINI
U ovom se eseju prikazuju načini ponašanja dviju suprotstavljenih skupina, one protalijanske vođene Nacionalnom ligom i one anglo-američke
koju je zastupala Saveznička vojna uprava za vrijeme okupacije 1945.-1954,
a koje su se borile za kulturnu „kontrolu“ u Julijskoj krajini. Protalijanska
strana, koja želi „upravljati još i prije osvajanja vlasti“, sukobljava se sa direct rule-om Vojne uprave. Ova posljednja iskazuje u cijelosti svoju ulogu
kroz Opću naredbu br. 11 od 11. kolovoza 1945., koja joj povjerava potpune
i isključive ovlasti vladanja, kontrole i nadgledanja Zone A. U naredbi, naime, piše: „Saveznička vojna uprava je jedino tijelo vlasti u onim dijelovima Julijske krajine pod nadzorom talijanskih snaga i jedina vlast koja ima
snagu izdavati naredbe, uredbe i imenovanja u javnim i drugim službama.
Drugim riječima, piše se direct rule, a čita se apsolutna vlast.
Na temelju istrage vođene uglavnom u arhivama Nacionalne lige i Foreign Office-a, ovaj doprinos rekonstruira sistem odnosa što je postojao
između Nacionalne lige i drugih protalijanskih organizacija, te kulturološki
sukob s okupacijskim vlastima Savezničke vojne uprave u Julijskoj krajini.
POVZETEK
DRŽAVNA ZVEZA IN ZAVEZNIŠKA VOJAŠKA UPRAVA. BOJ ZA
KULTURNO HEGEMONIJO V JULIJSKI KRAJINI’.
Dokument opisuje vodenje dveh skupin: pro-italijanske pod vodstvom
Državne Zveze in anglo-ameriške, ki jo je upravljala Zavezniška Vojaška
Uprava, v času okupacije ‘45-’54. Potegovale so se za kulturni nadzor Julijske krajine. Pro-italijanski del, ki si želi “vladavino že pred vladno zmago”
ni v skladu z direct rule Zavezniške Vojaške Uprave. Dejstvo izraža vso
svojo uradništvo preko Generalnega reda št. 11 z dne 11. avgusta 1945, ki
daje popolno moč organu za upravljanje in nadzor na območju cone A.
Beremo: “Zavezniška vojaška uprava je edina vlada v tistih delih Julijske
krajine, ki jih zasedajo italijanske sile in je edini organ, ki ima pooblastilo
116
Ivan Buttignon, Lega Nazionale e Governo Militare Alleato, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 63-116
za izdajo nalogov in odločb ter lahko opravi imenovanje v javnih ali drugih
uradih.”. Piše se diret rule, bere se absolutna oblast.
Iz raziskave, opravljene predvsem v arhivih Državne Zveze in ministrstva za zunanje zadeve, članek obnavlja sistem odnosov med Državno Zvezo in drugimi pro-italijanskimi organizacijami na eni strani in kulturnim
spopadom med njimi in močjo okupacije Julijske krajine iz strani Zavezniške Vojaške Uprave.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
117
NUOVI PIANI REGOLATORI DI «CITTÀ ITALIANE»
DELL’ADRIATICO ORIENTALE (1922-1943)
Parte prima
Zara: il Piano Regolatore Generale del 1938 per «Zara, capoluogo provinciale»,
di Paolo Rossi de’Paoli, Vincenzo Civico e Giuseppe Borrelli de Andreis. La revisione
del 1942 per la «grande Zara», con un nuovo Piano paradigmatico ispirato «dagli
studi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica» e «dai lavori preparatori della nuova
Legge Urbanistica generale» (Legge n. 1150 del 17 agosto 1942)
FERRUCCIO CANALI
Università di Firenze
CDU 711(497.5Zara)”1922/1943”
Saggio scientifico originale
Febbraio 2013
Riassunto: Le condizioni del tutto particolari di Zara, tra il 1920 e il 1943, portano alla
redazione di ben due Piani Regolatori Generali, uno del 1938 e l’altro del 1942, nati sulla
base di esigenze nel giro di pochi anni profondamente trasformatesi (il passaggio della
città da Capoluogo della più «piccola Provincia d’Italia» a Capitale regionale di tutta
la Dalmazia dopo il 1941). Entrambi quei Piani, posti in stretta continuità ideologica
e politica (all’insegna della stessa ’Urbanistica nazionalista’ italiano-centrica), vennero
redatti sulla base di una aggiornatissima sensibilità disciplinare, attenta sia ai dettami
dell’Urbanistica funzionalistica internazionale, sia alle soluzioni del «Diradamento» del
centro antico di Gustavo Giovannoni, sia alle istanze del ‘Piano estetico’ di Marcello
Piacentini.
Summary: New Regulatory Plans of “Italian Cities” on the Eastern Adriatic coast (19221943) – The very particular conditions of Zara-Zadar, between 1920 and 1943, led to
the drafting (elaboration) of two General Regulatory Plans, one in 1938 and another
in 1942, created on the basis of demands, deeply metamorphosed in a few years (the
transition from the capital city of the ‘Smallest Italian province” to the regional capital
of Dalmatia after 1941). Both of these plans, placed in close ideological and political
continuity (according to the principle of the same Italian-centric ‘Nationalist urbanism’),
were drawn up on the basis of an updated disciplinary sensitivity, observant of both
the dictates of International functionalist urbanism, the solutions of the “Thinning” of
the ancient centre of Gustavo Giovannoni and the instances of the ‘Aesthetic plan’ by
Marcello Piacentini.
Parole chiave / Keywords: politica culturale, piano regolatore, Zara, Dalmazia / Cultural
policy, Regulatory Plan, Zara-Zadar, Dalmatia
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
118
L’idea di approntare strumenti pianificatori moderni e d’avanguardia non
solo rispetto alle riflessioni italiane, ma anche in relazione ai conseguimenti
della più aggiornata Disciplina europea (in particolare tedesca ed olandese) si affacciava in ogni occasione in cui, tra il 1920 e il 1943 in Italia, le
condizioni, soprattutto politiche di una città si mostravano particolarmente
favorevoli, grazie all’interesse di una Podesteria particolarmente attenta ai
problemi dell’Urbanistica.
La Dalmazia, dopo la Prima Guerra Mondiale aveva vissuto una vicenda di annessioni e Irredentismo (italiano e croato) del tutto singolari,
facendo di Zara e del suo territorio un unicum al quale anche la Scienza urbanistica italiana veniva chiamata, dal podestà Giovanni Salghetti Drioli, a
dedicare attenzioni del tutto particolari, proprio in virtù delle condizioni (e
delle aspettative politico-amministrative) che erano venute a configurarsi1.
Con il Trattato di Londra del 1915 buona parte delle terre dalmate, oltre che l’Istria, erano state promesse all’Italia in caso di vittoria, ma non
Fiume, che sarebbe dovuta rimanere l’unico porto del superstite Impero
Il presente saggio si articola nei paragrafi: 1. Zara, «la Santa»: previsioni parziali
di risanamento e ampliamento, restauro dei monumenti prima del Piano Regolatore
Generale del 1938 attraverso le attenzioni di Vincenzo Civico; 2. 1938: il Piano
Regolatore Generale, per la piccola Zara provinciale, di Paolo Rossi de' Paoli con la
collaborazione di Vincenzo Civico e la redazione legislativa di Giuseppe Borrelli de
Andreis, «Tecnici della Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati»
a Roma. Il Piano del Turismo e della Valorizzazione storico-artistica di marca
giovannoniana; 2.1. Gli studi preliminari per la redazione del Piano. Aspetti demografici
e igienico-sanitari, caratteristiche economiche e nuovo ruolo di Zara italiana negli
equilibri territoriali dalmati; 2.2. Ancora un nuovo ruolo per Zara nel Piano ‘estetico’:
Storia, Cultura e Turismo. Importanza del «risanamento edilizio» urbano: «la messa
in valore di edifici e complessi monumentali, testimoni della secolare civiltà italiana
sull’altra sponda dell’Adriatico, è uno degli aspetti più importanti, più attuali del
Piano Regolatore di Zara»; 2.3. Le aspettative della Modernità all’interno dell’antico
nucleo storico e nell’«ampliamento edilizio» per il miglioramento della qualità urbana
(i nuovi sobborghi di Zara storica); 2.4. Aspetti territoriali e previsioni per la «regione
circostante»: un territorio ‘ridotto’ che faceva coincidere “Piano Regolatore Generale”
comunale e “Piano Regionale”; 2.5. Le reazioni scientificamente positive ad un Piano
‘dai chiari intenti’, ma anche metodologicamente ‘paradigmatico’; 3. 1942: il nuovo
Piano Regolatore Generale di Zara luce della recentissima annessione della «Dalmazia
italiana». Un Piano ‘terrioriale’ per la «grande Zara», «innovativo» e che va «additato»
come modello in quanto redatto sulla base dei «lavori preparatori della nuova Legge
Urbanistica Generale» (n.1150 del 1942) e «degli studi dell’Istituto Nazionale di
Urbanistica per la nuova Legge».
1
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
119
austro-ungarico. Con il completo sfaldarsi dell’Impero, però, tutti i Patti
dovettero venir rivisti: le truppe italiane già nel 1918 avevano preso possesso della Venezia Giulia, dell’Istria con Pola e di Zara, ma dovettero subito
ritirarsi da Fiume e dal resto della Dalmazia. Naturalmente il Governo e
la Cultura italiana parlarono di «Vittoria mutilata», concentrando i propri
sforzi su Fiume (il cui contenzioso venne chiuso solo nel 1924: per questo
e per le amarezze subite a seguito dell’impresa di D’Annunzio si parlò di
«Città olocausta»), mentre nei confronti delle altre città dalmate (Spalato,
Sebenico, Traù e Cattaro se non anche Ragusa) Zara, l’unica rimasta all’Italia dopo il 1920 – la «città santa» rifugio e speranza di tutti i Dalmati
italiani, come con bella cifra letteraria la definiva Ettore Cozzani2 – assumeva il valore di presidio e di ‘testa di ponte’ per ventilati, ulteriori sviluppi
politici.
In tutto ciò la programmazione urbanistica e la redazione di un nuovo
Piano Regolatore – quale previsioni e programmazione nel futuro della vita
urbana, dei suoi spazi e anche delle sue dinamiche insediative e demografiche oltre che economiche – costituivano un passaggio imprescindibile
per lo sviluppo della nuova «Zara italiana» «faro d’Italianità nell’Adriatico orientale»; e, in particolare, il «risanamento del nucleo antico», che era
quello dove si concentrava la gran parte della popolazione venetofona («gli
Italiani») e che corrispondeva al fulcro della Romanità e della ‘Venezianità’
urbana, assumeva un evidente motivo identitario e politico di carattere nazionalista. Un’idea che si sarebbe ulteriormente circostanziata – assumendo
un nuovo portato amministrativo, gestionale e anche urbanistico – dopo il
1941, con la conquista militare della Dalmazia da parte italiana, così che
Zara riacquisiva, seppur per poco tempo, quel ruolo di Capoluogo di una
vasta Regione, che le era stato negato nel 1920 (quando era stata ridotta a
Capoluogo della più piccola Provincia d’Italia).
Si trattava comunque di un trend condiviso dalle principali città italiane
dell’Adriatico orientale, oltre a Trieste: Pola, Fiume e Zara – tutte entrate a
far parte del Regno d’Italia dopo il 1920 – vennero dotate di nuovi Piani Regolatori, più o meno Generali ma comunque improntati all’adozione delle
E. Cozzani, “Zara, la Santa in Dalmazia”, Le Vie d’Italia (Milano), 6, giugno,
1941, pp. 661-670 (numero uscito in occasione della conquista italiana della Dalmazia).
E prima anche: A.A. Bernardy, Istria e Dalmazia, Bergamo, 1915, volume che venne
poi riedito come Idem, Istria e Quarnaro, Bergamo, 1927, cui seguì l’esplicativo Idem,
Zara e i Monumenti italiani della Dalmazia, Bergamo, 1928.
2
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
120
più aggiornate Teorie urbanistiche allora vigenti in Italia3: dal «Diradamento» di Gustavo Giovannoni per l’antico centro, in modo da risanare, con
demolizioni mirate e limitate rispetto agli sventramenti, l’eccessiva densità
edilizia dei lotti; al ‘Disegno urbano’ di Marcello Piacentini, con la riqualificazione ‘estetica’ di fulcri nodali della città, specie nelle antiche piazze
e nelle aree di ‘cerniera’ tra antichi e nuovi quartieri; allo Zoning dell’Urbanistica funzionalista e allo studio di moderni piani del traffico e collegamento, specie in un’ottica di Piano Regolatore che da cittadino avrebbe
comunque avuto avere caratteri (sub)regionali (per Pola con l’Istria; per
Fiume con il Quarnero; per Zara, pur in rapporto dialettico e mutevole, con
la Dalmazia). Per le prerogative del tutto peculiari della Storia dei luoghi
e per la composizione etnica delle popolazioni («gli Italiani», «gli Allogeni» intesi come «appartenenti ad un gruppo etnico diverso da quello della
maggioranza italiana degli abitanti») quei Piani Regolatori ebbero tutti in
comune il fatto di venir pensati anche per incrementare e favorire quegli
‘aspetti di Italianità’ oggettivamente riscontrabili in ciascuna città (anche
se, ovviamente, si trattava di aspetti non unici e comunque allora filtrati
attraverso una lettura ‘di parte’), dando così vita ad un’esperienza del tutto
singolare, nella ricca stagione della Progettazione urbanistica italiana, con
caratteri spesso autonomi e singolari, propri alle sole aree urbane caratterizzate da una complessa «Italianità contesa».
1. Zara, «la Santa»: previsioni parziali di risanamento e ampliamento,
restauro dei monumenti prima del Piano Regolatore Generale del 1938,
attraverso le attenzioni di Vincenzo Civico
Immediatamente dopo la fine delle ostilità della Grande Guerra, nel
1918, le truppe italiane entravano a Zara4: il Governo italiano assumeva il
Per una descrizione e una valutazione complessiva di quell’attività pianificatoria,
si veda il mio F. CANALI, “Nuovi Piani Regolatori di “città italiane” dell’Adriatico
orientale: Pola, Fiume, Zara e Spalato (1922-1942)”, in Firenze, Primitivismo e Italianità.
Problemi dello “Stile nazionale” tra Italia e Oltremare (1861-1961), da Giuseppe Poggi
e Cesare Spighi alla Mostra di F.L. Wright, a cura di F. Canali e V.C. Galati, Bollettino
della Società di Studi Fiorentini, 21, 2012, pp. 162-204. Il saggio è all’interno della
sezione “Italianità ‘contesa’ e problemi d’Arte nei confini nazionali”.
4
Dopo un “Primo Dominio veneziano» (1004-1183), alternativamente interrotto dal
possesso ungherese, e secoli di guerre, Zara nel 1409 entrava a far parte dei possedimenti
della Serenissima, divenendo Capoluogo della Dalmazia veneziana, per restarvi fino al
3
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
121
controllo della città, anche se fu poi solo con il Trattato di Rapallo del 12
novembre 1920 tra Italia e Jugoslavia, che Zara vennne riconosciuta ufficialmente come parte del Regno d’Italia5. A lungo era durato il ‘ballo’ dei
1797, quando venne annessa all’Austria-Ungheria. Nel 1848, durante i Moti antiaustriaci
italiani, anche Zara si era sollevata, con la popolazione scesa in piazza ad acclamare
l’Italia, la concessione della Costituzione, e ad inneggiare a Carlo Alberto: anche se in città
si fronteggiavano, in verità, il Partito filocroato e il Partito filoitaliano, gli anni successivi
furono comunque caratterizzati da numerosi moti antiasburgici, tanto che nel 1866 le
speranze di un’annessione all’Italia si fecero molto forti; andando nuovamente deluse,
esse portarono alla nascita di un assai attivo Irredentismo zaratino filoitaliano. Nel 1867,
nell’ambito della ‘duplicazione’ dell’Impero asburgico, Zara rimase affidata all’Austria,
ma nonostante i “Censimenti” austriaci mostrassero una decisa diminuzione degli
«Italiani», la parte antica della città rimase sempre fortemente italofona, naturalmente
nella versione parlata del “Veneto delle colonie”. Per ‘diluire’ allora tale identità
linguistica a favore dei Serbi e Croati (che il Governo austriaco considerava comunque
al momento meno ‘pericolosi’ degli Italiani: A. Dudan, La Dalmazia nell’Arte italiana.
Venti secoli di civiltà, Milano, 1921, vol.I: “Dalla Preistoria all’anno 1450”, pp. V-VI) i
“Censimenti” asburgici vennero effettuati includendo sia il centro storico della città, a
maggioranza veneta, sia il contado a maggioranza croata (nella distinzione tipica delle
città dell’Adriatico orientale a partire da Trieste tra borghesia urbana venetofona e abitanti
del contado slavi), tanto che nel 1890 il 67,6% degli abitanti risultavano Serbi e Croati e
il 27,2% Italiani, mentre nel 1910 il 64,6% era costituito di Serbi e Croati, contro il 31,6%
di Italiani su una popolazione complessiva di circa 36500 residenti; all’interno della città
storica, invece, le percentuali si ribaltavano con gli Italiani-venetofoni che oscillavano
tra il 64% e il 66%. A vent’anni dal Trattato di Londra (si dice che in quel periodo «molti
Dalmati italiani provenienti da Spalato, Sebenico, Traù e Ragusa si fossero trasferiti
a Zara italiana mentre molti Serbocroati fossero passati nel neocostituitosi Regno di
Jugoslavia»), la situazione etnico-linguistica risultava notevolmente cambiata, tanto che
nel 1940 la città contava 20.000 Italiani su 24.000 abitanti (oltre l’83%). Ma la situazione
resta complessa e la lettura dei dati non univoca. Sulla difficile questione dei Censimenti
(e sulle modalità di raccolta dei dati, anche per orientare i risultati): G. Perselli, I
censimenti della popolazione dell’Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della
Dalmazia tra il 1850 e il 1936, Rovigno d’Istria-Trieste, 1993; O. Mileta, Popolazioni
dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002), Trieste, 2005; D. Alberi, Dalmazia.
Storia, Arte, Cultura, Trieste, 2010. Le questioni erano in verità più complesse e non solo
di ordine demografico: in riferimento al periodo in questione (e per la situazione nella
quale rientrava anche la condizione demografica ed economica di Zara), si veda l’utile,
S. MISIANI, “Luci ed ombre nella storia della Statistica pubblica. Il Censimento del
1937-1939 e il calcolo del reddito nazionale”, Quaderni storici, 134, 2010, 2, pp. 445-476.
5
Con il Patto di Londra del 1915 poco più di metà della Dalmazia, inclusa Zara era
stata promessa all’Italia in caso di vittoria. Così alla fine della Guerra le truppe italiane
entrarono in alcune città della Dalmazia e a Zara, il 19 novembre 1918, furono accolte da
una folla festante: nel dicembre la città venne raggiunta anche da Gabriele D’Annunzio
122
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
contenziosi legati ai “Censimenti etnico-linguistici”6 sui quali si fondavano, peraltro, le rivendicazioni territoriali dei vari Stati, ma si apriva ora, per
a bordo di una nave da guerra, mentre l’ammiraglio Enrico Millo veniva nominato
“Governatore militare” di tutta la costa dalmata occupata. Il Governo italiano assunse
dunque il controllo della Capitale dalmata, anche se il Trattato di Versailles del 19 gennaio
1920 dichiarava nulli gli accordi di Londra del 1915. La posizione di stallo venne superata
nel 1920 con il Trattato di Rapallo tra Regno d’Italia e Regno di Jugoslavia: i due Comuni
di Zara e Lagosta venivano annessi all’Italia tramite la Legge n°1778 del 19 dicembre
1920; poi, con l’entrata in vigore di quanto stabilito con il Trattato, il 23 gennaio 1921
divenivano ufficiali anche i nuovi confini; la normalizzazione amministrativa del territorio
veniva decretata dal Regio Decreto Legge n°1353 del 17 ottobre 1922, con istituzione di
una ‘ordinaria’ Prefettura in luogo del Commissariato Civile. Infine, con il Regio Decreto
Legge n°53 del 18 gennaio 1923 veniva istituita la nuova provincia dalmata «di Zara»,
ritagliata ad énclave nel Regno jugoslavo, con la città come Capoluogo e il solo, ulteriore
Comune dell’isola di Lagosta (anche se posta a circa 250 km da Zara). Vi erano poi
comprese l’isola di Cazza (a circa 200 km dal Capoluogo), l’isola di Pelagosa, situata tra
la Puglia e la Dalmazia, a cira 250 km, addirittura l’isola di Sasseno, collocata di fronte a
Valona d’Albania a ben circa 525 km dal Capoluogo. Il Comune di Zara comprendeva la
città e il suo immediato entroterra per una superficie di circa 55 kmq con poche frazioni;
il Comune di Lagosta (con Cazza, Pelagosa e Sasseno) aveva una superficie complessiva
di circa 65 kmq. Già tutto questo rendeva la Pianificazione particolarmente complessa.
6
I dati sulla Nazionalità della popolazione, ottenuti attraverso i “Censimenti”, furono
sempre di grande importanza per la redazione delle previsioni urbanistiche e per le
politiche relative all’assetto urbano (al pari della categorie storiche). Ma soprattutto quei
dati rivestirono una decisa centralità per motivi di rivendicazione politica e nazionalistica,
tanto che i parametri di raccolta delle informazioni, oltre che la loro lettura, hanno
costituito per decenni, dalla seconda metà dell’Ottocento, motivo di scontro (molti di
quei “Censimenti”, realizzati da tutti i Governi che si sono succeduti in Istria e Dalmazia
– austriaco, ungherese, italiano, jugoslavo – vengono da numerosi Storici considerati
«manipolati» o comunque indirizzati per ottenere dati ‘giustificazionisti’ rispetto alle
varie politiche nazionali). Ma era sempre su quelle costruzioni ‘ideologiche’ che venivano
anche improntate le politiche urbanistiche… (favorendo, ad esempio, l’immigrazione di
popolazioni diverse, e costruendo per loro interi quartieri o agevolandone l’inurbamento,
a seconda di quale etnia si voleva far numericamente primeggiare). Lo spostamento
‘etnico’ (o celebrato come tale) di popolazione non solo tra le varie città dell’Adriatico
orientale, ma anche ‘semplicemente’ tra Città e Campagna circostante ha costituito,
dunque, almeno dalla metà dell’Ottocento, un tratto caratteristico, e unico, di questa
realtà geografico-politica dalmato-istriana e triestina, rendendo impossibile stabilire, in
relazione ai grandi numeri (e prescindendo dalle risicate élites, che comunque in genere
si autodefinivano «di origine romana»), quali fossero davvero i Cittadini (originari) di un
centro. Una ‘mobilità’, a volte concreta a volte ipotizzata e propagandata come tale, che
nel resto d’Italia ha comunque trovato ben pochi corrispettivi (se non a Roma), prima dei
grandi ‘esodi migratori’ del Secondo Dopoguerra.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
123
l’antica «Capitale della Dalmazia», quel «periodo italiano», che veniva caratterizzato fin da subito da un deciso intento di ‘ricompattamento’ nazionalistico dell’identità urbana italiana. Zara era ritenuta infatti il simbolo della
superstite presenza degli Italiani in Dalmazia, anzi «centro della futura
Redenzione della Dalmazia» stessa, per cui le politiche urbanistiche intraprese dal Comune e dalla Prefettura, valendosi anche di una speciale Legislazione nazionale, vennero improntate ad una decisa sottolineatura di quei
caratteri di «Italianità» – oltre agli aspetti etnico-linguistici-toponomastici
e onomastici – architettonicamente insiti nell’antico centro, il cui aspetto
«veneziano» risultava comunque incontrovertibile (e tale doveva apparire
sempre più7). Del resto, già il dibattito storico sul Medievo zaratino, pur assai vivo negli anni precedenti (nello scontro interpretativo tra Autonomia,
Venezianità, Croaticità e Magiarità di Zara medievale), aveva decisamente
preso la piega di una celebrazione filo-italiana presso gli Intellettuali della
città; e così anche il Restauro dei Monumenti medievali e degli edifici della
Serenissima veniva a rappresentare un aspetto imprescindibile per la nuova Amministrazione zaratina italiana8, dopo gli abbattimenti operati dagli
Austriaci per ingrandire il nucleo e favorire l’inurbamento dal contado nei
nuovi borghi (una politica che aveva già avuto particolare successo a Spalato). La centralità dell’Urbanistica, e delle previsioni di Piano Regolatore
Era Luigi Federzoni, Presidente dell’Accademia d’Italia, a celebrare Zara facendo
notare come «Venezia non partorì mai, nella sua lunga e copiosa maternità, figliola più
somigliante di questa, né più degna, né più devota. Zara è adorabile. Zara dovrebbe essere
in cima ai pensieri di tutti gli Italiani. Per il labirinto delle calli pittoresche formicola
tanta festevole, graziosa e appassionata Venezianità ». Cfr. A. Benvenuti, Storia di
Zara dal 1797 al 1918, Milano, 1953. E poi, per una lettura delle vicende da parte croata:
M. Suić, Zadar u starom vijeku, Zara, 1981; D. Magaš, “Zadar on the Crossroad
of Nationalisms in the 20th Century”, GeoJournal, 48, 1999; A. Bralić, “Zadar u
vrtlogu propasti Habsburške Monarhije (1917. – 1918.)”, Časopis za suvremenu povijest
(Zagabria), 1, 2006.
8
Si vedano i miei F. Canali, “Architettura e città nella Dalmazia italiana (19221943). Zara: la lettura storiografica e il restauro del patrimonio monumentale della
“Capitale” regionale dalmata come questione di «identità nazionale italiana». Parte
prima: I Monumenti medievali di Zara… e la difficile definizione del «Medioevo»
architettonico dalmata…”, Quaderni, vol. XXI, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno,
2010, pp. 275-360; Idem, “Architettura e città nella Dalmazia italiana (1922-1943). Zara
e il restauro del Patrimonio monumentale… Parte seconda: Le mura veneziane… un
sistema rinascimentale… tra questione di conservazione storico-artistica e «opportunità
politica»”, ivi, vol. XXIII, 2012, pp. 157-207.
7
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
124
(Generale), diveniva dunque evidente per travalicare gli aspetti particolari e
puntare, piuttosto, ad una generale visione programmatoria e pianificata di
tutti i caratteri della nuova «Zara italiana»9: mai, in precedenza, la Politica
aveva potuto valersi di uno strumento di tale potenza, legislativamente codificato, per poter realmente modificare la compagine urbana nei suoi dati
costitutivi ed essenziali.
Nel 1933 dalle pagine dell’informatissima Urbanistica, Vicenzo Civico10
Il mio F. CANALI, “Zara «la Santa»: previsioni parziali di risanamento e
ampliamento, restauro dei Monumenti (con un consiglio di Giovanni Michelucci) fino
al Piano del 1939 di Vincenzo Civico e Paolo Rossi de’ Paoli” in Idem, Nuovi Piani
Regolatori di “città italiane” dell’Adriatico orientale…, cit., pp. 189-192.
10
L’ingegnere romano Vincenzo Civico, stimatissimo teorico e organizzatore della
nuova Urbanistica, era in Italia uno dei più noti esponenti della modernizzazione della
riflessione disciplinare. Già nella Redazione della rivista L’Ingegnere (“La Mostra
dell’Edizia nelle sue principali strutture”, L’Ingegnere. VI, 12, dicembre, 1932) si
occupava di temi urbanistici curando la rubrica “Notizie e commenti di Urbanistica”
(“Notizie e commenti di Urbanistica”, L’Ingegnere, VII, 2, 1933 e VII, 4, 1933 e VII,
6, 1933 e VII, 7, 1933 e VII, 8, 1933 e VIII, 3, 1934 e VIII, 4, 1934 e VIII, 5, 1934 e
VIII, 7, 1934 e VIII, 8, 1934 e VIII, 13, 1934 VIII, 22, 1934 e XI, 7, 1935; “Il problema
del risanamento delle case rurali e i suoi riflessi urbanistici”, L’Ingegnere, VIII, 24,
dicembre, 1934; “Per la disciplina dei Concorsi di Piano Regolatore”, ivi, gennaio,
1935; “Attività urbanistiche dei Comuni: Bergamo… Rimini… Trieste… Roma, Vibo
Valentia”, ivi, IX, 16, agosto, 1935; “Attività urbanistiche dei Comuni: Matera… Torino”,
ivi, IX, 22, novembre, 1935; “Progressi dell’Urbanistica italiana: dai Piani Regionali ai
Piani Territoriali”, ivi, aprile, 1939). Nel 1937 partecipava al I° Congresso Nazionale di
Urbanistica (Comunicazione in Atti del I° Convegno Nazionale di Urbanistica, Roma,
1937) diventando anche Segretario, insieme a Giuseppe Borrelli de Andreis, dell’Istituto
Nazionale di Urbanistica-INU e quindi «Redattore Capo» della rivista Urbanistica
(sulla quale furono numerosissimi i suoi contributi). Membro assai attivo dell’Istituto di
Studi Romani sempre per le questioni urbane e urbanistiche (Piazze e vie di traffico in
Roma in Atti del III° Congresso Nazionale di Studi Romani, Roma, 1933 con recensione
anche su L’Ingegnere; “Il fervore delle sistemazioni urbanistiche di Roma attraverso la
stampa italiana”, Roma, gennaio, 1938; “I problemi di Roma imperiale nel 1942 al V°
Congresso Nazionale di Studi Romani. Recensione”, Roma, agosto, 1938; La scomparsa
dei vicoli da Roma in Atti del IV° Congresso Nazionale di Studi Romani, Spoleto, 1938;
“La sistemazione urbanistica dei Castelli Romani” in I Castelli Romani nel quadro del
Piano Regolatore di Roma Imperiale, Roma, 1940 con la partecipazione di G. Borrelli de
Andreis; Lo schema delle grandi comunicazioni stradali nel quadro dell’Urbe Imperiale,
Roma, 1939 e 1940, 2° ediz; Gli accessi all’Urbe e lo sviluppo del settore Roma-mare e
Le sistemazioni minori nel Piano Regolatore di Roma in Atti del V° Congresso Nazionale
di Studi Romani, Spoleto, 1941, vol. IV; “Problemi e progetti di Urbanistica romana”,
Roma, aprile, 1941; Il problema delle comunicazioni stradali nel Piano Territoriale
dell’Urbe, Spoleto, 1943); era anche coinvolto nella Federazione Nazionale dei
Proprietari di Fabbricati, fornendo le proprie consulenze urbanistiche (“Verona e il suo
9
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
125
faceva notare come «Zara non ha Piano Regolatore» 11, intendendo uno
strumento programmatorio «Generale». E l’anno successivo, nel 1934, all’interno del suo “Notiziariario urbanistico» tenuto sempre sulla stessa rivista,
Civico informava i suoi lettori delle vicende relative al nuovo «Piano di Risanamento» della città, sottolineandone però la natura ‘parziale’:
Il Comune ha approvato il progetto per il “Risanamento” di alcuni
quartieri malsani della città e per la conseguente costruzione di
alcune case popolari alla periferia. È probabile che venga affrontato
in pieno il problema urbanistico della città e studiato il progetto di un
Piano Regolatore”, L’Ingegnere, VII, 1933; “Sul Piano Regolatore di Sassari”, ivi, VII,
1, 1933). Tra le altre sue iniziative, partecipava, nel 1942, al numero della rivista Critica
Fascista diretta da Giuseppe Bottai sulla questione urbana e sulla «funzione sociale
dell’Urbanistica», con due saggi che puntualizzavano il rapporto tra deurbanamento,
ideologia, sviluppo economico, recuperando i temi della localizzazione industriale
e del Piano Regionale (“L’Urbanistica come problema nazionale”, Critica Fascista,
marzo, 1942 e “Distribuire il lavoro per distribuire la popolazione”, ivi, maggio, 1942).
Innumerevoli, insomma, le sue pubblicazioni tra le quali: Ancora il Piano Regolatore
di Sulmona, s.l., 1935; V. CIVICO e G. TROTTA, In marcia per risolvere il problema
alberghiero della Capitale, Milano, 1940 (prima in «l’Albergo in Italia», a cura del CTI,
1939). Ma soprattutto riguardo all’Urbanistica di Roma: V. CIVICO e R. LAVAGNINO,
La nuova via Quirinale-Mole Littoria, Roma, 1935; Idem, La nuova via del Colle Oppio
dal Colosseo a via Milano, Roma, 1935; Idem, Il nuovo tridente di piazza Venezia…,
Roma, 1936; Idem, il collegamento tra la Stazione Termini e la zona dell’Esposizione,
Roma, 1939… Con P. Rossi de’ Paoli: Per la creazione di un nuovo centro monumentale
dell’Urbe, a cura di P. Rossi de’ Paoli e V. Civico, Roma, 1937. Anche dopo la Guerra,
Civico continuò la sua attività pubblicistica. Fino ad oggi l’apporto di Civico alla
redazione dei Piani zaratini del 1938 e del 1942 non mi sembra abbia ricevuto attenzione
storiografico-critica alcuna, salvo in alcune mie puntualizzazioni riassuntive (anche se il
Piano del 1938 ebbe modo di venir applicato, ufficiosamente prima e ufficialmente poi,
fino al 1943). E lo stesso vale anche per Paolo Rossi de' Paoli e per Giuseppe Borrelli
de Andreis. Per un’utile contestualizzazione: S. ADORNO, “Urbanistica fascista.
Tecnici e Professionisti tra Storiografia e Storia disciplinare, Contemporanea” (Bologna),
2001, 1, pp. 135-154; Professionisti, Città e Territorio. Percorsi di ricerca tra Storia
dell’Urbanistica e Storia della Città, a cura di S. Adorno, Roma, 2002.
11
V. CIVICO, “La situazione urbanistica delle principali città italiane nell’attesa della
nuova Legge”, Urbanistica, 1933, p. 171: “Zara”. Urbanistica era nata a Torino (1932)
come organo della sezione piemontese dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (fondato
nel 1930), per poi assumere ben presto, in campo nazionale (1934, organo dell’INU) e
internazionale, una rilevanza disciplinare unica: L. FALCO, “La rivista «Urbanistica»
dalla fondazione al 1949”, Urbanistica, 76-77, dicembre, 1984.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
126
Piano Regolatore Generale, entro le cui linee logicamente inquadrare
le sistemazioni parziali suddette12.
Da anni Civico e la redazione di Urbanistica, insieme a buona parte
della Cultura architettonica più avvertita d’Italia si battevano affinché almeno le città-capoluogo si dotassero, per le proprie previsioni urbanistiche,
di un Piano Regolatore Generale, cioè di uno strumento pianificatorio e
programmatorio completo che affrontasse tutti i problemi dei nuclei urbani (dalla conservazione del centro antico, all’espansione abitativa, dalla
previsione industriale a quella infrastrutturale, dalla estensione del verde
all’organizzazione del traffico); ma i casi restavano sporadici e complessi,
sostanzialmente alieni dalla prassi ordinaria.
2. Zara, Piano Regolatore Generale del 1938, Tavola con le previsioni complessive e con l’indicazione dei sobborghi urbani: Borgo Erizzo (a destra, a Est), Valle di Ghisi (al centro, all’incirca
all’’attacco’ della penisola di Zara, alla fine del braccio di mare detto Porto di Zara), Ceraria (in
corrispondenza di Zara, a Nord, ma al di là dello specchio d’acqua detto Porto di Zara), Barcagno
(a Nord di Ceraria), Puntamica (a sinistra, a Ovest). A Sud di Zara è poi il braccio di mare detto
Canale di Zara (da «Urbanistica», 1939)
3. Zara, Piano Regolatore Generale del 1942, Tavola con le previsioni complessive (da «Urbanistica», 1942)
124. [V. Civico], “Zara. Piano Regolatore”, Urbanistica, 1, gennaio-febbraio,
1934, p. 41.
12
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
127
Ci si accontentava, almeno, che gli Uffici Tecnici comunali si mostrassero sensibili e recepire un numero sempre crescente di attenzioni pianificatorie e di previsioni di sviluppo moderno. Era il caso, in quel 1934, di Zara
– che «non ha Piano Regolatore» – per cui si poneva il problema, almeno,
del «risanamento di alcuni quartieri malsani della città e per la conseguente
costruzione di alcune case popolari alla periferia» dove venivano spostati
gli abitanti del centro (Italianizzando così i ‘bordi’ esterni della città); e, per
il momento, di tanto bisognava accontentarsi.
L’alacrità di quel «Risanamento», nonostante la sua natura parziale, in
breve dava i propri frutti e già alla fine del 1935, un anno e mezzo dopo
la prima segnalazione, lo stesso Civico poteva informare il suo pubblico
di specialisti che
Importanti sistemazioni di carattere urbanistico sono state condotte
a termine recentemente, altre avranno tra breve inizio. Ricordiamo
tra le prime, la costruzione delle nuove Scuole Elementari, la sistemazione del piazzale Crispi e del prolungamento del viale Tommaseo; tra le seconde, la costruzione del nuovo Municipio e quella di
una nuova strada attraverso l’abitato di Ceraria13.
Si era partiti, insomma, dalla sistemazione di aree dell’antico nucleo, o
di zone ad esso prossime, per proseguire con «il principio dell’attuazione
del Piano di Ampliamento della città». Ed era il borgo extraurbano di Ceraria a costituire il fulcro di quella nuova espansione, anche perché, grazie ad
un ponte girevole14, era direttamente collegato al centro antico:
13
V. CIVICO, “Notiziario urbanistico. Zara”, Urbanistica (Torino), 6, novembredicembre, 1935, p. 377. Il sobborgo di Ceraria, come quello di Barcagno sorgevano verso
Nord, rispetto all’antico centro, al di là del braccio di mare del «Porto di Zara» (mentre a
Sud era il «Canale di Zara»). Interessante per la situazione scolastica precedente anche:
Guida dei servizi scolastici nelle provincie di Trieste, Fiume, Gorizia, Pola, Zara, a cura
del R. Provveditorato agli Studi di Trieste. Ufficio Biblioteca, Trieste, 1934.
14
«[Tra il 1924 e il 1925] a spese e a cura dello Stato è stato costruito sul porto di
Zara, fra le rive San Rocco e Ceraria, un ponte in cemento armato con campata girevole
in ferro, che unisce la città con l’importante sobborgo di Ceraria destinato a sviluppo
industriali e facilita le comunicazioni con il sobborgo elegante di Barcagno già popolato
di numerosi villini»: Missiva del Dirigente del Genio Civile di Zara, ing. Mario Folchi
Vici, al Soprintendente all’Arte Medievale e Moderna per le Marche e Zara, Luigi Serra,
del 12 dicembre 1928 in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Fondo “Ministero della
Pubblica Istruzione (poi dell’Educazione Nazionale)” – “Direzione delle Antichità e
Belle Arti” (d’ora in poi Roma, ACS, AA.BB.AA), Divisione II, 1929-1933, b. 233, fasc.
«bastioni», prot. 3240.
128
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
la nuova strada, in prosecuzione del ponte attuale, traverserà in
rettilineo, su una larghezza di m.14 e per una lunghezza di oltre
mezzo chilometro, tutto il sobborgo di Cereria, demolendo alcune
costruzioni lungo il tracciato, e andando a riallacciarsi alla statale
135. Lungo la nuova arteria, fiancheggiata da vaste aree libere,
potrà trovare facile sfogo l’attività edilizia in promettente ripresa, in
diretto collegamento con la città a brevissima distanza da essa. La
nuova arteria permetterà anche di iniziare la necessaria sistemazione
dell’aggregato edilizio di Ceraria, caotico ed irrazionale, costituito
da viuzze tortuose e da edifici accumulati alla rinfusa.
L’operazione di «risanamento» dell’antico centro era dunque strettamente connessa a quella di «ampliamento» della città, poiché solo così si poteva
risolvere il problema dell’eccessiva densità abitativa e pensare ad operazioni di «diradamento», oltre che di sistemazione complessiva. E anche se
la città, insomma, continuava a non avere un Piano Regolatore Generale,
l’Ufficio Tecnico Comunale sembrava aver comunque coordinato efficacemente le varie operazioni urbanistiche. Così Civico notava come «l’opera
merita tutta la nostra approvazione e contribuirà certo in modo notevole
allo sviluppo della città», ma «sarebbe però necessario l’organico inquadramento con le altre sistemazioni in corso o di prossima attuazione, quale
solo può dare un Piano Regolatore. Sappiamo che il Comune ne aveva predisposto lo studio: come mai non se ne sa più nulla?».
Insomma il Comune di Zara era stato tra quelli che avevano predisposto
lo studio di un Piano Regolatore Generale, anche se la situazione sembrava
essere giunta ad uno stallo; ma certo, attraverso quella ‘spina’ urbana di
notevole dimensione (m.14 x mezzo chilometro), si prevedeva un’espansione urbana pianificata, che avrebbe dovuto comunque coordinare – Piano
o non Piano – il progetto delle nuove costruzioni zaratine moderne, oltre
l’antico centro. E ciò avveniva in un’ottica programmatoria che sembrava
presupporre, comunque, l’organicità di un Piano Generale, che si sarebbe
realizzato per stralci e strumenti attuativi. Civico così scriveva nel 1935.
Giuseppe Borrelli de Andreis, nel 1942, in occasione della revisione del
Piano del 1938, ricordava invece che
Un nuovo Piano Regolatore veniva prospettato fin dal 1936 dal podestà Giovanni Salghetti Drioli con una singolare chiarezza di impostazione e larghezza di vedute. “Il Piano Regolatore – dichiarava
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
129
fra l’altro il Podestà alla Consulta Comunale – non è certo poco
complesso. Il piccone demolitore, che dovrà compiere l’opera di
risanamento per i futuri abbellimenti rispetterà, oltre che le zone
monumentali e militari, anche la tipica e squisitamente caratteristica conformazione della città, che tanto risente del delicato influsso
veneto. Nelle zone eccentriche, invece, il Progettista avrà mezzo
di spaziare il suo talento per la creazione di ampi viali alberati,
che invitino i proprietari delle adiacenti zone a costruire moderne
abitazioni ed a circondarle degli esemplari migliori della flora locale, per modo che, attorno alla vecchia città, dove bellissime opere
dell’Arte medievale ricordano le avite e incancellate glorie, sorga
la vera e nuova città-giardino15.
Molto chiare dunque le idee ‘urbanistiche’ del Podestà in quel 1936. Ad
ogni modo, finalmente nel 1938, più di due anni e mezzo dopo le informazioni pubblicate da Civico, lo stesso Ingegnere poteva fornire qualche
nuovo, ulteriore, ragguaglio:
Notevoli sono le opere recentemente eseguite e tuttora in corso,
che vanno rendendo sempre più bella ed attraente la Capitale della
Dalmazia. Ricordiamo tra le opere recentemente compiute, la costruzione del nuovo monumentale Palazzo del Comune in piazza dei
Signori, la costruzione di un importante gruppo di case popolari, la
costruzione di un vasto edificio dell’INCIS, la sistemazione di un
lato della Circonvallazione sopraelevata con la creazione di muraglioni monumentali e di un’ampia scalea di accesso16.
G. Borelli De Andreis, “Il nuovo Piano Regolatore di Zara, Capitale della
Dalmazia”, Urbanistica, 4, luglio-agosto, 1942, p. 7. Il Podestà zaratino aveva fin da
subito evitato la prassi dell’«Urbanistica municipalistica» degli Uffici Tecnici Comunali
senza però rivolgersi direttamente al ceto degli ‘Urbanisti professionisti’ (rappresentati
dagli Ordini professionali), preferendo, piuttosto, con un’ottica assai pragmatica, riferirsi
ad una potente e organizzata Federazione Sindacale di categoria, quella del Proprietari di
Fabbricati (da tempo in competizione con quella dei Costruttori Edili); e ciò avendo ben
chiaro che il nuovo Piano di Zara non avrebbe che potuto puntare sul recupero dell’antico
centro e dei sobborghi (dove erano, appunto, immobili di vecchia proprietà), riducendo le
previsioni per la nuova espansione. Una scelta, dunque, ‘imposta’ dalla natura del Piano.
16
[V. Civico], “Zara. Sistemazioni urbanistiche”, Urbanistica, 2, marzo-aprile,
1938, p. 114.
15
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
130
Ancora
Tra le sistemazioni in corso si presenta di particolare interesse quella per la ulteriore sistemazione di piazza dei Signori. Il piccone ha
eliminato le case che formavano uno dei lati della piazza in allineamento alla Torre dell’Orologio e ha preparato l’area su cui sorgerà
la nuova ala del Palazzo Comunale, che verrà collegato con un cavalcavia al palazzo Principale. La sistemazione ha anche importanza
storico-artistica in quanto permetterà di liberare, restaurare e porre
in opportuno risalto una antichissima chiesetta, che era completamente nascosta dalle fabbriche esistenti.
Si trattava della chiesetta di San Lorenzo e proprio per questa intervenivano importanti consulenti tra i quali Guglielmo De Angelis d’Ossat, Ugo
Ojetti e il fiorentino Giovanni Michelucci, in una vicenda che si sarebbe
protratta per gli anni a venire17.
Frattanto, nel 1939, il tanto atteso progetto per un «Piano Regolatore
Generale» era stato ultimato e pubblicato su Urbanistica che dedicava alla
proposta un saggio intero.
2. 1938: il Piano Regolatore Generale, per la piccola Zara provinciale,
di Paolo Rossi de' Paoli con la collaborazione di Vincenzo Civico e la
redazione legislativa di Giuseppe Borrelli de Andreis, «Tecnici della
Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati» a Roma.
Il Piano del Turismo e della Valorizzazione storico-artistica di marca
giovannoniana
Nel 1942 Giuseppe Borrelli De Andreis sunteggiava le vicende che avevano presieduto alla redazione del Piano Regolatore Generale di Zara ricordando come fosse stato il Podestà, avvocato Giovanni Salghetti Drioli a
indicarne i principi informatori:
Il piccone demolitore… rispetterà, oltre che le zone monumentali e
militari, anche la tipica e squisitamente caratteristica conformazione
della città, che tanto risente del delicato influsso veneto. Nelle zone
Si veda per la vicenda il mio F. Canali, “Architettura e città nella Dalmazia italiana
(1922-1943). Parte prima: “I Monumenti medievali di Zara… e la difficile definizione del
«Medioevo» architettonico dalmata”…”, cit., pp. 342-349.
17
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
131
4. Zara, Piano Regolatore Generale del 1938, Tavola planimetrica con le previsioni per il centro
antico della città (da «Urbanistica», 1939)
5. Zara, Piano Regolatore Generale del 1942, Tavola planimetrica con le previsioni per il centro
antico della città (da «Urbanistica», 1942)
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
132
eccentriche, invece, il Progettista avrà mezzo di spaziare il suo talento per la creazione di ampi viali alberati, che invitino i proprietari
delle adiacenti zone a costruire moderne abitazioni ed a circondarle
degli esemplari migliori della flora locale, per modo che, attorno alla
vecchia città… sorga la vera e nuova città-giardino”18.
E come
basato su tali concetti informatori veniva alla luce il Piano Regolatore del 1938, elaborato dall’ing.arch. Paolo Rossi de’ Paoli in collaborazione coll’ing. Vincenzo Civico. Questo Piano, approvato dal
Consiglio Superiore dei LL.PP. nel 1939 riuscì un pregevole esempio
di sistemazione urbanistica di centro storico-artistico di media grandezza con funzione di Capoluogo di Provincia.
Effettivamente il Piano aveva avuto modo di essere conosciuto grazie
alla pubblicazione della Relazione di accompagnamento agli elaborati grafici, edita come Il Piano Regolatore di Zara19 a cura della Federazione Nazionale dei Proprietari di Fabbricati20, con sede a Roma. Il Podestà di Zara,
G. Borelli De Andreis, “Il nuovo Piano Regolatore di Zara, Capitale della
Dalmazia”, Urbanistica, 4, luglio-agosto, 1942, p. 7.
19
[G. Borrelli de Andreis, P. Rossi de' Paoli e V. Civico], Il Piano
Regolatore di Zara, a cura della Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di
Fabbricati, Roma, Soc. tip. Castaldi, 1939. Il testo, ricco di preziose informazioni, è a
tutt’oggi piuttosto raro. Tra le biblioteche pubbliche italiane si può trovare: Milano, Istituto
Milanese per la Storia dell’Età Contemporanea, Biblioteca; Roma, Università degli
Studi “La Sapienza”, Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura; Roma, Archivio
Centrale dello Stato, Fondo Ministero della Pubblica Istruzione, “Antichità e Belle Arti”,
Divisione II, 1934-1940, b.357, “Zara. Piano Regolatore”. Per la considerazione della
tutela degli aspetti veneti cittadini all’interno del nuovo Piano Regolatore, si veda il mio
F. Canali, “Il Piano Regolatore di Zara di Paolo Rossi de’ Paoli e Vincenzo Civico
e l’attenzione per la Conservazione del ‘carattere veneto’ delle strutture fortificate in
Architettura e città nella Dalmazia italiana (1922-1943)… Parte seconda: Le mura
veneziane… un sistema rinascimentale…”, cit., pp. 204-206.
20
Tra le sue pubblicazioni, la Federazione (FNFPF), oltre a testi strettamente
connessi all’attività immobiliare (Il mercato edilizio, dati statistici, Roma, in vari
anni, 1927-1940), aveva edito, tra i suoi numerosi volumi, anche analisi complessive e
internazionali (Enrico Parisi [Presidente dell’FNFPF], L’Edilizia in Italia, Roma,
1930 [?]; Idem, La proprietà edilizia nella Russia sovietica, Roma, 1931), riflessioni
sui Piani Regolatori (Sulla disciplina giuridica dei Piani Regolatori: 1. Proposte della
Commissione di Studio sulla Legislazione Italiana. Roma, 1933; 2. La Legislazione
18
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
133
in accordo con l’Unione Provinciale degli Industriali della città, aveva contattato, tramite la succursale cittadina, la Federazione Nazionale Fascista
dei Proprietari di Fabbricati, che già si era occupata di fornire consulenze ai
progettisti «nell’opera di sistemazione e rinnovamento dei centri abitati, in
perfetta aderenza alle direttive urbanistiche del Regime» per Sassari (1931),
Verona (1932) e Ancona (1933)21.
Il Podestà di Zara interessò, nel 1938, la nostra Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati affinché questa prestasse la propria collaborazione tecnica per lo studio e la redazione del
Piano Regolatore della Città. Aderendo di buon grado alla preghiera
rivoltale, la nostra Federazione, data l’importanza e la complessità del locale problema urbanistico, promosse, in pieno accordo col
Podestà, la costituzione di una speciale “Commissione di Studio”, a
carattere intersindacale, alla quale venne preposto il Presidente del
estera: Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Inghilterra, Jugoslavia, Svizzera,
Stati Uniti d’America, Roma, 1935). Tutto ciò conduceva ad una vera e propria proposta
di Legislazione sui Piani Regolatori (dopo un lungo dibattito che avrebbe visto, alla
fine, l’emanazione delle Legge n.1150 del 1942 “Legge Urbanistica”) con uno schema di
Progetto di Legge a cura della Federazione: B.A. GENCO e P. LA TORRE, Codice della
proprietà edilizia, Roma, 1935. Prima: B.A. GENCO, Proprietà edilizia e Piani Regolatori:
orientamenti attuali della Giurisprudenza amministrativa, Roma, 1930; C. MASI, Crisi
proprietà edilizia negli Stati Uniti, Roma, 1932 [?]; Idem, Il Piano Quinquennale e
la politica edilizia nell’U.R.S.S., Roma, 1932 [?]). E quindi: G. MASSANO, Romana
Domus, la casa romana (testo in Italiano, Inglese, Francese) stampato in occasione del
Congresso Internazionale della Proprietà Edilizia (Roma, maggio 1933), Roma, 1933;
Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati, La
“Mostra dell’Abitazione” all’E42, Roma, 1939. La Federazione curava anche una rivista,
La Proprietà Edilizia, ovviamente edita a Roma.
21
A cura della FNFPF: [Gavino Alivia… ed altri ], Sul Piano Regolatore di
Sassari, Roma, 1931; Sul Piano Regolatore di Verona, Roma, 1932; Sul piano Regolatore
di Ancona, Roma, 1933. Sottolineava Genco come, in quei casi «si attesta la collaborazione
dell’Organizzazione Sindacale dei Proprietari di Fabbricati [alla soluzione dei] problemi
urbanistici delle nostre città» (Lettera del Direttore della Federazione Nazionale Fascista
dei Proprietari di Fabbricati a Roma, B.A. Benco, al Ministro dell’Educazione Nazionale,
del 27 aprile 1939 ad accompagnamento della pubblicazione del “Piano Regolatore di
Zara” in Roma, ACS, AA.BB.AA, Divisione II, 1934-1940, b. 357, fasc. “Zara. Piano
Regolatore”). In altri casi, invece, le Podesterie si rivolgevano alla Direzione del Sindacato
Nazionale Architetti e Ingegneri (sempre a Roma); per cui l’affidamento di un incarico
poteva seguire vie completamente diverse.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
134
locale Sindacato dei Proprietari di Fabbricati presso l’Unione degli
Industriali di Zara22.
La notizia era stata riportata anche nell’Introduzione che il direttore
Genco aveva premesso alla pubblicazione:
In considerazione della complessità del problema si è ritenuto opportuno suggerire la costituzione di una Commissione di Studio, avente
una composizione mista, con carattere intersindacale sotto la presidenza del dott. Simeone Svircich… A siffatta Commissione sono
stati chiamati il prof. Antonio Just Verdus, il dott. Ing. Roberto Concina, il dott.ing. Bruno Rolli, il Direttore dell’Unione Industriali Renato Crippa, e, in rappresentanza della Federazione dei Proprietari di
Fabbricati, l’avv. Giuseppe Borrelli De Andreis e l’ing. Arch. Paolo
Rossi de' Paoli. Mentre la Commissione predisponeva gli elementi di
studio del Piano Regolatore… l’ing.arch. Paolo Rossi de' Paoli veniva incaricato di redigere il Piano Regolatore Generale. L’incarico era
da lui assolto con la collaborazione dell’ing. Vincenzo Civico, mentre l’avv. Giuseppe Borrelli De Andreis elaborava lo schema di legge
per l’approvazione del Piano Regolatore e quello di Regolamento per
la sua esecuzione23.
Lettera del Direttore della Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di
Fabbricati a Roma, B.A. Genco, al Ministro dell’Educazione Nazionale, del 27 aprile
1939 ad accompagnamento della pubblicazione del “Piano Regolatore di Zara” in Roma,
ACS, AA.BB.AA, Divisione II, 1934-1940, b.357, fasc. “Zara. Piano Regolatore”.
23
[Borrelli de Andreis, Rossi de' Paoli e Civico], Il Piano Regolatore
di Zara…, cit., p. 5. Giuseppe Borrelli de Andreis, avvocato di spicco nel panorama
giuridico romano, indirizzava la propria specializzazione verso il Diritto Amministrativo
e la disciplina urbanistica in particolare, tanto che nel 1933 scriveva: “La Legge sul Piano
Regolatore di Foggia e i nuovi orientamenti della Legislazione sui Piani Regolatori” (in
La proprietà edilizia italiana, a cura della Federazione Nazionale Fascista di Proprietari
di Fabbricati, ottobre, 1933, pp. 968-971); divenuto nel 1937, insieme a Vincenzo Civico,
Segretario dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), si vedeva affidata anche la
Segreteria del I° Congresso Nazionale di Urbanistica svoltosi a Roma in quell’anno.
Tra le sue opere più note: G. Borrelli de Andreis, “La disciplina giuridica del
Piano Regolatore di Roma Imperiale”, Roma, 1939; “La disciplina giuridica del Piano
Regolatore dei Castelli Romani”, in I Castelli Romani nel quadro del Piano Regolatore
di Roma Imperiale, Roma, 1940 (con la partecipazione di Vincenzo Civico); “La
Roma imperiale e mussoliniana e la funzione del quartiere dell’Esposizione Universale
1942” in V° Congresso Nazionale di Studi Romani, Spoleto, 1941, vol. IV; Lineamenti
giuridici-amministrativi del Piano Territoriale di Roma Imperiale, Roma 1942 (tutti per
22
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
135
Ma i motivi dell’affidamento dell’incarico progettuale venivano espressi
dallo stesso Direttore al Ministro:
Si è potuto realizzare una efficace collaborazione delle categorie sindacali e di esperti locali con le Autorità e gli Organi del Comune,
mentre i Tecnici della nostra Federazione curavano la redazione del
Piano Regolatore Generale, nonché lo schema di Legge per la sua
approvazione e il Regolamento di esecuzione24.
A Paolo Rossi de' Paoli25 toccava coordinare dunque la parte progettuale, a Vincenzo Civico quella funzionale e normativa, a Giuseppe de Anconto dell’Istituto Nazionale di Studi Romani). Consulente giuridico, per le questioni
urbanistiche, a Roma della Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati,
fu anche membro della Redazione di Urbanistica, organo dell’INU (con diversi contributi
tra i quali: “I Piani di allineamento e la bonifica edilizia”, Urbanistica, 1-2, 1942, pp.
10-12). Nel Dopoguerra editava poi: Il Codice edile come strumento di salvaguardia
dei Piani di Coordinamento, a cura di F. Amoroso e G. Borrelli de Andreis,
Roma, 1953.
24
Lettera del Direttore della Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di
Fabbricati a Roma, B.A. Benco, al Ministro dell’Educazione Nazionale, del 27 aprile
1939 ad accompagnamento della pubblicazione del “Piano Regolatore di Zara” in Roma,
ACS, AA.BB.AA, Divisione II, 1934-1940, b. 357, fasc. “Zara. Piano Regolatore”.
25
Figlio di un Professore veronese, che fu anche Docente all’Università di Bologna
e divenne poi Senatore del Regno, Paolo Rossi de’ Paoli nacque a Bologna, ma crebbe a
Roma, sua città per tutta la vita. Compì però parte dei suoi studi a Domodossola presso i
padri Rosminiani, per i quali prestò poi la sua opera di Architetto nella ristrutturazione
del complesso edilizio a San Giovanni davanti la Porta Latina a Roma. Nella Capitale
conseguì la Laurea in Architettura rimanendo in stretti rapporti con Marcello Piacentini
e legandosi alla Federazione dei Proprietari di Fabbricati. Grazie a Piacentini ebbe
un importante ruolo nella costruzione di piazza della Vittoria a Bolzano dove si vide
assegnata la costruzione dei palazzi dell’INA e dell’INFPS, sul fronte occidentale,
poi nel 1939 realizzò il Tribunale della città insieme a Michele Busiri Vici, e la Casa
del Fascio. A Verona la zona adiacente al corso Porta Nuova venne interessata da un
Piano di sistemazione progettato nel 1937 da Rossi de' Paoli (anche se attuato nel
solo palazzo INA). Anche la sua attività romana fu di notevole rilevanza: nel 1935
commentava sulle pagine di Urbanistica, l’isolamento dell’Augustéo e la sistemazione
del traffico Est-Ovest a Roma, (n.1, 1935, pp. 32-39), avviando una collaborazione con
l’Istituto Nazionale di Urbanistica concretatasi, nel 1937 e 1938, nel 1941, 1942 e 1944,
con la partecipazione di Rossi de’Paoli al “Comitato di Presidenza”. L’Architetto realizzò
al quartiere Salario – Vescovio la Scuola di perfezionamento per le Forze di Polizia;
all’EUR partecipò, con un suo progetto, alla “Mostra dell’Abitazione” (un vero e proprio
quartiere che non doveva costituire solo un semplice campionario di abitazioni moderne,
136
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
dreis ottemperare a tutti gli aspetti legislativi: erano loro «i Tecnici» della
Federazione.
2.1. Gli studi preliminari per la redazione del Piano. Aspetti demografici
e igienico-sanitari, caratteristiche economiche e nuovo ruolo di Zara
italiana negli equilibri territoriali dalmati
La Relazione di accompagnamento al Piano, pubblicata a cura della Federazione romana, si apriva con una interessante «Parte II», “Elementi di
studio del Piano Regolatore”, che tracciava un quadro della situazione di
Zara, dopo diciannove anni di Amministrazione italiana, non in tutti gli
aspetti edificante, nonostante le fanfare propagandistiche.
Tra le prime analisi la «Demografia», quale raccolta di dati imprescindibili per ogni previsione urbanistica, mostrava considerazioni generali tranquillizzanti, ma dati variamente interpretabili:
La situazione demografica del Comune, che presenta nel primo ventennio del secolo [1900-1920] un andamento irregolare, in conseguenza delle vicende politiche ed economiche subite… comincia a
risentire, nel terzo decennio [1920-1930] la benefica influenza delle
varie provvidenze legislative ed economiche adottate dal Regime fascista… [tanto che] all’inizio del quarto decennio [1930-1940] si possono considerare cessate le profonde ripercussioni seguite alla mutata posizione politica e territoriale, avendo la popolazione ritrovato,
attraverso la tormentosa fase precedente, un nuovo assestamento26.
A leggere le cifre, però, tale «assestamento» non risultava poi così positivo, poiché alla luce di quelle «caratteristiche demografiche del Comune che sono l’alta natalità, l’elevata mortalità e l’eccedenza del movimento
naturale e del movimento migratorio», si poteva desumere una situazione assai chiaroscurata, visto che, tra il 1932 e il 1937, la media dei «nati
vivi» in città si era aggirata su una percentuale del 30,25% su 1000 abitanti
ma che doveva configurarsi come un complesso unitario, urbanisticamente completo). Di
notevole rilevanza fu poi la sua attività nel Dopoguerra. Per gli interventi veronesi: M.
MORGANTE, “Rossi de' Paoli Paolo”, in Dizionario biografico dei Veronesi (sec. XX), a
cura di G.F. Viviani, Verona, 2006, ad vocem.
26
[Borrelli de Andreis, Rossi de' Paoli e Civico], Il Piano Regolatore di
Zara…, cit., p. 14.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
137
(contro una media nazionale del 23,18%); ma la percentuale dei «morti» era
invece ben superiore a quanto avveniva nel Regno (un media del 18.4% su
1000 abitanti, rispetto a 13.8% del resto d’Italia). Il dato era allarmante e i
Redattori del Piano non potevano che sospendere il giudizio sul ‘perché’ a
Zara si morisse tanto: “tutte le considerazioni addotte per spiegare l’andamento
sfavorevole della mortalità rispetto alla media del Regno, non sono sufficienti a
spigare il fenomeno, che non è stato ancora approfondito”27.
10. Zara, Piano Regolatore Generale del 1942, Tavola prospettica con le previsioni dell’ampliamento
urbano nella zona della «Palazzata» Sud sul Canale di Zara, verso Borgo Erizzo, vista dal mare
(da «Urbanistica», 1942)
11. Zara, Piano Regolatore Generale del 1942, Tavola con il nuovo ponte ‘veneziano’ previsto
sulla Fossa nell’ambito dell’ampliamento urbano della zona della «Palazzata» Sud sul Canale di
Zara (da «Urbanistica», 1942)
A guardare i dati sulle cause di morte, i motivi emergevano in tutta la
loro evidenza. A fronte di un «clima marittimo e molto mite»28 ma «il grado di umidità atmosferica è più alto del normale e da ciò la facilità di alcune
malattie delle vie respiratorie»29: erano comunque le malattie polmonari a
Ibid.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 13.
29
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 17.
27
28
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
138
uccidere un gran numero di zaratini («la mortalità per tubercolosi è molto
superiore a Zara in confronto alla media del Regno»30 per circa il doppio in
punti percentuali, e lo stesso avveniva per altre malattie respiratorie specie la polmonite), in connessione anche alle precarie condizioni igieniche
dell’antico centro, per cui diventava evidente come, nella previsioni urbanistiche, una sonora politica di igienizzazione degli antichi quartieri e relativo spostamento della popolazione in molto più salubri quartieri periferici,
diventasse una vera e propria necessità cui fare fronte. Ma questo, oggettivamente, avveniva anche nelle altre parti del Regno… La spiegazione più
plausibile era allora che “esistendo a Zara un ospedale e istituti di ricovero,
ad essi sono attratti gli abitanti delle zone poste oltre frontiera e i connazionali della Dalmazia non annessa all’Italia”31. Infatti
l’Ospedale Provinciale accoglie in prevalenza, per convenzioni col
Governo jugoslavo, tutti quegli ammalati della zona estera limitrofa
che chiedono il ricovero, ed essendo di solito ammalati in condizioni gravissime… specie i tubercolotici… hanno un esito letale della
malattia32.
12. Zara, Piano Regolatore Generale del 1938, Tavola planimetrica con le previsioni della riorganizzazione del sobborgo di Ceraria (da «Urbanistica», 1938)
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 14.
Ibid.
32
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 16-17.
30
31
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
139
13. Zara, Piano Regolatore Generale del 1938, Tavola prospettica con le previsioni dell’aspetto
del nuovo centro del sobborgo di Ceraria nell’ambito della sua riorganizzazione urbanistica e
architettonica (da «Urbanistica», 1938)
14. Zara, Piano Regolatore Generale del 1942, Tavola prospettica con le previsioni dell’aspetto
del nuovo centro del sobborgo di Ceraria nell’ambito della sua riorganizzazione urbanistica e
architettonica. Si noti, rispetto alla sistemazione del 1938, il deciso ampliamento dell’edificio centrale probabilmente destinato alle Istituzioni fasciste di quartiere e il generale incremento della
densità edilizia, anche sulla base di un linguaggio ‘littorio’, meno ambientato e più ‘urbano’ (da
«Urbanistica», 1942)
140
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
La città, insomma, ribadiva quella sua ‘funzione territoriale’ che la Politica sembrava averle negato. Altro dato molto interessante, che veniva a incidere sensibilmente sulla programmazione urbanistica, era quello relativo
ai flussi immigratori ed emigratori. I dati presentati dalle analisi erano un
po’ laconici al proposito, forse per non entrare nella spinosa questione dei
(mancati) arrivi di Italiani dal resto della Dalmazia: le cifre restavano ridotte
(nel 1932 «643 immigrati» a fronte di «429 emigrati», ma verso dove? Verso
la Jugoslavia in una sorta di ‘scambio’ etnico? Nel 1937 «1000 immigrati» a
fronte di «843 emigrati») con un saldo attivo, negli arrivi, di ‘sole’ 352 unità
medie annue nel periodo 1932-1937. Il che a fronte di una popolazione media
in quei sei anni di 21125 «presenti in città» e di 19685 «residenti» costituiva
un davvero misero 1.66% rispetto ai presenti (o un 1.78% rispetto ai residenti). Insomma, analizzando i flussi in numero assoluto, un gran flusso di
popolazione in entrata verso Zara italiana decisamente non c’era stato; il che,
dal punto di vista urbanistico, significava che non serviva la costruzione di
grandi quartieri periferici per ospitare nuovi abitanti (essendo l’incremento
attestato all’incirca sulle 352 unità medie). La città, lentamente, tra il 1932 e
il 1937 aveva visto aumentare i propri abitanti (da 18799 unità presenti nel
1932 alle 23601 nel 1937 con un aumento del +20.4%; da 18551 residenti nel
1932 a 20672 nel 1937 con un aumento del 12.1%), ma con un incremento
che, se pur statisticamente sembrava significativo (tra il 10 e il 20%), non
pareva, nella realtà, fondarsi su numeri molto rilevanti. Incidevano maggiormente i 4802 abitanti presenti in più (che si trattava comunque di oltre 1000
famiglie) rispetto ai residenti (2521 abitanti in più, che però potevano vivere
anche altrove), soprattutto alla luce di una realtà comunque piccola come
quella di Zara. Come sottolineavano i Redattori del Piano non poteva certo
dirsi che si fosse in presenza di «urbanesimo», tanto che
il fenomeno dell’urbanesimo assume nei riguardi del Comune di
Zara scarsa importanza, in quanto la popolazione è in prevalenza
urbana essendo ristretta la zona rurale… I rurali… anche quando
prestano l’opera propria nelle aziende industriali e commerciali della
città… continuano ad abitare la loro casa in campagna… e, anzi, si
è accentuato in questi ultimi anni, il fenomeno del trasferimento di
molte famiglie dal centro cittadino verso la periferia,
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
141
avendo avuto effetto i primi provvedimenti voluti dal Podestà, di “costruzione di case d’abitazione a tipo popolare fuori città e in conseguenza a
demolizione in città di edifici e case d’abitazione rese inabitabili33”.
Insomma, un problema abitativo non sembrava esistere a Zara, e tanto
meno legato a condizioni ‘nazionali’: gli Zaratini erano rimasti, più o meno,
quelli che erano e il saldo immigratorio non aveva mutato le condizioni
generali della città. Quel saldo era stato infatti assorbito soprattutto dalle
frazioni comunali poiché dal 1921 al 1936 si erano stabiliti in città, compresa Ceraria, 1296 abitanti, mentre in tutte le frazioni ben 2121 (con in testa
ovviamente l’agglomerato più popoloso, Borgo Erizzo con 927 arrivi) 34.
Una considerazione non poteva non essere fatta sullo iato esistente tra
popolazione «presente» e popolazione «residente» (tenendo conto che le
politiche urbanistiche, ovviamente, non potevano che essere fatte sui primi
rispetto ai secondi, che erano in grado di andarsene da un momento all’altro), soprattutto perché, a dispetto di tutte le ‘aspettative’ etniche connesse
all’incremento dell’Italianità del centro, si trattava in verità di Jugoslavi in
cerca di fortuna, come oggettivamente registrava la Relazione:
[va registrata] l’alta cifra di immigrazione di singole persone o di
intere famiglie di misere condizioni economiche in cerca di occupazione o lavoro o attirati semplicemente dal miraggio di un’esistenza
economica più facile, per le facilitazioni fiscali concesse dal Comune
e la permanenza a Zara di una non indifferente percentuale di sudditi
jugoslavi, appartenenti al ceto più basso della popolazione, di solito
nulla tenenti e costretti a tutte le possibili privazioni35.
La città, insomma, manteneva la propria Italianità in senso storico, culturale e per i suoi ‘vecchi’ abitanti che come tali si erano registrati, e non
pare come punto di riferimento insediativo per gli Italiani di Dalmazia
(anzi ‘sostituiti’ negli arrivi, piuttosto, da poverissimi «sudditi jugoslavi»,
che, semmai, andavano ad incrementare le fila dei Croati in città); tant’è
che nella Relazione di quegli Italiani non si faceva parola né si prevedevano per loro nuove abitazioni (destinate invece, nelle programmazioni,
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 16.
I dati vengono ottenuti interpolando quanto presentato nelle varie Tabelle
presentate in [Borrelli de Andreis, Rossi de' Paoli e Civico], Il Piano
Regolatore di Zara…, cit., pp. 13-16.
35
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 17.
33
34
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
142
agli ‘scambi’ con i residenti dei quartieri malsani dell’antico centro e dei
sobborghi)36. Il Piano Regolatore Generale aveva dunque, nel complesso,
un compito migliorativo delle esigenze abitative e non espansivo nei numeri. Era il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie a risultare,
infatti, una priorità:
le condizioni igieniche e sanitarie del Comune possono considerarsi
in generale soddisfacenti e in particolare quelle dell’aggregato urbano… A Zara non esistono malattie infettive o contagiose a carattere
endemico all’infuori della malaria, limitata ad una zona ben delineata delle frazioni di Boccagnazzo, Casali, Cerno, Ploccia e Malpaga,
con una popolazione di 2000 abitanti circa su 20000 residenti e che
colpisce al massimo l’8% degli abitanti di tale zona [dunque circa
160 persone].
Necessari distinguo, all’interno di una situazione chiaroscurata, si dovevano avanzare però quando, pur in un’ottica obbligatoriamente sempre positiva, gli studi preliminari andavano ad analizzare la situazione economica
della città. Il problema restava, ovviamente, quello dell’«isolamento geografico» di Zara, cui si era cercato di sopperire con «istituzione di frequenti
comunicazioni marittime con Trieste, Venezia, Ancona e Bari… laddove
l’unica giornaliera è con Ancona… e poi giornaliera è pure la linea aerea
per Ancona e Trieste»37.
Un tale «isolamento» aveva forti ripercussioni sull’economia della città
che dipendeva, dal punto di vista alimentare, pressoché interamente dal
contado jugoslavo, creando dunque un forte disavanzo:
il traffico terrestre riguarda l’affluenza nel territorio comunale degli
abitanti delle zone limitrofe della Jugoslavia, che giornalmente provvedono la città di alcuni prodotti alimentari… Se il valore complessivo dei prodotti agrari importati dalla Jugoslavia è di lire 2.030.000
nel 1933, un’annata normale, invece l’esportazione da Zara per la
Zona confinante non è controllabile e sfugge alla Statistica38.
Usualmente viene invece presupposto che dai primi anni Venti «molti Dalmati
italiani provenienti da Spalato, Sebenico, Traù e Ragusa si erano trasferiti a Zara italiana,
mentre molti Serbocroati zaratini era passati nel neocostituitosi Regno di Jugoslavia».
37
[Borrelli de Andreis, Rossi de' Paoli e Civico], Il Piano Regolatore di
Zara…, cit., p. 20.
38
Ibid.
36
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
143
Il che significava che non era possibile tracciare un pur approssimativo
andamento dell’economia zaratina senza ammettere che la città era completamente dipendente, dal punto di vista alimentare, dalla Jugoslavia, non
potendo la lontananza dal resto del Regno d’Italia garantire il sostentamento degli abitanti. Se si analizzavano, infatti, i dati sull’«Agricoltura» tutto
ciò risultava evidente poiché
l’estensione territoriale comunale, di ettari 5716,77… ha una superficie che solo per brevi tratti è piano o pianeggiante, ma riposa per
¾ su masse calcaree… data la struttura geologica manca una rete
idrografica superficiale [cioè non ci sono corsi d’acqua]… I pascoli,
per la natura carsica del terreno e per la frequenza delle stagioni
siccitose hanno per lo più l’aspetto di ampie petraie, dove gli animali
trovano soltanto a stento ed in epoche propizie possibilità di esistenza; e ciò porta, come conseguenza, ad un graduale degradamento
dei terreni boschivi… Pascoli magri… boschi insufficienti a fornire
il combustibile necessario… Per le coltivazioni principali… solo la
vite trova favorevoli condizioni ambientali e favorisce un prodotto
quasi costante, sicuro e di buona qualità… Anche l’olivicoltura trova
le più favorevoli condizioni di clima, di posizione e di terreno… la
marasca, essendo fra gli alberi a nocciolo il meno esigente per terreno, trovasi diffuso nel Comune di Zara… il mandorlo… permette di
conseguire dei redditi notevoli anche là dove non sarebbe possibile
la coltura di altre specie39.
Ovviamente vi erano
colture erbacee, con la media del prodotto del frumento che nelle
buone annate raggiunge i 16 quintali per ettaro… mentre in quest’ultimo tempo anche i prati artificiali hanno assunto un notevole sviluppo… e la coltura delle ortaglie, specialmente nella frazione di Borgo
Erizzo, si è molto sviluppata
ma queste ultime voci pesavano ben poco (come il «patrimonio zootecnico») nella bilancia alimentare della città.
Per quanto riguardava l’attività turistica, nonostante il flusso di viaggiatori in partenza nel porto, notavano i Redattori come «non si ebbe fin ad
39
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 22.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
144
oggi uno sviluppo organico sia per la mancanza di un’attrezzatura che di
un’esperienza turistica»40. E ciò nonostante
per lo sviluppo del turismo esistono a Zara condizioni naturali e ambientali quanto mai favorevoli… poiché alla città fanno corona isole
incantevoli e in terraferma uan catena pittoresca di montagne, le Babie. Tutta la costa a Settentrione della città, “la Riviera di Maistro”
degrada dolcente fino al mare… con spiagge e pinete, mentre la costa
meridionale, con la magnifica passeggiata delle Colovare e più oltre
fino a Sant’Elena… ha tutte zone di interesse turistico. Zara inoltre,
per la mitezza del suo clima e il gran numero delle giornate di sole,
è un’ottima stazione climatica invernale… oltre ad essere… con la
spiaggia di Puntamica… un delizioso soggiorno balneare41.
La Storia e l’Arte non erano poi da meno per cui
Zara sorge su una lingua di terra che si protende in modo caratteristico e interessante sul superbo canale di Zara… L’aspetto caratteristico della città, che per le sue calli, calette, campanili e piazze, che
arieggiano quelle di Venezia; per l’abbondanza e il valore dei suoi
monumenti; per gli interessanti avanzi di costruzioni romane; per le
sue chiese antiche con ricchi reliquiari e pregiati dipinti; per il suo
Museo Archeologico, ricco di oggetti d’Arte preromana e di preziosi
vetri, collocato nell’antichissimo e famoso tempio di San Donato,
ch’è esso stesso uno dei più rari monumenti, per la sua singolare architettura; per i suoi parchi e giardini; per le sue magnifiche passeggiate, suscita il più vivo interesse nel visitatore e destra entusiastica
ammirazione.
Ma quasi nulla anche se vi erano «alberghi e pensioni 6»42, destinati
però ad avventori di passaggio o giunti per commercio o per impegni amministrativi.
Decisamente meno ‘depressa’, a partire dal 1923, la situazione industriale, dopo che, per il rilancio dell’economia cittadina, il Governo aveva concesso a Zara la «franchigia doganale» (Decreto Legge sul Porto Franco del
12 marzo 1923).
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 21.
Ibid.
42
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 24.
40
41
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
145
I Redattori della Relazione enumeravano le «antiche industrie zaratine»,
quali le famose «distillerie di maraschino dal 1700… con un complesso
produttivo [che beneficiando delle agevolazioni di Legge] sia pur piccolo è
però efficentissimo… con famosissime marche quali Luxardo, Drioli, Vlahov e Stampalia»; poi «i pastifici… dovuti ad iniziative di intelligenti industriali delle Marche… o veneti»; quindi «l’industria delle sigarette… con
la Manifattura Tabacchi Orientali e la Manifattura Zaratina Sigarette»; poi
«la fabbrica di cioccolato di Antonio Zerauschek»; «una fabbrica di reti da
pesca, la Sapri»; e «l’industria metallurgica Dalmata, dovuta a industriali
emiliani»43.
E c’era anche la «cereria» (da cui il nome del sobborgo «Ceraria»), stabilimento per la produzione della cera. Ne derivava che «considerando Zara
industriale… la densità industriale [degli occupati] è di 1/200 abitanti; quella artigiana è di 4/200 abitanti; quella operaio-industriale… è di ¼ dell’intera popolazione»44.
Non erano grandi industrie pesanti, ovviamente, ma creavano lavoro e
molti occupati (tra cui «le ragazze delle frazioni rurali, specie di Borgo
Erizzo, impiegate negli stabilimenti industriali, che però conservano come
domicilio le abitazioni paterne rurali»45). Insomma si aveva in quadro della
città, della sua vita economica, della sua realtà sociale, che non si trovava
in pressoché alcuna altra pubblicazione, dovendo avere, obbligatoriamente,
i requisiti della ‘verità’ (visto che solo su dati veri si potevano prospettare concrete previsioni urbanistiche). Sembrava un quadro negativo, di una
città ‘strozzata’ nel suo status di énclave – e per molti versi lo era – ma la
situazione complessiva risultava comunque decisamente migliore rispetto
a quella delle zone dalmate della Jugoslavia e i vantaggi per Zara erano
evidenti.
A rischiarare il quadro contribuivano infatti anche le analisi sul «Commercio» al cui rilancio aveva puntato l’istituzione della «franchigia doganale… considerando cioè i territori della Dalmazia, assegnati all’Italia, fuori
dalla linea doganale, estendendosi pure la franchigia ai generi che formano
oggetto di monopolio dello Stato».
Tutto veniva, insomma, a costare meno e si fruiva, così, di agevolazioni economiche che, in particolare, potevano favorire l’impianto di nuove
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 23.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 24.
45
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 16.
43
44
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
146
industrie (com’era avvenuto effettivamente per i pastifici e per l’industria
metallurgica) e anche l’attività del porto.
Dopo quindici anni (1923-1938) la Relazione lasciava certo intravedere
come le facilitazioni non avessero poi dato i frutti inizialmente sperati (la
cantieristica navale restava decisamente al palo), se non per l’impianto di
qualche industria; ma quelle industrie erano sostanzialmente bastate all’esiguo numero di abitanti. Se anche non vi era stato boom, tutto ciò aveva però
positivamente inciso, piuttosto, sul «rifiorire del minuto commercio»46. Anche in questo, in verità, la condizione di Zara dimostrava di dipendere in
gran parte dal retroterra jugoslavo, poiché
il numero complessivo degli esercizi commerciali… che ascende a
567… può apparire sproporzionato se confrontato con i dati della
popolazione presente nel Comune nel 1937 (23.601 abitanti) [con un
rapporto dunque di un esercizio ogni 42 abitanti, una quantità elevatissima], specialmente per alcune categorie di negozi di maggiore
importanza [si pensi alle ben 22 gioiellerie e negozi di oggetti di
lusso; o alle 34 mesticherie e ferramenta; per non dire delle ben 60
trattorie e fiaschetterie] se non si tiene conto del numero rilevante,
non precisabile, di consumatori residenti nel territorio limitrofo d’oltre frontiera47.
Insomma la ricchezza di Zara – anticipando una vocazione commerciale
che decenni dopo sarebbe stata raccolta da Trieste – era quella di fornire
alle popolazioni jugoslave tutti quei generi da loro introvabili o carissimi,
oltre che porsi come emporio di incontro e di scambio. E si trattava di una
svolta economica decisiva, perché come notavano i Redattori della Relazione
Zara non ha mai fondato le ragioni della sua esistenza, né ai tempi
della Repubblica Veneta, né durante la dominazione austriaca, su
un’economia di scambio e di produzione. La città ebbe un altro
compito… era il centro amministrativo della Provincia… il più
vicino a Venezia e a Vienna… E in seguito ai Trattati di Pace,
la struttura economico-commerciale del Comune si rese dunque
pletorica e insostenibile… poiché da capitale di una provincia di
46
47
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 24.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 25.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
147
700.000 abitanti, Zara era diventata il capoluogo di una provincia
di circa 18.000 abitanti48.
Gli Zaratini, grazie al concorso del Governo, erano però stati in breve
capaci di reinventarsi un nuovo ruolo e una nuova rilevanza territoriale; era
però chiaro che la città, ‘soffocata’ entro i confini jugoslavi come un’énclave (isolamento e dunque impossibili infrastrutture non le avrebbero mai
garantito la possibilità di un deciso decollo, a meno di una fiscalità praticamente azzerata che attirasse capitali ‘franchi’), aveva bisogno che la
Politica internazionale fosse improntata ai buoni rapporti e all’apertura, di
un clima favorevole visto che «da ultimo, i migliorati rapporti politici col
retroterra jugoslavo consentono un’affluenza maggiore di consumatori in
città»49.
Questa era, senza dubbio, la prima priorità che era emersa dagli studi
preliminari: favorire in ogni modo (anche con nuove infrastrutture, strade,
etc.), la circolazione rispetto alle aree limitrofe della Jugoslavia e non adottare una politica di ‘chiusura’.
Il che, ovviamente, non significava abdicare a quei valori di Italianità
che la Politica (e anche gran parte della popolazione) richiedeva fossero un
cardine ineludibile; anzi. Una «Dalmazia italiana» avrebbe rilanciato ancora di più l’economia Zara, che avrebbe anche assunto nuovamente il suo
ruolo di Capitale amministrativa, oltre a tutti gli altri.
C’erano, poi, le ulteriori questioni, evidenziate dagli studi, che andavano
affrontate con energia:
a.il fatto che «l’edilizia ha fatto progressi rilevanti, specialmente in
merito al Comune, ma l’assanamento di molte zone della città e di
quelle dei villaggi è un postulato che richiede radicali risoluzioni che
non devono farsi attendere»50;
b. l’impegno a «spostare, nei limiti delle possibilità, gli elementi in gioco
della Natura… specie in riferimento al rimboschimento per rendere
maggiormente produttivi gli attuali pascoli a produttività molto
limitata… Già nel 1926 venne creato il Consorzio di Rimboschimento
per la Provincia di Zara»51.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 24.
Ibid.
50
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 17.
51
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 22. Si veda anche: Firenze, Istituto
48
49
148
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
2.2. Ancora un nuovo ruolo per Zara nel Piano ‘estetico’: Storia, Cultura
e Turismo. Importanza del «risanamento edilizio» urbano: «la messa in
valore di edifici e complessi monumentali, testimoni della secolare civiltà
italiana sull’altra sponda dell’Adriatico, è uno degli aspetti più importanti,
più attuali del Piano Regolatore di Zara».
Con molta chiarezza i Redattori del Piano individuavano nella Storia,
nella Cultura e dunque nel Turismo, uno dei nuovi orizzonti di sviluppo
per Zara:
L’attività turistica riveste un’importanza fondamentale nei riguardi
dell’attuazione del progetto del Piano Regolatore per questo Comune… tanto da costituire una delle maggiori possibilità dello sviluppo
economico cittadino. In tutti questi anni la città è andata acquisendo
un aspetto nuovo e moderno… e le importanti opere pubbliche hanno messo in risalto le sue bellezze naturali ed artistiche52.
Il nuovo Piano Regolatore avrebbe dovuto agire dunque in due direzioni:
quella naturale e quella storico-artistica (da cui l’ulteriore utilità della sistemazione dell’antico centro).
Per gli aspetti naturali, da connettere
allo sviluppo del turismo esistono a Zara condizioni naturali e ambientali quanto mai favorevoli… poiché alla città fanno corona isole
incantevoli e in terraferma una catena pittoresca di montagne, le Babie. Tutta la costa a Settentrione della città, “la Riviera di Maistro”
degrada dolcente fino al mare… con spiagge e pinete, mentre la costa
meridionale, con la magnifica passeggiata delle Colovare e più oltre
fino a Sant’Elena… ha tutte zone di interesse turistico. Zara inoltre,
per la mitezza del suo clima e il gran numero delle giornate di sole,
è un’ottima stazione climatica invernale… oltre ad essere… con la
spiaggia di Puntamica… un delizioso soggiorno balneare53.
Geografico Militare, “Carta Forestale del Regno d’Italia”, f.101: Zara, 1938 (coll. 5-A-4,
inv. 5971).
52
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 20.
53
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 21.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
149
Se
nelle zone del territorio del Comune, che per la loro posizione e per
le loro attrattive naturali presentano primaria importanza turistica,
l’attività turistica troverà nuovi sviluppi… con la creazione di stabilimenti balneari perfettamente attrezzati, campi di giuoco, costruzioni
di ville, pensioni lungo la riviera, eventuale costruzione di qualche
albergo di lusso54,
l’attenzione si concentrava su Puntamica e la sua area, posta nella parte
più ad Ovest lungo il Canale di Zara, per fare della sua la spiaggia «un
delizioso soggiorno balneare»55, poiché tra «le zone comprese nel Piano…
Puntamica [va sviluppata] essenzialmente come centro balneare»56.
Il primo passo doveva essere «il completamento della Litoranea per
Puntamica»57, «o la creazione di un’arteria… fiancheggiata da una fascia
destinata a ville signorili, che riunisce Puntamica a Zara, lambendo la zona
destinata alle colonie marine, l’idroscalo, gli stabilimenti balneari. Essa
sarà la passeggiata panoramica, turistica, sportiva della città»58, con una
previsione che era di vero e proprio Zoning. Ma nelle previsioni c’era anche
il fatto che
l’attuale, embrionale centro balneare viene opportunamente e largamente attrezzato, con la creazione di nuove arterie, con al costruzione di altri edifici ed impianti di carattere balneare e turistico, in
modo da fare della zona un’attraente e gradevole centro di mondanità e di svago. Il piccolo borgo esistente viene riorganizzato e sistemato, sì da farne un caratteristico villaggio di pescatori, che potrà
costituire il degno completamento della zona balneare.
Per lo sviluppo del Turismo era dunque fondamentale una buona ‘politica balneare’. Ma anche la valorizzazione delle qualità storico-artistiche
aveva la sua parte molto importante:
Il Piano Regolatore, nel risolvere tutti i complessi e numerosi problemi urbanistici col previsto risanamento di vaste zone urbane e suburbane, tiene conto dell’attività turistica… [contribuendo a procurare]
Ibid.
Ibid.
56
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 36.
57
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 35-36.
58
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 41.
54
55
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
150
a Zara, fra le altre località turistiche dell’Adriatico, quell’importanza
che essa… anche per la sua storia, per i suoi monumenti e per la sua
civiltà è ben degna di assumere.
La «Parte III» della Relazione passava poi a enucleare quei «Precedenti
urbanistici» che avevano lasciato traccia di sé sul tessuto della città, e che
costituivano ora un Valore sul quale puntare:
1. La città romana… Alla configurazione impressa a Zara dagli
architetti militari romani, questa deve il suo piano odierno… con
il foro… che parte dall’angolo Nord del Foro [attuale]… le vie che
presentano un andamento parallelo alle vie trasversali della città romana… con il Cardo e il Decumanus che avevano l’orientamento
NO-SE che hanno le vie odierne… 2. La città medievale… Gli edifici sacri che vanno dall’VIII al XII secolo… confermano la fedeltà della prima ripresa edilizia al precedente piano romano… Ma la
fedeltà al piano romano si conferma poi in grande stile nel periodo
successivo… quando la ricostruzione delle Chiese… viene condotta
in perfetto coordinamento con gli edifici precedenti e sempre con lo
stesso orientamento SE-NO… 3. La città veneta… Il volto di Zara
Veneziana [del XV secolo] non può essere stato, dal punto di vita
planimetrico, molto diverso dall’attuale59.
Poco si sapeva, in verità, di «Zara veneziana» del Quattrocento se non
per un famoso palazzo, «Casa Grisogono Vovò», che versava peraltro in
pessime condizioni conservative. Strettamente connessa alla politica di recupero dell’antico centro della città era dunque l’intenzione della Podesteria
di risolvere il problema del Palazzo, tanto che, proprio nel 1938, il Podestà
di Zara aveva deciso di prendere in mano la situazione, scrivendo al Ministro dell’Educazione Nazionale che ne informava il Soprintendente all’Arte
Medievale e Moderna di Ancona e della Dalmazia:
Il Podestà di Zara, nel far presente al Ministero le condizioni di
abbandono della Casa Grisogono Vovò ha prospettato l’opportunità dell’acquisto del monumentale edificio da parte dello Stato per
sottrarlo alla definitiva rovina. Questo Ministero non sarebbe alieno
dall’esaminare tale proposta, ma prima desidera conoscere il Vostro parere circa la convenienza dell’acquisto e se eventualmente
59
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 28-29.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
151
l’edificio si presti ad essere destinato a sede di qualche Istituto statale, possibilmente di carattere culturale60.
La nota del Podestà era stata ben articolata e si poneva all’interessamento del Ministero
per il problema del consolidamento, il restauro della Casa Grisogono
Vovò, edificio compreso nell’elenco del Monumenti artistici di Zara,
per cui, nel febbraio di quest’anno, perché minacciante crollo, dovetti disporre l’immediato sgombero di ragioni di sicurezza pubblica
e il puntellamento dei muri perimetrali esterni pericolanti, nonché
l’interruzione del traffico attraverso la Calle che fronteggia l’edificio
stesso. La costruzione di questa Casa risale alla fine del secolo XV
ed è forse delle case private la più caratteristica costruzione veneta,
specie il cortile colla scala interna, riprodotto e illustrato in numerose pubblicazioni. In proposito Cecchelli nel suo ‘Catalogo delle
cose d’Arte e artistiche di Zara’ scrive “delizioso edificio della fine
del XV secolo, si distingue soprattutto per lo stupendo cortile, che
ha loggiato aperto, scala esterna, portico ad archi ribassati e loggia
con copertura lignea riposante su colonne sottili e alte Un insieme
di un’estrema levità, cui le deliziose transenne, a cerchi lobati nei
parapetti della loggia, aggiungono un ricamo sottile. Nel mezzo è la
margella di pozzo (però del sec. XVIII) di svasatura elegantissima…
L’esterno è di pietre quadre e ha un bel architravato con stemma. È il
tipo della casa veneziana quattrocentesca. Gli archi con la soprastante loggia ripetono il motivo del portico nel chiostro di Santa Maria.
Vari elementi questa corte si rivedono pure nella casa abbaziale di
Sant’Ilario a Venezia ed altri riappaiono in diverse case venete. Ma
osiamo dire che questo di Zara è l’esempio più completo e più armonioso, di una leggiadria incomparabile. A ragione lo Jackson vi
ritrovò la sentimentalità del ‘patio’ ispano-moresco“[61]62.
Missiva del Ministro dell’Educazione Nazionale al Soprintendente all’Arte
Medievale e Moderna di Ancona e della Dalmazia del 29 novembre 1938 in Roma, ACS,
AA.BB.AA, Divisione II, 1940-1945, b.174, fasc. 3116, in rifer. prot.10795.
61
C. CECCHELLI, Catalogo delle Cose d’Arte e d’Antichità d’Italia. Zara, Roma,
1932, pp. 180 e segg.
62
Missiva del Podestà di Zara al Direttore delle Antichità e Belle Arti del Ministro
dell’Educazione Nazionale, Marino Lazzari, del 16 novembre 1938 Roma, ACS, AA.BB.
AA, Divisione II, 1940-1945, b.174*, fasc. 3116, prot.10795.
60
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
152
Erano già stati compiuti una serie di studi per quel restauro, ma gli esiti
erano risultati insoddisfacenti:
La R. Soprintendenza, da me interessata, dispose prontamente, a
mezzo di un proprio funzionario, un sopralluogo, al fine di stabilire
l’entità dei lavori da eseguire, tenendo soprattutto presente la parte artistica dell’edificio, già in passato manomesso con adattamenti
vari e con la costruzione di un piano superiore ai due piani originari. Frattanto i proprietari dello stabile presentarono un progetto
di consolidamento, studiato da un Professionista del luogo, progetto
che la Soprintendenza giudicò ottimo dal punto di vista tecnico, ma
insufficiente dal punto di vista artistico… Poiché lo studio di un progetto di restauro e consolidamento avrebbe richiesto mezzi superiori
a quelli molto modesti a disposizione dei proprietari dello stabile,
la soluzione del problema si trova tuttora a un punto morto… Vi
prego quindi di voler esaminare con ogni benevolenza la possibilità
che l’azione dello Stato si concreti in forma decisiva con l’acquisto
dell’immobile.
Naturalmente il Soprintendente delle Marche e Dalmazia, Guglielmo
Pacchioni, avrebbe espresso parere favorevole all’acquisto, ma ancora nel
1942 – quattro anni dopo – la situazione si trascinava, senza che il Podestà
avesse mai rinunciato. Toccava a Luigi Crema, “Commissario per le Antichità, i Monumenti e le Gallerie” per conto del Governatorato della Dalmazia, dopo la conquista italiana, rimettere in moto tutta la pratica, inviando
al Ministero
il preventivo per il ripristino e la sistemazione della casa Grisogono,
al quale si fanno seguire quanto prima i disegni del progetto per
l’approvazione di codesta Direzione Generale… Il Palazzo dovrebbe
diventare la sede di questo “Commissariato”, il quale, essendo ancora sistemato nelle due stanze della Direzione del Museo di Zara,
in modo precario e del tutto insufficiente, trova, nel prolungarsi di
questo stato di cose, grave ostacolo allo svolgimento della sua attività. Si confida che sui fondi speciali dati da Capo del Governo per il
restauro dei Monumenti italiani, nel prossimo esercizio finanziario
1942-1943, potrà essere concessa la somma richiesta63.
Missiva di Luigi Crema, Commissario per le Antichità, i Monumenti e le Gallerie
della Dalmazia alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero
63
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
153
Le indicazioni di Crema, che dovevano essere state per forza avvallate
da colloqui diretti tra Mussolini e il Governatore della Dalmazia, Giuseppe
Bastianini (almeno per la dotazione del finanziamento), venivano dunque
recepite al Ministero:
Il Podestà di Zara sta svolgendo attive pratiche per ottenere l’esproprio della Casa Grisogono Vovò, che sarà poi messa a disposizione di
questa Amministrazione per gli Uffici di quel “Commissariato per
le Antichità, i Monumenti e le Gallerie” e, in seguito, della nuova
Soprintendenza della Dalmazia. L’Eccellenza, il Ministro, nel prendere atto di tale iniziativa, ha assicurato il Podestà che al predetto
“Commissariato” saranno assegnati i fondi necessari… prelevandoli
dai 5 milioni messi a disposizione dal Duce per opere di restauro
monumentale64.
Ma le difficoltà della Guerra e la complessità nel risolvere la situazione
giuridica dell’immobile avrebbero interrotto tutta la pratica.
La Casa Grisogono era un monumento singolo, per quanto assai significativo di un’intera stagione, e diventava così evidente, nel 1938, come non
ci fosse soluzione di continuità tra le singole iniziative restaurative e la
complessiva attenzione verso tutto il tessuto storico urbano. Logicamente,
all’interno delle previsioni del Piano Regolatore, un fulcro di maggior rilevanza era costituito da «4. La città moderna», i cui fabbricati erano ben più
leggibili all’interno del tessuto zaratino:
L’età moderna [dal Cinquecento in poi] ha costruito una serie di edifici che non corrispondono più all’orientamento originario romano,
ma bensì alla pianta delle fortificazioni perimetrali venete… Zara
soltanto nell’ultimo quarto del secolo XIX, per l’abbattimento dei
Bastioni [delle fortificazioni venete cinquecentesche] a Ponente e
l’allargamento della Riva Nuova… venne a guadagnare circa 7 ettari
e altri 3 nel primo quanto di questo secolo con la creazione di riva
Derna65.
dell’Educazione Nazionale, del 20 giugno 1942 in Roma, ACS, AA.BB.AA, Divisione II,
1940-1945, b.174*, fasc. 3116.
64
Appunto del dirigente del Ministero dell’Educazione Nazionale, Costa, per il Capo
della Divisione III della Direzione delle Antichità e Belle Arti dello stesso Ministero, del
4 agosto 1942 in Roma, ACS, AA.BB.AA, Divisione II, 1940-1945, b.174*, fasc. 3116.
65
[G. Borrelli de Andreis, P. Rossi de' Paoli e V. Civico], Il Piano
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
154
Per il «Vecchio nucleo» si passava a enucleare i vari problemi a partire, con un’ottica funzionalista ormai corrente in tutti Piani Regolatori moderni, da quelli del «traffico». Ma Zara aveva la possibilità,
esattamente come Venezia all’interno del suo nucleo centrale, del
solo traffico pedonale, anche perché«sopra gli spalti dell’antica cerchia muraria gli edili del passato accortamente hanno creato una comodo e ampia arteria periferica, che circonda tutto il nucleo e porta
il traffico automobilistico a brevissima distanza dai principali centri
di vita della città… È un’arteria per buona parte sopraelevata e presenta pochi incroci a livello66.
Dunque
il traffico di penetrazione in città si svolge pertanto in modo quasi ideale; unico inconveniente sensibile l’imbocco sull’arteria periferica di circonvallazione della Statale n.137, attraverso la porta di
Terraferma… nel senso trasversale, però, a collegare direttamente le
due importantissime rive IV Novembre e Vittorio Emanuele III, in
corrispondenza dei centri principali (il porto, la piazza del Duomo,
la piazza delle Erbe, la piazza del Laurana, la piazze dei Signori e
il ponte [girevole], unico collegamento rapido con i nuovi quartieri
di terraferma) si presenta l’opportunità di adeguati provvedimenti…
per completare le arterie esistenti, correggere qualche tratto o rendere agevole qualche altro.
Apparentemente innocui «provvedimenti» di allargamento o rettifica
sarebbero venuti, invece, a incidere profondamente sull’antico tessuto di
Zara, ribadendone il disegno a cardi paralleli romani. E lo stesso poteva
dirsi per il Decumano
poiché anche in senso longitudinale si presenta l’opportunità di migliorare la trasversale massima, calle Largo-D’Annunzio-Verdi e di
dare prosecuzione… all’altra arteria calle San Domenico-Santa Maria. Questi provvedimenti di viabilità interna, poi, coincidono con la
necessità di risanamento di talune zone e quartieri… e con la liberazione e valorizzazione di taluni insigni monumenti67.
Regolatore di Zara…, cit., pp. 28-29.
66
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 31.
67
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 31-32 e nello specifico, “Il Piano di
sistemazione interna. Viabilità e traffico”, pp. 41-43.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
155
A ben vedere, tra tracciati stradali, quartieri e isolati, la conformazione planimetrica dell’antica città romana, in alcuni punti ‘offuscata’ o non
ben leggibile, veniva insomma ben ridelineata. Del resto, si pensava di (ri)
tracciare
«la nuova longitudinale per calle San Zorzi, calle San Francesco… di
prolungare la calle San Simeone fino al viale Moro68, oltre che procedere ad allargamenti e rettifiche, con abbattimento ‘chirurgico’ di
case, in calle del Tribunale, per risanare il vicolo stretto e tortuoso».
Comunque, per la prosecuzione delle opere di «risanamento» già avviate dalla Podesteria negli anni precedenti, veniva sottolineato come
dato il carattere nettamente artistico, oltre che storico della città, e la
non grande espansione dei nuclei malsani, non è neppur da pensare
di far luogo a grandi demolizioni e a vasti, quanto inutili, sventramenti. Molto opportunamente potrà adottarsi il “metodo del Diradamento” [di Gustavo Giovannoni], eliminando gli elementi edilizi
peggiori, aprendo larghi e piazzette a verde, restaurando gli edifici
che ne sono degni.
In particolare, erano stati messi a punto ulteriori «criteri direttivi» di
orientamento delle scelte:
a tergo della Scuola elementare “A. Cippico”… il Piano prevede la
demolizione di tutte le casette e casupole che un accurato rilevamento ha dimostrato in pessime condizioni, rispettando invece tutta
la restante edilizia che, anche se non ideale, rappresenta tuttavia un
patrimonio economico non trascurabile ed è del resto suscettibile di
restauri e ammodernamenti. Questo criterio direttivo è stato adottato in tutte le operazioni di risanamento… Altra zona di risanamento
è quella tra la piazza Marina, il viale Domenico la calle San Demetrio. Il progetto prevede lo sventramento interno del denso isolato –
solo rispettando le case esterne in buone condizioni – e la creazione
di una piazzetta verde, con la ricostruzione di un isolato… Quarta
zona di risanamento è quella formata dalle stradette in cui si sperde
la calle Calceniga. In questo caso alle non vaste demolizioni, subentrano alcune costruzioni, che migliorano e chiarificano la rete
viaria interna… L’isolato terminale della calle del Paradiso viene
68
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 44.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
156
completamente demolito e costruito»69, come anche quello «tra il
viale Moro e le vie adiacenti»70.
Il ‘ridisegno urbano’ dei singoli snodi (di marca in questo caso piacentiniana) toccava il proprio acme – rispetto ad una concezione giovanoniana
attenta alla razionalizzazione complessiva del tessuto con strade, piazzette,
slarghi, riduzione della densità edilizia – nel
complesso delle attuali piazza delle Erbe e piazza Laurana, che si
presta perfettamente… alla creazione di un nuovo “centro monumentale” di Zara fascista… Attualmente l’innesto tra le due piazze
è fuori asse rispetto all’insieme della composizione urbana e, peggio
ancora, formato su un lato da un edificio a forma triangolare molto
acuta. Il passaggio tra le due piazze è troppo stretto… e così il mirabile quadro è spezzettato e immiserito… Ma le due piazze… sono
congiunte con una breve scalinata… anche se, pur se separate, vengono a formare un sistema urbanistico unico e armonioso, per cui
il varco tra di esse viene convenientemente allargato e sistemato71.
Per quanto riguardava la «valorizzazione dei monumenti», esisteva una
puntuale continuità, all’interno del Piano, tra «risanamento» e aspetti monumentali:
la soluzione del problema del risanamento è in molti casi abbinata,
come quella del traffico, alla messa in valore di edifici e complessi
monumentali, testimoni della secolare civiltà italiana sull’altra sponda dell’Adriatico. È questo uno degli aspetti più importanti, più attuali del Piano Regolatore di Zara, che ha il dovere di conservare gelosamente il patrimonio monumentale veramente singolare e cospicuo
contenuto nella sua pur non vasta superficie… Il complesso di piazza
delle Erbe e piazza Laurana, centro monumentale della città, contiene accanto ad edifici di grande rilievo (quali San Donato, Sant’Elia,
il Palazzetto Arcivescovile dominato a tergo dalla mole grandiosa
della Cattedrale e del suo magnifico Campanile) case che, seppur
non indegne, tuttavia non reggono al confronto ed immiseriscono
69
70
71
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 43.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 45.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 45-46.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
157
quello che può diventare, con accorta opera urbanistica e architettonica, uno dei centri monumentali più belli e significativi72.
Così, visto che
il Piano opera largamente nel settore di Valorizzazione dei Monumenti… uno dei principali del problema urbanistico di Zara… Primo, senza dubbio, in ordine di importanza, è il complesso monumentale rappresentato dalla Cattedrale, da San Donato, dal palazzo
Arcivescovile… Il progetto prevede la liberazione del Campanile e
delle absidi della Cattedrale e l’apertura di un breve tronco pedonale,
che [libererà] anche San Donato e servirà anche a staccare il complesso monumentale dal nucleo ad abitazioni73.
Non si trattava di un vero e proprio «isolamento» come lo si intendeva
nella pratica urbanistica post-haussmanniana di fine Ottocento, ma sicuramente quel concetto di «liberazione», pur mantenendo la vicinanza e i
rapporti visuali tra Monumenti ed edilizia minuta come voleva sempre Gustavo Giovannoni, portava ad una distinzione netta tra le varie tipologie
(e scale) degli edifici storici. C’era poi l’adozione, anche questa di grande
aggiornamento culturale, dei principi del «pittoresco» e della «tranquillità»; due principi ritenuti fondamentali nella progettazione urbana dalla
Cultura primonovecentesca. «Si aggiunge poi all’attuale tranquilla piazzetta archeologica, un altro slargo, che con la prima formerà un’oasi tranquilla
di incomparabile bellezza a diretto contatto con il vivace, pittoresco centro
commerciale di piazza delle Erbe».
La «liberazione» si connetteva al momento della «percezione» dei Monumenti e dei «fondali», secondo uno studio delle visuali che la nuova prassi urbanistica doveva ricercare:
la liberazione… permetterà il libero e completo godimento di San
Donato… è prevista poi la liberazione del poderoso campanile tronco di San Grisogono… e la creazione di una piazzetta davanti a Santa Maria, che permetterà finalmente di vedere nella sua interezza il
bel campanile, oggi pressoché invisibile… il campanile di San Francesco formerà un attraente fondale… visibile da piazza delle Erbe…
Anche l’isolamento della parte monumentale della caserma Gulli…
72
73
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 32.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 44.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
158
costituirà un nuovo degno fondale… La chiesa di San Simeone viene valorizzata prolungando la Calle omonima… e creando così una
bella visuale sul Campanile… addirittura da piazzetta Sant’Elia con
la demolizione di una casetta e un breve smusso dei giardini del Vescovo si renderà pienamente visibile la piazza delle Erbe74.
2.3. Le aspettative della Modernità all’interno dell’antico nucleo storico
e nell’«ampliamento edilizio» per il miglioramento della qualità urbana (i
nuovi sobborghi di Zara storica)
Alla luce di un preciso bilanciamento tra Storia e Modernità, i Redattori
del Piano sottolineavano come il contributo della Contemporaneità nell’ambito dello sviluppo di Zara dovesse articolarsi in due direzioni: all’insegna
di una Modernità «ispirata… a quanto di bello e di nobile ci hanno tramandato i secoli scorsi» all’interno dell’antico centro; con i migliori linguaggi
d’avanguardia nelle zone d’ampliamento.
1. Decisamente molto delicato e comunque vissuto all’insegna dell’«ispirazione» il primo tema dell’Ambientamento del Moderno nell’Antico:
Uno degli aspetti più importanti, più attuali del Piano… è quello di
accrescere il patrimonio monumentale di Zara con opere moderne
che, pur valorizzando quanto di bello e di nobile ci hanno tramandato i secoli scorsi e ad esso ispirandosi, esprimano la potenza rinnovata della Nazione italiana e formino il documento murale della
nuova Era fascista75.
In particolare
le attuali piazza delle Erbe e piazza Laurana, pur se separate, vengono a formare un sistema urbanistico unico e armonioso… Ad accentuare poi l’opportunità urbanistica dell’insieme, a fiancheggiare la
nuova scalea che unisce le due piazze, vengono progettati due nuovi
edifici a forma di bassi loggiati coperti che, secondo la più bella tradizione veneta, potranno opportunamente accogliere il Mercato delle Erbe, in modo da sgombrare la piazza sopraelevata [l’attuale piazza delle Erbe appunto] dal disordine che ora il mercato vi crea, pur
senza sminuirne la funzione e la colorita vivacità. Su piazza delle
74
75
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 44-45.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 32.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
159
Erbe poi, in luogo delle attuali case di abitazione, sono previsti due
edifici pubblici, di sobria nobiltà architettonica, di cui uno con una
torre, che starà a significare l’opera costruttiva del Regime, e che potrà opportunamente servire per sede delle Poste e Telegrafi. I nuovi
edifici sono previsti su allineamenti non molto dissimili dagli attuali,
ma tali tuttavia da consentire un miglior concentramento della piazza e da facilitare notevolmente l’intenso movimento di persone e di
merci76.
Veniva ribadita, insomma, la struttura urbana ‘a due piazze’, ma con tutta una serie di accorgimenti progettuali anche di carattere simbolico. Infatti
La netta separazione funzionale delle due piazze sarà ribadita con
la collocazione, alle testate della scalea tra i due loggiati, dell’antica
colonna che attualmente trovasi dinanzi ai giardini del Vescovado, e
dell’altra che ora trovasi in campo Dandolo. Sono due colonne romane… Una di esse già porta sul capitello un piccolo Leone di San Marco, sull’altra si potrà porre l’aquila fascista… e saranno così poste in
una sistemazione degna dell’Era attuale, in vista della costa dalmata,
i simboli delle tre grandi epoche della città.
2. Una Modernità architettonica, comunque «ambientata» e ‘compatibile’ dal punto di vista linguistico, doveva albergare all’interno dell’antico
Centro, ma, soprattutto, doveva dare i propri frutti più aggiornati nell’ambito delle nuove espansioni. Era infatti nei nuovi sobborghi urbani che la
‘libertà’ d’ideazione, all’insegna della Modernità, poteva essere chiamata
a fornire i suoi prodotti più significativi della «Zara Mussoliniana». Se la
stratificazione storica, nelle previsioni di Piano, sarebbe venuta a interagire con i problemi del «risanamento» dell’antico nucleo, gli aspetti connessi all’«ampliamento» si circostanziavano, invece, con la parte di città
dei «Sobborghi» settentrionali, che affacciavano sul Porto: «Negli ultimi
quarant’anni [dunque dalla fine dell’Ottocento] si andarono formando i
sobborghi di Ceraria e Barcagno, che fino a pochi decenni or sono, erano
rappresentati soltanto da poche case»77.
Nelle previsioni del “Piano Regolatore” espresse nella “Parte IV” della
Relazione il “Piano di ampliamento” occupava una porzione importante,
76
77
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 46.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 28-29.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
160
«dato il notevole e costante incremento demografico di Zara e in considerazione dello sviluppo edilizio già in atto»78.
Naturalmente si sarebbe potuto obiettare all’affermazione dell’«incremento demografico notevole» (cosa però vera se si considerava alla luce
del ridottissimo contesto zaratino!), mentre nulla si poteva eccepire sul fatto che quell’incremento fosse stato «costante» (in termini percentuali e non
certo per le quantità). Poco importava, perché, affermavano i Redattori, «il
Piano di ampliamento è stato tracciato con una certa larghezza ed esteso, in
particolar modo in quelle zone dove si è già verificato un processo spontaneo di espansione, escluse soltanto quelle non ritenute del tutto idonee alla
creazione di quartieri abitati».
Il Piano, insomma, ribadiva le dinamiche già in atto e non impostava
nuove direttrici di sviluppo, puntando, piuttosto ad un’espansione razionale e a un miglioramento di quanto già fatto. Infatti «le zone comprese nel
Piano sono principalmente… Ceraria, Barcagno, la zona tra la città e Borgo
Erizzo, Puntamica (quest’ultima essenzialmente come centro balneare)».
A fondamento della (ri)progettazione anche dei Borghi, si poneva, ancora una volta sulla base delle moderne teorie dell’Urbanistica funzionalista,
lo studio del traffico veicolare e il conseguente «schema viario»:
Lo schema viario generale della città futura è impostato su motivi
semplici e funzionali. Importanza preminente hanno le grandi radiali, la cui penetrazione in città viene migliorata e alleggerita dei
traffici di quartiere; e le strade longitudinali di collegamento, che
debbono assicurare il funzionamento urbanistico di una fascia di notevolissima lunghezza, che si sviluppa da Puntamica a Borgo Erizzo
[da Ovest a Est]79.
Il Piano entrava poi nel dettaglio della riprogettazione dei singoli sobborghi, mettendo in evidenza il principio informatore comune a tutti gli
interventi (a partire, ovviamente, dal solito «schema viario», declinato in
chiave decisamente funzionalista specie nella divisione tra i vari assi a
seconda della natura dei flussi veicolari): «la viabilità principale di ogni
singolo nuovo quartiere è tracciata in modo da tenere nettamente distinto
il traffico di transito da quello interno; quest’ultimo è avviato su comode
arterie centrali, che adducono ai piccoli centri autonomi».
78
79
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 36.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 37.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
161
Lo schema, piuttosto che espansivo lineare o in densità, era quello ‘satellitare’, fondato sullo sviluppo di centri autonomi:
piccoli centri autonomi sono previsti in ogni quartiere e formati con
l’opportuna distribuzione, attorno a piazze ravvivate quasi sempre
da zone di verde, degli edifici di carattere pubblico indispensabili in
ogni aggregato moderno, quali la chiesa, l’edificio delle istituzioni
del Regime, la scuola, ecc.80.
Poteva sembrare un dato compositivo ‘scontato’, ma in realtà non lo era
affatto: si trattava sicuramente di una organizzazione «moderna», ma era
anche la riproposizione del tradizionale «borgo italiano» incentrato sulla
piazza, sulla «plantatio Ecclesiae», sugli edifici pubblici (e ora, sulla presenza, ovviamente inedita nella Tradizione, degli Istituti fascisti). Ad esempio, i vicini borghi balcanici, distanti anche solo pochissimi chilometri, non
erano certo così… «Vicino ad ogni centro, si è sempre previsto un adeguato
mercato rionale, che assicuri autonomia di vita al nuovo aggregato cittadino».
Ecco, l’idea-base dell’«ampliamento»: fare in modo che si creasse un sistema di rioni autosufficienti, che sollevassero l’antico nucleo di tutte quelle
funzioni che potevano essere assolte localmente. Sempre sulla base della
stessa logica, venivano poi previste le «zone verdi», altro cardine dell’Urbanistica funzionalista: «Particolare importanza è stata data alle zone verdi,
previste largamente in ogni quartiere, sia come veri e propri parchi pubblici, sia come viali a verde, costituiti a sistema continuo e organico».
Il Podestà aveva auspicato la realizzazione di «città-giardino»; i Progettisti ne avevano evidenziato l’impossibilità; lo schema progettuale di base
per il rinnovo dei borghi restava ben lontano da quell’idea! «Naturalmente
sono state innanzi tutto sistemate e opportunamente attrezzate le zone verdi esistenti… come le belle pinete»81.
Alla luce di tali principi informatori generali, scendendo nello specifico
il Piano andava ad avanzare proposte per le singole realtà, tenuto conto che
si trattava di sobborghi che «negli ultimi quarant’anni [dunque dalla fine
dell’Ottocento] si andarono formando».
80
81
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 38.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 38.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
162
Ceraria, sorto al di là del porto presso la fabbrica di cera e collegato alla
città dal ponte girevole, «presenta una fila di edifici moderni, regolarmente allineati lungo una via rettilinea, mentre dietro questo sipario costruito
razionalmente, case rurali e villini si alternano in caotica irregolarità»82.
E in particolare
l’ultimo quartiere che sta sorgendo, ed a carattere tipicamente moderno, è la parte meridionale di Ceraria, che si raggruppa intorno
al viale Malta, che funge da asse. Questo rione, che con poche costruzioni può venire in contatto, verso il fondo del porto con le case
popolari e popolarissime di Val dei Ghisi, potrebbe creare, a Oriente
degli odierni complessi degli edifici zaratini, un vasto quartiere ad
anfiteatro avente per platea il porto. Questo quartiere, nato e nascente dalla grande ripresa edilizia del periodo fascista, attende più di
qualsiasi altro un Piano Regolatore per poter essere in avvenire il
vanto perenne della “Zara Mussoliniana”83.
Nelle valutazioni del Piano
è il più importante quartiere di ampliamento… ma eseguito un accurato e dettagliato censimento e rilevamento, il Piano Regolatore
prevede una completa trasformazione urbanistica… in modo da farne un quartiere per il ceto medio. È prevista pertanto la graduale
eliminazione delle case rurali e la creazione di un organismo urbano
di linee semplici, ma gradevole e composto, gravitante attorno ad
una nuova piazza… collegata alla riva Cristoforo Colombo con una
bella arteria… così che dalla riva IV Novembre [a Zara] si avrà la
visuale del nuovo centro con qualche elemento architettonico – torre
o campanile – che in essa le serva da fondale84.
Non si poteva certo dire che gli stessi principi che animavano l’intervento sull’antico centro (creazione di slargi e piazze, rettificazione di strade, visuali studiate) non animassero anche la costruzione del Nuovo… Per
quanto riferito al quartiere di Barcagno, esso
è pure privo di qualsiasi principio informatore, salvo la parte prospiciente il porto interno, che si allinea pure lungo la Riva. Al di là
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 28-29.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 29.
84
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 40.
82
83
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
163
della diga [“la Diga protettiva all’imboccatura del porto – l’antica
‘porporella’ veneziana – è stata completamente riattata a comodo
molo di attracco e di riposo anche di grossi navigli” 85] case e ville seguono con le loro facciate le sinuosità complicate della riviera,
rendendo quanto mai difficile lo studio e la creazione di una futura
città-giardino86.
Era quanto il Podestà aveva auspicato nel 1936, la creazione della «cittàgiardino», ma tecnicamente la proposta sembrava irrealizzabile. Il Piano
prevedeva allora
che l’attuale quartiere viene molto meglio organizzato e completato
con nuove arterie stradali… A monte della nuova [strada] longitudinale… è previsto un ampio quartiere di carattere semintensivo, cernierato a quello attuale con una piazza a funzione di centro rionale87.
I principi dell’Urbanistica ‘estetica’ piacentiniana – con il ‘sistema delle
cerniere’ ai margini costituite da edifici o luoghi pubblici per creare nuove
gerarchie urbanistiche in tutto il vecchio sistema insediativo – emergevano,
in ciò, con tutta la loro forza propulsiva. Ma addirittura si pensava a ‘due
cerniere’ poiché «al di là del nuovo tronco della periferica… è previsto un
ulteriore sviluppo del quartiere dello stesso carattere e dotato di un centro
complementare… Potrà venir costruito in un secondo tempo, quando le
necessità di espansione della città lo richiedano».
Poi, ovviamente, le infrastrutture per tutta la città, come l’Idroscalo, un
nuovo Parco, «una nuova chiesa parrocchiale per i due quartieri di Ceraria
e Barcagno», un nuovo albergo. C’era poi, a Est, la
zona tra la città e Borgo Erizzo… che deve essere completamente
sistemata, in modo da fare dell’attuale, informe e sparpagliato aggregato edilizio, un insieme di piccoli quartieri modernamente attrezzati… Il centro della zona è formato da una piccola piazzetta tracciata
davanti a una nuova chiesa e completata da un mercato rionale appartato88.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 20.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 29.
87
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 40.
88
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 40.
85
86
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
164
Il principale ‘nodo strategico d’espansione’ restava comunque Borgo
Erizzo, il più lontano, a Est, rispetto all’antico nucleo di Zara89. Il quartiere
più popoloso e che aveva visto passare i suoi abitanti residenti dai 2872 del
1921 ai 3799 del 193690 (+24.4% rispetto alla media cittadina del 12.1%),
assorbendo in buona parte l’immigrazione complessiva nel Comune.
un esame approfondito della condizioni attuali del nuovo, ampio e
singolare sobborgo di Zara, delle sue stradette incredibilmente strette e tortuose, e per giunta in gran parte sopraelevate rispetto agli
edifici che le fiancheggiano; della zona bassa e soggetta a continue
alluvioni; un accurato rilevamento casa per casa, ai fini di accertarne
le condizioni igieniche, che sono risultate per circa l’80% degli edifici assolutamente pessime, hanno consigliato una soluzione integrale
del problema91.
Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, il vero risanamento andava condotto a Borgo Erizzo (più che nel centro antico di Zara),
dove, però, era suggerito da altri motivi. Dunque:
il problema del Borgo è uno dei più gravi fra quelli che Zara deve
al più presto affrontare… e si è deciso che solo radicalmente si può
risolvere… eliminando gradatamente le case attuali, rispettandone
solo poche… e trasformando le aree in terreno agricolo. Gli abitanti
troveranno alloggio in un nuovo Borgo Erizzo, da costruirsi a fianco
dell’attuale, ma verso il mare… in posizione ottimamente esposta
verso Sud-Ovest, suscettibile di essere trasformata in un bellissimo
quartiere a carattere rurale, composto quasi tutto di casette a schiera.
Il Piano prevede la creazione di una [strada] longitudinale mediana… dalla longitudinale parte un sistema di trasversali, dirette tutte
al mare che fa loro da fondale, in direzione Sud-Est/Nord-Ovest…
mentre il centro del nuovo quartiere è formato dall’ampliamento e
dalla sistemazione di una piazza, prolungata fino al mare, con un’ampia zona verde ricavata dalla trasformazione dell’attuale cimitero92.
Cfr. B. MARUSSI, La Borgo Erizzo della Zara di un tempo: saggi raccolti in
occasione del 280° anniversario di Borgo Erizzo, a cura di R. Tolomeo e V. Stazzi,
Roma, 2006.
90
[G. Borrelli de Andreis, P. Rossi de' Paoli e V. Civico], Il Piano
Regolatore di Zara…, cit., p. 16.
91
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 40-41.
92
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 41.
89
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
165
C’era però un dato che non andava trascurato: tutti e tre i Professionisti
erano stati designati dalla Federazione Nazionale dei Proprietari di Fabbricati, per cui la loro attenzione al patrimonio abitativo privato era stata
spiccata. Tutte le valutazioni erano state prodotte da analisi relative ad un
«accurato rilevamento casa per casa» a Borgo Erizzo, a Barcagno, nel centro antico (certamente condotto dalla sede locale della Federazione), assumendo, così, come ulteriore principio, il fatto che il mercato immobiliare e
il suo buon andamento (anche in prospettiva, specie dopo il risanamento),
costituissero un motore fondamentale per la realizzazione di un equilibrato
Piano Regolatore.
2.4. Aspetti territoriali e previsioni per la «regione circostante»: un
territorio ‘ridotto’ che faceva coincidere “Piano Regolatore Generale”
comunale e “Piano Regionale”
Vista la risicatezza dell’estensione comunale (55 kmq) e il fatto che il
Comune corrispondeva alla parte più ‘compatta’ della Provincia (i restanti
65 kmq erano divisi nelle isole di Lagosta, Cozza, Pelagosa e Sasseno, peraltro molto distanti da Zara), in merito alle questioni di ambito territoriale,
i “Problemi del Piano Regolatore” comunale venivano radicalmente sintetizzati, riducendosi come «Piano Regionale, a qualche miglioramento della
rete viaria e alla sistemazione urbanistico edilizia dei vari sobborghi»93.
Ovviamente il punto era su che cosa si intendesse per territorio (quello
amministrativo o quello di impatto?), ma, poiché qualche apertura sarebbe
stata auspicabile, i Redattori notavano che
per quanto a norma delle Leggi ancora vigenti non sia possibile comprendere nel Piano Regolatore della città, la sistemazione urbanistica
del territorio provinciale, e in particolare quella dei vari nuclei edilizi in esso compresi, riteniamo opportuno indicare qualche provvedimento che potrebbe essere utilmente adottato94.
Le previsioni erano legate, secondo un’ottica tipica dell’Urbanistica
funzionalistica, agli aspetti connessi al traffico veicolare e alla migliore
programmazione del sistema stradale, ma, in ciò, bisognava innanzi tutto
confrontarsi con le opere del Genio Civile provinciale.
93
94
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 30.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 35.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
166
In seguito a disposizioni avute dal Ministero LL.PP, l’Ufficio del
Genio Civile di Zara ha già previsto, e in gran parte progettato, varie
opere di pubblica utilità aventi rapporto con la sistemazione urbanistica della città. E principalmente: – una Litoranea Nord-Ovest,
che unisce, con un ampio Lungomare, Puntamica a Zara, trasformando in moderno idroscalo Valle di Miastro e sistemando la Riva
Nord-Ovest del Porto; -una Litoranea Sud-Est che, lambendo Borgo
Erizzo, congiunge con Zara la punta del Tiro a Segno; – un ponte
sulla Fossa, che porta direttamente in città il traffico della Litoranea
Sud-Est. Di tali opere… il Piano Regolatore tiene il massimo conto95.
Infatti, nelle previsioni si proponeva
il completamento della Litoranea per Puntamica; il completamento
della periferica esterna, con i due nuovi tronchi tra la Statale 136
per Babindub e quella 135 e il tronco tra la stessa Statale 135 e la
strada per Diclo, che sono più propriamente comprese nel Piano di
ampliamento; si potrebbe rettificare e migliorare l’accesso al sobborgo di Cerno dalla strada di Babindub; come pure quello per Malpaga
dalla stessa strada; e così anche il raccordo tra la statale per Boccagnazzo e la strada longitudinale interna del paese, a Nord di esso. Si
potrebbe opportunamente migliorare l’attrezzatura edilizia dei vari
sobborghi e, in particolare, di Boccagnazzo, situato in posizione dominante rispetto al mare, e che potrebbe essere meta gradevole di
gite e passeggiate96.
2.5. Le reazioni scientificamente positive ad un Piano ‘dai chiari intenti’,
ma anche metodologicamente ‘paradigmatico’
Dopo la pubblicazione, nei primi mesi del 1939, della Relazione relativa
al Piano Regolatore di Zara, gli organi competenti venivano interessati
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 33. La questione del ponte da realizzare
sulla Fossa (nei pressi della quale sorgeva Porta Terraferma) era aperta fin dal 1929: «Il
Ministero dei Lavori Pubblici ha testé concesso in appalto la costruzione di una nuova
strada che partendo dalla Porta di Terraferma dovrà allacciare la darsena “la Fossa” con
Val di Ghisi»: Missiva del Soprintendente all’Arte Medievale e Moderna per le Marche
e Zara, Luigi Serra, alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero
della Pubblica Istruzione, del 16 settembre 1929 in Roma, ACS, AA.BB.AA, Divisione
II, 1934-1940, b.357, fasc. 318, prot. 2454.
96
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., pp. 35-36.
95
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
167
per l’approvazione del progetto, già fatto proprio dalla Podesteria. Dopo
il Prefetto di Zara, nel giugno era il Soprintendente delle Marche e della Dalmazia (italiana), Gugliemo Pacchioni, chiamato dal Ministero ad
esprimere un proprio parere sul nuovo Piano Regolatore zaratino in merito
alle questioni storico artistiche, a rispondere alla sollecitazione della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero dell’Educazione
Nazionale:
La pubblicazione della Federazione Fascista dei Proprietari di Fabbricati illustra il Piano Regolatore redatto, dietro incarico del Comune, dall’architetto Paolo Rossi de' Paoli. Tale Piano Regolatore è stato
nel mese scorso inviato dal Comune alla Prefettura perché sia inviato
a Roma per le necessarie approvazioni. Per potervi riferire dettagliatamente circa le soluzioni che interessano la competenza di questo
Ufficio, è necessario un sopralluogo a Zara e questo non potrà essere
effettuato che nel prossimo luglio, col nuovo esercizio finanziario97.
Purtroppo le osservazioni avanzate da Pacchioni non sono al momento
note, ma certo è che tanto tempo non si poteva aspettare. In più, anche la
Cultura urbanistica nazionale, nel giro di pochi mesi, veniva chiamata in
causa, se non altro per il coinvolgimento della Federazione dei Proprietari
e, quindi, per la delicatezza (politica) delle ‘cose’ zaratine, oltre che per il
fatto che i Redattori avevano voluto puntare l’attenzione soprattutto sugli
aspetti storico-restaurativi e turistico-balneari, e visto anche che Vincenzo
Civico (lui soprattutto) aveva ‘sperimentato’ per Zara una serie di attenzioni metodologiche non ancora poi così diffuse (come nel caso di uno Zoning
molto serrato e univoco dal punto di vista della redazione degli elaborati).
In un lungo saggio, sempre edito su Urbanistica, [Ales]Sandro Molli
compiva una sorta di accurata recensione/presentazione della Relazione
de’ Il Piano Regolatore di Zara edito da Borrelli, de’ Paoli e Civico. Molli
sottolineava, in primis, come le modalità di nascita e realizzazione del Piano zaratino fossero state eminentemente politiche, facendo sì che, corporativisticamente, si potesse contare sul concorso delle varie forze sindacali
della città:
Missiva del Soprintendente all’Arte Medievale e Moderna per le Marche e la
Dalmazia, Pacchioni, alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero
dell’Educazione Nazionale, del 16 giugno 1939 in Roma, ACS, AA.BB.AA, Divisione II,
1934-1940, b.14, prot.1478.
97
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
168
Nato dalla collaborazione delle varie Categorie Sindacali e delle
principali forze economiche di Zara, che predisposero i necessari elementi di studio, il Piano Regolatore prese forma concreta per
opera di nostri ben noti collaboratori, rappresentanti nel seno della
Comissione di studio la Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati: l’avv. Giuseppe Borrelli de Andreis, che elaborò lo
schema di Legge e del Regolamento, e l’ing. Arch. Paolo Rossi de'
Paoli che, con la collaborazione dell’ing. Vincenzo Civico, compilò
il Piano. La Federazione dei Proprietari di Case [Fabbricati], d’accordo con il Comune, pubblica ora i risultati di questa opera, che ha
riscosso il più alto elogio delle Autorità cittadine98.
Il Recensore avanzava però subito una notazione ‘metodologica’ alla
pubblicazione, per il fatto che «come Studiosi, potremmo fare il solo appunto che la planimetria generale avrebbe dovuto essere riprodotta in maggiori dimensioni, facilmente leggibile, sia pur con eventuale riduzione di
dimensione di vedute fotografiche».
Più di tanto non si poteva dire, visto anche che i rapporti tra la Federazione dei Proprietari (FNFPF) e l’INU (Istituto Nazionale Urbanistica), di
cui la rivista Urbanistica era emanazione, erano stati in quegli anni molto
intensi, tanto che Enrico Parisi, Presidente dell’FNFPF in alternanza con
Bernardo Attilio Genco, figurava, tra il 1934 e il 1937, nella «Giunta Direttiva» della stessa INU (dopo che negli anni precedenti la sezione FNFPF
del Lazio e Sabina si era posta tra i «Fondatori» dell’Istituto). Una ‘commistione’, tra i Progettisti del Piano zaratino, l’INU e la Federazione dei
Proprietari, che risultava pressoché inscindibile: nel 1937 Giuseppe Borrelli
e Vincenzo Civico erano «Segretari» dell’INU, mentre entrambi, insieme
a Paolo Rossi de' Paoli, facevano parte del «Comitato di Presidenza»; nel
1938, poi, anche Parisi entrava in quel «Comitato» (dove siedevano, peraltro
già da anni, Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini), dopo essere stato membro della «Giunta Direttiva»99; Genco, per conto della Federazione
FNFPF, era stato membro del «Consiglio generale» dell’INU dal 1934 al
1937, per poi rientrarvi nel 1940. Insomma, non è difficile affermare che il
S. MOLLI, “Il Piano Regolatore di Zara”, Urbanistica (Torino), 4, luglio-agosto,
1939, pp. 222-230.
99
Cfr. www.inu.it/giunte, consultato nel febbraio 2012. Di orientamento: L. BESATI,
“Contributi ad una Storia dell’INU (1930-1975)”, in Urbanisti italiani, a cura dell’Istituto
Nazionale di Urbanistica, Roma, 1995.
98
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
169
Piano Regolatore di Zara era ‘nato’ anche all’interno dell’INU100, oltre che
come emanazione attuativa della Federazione Nazionale dei Proprietari di
Fabbricati come sottolineavano tutti: da qui l’estremo aggiornamento di metodologie, oltre che di ‘fini’, di quelle proposte elaborate a Roma per Zara.
Sia Marcello Piacentini che Gustavo Giovannoni, d’altro canto, avevano rivestito importanti cariche all’interno dell’INU e anche la Federazione aveva
ormai fatto propri alcuni principi direttivi del loro insegnamento: come nel
caso del riferimento al «Diradamento» giovannoniano per il centro antico
delle città, tanto che la Federazione da anni, in opposizione ai costruttori
edilizi, si poneva in contrasto con gli abbattimenti radicali, criticando senza
mezzi termini le operazioni di sventramento per bocca di Vincenzo Civico:
Vi è ora la moda di progettare o di proporre vaste demolizioni o
sventramenti, sotto la specie di opere di risanamento. Demolizioni e
sventramenti in massa, che spazzano via il cattivo ma anche il buono, che spesso non trovano rispondenza in effettive urgenti ragioni
di igiene pubblica… molte volte improvvisate ed imbastite alla meglio per poter preparare una inaugurazione o fare un bel discorso101.
Molli era ben al corrente di tutto ciò e, dunque, la redazione del Piano
di Zara, nato da «Tecnici della Federazione dei Proprietari» nel contempo
membri degli Organi dirigenziali dell’INU, non poteva non riscuotere parole di plauso: «Crediamo utile ai nostri lettori estrarre alcune notizie da questa bella pubblicazione». L’analisi del Piano diventava, in definitiva, un vero
e proprio momento di riflessione metodologica, soprattutto in riferimento
ad uno strumento pianificatorio come quello zaratino, che aveva dovuto
affrontare problemi completamente diversi rispetto a quelli che, di solito,
gli Urbanisti erano chiamati a risolvere (Urbanesimo, industrializzazione,
reti infrastrutturali, traffico, difficile rapporto di scollamento urbanistico
tra centro antico e ampie periferie, ricerca di un’identità ‘corporativa’ alla
città). Zara non soffriva di tutto ciò: non avendo un Contado non soffriva
del fenomeno dell’Urbanesimo e l’incremento demografico era ben più che
Alessandro Molli aveva seduto, per il triennio 1934-1936, nel “Consiglio Generale”
dell’INU con Bernardo Attilio Genco, in rappresentanza dell’FNFPF, mentre Enrico
Parisi figurava nella “Giunta Direttiva” (Borrelli e Civico sarebbero entrati nel triennio
successivo): cfr. www.inu.it/giunte, consultato nel febbraio 2012.
101
V. CIVICO, Proprietà edilizia e Urbanistica italiana, “Proprietà Edilizia Italiana.
Organo della Federazione Nazionale Fascista dei Proprietari di Fabbricati”, 1934, p. 223.
100
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
170
contenibile, i sobborghi erano ben distribuiti, ben collegati e comunque
non troppo vasti; la città antica aveva mantenuto una sua ben precisa fisionomia e non era stata sfigurata da sventramenti che richiedevano delicate
ricuciture urbane; le reti fognaria e idrica erano state oggetto di interventi
da poco tempo; l’economia, grazie alle facilitazioni governative, aveva trovato nuovi settori trainanti… Il Piano non poteva che essere migliorativo
e dunque era possibile intervenire radicalmente nelle peraltro non troppo
estese zone malsane della città antica con il «diradamento» invece che con
gli «sventramenti» e pensare ad un deciso ridisegno di quartieri periferici
nati senza un’identità precisa. Piuttosto, cercando una nuova ‘vocazionalità’ (corporativa) ad un centro che da Capitale regionale era stata declassata
a Capoluogo della più piccola Provincia d’Italia, si individuava nel Turismo una nuova, sostanziosa, ‘identità’ economica, che si fondava, oltre che
su aspetti naturali (mare, spiagge, pinete, passeggiate, relax), anche sulla
Storia e i resti di una ricca stratificazione. Senza dimenticare che il valore
politico della città restava fortissimo nei confronti della Dalmazia, le cui
città, sotto il Regno di Jugoslavia, non vivevano certo di quella prosperità
che invece caratterizzava Zara italiana (se non altro perché si dovevano
confrontare con un massiccio fenomeno connesso all’Urbanesimo, l’immigrazione cioè dalla zone interne più povere della Bosnia e dell’Erzegovina,
che creava non poche difficoltà). Molli sottolineava dunque come
la prima parte della pubblicazione comprende un cenno storico-artistico di questa città… che solo con la Civiltà romana ebbe l’inconfondibile impronta che le vicende dei secoli non riusciranno a
sopprimere. Il Medio Evo, con le sue torri e campanili, chiese e case
forti trasforma, ma non distrugge il suo volto romano: Venezia… la
munisce contro le minacce del Turco, mediante l’opera dei suoi migliori architetti militari (Malatesta Baglioni, il Sanmicheli e lo Sforza Pallavicini) e la arricchisce con le sedi per le sue tipiche magistrature, mentre nobili e ricchi borghesi elevavano i loro edifici privati
su modelli schiettamente veneziani. L’Ottocento, sotto il Dominio
austriaco, creò caserme e masse edilizie in contrasto con la grazia e
lo spirito che aleggiava nell’atmosfera urbana di Zara: abbattuta parte dei bastioni, smantellate le casematte, la città si aprì a vita nuova,
ma senza quell’ordine e organicità che la moderna Urbanistica cerca
di ridarle e mantenerle102.
102
S. MOLLI, “Il Piano Regolatore di Zara…”, cit., p. 222.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
171
Molli aveva dunque identificato le parole chiave che avevano mosso i
Progettisti, creando delle finalità ben precise: perdurante, «inconfondibile
impronta romana», Venezianità, «grazia e spirito che aleggiano nell’atmosfera urbana», volontà di «ridare e mantenere» a Zara, attraverso l’Urbanistica, «ordine e organicità».
Per quanto riguardava il ‘metodo’ di quella moderna prassi progettuale
dell’Urbanistica, intesa come disciplina scientifica, Molli sottolineava la
paradigmaticità dell’approccio di Civico e Rossi de' Paoli:
la seconda parte della pubblicazione contiene gli elementi di studio
del Piano Regolatore. E i dati geografici, geologici, meteorologici,
demografici, le condizioni igieniche e sanitarie, lo stato dei servizi
pubblici, del traffico e turismo, dell’agricoltura, dell’industria, del
commercio, sono passati in rapida, concisa rassegna e formano un
vero esempio del modo con cui il materiale per un Piano Regolatore
ha da essere raccolto e vagliato.
Tra un dato e l’altro, e con un opportuno silenzio disinvolto, veniva notato che «nonostante Zara sia stata nel 1937 prima tra le province italiane
per l’alta natalità (33.8 °/°°, mentre la media del Regno è di 22.7 °/°°), ha però
un considerevole tasso di mortalità (16.8 °/°°, mentre la media del Regno è
14.0 °/°°), dovuto però all’esistenza di Istituto assistenziali ai quali accorrono
abitanti d’oltre frontiera».
Se si poteva trovare una giustificazione a tutto ciò, più difficile restava
il ‘dato politico’ riferito all’emigrazione, che allora – come sempre avviene in una Statistica politicamente ‘mirata’ – veniva ‘mascherato’ in una
media che in sé non diceva nulla, calcolata da Molli su quanto presentato
nella Relazione, poiché: «dal 1932 al 1938 l’incremento naturale è stato
dell’11.7 °/°°, quello migratore del 17.8 °/°°», sulla base di un incremento
di popolazione che in definitiva, mediamente, era stato di 352 persone
all’anno (pari ad un irrisorio +1.79% su una popolazione residente media
di 19685 abitanti; e addirittura un minore +1.66 sulla popolazione presente. E questo tenuto conto che gli alti indici di mortalità non avrebbero dovuto contare nelle statistiche cittadine, se davvero i morti fossero stati in
gran parte Cittadini jugoslavi venuti a curarsi a Zara). Era chiaro perché
si affermava che a Zara «il fenomeno dell’urbanesimo assume nei riguardi del Comune di Zara scarsa importanza» e non certo, come invece si
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
172
voleva far credere, perché «la popolazione è in prevalenza urbana essendo
ristretta la zona rurale»103. Ma il dato sembrava smentire anche se Molli
non lo diceva un luogo comune di natura politica: Zara italiana, almeno
nel periodo 1931-1938 non aveva rappresentato per gli Italiani di Dalmazia un luogo nel quale trasferirsi per fuggire dal Regno di Jugoslavia,
esattamente come i Croati di Zara non se ne erano andati dalla città. O la
situazione migratoria si era ‘stabilizzata’ tra il 1920 e il 1921 (cosa impossibile, visto che non si ricordava un esodo così consistente di popolazione)
oppure confrontando i dati dei due censimenti del 1931 e del 1921, si registrava, in dieci anni, un incremento di popolazione «presente» pari a 1549
unità (+8.32), e di popolazione «residente» pari a 1260 persone (+7%).
Dati statistici di qualche rilevanza, ma che nei numeri concreti non significavano granché in un tempo così lungo (poco più di 150, o 125, persone
all’anno). Insomma, mentre sembra che quel 34% di «Croati» registrati
nel centro antico di Zara (ma nei sobborghi la percentuale era molto più
alta) nel Censimento austriaco del 1910104 continuasse a rimanere in città,
il nuovo Piano Regolatore Generale procedeva su binari tutti ‘politici’,
puntando ad una coesione della Civitas alla luce dei valori dell’Italianità
romano-veneta; e ciò secondo una prassi dell’’Urbanistica nazionalistica’,
[Borrelli de Andreis, Rossi de' Paoli e Civico], Il Piano Regolatore di
Zara…, cit., p. 16.
104
Risulta molto difficile paragonare i dati del Censimento austriaco del 1910 con quello
italiano del 1921 perché era completamente mutato il quadro di riferimento territoriale
(si pensi solo che l’intera Circoscrizione di Zara contava nel 1910 una popolazione di
circa 36.500 abitanti, mentre nel 1921 la Provincia si era così ridotta che nel Comune,
che corrispondeva all’incirca alla Provincia stessa, venivano enumerati solo 16.650
residenti). Significativo è comunque il fatto che secondo le Statistiche ufficiali, nel 1940
su una popolazione di circa 24.000 abitanti (23601 presenti e 20672 residenti nel giugno
del 1937), circa «20.000» si dichiarassero «Italiani» (oltre l’83%), mentre i Croati erano
circa il 17% (in termini statistici non pochi dopo vent’anni di Regime, ma in numero
ridotto se si considerano le quantità reali). Anche il ‘ballo’ delle cifre in questo caso
non è affatto chiaro perché pare che alla fine del 1940 il comune di Zara superasse i
25.000 abitanti mentre l’intera Provincia ne contava circa 28.000 (uno scarto di poco in
termini assoluti, ma assai significativo in relazione al trend demografico zaratino, come
si era configurato, dove 1000 unità in eccesso o in difetto erano molte. Sulla questione
resta utile: O. MILETA, Popolazioni dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002)
Trieste, 2005, pp. 171 e segg.). Comunque, niente di paragonabile agli oltre 12.000 Italiani
immigrati in «Bolzano italiano» nel solo 1937-1938 su una iniziale popolazione tedesca
di 40.000 abitanti, tanto da realizzare, in pochi anni, una completa trasformazione delle
percentuali etnico-linguistiche in città.
103
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
173
che era comune in tutti gli Stati europei e che soprattutto nelle Colonie
aveva elaborato modelli di vera e propria segregazione. Questo in Europa, fortunatamente, non avveniva e la prassi urbanistica, al di là dei
suoi assunti più politici, intendeva comunque concretamente affrontare
i problemi di tutta la popolazione con i sistemi più razionali. Dopo aver
riassunto i punti salienti e delle analisi e anche delle previsioni di Piano,
anche Molli soffermava la propria attenzione sul
risanamento dell’antico centro, che, pur essendo della massima importanza, non richiede grandi sventramenti, ma solo limitate demolizioni nelle zone peggiori, particolarmente negli interni degli
isolati… Il piccone risanatore, abbattendo la case ove la mortalità
fa strage, rispetta l’edilizia economicamente e staticamente non trascurabile105.
Un aspetto questo che rendeva evidente l’utilità dei censimenti operati
dalla Federazione dei Proprietari, che permettevano così di operare chirurgicamente dove ce n’era bisogno davvero, con un notevole risparmio nell’opera complessiva. In una tale ottica «anche il problema della valorizzazione
dei monumenti di Zara è pure di particolare importanza»106 e, ancora una
volta, Molli ripercorreva quanto detto nella Relazione edita.
Evidentemente, passati in rassegna gli interventi di sistemazione e ampliamento dei sobborghi, accennato alla nuova vocazione turistica di Zara
(specie per Puntamica107), spese molte attenzioni per gli interventi ‘chirurgici’ previsti sull’antico centro e sull’intorno dei monumenti per valorizzarli, gli aspetti più innovativi del Piano risultavano adeguatamente sviscerati e restava solo un auspicio per la riunione dei «simboli delle tre grandi
epoche della città: la Romana, la Veneta e la Fascista»108. Non ci si poteva
aspettare molto di più da un ‘amico’/collega dell’INU e quanto altro; ma
forse si sarebbe potuto puntare ad una riflessione almeno metodologica un
po’ più affinata.
S. MOLLI, “Il Piano Regolatore di Zara…”, cit., pp. 228-229.
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 229.
107
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 227.
108
Idem, Il Piano Regolatore di Zara…, cit., p. 230.
105
106
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
174
3. 1942: il nuovo Piano Regolatore Generale di Zara luce della recentissima
annessione della «Dalmazia italiana». Un Piano ‘terrioriale’ per la «grande
Zara», «innovativo» e che va «additato» come modello in quanto redatto
sulla base dei «lavori preparatori della nuova Legge Urbanistica Generale»
(n.1150 del 1942) e «degli studi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica per la
nuova Legge»
Nel 1942, sempre su Urbanistica, veniva dato l’annuncio di nuovi studi
per Zara e le sue previsioni urbanistiche109: l’annessione manu militari di
gran parte della Dalmazia aveva imposto un ripensamento territoriale di
tutte le previsioni per la città che non si trovava ad essere più il Capoluogo della «più piccola Provincia d’Italia», ma, nuovamente, il Capoluogo di
una Provincia ben più estesa110, e, soprattutto, il Capoluogo regionale, con
effetti amministrativi e non più solo storico-culturali, dell’intera Dalmazia
nell’ambito della Stato italiano. Riapriva la questione Civico che evidenziava come
la consulta Municipale ha esaminato e approvato, nelle sue ultime
riunioni, un importante complesso di sistemazioni urbanistiche e
opere pubbliche, opportunamente predisposto dal Comune in armonia alle direttive del Governatorato della Dalmazia per la migliore
attrezzatura delle nostre nuove regioni. Tra le principali sistemazioni sono da segnalare il prolungamento del viale Malta, che servirà
un nuovo quartiere di case popolari, otto delle quali già in corso
di costruzione; il parziale rifacimento del parco Regina Elena ed il
completo rinnovamento del giardino Regina Margherita; il ripristino
dell’acquedotto del Botina; la sistemazione del Cimitero di Borgo
[V. Civico], “Zara”, Urbanistica, 2, marzo-aprile, 1942, p. 26.
La nuova Provincia di Zara venne stabilita con l’istituzione del Governatorato
della Dalmazia (secondo il Regio Decreto Legge n.452 del 18 maggio 1941 e poi sulla
base di quanto stabilito dal Regio Decreto Legge n. 453 del 7 giugno 1941); mentre le
isola di Cazza, Lagosta e Pelagosa passavano alla nuova Provincia di Spalato e l’isola di
Sasseno alla giurisdizione di Cattaro, la Provincia di Zara risultava fortemente ingrandita
comprendendo i centri di Bencovazzo (Benkovac), Bosavia (Božava), Chistagne
(Kistanje), Eso Grande (Iž Veliki ovvero Iž Veli), Nona (Nin), Novegradi (Novigrad),
Obbrovazzo (Obrovac), Oltre (Preko), Sale (Sali), Scardona (Skradin), Sebenico, Selve
(Silba), Stancovazzo (Stankovići), Stretto (Tijesho), Timeto di Zara (Smilčić), Vodizze
(Vodice), Zara, Zaravecchia (Biograd), Zemonico (Zemunik), Zlarino (Zlarin). Cit. in: D.
RODOGNO, Il nuovo ordine mediterraneo, Torino, 2003, p. 499.
109
110
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
175
Erizzo. Il Podestà ha poi riferito del nuovo Piano Regolatore, recentemente approvato dal Comitato Tecnico Amministrativo dal Governo della Dalmazia, piano che assicurerà il razionale sviluppo di
Zara, chiamata alla importate funzione di Capitale della Dalmazia111,
facendo così della regione – com’era avvenuto per l’Agro Pontino o per
le proposte per la Valle d’Aosta – un esempio della più aggiornata Disciplina, proprio in contemporanea all’emanazione della «Legge urbanistica»
del 1942.
Toccava poi, nel giugno, all’annuncio, sempre dalle pagine di Urbanistica, delle previsioni per la strada «Litoranea della Dalmazia»112; e tutto ciò
(in un sorta di espansione della visione funzionalista dell’Urbanistica che
metteva proprio il traffico e i collegamenti al centro della progettazione),
non poteva non avere una netta ricaduta, oltre che sui problemi dell’espansione urbana di Zara, anche su quelli, ad esempio, del coordinamento territoriale tra i vari Strumenti urbanistici (Piano Regionale, Piani Regolatori
Generali), fino a toccare i temi della Conservazione paesaggistica113 e dello
sviluppo. Nulla però di ‘calato dall’alto’ rispetto alla realtà dalmata, perché
quella dimensione «regionale» avrebbe potuto davvero rappresentare non
solo un ampio conseguimento per l’Urbanistica nazionale (una nuova ‘esperienza pilota’ dopo tante disillusioni per il naufragio delle varie iniziative),
ma, incentrandosi su un asse viario quale la Litoranea, sembrava riproporre le strutturazione delle antiche viae publicae romanae e dell’espansione dell’Urbanistica pianificata attraverso il sistema stradale (proprio come
avevano fatto anticamente i Romani, ma come prevedevano, ora, anche i
dettati dell’Urbanistica più moderna con i suoi studi sui flussi di traffico).
Un legame Storia/Contemporaneità che in Dalmazia, una terra di confine dall’«Italianità contesa», acquistava un ulteriore valore particolare non
solo in nome dell’antica Civiltà romana, ma anche di quella Veneziana.
Dunque, anche in queste scelte, al contempo modernissime e antiche, la
Storia costituiva uno dei fulcri principali della celebrazione dell’Italianità
[V. Civico], “Notiziario urbanistico. Zara”, Urbanistica (Torino), 2, marzo-aprile,
1942, p. 26.
112
[V. Civico], “La litoranea della Dalmazia”, Urbanistica, 3, maggio-giugno,
1942, p. 26.
113
Per Giovannoni urbanista, oltre che conservatore, si veda: F. Ventura, “Attualità
e problemi dell’Urbanistica giovannoniana”, in Gustavo Giovannoni, “Vecchie città ed
edilizia nuova” (1931), a cura di F. Ventura, Milano, 1995.
111
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
176
dalmata e il Restauro dei nuclei veneti (con la loro Conservazione/valorizzazione) veniva a rappresentarne un aspetto imprescindibile (ciò valeva per
Spalato, per Traù, per Sebenico, per Cattaro).
A enucleare i nuovi assunti informatori del Piano Regolatore Generale,
‘rivisto’ per la sua nuova dimensione territoriale, veniva chiamato, sempre
dalle pagine di Urbanistica (all’interno della quale era parte del «Comitato
di Presidenza» pur essendo uscito dalle cariche direttive dell’INU), Giuseppe Borrelli de Andreis che editava l’esplicativo “Il nuovo Piano Regolatore
di Zara, Capitale della Dalmazia”114, esplicitando il fatto che «il problema
del Piano Regolatore di Zara oggi si ripresenta sotto un nuovo aspetto e con
ben più ampio orizzonte a seguito delle più alte e importanti funzioni di
Capitale della Dalmazia assegnate alla nobilissima città adriatica».
La continuità con lo strumento approntato precedentemente risultava
indubbia:
Un nuovo Piano Regolatore veniva prospettato fin dal 1936 dal podestà Salghetti-Drioli con una singolare chiarezza di impostazione
e larghezza di vedute… Poi veniva alla luce il Piano Regolatore del
1938, elaborato dall’ing.arch. Paolo Rossi de' Paoli con la collaborazione dell’ing. Vincenzo Civico. Questo Piano, approvato dal Consiglio Superiore dei LL.PP. nel 1939 riuscì un pregevole esempio di
sistemazione urbanistica di centro storico-artistico di media grandezza, in fase di sviluppo con funzione di Capoluogo di Provincia.
Nuovi gloriosi eventi [la conquista della Dalmazia]… elevavano
però Zara dalla funzioni di semplice Capoluogo di Provincia a quelle ben più alte ed importanti di Capitale politica e morale di tutto il
territorio che si affaccia sull’altra sponda dell’Adriatico e delle isole
che lo fronteggiano. Il Piano Regolatore redatto nel 1938 si palesava
subito inadeguato di fronte alla nuova situazione, e una profonda revisione, se non una diversa impostazione dell’originario programma
urbanistico della città e si imponeva come una urgente, imperiosa
necessità. Il podestà Salghetti Drioli deliberava di porre subito allo
studio la elaborazione di un più vasto e adeguato disegno urbanistico
di sistemazione e ampliamento della città, seguendo le alte direttive,
soprattutto d’ordine politico, tracciate dal Governatore della Dalmazia [Bastianini]115.
G. BORRELLI DE ANDREIS, “Il nuovo Piano Regolatore di Zara, Capitale della
Dalmazia”, Urbanistica, 4, luglio-agosto, 1942, pp. 7-14.
115
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 7.
114
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
177
E il nuovo Piano Regolatore impostato, dunque, anche su nuove «alte
direttive soprattutto d’ordine politico» era stato affidato sempre a Rossi de'
Paoli: «il compito di rivedere e aggiornare il Piano Regolatore del 1938 è
stato opportunamente affidato allo stesso Progettista e il nuovo elaborato
ha riportato la piena approvazione del “Comitato Tecnico Amministrativo”
del Governo della Dalmazia»116.
Affermava Borrelli de Andreis, del resto, che i due Piani si ponevano in
stretta continuità («poiché nello schema del 1938 erano già contenuti i germi e le premesse per una più alta funzione e per un più ampio sviluppo di
tutto l’organismo cittadino nel quadro dell’intero territorio dalmata»); cosa
che, salvo per qualche direttrice stradale di collegamento tra quelle diverse
che venivano dalla Jugoslavia, sinceramente dalla Relazione del 1938 non
sembrava (che, anzi, il Piano sembrava voler in qualche modo rimarcare
una alterità di Zara rispetto al territorio che la circondava).
La differenza fondamentale fra i due Piani è costituita dalla progettazione di una zona di ampliamento a carattere unitario comprendente tutto il territorio esteso da Puntamica a Borgo Erizzo, con la
eliminazione delle soluzioni di continuità rappresentata dalle varie
zone militari, oggi restituite al pieno respiro della città in seguito
all’ampliamento del retroterra, che la soffocava in angusti ed ingiusti
limiti. In particolare Borgo Erizzo, che nel Piano del 1938 manteneva il carattere di borgata rurale viene destinato a zona di ampliamento cittadino. Così, tutte le zone di sviluppo vengono portate il
più possibile a contatto o in vicinanza del mare, in modo che esso
possa essere goduto da ogni quartiere della città, accentuando così le
tipiche caratteristiche marine e veneziane della città.
Il mare faceva parte, dunque, della «Venezianità» di Zara e anche per
quanto riguardava i nuovi quartieri
a quelli previsti dal Piano 1938 (Ceraria, Barcagno, quartiere tra la
città vecchia e Borgo Erizzo) da una parte, si aggiunge, come si è
accennato, quello di Borgo Erizzo, con funzioni di quartiere di carattere residenziale anziché agricolo, mentre dall’altra si dà maggior
importanza a quello di Puntamica, come centro balneario e si provvede specialmente ad ampliare in modo radicale il quartiere tra la
città vecchia e Borgo Erizzo. Questo quartiere, accresciuto da tutte
116
Ibid.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
178
le zone militari ora rese libere da vincolo, accoglierà il centro studi
della città, avrà un ampio viale che collega il porto della Valle dei
Ghisi col mare aperto (Canale di Zara) e sarà collegato con la città
vecchia da una nuova strada che attraversa il parco Regina Elena e
specialmente [sul lato Sud oltre la Fossa] da un grandioso Lungomare, che continua la vecchia riva Vittorio Emanuele e prosegue la
imponente palazzata117.
Sembrava poca cosa e invece dalla rappresentazione grafica in alzato
delle previsioni («Come apparirà la città dal mare a Piano Regolatore attuato. Notare la nuova palazzata in prosecuzione della esistente riva Vittorio
Emanuele»118), quella «Palazzata» veniva a costituire, nel fronte Sud della
città sul Canale di Zara, un nuovo, imponente prospetto urbano di svariati
chilometri fino ad arrivare a Borgo Erizzo, la cui destinazione era stata
completamente ripensata (da sobborgo a zona residenziale, integrante della città dove si prevedeva di alloggiare, ad esempio, buona parte del ceto
amministrativo che sarebbe giunto a Zara, visto il nuovo ruolo di essa).
Ma allora bisognava pensare anche ad un ‘nuovo’ Borgo Erizzo:
con la destinazione di Borgo Erizzo al futuro ampliamento residenziale della città, si è presentata la necessità di alloggiare in modo
più razionale e adatto alla popolazione rurale che in esso vi abita.
Si è pertanto progettato un quartiere rurale, o meglio una borgata
rurale, ad Est dell’attuale Borgo Erizzo, in posizione bene esposta,
vicino agli orti che si ritiene utile mantenere, vicino altresì alla zona
agraria, vicino, anche, all’attuale sua sede, ma staccato nettamente
da questa, in contatto colla città, ma al di fuori di essa, secondo un
sano concetto urbanistico119.
Una chiara definizione, con relativa applicazione progettuale, di quello che si intendeva, nella moderna concezione urbanistica, per «borgata
rurale».
Queste le prerogative generali del nuovo Piano, i cui assunti metodologici
funzionalisti restavano comunque sempre gli stessi. A partire, ovviamente,
dallo studio della Viabilità, che, nella previsione di una Zara connessa ad
un territorio ora molto più vasto – oltre alla Dalmazia intera – avrebbe visto
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 10.
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 9.
119
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 11.
117
118
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
179
notevolmente aumentato il proprio traffico. Insomma lo schema del traffico
si era dovuto ristudiare sulla base delle nuove esigenze che si ventilavano:
Per ciò che riguarda lo schema viario, si mantiene l’importanza data
alle radiali di penetrazione in città, e data la estensione che acquista
la città nel senso della lunghezza, si dà particolare importanza alle
longitudinali di collegamento specialmente a quella che da Borgo
Erizzo, lambendo la nuova Zona Industriale attraversa Ceraria e Barcagno, raggiunge l’Idroscalo e prosegue per Puntamica. Questa strada assume particolare importanza per il drenaggio del traffico, che
dal retroterra verrà condotto a Zara per la Strada Orientale Zaratina.
Traffico che viene anche incanalato con due radiali, quasi parallele e
longitudinali, e portato direttamente alla città vecchia e al Porto. Si
ha, in tal modo, uno smistamento di traffici netto e inconfondibile120.
Il nuovo asse della ‘grande Zara’, parallelamente alla riva Nord del braccio di mare detto Porto di Zara, creava una sorta di circonvallazione veloce
che connetteva tutti i principali sobborghi, sulla base di un concetto di
attraversamento veloce della città che animava pressoché tutti i progetti
urbani improntati ai criteri dell’Urbanistica funzionalista (che era quanto
era stato previsto anche per Pola dal Piano Lenzi121).
Ma gli effetti dell’ampliamento territoriale, si sarebbero imposti, secondo le previsioni, anche sulle infrastrutture produttive della città, che avrebbe assunto rilevanza regionale:
Il Piano del 1938 prevedeva poco per il Porto, nulla per la Zona Industriale: le risorse limitate della città non rendevano necessaria alcuna
sistemazione speciale, né facevano prevedere possibilità di attrezzatura migliore di quella esistente. La situazione è ora radicalmente cambiata, specialmente per il Porto, che [già] in pochissimi mesi
[dopo la conquista della Dalmazia] è venuto ad assumere importanza del tutto particolare. Si prevede perciò la sistemazione del Porto
con l’attrezzatura della Valle dei Ghisi, ora quasi inutilizzata, in cui
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 10.
Si veda il mio F. Canali, “Architettura del Moderno nell’Istria italiana (19221942). Luigi e Gaspare Lenzi per il Piano Regolatore di Pola (1935-1939): dal G.U.R.
alle vicende di un Piano Regolatore esemplare, «difficile… ma egregiamente risolto»
tra Urbanistica razionalista, «diradamento» giovannoniano e progettazione ‘estetica’
piacentiniana”, Quaderni, vol. XIV, CRSR, 2003, pp. 345-411.
120
121
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
180
troverà sede tutto il Porto Industriale. A tale scopo si è prevista la
costruzione di magazzini sul fondo dell’insenatura, la trasformazione del ponte apribile con un’attrezzatura moderna che ne permetta i
rapidi movimenti e la sistemazione di tutte le zone circostanti per le
varie complesse necessità del Porto stesso. Il Porto attuale, antistante
il ponte, dovrà venire esclusivamente adibito a Porto passeggeri. Sulla banchina Nord è stata prevista la Capitaneria di Porto.
Ancora più complesse le previsioni per la Zona Industriale perché
sebbene allo stato dei fatti non si possa precedere per Zara una concreto programma e avere quindi la misura delle necessità future, tuttavia si è destinata un’ampia area, in prossimità del Porto ed in facile
collegamento con esso fuori dall’abitato. Ad essa si potrà accedere
facilmente senza alcun intralcio dei traffici urbani sia dal porto che
dal retroterra122.
Si trattava, ovviamente, di sonori mutamenti rispetto alle previsioni del
1938: soprattutto perché quell’inserimento del Porto Industriale vicino alla
città, sembrava se non definitivamente far tramontare, perlomeno fortemente deprimere, la ‘vocazione turistica’ che invece era il perno ‘corporativo’ del Piano precedente (certo la Puntamica balneare restava abbastanza
lontana, ma era proprio la città vecchia che avrebbe ‘goduto’ di un viavai
di navi merci non certo allettante per un turista. Ma soprattutto, il nuovo
Porto sarebbe sorto in vista della città vecchia…).
Per quanto riguardava, invece, l’antico centro,
il Piano di sistemazione interna è rimasto sostanzialmente invariato
rispetto al Piano del 1938, impostato su tre punti fondamentali: diradamento, risanamento, valorizzazione monumentale…
In particolare, dato il carattere nettamente artistico, oltre che storico,
della città… molto opportunamente è stata prevista l’applicazione
del metodo del “Diradamento”… per la messa in valore di edifici
e complessi monumentali testimoni della secolare Civiltà italiana
nell’altra sponda dell’Adriatico… fornendone un documento murale… E questo [resta] uno degli aspetti più importanti, più attuali del
Piano Regolatore di Zara123,
122
123
BORRELLI DE ANDREIS, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 11.
Ibid.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
181
visto che quel «Diradamento» («eliminando gli elementi edilizi peggiori, aprendo larghi e piazzette a verde, restaurando gli edifici che ne sono
degni»124) ispirato all’insegnamento di Gustavo Giovannoni, anche se ormai adottato in numerosissimi casi urbanistici in Italia, restava comunque
una modalità urbanistica «tipicamente italiana».
Non cambiava nulla rispetto alle previsioni del 1938, ma tra i numerosi
interventi prospettati diventava ora gerarchicamente rilevante – e dunque
da attuare prima di tutti gli altri – quello connesso alla ridefinizione urbanistica del ‘Cardo’ urbano, l’asse «congiungente Porto [a Nord]-riva Vittorio
Emanuele» [a Sud, tagliando trasversalmente l’antico nucleo], sul quale si
ponevano, in tangenza, il nucleo della Cattedrale e il ‘sistema delle doppie
piazze’, piazza delle Erbe, riprogettata, e piazza Laurana [affacciata a Sud
sulla riva Vittorio Emanuele].
Necessario di considerare particolarmente il complesso di piazza
delle Erbe e pizza Laurana, che è il centro monumentale della città…
Il complesso presenta [purtroppo anche] edifici che immiseriscono
quello che può divenire, con accorta opera urbanistica e architettonica, uno dei centri monumentali più belli e significativi tra i tanti che
le città d’Italia offrono all’ammirazione del mondo intero. Il nuovo
Piano Regolatore, così come quello del 1938, completa opportunamente la sistemazione a carattere monumentale della piazza delle
Erbe, completata con nuovi degni edifici armonizzati con quelli da
rispettare, riquadrata da porticati a loggia e aperta sul mare con una
platea ornata, come a Venezia, di due grandi colonne. È questa un’opera di grandezza che Zara merita, per la sua fede italianissima, per
il suo passato glorioso125.
Dopo tanti assunti funzionalistici la Politica rientrava nelle previsioni
Piano con grande rilevanza, facendo della Storia il cardine della sua ragion
d’essere (e, non a caso, tralasciando, questa volta, ogni considerazione demografica. Del resto, la Storia, con maggiore o minore affezione, restava
comunque quella e forse costituiva l’unico legante identitario per una città
invece etnicamente articolata. Anche se poi ognuno la poteva leggere con
valutazioni molto diverse in riferimento al presente… E il Piano e i suoi
Redattori certo non ‘peccavano di ambiguità’, al proposito). Piuttosto
124
125
Ibid.
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 12.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
182
la sola innovazione – per quanto riguarda il nucleo esistente – rispetto al Piano del 1938, è costituita dalla valorizzazione della porta
Terraferma e di tutti i bastioni orientali della città con la riapertura
del fossato sotto le mura… Tale canale, oltre a valorizzare i bastioni,
creerà un ambiente pittoresco di carattere veneziano126.
La questione era annosa, si era trascinata con proposte diverse, e interessava anche i caratteri, tutti politici, di quella “Venezianità” di Zara127 che
ora veniva addirittura riproposta, ma, finalmente, sembrava aver trovato
una propria concertazione. Ma, soprattutto
quel fossato che assumerà le funzioni di canale di congiungimento
tra il mare aperto e il porto industriale… ha anche lo scopo di dare
una rapida – anche se limitata alle piccole imbarcazioni – comunicazione dal porto industriale al mare aperto e di facilitare il flusso delle
acque di questo in quello, onde rendere l’acqua di valle dei Ghisi
meno ferma e stagnante 128.
Sembrava un aspetto anche questo ‘da poco’ rispetto alla generale configurazione urbanistica della città, dettata soprattutto da esigenze funzionali
alle quali l’Urbanistica moderna era molto ‘sensibile’ (il problema del traffico, anche se questa volta ‘marino’ di piccole imbarcazioni. Ma poi cosa
sarebbe successo, a livello ‘eco-sistemico’ con quel nuovo «flusso delle acque»?). Si trattava piuttosto, a livello concettuale, di una sonora trasformazione: la Penisola di Zara da penisola veniva trasformata in un’isola, staccata dalla terraferma. Probabilmente la Soprintendenza avrebbe avuto da
ridire su questo aspetto, se si fosse avviato l’iter approvativo che la Guerra
invece di lì a poco avrebbe interrotto.
Andavano poi sottolineate, secondo Borrelli, le novità disciplinari dello
Strumento urbanistico di Zara (e non erano poche).
1. La nuova riedizione del Piano permetteva a Borrelli de Andreis di
esprimere qualche utile precisazione metodologica (quelle che, in sostanza
erano mancate ad Alessandro Molli). Come quella riferita alla centralità
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 11.
Si veda il mio F. Canali, “Architettura e città nella Dalmazia italiana (1922-1943).
Zara e il restauro del Patrimonio monumentale… Parte seconda: Le mura veneziane di
Zara, dall’attenzione storiografica… alla difficile tutela monumentale…”, cit.
128
Borrelli De Andreis, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 11.
126
127
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
183
del Piano Regolatore Generale, inteso come unico strumento di vera pianificazione del territorio rispetto alle previsioni di altri Enti (si pensi solo alle
iniziative a carattere territoriale del Genio Civile o a certe direttive della
Politica); e si trattava di una ‘centralità’, che la recentissima Legge Urbanistica [1150 del 1942] sottolineava. Proprio la continuità tra le previsioni del
Piano del 1938 e quello rivisto nel 1942 dimostrava, infatti, la validità dello
Strumento:
I Piani Regolatori, quando siano concepiti in una sintesi organica
che abbracci le esigenze attuali e quelle future, possono costituire
strumenti efficacissimi di assetto e di sviluppo della città, non soltanto nella consistenza attuale e nelle fasi di immediato sviluppo, ma
anche nelle fasi future di successivi incrementi e di esigenze anche
improvvise e imprevedibili. È, in sostanza, soltanto la sana ossatura urbanistica quella che conta: quella ossatura, che può e deve
assicurare la stabilità del Piano, rendendo così in pratica attuabile il
fondamentale concetto, seguito dalla nostra Legislazione più recente
e definitivamente sancito nella nuova Legge Urbanistica [1150 del
1942], della durata illimitata del Piano Regolatore Generale e della sua insuscettibilità di varianti, di quelle varianti che tanto danno
hanno sempre arrecato così alla economia pubblica come a quella
privata129.
Un tema caro, questo a Borrelli che aveva curato questa parte sia per
il primo Piano che certamente anche per il secondo. Quindi «per la parte
tecnico-urbanistica» le novità stavano in una «diversa e più profonda impostazione riguardante la disciplina giuridico-urbanistica» che sicuramente
aveva curato lo stesso Recensore:
il nuovo Piano Regolatore ha mantenuto inalterata la organica, quadrata, equilibrata struttura fondamentale del Pieno primitivo del
1938, ma una diversa e più profonda impostazione è stata data alla
parte riguardante la disciplina giuridico-amministrativa. Le proposte di provvedimenti legislativi, che a tal fine sono state elaborate ed
inviate alla superiore approvazione, sono state inspirate ai più recenti orientamenti della nostra Legislazione in materia e si inquadrano
armonicamente – interessante esempio ante litteram – nei concetti scaturiti dai laboriosi studi compiuti sia dagli organi statali, sia
129
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 7.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
184
dall’Istituto Nazionale di Urbanistica per la elaborazione del disegno
della nuova Legge Urbanistica, approvato recentemente dalla “Commissione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni” [ex Camera
dei Deputati]130.
Infatti
Per la prima volta nella nostra Legislazione si introdurrebbe il principio della ‘invariabilità del Piano’… Così, il Piano Regolatore di Zara,
avente vigore a tempo indeterminato, chiaramente definito nel suo
contenuto tecnico e nei suoi effetti giuridici limitati all’obbligo di
osservare, nelle costruzioni e ricostruzioni, le linee e le prescrizioni
di Zona che vi sono indicate, è dichiarato insuscettibile di Variante, se non attraverso la preventiva autorizzazione del Ministero dei
LL.PP., da concedersi, sentito il parere del Comitato Tecnico Amministrativo della Dalmazia, in vista di ragioni che determinano la
totale o parziale inattuabilità del Piano… E quello della ‘invariabilità
del Piano’ costituisce uno dei canoni fondamentali della moderna
Scienza urbanistica.
Poteva sembrare un ‘tecnicismo giuridico’, ma l’aspetto connesso alla
difficoltà di porre Varianti al Piano, se non riavviando tutto l’iter ministeriale e per giunta solo per ragioni «che determinano la totale o parziale
inattuabilità del Piano», costituiva invece un aspetto di grande novità, perché ‘legava le mani’, nell’avvenire, a gruppi di potere che, attraverso una
contrattazione politica locale, avessero cercato di far cambiare certi aspetti,
ritenuti loro sfavorevoli, contenuti nel Piano stesso. E, appoggiando un tale
Regolamento, anche il Podestà di Zara dimostrava una grande serietà procedurale. In più, veniva affrontato anche il grave problema della ‘scadenza
del Piano’:
decorso il termine massimo di 10 anni… decadono gli effetti del
Piano per la parte in cui non abbia avuto attuazione, evitando così i
gravissimi inconvenienti di quelle proroghe a ripetizione, che tanto
danno arrecano alla economia generale e, in special modo, a quella
privata, paralizzando a tempo indeterminato ogni attività di miglioramento e di aggiornamento degli immobili colpiti dal vincolo…
Altra innovazione importante proposta è quella di escludere ogni
130
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., pp. 12-13.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
185
possibilità di proroga della validità anche dei Piani Particolareggiati
alla scadenza del termine massimo dei 10 anni per essi stabilito…
quindi, nello schema proposto sono state particolarmente curate le
disposizioni relative alla formazione dei Comparti, alla sistemazione
dei Beni demaniali e di interesse pubblico, alle opere di trasformazione e di risanamento, coattive e volontarie, e al divieto di lottizzazione di terreni a scopo edilizio prima della approvazione del Piano
Particolareggiato131.
Borrelli non lo sottolineava, ma anche per molti passaggi l’adesione alla
nuovissima Legge Urbanistica italiana (conosciuta, attraverso i dibattiti, in
anteprima) emergeva in tutta la sua novità, come nel caso della previsione
dei «Comparti edilizi», facendo dunque del Piano approntato per Zara uno
strumento estremamente innovativo e aggiornato, quanti ben pochi altri.
Sempre per gli ambiti giuridici e normativi, Borrelli aveva curato una
serie di ulteriori altri aspetti all’interno del nuovo Regolamento proposto,
quali
la facoltà di espropriare in conseguenza della approvazione del Piano Regolatore… sulla base dei lavori preparatori della nuova Legge
Urbanistica generale… l’indennità di espropriazione… la disciplina
dell’attività edilizia, che deve essere spiegata in perfetta aderenza e
conformità alle prescrizioni del Piano Regolatore… pena la sospensione o la demolizione delle opere… Disposizioni relative al rilascio
delle licenze di costruzione, alla responsabilità comune del Committente e dell’Assuntore dei lavori, ai poteri del Podestà per la vigilanza
sulle costruzioni.
Tutti aspetti oggi ritenuti ovvi, ma che allora si affacciavano per la prima
volta sulla scena urbanistica nazionale e che a Zara avevano trovato immediato inserimento all’interno delle previsioni del nuovo Piano. In più, per
rendere concreta la possibilità di attuazione del «risanamento» dell’antico
centro zaratino – sulla base di una politica concordata con la Federazione
dei Proprietari di Fabbricati – si prevedeva
di non trascurabile importanza, la predisposizione di uno schema
di Regolamento per la concessione dei contributi comunali ai privati per la esecuzione di opere di risanamento igienico ed edilizio;
131
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 13.
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
186
Regolamento che ha perfezionato quanto si è analogamente fatto
per il riordino e il risanamento di altri centri a carattere storicoartistico132.
2. Decisamente positivo per Borrelli era poi il fatto che il nuovo Strumento urbanistico, nonostante fosse destinato
alla “più grande” Zara, è riuscito un elaborato… sobrio ed equilibrato… senza esagerazioni, magniloquenze e bolsa retorica… Il nuovo
Piano Regolatore costituisce un esempio di… castigatezza urbanistica, che va lodato e additato specialmente in quanto si approssima
il momento in cui l’Urbanistica italiana, con l’entrata in vigore della
nuova Legge, sarà chiamata a dare piena misura delle sue possibilità
e delle sue capacità133.
3. C’era poi un ulteriore aspetto che trapelava dalla nuova proposta per
il Piano Regolatore Generale di Zara: poteva sembrare un mero ‘tecnicismo’, ma nella concretezza delle cose non si trattava solo di quello (perché poi dalla previsione generale si passava alle prospettive applicative di
essa). Una vera e propria concezione ‘d’Avanguardia’ di quello strumento
pianificatorio approntato si mostrava anche dal punto di vista dell’approccio metodologico: De Rossi (e Civico) aveva redatto, infatti, uno dei primi
esempi – anche per questo Urbanistica dedicava tanta attenzione a quel
Piano – nei quali, sulla base dei principi dell’Urbanistica ‘funzionalista’,
venivano adottati i segni grafici univoci e convenzionali «proposti dall’Istituto Nazionale di Urbanistica»134 per l’identificazione dello Zoning urbano
(la precedente esperienza del Gruppo Urbanisti Romani non era passata
invano e, anzi, aveva ormai ‘fatto Scuola’ forse anche attraverso il Piano di
Pola135): non erano molti i casi in cui tutto ciò avveniva in modo sistematico
e organico. In questo caso, però, non si trattava più di «segni» scelti da un
«Gruppo» pur aggiornato e meticoloso, ma da uno degli Enti, come l’INU,
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 14.
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 7.
134
“Zara. Planimetria generale delle opere di Piano Regolatore (secondo i segni grafici
proposti dall’Istituto Nazionale di Urbanistica)”, in Borrelli De Andreis, “Il nuovo
Piano Regolatore…”, cit., p. 8.
135
Si veda il mio F. Canali, “Architettura del Moderno nell’Istria italiana (19221942). Luigi e Gaspare Lenzi per il Piano Regolatore di Pola (1935-1939)…”, cit.
132
133
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
187
preposti all’elaborazione di direttive scientifico-disciplinari, poi fatte proprie dalla Legislazione. Infatti
È anche da segnalare che nel progetto del nuovo Piano Regolatore
sono stati per la prima volta adottati i segni grafici convenzionali
elaborati e proposti dall’Istituto Nazionale di Urbanistca. Tale adozione è valsa a dimostrare, tra l’altro, la efficacia rappresentativa e la
praticità dei segni convenzionali suddetti ed è pertanto da auspicare
che essi trovino tra le Amministrazioni e i Tecnici una più larga
diffusione136.
Concetto poi ulteriormente ribadito e specificato:
la nuova disciplina del Piano è completata da un Regolamento per
l’attuazione, le cui norme sono ispirate, specialmente per quanto riguarda la tipologia delle classi edilizie, alle conclusioni alle quali è
pervenuto l’Istituto Nazionale di Urbanistica, dopo accurati e ponderati studi, i cui risultati sono stati riassunti nelle proposte per i segni
grafici convenzionali di Piano Regolatore137.
E tali «classi edilizie», comprendendo sia aspetti descrittivi che attuativi, risultavano ben specificate, in apposite “tavole tematiche” sia in riferimento alla generale Zonizzazione («Planimetria generale delle destinzioni di Zona»138); sia nella «Planimetria generale del piano di sistemazione
del nucleo centrale» [storico] («Città vecchia; Edifici monumentali; Edifici
pubblici; Verde pubblico; Verde privato; Demolizione; Demolizione e Ricostruzione; Nuove Costruzioni»)139. Ancora, dunque, una ennesima ‘paradigmaticità’ del nuovo Strumento urbanistico zaratino.
Il nuovo Piano si ergeva, insomma, in tutta la sua peculiarità, alla luce
dei suoi fondamenti informatori legati ad un’Urbanistica ‘nazionalista’, innervata dalle più aggiornate conquiste disciplinari italiane e internazionali.
Nelle sue previsioni, ma soprattutto nei suoi metodi scientifici, si trattava
dunque di un buon Piano, di ‘ultima generazione’ tra quelli funzionalisti ma
senza dimenticare gli assunti del ‘Disegno urbano’ estetico. Tra i migliori
Borrelli De Andreis, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 7 n. 1.
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 14.
138
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 9. Purtroppo, le destinazioni funzionali
non risultano leggibili.
139
Idem, “Il nuovo Piano Regolatore…”, cit., p. 11.
136
137
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
188
di quel periodo. Questa volta, però, rispetto al 1938, le speranze sarebbero
state deluse: ci avrebbe pensato la Guerra, e non le beghe di palazzo, ad
interrompere tutti i sogni di una Pianificazione finalmente moderna e matura… Ma, soprattutto, ci avrebbero pensato i devastanti bombardamenti
alleati che colpirono la città nel 1943140, distruggendo proprio gran parte
del suo antico centro che tante attenzioni aveva ricevuto dagli Strumenti
pianificatori italiani.
A seguito di più di 50 attacchi aerei alleati, il 90% degli edifici venne distrutto;
le truppe jugoslave, entrate a Zara nel novembre del 1944, si trovarono di fronte ad una
città quasi completamente abbandonata dai suoi abitanti e in rovina. Anche i successivi
metodi e i principi della Ricostruzione jugoslava dell’antico centro zaratino costituiscono
una interessante pagina di Storia urbanistica (dopo che la città era entrata a far parte
ufficialmente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia nel 1947).
140
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
189
SAŽETAK
NOVI PLANOVI UREĐENJA PROSTORA U „TALIJANSKIM GRADOVIMA“ ISTOČNOG JADRANA (1922.-1943.)
Posebni uvjeti koji su vladali u Zadru između 1920. i 1943. doveli su
do donošenja čak dvaju Općih planova uređenja prostora, prvog 1938., a
drugog 1942., uslijed novonastalih potreba u roku od svega nekoliko godina (od prijašnjeg glavnog mjesta „najmanje talijanske provincije“, grad
je 1941. postao upravno središte cijele Dalmacije). Obadva su ova Plana,
međusobno usko povezana ideološkim i političkim kontinuitetom (u znaku
iste talijano-centrične ‘nacionalističke urbanistike’), izrađena na temeljima najnovijih tenedencija u prostornom planiranju, uz poštivanje načela
međunarodne funkcionalističke urbanistike, rješenjima o „razrijeđivanju“
povijesne jezgre Gustava Giovannonija i postavkama iz „Estetskog plana“
Marcella Piacentinija. Plan su izradili nekolicina rimskih urbanista (arhitekt Paolo Possi de Paoli, inženjer Vincenzo Civico i odvjetnik Giuseppe
Borelli de Andreis) koji su bili veoma upućeni u tu materiju sa znanstvenog
gledišta, ali i uključeni u rad nekih državnih ustanova koja su promišljala
razvoj prostornog planiranja (Državni zavod za urbanistiku – INU), u konkretnom savjetovanju zadarske gradske uprave (kao u slučaju Državnog saveza vlasnika zgrada) te u izdavanju specijaliziranog časopisa Urbanistika.
Upravo je taj list pravovremeno navijestio nova načela prostornog planiranja u Zadru, zbog paradigmatskog metodološkog pristupa i prijevremene
primjene propisa Urbanističkog zakona iz 1942.
POVZETEK
NOVI INFRASTRUKTURNI PROGRAMI „ITALIJANSKIH MESTI“ V
VZHODNEM JADRANU (1922-1943)
Posebni pogoji Zadra, med leti 1920 in 1943, vodijo k oblikovanju dveh
infrastrukturnih programov: enega leta 1938 in drugega leta 1942. Ustvarjena sta bila na podlagi preoblikovanih mestnih potreb (prehod iz glavnega
mesta “najmanjše italijanske province” v regionalno prestolnico Dalmacije
po letu 1941). Oba načrta umeščena v ideološki in politični kontinuiteti
190
Ferruccio Canali, Nuovi piani regolatori di «città italiane», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 117-190
(v imenu italo-centričnega “narodnega urbanizma”) sta bila pripravljena
na podlagi ažurirane disciplinarne rahločutnosti. Pozorna tako na zahteve mednarodnega funkcionalističnega urbanizma, kot na rešitve “Redčenja” antičnega središča Gustava Giovannonija ter na primere za “estetski
Program” Marcella Piacentinija. Načrtovalci so bili rimljanski urbanisti
(arhitekt Paolo Rossi de' Paoli, inženir Vincenzo Civico in odvetnik Jožef
Borrelli de Andreis) ne samo posebej občutljivi z vidika znanosti, ampak
tudi udeleženi pri nekaterih nacionalnih organih vključenih v disciplinske
razmisleke (na primer Državni Urbanistični Inštitut), v praktične nasvete Podesteriji v Zadru (kot v primeru Nacionalnega združenja za lastnike
stavb), v pripravo časopisa kot je Urbanistica, ki kar ni presenetljivo je
takoj signaliziral novo načrtovanje Zadra, za svoje paradigmatske in metodološke predpostavke, zlasti njene uporabe ki pred svojim časom narekuje
razvoj Urbanističnega zakona leta 1942.
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
191
ORGANIZZAZIONE DEL REGIME FASCISTA NELLA
PROVINCIA DEL CARNARO (1934-1936)
WILLIAM KLINGER Centro di ricerche storiche Rovigno CDU 321(497.5Fiume/Quarnero)”1934/1936”
Saggio scientifico originale
Marzo 2013
Riassunto: Il 7 dicembre 1933 il Gran Consiglio del Fascismo disponeva il veto al
cumulo delle cariche e degli incarichi pubblici e il 13 luglio 1934 Mussolini ne disponeva
l’immediata esecuzione ai prefetti. È la periferia che durante la segreteria Starace,
divenne lo spazio privilegiato di formazione della classe dirigente fascista. Al posto di un
movimento subordinato agli interessi delle élites di periferia, Starace volle costituire un
apparato partitico burocratizzato, capace di travasare nel locale ciò che dall’alto veniva
deciso dal “centro”. Anche a Fiume i Podestà, i Presidenti delle Opere pie e degli istituti
di beneficienza ed assistenza dovettero comunicare la composizione dei propri organismi
dirigenziali al prefetto, Francesco Turbacco. La documentazione, custodita all’Archivio
di Stato di Fiume, permette di ricostruire la strutturazione del potere fascista in ambito
economico e politico nella Provincia del Carnaro.
Summary: The organisation of the Fascist regime in the Province of Carnaro (Fiume)
(1934-1936) – In 1934 the Grand Council of Fascism attempted to limit the process of
‘presidentialisation’, that is, the accumulation of party and public offices in the periphery.
In July 1934 Mussolini imposed the immediate execution of this “veto” to the prefects. The
policy was initiated by the new Party secretary Achille Starace who wanted to create a
party-bureaucratic apparatus, bypassing the interests of the local elites. The documents,
kept in the State Archives in Fiume (Rijeka), allow us to reconstruct the fascist power
structure in the Province of Carnaro.
Parole chiave / Keywords: Partito Nazionale fascista (PNF), Achille Starace, Fiume,
Provincia del Carnaro / Italian National Fascist Party, Achille Starace, Fiume, Province
of Carnaro.
Introduzione
Fiume ricopre un posto particolare nella storia del fascismo delle origini. Luogo di nascita dell’arditismo politico e dell’impresa dannunziana, lo
Stato libero, in mano agli autonomisti di Zanella, fu il primo a cadere in
mano ai fascisti, il 3 marzo 1922, sei mesi prima della Marcia su Roma.
Al fascismo fiumano delle origini si è dato molto spazio nella storiografia,
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
192
ma sulla composizione del PNF a Fiume nella Venezia Giulia degli anni
Trenta, anni di affermazione e consolidamento del regime mussoliniano si
sa ancora molto poco. In realtà studi sul sistema di potere fascista su scala
locale scarseggiano anche a livello nazionale1. Pochi anche il lavori sulla
pubblica amministrazione nel Ventennio2.
Nella Penisola, come notato da De Felice, si nota un precoce avvicinamento del notabilato locale e degli assetti del potere liberale al nuovo potere
fascista. Anche alcuni recenti studi sul fascismo veneto hanno confermato
la continuità degli assetti del reticolo notabilare, formatosi dopo l’unificazione, minimamente intaccati dai tentativi messi in atto dai diversi segretari federali di trovare una stabilizzazione del potere a livello locale e di pacificare la situazione interna3. A Fiume tale reticolo mancava completamente:
la città fu l’ultima parte della Venezia Giulia ad esser annessa all’Italia nel
1924, dieci anni dopo l’inizio del primo conflitto mondiale. La disarticolazione politica dello spazio economico mitteleuropeo ebbe effetti pesanti per
l’economia cittadina. Al gettito di capitali diretto da Vienna e Budapest con
finalità di sviluppo economico e sociale si sostituì quello dello Stato italiano, costretto a sovvenzionare la capacità produttiva in eccesso di un’industria che aveva ormai perduto i principali mercati di sbocco. Il porto, nodo
infrastrutturale dell’Europa danubiana e balcanica era ora scollegato dal
suo retroterra. La Jugoslavia, preferendo orientarsi sul proprio approdo di
Sušak, tolse le possibilità di sviluppo all’emporio fiumano la cui economia
acquisì un carattere marcatamente statalizzato e sovvenzionato4. L’influenza degli organi di Stato e pertanto di Partito poté pertanto esercitarsi in
Come caso esemplare di studio su scala locale cfr. M. PALLA, M. INNOCENTI,
Provinciali del Fascismo. La struttura politica e sociale del Pnf a Pistoia, 1921-1943, Gli
Ori, Pistoia 2007. Ulteriori indicazioni bibliografiche su studi di area locale si ricavano
da M.C. BERNARDINI, La classe dirigente negli anni del fascismo. Il caso viterbese,
Sette Città, Viterbo 2008. Giovanni GALLI, Arezzo e la sua provincia nel regime fascista
1926-1943, CET – Centro Editoriale Toscano, 1992.
2
Il rimando d’obbligo è ai lavori di Guido Melis tra cui citiamo la curatela del volume
Lo Stato negli anni Trenta. Istituzioni e regimi fascisti in Europa, Il Mulino, Bologna
2008 oltre che S. CASSESE, Lo Stato fascista, Il Mulino, Bologna 2010.
3
Renato CAMURRI, “Introduzione. Le periferie del fascismo: note di lettura”,
Venetica 23 (2011), pp. 28-29.
4
L’economia della provincia del Carnaro nell’anno 1929: esposta d’ordine della
Presidenza del Consiglio da Guido DEPOLI, direttore dell’ufficio provinciale dell’economia, La Vedetta d’Italia, 1930.
1
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
193
maniera diretta e immediata, evitando così la necessità di mediazione con
il notabilato locale che altrove aveva alquanto svilito il progetto di modernizzazione sociale intrapreso da Mussolini. Il nuovo segretario del partito
Achille Starace tentò di arginare tali problemi trasformando il federale in
un professionista della politica5.
Il fascismo fiumano negli anni Venti
Nella dirigenza del fascismo fiumano prevalevano elementi locali, formatisi ed affermatisi durante l’esperimento dannunziano del biennio 1919
– 1920. Fu quell’evento di risonanza mondiale a fornire al fascismo una
riconoscibile dimensione visiva e scenica6. Tra i locali spiccava Nino Host
Venturi, l’unico vero ras fiumano7. A differenza di Host, un uomo di origini
umili, il resto del direttivo del fascio fiumano si componeva da uomini di
lettere che avevano militato nella Giovine Fiume prima associazione irredentista cittadina, fondata nel 1905. Spiccava in particolare la famiglia
Baccich. Esemplare il caso del noto pubblicista e irredentista fiumano Icilio
Bacci (Baccich), già consigliere comunale e vicepodestà dal 1907 che, essendosi trasferito ad Ancona nel 1910 e rientrato per breve tempo a Fiume
l’anno seguente per la morte della madre, fu costretto ad abbandonare definitivamente la città.
Dopo lo scoppio della Grande Guerra diversi accoliti della Giovine Fiume erano riparati in Italia, ancora neutrale grazie agli uffici del console
italiano a Fiume Conte Carlo Caccia-Dominioni di Sillavengo8. Dopo lo
Salvatore LUPO, Il Fascismo: la politica in un regime totalitario, Donzelli Editore,
2005, p. 394.
6
Si veda l’ormai classico lavoro di Michael Arthur LEDEEN, The first duce:
D’Annunzio at Fiume, Johns Hopkins University Press, 1977.
7
Giovanni Host-Venturi (Fiume 1892- Buenos Aires 1980). Nacque a Fiume, il 24
giugno 1892. Partecipò come volontario, con il grado di capitano degli alpini e poi degli
arditi, alla Grande Guerra, nel corso della quale si guadagnò tre medaglie d’argento al
valore.
8
Il Conte entrò nella carriera consolare nell’ottobre 1887 e prestò servizio presso il
Regio Consolato di Fiume tra il novembre 1906 ed il marzo 1914; dopo aver ricoperto
altri incarichi tornò nella città istriana con il grado di Console generale di seconda classe
e le credenziali di Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario il 2 febbraio 1921. Il
Console fu richiamato a Roma nel dicembre 1922 per svolgere le funzioni di Direttore
5
194
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
scoppio delle ostilità essi dovettero arruolarsi nell’esercito italiano dove
la maggioranza, essendo esperta di lingue come il tedesco o l’ungherese,
venne impiegata nei servizi militari con compiti di spionaggio, agitazione
e propaganda9. Iti Baccich passò dai servizi dello Stato maggiore dell’esercito a dirigere la Vedetta d’Italia, pochi mesi dopo l’arrivo delle truppe
italiane di occupazione a Fiume nel gennaio del 1919.
I fratelli Gigante Riccardo e Silvino prestarono servizio come volontari
assieme ai fratelli Depoli (Attilio e Guido) e Edoardo Susmel10 (Edoardo e
Duilio) invece provenivano dagli ambienti dell’istruzione scolastica superiore italiana di Fiume. Tutti avevano alle spalle prolungati soggiorni estivi
di studio a Firenze tra il 1908 e il 1915 dove entrarono in contatto con gli
ambienti nazionalisti italiani.
Se nei primi mesi dall’ingresso dannunziano si verificò un compattamento attorno ad un programma annessionista ed irredentista, ben presto a
Fiume tornò alla ribalta l’autonomismo, resuscitato prima per intercessione
inglese dall’oscuro Ruggiero Gotthardi, poi monopolizzato dal suo leader
storico Riccardo Zanella. Zanella godette anche di significativi appoggi dagli ambienti governativi italiani, sia del governo Nitti che Giolitti impegnati
a porre fine all’avventura del poeta a Fiume.
Generale degli Affari Generali. Regia Legazione d’Italia a Fiume (1921-1924) In Storia
e Diplomazia Ministero degli Affari Esteri – UAP DSD – Archivio Storico Diplomatico
Luglio 2008 a cura di Francesco Perfetti.
9
Così per esempio troviamo come ufficiale addetto presso l’Ufficio I.T.O. del centro
I.P. di Volosca il tenente A.W. D’Allorys. In realtà è il nome di copertura del fiumano
Antonio Sirola, il quale presterà servizio ancora a fine 1919. Archivio di Stato di Fiume
(DAR) JU 8, b. 857 – Ufficio ITO Podgrad (centro IP Castelnuovo) Allegato B – Trieste
19 giugno 1919.
10
Edoardo Susmel (Fiume, 1887 – Firenze 1948), compiuti gli studi magistrali inizia
l’insegnamento nella “Scuola cittadina” di Fiume. Quale membro del Consiglio nazionale
italiano e capo dell’ufficio stampa dello stesso partecipa attivamente alle vicende fiumane
degli anni 1918-1924. Fu lui a tenere i collegamenti con B. Mussolini a Milano prima
della Marcia di Ronchi. In quegli anni scrive Fiume attraverso al storia dalle origini
ai giorni nostri, edito a Milano da Treves nel 1919 e La città di passione sempre per
lo stesso editore nel 1921. Sull’Impresa dannunziana pubblica nel 1929 La marcia di
Ronchi e sempre in quell’anno Mussolini e il problema adriatico. Nel 1937 e nel 1939
appaiono rispettivamente Le giornate fiumane di Mussolini (Garzanti) e Fiume e il
Carnaro (Hoepli). Muore nel 1948. Edoardo Susmel, assieme al figlio, Duilio iniziò la
monumentale Opera Omnia di Benito Mussolini successivamente continuata e completata
dal figlio in trentasei volumi usciti tra il 1951-63 per la casa editrice La Fenice di Firenze.
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
195
L’espulsione violenta dei dannunziani nelle “Cinque giornate”, l’affermazione elettorale zanelliana della primavera del 1921, e infine il colpo di
Stato fascista dell’ottobre del 1922 avevano segnato una profonda frattura
politica nella società fiumana che non si sarebbe più ricomposta11. L’autonomismo registrava consensi soprattutto negli ambienti operai e tra i ceti
medi e impiegatizi formatisi durante i decenni del corpus separatum ungherese.
Diversi esponenti e notabili fiumani di indubbio sentimento nazionale
italiano si allontanarono per sempre dalla piattaforma politica mussoliniana e la concentrazione del direttorio del fascio fiumano in poche famiglie
(Baccich, Gigante, Depoli, Susmel) è indice di marginalità del progetto
mussoliniano in seno alla società fiumana. Gli esponenti dell’irredentismo
italiano a Fiume provenivano soprattutto dal mondo della scuola italiana
che fino al 1918 erano vissuti all’ombra dei fratelli maggiori degli istituti
ungarici. A questi si aggiungeva una nuova leva di giovani che avevano
disertato le file imperiali allo scoppio della guerra del 1914 per arruolarsi
nell’esercito italiano nel 1915. Nel 1919 la maggioranza prese parte all’impresa dannunziana e per loro Host Venturi sarebbe rimasto il leader naturale, l’unico vero ras del fascismo fiumano12.
La contrapposizione tra annessionisti e autonomisti si mantenne anche nel mondo
degli esuli fiumani nel secondo dopoguerra. È in questa luce che vanno visti i lavori
apparsi nella prima serie della rivista Fiume sotto la direzione di Attilio Depoli affiancato
poi da Antonio Luxich Jamini, esponenti del filone autonomista in contrapposizione
alla linea annessionista prevalente nel libero comune di Fiume in esilio di Padova che
stampava la “Voce di Fiume”.
12
Fu proprio Host-Venturi a fare da intermediario tra D’Annunzio e il Consiglio
Nazionale Italiano di Fiume nei convulsi giorni d’agosto del 1919. Host-Venturi tornò
a Fiume nel novembre del 1918 come aiutante di campo del generale E. Asinari di San
Marzano che comandava i granatieri di Sardegna a Fiume. L’arrivo degli Alleati convinse
l’H. a dare subito avvio alle manovre per favorire l’annessione di Fiume all’Italia. A
questo fine si giovò della collaborazione di Grossich e di G.B. Giuriati, allora presidente
dell’Associazione Trento e Trieste, mentre i collegamenti con B. Mussolini a Milano
erano tenuti da E. Susmel. Tra il giugno e il luglio del 1920, insieme con Giuriati, l’H.
avviò, inoltre, una serie di incontri segreti con croati, montenegrini e albanesi per sondare
le possibilità di una campagna concertata che mirasse a “impedire il consolidamento
della così detta Jugoslavia”. Dopo l’annessione h ricoprì ruoli di rilievo nel Partito. Fu
consigliere nazionale del Partito nazionale fascista (PNF) e, dal 1934 al 1935, membro
della Corporazione della previdenza e del credito; dal gennaio 1935 all’ottobre 1939, fu
sottosegretario alla Marina mercantile presso il ministero delle Comunicazioni, all’epoca
retto da A.S. Benni. L’H. restò al ministero delle Comunicazioni fino al 6 febbr. 1943,
11
196
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
Il tentativo staraciano di «sprovincializzazione» (1934-1938)
Come nota Renato Camurri, in assenza di uno spazio di formazione
della classe dirigente fascista, la periferia rimane la palestra più significativa per la selezione del personale politico e amministrativo fascista. Figure
come quella del podestà e il segretario federale ricoprirono un’importanza
particolare sia per la selezione che la formazione di nuove leve di partito.
L’arrivo di Achille Starace alla direzione del partito imprime un’opera di
rinnovamento. Alla “vecchia” generazione di federali Starace voleva sostituire una nuova burocrazia formatasi dentro al Partito. Per dare di cozzo
contro interessi concreti ora bisognava ispezionare i fasci, reprimere gli
abusi, arginare i mille rivoli di spesa o sostituire il personale inadatto.
Il “nuovo” federale era ormai un «professionista» in grado di muoversi
in un’area intermedia «tra amministrazione e politica»: un funzionario inserito in una rigida organizzazione burocratica dotata di spirito di corpo,
e tipicizzata da uno stile «staraciano»: ottimista, carico di energia, facile
allo spirito gregario e alla militaresca obbedienza. L’espediente tipico per
procedere alla sostituzione dei i vertici delle federazioni periferiche erano
le «beghe» ovvero i contrasti personali tipici di un élite conservatrice di
stampo liberale, obbediente e rispettosa dell’ordine costituito e di chi lo
detiene ma nello stesso tempo refrattaria a qualunque intromissione del
partito nei propri affari.
Al posto di un movimento subordinato agli interessi delle élites di periferia, Starace volle costituire un apparato partitico, capace di travasare nel
locale ciò che dall’alto veniva deciso attraverso un organismo burocratizzato e pachidermico ridotto a cinghia di trasmissione dei voleri del “centro”.
Nella sostituzione del vecchio personale dirigente con la seconda generazione di uomini cresciuti tutti internamente al Pnf e provenienti da altre
città o da fuori regione, si realizzava il distacco dalla realtà locale, tendenza
ancora presente molto dopo la fine della segreteria di Starace. Il processo di
quando venne sostituito dal senatore V. Cini, anche questa volta a seguito di un massiccio
rimpasto governativo che vide l’allontanamento di fascisti autorevoli. Dei tre settori
concernenti le Comunicazioni – Ferrovie dello Stato, Poste telegrafi e telefoni e Marina
mercantile – quello che più impegnò l’H. come ministro fu la Marina mercantile, per il
ruolo preminente che era chiamata a svolgere nello sforzo bellico. Vedi la voce HOST
VENTURI, Giovanni del Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 61 (2004) curata
da Mauro Canali.
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
197
«spersonalizzazione» e di «sprovincializzazione» delle dirigenze iniziato
da Starace fu l’estremizzazione di una tendenza che era iniziata ai tempi di
Augusto Turati, il quale aveva visto nell’utilizzo dei commissari straordinari al posto dei federali la soluzione adatta per redimere federazioni «beghiste». Le beghe, di contrasti tra i ras locali, di lotte tra correnti interne, di
scandali e di clientele, permisero a Starace un’operazione di «infiltrazione»
nelle strutture dello Stato13.
Il Gran Consiglio del Fascismo nel 7 dicembre 1933 disponeva il veto al
cumulo delle cariche e degli incarichi pubblici. Era questa la misura prescelta per giustificare l’azione disciplinatrice. Il segretario del PNF (Starace) disponeva con Foglio di disposizioni n. 185 del 10 dicembre 1933 che
il veto posto dal Gran Consiglio del Fascismo al cumulo delle cariche e degli incarichi che sia pure senza alcuna retribuzione vengono talvolta accentrati in pochi individui deve essere rigorosamente osservato. Le eccezioni non devono essere consentite perché la
distinzione tra cariche di maggiore o di minore importanza non è
ammessa. Il fascista dovendo generalmente attendere alla propria
professione non deve dare nella esplicazione del mandato affidatogli
tutte le sue energie. Ogni ufficiale quale che sia ha importanza per il
regime, i fascisti che possiedono o i necessari requisiti devono essere
esperimentati ed utilizzati. Particolarmente i giovani saranno così
messi in grado di completare la loro preparazione.
A questo erano seguite ulteriori disposizioni che imponevano ai segretari federali di eseguire i necessari accertamenti e segnalare i fascisti che
non hanno ancora ottemperato a quanto è disposto nei riguardi del cumulo
delle cariche (disposizioni del Segr. del PNF al rapporto del 30 giugno e I
luglio 1934 XII EF). Nel luglio 1934 si era provveduto ad ispezionare senza
preavviso le federazioni dei fasci di combattimento di Avellino (ispettore
fu Tommaso Bottari), Campobasso (Paolo Scafiotti), Chieti (Adelfi Serena), Cosenza (Arturo Marpicati), Cuneo (Edoardo Malusardi), Enna (Ettore Giannantonia), Gorizia (Ciro Martignoni), Lecce (Renzo Mirigi), Pesaro
(Augusto Stefanelli), Siena (Giuseppe Azara), Sondrio (Ascanio Marchini),
Renato CAMURRI, “Introduzione. Le periferie del fascismo: note di lettura”, in
“Fascismi locali”, Venetica 23 (2011), pp. 8-9.
13
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
198
Teramo (Andrea Ippolito), Varese (Agostino Podestà), Vercelli (Gusatto
Bon Sembiante Bernardo), Viterbo (Arturo Marpicati)14.
Poco dopo il 9 luglio 1934 fu Mussolini ad inviare ai prefetti del Regno
un telegramma di Stato con il quale chiedeva i “dati della situazione circa
il cumulo delle cariche in codesta provincia stop est un problema questo
che va affrontato et finalmente risolto stop. Non facendolo ne verrebbe alla
fine un disagio spirituale et materiale sempre più accentuato et quindi di
nocumento all’ordine del regime”15.
Il 13 luglio 1934 il ministro Buffarini specificava come “gli investiti del
mandato parlamentare non possono conservare ufficio podestà aut altro di
carattere amministrativo stop analogamente componenti consiglio d’amministrazione di istituti di notevole importanza se intendono conservare incarico, di cui sono investiti, devono essere sostituiti nelle cariche di natura
politica aut amministrava stop”16.
Il Piccolo di Trieste, mercoledì 22 agosto 1934 riportava che S.E. il Prefetto dell’Istria ha scritto ai Podestà ai Commissari prefettizi, ai Presidenti
delle Congregazioni di Carità, ai Presidenti delle Opere pie, e al Commissario prefettizio della Provincia quanto segue:
Con recenti ordini il Duce ha disposto perché il veto del Gran Consiglio del Fascismo al cumulo delle cariche pubbliche abbia immediata esecuzione. Anche S.E. il segretario del Partito, con foglio di
disposizioni n. 265 del 4 luglio u.s. (ultimo scorso – sennò è p.v.
– prossimo venturo, nota BCS) ha ripetuto tale ordine, che è stato
in parte sancito nella circolare del Segretario federale dell’Istria del
24 giugno u.s., nella quale si parla anche ai impieghi dei pensionati
e alle donne che non sono sostegno di famiglia. È ora che tali ordini siano finalmente ed integralmente eseguiti e pertanto dispongo
quanto appresso: 1) Che tutti i coloro che hanno più di una carica, retribuita o non, dovranno farmi pervenire immediatamente le
Telegramma Stefani 637 352 I3 2205 in DAR – JU 6 Prefettura, Gabinetto – Busta
45 – Cumulo cariche pubbliche – 1934, doc. n. 147.
15
Telegramma stato (decifrato), n. 26482/37749, DAR – JU 6 Prefettura, Gabinetto –
Busta 45 – Cumulo cariche pubbliche – 1934, doc. n. 144.
16
Telegramma Stato (decifrato), Dal ministero dell’Interno, Roma 13 luglio 1934,
Numero 20953, DAR – JU 6 Prefettura, Gabinetto – Busta 45 – Cumulo cariche pubbliche
– 1934, doc. n. 144.
14
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
199
dimissioni delle cariche che non intendono mantenere; 2) I capi delle
amministrazioni a cui la presente circolare è diretta provvederanno
a licenziare immediatamente, dando comunicazione del provvedimento al sottoscritto, tutti gli impiegati e salariati non di ruolo che
si trovino nelle presenti condizioni: a) siano pensionati con pensione
fino a 600 lire se impiegati e fino a 300 lire se salariati; b) abbiano
più impieghi retribuiti; c) donne che percepiscono uno stipendio superiore alle lire 300, ma che non siano orfane di guerra, mogli di
Caduti in guerra o comunque unico sostegno alla famiglia; d) donne
che pur percependo uno stipendio inferiore alle lire 300, si trovino in
agiate condizioni di famiglia; 3) Coloro i quali con la resistenza passiva non eseguiranno tali ordini immediatamente saranno denunciati
al P.N.F. per i provvedimenti disciplinari del caso. 4) Tale Ordine è
diretto agli enti locali e alle Opere pie, ma si riferisce naturalmente
anche a tutti gli enti che vivendo in un regime totalitario, devono
sentire questo religioso senso di disciplina che è la nostra forza e
gioia: agli Enti parastatali, associazioni, banche, società industriali,
aziende commerciali, ecc. ecc. nonché ai datori di lavoro privati17.
Ora il prefetto del Carnaro Francesco Turbacco dovette mettersi all’opera. Dai materiali giunti in prefettura nell’estate 1934 possiamo ricostruire
la struttura e composizione degli organi amministrativi, economici e di beneficienza operanti in provincia. Si tratta della fotografia più precisa di cui
disponiamo sulla struttura del potere pubblico nella Provincia del Carnaro
come anche della composizione e distribuzione dei funzionari PNF in essa.
I dati raccolti comprendevano l’elenco dei podestà della Provincia di
Fiume, l’elenco dei presidenti congresso carità della Provincia di Fiume,
l’Azienda dei Servizi Pubblici Municipalizzati di Fiume, la Consulta Municipale di Fiume; la Consulta Municipale di Abbazia; il Rettorato Provinciale del Carnaro, la Giunta Provinciale Amministrativa, il Consiglio Federale
O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità ed Infanzia), i comuni spedivano l’elenco residenti che occupavano più cariche, i Consultori municipali, nonché
gli amministratori delle Opere Pie della Provincia di Fiume; la Croce Rossa Italiana, la Cassa Comunale di Risparmio, la Congregazione di Carità,
il Monte di Pietà, il Nido Luisa d’Annunzio, l’Istituto Fratelli Branchetta,
l’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, l’Asilo infantile principessa di
Savoia, la Fondazione Città di Fiume, il Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa.
17
Il Piccolo di Trieste, mercoledì, 22 agosto 1934.
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
200
Cumulo delle cariche pubbliche nella Provincia del Carnaro (1934)
A livello territoriale in Provincia di Fiume vi erano 14 comuni.
Comune
Abitanti
Podestà, cariche ricoperte
1
Abbazia
2762
Augusto cav. Uff. de Stadler
Podestà – pres. Società golf
2
Castel
Jablanizza
3154
/
3
Castelnuovo
d’Istria
7670
Giuseppe Prelazzi, Podestà – Segr. Pol.
4
Clana
1861
Nicolò Pini – Segr. Pol. Pres. O.N.B.
(Opera Nazionale Balilla)
5
Elsane
3353
Visintini – Podestà – commissario cassa
rurale pres. O.N.B. (Opera Nazionale Balilla)
e O.N.D. (Opera Nazionale Dopolavoro)
6
Fontana del
Conte
4038
Giuliano – Podestà – com.te fascio fiumano
7
Fiume
8
Laurana
3838
De Persico Podestà – membro consiglio
provinciale economia
9
Matteria
5023
Pulazzi –
10
Mattuglie
7340
Canepari
11
Moschiena
3396
De Persico –
12
Primano
1661
Zaferano Podestà –
13
Villa del
Nevoso
Berdon Podestà – ispettore zona PNF
14
Volosca –
Abbazia
–
52.459
Gigante Podestà – Senatore
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
201
Nel territorio del Comune di Abbazia, località di villeggiatura d’elite,
risiedevano vari maggiorenti.
Cognome e nome
Indicazione delle cariche
Cav. Uff.
Augusto de Stadler
Podestà, presidente della società del golf.
Cav.dott. Lidio Valdini,
notaro
Ispettore di zona del PNF; membro del Consiglio di
amministrazione della Cassa di risparmio.
Tullio Tomasi,
albergatore
Membro del Consiglio di amministrazione
dell’Azienda autonoma di cura; del Consiglio
provinciale dell’Economia, Consultore comunale,
presidente della Sezione albergatori della Federazione
Provinciale dei Commercianti, membro del Comitato
Provinciale del Turismo.
Dott. Ferruccio Fosco,
farmacista
Consultore comunale e membro del Consiglio
d’Amministrazione dell’Azienda Autonoma di Cura.
Dott. Gianni Fosco,
procuratore legale
Segretario del Fascio di combattimento di Abbazia;
presidente del comitato E.O.A., del comitato O.N.D.
Avv. Vittorino Barbieri,
avvocato
Presidente del Consiglio d’Amministrazione
dell’Azienda di cura; membro del Consiglio
d’Amministrazione della Cassa di Risparmio
di Fiume.
Conte
Cesare Pettorelli Lalatta,
colonnello in congedo
Membro del Consiglio d’Amministrazione
dell’Azienda Autonoma di Cura; membro
dell’Assemblea del Consorzio dell’Acquedotto
Abbazia – Laurana.
Cav. Rag.
Alessandro Mucci,
direttore d’albergo
Membro del Consiglio d’Amministrazione
dell’Azienda Autonoma di Cura e membro del
comitato provinciale del turismo.
Arch. Nicola Perugini,
imprenditore edile
Membro del Consiglio d’Amministrazione
dell’Azienda Autonoma di Cura, patrono della
congregazione di carità.
Rag. Guido Salomoni
Segretario del Fascio di combattimento di Laurana,
dirigente dell’ufficio provinciale di collocamento
del commercio; membro del consiglio prov.
dell’Economia.
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
202
Nel caso di Abbazia si notava una forte presenza di “stranieri” residenti, la Consulta Municipale di Abbazia invece si componeva di persone di
estrazione più modesta18.
Ad Abbazia era l’albergatore lombardo Tullio Tomasi ad avere maggior
potere economico e politico. Era Membro del Consiglio di amministrazione
dell’Azienda autonoma di cura; del Consiglio provinciale dell’Economia,
Consultore comunale, presidente della Sezione albergatori della Federazione Provinciale dei Commercianti, membro del Comitato Provinciale del
Turismo.
Nei piccoli comuni dell’entroterra della provincia l’accumulo delle cariche era praticamente inevitabile, vista la riluttanza del regime a concederle
a sloveni o croati.
Così da Castel Jablanizza il podestà comunicava il 19 luglio che per
quanto riguardava il partito il Comune faceva capo alla sezione di Villa del
Nevoso, il signor Savastano Ferdinando applicato comunale era anche comandante del locale fascio giovanile di combattimento e il presidente della
Congregazione di Carità signor Prosen Michele era anche vice conciliatore.
La carica di conciliatore era vacante19.
A Castelnuovo d’Istria (Podgrad) il Podestà Giuseppe Prelazzi fungeva
anche da direttore didattico. Giuseppe Prelazzi era Segretario politico del
PNF, il farmacista Agostino Valle fungeva da Giudice conciliatore, Artesi Angelo insegnante era Fiduciario dei sindacati, il segretario comunale,
Vi troviamo il Corich Eugenio Liberato fu Giovanni e di Scabich Maria, nata a
Pogliano il 28 agosto 1910, agricoltore; Tomasi Tullio fu Enrico e fu Mansigo Giuseppina,
nato a Mezzolombardo il 27 gennaio 1893, albergatore; Moruzzi Giovanni fu Alfredo
e fu Bernalich Antonio, nato a Volosca il 20 settembre 1890, negoziante; Tranquillo
Antonio fu Antonio e fu Turpich Maria, nato ad Apriano il 15 ottobre 1870, benestante;
Abba Giorgio di Giovanni e di Zandrich Maria, nato a Pola il 12 novembre 1887, portiere
d’albergo; Matossich Marco fu Pitero e di Covacich Caterina, nato a Spalato il 25 aprile
1890 cameriere; Colombis dott. Giuseppe fu Giorgio e di de Petris Francesca nato a
Cherso il 4 giugno 1892 notaio; Benassi dott. Gastone di Ubaldino e di Galli Teresa, nato
a Piombino il 12 luglio 1898 vice direttore della cassa ammalati di Abbazia; Fosco dott.
Ferruccio di Ugo e di Billich Emilia, nato a Sebenico il 25 marzo 1898, farmacista. DAR
JU 6 R. Prefettura del Carnaro, da Comune di Abbazia, doc. n. 149.
19
Ju 6, R. Prefettura del Carnaro, da Comune Castel Jablanizza, 19 luglio 1934, n.
2102, (n. 15).
18
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
203
Zuanni Federico, era Presidente ONB, il Comandante Fasci Giovanili Marco Scattola, fungeva anche da Collettore esattoriale e infine il funzionario
che riuniva più cariche era il dott. Federico di Spilimbergo, presidente della
congregazione di Carità, Segretario del OND, reggente la cattedra di agricoltura20.
Dal Municipio di Clana (Klana) il podestà Nicola Pini ricopriva pure
la carica di Segretario politico, di Presidente OND, ed ONB, del comitato
comunale di Clana, mentre al segretario del comune era anche affidato l’incarico dei sindacati fascisti21.
A Elsane il Visintini gestiva tutto da solo: era allo stesso tempo Podestà,
Commissario prefettizio della cassa rurale di Elsane, Presidente del locale
Dopolavoro e del Comitato dell’OMNI.) Giuseppe Passiaco Di Mauro era
maestro elementare e giudice conciliatore22.
A Fontana del Conte (Knezak) Giuliano Ciro era Podestà, Presidente del
Comitato dell’OMNI e Comandante del Fascio giovanile di combattimento. Il Dottor Adolfo Kinkela medico comunale – conciliatore e Ferdinando
Stovani maestro elementare – vice conciliatore e Commissario comunale
ONB. Come Presidente della Congregazione di Carità fungeva il capomastro Mattia Tomsich23.
Il Comune di Laurana era più importante. Il Podestà Bruno de Persico
era anche Commissario prefettizio di Moschiena e membro del Consiglio
provinciale dell’economia corporativa24. Il dott. Cella Ramiro, era giudice
conciliatore e presidente del patronato scolastico; Guido Salomoni era dirigente ufficio collocamento del commercio di Abbazia nonché Segretario
politico del Fascio di combattimento di Laurana. Raffaele Rack era Presidente della Congregazione di Carità e Segretario amministrativo del Fascio
di Laurana, Pietro Pertile, Segretario politico del Fascio di Laurana era
anche presidente del comitato ONB.
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Municipio di Castelnuovo d’Istria, 20 luglio 1934,
n. 2896, (n. 16).
21
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Municipio di Clana, 19 luglio 1934, n. 2566, (n. 17).
22
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Municipio di Elsane, 19 luglio 1934, n. 2447, (n. 18).
23
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Comune di Fontana del Conte, 19 luglio 1934, n.
2513, (n. 20).
24
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Comune di Laurana, 23 luglio 1934, n. 870/34, (n. 21).
20
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
204
Comune di Matteria25
N ordinale
Cognome e nome
Professione
Note
1
Cav.
Depangher Nazario
Privato
Segretario politico
2
Cav.
Prelazzi Giuseppe
Direttore
didattico
Commissario prefettizio
3
Zeriav Lodovico
Maestro
elementare
Conciliatore
4
Babuder Giovanni
Pensionato
Presidente della Congregazione
di Carità
Comune di Mattuglie26
N d’ordine
Cognome e nome
Carica principale
ricoperta
Altre cariche
1
Callipari dott.
Guglielmo
Commissario
prefettizio
2
Bradicich Germano
3
Dubrovich Rodolfo
4
Tiribilli Giulio
Conciliatore
Presidente della
Congregazione di
Carità,
Segretario politico
5
Baldussi Stefania
Segretaria fascio
femminile
6
Festa Lodovico
Fiduciario com. dei
sindacati fascisti
7
Dolcini Antonio
Presidente O.N.B.
--
8
Radessi Nicolò
Comandante fascio
giovanile
--
9
Toti Ezio
Presidente assoc.
Naz. Combattenti
--
10
Dotti Donato
Presidente assoc.
Arma artiglieria
--
Presidente O.N.M.I.
-Vice Conciliatore
Presidente O.N.D.
-Fiduciario zona dei
sindacati
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Comune di Matteria, 19 luglio 1934, n. 2969/34,
(n. 22-3).
26
Ju 6 R. Prefettura del Carnaro, da Comune di Mattuglie, 20 luglio 1934, n. 4610/34,
(n. 24-5).
25
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
205
In sintesi nella composizione della classe dirigente fascista dei piccoli
comuni della provincia mostra una certa presenza di locali, prevalentemente di etnia slovena in incarichi di minor peso. Per il resto alcune figure di
militari e dipendenti del governatorato militare della Venezia Giulia che si
erano insediati già con le truppe di occupazione nel 1919 continuavano a
ricoprire ruoli chiave.
Negli organismi centrali della Provincia, ovvero nel Rettorato Provinciale troviamo il Senatore Icilio Bacci, quale Preside del Rettorato Provinciale; vice Preside era Edoardo Susmel nel contempo presidente federazione
agricoltori della Provincia, Rettore Ordinario era Manlio Verde Aldrighetti
e il Dott. Otello Persich e Dott. Enrico Mazzoleni, Rettore Supplente era il
Dott. Carlo Stupar, e Attilio Spadavecchia. I notabili locali erano soprattutto dottori in medicina e professori, unica figura politica era un veterano
dannunziano Manlio Verde Aldrighetti sul quale ritorneremo.
La Consulta Municipale di Fiume mostrava anche una composizione
quasi “democratica”. Vi troviamo commercianti27, impiegati, professionisti28, amministratore aziendali ma anche operai29. Non mancavano medici
Come Iugo Enrico fu Simone, commerciante, nato a Fiume il 4 settembre 1879; Erbisti Annone, fu Annone e fu Caterina Gulovich, nato a San Pietro in Lavagna (Verona) il
29 9 1887 era Consultore municipale, Presidente comiss. Comunale commessi ambulanti,
Membro asilo infantile princ. Maria di Savoia, Membro comiss. Tiro a segno; Vittori
Manlio fu Emilio e di Luigia Gruden nato a Trieste l’8 9 1882 era Consultore municipale, Membro Cons. Prov. dell’Economia Corporativa, Membro ufficio del lavoro, Vice
pres. Fed. Prov. Fasc. commercio e Vice comandante Zona Reale fed. Italiana della vela.
28
Valli cap Antonio, fu Antonio e della Angelina Curti, nato a Fiume il 30 agosto
1887, consigliere delegato di società di navigazione; Arich avv Diego fu Clemente e fu
Furilon Sannig, nato a Pisino il 1 luglio 1873, professionista; Fantini Emiro, fu Pasquale
e della Antonia Zoppich, nato a Pola il 22 dicembre 1890, fotografo; Oloschin Alberto
fu Alberto di Augusta Kern, nato a Fiume il 5 giugno 1900, gerente ditta di servizi
automobilistici; Morini Salvatore, fu Pompeo e della Maria Sugia, nato a Fiume il 17 nov
1882 perito; 15 Stiglich cav uff avv Giovanni fu Antonio e della Cavolina Massich, nato
a Fiume il 15 giugno 1881, professionista.
29
Facchini Federico, fu Bartolomeo e fu Faustina Petris, nato a Gallerano il 5 II 1889,
capotecnico al locale Silurificio, era Consultore municipale, Vice pres. del Monte di
Pietà e Consigliere delle piccole industrie; Huber Francesco, di Leopoldo e di Giovanna
Kappel, nato a Fiume il 1 X 1895 operaio presso i Cantieri Navali del Carnaro, Sensini
Gastone, fu Gervasio e fu Montanari Michelina, nato in Ancona il 2 III 1893 operaio
presso la Raffineria Olii Minerali Vascotto Gino fu Domenico e fu Elisabetta Orsetti nato
a Zara il 27 dic 1892 commesso; Cuzzi Mario fu Antonio e della Viriginia Maccavì, nato
a Fiume il 14 sett 1890, console della compagnia lavoratori del porto; Serdoz Giovanni, fu
27
206
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
o intellettuali30 che costituivano il nerbo delle elites fiumane, o capi storici
del PNF fiumano come l’ing. Carlo Conighi31, il prof. Edoardo Susmel32.
La maggior concentrazione di cariche spettava al polese Ettore Cidri
ragioniere e “impiegato privato”. Cidri era in realtà uomo chiave del regime nella Provincia del Carnaro33, e aveva accumulato un numero impressionante di cariche: era Presidente della Pia Casa di Ricovero fratelli
Branchetta, Presidente della società alpina “Carsia” (OND), Presidente dell’“Unione” soc. in azioni per la costruzione di case, Consultore municipale,
consigliere dell’Azienda dei Magazzini Generali, consigliere della Croce
Rossa italiana, del Consorzio Antitubercolare, consigliere della Fondazione
“Città di Fiume”, vice presidente della commissione di prima istanza delle
imposte, membro del consiglio provinciale dell’economia corporativa, capo
del gruppo esportatori vini in seno alla Federazione provinciale fascista del
commercio, membro della commissione di disciplina della Federazione dei
Fasci di Combattimento del Carnaro, Revisore della Banca Mobiliare SA,
Revisore supplente della Banca popolare SA, membro della commissione
di sconto del Banco di Napoli. In rappresentanza della provincia per il PNF,
era in particolare consigliere della Croce Rossa italiana, ospedale civile S.
Spirito, del Consorzio Antitubercolare, consigliere della Fondazione “Città
di Fiume”, consigliere dell’Azienda dei Magazzini Generali, vice presidente della commissione di prima istanza delle imposte, membro del consiglio
Vincenzo e fu Maria Fergina, nato a Fiume l 8 giugno 1883, piccolo proprietario agricolo.
In DAR JU d. 150.
30
Vi troviamo il prof. Antonio Smoquina del fu Leopoldo e della fu Maria Giurissevich
nato a Fiume il 17 gen 1882, insegnante di scienze naturali, ma anche presidente del
consiglio di Amm. del Monte di Pietà; Lenaz dott prof Lionello, fu Vincenzo e della fu
Luigia Moroevich, nato a Fiume il 17 agosto 1872, primario al civico ospedale, era anche
Membro comitato colonie “Fondazione Città di Fiume”, Membro Cons. Prov. Della sanità
e Vice presidente cons. antitubercolare.
31
Carlo Conighi di fu Carlo e fu Teresa Buffetti, nato a Trieste il 26 febb 1853,
professionista era Consultore municipale, Presidente Cassa Provinciale di Malattia,
Commissario Straordinario Comitato Orfani di Guerra, Presidente della C.I.S.A.
32
Edoardo Susmel era nato a Fiume il 3 dic 1887, da Vittorio ed Antonia Zitta, in
qualità di amministratore di azienda privata e sindaco di società di navigazione. Era
inoltre Vice Preside della Provincia, Presidente della Fed. Prov. degli agricoltori,
Consultore municipale, Consigliere della Banca d’Italia, Presidente della sezione agricola
del consiglio provinciale dell’economia, Membro Cons. Amm. dei Magazzini Generali e
Membro Cons. Amm. Fabbrica prodotti chimici.
33
Ettore Cidri era nato a Pola il 13 feb 1891, di Luigi e di Antonia Scala.
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
207
provinciale dell’economia corporativa, capo del gruppo esportatori vini in
seno alla Federazione provinciale fascista del commercio, membro della
commissione di disciplina della Federazione dei Fasci di Combattimento
del Carnaro. Accanto a lui troviamo altri due dirigenti il dott. Arturo de
Meichsner34, “impiegato nel ramo assicurazioni” e il dott. Sergio Gherbaz
membro in qualità di “impiegato in società di navigazione”, ma entrambi
detentori di numerosi incarichi35.
Nella Consulta Municipale il PNF riusciva a penetrare i principali settori di attività economica e dei servizi sociali di Fiume. Il partito aveva
suoi fiduciari tra gli operai dei maggiori stabilimenti industriali: Cantieri
Navali del Carnaro, Raffineria Olii Minerali, compagnia lavoratori del porto e società di navigazione. Accanto ad essi vi si trovavano i direttori delle
principali imprese: spiccavano il capitano Antonio Valli, Amministratore
delegato Società di Nav. Oriente36 e l’ingegnere navale napoletano Gustavo
Bozzoni, direttore generale dei Cantieri Navali del Carnaro certamente la
figura più autorevole in quanto capo della più grande impresa industriale di
Fiume lavorava soprattutto grazie alle commesse della marina militare37.
Tra gli impiegati comunali invece i membri del PNF erano soprattutto
membri della Commissione ricorsi tasse comunali, della commissione comunale alle licenze commerciali e della commissione delle licenze ambulanti, ma vi si trovava anche Alessandro Bydescuty, Giudice di tribunale.
Dott. Arturo de Meichsner di Arturo e della Maria Golubich nato a Fiume il 16 aprile
1904, era Consultore municipale, Membro direttorio federale del P.N.F., Comandante in
2° F.G.C.
35
Dott. Sergio Gherbaz di fu Ugo e di Amalia Venchiarutti, nato a Fiume il 1 febbraio
1901, era Consultore municipale, Membro Cons. Prov. dell’Economia Corporativa,
Membro Cons. amm. Del Monte di Pietà, Membro Commissario prov. di imposte dirette,
Bibliotecario della S.N. Dante Alighieri, Segretario del Circolo Savoia.
36
Antonio Valli di fu Antonio e della Angelina Curti, nato a Fiume il 30 agosto 1887.
37
Comm. Dott. Ing. Gen. Gustavo Bozzoni di fu Antenore e fu Irene Volponi, nato
a Napoli il 27 agosto 1872, direttore generale dei Cantieri Navali del Carnaro era Pres.
Sez. industriale del cons. Prov. dell’economia, Pres. Unione industriale fascista, Membro
cons. amm. Comitato italiano per lo studio dei problemi della popolazione, Membro
comitato ing. Cons. Naz. Ricerche (CNR) e Direttore gen. dei Cantieri del Carnaro G.
Bozzoni, Marina militare e costruz. navali, in Cinquant’anni di storia italiana, I, Milano
1911. Autore di monografie fu direttore capo di molti progetti di costruzione navale tra
cui anche il progetto di trasformazione per la portaerei italiana “Aquila” mai completata,
varata nel 1941.
34
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
208
Nel Rettorato Provinciale oltre ad Icilio Bacci, Preside della Provincia e Senatore del Regno vi si trovavano anche Edoardo Susmel, Enrico Mazzoleni,
Membro del consorzio provinciale anti tubercolosi, Otello Persich. Rettori
Supplenti della Provincia erano l’avv. Attilio Spadavecchia e il dott. Carlo
Stupar.
Accanto ad alcuni nomi ben noti come Susmel, Lenaz e Bacci troviamo
l’uomo forte del Partito in provincia, Manlio Verde Aldrighetti. Aldrighetti
è membro Direttorio Federale del PNF e Segretario associazione nazionale
dei combattenti – Sezione provinciale del Carnaro, nonché presidente della
sezione di Fiume dell’Istituto del Nastro Azzurro. Fiumano e volontario
della prima guerra mondiale, Manlio Verde Aldrighetti era capo dell’Ufficio stralcio delle milizie fiumane, costituito durante il gennaio 1921 a Fiume. L’ufficio aveva importanza centrale in quanto era incaricato del rilascio
dei documenti attestanti la qualifica, tanto ai legionari quanto alle donne
legionarie di Fiume38. Aldrighetti detenne l’incarico fino al 19 aprile 1945,
quando, per evitare che il materiale andasse disperso, lo portò in Italia
Il riconoscimento ufficiale dell’Impresa fiumana è sancito dal Governo fascista
e regolato, inizialmente, con il RDL 30 ottobre 1924 n. 1842, (art. 16), con circolari
successive e, infine, con la Legge 1 novembre 1940 anno XIX n. 1641. Secondo il disposto
della legge, il servizio prestato nelle Milizie legionarie fiumane, dal 13 settembre 1919
al 5 gennaio 1921, è parificato al servizio prestato dai combattenti nella Grande Guerra,
inquadrati nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica e in reparti mobilitati alle dirette
dipendenze del Comando supremo. Si considerano reparti mobilitati le Legioni fiumane
negli anni 1919-1921 e, il servizio militare prestato in esse, dà diritto all’inserzione a
matricola della variazione di appartenenza alle Milizie medesime e al riconoscimento dei
gradi militari acquisiti. Con disposizioni precedenti erano già state fissate le norme per
l’estensione anche ai legionari fiumani della medaglia istituita a ricordo dell’Unità d’Italia.
Prima ancora dell’emanazione della Legge n. 1641/1940, il 4/12/1939, in occasione del
Ventennale di Ronchi, il Regime fascista stabilisce, con Foglio disposizioni n. 18, che la
qualifica di legionario fiumano e la diretta partecipazione al Natale di sangue determini
rispettivamente la retrodatazione dell’iscrizione al PNF con data dal 12 settembre 1919
e l’attribuzione della qualifica di squadrista “… ai legionari che abbiano partecipato in
armi ai combattimenti delle Cinque giornate di Fiume o ad altre azioni fiumane sarà
riconosciuta la qualifica di squadrista.” Ed è proprio dalla fine del 1939 al 1941 che si
concentrano le pratiche di coloro che, pur non essendo legionari autentici, richiedono il
riconoscimento della qualifica di squadrista.
In base al Foglio disposizioni n. 18, anche le donne che ebbero parte attiva durante
l’Impresa fiumana, rivendicano il riconoscimento della qualifica legionaria e la retrodatazione di anzianità nel partito. All’istruttoria delle pratiche delle donne legionarie ha parte
attiva la Federazione provinciale dei fasci femminili di Fiume. Sempre in base al Foglio
disposizioni n. 18, viene riconosciuto uno speciale attestato di benemerenza a coloro che,
non militarmente inquadrati, sostennero l’Impresa e la Causa fiumana.
38
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
209
consegnandolo in custodia alla Fondazione “Il Vittoriale degli italiani”
presso Gardone Riviera. L’Ufficio stralcio milizie fiumane venne riattivato
nell’anno 1953 sotto il patrocinio della Legione del Vittoriale (costituita
nel 1952). La sua amministrazione fu affidata sempre all’Aldrighetti, che
risiedeva a Verona. L’attività dell’Ufficio stralcio milizie fiumane, sotto la
direzione di Manlio Verde Aldrighetti proseguì presumibilmente fino al
30 giugno 1958 o comunque fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel
1961. A Verona andò anche Ettore Cidri e altri ex maggiorenti del PNF, destinati a ricoprire ruoli di primo piano nelle associazioni degli esuli fiumani
in Italia39.
Ruggero GHERBAZ, “A Verona è scomparso il polese Ettore Cidri”, Difesa Adriatica, 06/10/1965. L’avv. Ruggero Gherbaz risedeva a Venezia. Era Presidente della Lega
Fiumana a Padova (affiliata all’A.N.V.G.D. Associazione Nazionale “Venezia Giulia e
Dalmazia”) ma era anche Segretario della Commissione Riconoscimento Titolo Legionario Fiumano la quale continuava ad avere la propria sede a Verona, erede dell’Ufficio stralcio delle milizie fiumane capeggiato fino al 1960 da Manlio Verde Aldrighetti.
39
210
William K linger, Organizzazione del regime fascista, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 191-210
SAŽETAK
USTROJ FAŠISTIČKOG REŽIMA U KVARNERSKOJ POKRAJINI
(1934. – 1936.)
Veliko vijeće fašizma je 7. prosinca 1933. donijelo odluku kojom se zabranjivalo kumuliranje službi u javnoj upravi, a 13. srpnja 1934. Mussolini
je naredio prefektima da odmah pristupe izvršenju te odredbe. Za vrijeme
dok je Starace bio tajnik, periferija je postala privilegirani prostor za stvaranje rukovodećeg fašističkog sloja. Umjesto pokreta podređenog interesima lokalnih elita, Starace je želio stvoriti birokratizirani stranački aparat
koji bi bio u stanju prenijeti na niže nivoe odluke središnjice. I u Rijeci
su gradonačelnik i predsjednici ustanova za društvenu skrb i dobročinstvo
morali priopćiti prefektu Francescu Turbaccu sastav svojih upravnih tijela.
Dokumentacija, koja se čuva u Državnom arhivu u Rijeci, omogućava rekonstrukciju unutrašnjeg rasporeda fašističkih vlasti na političkom i gospodarskom planu u Kvarnerskoj provinciji.
POVZETEK
ORGANIZACIJA FAŠISTIČNEGA REŽIMA V KVARNERSKI POKRAJINI
(1934 – 1936)
7. decembra 1933 Veliki fašistični svet je podal veto na kopico številnih
nalog in javnih uradih ter 13. julij 1934 Mussolini je razporejal takojšnjo
izvedbo prefektom. Periferija v času Staracevega sekretariata, je postala
privilegiran prostor za nastanek fašističnega vladajočega se razreda. Namesto predloga podrejenega interesom elite predmestja, Starace je želel
zgraditi birokratsko stranko, ki bi lahko vlila lokalno, kar se je odločevalo
v zgornjih plasteh oblasti. Tudi na Reki podeštati (od vlade imenovani predstojnik občinske uprave), predsedniki pobožnih del in dobrodelnih organizacij so morali posredovati sestavo svojih izvršnih organov za prefekta,
Francesca Turbacca. Dokumentacija, hranjena v Državnem arhivu na Reki,
nam omogoča rekonstrukcijo gospodarske in politične strukture fašistične
oblasti v Kvarnerski pokrajini.
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
211
MONS. ANTONIO DESSANTI:
LA CARITÀ TRA L’ISTRIA E TRIESTE
PIETRO ZOVATTO
Trieste
CDU 92AntonioDessanti”1921/2012”
Biografia
Novembre 2012
Riassunto: L’autore traccia un profilo biografico e illustra la personalità sacerdotale di
mons. Antonio Dessanti (1921-2012), istriano di origine, ma che operò per gran parte
della sua vita a Trieste, dove viene ricordato come il “sacerdote dei poveri”.
Summary: Msgr. Antonio Dessanti: Charity between Istria and Trieste - The author
traces a biographical sketch and illustrates the priestly personality of Msgr. Antonio
Dessanti (1921-2012), of Istrian origin, yet,who for most of his life worked in Trieste,
where he is remembered as the “priest of the poor.”
Parole chiave / Keywords: Chiesa, Istria, Trieste, esodo istriano / Church, Istria-Istra,
Trieste, Istrian exodus
Ci ha lasciato Don Antonio Dessanti (1921-2012) con quel pudore discreto di un avvolgimento religioso profondo e interiore, dopo una lunga sofferenza. Era inquietante il suo spegnersi in via Pascoli all’ITIS o in ospedale
a Cattinara, ove ha trascorso gli ultimi giorni del suo Calvario. Quando
andavo a trovarlo, chiedeva con gli occhi lucidi di trepidazione la benedizione della Madonna e dell’Altissimo; mi baciava la mano. Lodava il mio
operato (riproduceva in fotocopia, anche in quelle condizioni, i miei articoli
a edificazione spirituale dei ricoverati) e mi incoraggiava a proseguire. Mi
chiedeva persino “scusa” dei “torti” fattimi. Solo lui sapeva il perché.
La densità della sua esperienza pastorale nell’ultimo periodo di vita si
concentrava nel morire lento come di una candela che ha finito la cera, ma
non di ardere. Anche in via Pascoli amava svolgere una pastorale di presenza con la Parola di Dio con i vecchietti e le vecchiette ricoverati e con tutti
coloro che andavano a trovarlo.
Una scheda biografia1 lo vede nascere in Istria, a Buie, là ove ancor
oggi il dialetto istro-veneto resiste nella parlata popolare di tutti, Italiani
1
Vita Nuova 27-1-2012; R. CORSI, “Ai bisognosi donò una risposta sempre evangeli-
212
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
e Croati. Aveva compiuto gli studi del Ginnasio nel Convitto Seminario
Interdiocesano Minore di Capodistria, per sostenere poi il corso teologico
nel Seminario Teologico Centrale di Gorizia.
Nel 1946 è ordinato sacerdote dal vescovo Antonio Santin (1938-1975)
nella cattedrale di San Giusto ed è subito cappellano a Fossalon di Grado
(nella arcidiocesi di Gorizia), per passare poi al Villaggio del Fanciullo a
Opicina (TS) dal 1947, per circa un decennio. Il vescovo di Trieste aveva
notevoli problemi, anche di ordine economico, per dare una adeguata sistemazione ai molti sacerdoti profughi dell’Istria, provenienti dalle diocesi di
Parenzo e Pola, e di Fiume, e per incardinarli nella sua. Alcuni li dirottava
verso altre diocesi come don Eugenio e don Oliviero Bullesi, profughi già
nel 1947, in concomitanza con l’esodo da Pola, e successivamente incardinati e diventati parroci nella diocesi di Concordia (ora Concordia-Pordenone). Mentre il loro fratello maggiore, don Giovanni, fu sistemato a Trieste,
accolto dal vescovo Santin, che fu padre spirituale del loro fratello, il Servo
di Dio Egidio Bullesi, giovane dell’Azione Cattolica a Pola.
Di quella esperienza del Villaggio del Fanciullo, positiva sotto il profilo
pedagogico, per altri aspetti negativa, Santin, istriano di Rovigno, diceva
che “don Antonio per la carità aveva le mani forate”. Lo si trova poi cappellano dei profughi a Borgo Santa Croce e a Prosecco. E quindi collaboratore
all’Ospedale Maggiore (1968-1975); e ancora (dal 1975 al 1991) insegnante di Religione nell’Istituto Magistrale Duca d’Aosta di Trieste, assistendo
contemporaneamente gli anziani della Casa Famiglia “Mater Dei” di via
Guardiella 8 (TS).
Nella Primavera del 1967 mentre soccorreva un ferito nella strada a Santa Croce, lui stesso venne a sua volta coinvolto nell’incidente di seguito
sopravvenuto. Per tutta la vita porterà le conseguenze di quella terribile avversità. Per sua buona ventura un medico, Luigi Faccini, nell’ultimo periodo della sua vita lo seguì con le cure giornaliere assieme a Jannine Bassan,
che gli fu sempre accanto.
Già settantenne nel 1992 riceve l’investitura canonica di parroco, dal
vescovo Lorenzo Bellomi (1978-1996) della Chiesa Beata Vergine del Rosario, Cappella Civica, nel centro storico della Città. Nel 2006 è insignito
ca”, in Vita Nuova 3-2-2012; P. ZOVATTO, “Don Antonio Dessanti il Cireneo della carità
a Trieste”, in Vita Nuova, 10-2-2012. Per la cerimonia inerente il conferimento del Premio
“Histria Terra”, v. Unione degli Istriani, febbraio, n. 1-2, 2011, pp. 19-20, presente anche
padre Rasko Radović, pope della Comunità serbo-ortodossa di Trieste.
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
213
della onorificenza di Cappellano di Sua Santità, essendo vescovo di Trieste
Eugenio Ravignani, (1997-2009), originario di Pola.
Nel 2009, quasi novantenne, suo malgrado e in sofferenza, lascia il governo della parrocchia; lui e la Curia vescovile contrariati.
Chi era don Antonio Dessanti sotto il profilo della sua personalità sacerdotale?
Don Antonio era l’uomo della preghiera. Lo si trovava sempre in Chiesa;
se non pregava il motivo era che stava condividendo la situazione esistenziale di crisi dei molti sventurati che a lui si rivolgevano. Aveva una parola
buona per tutti da trasmettere con la fede viva e commossa di uno che
prendeva il Vangelo alla lettera, “sine glossa” come San Francesco. Aveva
in grado eminente il dono di ascoltare coloro che si rifugiavano nel luogo sacro per sentire una parola cordiale di conforto e di speranza. Diversi
cristiani hanno ritrovato la fede e la pratica religiosa sotto la sua guida,
dimessa quanto disarmante, semplice quanto efficace, perché diretta alla
“sapienza del cuore” (Sal 90, 12).
Mons. Antonio Dessanti
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
214
Il suo carisma evidente era di saper stare senza disagio con gli ultimi,
che erano “i disoccupati, o sottoccupati, o cassaintegrati, i diseredati, gli
emarginati, gli emigrati, i carcerati, i clandestini, i barboni, coloro che vivevano nei pericoli: in viaggio, in ferie ecc.”. Queste ultime parole sue egli
inseriva di sua volontà nel Canone della messa, per ricordare l’esercito infinito degli sconfitti dalla vita. Il vescovo Lorenzo Bellomi intervenne per
far rispettare la struttura portante della Messa, ma con fatica don Antonio
riuscì a eliminare quella integrazione “dei poveri”, che per lui era sacra
come il Canone, perché Cristo è visibile nei poveri. Senza saperlo don Antonio ripercorreva la tradizione della Chiesa che con il grande vescovo di
Meaux, Bossuet, afferma L’Eminente Dignità dei Poveri, vedendo in essi
“il sacramento di Cristo” in corrispondenza analogica e mistica con l’Eucaristia (Discorso di Paolo VI ai “Campesinos” a Bogotà, 23-8-1968).
Così pure nel “memento dei morti” spalmava elenchi abbondanti di defunti, con in primo piano quello della intenzione della messa, proclamato
almeno tre volte durante la celebrazione. Messe speciali erano riservate al
sodalizio del Suffragio Cristiano da lui fondato a Trieste, di cui teneva un
libro di nominativi con molti iscritti: addirittura 17422. Si trattava di una
grossa Agenda che egli stesso gestiva per ricordare, commemorare e ringraziare. Tra i primi profughi “de facto” da Gorizia, nel cui Seminario si
trovava al termine del secondo conflitto, il giovane don Antonio fu molto
aiutato da Carlo Margotti (1934-1951), primo arcivescovo italiano di Gorizia, prematuramente scomparso. Ogni anno il 31 luglio lo ricordava con
una messa dei defunti nella Chiesa del Rosario come segno di affettuosa
riconoscenza. E si potevano vedere persone che venivano dal Goriziano
per rendere omaggio al defunto ricordato in benedizione, per la sua carità e
umanità ancora dopo mezzo secolo.
Queste anime del Suffragio Cristiano universale, per lui sempre purganti, beneficiavano di preghiere e di menzioni particolari nelle messe a
loro riservate. Le oblazioni e le offerte ricevute da questo interagire supplice con l’Aldilà venivano tutte devolute ai poveri. Per lui le discussioni
di qualche teologo progressista che metteva in dubbio l’esistenza del Purgatorio erano astrazioni che non lo scalfivano. A questo proposito citava
Dante, e secondo la sua opinione era più che sufficiente. Mai si concedeva
Archivio Parrocchiale Chiesa B.V. Madonna del Rosario. Un grosso volume,
Agenda, riporta i nominativi del popolo minuto come dei professionisti e delle personalità
del mondo politico cittadino.
2
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
215
il lusso di una cenetta in qualche trattoria o pizzeria; viveva ai limiti della
indigenza; il suo tenore di vita era simile a quello dei poveri che serviva.
Non conosceva le ferie, in sedici anni abbondanti di parroco non fece una
pausa di riposo, solo quando era ricoverato in ospedale poteva finalmente
ristorarsi con un po’ di regolarità di vita. Ma anche lì le visite gli toglievano la serenità della degenza, e gli stessi altri ricoverati approfittavano
della sua presenza a vantaggio delle loro anime.
Don Antonio era l’uomo della carità universale. In lui il cuore sacerdotale si allargava ai confini del mondo, tutti avevano udienza. Di giorno, di
notte, senza pause, senza soste. La notte era come il giorno. Quando non
arrivavano, i poveri li andava a cercare. Come una calamita li scovava dai
loro nascondigli, nel cuore della notte. Recava loro vestiario, panini, biscotti, tè caldo e, se non avevano di che dormire, era lui stesso che si occupava
per trovare il dormitorio. Mai nessuno trascorse la notte all’addiaccio, soprattutto d’inverno quando il gelo è proibitivo e la bora fischia impietosa.
Don Antonio era l’uomo della carità “romantica”. Non gli importava
tanto da dove prendere i mezzi. Desiderava solo che l’uomo nel bisogno,
data l’urgenza tante volte oggettivamente drammatica, trovasse l’immediato ristoro.
Salvava così “l’opzione degli ultimi” del suo ministero pastorale vibrante di sensibilità sociale per i poveri. Perché l’uomo possiede una sua dignità
da difendere, come primo valore inalienabile. Affermava questo principio
come una sua bandiera personale: salvare la dignità umana del povero. Nelle conversazioni che potevo fare, nei suoi momenti di pausa, mi confidava
che era stato mons. Guglielmo Biasutti (1904-1985)3 della diocesi di Udine,
Su G. Biasutti, s.v. in Dizionario Biografico dei Friulani, Ribis, Udine, 1997, p.
74; A. DE CILLIA, Guglielmo Biasutti nella tradizione udinese di carità, Arti Grafiche
Friulane, Udine 1992; e G. MICCOLI, “Don De Biasio: la continuità di una tradizione”,
in Metodi e Ricerche 1-2, 1994, pp. 3-5; S. PIUSSI, “Biasutti Guglielmo”, in Nuovo Liruti.
Dizionario biografico dei Friulani, III, a cura di C. Scalon, C. Griggio, G. Bergamini,
Forum Ed., Udine, 2011, pp. 448-452. Merita ricordare di Biasutti la notevole biografia:
Padre Luigi Scrosoppi, con presentazione di C. Fabro, Arti Grafiche Friulane, Udine,
1979. Su Radole: P. ZOVATTO, “Giuseppe Radole tra musicologia e folklore”, in Atti e
Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, 2008[2009], pp. 237-260
e IDEM, in G. RADOLE, Lo “Schillerverein” a Trieste. Storia e personaggi, a cura di
M. Sofianopulo [e P. Zovatto], Pizzicato, Udine, 2010, pp. 11-29 con bibl. aumentata; e di
D. DI PAULI PAULOVICH, “Un istriano illustre da Barbana d’Istria. Giuseppe Radole
e il suo grande lascito culturale”, in Atti, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, vol.
XXXVIII, Rovigno-Trieste, 2008, pp. 677-725.
3
216
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
che lo ispirava nella donazione totalizzante alla carità. Quell’esimio sacerdote friulano ha fondato l’Istituto Bearzi a Udine per gli orfani, dato in
gestione ai Salesiani e il Piccolo Cottolengo a Santa Maria la Longa (comune vicino a Palmanova nel Friuli) per handicappati, affidato agli Orionini.
La realistica strategia del Biasutti, notevole storico e intellettuale, consisteva nell’organizzare grandi strutture benefiche a favore dei poveri e darle
per la conduzione alle Congregazioni religiose specialiste del settore. Assicurava così la continuità nel tempo, evitando gli interventi occasionali non
sempre facilmente gestibili con criteri di lungimiranza e continuità storica.
Di questo suo carisma oltre ogni misura e della presenza attiva di don
Dessanti se ne accorsero le autorità municipali di Trieste. Gli vollero conferire il Sigillo Trecentesco (2009), riservato per i cittadini della Città benemeriti per filantropia o cultura. E l’Unione degli Istriani (via Silvio Pellico,
2) per l’opera continua di presenza benefica, spirituale e materiale, espletata
verso i profughi, esiliati dalla propria terra dopo il secondo conflitto mondiale, gli conferì il Premio “Histria Terra” (2011).
Don Antonio è stato l’uomo del confessionale, che con abilità, pazienza
e liberalità sapeva trasformare in vera e propria direzione spirituale, nella
delicata arte del reggere le anime. La sua disponibilità nell’ascolto delle
umane debolezze e degli scoramenti della esistenza (malattie, lutti, disgrazie) dapprima nella Chiesa di San Antonio Nuovo nel cuore di Trieste e
quindi nella chiesa del Rosario in Cittavecchia, ventiquattro ore su ventiquattro, lo configurava come il Cireneo della misericordia di Dio, noto in
tutti gli ambienti devoti della piccola e media borghesia della Città, e non
solo in quelli degli istriani profughi dell’Istria.
Don Antonio è stato l’uomo della buona stampa secondo il modello dei
tempi di Pio X, quando la lotta al modernismo (enciclica Pascendi 1907)
si manifestava in oppugnazione al liberalismo razionalistico applicato al
dogma della tradizione cattolica. E anche sulla scia di mons. Ugo Mioni
(1870-1935), sacerdote triestino, il grande divulgatore della stampa cristianamente orientata per ragazzi nella prima metà del secolo scorso. A questo
fine per mezzo secolo fece uscire con frequenza abbastanza regolare un
giornaletto Una Voce Amica (fondato nel 1962 durò fino al 2010). Nel 1996
apparve anche un supplemento alla Voce Amica (n. 5/1996) di Patrizia Punis, una piccola guida modestamente illustrata sulla Chiesa della B.V. del
Rosario, Piazza Vecchia, la sua parrocchia.
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
217
Egli contribuì alla rifondazione del Circolo “Donato Ragosa” (sorto a
Buie nel 1919), di nuovo costituitosi a Trieste nel 1955 tra i buiesi esiliati.
Questa associazione è attiva nel mondo degli spettacoli, allestendo rappresentazioni teatrali. La Voce Amica teneva, invece, un tono di carattere
edificante e caritativo. Tra tutta la stampa degli istriani in esilio, il vescovo
Antonio Santin, considerava, invece, “La Voce Giuliana” come quella che
emergeva su tutti gli altri periodici delle varie comunità della Penisola residenti a Trieste.
Nel suo ritmo bimestrale La Voce Amica4 usciva quando di fatto arrivava
il generoso benefattore. E se l’offerta era vistosa allora il fascicolo ostentava carta pattinata e illustrazioni colorate. Con quella voce intermittente
si rivolgeva a tutti i parrocchiani, buiesi e non, ai tanti emigrati istriani in
Australia (e nelle Americhe) per portare una presenza di carità e raccogliere offerte per i poveri. Mentre in quel torno di tempo nella stessa Chiesa del
Rosario il parroco don Attilio Delise (1914-1992), anche lui profugo istriano, fondava (1965), un giornale per la sua comunità isolana, Isola Nostra, a
cui assicurava la continuità nel tempo con un corpo redazionale consistente
e con una buona premessa economica.
Il messaggio della Voce Amica non variava molto, si concentrava sempre
sull’identica insistenza: la proclamazione della civiltà dell’amore; la solidarietà materiale e morale ad ogni costo nella carità di Cristo, estesa a ogni
ceto di persone senza distinzioni; la ricorrente devozione alla Vergine Maria (Lourdes, Fatima, Pompei). Senza dire della Madonna Grande, cioè festa della Assunzione di metà agosto, distinta da quella dell’otto settembre,
la nascita di Maria, Madonna Piccola, come si usava dire nella tradizione
istriana. Questa Madonna Piccola veniva sempre commemorata ogni anno
solennemente dalla Comunità buiese di Trieste, ospite nella Chiesa del Rosario con tutta la solennità che don Antonio poteva dare.
La Madonna nel suo lessico omiletico era di poco inferiore al Vangelo,
Parola rivelata. Il segreto di Fatima diventava per lui una specie di vangelo
supplementare e integrativo. Questo evento lo affascinava e insieme lo poneva in una attesa con i suoi devoti. Ignorava gli studi più impegnati su questa apparizione di cui la stessa Civiltà Cattolica con padre Giandomenico
La Voce Amica, redatta quasi tutta dall’ideatore stesso, nonostante le costanti difficoltà economiche (non lasciò debiti!) uscì con sei n. annuali dal 1962 fino al 2010, cioè
fino a quando don Antonio fu ricoverato all’ITIS, in via Pascoli di Trieste.
4
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
218
Mucci5 a più riprese si è occupata, sottolineando certi risvolti del fenomeno,
ghiotto e interessato persino alla politica dei belligeranti durante il secondo
conflitto mondiale. Muovendo persino la Segreteria di Stato, intervenuta
sull’argomento. Le due componenti del conflitto temevano che l’interpretazione del testo, “il segreto”, potesse in qualche modo danneggiarli, conoscendo la religiosità delle loro truppe, in una notevole parte cattoliche.
Sempre venerata nella Chiesa del Rosario la Madonna apriva e chiudeva
il suo variopinto devozionale, con pratiche di pietà ed esercizi di devozione,
con novene e tridui, ore di adorazione diurne e notturne (anche per tutta
la notte), che si susseguivano senza fine. Quasi una continuazione allargata della devozione mariana del Santuario di Strugnano, intitolato a Maria Madonna dell’Apparizione o della Visione (Pirano). Nel più importante
santuario mariano della penisola, tutta l’Istria si riconosceva, nel devozionale aggregata, con le sue componenti etniche di fedeli italiani, sloveni e
croati. Don Antonio Dessanti applicava alla lettera l’aforisma: “de Maria
numquam satis”. Difficile dire se con quella formula intendeva il senso
voluto dai padri di quel memorabile concilio di Efeso (431), decisivo per la
mariologia, che cioè la Madre di Dio, la Theotókos, “è la nemica di tutte le
eresie”. Più probabilmente egli si poneva sul piano della religiosità popolare istriana, sua naturale formazione di base e zoccolo duro del suo vivere
l’esperienza cristiana sacerdotale.
Invano si cercherebbe in lui traccia di quell’equilibrio colto tra mariologia e cristologia di un intellettuale asceta come era il rettore del Convitto
Seminario Interdiocesano Minore di Capodistria, mons. Marcello Labor
(1890-1954), suo superiore durante gli anni della formazione. Il quale collocava la Vergine nel ruolo adeguato della economia redentiva, quale delicata
coordinata e ornamento sostanziale di Madre di Dio, fondamento teologico
della sua grandezza.
Nella grande condivisione dei disagi di tutti, don Antonio li sapeva trasfigurare, comprendendoli nell’abbraccio di una umanità accogliente. E la
bontà delle intenzioni dei questuanti era per lui una premessa indiscutibile.
Lui stesso, don Antonio, subiva la metamorfosi quale icona del Cristo sofferente. Applicava quanto Santa Caterina insegnava al suo discepolato sulla
carità: Dio non ha bisogno delle nostre cose, ma vuole essere amato nei
G. MUCCI, “Le apparizioni. Teologia e mistica”, in La Civiltà Cattolica 4, 1988,
pp. 424-433; IDEM, “Rivelazioni private e apparizioni”, Elledici – La Civiltà Cattolica,
Torino-Roma, 2000, pp. 72-75 e passim.
5
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
219
nostri fratelli. Aveva un volto emaciato, teso al sorriso nel fervore di una
passione: aiutare sempre e comunque gli uomini nel corpo e nello spirito,
poiché quasi istintivamente univa alla carità materiale quella morale, nella
intenzionalità pastorale della “cura animarum”. Nel santino del tricesimo
della morte si riportano alcune sue ricorrenti massime: “La Messa è finita,
andiamo a vivere questa Santa Messa”; “Le difficoltà della vita possono
farci sofferenti, ma non devono mai renderci preoccupati se confidiamo
veramente nel Signore”; “Pregate per i vostri Sacerdoti perché guidati dallo
Spirito Santo e aiutati da Maria tendano alla Santità”.
Il suo costante portare ogni cosa alla consuetudine del rapporto amato
di Dio lo obbligava a pregare per tutti, ed esplicitamente lo affermava con
sincerità nelle sue telefonate e nei colloqui personali.
Colse nel segno l’arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi nell’elogio funebre tenuto nella Chiesa del Rosario (30-1-2012) quando evidenziava il suo
riferimento quotidiano a Dio:
Sacerdote stimato e amato ha portato a Trieste il fervore della terra
istriana. Il presbiterio aveva in lui un punto di riferimento, un esempio di
vita spesa nella proclamazione della Parola, nella passione per le anime e
per la loro salvezza[…]. Negli incontri che ho avuto con lui mi ha colpito
sempre la dimensione spirituale, il riferire tutto al Signore. Egli intercettava i bisogni degli uomini e dava una risposta sempre evangelica6.
Più d’una volta l’ho visto nella stessa chiesa, sua parrocchia, aggredito fisicamente da qualche poveraccio ubriaco, o drogato o ex carcerato,
o ladruncolo di sacrestia, sorpreso da lestofante a farsi la carità da solo,
direttamente dalle cassette delle elemosine. E mai nessuno egli ha voluto denunciare presso la vicina sede della Polizia di Stato, come qualcuno
gli suggeriva. Una volta avvenne che uno, staccata e asportata la cassetta
storica di noce ottocentesco, con il gruzzoletto (ventiseimila lire) andò a
sbronzarsi in una trattoria. Don Antonio intuendo il posto, corse da lui.
Trovandolo in crisi etilica disteso per terra tra i cocci di legno, lo soccorse quale buon samaritano, chiamò l’ambulanza, seguendolo in ospedale e
nella convalescenza. E nella chiesa del Rosario le cassette per i poveri avevano molteplici denominazioni (“i poveri”, “i bisognosi”, “i lebbrosi” ecc.).
Passaggio dell’omelia dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi riportata da Vita Nuova
nell’art. di R. Corsi, ibidem, cit.
6
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
220
Aveva escogitato persino una cassetta ove deporre per iscritto e far conoscere “in segreto” le necessità impellenti con discrezione. Segretezza che
non poteva attuare la carità, se fosse stata totale. Anche con questa strategia
consolava tanti afflitti dall’esistenza.
Una volta presa conoscenza non mancava il soccorso, sia materiale che
spirituale. Ogni quindici giorni, e poi ogni mese, partivano decine e decine
di pacchi con viveri di prima necessità (pasta, riso, olio, zucchero, sale,
caffè, biscotti,). Anch’io con la discrezione dovuta portavo, defilato, pacchi
di questo tipo a persone che esternamente avevano il decoro normale, non
certo di persone bisognose, e lui stesso non voleva sapere il nome, ma mi
faceva firmare la ricevuta e la consegna avvenuta.
Per i poveri una o due volte all’anno organizzava con la generosa disponibilità delle signore frequentatrici della Chiesa una Pesca di Beneficienza,
si racimolava a stento mille euro, (e si doveva pagare anche una tassa!). Il
ricavato andava subito investito per gli ultimi con le forme immediate che
l’urgenza suggeriva. Qualcuno gli imprestò anche cifre di un certo rilievo,
non so se sia stato in grado di onorare quel denaro esposto, che finiva comunque in soccorso dei poveri. E per quei poveri andò anche in Tribunale a
difenderli presso i giudici. Conoscendo il suo altruismo caritativo essi non
disattendevano la sua testimonianza morale. E sempre per i poveri firmò
anche dei mutui per assicurare loro la prima catapecchia che riuscivano a
comperare, salvo poi il peso di pagarlo con la sua misera pensione, pure di
povero. Per l’edicola della Madonna della Salute della chiesa del Rosario
riceveva immagini e foto di figli affidati alla protezione della Vergine. E da
quando cominciò questa iniziativa ha tappezzato tutto l’interno di foto di
bambini, di ragazzi e di ragazze aitanti, di giovani coppie di sposi ecc., sacrificando i molti ex voto appesi7. A sottolineare che la famiglia trova ancora una notevole importanza nella vita del popolo cristiano. In questo modo
gli fioccavano anche offerte del popolo minuto e della piccola borghesia.
Queste spontanee oblazioni, nel giorno stesso o poco dopo, egli faceva
defluire a sollievo degli indigenti in continuo aumento.
In realtà nell’edicola della Madonna della Salute, molto venerata dal popolo, gli ex
voto sono stati collocati non dai fedeli, ma da don Antonio Dessanti, dopo l’amministrazione parrocchiale di tre mesi di don Pietro Zovatto, succeduto ad interim a don Attilio
Delise, originario di Isola d’Istria, fondatore (1965) del periodico trimestrale Isola Nostra, come ricordato.
7
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
221
A decine e decine erano i manifesti che ornavano come pannelli l’interno della chiesa facendo bella mostra di sé fin dalla sacristia, con preghiere
dirette a tutte le necessità dei poveri mortali e alle anime purganti; e locandine delle attività religiose cittadine e nazionali (pellegrinaggi, congressi,
esercizi spirituali, conferenze) che occupavano lo spazio rimasto libero, a
cominciare dalla vetrata di entrata.
Così pur essendo egli profugo costretto all’esilio da una politica titina antiitaliana, (un nazionalismo a malapena in convivenza con un socialismo reale), mai l’ho sentito proferire una parola di risentimento nei riguardi dei Croati o degli Slavi in genere. Lui, che aveva perso la casa e una bella campagna
della sua famiglia di Buie; suo padre, inoltre, era socio della Cantina Sociale
Cooperativa del paese. Anzi nella sua carità smisurata una volta in chiesa
nella omelia domenicale (ottobre 1994) disse, nel ringraziare per le offerte generose date per i poveri, che in quella settimana aveva fatto la carità a ben “27
Croati”. Questa sua carità extra-razionale gli aveva procurato una clientela
più che notevole (persino esigente!) tanto da creare problemi a chi ha dovuto sobbarcarsi la responsabilità della successione nel mandato parrocchiale.
Nella celebrazione liturgica il suo rito del tutto particolare se ne infischiava della sensibilità tempistica dell’uomo moderno, e magari anche delle rubriche liturgiche. Nella messa bassa feriale oltrepassava l’ora. Quando venne
nella chiesa del Rosario il cardinal Joseph Ratzinger la sua messa durò 28
minuti, incluso il breve sermoncino tutto teologia sminuzzata al popolo. Nel
Canone le personali aggiunte surrettizie di don Antonio avevano sempre
un sapore di sensibilità sociale e di sovvenire i poveri. Ogni “devonzioncella” nel suo individuale canovaccio paraliturgico, trovava nell’alternarsi
delle stagioni il suo posto, presente o assente il popolo di Dio, la grande
folla o quattro vecchiette. Lo sanno bene gli affezionati del numeroso discepolato che lo stimavano, lo seguivano, riconoscendone insieme i limiti.
Il suo predicare rivelava una capacità di comunicazione sciolta e immediata da fare invidia, atto a farsi capire da tutti, gli mancava solo l’intelligenza della misura nei contenuti da presentare e la percezione del limite
nel selezionare il flusso del “ex abundantia cordis”. Il vescovo Santin nel
preparare personalmente i teologi seminaristi alla predicazione a Trieste
(nel Seminario diocesano di via Pasquale Besenghi, nome del grande lirico
di Isola) esortava sempre a non sorpassare i dieci minuti. “I primi dieci
minuti sono di Dio, tutti gli altri sono del Diavolo”8 ripeteva, citando san
8
S. FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla vita devota, così esordisce nelle
222
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
Francesco di Sales, dottore della Chiesa. Poiché quando la gente dice infastidita: “Uffa… che noia! Non ha ancora smesso!”, ogni frutto dell’omelia è
finito nel salvadanaio di Satana. Non gli importava di conferire un assetto
discorsivo al suo parlare, pur non essendo anti-intellettualistico, con la citazione di Dante, affermava: “State contente, umana gente, al quia; / ché
se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria” (Purgatorio,
III,39). L’altro autore che ricorreva spesso nel presentare la Parola di Dio
era costituito da Giovanni Papini. Volentieri la sua predicazione univa la
catechesi all’omelia della messa per istruire insieme all’edificare con il messaggio cristiano. Contrariando tutti i liturgisti che vogliono distinti questi
momenti: il memoriale del mistero redentivo e l’esposizione conoscitiva del
messaggio di Cristo.
Al funerale del 30 gennaio 2012 presente il vescovo emerito Eugenio
Ravignani, l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi con un’alta omelia mise in
risalto il sacerdote caritatevole, tutto integralmente di Dio. Un “Totus tuus”
della Madonna e della carità. A rimarcare, se ancora ce ne fosse bisogno,
la validità dell’aforisma paolino: “Caritas Christi urget nos” (II Cor 5, 14),
poiché tutti hanno bisogno di operare sospinti dalla carità di Cristo, nella
comunione orizzontale e verticale, con gli uomini e con Dio che ci salva.
Questa particolare religiosità sofferente di tante restrizioni mostra, tuttavia, la notevole impronta ricevuta nel Convitto Seminario Interdiocesano
Minore di Capodistria (che serviva le diocesi Unite di Trieste e Capodistria
e di Parenzo e Pola). E insieme è spia di quel devozionismo rurale istriano
che si configurava nel sentimento tradizionale popolare con un certo colorito folklorico. Praticamente il corso teologico di Gorizia per lui era stato
insignificante, poiché ha trascorso i quattro anni destinati alla formazione
culturale superiore come prefetto dei seminaristi di Capodistria, con pause
più o meno prolungate nella città isontina, che vantava un corpo docente di
tutto rispetto.
Mons. Marcello Labor9, già dal 1940 vicerettore e quindi pro-rettore
e rettore del Seminario di Capodistria, avrebbe potuto essergli una ottima guida teologico-culturale, ma egli assorbì da quel Servo di Dio solo
la devozione alla Eucaristia, alla Madonna, la forte carica di spiritualità
ascetica inserendola nel clima di religiosità istriana rurale, senza aprirla
prime pagine questa guida alla santità (dalle molteplici ed.) il Dottore della Chiesa.
9
Su Marcello Labor (1890-1954) v. V. CIAN, Siloe. L’avventura spirituale di Marcello
Labor, Paoline, Milano, 1997
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
223
alla sostanza del dogma con un corso regolare di studi. Certamente egli per
l’aspetto spirituale subì la benefica influenza del rettore, che in Seminario
aveva organizzato una particolare Azione Cattolica, liberi di parteciparvi i
seminaristi, per dare una maggiore efficacia al percorso ascetico ai candidati al sacerdozio. Della vicinanza di quella notevole personalità molto se
ne giovò sotto il profilo culturale il giovane compagno di studi, Giuseppe
Radole10 (1921-2007), di Barbana d’Istria della diocesi di Parenzo e Pola. Il
rettore mons. Labor gli procurò il non facile permesso del vescovo Antonio
Santin di frequentare il Conservatorio Giuseppe Tartini a Trieste, nel periodo in cui si trovava nella stessa condizione di Dessanti, prefetto di una
camerata del Seminario.
Già da allora il parroco del Rosario ha lasciato un ricordo indelebile del
suo innato senso della carità11 e della capacità di mettersi al servizio dei bisogni dei giovani. In quel drammatico periodo di seconda guerra mondiale
e di occupazioni, i giovinetti che si preparavano al sacerdozio a Capodistria
sapevano che cos’era il freddo, la privazione e la fame, pur nella serietà
dello studio umanistico. Certo padre Giovanni Battista Porta, gesuita, predecessore di mons. Marcello Labor, cercava in tutte le maniere di procurare
vettovaglie dai contadini dell’Istria, ma era di solito assente. Presente era
invece padre Giovanni Cuffariotti, pure gesuita, fino all’arrivo di Labor,
“de facto” rettore, che aveva impresso al Seminario Interdiocesano Minore
una disciplina ferrea più che spartana. Trattava i seminaristi quasi fossero nella prova del noviziato della Compagnia di Gesù, apprendisti degli
Esercizi ignazioni, puntando tutto sulla formazione ascetica e sulla pratica
pastorale. Sulla stessa linea si trovava il colto padre spirituale don Luigi Parentin (1909-1997)12, istriano di Cittanova d’Istria, storico e scrittore,
10
P. ZOVATTO, “Giuseppe Radole tra musicologia e folklore”, in Atti e Memorie della
Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, 2008[2009], pp. 237-260; e ID., in G.
RADOLE, Lo “Schillerverein” a Trieste. Storia e personaggi, a cura di M. Sofianopulo
[e P. Zovatto], Pizzicato, Udine, 2010, pp. 11-29 con bibl. aumentata rispetto a quella
riportata nel precedente art.
11
Sulla distinzione tra carità e giustizia si vedano le riflessioni di Luigi Einaudi che
si rivolge a seminaristi e a studenti, in L.E., Prediche inutili, Einaudi, Torino, 1974, pp.
375-384: Un libro per seminaristi e studenti. Egli intende dare una lezione di buon senso
a questi giovani in formazione con la distinzione tra “il lecito giuridico” e “il dovere
morale della carità”, in equilibrio tra loro. Onde evitare ai sacerdoti le figure di ingenui in
fatto di denaro per fare la carità soprassedendo la legge, che comunque va osservata.
12
Su mons. Luigi Parentin, ordinatore dell’Archivio della Curia Vescovile della Diocesi di Trieste e Capodistria, originario di Cittanova d’Istria, si v. il nipote PIETRO PA-
224
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
appassionato della sua Istria. Più moderata era la posizione del rettore, padre Porta, raffinato sotto il profilo della cultura spirituale, ma di scarsa
influenza nella vita del Seminario. Autore di un bel commento (1957) alla
enciclica di Pio XII sul Corpo mistico di Cristo (Mystici corporis, 1943).
Alla compiuta lezione liturgica, nelle esequie curate dal parroco nella
chiesa del Rosario, reverendo don Stefano Canonico, corrispose una chiesa
affollatissima con gente di ogni ceto sociale, oltre le autorità civili, e una
trentina di sacerdoti concelebranti, tra cui un rappresentante della sua Buie.
Il raccoglimento della moltitudine devota faceva vibrare le ali degli angeli
invisibili sulle colonne barocche dell’Altar Maggiore in sintonia con il canto del coro.
Il suo profilo di testimonianza sacerdotale era ben lontano dall’eguagliare la presenza cristiana di mons. Antonio Angeli (1894-1971, di Pirano)13 –
compagno di studi del futuro vescovo Antonio Santin attivo a Dignano e a
Pola. Era sacerdote colto e intellettuale, l’Angeli, di larghi interessi inerenti
diversi versanti del sapere scientifico umanistico. Scrisse su Vladimiro Soloviev e di patrologia su san Basilio di Cesarea. Egli per il tramite dell’istriano mons. Giuseppe Del Ton (di Dignano 1900-1997), Segretario per i
Brevi ai Principi e alle Lettere Latine presso la Sede Sede, fu incoraggiato
e aiutato per la pubblicazione del grande padre della Chiesa dal papa Paolo
VI, che gli mandò un chirografo di ringraziamento. Nonché pubblicò un
RENTIN, in Vita Nuova 9-1-1997: Sacerdote dallo spirito benedettino, riferendosi alle
sue relazioni con i monaci del Priorato di Daila, dipendente dall’Abbazia benedettina di
Praglia (PD); E. MARIN, “Mons. Luigi Parentin indagatore del mondo istriano”, in La
Voce Giuliana 1-2-1998.
Merita ricordare la sua ricerca su Daila benedettina: Memorie e cenni storici su
Daila, presso Cittanova d’Istria, Tip. Coana, Trieste 1970. Durante l’occupazione titina
dell’ultimo conflitto diversi quaderni di appunti e di note storiche sull’Istria di mons. Luigi
Parentin furono requisiti e dispersi, come furono sequestrate le carte di una grammatica
greca e latina pronta per la stampa del prof. Giovanni Lughi di Portole, valido insegnante
di Lettere al Liceo Combi e presso il Convitto Seminario a Capodistria.
Di Parentin sono significative le monografia su Cittanova d’Istria, Tip. Coana, Trieste,
1974; la stampa di P. PETRONIO, Memorie sacre e profane dell’Istria, in coll. con G.
Borri, Tip. Coana, Trieste 1968; e Incontri con l’Istria: la sua storia, la sua gente, Stella
Arti Grafiche, Trieste 1997, tutte fornite di ill., che mostrano la passione per la sua terra.
13
Vita Nuova 8-10-1971, riporta l’elogio funebre del vescovo mons. Antonio Santin
tenuto nel Duomo di Oderzo, ricco di notizie biografiche e del profilo della personalità.
Un art. parallelo della redazione del giornale Vita Nuova riporta l’elenco non completo
della sua produzione letteraria.
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
225
saggio sul “Dio degli atei”, oltre a traduzioni (di Bossuet vescovo di Meaux) e commenti sui vangeli domenicali (“meditazioni politiche”) al fine di
aiutare i parroci in cura d’anime. Fornito di una eloquenza sostenuta da una
notevole formazione letteraria, filosofica e teologica, (fu parroco a Pola,
1933-1947), quale successore di mons. Antonio Santin, elevato, appunto nel
1933, quale vescovo della diocesi di Fiume, (1933-1938). Era predicatore di
richiamo in Istria, a Trieste e nel Veneto, come a Oderzo, ove si era ritirato
una volta diventato profugo, lasciando un ricordo indelebile con le sue omelie e messe domenicali, che gremivano il Duomo di quella cittadina della
Marca Trevigiana nella diocesi di Vittorio Veneto. Lo si può considerare la
versione elitaria del prete istriano, come prima di lui lo era stato mons Lorenzo Schiavi (1829-1911), proveniente dal Pordenonese, scrittore e filosofo
attivo a Capodistria, tanto ammirato dal vescovo Antonio Santin. Quella di
mons. Antonio Dessanti, si configura, invece, come la traduzione popolareggiante, ma viva ed egualmente vibrante di una fede feriale e devozionale
nell’ambito di una atmosfera tradizionalista.
Tutte queste considerazioni fanno emergere la notevole affinità del cattolicesimo e della religiosità popolare istriana venetizzante con quella della
vicina Regione del Veneto, capace di grandi cose nella semplicità di un credere, apparentemente dimesso, ma puntato direttamente nella trascendente
speranza cristiana e nella carità operosa. E come il prete veneto esibiva in
grado elevato una fedeltà al magistero papale e alla Santa Sede, una capacità di stare e di vivere in mezzo alla gente quale guida spirituale e aiuto materiale. Senza spinte prorompenti di carattere intellettualistico, ma fondato
su una seria formazione spirituale14, esso era attivo sotto ogni aspetto, sulla
linea del prete tridentino controriformista. La specificità più sintomatica
era che la presenza sacerdotale di mons. Antonio Dessanti era rigidamente
tradizionalista e insieme vitale. Sulla scia di san Carlo Borromeo procedeva con il binomio: di ascetismo e di dinamismo con la carità verso tutti.
Questa immagine di sacerdote gli conferiva molto prestigio morale non
solo presso la Comunità cattolica; e un’udienza generale di autorevolezza
morale di carattere pubblico nella città di Trieste, più che negli ambienti
ecclesiastici diocesani.
Si veda S. FONTANA, “Preti veneti”, in Vita Nuova 10-2-2012, editoriale del
Direttore, dove sono rilevate le caratteristiche del sacerdote veneto partendo dagli studi
di Pietro Zovatto sul cattolicesimo a Trieste, a Capodistria e in Istria.
14
226
Pietro Zovatto, Mons. Antonio Dessanti, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 211-226
SAŽETAK
MONSINJOR ANTONIO DESSANTI: MILOSRĐE IZMEĐU ISTRE I
TRSTA
Autor daje biografski profil i opisuje svećeničku ličnost monsinjora Antonia Dessantia (1921.-2012.), Istranina porijeklom koji je najveći dio svog
života proveo u Trstu, gdje je ostao zapamćen kao „svećenik siromašnih“.
POVZETEK
MONSIGNOR ANTONIO DESSANTI: DOBRODELNOST MED ISTRO IN
TRSTOM
Avtor poda biografski profil in prikaže duhovniško osebnost monsignorja Dessanti Antonija (1921-2012). Istrskega porekla je preživel večino
svojega življenja v Trstu in tam opravljal dobriodelno delo za, katero se ga
spominjajo kot “duhovnik revnih”.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
227
MESSAGGERI1 (CORRIERI) POSTALI MILITARI
IN ISTRIA (1940-1948)
VALENTINA PETAROS JEROMELA
CDU656.8(497.4/.5-3Istria)”1940/1948”
CapodistriaSintesi
Marzo 2013
Riassunto: L’autrice, basandosi sul testo edito negli anni ’80 da Enrico Depiera per
l’Archivio postale e telegrafico della Jugoslavia, ha ripercorso le vicende belliche del
territorio istriano ricostruendo le comunicazioni di terra. La complessità del territorio
istriano con la sua storia ricca di sovrapposizioni amministrativa ha un lato quasi
sconosciuto: le comunicazioni durante la Seconda Guerra mondiale. L’autrice non ha
voluto trascurare nemmeno l’aspetto filatelico con un breve elenco delle principali
emissioni di questo periodo.
Summary: Military postal messengers (couriers) in Istria (1940-48) – Relying on the
text published in the 80s by Enrico Depiera for Postal and Telegraphic Archive of
Yugoslavia, the authoress has traced the wartime events of Istrian territory rebuilding
the land communications. The complexity of Istrian territory, with its rich history of
administrative overlapping, has an almost unknown side: the communications during the
Second World War. By giving a short list of major emissions of the period the authoress
did not want to neglect even the philatelic aspect.
La denominazione “messaggere” è quella indicata nel Manuale distribuito a tutti
gli impiegati postali e secondo questa pubblicazione, si sono ricostruite le cariche e
le altre denominazioni di carattere postale poiché non si è potuto consultare tutta la
documentazione in lingua originale. Ringrazio sentitamente la dott.ssa Chiara Simon
(curatore del Museo postale e telegrafico della Mitteleuropa di Trieste) per il generoso
contributo dato alla ricerca; la ringrazio per avermi concesso di consultare il suo archivio
ma anche per le preziose indicazioni di storia postale.
Il termine “corrieri postali” non è molto usato ma può essere utile per rintracciare
l’origine del termine croato (ma anche proprio della lingua Slovena) kurir. Per la
situazione storica e per l’attività svolta si è voluto usare il termine corriere-militare già
rintracciato nella pubblicazione di Bruno Crevato Selvaggi, Venezia Giulia 1918:
la ripresa delle comunicazioni postali ed i corrieri militari. Una seconda attestazione
dell’effettivo uso del termine corriere la troviamo nella Circolare nr. 4 del 18 settembre
1945 (Collezione privata Depiera). In questa circolare s’invitano tutti gli Uffici postali
ad inviare alcuni dati tra cui le indicazioni sui portalettere rurali, dei procaccia, delle
collettorie e del movimento dispacci. Proprio nell’elenco dei dati da inviare inerenti
all’argomento delle collettorie leggiamo “se l’allacciamento tra collettoria ed ufficio
viene svolto da apposito corriere, da portalettere rurale o dal collettore stesso, nell’ultimo
caso indicare il mezzo usato e la periodicità”.
1
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
228
Parole chiave / Keywords: Istria, comunicazioni, posta militare partigiana, Resistenza
jugoslava / Istria-Istra, comunications, military post, Jugoslav Resistance
L’articolo presente2 desidera essere un modesto contributo al complicato
argomento della posta militare nel periodo della Seconda guerra mondiale
e, soprattutto, nel territorio sotto l’amministrazione Alleata e specialmente
nel periodo 1943-45. Un percorso tortuoso, non meno infido dei sentieri
percorsi dai messaggeri nei boschi, al quale si aggiungono alcune Circolari
inedite. Era d’obbligo, prima di lasciare una stazione o commando militare, distruggere la documentazione potenzialmente compromettente o eventualmente utile al nemico. Ne consegue che le fonti necessarie alla corretta
ricostruzione sono poche e frammentarie.
Il territorio dell’Istria ha una storia ricca e complessa. Dalle varie invasioni ha potuto imparare sempre qualcosa di nuovo. Durante le incursioni
turche la posta, o i messaggi di pericolo o di minaccia, erano consegnati
da messaggeri speciali. Durante il periodo 1940-45 sempre dei messaggeri
consegnavano dispacci attraversando boschi e usando sentieri impervi e
proibitivi ancora oggi sconosciuti.
Nella documentazione a nostra disposizione3 emerge che il reparto militare jugoslavo di Brkini era particolarmente attivo durante l’estate del 1942
sul tragitto che va da Fiume a Trieste passando per la via Fiume – Postumia
e a Sud di Villa del Nevoso. I collegamenti, non solo postali, con Fiume
erano possibili grazie alla collaborazione del corriere Jakov Brajna del villaggio di Kuceli. Alla fine del mese di giugno 1942 è stata istituita una prima stazione di collegamento sul versante croato della penisola Istriana. Le
comunicazioni tra questo gruppo e il punto Kastav erano possibili proprio
grazie ai primi messaggeri (corrieri): Berto Plovanić e Ivan Logar Belkić.
È stata creata una linea di collegamento fissa con Lanischie Monte Aquila
(Brgudac) e con Laurana. Dal litorale croato era consegnata, quasi con regolarità, la stampa.
Nel 1943 l’attività dei nuclei del Movimento popolare di liberazione nazionale divenne sempre più presente in tutte le parti dell’Istria. A Caroiba
Il presente articolo è liberamente ispirato all’articolo, scritto in lingua croata, di
Enrico Depiera, Partizanske pošte na području Istarsko-riječke regije/Posta partigiana
della regione Istro-Fiumana, Archivio postale e telegrafico della Jugoslavia, Nr. 24/1986,
pp. 267-310.
3
Documentazione non consultata.
2
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
229
Subiento (Karojba), il 10 marzo in casa Drndić, vi fu una riunione dei vari
attivisti politici (dove si decise anche il leader del comitato) dell’Istria croata e la penisola fu allora divisa in settori, basi o stazioni.
I settori e le stazioni erano:
Stazione 1 – Pinguente, persona responsabile Ante Cerovac
Stazione 2 – Pisino, persona responsabile Ljubo Drndić e Vlado Juričić
Stazione 3 – Parenzo, persone responsabili Ante Drndić e Božo Kalčić
Stazione 4 – Albona, persone responsabili Silvo Milenić Lovro
Stazione 5 – Sanvincenti, persone responsabili Ivan Motika e Petar Červar
Stazione 6 – Pola, responsabile Josip Matas
Stazione 7 – Bergozza (Brgudac), responsabile Anton Raspor (la base si
chiamava punto Istria con la segnatura 01)
Nel corso di questa riunione si decise come proseguire nell’espansione
della rete dei messaggeri e come, di conseguenza, organizzare il tutto. Si
decise di creare una linea fissa e permanente tra le varie stazioni ma anche
che tutti i punti dovevano essere connessi con il punto 01 (Istria) a Bergozza (Brgudac). Ogni settore doveva essere preparato e predisposto per
l’accoglienza e trasferimento dei soldati, per lo smistamento della posta ma
doveva anche riuscire a raccogliere viveri e armi. Una linea doveva essere
fissata anche con i comitati distrettuali del partito comunista per il litorale
croato.
Parallelamente con l’accrescersi delle unità militari, si sviluppò anche la
rete delle stazioni militari. Il Quartier generale per l’Istria, dopo l’offensiva
tedesca dell’ottobre 1943, cominciò a creare nuove stazioni con una linea
di collegamento di terra fissa resa possibile grazie ai messaggeri. La prima
stazione (01) fu quella sul Planik4, dopo di questa s’istituirono tutte le altre:
02 Albona (Labin); 03 Montona (Motovun); 04 Gimino (Žminj); 05 Pisino
(Pazin); 06 Parenzo (Poreč); 07 Kastav; 08 Vodizze di Castelnuovo (Vodice); 09 Laurana (Lovran); 010 Buie (Buje); 011 Abbazia (Opatija); 012 Kastav5; 013 Felicia (Čepić); 014 Valle (Bale); 015 Carnizza d’Arsa (Krnica);
016 Antignana (Tinjan); 017 Portole (Oprtalj); 020 Pinguente (Buzet); 021
Moschiena (Mošćenice); 022 Bogliuno (Boljun); 023 Cittanova (Novigrad);
025 Villa Treviso (Trviž); 026 Fianona (Plomin); 028 Dignano (Vodnjan);
Per i toponimi italiani mi sono avvalsa della Circolare nr. 13084 del 5. 06. 1946 in
Collezione privata Depiera.
5
Ripetizione presente nell’articolo originale e non avendo consultato tutta la
documentazione non si può fornire una giustificazione.
4
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
230
029 Pola (Pula); 030 Medolino (Medulin); 033 San Lorenzo di Albona (Sv.
Lovreč Labinski); 034 Cherso (Cres).
Nella regione fiumana possiamo contare 5 stazioni militari, nel territorio
di Pinguente sei e la regione pisinota ne aveva 12, mentre a Pola ne contiamo sei.
Ogni grande unità (Divisione, corpo d’Armata, Armata) aveva a disposizione un ufficio postale. La corrispondenza indirizzata ai militari veniva
raccolta dagli uffici di posta civile ed era poi inviata ai centri di raccolta
militare. I sacchi postali viaggiavano sulle stesse strade della posta civile
(ferrovia, nave, aereo). In questi uffici il personale era sia militare sia civile
ma proveniente dalle poste6.
I corrieri militari erano responsabili per la propria condotta e per lo
smistamento veloce della posta. Il dirigente del reparto organizzava il conferimento della corrispondenza ai messaggeri tra i vari centri di comando,
tra le stazioni militari e i posti di guardia partigiana ed era responsabile per
il corretto operato dei messaggeri e per lo smistamento veloce della posta.
Individuava nuove vie e percorsi, organizzava e gestiva gli approvvigionamenti per il territorio di sua competenza. Raccoglieva dati e teneva la
contabilità dei mezzi di trasporto – adibiti al trasporto postale – che ricadevano sotto la sua responsabilità. Abbiamo l’elenco di tutti gli autisti, degli
impiegati delle Poste e Telegrafi nonché degli impiegati delle ferrovie con
alcune peculiarità e in base alle quali erano decisi gli incarichi.
In queste stazioni logistiche militari il responsabile per il servizio postale era il Capo spedizioni militari7 ma nelle stazioni più grandi questo
responsabile aveva un aiutante. Tutto l’organico di queste stazioni è inteso
come personale militare e chi decideva di eseguire il giuramento militare
rientrava sotto il regolamento militare. La smilitarizzazione del personale
civile è avvenuta in un secondo momento8 (la militarizzazione del personale civile effettuata in base a qualsiasi legge, decreto, bando o altra disposizione) cessò definitivamente dal 15 settembre 1945. Rimaneva militare e
dotato di armi solo il personale della Posta militare. Dopo l’attivazione delle linee telefoniche, anche queste rientrarono tra le competenze degli Uffici
di posta militare. Le centrali telefoniche, dalle quali partivano tutte le linee
telefoniche, avevano spesso sede negli stessi luoghi dove si trovavano già i
6
7
8
Luigi SIROTTI, Storia postale, Sassone, Roma, 1999.
La denominazione è ricostruita perché non si è consultata la documentazione.
Decreto Luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 529, GU 111/1945.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
231
comandi militari e nelle quali vicinanze si trovano, di solito, un ospedale o
altri edifici logistici. Nel caso di un attaccato l’ordine di evacuazione prevedeva che si sgombrassero tutti gli edifici contemporaneamente al comando
militare. Quando si arrivava in un nuovo sito per prima cosa, si dovevano
ripristinare le comunicazioni. Gli ordini di guerra e di evacuazione prevedevano che, una volta sfollato un sito, si doveva distruggere tutto: i pali
telefonici erano sradicati, si tagliavano i fili, si distruggevano gli isolatori e
i registri postali, telegrafici e telefonici andavano bruciati.
L’ordinamento sulla gestione delle singole stazioni includeva la compilazione di un registro sul quale andava annotata tutta la corrispondenza in
partenza, in transito e recapitata. Nei registri corrispondenza recapitata
(“predajna knjiga”) erano annotati molti dati importanti: il numero progressivo d’entrata, l’indirizzo del destinatario e la data della consegna. Tutta la corrispondenza ricevuta era segnata nel registro corrispondenza in
partenza (“otpremljene pošiljke”). Alla fine della nota s’indicava anche il
nome del corriere, il giorno e l’ora della sua partenza e il tutto era convalidato dal timbro della posta. Il corriere confermava le consegne controfirmandole nel registro corrispondenza in partenza (“otpremna knjiga”).
La ricezione della posta raccomandata era compiuta dal Capo spedizioni
militari mediante la convalida nel registro corrispondenza raccomandata
in partenza (“predajna knjiga otpremne pošte”). La ricevuta poi ritornava
indietro con il primo servizio postale alla corrispondenza recapitata. Tutta
la posta in entrata con la ricevuta di avvenuta consegna era registrata nel
proprio registro corrispondenza recapitata. Le autorità civili e militari ritiravano la posta direttamente presso l’Ufficio postale militare, mentre la
consegna della corrispondenza per i civili era svolta solo con la mediazione
dei comandi militari. Troviamo questa situazione in conseguenza del divieto posto agli Uffici postali civili di svolgere operazioni per conto di militari
appartenenti a reparti mobilitati9. Prosegue la disposizione imponendo un
secco rifiuto nell’eseguire qualsiasi operazione postale a favore di questi
militari. Nel caso in cui presso questi Uffici postali militari vi era anche il
servizio telegrafico-telefonico, il responsabile doveva curare anche un registro delle attività svolte presso le stazioni radio-telegrafiche e il registro dei
telegrammi in uscita, entrata e trasmessi. I telegrammi erano trasmessi sia
Disposizione di servizio, § 145, Bollettino del Ministero delle poste e delle
telecomunicazioni, Parte III, Anno 1945, p. 217.
9
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
232
tramite il telegrafo sia tramite le vie di terra (con i messaggeri o corrieri militari). Anche per i telegrammi da e per i militari hanno delle particolarità,
possono, infatti, essere consegnati o presentati per l’accettazione agli uffici
civili ma solo per mezzo dei portalettere dei reparti militari. Gli Uffici civili li accettavano secondo le norme comuni, apponendo però l’indicazione
“Posta militare” seguita dal numero dell’Ufficio di P.M. da cui dipende il
Comando mittente, e non la vera località di partenza10.
Ogni comando militare con l’Ufficio postale aveva un numero di messaggeri tale da permetterle una veloce trasmissione e smistamento della
posta. Per la consegna dei pacchi postali e delle lettere i corrieri erano
dotati di una borsa di tela o di pelle; erano categoricamente proibite le soste
durante il servizio. Anche lo scambio della posta tra corrieri non era permesso ma ogni messaggero doveva consegnare la propria corrispondenza
all’ufficio di destinazione e solo il personale di questo poteva operare la
spartizione della posta (l’impiegato civile addetto è chiamato scambista).
L’Archivio di Stato di Pisino custodisce diverse buste con timbri postali militari. I timbri sono rettangolari e possono essere di dimensioni più
o meno grandi (o 64x24mm o 30x20). Oltre ai timbri militari possiamo
trovare anche d’ufficio (“službeno”) e urgente (“hitno”). Su ogni timbro è
apposta a mano la data (giorno e mese) e il numero di protocollo come da
registro. Su alcune lettere compare anche il numero della stazione militare.
Per capire meglio l’itinerario postale militare, ricorriamo ad alcuni
esempi11.
Il timbro della posta inviata della stazione nr. 12 (Kastav, Castua) segna
la data 13.09.1944. La lettera è stata spedita con destinazione Abbazia e ha
un secondo timbro della stazione nr. 11 (Abbazia) con data 14.09.1944. Il
giorno successivo, cioè il 15 settembre 1944, la lettera giunse alla stazione
punto Istria nr. 01 sul Planik. Il 17 settembre transita per la stazione nr. 05
(Pisino), lo stesso giorno passa per il punto nr. 25 (Villa Treviso/Trviž).
Giunge a destinazione, cioè alla base di Abbazia il giorno 19 settembre.
Il Comitato regionale per l’Istria (“Oblasni komitet za Istru”) dalla
base di Castua inoltra la lettera indirizzata al Comitato circondariale del
partito comunista di Antignana (“Kotarski komitet KPH Tinjan”) e la
Disposizione di servizio Telegrammi §176, Bollettino del Ministero delle poste e
delle telecomunicazioni, Parte III, Anno 1945, p. 248.
11
Documentazione non consultata.
10
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
233
missiva viaggia in questo modo: stazione nr. 12 (Kastav, Castua) il 12
agosto del ’44, stazione nr. 01 (Planik) il 18 agosto, stazione nr. 13 Felicia
(Čepić) il 19 agosto e arriva alla stazione nr. 22 Bogliuno/Boljun lo stesso giorno, mentre arrivò a Pisino presso la stazione nr. 05 il giorno 20.
La troviamo a destinazione ad Antignana (Tinjan), stazione nr. 16, il 22
agosto 1944.
Si è avuta la possibilità di parlare con il sig. Viktor Bačac Berma,
responsabile dell’ufficio postale militare nr. 5 (Pisino). Attraverso questa
stazione, come dichiara il sig. Bačac, transitavano sino a tremila lettere al
giorno. Questa stazione cambiò sede molto spesso e si mosse tra Pisino e
Pedena. Il traffico postale fu talmente consistente da richiedere altri due
messaggeri. Questa stazione fu, successivamente, collegata alle stazioni
vicine con diverse linee telefoniche. A conferma dell’intesa attività di
queste stazioni vi è la copiosa documentazione custodita presso l’Archivio di Stato di Pisino.
Nella documentazione si leggono alcuni nomi di messaggeri12: a un
certo Vičić era assegnato il percorso tra le stazioni nr. 11 e 12, cioè dal
bosco sotto il Monte Maggiore (Učka) sino al bosco di Lužina. Ivan
Buršić da Belušići e Hek Kinko da Heki erano assegnati al percorso tra le
stazioni numero 5 e 3, e tra la 34 la 16; si tratta del tragitto che va dal bosco dell’Arsia (Raša) vicino a Santa Katarina (paesino sotto Pedena) sino
ai boschi di Montona e di Antignana. Questo percorso, particolarmente
difficoltoso, richiedeva 12/16 ore di cammino, quasi senza sosta e andava
fatto di notte.
Altri nomi ci sono forniti dai documenti13 e si tratta, per lo più, di giovani che distribuivano giornali ma, a volte, anche la posta: Luca Blazina,
Katina Černjul, Milena Franko e Marija Knapić. Alcuni di loro perirono
durante il servizio come, per esempio, Milan Grebla e un certo Levak; vi è
notizia anche di uno sloveno Pepi Šustar Miha.
Altri nomi si aggiungono all’elenco:
Sveto Antolović, corriere-militare, morto nel 1944 a Pisino.
Josip Bančić,
corriere-militare, nato il 03.03.1925 a Mužine vicino a
Rovigno, morto a Gimino.
12
13
Documentazione non consultata.
Documentazione non consultata.
234
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Mario Flego,
corriere-militare, nato a Livak vicino a Pisino, morto il
22.10.1944 nel Canale di Leme.
Ivan Jadreško,
corriere-militare, nato il 30.06.1928 a Jadreški vicino a
Pola, morto per impiccagione a Monticcio.
Anđelo Jurcan, corriere-militare, nato a Rakovec vicino a Parenzo,
morto nel 1943 vicino a Montona.
Petar Jurcan,
corriere-militare, nato l’08.08.1919 a Jurci vicino a
Parenzo, morto nel 1943 a Pisino. Benjamin Kociancić,
corriere-militare, nato il 01.02.1926 a Torre di Parenzo
(Tar) vicino a Parenzo, morto il 22.10.1944 nel
villaggio di Babići (Albona).
Vice Kresina,
corriere-militare, nato nel 1925 a Gimino vicino a Pola,
morto nel 1944 a Sissano.
Mate Kuftić,
corriere-militare, nato il 20.04.1924 a Katić vicino a
Pola, morto a Melnica.
Anton Licul,
corriere-militare, nato il 10.01.1917 a Sumber-Šumber
vicino a Albona, morto il 27.04.1944 a Pedena.
Ivan Ljubičić,
corriere-militare, nato nel 1919 a Škabić vicino a
Albona, morto nell’ottobre 1944 a Grdosela.
Josip Mohorović, corriere-militare, nato il 07.01.1919 a Kunj vicino a
Albona, morto nel maggio 1944 a Grobnik – Grobnico.
Roko Peruško, corriere-militare, morto nel 1944 vicino al villaggio di
Jurićev Kal.
Marijan Stramić, corriere-militare, nato a Parenzo, morto nel gennaio
1945 presso Pisino.
Ivan Tončić,
corriere-militare, nato l’11.12.1923 a Čok vicino ad
Albona, morto il 21.10.1944 a Sv. Križ.
Verđilio Verbanac,corriere-militare, nato il 15.02.1908 a Vines (Vinež)
vicino a Albona, morto il 06.10.1943 presso Pisino.
Anđelo Višković, corriere-militare, morto il 20.03.1944 a Pozzo Littorio
(Podlabin).
Anton Višković, corriere-militare, nato a Altura (Valtura), scomparso.
Anton Zuliani, corriere-militare, nato il 16.04.1900 a Ružić, morto il
03.12.1944 presso il villaggio di Ružić.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Anton Žiković,
Božo Žunta,
235
corriere-militare, nato a Žiković vicino a Rovigno,
morto nel gennaio del 1945 presso il villaggio di
Filippano (Filipane).
corriere-militare, nato il 25.12.1923 a Butor, morto
nell’aprile 1944 vicino a Pisino.
La documentazione conservata14 riferisce che già nel 1942 i corrieri militari erano ben organizzati. La stampa di propaganda proveniva da Šušak
ed era poi distribuita in tutta l’Istria; contemporaneamente erano diffusi
anche manifesti e brochure. La divulgazione e distribuzione del materiale
di propaganda avveniva anche grazie ai volontari che facevano funzionare
i ciclostili addirittura sottoterra, nei bunker e nei rifugi. La carta e l’inchiostro erano portati dai corrieri da Fiume, da Pola e dall’Arsia (Raša).
Tra l’agosto 1943 e il maggio 1945 sul territorio Istriano furono distribuiti circa 133 diversi periodici, manifesti, notiziari e giornali tascabili.
Gli Uffici di posta militare (“partizanska vojno pozadinska stanica”15)
avevano diversi compiti: fungevano da base per i militari impiegati sul
territorio, per i clandestini e gli attivisti politici, gli agenti e i fuggitivi.
Raccoglievano materiale bellico e sempre presso queste sedi si svolgevano
riunioni e assemblee.
Purtroppo manca la documentazione che riporta le posizioni di questi
reparti perché si è potuto intuire che c’erano basi non solo nelle principali
città ma anche nel territorio circostante le città e nelle case di alcuni militanti.
Per ragioni di sicurezza anche la tipografia doveva essere mobile e possiamo ricostruire i vari traslochi che la “Puljski hrvastki list” ha dovuto
affrontare nel periodo 1944/45.
Da San Vincenti (Svetvinčenat) si è dovuti passare, a causa delle comunicazioni interrotte o comunque pessime, a Barbana (Barban). Da qui
si è spostata a Plehutim e Hrbokim. Dapprima si è predisposto un bunker,
per tutto il materiale, nel boschetto a Plehuti e la stampa e la riproduzione
del materiale di propaganda avvenivano proprio nella boscaglia. I corrieri
militari Grga Zenzerović e Tone Beloć facevano parte del reparto16 nr. 15 a
Documentazione non consultata.
Documentazione non consultata, così già nel testo originale e la denominazione è
dedotta.
16
L’autore usa l’acronimo VPS:Vojno-pozadinska stanica.
14
15
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
236
Rebić ed erano incaricati della costruzione del bunker ma dovevano anche
assicurare lo svolgimento dei lavori.
Preparare quotidianamente tutto il macchinario era scomodo: doveva
essere portato su dal bunker e predisposto per essere avviato. Si doveva
allora pensare a una soluzione più adeguata e meno faticosa: il tutto fu
spostato a Fumet nr. 30, presso l’abitazione di Vice Vičić. Si trattava di
un rifugio anzi di un bunker posto nella parte di nuova costruzione della
casa ed era raggiungibile solo tramite un tunnel. Il capo dei corrieri militari Grgo Zenzerović e gli altri messaggeri, Tone Beloć, Bepo Zenzerović,
Remigio Puh e Sofija (non si conosce il cognome) non dovevano lasciare,
durante le ore diurne, questo rifugio perché così potevano rivelare la propria posizione.
Per segnalare la presenza di truppe nemiche si appendeva alla finestra
un mazzolino di fiori e i corrieri si rifugiavano nel bosco o, più spesso,
presso la grotta di Plehuti.
La tipografia rimase in posti “pericolosi” sino all’inizio del 1945 e, in
seguito, fu trasferita nei dintorni di Albona. Fu sistemata nel bunker sotto
la casa di un certo Mate Kiršić nel villaggio di Veselice-Jeruzina. Si entrava attraverso il camino e il rifugio era dotato di energia elettrica. Dopo
l’uscita dei corrieri, il camino veniva chiuso con mattoni e si accendeva
il fuoco.
Ogni reparto e ogni Comando partigiano17 aveva all’interno una propria sezione PTT. Ogni sezione era costituita da una squadra per le comunicazioni, formata da circa 50 militari. Questi soldati, durante i periodi
di tregua, tenevano dei corsi di specializzazione PTT che si svolgevano
nel Gorski kotar. I corsisti, una volta concluso l’esame, ottenevano un
diploma.
Si fornisce un esempio di questi corsi che si sono svolti nel Gorski kotar
dall’ottobre 1944 all’aprile 1945:
La documentazione in nostro possesso è limitata, non è possibile ricostruire
l’intrecciarsi delle posizioni politiche ma si offre soltanto una ricostruzione, tradotta dal
croato, in base alle Circolari presenti nella Collezione privata Depiera e non si è avuta la
possibilità di consultarle tutte. Di ciò si da debita segnalazione.
17
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Titolo del corso
Periodo del corso
Numero
partecipanti
Corso base per addetti
alle comunicazioni
18.11.1944 – 02.12.1944
19
Corso base per addetti
alle comunicazioni
10.12.1944 – 01.01.1945
25
Corso base per addetti
alle comunicazioni
12.02.1945 – 04.03.1945
25
Telefonico I
13.01.1945 – 25.01.1945
13
Telefonico II
21.02.1945 – 12.03.1945
19
237
lettori
Ivan Štemberger
Stjepan Jurišić
Milan Rubeša
Ivan Štemberger
Stjepan Jurišić
Milan Rubeša
Ivan Štemberger
Stjepan Jurišić
Milan Rubeša
Ivan Štemberger
Stjepan Jurišić
Milan Rubeša
Ivan Štemberger
Stjepan Jurišić
Milan Rubeša
Dušan Kaštelan
La figura di “operatore” telefonico richiese una sempre maggiore preparazione. Alla fine si cercò di arruolare in questo settore personale specializzato sì ma anche scolarizzato. Molto importante è anche l’aspetto linguistico perché le comunicazioni favorendone la diffusione, indirettamente
sviluppano anche il linguaggio di settore.
Verso la fine del 1944 il numero delle linee telefoniche attive era cresciuto moltissimo. La loro creazione e il loro tracciamento fu fatto in seguito
alle esperienze militari ma anche sulla base dei sentieri percorsi nei boschi
dai corrieri militari.
Nel 1945 fu deciso e predisposto il passaggio di tutte le stazioni Posttelegrafiche e Radio-telegrafiche-telefoniche all’Amministrazione militare.
Il passaggio delle poste da partigiane a civili
Una volta conclusesi le vicissitudini belliche e con la definizione dei
nuovi confini, l’impegno del Governo nei confronti del territorio e dei cittadini era quello di ricostruire l’ordine. I primi elementi che vanno a creare
un nuovo Stato sono proprio le comunicazioni, assieme all’istruzione e alla
burocrazia amministrativa.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
238
Nell’ordine impartito dal Comando del XI corpo nr. 506 del 15 agosto 194418 compare l’ordine per l’istituzione e l’assimilazione degli uffici
postali-telegrafici-telefonici. I comandi territoriali dovevano, attraverso il
proprio responsabile delle comunicazioni, acquisire tutte le postazioni sia
statali sia quelle date in concessione ai privati. Da questi uffici acquisiti
andava prelevato tutto: i registri, la cassa e tutto l’inventario e passavano
sotto la competenza militare. In un primo momento il personale era quello
militare qualificato per questo impiego. Durante il passaggio delle competenze il Titolare dell’Ufficio postale doveva, in collaborazione con il contabile, chiudere tutti i conti e compilare il giornale di cassa. Dopo l’avvenuto
passaggio tutte le attività valutarie erano sospese. Le linee di collegamento
di terra (cioè i messaggeri o corrieri militari) tra le varie stazioni erano
ripristinate e migliorate e i portalettere furono dotati di biciclette e carri.
Il comando di zona ingaggiava i civili locali per curare e issare nuovi
pali per le telecomunicazioni. I cittadini collaboravano con il reparto militare addetto alle comunicazioni perché ripristinare velocemente le linee
interrotte, era considerata un’assoluta priorità ma bisognava anche attivarne di nuove. Quest’attività di ripristino ha permesso alle poste militari di
espandersi lungo tutta la costa istriana (sia Slovena sia Croata) e di includere, nelle proprie linee, tutto il territorio peninsulare.
Dalla lettura della documentazione si evince che dall’aprile 1945 tutti
i rapporti del Registro di cassa dagli Uffici postali erano inoltrati alla Direzione provinciale di Pola. Gli uffici postali e telegrafici che si trovavano
nella zona di occupazione alleata della provincia di Pola erano otto19: Pola
– Direzione; Pola – Economato e Magazzino; Pola – Vaglia e Risparmi;
Pola – Corrispondenza e Pacchi; Pola – Telegrafo; Pola – succursale 1; Pola
– succursale 2; Stignano di Pola (collettoria aggregata all’Ufficio di Pola –
Corr. e Pacchi).
Possiamo fornire un esempio di questo rapporto inoltrato dalle Poste al
responsabile delle PTT del Comando militare e il modulo aveva le seguenti
voci: denominazione dell’Ufficio postale, numero e data, destinatario e il
responsabile delle PTT del Comando militare del luogo. Il rapporto aveva
le seguenti colonne: 1. Nome e cognome del Titolare dell’Ufficio postale;
Documentazione non consultata.
Bollettino del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni, Parte III, Anno 1945,
Supplemento al n. 20, p. 3.
18
19
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
239
2. Indicazione degli Uffici con i quali era attiva una linea di terra (per
esempio la Posta di Lupogliano/Lupoglav aveva tre collegamenti: Pisino
– 22 chilometri, Pinguente – 17 chilometri e Laurana – 16,3 chilometri);
3. Indicazione di eventuali ritardi o problemi nel recapito della corrispondenza; 4. Attività politica (ore svolte di “educazione politica”) 5. Il recapito
della corrispondenza ed eventuali lamentele; 6. Reclami e contestazioni; 7.
Varie ed eventuali. Alla fine di tutte queste colonne compariva la firma del
Titolare dell’Ufficio postale.
Sempre tra la documentazione abbiamo riscontrato che, tutti gli uffici
postali dell’Istria inviarono un rapporto per l’attività del mese di giugno
1945 al Comando della zona militare di Pola, sezione PTT.
La ricezione20 della corrispondenza era svolta dallo scambista21 (addetto civile alla corrispondenza in entrata) che validava il tutto con una nota
nel registro della corrispondenza in partenza. La ricevuta di recapito era
rispedita con il primo messaggere disponibile. Tutte le raccomandate, sia
in transito sia in partenza, erano annotate nel registro della corrispondenza
raccomandata con la specifica del corriere di pertinenza. Per esempio la
posta di Lupogliano aveva tre linee di terra: V-98, V-58 e V-78 con l’Ufficio
postale di Laurana, Pisino e Pinguente. La prima nota nel registro dell’Ufficio postale di Lupogliano porta la data 3 maggio 1945 mentre l’ultima è
del 31 luglio dello stesso anno. Attraverso questa linea “V-98” il tre maggio
l’Ufficio postale di Lupogliano ha ricevuto 33 lettere con segnatura R, il
giorno seguente 14. Nel maggio del ’45 quest’Ufficio ha ricevuto in totale
298 lettere, nel giugno 185 e nel mese di luglio 99. Tra la posta segnata
come “R” abbiamo potuto constatare che figurano diverse spedizioni, atti
del comando di Fiume, diversi dispacci delle varie Sezioni dell’intelligence
presenti sul territorio, dispacci dagli Uffici postali militari, dai comitati
regionali, circondariali e distrettuali ma anche da quelli civili.
20
21
Documentazione non consultata.
Si introduce questo termine in base al Manuale.
240
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Le stazioni postali partigiane sul territorio istriano
Ogni Ufficio postale aveva una sezione “accettazione/consegna” gestita dal settore per le comunicazioni del comando militare. Le autorità
militari e civili prelevavano la posta presso l’Ufficio postale presentando
la ricevuta. La registrazione degli invii segnati “R” era effettuato attraverso il registro corrispondenza recapitata dove l’Ufficio postale segnava
la posta raccomandata, il ricevimento era confermato mediante l’apposizione della firma del destinatario nel registro corrispondenza recapitata.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
241
Questo registro aveva le seguenti colonne: 1. Numero progressivo; 2. Destinatario; 3. Valuta; 4. Ufficio postale di destinazione o la linea di collegamento; 5. Numero di ricezione; 6. Data di consegna; 7. Ora e 8. Firma.
La consegna della posta raccomandata ai privati nelle città e nei villaggi,
era mediata dai comitati militari distrettuali, cittadini e comunali.
Contemporaneamente comparivano le prime richieste per la consegna
di pacchi postali. Generalmente tra la corrispondenza consentita risultavano lettere private, corrispondenza d’ufficio e consegne urgenti mentre
il limite di peso era stabilito in due chilogrammi. Ogni cittadino poteva
inviare un pacco sino a cinque chilogrammi di peso mentre i pacchi inviati
da Istituzioni potevano essere anche più pesanti. Tutto il contenuto doveva
essere descritto e il foglio apposto sopra il pacchetto. Se s’inviava valuta,
questa andava posta in una busta aperta, indicando l’importo esatto con
l’indicazione del taglio del denaro. Ai civili, o privati, che consegnavano
un pacchetto (che doveva essere aperto) all’Ufficio postale era consegnata
una ricevuta. In un primo momento le lettere private non erano recapitate
come le raccomandate, successivamente l’iter di consegna fu modificato
e a tutti i recapiti era applicato lo stesso protocollo. Le tariffe postali22, in
questo periodo, prevedono l’esenzione dal pagamento di certa determinata
corrispondenza. Si tratta della corrispondenza inviata tra i vari uffici “postelegrafonici”, quella inviata da questi uffici alle autorità statali e nazionali
ma anche la corrispondenza inviata dalle autorità militari in tempo di guerra (e di mobilitazione). Anche i Comitati Popolari di Liberazione potevano
usufruire di questa esenzione così come la Croce Rossa ma valeva anche
per l’invio di “letture ordinarie, corrispondenze, vaglia lettere con valori” e
pacchi diretti e inviati dai militari. Va forse specificato cosa s’intende generalmente per corrispondenza in cui sono compresi vari oggetti, diversi fra
loro per natura, caratteristiche e tariffe. Una prima importante distinzione
va fatta fra le corrispondenze epistolari e non epistolari. Le prime sono
quelle che contengono comunicazioni attuali e personali mentre le seconde
non hanno tale carattere. In genere, tutti gli invii chiusi, con indirizzo, costituiscono agli effetti postali corrispondenze epistolari23.
Disposizione dell’Amministrazione Militare Jugoslava per la Regione Giulia, Istria,
Fiume e Litorale Sloveno, 18 settembre 1945, Collezione privata Enrico Depiera.
23
Arnaldo BERTANI, Manuale ad uso degli agenti aspiranti ai servizi viaggianti,
Bologna, 1953.
22
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
242
I registri erano chiusi mensilmente e tutta la documentazione era verificata, sempre mensilmente, dal responsabile del Comando territoriale.
Questa gestione è durata sino all’agosto 1945, lo leggiamo nella circolare nr. 2/45 firmata dall’allora direttore della Direzione provinciale PTT di
Fiume, Francesco Colar. In questa circolare informa che tutti gli Uffici postali dell’Istria appartenenti alla Direzione di Pola, dal 15 del mese corrente
dipenderanno dalla Direzione provinciale di Fiume. Da una circolare del
24 agosto del ’4524 sappiamo che in questa data era stato istituito un unico
ufficio per l’esercizio dei servizi PTT denominato “Posta Fiume 1” e ciò in
sostituzione degli uffici di “Fiume telegrafico”, “Fiume C.P.”, “Fiume Dogana”, “Fiume Vaglia – Risparmi e Azienda Statale per i servizio telefonici.
È il periodo in cui l’Istria è divisa in due zone, Zona A e Zona B: la
prima sotto l’amministrazione angloamericana e la seconda sotto quella
jugoslava. Rientrarono nel territorio della Zona “A” Trieste e Pola. Dal
9 giugno ‘45, secondo gli accordi di Belgrado, Pola rientra nel territorio dell’Amministrazione militare della Regione Giulia. Nella situazione
postbellica così delineata nel territorio e nei confini, s’introduce anche
una nuova valuta: la jugolira.
L’amministrazione del territorio era gestita dall’Esercito jugoslavo e,
di particolare pertinenza del presente studio, era l’amministrazione delle Poste Telegrafi e Telefono e Servizio radio nei territori della Regione
Giulia, Istria, Fiume e Litorale Sloveno. In questo delicato momento di
passaggio dei poteri sappiamo che in Italia25 la direzione delle poste passa
da Statale a civile con un nuovo Direttore Generale26 e un nuovo assetto.
Il Ministero delle comunicazioni è ripartito in due dicasteri: Ministero
dei trasporti e Ministero delle poste e delle telecomunicazioni27; ciò si verifica anche sul territorio sottoposto all’amministrazione Alleata. Questo
nuovo ordine in Italia è basato sulla legge del 1926 ma vi è anche un nuovo regolamento per i servizi interni della Direzione delle Poste di Fiume,
Circolare nr. 3/1945, del 24. VIII. 1945, Oggetto: Istituzione dell’ufficio postale a
Fiume.
25
In base al Regio Decreto legge 15 aprile 1944 nr. 30 riguardante la temporanea
attribuzione al Sottosegretario di Stato per le poste, i telegrafi e le tele-radio comunicazioni
dei poteri e delle facoltà spettanti al direttore è abrogato con il Decreto legislativo
Luogotenenziale 28 marzo 1945, nr. 131.
26
Regio decreto 11 novembre 1923 nr. 2395 e successive modifiche con effetto dal 1°
novembre 1944.
27
Decreto luogotenenziale 12 dicembre 1944, nr. 413, GU 11 gennaio 1945/5.
24
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
243
degli uffici postali e delle sezioni telefoniche. La gestione di tutti gli uffici
postali, telegrafici, telefonici e servizi radio venne affidata alla Direzione
delle Poste di Fiume. Il direttore dirigeva personalmente tutti i servizi e si
curava che tutti gli affari fossero svolti secondo le leggi e i regolamenti avvalendosi dell’aiuto dei vicedirettori. La Direzione delle poste è suddivisa
in sei reparti: 1. Generale, reparto personale; 2. Reparto postale; 3. Reparto
telegrafi e telefoni; 4. Reparto economato; 5. Reparto ragioneria e controllo
e 6. Reparto sconto. Il Reparto telegrafi e telefoni richiedeva una seconda
divisione: Sezione per il servizio telegrafico-telefonico e Sezione per il servizio tecnico. Forse potrebbe essere utile riassumere le competenze postali
durante questo periodo. Naturalmente, al primo posto, ritroviamo l’organizzazione e la cura per l’esatta esecuzione dei servizi non solo postali,
ma anche postali-doganali, casse di risparmio e servizio dei conti correnti,
descrizione dei moduli postali, messa in corso dei nuovi e ritiro dei vecchi
francobolli e carte valori, concessioni per l’uso dei francobolli per scopi di
beneficienza su corrispondenze postali. Un’attività forse meno conosciuta è
quella delle concessioni era, infatti, di pertinenza delle Poste concedere l’uso delle macchine affrancatrici, la franchigia postale ma anche l’esecuzione
degli accordi e convenzioni dei trattati internazionali e la custodia degli
esclusivi diritti postali ma anche la responsabilità per le sanzioni in caso di
abuso dei diritti postali. Anche il risarcimento danni era contemplato come
pure i reclami postali e le contravvenzioni e il risarcimento dei danni per
spedizioni non recapitabili. Tra le varie competenze annoveriamo anche
l’apertura e chiusura degli uffici postali, la diramazione degli elenchi e la
definizione del movimento postale su tutte le linee di terra e la sorveglianza
sulle stesse. Sempre di competenza dell’ufficio postale era il trasporto, il
recapito e la consegna di tutta la corrispondenza, si doveva stabilire il rione
del recapito, i portalettere rurali e andavano anche coordinati tutti i mezzi
di trasporto. Contemporaneamente stabilivano anche gli orari dei trasporti
delle pedonerie, l’illuminazione nelle vetture postali ma anche le tariffe
postali.
Queste competenze erano divise per ufficio, anzi, nelle sedi dei Comitati Popolari Regionali e nelle altre località maggiori e comunque, dove
disponeva il direttore, erano fondati Uffici postali regionali sotto il cui controllo sottostavano tutti gli uffici postali in quella regione. La creazione di
uffici sul territorio era fondamentale, così si poteva migliorare il trasporto
sulle linee terrestri con conseguente miglioramento del servizio postale.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
244
Poteva capitare che il servizio di recapito e la raccolta della corrispondenza
postale dovevano essere eseguiti fuori distretto: in questo caso il Direttore
disponeva che questo fosse svolto tramite l’aiuto dei “portalettere rurali”.
Le due sezioni del reparto telefonico vanno menzionate, e sono la “sorveglianza degli impianti” e la “sorveglianza delle linee”. A capo di questa
sezione vediamo il “sorvegliante” e la guardia delle linee e degli impianti
era suddivisa in regioni urbane e in tratti interurbani (ma potevano essere
anche rioni e tratti) sui quali lavoravano i “guardafili”.
Dal primo settembre 1945 è soppressa la Cassa Provinciale e tutte le sue
funzioni saranno svolte dalla cassa dell’Ufficio postale di Fiume. Contestualmente anche gli Uffici postali preesistenti cambiano nome, dunque la
succursale nr. 1 è denominata Fiume 3, l’Ufficio postelegrafonico (succursale nr. 2) ora è Fiume 4 e l’Ufficio postelegrafonico (succursale nr. 3) ora è
Fiume 5.
In base ad una Circolare di fine settembre28 si dispone che tutti gli Uffici
postali appartenenti all’ex Direzione di Pola di cambiare i propri timbri:
devono scalpellare “Pola” per non creare un malinteso internazionale.
Dal 9 ottobre è soppressa la censura sopra la corrispondenza civile
all’interno del territorio dell’Amministrazione militare. La censura rimane
attiva per la zona “A” e per l’estero. Rimangono alcune limitazioni in alcuni uffici postali come, per esempio: Fiume 1, Albona, Pisino, Capodistria
e Postumia. Si tratta di uffici postali, dove si completavano le chiusure dei
conti per la zona “A” (per le città di Trieste, Pola e Gorizia).
Durante l’amministrazione italiana questo territorio era diviso in quattro direzioni provinciali di poste e telegrafi: Fiume, Pola, Trieste e Udine – provincia di Gorizia. Su disposizione dell’amministrazione militare
dell’Armata Jugoslava per la regione Giulia, Istria, Fiume e Litorale sloveno (cioè zona “B”) vi fu un riordinamento degli uffici postali e sotto la
Direzione delle poste di Fiume confluirono uffici nuovi e vecchi. Sono disponibili due elenchi: “Elenco degli stabilimenti postali, uffici, ricevitorie,
collettorie, agenzie sul territorio della zona “B” che erano amministrati
dalle Direzioni Provinciali delle Poste e Telegrafi”29; e l’“Elenco degli Uffici postali sul territorio della zona “B” di pertinenza della Direzione delle
28
29
Circolare nr. 10/45 del 25 settembre 1945, Collezione privata Depiera.
Circolare nr. 13084, Fiume 5.06.1945, Collezione privata Enrico Depiera.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
245
poste di Fiume”. Purtroppo non possiamo ricostruire tutti i passaggi, ma è
possibile dare alcuni dati inediti circa il territorio di Fiume.
Nell’ottobre del ’45 sul territorio della Direzione delle poste di Fiume furono aperti 138 uffici postali. Con la circolare nr. 20/45 abbiamo l’elenco30
di questi uffici rigorosamente trilingue31:
Spisak pošta na posdručju Vojne uprave
J.A. za Julijsku krajinu, Istru R ijeku i
Slovensko primorje Direkcija pošta –
R ijeka
30
31
Elenco degli uffici postali nel territorio
dell’A mministrazione Militare J.A. per
l’Istria – Litorale Direzione delle poste
– Fiume
Avče
Aiuzza
Ajdovščina
Aidussina
Raderna
Mompaderno
Bale
Valle d’Istria
Barban
Barbana
Beli
Caisole (Cherso)
Boljun
Bogliuno
Brioni
Brioni
Brešca
Brezza
Britof-Vreme
Cave Auremiane
Brseč
Bersezio del Carnaro
Brtonigla
Verteneglio
Buje
Buie
Buzet
Pinguente
Cerkno
Circhina
Cerovlje
Cerreto Istriana
Col
Zolla
Cres
Cherso
Čepovan
Chiapovano
Černiče
Cernizza Goriziana
Črni Kal
San Sergio
Črni Vrh
Monte nero d’Idria
Dekani
Villa Decani
Circolare nr. 20/45, ottobre 1945, Collezione privata Enrico Depiera.
In questa sede si propongono i toponimi croati e italiani.
246
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Dobravlje (Sv. Križ cesta)
Dobraula (S. Croce di Aidussina)
Divača
Divaccia
Dreguč
Draguccio
Fažana
Fasana
Frančići
Franci
Galežan
Galesano (sic!)
Godović
Godovici
Gračišće
Galignano (sic!)
Grahovo ob Bači
Gracova (Seravalle)
Grožnjan
Grisignano (sic!)
Grgar
Gargaro
Hrašće
Crastie di Postumia
Hruševo
Cruscevie
Hudajužna
Obloca – Fusina
Ičići
Ville d’Icici
Idrija
Idrija
Ilirska Bistrica
Villa del Nevoso
Izola
Isola
Jablanica
Castel Jablanizza
Jelšane
Elsane
Kal-Kanalski
Cal di Canale
Kanfanar
Canfanaro
Kopar
Capodistria
Kozina
Cosina (Erpelle)
Klana
Clana
Klanec
S. Pietro di Madrasso
Knežak
Fontana del Conte
Koromačna
Valmazzinghi
Košana
Cossana
Karnica
Carnizza
Kršan
Chersano
Labin
Albona
Labinci
S. Domenica di Visinada
Lanišće
Lanischie Monte Aquila
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Lindar
Lindaro
Livade
Levade
Lovran
Laurana
Lošinj Mali
Lussin piccolo
Lošinj Veliki
Lussin grande
Lupoglav
Lupogliano
Marčana
Marzana
Martinšćica
S. Martino in Valle
Materija
Matteria
Matulje
Mattuglie
Medulin
Medulino (sic!)
Mošćnice
Moschiena
Mošćenička Draga
Valsantamarina
Motovun
Montona
Momjan
Momiano
Mune
Mune grande
Nerezine
Neresine
Novigrad
Cittanova
Obrov
Obrovo S. Maria
Opatija
Abbazia
Oprtalj
Portole
Osor
Ossero
Pazin
Pisino
Pićan
Pedena
Piran
Pirano
Plomin
Fianona
Podbrdo
Piedicolle
Podgorje na Krasu
Piedimonte del Tajano
Podgrad
Castelnuovo d’Istria
Pod Labin
Pozzo Littorio
Podmelec
Piedimelze
Portorož
Portorose
Poreč
Parenzo
Prem
Primano
247
248
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Postojna
Postumia
Prestranek
Prestrane
Rabac
Porto Albona
Raša
Arsia
Roč
Rozzo d’Istria
Rovinj
Rovigno
Razdrto
Prevalo
Rijeka 1
Fiume 1
Rijeka 3
Fiume 3
Rijeka 4
Fiume 4
Rijeka 5
Fiume 5
Senožeče
Senosecchia
Sičjole
Sicciole
Savudrija
Salvore
Soča
Oltresonzia
Slap ob Idrijci
Slappe d’Idria
Sovinjak
Sovignaco (sic!)
Slum
Silun Mont’Aquila
Sv. Nedelja Labinska
S. Domenica d’Albona
Sv. Lovreč Pazenatički
S. Lorenzo Fasenatico (sic!)
Sv. Petar u šumi
S. Pietro in Selve
Sv. Vinčenat
San Vincenti d’Istria
Sušak
Sansego
Sv. Lucija
S. Lucia d’Isonzo
Šempas
Sambasso
Šmarje pri Kopru
Monte di Capodistria
Št. Peter na Krasu
S. Pietro del Carso
Št. Vid nad Vipavo
S. Vito di Vipacco
Šušnjevica
Valdarsa
Tar
Torre di Parenzo
Tinjan
Antignana
Tolmin
Tolmino
Trnovo
Tarnova della Selva
Trnovo pri Ilir. Bistrici
Ternova di Bisterza
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
Umag
Umago
Unije
Unie
Valtura
Altura
Vinež
Vines
Vipava
Vipacco
Višnjan
Visignano
Vižinada
Visinada
Vodice
Vodicce di Castelnuovo (sic!)
Vodnjan
Dignano
Volosko
Volosca
Vrsar
Orsera
Zagorje na Krasu
Sagoria S. Martino (Carnare?)
Žminj
Gimino
249
La soppressione dell’Ufficio postale in un paese di fatto significa un declassamento del suo valore agli occhi dello Stato. Ciò significa che il paese
in questione diventava presto un villaggio, poi borgata… sparendo, quasi,
dalle carte geografiche e dai commerci. Così è stato per alcuni paesi i quali
oggi sono un mero agglomerato di case: Carcasse, Paugnano, San Bartolo,
San Pietro dell’amata. Altri, invece, hanno visto ripristinato l’ufficio: Santa
Lucia di Portorose e Semedella.
Se alcuni uffici furono aperti, altri (112 su 240) subirono la sorte inversa
furono, cioè, chiusi dal 30 settembre del ’45. Si tratta di collettorie appartenenti alle Direzioni delle poste di Fiume e di Pola, tra parentesi, s’indica la località cui l’ufficio andava aggregato: Baccia di Modrea/Bača pri Modreju (St.
Lucia di Tolmino/Sv. Lucija ob Soči), Castel Bellai/Belaj (Bogliuno/Boljun),
Bellei/Belej (San Martino in Valle/Martinščica), Vermo/Beram (Pisino/Pazin), Borutto/Borut (Cerretto Istriana/Cerovlje), Berdo di Elsane/Brdo (Elsane/Jelšane), Breghi Angeli/Bregi (Franci/Frančići), Bressovizza/Brezovica
(Matteria/Materija), Bergozza/Brgudac (Lupogliano/Lupoglav – poi Lanischie Monte Aquila/Lanišče), Felicia/Čepić (Chersano/Kršan), Chiusi Lussignano/Ćunski (Lussin Piccolo/Mali Lošinj), Daila/Dajla (Cittanova/Novigrad), Danne di Raspo/Dane (Silun Mont’Aquila/Slum), Filippano/Filipan
(Dignano/Vodnjan), Golazzo/Golac (Obrovo S. Maria/Obrov), Grimalda
/Grimalda (Cerretto Istriana/Cerovlje), Colmo/Hum (Rozzo d’Istria/Roč),
Giavorie/Javorje (Obrovo S. Maria/Obrov), Roveria/Juršići (Dignano/
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
250
Vodnjan), Giusici confine/Jušići (Mattuglie/Matulji), Caroiba Subiente/Karojba (Montona/Motovun), Castelvenere di Pirano/Kaštel (Buie/Buje), Vlamazinghi/Koromačno (Albona/Labin), Castagna/Kostanjica (Grožnjan),
Carpano/Krapan (Albona/Labin), Villa Gardossi/Krasica (Buie/Buje), Corridico/Kringa (Antignana/Tinjan), Lippa di Elsano/Lipa (Elsane/Jelšane),
Lisignano di Pola/Ližnjan (Medulino/Medulin), Lubenizze/Lubenice
(Cherso/Cres), Matterada/Materada (Umago/Umag), Mune Grande/Mune
Velike (Piedimonte del Tajano/Podgrad), Novacco di Pisino/Novaki (Cerovlje), Villanova del Quieto/Nova Vas kod Mirne (Verteneglio/Brtonigla),
Villa Nova di Parenzo/Nova Vas Porečka (Parenzo/Poreč), Aquilonia/Orelc
(Cherso/Cres), Passiacco/Pasjak (Elsane/Jelšane), Passo/Paz (Bogliuno/
Boljun), Peroi/Peroj (Fasana d’Istria/Fažana), Peruschi/Peruški (Krnica),
Petrovia/Petrovje (Umago/Umag), Planina/Planina (Circhina/Cerkno), Pregara di Castelnuovo d’Istria/Pregarje (Obrovo S. Maria/Obrov), Promontore
di Pola/Premantura (Medulino/Medulin), Castelnuovo d’Arsa/Rakalj (Carnizza d’Arsa/Krnica), Villa di Rovigno/Rovinjsko selo (Rovigno/Rovinj),
Semi/Semić (Lupogliano/Lupoglav), Slivia di Castelnuovo/Slivje (Matteria/Materija), San Lorenzo di Albona/Sv. Lovreč Labinski (Albona/Labin),
Santa Lucia/Sv. Lucija (Albona/Labin), Madonna del Carso/Sv. Marija od
Krasa (Umago/Umag), Saini di Barbana/Šajini (Barbana/Barban), Sappiane/Šapjane (Elsane/Jelsane), Scrobetti/Škropeti (Montona/Motovun), Sterna Filaria/Šterna (Grožnjan – poi Portole/Oprtalj), Tribano/Triban (Buie/
Buje), Villa Treviso/Trviž (Pisino/Pazin), Monte maggiore d’Istria/Učka
(Lupogliano/Lupoglav), Ustrine/Ustrine (Ossero/Osor), Vallon di Cherso/
Valun (Cherso/Cres), Apriano/Veprinac (Ville d’Icici/Ičići), Vines/Vinež
(Albona/Labin), Villa Vrana/Vrana (Cherso/Cres), Aurania/Vranja (Lupogliano/Lupoglav), Vetta di Pinguente/Vrh (Pinguente/Buzet), Sabresani/
Zabrežani (S. Pietro in Selve/S. Petar u šumi), Zambrattia/Zambratija (Salvore/Savudrija), Piemonte/Završje (Grisignana/Grožnjan), Stridone/Zrenj
(Portole/Oprtalj), Sbandati/Žbandaj (Parenzo/Poreč).
Da un’altra Circolare32 possiamo trarre gli uffici di nuova istituzione, ci
sono gli Uffici postali regionali (“nadzorne-okružne”) e uffici/ricevitorie/
collettorie/agenzie. Sul territorio della direzione di Fiume sono stati istituiti
i seguenti Uffici postali regionali: Buie, Pinguente, Cherso (dal 25 settembre 1945 al 6 ottobre 1945), Idria, Capodistria, Albona, Lussin piccolo (dal
Circolare nr. 13/45 del 25 settembre 1945, Collezione privata Depiera, documentazione non consultata.
32
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
251
06.10.1945), Pisino, Postumia, Fiume, Santa Lucia di Tolmino/Sv. Lucija ob
Soči e Dignano. Erano di pertinenza dell’Ufficio postale regionale di Fiume i
seguenti uffici postali: Brezza (Brešca), Bersezio del Carnaro (Brseč), Franci (Frančići), Ville d’Icici (Ičići), Villa del Nevoso (Ilirska Bistrica), Castel
Jablanizza (Jablanica), Elsane, Clana (Klana), Lourana (Lovran), Matteria,
Mattuglie, Valsantamarina (Mošćenička Draga), Moschiena (Mošćenice),
Mune grande (Mune), Obrovo S. Maria (Obrov), Abazia, Volosca, Castelnuovo d’Istria (Podgrad), Primano (Prem), Fiume 3, Fiume 4, Fiume 5, Terranova
di Bisterza (Trnovi pri Ilirski bistrici) e Vodizze di Castelnuovo (Vodice).
L’Ufficio postale regionale di Buie aveva la competenza sugli uffici di: Verteneglio, Grisignano (Grožnjan), Levade (Livade), Momiano, Montona, Portole
(Oprtalj), Umago. Ricadevano sotto l'area dell’Ufficio regionale di Pinguente gli uffici siti in: Bogliuno, Lanischie Monte Aquila (Lanišće), Lupogliano, Piedimonte del Tajano (Podgorje na Krasu), Rozzo d’Istria (Roč), Silun
Mont’Aquila (Slum), Sovignaco (Sovinjak). Della competenza di Pisino erano: Cerretto Istriana (Cerovlje), Draguccio (Draguč), Gallignano (Gračišče),
Lindaro (Lindar), Pedena, S. Pietro in Selve (Sv. Petar u šumi), Antignana
(Tinjan), Gimino (Žminj). Erano di pertinenza dell’Ufficio postale regionale
di Parenzo gli uffici di: Mompaderno (Baderna), Cittanova (Novigrad), Rovigno, Lovreč, S. Domenica di Visinada (Labinci), Torre di Parenzo (Tar), Visignano (Višnjna), Visinanda (Vižinada) e Orsera (Vrsar). In questo periodo
Salvore è di pertinenza dell’Ufficio regionale di Capodistria. Tutti gli uffici
erano aperti dalle 08 alle 12 e dalle 15 alle 18 mentre l’orario domenicale era
dalle 09 alle 11 (questo orario era definito “L”).
Una nuova attività è introdotta dal dicembre del ’45 e si tratta dei vaglia
postali ed era disponibile in 44 uffici postali (tra cui Brioni, Buie, Pinguente, Capodistria, Montona, Abbazia 1, Pisino, Parenzo, Fiume 1, Umago …).
Dall’elenco telefonico e telegrafico del 18 dicembre dell’anno seguente
vediamo che di 138 uffici postali ben 93 avevano già il telefono mentre 29
avevano il telegrafo o l’apparato Morse. Ecco l’elenco degli uffici che lavoravano secondo l’orario definito “C”, cioè dalle 01 alle 21: Albona, Abbazia
1 e Pisino mentre l’orario “N/2” cioè dalle 07 alle 24 è rintracciabile solo a
Fiume 1.
Possiamo proporre anche l’elenco dei centralini telefonici che operavano
secondo l’orario “N”: Aidussina, Buie, Capodistria, Idria, Villa del Nevoso,
Cosina, Albona, Abbazia 1, Parenzo, Pisino, Postumia, Fiume 1, San Pietro
del Carso (Sv. Petr na Krasu), Tolmino e Dignano (Vodnjan).
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
252
Per facilitare i pagamenti tra i territori ora appartenenti alla Jugoslavia e
quelli facenti parte della Direzione delle poste di Fiume (cioè la zona “B”),
la Cassa di risparmio postale ha attivato una collaborazione con l’Ufficio
conti correnti postali di Fiume. Grazie a questo speciale conto corrente
qualsiasi cittadino poteva inviare mensilmente dalla Jugoslavia alla zona
“B” sino a 1.000 dinari e dalla zona “B” alla Jugoslavia anche 3.000 jugolire mensilmente e senza permessi speciali. Per l’invio d’importi maggiori
era necessario ottenere l’autorizzazione dalla Sezione Bancaria-valutaria
del Ministero delle finanze della Jugoslavia. Dal primo luglio 1947 cessarono tutte le limitazioni per alcune operazioni bancarie: versamento stipendi,
pensioni, rimborsi per cure mediche33.
Il regolamento postale ordinava l’uso di una modulistica differente per
pagamenti per l’estero (cioè in zona “B” – i moduli erano gialli o rosa, bilingui: in serbocroato e in lingua italiana) oppure per i pagamenti all’interno
del territorio jugoslavo. Dal settembre 1947 le poste jugoslave ottennero le
direttive per il passaggio dal sistema valutario in lire al dinaro e dal 17 dello
stesso mese erano obbligate ad accettare i pagamenti in dinari.
Era, invece, attivo già da un anno (dal 1° marzo 1946) l’omnibus (ufficio
postale mobile) Fiume-Pola 151 e Pola-Fiume 151. Partiva da Fiume alle
6.30 della mattina e arrivava a Pola alle 15.40. Quando partiva da Pola, aveva un orario più tardivo: alle 9.10 per arrivare a Fiume alle 20.39. Le funzioni espletate da quest’ufficio mobile si concentravano soprattutto nella
chiusura dei conti per i seguenti uffici postali: Fiume 1, Villa del Nevoso, S.
Petro del Carso, Lubiana-Fiume 90, Lubiana-Trieste 91, Postumia, Sagoria
San Martino (Zagorje na krasu), Fontana del Conte (Knežak), Elsane, Primano, Brezza (Brešca), Mattuglie, Cossana di sotto (Košana), Divaccia S.
Canziano (Divača), Cave Aureniane (Vremski Britof), Cosina d’Istria (Kozina), Piedimonte del Tajano (Podgorje na Krasu), Pisino, Silun Mont’Aquila (Silum), Pola-Fiume 151, Lupogliano, Cerretto Istriano (Cerovlje), Pisino,
Buie, Salvore, Umago, Cittanova, Grisignana, Momiano, San Pietro in selve, Canfanaro, Rovigno, Dignano d’Istria, Gallesano.
La situazione così delineata era resa tale in base agli accordi di Belgrado
e durò sino al 16 settembre quando entrarono in vigore le normative stabilite in base al Trattato di pace fra l’Italia e le potenze Alleate, Parigi il 10
febbraio 1947.
33
Vjesnik PTT, nr. 14/17, documentazione non consultata.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
253
Il 16 settembre del 1947 la Direzione delle poste di Fiume cessò la sua
attività come organo dell’amministrazione militare dell’armata Jugoslava e
dallo stesso giorno non è più valida la Disposizione nr. 6 del 24 agosto 1945
che normava le poste. Tutte le attività di pertinenza della Direzione delle
poste di Fiume passarono al Ministero delle poste jugoslavo. Il personale
impiegato si era messo a disposizione del ministero. Per la gestione degli
uffici postali subentrò l’autorità legislativa, normativa e direttiva jugoslava.
Con l’accordo di Parigi (10 febbraio 1947) si sono definiti i confini con
la Jugoslavia e contemporaneamente è istituito il Territorio libero di Trieste con due nuove zone “A” e “B”. La zona “A” era sotto l’amministrazione angloamericana (solo Trieste e vicinanze) mentre la zona “B” è andata
all’amministrazione jugoslava (i distretti di Capodistria e Buie con le agenzie (“pomozne pošte”) Verteneglio, Buie, Villa Decani, Grisignana, Isola
d’Istria, Capodistria, Corte d’Isola (Korte), Villa Gardossi (Krasica), Krsete, Momiano, Maresego, Cittanova, Pirano, Portorose, Salvore, Sicciole,
Monte di Capodistria (Šmarje pri Kopru) e Umago34.
Con l’annessione di una parte della zona “A” e di una parte della zona
“B” al territorio jugoslavo, il Ministro delle poste ha disposto che l’assorbimento di alcuni uffici postali nella nuova Direzione delle poste di Fiume:
gli uffici del territorio della zona “A” annesso ma anche Pola 1 e Pola 2; le
poste del Gorski Kotar e del Litorale croato, cioè quelle appartenenti alla
Direzione di Zagabria; tutti gli uffici postali della zona “B” tranne gli uffici
postali dei distretti di Capodistria e Buie. Si è anche disposto di dividere la
Direzione delle poste di Fiume e di incorporare alla Direzione delle poste
di Lubiana tutti gli uffici presenti sul territorio Sloveno. Si auspicava che gli
uffici sul territorio della zona “B” e quelli della zona “A” facenti parte della
nuova federazione jugoslava entrassero a far parte delle competenze della
neonata Direzione delle poste di Lubiana.
L’ufficio postale di Pola cominciò a operare subito dopo il passaggio alla
Jugoslavia mentre l’attività correntistica fu attiva dal 20 settembre del ’47.
Le mansioni correntistiche dell’ufficio postale Pola 1 erano attive in seno
alla gestione della filiale della Banca rurale di Dignano d’Istria (“Gospodarska Banka Vodnjan”).
34
Documentazione non consultata.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
254
In seguito all’annessione di parte del territorio della zona “A” e “B”, del
Gorski kotar e del Litorale croato alla Direzione delle poste di Fiume, vi fu
un nuovo riordinamento degli Uffici regionali e loro filiali35.
Dal 1° gennaio 194836 l’assetto strutturale delle poste fu sottoposto a
nuova organizzazione.
Furono istituite, presso il Ministero delle poste, le seguenti sezioni: Direzione generale delle poste e Direzione generale telegrafico-telefonica.
Ogni nazione della federazione ne istituisce una per il proprio territorio.
La struttura organizzativa della Direzione delle poste è la seguente: Uffici
principali, Uffici locali,37 Agenzie, Ricevitorie e Recapiti. La Direzione generale dei TT si struttura attraverso i Circoli Costruzioni TT e Uffici TT.
La Direzione delle poste di Fiume si divide in Direzione delle poste di
Fiume e Direzione telegrafica e telefonica. Il direttore della Direzione generale delle poste di Fiume è Mirko Radalj, l’ex direttore della Sezione
controlli e verifiche della Direzione delle poste di Zagabria. A capo della
Direzione TT vediamo invece l’ing. Adam August, l’ex direttore della Direzione delle poste in liquidazione di Fiume.
In base alla documentazione presente possiamo offrire uno schema degli
uffici e luoghi, dove questi erano presenti e la competenza alla quale andavano soggetti.
Di competenza della Direzione delle poste di Fiume erano i seguenti uffici: Ufficio principale di Fiume, Ufficio principale di Pola, Ufficio locale di
Abazia, Agenzia di Fiume e Ricevitorie. Le Agenzie di pertinenza dell’Ufficio principale di Fiume per il distretto di Sušak-Fiume erano 23 (Fiume
1, Fiume 3, Fiume 4, Fiume 5, Zamet, Drenova, Pehlin, Sušak 1, Sušak 2,
Bakar, Bakarac, Cavle, Hreljin, Jelenje, Kosterna, Sv. Lucija, Villa Gardossi (Krasica), Plase, Praputnja, Sv. Matej, Škrljevo, Kastav e Clana (Klana)).
Di pertinenza dell’ufficio di Pola erano: Pola 1, Pola 2, Pola 3, Valle, Brioni, Fasana d’Istria, Carnizza d’Arsa (Krnica), Marzana d’Istria (Marčana),
Medulino, Gallesano, Dignano d’Istria, S. Vincenti d’Istria, Arsa, Albona,
S. Domenica di Albona, S. Lorenzo di Albona, Chersano (Kršan), Barbana
d’Istria, Rovigno, Canfanaro, Altura (Valtura), Porto Albona (Rabac), Pozzo
Litorio (Podlabin). L’ufficio locale di Abbazia aveva competenza su: Brezza
In base alla Circolare nr. 409/47, Documentazione non consultata.
Documentazione non consultata.
37
Non potendo consultare la documentazione le denominazioni sono state ricostruite
in base al Manuale.
35
36
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
255
(Brešca), Bersezio (Brseč), Franci (Frančići), Ville d’Icici (Ičići), Laurana,
Mattuglie, Moschiena (Mošćenice), Draga Valsantamarina (Mošćenička
Draga), Abbazia 1, Abbazia 2, Fianona (Plomin).
L’Ufficio principale di Fiume per l’agenzia di Fiume 2.
L’ufficio di Pinguente: Pinguente, Levade (Livade), Montona, Rozzo d’Istria (Roč), Silun Mont’Aquila (Silum), Portole (Oprtalj), Sovignacco (Sovinjak), Mune, Vodizze di Castelnuovo (Vodice). Parenzo aveva la competenza su: Mompaderno (Baderna), Santa domenica di Visinada (Labinci),
Villa Nova di Parenzo, Parenzo, Torre di Parenzo (Tar), Visignano, Orsera,
San Lorenzo del Pasenatico (Sv. Lovreč Pazenatički). Lussin piccolo: Bellei,
Caisole (Beli), Cherso, Lussin piccolo, San Martino in Valle (Martinšćica),
Neresine, Ossero, Sansego (Sušak kod Lošinja), Unie, Lussingrande. Per
Veglia: Aleksandrovo (Punat), Baška, Bašćanska Draga, Dobrinj, Veglia,
Malinska, Njivice, Omišalj, Poljice, Silo, Vrbnik. Per l’isola di Arbe: Arbe,
Pag, Lopar, Novalja, Lun. Per Senj: Donji Starigrad, Jablanac, Krivi put, Sv.
Juraj, Krasno, Senj. Crikvenica: Bribir, Crikvenica, Drvenik, Grižane, Klenovica-Zrnovica, Kraljevica, Križišće, Novo Selce, Sv. Jelena, Sv. Jakov,
Šiljevica, Tribalj. L’ufficio di Delnice: Brod Moravice, Brod na Kupi, Črni
Lug, Čabar, Delnice, Fužine, Gerovo, Kuželj, Lič, Lokve, Mrkopalj, Lešce,
Prezid, Ravna Gora, Severin na Kupi, Skrad, Srpske Moravice, Tršće, Vrbosko, Zlobin, Vrata.
Nella nuova Direzione TT, invece, troviamo i seguenti quattro Circoli
TT: Fiume, Sušak, Pola e diversi Uffici TT. Ogni circolo aveva alcune sedi
di competenza come, per esempio, per Fiume: Sezione telefonica locale di
Fiume, TT di Fiume e l’Agenzia di Abbazia. Sušak, invece, aveva competenza sulla XIII sezione TT e sulle agenzie di Crikvenica, Senj e Delnice e
di pertinenza di Pola era la sezione TT di Pola, le Agenzie di Pola, Pisino,
Parenzo e Albona.
Dopo il primo gennaio ’48 i rapporti andavano inoltrati alle due direzioni separatamente, mentre dalla fine del ’49 le due direzioni vennero nuovamente unite. La Direzione delle poste di Fiume è soppressa il 12 agosto del
’48 e parte delle sue competenze furono assunte dalla Direzione delle poste
di Zagabria e dalla Direzione delle poste di Lubiana.
Con risoluzione del Comitato direttivo della Direzione generale PTT
di Belgrado (“Upravni odbor Generalne direkcije PTT Beograd”)38 del 23
38
Risoluzione nr. 7338 del 23 settembre 1954, Documentazione non consultata.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
256
settembre del 1954 è istituita la filiale di Fiume. Questo è il periodo del
Memorandum di Londra e vengono consolidati i confini. Un aspetto molto
importante è anche quello dei timbri e francobolli.
Per un certo periodo i timbri negli uffici postali erano quelli appartenenti all’amministrazione italiana, con una sola eccezione: Pola. In base alla
circolare39 di fine settembre del ’45 sappiamo che è stato disposto di scalpellare le lettere “Provincia di”, per non creare degli incidenti diplomatici;
mentre non è stata richiesta la rimozione per Fiume. Lentamente, durante il
corso dell’anno 1946, tutti gli uffici postali cominciarono a usare dei timbri
nuovi. Soprattutto i distretti di Capodistria, Buie, quelli dell’Istria occidentale e nella città di Fiume avevano già la tripla didascalia: in croato, sloveno
e in italiano; gli altri uffici mantennero solo quella croata.
Sino al 9 ottobre del ’45 era attiva ancora la censura per la corrispondenza civile all’interno del territorio dell’Amministrazione militare; queste
limitazioni rimangono attive per la zona “A” e per l’estero. La censura,
presso gli uffici postali di Fiume 1, Albona, Pisino, Capodistria e Postumia, consisteva nell’apposizione di un timbro circolare con un stemma e
la dicitura censura militare (“vojna cenzura”). Tutti gli altri uffici avevano
in dotazione timbri, sempre con lo stemma, ma alcuni erano di gomma
(d’ufficio/”službeno”) oppure di piombo (“R”, “T”, “pagato/isplaćeno; posta
in uscita/”po odlasku pošte”) e il sigillo con la denominazione dell’ufficio
postale e lo stemma. Il timbro “R” è stato sostituito, nel corso del ’45, con
l’adesivo “R” (con la denominazione dell’ufficio postale trilingue). Rimasero in corso sino alla fine del ’46, poi sostituite dall’adesivo con impressa
la sola lettera “R”.
Sul territorio appartenente alla zona “B” e sotto l’amministrazione jugoslava erano attivi anche degli Uffici postali militari che usavano dei timbri
di gomma per l’annullo postale della corrispondenza in uscita. Di solito
erano timbri senza data (187/AL, 187/IN, 187/LF, 187/GU, 108/SK; uffici militari 72039, 16098, 30065, 38274 etc) ma potevano anche avere uno
spazio per aggiungere la data. Anche gli uffici postali militari avevano a
disposizione i timbri “R” e “d’ufficio/službeno”.
39
Circolare nr. 10/45 del 25 settembre 1945, Documentazione non consultata.
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
257
In base all’ordinanza del Comandate della città di Fiume (sezione nr.
347) del 30 giugno 194540 è stata emessa la serie dei francobolli per la posta ordinaria “Repubblica Sociale Italiana – Monumenti nazionali distrutti”
con la sovrastampa 3.V.1945 con 7 valori: £. 0,25 I emissione, colore verde,
col valore di £it 2, per 204.800 pezzi; francobollo di £ 0,10, colore grigio col
valore di £it 5, per 68.900 pezzi; francobollo £ 1, colore viola col valore di
£it 4 per 204.900 pezzi; francobollo di £ 0,10, color marrone, col valore di
£it 6 per 160.100 pezzi; francobollo di £ 0,25 II emissione, colore verde col
valore di £it 10, per 109.100 pezzi; francobollo di £ 0,75, colore rosso, col
valore di £it 16, per pezzi 40.200; francobollo di £ 1,25 “espresso” di colore
verde, col valore di £it 20, per 69.000 pezzi.
Altri francobolli furono immessi sul mercato in base all’Ordinanza del
Comitato regionale di liberazione nazionale per l’Istria (Oblasni N.O. Odbor
za Istru); nel luglio del ’45 uscirono a Pola i francobolli con la sovrastampa
“Istra” con quattro valori: £41, emissione “Regno d’Italia” con l’effige di
Giulio Cesare, di colore viola, per £it 4 – 109.000 pezzi; £ 0,75 emissione
“Repubblica Sociale Italiana”, colore rosso, per £it 6 – 17.800 pezzi; £ 0,25,
emissione “Repubblica Sociale Italiana – Monumenti Nazionali distrutti”,
di colore marrone, per £it 10 – 109.100 pezzi; £ 0,50, emissione “Regno
d’Italia con sovraimpresso “Repubblica Sociale Italiana”, di colore blu per
£it 20 – 17.800 pezzi.
Seguirono altre emissioni come, per esempio, quelle con motivi raffiguranti il Litorale e con la didascalia: “Istra slovensko primorje – Istria
littorale42 sloveno”. La prima emissione di questi francobolli è del 15 agosto 1945 ed è stata promossa dal Comitato territoriale di liberazione del
litorale sloveno (“Pokrajinski narodnooslobodilački odbor za Slovenačko
primorje”) in cooperazione con il Comitato regionale di liberazione per
l’Istria (“Oblasni narodnooslobodilačni odbor za Istro”) con i seguenti valori: 0,2543 color olivastro; 0,50 di colore rosso-marrone; 1 di colore rosso;
1,50 color olivastro; 2 di colore verde; 4 di colore blu; 5 di colore nero; 10 di
colore marrone chiaro; 20 di colore viola scuro; 30 di colore viola-rossiccio.
Documentazione non consultata.
Manca nel testo e la documentazione non è stata consultata.
42
Non è possibile stabilire se l’errore grammaticale sia da attribuire all’autore oppure
se la didascalia fosse scritta con due “T”.
43
Non è indicata la valuta, ma solo il valore nominale.
40
41
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
258
Una seconda emissione è stata messa in stampa dalla Direzione delle
poste di Fiume44 “Istra-Slovensko primorje” (emissione di Zagabria) e si
differenzia dalla prima (emissione di Lubiana) perché i francobolli della
seconda serie hanno alcune particolarità: il francobollo da 1£ è verde, di 4£
è rosso e quello da 20£ è blu.
La terza serie è stata emessa in base all’ordinanza45 della Direzione delle
poste di Fiume e solo per i valori di 1, 2, 3 e 6 lire. Le immagini e i colori
dei francobolli da 1 e 2£ corrispondono alla seconda edizione, mentre quello da 3£ ha impressa la stessa immagine del francobollo da 2£ ed è di colore
rossiccio; il francobollo da 6£ ha la stessa immagine di quello da 4£ della
seconda edizione ma è di colore blu.
I francobolli segnatasse (“porto marake”) erano forniti in una speciale ristampa dei francobolli della prima emissione. Questa ristampa è stata
fatta in base all’ordinanza46 della Direzione delle poste di Fiume con sette
valori: francobollo da 0,20 per £it 0,50; francobollo da 0,25 per £it 1; francobollo da 30 per £it 2; francobollo da 0,50 per di £it 4, £it 8; £it 10 ma
anche col valore di £it 20.
Un’altra ordinanza47 ha promosso la seconda emissione di francobolli
segnatasse da parte della Direzione delle poste di Fiume mediante la ristampa della II emissione dei francobolli “Istra-Slovensko primorje – Istria
litorale sloveno” (emissione di Zagabria): da 1£ con i valori di £it1, £it 2 e
£it 4; da 30£ con i valori di £it 10, £it 20 e 30.
La serie successiva di francobolli per l’Istria, Litorale sloveno e per Fiume con una sovrastampa “Vojna uprava jugoslavenske armije – Amministrazione militare jugoslava” è stata emessa l’8 febbraio 1947.
In occasione dell’annessione fu emesso uno speciale francobollo commemorativo e questo è il primo di tanti francobolli per la corrispondenza
ordinaria attestanti la complicata storia postale istriana.
* Molte informazioni sono state tratte dalla pubblicazione di F. Jurišević,
S poštom kroz prošlost Istre i Slovenskog Primorja, Koper, 1981, che
approfondisce gli argomenti qui solo accennati.
Circolare nr. 1877/46 del 28. 01.1946, documentazione non consultata.
Ordinanza nr. 19715/46 del 23. 09. 1946, documentazione non consultata.
46
Ordinanza nr. 3692/45, documentazione non consultata.
47
Ordinanza nr. 6739/46, documentazione non consultata.
44
45
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
259
SAŽETAK
VOJNI POŠTANSKI KURIRI U ISTRI (1940.-1948.)
Temeljeći se na prilogu Enrica Depiere, izdanog osamdesetih godina
prošlog stoljeća za Poštanski i telegrafski arhiv Jugoslavije, autorica je
analizirala ratna zbivanja na istarskom tlu i rekonstruirala stanje kopnenih komunikacija. Istarski teritorij, sa svojom bogatom i složenom povijesti upravnih preslagivanja, ima jednu gotovo nepoznatu dimenziju: način
djelovanja veza tijekom Drugog svjetskog rata. Nadležne službe, prije nego
što su postale državne, bile su vojni uredi, odnosno vojne logističke baze
s poštanskim odjelom, kao što je navedeno u gore spomenutom članku na
hrvatskom jeziku. Prije nego što su uspostavljene telefonske ili telegrafske
linije, sve su se komunikacije odvijale putem kurira koji su pješice prelazili
duge dionice na do danas nepoznatim cestama i putovima. Ta mreža postaja (odakle su kretale i gdje su dolazile depeše, a kasnije i korespondencija) i
ljudi (vojni kuriri, ali i raznosači) omogućila je širenje informacija i obavijesti općenito, ali je i trasirala dionice budućih telefonskih linija. Temeljni
trenutak za to bilo je zatvaranje Poštanskog ureda i Puli i otvaranje onog
u Rijeci koji je postao Glavna poštanska uprava za cijelo područje. Zahvaljujući raznim krugovima bilo je moguće rekonstuirati neke aspekte ovog
novog teritorijalnog i upravnog ustrojstva. U ovom prilogu je razmatrana i
filatelistička strana s kratkim popisom poštanskih izdanja u tom razdoblju.
POVZETEK
VOJNI POŠTNI KURIRJI V ISTRI (1940-48)
Avtorica, na podlagi besedila Enrica Depiera objavljenega v 80. letih
za poštni in telegrafski Arhiv Jugoslavije, je z rekonstrukcijo zemeljskih
komunikacij opisala vojne dogodivščine istrskega teritorija. Kompleksnost
istrskega ozemlja, s svojo bogato zgodovino prekrivanja upravnih strani
ima skoraj neznano plat: komunikacije v času Druge Svetovne Vojne. Pisarne, preden so postale državne, so bile vojaške ali, kot je bilo opredeljeno v hrvaškem jeziku: vojaška logistična oporišča s poštno službo. Preden
so postale telegrafske in telefonske, so vsa posredovanja potekala preko
260
Valentina Petaros Jeromela, Messaggeri postali militari in Istria, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 227-260
kurirjev. Potovali so na dolgih razdaljah na cestah in poteh, ki so še danes
neznane. Mreže baz (iz katerih so odhajale in prihajale depeše, potem tudi
sama pošta) in ljudi (vojaška kurirska služba in dobavitelji) so omogočile
širjenje informacij in komunikacij, in so bile podlaga za bodoče telefonske
linije. Ključni korak je bilo zaprtje pošte v Pulju in posledično odpiranje
Reške, ki je postalo poštni Direktorat za vso območje. V zahvalo različnih
krogov, je bilo lahko rekonstruirati nekatere aspekte novega prostorskega
in upravnega načrtovanja. Ni se hotelo zanemariti filatelični aspekt zato je
podan tudi krajši seznam poštnih emisiji tega obdobja.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
261
MEMORIE DELLA PRIGIONIA
DI ERMINIO VOJVODA (1944-1945)
PAOLA DELTON
Centro di ricerche storiche
Rovigno
CDU 343.26(093.3ErminioVojvoda)”1944/1945”
Memorie
Gennaio 2013
Riassunto: Il dignanese Erminio Vojvoda ha narrato, in un manoscritto portato a termine
negli anni Ottanta, la sua deportazione in alcuni campi di prigionia nazisti, principalmente
nel lager di Katschberg in Austria. La sua tragica esperienza ebbe inizio il 15 luglio
1944 con l’arresto per motivi di carattere politico e si concluse con il ritorno a casa il
15 maggio 1945. La trascrizione delle memorie è corredata dalla biografia dell’autore,
rinomato modellista delle calzature.
Summary: Memories of captivity by Erminio Vojvoda (1944-1945) – In a manuscript
completed in the 80s the citizen of Dignano-Vodnjan, Erminio Vojvoda narrated his
deportation in several Nazi prison camps, mainly in the concentration camp Katschberg
in Austria. His tragic experience began on 15 July 1944 with his politically motivated
arrest, and ended with his return home on 15 May 15 1945. The transcript of memories is
accompanied by the author’s biography, who was also a renowned modeller of footwear.
Parole chiave / Keywords: memorie, Seconda guerra mondiale, campo di concentramento,
lavoro coatto, modellista in calzature / Memories, Second World War, Concentration
Camps, Forced Labor, Modeller of Footwear
Prefazione
Dignano ricorda Erminio Vojvoda (Voivoda)1 come un grande professionista della calzatura o meglio come egli definì se stesso “Tagliatore
La grafia del cognome oscilla continuamente tra le due varianti con “i” e “j”.
Nell’atto di nascita presente nel Liber Baptizatorum dell’anno 1902 conservato presso
l’Ufficio Anagrafe di Dignano il cognome registrato è Voivoda (la lingua d’uso è il latino).
Il primo certificato di abilitazione alla professione di calzolaio (Dignano, 1923) reca la
forma con “i”. Nei periodici italiani del settore della calzatura viene quasi sempre citato
come Vojvoda, mentre nel periodo di sovranità italiana buona parte dei clienti scrivono
alla Calzoleria Voivoda. La firma personale presenta sempre la stessa forma: Erminio
Vojvoda. Nella volontà di rimanere fedeli ai documenti originali, anche nel nostro testo
sono presenti entrambe le varianti.
1
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
262
modellista creatore in calzature”2. Erminio Vojvoda (Dignano, 23 maggio
1902 – Pola, 6 aprile 1991) viene presentato in queste pagine come autore
di memorie riguardanti la propria detenzione nel lager di Katschberg in
Austria negli anni 1944 e 1945. Egli si dedicò alla stesura di questo racconto dal 1978 al 1987. “Dopo trentatré anni mi sono deciso a scrivere le mie
memorie”: così si esprime l’autore nell’incipit del suo Manoscritto della
mia vita passata nei diversi lager e primamente nel lager di Katschberg
in Austria sul confino tra la Carinzia ed il Salisburghese in vicinanza di
Sankt Michael im Lungau3. Per trentatré lunghi anni egli ha custodito i ricordi e i documenti che attestano la tragica esperienza della prigionia e del
lavoro coatto. Questi documenti, oltre al manoscritto citato, comprendono:
l’insieme di note scritte sotto forma di diario della prigionia sui margini di
un libro che l’autore aveva con sé nel lager; note e appunti scritti su fogli di
carta di recupero; il pezzo di stoffa con il numero di matricola assegnatogli
nel lager; alcune foto dei prigionieri; una cartolina rappresentante il luogo
della prima sistemazione in baracche; il carteggio tra lui e la moglie Nanda.
Dopo aver conservato tutto questo per molti anni, all’età di settantasette
anni ha iniziato a scrivere il testo che qui si pubblica. La stesura dello
scritto è durata per un decennio, sostenuto, nel suo intento di lasciare ai posteri la memoria della sua prigionia, dalla prof.ssa Anita Forlani. Erminio
Vojvoda sperava che un giorno fosse reso pubblico e oggi le sue memorie
diventano un documento storico accessibile a tutti.
Il testo di Erminio Vojvoda è stato trascritto limitando al minimo indispensabile l’intervento di correzione linguistica e testuale. Il racconto è
vivo e non disturbano gli errori morfosintattici in esso presenti; il testo
semmai acquista in veridicità e spontaneità. Infatti è proprio negli errori, nelle ripetizioni, nella grafia talvolta incerta che è possibile cogliere la
personalità dell’autore e le emozioni provate. Egli è intervenuto più volte
sul contenuto delle proprie memorie aggiungendo frasi, commenti, date ed
Testo del biglietto da visita; in Collezione memoriale “Vojvoda” di Ljubica Brščić
– Dignano.
3
Questo il titolo originale dato dall’autore stesso alla propria “opera”. Il manoscritto
di Erminio Vojvoda, nonché alcuni documenti riguardanti la deportazione e la professione
di modellista delle calzature, sono stati consegnati dall’autore alla prof.ssa Anita Forlani
di Dignano, la quale ne ha fatto donazione al Centro di Ricerche Storiche di Rovigno.
Oggi nell'A rchivio del Centro di ricerche storiche di Rovigno (= ACRS), fondo (= f.) E.
Vojvoda, n.ro inv. 438/11.
2
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
263
altro, per cui si percepisce la sua volontà di scrivere una buona opera sia dal
punto di vista del contenuto che della forma. Il lavoro del ricercatore è stato
anche quello di dare ordine alle aggiunte e correzioni dello stesso autore.
Noi, quel qualcuno citato dall’autore in chiusura e al quale sono dirette le
sue parole, non abbiamo bisogno di un’opera perfetta da un punto di vista
formale; noi abbiamo bisogno di aggiungere altri tasselli alla storia del secolo scorso, in particolare alla storia dell’Istria durante la Seconda guerra
mondiale, e in questo senso queste memorie rappresentano una fonte storica importante.
Pagina del “Diario della prigionia di E. Vojvoda”
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
264
La prigionia di Erminio Vojvoda iniziò il 15 luglio 1944 e si concluse
con il suo ritorno a casa il 15 maggio 1945. Dieci mesi. Al suo ritorno nell’amata Dignano, era finita un’epoca e ne iniziava un’altra. In mezzo stava
l’umiliante e drammatica esperienza del campo di prigionia e dei lavori
forzati. L’autore nelle sue pagine ci racconta nei minimi dettagli quali erano
le condizioni di vita nel lager, cita persone, riflette sulla storia e sui potenti,
ci permette di ripassare la “grande storia” attraverso la sua “piccola storia”.
Questa storia, conclude l’autore, spero a qualcuno servirà per tracciare
una via, un sentiero più bello del mio. Solo conoscendo e comprendendo
le storie del mondo sarà possibile transitare su questa terra meglio di me,
questa la speranza dell’autore espressa nell’ultima riga della sua testimonianza.
Risulta importante sottolineare il nucleo attorno al quale l’autore, a
trent’anni di distanza dall’esperienza del lager, raccolse le sue memorie. Si
tratta dell’insieme di note, osservazioni e riflessioni riguardanti la prigionia
che egli scrisse durante la deportazione nel campo di lavoro di Katschberg
in Austria sui margini e sulle pagine bianche di un libro che egli aveva con
sé. Questo libro è L’uomo questo sconosciuto di Alexis Carrel (ed. Bompiani, Milano 1943), libro che, come dice lo stesso autore, ha rappresentato per
lui fonte di consolazione. Fanno parte delle testimonianze della prigionia
anche una serie di appunti scritti su pezzi di carta di recupero che in seguito sono stati inseriti dall’autore nello stesso libro. Questo insieme di note
rappresentano il Diario della prigionia di Erminio Vojvoda4; in esso gli appunti riguardano la vita quotidiana degli internati, il lavoro al quale erano
costretti, gli screzi con i compagni, il rancio, i malesseri, i maltrattamenti,
i tentativi di fuga, le punizioni, ecc. Esclusa una nota senza commento5, il
diario si apre il 1.1.1945: “Triste giornata, buon rancio patate molte, carne,
budino”. Il giorno successivo scrive: “visita medica, Emilio6 destinato a
partire, io per lavori leggeri”. Sono passati cinque mesi dal giorno del “prelievo” dal carcere del Coroneo di Trieste (31 luglio 1944) con destinazione
Il libro-documento L’uomo questo sconosciuto di Alexis Carrel (ed. Bompiani,
Milano 1943) con note a margine di Erminio Vojvoda si trova in ACRS, f. E. Vojvoda,
cit.; il titolo Diario della prigionia di Erminio Vojvoda è stato dato dal curatore.
5
Nelle pagine finali su legge: “4.12.1944: in prigionia”.
6
Emilio Voivoda, fratello di Erminio. I due fratelli sono stati imprigionati a Dignano
il 15.7.1944 assieme ad altri dignanesi; tutti furono deportati nei campi di lavoro nazisti.
Emilio Voivoda morì nel campo di concentramento di Dachau il 23.3.1945.
4
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
265
i campi di prigionia nazisti e, proprio quando il fratello Emilio e altri prigionieri vengono trasferiti nel lager di Dachau, Vojvoda sente il bisogno
di scrivere un diario. Le annotazioni sulle parti bianche del libro di Carrel
continuano fino al 24 aprile 1945. È di questa data l’ultima nota: “oggi alle
nove viene la polizia chiama 25 e tredici rimangono, io pure, dobbiamo attendere ancora 1 sett. 3 giorni senza mangiare”. Tutte queste testimonianze
verranno poi riviste dall’autore negli anni Ottanta nel Manoscritto della
mia vita passata nei diversi lager…(cit.), racconto più freddo e distaccato
nel quale non mancano considerazioni che possono essere comprese solo
con il senno di poi.
Detenuti del campo di lavoro coatto di Katchberg (Austria) tra i quali si
trova, non individuato, Erminio Vojvoda, 27 dicembre 1944.
(Archivio CRS, f. Erminio Vojvoda)
Perché proprio il libro di Alexis Carrel L’uomo questo sconosciuto? Erminio Vojvoda era una persona eclettica, leggeva molto, si intratteneva con
persone colte. Il libro che ha avuto con sé nel lager è rappresentativo delle
sue letture. Egli ha fatto sicuramente una lettura integrale del libro; infatti
dalle prime alle ultime pagine molti passi sono sottolineati, mentre a margine si trovano alcuni commenti e citazioni di altri autori. Non ci è dato
sapere come e perché Vojvoda avesse proprio questo libro in prigionia, ma
è certo che gli è servito non solo per “trovare consolazione”, ma anche per
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
266
tentare di dare una spiegazione a ciò che gli stava succedendo. Il libro di
Carrel nasce con l’intenzione di scoprire la vera natura dell’uomo in un momento, i primi decenni del ‘900, quando l’uomo, dopo aver adottato ciecamente lo spirito e i metodi della civiltà industriale dell’America del Nord, si
trova schiavo dei dogmi della civiltà moderna. Nella “Prefazione” del libro
si legge inoltre: “l’uomo sovrasta tutto il creato e se egli degenerasse, svanirebbero la bellezza della nostra civiltà e la stessa grandezza dell’universo”7.
Noi siamo convinti che i comportamenti dell’uomo nel corso della Seconda
guerra mondiale, in particolare l’ideazione dei campi si sterminio, siano
stati espressione della stessa degenerazione di cui si parla nella prefazione
succitata. Vojvoda deve aver riflettuto molto su questo tipo di degenerazione del comportamento umano e sicuramente attraverso queste riflessioni ha
trovato la consolazione di cui parla nei suoi scritti.
Biografia
La seguente biografia di Erminio Vojvoda si desume da alcune pagine
auotobiografiche (Biografia incompiuta, Biografija 1966 e Biografia 1977)8
e dai numerosi documenti attestanti l’attività professionale, politica e sportiva dello stesso conservati presso l’Archivio del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno (ACRS) e presso la Collezione memoriale “Vojvoda” di
Ljubica Brščić – Dignano.
Erminio Vojvoda nasce a Dignano, al numero civico 532, il 23 maggio
1902 da Giovanni (Joannes) Voivoda fu Pietro (Petri) e Zovich Antonia di
Giuseppe (Josephi). Viene battezzato l’11 giugno 1902 con il nome di Erminius Albinus Voivoda. A Dignano è conosciuto soprattutto come Albino,
mentre dal 1967 sarà ufficialmente Erminio Vojvoda. Come dichiara egli
stesso, i genitori erano di nazionalità croata: il padre era sarto ed era nato
a Labinci (S. Domenica di Visinada); la madre era ostessa e proveniva da
Gračišće (Gallignana). Si conobbero quando il padre faceva il soldato a
Dignano.
Frequenta la “Scuola popolare maschile di cinque classi di Dignano, Distretto scolastico Pola, Provincia Istria” a partire dal 16 settembre 1908.
Conclude l’istruzione elementare il 15 luglio 1913. La sua prima maestra
7
8
In Carrel A., L’uomo questo sconosciuto, cit., pag. 17.
I titoli delle pagine autobiografiche di Erminio Vojvoda sono stati fissati dal curatore.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
267
di classe è Antonietta Bratulich che insieme al Dirigente Giacomo Giachin
firma la promozione alla classe II; seguiranno i maestri G. Giachin (II e
III cl.; dirigente G. Giachin), Domenico Rismondo (IV cl.; dirigente D. Rismondo) e Mario Decaneva (V cl.; dirigente D. Rismondo)9.
Nel 1913, all’età di undici anni, perde il padre e interrompe gli studi.
Erminio aiuta la madre nella gestione dell’osteria di famiglia situata in via
Callenuova, ma deve anche imparare un mestiere. A Dignano ci sono molte
botteghe artigiane. Vicino alla casa dei Vojvoda c’è un calzolaio, Fabris Fioretto, che accoglie il giovane Erminio nella propria bottega insegnandogli
il mestiere di calzolaio. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, insieme
alla famiglia, deve lasciare la città natale per rifugiarsi quale profugo nella
Stiria slovena. Un anno dopo, nella primavera del 1916, i Vojvoda ritornano
in Istria e precisamente a Carnizza, dove la madre fa l’ostessa fino alla fine
della guerra. In seguito le viene concesso di aprire nuovamente l’osteria a
Dignano, mentre Erminio, la sorella e la sorellastra10 rimangono a Carnizza. Erminio aiuta la madre rifornendo l’osteria di carne e uova. Nel 1918 si
ritrovano tutti a Dignano, non più austroungarica, ma italiana.
Il ciclista
Gli anni giovanili di Erminio Vojvoda sono arricchiti dall’esperienza
dell’attività sportiva e in particolare delle gare ciclistiche. In uno scritto
autobiografico incompiuto egli stesso ci narra quest’esperienza:
L’amore per la bicicletta non mi abbandonò e mi dedicai a girare con
essa per Rovigno, Pola, Fasana per fare i bagni d’estate. Nel 1919
vidi dei corridori che passavano vicino a casa mia diretti verso Pola.
Non potei non esclamare e dire verso un amico: ‘un altro ano anderò
anche mei!’. Questo sorrise sarcasticamente dicendomi: ‘Vala, vala,
cos’ti vol far tei!’. (…) Non tenni conto di quanto mi disse il suddetto
paesano e mi preparai metodicamente, mi allenai con una costanza e
con una cocciutaggine conforme al mio carattere duro che non molla
mai dopo aver preso una decisione. Non avevo la bici da corsa, ne
avevo una che solamente portava il nome di bicicletta, ma era una
Le pagelle scolastiche sono custodite presso la Collezione memoriale “Vojvoda” di
Ljubica Brščić – Dignano.
10
La madre aveva sposato in prime nozze Bendoricchio Giuseppe.
9
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
268
carcassa. Degli amici mi portarono due bici e di due ne feci una,
ma aveva un freno solo. La partenza fu da Pola in primavera del
1920. Eravamo in 8. Il percorso era da Pola, poi Gimino, Canfanaro,
Sanvincenti, Pola. Non ero conscio della mia forza. Dopo Sanvincenti, verso Gimino, mi staccai facilmente dagli altri e avrei potuto
lasciarli e arrivare al traguardo da solo, ma mi lasciai stoltamente
raggiungere e nel ritorno, subito dopo Sanvincenti, mi si ruppe il filo
dell’unico freno. Urtando sulla ruota dell’amico Marchesi, caddi malamente. Sul ginocchio destro mi procurai una ferita che ancora oggi
ne porto il segno. Non mi scoraggiai, anzi, a Trieste comperai una
bicicletta da corsa. Non mi fu difficile prepararmi dato la possibilità
che avevo e il tempo libero, e ne approfittai.
In primavera del 1921 a Dignano si organizzò una giornata sportiva fra le altre gare: tiro al piattello per i cacciatori, gare podistiche,
giuoco del calcio, una gara ciclistica. Conservo ancora delle foto.
Eravamo in 8 partenti. Il percorso era di circa 32 km: Dignano, Peroi, Fasana, Pola, Gallesano, Dignano. Sbaragliai subito a Peroi tutti
gli altri concorrenti ed arrivai primo. Era la mia prima vittoria. Fui
festeggiato, ricevetti un bel bouche11 di fiori e un bell’orologio d’oro,
e fui fotografato. Ero felice.
A Pola il 4.6.1921 l’Unione Sportiva Polese organizzò una gara denominata “Giro ciclistico dell’Istria meridionale” sul percorso: Pola,
Dignano, Canfanaro, Rovigno, Dignano, Pola. Parteciparono oltre 30
corridori. Io ero solo di Dignano. Certo che i polesi avevano organizzato ogni sorta di tranelli per far naufragare il mio sogno di arrivare
primo, ma tutto fu invano. Quando giungemmo sotto Sanvincenti,
su una ripida salita, piantai tutti con facilità, raggiunsi il borgo da
solo, e mi diressi verso Canfanaro, ma anche qui potevo proseguire
facilmente da solo, invece rallentai la corsa finché mi raggiunsero 3
di loro e proseguimmo verso Rovigno e poi sempre uniti sino a Pola.
Non esisteva allora la strada che ora va diretta da Dignano a Pola,
ma si doveva passare per Gallesano. Prima di arrivare a Pola è una
ripidissima discesa chiamata “Monte Grande”. Alla fine di quella
discesa si attraversa il ponte e si entra in città. Il traguardo era lì
vicino. La gente che attendeva cominciò subito ad applaudire, uno
di loro con tanta frenesia che mi rimbombava nelle orecchie; il frastuono mi fece scattare come un bolide e strappai la vittoria al polese
per 15 cm. Così scrisse allora il giornale di Pola “L’Azione”12. Dopo
11
12
Franc. bouquet.
Il 4 giugno 1921 “L’Azione” pubblica un articolo intitolato La grande corsa dello
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
269
questa clamorosa vittoria, il silenzio fra la gente era sepolcrale. Già,
non poteva uno di un paesetto battere i cittadini! Godevo allora fra il
popolino di Dignano di tanto rispetto e stima.
Continuai ad allenarmi per una futura corsa. Ogni secondo giorno
facevo un allenamento di 40 e più km. Da Dignano a Sanvincenti e
Gimino, passando per Canfanaro; qualche volta ritornando da Gimino a Dignano. Poi, dato che era in progetto una corsa da Dignano a
Pisino, organizzata dalla società sportiva di Dignano “Unione Sportiva Dignanese”, prolungai il percorso e cioè Dignano – Pisino passando per Lindaro e raggiungendo Gimino nel ritorno. Il percorso
era di 74 km e io impiegavo 2 ore e mezza.
Venne così il giorno della corsa: 11.9.1921. Avevo 19 anni e alcuni
mesi. Alla corsa parteciparono più di 30 corridori di Dignano; c’erano un paio, oltre io e Alberto Marchesi, che sono stati iscritti per far
numero. Da Pisino 4, da Pola una ventina fra i quali un certo Petronio che sembrava dovesse venir primo, ma i polesi facevano il conto
senza l’oste. C’erano anche un paio di triestini. La partenza fu alle 2
circa del pomeriggio. Il gruppo tirò compatto quasi al completo per
10 km circa, poi i polesi mi circondarono acciocché il loro Petronio
potesse fuggire. Difatti scattò senza seguito alcuno e io non potei
raggiungerlo subito perché ero ostacolato dagli altri suoi amici. Mi
staccai a stento dal gruppo e corsi sempre a fianco a Marchesi. Petronio era accompagnato da un altro, mentre io non avevo nessuno che
mi accompagnasse dato che l’auto che aveva il compito di seguirmi
si era guastata. Quando raggiunsi Gimino cominciò a piovere, rimasi solo perché gli altri due erano rimasti indietro. Pioveva a dirotto.
Dalla bici avevo levato anche i parafanghi per alleggerire la bicicletta. La strada era cosparsa di ghiaia, ben grossa, era un problema tenersi in sella. Quando raggiunsi Pisino ero tutto coperto di fango, mi
Statuto nel quale si annuncia lo svolgimento della corsa ciclistica denominata “1.o Giro
dell’Istria meridionale” su un percorso di 85 km. Si attendono più di una quindicina di
corridori. Tra questi il vecchio campione Bonelli Enrico del Circolo Olimpia di Trieste,
il marinaio genovese Peresi e appunto il dignanese Voivoda, “bella figura di pedalatore,
vincitore di una recente prova”; in “L’Azione”, La grande corsa dello Statuto, Pola 4
giugno 1921, Anno III, N. 134, pag. 2. Il 7 giugno 1921 “L’Azione” nel trafiletto Le
gare sportive comunica l’ordine di arrivo del 1.o Giro dell’Istria meridionale: “1. Voivoda
Erminio dell’U.S.Dignanese in ore 3.92” e 2 quinti; 2. Comparich Giovanni dell’U.S.P.
a 15 centimetri; 3. Graber Egidio a mezza ruota; 4. Marincovich Ernesto, libero a una
lunghezza; 5. Peresi Francesco, marinaio libero, in ore 3.19”.40; 6. Stocovaz Vittorio
dell’U.S.P.; 7. Turcovich Matteo, libero”; in “L’Azione”, La festa dello Statuto, Pola 7
giugno 1921, anno III, N. 136, pag. 1.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
270
inoltrai nella strada che andava a Lindaro, su per una salita di 4 km,
ma non appena cominciai a salire sentii e vidi un’auto e un ciclista,
ero contento di averlo quasi raggiunto, ma mi sfuggiva sempre più.
Quando giunsi in cima, un paesano che era lì con una bandierina
in servizio di sorvegliare il percorso mi disse: ‘Ti son primo perché
quel de Pola i lo ga strassinà con l’auto’. Infilai la strada a destra
che va verso Gimino, per tutto il percorso che va sino a Dignano è
quasi tutta una discesa. Non potei raggiungere Petronio perché lui
ormai, con l’aiuto dell’auto, era abbastanza avanti. Sono stato solo
quasi sino a Dignano, dove a circa 8 km dal traguardo mi raggiunse
l’amico Alberto Marchesi. Giungemmo vicino al traguardo a distanza forse di 500 m, dissi: ‘Alberto, guarda che mi molo’. Mi rispose:
‘Ti primo e mi secondo’. Quando arrivammo vicino al traguardo un
frenetico battimani mi fece sussultare dalla gioia perché era la terza
corsa che vincevo nel 1921. Ora devo chiarire una cosa saputa dopo
il mio arrivo. Petronio è stato squalificato perché uno di Pisino lo ha
visto che lo tiravano con l’auto e testimoniò davanti alla commissione13. Ricevetti una bella targa a conferma di quanto sopra che ancora
conservo. (…) Così finì l’anno 1921 con il ciclismo.14
A partire dalla gara succitata non si hanno più notizie dettagliate dell’attività sportiva di Erminio Vojvoda. Egli viene ricordato da Tullio de Prato
(Pola, 1908 – Coriano di Rimini, 1981), Generale Pilota di Brigata e Divisione aerea, nel suo libro Un pilota contadino, dal motore rotativo al jet…
con queste parole: “Erminio Voivoda, mio maestro del pedale, che mi fece
scoprire le draghe, le foibe, i ripidi rati della impervia, multiforme terra
istriana”.15 Nello stesso libro si legge che i due amici proposero la costituzione di una società sportiva indipendente (dignanese), ma il progetto non
Martedì 13 settembre 1921 “L’Azione” pubblica l’ordine di arrivo della gara
ciclistica suddetta: “1° – Petronio Mario dell’U.S.Polese che copre i 76 km. del percorso
in ore 2.26’42’’ con una velocità media oraria di km. 31.143; 2° – Voivoda Erminio
dell’U.S.Dignanese in ore 2.31’25’’: 3° – Marchesi Alberto dell’U.S.Dignanese in ore
2.31’26’’; in “L’Azione”, La manifestazione sportiva a Dignano, Pola 13 settembre 1921,
Anno III, N. 220, pag. 3. L’ordine di arrivo suscitò lamentele e ricorsi che si conclusero
solo un mese dopo senza nessun effettivo vincitore (la vicenda può essere seguita sulle
pagine del giornale polese).
14
Da uno scritto autobiografico conservato in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
15
Tullio de Prato, Un pilota contadino, dal motore rotativo al jet, Mucchi Ed.,
Modena, 1985, p. 14.
13
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
271
Diploma d’Onore conferito a Erminio Vojvoda quale vincitore del “Primo Giro ciclistico dell’Istria
meridionale”, 4 giugno 1921 (Collezione memoriale “Vojvoda” di Ljubica Brščić, Dignano)
piacque alle autorità fasciste. Tullio de Prato scrive inoltre: “In quegli anni
(anni Venti) avevo stretto amicizia con un affermato corridore ciclista, Voivoda, di nazionalità slava, ma di parlata veneta e di esemplari sentimenti
morali. Uomo libero, dedito al lavoro e allo sport, era di cinque anni più
grande di me. Faceva il calzolaio ‘di fino’ e su e giù per le sassose strade
dell’Istria, andava in bicicletta a misurare piedini calzati di seta. Leggeva
giornali, libri di cultura (specialmente slava) parlava di tutto con competenza e cercava di convincermi che il Metastasio, Matassich, era una gloria
balcanica. Assieme a lui nelle uscite di allenamento trascorsi anche tante
ore nel suo laboratorio a parlare dei nostri trionfi sportivi”.16
La bicicletta rimase per Erminio Vojvoda un amore giovanile e tutti lo
ricordano in sella alla bicicletta fino agli ultimi anni della sua vita.
16
Ivi, p. 30.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
272
Il modellista creatore in calzature
All’età di ventun anni, conclusa l’esperienza del servizio militare di leva
prestato nell’esercito italiano a Roma nel 192217, Erminio Albino Voivoda
viene dichiarato “abile a disimpegnare i lavori” della professione di calzolaio. Lo dichiara il primo maestro di Erminio, Fabris Fioretto, in un certificato
di frequenza del tirocinio datato 4 aprile 1923. Il testo è il seguente: “Certificato col quale io sottoscritto dichiaro che Albino Voivoda fu Giovanni
compì nel mio laboratorio il suo tirocinio di calzolaio, frequentandolo per
quattro anni e tre mesi con diligenza ed esattezza, per cui lo dichiaro abile
a disimpegnare i lavori della nostra professione; (firma) Fabris Fioretto”18.
Nel 1924 frequenta a Dignano il “Corso per calzolai tenutosi per cura
dell’Istituto per il promovimento delle piccole industrie per Trieste e l’Istria” e precisamente dal 10 marzo 1924 al 6 aprile 1924. Anche nel 1926
frequenta a Dignano un corso per calzolai organizzato dalla stessa istituzione; il corso inizia il 12 aprile 1926 e si conclude il 15 maggio 192619.
Nel 1924 è anche a Zagabria dove lavora presso la fabbrica di calzature
Radenka20. Frequenta in questa città un corso di modelleria delle calzature; lo certifica la pagella nella quale si legge che “Voivoda Erminio ha
frequentato dal 1 giugno 1925 al 1 luglio 1925 il corso professionale di
arte conciaria manuale presso la Regia (nazionale) scuola professionale di
Zagabria (timbro: Scuola statale professionale di Zagabria, Regno dei Serbi Croati e Sloveni)”21. Un modello di calzatura per donna dello studente
Il 28 ottobre 1922 è verosimilmente a Roma poiché in una sua autobiografia afferma
di aver assistito alla Marcia su Roma di Mussolini.
18
In ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
19
I certificati di frequenza dei corsi si trovano rispettivamente in ACRS, f. E. Vojvoda,
cit. e in Collezione memoriale “Vojvoda”, cit.
20
Si conserva presso la Collezione memoriale “Vojvoda”, cit., una foto dei dipendenti
della Radenka nella quale è ritratto anche Erminio Vojvoda (data 12.IX.1924).
21
Il testo originale della pagella è il seguente: “SVJEDODŽBA – Gospodin Vojvoda
Ermin rođen 1902. u Vodnjan Istra postolarski obrtnik, polazio je strukovni tečaj za
umjetni kožni – ručni – obrt na kr. Zemaljskoj obrtnoj školi od 1.VI.1925. do 1.VII.1925.
U Zagrebu, dne 10.VII.1926. Ravnateljstvo kr. Zemaljske obrtne škole. Direktor: Fran
Dominković. Strukovni učitelj: (firma illeggibile). (Timbro) Državna obrtna škola u
Zagrebu Kraljevine Srba Hrvata i Slovenaca”. In ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
17
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
273
Ermin Vojvoda si pubblica come allegato alla rivista zagabrese “Postolarski
list” n. 3 del 192522.
Nell’estate del 1925 è nuovamente a Dignano. La sua intenzione è quella
di trovare un’occupazione presso gli Opifici della Regia marina di Pola, ma
essendo sospetto alla polizia italiana, in quanto antifascista, gli viene negata questa possibilità. Nel 1926 apre un proprio laboratorio. “Tiene garzoni,
operai; la concorrenza è grande e la tradizione artigiana vecchia. Dignano
contava allora 110 calzolai”23.
I suoi modelli vengono pubblicati sul settimanale milanese “L’eco delle
industrie del cuoio”24 a partire dal 192725. Dopo vent’anni di collaborazione, il 30 novembre 1946, il noto settimanale tecnico-economico celebra con
queste parole l’artista dignanese: “Si tratta di un modellista creatore che
non ha bisogno di essere presentato ai lettori de “L’Eco” in quanto il suo
nome e la sua arte sono ad essi ben noti. Egli iniziò la sua collaborazione
alla “Rivista italiana delle calzature” circa vent’anni fa: fu precisamente nel
1927 che egli inviò alla nostra Rivista un modello di calzatura per donna
ed il nostro Ufficio Tecnico rilevò subito le doti di quell’allora sconosciuto
Modellista e lo presentò agli innumerevoli lettori, italiani ed esteri, della
Rivista. Incoraggiato dal quel suo primo successo, Vojvoda continuò attivamente la sua collaborazione alla “Rivista italiana delle calzature” facendosi notare ben presto per l’originalità delle sue idee e la tecnica dei suoi
modelli. Nel 1929 Vojvoda prese parte ad un concorso indetto dalla stessa
rivista e conseguì il suo primo diploma che era un’attestazione sincera alla
sua arte. Ormai Vojvoda è un modellista affermato: fu richiesta la sua collaborazione attiva da importanti calzaturifici italiani e fu infine chiamato in
qualità di modellista presso il più grande calzaturificio di Europa, La Bata.
“L’Eco” è stato lieto di contare il Modellista Vojvoda fra i primi suoi collaboratori nella recente ripresa del giornale e così i lettori de “L’Eco” hanno
avuto il piacere di notare nei suoi modelli pubblicati la maturità artistica di
questo Modellista. Abbiamo sentito che già egli è stato invitato ad assumere
In Prilog “Postolarskom listu” br. 3-1925, crtano u Strukovnoj školi kr. Obrtne
škole u Zagrebu po učeniku Vojvodi Ermin, in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
23
Biografia 1977, in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
24
In seguito “L’eco delle industrie e dei commerci del cuoio e delle calzature”.
25
La pubblicazione di modelli di calzature di Erminio Vojvoda è documentata fino al
febbraio del 1948.
22
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
274
importanti posti presso calzaturifici italiani e ciò ci fa pensare che l’industria nazionale saprà non perdere sì preziosa collaborazione”26.
Nel corso degli anni di collaborazione con il settimanale “L’Eco” molti
sono i modelli di Erminio Vojvoda, Dignano d’Istria che appaiono sulle
pagine del noto periodico milanese. Nel 1929 egli viene premiato al “Concorso permanente della Rivista per il mese di giugno” e nell’articolo relativo al premio si legge: “Al signor Erminio Vojvoda di Dignano d’Istria è
stato aggiudicato il premio del Concorso Permanente a Premi istituito dalla
Rivista italiana delle calzature. Siamo lieti di questa aggiudicazione, che ci
porta da un mese all’altro da una estremità all’altra dell’Italia – Caruso è
siciliano e Vojvoda è istriano – e lo siamo per parecchie ragioni. Prima perché Vojvoda è veramente un artista valente, distinto e originale; poi perché
egli è uno dei più anziani e dei più fedeli collaboratori della Rivista, e noi
gli vogliamo bene (…) nel rendere omaggio a Vojvoda artista, creatore della
scarpa, noi vogliamo renderlo anche all’amico fedele e appassionato”27.
A proposito di questo argomento Vojvoda scrive in una pagina autobiografica: “Facevo migliaia di modelli. Ricevetti molti riconoscimenti. Mandavo sino a cinquanta modelli, alcuni li pubblicavano, altri forse li correggevano e li usavano. Cosa potevo fare io?”.
Negli anni Trenta continua la sua attività di modellista delle calzature
e approfondisce la sua formazione professionale. È datato 18 giugno 1936
il certificato rilasciato dalla Spezialmodell-Fachschule J. Kröner di Bamberg (Baviera) nel quale si certifica che Erminio Vojvoda ha frequentato,
con buon profitto, il corso mensile di modelleria delle forme in legno per
calzature, il corso per l’utilizzo della macchina foratrice, della macchina
per l’orlatura, delle forbici per rifilare nonché il corso per la produzione in
serie attraverso il compasso di riduzione. Interessante anche la lettera datata 30 gennaio 1935 nella quale la dirigenza della Spezialmodell-Fachschule
J. Kröner propone uno sconto sul prezzo dell’alloggio, così come richiesto
“Modellisti de L’Eco: Vojvoda Erminio”, in “L’Eco delle industrie e dei commerci
del cuoio e delle calzature”, Anno 25, n. 20, 30 novembre 1946, p. 78; sta in ACRS, f. E.
Vojvoda, cit.
27
“L’eco..”, Anno VIII, n. 32, 10 agosto 1929, p. 2. Lo stesso articolo viene pubblicato
insieme ad una foto di Erminio Vojvoda e a due modelli di calzatura per donna da lui
creati nella “Rivista italiana delle calzature”, Anno IX, n. 9, settembre 1929.
26
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
275
da Vojvoda; si legge inoltre “Per lei è un grande tornaconto studiare la
lingua tedesca siccome lei ha intenzione di commerciare in Germania”28.
Dal 21 settembre al 19 ottobre 1937 lavora per Bata – jugoslavenske
tvornice gume i obuće Borovo. L’azienda ceca Bata aveva aperto sei anni
prima un proprio stabilimento a Borovo – Vukovar (che nel 1947 diventerà
l’azienda di calzature Borovo) e Vojvoda vi collabora in qualità di modellista29.
Modello di calzatura femminile firmato Erminio Vojvoda – Dignano
d’Istria, pubblicato sulla “Rivista Italiana delle Calzature”, Anno IX, n. 6,
Milano, Giugno 1929 (ACRS, f. Erminio Vojvoda)
I modelli di Vojvoda vengono pubblicati nello stesso anno 1937 nella
rivista di modelleria “Obućarska Revija” edita a Belgrado. In essa viene
presentata una collezione internazionale per l’inverno 1937/1938 (in particolare Parigi, Londra, Italia e Vienna) ed Erminio Vojvoda rappresenta
la moda italiana con una ventina di modelli di scarpe da donna, uomo e
bambino. Tutti i modelli portano la firma Vojvoda Italia. Si citano a titolo di
esempio alcuni riferimenti ai modelli pubblicati: “fig 3, 4: elegante scarpa
per sera in due colori e due tipi di pelle”; “fig. 6 e 7: due squisiti modelli
italiani del signor Vojvoda (Italia, Dignano d’Istria)”; “fig. 5, 36, 37: tre
squisiti modelli di scarpe femminili per passeggio, con inserti di pelle di
lucertola, serpente, rana, pesce, ecc.”; “fig. 40, 41: due modelli italiani per
passeggio nella combinazione antilope e lucertola”30.
Il certificato originale in lingua tedesca e la lettera si trovano in ACRS, f. E.
Vojvoda, cit.
29
Vd. certificato di servizio datato Borovo, 20 ottobre 1937; in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
30
Obućarska Revija (Internacionalna moda – n. 4, l’hiver 1937-38), Štamparija
28
276
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
Una richiesta al “Podestà di Dignano d’Istria” per ottenere licenza di
“aprire un negozio al civ. N° 565” è datata “8 agosto 1939/XVII”; il negozio
è per la “vendita al minuto di cuoi, pelli, articoli da calzolaio e materiali
affini, nonché pelletterie e calzature, in special modo di propria produzione”. Ma non è sicuramente la prima licenza richiesta da Vojvoda. Nel 1935
è sicuramente iscritto alla “Federazione Fascista Autonoma degli Artigiani
d’Italia – Artigianato provinciale istriano (Pola, via Dante 18)”, in quanto
riceve dalla stessa federazione invito a rinnovare il tesseramento. “Vojvoda Erminio / Tagliatore modellista creatore in calzature / Dignano (Pola)”:
questo il testo del suo biglietto da visita. Come tale “lavora per tutti i signori di Pola, Rovigno, Pisino, Albona, Parenzo. Giudici, avvocati, medici,
ingegneri, farmacisti, ufficiali e il direttore di Scoglio Olivi, tutti si calzano
all’ultima moda dalle mani di Erminio”: così scrive egli stesso in una delle
sue autobiografie. L’offerta della sua calzoleria era la seguente: “Su misura
si eseguisce con la massima esattezza ogni genere di calzature: di lusso e
comuni, da caccia, montagna, campagna, foot-ball, ciclismo, sandali intrecciati (opanke), stivaloni ecc. Centinaia di modelli. Pellami in tutte le
tinte”31.
Esiste una fitta corrispondenza tra il maestro calzolaio Erminio Vojvoda
e i propri clienti che testimonia l’interesse delle persone benestanti dell’Istria e del Nord Italia per le calzature e gli articoli di pelletteria disegnati e prodotti nella bottega “Calzoleria Voivoda” di Dignano. Si riporta di
seguito il contenuto di alcune cartoline postali conservate oggi presso la
Collezione memoriale “Vojvoda” (cit.).
La signora Edvige Sella Magnani, moglie di Massimo Sella, direttore
dell’Istituto di Biologia Marina per l’Adriatico di Rovigno d’Istria, firma
una cartolina postale datata Rovigno, 10 aprile 1935: “Gentilissimo Sign.
Voivoda, se le scarpe sono buone quanto sono comode, e mi sento bene
dentro, sarò proprio soddisfatta. Grazie per avermele fatte così bene e avere
indovinato la forma. Distinti saluti”.
La stessa signora scrive il 26 maggio 1935 da Rovigno: “Di ritorno da
Trieste trovo la Sua cartolina e mi affretto a rispondere. Le punte per le
scarpe nere le farei un po’ meno quadrate (ma non appuntite!). Come ebbi
già a scriverle da Trieste, le sue scarpe piacquero a tre signore e vorrebbero
Beletra, Beograd, 1937; in Collezione memoriale “Vojvoda”, cit.
31
Testo di un’insegna presso la Collezione memoriale “Vojvoda”, cit.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
277
farsele fare. Soltanto la Sig.ra Vercelli le vorrebbe presto e domanda quindi
se Lei andrà presto a Trieste. Io penso che vi andrà certamente per le forniture che le servono e per la Mostra del Mare. Lei avverta quando andrà
la signora Vercelli, essa poi telefonerà alle signore onde possa continuare
per prendere le loro misure. Ho comprato belle e fatte le mie scarpette, nel
timore che lei non potesse farmele in tempo, ma sono pentita. Il matrimonio
è stato anticipato e pensavo che lei non aveva le pelli in casa. Distinti saluti. Edvige Sella”. Vojvoda riceve dalla sig.ra Vercelli una cartolina postale
datata Trieste, 24 maggio 1935: “Egregio Signore, La prego vivamente di
farmi sapere se può venire al più presto a Trieste per assumere diverse ordinazioni di scarpe, che mi sarebbe comodo avere nel minor tempo possibile.
Porti per favore il campionario di pelli. Il mio indirizzo è quello trasmesso
dalla signora Sella. (firma) Sig.ra Tina Vercelli32, Istituto Geofisico”.
Modelli di calzatura da donna e da uomo pubblicati sulla rivista “Obućarska
Revija”, n. 4, L’hiver 1937-1938, Belgrado (Collezione memoriale “Vojvoda”
di Ljubica Brščić, Dignano)
Tina Vercelli era moglie del prof. Francesco Vercelli, direttore dell’Istituto Geofisico
di Trieste.
32
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
278
Le ordinazioni arrivano anche da più lontano. Da Biella scrive la sig.ra
Palmira Norza Magnani, sorella di Edvige Sella Magnani: “23/5/35; Sig.
Voivoda, desidero mi eseguisca un paio di scarpe come quelle marron già
fatte a Pasqua, in pelle blu scuro scamoscio e chevreau33 esattamente come
le altre. Non me le faccia più strette, mi raccomando. Potrà consegnarle a
mia sorella; in giugno deve venire in Piemonte per qualche giorno, al suo
ritorno le pagherà il mio debito. Grazie, distintamente la saluto”. Vojvoda lavora per la famiglia Sella anche nel 1938; lo testimonia una cartolina
postale datata il 9 agosto1938 spedita da Balma Biellese: “Gent.mo Sign.
Voivoda, Sono in attesa del sacco borsa in pelle. Potrebbe mandarmelo al
più presto. Ha poi avuto altra pelle bianca più morbida per le scarpe? In attesa di una risposta La saluto distintamente. Edvige Sella Magnani, Balma
Biellese (Piemonte)”.
Un biglietto postale parte da Fianona il 26 settembre 1935: “Egregio Signor Voivoda, Le mando un piccolo campione dei miei guanti, e così potrà
regolarsi meglio per il camoscio delle scarpe. Dovrebbe essere uguale a
questo campioncino, o almeno molto ma molto assomigliante. Porti martedì il campione del chevrot nero il più fino, perché non mi piace la vernice
è troppo lucida e grossa. Dovrebbe procurarsi un campione migliore, ossia
una vernice leggera e meno lucida, anzi pochissimo lucida come ne vidi
parecchie volte. Ma non trovando questa vernice deciderò di farmele in
chevrot molto fine. Così porti tutti i campioni che tiene. Mi raccomando di
portare senz’altro i campioni del camoscio delle tinte di questo mio campioncino, e non faccia il viaggio inutilmente. La aspetto martedì senz’altro.
La saluto cordialmente. Anna Vianelli34”.
L’epoca storica richiamata dalle cartoline postali ora presentate si interrompe bruscamente con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel corso dell'ultimo anno di guerra Erminio Vojvoda sarà deportato in un campo
di prigionia nazista in Austria per fare ritorno a casa nel maggio del 1945.
Proseguirà la sua attività professionale dopo alcuni mesi di recupero fisico
e psichico.
33
34
Fr. chavreau = capretto.
Anna Calioni Vianelli era moglie di Giorgio Vianelli, podestà di Rovigno.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
279
Insegna della Calzoleria di Erminio Vojvoda, in via Callenuova (oggi Merceria) a Dignano
(Collezione memoriale “Vojvoda” di Ljubica Brščić, Dignano)
“Nel 1948 aprii nuovamente il mio laboratorio a Dignano. Poi mi occupai presso il calzaturificio “ITO”35 di Pola. In seguito a divergenze sorte,
mi licenziai e mi misi nuovamente in proprio. La “ITO” mi ricercò nuovamente nel 1957”36. Vojvoda lavorò per la ITO dal 1948 al 1952 e dal 1957
al 1960. Della collaborazione di Vojvoda con gli ex Opifici parla la signora
Delzotto Pierina, nata Moscarda, in un’intervista a noi rilasciata nel 2011.
La signorina Pierina ricopriva il ruolo di caporeparto calzature femminili,
mentre Vojvoda ricopriva lo stesso ruolo nel reparto calzature maschili. Lo
ricorda come un professionista bravo, severo e preciso.
Vojvoda nel 1947 deve aver collaborato anche con la ditta Cordal di
Parabiago (MI): lo certifica una lettera attraverso la quale si comunica che
35
36
Cioè, “Istarska Tvornica Obuće Pula”.
In Biografia 1977; ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
280
“in data 14/I/1947 è stata spedita la raccomandata contenente copia del contratto di assunzione”37.
Del 1948 è un frammento di una pagina della rivista “U.R.I.C. Unica
Rassegna Italiana Calzature” (Milano, n. 77) la quale pubblica tre modelli
di opanca, scarpa tradizionale delle popolazioni slave dell’Istria, firmati
“Voivoda Erminio – Dignano (Pola)”. Il testo leggibile è il seguente: “L’opanca dopo venti anni ritornerà di nuovo a fare bella mostra di sé nelle
vetrine, verrà fabbricata nei diversi colori della moda ed incontrerà di certo
il favore del pubblico femminile ed in special modo della gioventù per la
quale sarà una novità. Bisognerà darle una linea e una forma tutta differente dalla vecchia opanca”. La “Calzoleria Voivoda” ha sempre annoverato
le opanche nella propria offerta; lo testimonia una cartolina postale datata
6 luglio 1934, scritta da Rovigno, nella quale si legge: “Da più di tre settimane le ho ordinato un paio di opanche che dovevano essere pronte in una
settimana. La prego di decidersi a mandarle e a mandare insieme le scarpe
marroni di tipo sportivo che aveva preso per aggiustare. (firma) Garofolini”.
Nel 1955 collabora con l’azienda zagabrese Inženjerski biro kožarske,
obućarske i gumarske industrije: la rivista “Styl”, edita dalla stessa azienda, pubblica alcuni modelli di Vojvoda Erminio in “Styl, n. 4, 1955”38. La
stessa rivista prevede di utilizzare 10 dei complessivi 30 modelli inviati da
Vojvoda per la pubblicazione n. 4 del 1956.
Nel 1957 a Pola sostiene l’esame professionale e ottiene il titolo di Zanatski majstor obućar (maestro artigiano per l’attività di calzolaio) che gli
permette di mantenere la sua ditta in proprio39.
Degna di nota è sicuramente la sua collaborazione con il calzaturificio
Kombinat kože i obuće di Peć nel Kosovo. È datata 19 maggio 1960 una lettera di presentazione40 scritta a Pola da un commesso viaggiatore al Direttore tecnico dell’azienda di Peć, nella quale si parla di Vojvoda come di un
modellista-creatore riconosciuto e premiato sia dalla stampa italiana d’anteguerra, che dalla stampa jugoslava del settore. Inoltre si sottolinea che
Questa e le due seguenti citazioni da documenti in Collezione memoriale “Vojvoda”, cit.
“Styl”, Modeli obuće, br. 3, 1955, Inženjerski biro, Zagreb, 1955; in Collezione
memoriale “Vojvoda”, cit.
39
“Svjedodžba o položenom ispitu za zanatskog majstora”, Zanatska komora za kotar
Pula, 15.2.1957; in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
40
Lettera datata Pula, 19.V.1962, firmata da Jovanović Kosta, trg. putnik; in ACRS, f.
E. Vojvoda, cit..
37
38
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
281
egli ha esposto i suoi modelli in varie mostre e che è in grado di dimostrare
la sua qualifica con documenti validi. In particolare Vojvoda ha lavorato
per l’azienda succitata dal 25.7.1960 all’8.9.1960, dal 15.5.1961 al 31.7.1961
e dal 15.4.1962 al 16.6.1962. Quest’ultimi dati li troviamo nella lettera di
presentazione firmata dal segretario dell’azienda e datata 14 giugno 196241.
In essa tra l’altro si dice che Erminio Vojvoda ha dimostrato impegno nel
lavoro, ingegnosità e spirito di collaborazione, soprattutto all’interno del
gruppo dei modellisti, e che egli merita ogni attenzione, raccomandazione
ed elogio.
Negli stessi anni egli continua ad avere contatti professionali con l’Italia.
Nel 1960 la ditta triestina Lucky Shoe Co. S.p.a. gli scrive queste righe:
“Con riferimento alla pregiata dell’11 corrente, Vi informiamo che sarebbe
ns. desiderio avere un abboccamento con voi; sarebbe quindi opportuno
una Vs. visita a Trieste a ns. spese”42. Continua inoltre ad essere seguito
dalla stampa italiana in quanto considerato di interesse internazionale. In
particolare “L’Eco supplemento illustrato, pubblicazione internazionale, in
quattro lingue, destinata ad essere un mezzo efficace di continuo collegamento fra gli industriali e i commercianti in calzature di tutto il mondo”43,
nella sua prima edizione del febbraio 1961 pubblica, dopo aver esposto le
novità della moda calzaturiera della Jugoslavia, otto modelli di scarpe firmate E. Vojvoda. Egli rappresenta appunto la Jugoslavia; gli altri stati di cui
si presenta la moda calzaturiera sono la Germania, l’Inghilterra, la Francia,
l’Italia e l’Austria. A partire da questa data entra a far parte del Club Modellisti de “L’Eco” e in quanto tale tre anni più tardi viene invitato a partecipare alla 1° Mostra della calzatura alla Fiera del Mediterraneo di Palermo.
In tutti questi anni Erminio Vojvoda ha sempre continuato a lavorare
nella propria bottega per tutti coloro che potevano permettersi una paio di
calzature o articoli di pelletteria di buona fattura.
“Radna karakteristika”, Peć, 14.VI. 1962; in ACRS, f. E. Vojvoda, cit..
In Collezione memoriale “Vojvoda”, cit.
43
L’Eco supplemento illustrato, Anno I, n. 1, ed. L’Eco, Milano, settembre 1961, p. 5;
sta in Collezione memoriale “Vojvoda” (cit.).
41
42
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
282
L’antifascista – narodnjak e internato politico
I sentimenti antifascisti di Erminio Vojvoda nascono nell’osteria della
madre che era frequentata dalla popolazione di nazionalità slava del contado di Dignano, soprattutto in occasione delle fiere. Fin dall’adolescenza si
intratteneva con queste persone e amava ascoltare i loro discorsi, che vertevano soprattutto sugli abusi e le angherie che dovevano subire ad opera dei
fascisti. Erminio Vojvoda si sente molto vicino a queste persone ed essendo
anche lui di nazionalità croata, come da lui stesso dichiarato, la sua fede
antifascista si confonde con la lotta nazionale dell’elemento croato contro
quello fascista. In una delle sue pagine autobiografiche dichiara: “continuai
la collaborazione con i frequentatori dell’osteria di mia madre, distinti patrioti (narodnjaci) e combattenti per la libertà: Češić Srečko di Sanvincenti,
Macan Antun di Cukerići, Velikanja Antun di Juršići, i fratelli Petrović
Josip e Miho di Rezanci, i fratelli Kolić Ivan e Josip di Želiski, Ciliga Josip
di Šegoti, Kaić Antun di Valtura, Radovan Blaž di Corgnalosa ecc.”44.
Siamo ancora nei primi anni Venti. Segue una breve permanenza a Zagabria che, in base ai documenti esistenti, sembra dettata da motivi professionali. Nell’estate del 1925 è nuovamente a Dignano. Oltre ad essere
in contatto con i patrioti croati, egli collabora con gli esponenti dignanesi
del Partito comunista italiano, “in particolare con Belci Francesco45, dirigente della sezione dignanese, con lui organizzavo le riunioni nell’osteria
di mia madre. A queste incontri partecipavano più o meno tutti i compagni
suddetti e altri abitanti a Dignano come Bortoluzzi Antonio e Zuccherich
(Zuccheri) Giovanni. Il mio compito era quello di diffondere la stampa antifascista nei paesi vicini”46.
A proposito delle riunioni degli antifascisti del contado di Dignano in
casa dei Vojvoda parla anche Josip Ciliga in Moj revolucionarni put: “la
maggior parte delle riunioni si tenevano a Dignano nella casa di Vojvoda
Emilio, calzolaio (?). Lui non era membro del Partito (comunista), ma soltanto un simpatizzante di una frazione democratica della Jugoslavia di allora. Era molto affidabile e ci accoglieva volentieri nella sua casa in occasione
Questo elenco di narodnjaci si trova in Biografija 1966, in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Belci Francesco ricoprì la carica di presidente della Sezione dignanese del P.C.I.
dal 1926 (anno in cui il presidente in carica Andrea Benussi fu costretto a fuggire in
Jugoslavia) fino al 1945.
46
In Biografija 1966, cit.
44
45
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
283
delle riunioni che avvenivano soprattutto nei giorni di fiera”47. Vengono
citate due di queste riunioni: quella del febbraio 1930 e la riunione del 7
maggio 1932.
Nel 1935, a causa della loro attività antifascista, Erminio e il fratello
Emilio, fotografo, sono oggetto di una perquisizione e breve detenzione da
parte delle autorità italiane; non avendo capi di imputazione a loro carico
vengono rilasciati. Si riferisce allo stesso anno una dichiarazione datata
1974 e firmata dal patriota narodnjak Srećko Česić - Brkan di Sanvincenti
il quale dichiara di aver visto la scritta fascista “A morte i s’ciavi” sulla
porta dei fratelli Vojvoda; in particolare ricorda che le lettere del testo erano disposte in modo da formare l’immagine di un uomo impiccato. Nella
stessa dichiarazione il firmatario dichiara di conoscere Erminio Vojvoda da
cinquant’anni, di averlo avuto al fianco in qualità di narodnjak nella lotta
antifascista dell’Istria meridionale e di conoscere la sua collaborazione con
l’organizzazione TIGR, la quale agiva nell’Istria meridionale per la conservazione della coscienza nazionale48.
La sua fede antifascista è viva anche durante gli anni della Seconda
guerra mondiale. Nelle pagine autobiografiche scritte nel 196649 egli dichiara: “In seguito alla riunione avvenuta nella casa dei fratelli Petrović nel
paese di Režanci il 15 maggio 1943 alla presenza di Motika Ivan50, ho iniziato a partecipare attivamente alla LPL”. Nell’autobiografia datata 197751 si
legge: “Alle prime elezioni votai per il Partito nazionale croato-sloveno, ma
il mio voto fu distrutto. Perciò ero qui uno dei primi organizzatori della resistenza. Fui tra i fondatori del Comitato popolare. Non potei sopportare nel
CILIGA Josip, “Moj revolucionarni put”, in Radnički pokret Hrvatskog primorja,
Gorskog Kotara i Istre, 1919-1941; I, p. 547 (traduzione). Nel testo originale si legge:
Najviše smo sastanaka održali kod Vojvode Milije, postolara, u Vodnjanu. Le riunioni,
come più volte testimoniato da Erminio Vojvoda, si svolgevano nell’osteria gestita dalla
madre, Antonia Zović, che si trovava al piano terra della casa del fratello Emilio, di
professione fotografo, situata accanto a quella di Erminio, calzolaio.
48
La dichiarazione originale è in lingua croata ed è conservata presso la Collezione
memoriale “Vojvoda”, cit.
49
Biografjia 1966, in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
50
Ivan Motika (1907-1998), uno dei massimi rappresentanti del Movimento popolare
di liberazione in Istria, pubblico accusatore e giudice popolare, fu indagato dalla giustizia
italiana nel 1996 quale presunto responsabile degli “infoibamenti” in Istria del 1943.
51
Biografia 1977, in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
47
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
284
1942 quando i fascisti proibirono di parlare il croato a Dignano e dintorni52.
Questo vergognoso avviso lo conservai e consegnai al pubblico accusatore
Ivan Motika. Nel 1946 servì quale dimostrazione presso la commissione
interalleata a Pisino53. Per le vittime degli incendi raccolsi viveri, denaro,
munizioni, fucili, tutto ciò che potevo”54.
Il 15 luglio 1944 Erminio Vojvoda, assieme al fratello Emilio e ad altri
dignanesi antifascisti55, viene arrestato dalla milizia fascista e condotto nelle carceri cittadine per essere deportato nei lager nazisti. Dopo una breve
permanenza nelle carceri di Pola e Trieste, viene “prelevato” dal carcere
del Coroneo il 31 luglio 1944, assieme ad altri 104 prigionieri, e deportato
in Austria dove sarà costretto al lavoro coatto nel lager di Katschberg. Ritornerà a Dignano il 15 maggio 1945; il fratello Emilio morirà nel campo di
concentramento di Dachau.
Esistono alcune dichiarazioni nelle quali si attestano la partecipazione di
Erminio Vojvoda alla L.P.L. e la sua deportazione56. Tra queste risulta degna di nota una dichiarazione bilingue, datata 10 agosto 1945 e firmata da
Belci Francesco per il Comitato popolare di Liberazione di Dignano, nella quale si legge: “Il sottofirmato presidente del C.P.L. di Dignano Comp.
Belci Francesco dichiara che Vojvoda Erminio pure da Dignano collaborò
nella lotta contro il fascismo tramite lui e cioè con il Partito Comunista sin
dal 1928 e che prese parte al M.N.L. e che in qualità di segretario del C.P.L.
Si tratta dell’ordine pubblicato anche in Istria nel tempo: Manuale di storia regionale dell’Istria con riferimenti alla città di Fiume, a cura di Egidio Ivetic, Rovigno,
Centro di Ricerche Storiche, 2006, Collana degli Atti 26, p. 553.
53
A tal riguardo esiste una dichiarazione firmata “Ivan Motika, giudice del Tribunale
distrettuale di Zagabria”, nella quale il dichiarante conferma l’avvenuta consegna di una
copia dell’ordine da parte di Erminio Vojvoda alla fine della guerra e cioè nel 1945;
Ivan Motika dichiara inoltre di aver consegnato poi questo volantino alle autorità e che
lo stesso è stato utilizzato per dimostrare il modo in cui i fascisti avevano maltrattato
le popolazioni slave. La dichiarazione è conservata presso la Collezione memoriale
“Vojvoda” di Ljubica Brščić – Dignano.
54
In ACRS, n.ro inv. 1582/74, si conservano copie di alcune dichiarazioni nelle quali
si attesta che Erminio Vojvoda ha contribuito a raccogliere vestiario per gli abitanti degli
insediamenti di “Šaini, Režanci e Gajana” dopo che gli stessi erano stati incendiati dai
fascisti.
55
Si veda l’approfondimento di Paola DELTON, La deportazione di un gruppo di
dignanesi nel campo di prigionia e di lavoro di Katschberg, in “La Ricerca”, Bollettino
del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Anno XXII, n. 62, Rovigno 2012, pp. 12-16.
56
Le copie autenticate di queste dichiarazioni si conservano in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
52
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
285
di Dignano è stato arrestato il giorno 15 luglio 1944 e deportato in campo
di concentramento in Germania”.
In un’altra dichiarazione scritta a Dignano il 4 ottobre 1945, rilasciata
dal “Fronte Unico Popolare Cittadino di Dignano” e firmata dal suddetto
Belci Francesco e dal segretario Gorlato Antonio si dichiara “che Voivoda
Erminio fu Giovanni e di Antonia Zovic, nato a Dignano il 23 maggio
1902, fu internato politico in campo di concentramento in Germania dal
15 luglio 1944 al 17 maggio 194557. Si rilascia la presente dichiarazione
all’interessato, allo scopo di ottenere i diritti spettantegli. Morte al Fascismo – Libertà ai popoli”.
Nella dichiarazione che porta la data 27 dicembre 1946 si legge: “I sottofirmati membri del primo Comitato cospirativo di Liberazione Popolare,
dichiarano che il Comp. Voivoda Erminio fu tra i primi a prender parte al
Movimento Liberatore, dedicando tutto se stesso per organizzare in paese la resistenza contro i nazifascismi e per aiutare i combattenti in bosco,
come pure i danneggiati dagli incendi nei villaggi. Questa sua attività cessò
solamente il giorno 15 luglio 1944 in seguito alla sua deportazione in Germania. All’atto dell’arresto prima della deportazione fu battuto a sangue
dai fascisti di Dignano. Morte al fascismo – Libertà ai popoli. Firme: Defranceschi Cristoforo, Dessanti Giuseppe, Biasiol Giuseppe, Belci Francesco, Pastrovicchio Matteo, Cerlon Giovanni, Diana Luciano. Si conferma
l’autenticità della firma: Gorlato Antonio”.
Il 2 giugno 1953 Erminio Vojvoda venne insignito della stella d’argento
(III classe) dell’Ordine per i Meriti verso il popolo58 per l’attività presso il
popolo per il mantenimento della coscienza nazionale59.
Una dichiarazione simile alle precedenti è quella del Comitato comunale
della Lega dei Comunisti di Croazia (Općinski Komitet Saveza Komunista
Hrvatske – Vodnjan) datata 7 gennaio 1954.
Erminio Vojvoda nelle sue pagine autobiografiche ha sempre dichiarato di essere
ritornato a Dignano il 15 luglio 1945.
58
Cfr. Uverenje, 2.VI.1953, sta in ACRS, f. E. Vojvoda, cit. (Testo: Ovim se potvrđuje da
je Vojvoda Erminio nosilac odlikovanja Ord zasluge za narod III r. koje mu je odlikovanje
dodelio Pretsednik Federative Narodne Republike Jugoslavije svojim Ukazom broj 20 od
2.VI.1953. god.; traduzione: Si certifica che Vojvoda Erminio è stato insignito dell’Ordine
per i Meriti verso il popolo con stella d’argento III classe. Tale decorazione è stata
conferita dal Presidente della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia con decreto
num. 20 del 2 giugno 1953).
59
Con queste parole si esprime Erminio Vojvoda in Biografia 1977, cit.
57
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
286
Si aggiunge che Vojvoda Erminio, prima della deportazione, è stato Segretario del Comitato di Liberazione Popolare (N.O.O.) di Dignano e che a
causa della carica da lui ricoperta è stato arrestato e deportato in Germania.
La firma è di Antonio Gorlato.
La deportazione di Erminio Vojvoda è inoltre testimoniata in alcune
lettere personali e dichiarazioni ufficiali scritte da alcuni suoi ex compagni
di prigionia: Ferruccio Polesinani, Plinio Palmano, Guido Miletti e Mario
Savorgnan, tutti citati nel Manoscritto della mia vita passata nei diversi
lager… (op. cit.).
Plinio Palmano è autore di una lettera scritta a Udine il 19 marzo 1946,
recante il timbro “Verificato per censura”. Segue il testo:
Carissimo Voivoda. È stato da me l’amico Polesinani il quale mi ha
mostrato la tua affettuosa lettera. Eh, fra compagni di sventura ci
s’intende! So che sei stato a trovarmi a casa mia, al tuo ritorno, e
mi spiace non mi abbia trovato. Speriamo di rivederci presto. Come
avrai saputo, io, dopo la fuga da Katschberg, sono stato quasi un
mese in carcere a Spittal e poi a Salzburg, da dove mi mandarono al
terribile ‘Strafelager’ di Hallein, assieme all’amico Severino Peruzzaro che purtroppo trovò la morte come un cane in questo campo
alla vigilia del Natale 1944. Quello che ho passato ad Hallein non
te lo posso descrivere: 12 ore al giorno di lavori forzati a suon di
legnate per tutto il corpo, ma specialmente agli stinchi. Si accanivano contro di me forse perché ero… lungo e davo l’impressione di
lavorare troppo adagio. Fatto sta però che queste legnate sono state
la mia fortuna, in quanto per un miracolo mi hanno mandato nuovamente a Salzburg, ove, dopo quattro giorni di carcere, mi hanno
reso, certo per errore, libero lavoratore, mandandomi in città. Ero
come uno straccio, coi miei soli vestiti. Di tutto mi avevano spogliato! Avevo le gambe gonfie e piene di cicatrici che non si chiudevano;
le mani insanguinate. Non potevo fare nulla. Mi recavo piano piano
in stazione a raccogliere cicche e mi affrettavo a raggiungere i più
vicini rifugi. Seppi così trafficare pei Consolati, per le Delegazioni
italiane ed all’Arbeitsamt60, ove, altra grande fortuna, trovai delle
buone persone, italiane e austriache, che si impietosirono di me e mi
diedero il rimpatrio. Non ti dico poi la pena per ottenere il passaporto: quando tutto era pronto ed io mi incancrenivo le gambe sempre
di più ed ero pieno zeppo di pidocchi con minaccia di complicazioni,
60
Ted. Arbeitsamt = ufficio del lavoro.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
287
che non sopravvennero data la mia forte fibra, la ‘Gestapo’ stentava
a mettermi il visto definitivo, dato che io figuravo nei casellari giudiziari per essere stato in carcere. Non ti dico che pena! Finalmente
il 25 novembre mi timbrarono il passaporto ed il 27 ero fra le braccia
dei miei cari. Mi curai bene bene e guarii appena in aprile. Fui sorvegliato dalla SD61 ma tutto andò bene perché le mie ferite parlavano
chiaro. Ho ancora le gambe segnate. La liberazione mi trovò per una
ventina di giorni direttore della Camera di Commercio ove attualmente sono capo ufficio legnami, carbone, cemento, ecc. Poi sono
comproprietario e direttore di due giornali. Ho ora molte soddisfazioni e tutto mi va bene; mi rimane solo il ricordo delle sofferenze
dell’infernale campo di Hallein e del povero Severino che mi seguì
sempre come un cagnolino e che lasciai per sempre, colle lagrime
agli occhi, in quel recinto che anche tu ben conosci, ma entro cui non
hai vissuto che da ospite… cioè senza subire i sistemi colà in atto
allora. Nella speranza di vederci presto, salutami tutti i compagni e
dì a Malusà e soci che dopo il favore che ho fatto loro a Udine, mi
attendevo almeno un ringraziamento. Salutissimi. Ho saputo del tuo
povero fratello. Non so che dirti. Destino crudele. Coraggio. Ho cominciato il libro. Verrà bene, ma non ho tempo di finirlo. Sono tanto
occupato. Appena pronto te lo manderò. Plinio Palmano.
Un’altra dichiarazione porta la firma “Cav. Uff. Plinio Palmano” e la
data “Udine, 19 giugno 1968”:
Il sottoscritto cav. uff. Plinio Palmano di Udine, iscritto all’albo dei
giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, già deportato politico in Germania, dichiara che il signor Erminio Vojvoda di Dignano, si trovava
con lui a dividere la triste vita del lager di Katschberg posto sotto
il controllo delle SS tedesche. Tale lager, cinto da reticolati con le
sentinelle con baionetta in canna, costringeva i deportati al lavoro
coatto. Rimasi con il Vojvoda sino al 20 settembre 1944, epoca in
cui fuggii dal lager stesso. In precedenza, sempre con il Vojvoda,
con cui ero partito su un treno controllato dalle SS, permanemmo
assieme per diversi periodi in altri campi: Mark Pongau / St. Johan
in Pongau / Enzigerboden, Fellern, sempre fra reticolati e sentinelle.
Rilascio la presente dichiarazione in piena fede, assumendomi tutte
le responsabilità delle dichiarazioni” (firma illeggibile)62.
61
62
Ted. Sicherheitsdienst, SD = servizio di sicurezza delle SS.
Le lettere e le dichiarazioni citate si trovano in Collezione memoriale “Vojvoda” (cit.).
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
288
Citiamo infine una “Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà”63 firmata da Mario Savorgnan e Guido Miletti, ex internati politici, di fronte al
notaio Ferruccio Sansa di Monfalcone:
Noi sottoscritti Guido Miletti, nato a Pola il 9 febbraio 1898, residente a Monfalcone, via Baiamonti n. 16 e Mario Savorgnan, nato a
Pola il 29 maggio 1926, residente a Monfalcone, via XXV Aprile n. 1
avanti al sottoscritto dottor Ferruccio Sansa, notaio in Monfalcone,
iscritto presso il Collegio Notarile di Gorizia, attestiamo che il signor Erminio Voivoda, nato a Dignano d’Istria il 23 maggio 1902,
residente ivi, fu internato nei campi di concentramento nazisti assieme a noi; infatti ci incontrammo il giorno 1. agosto 1944 nel campo
di smistamento di Markt Pongau (Austria), il giorno successivo fummo trasportati con autocarri a Enzigerboden (Austria) e quindi con
la teleferica sul Weissensee (Austria); in detto periodo che durò una
ventina di giorni fummo costretti ai più duri lavori manuali sorvegliati dalle S.S.; successivamente fummo nuovamente trasportati a
Einzigerboden per circa un mese e quindi definitivamente nel campo
di Katchberg (St. Michael in Lungau – Salisburgo). Fummo destinati
a lavori di scavo in miniera ed alla costruzione di una strada per conto di una ditta di Vienna (Sager e Woerner) sempre sorvegliati dalle
S.S. e ciò fino al 21 aprile 1945. Infine fummo trasportati al Strafelager (penitenziario) di Hallein (Salisburgo) ed il giorno 4 maggio
1945 liberati dagli americani. Attestiamo anche che nella fotografia
qui allegata sub A) il terzo da destra in piedi è il suddetto signor Erminio Voivoda” (firme).
Il 15 maggio 1945 Erminio Vojvoda è sicuramente a Dignano. In un testo
incompiuto, nel quale egli racconta il suo rientro nella città natale, si legge:
Durante la mia convalescenza nessuno dei capi che formavano l’autorità costituita si degnò di venire a trovarmi e chiedermi se mi occorresse qualcosa. Quando mi rimisi un po’ a posto con la salute,
andai nel Municipio per vedere come stanno le cose. Visto che nessuno s’interessava di me, volli io interessarmi di loro. Salii su per le
scale sino al II piano, entrai in una sala dove trovai una conoscenza
La dichiarazione non è datata, ma è allegata a un Ricorso straordinario al Capo dello
Stato italiano datato 30 ottobre 1969 finalizzato all’ammissione alla ripartizione degli
indennizzi ai colpiti da persecuzioni nazionalsocialiste. La Dichiarazione e il Ricorso si
trovano in Collezione memoriale “Vojvoda” (cit.).
63
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
289
Lasciapassare, rilasciato dal Comitato Cittadino Popolare di Liberazione di Dignano, per circolare
nella zona A, ovvero nella città di Pola, 18 giugno 1945 (ACRS, f. Erminio Vojvoda)
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
290
del contado, certo Tomisić, e seppi che era messo là come presidente
del “Kotar” di Dignano (Distretto formato ancora in bosco prima
del crollo del nazifascismo). Salutai, ma costui fece finta di non conoscermi e domandai: “Tomisić, cosa non mi conosci?”. Non ebbi
risposta.
Cominciai a capire come stanno le cose! Già, come stanno le cose!
Uscii da quella stanza ed entrai in un’altra dove trovai un vecchio
amico, certo Belci, che al tempo della lotta fungeva da presidente,
mentre io facevo da segretario, mi accolse molto gentilmente. Era
costui il capo di un gruppo di comunisti dignanesi con il quale avevo
sempre avuto dei contatti. Belci mi disse che proporrà ai compagni
di darmi un posto nell’amministrazione del comune di Dignano. Io
non dissi niente perché non mi era chiaro quale colore avesse l’amministrazione. Ritornai a casa, rammaricato, anche per il fatto che
non mi sentivo di entrare così a cuor leggero a fianco di ex fascisti e
anziani balilla64.
Nel dopoguerra Erminio Vojvoda rimase ai margini dall’attività politica,
non ricoprì nessuna carica e continuò invece a coltivare la fede cristiana
come aveva sempre fatto. Seguì comunque l’evolversi della situazione politica e a testimonianza di questo rimangono i suoi tentativi di correzione
di alcuni particolari della narrazione dei fatti storici riguardanti la Lotta
Popolare di Liberazione (LPL) così come venivano presentati negli anni
Settanta del XX sec65.
Negli anni Ottanta del secolo scorso si dedicò alla stesura delle proprie
memorie riguardanti la deportazione in alcuni campi di prigionia nazisti,
In Biografia incompiuta, ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Da alcune lettere conservate presso la Collezione memoriale “Vojvoda” (cit.) si
deduce che egli individuò delle inesattezze nel libro di Ljubo DRNDIĆ, Oružje i sloboda
Istre 1941-43, Školska knjiga – Glas Istre 1978, it. Le armi e le libertà dell’Istria 1941-43,
Edit, Fiume, 1981 e nel volume di Ernest RADETIĆ, Istarski zapisi, Zagreb, Grof. zav.
Zg., 1969. Nel caso del libro di Drndić una correzione è giustificata e documentata: a p.
118 (versione croata) l’autore scrive che il tipografo polese “Mario Savargnan”, attivista
del MPL, morì in un campo nazista; Vojvoda corregge sostenendo che il tipografo
Mario Savorgnan fu internato politico come lui stesso nel lager di Katchberg e che nel
dopoguerra fu titolare di una tipografia a Monfalcone. Mario Savorgnan infatti è in
vita nel 1969 quando firma, unitamente a Guido Miletti, una Dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà nella quale dichiara di aver incontrato Erminio Vojvoda il 1.8.1944
nel campo di smistamento di Markt Pongau (Austria) e di essere stato costretto al lavoro
coatto insieme a lui fino al 4.5.1945, giorno in cui furono liberati dagli americani.
64
65
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
291
in particolar modo nel lager austriaco di Katschberg. Spunto per queste
memorie furono, come si disse, le pagine di diario che egli aveva scritto
durante la prigionia e il lavoro coatto sui margini di un libro che egli aveva
con sé e cioè L’uomo questo sconosciuto di Alexis Carrel (ed. Bompiani,
Milano 1943)66.
Modelli di calzatura da donna e da bambino firmati da E. Vojvoda, che rappresenta la Jugoslavia,
pubblicati nel 1961 sulla rivista italiana L’Eco supplemento illustrato, edita a Milano
In una lettera datata 30.12.1981 scritta all’amico esule Giorgio Sansa egli scrisse:
“… mi sono messo a scrivere le mie memorie del periodo che fui internato in campo di
concentramento in Germania. Avevo fatto sui margini delle pagine di un libro che avevo
con me e su pezzi di carta degli appunti giornalmente di quanto mi succedeva e da questi
appunti scrissi 117 pagine a mano …”; in Collezione memoriale “Vojvoda”, cit.
66
292
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
Intitolò le sue memorie Manoscritto della mia vita passata nei diversi
lager e primamente nel lager di Katschberg in Austria sul confino tra la
Carinzia ed il Salisburghese in vicinanza di S. Michael im Lungau.
Morì novantenne nel 1991.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
293
Manoscritto della mia vita passata nei diversi lager e primamente nel
lager di Katschberg in Austria sul confino tra la Carinzia ed il Salisburghese in vicinanza di S. Michael im Lungau
di Erminio Vojvoda
Dopo trentatré anni mi sono deciso a scrivere le mie memorie basandomi su
degli appunti scritti sui margini delle pagine di un libro o su pezzi di carta che mi
capitavano fra le mani, annotando date e avvenimenti giornalmente. Con questo
diario forse già allora pensavo di compilare uno scritto da lasciare ai posteri, di
quando vissi in un campo di concentramento nazista in Austria, allora Germania.
Passai per diversi campi, ma nel campo di Katschberg, che era sul confine tra il
Salisburghese e la Carinzia, passai il maggior tempo. Era situato in montagna a
un’altitudine di 1800 m.
Fui arrestato il giorno 15 luglio 1944 assieme a mio fratello ed altri compaesani, credo una ventina, dai fedeli servitori dei tedeschi che allora imperavano in
Istria. Fra questi repubblichini c’erano dei fannulloni e sfaccendati che avevano
trovato in quel lavoro il loro ambiente di predatori e ladri. La situazione in Istria
era molto confusa. Dopo il crollo dell’Italia, l’8 settembre 1943, fu un periodo che
non si sapeva chi comandava e chi serviva. La maggioranza delle città e delle
borgate istriane furono occupate dai partigiani di Tito, eccezion fatta per Dignano, Pola e Fasana. C’erano dei comitati partigiani che già esistevano, essendosi formati prima che assumessero il potere. Questo potere rivoluzionario durò
poco, cioè fino alla calata dei tedeschi. La reazione nazista fu atroce, ricordo che
a Dignano un ragazzo raccolse un moschetto abbandonato da qualche soldato
che se ne tornava a casa, pensando che per lui la guerra fosse finita. Questo
ragazzo trovò anche una cassetta di munizioni, la portò a casa e per divertirsi
uscì un po’ lontano da casa, verso la strada che scende da Pisino, e cominciò a
sparare. In quel tempo i tedeschi scendevano dall’interno dell’Istria verso Pola e
avranno certo creduto che si sparasse contro di loro. Si fermarono, perquisirono
le case nella parte adiacente la strada e nella casa di questo ragazzo trovarono le
munizioni. Il padre ed un casuale ospite, che si trovavano là, furono impiccati ad
un albero. Da là a casa mia saranno stati circa 300 m, andai a vedere servendomi della bicicletta; alla vista di quei due rimasi sconvolto, perciò non prevedevo
niente di buono neanche per me che sono stato ed ero contro il potere fascista.
Pensavo: “cosa poteva capitarmi nell’avvenire?”.
Dopo dieci mesi fui arrestato ed ecco il seguito della mia dolorosa avventura.67
Si trascrivono in carattere corsivo le note, le correzioni e le aggiunte posteriori
dell’autore.
67
294
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
Era un sabato, io e i miei operai lavoravamo al primo piano della casa, quando
mia moglie mi chiamò: “Senti, qui c’è un fascista che ti chiama!”. Mi alzai dal
seggiolino e corsi verso l’uscita; mi vidi davanti un quasi amico dei tempi delle
mie vittorie sportive. Correvo in bicicletta negli anni della mia gioventù! Erano
i miei anni più belli, ’18 – ’19 – ’20 e a dir il vero godevo di simpatia fra i miei
concittadini. Fu poi, nel maturare degli anni, ch’io mi feci una cultura politica
e passai decisamente all’opposizione, dove rinfocolava l’antifascismo politico,
social-comunista, e l’antifascismo nazionale degli slavi istriani. Non era da meravigliarsi ch’io, di origine da parte dei miei genitori di nazionalità croata e per
appunto nato a Dignano, sentissi sin da bambino un amore per la mia gente,
ancor più, dato il terrore, i soprusi dei fascisti e delle autorità costituite contro
i miei connazionali che non aspiravano ad altro che a vivere in pace in questa
nostra terra (…).
Dunque corsi verso l’uscita del laboratorio e mi vidi davanti un ceffo col fascio sul berretto che mi invitò al comando presso il maggiore Mignani, l’allora
comandante della banda repubblichina. “Vien zo, ch’el major te ciama, ch’el
ga de parlar con ti”. A questo colloquio era invitato anche mio fratello. Presi
la bicicletta e mi misi in moto verso la piazza; a un terzo della via mi fermai a
chiedere a questo fascista chiamato “Volpe”, perché così era il suo soprannome, “ben cossa el vol?”. Io credevo che mi fosse ancora un po’ amico e che mi
informasse almeno in parte su cosa mi aspettava, ma invano, giunto in piazza
mi inoltrai con la bici nel portone della Pretura, là trovai un altro manigoldo
che aveva trovato in questo gruppo di repubblichini veramente il suo posto, era
uno sfaccendato che non aveva mai fatto nulla di buono. Quando giunsi a tu per
tu, m’indicò col dito la scalinata che portava nel cortile per entrare in prigione.
Capii subito che dovevo essere imprigionato; in un baleno presi la bicicletta,
attraversai la piazza, imbucai la via che porta al “Portarol”, poi verso il molino
dei Marchesi e infine per il “limido” di San Lorenzo. Questa stradicciuola di
campagna era sempre cosparsa di sassi e passare di là con la bicicletta era un
affare difficile, ma non bastava questo, trovai la strada ostruita da un “ciapo”
di pecore e non potei proseguire, dovetti fermarmi anche perché avevo rotto un
raggio della ruota posteriore, inciampando in uno di questi sassi. Non mi sorprese che il camerata Beppin mi raggiungesse facendo fischiare alle mie orecchie due colpi di rivoltella che per fortuna non mi colpirono. Questo servitore
della banda nazista mi schiaffeggiò e mi condusse in prigione. Mi rinchiusero
isolato e verso sera ebbi la visita di cinque repubblichini; Beppin mi schiaffeggiò nuovamente, sedevo sulla branda, poi un certo Toffoli (?) pose il piede sulla
branda e rialzando per bene le braccia tenendo un moschetto modello 91, lo
puntò sulla parte destra del mio duro cranio, mi assestò un tal colpo, che il suo
91 si ruppe in due pezzi. Il mio cranio resistette. Ebbi una ferita di 4-5 cm, mi
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
295
sgorgò copiosamente il sangue che asciugai con il fazzoletto da naso che ancora
oggi conservo. Il camerata Volpe mi puntò la rivoltella dicendomi: “non ti sarà
vivo doman”. Un giovane soprannominato Pussero (?) solamente mi guardò e
non mi toccò, mentre l’autista che conduceva il loro camion, mi assestò, con gli
scarponi d’alpinista, un tal colpo al costato destro, che mi ruppe una costola
gridandomi: “Porco de s’ciavo”. Questo rinnegato, che è nativo di un villaggio
dell’Istria centrale, frutto della politica snazionalistica dell’Italia fascista, non
era l’unico esemplare fra la nostra gente.
Dopo circa un’ora, per interessamento di mia moglie e con l’aiuto del mio
fratellastro Giuseppe Bendoricchio, panettiere, che fornì il pane al custode del
carcere, ricevetti da casa del cibo. Dopo mangiato, il fazzoletto era già asciutto; lo
aprii e con uno stuzzicadenti sul fazzoletto, che era pieno e duro di sangue, scrissi
a mia moglie: “Va a Pola, alla Prefettura e racconta l’accaduto al consigliere tedesco della Prefettura, sig. Herschbaumer”.
Debbo ritornare indietro di un paio di mesi per chiarire quanto sopra. Quando i fascisti mi avevano perquisito la casa, trovarono nel mio laboratorio diverso
materiale, con annesse le misure corrispondenti al proprietario del materiale
per l’esecuzione delle rispettive calzature. Fra queste c’era pure certo materiale
del suddetto Herschbaumer. Dalla consegna del materiale all’esecuzione corse
un periodo di circa un mese, nel frattempo ebbi la perquisizione. A capo di
quelli che mi perquisirono la casa c’era un fannullone di nome Beppin Ladaga
(?). Dopo la perquisizione i fascisti presero diverso materiale, non mio, ma dei
clienti. In seguito fui chiamato dal loro comandante Mignani che mi chiese
spiegazioni su chi fosse questo Sig. Herschbaumer, padrone di certo materiale.
Spiegai che era un consigliere della Prefettura di Pola e mi restituì il materiale dicendomi: “Tutto Dignan e mezza Pola s’interessa per ti! Uomo avvisato,
mezzo salvato!”. Stupidamente non tenni per serio questo avviso. Dopo 8 giorni
venne da me questo sig. Herschbaumer e gli raccontai l’accaduto. Voleva andare
subito dai fascisti, ma io lo distolsi, in quell’occasione feci un grosso sbaglio che
non mi perdonerò mai. Mi disse commiatandosi: “Se le succede qualcosa venga
da me”. Ecco perché avevo ordinato a mia moglie di andare da lui.
Il giorno dopo 16. VII. 44 tutti gli arrestati furono trasportati a Pola nello
Strafhaus (così era chiamata da noi la prigione militare austriaca dove Nazario
Sauro visse gli ultimi momenti della sua vita prima di essere impiccato dagli
sgherri della “K.u.K. polizei”)68. Mio fratello era tra questi. Io ero chiuso in una
cella solo. Su interessamento di mia moglie il giorno 16. VII ebbi la visita del
medico, Dott. Dino Franzin, che constatò come scrisse e mi consegnò dopo la
liberazione una dichiarazione che conservo: “Dichiaro di aver visitato il giorno
68
K.uK. = Kaiserliche und Königliche (Imperiale e Regia)
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
296
16. VII. 1944 nel carcere di Dignano il signor V.E. che presentava una vasta ecchimosi all’orbita sinistra ecc.69
Fui prelevato assieme ad altri 3-4 e con il camioncino, guidato da quel rinnegato ed in compagnia di quelli che mi avevano bastonato la sera del 15, fui
trasferito a Pola. Era il giorno 20, dunque avevo passato 5 giorni da solo, su una
branda sudicia abitata, nelle fessure dei vecchi tubi che la componevano, da una
copiosa società di bene allevate cimici, che nella notte salivano sulla mia ferita
coperta da un grumo di sangue coagulato e mi tormentavano. Spesso nel corso
delle notti cambiavo posizione e posto; mi mettevo ora qua ora là. Nella cella c’era
pure una panca lunga circa 2 m sulla quale mi stendevo con il ventre in giù e le
mani a penzoloni che toccavano quasi il lastricato.
Quando arrivammo a Pola il camerata Beppin, con delle carte in mano, infilò
il portone della polizia in via Smareglia. Aspettammo poco tempo, fummo condotti al sunnominato Strafhaus, là trovai tutti gli altri.
Il giorno 25 ci prelevarono, in colonna ci condussero al molo per essere trasportati a Trieste.
Sul molo trovai molta gente, fra i quali l’avvocato (Dott. Giovanni Benussi di
Pola), mio cliente, e lo pregai di telefonare a Dignano a un altro mio conoscente
e cliente (il Dott. Andrea Franzin) che aveva il magazzino di derrate alimentari
vicino a casa mia. Senza fermarmi, quando fui vicino gli dissi senza voltarmi:
“Avvocato, la ghe telefoni a sior Andrea che i me porta a Trieste”.
Mia moglie ricevette l’avviso dal Dott. Andrea Franzin in giornata. Perciò
sono certo che l’avvocato Dott. Benussi non partì per Trieste, ma ritornò a casa
per telefonare. Non ebbi al mio ritorno dalla Germania l’occasione di incontrarlo
e ringraziarlo per quello che aveva fatto, però serbo costantemente come un peso
che non ho potuto farlo. Eternamente gli sarò grato.
A Parenzo pernottammo, c’erano dei carabinieri che ci guardavano, ma non
mi sembravano troppo soddisfatti del loro compito. Ad uno di questi mi rivolsi
con preghiera di annunciare a mia sorella che abitava a Trieste, di portare la triste
notizia che siamo in prigione al Coroneo. Ebbi conferma che quest’uomo non era
un fascista, meno ancora un fedele servitore della stirpe teutonica che allora imperava sull’ Europa. Mia sorella mi fece avere del cibo il giorno dopo.
Fu una domenica, il 30 luglio 1944 a mezzogiorno, che un ben pasciuto teutone
ci annunciò di prepararci per la partenza (nel medesimo tempo si offriva di cambiarci del denaro), quella era la terza volta che ci dissero di prepararci.
Alcuni giorni prima, forse il 27 o il 28, avevo ricevuto una valigia e del denaro
da parte di mia moglie che poverina, quando seppe che tutti i suoi interventi pressi il signor Herschbaumer erano falliti, corse subito a preparare una ben fornita
valigia e partendo da Fasana con una barca sino a Parenzo, di là a Pirano, sotto il
69
Il referto del dottor Dino Franzin datato 19/V/1946 sta in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
297
pericolo dei bombardamenti, giunse a Trieste. Intervenne presso il direttore delle
prigioni e, non trovandolo, si rivolse presso la sua signora; con l’aiuto di un prodigioso fiasco d’olio ebbe la possibilità di poter consegnarmi valigia e denaro ed in
più sapere quando lasceremo il Coroneo.
Il lunedì 31. VII ci svegliarono, uscimmo dalla prigione, eravamo in molti. La
città era al buio, una pioggerella cadeva fitta fitta, la via rischiarata da riflettori dove camminavamo noi, schiavi dell’età che storicamente doveva cominciare
l’ordine nuovo, guardati con i fucili mitragliatori da questi esemplari del “Herrenvolk”. Ci incamminammo lentamente verso la stazione centrale. Ci fecero salire
su dei vagoni bestiame, guardati sempre dalle SS. Prima della partenza, alle 8.30,
ebbi la gioia di vedere mia moglie, mia sorella e mia nipote. Da mia moglie seppi
come andò il suo intervento in mio favore presso il consigliere del prefetto di Pola,
sig. Herschbaumer. Costui era il “Deutsche Berater” dell’allora prefetto Artusi,
cioè consigliere tedesco. Da quanto avevo appreso da mia moglie, si era interessato presso il capo della polizia per la mia scarcerazione, secondo lui l’ordine di
scarcerazione era già sul tavolo, quando intervenne da Dignano un personaggio
che allora rappresentava la massima autorità, che si oppose e disse. “No, no, questo deve partire”. Fino a che punto arrivano la cecità politica, l’odio, l’idiozia di un
uomo che per odio si giuocò la vita servendo il padrone tedesco, illudendosi che
Hitler vincerà la guerra.70
Partimmo da Trieste alle 8.30, quando arrivammo a Udine nel nostro vagone
fecero salire altri 4; fra questi c’era un capitano di Palmanova e un giornalista di
Udine, certo Palmano, degli altri non ricordo niente. Quando varcammo il confine, alla prima stazione fermarono poco tempo per poter fare i nostri bisogni. Vidi
allora scendere, incamminarsi una vecchia signora sostenuta da altri due signori
ben vestiti, e mi sembrò che fossero degli ebrei; certo finirono tutti in qualche
crematorio per la maggior gloria del nazismo. Parallelamente alle rotaie era una
strada sulla quale vidi un monello che ci minacciava con il pugno rialzato, percorrendo la strada in bici. Era certo uscito dall’arruolamento dei superuomini della
“Hitlersjoundem”71.
Arrivammo a Villach (Villaco) in Carinzia alle 4 del mattino; qui ricevemmo
il rancio, una brodaglia. Sosta 6 ore, ripartimmo alle 10. Il treno sbuffava faticosamente, noi messi a terra, seduti, sdraiati, ci dondolavamo pensierosi, rinchiusi
in quei vagoni puzzolenti. Dopo diverse fermate arrivammo a Marcht Pongau72
alla mattina alle 5 e mezza con una fitta pioggerella che ci entrava nelle ossa.
Si legge in una nota posteriore: Aggiungere che prestai a Demarchi Francesco
(Poce) alla stazione di Trieste prima della partenza dei soldi che poi sua moglie restituì
a mia moglie.
71
Hitlers-Jugend = gioventù di Hitler.
72
Markt di Schwarzach im Pongau.
70
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
298
Era il 1. agosto del 1944. Alla stazione ferroviaria fummo messi in riga, sorvegliati da un vecchio austriaco con fucile da caccia; dopo poco si avvicinò un altro
simile e gli chiese: “chi sono questi?”. “Sono dei banditi che andranno a lavorare
nella miniera di salgemma”. Il discorso di questi superuomini mi fu tradotto da
uno di Fiume che conosceva bene il tedesco e aggiunse: “Caro mio, bisogna lasciar ogni speranza noi che entriamo”. Portava un cognome tedesco, forse era un
ebreo, poi sparì dal nostro gruppo. Lo incontrai nel ’45 o ’46 a Fiume mal conciato, mal vestito, con una faccia smunta. Quale fu e quale era allora la sua sorte?
Da lì ci incamminammo per qualche km e arrivammo in un accampamento. Qui
trovammo dei prigionieri russi con sulla schiena un segno in calce K. G.73 cioè
prigionieri di guerra, poi degli Jugoslavi. Sostammo sino alle 5 del pomeriggio.
Fummo poi trasferiti in un altro accampamento; qui trovammo 33 istriani di Pola
e di altri luoghi; fra questi furono il prof. Smareglia74, prof. Stefanacci75, Dott.
Marojević76 e tanti altri di cui non ricordo il nome.
K.G. = Kriegsgefangene.
Vd. CALIFFI Steno, Pola clandestina e l’esodo, a cura di Pasquale De Simone,
Gorizia, L’Arena di Pola, Tip. Savorgnan-Monfalcone, 1955, p. 64-65: “Poi c’è l’altro
caso, più complesso e meno facilmente analizzabile, che si chiama prof. Smareglia. I suoi
idealismi in fatto di socialismo non sono una novità. Torna dalla Germania senza aver
vissuto nulla del periodo settembre ’43 – giugno ’45…parla pochissimo e non accosta
nessuno”. Vd. anche COLUMMI C.-FERRARI L.-NASSISI G.-TRANI G., Storia di un
esodo: Istria 1945/56 / prefazione di Giovanni Miccoli, Trieste, IRSML, Tip. Villaggio
del Fanciullo, 1980, p. 158: “Al prestigio dell’UAIS (Unione antifascista italo-slava)
contribuisce anche la presenza nei suoi quadri direttivi di un personaggio antifascista non
comunista come Giulio Smareglia, molto stimato in città, la cui libreria è stata in passato
punto d’incontro di giovani antifascisti come lo stesso direttore dell’organo italiano (il
giornale “L’Arena di Pola”) Guido Miglia”. Vd. inoltre MIGLIA Guido, Dentro l’Istria:
diario 1945-47, Trieste, Tip. Moderna, 1973, p. 129: “Tra i promotori (del Circolo italiano
di cultura) c’è un mio caro amico, che io ho sempre stimato, il prof. Giulio Smareglia,
nipote del grande compositore istriano, reduce da Buchenwald…”.
75
Il prof. Giuseppe Stefanacci risulta tra i partecipanti alla prima riunione del CCP
(comitato cittadino polese) tenutasi a Pola il 9 maggio 1945, dalla quale uscì il nucleo che
diede origine al CLN (comitato di liberazione nazionale) di Pola, organo rappresentativo
delle forze filoitaliane della città; in COLUMMI, Cristiana-FERRARI, Liliana-NASSISI,
Gianna-TRANI, Germano, Storia di un esodo: Istria 1945/56, cit. Stefanacci e Smareglia
sono citati anche in Pola clandestina e l’esodo, cit., p. 57-58, come coloro che insieme ad
altri “furono bloccati nel momento in cui sarebbe dovuto nascere il CLN, come in tutto
il resto d’Italia (…) e la massa antifascista di Pola fu quasi nella sua totalità, logica preda
dell’abile organizzazione comunista”.
76
Si tratta del dott. Moroevich, citato più volte nel libro Pola clandestina e l’esodo,
cit., come membro del CPL di Pola, movimento pro-Jugoslavia.
73
74
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
299
Il luogo di questo accampamento si chiamava St. Johan in Pungau77. Ricevemmo del pane e del formaggio e ci ritornarono il denaro. Per dormire c’erano dei
tavolacci a piani, me erano già occupati dagli altri; ad un ragazzo di Barbana detti
alcuni frutti che avevo portato da Trieste acciocché lasciasse a me e a mio fratello
il posto per dormire. Mi addormentai su questo ormai abituale giaciglio. Quando
mi svegliai, mi sentivo più pronto ad affrontare l’avvenire.
Era il 2 agosto. Con un trenino a scartamento ridotto ci trasportarono a Zell
am See, qui cambiammo trenino e per due ore di ferrovia arrivammo a Uttendorf.
A Uttendorf ci caricarono su un camion e dopo 17 km arrivammo a Einzigerbadem78. Sul camion c’era un autista cecoslovacco. Certo non sapeva che eravamo
da tempo prigionieri, sembrava che scoppiasse dalla gioia di comunicarci che gli
alleati erano sbarcati in Francia, sbarco che avvenne il 6.6.44 e date successive,
e poi sino al 18 del 7 a St.Lô. Da Enzingerbaden ci trasportarono con filovia fino
all’altezza di 2242 m. Cadeva una fitta pioggia nebbiosa e faceva un freddo da
polo nord. Il viaggio durò 14 minuti, mi trovai in una cassa che a malapena poteva
contenere le gambe di tre persone; c’ero io, uno sloveno, un polacco. Ad un tratto,
questa cassa si fermò, eravamo in mezzo ad un burrone, ad un’altezza di certo 100
m. Eravamo ormai in mano al destino. Dove si va? Arrivammo alla stazione della
filovia dove ci ospitarono, ci dettero del pane e un liquido nero, che sembrava caffè. Dopo ci fecero marciare per 500-600 m. Fummo alloggiati nelle baracche che
prima erano occupate dai russi. Questo lager era situato a 2242 m, dove giace un
lago chiamato Weissee79 cioè Lago bianco, ed una capanna cioè “Rudolfshütte”80,
cioè “capanna Rodolfo”.
Era il 3 agosto. Qui fui messo in cucina per alcuni giorni; ma quando si riesce
ad assumere un posto c’è sempre l’odio, l’invidia degli altri che si intromettono
e fui sbattuto fuori dopo alcuni giorni. Al mio posto fu messo un marittimo che
diceva che lui faceva “el cogo a bordo” di una nave. Beh, fui trasferito in compagnia di un dalmata che diceva era capitano dei gendarmi, e fummo messi a tirare,
inchiodare del filo spinato su pali nuovi per allargare il lager. Il dalmata sapeva
parlare il tedesco, eravamo soli, di quando in quando veniva il “meister” a vedere
come vanno i lavori; ci lasciava tranquilli e parlava con noi; si affezionò e alla
partenza, giacchè la nostra permanenza a Weissee durò solo 7 giorni, a ognuno
porse una cartolina che raffigurava il panorama del lago, la capanna, la vetta della
montagna piena di neve e ghiaccio alta 2242 m81. Volle dimostrarci che non era un
St. Johann im Pongau.
Enzingerbaden.
79
Weißsee.
80
La capanna Rudolfshütte è oggi un albergo tre stelle.
81
La Cartolina datata 8.8.1944: “Rudolfshütte (2242m) mit Weißsee” sta in ACRS, f.
E. Vojvoda, cit.
77
78
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
300
nazista, nel retro della cartolina scrisse la dedica: “Zür freündlichen Erinnerung
an deinem Meister Klinger Sebastian. Post Grossgmein b/Salzburg. Brühhäüsl
130 – Weißsee am 8.8.1944 (tradotto in italiano: Quale amichevole ricordo dal
tuo maestro (capo) Klinger Sebastiano, seguono indirizzo, luogo e data). Era un
piccolo uomo, tutta bontà, affabile, era una rarità fra questi superuomini che sognavano il dominio del mondo. Sono trascorsi d’allora quasi 40 anni, conservo
ancora questo caro ricordo che mi dimostrò che l’umanità ha ancora dei buoni
uomini degni di questo nome.
Alla mattina del 10 agosto ci svegliarono e poi in filovia per 35 minuti e col
camion fummo di nuovo trasportati a 9 km da Uttendorf. Qui trovammo delle
baracche migliori. Eravamo sistemati e alla mattina dell’11, sorvegliati da un civile, c’incamminammo verso un pendio, dove c’era un rigagnolo che si doveva
sistemare per convogliare l’acqua in un canale. Fui scelto tra una ventina per dare
aiuto ai muratori quale manovale. Quando andavamo al lavoro, dato che la strada
era cosparsa d’una ghiaia fitta, fine, che avrebbe raspato, limato, corroso le mie
suole, giacché mia moglie mi aveva fornito di tutto, anche di un pesante nuovo
cappotto, ma di scarpe no, mi spostavo fuori dalla strada, poggiavo i piedi su un
fitto tappeto d’erba. Quando il tedesco vide ch’io mi staccavo dalla truppa inquadrata e camminavo fuori mi chiese: “Perché tu cammini fuori dalla riga?”. Parlavo un po’ il tedesco e gli risposi: “Voglio conservarmi le suole”. Si mise a ridere
e continuammo il cammino. Già, a tutto bisognava pensare quando non si sa cosa
succederà il giorno di poi. Qui trovammo baracche bruttissime, erano prime occupate dai russi. Su una parete trovammo un placato82 in lingua russa con il quale
il generale Vlasov83, passato ai tedeschi, invitava i soldati sovietici a passare dalla
sua parte per combattere il potere sovietico. Il giorno 17 ci portarono al lavoro,
dovevamo portare pietre per innalzare un cumulo intorno a 2 pali su cui, sembra
dovevano passare dei fili per una nuova filovia. Non abituati, la maggior parte di
noi, a simile lavoro, scapparono a raccogliere dei mirtilli che qui, sulla montagna
a 1800 m d’altezza, abbondavano.
Il nostro capo era un boemo e ci sgridava continuamente, e lui a sua volta
veniva sgridato da un tedesco che forse era un ingegnere. Ci minacciava di farci
cambiare lavoro. Dalle baracche per andare sul lavoro si doveva camminare 2 ore
per andata e ritorno. Questo durò sino al giorno 26.8.44. Dopo io, mio fratello e
un altro un po’ scemo, mezzo cretino, fummo messi a scavare della sabbia sulla
sponda del lago artificiale, esistente sull’altipiano di Enzingerbaden, la cui acqua serviva per far funzionare una centrale elettrica. Questo terzo, forte, adatto
a questo lavoro, lavorava come un dannato, io e mio fratello parlavamo delle
nostre cose, della nostra situazione, della guerra, della nostra parte, sulla fine di
82
83
Parola croata plakat (= manifesto) italianizzata.
Andrej Andreevič Vlasov.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
301
questo immenso conflitto che non si sapeva quando terminerà. Certo che l’ultimo
pensiero nostro non era di accumulare sabbia per la grandezza di questa perfida
stirpe che ci strappò da casa nostra e dalle nostre famiglie. Venne un ragazzetto,
bassotto, che ci apostrofò in lingua ceca, minacciandoci di farci trasferire. Seppi
poi che si chiamava Karol Dosadgel ed era di Brno. Difatti ci denunciò al “Lager
Führer” e ci misero in prigione all’una e mezza del 28.8.44. Fummo rinchiusi sino
alla sera. Intervennero per liberarci un certo Ivan Leršić, dell’isola di Veglia, e il
dottor Marojević che parlavano bene il tedesco. Convinsero il Lager Führer, un
tedesco rimpatriato dalla Romania, forse non era anche lui in sintonia con il nazismo, a liberarci. Il pranzo lo saltammo; 2 patate, 2 carote furono la nostra cena.
Causa il mio spirito di rivoltoso, il capo e l’ing. erano contro di me. Continuammo a lavorare, solitamente con pala e carriola. Eravamo ancora considerati come
operai, quasi liberi. C’erano lì, a due passi dalle baracche, una locanda nella quale
andavamo a bere qualche birra.
Arrivammo così al 1.9.1944, corse la voce fra noi, che non sapevamo ancora
nulla dei lager di sterminio, che saremmo stati smilitarizzati come operai liberi.
Siamo ai 3 settembre, fra noi corse la voce della capitolazione dell’Ungheria e
Bulgaria. Difatti la Bulgaria capitolò il 6, la Romania era già capitolata. L’Ungheria capitolò poi nel dicembre. Le nostre speranze si riaccesero. Lo stesso giorno
vedemmo la prima neve, la pioggia. In baracca tutti; chi cuce, chi lava, commentando le notizie.
Il 4 sono trasferito al lavoro alla teleferica che trasportava materiale, pane,
zucche, ecc. per gli operai, schiavi come noi che lavoravamo a Weissee. Mio compagno di lavoro era un giovane polacco, già pratico dell’ambiente, che s’ingegnava
ad aprire delle casse che contenevano il pane; prese 2 pagnotte e ne porse una a
me, ruppe delle zucche, prelevò i semi che poi spartì con me. Alla teleferica me
la passavo bene, potevo così aiutare anche mio fratello. I miei paesani provocarono un battibecco perché erano invidiosi del mio posto. Fra questi c’era in primo
piano un contadino che chiamerò “Zanito”, il quale già nel lager poco lungi da
Uttendorf si meravigliò, quando il Dott. Marojević, che faceva d’interprete, per
ordine del “lager führer” chiese a tutti le generalità e alla richiesta della nazionalità, come era naturale, io mi dichiarai di nazionalità croata, perché i miei genitori
arano tali. La nazionalità non è un’opinione, ma bensì un dovere verso coloro che
ci hanno dato i natali. Concludo: onora il padre e la madre se vuoi lungamente
vivere sopra la terra. Così sta scritto. Questo contadino semianalfabeta si permise di minacciarmi, quando saremo ritornati a casa. Chi non è istriano non può
capire certe cose. Gli italiani dell’Istria hanno sempre considerato gli slavi come
una razza inferiore. Sempre, dal tempo della Repubblica veneta e anche sotto la
dominazione austriaca, dato che la loro borghesia piccola e grande aveva, per
la sua cultura e per i mezzi finanziari, dominato tutta la vita istriana per secoli.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
302
Perciò anche il popolino credeva, perché gli si ripeteva in ogni occasione, che
essi appartengono ad una specie di “Herrenvolk” e per loro era naturale che chi
nascesse in una cittadina italiana dovrebbe con piacere abbracciare la nazionalità
dei padroni. Io e mio fratello non abbiamo mai nascosto i nostri sentimenti nazionali, con rispetto di quelli degli altri, sia per difendere i nostri diritti di uomini,
che dovrebbero essere uguali per tutti, sia per una convivenza fraterna fra le stirpi
che vivono in questa nostra terra istriana.
Anche il mancato fondatore del nuovo impero di Roma, Mussolini, in un discorso tenuto a Pola nel 1920 nel Teatro Ciscutti84 disse che gli slavi sono di razza
inferiore. Il fatto poi dei battibecchi in campo di concentramento, che si venisse
a polemizzare fra vittime del terrore fascista sulla nazionalità, era mostruoso. Io
credo che ogni litigio fosse fuori posto. Non eravamo vittime tutti noi, italiani e
slavi, figli di quella bella terra istriana che ci ha visti nascere, gioire e patire? Eravamo tutti antifascisti, vittime di una banda di criminali che ci condussero come
schiavi ai lavori forzati ed incerti di ritornare a casa. Difatti 5 del nostro gruppo
non ritornarono, tra i quali mio fratello Emilio, Antonio Gropuzzo, Demarin Antonio, Bonaparte Pietro e Fioranti Antonio.
Siamo il 5 febbraio del ’44, sono ancora al lavoro alla stazione della teleferica;
arrivano, per essere trasportati con la teleferica, 56 uomini. Tra essi c’era uno ammalato, gonfio; un napoletano giacente su una barella. Mi racconta di venire da un
altro lager, poverino, stava veramente male. Questo poverino, che in giornata con
la teleferica fu trasportato via di là, e non potrei dire dove, non avrà più potuto di
certo ritornare a Napoli. Fra le merci arrivate 5 casse di pane, zucche, cocomeri
(cetrioli), ecc. Si parla della partenza da Enzingerbaden, verso Uttendorf. Durante la breve permanenza a Enzingerbaden fuggirono 3 dei nostri: Palin Orlando,
Gorlato Giovanni ed uno di Corridico (Pisino), certo Pastorcich. Sarà stato forse
questo il motivo che ci fece partire da là.
Dopo un lungo viaggio che durò 165 km, nel tardo pomeriggio arrivammo a
Katschberg, che sarebbe le vetta, monte che giace sul confine tra il Salisburghese
e la Carinzia. Il tragitto era lungo, passammo per Uttendorf, Bruck85, Goldegg,
St. Johann. A 70 km circa da Enzingerbaden fermarono i camion di fronte a una
finestra di una casa che faceva angolo. Eravamo assetati, qualcuno pronunciò la
parola “voda” acqua, che sembra è comune a tutte le lingue slave. Alla finestra
c’era una ragazza che ci stava guardando e sorrise, aveva la schiena anormale,
piccola, due occhi neri, i capelli bruni. Si ritirò nell’interno della casa e uscì con
un gran bicchiere d’acqua; ce lo porse felice di averci dissetati. Chiediamo chi
Si tratta del discorso che Benito Mussolini tenne a Pola presso il Teatro Ciscutti il
21 settembre 1920.
85
Bruck an der Großglocknerstraße.
84
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
303
era e rispose in lingua ucraina. Era ucraina. Non avemmo il tempo di chiedere
altro; i nostri custodi fecero sbuffare nuovamente i camion e partimmo. Fu commovente l’incontro con questa ragazza della lontana Ucraina, che un tempo era il
granaio d’Europa e che il Führer pianificava, come scrisse nel suo “Meinkampf”,
di schiavizzare quale spazio vitale per il popolo padrone. Questa povera ragazza,
anche se invalida come era, serviva qualche signora tedesca quale schiava, serva.
In quell’istante mi passò per la mente quale destino fosse riservato a noi da questi
numi dell’età moderna. Noi non sapevamo niente, eravamo all’oscuro di tutto, non
sapevamo come andava la guerra, questo immane conflitto che doveva rimettere
il mondo sulla buona strada, sul diritto dei popoli a vivere in pace. Ma ce la faranno i potenti che ora si affrontano? Ne dubito!
Arrivati a Katschberg, vedemmo delle baracche chiuse con dei reticolati,
esternamente una piccola baracca del corpo di guardia e a destra un’altra baracca
che serviva da cucina. Appena smontati dai camion ci alloggiarono in baracche di
legno, su un giaciglio di paglia insaccata in sudici sacchi di tela, un cuscino dello
stesso materiale e due coperte.
Siamo l’8 febbraio a 1800 m d’altezza alle falde dei Bassi Tauri. Oggi ci fanno
lavorare mezza giornata.
Il 9 comincia la nostra avventura. Il lager era sprovvisto di acqua, con servizi
igienici quasi inesistenti. Grande era la nostra delusione; qui eravamo rinchiusi
da filo spinato, sorvegliati da gendarmi e soldati, resi invalidi dalla folle avventura hitleriana, dunque eravamo prigionieri politici; ogni tentativo di fuga sarebbe
stato risolto di certo con una fucilata. Mi resi conto che non v’era altro che portar
pazienza e aspettare con calma la fine e la libertà ch’io sognavo sempre. Speravo
sempre che la coalizzazione di tutte le forze antifasciste mondiali avrebbe reso
nullo il folle piano di un pazzo e del suo ubbidiente popolo che credeva in lui.
Oggi 10 abbiamo lavorato sino alle 5. Uno dei nostri è fuggito. È un sabato.
Siamo di domenica, 11, si commentano gli avvenimenti; ma erano tutte fantasie, speranze. Si rattoppano le calze, si lava, per l’acqua bisogna andare fuori a
prenderla da un ruscelletto che scendeva dalla montagna, i gendarmi lasciavano
fare, dovevamo, altro rimedio non c’era.
Il 12 feci il bel sogno, da questo prevedevo buone notizie, invece niente. Rinchiusi, sorvegliati dalle SS, senza nessuna notizia confortevole che ci potesse dare
qualche speranza e conforto, affamati, con 30 dkg di pane alla mattina accompagnato da un’acqua nera che chiamavano caffè, se poi lo mangiavi alla mattina
non lo avevi alla sera. Su questa montagna sulla cui vetta c’era solo un’osteria, si
costruiva una nuova strada che raccorciasse la vecchia che portava a St. Michael
im Lungau distante dal lager 9 km. Gestiva questa impresa una ditta viennese, Sager e Woerner, che sfruttava i nostri muscoli resi schiavi dalla follia teutonica. La
SS Mittel minaccia un nostro compagno perché non lavorava sodo. Con pioggia e
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
304
neve si doveva andare al lavoro, mentre i capi se ne stavano nelle loro baracchette
riscaldate e guardavano come si lavorava, pronti a gridare “faul, tęufel, schnell”86
e via in questo stile. C’era un bavarese mezzo gobbo, un fanatico nazista che ci
insultava e tormentava continuamente, e noi lo chiamavamo “el gobbo”.
La sera del 15 settembre entra nella mia baracca, c’erano diverse baracche, un
professore di Pola, certo Stefanacci, tutto giulivo a comunicarci che i russi hanno
conquistato Praga. Io rimasi sorpreso, pensai allora siamo alla fine? Ma no, non è
possibile, professore, si sarà sbagliato, guardi che un sobborgo di Varsavia si chiama Praga. Era veramente così. Varsavia fu liberata veramente nel settembre 1944.
Da anni sul braccio destro mi tormenta un reuma. Sono affamato, ma ci promettono che ci aumenteranno la razione di pane. La pioggia cadeva fitta fitta, la
nebbia ci entrava nelle ossa. Con questo lavoro massacrante di pala e piccone non
c’era proprio da star allegri. Come si poteva con quella misera nutrizione resistere
a tante fatiche e a questo lavoro. Finalmente ci aumentarono 5 dkg di pane.
Per spidocchiarci, il 22 ci condussero a Tamsweg, un paesetto lontano da
Katschberg 36 km. Per arrivare a Tamsweg si passa per St. Michael. Arrivammo
in un ospedale, ci portarono in cantina dove c’erano alcune vasche da bagno in
diversi recinti chiusi. Vennero alcune suore ad indicarci come dovevamo fare, in
presenza s’intende delle SS che ci custodivano. Una piccola suora, dopo essere
stati allineati, ci passava di dietro, senza farsi vedere dai soldati, ci porgeva furtivamente delle fette di pane, a me ne diede due, forse in cuor suo sentiva che con
me c’era anche mio fratello. Questa carità cristiana, fatta furtivamente, mi dimostrò che anch’essa, poverina, temeva pure le SS come noi; non voleva farsi vedere.
Era piccolina, ma con quel gesto, quella carità per i fratelli affamati, sporchi,
smunti e laceri, essa dimostrò d’esser più grande della vetta del Grancampanaro
(Großglockner) che si erge in quei paraggi verso il cielo per ben 3797 m! Questo
suo gesto mi ha profondamente toccato il cuore; sono passati quasi quarant’anni e
non posso dimenticarla. Sia pace all’anima sua.
Nel lager c’erano dei giovani friulani, mal vestiti, cioè portavano vestiti di
mezza stagione e sentivamo già i rigori del clima di questo paesaggio montanaro
e freddo. Approfittando del fatto che in quella cantina dell’ospedale di Tamsweg
c’era un po’ di tutto, presero delle vecchie vesti e cappelli da donna per coprirsi.
Nessuno protestò, già, chi avrebbe avuto il coraggio. Sarebbe stato quasi un carnevale, da riderci sopra a vederli così conciati; ma da quanto tempo noi non ridevamo? E quando, quando buon Dio, potremo ridere nuovamente vicino ai nostri
cari e nelle nostre case?
Eravamo all’oscuro di cosa succedeva nel mondo, ma si sentiva il rumore degli
aeroplani che passavano sopra le nostre teste. Diretti verso nord, noi li contavamo,
le pale si fermavano, le “carriole” riposavano e furtivamente guardavamo i nostri
86
Faul = fannullone, pigro; tęufel = diavolo, maledizione; schnell = veloce.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
305
aguzzini pensierosi che poi scoppiavano, in teutonica lingua, con i più volgari
insulti contro di noi miseri che in quei rombi, in quei tuoni che ci pervenivano da
lontano allo scoppio delle massacranti bombe, che a dispetto di Goring87 cadevano sulle città dell’invincibile Reich, ci riempivamo di gioia e speravamo che la
libertà ci venisse incontro.
Siamo di domenica 25 settembre ’44. Dal comando del lager ci viene comunicato che possiamo scrivere e casa. Le promesse di poter scrivere si realizzano
dopo 20 giorni.
Il giorno 27 fuggono 4 dei nostri, furono raggiunti, bastonati per bene. Cade
la neve, si va lo stesso al lavoro, la neve è alta 40 cm. Quando si arriva sul posto
del lavoro bisogna prima pulire il posto dalla neve e poi pazientare, attendere
mezzodì per sfamarsi con della minestra composta di crauti acidi e patate, qualche carota e poi ritornare al lavoro sino alla sera. Al sabato riceviamo la tessera
per il rancio.
La domenica 1.10.’44 devo ripararmi le scarpe, fare il bucato e spidocchiarmi.
I pidocchi erano stabili ospiti sui nostri indumenti, maglie, mutande, ecc. Gli imprenditori usavano la tattica del premio, che consisteva in 1 bigliettino che dava
diritto al doppio rancio chiamato “Zulage” (aggiunta), per vederci gareggiare e
poter sfamarci. Però era difficile venirne in possesso, specialmente per me, con il
mio carattere orgoglioso, che sempre mi sono ribellato ad ogni sopruso.
Insofferenti e stanchi molti scappavano. Il 4 ottobre fuggono un capitano
dell’esercito di Palmanova, non ricordo il nome, e un mio paesano che ho già
nominato con il nome di “Zanito”. Sono stati visti fuggire da un criminale di
gendarme di nome Krömer che intimò loro di fermarsi con “alt, alt”. “Zanito”
si fermò, il capitano continuò a fuggire, ma fu raggiunto da una schioppettata e
ucciso. Lo sotterrarono nel cimitero di St. Michael. “Zanito” fu per bene battuto
e noi al raduno alla sera ci fu data una ramanzina con minacce.
Il giorno dopo nevicò tutto il giorno, ma al lavoro si doveva andare. Ricordo
che eravamo a scavare delle pietre e poi riempire dei vagoncini e di quando in
quando dovevo alzarmi per liberarmi dalla neve che mi si ammucchiava sulla
schiena. C’erano due compagni di sventura che lavoravano in falegnameria (il
mio paesano e l’altro uno sloveno che non so) per la riparazione delle baracche,
per la costruzione di scale che servivano per scendere alla cucina, perché il lager
era situato su terreno pendente, ed altri lavori che potevano occorrere nell’interno
delle baracche come tavoli, ecc. Quel già nominato gendarme Krömer, piccolo,
burbero, nervoso, era in trattativa con questi due falegnami, uno da Dignano, Antonio Gropuzzo, ed un altro sloveno, cittadino italiano di Bisterza prov. di Fiume,
cioè Ilirska Bistrica, ma non si potevano accordare sul prezzo per la costruzione
87
Hermann Wilhelm Göring, Reichsmarschall.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
306
di una cassa, un “Kofer”88, di legno con maniglia e serratura che poteva servire
per depositare indumenti e altre cose e chiuderle a chiave. Alcuni giorni prima il
sunnominato Gropuzzo consegnò all’autista, che andava giornalmente a St. Michael a prendere le proviande89 per i bisogni del lager, gli stivali per la riparazione.
Quando eravamo allineati per andare al lavoro al dopopranzo il giorno 6 ott.
’44, calzava alcuni zoccoli con suole di legno, con calcagno aperto, calzature
certe non idonee per una fuga. Dato che fra noi serpeggiavano dei propositi di
fuga, si avvicinò a me e ne parlammo. Io non approvai mai questi progetti di fuga,
dato anche la mala riuscita delle fughe precedenti. Noi partimmo, ci incamminammo verso il posto di lavoro, che allora era una cava di pietra, mentre essi, i
due falegnami, che avevano per ragioni di lavoro il permesso di uscire dal lager,
si spinsero un pochino verso il bosco per raccogliere dei funghi per arricchire il
rancio con qualcosa di extra che non fossero i soliti crauti e patate. Il criminale
gendarme Krömer, già nominato per le sue gesta d’assassino, uscì dal lager col
fucile, lo appoggiò alla spalla destra, strinse l’occhio destro, puntò su uno di loro,
poi sull’altro, strinse a sé il grilletto ed ecco giustizia fu fatta, a modo suo, perché
a lui, appartenente al popolo che sognava la dominazione del mondo per almeno
1000 anni, non si doveva rifiutare l’esecuzione del “Kufer”, la cassa. Due schioppettate che udimmo tutti noi che eravamo circa 1 km lontani di là, pensammo
subito qualcosa di triste fosse accaduto. Non passarono neanche 30-40 minuti che
il Capoposto della stazione dei gendarmi che facevano la guardia al lager, venne
sul posto del lavoro per renderci noto l’assassinio, cioè l’uccisione dei due, perché
disse lui tentarono la fuga. La giustizia tanto mai aveva raggiunto il suo scopo,
uccisero due innocenti; poca cosa di fronte ai milioni che furono asfissiati nel
lager di sterminio?
Alla sera quando fummo ritornati in baracca, venne da me il sergente Fuchs,
mi sgridò accusandomi che io ero d’accordo con loro per la fuga, perché videro
che io avevo parlato con Gropuzzo prima di andare sul lavoro. Passai un brutto
quarto d’ora, ma poi si convinse che io non avevo nulla in comune con questo
triste affare. Certo che il mio pensiero di liberarmi da quella tirannia era sempre
costante in me, ma pensavo all’avvenire, alla contentezza di trovarmi nuovamente
a casa mia, e non volevo arrischiare la vita, e poi come arrivarci sani e salvi sino
in Istria?
Siamo ai 7 d’ottobre, se ben mi ricordo era un sabato, e al sabato stanchi,
affamati si doveva andare verso la montagna, salire in su, fra neve e rigagnoli
d’acqua che scendevano in giù, a prender legna secca, fusti d’albero marci per la
stufa nostra e dei gendarmi e SS che ci custodivano. Ricordo che un giorno, mi
88
89
Ted. Kuffer = valigia.
Prob. dal dialetto proiande = riserve alimentari, cibo.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
307
scivolò il piede in uno di questi rigagnoli e m’immersi con la gamba quasi sino al
ginocchio nell’acqua gelida.
Il denaro che ci avevano preso ce lo ritornarono. Ad essi occorrevano le lire
per andarsi a prendere qualcosa in Italia, che in quei tempi avevo ancora qualcosa
da vendere senza tessera. Ci dettero 2 marchi per 10 lire. Bontà loro. Però in quel
giorno, che era l’11, ricevemmo anche 3 sigarette. Ricevemmo anche le tessere
nuove per il rancio90, più ancora la paga di 30 Pfenning di marco al giorno. La ditta viennese già menzionata ci pagava bene! Oggi si fa la fila per i “zulage”. Per me
niente “zulage”. Il “gobbo” grida: “poco lavoro!”. Oggi mi sono arrangiato con le
patate, 12 grosse, non so, non mi ricordo come le ebbi, ma quella sera ero sazio.
Siamo sabato 15 ottobre, oggi si deve andar in montagna a prender legna per
noi e per i nostri custodi; però essendo indisposto, soffrivo di emorroidi, fui esonerato di questa fatica. Approfittai per farmi la pulizia.
Il 16, che era domenica, la vista di molti aeroplani che volavano sopra le nostre
teste, ci incoraggiano a tener duro sino al giorno, che non potrà tardare, della nostra liberazione. In questi giorni mi ammalai e rimasi un giorno nella baracca. Il
“gobbo” domandò di me e dovetti andar al lavoro anche essendo ammalato.
Il giorno 20 era una giornata freddissima, pioggia. Il “gobbo” non si vedeva,
dicevano che fosse andato in Baviera a vedere come gli americani, con le loro
fortezze volanti, gli hanno sistemato la casa, ma sarà vero? Giorno e notte passavano sulle nostre teste immensi aeroplani che ci riempivano il cuore di gioia.
Sentivamo il loro andare e anche lo scoppio delle bombe che cadevano forse non
troppo lontano dal nostro lager, sulle città teutoniche.
Il giorno 22 ottobre mi trovai sulla strada che passava appresso il lager, mi
avevano messo a fare lo stradino. Certo la strada non era asfaltata, nelle buche
riempite con ghiaia, piene d’acqua e fango, gelate durante la notte, camminando
sopra queste pozzanghere si levavano e abbassavano come fossero di gomma. Io
con un vecchio stradino mi arrangiavo a riparare, ricoprire questi buchi, quando vidi un auto con la targa di Zagabria con entro alcune donne con un uomo,
si fermarono, mi chiesero chi sono, cosa sono queste baracche, mi dettero del
pane. A loro posi delle domande ma non ebbi alcuna risposta, chiesi come andava la guerra, ma non ebbi soddisfazione. Proseguirono il loro viaggio verso il
nord dell’Austria. Belgrado era occupata il 18 ottobre. Mi passarono per la testa
questi pensieri: questa è gente certamente compromessa con Hitler e Mussolini, ustaši che scappano verso gli alleati occidentali per non cadere in mano ai
partigiani di Tito.
I documenti “Essenkarte Nr. 113” (validità 11 ottobre 1944 – 24 ottobre 1944), la
tessera per il rancio e il numero “113” su stoffa (numero del deportato Vojvoda Erminio)
stanno in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
90
308
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
Il 23 vidi 30 aeroplani. Con le sigarette che ricevevo nel lager compravo un po’
di tutto, il commercio era rigoglioso nel lager, con 8 sigarette si prendeva un kg di
pane. Quando ritornò dalla Baviera era nervoso come un diavolo, certo che non
era tanto sicuro del suo Führer.
Ma spiego come era questo commercio? All’infuori del lager erano pure degli
operai cosiddetti liberi, erano venuti da tutta l’Europa occupata col miraggio del
denaro a servire coloro che, se avessero vinto la guerra, li avrebbero resi schiavi.
Questi operai erano trattati bene con un buon vitto, però quello che non avevano
abbastanza era il tabacco, così trafficavano con il pane che a loro non mancava.
Io non fumavo. A tutto ci si abitua, anche alla fame. Il nostro corpo con il suo
complicatissimo laboratorio chimico si adatta a tutto, al caldo, al freddo, al lavoro, a tutto. Soffrivo di un reuma acutissimo dal pollice della mano destra al polso,
valicando la zona del gomito, per poi affacciarsi sulla spalla, sul petto che quando
respiravo una forza mi opprimeva tenacemente. Questo reuma lo portai per anni,
ma non basta, mi feci fare una manica di lana che fermavo con un elastico al collo
e che portavo anche in piena estate. Quando però con la cura della fame, della
pala, del piccone e della carriola il reuma sparì, mi venne quasi la voglia di volgere verso Dio una preghiera che perdonasse i miei concittadini fascisti che per la
gloria dei loro duce e führer mi portarono a faticare per risanarmi completamente
da questo reuma cha da 40 anni non mi tormenta più. È pur vero che tutti i mali
non vengono per nuocere.
Siamo agli ultimi di ottobre del 1944, sabato 28; è da 4 giorni che si mangia
patate con la buccia, forse per fornirci di vitamina C! Oggi domenica 29 mi riparo le scarpe con arnesi che mi fornì uno sloveno, pure calzolaio, che ha avuto la
fortuna di lavorare fuori del campo per i soldati e i gendarmi. Cade la neve continuamente, pioggia che non finisce mai. Le gocce che scendono dal tetto hanno
formato delle stalattiti lunghe alcuni metri. Il freddo è intenso. Il 30 passo al solito
lavoro, carico vagonetti, anche se piove. I nostri “führer” non si bagnano; noi siamo tutti inzuppati, fradici. Mio fratello cade, ma non si fa male. Due friulani sono
chiamati e partono, per dove? Non si sa. Siamo all’ultimo di ottobre, riceviamo la
tessera nuova e 6 sigarette.
Oggi siamo il 1. di novembre del 1944, tutti i Santi. Dobbiamo andare al lavoro.
Qui non si festeggiano i santi, per loro, l’unico santo è Adolf Hitler. Sono 3 mesi
che siamo senza notizie da casa. Cosa sarà accaduto dopo la nostra partenza? Mio
fratello che aveva 4 figli; era imparentato con un grosso personaggio, volontario
di Guerra 1915-1918, fascista convinto e sperava nella rinascita dell’impero di
Roma per opera del Duce che aveva sempre ragione. Anche mio fratello sperava
che questo suo cognato, che era amico del segretario del fascio repubblichino di
Pola, lo liberasse dalle grinfie repubblichine e delle SS, ma ahimè, erano speranze
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
309
vane. I fascisti istriani, almeno quelli della prima e seconda ora, e forse da noi
in Istria anche della terza, non potevano capire che l’ora storica, che la svolta
dell’orologio della storia, stava per scoccare sul punto di dire basta con la loro
egemonia in Istria! Siamo anche noi che vogliamo vivere da uomini liberi e non
schiavi o “s’ciavi”.
Oggi 2 novembre è una bellissima giornata, si lavora sodo anche per riscaldarci, perché le calorie che ci fornivano loro con il solito rancio di crauti, patate
con la buccia e carote non erano sufficiente a darci il calore necessario per tenerci in salute. Curioso però, con la fame, con le privazioni alle quali eravamo
sottoposti, mai nessuno soffriva di raffreddore. L’aria era pura, di montagna, era
questo che ci teneva in salute. Le conversazioni tra noi erano sempre improntate
alla speranza, col tenace volere di resistere per tornare a casa, a vivere la nostra
vita di uomini liberi. Si vociferava che avremmo ricevuto delle calzature con
suole di legno, un mantello e che saremo a Katschberg sino al 31 di novembre.
Mio fratello aveva 5 corone d’argento austriache, ma durante la nostra assenza
erano sparite, qualcuno le aveva rubate nel nostro armadio. Nella notte sognai
mia moglie cha cantava al mio ritorno, ma quando mi svegliai fui abbagliato dalla luce accesa in baracca. Questo era il segnale della sveglia. Purtroppo il sogno
non era vero. Bisognava alzarsi, rinfrescarsi la faccia, prendere i 25 dkg di pane,
un po’ d’acqua nera e poi allineati, per la partenza verso il luogo di lavoro.
3. XI. Questa mattina era un bel tempo, al dopopranzo pioggia. Verso mezzogiorno ritorno al lager per la solita brodaglia, tutti affamati, stanchi; si appressano al finestrino della cucina dove un triestino sloveno faceva il cuoco. A suo
tempo avevo costretto mio fratello a non fumare; le sigarette le passava al cuoco
Turković, così si chiamava.
Avevo con me pure il vaso di alluminio, che mi era rimasto da quando ero in
prigione a Pola, con il quale mia moglie mi portava da mangiare. Con la scusa
di prendere acqua al lavandino, andavamo con questo vaso e con tutte e due le
gavette a prelevare il rancio con le rispettive tessere dalle quali il cuoco tagliava
il tagliando. Egli, d’accordo per le sigarette che riceveva, su una tessera lo tagliava e su una no; ci si rifugiava nel lavandino, si svuotava la gavetta nel vaso,
si ripuliva la gavetta e si ritornava allo sportello con la gavetta pulita, la tessera
intatta, e si saliva sul cavalletto del giaciglio, di sopra, noi dormivamo sopra,
e si svuotava il vaso. Questo durò parecchio tempo. Qualcuno, e chi poteva
esser se non un nostro paesano, per giunta uno di estrema sinistra, protestava
che noi ci arrangiavamo con le sigarette. Questa triste storia mi turbava molto,
ma le giornate erano sempre le solite, l’unico pensiero nostro era di riempire
lo stomaco. Qualcuno passava all’immondezzaio dove giacevano i rifiuti della
cucina, bucce di patate, di carote, poi le lavava e le poggiava sulla stufa calda
e le mangiava.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
310
Nei giorni seguenti fu un tempo bello, sabato 4. XI. Il “gobbo”, bavarese, nazista convinto, voleva che noi lavorassimo più svelto. Se l’era presa con mio fratello
e non ci dette il “Zulage” che mi promise alla mattina. Questa aggiunta di rancio,
“Zulage”, ci mortificava, si sperava di riceverla, ma invece era più volte un’illusione; non si poteva esser certi che il “Gobbo” terrà fede alla promessa data alla
mattina? Era tutto un mezzo per far lavorare noi poveri schiavi. Dopo, stanchi, si
doveva salire in su verso la cima del monte a prendere la legna, la fatica si ripeteva
ogni sabato. Oggi però ci passò un po’ meno triste, ricevemmo dieci sigarette e
vedemmo tanti aeroplani che andavano verso nord a bombardare i covi residenziali di questa infame banda nazista. La domenica era riservata alla pulizia, al
rattoppo della biancheria.
Siamo ai 9. XI, alla mattina, accompagnati sempre dalle SS, ci incamminiamo
in fila indiana verso la cava di pietra che esisteva a circa 1 km dal lager. Perché in
fila indiana? La bufera di neve imperversava durante la notte, alla mattina cessò
un poco, la neve caduta era oltre il mezzo metro. Coi nostri piedi formavamo
un canale nella morbida neve, poi girammo a destra e ci inoltrammo nel bosco,
questa era la prima volta che ci portarono su questo posto di lavoro. Il cassone
degli arnesi era coperto di neve, si doveva pulirlo, alzare il coperchio e prendersi
il piccone, il badile e inoltrarsi in cava, sotto il grido costante di quel maledetto
“gobbo” che sempre gridava “Weiter, Weiter”91. Lui si rifugiava nella baracchetta,
costruita apposta per osservare come i suoi schiavi lavorano, mangiando il suo
“brot”92, coll’immancabile “spek” per riscaldare il suo corpo di superuomo.
La cava era coperta di neve, si doveva pulirla, e poi col piccone distaccare pietra per pietra, raccoglierle col badile, caricare il vagonetto, quando pieno veniva
inviato presso il frantoio per essere macinato. Durante la mattinata cominciò a
cadere la neve che ci riempiva la schiena con il bianco candore, e noi dovevamo
ogni tanto sbattere, facendo rotolare il nostro denutrito corpo per non aggravare
ancor più col peso sulla schiena le nostre fatiche. Dio mio, come potevamo noi
sopportare tanta fatica, tante umiliazioni, queste brutture morali che ci venivano
inflitte da uomini come noi, da creature umane, se così si potevano chiamare!
Gente al servizio di una brigantesca ideologia che non teneva conto che sotto il
manto di questa volta celeste siamo tutti figli, creature dello stesso essere supremo che ci pose su questo pianeta per vivere, amarci, comprenderci, aiutarci? Ma
vale la pena di fantasticare su tutto ciò, quando non sapevamo come si svolgeva
questo immane conflitto che doveva portare “l’ordine nuovo”? Non era già deciso
forse che tutti dovevano vivere da schiavi? Questi e tanti pensieri mi passavano
per la testa; pensavo, giudicavo poi con serenità tutto questo e poi esclamavo dentro di me con tale forza: no! Iddio non può permettere questi delitti senza punirli,
91
92
Ted. Weiter = avanti, di più.
Ted. Brot = pane.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
311
verrà, verrà la fine, ritornerò a casa, vivrò la mia vita a modo mio, e finirà tutto
questo. Certo verrà un giorno quando tutto questo mi parrà un sogno non vero! E
poi, e poi saranno proprio la libertà, la fratellanza, la democrazia tanto decantata
prima del mio internamento, o sul cadavere del nazifascismo ne nascerà un altro
con un altro nome?
Mi svegliavo da questo fantasticare con le grida “Weiter, Weiter”, o se era di
notte con l’accensione della luce che mi svegliava e mi rendeva alla realtà, che era
quella della neve, del badile, del piccone, del lager e delle SS. E tu caro prigioniero, non sei nato per comandare, tu devi solo “mus arbeit”, devi lavorare, il tuo cervello è stato costruito, creato per servire, e non devi affaticarti con i tuoi progetti
per l’avvenire, ti stancherai troppo, perché anche per pensare consumi energia, è
meglio che la risparmi per fare le strade belle per la signoria teutonica. (…)
Sabato 11. XI. 1944. Le rotaie sistemate erano destinate alla costruzione di
una piccola ferrovia per trasportare la ghiaia dalla cava alla strada nuova che si
costruiva per raccorciare la vecchia, si lavorò sino alle 11 e mezza, il “gobbo”
compose la lista del “Zulage”, però sospese la consegna. Al dopopranzo dovemmo andare due volte in montagna a prender legna, 80 cm di neve, tempo siberiano.
Imprecazioni interminabili di tutti. Aeroplani, tanti, erano la nostra speranza.
Alla sera mi spidocchiai. Trovai 5 abitanti che mi succhiavano il sangue. Passammo 8 giorni senza lavarci il viso e le mani, perché i tubi dell’acqua erano gelati.
Oggi 12. XI. ’44, domenica, pulizia, lavatura biancheria. Dato che era un freddo tremendo, senza guanti, ci ingegnammo a tagliare le coperte, questo lo facevano tutti, ma non tutti erano accorti e astuti per imbrogliare i nostri custodi. Io e
mio fratello tagliavamo tutte le coperte e ne avevamo due per ognuno, dato che a
un eventuale controllo risultassero intatte. Qualcuno aveva del filo, forbici e aghi
e così in giornata si fanno i guanti. Quando videro che tutti avevamo i guanti,
sospettarono che le coperte erano le nostre fornitrici del materiale e un bel giorno
ci fecero uscire con le coperte per controllarle. Qualcuno pagò perché ne aveva
una corta e una lunga. Io e mio fratello la passammo liscia, le nostre coperte erano
intatte. A prendere il rancio a mezzogiorno vado io, mio fratello non può uscire e
rimane in baracca, comincia a sentirsi male.
Lunedì, 13. XI, si va al lavoro verso la cava di pietra. Si comincia il trasporto
delle traversine e delle rotaie per la ferrovia adibita al trasporto della ghiaia. Il
“gobbo” sgrida mio fratello e lo spinge facendolo cadere, e con lui cade anche
Leršić. Nevicava copiosamente, eravamo in un bosco di alberi alti, montagna,
freddo; muti, affamati, costretti a questo duro lavoro con un clima rigido, con il
termometro sui 20 sotto zero. Sembrava di vedere un film sui deportati in Siberia
al tempo della Russia zarista. Abbiamo i piedi tutti bagnati.
Il 14 era una bella giornata. Oggi mio fratello, che di professione era fotografo,
di costituzione piuttosto debole, cadde due volte ed il “gobbo” gli affibbiò 3 pugni,
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
312
cadde e la bestia nazista lo sgridò ancora con: “Ti sta bene, alzati”. Sgridò pure
me per il vagone che non andava a posto. Se non era grande la speranza e il forte
desiderio di superare tali umiliazioni e tali angherie di quella banda criminale, lo
avrei ucciso con un colpo di piccone sulla testa.
Siamo ai 15. XI, ci incamminiamo al solito posto, nella cava. Le pietre sono
coperte da 30 cm di neve; bisogna pulire la neve e poi il solito, rimuovere le
pietre per riempire il vagonetto. Dobbiamo ritirarci per lo scoppio delle mine. Il
“gobbo” grida come una bestia. Eravamo sicuri io e mio fratello, ed a pochi passi
da noi altri. Un friulano getta una badilata di pietre dietro di sé senza calcolare
dove andranno a finire. Una pietra appuntita mi cadde proprio sul pollice della
mano destra e mi aprì una fenditura di 1 cm che mi fece vedere le stelle anche se
era giorno e cadeva la neve. Provai un dolore intenso, lacerante, corsi nel rifugio
riscaldato del “gobbo” che mi fasciò e mi mandò al lager che distava un buon km.
Incontrai 3 persone anziane alle quali rivolsi le solite frasi: “Bite geben sie mir
ein stück brot, ih bin ungrich”. Mi dettero un pezzo di pane, il gendarme alla sera
mi dette anche lui da mangiare, poi il “gobbo” mi dette anche i “Zulage”. Quella
sera ero sazio.
Ora sono ferito, ammalato, quanti giorni rimarrò in baracca? Ricevetti una
lettera di ritorno, certo che non era permesso di essere inoltrata. Scrissi una cartolina postale datata 17. XI. 1944 che ancora conservo93.
Chiedevo a mia moglie: stivali, calze di lana, guanti, sciarpe e poi vitamine,
olio, zucchero, marmellate e tabacco. Perché il tabacco? Io non fumavo e non
ho mai fumato. Certo che mia moglie avrà pensato perché il tabacco? Di questo
parlerò ulteriormente.
Oggi 16. XI. causa la ferita sono in baracca. Il sergente dei gendarmi, Fuchs,
mi prega di cambiare la valigia. Avevo una bella valigia color marrone e mi ricordo e che ci mettemmo d’accordo. Mi dette la sua rozza e brutta e un paio di kg
di pane in cambio della mia. Bisognava essere gentili con i nostri angeli custodi.
Un proverbio americano dice. “Non dar pedate all’alveare, se intendi ricavarne
il miele”. Questo gendarme non poteva darmi del miele, ma rendermi forse più
sopportabile la mia prigionia!
Oggi era il primo giorno della mia permanenza in baracca. Era un freddo
intenso, 13 sotto zero, stalattiti pendenti dal tetto di oltre 2 m. Ricevetti 3 patate,
non ricordo chi me le arrostì sulla brace della stufa che continuamente ardeva. 6
uomini furono portati in lager, causa il freddo cadevano per terra. Il rancio oggi
era una vera brodaglia, patate con la buccia e crauti. Oggi bastonarono uno dei
nostri, Domenico soprannominato “Mazero”.
Oggi, 17. XI, 5 friulani, ed erano tutti giovani, sono ritornati dal lavoro intirizziti. Tanti, tanti aeroplani, erano la mia speranza. Ero contento anche se ferito,
93
La cartolina spedita dal lager alla moglie il 17.11.1944 sta in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
313
e la ferita andava bene, ne sarà per un mese? La speranza di una fine in breve
aumentava in noi così come aumentavano nel cielo gli aeroplani. Dato che mi
trovavo in baracca per la mia ferita sul dito pollice della mano, sentivo il ronzio
degli aeroplani che in stormi di centinaia tiravano al nord. Uscivo dalla baracca
a guardare. Vedevo il gendarme e qualche altro, che sognavano di dominare il
mondo, che erano col muso duro, mentre io gioivo e mi ritiravo in baracca per
sfogarmi e ridere. Sì, ridevo e gioivo, e cosa potevo fare altro? Da quello che sentivo e vedevo, aumentava la speranza che presto finirà quell’inferno. Il freddo era
insopportabile. Detti a mio fratello la mia giacca, tanto a me in baracca non serviva. Alla sera ricevemmo 10 sigarette che finirono subito nelle mani di Turcovich
per il “Zulage” clandestino.
Oggi 18 passa senza che mi accada niente di importante. Siamo il 19, domenica, ricevemmo mezzo kg di pane bianco e burro. Non seppi mai il perché, forse
era una loro festa. Siamo ai 20. XI, visita dei malati, eravamo in cinque, ci promettono rancio migliore, ci danno 2 sigarette e la paga di 4 marchi. Non ricordo
per quanti giorni di paga erano quei 4 marchi.
Il 21. XI. mi misero ad assestare della legna fuori della baracca sulla strada
che portava al deposito delle rape, patate e carote, sito metà sottoterra per evitare
il congelamento. Il deposito era distante dalla cucina circa 30 metri; dai cuochi
che trasportavano le patate ne ebbi 3 cosicché anche oggi riempii un poco lo stomaco. C’erano con noi diversi sloveni. Due, certi Logar e Cvetek, erano due bravi
ragazzi. Dopo l’annessione al grande Reich loro, della zona di Bled e di Bohinj,
erano diventati cittadini germanici e potevano ricevere da casa con facilità pacchi
con ogni ben di Dio, mentre noi non avevamo questa possibilità. Ci dettero due
pezzi di pane, 1 paio di calze; ricevetti pure da Logar pere e dei fagioli. Ci promisero inoltre di aiutarci ulteriormente. Infatti anche il giorno 23 io mi trovavo
in baracca per la ferita al dito e dai due sloveni sunnominati ricevetti dei fagioli
e del pane. Mio fratello è ammalato, non mangia, ammalati ne sono una ventina.
Malvestiti, malcalzati, lo stesso devono andare al lavoro. A me promettono lavoro
in lager. Ci promettono pure di farci operai liberi. Emilio, mio fratello sta male, e
a me fasciano la ferita, ne avrò forse per un mese. (…)
Siamo il 12. XII, pulire neve sino a mezzogiorno. Lavoravamo assieme agli
addetti alla strada, cioè con gli stradini, erano 2 vecchi e il soldato SS che ci sorvegliava. Pregarono per me il capoposto dei gendarmi che mi lasciasse in baracca.
Se mi sono poi rimesso alquanto, posso pregare e mai dimenticare coloro che mi
aiutarono in questo per me triste e doloroso caso di gastroenterite, che dato le
condizioni di vita, senza assistenza medica, poteva essermi fatale. È stato proprio
Franz Logar, quello già nominato, sloveno, che mi fornì dell’aglio e mi mise su
una zolla di zucchero non so che liquido nero che conservava in una boccettina, a
rimettermi nuovamente in efficienza per dare il mio contributo a questa maledetta
314
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
banda di nazisti che sognavano ad occhi aperti il dominio del mondo. Sono passati tanti anni, ma non posso dimenticarlo questo giovane Franz. Era un caso raro
in lager.
Ai 13. XII. fummo chiamati e messi in fila per le scarpe. Finalmente ci daranno le scarpe. Le scarpe erano dell’esercito italiano, scarpe per alpini, ma senza
chiodi. Non mi ricordo quanto ce le hanno fatte pagare, era naturale che quei
quattro marchi che ricevevamo al mese di paga ce li cavassero dal borsellino; perché con il nostro facchinaggio non avevamo neanche diritto ad un paio di scarpe.
L’umanità nazista era giusta per loro, noi non eravamo che esseri da sfruttare,
uomini di razze inferiori che si dovevano sfruttare sino a farli crepare. A conferma di quanto detto, oggi stesso 16 uomini ammalati, affamati, decrepiti, dato che
non potevano più rendere per pagare la brodaglia che ci davano, sono partiti per
la centrale della Gestapo a Salisburgo e poi s’intende ai campi di sterminio. Fra
questi era un certo Fioranti di Dignano ed Antonio Demarin che non videro più il
loro paese perché non fecero più ritorno a casa.
Siamo il 14 di dicembre, il meister mi costringe a lavorare per pulire la neve
che cadeva continuamente, in contrasto alla preghiera degli stradini di lasciarmi
riposare causa il mio malessere.
Ai 15 alla mattina Leršić, che fungeva da interprete e parlava abbastanza bene,
oltre al croato, il tedesco e l’italiano, mi tirò fuori d’autorità, perché lui anche si
considerava un po’ quale mezzo padrone così sfuggiva al grave lavoro con astuzia, grazie alla carriera di interprete che gli fu affibbiata dal “gobbo”. Questo
Leršić, nativo dell’isola di Veglia, a suo tempo faceva il macellaio ad Abbazia che
fu al tempo dello K. u K. il luogo di villeggiatura dell’aristocrazia imperial-regia
dell’impero austriaco e là si parlava, oltre che il croato parlato dagli abitanti di là,
anche il tedesco e l’italiano. Questo individuo smilzo, lungo, secco, si comportava a suo agio secondo la sua personalità poco morale, cosicché per far piacere
ai padroni mi tirò fuori e mi costrinse al lavoro pur sapendo il mio cattivo stato
di salute. La cattiveria umana non ha limiti; pur di fare qualche volta il proprio
tornaconto, ci si comporta da mascalzoni. Queste mascalzonerie tra gli uomini
non finiranno mai, perché l’uomo non è ancora uomo e ci vorranno ancora dei
millenni per liberarlo dall’involucro che lo avvolge.
Il giorno 16 si va al lavoro, il “gobbo” minaccia 4 di noi perché non rendevano
troppo, secondo lui. Era rabbioso ancor più per il fatto che invece di badare alla
pala, al piccone eravamo tutti con il naso in su a contare gli aeroplani. Ce n’erano
tanti tanti, 400, che al “gobbo” nazista preoccupavano, dei sussulti nervosi che poi
sfogava su di noi poveracci. E poi che poteva fare, gli aeroplani erano troppo alti
e lui nulla poteva contro di loro. Anche Göring disse una volta che mai gli aeroplani nemici sorvoleranno la Germania. Povero “gobbo”, cosa potevi tu se il tuo
maresciallo Göring ha fallito di fare il profeta; non ti rimaneva altro che sfogare
la tua bile sopra di noi! (…)
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
315
Il 21 assieme ad altri 3-4, dato il nostro cattivo stato di salute, accompagnati
da un soldato piccolo, insolito ci portarono alla visita medica a St. Mihael. Certo
per vedere se eravamo ancora abili almeno al lavoro manuale al quale eravamo
assegnati; trovai alla visita un giovane medico, certo non tedesco, che mi ascoltò
pazientemente quando gli parlai del mio stato di salute. Mi curai anni prima di
una parodontosi e temevo che, dato il denutrimento, potesse insorgere nuovamente, e lo pregai se mi potesse dare delle compresse di vitamina C. Me ne porse non
so quante che mi giovarono, credo molto; lo ringraziai tanto.
Così siamo arrivati alla vigilia di Natale. I giorni 22 e 23 passarono senza
nessuna novità, eccetto la neve, le stalattiti che scendevano dal tetto ed i soliti
aeroplani che sorvolavano le nostre baracche riempiendoci di gioia nella speranza
di veder presto crollare questo impero teutonico, che non era che la dimostrazione
della criminalità, dell’infamia, del delitto frutto dei bassi istinti da questi superuomini del nord.
Oggi vigilia di Natale; la cucina ci offre gnocchi di pane, budino, patate, poi
ci fanno la lista di tutto ciò che si doveva tenere pulito e ordinato. Il giorno di Natale ci fanno la pasta asciutta, purè di patate. Il 26 orzo in minestra, 1 polpetta, 1
pezzo di pane duro e formaggio. Triste questo Natale senza notizie da casa. E poi
come questi nazisti, che calpestano tutto quanto sia di cristiano, osano con il vitto
farci festeggiare il Natale. Ma non è questa una burla bella e buona per tutti coloro
ai quali il cervello ancora funziona? Può darsi che i gendarmi nella cucina non la
pensavano nazisticamente o forse dubitavano dell’efficacia del Blitzkrieg (guerra
lampo). Noi non potevamo sapere, perché tra noi ed il mondo c’era una barriera
di filo spinato, ma loro sapevano già allora quante batoste avevano preso.
Siamo il 27 del mese di dicembre 1944, mio fratello lo portano con altri alla visita medica. Aveva un dito del piede congelato. Il lager führer ci fotografa. Questa
foto l’ha fatta forse per dimostrare che loro in questo piccolo lager non erano poi
tanto crudeli. Difatti non erano ad eccezione di uno di nome Krömer.
Il 28 e 29 mi mettono a lavorare col muratore, era un buon uomo, mi dette
del pane. Il 31 dicembre si rammenta un triste episodio che vissi assieme a mio
fratello. Come già detto il giorno 13 ricevemmo degli stivali i quali non avevano
né chiodi né ferri sui tacchi. C’era un mio paesano che faceva il fabbro, saltuariamente lavorava in officina per affilare, ossia appuntire gli arnesi del nostro
pesante lavoro, picconi e altro. Quando un giorno, andando al lavoro e parlando
con lui strada facendo, lo avevo pregato se mi poteva fare dei ferri per i tacchi per
non scivolare, mi aveva risposto di sì. Io gli rammentai che non avevo denaro per
pagarlo, ma non fece caso e mi disse: “Sì, sì, non fa niente, te li farò”. Me li fece
e io li applicai ai miei tacchi. I ferri avevano tre sporgenze, 2 ai lati e una sul giro
posteriore del tacco, per evitare di scivolare che ci poteva essere fatale. I ferri se
li faceva pagare 8 marchi al paio, però io non li pagai perché lui sapeva che io
né mio fratello non avevamo denaro perché speso per pagare gli stivali ai nostri
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
316
sfruttatori come già descritto. Da allora, cioè dall’acquisto delle scarpe e ancora
da quando quei due sloveni ci aiutarono, erano trascorsi quasi 40 giorni; venne
nella nostra baracca questo “compagno” e mi disse: “Dame 8 marchi per i ferri, se
no cavali e dameli indrio!”. Non sarebbe niente di strano se costui fosse un tedesco ancor più nazista, ma un “compagno” di vecchia data che, perché sospetto di
essere tale, fu deportato in Germania. Racimolammo questi 8 marchi e lo pagammo. Tutto avrei potuto aspettarmi che mi succedesse in prigionia, ma non che un
socialista si comportasse in questo modo verso di me che come lui fui deportato
solo perché non sopportavo le angherie e le sopraffazioni della banda fascista.
Certo che con gli 8 marchi avrà realizzato qualche sua idea progressista! Tutto
questo, era certo, lo avrà fatto per invidia dato che io e mio fratello ricevemmo
aiuti da quei due sloveni. Perciò ci doveva rendere amaro quell’aiuto privandoci
di quei miseri marchi che ci costavano tante fatiche. Da allora mi convinsi che
gli uomini si conoscono solamente in questi momenti così tristi in prigione, in
campo di concentramento e in occasioni simili; solo allora arrivi a conoscere chi
ti è amico e chi è veramente uomo e non bestia. Di queste bestie in forma umana
il mondo ne è pieno. Mi domando quando l’uomo sarà veramente uomo?
Siamo arrivati alla fine del 1944. Il 1. I. 1945 ci dettero un buon rancio, purè,
carne, budino e alla sera acqua nera come al solito.
Oggi 2 gennaio ci comunicano che mio fratello deve essere trasferito. Dove?
Io per lavori leggeri.
Oggi 3 rimasi in lager per pulir neve, comperai un paio di calze da un SS per
3 sigarette, ne avevo bisogno.
4. I. 1945. Il gendarme, lo chiamavamo “il rosso” perché aveva i capelli rossi,
mi offrì 6 patate. Le abbiamo cucinate e arrostite. Mio fratello rimase in baracca e
della faccenda delle patate era compito suo. Oggi stesso fu comunicato che assieme ad altri all’indomani dovrà partire. Il giorno avanti mi interessai, pregando il
comandante dei gendarmi di trattenere mio fratello con me, ma fu invano, dovette
partire. Ero addolorato, ma che potevo fare? Niente!
Alla mattina del 5. I. 1945 furono allineati 20 prigionieri, tra i quali mio fratello e altri due dignanesi (Delzotto e Bonaparte)94. Il distacco fu molto triste, è
stata l’ultima volta che lo vidi; era triste, certo pensava ai suoi quattro figli che
non avrebbe mai più visto. Certo andarono alla Centrale della Gestapo per essere
poi inoltrati in altri lager secondo le informazioni dei fascistissimi cittadini di
Dignano che allora imperavano. Mio fratello a Dachau fu distrutto dalla malattia
Nel Diario della prigionia di Erminio Vojvoda (note a margine sul libro di Alexis
Carrel “L’uomo questo sconosciuto”, ed. Bompiani, Milano 1943, conservato in ACRS, f.
E. Vojvoda, cit.), a pag. 19, si legge: “Oggi partenza di Emilio, Bonaparte, Lasagna, più
altri 17. Triste il distacco, ci si raccomanda le famiglie”.
94
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
317
e finì nel forno crematorio di quell’infame lager ideato dalla tecnica criminale e
dalla pazzia hitleriana.
Oggi stesso fui messo a pulir neve sulla strada che passava accanto al lager,
era per me una brutta giornata, nulla si sapeva della situazione. Bisognava pazientare e null’altro.
Siamo il 6, Epifania, a spalare neve alle dipendenze di Pihler, un altro aguzzino, che mi apostrofava continuamente con “faul” (pigro). Dato che passo per
pigro, io non ricevo il “Zulage”. Sono molto in pensiero per mio fratello. (…)
12. I. ’45. Oggi sono alle dipendenze di Heilinges (?) sino a mezzodì. Quello
scemo di Petar, che fu la causa dell’arresto di me e di mio fratello ancora a Enzingerbaden, si introdusse in questo gruppo. Feci di tutto per cambiar gruppo e ci
riuscii, perché non volevo che mi succedesse di nuovo qualcosa di simile. Rimasi
così nuovamente in lager con Pihler assieme ad altri 20 uomini per allargare il
lager.
Oggi 13. I io e un altro mio paesano, Mazero, siamo sulla strada a pulir neve,
passò un prigioniero russo che certo era assegnato ad un austriaco come aiutante
per il lavoro dei campi. Domandai se ha “hleb”, pane, mi rispose di no, ma mi
promette per lunedì, oggi è sabato, si lavora sino all’una. Oggi però è una giornata fortunata. Avvistiamo una slitta con tre ragazze, chiediamo del “brot”, ce ne
danno un quarto di chilo, lo spartiamo e poi andiamo a depositare le pale. Il piccolo gendarme Adolt mi dà il suo brodo. Questo addolcimento dei gendarmi non
mi era comprensibile dato che noi relegati qui non sapevamo cosa succedeva sui
fronti. Questo piccolo gendarme era buono e umano con noi, conservo pure una
foto dove siamo ritratti assieme95. Alla sera Cveteh, lo sloveno già menzionato, mi
dette la sua cena metà della quale conservai per l’indomani che era domenica 14.
I. Oggi mi trovo veramente sazio. Alla domenica le solita pulizia.
Lunedì 15. I ancora un gruppo con Pihler che mi dice sempre “der grosse
faul”, grande pigro. Non sono stato mai pigro, ma valeva la pena a non fare i pigri
e risparmiare l’energia per il giorno della libertà? Quanta pazienza e coraggio si
doveva avere per conservare la pelle. Così trascorse anche il giorno 16, giornata
fredda 18 gradi sotto lo zero. Oggi hanno fatto 5 operai liberi.
Oggi 17 sono messo a scavare buche per mettere i pali che dovevano servire
per allargare il campo per la venuta degli inglesi, così dicevano. Non potevo e mi
rifiutai di scavare la buca perché mi era impossibile, perché il terreno era completamente gelato. Venne in mio aiuto un giovane friulano, Nane Sian (?), e scavammo diverse buche che ci procurarono alla sera una razione e mezza di brodaglia e
una patata con la buccia. Già, “paia o fien, basta ch’el corpo sia pien”: così si dice
a Dignano. Oggi stesso ho ricevuto notizie di mio fratello, che è in attesa con altri
4 di partire per Dachau.
95
Foto di gruppo scattata nel lager; sta in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
318
Oggi 18, 13 gradi sotto lo zero, pulire neve e fare le buche. Siamo ai 19. I. ’45.
Oggi ho avuto un lieta sorpresa, venne a Katschberg un parente di mia moglie
che lavorava a Klagenfurt come operaio libero, faceva il pittore e a casa lo chiamavamo “Penel”. Mi portò una valigia piena di ogni ben di Dio, più notizie da
casa, fresche di 13 giorni; più una foto di mia moglie. Tante, tante sigarette. Ne
regalai 60, a tutti una, a quelli che mi erano di conoscenza più stretta. Regalai
pure dei sigari ai gendarmi. Questo Penel si appropriò di 10 scatole di sigarette,
più ancora tabacco, un maglia, una camicia e un paio di calze che mia cognata
mandò per mio fratello che ormai era a Dachau. Penel portò anche qualcosa per
altri, tra i quali il già nominato Zanito che venne in baracca mia a chiedermi
se avessi forse un paio di calze sue. Difatti trovai un paio di calze che non figuravano nella lista mia e le detti a questo Zanito, ma trafugando nelle tasche
dei calzoni che appartenevano a mio fratello, trovai la lista degli oggetti spediti
che mia cognata compose. Andai con la lista da questo Zanito per farla vedere.
Dissi: “Guarda che quelle calze sono di mio fratello e non tue, leggi”. Mi rispose
che sapeva leggere meglio lui l’italiano che io il croato, e con ciò si trattenne
le calze pur sapendo che non erano sue. Di questo uomo, di carattere ipocrita,
semianalfabeta, sarà da raccontare ancora alla fine di questo mio racconto e ne
sarà anche per gli altri degni suoi compari.
Dopo questo, avendo ricevuto tante sigarette, potevo comperarmi del pane, il
prezzo era 7 sigarette per 1 kg di pane, e non pativo più la fame come prima.
Il giorno 21 continuammo i contrasti con i miei degni concittadini96 per il tabacco, le calze che mancavano secondo la lista che trovai nella tasca dei calzoni
di mio fratello. Non basta questo, a suo tempo l’amministrazione del lager preparò
una baracca ampia e pulita nella quale fece alloggiare i prigionieri più puliti e
più disciplinati e tra i quali fui anch’io. La maggioranza di questi erano sloveni o
croati. Anche per questo mi odiavano e mi dissero che sono un venduto. Venduto
a chi? Quando eravamo a Dignano, se per futili motivi si veniva a un diverbio con
qualcuno di loro, il primo insulto che mi indirizzavano era “porco de s’ciavon”.
Nel Diario della prigionia…, cit., p. 48, si legge: “Vado dai Bumberi nuovi contrasti
con Malusà, mi offende, mi dice venduto, a chi, non capisce ragione. Mi risulta che
Demarchi ha tabacco… Penel dice di aver perduto tabacco forte. Quello di Demarchi
sarebbe di mio fratello, contrasti con lui… finalmente ci siamo messi d’accordo. I
Bumberi non mi possono vedere, mi odiano perché sono in baracca coi slavi. A Dignan
ero s’ciavon, qui dovrei essere italiano!”. Si permetta qui una digressione linguistica
con una nota sull’uso fatto dall’autore dell’appellativo Bumberi per indicare gli abitanti
di Dignano, piuttosto che i più diffusi in epoca contemporanea bòumbari (istrioto) e
bumbari (istroveneto); la stessa forma e precisamente bumbero la si riscontra in una
pagina di storia degli usi e costumi del popolo dignanese di Attilio Tamaro del 1893 (in
TAMARO, M., Le città e le castella dell’Istria, Parenzo, Coana, 1893, vol. II, pag. 602).
96
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
319
Però in lager per far piacere a questi idioti dovevo considerarmi un purosangue
italiano. Poveri imbecilli. Se sono stato internato, io e mio fratello, è stato più per
la nostra appartenenza alla nazionalità croata che non per altro, perché i tedeschi
non sapevano nulla di noi ed è stato solo per l’odio antislavo di certi criminali
fascisti che, approfittando della presenza dei tedeschi, vollero mandarci qui per
eliminarci. Forse così speravano di salvare l’italianità di Dignano, e forse anche
dell’Istria.
22. I. ’45. I contrasti tra me e i miei concittadini continuano. Franzele mi prega
di dargli dell’olio portatomi da Penel, in cambio di pane, non potei accontentarlo.
Con le sigarette acquistavo del pane a sufficienza, e poi lo meritava? In giornata
abbiamo dovuto pulir dalla neve le adiacenze esterne del lager. Perché? Lo sapremo più avanti.
Il 23 si dovette continuare il lavoro di ieri sino a mezzogiorno. Il dopopranzo si
va accompagnati da una SS verso la cima di Katschberg. Dato che procedevamo
lentamente, il soldato mi spinge, Mazero viene tirato per le orecchie. In cima alla
vetta dove c’era una trattoria, si doveva montare una baracca. Il giorno 24, di nuovo, a montare questa baracca, il freddo era intorno 17 sotto zero97. La questione
delle calze, del tabacco ritornò alla ribalta, con Franzele che si proclama lui e tutta
la compagnia d’esser dei galantuomini. Questa discussione dallo stesso viene riportata in baracca dove alloggiavano gli altri miei concittadini. Il fabbro, che mi
estorse gli 8 marchi per i tacchi, mi offende e mi taccia di fascista, cioè perché
non sono di quelli come lui che sfruttano i suoi compagni di sventura rubando
loro. L’ingegnere Brumer, al quale avevo ceduto un paio di mele, che ricevetti
da casa per mezzo del già nominato Penel, mi dette del pane e del burro. Questo
ingegnere, che dirigeva i lavori, non era mal disposto verso di noi, anzi. La fame
continuava per la maggior parte dei prigionieri, perciò quando si aveva l’occasione di lavorare esternamente, quando passava per la strada che era attigua all’entrata del lager qualche contadino che andava in paese, tutti domandavano “brot”.
Così Mazero in quel giorno domandò ad uno di loro che non ne aveva, rispose
“aspettami domani”. Nel medesimo tempo il soldato lo fermò e gli consegnò un
pugno, svanì così anche l’appuntamento per la mattina seguente. E non potè con
il pane, che avrebbe ricevuto, riempire lo stomaco come desiderava. Eravamo
stanchi, trasportavamo dei tronchi per la baracca. (…)
Siamo domenica 28 gennaio ’45; non ci lasciano riposare, dobbiamo salire su,
sulla montagna a prendere legna98 per noi e per i nostri angeli custodi, se così si
Cfr. Diario della prigionia…, cit., p. 49: “Oggi di nuovo a Katschberg a montare una
baracca, freddo intenso, 17 gradi, si finisce alle 3.50. Demarchi mi chiede olio e si discute
ancora delle calze. Riferisce a Rota. Rota mi minaccia e offende e mi dice più che fascista
faremo i conti. Brumer mi dà pane e burro”.
98
Cfr. Diario della prigionia…, cit., p. 51: “Vengono con me Lupieri e Gorlato”.
97
320
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
possono chiamare. Il giorno più freddo era il 29, con 25 gradi sottozero, con la
stufa accesa in baracca è rigido tanto che abbiamo le mani intirizzite. I vetri sono
coperti da uno strato di ghiaccio, che non ci lascia vedere altro. Oggi ci lasciano a
casa e aspettiamo. L’amico Logar mi chiamò; era a letto, aveva freddo, soffriva di
bronchite. Corsi a prendere una coperta delle mie e lo coprii. Era un mio dovere,
aveva fatto per me e per mio fratello molto quando ne avevamo bisogno. Tutto si
potrebbe dimenticare, ma mai dimenticare d’esser grati verso coloro che ci hanno
aiutato nel momento del bisogno.
Il 30 si continua a pulire dalla neve la periferia del lager per poi fare i buchi
per la posa dei pali per l’allargamento del lager. Certi prigionieri, specialmente i
giovani, corrono sul letamaio a prendere, se le trovano, delle bucce di patate che
poi, dopo averle pulite, mettono sulla stufa per cuocerle, e poi mangiarle. Per i
giovani questo era il supplemento al rancio.
Il 31 gennaio ascoltiamo dalla caserma dove alloggiano i gendarmi come dalla
radio sbraita, minaccia, urla il Führer dell’ordine nuovo. Nevica tutto il giorno.
Alla sera riceviamo le tessere nuove, poi noi i soliti commenti. Domani siamo il
1. febbraio. Ai 3 sarà S. Biagio, protettore di Dignano. Gran festa con afflusso di
fedeli dal circondario, con bancarelle all’infinito. Il duomo pieno zeppo di fedeli
che si allineano attorno ai banchi messi in circolo per farsi ungere la gola.
Oggi 1. II. continuiamo a scavare il canale per piantare i pali e poi mettere la
rete di filo spinato. Ironia del destino. Con altri 2 dignanesi, Antonio Gorlato e
Zanito, io e il “meister” dobbiamo fare la gabbia per noi e per gli altri. Dicono che
verranno i polacchi, prima dicevano gli inglesi. E noi dove? Il gendarme piccolo
mi offre una foto per due sigarette, foto s’intende dove sono ripreso anch’io e che
conservo ancora. I gendarmi si sono fatti più amici, forse intravedono l’avvicinarsi del crollo. Ci lasciano entrare in baracca con anticipo. Il gendarme grasso si
lagna del servizio e brontola, impreca. Buon segno, perché siamo anche noi sulla
medesima linea che desideriamo ardentemente che finisca questa umiliante vita
di fatiche e di privazioni. Ai 2 febbraio, dopo aver piantato i pali, tiriamo i fili,
ma guarda un po’, dopo che il meister Pihler mi diceva sempre “du bis faul” (sei
pigro), adesso sono diventato un esperto meister per fare i reticolati. Al gendarme che ci guarda con quel poco di tedesco che sapevo dico: “Vede, caro meister,
come siamo bravi; ci facciamo la gabbia per noi”. Non poté far altro che ridere di
gusto.
Oggi 3 febbraio è il giorno quando, come già detto, a Dignano si fa gran festa.
Noi qui lontani da casa nostra, si lavora allargando il lager per l’avvenire della
nostra prigionia o forse per gli altri? Sono immerso nei miei pensieri provocati
dalla nostalgia per la mia terra, per il mio paese natio, per le sue feste e per S.
Biagio. Mi appoggio per alcuni momenti sul manico del badile e mi immergo,
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
321
quasi dormendo, nel passato. Nella mia fanciullezza non riuscivo tutti gli anni
ad andare in chiesa, come facevano tutti i dignanesi, perché occupato a casa ad
aiutare in osteria gestita da mia madre. Ero però sempre sano, ma qui su questa
montagna, isolato dal mondo, come si poteva dimenticare. Ah, che malattia incurabile è la nostalgia. Come un interminabile film mi passano davanti tutti i San
Biagio della mia vita. Mi ricordo l’unto sul collo, che si pratica nel duomo a protezione e per intercessione presso il Buon Dio per mezzo di S. Biagio che dovrebbe
conservarci la gola sana. Finché mi sveglio con il grido del “meister”: “Schnell,
schnell! Arbeit, arbeit! Mai noi qui, con questa aria, ci vorrebbe ben altro per
soddisfare la nostra gola e per tenerci in forza; potremo stare senza l’unzione con
l’olio nostrano d’oliva? Com’ero immerso nuovamente in questi pensieri, fui chiamato dall’ingegner Brumer, che mi porse il “Zulage”. L’ingegnere ed i gendarmi
ormai mi consideravano uno specialista in reticolati e mi premiavano con pezzi
di pane e “Zulage”. Il pane lo spartisco con Zanito99, dopo esser stati in guerra
per la questione nazionale! Nel corso della giornata passano due contadine. Forse
anche loro, poverine, avranno i loro cari lontani; ci danno del pane. Questo pane e
il “Zulage” sono venuti forse per intercessione di S. Biagio. Nella vita succedono
tante volte delle coincidenze che non si sa come e perché, eppur accadono. Non
ero a casa mia per festeggiare il nostro patrono, eppure ho ricevuto pane e “Zulage” e in quel 3 febbraio ero sazio. Così fantasticando, passai la notte tranquilla,
anche perché il mio stomaco e la mia gola erano calmi, soddisfatti e non imploravano il solito “dacci del cibo”.
Oggi 4. II. 1945 ci comunicano che su proposta di farne 26, solamente 16 hanno fortuna di uscire dal lager; dicevano che fra 8 giorni saranno liberati altri 14.
Vedremo. (…)
Il 9. II. è un venerdì; nevica. Facciamo il contratto io e i miei operai, con il mio
“meister” per 2 giorni, in questi due giorni dobbiamo chiudere il lager. Dopo aver
avuto notizia che il gruppo comprendente mio fratello era stato inviato a Dachau,
avevo scritto una lettera che mi è ritornata oggi. Dove sarà? All’uscita ricevo da
un contadino di passaggio un pezzo di pane e lo spartisco con i miei compagni
di lavoro. Da quando ricevei tabacco, sigarette da Penel, come ho già descritto, le
sigarette per il cambio con pane erano già da un bel po’ di tempo finite e la fame
era presente giornalmente, la calmavo di quando in quando se mi arrideva la fortuna come oggi di ricevere del pane, ma non lo tenni solamente per me, anche gli
altri pativano la fame come me.
Il 10. II. abbiamo finito di chiudere il lager. Quando ci hanno permesso di
scrivere a casa, scrissi che serviva tabacco, tabacco. Ricevei 1 pacco di ogni ben
di Dio: miele, tabacco, caramelle e tante sigarette. Ero tanto felice, ma anche
Cfr. Diario delle prigionia…, cit., p. 55: “Fuch mi dà del pane, lo spartisco con
Malusà dopo esser stati in guerra! Domenica si lavora sino alla 1”.
99
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
322
molto dispiacente, mancava mio fratello. Avevo catarro e tosse, il miele mi giunse
proprio ad ora. Sognai la notte passata, con un carro di pacchi che accompagnavo
alla stazione ferroviaria, ma ne ricevei solo uno; quando lo apersi tutti mi erano
intorno, curiosi. Quando scrissi a casa, comunicai a mia moglie di avvisare tutti
dove siamo, perché gli altri erano restii a scrivere. Accontentai nel limite delle
mie possibilità tutti con qualche caramella e sigaretta, anche i gendarmi ebbero
qualche sigaro per farli più mansueti nei miei riguardi.
Oggi domenica 11. II. mi riparo il cappotto e scrivo a mia moglie.
Siamo ormai il 12, nevica, metto a cuocere qualcosa di quello ricevuto da casa,
un pezzo di lingua e cotica di maiale, ma non sono contento, penso sempre a mio
fratello. Scrissi pure a mia cognata di non sapere più dov’è.
Forse per il mangiare insolito, dopo il ricevimento del pacco ho disturbi di stomaco, l’intestino non funziona più regolarmente. Nella notte fra il 12 e il 13 devo
correre alla latrina per 4 volte. Nevica, fa freddo e ho un malessere generale. Alla
mattina vorrei rimanere a letto, ma un essere odioso che fa da interprete, mi fece
alzare come fosse il “lager führer”. Devo andare al lavoro. Passai una giornata
orribile, non mangiai niente, stavo male, malissimo. Con questa gastrite, senza
nessuna cura, senza comprensione da parte di nessuno, in mano a questi angeli
custodi, non c’era da stare allegri, eppur si doveva resistere per ritornare a casa;
questa era l’unica forza, il ritorno a casa, che mi dava il coraggio di resistere al
male. Così cominciai a star meglio. Ma era un miglioramento illusorio; costruito
dalla mia forte volontà e non altro. Il 14 passai una notte infernale, corsi 2 volte
alla latrina, all’aria aperta, dove mi sono insudiciato. Quando terminerà questo
martirio?
Il 15. II. ricevo il secondo pacco, è un avvenimento questo che mi fa felice, e
poi mi rammento di mio fratello che non so dov’è, come starà, avrà fame? Io non
ho voglia di mangiare, ho il catarro in gola da 20 giorni più la gastrite. Quando
non avevo cosa mangiare, avrei mangiato pietre, ora non posso mangiare perché
sono ammalato.
16. II. Sembrava che il reticolato sulla strada fosse finito alcuni giorni fa, invece
no, dobbiamo ultimarlo meglio, rifinirlo. Siamo in tre, io e altri 2 miei concittadini.
Sulla strada che passa accanto al lager passano dei contadini che vanno al mulino
a St. Mihael e da loro riceviamo sempre qualcosa; in quel giorno abbiamo avuto da un contadino un pezzo di lardo, lo spartiamo in tre. Oggi mi sento meglio.
Anche il giorno 17 passa una contadina con la slitta e ci getta un pezzo di lardo. Il lavoro lo terminiamo alle tre. Ho anche la fortuna di prendere i1 “Zulage”.
Il 18. II. è domenica. Ricevo una lettera di mia moglie che porta la data del 10
dicembre100. Ha viaggiato 3 mesi e mezzo! Sono molto triste e nervoso. Finalmente siamo sistemati nella nuova baracca.
100
La lettera scritta dalla moglie datata 10.12.1944 sta in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
323
19. II. ’45. Oggi successe una cosa molto grave: venne da me il sergente Fuchs
e mi accusò di aver lasciato aperto il reticolato nelle vicinanze della cucina e di
non aver chiuso con filo spinato sino in fondo il recinto che chiude il lager e mi
minacciò di rappresaglie. Passai un momento molto brutto. Il lager giaceva su un
terreno montagnoso con forte dislivello, la cucina era situata più in basso, dietro
la cucina era il deposito dei viveri, su degli scaffali era depositato il pane. Da
una finestra e dall’esterno del lager si vedevano questi appetitosi pani. I miei due
compagni di lavoro, senza mettermi al corrente del loro progetto di escogitare un
piano per procurarsi in qualche modo del pane con cui calmare la fame che era
persistente, lasciarono aperto di sotto, senza che io me ne accorgessi, per poter
uscire e arrampicarsi sul tetto che era basso e per di più fornito di un abbaino. Si
procurarono una stanga di legno e innestarono all’estremità un chiodo per poter
agganciare il pane e levarlo dallo scaffale. Di notte uscirono, s’intende a mia insaputa, mettendo in pratica quanto avevano progettato di fare. Questo lo seppi dopo.
I gendarmi non potevano accusarmi perché non avevano le prove. Io ero ignaro
e innocente, ma chi pagò fu il cuoco sospettato di furto e fu mandato a lavorare
con noi. Così finì questa avventura che poteva costare la vita a quei due se fossero
sorpresi in flagrante. Credo che, data la situazione, i gendarmi lasciarono passare
così a buon mercato questo episodio, che se fosse accaduto tempo addietro poteva
costare la vita anche a me. Dopo quanto successo, il giorno 20 dovetti di persona
chiudere per bene quell’apertura vicino alla cucina. Dai miei compagni e concittadini per giunta non ebbi neanche una briciola di quel pane che mi tolse in quei
giorni la tranquillità e la pace. Ma si può cambiare la natura degli uomini? La
fame fa compiere a certi individui inconsciamente delle cose che potrebbero essere causa di tristi e fatali conseguenze. Ma qui non era solo la fame, ma l’egoismo
di quei due i quali sapevano che io ero il responsabile per il lavoro e lo stesso mi
misero in pericolo di perdere per questo la vita, senza colpa.101 (…)
Il 23. II. all’uscita per andare al lavoro il gendarme Krömer, questo piccolo
verme, criminale, uccisore di due prigionieri uccisi tempo addietro, mi insulta e
mi apostrofa con la parola “Jud”, giudeo, ebreo.102 Perché? È facile capire il perL’autore parla spesso degli screzi con i suoi compaesani e compagni di prigionia,
screzi che sembrano risalire al periodo precedente la cattura e sembrano continuare,
secondo voci popolari, anche a Dignano dopo la liberazione. Qui come altrove queste
incomprensioni sembrano acutizzate dall’esperienza della fame; a tal cfr. HAMMERMANN G., Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Bologna: Il Mulino,
2004, pag. 160: “I morsi della fame provocavano anche grandi tensioni all’interno delle
baracche. Nei racconti si parla di reciproca diffidenza, di liti, risse e furti. Così la denutrizione aveva spesso come conseguenza anche la disgregazione dei legami di gruppo nelle
squadre di lavoro.”
102
Cfr. Diario della prigionia…, cit., p. 69: “23 Venerdì; oggi con la slitta a trasportare
101
324
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
ché, dopo aver ricevuto i pacchi da casa, avevo delle sigarette, ne regalai a tutti,
anche a lui, ma lui le voleva di nuovo. A me servivano per comprarmi del pane, lui
il superuomo le voleva gratis. Per attutire un eventuale colpo di questo farabutto,
regalai poi un sigaro al capoposto dei gendarmi. Dicono che ci sono alla posta di
St. Mihael 16 pacchi per noi.
Oggi 24. II. mandano me e un altro103 a St. Mihael con il camion a prendere
il pane. Dal panettiere riceviamo 2 pani di regalo. Nel trasporto ci getta un pane
fra la neve e poi furtivamente lo prendiamo. Oggi stesso ricevo 3 lettere che mi
consolano tanto. Una di mia moglie e una da un mio nipote da Trieste, la terza non
mi ricordo da chi. Alla sera pulizia personale e cambio biancheria.
25. II. ’45. È domenica, ci fanno il controllo per le coperte ed altre seccature
che ci stancano. Insomma non ci danno pace, ci promettono le sigarette, ma non
ce le danno.
26. II. L’ingegnere mi rivolge la parola per dirmi che il materiale che abbiamo
scaricato sabato, composto da lamierini, è in parte rovinato. Ma che c’entro io?
Si vede che questi superuomini cominciano a perdere la testa. Essendo all’oscuro
di quanto succedeva sui fronti, come andava la campagna in Russia, come procedeva l’avanzata degli angloamericani e come andava la guerriglia in Jugoslavia,
noi non potevamo giudicare il comportamento dei nostri capi, ingegneri, meister,
ecc. Perciò ogni debolezza dei nostri custodi ci infondeva un’immensa speranza
e ci incoraggiava a tener duro, per sopravvivere e ritornare alla nostra bella terra
istriana. Si parlava poco di questo tema, primo perché non avevamo notizie e poi
non avevamo il tempo di trattenerci su ciò. Stanchi ogni giorno, e poi la pulizia,
l’assestamento del giaciglio, non ci dava pace, l’unico pensiero era quello di ogni
giorno, di arrivare al domani ancora vivi. Dovevamo ritornare a casa, questo era
l’essenziale! Ma quando?
27. II. Questa mattina non mi sentivo ben disposto, sentivo nell’aria qualcosa
di insolito. In quel giorno ero ancora sulla strada: i fili erano, secondo il “meister”, tirati male e si doveva sempre aggiustare qualcosa. Nel corso del lavoro
rientrai nel lager per prendere qualcosa, di guardia sulla porta era il gendarme
Krömer, quel piccolo furfante che voleva le sigarette gratis. Mi chiese perché il
reticolato davanti alla loro casermetta non era ultimato; gli risposi che il “meister” Pihler mi ha fatto andare sulla strada per regolare certi fili e che io non
sono il capo, che si rivolgesse a lui. Per risposta ebbi un sonoro ceffone che mi
fece girare su me stesso. Sono di carattere molto irascibile, nervoso sempre
pronto a dare risposta e non so come mi sono trattenuto a non ritornargli il
neve, stanchi, qualche aeroplano. Kremer dice jud, vorrebbe sigarette gratis. Regalo 1 sig
al meister. Miletti chiede e riceve risposta – 16 pacchi sono da (?) giorni al (?) di Pola”.
103
Cfr. Diario della prigionia…, cit., pag. 70: “io e Gorlato”.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
325
ricevuto schiaffo. Ma che potevo fare? Fosse stata la fine, mi avrebbe ucciso
come ha fatto con gli altri. Lo avrebbe fatto di sicuro solo perché alcuni giorni
prima non gli avevo dato le sigarette. La mia testardaggine ed il mio orgoglio
mi potevano essere fatali. Potevo aspettarmi la morte sicura da questo infame
bandito teutonico. Fra questi austriaci, a dir il vero, c’era anche della brava
gente, specialmente le donne, che con le slitte andavano al mulino a St. Mihael
e ci davano del pane e altro. Oggi l’ultimo giorno di febbraio mi trovavo sulla
strada per sistemare qualche filo, fili che non erano mai a posto e che io e i miei
uomini appositamente lasciavamo da ultimare, anche per il fatto che passavano
queste donne. Oggi una di esse ci porse tutta la sua merenda. Povera donna,
chissà quale tormento la faceva soffrire e voleva con ciò alleviare il suo dolore,
offrendoci il suo cibo. Forse aveva il marito lontano in guerra, strappato anche
lui dal natio focolare per conquistare il mondo, uccidere e poi forse morire per
il folle disegno di un pazzoide.
Questo 1. marzo che ricorre oggi, a casa mia lo consideravo un giorno di festa,
Sant’Albino, il mio secondo nome, è il primo che non festeggio a casa. Lo ricorderò per tutta la vita, anche per quel sonoro schiaffo ricevuto ieri. Mi lagnai con
il sergente Fuchs, che sembrava più umano, e mi promise che ne avrebbe parlato
col capoposto Wisse. Oggi riceviamo le sigarette. Fuchs le vuole lui in cambio di
pane. Lo accontento, tanto il cuoco Turković non è più in cucina per poterle dare
a lui in cambio di rancio. (…)
2 marzo. Fa molto freddo, solito lavoro, il gendarme Gačnik, un omaccione
nostro amico, parla sloveno, deve essere carinziano, proibisce di andare sull’immondezzaio a cercare patate mezze marce. Di solito ci andavano i più giovani
perché faticavano la fame più di noi. I miei mi stuzzicano di mettermi a fumare,
s’intende così avrebbero qualche sigaretta anche loro. Io non ho mai fumato, e non
so cosa sia questo vizio, ma se posso stare io senza perché non possono farlo loro?
Non riesco a convincermi che certi non possono stare senza fumare. Ho assistito
a delle scene inverosimili. Uno comincia a fumare, il fumo si spande intorno, il
profumo del tabacco entra nei tubercoli polmonari di questi fumatori che stanno
alcuni metri lontani, che certo saranno molti giorni senza fumare. Si accalcano
intorno al fortunato che è venuto in possesso di una sigaretta. Cominciano le
preghiere: dammi una fumata. Queste implorazioni finiscono solo quando l’ultima fumata di questa sigaretta, che ormai esiste quasi solo nella fantasia di questi poveri disgraziati, brucia le labbra dell’ultimo che la spegne sulle sue labbra.
Sembrano tutti impazziti.
Oggi ho avuto fortuna, passa un contadino con la slitta e mi getta un pane
di burro. I “danke, danke” (grazie) indirizzati a questo buono e bravo uomo non
finivano mai; finché non si perse la sua figura sulla scia della strada e non lo
vedevo più.
326
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
3 marzo. Tempo addietro avevo ceduto delle sigarette al capo Pihler per del
pane, ma il pane non viene, aspetto già 3 settimane. Chiesi al suddetto “meister”
perché non mi pagava, ma non rispose, il pane non lo vidi mai. Nel lager la borsa
nera fioriva, si comperava con sigarette, ma non con il denaro, un po’ di tutto. Non
erano esenti neanche i “meister”, in divisa e senza.
È da tempo che si mangiano rape, patate congelate con la buccia. Il rancio è
peggiore di quello che si prepara ai maiali; a me procura disturbi gastrici, per cui
anche questa notte dovetti correre più volte alla latrina.
4. III. Domenica, siamo in baracca; tutti parlano di quello che hanno sentito
dire dagli altri; si commenta che ci sono buone speranze, si spera per Pasqua, 2-3
settimane. Fuori nevica. Mi chiamano a tappare un buco nel reticolato, perché un
prigioniero di Rovigno, certo Bof, era uscito, chissà perché i gendarmi non fecero
troppo caso. Io dovetti chiudere il buco. Sembra che i nostri custodi non pongano
troppo caso alle infrazioni contro l’ordine nazista, così severo tempo addietro.
Forse, dato che essi ascoltano la radio e leggono i giornali, intravedono prossima
la fine del sogno pazzesco del loro Führer di dominare il mondo per 1000 anni?
5. III. Oggi soffia un forte vento, freddo intenso. Sembra che dopo tanti rattoppi il reticolato che chiude il lager sarà finito. Oggi parlano con insistenza che di
nuovo faranno degli operai liberi. Penso e mi pongo spesso questa domanda: ma
allora perché il lager si allarga se tutti sperano che fra 2-3 settimane sarà finito
tutto? Allora questi biondi del nord sono pazzi, oppure non si possono convincere
che hanno armai perduto o stanno per perderla questa “briscola” cominciata nel
1939 con tanta baldanza e forse ormai agli ultimi sgoccioli? Vedremo. Parlano
che verranno i polacchi, ma se vengono giù i polacchi, vuol dire che i russi sono
ormai in Germania? Noi eravamo all’oscuro di tutto. Mentre sognavo e fantasticavo ad occhi aperti, mi chiama il sergente Fuchs e mi offre della grappa. Avevo
in mano la gavetta con il solito “beverone” e volevo mescolare la sua grappa con
il mio rancio, Fuchs mi grida: “Schlecht” (male). Per lui si era “schlecht”, ma non
per noi. Ieri consegnai l’indirizzo di casa mai all’ingegner Brumer che dirigeva
i lavori e aveva un simpatia per me. Aveva un cognato, sembra, soldato a Pola;
intravedeva la fine e forse voleva un appoggio sul luogo per sfuggire ad eventuali
rappresaglie. (…)
15. III. Oggi sono 8 mesi del mio arresto e deportazione in questa terra, ma ciò
che più conta, l’incontro con gente di diverse nazionalità, sloveni, croati, friulani
e direi tanti istriani; mezzi slavi e mezzi italiani. Tutti compagni di sventura, che
sognano e sognavano la libertà, ma quale libertà? Esiste una libertà che può essere accettata incondizionatamente da tutti? Ne dubito? Sembra che la vera libertà
non esiste e forse non esisterà mai. Intanto i sogni dei nostri custodi vengono
intensamente turbati dall’afflusso di centinaia di aeroplani che sorvolano il cielo
e col loro rombo ci comunicano: sperate, presto finisce! Nel corso della giornata
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
327
il “meister” dei gendarmi di St. Michael, che ogni tanto si recava quassù forse a
controllare i lavori, mi chiede per la seconda volta come mi chiamo. Si commenta:
forse per farci operai liberi? (…)
Oggi siamo il 17. III, ci fanno andare alla stazione ferroviaria di St. Michael a
scaricare carbone; nel ritorno mandano Bof a prendere il latte con il camioncino.
Il latte non era per noi; era per le SS, gendarmi e operai liberi. Nel tragitto da St.
Michael al lager, Bof si prende dalla tasca una sudicia scatola che conteneva una
volta delle pastiglie Valda, la vuota del contenuto composto di qualche Pfennig,
apre il coperchio dei vasi, riempie la scatola di latte e beviamo 3-4-5 volte del latte
crudo senza pensare alle conseguenze che potrebbero sorgere in seguito, qualche
infezione intestinale. Non si pensava a tutto. L’unico nostro pensiero era riempire
lo stomaco. Però alla sera ci danno il “Zulage” e ci preannunciano che domani
comunicheranno chi sarà libero operaio.
18 domenica. Attendiamo la lettura degli operai liberi. Dei 66 proposti 58 sono
lasciati in libertà. 8 rimangono prigionieri, così anch’io. Nessuno dei dignanesi
esce. Da questi fatti mi risulta che tutti noi di Dignano, e se ben mi ricordo eravamo una ventina, avevamo dei buoni amici a casa nostra.
19. III. Oggi S. Giuseppe si va al lavoro, 23 “gefangene” (prigionieri), 16 da
una parte con 1 “meister” e 7 dall’altra. Passa l’ingegner Brumer, mi vede e mi
domanda: “Warum Sie nicht frei arbeiter?”. Anch’io domando: “Warum?”. Mi
promette che fra 14 giorni faranno altri liberi. Anch’io penso che se non fra 14
giorni almeno fra 2 mesi sarò libero sul serio, senza l’approvazione di coloro che
a casa mia decidono dell’alta e bassa marea e della politica locale e sul destino di
esseri umani. Su questo tema sarà da raccontare in fine chi era l’amico a Dignano che desiderava la fine mia e di mio fratello. A farmi sperare la prossima fine
di questa dolorosa avventura sono gli stormi di aeroplani sempre più numerosi
che si vedono nel cielo a centinaia, che passano rombando sopra di noi. Sembra
che esprimano a voce rauca, forte li li ber ber tà tà! Eh sì, la libertà che avanza a
grandi passi anche senza l’approvazione di qualche fallito gerarca di casa mia che
sognava la rinascita del secondo Impero romano.
20. Penso sempre lo stesso, a casa, a mio fratello, dove sarà, ma arriverò a superare tutto questo, come sarà con questi liberi, ossia tutto questo non è forse una
manovra della polizia locale per addolcire la nostra prigionia in vista del crollo
imminente? Scavo il canale per lo scolo dell’acqua. (…)
29. III. Giovedì santo, carriola, carriola, urla dei capi, “schnell, schnell”. Fra
noi girano delle notizie incontrollabili che lo stesso ci danno tante speranze.
30. Venerdì santo. Nel corso delle mie fatiche, fermandomi e poggiandomi sul
manico del badile, mi passa per la testa e vedo come in una visione quello che
succedeva il venerdì santo alla sera, nel mio paese, a Dignano in Istria. Una fantasiosa processione con le finestre tutte illuminate, processione che durava ore, con
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
328
musiche, con la partecipazione di tutte le confraternite come allora si usava; ma
presto mi svegliai alla realtà, ero prigioniero politico, per le mie idee democratiche, ed ero qui per opera di coloro o colui che questa sera, superbamente, seguirà
il “Santissimo” dietro il baldacchino, salmodiando forse per la vittoria nazista.
Oggi stesso ho ricevuto un altro pacco da casa.104 (…)
1.4.45.105 Oggi 1. aprile, giorno di Pasqua, dobbiamo spogliarci. Tutti i nostri
stracci vengono disinfettati in un arnese, ossia caldaia, che viene portata ad alta
temperatura per distruggere i nostri eventuali subinquilini che di notte ci punzecchiano, succhiando il nostro corpo già anche troppo smunto per le fatiche che durano già da 9 mesi. Oggi stesso un certo ispettore di nome Slatin (?) ci comunica,
un po’ sorridendo, che la fine è prossima. (…)
5.4. Tutto il lager è in subbuglio, si raccontano tante cose, di migliaia di paracadutisti sopra Vienna, ecc. Certo qualcosa di grande succede. Fa un freddo
intenso. Alla sera all’appello mi viene tolta le tessera del rancio per tre giorni perché ho trasgredito ad un ordine dato giorni addietro dai gendarmi. Ora racconterò
il fatto. Come già descritto nelle pagine precedenti, il nostro campo, composto
di poche baracche, è stato allargato. Al suo allargamento, per quanto riguarda i
reticolati, io ero tra gli operai per questo lavoro. Precedentemente esisteva solamente una fossa, che serviva da latrina, con sopra una tavola messa per lungo per
appoggiare i piedi, e questo era tutto. Col rinnovamento del lager fu, diciamo,
rimodernato questo primitivo sistema dai falegnami. Fu costruito un tavolaccio
con relativi buchi per poggiarsi, sedersi, per i propri bisogni corporali. Questi
poggiatoi dovevano rimanere puliti, perché secondo i nostri teutonici custodi,
doveva essere tutto pulito, dato che secondo loro dovevano venire gli inglesi o i
polacchi; s’intende dopo la nostra partenza. Credevano forse ancora che la vittoria
sarà dalla loro parte quando già i russi avevano accerchiato Berlino! Lasciamo da
parte la situazione politica e strategica di allora e passiamo ai fatti. Alcuni giorni
prima un prigioniero, di nome Stanko Jamsčki (?), che era addetto col camionista
al trasporto delle derrate, cadde dal camion e si fratturò la gamba. Fu ricoverato
nell’ospedale di Tamsweg. Dopo il ricovero rimase in convalescenza parecchio
tempo nel lager. Portava delle calzature con tacchi di gomma, si appoggiava su
un bastone fornito alla base di gomma. Alla mattina dello stesso giorno, prima
del lavoro, mi recai alla latrina. Di queste buche ce n’erano una decina, le passai
una per una, ma tutte erano sudicie, andai sino in fondo, feci anch’io come fecero
gli altri, salii coi piedi sopra. Questo verme di Jamsčki approfittando delle sue
Cfr. Diario della prigionia…, cit., p. 101: “30. Venerdì santo, come è triste trovarsi
qui senza speranza, oggi zuppa e pasta asciutta, Pasqua senza processione, senza cena,
solo rape! Iddio provvederà. Oggi ho ricevuto il terzo pacco di mia moglie”.
105
Cfr. Diario della prigionia…, cit., p. 103: “1. Aprile, burla grande trovarsi in lager e
spogliarsi e disinfettare la roba il dì di Pasqua”.
104
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
329
gomme sui tacchi e del bastone gommato, senza farsi sentire venne sino al posto
dove ero io, non mi disse niente e uscì. Alla sera, come già detto, per questa infrazione mi fu tolta la tessera per tre giorni. La mia situazione era triste, non solo
per il mangiare che mi sarebbe mancato, ma ero molto avvilito al solo pensiero
che un compagno di prigionia, per farsi voler bene dai gendarmi, si permise di
fare la spia. Non so cosa poteva sperare di ricavare da questo mostruoso atto di
vigliaccheria. Il giorno dopo lo presi per la giacca, lo apostrofai con ogni sorta
d’insulti e se avessimo visto la fine assieme sono certo che me l’avrebbe pagata.
Il giorno 6. IV. fu quasi un giorno di digiuno. Un amico che io pure aiutai
quando ricevetti i pacchi da casa, certo Polesinani, mi offerse mezza minestra.
Le brande dove si dormiva erano a due piani, sotto di me dormiva un mio concittadino, certo Franzele, lo chiamavamo così. Quando ricevetti il primo pacco da
casa, ricevetti un paio di scarpe nuove che non andavano bene. Le cedetti a questo
essere imbroglione e ad un altro per venderle all’ingegner Brumer per del pane,
tanto io del pane potevo procurarmelo con le sigarette che avevo ricevuto con i
pacchi da casa.
L’amico Ferruccio Polesinani s’incaricò, d’accordo con il cuoco, che mi avrebbe preso il caffè alla mattina, andò anche con la mia gavetta, ma dietro di lui era
anche questo Franzele, al ritorno in baracca si rivolse a questo Jamsčki dicendogli: “Stanko, guarda che Ferruccio ha preso il caffè per Vojvoda!”. Questa lurida
figura di spione non disse niente. Non andò a denunciare nessuno, non denunciò
me, né Ferruccio, né il cuoco. Forse pentito di quanto aveva commesso e anche suppongo per le minacce da me rivoltegli. Quell’essere perverso, ingrato, che
avrebbe dovuto aiutarmi, il quale dormiva sotto di me, sarà oggetto di altri fatti
prima della fine di questo mio racconto; sembrerà di non credere che possano
esistere ancora simili esseri su questa tormentata terra. (…)
8.4.1945. Oggi fu una giornata molto allegra per me. Il fatto che sto per raccontare mi rinforzò nello spirito e nel corpo. Non avevo più fame, anche se per
tre giorni ero privato della brodaglia, e ancora doveva pesare su di me quella
morale depressione che mi aveva colpito al solo pensiero di esser stato trattato
così malvagiamente dai miei compagni di prigionia. E veniamo ai fatti. Siamo in
domenica, chiamano una dozzina di operai tra i quali anche me. Ci portano oltre
il Katschberg, cioè verso il confine della Carinzia, ad un certo punto ci fanno
fare delle buche ai lati della strada. Troviamo lì dei vecchi boscaioli che segano
degli alberi. Io lavoro come una macchina, allegro, tanto che il “meister” estrae
dalla sua tasca il “brot” e me ne porge una grossa fetta come per ringraziarmi
di tanto zelo. Ma sapete cosa dovevamo fare? Bloccare la strada con dei tronchi
acciocché i “tenks” russi o anglo-americani non potessero entrare nel cuore del
“Große Reich”. Ridevo in me, silenziosamente, guardavo il “meister” tutto felice
del lavoro che si faceva; tanto avrà pensato, questi uomini di razza inferiore non
330
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
capiscono che lavorano per prolungare la loro prigionia. Io alzavo ogni tanto gli
occhi al cielo e contavo, contavo gli aeroplani, quanti erano. Erano tanti, tanti,
andavano verso nord. Si sentiva il rumore dei loro motori, ma si sentiva anche il
tuono delle bombe che lasciavano cadere lontano da noi. Pensavo: siamo alla fine?
9 aprile 1945, lunedì. Nuovamente lavoriamo nel canale. Carriola e carriola,
ricompare il “gobbo”, dicono che era in Baviera, cioè nel suo paese nativo, grida,
insulta che non finisce mai. Tempo addietro gli avevo dato delle sigarette, gli chiedo il pane, ma non risponde. Confabula con gli altri tecnici sul lavoro di domani.
Siamo vicini alla strada, passano altri camion, soldati allo sbaraglio, senz’armi,
donne, bambini, molti ungheresi. Quando andiamo in lager per la solita brodaglia
a mezzodì incontriamo tanti fuggiaschi; da dove vengono? Per noi, per i quali
vige ancora la disciplina nazista del lavoro forzato, non sappiamo cosa pensare.
La barriera che da 9 mesi ci separava dal mondo non ci permetteva di sapere
cosa succedeva fuori. Vedere questi fuggiaschi che dall’oriente fuggivano verso
l’occidente ci dimostrava in certo qual modo che sta per finire il nostro martirio.
10 aprile 1945, martedì. Con il nostro “gobbo” siamo tutti sulla strada, non si
lavora, non hanno munizione per far smuovere il materiale della scarpata per far
riempire il canale. Oggi ci diminuiscono la razione del pane. Rape a mezzodì e
alla sera. Vediamo delle auto con sopra i bagagli, con targa di Fiume. Due friulani
passano accanto a noi, ci salutano, hanno le biciclette, si arrampicano su verso la
cima per poi scendere nella Carinzia e filare verso casa. Ah! Se ne avessi una io di
bici, come correrei verso casa! Tutti sono affamati. Domando il pane ad un altro
“meister”, me lo deve per le sigarette, me lo rifiuta; e come poteva darmelo, forse
non lo aveva neanche per sé.(…)
12. IV. Oggi è stata una giornata molto movimentata. Siamo in quel maledetto
canale. Si prepara il calcestruzzo con la carriola, si doveva trasportarlo per costruire un canale per lo sfogo dell’acqua piovana. Certo che affamati com’eravamo, stanchi, non potevamo lavorare con sveltezza come voleva il nostro “gobbo”.
Gridava, minacciava, specialmente con me. “Se vengo là ti faccio vedere io anche
se ti chiami Vojvoda”. Cosa potevo fare, ero stanco e non ne potevo più. Alla mattina aveva bastonato un altro prigioniero, certo Buletić. Corse giù, si avvicinò a
me, lo scansai una volta, ma poi mi aggiustò uno schiaffo che mi lasciò stordito,
l’occhio mi si arrossì; ero fuori di me, non mancava tanto che prendessi un badile
per spaccargli la testa, mi trattenni, pazientai, vidi come un film davanti a me:
queste auto, camion, donne, bambini, soldati allo sbaraglio, fuggiaschi. Allora
pensai: “devi pazientare ancora per poco, non vedi che siamo alla fine, il “gobbo” è nervoso, disperato, il comando gli sfuggirà presto, molto presto, e tu sarai
libero di ritornare a casa”. Maledii questo infame “gobbo” e tutta la sua stirpe
e mi calmai. A questo fatto erano presenti anche 3 operai tedeschi e molti miei
compagni di prigionia. C’era un altro ingegnere che sorvegliava i lavori, certo
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
331
Steimer, si diceva che parlasse l’italiano. Approfittai e mi rivolsi a lui, spiegandogli che io non capisco molto il tedesco e che non potevo sapere cosa voleva, ma
se si azzardava ancora una volta a battermi non la passerà franca e gli renderò il
ricevuto, che stia pur certo. Nel corso della giornata mi trovai vicino questa bestia
di “gobbo”, mi rivolse la parola e mi disse “Du hast gesacht:106 porca Germania”
(Tu hai detto: porca Germania).
Da quanto ho appreso poi, sembra che l’ingegner Steiner avesse criticato il
modo di fare di questo “meister” velenoso e forse accusando me di aver maledetto la Germania, intendeva giustificare il suo vergognoso atto di schiaffeggiare
e bastonare degli uomini che non potevano difendersi. Sì che ho maledetto la
Germania in cuor mio, per centinaia di volte, ma in me e nel medesimo tempo
portavo pazienza e mi calmavo pensando sempre a casa mia. Casa mia, casa mia
dove sei; nessuna casa al mondo è più bella della propria casa, del paese nativo e
del proprio focolare, dove hai passato la tua fanciullezza, la gioventù. Per questo
calmavo il mio focoso carattere e pregavo Iddio di darmi la forza di sopportare
queste infamie usate da chi aveva dalla sua parte la forza, ma non il diritto.
Mi incantavo qualche volta, mi fermavo, non sentivo più scricchiolare la carriola finché la voce sbraitante di questi “meister” teutonici non mi riportava alla
realtà. “Schnell, schnell, arbeit, arbeit”. Che foste maledetti per l’eternità, dissi a
me stesso.
Si parla, si spera e si vocifera che andremo via, andremo dicono a Salisburgo
al centro della Gestapo. Ma 7 di noi andranno a Dachau. Dicono, aspettiamo e
pazientiamo. Ma noi quando andremo a casa? Qui dicono che arriveranno i polacchi. (…)
Oggi sabato 14, si cambia lavoro con Mitzler. Fanno nuovamente la commedia
di iscrizione per operai liberi e ricevo nuovamente uno “Zulage”. Non capisco più
niente. Fuggiaschi, soldati, donne che giungono, passano sulla strada accanto a
noi, sembra che tutto debba finire in breve, e questi “meister” fanno la lista per
dare a qualcuno la libertà come operaio libero! Sono pazzi, oppure vogliono illuderci con la loro libertà acciocché stiamo calmi? (…)
Lunedì 16 tutti gli operai prigionieri devono rimanere nel lager. Dicono che
bisogna metterlo a posto, pulirlo, ultimarlo perché “noi”, dice il sergente Fuchs,
“domani si parte”. Io non credo. Sulla strada si vedono soldati ungheresi che fuggono verso occidente; da questo compresi che i russi sono già in Ungheria.
Siamo il 17 aprile. Oggi mi associano con gli operai addetti alla manutenzione
della strada. Sono due vecchi che parlano poco, mi danno 35 dkg di pane per 4 sigarette. Passa un camion da Sisak (Jugoslavia) con bagagli. Anche questi fuggono
verso occidente. Si sentono buone nuove, anche questi mi dicono è presto finita.
106
Ted. Gesagt = detto.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
332
18. IV. Di nuovo sulla strada. Passano continuamente in su e in giù, in
su verso la Carinzia, in giù verso St. Michael, centro dell’Austria. Tutti parlano che tra 15 giorni sarà finito. Fra questi carri notai un carro che si indirizzava verso il culmine del Katschberg, cioè andava verso la Carinzia. C’era
una donna con bambini, diceva di venire da Vienna, piangeva, diceva di aver
perduto tutto. Vienna era stata occupata dai russi il 13 aprile, cioè 5 giorni fa.
Ma quante lacrime furono sparse prima da tanti europei, massacrati, uccisi, portati nel Grande Reich come me e milioni di altri. Queste lacrime forse non valevano
le nostre d’oggi, uomini, donne e bambini di questa terra che voleva soggiogare il
mondo e annegarlo in un mare di lacrime? Vedendo questa donna piangente, mi
commossi lo stesso, perché tutto il dolore è dolore, anche per lei, che forse avrà
perduto oltre la casa, gli averi e forse anche il marito, il fratello, ma perché? Perché questo massacro? Non mi so dare una risposta, ma chi potrebbe darmela? Da
quando l’uomo vive su questa terra, sempre si accanì verso il proprio fratello per il
possesso di qualcosa. Dunque l’umanità non ha altra via da scegliere? Finita questa carneficina, troveranno i potenti la soluzione di questo eterno problema, di ammazzarsi, sempre? Sarebbe una gran bella cosa, ma ne dubito che la troveranno.
Lavorando con gli stradini, giungemmo in cima al Katschberg. C’era lì una
trattoria, entrai e domandai alla persona che trovai, una signora elegante, un tè; mi
guardò, non mi disse niente e mi servì. Non disse una parola. Pagai e uscii. Non
so se me lo avesse dato se era qualche paio di mesi prima. A me sembrava che
ero già almeno per metà libero. All’uscita della trattoria incontro un contadino
che mi porge un pezzo di pane. Finita la giornata ritorniamo al lager. Commenti,
previsioni a non finire. Come sarà domani? (…)
Oggi 21.4. è un giorno che dà la svolta alla mia prigionia. Lavoravo sulla strada con uno stradino col compito di mettere della ghiaia nelle pozzanghere per
livellare la superficie stradale. Il tempo era mite, verso le undici vedo un gendarme che, uscito dalla casermetta, mi chiama; eravamo distanti da lui circa cento
metri. Sento gridare: “Halo, halo, schnell!”. Capii che bisognava entrare nel lager
e presto rientrai nel lager dove erano già radunati tutti i prigionieri. Dato che a
molti avevano dato la libertà nelle ultime settimane, non eravamo in tanti. Ci ordinarono di impacchettare tutte le nostre cose e di prepararci alla partenza. Dopo
alcune ore ci misero su un camion e via, giù per la discesa verso St. Michael. Non
so quanti paesi, cittadine, villaggi abbiamo attraversato.
Dopo esser ritornato a casa consultai una carta stradale austriaca ed ebbi così
la possibilità di constatare quante e quali erano le località dal lager di Katschberg
ad Hallein: St. Michael, Mauterndorf, Untertauern, Radstadt, Werfen, Lemech,
Golling107, Kuchl e Hallein dove ebbe fine il nostro viaggio. Il percorso era di
circa 120 km.
107
Golling an der Salzach.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
333
Le prime ore del viaggio non abbiamo avuto nessun incidente, ma poi verso
sera cominciò a piovere, un vero diluvio si scatenò sopra di noi. Eravamo seduti
su tavolacci e il camion era scoperto. Per due ore fummo sotto una pioggia intensa, che ci inzuppò sino al midollo. Mi ricordo che in un paesotto passammo un
viale lungo 200-300 metri che frenò un poco la violenza dell’acqua che cadeva
per procurarci ancora dei tormenti insopportabili; tutto ciò ci faceva imprecare
all’unisono questo destino infame. I gendarmi che ci accompagnavano stavano
nella cabina, ma all’improvviso il camion si fermò e dovettero uscire anche loro.
Dalla violenza del temporale un albero si era schiantato ed era caduto di traverso
sulla strada e non potemmo proseguire. Ci volle abbastanza tempo per liberarci
da questo ostacolo, ma poi il viaggio proseguì.
Non so dove eravamo, ma mi ricordo bene che fermarono il camion davanti diversi lager, ma tutti rifiutarono di ospitarci o erano già chiusi. Finalmente
arrivammo in un piccolo lager, ci fecero scendere, ci allinearono, eravamo mi
sembra in 33, aspettammo un po’ di tempo e poi ci fecero entrare. Entrammo in
una baracca piccola, con due camere distinte. Non appena ci fummo sistemati
alla meglio, comparve un giovanotto che avrà avuto sui 25 anni, piccolo, aveva
addosso un paio di mutandine sudicie, ci fece tante domande: chi siete? da dove
venite? perché vi hanno portati qui? A tutte queste domande non potevamo dire
altro che da dove venivamo, ma che non sapevamo perché ci hanno portato là.
Questo poverino, che era credo dell’Italia meridionale, ci raccontò delle cose impressionanti: questo è un lager prigione per coloro che hanno commesso qualche
indisciplina altrove; poi che non possono andare a letto con i due indumenti, ma
bensì o le mutandine o la maglietta, se no sono botte; alla mattina quando suona
la sveglia si deve uscire a schiena nuda per andare a risciacquarsi la faccia, altrimenti si prendono delle vergate sulla schiena con la frusta.
Eravamo tutti bagnati, ma questo racconto ci fece dimenticare anche il bagno
fatto per due ore sotto la pioggia. Nella stanza non c’erano forse che 15-20 cuccette a due piani, senza coperte, e tutto era estremamente sudicio. Non ci rimase
altro che sederci sul pavimento lasciando le cuccette ai prigionieri più anziani e
aspettare il sorgere del sole per sentire e vedere dove siamo.
Il giorno 22 era una domenica, ci dettero 10 dkg di pane e un pezzo di formaggio; un poco di acqua nera per dormire poi alla sera, come si poteva dormire
sdraiati in terra?
Lunedì 23.4. Non aveva ancora suonato la sveglia, quando si spalanca la porta ed entra un colossale ucraino e con voce tuonante grida in tedesco: “Aprite
le finestre!”. Vicino alla porta c’era in piedi uno sloveno, di nome Merzljak, al
quale questo servitore dei tedeschi appioppò un rumoroso schiaffo che lo fece
girare su se stesso e tutto questo perché non aveva obbedito subito di aprire la
finestra. Faccio una parentesi: non so perché, neanche voglio indagare il motivo,
334
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
c’erano degli ucraini che agivano contro i prigionieri più atrocemente degli stessi
tedeschi. Mistero! Giaceva su un pagliericcio un anziano sloveno del Goriziano,
certo Lisjak. Alla mattina lo trovammo morto.108 Era un bravo e buon uomo, avrà
avuto oltre i 60 anni, io e mio fratello ci intrattenevamo spesso con lui su quanto
ci poteva interessare e sugli avvenimenti in corso. Lo portarono dietro la baracca,
dove c’erano altri due, gettati là uno sopra l’altro. Dopo 2 giorni un carro tirato da
un cavallo li portò via, senza cassa, come fossero del comune materiale di scarto.
Sopra misero delle frasche verdi per nascondere questo orrore e questa infamia.
Noi origliavamo attraverso le fessure della porta. Tutto questo ci metteva il terrore nell’animo. Dopo qualche tempo, questo brigante di ucraino chiese a qualcuno
se avesse delle sigarette. Io ne avevo che mi servivano anche qui per sfamarmi
perché oltre i reticolati c’erano degli operai liberi che ci offrivano qualcosa da
mangiare per una sigaretta. Dovetti aprire la valigia e dargli da fumare. Tutto questo dovetti fare perché fra noi c’erano dei mascalzoni che io consideravo amici.
In giornata mi informai dove siamo. Eravamo in un lager prigione (Straflager).
Il paese si chiamava Hallein109, distante da Salisburgo 15 km. Guardai fuori verso
una scarpata alta certo una ventina di metri, tutta di pietra. Sullo spazio davanti
la baracca, sotto la scarpata che era chiusa con un reticolato, giacevano delle
grosse pietre. Dunque era una cava di pietra. Questa visione mi ricordò quando
ascoltando radio Londra avevo sentito queste parole: “Nella cittadina di Hallein
esiste sul terreno di una vecchia cava di pietra un lager prigione e dalle case vicine si sentono le grida e i lamenti dei prigionieri che vengono torturati dalle SS”.
Dio mio, pensai, dove sono arrivato. Ma questa guerra è finita, finirà, arriverò a
cavarmela da questo inferno? Pregai il buon Dio che mi desse la forza e la fortuna
di tornare a casa.
Il giorno 24 alle nove di mattina alcuni agenti della Gestapo vengono nel lager.
Radunano il nostro gruppo, fanno l’appello. Chiamano uno alla volta, sto in ansia
aspettando il mio nome, ma invano. 25 prigionieri vengono liberati, gli altri 13
rimangono e fra questi anch’io. Con la partenza della polizia comincia il digiuno
che dura tre giorni. Per tre giorni non si mangia.
Quando arrivammo ad Hallein trovammo, credo, 5 prigionieri soli, che con
il nostro gruppo formò un gruppo di 38. Dopo la chiamata della Gestapo che ne
portò via 25, ne rimasero 13. Così si formò il gruppo dei tredici. Questa spiegazione la faccio perché mi servirà più avanti per un fatto che quasi quasi poteva
108
Cfr. Diario della prigionia…, cit., p. 124, “23. questa mattina Lisiak è morto, viene
portato fuori dove sono 2 altri”.
109
Il campo di concentramento di Hallein era una succursale del lager di Dachau. I
metodi di sopruso praticati dalle SS in questo lager sono narrati anche nella lettera scritta
da Plinio Palmano a Erminio Vojvoda nel 1946; vd. il testo completo della lettera nella
biografia di E. Vojvoda.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
335
esserci fatale. Nei giorni successivi arrivarono altri prigionieri. Fra questi c’erano
francesi, jugoslavi, ucraini ed altri. Le due stanze erano ormai troppo strette per
contenere tutta questa massa di infelici.
Credo fosse stato il 26 aprile, alla mattina di buon’ora, comparve nuovamente
quel losco ucraino e chiese di me, voleva nuovamente delle sigarette. Non ne
avevo più, mi costrinse ad aprire la valigia, trovò un pezzo di formaggio che avevo ricevuto da casa con i pacchi speditemi da mia moglie. Lo tenevo come una
reliquia per accompagnarlo con il pane che comperavo con le sigarette, finché
ne avevo. Tolse il formaggio dalla valigia, lo spezzò con le sue enormi mani, un
pezzo lo stritolò con i suoi poderosi denti e poi offrì l’altro pezzo a chi lo voleva.
Nessuno di questa massa internazionale di prigionieri si fece avanti, ma un certo
Tommaso, mio conoscente e mio concittadino, ladruncolo, sempre sfaccendato,
vero mascalzone, immorale figura, forse quello che a Katschberg mi aveva rubato
il tabacco, sì, questo si fece avanti. Assieme a quel vile ucraino, si mangiò il mio
formaggio alla presenza di questi uomini che rimasero esterrefatti di fronte a
tanta vigliaccheria e storditi dal comportamento di questo vile serpente che aveva
osato fiancheggiare questo criminale ucraino nel togliermi quel misero pezzo di
formaggio. Quando mi successe questo triste episodio, stava appresso a me l’ex
cuoco di Katschberg, Turcovich, triestino, mi guardò e mi disse in dialetto triestino: “Che rassa de patrioti che te ga!”. Veramente ce n’erano ancora altri patrioti,
simili a questo Tommaso, nel nostro gruppo di 13.
Avevo con me in prigionia il libro di Alexis Carrel, “L’uomo questo sconosciuto”, lo leggevo e mi servì molto per consolarmi durante la mia prigionia. Sulle
pagine di questo libro, e su pezzi di carta, compilai un diario, annotando giorno
per giorno cosa mi succedeva. Questo diario finisce il 24.4.1945. Da questo diario
ricavai il manoscritto che ora (anno 1987) sto rifacendo e ampliando. Il suddetto
libro lo conservo ancora con tutti gli appunti di allora110. Il seguito che sto descrivendo è frutto della mia memoria, tutto mi passa davanti ai miei occhi, anche se
li tengo chiusi, come un film. Credo che quello che sto raccontando ora e quello
che seguirà sarà più interessante.
Nei giorni di digiuno, che passai in quel lager, feci conoscenza con un giovane
ucraino, diverso da quello del formaggio. Ci capivamo abbastanza bene, lui parlava la lingua ucraina, io il serbo-croato, che conoscevo bene. Chiesi a lui come
si viveva in Russia, capii che era stato affiliato alla “Komsomol”111, cioè alla lega
L’uomo questo sconosciuto di Alexis Carrel, ed. Bompiani, Milano 1943; sta in
ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
111
Komsomol = è la contrazione di Kommunističeskij Sojuz Molodëži ovvero l’Unione
comunista della gioventù, organizzazione giovanile del Partito comunista dell’Unione
sovietica.
110
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
336
dei giovani comunisti. Mi spiegò che, finita la guerra, si dovrà procedere un po’
alla volta a organizzare i partiti comunisti in tutti i paesi e poi prendere il potere
affinchè il socialismo si espanda in tutto il mondo. Era ben informato e da quello
che seguì nell’Europa orientale e da quello che succede ora, mi sembra che avesse
parlato come un profeta. Di come si vive in Russia mi parlò molto bene. Lui non
aveva ancora la “dacia” in Crimea, ma certi sì. Beati loro, in Crimea vige un clima
incantevole, ed è giusto che chi se la merita, la “dacia”, la possa avere.
Passai qualche ora chiacchierando con un serbo della Šumadja, regione a sud
di Belgrado. Mi descriveva la sua terra fertile, mi diede anche il suo indirizzo,
dopo non lo trovai tra le mie scartoffie portate a casa. Mi dispiacque tanto.
Fra i molti che ho conosciuto in questo lager c’era anche un giovane istriano
del contado di Orsera. Quando lo vidi, subito impulsivamente fui indotto a rivolgergli la parola in lingua croata, ero certo che fosse istriano, dal modo come agiva
e dalla fisionomia di noi istriani che, non so, è tutta particolare. Mi rispose subito
e mi disse d’esser, se ben ricordo, di un villaggio che si chiama Marasi. Era piccolo, bruno, me lo ricordo molto bene, ma poverino, lasciò le sue ossa a Hallein.
Descriverò in seguito cosa successe.
Sarà forse stato il 29 di aprile quando fummo cacciati dalle baracche e costretti a sistemarci sotto la scarpata di roccia, custoditi da due SS. Eravamo costretti
a starcene là fermi. Seguì un attacco aereo dell’aviazione alleata. Vedevamo gli
aeroplani sorvolare sopra di noi a bassa quota, vedevamo cadere le bombe. Se
una bomba fosse caduta fra noi, ci avrebbe tutti maciullati fra quelle pietre. Una
bomba cadde circa 100 metri via dalle nostre baracche che a metà furono sconquassate. Credo che il bombardamento è stato fatto perché nei paraggi c’era un
accampamento delle SS.
In occasione di questo bombardamento il nostro Tommaso sparì e non sappiamo come. Alla sera le SS fecero l’appello e ci allinearono gruppo per gruppo,
noi eravamo il gruppo da 13, poi c’era il gruppo dei 33, i venuti dopo di noi e altri
gruppi. Dal nostro gruppo ne mancava uno ed era il nostro Tommaso. Le SS si
guardavano sinistramente e ciò ci fece raffreddare il sangue nelle vene. Temevamo che avrebbero passato qualcuno di noi per le armi, forse tutti come responsabili della fuga del nostro compagno. Davanti a me in fila c’era uno di Pola, certo
Miletti112, che aveva frequentato le scuole tedesche al tempo di Franz Josef; quando era piccolo, in età di andare a scuola, i genitori lo avevano mandato alle eleSi tratta di Guido Miletti, nato a Pola il 9 febbraio 1898. Egli firma, insieme a Mario Savorgnan (nato a Pola il 29 maggio 1926), una Dichiarazione sostitutiva dell’atto di
notorietà di fronte al notaio Dott. Ferruccio Sansa di Monfalcone nella quale dichiara di
essere stato internato politico nei lager nazisti assieme a Vojvoda Erminio; tale dichiarazione serviva a Vojvoda nel 1969 per essere ammesso alla ripartizione dei cosiddetti
indennizzi tedeschi in quanto superstite dai campi di punizione nazisti.
112
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
337
mentari tedesche. Era d’uso a Pola frequentare le scuole in lingua tedesca, forse
perché pochi credevano che l’impero dovesse crollare, invece crollò. Ma il tedesco di Miletti riuscì a salvarci da questa triste e pericolosa situazione. Spiegò alle
SS che forse loro lo avevano mandato a fare qualche servizio e che non rientrò, e
che noi già da due giorni non lo vedevamo. Si calmarono e ci lasciarono respirare
ancora. Il sangue tornò a circolare nelle nostre vene ed il cuore prese a palpitare
con il suo ritmo di prima. Grazie a Dio e a Miletti, anche questo passò. Con quello
che vedemmo il giorno dopo, come ammazzarono un nostro compagno, ci sembrò
che la fortuna ci era stata prodiga, visto che la passammo così liscia.
Il giorno 30 aprile, ormai eravamo abituati ai rumori del lager, capimmo che
dei nostri compagni venivano organizzati e inviati fuori con badili, ma non sapevamo dove. Ce n’erano forse 20. Noi stavamo rinchiusi, nascosti nella nostra
stanza, guardando dalle fessure della porta cosa succedeva al di fuori.
Ormai la fame si era stabilita fortemente in tutti; tutti erano affamati. Io nella
mia valigia conservavo ancora qualche piccola conserva di sardine, avevo ancora
forse 2 vasetti d’olio d’oliva che avevo ricevuto da casa con i pacchi. Avevo anche
ancora qualche caramella e forse qualche crosta di formaggio in qualche angolo
della valigia, che quel mascalzone di ucraino non aveva scoperto. Nel corso della
giornata, dopo aver divagato attorno alle baracche, entrò nella nostra stanza, dove
le cuccette avevano perduto la loro primaria stabilità di reggersi diritte, entrò,
dissi, quel bravo fabbro che mi aveva estorto 8 marchi per i ferri confezionati a
Katschberg. Questo, che si spacciava anche a casa per social-comunista, si rivolse
a me dimenticando la vigliaccheria commessa verso di me e mio fratello, privandoci degli ultimi marchi che possedevamo. Disse: “Albino, magna tuto quel che
ti ga perché tanto, da quel che go sentì, no torneremo a casa”. A Dignano tutti mi
conoscevano per Albino.
Non so come ha potuto rivolgersi a me questo sfruttatore delle miserie altrui.
Certo che non pensava a me, che mi saziassi con quanto avevo ancora in valigia,
ma pensava al suo stomaco vuoto, che non poteva più riempire forgiando ferri da
tacchi, coltellini e lucchetti per chiudere gli armadietti nel lager di Katschberg,
spillando il denaro a noi miseri. Attorno mi si fecero, con facce imploranti, ancora
altri due farabutti, degni suoi compagni. Ebbene, mi sedetti su una sgangherata
cuccetta, essi si fecero attorno. Prima di spartire le povere cibarie che ancora mi
rimanevano nella valigia, tenni loro questa ramanzina: “Vardè, mi adesso spartirò
con voi tuto quel che gò, però devo dirve a ognuno quel che me gavè fato, perché
tuto questo me pesa sul stomigo e devo sfogarme. Ti, Zanito, ti me ga fregà le
calse de me fradel e ti me ga minacià per quel che ti sa. Ti, Franzele, dopo che te
go aiutà con le scarpe cedude a l’ingegner Brumer e ti te ga sazià con el pan che ti
ciapavi per le scarpe, quando che i me ga portà via la tessera non ti me ga offerto
neanche un cuciar de minestra, ma no solo, ti ga avvertì anche quel farabuto de
338
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
Stanko, che Ferucio me ga ciolto el caffè. A ti poi, compagno Tilio, ti ga avù el
coragio de cavarme i soldi per quei feri. Per ora dimenticherò tuto e spartirò quel
che go, da bon cristian, ma son sicuro che quando che saremo a casa parlerè mal
de mi”. Essi non aprirono bocca, certo contenti di essersela cavata così a buon
mercato che ancor più felici di ricevere aiuti da me. All’amico Franzele imprestai
ancora 100 lire. A guerra finita, quando ci trovammo a casa, successe quanto avevo previsto. Mi accusarono che vendevo le sigarette per pane e altro, in seguito,
causa mia, i fumatori che mi offrivano il pane per le sigarette pativano la fame.
Certo dovevo dare a tutti i fumatori le mie sigarette per niente. Mai e poi mai
offrii a nessuno dei prigionieri sigarette per il pane, c’erano dei “meister” e degli operai liberi che potevano permettersi di fare questo. Non raccontarono tutto
quello che essi fecero a me. Non solo le scarpe non mi furono mai pagate, l’olio
neanche e mai mi fu reso il denaro prestato al Sig. Franzele. Dignano ha dato degli
illustri uomini, ma anche dei mascalzoni di prim’ordine come i sunnominati.
Rimanemmo in baracca ad aspettare gli avvenimenti, quando verso sera sentimmo urlare davanti alla baracca. Vedemmo dei prigionieri allineati, saranno
stati una quindicina. Le SS gridavano, urlavano come ossessi. Cosa succedeva?
Tutti eravamo spauriti. Attraverso le fessure della porta guardavamo fuori, vedemmo che facevano spogliare un prigioniero, gli trovarono un asciugamano attorno alla vita, gli puntarono la rivoltella sul petto. Sentii gridare questo poverino
“Majko, majko moja!” (mamma, mamma mia). Seguirono due o tre colpi e cadde
a terra morto. Chi era? Era proprio quel giovane istriano del contado di Orsera,
del villaggio di Marassi, forse si chiamava Maras. Mi fece tanta pena, a pensare
che la guerra si poteva considerare finita e avrebbe avuto fra giorni la libertà di
tornarsene a casa. Poverino, non vide più né la mamma che invocò con le sue
ultime parole, né la sua bella terra istriana, né il nativo villaggio. Queste bestie
teutoniche, credo, erano conscie che la loro era stava finendo, ma lo stesso vollero
ammazzare, sporcarsi, lordarsi le mani e la coscienza di sangue innocente.
Dopo, dagli altri prigionieri, abbiamo saputo cosa era successo prima di questo fatto e dove erano tutto il giorno a lavorare. Dal racconto di quelli che erano al
lavoro con l’ucciso abbiamo saputo che lontano dal nostro lager, circa 2 km, esisteva un accampamento di SS. Il bombardamento di ieri mattina era diretto contro questo accampamento. Le bombe avevano fatto abbastanza danno; distrutto
qualche baracca, con la distruzione volarono intorno diverse cose ed anche effetti
personali delle SS. L’ucciso raccolse un asciugamano e lo mise intorno al corpo
nascondendolo con il resto del vestito, era per questo che lo uccisero. Il prezzo che
pagò era troppo per un asciugamano, ma cosa interessava agli assassini, l’essenziale era uccidere, fare quello che facevano dal 1939.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
339
Così siamo arrivati al 1.5.1945. Noi non sapevamo nulla, eravamo ignari come
stessero le cose, si intuiva però che eravamo alla fine o prossimi alla fine di quella
immane tragedia che aveva sconvolto il mondo intero.
Ormai tutti avevamo fame, io e l’amico Miletti, che parlava bene il tedesco, ci
facemmo coraggio, andammo verso l’ufficio del “lager führer” a chiedere che ci
desse da mangiare. Lo trovammo sdraiato su un divano intento a leggere un libro,
calmo. Ci ascoltò e poi ordinò al cuoco di prepararci qualche brodaglia. Quando il
rancio fu pronto, il cuoco ci chiamò. Era un francese alsaziano, ci raccontò come
stanno le cose, che la guerra sta per finire, disse i russi sono a Vienna, Berlino era
caduta, gli anglo-americani ed i russi si erano incontrati sull’Elba già il giorno
25.4. Con queste notizie consolanti anche la fame si calmò. Ingoiammo quella
brodaglia, rientrando poi nella baracca, dove le cuccette ormai erano libere, giacchè la maggioranza dei prigionieri era stata liberata dalla Gestapo, bontà sua.
Noi però, sembra, eravamo molto sospetti e pericolosi, grazie alle informazioni
fornite dai gerarchi di casa nostra alla Gestapo.
Passai la notte su una di queste cuccette in compagnia di cimici e pidocchi,
che non mi lasciarono in pace, finché presi sonno e alla mattina, al fischio della
sveglia, dovetti correre a schiena nuda a rinfrescarmi la faccia, per non essere
frustato con la verga da questi “Kulturträger”, cioè portatori di civiltà, ad esseri
inferiori come eravamo noi.
Dopo la sveglia, oggi 2. V, fui chiamato, scelto con altri due, a lavare delle
divise sudicie in un recipiente in cemento infossato nel suolo, a lavare nell’acqua
sporca le tracce di sangue. Ci servivamo di bastoni di legno per girare e voltare
questi drappi che hanno servito a coprire i corpi smunti e affamati di esseri infelici caduti sotto il piombo di questi criminali. Fra queste divise era di certo anche
quella di quel povero giovane istriano ucciso ieri sera. Dopo aver fatto alla bell’e
meglio questo lavaggio, abbiamo dovuto stendere questi stracci sullo steccato del
lager per farli asciugare.
Dopo mezzogiorno, verso le 3 del pomeriggio, ci misero in fila, ci domandarono come stavamo con la salute. Molti accusarono di star male, io tacqui.
Quelli che accusarono di star male furono messi da una parte e gli altri dall’altra.
Eravamo forse una decina di quelli che non accusarono nessun malessere. Dopo
poco tempo ci obbligarono a consegnare tutto il nostro avere: denaro, documenti
e indumenti. Non sapevo cosa pensare. Fantasticavo e non mi davo pace, ma cosa
vogliono ancora da noi? Quale di questi due gruppi sarà il più fortunato? Ci dettero delle divise con sulla schiena dipinta in calce una croce trasversale, un paio
di scarpe dure, sporche, un berretto senza visiera. La manica destra della giacca
era scucita sino al gomito, tenuta assieme con filo di ferro. Povero me, cosa mi
succederà ancora. Avevo ancora in valigia degli indumenti puliti e, prima di consegnare la valigia, mi cambiai. Rimasi con questi sudici indumenti che mi dettero,
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
340
con la biancheria pulita di sotto. Alla sera mi accovacciai su una di quelle cuccette
fornite di un po’ di paglia, resa quasi polvere da chi sa quanti disgraziati hanno
riposato le loro stanche membra, per mesi e forse per anni, in questo orrendo
“Straflager”.
Siamo ai 3 di maggio del 1945, giornata indimenticabile. Alla sveglia ci misero
in fila, fornendoci di un badile che poggiammo sulla spalla destra, e in marcia
verso la città di Hallein. Ci accompagnavano due SS. Dopo aver marciato per
circa mezz’ora, arrivammo in un accampamento militare che portava i segni dei
bombardamenti dei giorni passati. Vedemmo delle buche prodotte dalle bombe,
delle baracche sgangherate. Erano evidenti i segni dello sfacelo. Ci fecero deporre le pale e ci fecero entrare in una baracca adibita a ufficio. Un grosso e ben
nutrito superuomo mi caricò sulle braccia alcuni registri, così fece con gli altri
prigionieri e ci obbligò di portarli lontano di là per circa una quarantina di metri
dove bruciavano già altri libri in un buco prodotto da una bomba. Capii subito
che ora suonava: la fine del sogno di questa banda di dominare il mondo. Aiutavo
con gioia i nostri padroni nell’esecuzione di questo lavoro, che veniva fatto per
cancellare, distruggere testimonianze scritte sulle gesta criminose di queste SS.
Il già nominato Zanito, che era anche presente per questa mansione, ricevette
da un soldato un colpo con il calcio del fucile che lo fece tramortire. Rivolse a
me un suo accorato lamento, dicendomi: “El me ga roto el braso”. “Stupido”, gli
dissi, “co ti pol ancora manisa113 col braso, vol dir che no te lo ga roto, e po’, no ti
vedi che la ze finida”.
Trovai là un soldato che mi rivolse la parola in serbo-croato, vestiva la divisa
tedesca. Non seppi come giunse a servire il nazismo e non seppi di dove era.
Approfittai per chiedergli come stanno le cose. Mi rispose: “Non vedi, è finita”.
Già è finita, però non è finita ancora per me. Ero avviluppato in una sudicia divisa
tedesca ed ero ancora nelle loro mani sporche di sangue innocente. Nel tempo che
ero in quell’accampamento vidi pure che due sottoufficiali delle SS caricavano dei
fucili con cannocchiale su un camion. Pensai: dove li porteranno? Forse avevano
in mente di rifugiarsi in montagna e fare i partigiani contro gli alleati?
Mentre stavo pensando alla mia difficile situazione, fui chiamato da un SS
assieme ad un giovane ucraino e fummo accompagnati in una baracca a prendere
un armadio e un letto. Caricammo questo mobilio su un camion, ci fecero salire
e via per circa 15 minuti. Giungemmo in un giardino dove c’era una villa. Sopra
la porta dell’entrata c’era uno stemma gentilizio scolpito in pietra. Era certo una
dimora di qualche aristocratico. Portammo prima l’armadio e poi il letto in una
stanza. Sul pianerottolo del piano sottostante c’erano due donne di giovane età
che discutevano animosamente. Non potevo scendere nel giardino senza chiedere
del pane, ripetei nuovamente il solito “bitte, geben Sie mir ein stück brot, ich bin
113
Forma dialettale per “muovere, usare il braccio”.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
341
hungrig” (ho fame, datemi un pezzo di pane). Non sentirono la mia richiesta di
pane, avevano da sbrigare altri problemi più assillanti della mia fame. Capii dal
loro discorso che una di loro fuggiva di fronte all’invasione russa del suo paese.
Quale? Scendemmo in giardino e con il camion ritornammo all’accampamento.
Strada facendo incontrammo una compagnia di SS che, cantando, s’incamminava
verso il nord. Pensavano forse ancora alla vittoria e all’efficacia del Blitzkrieg?
Nella mia situazione abbastanza incerta, non sapevo se dovevo aver compassione
di questi appartenenti dell’Herrenvolk o riderci sopra. Ero ancora nelle loro mani
e avevo addosso quella lurida e sporca divisa di prigioniero, perciò non potevo
decidermi se ridere alle loro spalle o pensare a me e solamente al mio ardente
desiderio di ritornare a casa.
Ritornammo all’accampamento. Il percorso non era lungo, ma in quel momento mi sembrava che non finisse mai; grande era la curiosità di sapere cosa
succederà al ritorno. Quando fui non lontano dal lager, vidi un mio paesano, certo
Cattarin, che mordendo con soddisfazione per riempire lo stomaco, ingoiava con
gusto un tozzo di pane accompagnato con qualcosa d’altro che non seppi indovinare. Gli rivolsi la parola per chiedergli che novità ci sono. Mi rispose: “I me ga
liberà, ma i te ga ciamà anche ti”114. Non so descrivere quanta ansia di arrivare al
lager e quanta gioia mi pervase per tutto il corpo. Mi sembrava che una corrente
elettrica mi attraversasse il corpo infondendomi un piacere immenso. Sarebbe
veramente la fine di questa vita di dolore, di fame e di umiliazioni? Finalmente arrivammo. Fummo lasciati liberi di rientrare nel nostro “appartamento”, ma
presto però fui chiamato da uno di questi custodi. Al momento non capii cosa
volesse. Domandai con alcune parole in tedesco cosa intendeva dire e gli dissi:
“Was diese anzug weg?” (cosa questi vestiti via?). Mi rispose: “Ja, ja”. Mi restituì
i miei documenti e metà del denaro che dovetti consegnare, mentre l’altra metà se
lo trattenne. Mi consegnò la mia valigia e corsi in baracca a cambiarmi. Questo
lo feci in pochi minuti. Nello spogliarmi constatai che i miei indumenti, messi
puliti il giorno prima, erano abitati da numerosi inquilini che non usano pagare
l’affitto. Non pensai nemmeno di stritolarli fra due unghie perché il solo pensiero
che mi assillava era quello di fuggire in fretta da quell’inferno. Uscii dalla baracca
e nello spazio davanti all’ufficio del “lager führer” andavo nervosamente su e giù.
Aspettava con me un giovane di Promontore, certo Rakić, che era stato con me
all’accampamento per la distruzione dei registri. Fuori delle baracche c’erano altri
che invidiosamente ci stavano a guardare, perché noi fra poco saremo liberi; alSi legge in una nota posteriore: Quando ritornammo allo Straflager incontrammo
Cattarin che era stato liberato dal lager, si indirizzava verso il paese di Hallein. Non
ritornò a casa, la moglie mi domandò cosa è successo, io non sapevo niente, ma detti
l’indirizzo di Hallein. Credo che il maestro Antoni scrisse al municipio, che rispose che
andò in un’osteria, sedette al tavolo e morì.
114
342
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
meno così speravamo. Non trascorsero che pochi minuti, che a me sembravano di
una durata fuori dal reale, quando si aprì la porta e comparve un giovane soldato
che porse a ognuno di noi due un pezzo di pane e un pezzo di salame. Aprì la porta del lager e sbraitò: “Heraus!” (fuori). Uscimmo fuori con immenso piacere, le
nostre scarpe quasi quasi non toccavano il suolo, tento leggero era il nostro passo,
e c’incamminammo verso il paese di Hallein.
Dopo aver percorso forse mezzo km, davanti una casa abbiamo visto delle
donne anziane che parlavano gesticolando sommessamente, chiesi a loro, in previsione che dovevamo fare un lungo viaggio, se avessero qualcosa da darci per
mangiare. Chiedere sempre del cibo per riempire lo stomaco era una consuetudine ormai radicata nel nostro carattere formatasi in questo ambiente. Non ci dettero niente, ci offrirono alcune monete e ci consigliarono di rivolgerci al municipio.
Certo che non ci siamo rivolti al municipio, ma ci incamminammo ulteriormente
per la strada che ancora non sapevamo di preciso dove conduceva. Dopo qualche
centinaio di metri, arrivammo sulla linea ferroviaria, guardammo a sinistra ed a
destra se si vedeva forse la stazione ferroviaria, quando a destra, lontano forse 5060 metri, vedemmo una folla di gente appresso un edificio. Capimmo che poteva
essere una stazione ferroviaria. Ci avviammo allora verso questa moltitudine, che
a parer nostro poteva essere della gente che aspettava un treno, difatti così era.
Quando arrivammo là, sentimmo parlare in italiano, croato, sloveno; e poi vidi
un uomo anziano, con dei baffi un po’ lunghi, che indossava una giacca color
marrone, fatta d’un panno di fattura casalinga, del tipo che si usava portare in
Istria dai contadini croati. Chiesi a quest’uomo in lingua croata di dove fosse; mi
rispose di Canfanaro. Domandai come stessero le cose, mi mostrò dei documenti
da cui appresi che la ditta dove lavorava come “frei arbeiter”, cioè operaio libero,
lo liberava dal suo lavoro, fornendogli il biglietto ferroviario per ritornare a casa.
A me ed al mio compagno si presentò un nuovo problema: come salire sul
treno senza biglietto? Noi non avevamo denari. Lasciai in custodia a lui il mio
bagaglio e mi inoltrai alla biglietteria. Giunto che fui, trovai molta gente, sentii
parlare il dialetto triestino, domandai ad uno di loro cosa stavano aspettando; mi
disse per comprare il biglietto. Quando descrissi la mia situazione, che non avevo
denaro per comprare il biglietto, mi disse: “La vol soldi?”, e mi offrì alcune banconote, non ricordo di che valore, per poter comperare il biglietto. Ritornai presso
il mio compagno di viaggio, dandogli metà denaro e spiegandogli la situazione.
Chiacchierando con questi uomini per qualche ora, mi convinsi che nessuno ti
domanderà il biglietto ferroviario, perché ormai lo sfacelo del Terzo Reich era
completo. Le ferrovie austriache avevano tutto l’interesse di espellere quella moltitudine dai suoi confini, anche senza incassare denaro per il loro trasporto alla
frontiera. Difatti la situazione era tale; nessuno mi chiese, durante il tragitto in
territorio austriaco e oltre, se ero fornito di qualche biglietto.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
343
Con questa moltitudine di uomini di varie nazionalità passai alcune ore, quando finalmente verso le 11 di notte giunse un treno con vagoni bestiame. I vagoni si
riempirono in poco tempo. Il treno si mosse sbuffando faticosamente, noi sedemmo dondolandoci a causa del sobbalzare dei vagoni. Su e giù, a destra e a sinistra,
finché qualcuno dalla stanchezza prese sonno, qualcuno si mise a mangiare se
aveva qualcosa da mordere. Io, dopo aver mangiato quel pezzo di pane e salame
preso nello Straflager ad Hallein, ero a zero con le mie riserve alimentari. Non
mi restava altro che sognare ad occhi aperti come sarebbe bello un buon piatto di
qualcosa di solido da ingoiare. Dopo alcune ore di questo monotono tram-tram, il
treno si fermò. Quale stazione era? Non lo so. La porta del vagone si aperse, vidi
entrare 5 uomini con il pastrano lungo, abbastanza giovani. Dal loro parlare capii
che erano ungheresi e per giunta ufficiali. Certo scappavano dalla loro patria per
raggiungere le forze alleate dalle quali certo speravano miglior trattamento di
quello che potevano avere da parte dei sovietici.
Ripartimmo dopo circa un’ora. Il treno filava ora abbastanza veloce, quando
alle prime luci si fermò in aperta campagna. Dovemmo scendere ed incamminarci con i nostri bagagli. Attraversammo villaggi, borgate, camminammo per più
di 15 km. Quale fu il perché di questa situazione del nostro viaggio in ferrovia?
Ci siamo informati. Il motivo era che la linea ferroviaria era distrutta dai bombardamenti. C’incamminammo. Le strade erano piene di uomini che con cento
speranze nel cuore andavano chi verso sud, chi verso nord, tornavano a casa.
Incontrammo molti soldati tedeschi, privi di quella baldanza di “Blietzkrieg”, che
tornavano ai loro casolari dopo aver sparso il terrore per tutta l’Europa. Quando
incontravo a tu per tu qualcuno, lui guardava noi, noi guardavamo lui; forse tutti
noi avevamo la stessa domanda da farci: “Perché tutto questo?”115.
Strada facendo, attraversando un paesino, mi inoltrai in una casa a chiedere da
mangiare. Trovai un’anziana signora alla quale chiesi con la solita forma in tedesco se ci da qualcosa da mangiare. Nella piccola cucina erano presenti 2 giovani
uomini che parlavano in francese, mi rispose che domandassi a loro. Rivolsi la
stessa domanda a quei due giovani che consentirono di darmi un pezzo di pane.
Per un po’ il mio stomaco si acquietò e mi permise di continuare lo snervante
cammino verso casa.
Nota posteriore: Già perché tutto questo, ma quanti “perché” furono chiesti nella
storia del mondo da tanti uomini senza mai ricevere risposta. È forse stabilito che ogni
tanto qualche pazzo, per suo desiderio di procurarsi gloria, procura all’umanità simili
cose come le abbiamo vissute noi? Mi domando più volte come e perché tutti questi
imperi sono stati creati nel passato attraverso una storia millenaria da dittatori pazzi
e poi altri, nel combattere questi pazzi ed illudendosi che acquisteranno la libertà di
vivere, essi stessi rinnovano la stessa cosa. Quando questi soprusi, queste carneficine e
quando la storia sarà considerata maestra dell’avvenire? Non so.
115
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
344
Verso le tre del pomeriggio del giorno 4 maggio giungemmo, stanchi e affamati, in un paesetto fra le montagne, dove c’era una modesta stazione ferroviaria.
Trovammo diversa gente ad aspettare il treno per proseguire il viaggio. Aspettando il treno, il mio compagno di Promontore si inoltrò nel villaggio in cerca di
qualcosa da mangiare. Ritornò dopo circa mezz’ora raccontandomi e indicandomi
una casetta verso valle, poco lungi dalla stazione, dove ebbe una ciotola di una
appetitosa minestrina di verdure. Incoraggiato da quel suo successo, m’incamminai verso la suddetta casa, bussai, venne ad aprire una donna grassoccia, un po’
anzianotta, che mi parve anche bonacciona, alla quale rivolsi la solita domanda:
“Bitte frau, ich bin hungrig. Haben Sie etwas für essen?”116. Non si fece ripetere
la domanda, rientrò in cucina, io ero nel corridoio, e ritornò con una ciotola di
minestra. Senza aprire bocca me la porse e mi fece sedere. Mangiai così come
può mangiare un affamato, la ringraziai e corsi via, così lesto e svelto che mi
sembravo ringiovanito, verso la stazione dove mi aspettava il mio compagno. Ci
guardammo soddisfatti, contenti di aver almeno in parte riempito lo stomaco.
Mentre stavamo conversando, ecco apparire il treno che ci porterà sempre più
a sud vicino a casa nostra. Questa volta i vagoni non erano come quelli del primo
treno, ma erano vagoni normali. Da dove veniva non so, ma ricordo bene che era
quasi tutto pieno, trovammo un posto a sedere. Con il solito tram tram arrivammo verso sera all’ultima stazione ferroviaria in territorio austriaco. Qui ci fecero
scendere. Il paese era zeppo di gente che aspettava il treno. Entrai in una trattoria
dove c’erano tanti soldati tedeschi che fuggivano dall’Italia, o forse dal fronte
orientale o dalla Jugoslavia, in cerca della via che li portasse a casa. Guardandoli
non mi sembrava fossero disperati, anzi sembravano contenti di aver ancora la
testa sul collo. Un altro treno giunse e fu assalito da tutti quelli che lo aspettavano,
come fosse un arrembaggio di corsari; perché credo che in tutti ardeva il desiderio
e la nostalgia della propria casa, dei propri cari e del paese natio. Credo che questa
speranza del ritorno ci tenne tutti in vita, malgrado tutte le torture, le privazioni e
le umiliazioni che ci erano state imposte durante la nostra prigionia.
Finalmente il giorno 4 maggio a sera tarda arrivammo a Tarvisio in territorio
italiano117. Scendemmo dal treno e ci inoltrammo nel paese a me sconosciuto.
Giungemmo presso un edificio che sembrava una scuola, dove trovammo delle
donne che gestivano una cucina improvvisata e continuamente preparavano e davano della minestra ai rimpatriati che facevano la fila. Anche noi due riuscimmo
a ricevere per due volte una ciotola di pasta e fagioli.
Tradotto dal ted.: “Per favore, signora, sono affamato. Avrebbe qualcosa da mangiare?”.
117
Il certificato di rimpatrio/carta annonaria è datato 4/5/1945; sta in ACRS, f. E.
Vojvoda, cit.
116
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
345
All’alba, girovagando per Tarvisio, arrivai presso un forno, entrai, trovai un
fornaio sloveno che stava mettendo nel forno dei filoncini di pane e sembra cuoceva il pane per i tedeschi, che erano ancora in città. Lo pregai se mi potesse dare
un po’ di pane; in cambio gli offrii dei buoni di pane che avevo portato con me
dall’Austria, illudendomi che avessero ancora qualche valore. Essendo lui vicino
al confine dell’ormai crollato Terzo Reich, non fece caso e mi disse di ritornare fra
un’ora e che mettessi i buoni sul tavolo. Quando ritornai stava proprio sfornando,
mi chiese dove mi mettesse il pane; sbottonai il giubbotto, lasciando abbottonato
l’ultimo bottone in fondo, e cominciò a gettarmi uno dopo l’altro dei filoncini sul
ventre dentro il giubbotto, che faceva un ripostiglio capace di immagazzinarne
almeno una decina. Non ricordo quanti erano, ma so che li ritenni sufficienti a
calmare il mio appetito cronico, forse erano stati 6 o 7. Inconscio del pericolo che
avrei avuto ingoiando tutto quel pane fresco di forno, tutto contento uscii dal forno e cominciai a stritolare con soddisfazione, sotto la dentatura ancora forte, quel
pane profumato e lo mangiai tutto. Le conseguenze potevano essermi fatali, perché con questo mio atto insulso il male che soffrii durò molti giorni e mesi. Sarà
raccontato in seguito nel corso dei giorni che seguirono, sino al ritorno a casa.
Andammo nel centro della città e vidi davanti ad una trattoria un mucchio di
biciclette ammassate al muro; un soldato tedesco era vicino che le custodiva. Lo
avvicinai facendomi coraggio. Non so cosa successe e non ricordo in quale lingua
cominciai a parlargli, ma so di certo che parlammo in serbo-croato. Sono rimasto
sorpreso che lui lo parlasse, non chiesi da dove fosse, ma certo che apparteneva
alla minoranza tedesca che viveva nella Vojvodina. In Jugoslavia li chiamavano
“Volkdeutscheri” (folkdojceri). Lasciamo stare da dove era, ma mi sembrò molto
preoccupato. Gli chiesi se mi potesse dare una bicicletta, con essa avrei fatto
meglio il viaggio. Mi rispose che lo avrebbe fatto ben volentieri, ma che se ne
mancava una, quelli che erano in trattoria lo avrebbero fucilato. Non potendomi
fare il favore, mi pregò se potessi dargli qualche documento d’identità che potesse dimostrare di non esser lui; pensava forse che potrebbe cadere prigioniero in
mani che lui non desiderava, temeva forse delle rappresaglie? Non potei aiutarlo,
ma lì vicino c’erano dei soldati italiani ai quali spiegai cosa desiderava e che era
disposto a pagare bene. Uno di loro estrasse il portafoglio, gli offrì un documento
e si combinarono sul prezzo. Tutti due erano felici, uno per i soldi ricevuti e l’altro
per il documento, che forse in cuor suo sperava di poter sfuggire alla prigionia. Mi
allontanai fantasticando sulla mia situazione. Era il 5 maggio.
Girovagando ancora per Tarvisio, incontrai un mio paesano, compagno di
scuola, e un altro di un villaggio lontano da Dignano. Parlando del più e del meno,
come continuare il viaggio, venne la sera. In un grande cortile dove erano ancora
dei soldati in divisa italiana, non so se repubblichini o no, cucinavano in una marmitta del cibo che ci offrirono, ma, ahimè, il mio stomaco era ormai in disordine,
346
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
non potei mangiare niente. In una casetta bassa adiacente a questo cortile abitava
una guardia forestale, la cui signora si prestò molto ad aiutarci, specialmente me
che ormai ero completamente indisposto e soffrivo molto di male di stomaco
causa il pane fresco ingoiato alla mattina. Dormivo nella loro cucina su alcune
coperte che questa brava donna pose sul pavimento di legno. Fra di loro parlavano
un dialetto tedesco, forse erano dei cimbri del Vicentino? Non chiesi perché il mio
unico pensiero era come arriverò a casa.
Alla mattina ci incamminammo lentamente sino a Pontebba che credo dista
13 km da Tarvisio. Lungo la strada c’era una processione di uomini che andava
verso di noi e molti, molti ci seguivano e ci precedevano. Credo fosse stato verso
le nove di mattino, incontrai una compagnia di soldati che ci venivano incontro.
Non potevo vedere da lontano di quale esercito fossero, erano bene inquadrati,
con passo ben misurato, procedevano verso nord. Un ufficiale si staccò dalla
truppa e mi venne incontro, vidi allora che i soldati e l’ufficiale per distintivo sul
berretto avevano una “U”. Capii subito che erano soldati dell’allora padrone della Croazia, Ante Pavelić. L’ufficiale mi chiese in lingua italiana se gli americani
erano già più a nord. Si stupì molto quando gli risposi nel suo idioma che non
ero a conoscenza dove erano già arrivati gli americani, ma che io non li avevo
visti. Cosa avrà pensato e cosa pensai anch’io sull’avvenire di questi poveri
esseri che si erano messi a servire il fascismo? Scappavano di certo dalla loro
terra per non cadere in mano dei partigiani di Tito, che di sicuro non avrebbero
riservato loro un benevolo trattamento. Marciavano certo con la speranza d’incontrare gli alleati occidentali, di salvarsi e di essere accolti meglio.
Fare 13 km di strada a piedi con i propri bagagli e con lo stomaco in disordine
non era piacevole. Mi sforzavo di tenere il passo con i miei compagni, quando
forse a 3-4 km da Pontebba incontrammo un’altra compagnia di eserciti sconfitti.
Erano tedeschi e ben inquadrati; anche loro marciavano sulla scia degli “ustasci”
verso nord per arrendersi agli americani. Anche qui un ufficiale si staccò dalla
truppa e mi costrinse ad aprire la mia valigia per vedere cosa c’era dentro. Dovetti
aprirla, guardò e poi proseguì sveltamente per raggiungere i suoi superuomini
ormai battuti in pieno. Cosa cercava? Non so, credeva forse che la mia valigia nascondesse qualche piano mostruoso che potrebbe danneggiare la patria teutonica?
Non capii.
Prima di arrivare a Pontebba, mi accorsi che il mio sistema simpatico non funzionava bene e mi trovai molto a disagio perché il pane fresco di ieri mattina aveva avuto la facoltà di farmi forse quello che, se potevo non farlo, non avrei fatto. Il
mio intestino funzionava da solo. Mi trovai molto male fino a Pontebba. Lasciai i
bagagli ai miei compagni e mi indirizzai in chiesa dove pregai il buon Dio perché
mi desse la forza di arrivare a casa. Uscendo dalla chiesa incontrai un sacerdote,
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
347
raccontai quanto mi succedeva e lo pregai se potesse farmi alloggiare in qualche
luogo. Difatti, dopo avermi condotto presso un farmacista che mi dette qualche
polverina che non mi giovò granché, mi condusse al primo piano di una casa dove
erano 4 o 5 brande. Mi fece coricare su una. Durante la notte dormii alquanto, alla
sera però quando ero appena addormentato sentii un tuono, come uno scoppio di
una bomba. Seppi poi che i tedeschi fecero saltare un loro magazzino. I tedeschi
erano ancora là il 6. V. 1945.
Alla mattina del giorno 7 maggio un compagno mi venne a chiamare e domandarmi se potevo proseguire. Mi feci forza, mi alzai in fretta. Ci mettemmo
in cammino verso Carnia. Lungo la strada, che mi sembra era sotto un monte,
incontrammo difficoltà nel proseguire, perché la strada era interrotta e distrutta
dai bombardamenti. Dovemmo scendere in un canale dove c’era un ruscello che
ci permise di oltrepassare facilmente per raggiungere alcune case che stavano
appollaiate sotto il monte di fronte alla strada dalla quale dovemmo scendere. Entrammo in una di queste case, trovammo una donna piuttosto vecchia alla quale
chiedemmo qualcosa da mangiare. Ci porse una scodella di latte. I miei compagni
bevettero, ma io non ne potei bere un sorso, tanto stavo male che neanche il latte
caldo zuccherato offertomi da quella buona donna non mi poteva scendere nello
stomaco e pur ne avevo tanto bisogno.
Lasciata quella casa ospitale, scendemmo nuovamente giù proseguendo lungo il ruscelletto finché non raggiungemmo il posto dove poter salire nuovamente
sulla strada e incamminarci ulteriormente verso casa. Quando giungemmo sulla strada, dopo aver percorso pochi metri, incontrammo dei carri armati di un
esercito sconosciuto, ma poi ci fu fatto capire che erano neozelandesi. Visto che
il mio intestino non voleva funzionare secondo il mio desiderio e sapendo che il
cacao, cioè la cioccolata, ha facoltà astringente, mi rivolsi ad uno di questi soldati con preghiera di darmi un bastoncino di cioccolato. Espressi in tre lingue la
mia domanda, ma non mi comprese. Era un giovane di media statura, bello, simpatico, mi guardava e mi sorrideva, sentivo che mi avrebbe aiutato se lo poteva;
vedevo nei suoi occhi, di un’espressione buona, che lo avrebbe fatto. Mi ricordo
che a suo tempo ho studiato un po’ il francese e mi sforzai in quella lingua e gli
chiesi: “Monsieur, je suis malade, avez-vous une piéce de chocolat?”. Mentre gli
rivolgevo con fatica queste parole in francese, porsi la mano destra sulla pancia
per fargli capire meglio quanto mi occorresse e capì. Non mi fu possibile sapere
se parlava il francese, ma se lo parlava, lo sapeva sicuro meglio di me. Mi capì,
questo era necessario. Si arrampicò sul carro armato, scese nel suo ventre, salì,
scese a terra e mi porse un bel bastoncino di cioccolato. Lo ringraziai con tanti
“merci” cominciando a masticare il cioccolato che a mio parere avrebbe fatto
finire il disordine che avevo in pancia.
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
348
Arrivammo a Carnia, dove assieme al mio paesano, passammo la notte presso
un suo amico, giacché, se ben ricordo, lavoravano assieme nel cantiere di Monfalcone.
Il giorno 8 proseguimmo verso Gemona. Eravamo rimasti in tre. A Gemona
l’autorità locale, sembra la croce rossa, ci prese in evidenza su un registro e ci
impresse sulla carta d’identità il timbro del comune con la data 8 maggio 1945118.
Contrariamente a quanto io speravo, il mio malessere diminuì, ma non cessò completamente. Da Gemona ci incamminammo verso Udine. Fuori Gemona vidi un
soldato americano che dirigeva i camion che transitavano verso sud e verso nord.
Parlava l’italiano con accento americano. Lo pregai se potesse farci salire su qualche camion vuoto che andava verso Udine. Rispose: “Proibito!”. Dovetti rassegnarmi a proseguire con i miei compagni fidandomi delle mie gambe malferme.
Finalmente raggiungemmo Artegna, lontana da Udine circa 22 km. Ci fermammo, in un vasto cortile c’erano dei tavoli dove vedemmo molti uomini che
mangiavano. Entrammo, prendemmo posto anche noi. Delle donne ci portarono
della minestra. Gli altri mangiarono tutto, ma io non potei assaggiare che alcuni
cucchiai. Il mio intestino si era rifiutato di funzionare, però non avevo più certi
disturbi; il cioccolato aveva fatto del suo meglio.
Uscimmo da quel cortile, trovammo un americano gigantesco che si affaticava
a far salire su un camion degli uomini come noi reduci dalla prigionia. Gli feci
capire in certo qual modo, gesticolando, che ero ammalato e che mi permettesse
di salire sul camion e proseguire il mio viaggio. Mi permise, mi fece cenno che
potevo salire e salii. Dietro di me salirono anche i miei due compagni. Il camion
partì e dopo mezz’ora arrivammo a Udine. Trovammo molta gente, quasi tutti
in un vasto campo sdraiati per terra, forse stanchi, come ero stanco anch’io. Mi
sdraiai per terra, mettendo sotto la testa uno dei miei bagagli per riposare meglio.
Riposai là abbastanza tempo. Quando mi parve di essermi un po’ riavuto dalla
stanchezza, m’incamminai in città in cerca di un amico, compagno di prigionia,
che abitava in Via delle Pelliccerie. Non ebbi la fortuna di trovarlo a casa, mi
avrebbe fatto piacere scambiare quattro parole con lui. Era, da quanto appresi
dalla signora, assente per affari, che erano in quei giorni di attualità, quale membro di certo comitato. Dalla signora ebbi un piattone di pasta asciutta che, se mi
fossi trovato in salute, l’avrei divorata, ma non potei neanche assaggiarla dato il
mio grave stato di salute. Durava già da tempo e non so come ebbi la forza di trascinarmi ancora avanti. Devo constatare che il cioccolato che mi dette il soldato
neozelandese mi giovò molto, ma non mi rimise in salute.
Carta d’identità rilasciata dal comune di Dignano d’Istria il 31/7/1943 (sul verso si
nota il timbro del Comune di Gemona del Friuli e la data “8 MAG. 1945”); sta in ACRS,
f. E. Vojvoda, cit.
118
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
349
Mi allontanai da quella casa ospitale, facendo ritorno fra i miei compagni di
viaggio.
Da Udine abbiamo preso il treno che ci portò sino a Cervignano, oltre non andava. Alla stazione di Cervignano mi riposai su una panchina, mi sdraiai. Avevo
con me delle compresse di vitamina C che ricevetti da casa con i pacchi che mi
spedì mia moglie, le sciolsi nell’acqua e le bevvi, era l’unica cosa che introducevo
nel mio stomaco da alcuni giorni.
Riposai alquanto e poi ci incamminammo verso Monfalcone, lungo la strada
ci raggiunse un carro con un tavolaccio sul quale il conducente ci permise di mettere i nostri bagagli e proseguire poi a piedi accanto al carro. Quando giungemmo
sull’Isonzo, dovemmo fermarci. L’esercito partigiano jugoslavo era già sulla riva
sinistra del fiume. Era il 9 maggio 1945. Un soldato mi fece aprire la mia valigia
ed un altro bagaglio formato da uno zaino pieno di roba, indumenti che appartenevano a mio fratello. Erano calze, mutande e maglie in lana che io desideravo
portare a casa e consegnare ai miei. Questi indumenti facevano parte di un pacco
che ricevetti a Katschberg indirizzato a mio fratello dopo la sua partenza per Dachau, da dove non fece ritorno.
Lo zelante soldato, che mi perquisì i bagagli, mi alleggerì di tutte queste cose
senza domandarmi niente, cose che io avevo trascinato per tanti chilometri. Non
aprii bocca, ma che cosa avrei capito, anche protestando? Era meglio tacere, tanto
eravamo in piena libertà. Dopo questo ingrato incontro, ci incamminammo per
Monfalcone, qui arrivammo verso il tardo pomeriggio, ci fermammo in casa del
mio paesano che abitava costì. Dopo essermi riposato un po’ e aver preso un po’
di caffè, m’incamminai verso la casa del mio fratellastro che abitava nel quartiere
operaio di Panzano. Non posso dimenticare mia cognata che subito mi fece fare
un bagno, mi spidocchiò tutti i miei sudici indumenti e mi offrì un buon letto che
mi aiutò, con il sonno e con il riposo, a riacquistare le forze e un po’ di salute.
La mattina del 10 mi svegliai guardandomi intorno, mi pareva di sognare a
occhi aperti. Ma era vero tutto quello che vedevo, era proprio finito tutto? Sì, era
finita solo la prima parte, la più triste, la più umiliante di questa dolorosa avventura. Cominciai a mangiare, ma la salute non era ancora rimessa.
Il giorno 12.5.1945 mia nipote si rivolse al “Comando difesa nazionale, Città
di Monfalcone” per farmi rilasciare un “Lasciapassare” per recarmi a casa in bicicletta. Il lasciapassare portava il n.ro 1862 ed era valevole sino al giorno 31, ed
era compilato su un modulo bilingue119. Mio fratello mi offrì la bicicletta e trovò
una barca a vela di dimensioni piuttosto grandi ancorata nel porto di Monfalcone,
erano proprietari due uomini di Portorose, li pregò se potessero prendermi e portarmi oltre traversando il golfo di Trieste.
119
Il lasciapassare sta in ACRS, f. E. Vojvoda, cit.
350
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
Il giorno 14 maggio al dopopranzo partii con questa barca da Monfalcone, con
la bicicletta e una borsa con del cibo. Arrivammo a Portorose dove uno di questi
marinai mi portò a casa sua. Dopo avermi offerto una tazza di caffè, mi fece coricare sul fienile. La casa era sulla collina che sovrasta Portorose.
Alla mattina alle 6 mi svegliai, la padrona mi offrì nuovamente del caffè,
ringraziai tanto quella brava gente e me ne partii. Non ero che qualche km fuori
di Portorose che un compagno in divisa mi fermò, mostrai il lasciapassare e poi
proseguii. Eravamo ormai il 15 maggio 1945. Ammalato, debole, era per me un
po’ faticoso il tragitto di oltre 80 km. Potei però fare questo viaggio in bicicletta
grazie ai miei garetti usi a pedalare ancora dalla mia giovinezza. Non potevo però
pedalare quando le salite erano ripide, dovevo camminare. Giunsi finalmente a
Portaporton, dista da Dignano oltre 50 km. Qui mi fermai, all’ombra di quei pioppi alle foci del Quieto, per rifocillarmi, ma ahimè, l’appetito non si manifestava,
ingoiai un boccone e mi rimisi in viaggio. La salita che porta a Visinada la feci a
piedi, non ne potevo più. In cima alla salita, raggiunta Visinada, inforcai nuovamente la bicicletta, sostituendo, secondo le salite e le discese, i pedali o le gambe.
Raggiunsi il canale di Leme. Scesi, scivolando giù di questa discesa, lanciandomi
di corsa sino in fondo. Già sentivo la vicinanza del luogo natio che distava sì e
no 20 km da lì. Dovetti servirmi delle gambe per salire verso la china, quando a
metà strada incontrai un gruppo di gente che lavorava per sgomberare la strada
dalle pietre, cadute dal lato roccioso che chiudeva la strada sotto il ponte della
ferrovia Rovigno-Canfanaro. Vidi alcuni paesani che avevano servito in divisa di
repubblichini il nazifascismo. Uno mi salutò e mi rivolse la parola, sperando forse
ch’io potrò aiutarlo.
Quando giunsi in vetta alla salita, montai sul mio cavallo d’acciaio e via verso
Valle, che la strada ormai era più in discesa che in salita. Quando giunsi a Valle
mi riposai, mi sedetti su una grossa pietra quadra, a lato di quella casa che sta
sul bivio che va a Rovigno. Aspettai 10 minuti, pensando che presto sarò a casa;
una lagrima mi sgorgò dagli occhi pensando dove sarà mio fratello e piansi. Mi
rifeci dall’emozione, mi asciugai gli occhi e partii. Erano già certo le 2 e più del
pomeriggio. Quando feci un paio di km, giunsi in vista del campanile di Dignano,
non potei trattenere le lacrime e non mi parve vero che fossi ormai vicino a casa.
Dopo 9 ore di viaggio, giunsi alle 3 del pomeriggio a casa mia. Il portone non era
chiuso a chiave, entrai, misi la bicicletta nel corridoio e chiamai: “Nanda, Nanda!”. Mia moglie si precipitò giù dalle scale, ci abbracciammo così forte da non
poterci quasi staccare. Era il più bell’abbraccio della mia vita.
Giunto che fui a casa, mi si presentarono altri nuovi problemi ed affanni. Mia
cognata ed i miei quattro nipoti mi posero delle domande per sapere dove era mio
fratello. Cosa potevo dire? Raccontai come e perché fu trasferito da Katschberg e
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
351
dove fu trasferito, altro non sapevo. Del gruppo che fummo arrestati il 15 luglio
1944, 6120 non ritornarono mai e finirono nel crematorio di Dachau.
Al mio ritorno non ebbi la gioia di essere soddisfatto della mia attività di antifascista, tanto era ormai finita la guerra e quelli che ora avevano il potere in paese
posso dire che quasi quasi non li conoscevo. Erano tutti indaffarati a procurarsi
qualche seggiola di comando e non a visitare il reduce. Io ero uno di quelli che
fondarono il comitato popolare di liberazione per liberarci dall’odiato fascismo.
Nessuno dei nuovi membri dell’autorità locale allora al potere si degnarono di
farmi visita e di domandarmi se mi occorresse qualcosa. Fecero eccezione gli
amici membri del comitato, che ormai era passato d’attualità. Ora erano altri che
avevano il compito di forgiare l’avvenire. Il nostro compito e la nostra lotta, durata più di venti anni, non serviva più; noi non eravamo più indispensabili e poi le
sedie di comando erano poche per soddisfare le ambizioni di molti arrivisti, che
nelle rivoluzioni non mancano mai.
La mia malattia, la gastrite, non mi dava pace; passai tre mesi a curarmi finché
non mi rimisi in forze da poter riprendere il mio lavoro senza più interessarmi di
come andasse il mondo, come sarà la società futura. Dopo questa immane carneficina che eliminò dalla superficie della terra, dicono, 50.000.000 di vite umane,
non so cosa ci riserva l’avvenire. E valeva la pena? Credo di no, perché di fascismi
ce n’erano e ne saranno anche in avvenire e di diverse tinte.
Finisco questa storia che spero a qualcuno servirà per tracciarsi una via, un
sentiero più bello del mio, per transitare su questa terra meglio di me.
Sono molto grato alla Prof.ssa Anita Forlani che mi dette molti e utili consigli.
La ringrazio intensamente per tutto, specialmente per l’aiuto morale con il quale
mi spronò più volte a perseverare nella compilazione del racconto.
Nel testo originale l’autore scrive “cinque”; in seguito esegue una correzione,
cancella la parola “cinque” e scrive “6”.
120
352
Paola Delton, Memorie della prigionia di Erminio Vojvoda, Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 261-352
SAŽETAK
MEMOARI IZ ZAROBLJENIŠTVA ERMINIA VOJVODE (1944.-1945.)
Erminio Vojvoda (Vodnjan, 1902. – Pula, 1991.) ispričao je u rukopisu,
kojeg je dovršio osamdesetih godina prošlog stoljeća, iskustva svojih deportacija u neke nacističke zarobljeničke logore, prije svega onoga u Katschbergu u Austriji. Središnji dio tih memoara je skup bilješki, zapažanja i
razmišljanja o zarobljeništvu zabilježenih, tijekom boravka u logoru s prinudnim radom, na marginama i na praznim stranicama jedne knjige koju je
imao kod sebe: Čovjek taj nepoznanik od Alexisa Carrela (izd. Bompiani,
Milano 1943.). Taj skup bilješki prestavlja stvarni Dnevnik zarobljeništva
Erminia Vojvode. U njemu su opisani svakodnevni život interniraca, iskustva prisilnog rada, nesuglasice među drugovima, dnevni obroci, neraspoloženja, zlostavljanja, pokušaji bijega, kažnjavanja, itd. Njegovo tragično
iskustvo počelo je 15. srpnja 1944. s uhićenjem u Vodnjanu zbog političkih
razloga i okončalo se s povratkom kući 15. svibnja 1945. Izdanje memoara
upotpunjeno je životopisom autora koji je bio cijenjeni obućarski modelar.
POVZETEK
SPOMINI UJETNIŠTVA ERMINIJA VOJVODE (1944-1945)
Erminio Vojvoda (Vodnjan, 1902 – Pula, 1991) je v rokopisu opisal (končan v osemdesetih letih), njegov izgon v nekaterih izmed nacističnih taboriščih, predvsem v koncentracijskem taborišču Katschberg v Avstriji. Jedro
spominov je zbirka zapiskov, opazovanj in razmišljanja o zaporu, ki ga je
napisal v času izgona. Pisal je na robovih in na praznih straneh knjige, ki
jo je imel s seboj: Človek ta neznanec Alexisa Carrelja (Bompiani, Milan
1943). Sklop zapiskov predstavlja dnevnik ujetništva Erminija Vojvode.
Najdemo opis vsakdanjega življenja zapornikov, prisilna dela, nesoglasja
s tovariši, obreda, slabih počutij, poskusov begov, kaznovanj, itd. Njegova
tragična izkušnja se je začela 15. julija 1944 z aretacijo zaradi politične
narave v Vodnjanu in se je končala z vrnitvijo domov 15. maj 1945. Prepis
spominov spremlja biografija avtorja, znanega obutvenega modelarja.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
353
PARENZO TRA LA “SERENISSIMA” E LA “SUPERBA”
Le reliquie dei santi Mauro ed Eleuterio:
memoria storica sulla loro restituzione
GIOVANNI RADOSSI
Centro di ricerche storiche
Rovigno
CDU 231.73(497.5Parenzo)
Saggio
Febbraio 2013
Riassunto: La restituzione delle reliquie dei santi Mauro ed Eleuterio, nel 1934, costituisce
certamente uno degli avvenimenti più rilevanti della storia ecclesiastica non solo di
Parenzo, ma di tutta la provincia dell’Istria. La memoria che qui si pubblica, venne stesa e
conclusa nel settembre 1934, dal versatile Mons. Pietro Cleva – uno dei vicari cooperatori
dell’Eufrasiana, che ha esposto con zelante precisione, con linguaggio solenne, anche
se spesso laudatorio, i particolari storici dei secoli XIV-XIX relativi alle vicissitudini
delle reliquie, ma, soprattutto, quelli di attualità (1929-1934), che per lui costituivano
certamente memorabili giornate da consegnare alla storia, senza tralasciare l’elencazione
puntuale personaggi pubblici (ecclesiastici e politici) presenti / protagonisti dell’epocale
evento della restituzione.
Summary: Parenzo-Poreč between the “Serenissima” and the “Superba”. The relics
of Saint Maurus and Saint Eleutherius: historical memory of their restitution – The
restitution of relics of Saint Maurus and Saint Eleutherius in 1934 is certainly one of
the most important events of ecclesiastical history not only of Parenzo-Poreč, but of
the whole Istrian province. The memory published here was laid out and completed in
September 1934, by the versatile Mons. Pietro Cleva – one of the vicars cooperators
of the Euphrasian basilica, who with zealous precision, and solemn language, though
often laudatory, exhibited the historical details of XIV-XIX centuries concerning the
vicissitudes of the relics, but, above all, those of actuality (1929-1934), which for him
certainly constituted memorable days to be delivered to the history, without omitting the
punctual listing of the actual public figures (ecclesiastical and political) / protagonists of
the epochal event of the restitution.
Parole chiave / Keywords: Parenzo, Serenissima, Genova, reliquie, S. Mauro, S. Eleuterio
/ Parenzo-Poreč, Serenissima, Geno(v)a, relics, S. Maurus, S. Eleutherius.
Quando, nel 1910, Parenzo inaugurava “il nuovo palagio del Comune, costruito con le belle linee del Rinascimento italico”, consacrato esso
pure a “custodire immacolate le tradizioni, i costumi, le leggi, la lingua,
ed ogni altro ricordo e documento”, i corpi dei suoi santi protettori Mauro
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
354
ed Eleuterio1 riposavano mestamente già da cinquecento e sessant’anni in
S. Matteo di Genova, e vi avrebbero continuato a risiedere per ancora un
quarto di secolo prima del loro ritorno nella stupenda basilica Eufrasiana.
Nel 1354, allorché Paganino Doria – mitico ammiraglio genovese, con
un travolgente impeto vittorioso sconfiggeva la flotta veneziana nelle acque
prospicienti l’Istria, i parentini si vedevano defraudati dei “sacri” resti dei
due loro protettori, pagando in tal maniera da “alleati” a caro prezzo l’atto
di sottomissione alla Serenissima. È ben certo che da Venezia essi avevano
comunque avuto “sicurtà contro i predoni, saggia unità di amministrazione e di leggi, dignità di ordinamenti e di istituzioni civili; forza militare e
navale”; avevano avuto vescovi, podestà e procuratori ed anche “l’arguto e
squillante dialetto, le trine e le bifore della bella architettura”. Ma a Venezia
avevano dato le pietre per i superbi palazzi, le querce per le trionfali galere,
i prodotti del loro suolo2.
Infatti, le rivalità fra Genova e Venezia3 avevano prodotto una guerra
spaventosa, di cui fu capro espiatorio l’Istria: quel duello mortale era iniziato, in effetti, per il dominio dei mercati d’Oriente. E così venti galere genovesi erano già entrate arditamente in Adriatico e stavano procedendo verso
settentrione: comandate da Paganino Doria, dopo aver messo a ferro e a
fuoco Pola, unica città fortezza della costa, esse si appressavano a Parenzo.
“La difesa delle mura cedette alla potenza delle armi della flotta genovese.
Ardeva il bel palazzo pretorio. I cittadini combattevano ancora vanamente,
Tra i numerosi scritti sul cristianesimo parentino e sulle sue figure preminenti,
apparsi in particolare nel corso del secondo Ottocento, quando si riaccesero varie
iniziative per riavere le reliquie dei SS. Patroni, si segnalano qui in particolare i saggi di
B. BENUSSI, “Privilegio eufrasiano”, in AMSI, v. VIII (1892), pp. 48-85; di P. DEPERIS,
“Il duomo di Parenzo ed i suoi mosaici”, in AMSI, v. X (1895), pp. 91-221; ovvero IDEM,
“S. Mauro e S. Eleuterio vescovi martiri di Parenzo” e “Parenzo cristiana”, in AMSI, v.
XIV (1898), pp. 1-88 e 395-538.
2
Si veda PICCIOLA, IX.
3
All’epoca – fine del Duecento – “una comune e convergente autorappresentazione
sostiene l’interpretazione del passato e delle vicende attuali di Venezia e Genova, che
assegna ora agli uni, ora agli altri il ruolo dell’avversario destinato a soccombere per
la volontà divina che privilegia ora l’una, ora l’altra città, comunque sempre quella
presentata come timorata da Dio e protetta dalla corte celeste. Quindi una persistente
chiave di lettura dell’altro di stampo moralistico e propagandistico”. [I Genovesi vengono
definiti] “arroganti, fraudolenti, temerari, astuti, una nazione Deo et hominibus exosa”
che si erge contro Venezia “la città a cui iustitiam, aequitatem et pacem amantibus totus
orbis christianus pariter et barbarus favere deberet” (PETTI BALBI, pp. 433-435).
1
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
355
strada per strada, casa per casa”4. E com’era costume d’allora, il vincitore,
prima ancora di staccare l’insegna della porta principale della città e prima
di cominciare il sacco bruciando lo statuto municipale, invase la basilica
(…), rubò i corpi di S. Mauro e di S. Eleuterio. (…) Così Paganino Doria
poneva sui trofei militari i sacri resti; il popolo ne rimase abbattuto e scosso
per modo, che nell’eccitata fantasia, dinanzi alle orme di sangue lasciate
sul mosaico del pavimento dai guerrieri genovesi, gli parve di vedere segni
dell’ira celeste”5. All’imbrunire le galere salpavano “lasciandosi dietro il
Così CUSCITO-GALLI, p. 141. Invece, la poetessa parentina Lina GALLI, con
linguaggio poetico, descrive i particolari dell’assalto: “LE GALERE DEI DORIA.
Parenzo, tutta nascosta nel quadrangolo delle sue mura, con il suo torrione quadrato e le
torri campanate, spiava dalla vedetta di S. Francesco verso il mare aperto nella valle del
nord verso Cervera, nella valle del sud, a destra ed a sinistra dell’isola di Sant’Anastasia
coperta di olivi, se il pericolo si avvicinasse sospinto dai venti marini. // Venti galere
genovesi erano entrate nell’Adriatico e veleggiavano verso il Golfo. Le comandava
Paganino D’Oria della schiatta che stava al culmine della gente genovese. Contro gli si
ergeva Vettor Pisani. Una ben alta posta valeva la vittoria: il dominio del mediterraneo
ed il più bello impero coloniale d’Oriente. A Caffa era scoccata la scintilla covata a lungo
che incendiava i due sangui latini. Nel nome di S. Giorgio e di S. Marco gli equipaggi
si lanciavano vicendevolmente all’arrembaggio delle galere. La vittoria veneziana
alla Loiera aveva equilibrato quella genovese del Bosforo. Ma il duello mortale come
quello tra Cartagine e Roma doveva finire con lo annientamento della rivale. Le galere
genovesi ora puntavano sul cuore di Venezia. Intanto la terra istriana era un bel dominio
di S. marco che bisognava guastare, una cava alla quale Venezia attingeva a piene mani
uomini per le ciurme e vettovaglie di vino, di olio e di arieti. // Tutti i cittadini di Parenzo
stavano preparando le corazze, le gambiere, le cervelliere e i palvesi. Si provavano il filo
delle ascie, le punte dei giavellotti, l’arco delle balestre. Si tiravano a secco galeotte e
galadelli. Purtroppo la città non aveva mandracchio ove riparare il naviglio. Gli occhi
delle sentinelle raddoppiate sugli spalti e sulle vedette spiavano il mare, pronte a dare
l’allarme con le campane e ad accendere i fuochi e a far fumate d’avvisaglia. // Di notte la
città dormiva soffocata dalla tenebra: solo davanti alla madonna ed ai Santi delle nicchie
e dei capitelli ardevano i lumini spandendo un debole chiarore che riempiva d’ombre
lunghe gli angiporti e le contrade. Gli uomini non trepidavano. Dal tempo dei Franchi
Parenzo non era stata mai presa. Facilmente era stato rigettato dai padri ogni assalto
di corsari. Anche Mainardo conte di Gorizia che più di cent’anni prima aveva messo
il Campo a Cimarè aveva dovuto levarlo ed andarsene con le pive nel sacco. La città
era chiusa solidamente nelle mura erette dall’ultimo podestà patriarchino Warnerio
Gillaco. Il nuovo palazzo pretorio si appoggiava fidente al grande torrione quadrato che
si specchiava superbamente nelle onde. Il capitano ordinava le milizie, il podestà visitava
le fortificazioni. Occorreva rinforzar bastite, preparare polvere di calce e materie ardenti
da riversare addosso agli assalitori” (Ritorno, p. 11-12).
5
Cfr. PETTI BALBI, pp. 435-436; BENUSSI, p. 125 (viene indicata erroneamente
4
356
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
fumo degli incendi; il cofano sacro era stato deposto sulla tolda della nave
ammiraglia. Nella basilica depredata la gente si aggrappava all’arca vuota.
(…) Era il 16 agosto 1354”6.
la data del 4 novembre). La difesa della cittadina fu rovinosa, come si cimenta a
ricostruirla L. GALLI (Ritorno, pp. 12-13): “LA DIFESA. Nella grande via romana che
tagliava la città in due fette, in Marafor, in Predol, in ‘contrà’ Pusterla si svolgeva in
apparenza la solita vita ma con ritmo rallentato. Una febbrilità inusitata ardeva negli
sguardi e nelle parole, ma esaltazione sommoveva la folla che flottava continuamente
nella piazza ‘Granda’, davanti al Palazzo, l’agitava come un’allegria guerriera. Nelle
numerose chiese che s’incontravano ad ogni passo da San Zorsi alla Madonna delle Mura
si susseguivano gli uffici divini davanti a folle in preghiera. Le donne affacciate alle scale
esterne delle case, alle loggette superiori, si scambiavano sguardi di apprensione e poche
parole accorate o sollevando le pelli di pecora distese davanti alle piccole finestre ad
arco rotondo guardavano in alto. La calura d’agosto sollevava vapori, intorbidiva l’aria,
essicava la terra rossastra. I tramonti insanguinavano il cielo. Tutto era colore del fuoco
e del sangue e nei cori fatti pesanti delle donne covava la paura del fuoco e del sangue.
// Le galere dei genovesi erano già entrate nelle acque del Golfo! // Troppo pochi e forse
anche inesperti erano stati i difensori. Al grandinar delle bombarde di tutta la flotta, che
cingevano la città come bocche infernali, non avevano resistito. In cima alle fortificazioni
s’erano sfasciate tutte le berlesche di legno. La fitta pioggia saettante dalle balestre aveva
mietuto i difensori delle mura. Dalle scale s’era riversata l’onda delle ciurme genovesi.
Le quattro porte di mare erano state sforzate dalle macchine espugnatrici. Dalla porta
di terra, spalancata, la gente fuggiva terrorizzata verso il borgo e correva a celarsi come
selvaggina inseguita tra la macchia verde della collina. Dalla porta maggiore era stata
staccata l’insegna. // Il bel palazzo pretorio eretto dal podestà Marco Michiel fumava
da tutta la fila delle finestre spalancate sulla piazza, con lui ardevano i preziosi archivi
e l’antico statuto municipale. La strage cavalcava per ogni contrada ed ogni vicolo con
il suo ululato ed il suo ghigno selvaggio. La difesa spezzata s’era ridotta a centinaia di
piccoli combattimenti individuali. Ogni uomo ancor valido davanti alla porta delle sua
casa difendeva senza speranza il suo focolare dall’orda dei saccheggiatori. Urla, balenio
d’armi, rosso furore, mani lorde di sangue fumante, occhi stravolti, chiome selvagge,
tremito di bimbi, fumo d’incendio. Sulle esterne bocconi sanguinavano i corpi sbiancati
dei difensori. La violenza genovese faceva la sua rossa vendemmia sulla città conquistata
densa di vite inermi. In un punto c’era ancora silenzio: all’orlo del mare la basilica antica
accoglieva sotto le volte una folla atterrita. Il rombo del sacco si rompeva contro le sue
sacre mura come gli ululati dei marosi in tempesta. Dalla folla prostrata le invocazioni ai
santi patroni salivano al cielo come un delirio. // Ma Paganino D’Oria, saziata la fame di
saccheggio delle sue milizie, pensava a ben altra preda. Avviandosi alla basilica non lo
allettavano le croci d’oro, i calici, le ancone di argento, le mitrie ornate di pietre preziose,
tutto il ricco tesoro del tempio. Egli voleva strappare il cuore vivo alla città cristiana e
rigettarla per sempre orfana nel buio, priva di ogni protezione celeste. La più ambita
preda e la più sacra doveva arricchire a Genova i trofei vittoriosi di casa D’Oria”.
6
CUSCITO-GALLI, ibidem, che riportano essi pure la data del 4 novembre 1364
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
357
La Dominante rimase sgomenta del disastro di Parenzo: l’ammiraglio
Nicolò Pisani ebbe l’ordine di scacciare i Genovesi dall’Adriatico; tuttavia,
Paganino, lasciata l’Istria “s’avvia in Oriente e a Porto Lungo nell’Isola
(!). Si legga l’interessante descrizione / ricostruzione dell’episodio stesa dal giornalista
parentino Mario GRABAR, “Paganino Doria e l’oltraggio a Parenzo”, in Strada Granda,
n. 21 (1983), pp. 44-48. Suggestivo, poi, il racconto della GALLI sull’atto del saccheggio
delle reliquie (Ritorno, pp. 13-14): “LA PREDA PIU’ AMBITA. Quando, attraversato il
cimitero il vincitore giunse all’armonioso atrio sul quale pioveva il cielo pieno di silenzio
e da qui si affacciò alla soglia, ristette. // Sorgeva come un sogno la basilica d’oro. Le tre
navate sui filari delle colonne marmoree poggiavano come la stiva di una magnifica nave
capovolta con la prua drizzata verso l’oriente. Sullo sfondo aureo i musaici disegnavano
la figura del Redentore dagli occhi tristi, la rigida figura della vergine, la bianca teoria
degli apostoli, l’arcangelo con le grandi ali aperte. Il pavimento pareva coperto da grandi
tappeti orientali lavorati ad intrecciature, i capitelli delle colonne si espandevano a
calice ed a campana, si intrecciavano in graticci di vimini. Dalle finestre pioveva una
luce perlacea. Nel centro dell’abside sotto il baldacchino del cielo notturno cosparso di
stelle d’oro sorgeva isolato l’altare. // Sotto l’abside nella navata destra, nella grande arca
marmorea riposavano le ossa dei tutelari. Mauro il patrizio romano, il vescovo segreto
che sotto Valeriano aveva innaffiato col suo sangue le fondamenta della chiesa parentina,
ed Eleuterio suo successore in dignità e martirio. // Su quest’arca si posarono ardendo
gli occhi grifagni del conquistatore. // E l’arca marmorea sigillata nel 1247 dal vescovo
Pagano fu scoperchiata dalle spade genovesi e le sacre possa furono toccate dalle mani
predaci. Attorno stava una folla gemente abbattuta come da un vento di tempesta. I
canonici celavano il capo tra le palme, il vescovo Giovanni assiso sulla cattedra episcopale
aveva la faccia bianca come la morte. Forse anche le figure jeratiche dell’abside, Claudio
ed Eufrasio, sollevarono i manti purpurei per velarsi gli occhi. // Veniva rapito il tesoro
più prezioso della basilica, per la quale il vescovo antico aveva gettato tutte le ricchezze
della sua famiglia e del vasto dominio. // Verso sera le galere vittoriose, distese le tre vele,
salpavano. Si perdevano verso nord sul mare ammantato di viola. Parenzo non era più
che un mucchietto su di una lingua di terra, stretta in una cinta di mura che chiudeva una
infinità di dolore. Salivano al cielo ancora fumi e guizzi di fiamme. Ardeva il palazzo
pretorio. Le fiamme lambivano la lapide marmorea: ‘Imploriamo Gesù che regna nei cieli,
affinchè la tutela divina difenda sempre la casa di Cristo dalle armi nemiche’ … ‘La curia
ed il palazzo noi raccomandiamo al potente Signore che tutto regge’… // Ardevano le case
più belle dei nobili, nelle quali già si affacciavano le bifore inghirlandate e sorridevano
i poggiuoli. Gli uomini tentavano di domare gli incendi. I fuggiaschi ritornavano con
visi d’angoscia. La gente ricomponeva piamente i suoi morti e li trasportava nelle sacre
cappelle. I feriti ardevano di febbre. Donne ululavano ancora. Nella basilica violata già
piena d’ombra una folla fissava ancora l’arca scoperchiata. Tra i singhiozzi un ritornello
si alzava e ricadeva sordamente: ‘San Moro e San Lizer!’ – ‘San Mauro e San Lizier!’
Nella sua allucinazione davanti alle orme di sangue lasciate dai Genovesi sul pavimento
di mosaico, la gente asseriva già d’aver visto quel sangue scaturire miracolosamente
dall’altare maggiore che racchiudeva altre ossa di martiri”.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
358
della Sapienza attacca il Pisani e gli infligge ulteriormente una tremenda
sconfitta: 30 navi perse, 4000 uomini trucidati e 5870 prigionieri, tra cui
l’Almirante che subito dopo morirà di dolore. (…) Trionfali furono le accoglienze tributate da Genova al vincitore. (…) Le sacre Reliquie furono deposte nella chiesa gentilizia dei D’Oria, nell’Abbazia di S. Matteo, chiamata
pure Abbazia degli Ammiragli. (…) Il 4 novembre, poi giorno del ritorno
del vincitore, divenne per il casato dei D’Oria festa di famiglia”7.
Ma già nel 1360, la peste bubbonica – “lo mal de la Giandussa” – si sarebbe presentata anche a Parenzo – a completare il senso di sconforto, portata dai navigli che venivano dall’Oriente, quando la gente non si era ancora
riavuta dal dramma del 1354: e quella sarebbe stata soltanto una delle tante
infezioni che avrebbero colpito la cittadina; il secolo XIV si stava avviando
alla sua conclusione, lasciando la città provata.
Queste le vicende centrali che costituiscono il punto di partenza dal quale si evolve nel manoscritto una narrazione puntuale che nulla tralascia di
evidenziare, per arricchirsi poi e svilupparsi successivamente attorno alle
vicende più o meno complesse degli avviati tentativi intrapresi nei secoli
venienti per ottenere la restituzione delle reliquie. È la cronaca di alcuni
secoli di tentativi infruttuosi, di richieste insoddisfatte e di speranze deluse,
quasi drammatico antefatto all’eccelsa soluzione finale.
Va certamente rilevato che una presenza particolarmente incisiva nello
svolgersi del testo è costituita dagli innumerevoli e costanti richiami alle
vicissitudini ed al ruolo svolto dal casato genovese, protagonista assoluto
del racconto storico, quasi un lungo diario, che si conclude con l’apoteosi
della restituzione – che diventa donazione – dopo quasi seicento anni (nel
1934), in una Parenzo redenta, “assecondando le iniziative del Podestà, del
veneratissimo Vescovo, dell’onorevole Comitato e dei D’Oria, facendo sì
che finalmente i Santi Mauro ed Eleuterio siano restituiti al popolo di questa Parenzo romana, fedelissima di Venezia”8.
*****
Questa famiglia patrizia dogale genovese, fieramente ghibellina, tra le
più celebri d’Italia e numerosissima, ha dato eminenti capitani, ammiragli,
diplomatici, dogi, cardinali, letterati e scienziati e da Genova ha diramato
7
8
Cfr. il presente manoscritto, pp. 5-6.
Vedi ms pp. 152-153.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
359
le sue propaggini in altre plaghe italiane ed estere. La tradizione li vuole
provenienti da un Arduino, riparato a Genova, che sul cadere del X secolo
avrebbe sposato Oria di Corrado della Volta, i cui figli Pietro Robaldo e
Ansaldo vennero chiamati dal nome della madre ‘D’Oria’. La loro affermazione è così rapida, che nel sec. XII un Martino D. edificò la chiesa di
S. Matteo che ancora nel 1934 veniva amministrata con diritto di patronato da tutte le viventi linee di questo casato riunite, a somiglianza di altre
famiglie genovesi, in una specie di corporazione familiare che eleggeva a
maggioranza di voti l’abate ed i propri governatori. Dai due figli di Ansaldo
[Guglielmo e Simone] discesero i numerosissimi rami le cui propaggini nel
secolo XIII già si erano suddivise in 32, quanti erano allora i capifamiglia.
Dei quali, nel secolo ventesimo, erano ancora superstiti con rappresentanza maschile il ramo V, proveniente da Guglielmo, ed i rami XIII, XV e
XXVIII, provenienti da Simone. Però, il ramo XXVIII, del quale erano
rimaste 6 linee, prende capo da Lamba, capitano del popolo di Genova e
vincitore dell’armata veneziana a Curzola (1298) ove aveva fatto prigionieri
l’ammiraglio Andrea Dandolo e Marco Polo, e dove perì il suo primogenito
Ottaviano. Moltissime sono le linee estinte e i personaggi illustri o ragguardevoli che ad esse appartennero; limitandoci soltanto ai principali tra essi
(e le cui azioni sono connesse con le vicende dell’Adriatico orientale), ricordiamo in particolare Pagano, fratello dell’ammiraglio Gaspare, che con
settanta galere aveva sbaragliato, dopo sanguinosa e famosa battaglia nel
Bosforo Tracio, la flotta greco-veneto-catalana composta di 86 legni, catturandone 50 (1352), mentre con 35 galere incendiò Parenzo (1354)9, dal cui
duomo trasse appunto le sacre spoglie dei santi protettori Mauro ed Eleuterio portandole alla chiesa di S. Matteo in Genova10. Corre fama, che in
quel frangente Pagano incendiasse pure, nella stessa spedizione marittima,
Curzola e Lesina, mentre a Portolungo, nell’isola della Sapienza, sconfisse nuovamente l’armata veneta facendone prigioniero l’ammiraglio Nicolò
Le numerose precedenti vittorie sui Genovesi, avevano “insuperbito i Veneziani
che in non modicam arrogantiam rifiutano la pace [con Genova], cosa che dispiacque al
mondo e a Dio che contra Venetos postea miracolosum iudicium dignissime demonstravit,
mentre invece il comandante avversario Paganino Doria si dimostra in bellis audax et
strenuus ed i Genovesi danno prova di animosità, astuzia, audacia, valore, e pro maiore
dedecore Venetorum si impossessarono a Parenzo dei corpi dei santi Mauro ed Eleuterio
ed anche per questo ottengono la vittoria finale” (PETTI BALBI, p. 436).
10
Infatti, chi entrava in possesso di reliquie, le offriva alla propria chiesa di riferimento
famigliare, “il cui lustro riflette[va] sulla casata e su suoi aderenti” (POLONIO, p. 389).
9
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
360
Pisani. Per tali e siffatti risultati, la Superba gli donò un palazzo presso S.
Matteo, “poiché la chiesa parla a tutti dei meriti pubblici del grande gruppo,
ed il governo decreta [non solo] il dono del palazzo sito nei pressi al comandante vittorioso ma, cosa ancora più significativa, l’annua offerta pubblica
di un drappo prezioso alla chiesa stessa”11.
Ci furono ancora Giovanni, nipote dell’ammiraglio Pagano, e Luciano
che saccheggiò Rovigo, Caorle e Grado e quindi ottenne vittoriosa battaglia sulla flotta veneziana comandata da Vettor Pisani12, presso Pola, ma vi
lasciò gloriosamente la vita (a Cittanova d’Istria prese le spoglie di S. Massimo, che nel 1381 G. Spinola portò a Genova in S. Matteo13); infine Ambrogio, cugino di Luciano, che completò la vittoria guidando fino a Zara le
navi (1379), catturò tre navi venete a S. Nicolò del Lido, incendiando quindi
Chioggia, Palestrina e Malamocco. Nel 1360 il Re d’Aragona, sconfitto,
aveva riconosciuto i Doria signori dei loro domini in Sardegna14.
*****
Nel corso dei secoli XV-XVI, Parenzo registrò, ad intervalli, disordine
civile ed ecclesiastico, con abbondanti usurpazioni dei beni vescovili (del
resto presenti già nel Due-Trecento), determinati spesso dalle misere condizioni economiche in cui precipitava la città. Il Senato, onde rimpiazzare i
tanti morti per peste, prese ad inviare “gente forestiera, non sempre onesta,
né sempre cattolica”, anzi piuttosto scismatica di Dalmazia e d’Albania15;
ma la città e il territorio rimasero ancora a lungo in stato di rovina e di
estremo disagio anche per l’opera distruttrice delle guerre che finirono per
danneggiare non solo i vecchi abitanti, bensì anche le genti nuove importate
dalla Repubblica. Tuttavia, nonostante il difficile avanzare della normalità
della vita, nella città si risvegliò pure il desiderio di poter ricuperare i corpi
dei Santi tutelari. Fu il vescovo Alvise Tasso che nel 1507 “ingegnosamente”
POLONIO, p. 389.
Su queste vicende, cfr. TAMARO, Le città, v. I, pp. 322-325.
13
In quell’occasione i genovesi, giunti dal mare, saccheggiarono anche Pola, donde
l’ammiraglio Gaspare Spinola tolse il bel leone alato – in memoria dell’impresa,
murandolo all’esterno della chiesa genovese dedicata a San Marco, dove avevano sede le
corporazioni, la dogana (prima in Italia!), i presidi armati e la casa del boia. Nei secoli
Pola ne ha chiesto ripetutamente invano la restituzione.
14
Cfr. SPRETI, II e Appendice – parte II, pp. 30-44.
15
BABUDRI, pp. 126-129.
11
12
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
361
(non si sa come !?) si procurò due frammenti ossei dei Martiri che collocò
in apposito reliquiario in forma di tempietto, che tuttora si conserva.
Ed ancora nel novembre del 1734, il Presule parentino Vincenzo Maria Mazzoleni, cedendo alle insistenze dei suoi figli spirituali, scriveva a
mons. Nicolò de Franchi, vescovo genovese, e richiamandosi poi alla positiva esperienza della già avvenuta restituzione dei corpi dei Santi Patroni
di Capodistria, lo implorava che “se non si potessero i Corpi, come stanno,
almeno si conceda qualche parte notabile di loro in forma autentica da potersi esporre alla pubblica adorazione, come reliquie insigni”. E dopo regolare supplica inoltrata anche dal Comune parentino, la tanto attesa risposta
finalmente giungeva in data 31 maggio 1737: i Doria accondiscendevano a
restituire alcune reliquie alla Città di Parenzo, ed in tal senso si era pure
già provveduto alla ricognizione delle stesse, precisando che “la demolizione dell’altare non era stata così facile, essendo tutto in marmo, ed avendo
quindi estratto dall’urna due ossa delle più intatte e più grandi, munite
della sua autentica”, sollecitando, infine, la chiesa parentina a indicare a chi
dovevano essere consegnate.
Il Mazzoleni stesso si recò a Venezia per riceverle ma le reliquie dovettero fermarsi colà, lasciate in custodia presso il Convento di S. Domenico di
Castello, fintanto che non fosse pronto il nuovo altare dei Santi a Parenzo; la
morte del vescovo parentino dilazionò ancora una volta la consegna, sicché
fu appena nel maggio del 1749, con il suo successore Gasparo Negri, che
esse giunsero su suolo istriano.
Nel 1888, un illustre parentino, mons. Giovanni Pesante, sacerdote dotto, poeta e cultore di storia patria, Cancelliere vescovile e poi Preposito del
Capitolo Cattedrale, prese l’iniziativa per “riavere intiere le reliquie dei SS.
Patroni”; e così, già nel 1889 la famiglia Doria informava di “accogliere
favorevolmente le Istanze” per cui a Parenzo vennero avviate le procedure
per portare a compimento l’iniziativa.
Si costituirono comitati, si stesero programmi e preventivi, ma la restituzione venne rimandata poiché, come recitano due relazioni negli Atti della
Curia Vescovile degli anni 1896 e 1898, il rimando fu deciso “per un complesso di circostanze locali, poco propizie per il momento, fra cui i lavori di
restaurazione ai musaici antichi di questa Basilica Eufrasiana, e in generale
al presbitero e all’Altare Maggiore, dove si à in animo di collocare le SS.
Reliquie, i quali cominciati nel 1890 non sono ancora finiti. Il motivo reale
però, che qui viene sottaciuto, sembra sia stato di natura politica. Negli
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
362
imperscrutabili disegni di Dio era disposto altrimenti”16. E l’estensore di
questa Memoria, non si perita di indicarle queste motivazioni: “[I corpi] sarebbero tornati ai loro altari quando – sarebbe stata unita nazionalmente e
religiosamente la Patra italiana e a lei ricongiunta Parenzo romana, veneta,
cristiana, quando le navi d’Italia avrebbero potuto liberamente entrare nel
nostro porto. Allora i gonfaloni di S. Marco e di S. Giorgio, emblemi di due
potenti Repubbliche un giorno nemiche, ma ora ammantate dal comune tricolore, avrebbero potuto liberamente garrire associate al vento in Parenzo
redenta. Allora, in mirabile fraternità e fusione di cuori, autorità religiose,
civili, politiche e militari avrebbero collaborato per la miglior riuscita del
grande storico evento cittadino”17.
Intanto, il 27 dicembre 1912, moriva il vescovo parentino-polese Giovanni Battista Flapp che poco prima si era rifiutato di attuare la parificazione
linguistica italo-slava nel duomo di Pola, innestando un’accelerazione alle
rivendicazioni nazionali nella provincia; poiché allora vescovi slavi erano
già insediati a Trieste, Gorizia e Veglia, e onde evitare il risentimento tra
gli italiani dell’Istria, l’autorità avanzò la candidatura di Trifone Pederzolli
a nuovo vescovo, ritenuto uno ‘neutro’ e che “trovava gradimento presso la
Luogotenenza e pure a Vienna in nome del suo lealismo, ma forti perplessità nella Nunziatura apostolica che lo giudicava di buona mediocrità”18.
I venti di guerra e gli eventi medesimi del primo conflitto mondiale19
avrebbero differito di ulteriori trent’anni ogni possibilità di concretare
Cfr. ms, pp. 74-75.
Vedi ms, p. 75.
18
SPAZZALI, p. 83.
19
Così il BENUSSI (pp. 218-220): “Ma ormai gli avvenimenti precipitavano. Ruit
hora! Dense nubi gravide di guerra si erano da vario tempo andate accavallando ad
oriente, e violento si scatenò l’uragano. (…) Gli italiani della Venezia Giulia seguivano
trepidanti lo svolgimento delle azioni di guerra. Incerti sulla via che terrebbe l’Italia, fu
salutata con giubilo la sua decisione di neutralità. Così essa si staccava dalla ‘Triplice’ e
dall’Austria. (…) Sino a che nel pomeriggio del 23 maggio 1915 in un baleno si diffuse
per tutta la nostra regione la tanto desiderata notizia che l’Italia aveva dichiarata la guerra
all’Austria. E tale notizia venne accolta con ancor maggior giubilo in quanto che era
ferma in tutti la persuasione che l’esercito italiano avrebbe in poche settimane occupata la
Venezia Giulia, respingendo gli Austriaci oltre le Alpi. Ma così non fu: che, avendosi gli
Austriaci deciso per la guerra di posizione, scelsero a tale scopo proprio il Carso, regione
che per la sua conformazione geografica e per la sua costituzione geologica meglio di
qualunque altra si prestava a tale forma di guerra. E pur troppo passarono le settimane,
passarono i mesi e gli anni”.
16
17
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
363
l’operazione; e così, mutata la geografia politica del territorio, sancita dai
Trattati la nuova sistemazione dei confini dell’Italia nord orientale, appena
nel marzo 1929 uno dei Governatori di Casa Doria, Giancarlo, scriveva al
nuovo vescovo Mons. Pederzolli che “oggi che Parenzo è ricongiunta alla
Patria non vi è ragione perché la Famiglia Doria non ripeta il gesto di fratellanza che Genova già compì verso Pisa allorché restituì le catene di Porto
Pisano: tanto più che nel caso attuale non sarebbe apportata diminuzione
al patrimonio cittadino”. La Famiglia era dunque, sua sponte disposta alla
restituzione, lasciando il presule libero di rivolgere una domanda ufficiale e
di proporre le modalità della cerimonia di consegna, che per il suo carattere
religioso, patriottico e storico dovrà essere compiuta con adeguata solennità: riteneva altresì opportuno che “le Salme venerate, come giunsero da
mare, così dal mare debbano ritornare e su di una nave della Regia Marina
che certamente sarà concessa”20.
L’autorità ecclesiastica, però, anche se malleabile e debole con le autorità
politiche, evitò allora qualsiasi coinvolgimento che non fosse di ordine religioso; e, preoccupata anche per le gravi spese necessarie per il trasporto,
pensò di non tener conto per il momento dell’offerta dei Doria. Appena
nel 1933, dietro sollecitazione diretta da parte di Mons. Vittorio Bruzzo,
abate mitrato dell’Abbazia di S. Matteo della Casata dei Doria, giungeva
al podestà parentino l’assicurazione che egli personalmente nulla aveva in
contrario alla restituzione delle spoglie, e “confidava che casa Doria, la S.
Sede e il R. Governo non abbiano difficoltà alla traslazione, solo ambendo
che questa possa avvenire con la stessa solennità marinara con la quale i
Corpi dei due Santi furono portati a Genova”. Bisognava cogliere, dunque,
la vampata di entusiasmo, poiché tutti avevano capito che “haec est dies
quam fecit Dominus” – che era l’occasione propizia per “portare a compimento l’impresa”21. In data 6 maggio 1934, “Trifone Vescovo” indirizzava
la “sua Parola” ai diocesani, richiamandosi in essa unicamente alla storia
delle vicende della Chiesa parentina, tacendo qualsiasi richiamo o aggancio
alla quotidianità politica dell’avvenimento:
Ci stiamo preparando ad accogliere le mortali Spoglie dei nostri S.S.
Patroni Mauro ed Eleuterio, che vengono a noi restituite da Genova
20
21
Ms, p. 76.
Cfr. ms, p. 77-78.
364
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
dopo quasi sei secoli di esilio. Sarà quello per noi un giorno di gran
giubilo.
Ma trasportiamoci col pensiero a considerare gli inizi venerandi del
Cristianesimo a Parenzo.
Parenzo era allora una ridente cittadina – colonia militare Romana –
ma tutta ancora sepolta sotto le nubi dell’idolatria. Eppure la Redenzione del genere umano era compiuta. Già S. Pietro aveva portato,
dietro l’ispirazione di Dio, la parola del Vangelo a Roma, ed a Roma
fondato la grand’opera del Pontificato Romano.
A Parenzo sulle spiaggie della Peschiera – e precisamente dove sorgono oggi la Basilica e il Vescovado – nella sua sontuosa casa, coperta di preziosi mosaici, abitava un ricco cittadino di nome Mauro,
di rette intenzioni, benefico verso i poveri e molto amato. Tutt’ad
un tratto giungono a Parenzo i discepoli degli Apostoli, mandati da
Roma. Per la prima volta in queste parti si sente il Verbo della Croce,
ma soltanto in circoli ristretti, e quasi di nascosto.
Tra coloro che restano profondamente commossi ed ammirati è l’anima generosa di Mauro. La viva parola di Cristo, predicata dai nuovi
intrepidi messaggeri, più celesti che terreni, entra fino al cuore di
lui; egli ne rimane intimamente persuaso. Viene battezzato, e con
lui altri molti; e si forma a Parenzo la prima Comunità cristiana,
estendentesi tra le anime nobili della cara cittadina.
Mauro diventa Cristiano, Vescovo e Martire. Cristiano: la sua vita,
dietro il grande modello di Cristo, non è altro che vita di sacrificio.
Viene ordinato dapprima quale Sacerdote e poi Vescovo. La sua attività ora diventa instancabile. I magnifici locali del palazzo, egli li offre quale luogo di riunione per la comunità; – sorge il primo Oratorio
per la nascente Chiesa parentina. Qui egli predica, celebra i divini
misteri ed amministra i S.S. Sacramenti, e porge ai primi fedeli la
frazione del Pane. L’opera sua viene benedetta da tutti.
Muore Martire di Cristo. La pace della Chiesa è ancora lontana. Dovunque a torrenti scorre il Sangue Cristiano. È l’immane persecuzione dell’Imperatore Decio alla metà del secolo terzo. Anche Mauro cade vittima, e suggella la fede di cristo colla sua testimonianza
cruenta. Muore bensì, ma il suo Sangue è seme di novelli Cristiani.
Assieme con San Mauro lavora pure San Eleuterio, Vescovo e Martire. È l’immediato – o quasi – suo successore. Incominciano, con
questi due Santi Martiri i fasti della Chiesa Parentina, che in obbedienza al Vicario di Cristo, guida le anime alla virtù e a Dio.
Dinanzi alla prossimità dell’avvenimento il mio cuore esulta. E benedico non soltanto i benemeriti Membri del Comitato costituito
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
365
all’uopo, ma anche coloro che si prestano e si presteranno in qualunque maniera per la buona riuscita dell’apoteosi, nonché tutti mi miei
direttissimi Diocesani.
Conceda loro il Signore la sua Grazia, per l’intercessione dei Nostri
Santi Patroni, Mauro ed Eleuterio, V.V. e M.M.”22.
Giunto anche il “compiacimento del Pontefice”23 – 7 maggio 1934 – ed
avviate tutte le necessarie iniziative, delle quali il Manoscritto parla diffusamente e con dovizia di particolari, il fatidico giorno – il 10 giugno
1934 – era finalmente a portata di mano: “i cittadini di Parenzo e con essi
tutti gli istriani, sarebbero stati partecipi all’esultanza di questa terra cara
alla storia, poiché vedevano nell’avvenimento che stava per compiersi non
una festa paesana, ma un simbolo che si illumina al sole stesso di Roma”24.
È così che esordiva Il Piccolo di Trieste, facendo sfoggio delle più tipiche
espressioni in uso all’epoca, quando un avvenimento – anzi ogni accadimento – doveva comunque essere inquadrato nell’ottica politica dominante
e risultarne conseguenza logica ed ineluttabile. E proseguiva: “Il ritorno
delle sacre e gloriose spoglie dei Santi protettori della città che per la sua
salda devozione e l’eroismo delle sue genti si merita l’appellativo di fedelissima di Venezia, quando ad essere fedeli costava sangue e sacrifici infiniti,
sarà accolto con l’esultanza più alta dei cuori che sentono tutta l’intima suggestione del gesto di fraterna giustizia che i discendenti degli Ammiragli
di San Giorgio compiono verso i marinai e i difensori della Serenissima.
Sono passati i secoli, i labari e i gonfaloni delle città guerriere hanno fuso i
loro colori in quelli della bandiera d’ogni vittoria, ed ecco che i bottini più
sacri e gelosi tornano ai loro altari in segno di gentilezza italica che non
toglie splendore ai lauri coronanti per l’eternità le superbe dei condottieri
vittoriosi di Venezia, di Genova, di Pisa o di Amalfi”.
“Alla vigilia del giorno atteso da decenni, Parenzo si presenta come trasformata; non per le bandiere che ancora non ornano le case e le antenne,
ma per la nuova chiarezza che emana dalla cittadina e lascia al primo istante
interdetti. In un paio di mesi – ché la preparazione è stata lunga e minuziosa – la città ha assunto quasi un nuovo volto o almeno si è delicatamente
Cfr. Ritorno, p. 9.
Vedi Ritorno, p. 8.
24
Articolo apparso su Il Piccolo di Trieste, 10 giugno 1934, p. V: “I corpi dei santi
Mauro ed Eleuterio restituiti da Genova a Parenzo. le rappresentanze di tutta l’istria
accoglieranno oggi le salme (!) dei Martiri Patroni recate dalla R. Nave Grado”.
22
23
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
366
abbellita e rinfrescata. Bisogna dire, per dovere di giustizia, che, se molto
si deve all’opera di propaganda compiuta dal Comitato preparatore, solo lo
slancio e l’iniziativa dei singoli cittadini hanno permesso il compimento di
questo … primo miracolo dei santi, come dice qualche allegro innamorato
di Parenzo parlando delle novità che specialmente in materia edile sono parecchie. Ciò che gli ospiti troveranno di nuovo e di più ammirevole, sono le
opere di restauro compiute coll’aiuto della Sovrintendenza alle Belle Arti
nelle case veneziane, alcune delle quali erano addirittura in rovina. Sono sorti
nuovi angoli di Venezia, le facciate di 15 o 20 case hanno rivelato le meraviglie che i brutti intonachi nascondevano; nuove bifore, nuovi archi, nuovi
balconi ora si ornano di sanguigni gerani, dando alla cittadina una sempre
maggiore preziosità come di un gioiello che sia ripulito di false rivestiture”25.
E non solo la parte storica dell’abitato era stata curata, ma anche una
serie di provvedimenti stradali, onde poter ospitare una vastissima schiera
di visitatori. Attese circa 5000 persone da Trieste, dall’Istria e dal Carnaro;
tecnici e maestranze allestivano gli addobbi “che saranno tenuti nell’armoniosa ma severa linea ideata dagli architetti, (…) perché i cortei sacri passeranno lungo le calli e le strade splendenti di arazzi e di fiori in una gloria
di canti e di osanna, così come nei giorni più lieti della storia di Parenzo”.
Già alle otto mattutine, sarebbero giunti i primi treni speciali e i piroscafi; alle nove la R. Nave Grado, con i corpi dei santi, sarebbe entrata in
porto, accolta da una salva di 21 colpi di cannone sparati dalla R. Nave
Dardanelli, con la presenza del cacciatorpediniere Ardimentoso, battente la
bandiera dell’ammiraglio comandante la base navale di Pola”.
Con l’entrata in porto del Grado, “il popolo istriano rivivrà in quell’attimo la sua storia e ricanterà la sua immutabile canzone di fede e di amore.
A cento a cento giovani e vecchi hanno voluto qui venire gli istriani da ogni
luogo, per assistere all’entrata della nave d’Italia che riporta in un tripudio
di benedizioni le preziose reliquie, che nell’ombra incerta del tramonto di
una sera d’agosto del 1354 le galee genovesi recavano sul mare verso un
sogno di più grande vittoria che non si avverò. (…) Dal molo le reliquie
saranno trasportate alla Basilica, dove avrà luogo un solenne pontificale,
celebrato da mons. Pederzolli, Vescovo di Parenzo e Pola, al quale assisteranno l’Arcivescovo di Zara e i Vescovi di Fiume, Gorizia e Udine; inoltre Ammiragli, Generali, senatori, deputati, i rappresentanti di Genova, i
25
Ibidem.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
367
membri della famiglia D’Oria e tutte le autorità”. A bordo del Grado, tra gli
altri, si trovavano pure mons. G. Del Ton e mons. V. Bruzzo: “una guardia
di marinai fa servizio d’onore intorno al cofano d’argento; così in comunione di spiriti i marinai d’Italia vegliano davanti all’altare alzato ai soldati di
Cristo, sotto la volta del cielo, sul mare della nostra Vittoria”26.
Nel corso del secondo conflitto mondiale, in occasione dei bombardamenti subiti da Parenzo nel corso del 1944, le reliquie “furono depositate
in luogo sicuro” (?); va segnalato, infine, che una scheggia della reliquia di
S. Mauro venne donata il 22 novembre 1983 dal vescovo parentino-polese
Dragutin Nežić, alla cattedrale di Cavarzere (Chioggia) dove si venera il
medesimo patrono27.
*****
Il Manoscritto, proprietà del Centro di ricerche storiche di Rovigno (n.
inv. 10006/L-2010, coll. LXI/M1), consta di 182 pagine di quaderno (dim.
19,5 x 25 cm), rilegate entro copertine cartonate rigide; è stato redatto dal
“Sacerdote Pietro Cleva, finito di scrivere a Parenzo il 6 settembre 1934”28,
come testualmente dichiarato a pag. 173; sull’etichetta di copertina si legge la dicitura: MEMORIE STORICHE // SU S. MAURO E ELEUTERIO //
VESCOVI E MARTIRI // PATRONI DI PARENZO. Sulla seconda di copertina è stato incollato il santino commemorativo (dim. 11,5 x 13 cm) della
cerimonia, emesso per quella circostanza, recante: a) l’Orazione (vedi ms, p.
174) e il testo “A chi recita devotamente tale preghiera accordiamo 50 giorni
d’indulgenza, lucrabile una volta al giorno – Parenzo, 1 giugno 1934 – +
Trifone, Vescovo – Con approvazione ecclesiastica – Tipografia G. Coana e
Figli, Parenzo; b) Immagine dell’Abside, con testo: Ricordo della traslazione delle Reliquie dei santi Patroni Mauro ed Eleuterio da Genova a Parenzo (1354-1934) – sotto la didascalia: Abside della Basilica Eufrasiana (sec.
VI); c) Medaglione di S. Mauro (dall’Abside di Eufrasio – sec. VI), con invocazione: “Maure et Eleutheri, Pontifices et Martyres nostri: Parentinos
conservate incolumes” (e versione italiana); d) Medaglione di S. Eleuterio
Ibidem.
Vedi AA. VV., Povratak, pp. 136-137.
28
P. Cleva ha desunto grossomodo le notizie storiche inserite nell’intero impianto
narrativo, dalla traccia del BENUSSI (op. cit.), seguendone pedissequamente lo
svolgimento ed, ovviamente, condividendone l’impostazione.
26
27
368
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
(dal Ciborio di Ottone – sec. XIII), con invocazione: “Sancti Maure et Eleutheri, Martyres et Protectores nostri; orate pro nobis” (e versione italiana).
L’estensore del manoscritto, Mons. Pietro Cleva, uno dei vicari cooperatori dell’Eufrasiana, ha esposto con zelante precisione, con linguaggio
solenne, anche se spesso laudatorio, i particolari storici dei secoli XIV-XIX
relativi alle vicissitudini delle reliquie, ma, soprattutto, quelli di attualità
(1929-1934), che per lui costituivano certamente memorabili giornate da
consegnare alla storia, durante le quali egli era stato attore e spettatore ad un
tempo; da esse traspare la costante preoccupazione a documentare quanto i
vescovi parentini avessero fatto nel corso di ben sei secoli, mettendo in luce
il fatto che essi non avevano mai tralasciato alcuna occasione – anche se
lievemente propizia – per “implorare” la restituzione delle “sacre spoglie”.
Cura estrema e puntualità caratterizzano l’elencazione dei personaggi pubblici (ecclesiastici e politici) presenti / protagonisti dell’epocale evento della
restituzione del 1934. Al di là di ogni scontata riflessione o conclusione su
un prevedibile coinvolgimento della quotidianità politica nella cerimonia,
va comunque additato e rilevato il grande impegno profuso dalle autorità
ecclesiastiche e politiche – locali e nazionali – per l’eccellentemente ben riuscito svolgimento della solennità che così ampiamente coinvolse Parenzo
e buona parte dell’Istria – abitanti e territorio.
Poiché la trascrizione delle epigrafi latine risultava spesso inaffidabile,
sono state introdotte possibili / necessarie mende (in nota), facendo tesoro
dei testi pubblicati in varie epoche da numerosi altri studiosi; invece, per
i documenti in latino riportati da mons. Cleva, non sono state apportate
modifiche, non potendo disporre degli originali. Inoltre, onde rendere la
comprensione dei testi latini accessibile anche ad una cerchia più vasta di
lettori, si è ritenuto utile aggiungerne talvolta in nota la traduzione italiana.
Infine, è stata allegata una parziale riproduzione della più recente ricognizione delle reliquie, anche se effettuata nel 1982, quasi cinquant’anni dopo
il ritorno delle medesime da Genova: in quell’occasione l’analisi antropologica venne compiuta da Mons. dr. Cleto Corrain dell’Istituto di antropologia dell’Università di Padova, su incarico di Dragutin Nežić – allora
vescovo di Parenzo e Pola, e venne resa pubblica anche nelle pagine degli
Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno29.
29
“La Curia vescovile di Parenzo possiede il manoscritto dei verbali autentici
Recognitionis, traditionis et translationis corporum SS. Mauri et Eleutherii MM.
(1933-1934), redatto dal Notariato della Curia arcivescovile di Genova nel 1934. Questo
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
369
Il 10 giugno 1934 veniva edito dal “Comitato esecutivo per la traslazione
dei S.S. Patroni Mauro ed Eleuterio da Genova a Parenzo” un fascicolo /
numero unico denominato RITORNO, di 20 pagine, illustrato, recante i nominativi degli “Animatori della restituzione”, vari documenti ed una serie
di scritti d’occasione – circa una decina. Lo stampato veniva ripubblicato,
nel 2004, in versione bilingue (italiano / croato) nel volume di 144 pagine POVRATAK 1354 – 1934 – 2004 RITORNO (editore: “Errata Corrige”),
comprendente pure oltre una decina di scritti di autori vari (alternando le
due lingue), compendiati dalla ristampa dei saggi di G. Cuscito e C. Corrain (già citati).
Una parte del presente manoscritto30 – da p. 76 a p. 173 – è stata pubblicata, nei secondi anni Settanta dello scorso secolo, nel periodico In Strada
Granda, nei nn. 10 (1977), 11 (1977) e 12 (1979), edito dalla comunità parentina esodata, riccamente illustrato da pregevoli fotografie dell’avvenimento del 1934.
manoscritto è stato trasferito da Genova a Parenzo assieme alle reliquie dei due martiri
suddetti. In questi verbali si attesta che i medici di Genova avevano distribuito le
reliquie negli involti A-E, in quanto ossa di due individui, così come i Genovesi nel
1354 avevano asportato le reliquie di due persone dal sarcofago marmoreo dei SS. Mauro
ed Eleuterio. Quando nel 1934 le reliquie A-E vennero riportate a Parenzo, il vescovo
Trifone Pederzolli vi aggiunse anche due femori, che si conservavano a Parenzo fin dal
tempo dell’arcivescovo Mazzoleni, segnandoli con la lettera F. Tutto ciò si trovava fin dal
1934 in un’urna di vetro. Il 26 e 27 dicembre 1982 Mons. dr. Cleto Corrain dell’Istituto di
Antropologia dell’Università di Padova ha compiuto l’analisi antropologica delle suddette
reliquie. Egli ha attribuito le ossa A-F a due individui, segnando le reliquie del primo
individuo con la lettera A e quelle del secondo con la lettera B. Con questa segnatura degli
involti le riponiamo oggi nell’urna in cui erano arrivate da Genova e dove erano custodite
finora. Agli involti A e B abbiamo aggiunto anche l’involto Miscellanea con resti che
possono essere attribuiti sia all’individuo A che a quello B. Sia tutto a maggior gloria di
Dio. Parenzo, 28 dicembre 1982. Sigillo. Dragutin Nežić f.to m.p. Vescovo di Parenzo e
Pola”. Segue il testo della Ricognizione dei resti attributi ai SS. Mauro ed Eleuterio¸ecc.
eseguita da C. Corrain: “L’esame del numeroso materiale osteologico, separato tra sei
involti (A, B, C, D, E, F), in una precedente ricognizione svolta a Genova (anno 1933-34),
ha rivelato la presenza parziale (si può anche dire esclusiva) di due scheletri di adulti.
Ciò in contraddizione con quanto allora affermato a proposito della rappresentanza: in
un involto (F) di più individui, e in altro (E) perfino di fanciulli. Trovo ora più comodo
chiamare con le lettere A e B i due adulti, senza che mi sia possibile stabilire a quale
dei due personaggi si riferiscano. [Seguono l’analisi delle ossa e di altri particolari
osteometrici, con l’indicazione delle relative misure e l’attribuzione quantitativa dei
pezzi scheletrici. Si attesta poi che “la morte avvenne certamente in età adulta” e che
“esistono pochi dubbi sulla appartenenza teorica al sesso femminile”; infine vengono
esposti i dati metrici rilevati sulle reliquie] (CUSCITO, p. 59 e CORRAIN, p. 63-70).
30
Oppure di altra copia del medesimo testo (?).
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
370
MEMORIE STORICHE SU
SAN MAURO E SAN ELEUTERIO
VESCOVI E MARTIRI PARENTINI
E PATRONI DI PARENZO
TOLTI DA PARENZO E PORTATI A GENOVA:
16 AGOSTO 1354;
RIPORTATI A PARENZO TRIONFALMENTE:
10 GIUGNO 1934;
COLLOCATI SOLENNEMENTE NELL’ALT. MAGG.:
17 GIUGNO 1934.
p. 3
In Nomine Christi. Amen.
1. ASPORTAZIONE DEI CORPI DEI SS. MAURO ED ELEUTERIO
L’antagonismo commerciale tra Venezia e Genova, le due grandi Repubbliche
marinare, per il predominio del Levante, doveva inesorabilmente sfociare o tosto
o tardi nella guerra. La quale infatti scoppiava nel 1351 in seguito alla cattura di
alcune navi veneziane a Caifa31 da parte dei Genovesi.
La flotta veneziana, baldanzosa e sicura, in atto di sfida, prende il largo al
comando dell’“Almirante” Nicolò Pisani32. Genova, gelosa del suo prestigio,
Recte: Caiffa, ovvero Haifa, città marittima della Palestina, situata ai piedi del M.
Carmelo.
32
Niccolò Pisani fu ammiraglio veneziano – “capitano generale da mar” del sec.
XIV, che si segnalò particolarmente nella terza guerra tra Veneziani e Genovesi
(1350-1355), combattuta per il primato commerciale nei mari d’Oriente. “All’inizio
delle ostilità il P. ebbe il comando d’una squadra di 15 galee, che condusse nei
mari della Grecia e poi a Costantinopoli per concludere per conto della Repubblica
veneta un’alleanza con i Greci. Nel 1352 fu nuovamente a Costantinopoli, con una
flotta imponente, che tra navi venete e greche contava ben 85 galee. Il 13 febbraio
di quell’anno, con vento favorevole, il P. risolse di assalire l’armata genovese al
comando di Paganino Doria. La battaglia del Bosforo, ostacolata da un’improvvisa
furiosa tempesta, ebbe alterne vicende ed esito indeciso: le perdite furono notevoli da
ambedue le parti. Il senato, pur deluso nella sua speranza di piena vittoria, confermò
il comando a Niccolò, che nell’estate del 1353 si portò nel Tirreno per partecipare con
la squadra aragonese all’attacco di Alghero tenuta dai Genovesi. Una squadra ligure
al comando del Grimaldi non riuscì ad opporsi all’unione dei due alleati e fu battuta
31
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
371
dietro volere del Visconti33, appronta una flotta di 25 galere, armate a regola
d’arte, cha affida all’ammiraglio Pagano, meglio chiamato dagli storici Paganino Doria34, il quale due anni prima s’era distinto a Calcedonia35 distruggendo la
flotta greco-veneta.
alla Lojera (19 agosto 1353). Dalla Sardegna l’armata veneziana si recò nel mare Ionio
in cerca di quella genovese di Paganino Doria, che invece si diresse in Adriatico. Il
P. pensò di attirare i Genovesi ad un combattimento per loro sfavorevole, ritirandosi
nel Golfo della Sapienza presso Modone, e disponendo opportunamente le sue navi;
ma l’audacia e l’abilità del Doria, dopo lunga lotta, ebbero successo, e i Veneziani
dovettero arrendersi. Il P. con tutta la flotta fu fatto prigioniero il 3 novembre 1354 (a
Portolongo). Quando le due Repubbliche nel maggio dell’anno seguente conclusero la
pace, il P. fu liberato e terminò dimenticato i suoi giorni”. (Enciclopedia). Merita qui
ricordare il figlio Vettore P. che aveva combattuto a Portolongo, dove il padre era stato
sconfitto dal Doria, e che dopo la pace con Genova ebbe il comando di quattro galee
destinate alla difesa delle coste istriane e successivamente divenne provveditore in
Istria. Egli, dopo la sua vittoria sui Genovesi a Porto d’Anzio (1378), al comando di
25 galee, ebbe il compito di cacciare dall’Adriatico la flotta genovese, perseguendo
tale piano da protagonista (alternando vittorie a sconfitte) sino alla morte (1380), nelle
storiche battaglie presso Cattaro (che mise a sacco), Sebenico (ne distrusse il porto) e
Trau, inseguendo la squadra genovese di Luciano Doria che devasterà Rovigno, Caorle,
Grado (1379). In quel medesimo anno Vettore sarà sconfitto dai Genovesi presso Pola
(però Luciano Doria morirà in battaglia), ma egli con 7 galee riuscirà a rifugiarsi a
Parenzo; sottoposto a giudizio e condannato, verrà rinominato capitano generale per
difendere ancora Venezia e riconquistare Chioggia, morendo nel 1380. (Ibidem). Cfr.
anche BENUSSI, p. 180-181.
33
Si tratta presumibilmente di Galeazzo II Visconti, terzo figlio di Stefano V.
(famiglia dei Signori di Milano) e di Valentina Doria di Genova, nato “poco dopo il
1320”, di frequente protagonista, assieme ai suoi fratelli, in varie imprese dello stato
milanese che seppe organizzare vigorosamente con disposizioni rigide ma non crudeli
(Enciclopedia).
34
La storia di questa famiglia si confonde molte volte e s’immedesima con la storia
di Genova. Sino al sec. XIV i Doria primeggiano con le altre grandi famiglie feudali
(Spinola, Fieschi, Grimaldi) e riempiono la città di gare e rivalità; dopo l’istituzione del
dogato (1339) perdono il dominio politico, ma conservano le tradizioni e le funzioni
militari e navali e con Andrea (1466-1560) saliranno al primo posto nella vita cittadina. La
funzione preminentemente militare della famiglia, porta Pagano (Paganino) a rinnovare
le tradizioni di Oberto e di Lamba, vincendo appunto i Veneziani, i Catalani e i Greci
alleati dinnanzi a Costantinopoli nel 1352, e due anni dopo nella battaglia della Sapienza
riesce a catturare tutte le navi veneziane e lo stesso Nicolò Pisani (Enciclopedia).
35
È in pratica la battaglia dinnanzi a Costantinopoli; “Calcedonia fu una colonia
greca (fondata nel 685) in Bitinia, nell’Asia minore, posta nel mar di Marmara, di fronte
a Bisanzio. Corrisponde oggi a Kadiköy, moderno quartiere di Istanbul” (Wikipedia). Vi
nacque Santa Eufemia, patrona delle città di Rovigno.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
372
A Negroponte36 e nel Mar Nero s’ebbero i primi scontri e il 13 febbraio 1352
nel Bosforo37 infuriò una tremenda battaglia, terminata colla vittoria del D’Oria38.
O anche Eubea: è per superficie la sesta isola del Mediterraneo e la maggiore delle
greche dopo Creta, disposta di fronte alle coste orientali della Grecia centrale; nido di
pirati audacissimi, venne assegnata a Venezia nel 1204 (trattato del doge E. Dandolo con
i capi della Crociata), dando origine all’Impero Latino d’Oriente. Ma la dominazione
veneziana sull’isola si ebbe solo sul finire del sec. XIV, dopo averla difesa in più
occasioni, anche da Paganino Doria (1351) che l’aveva occupata. A seguito della caduta
di Costantinopoli nel 1453, Venezia rinunziò al possesso dell’isola nel 1473, facendo la
pace con i Turchi (Enciclopedia).
37
Vedi Note precedenti.
38
Nel 1351 Paganino D. salpa da Genova con 64 galee e compie una rapida scorreria
nel mare Adriatico. Si addentra nel mare Egeo, indisturbato sottomette diverse località
e si scontra con 14 galee veneziane, comandate da Niccolò Pisani che riesce ad entrare
nel porto di Negroponte; i genovesi sono costretti a rinunciare alle operazioni e si
ritirano a Chio, attraversano lo stretto dei Dardanelli e passano davanti a Costantinopoli.
Nel febbraio del 1352 la flotta veneto-aragonese attraversa lo stretto dei Dardanelli ed
entra in contatto con il Doria che, nel Bosforo con 64 galee, tenta di sbarrarle il passo:
però, l’avversario ha a disposizione 75 navi (37 di Venezia, 30 catalane ed 8 bizantine
dell’imperatore di Costantinopoli Giovanni). L’ammiraglio genovese riesce a superare
un momento di crisi con l’aiuto della tempesta e riconquista il vantaggio. Comunque, i
genovesi perdono 23 galee, i veneziani 14, i catalani 10, i greci 2: muoiono 4000 uomini
tra veneziani e catalani; tra i genovesi 700 – non vi è vera vittoria. Intanto, P. Doria milita
al servizio dei Visconti: scorre i litorali della Liguria e della Catalogna con 36 galee,
comprese 10 portategli da Visconte Grimaldi. Niccolò Pisani, l’Almirante, si trova nelle
acque sarde; il Doria punta, invece, al mare Adriatico: saccheggia le coste istriane e preda
le navi mercantili; prende e dà alle fiamme Parenzo (16 agosto 1354) e nell’occasione
si appropria dei corpi dei Santi le cui spoglie saranno più tardi deposte a Genova nella
chiesa di San Matteo. Sempre in tali acque si impadronisce di un carico il cui bottino è
valutato al tempo in 800.000 ducati. Il Pisani rientra anch’egli verso il mare Adriatico e
getta l’ancora nel porto dell’isola di Sapienza; Paganino Doria provoca il Pisani che viene
colto impreparato al combattimento ed è sconfitto. Sono 4000 i morti nella battaglia,
più di 5000 i prigionieri, fra i quali il medesimo ‘capitano generale da mar’ veneziano
che verrà condotto a Genova; 30 galee sono catturate, altre 5 sono incendiate. Il Doria
riunisce la sua flotta, ora forte di 50 galee; ne lascia 15 ad incrociare in Levante, 5 alla
guardia di Chio e con le rimanenti 35 conduce a Genova le prede senza più insistere
nella sua azione. Nel 1354 viene accolto trionfalmente a Genova e gli viene consegnato
del denaro per costruire un palazzo nella contrada di San Matteo. Tuttavia, nel 1357 è
fatto incarcerare dal doge Simone Boccanegra con il quale è entrato in conflitto: viene,
successivamente, mandato in esilio. Nel 1360 muore ed è sepolto nella chiesa di San
Domenico a Genova, a spese della comunità: infatti, capitano di moltissima fama e di
stupenda avvedutezza nelle cose marinaresche, fu sprezzatore delle ricchezze tanto che
non lasciò denaro per la sepoltura del suo corpo (Wikipedia ed Altri – rielaborazione).
36
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
373
Genova, l’Abbazia di S. Matteo
p. 4
Ma il 29 agosto dell’anno successivo l’Almirante prende la rivincita e sconfigge l’avversario nel Mediterraneo39. Queste però si possono considerare piuttosto
scaramucce e intanto si fanno i preparativi.
L’anno seguente, mentre 36 galere veneziane incrociavano nelle acque della
Sardegna, il D’Oria riesce ad eludere la vigilanza dell’Almirante forzando con
20 galere l’Adriatico. Scoperto, viene inseguito, ma i Veneziani hanno la peggio
perdendo l’intera flotta. Egli allora punta su Parenzo, città in quell’epoca, ricca
sopra ogni altra della Provincia, la cigne d’assedio e dopo fiera resistenza la prende il 16 agosto 1354 e la mette a ferro e fuoco. Prima di staccare l’insegna della
porta principale della città, secondo le usanze di allora e di bruciarne lo statuto
municipale, invade la Basilica Eufrasiana, infrange l’arca marmorea contenente i
È appunto la battaglia della Lojera, dove Nicolò Pisani ottenne una grande vittoria
sui Genovesi.
39
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
374
corpi dei Patroni Mauro ed Eleuterio; fatta costruire 107 anni prima dal Vescovo
Pagano40, e porta con sè le sacre Reliquie41.
Grande fu lo schianto per i Parentini. Il popolo, privato del tesoro più caro, ben
più prezioso dell’oro e delle gemme, rimase talmente scosso e abbattuto che, nella
sua eccitata fantasia, dinanzi alle orme di sangue lasciate sul musaico del pavimento, gli sembrava di vedere i segni dell’ira celeste. E ancora nel sec. XVI …
p. 5
… come narra Fra Noè Bianco42 nel suo “Viaggio da Venetia al Santo Sepolcro”
– il popolo andava ripetendo che i Genovesi avrebbero voluto “rompere un altro
altare con animo di volere altri corpi portarne, ma subito miracolosamente da
quelli scaturì sangue, de i quali al presente si discerne le vestigia, onde quelli
impauriti lasciorno l’impresa”. Le larghe macchie del sangue sparso dai feriti sul
pavimento della Basilica furono interpretate dal popolo come un prodigio: e cioè
sangue scaturito dalle ossa degli altri santi Mariti come segno di dolore per il
sacrilego oltraggio subito dai loro fratelli maggiori43.
XXV vescovo parentino (1087-1104 ?), cfr. UGHELLI, p. 404 e KANDLER,
Indicazioni, p. 121.
41
Va ricordato che soltanto tre mesi dopo, il 3 novembre 1354, a Portolongo, l’Almirante e il figlio Vettore saranno completamente sconfitti proprio da Paganino Doria
(Enciclopedia).
42
Viaggio del rever. P. F. Noè Bianco vinitiano della congregation de’ servi, Fatto
in Terra Santa …,Venezia, Giorgio Cavalli, 1556; il viaggio fu intrapreso nel 1527. Cfr.
BABUDRI, p. 125.
43
All’epoca era vescovo parentino Giovanni S(c)ordello (1328-1367), bolognese,
protagonista del rinvenimento di due altri corpi santi a Parenzo (per l’epigrafe, cfr.
anche la trascrizione in questo ms a pag. 178). Infatti, “Joannes Sordellus Bononiensis,
ad hanc sedem vocatus est anno 1328. Decessit anno 1367. +’Hoc Praesule an. 1361.
die 18. Novembris inventa fuerunt corpora Ss. Projecti et Accoliti, ut testatur sequens
inscriptio, quae in Cathedralis Parentinae muro affixa adhuc conspicitur. MCCCLXI.
die XVIII. Novembris inventa fuerunt B. corpora Ss. martyrum Projecti, et Accoliti,
in altari S. Anastasiae Ecclesiae Parentinae tempore Ss. D. Innocentii PP. VI et
Rever. D. Fratris Joannis Episcop. Parentini, atque nobilis, et potentis D. Nicolai
Alberto honorandi Potestatis Parentii. Post quorum inventionem sanctorum pestis,
et mortalitas, quae tunc undique imminebat, totaliter in civitate Parentina cessavit,
et multa alia miracula facta sunt ad honorem Altissimi, qui terram, et omnes regat
feliciter. Amen’. Poiché, secondo RADOSSI – “Stemmi di Parenzo”, p. 419 – era allora
podestà parentino Pietro Bragadin (1361-1362), si può congetturare che l’Alberto si
fosse insediato soltanto poco tempo innanzi. Cfr. UGHELLI, p. 409; MANZUOLI, 3839 e KANDLER, Indicazioni, p. 123.
40
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
375
Nell’Eufrasiana violata la folla fissava l’urna scoperchiata e vuota e invocava
singhiozzando: “San Moro e San Lizier”44! E il grido straziante andava ripetendosi a perdifiato lungo le vie, fino al porto, dove, sull’orizzonte marino, all’ora del
vespero, andava dileguandosi la nave ammiraglia onusta del sacro carico, veleggiando verso la “Superba”45.
Paganino D’Oria, lasciata Parenzo s’avvia in Oriente e a Porto Lungo nell’Isola della Sapienza attacca il Pisani e gli infligge ulteriormente una tremenda sconfitta: 30 navi perse, 4000 uomini trucidati e 5870 prigionieri, tra cui l’Almirante
che subito dopo morirà di dolore46.
p. 6
Trionfali furono le accoglienze tributate da Genova al vincitore. Il senato gli
decretò i massimi onori e fra altro gli donò una cospicua somma per l’acquisto
di uno stabile che gli potesse servire di meritato riposo e un loculo per l’ultima
dimora nella chiesa di S. Domenico47.
Le sacre Reliquie furono deposte nella chiesa gentilizia dei D’Oria, nell’Abbazia di S. Matteo48, chiamata pure Abbazia degli Ammiragli. Nella parte superiore
Moro sta evidentemente per ‘Mauro’; Lizier per ‘Eleuterio’ – per ‘corruzione’ (?!).
È la Repubblica di Genova. Così Il Piccolo di Trieste del 10 giugno 1934: “Quella
sera si frangeva contro le vele rosse per la luce del tramonto, il suono di una campana: era
l’ultima invocazione di Parenzo, il saluto ai suoi santi”.
46
Sul reale svolgimento di questi accadimenti, cfr. le Note precedenti. Merita
comunque ricordare quanto tramanda la Chronica di Raffaino Caresini, contemporaneo
agli avvenimenti: Paganinus Auria … civitatem Parentii in MCCCLIV, die XIX
Augusti,viriliter capiens, totam bonis expoliavit et incendio concremavit et, pro maiori
dedecore Venetorum, corpora sanctorum Mauri et Leuteri ibidem existencia secum
detulit, qui, in Ianua, cum maxima reverencia, honorantur. Cfr. CUSCITO, p. 53-54; si
veda anche BABUDRI, p. 125.
47
La chiesa di San Domenico di Genova, con annesso un convento dei Domenicani,
fu costruita nel XV secolo alle pendici del colle di Piccapietra e demolita negli anni venti
dell’Ottocento per costruire il teatro Carlo Felice e il palazzo dell’Accademia Ligustica,
in quella che oggi è la centralissima piazza de Ferrari (da Wikipedia).
48
La chiesa di S. Matteo era stata fondata nel 1125 da Martino Doria, ed era divenuta
ben presto parrocchia gentilizia della famiglia medesima. “La facciata è romanica con
i classici rosone e portale, rivestita di pietra bianca e bande nere di ardesia, come molte
chiese genovesi. L’interno ha tre navate: nei secoli è stato molto rimaneggiato fino a
diventare barocco, ma è sempre armonioso ed elegante. La cappella non appartiene più
ai Doria, anche se ci sono ancora le tombe che custodiscono le spoglie di alcuni grandi
dogi genovesi. (…) C’è un altare dedicato ai nostri santi martiri Mauro ed Eleuterio, con
la scritta Hic sita sunt SS. Mauri et Eleutheri corpora. (…) Nella cripta ci sono le tombe
dei Doria” (AA. VV., Povratak, p. 134).
44
45
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
376
dell’Altare del Sacramento, detto pure dei Santi Mauro ed Eleuterio, fu posta l’iscrizione: HIC SITA SUNT CORPORA SS. MM. MAURI ET ELEUTHERII.
E nella cappella di sinistra fu posta una lapide commemorativa (il cui testo è
riportato a pag. 25).
Il 4 novembre, poi giorno del ritorno del vincitore, divenne per il casato dei
D’Oria49 festa di famiglia. Ogni anno si ricorderà in S. Matteo tale data con rito
“doppio maggiore” in onore dei due Santi e i supremi Magistrati della Repubblica
pure ogni anno offriranno un pallio d’oro. Finalmente Nicolò D’O.50, il restauratore del sacello, ottenne dal Papa Gregorio XIII con Lett. pont. del 18 dic. 1575
un’Indulgenza plenaria mensilmente per i membri della Famiglia che confessati e
comunicati visiteranno la Cappella e vi assisteranno alla S. Messa.
p. 7
L’asportazione delle sacre Reliquie di San Mauro e di San Eleuterio fu certamente per Parenzo una perdita dolorosissima in quanto esse erano il monumento
più insigne della sua ultramillenaria storia cristiana. Ma tuttavia non si deve giudicare tale fatto coi criteri d’oggi e tacciare il D’oria quasi di furto sacrilego. Il
vincitore usava del suo pieno diritto di guerra, tant’è vero che trascurando d’impossessarsi di oggetti preziosi e – come si legge nella lapide commemorativa – di
“altre opime spoglie che di là avrebbe potuto asportare” prendeva i Corpi Santi,
che poi gelosamente custodirà per renderseli propizi presso Dio. Cuore generoso
Paganino D’O., che – dei grandi servigi resi alla Patria, prodigando nelle più ardite imprese l’ardire, il valore e la perizia militare – non chiederà per sè vantaggio
materiale alcuno, sì da non lasciare morendo, nemmeno di che farsi seppellire51!
Questa la breve scheda sul casato offerta dal CROLLALANZA (II, p. 368-369):
“La famiglia è originata da Arduino conte di Narbona che giunto nel sec. XI a Genova,
sposa Oria della Volta, per cui i figli si dissero d’Oria o Doria. È una delle quattro case
genovesi che capitanarono le celebri e funeste fazioni dei Guelfi e Ghibellini. “Il ramo
primogenito dei Doria risiede in Roma; (…) il ramo secondogenito à la sua residenza
in Napoli. (…) Tra gli uomini illustri di questa casa (…) Uberto di Pietro, ammiraglio
di 25 galee contro i Veneziani, espugnò nel 1266 Canea nell’isola di Candia; Lamba
nel 1298 con 78 galere riportò presso l’isola di Curzola una gloriosa vittoria. Paganino
verso la metà del XIV sec. fu rivestito del comando di 64 galee e combatté nei mari di
Grecia contro la flotta veneziana del famoso Vittor Pisani che più volte rimase sconfitto.
Uscirono inoltre dalla prosapia dei Doria ben sette cardinali. (…) Arma: Spaccato d’oro e
d’argento, all’aquila spiegata di nero, membrata, imbeccata, linguata e coronata di rosso
attraversante sul tutto”.
50
Sembra fosse avverso ad Andrea D. (1539-1606) e cospiratore contro di lui, per cui
riparò in Spagna, anche perché nei secoli XVI e XVII i maggiori dei D. continuavano ad
essere soldati e marinai, quasi tutti al soldo proprio della Spagna. (Enciclopedia).
51
Difatti fu ricordato quale Capitaneus preclare probitatis.
49
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
377
2. IL VESCOVO L. TASSO OTTIENE ALCUNE RELIQUIE DEI
MARTIRI
Con la perdita dei suoi Santi comincia per …
p. 8
… Parenzo una triste e ininterrotta sequela di calamità, quali guerre, liti, invasioni barbariche, usurpazioni, malattie contagiose e conseguentemente depauperamento e spopolamento impressionanti.
L’Ammiraglio Paganino Doria
Nel 1413 Sigismondo re degli Ungari52 pone l’assedio alla città e ne devasta il
territorio53.
Sigismondo Imperatore (1361-1437), figlio di Carlo IV e fratello di Venceslao,
grazie al matrimonio con Maria – erede di Luigi il Grande, si assicurò seri diritti alla
successione nei due troni di Polonia e d’Ungheria di cui cinse la corona nel 1387 e ne
curò per tutta la vita particolarmente gli interessi. La sua condizione di re d’Ungheria lo
espose prima degli altri sovrani all’avanzata degli Osmani. Venezia fu sua avversaria per
causa della Dalmazia che egli finì per perdere.
53
Difatti, proprio “nel 1409 uomini e barche di Parenzo sono con la squadra veneta
nella guerra di Zara contro Sigismondo re d’Ungheria e imperatore di Germania. Il
Comune doveva ingaggiare gli uomini richiesti dal senato. (…) Nel 1411, soldataglie
ungheresi e croate si accampano nella contrada di Cimarè e di sant’Eleuterio. Erano le
52
378
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
Scoppia quindi la guerra contro i Turchi54 e contro l’imperatore Massimiliano I55. Gli Uscocchi56 assaltano le navi, saccheggiano i paesi e compiono ogni
milizie di Sigismondo. Tra i suoi cavalieri c’era il patriarca Lodovico di Teck (…). Nel
1413, quando era podestà veneto di Parenzo Rainieri Coppo, dopo la presa di Muggia,
le truppe del re d’Ungheria assediarono per lunghi mesi vanamente la città dove si era
rifugiata la gente del contado con le proprie robe. Quando Sigismondo levò il campo,
Parenzo trovò il suo territorio devastato, atterrate alcune chiesette, bruciati i mulini,
rovinate le vigne e gli ulivetti, depredato il bestiame. Dopo cinque anni la feroce guerra
riprese, concludendosi con la vittoria della Serenissima” (BENUSSI, 182 e CUSCITOGALLI, p. 144).
54
Fu nel 1470 che l’Istria sofferse la prima irruzione turca che, attraverso il Carso,
raggiunse Duino e Monfalcone, preludio ai frequenti attacchi ottomani negli ultimi anni
del sec. XV, quando “la fatalissima battaglia dello Zonchio aperse libero passo anche
lungo la costa istriana alle piraterie dei Turchi. Questo combattimento navale ebbe il suo
epilogo a Parenzo, dove l’ammiraglio Grimani, deposta la dignità della carica, si costituì
prigioniero [ponendosi egli stesso i feri ai piedi e imbarcandosi per Venezia, n.d.a.]”
(BENUSSI, p. 184-185).
55
Figlio dell’imperatore Federico IV (“al quale era riserbato di portare al più alto
grado la grandezza di casa d’Austria, passò in mezzo alle turbolenze della guerra intestina
e straniera e venne ammaestrato in tutte le arti cavalleresche, come pure versato nella
cognizione di diverse lingue e scienze”), morì l’11 gennaio 1519, in età di circa 60 anni
(“facendo ritorno dalla Dieta d’Augusta si ammalò a Wels e il suo cadavere venne posto
in una bara, ch’egli da vari anni aveva fatto fare e si traea dietro ovunque andava, e venne
deposta a Wiener-Neustadt sotto i gradini dell’altare”) (AA. VV., Storia biografica, p.
52-70). Va ricordato che dopo l’affronto / disaccordo con i Veneziani del 1496-1500, la
politica di Massimiliano fu diretta contro Venezia, alla quale anelava di far scontare
l’atteggiamento allora da essa assunto, e la cui espansione in terraferma gli appariva
come usurpazione d’un territorio appartenente all’impero germanico, mentre d’altra parte
l’egemonia veneta sull’Adriatico gli rendeva impossibile ogni libertà di espansione in quel
mare. La sua politica antiveneta si accentuò anche per la ripetuta opposizione al viaggio
di M. a Roma (1506) da parte di Venezia, temendo che egli si stanziasse stabilmente
nella terraferma. Così nel 1508 scoppiò il conflitto con la Serenissima, combattutasi in
Istria, nel Cadore e nel Friuli e mal condotta dalle milizie di M., il quale, nettamente
sconfitto dalle truppe venete guidate dall’Alviano, perdette per sempre Pordenone e
temporaneamente Gorizia, Trieste e l’Istria (Enciclopedia, 525-528). Ma conclusa la lega
di Cambrai, dopo la sconfitta ad Agnadello, i Veneziani dovettero abbandonare nel 1509 le
terre istriane occupate nei due anni precedenti. “Il Frangipani con buon numero di cavalli
corse tutta l’Istria devastandone la campagna; e questa forma di guerra guerreggiata,
fatta a devastazioni ed incendi di ville e casolari, condotta piuttosto contro gli infelici
abitanti che contro i soldati, continuò aspra e rovinosa sino al 1514” e fu conclusa con la
pace del 1523. Cfr. BENUSSI, 185-186.
56
Gli Uscocchi, pirati di origine croata, erano costituiti prevalentemente da popolazioni
cristiane provenienti dalla Bosnia in fuga dall’avanzata turca che aveva toccato la costa
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
379
sorta d’iniquità. La peste, chiamata anche “lo mal de la Giandussa”57, già nel
1361 fa la sua terribile comparsa per ripresentarsi poi periodicamente seminando desolazione e morte58. E il numero delle anime da 3000 decrebbe fino a
divenire 698 nel 1580, 300 nel 1601 e 100 nel 164659. Conseguentemente infierì
nei pressi di Spalato; essi si erano annidati a Clissa ed a Segna in Dalmazia, circa nel
1537, e con i loro sottili navigli assaltavano le navi. “Dopo aver preso di mira le isole
del Carnaro (…) si gettarono sulle coste istriane. Nelle loro scorrerie depredavano,
incendiavano, profanavano chiese, trucidavano gli abitanti. Irruppero su Pola e Rovigno;
nel 1599 assalirono Albona (e Fianona); nel 1607 spogliarono le navi nei porti di Parenzo
e di Rovigno, e saccheggiarono Pola”. La determinazione di Venezia di annientarli
provocò nel 1615 una guerra (detta di Gradisca) contro l’Austria, terminata nel 1617 con
la mediazione francese nella pace di Madrid, con la quale gli Asburgo s’impegnarono
a far cessare le scorrerie degli Uscocchi che vennero deportati con la forza nell’interno
della Croazia. Cfr. CUSCITO-GALLI, p. 167-158 e BENUSSI, p. 186-187.
57
Da ghianduccia per il bubbone sotto l’ascella che si manifestava negli appestati.
Infatti, “nel 1361 fece la sua comparsa la ‘peste nera’, portata dai navigli che venivano
dall’Oriente. Il panico fu grande. L’ospedale di S. Biagio [in Parenzo, n.d.a.], caduto in
abbandono, era inservibile. Invano il podestà [Pietro Bragadin 1361-1362, n.d.a] faceva
bruciare le masserizie delle case colpite, l’epidemia del mal della giandussa dilagava. La
scoperta delle reliquie del martire Projetto e del suo accolito nell’altare di sant’Anastasio
(-a) fu interpretato come un segno di placamento della collera celeste. Quando il morbo
cessò, i cittadini ripresero a ricostruire”. (CUSCITO-GALLI, p. 142). Anche B. Benussi
ripete come l’infezione “cessasse quando vennero ritrovati i corpi dei SS. Progetto ed
Elpidio che da gran tempo giacevano ignorati sotto un vecchio altare di S. Anastasia”
(BENUSSI, p. 179). “Giandussa – voce corrotta dall’italiano Ghianduzza o Ghianduccia,
che vale Piccola ghianda. Ghianduccia fu detto per similitudine a que’ piccoli enfiati o
gavoccioli, che vengono ad alcuni nell’inguinaia e sotto le ditella etc.,i quali fin che non
sieno suppurati recan dolore e inquietudine. (…) Giandussa in T. antiq. vale Pestilenza.
Quindi Giandussa fu detta la pestilenza avvenuta in Venezia nel 1348 e nel 1360”
(BOERIO).
58
Dopo essersi sparsa per quasi tutta la provincia, la peste attaccò nel 1456 anche il
territorio parentino: “A nulla valsero le precauzioni quivi prese dal podestà [Zacharia
Giustignan, n.d.a.] col far abbruciare i mobili e gli utensili delle case colpite dalla
pestilenza (…). Ma più disastrosa fu l’altra peste che colpì Parenzo dieci anni dopo, cioè
nel 1467. Sappiamo da un volume del podestà [Pietro] Querini che il male infuriava già
nel mese di marzo con tale violenza che i testamenti venivano fatti dalle finestre stando i
notai nella pubblica strada e senza alcuna delle formalità prescritte per statuto. E furono
anni di peste il 1478, ed il 1483 ed il 1487, nel quale ultimo il male fu sì violento, ed il
panico prodotto così grave da non trovarsi neppure un sacerdote che si arrischiasse di
assistere gli appestati”. Tali e siffatti furono i guasti prodotti dall’epidemia pestilenziale
che nel 1611 la città appariva “una sepoltura di cadaveri spiranti”. Si vedano BENUSSI,
p. 183; CUSCITO-GALLI, p. 154 e SALATA, p. 292.
59
Dati riportati in BENUSSI, p. 187-188. Ancora l’UGHELLO (p. 395-396) – nel
380
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
la malaria60 e talmente era diffusa la triste fama dell’insalubrità dell’aria che
nella stagione calda non più appoggiavano nel porto di Parenzo i legni diretti
per Venezia, che invece facevano scalo a Rovigno61.
Ecco come si esprime Mons. Tommasini, vescovo di Cittanova, nei suoi Commentari storico-geografici sull’Istria62: “Questa infelice e desolata città, che cotanto vien celebrata dagli antichi scrittori,… ha le sue belle case alte fabbricate di
pietra viva e intagliate eccellentemente – il che dà indizio sulla ricchezza dei suoi
antichi abitatori …
p. 9
… le quali giacciono cadute o cadenti e affatto prive di gente con orrore a chi
entra in essa città…Le belle fabbriche di canonica cha ospitavano dodici canonici ed altri chierici, sono rovinate…: vi sono due soli can.ci poveri che appena
hanno entrate per vivere”63. E il vescovo locale G. Negri64 aggiunge: “Cose tutte
1720, affermava: “Parentium, vulgo Parenzo, urbs est maritima Istriae, unius miliarii
circuitus; olim celebris et populo frequens erat; nunc paucis conflata domibus habitatores
vix centum enumerat”.
60
“Causa il ristagno delle acque, si diffuse il flagello della malaria; nel sec. XVI
Parenzo non ha storia, mentre Capodistria prosperava (…) e Rovigno fervida e operosa si
accresceva, Parenzo sempre più decadeva. Era una larva di città; solo Pola le era sorella
nel tristissimo destino”. Ed “essendo molestata dall’aria [era] poco abitata” al punto che
nel 1596 “le condizioni della podestaria erano ridotte a tale che non si trovava nessuno
che volesse accettare la carica di podestà”. Cfr. CUSCITO-GALLI, p. 155; MANZUOLI,
p. 37 e BENUSSI, p. 188.
61
Scriveva Fortunato Olmo (cca 1600) nella sua Descrittione dell’Histria: “(…) Il
porto è frequentatissimo particolarmente nel verno dove stanno molti peoti, li quali
conducono a Venetia per le vie a loro specialmente note le nabvi più cariche di merci,
acciò che per l’ignoranza di quel mare non vi sia chi vada ad urtare nei luoghi aspri et
negli scogli. (…) Nell’estate stanno questi uomini a Rovigno, dove le navi per l’aere più
salubre sogliono andare a schiffar Parenzo” (BENUSSI, p. 189).
62
Recte: G.F. Tommasini, “De’ Commentarij storici-geografici della provincia
dell’Istria”.
63
“(…), ammonizione al nostro secolo del flagello dell’ira divina caduta sopra questo
popolo, dopo che contumace del suo vescovo, a lui ed alla sua chiesa negando il suo
diritto, l’obbligò ad escomunicarlo”. (…) Negano poi “li nuovi abitanti di pagare le dovute
decime, se ben ne hanno riportato i canonici le sentenze a loro favore, ostinati quelli in
appellazioni tirano la causa a Venezia, dove non potendo i canonici sostener la lite per la
loro povertà, hanno abbandonato la chiesa e lasciano la loro causa a Dio” (BENUSSI, p.
190).
64
Arcivescovo di Corfù, Gasparo (De) Negri (De Nigris) fu sessantottesimo vescovo
di Cittanova (nato a Venezia nel 1697), insediatosi nel 1732; “veneto insigne per dottrina
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
381
purtroppo vere, mentre vivono ancora alcuni vecchioni i quali si rammentano di
aver vedute tutte queste miserie, e le strade e la piazza stessa ricoperte di folta
erba, e di sterpi, ed i casali tutti ripieni di immondezze, di absinzii65, sambuchi, di
edere, di cicute, e altre piante pregiudiziali all’umana conservazione e salute”66.
Il Senato Veneto, preoccupato di tanta rovina, non trova meglio che ripopolare
queste contrade con altre genti fatte affluire d’altrove67. E così nel 1525 arrivano
nelle storie, nelle lettere e nei sacri canoni, promotore degli studi, e diligente ricoglitore
delle cose dell’Istria. Sottentrò al Mazzocca addì 21 Luglio dell’anno stesso. (…) Entrò in
diocesi il 12 aprile 1733; risiedette sempre a Buie, temendo la malaria di Cittanova. Per
aver sacerdoti meglio preparati aprì a Buie, con due professori, la chiesa dei chierici, cioè
un piccolo seminario (all’epoca contava ben 25 alunni), conservato poi dai successori”. Fu
trasferito alla Sede di Parenzo il dì 22 Gennaio 1742, ove anche morì nel mese di Gennaio
1778; sul frammento della lapide tombale nel cortile dell’episcopio, si legge l’epigrafe:
D.O.M. GASPAR DE NIGRIS VENET. AEMONIAE PRIMUM EXINDE PARENTII
EPISCOPI RELIGIONE DOCTRINA AC LIBERALITATE PRECLARI SUPREMAE
OBSEQUENS VOLUNTATI MARCUS GOYYI CANONICUS EX ASSE HAERES
BENEFICIENTISSIMO AVUNCULO MOESTIMSSIMUS POSUIT PII EJUS OBITUS
ANNO MDCCLXXVIII. (RADOSSI, “Stemmi di Parenzo”, p. 399-400 e “Stemmi di
Buie”, 299). Uomo degno della porpora cardinalizia, con la sua intraprendenza e la dottrina
seppe far risorgere la città e la chiesa parentine: “Il Negri volle anche esternamente elevare
il prestigio del suo capitolo, dandogli nel 1744 la facoltà di indossare la mozzetta violacea
in luogo della nera. E il Senato, che al vescovo Negri dimostrò somma deferenza, nel 1771
confermava tale disposizione e accordava ai canonici l’uso della cappa magna violacea e
della croce pettorale. (…) E il vescovo stesso con i suoi lavori di storia, d’archeologia e di
critica, diede l’esempio dello studio e fornì la prova come la cultura fosse l’ornamento più
bello del clero”. Fece eseguire importanti interventi di restauro alla basilica e rifabbricò
l’elegante chiesa della Madonna degli Angeli tra il 1747 e il 1770 (BABUDRI, p. 141142). Va ricordato che egli è autore di un’ampia opera intitolata Memorie storiche della
cità e diocesi di Parenzo racolte da Mons. Gasparo Negri vescovo della medesima al
uso e comodo de’ diletti suoi diocesani, pubblicata soltanto nella seconda metà del XIX
secolo; dapprima furono dati alle stampe i dodici capitoli dedicati alla storia di Parenzo
negli Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, ai quali sono
seguiti altri due capitoli con il titolo Della chiesa di Parenzo. Negri ha predisposto per la
stampa anche illustrazioni a cui accenna del testo e delle quali si sono conservate alcune
incisioni raffiguranti l’altare di Eufrasio ed il mosaico della calotta dell’abside centrale.
Quest’ultima è considerata la rappresentazione più antica delle decorazioni musive
dell’Eufrasiana (VI sec.).
65
Assenzio; nonostante questa pianta contenga principi attivi che danno azione
tonica, stomatica e vermifuga, il vescovo parentino la colloca tra le “piante pregiudiziali
all’umana conservazione e salute”! Cfr. BATTAGLIA.
66
Cfr. BENUSSI, 191 e CUSCITO-GALLI, p. 158-159.
67
“L’onda dei fuggiaschi che dalle terre occupate dai turchi si riversavano dalla
Balcania verso Occidente, chiedendo asilo e protezione. (…) Ai nuovi venuti era imposto
382
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
le prime famiglie di Morlacchi che vanno a costituire il villaggio di Villanova68
e nel 1570 quello di Sbandati69. Nel 1593 famiglie sottrattesi al giogo turco si stabiliscono a Maggio70 e a Varvari. Nel 1612 Albanesi di Scutari vanno ad abitare
a Monsalice71 e nel 1580 famiglie greche di Candia, fra cui parecchi nobili, si
stabiliscono a Parenzo e ottengono il titolo nobiliare72.
E così le sorti della città cominciano a rialzarsi. Per l’occasione della guerra
di successione spagnola nel suo porto fanno scalo molte galee, introducendosi …
p. 10
… così una specie di piccolo commercio, anzi parecchi mercanti chiedono e ottengono la cittadinanza parentina.
di prendere dimora nelle ‘ville’ rimaste disabitate. (…) Gli indigeni accoglievano con
diffidenza e ostilità i profughi, per lo più pastori digiuni di ogni arte della coltivazione.
Aborrivano soprattutto i Morlacchi di rozzissimi costumi e dediti al ladrocinio. Le
violenze, le risse, erano frequentissime. (…) Continue querele giungevano ai provveditori
veneti” (CUSCITO-GALLI, p. 156; BENUSSI, p. 191).
68
“Varie famiglie morlacche passano su quel di Parenzo nel 1525, obbligate però a
formare un villaggio unito, a cui fu dato il nome di Villanova” (BENUSSI, p. 191-192).
69
Una quarantina di famiglie provenienti dal territorio zaratino si stabilirono nel 1570
a Sbandati (come era, appunto, la loro condizione) (BENUSSI, p. 192).
70
Furono cinque famiglie “provenienti dai paesi turcheschi” cui si assegnarono
i terreni in contrada Maggio; altre fondarono il villaggio di Varvari (= corruzione di
‘barbari’) (BENUSSI, p. 192).
71
Poi furono assegnati i terreni incolti in contrada di Monghebbo e di Molinderio;
dodici famiglie albanesi di Scutari ricevettero, nel 1612, campi nella contrada di
Monselice; successivamente si ripopolò Dracevaz (già abitata da Morlacchi periti per
la peste) e Monrosso (immigrati da Castelnuovo delle Bocche di Cattaro) (BENUSSI,
p. 192).
72
I provvedimenti di Venezia non si limitarono alla sola campagna; infatti, “abbiamo
memoria di Greci venuti da Candia a stabilirsi a Parenzo nel 1580”; e quando l’isola
di Candia (Creta) cadde nel 1669 in mano turca, numerose famiglie greche preferirono
esulare, parecchie (un’ottantina) accolte dalla Serenissima qui a Parenzo (in case
appositamente riattate e segnate con la sigla S. M. = San Marco, per essere distinte dalle
private!), sicché in quell’anno il podestà Badoer poteva asserire che “la città è d’anni
dieci in qua molto bene rinforzata di abitanti in numero di 200 circa venuti a patriare
con le proprie famiglie da paesi lontani et etiam esteri” (BENUSSI, 193). Le relazioni
tra i residenti e gli immigrati si fecero più tranquille: cessate le controversie per i diritti
politici, di possesso e sociali, tra il 1658 e il 1699 vennero aggregate al Consiglio cittadino
ben cinquanta nuove famiglie. Così, Michele Filippini, figlio del fondatore della Villa
Sbandati e l’albanese Giorgio Chiurco di Villa Monselice, furono ammessi al Consiglio
1654-1657 (CUSCITO-GALLI, p. 161).
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
383
Il governo veneto favorisce il riattamento delle vecchie case, alcune delle quali portano tuttora la sigla S. M. (San Marco)73, e altre nuove sorgono. Anche la
cultura riprende il suo corso interrotto per tanti anni e si manifesta in frequenti
adunanze accademiche, nelle quali in nobile gara vengono recitati versi e prose.
Nel 1669 vengono ripristinate le “forme giudiziarie” e subito dopo ricostruito il
palazzo del Comune. Il vescovo N. Caldana74 rileva che si trovavano allora “in
Parenzo e suburbi huomini e donne tra grandi e piccioli numero 500 e nelle ville
del suo territorio numero 1800”.
In tanto rifiorire nella città si risvegliò pure il desiderio di poter ricuperare i
corpi dei Santi tutelari. Fu il vescovo L. Tasso75 che “ingegnosamente” (non si sa
come76) si procurò due frammenti ossei dei Martiri che collocò in apposito reliquiario in forma di tempietto, che tuttora si conserva, e su cui si legge:
Vedi la Nota precedente.
Migliorate le condizioni di vita nel territorio, questo vescovo “fa anco la residenza
molti mesi dell’anno, il che oltre il decoro porta pure qualche conseguenza di meglioramento
alla città”. (BENUSSI, p. 195). Sessantaquattresimo vescovo parentino, “Nicolaus
Antonius Petronius Caldana ex primariis familiis Pirani dioecesis Justinopolitanae, J.
U. D. Cardinalis Caraffae nobilis aulicus, et olim Studii Patavini Syndicus, per delectum
Jo. Baptistae antecessoris [Jo. Baptista de Judice / Del Giudice – LXIII vescovo (16441666), n.d.a.] huic gregi addictus est 16. Martii 1667 quem dum amantissime fovet morte
subripitur 1671” (UGHELLI, p. 417; BABUDRI, p. 137-138).
75
Luigi / Alvise [Aloisio] Tasso – Aloysius Tassus, LIV vescovo parentino (14991516), patrizio bergamasco (zio di Bernardo T. che fu padre del sommo poeta Torquato),
“Bergomas, ad Parentinam sedem promotus est an. 1500. (“A. 1512. Concilio Lateranen.
interfuit”). Sexdecim annis praefuit, deinde ad recanatensem Episcopatum translatus
fuit anno 1516. Genitoris sui Augustini viri clarissimi cineres Bergomi in Ecclesia S.
Spiritus recondidit, et coenotaphium hocce exornavit: ’Summae fidei, summi officii apud
summum Pontificem, mortalesque cunctos Augustinus Tassus, solers gentilitiae dignitatis
curator, Filiid optimis moribus, et claris insignitis honoribus, filiabusque honestis locatis,
Patriae non immemor dulcissimae, Romae moriens, huc cineres deportandos mandavit;
casto pulveri Catharinae conjugis charissimae, cum qua fine querela vixit annis XLIII.
cum amplius heu non parcant Parcae maritandos. Aloysius Pont. Parentinus F. pientiss.
Parenti domi, forique gloriam B. M. et vivae matris F. C. Vixit ann. LXIX. ad sept. usque
ad Kal. Mart. anno salutis M.D.X. Julio II Pontif. Max.” (UGHELLI, p. 411-412). Nel 1514
egli donò, assieme al podestà veneto di S. Lorenzo del Pasenatico A. Soranzo, l’altare
della cappella dei SS. Vittore e Corona della chiesa di S. Martino: lo stemma vescovile si
trova a sinistra (a destra quello podestarile); nel mezzo il tabernacolo, superiormente una
lunga epigrafe. Durante la sua ‘reggenza’, furono eseguiti importanti lavori di restauro
al palazzo vescovile (Cfr. RADOSSI, “Stemmi di S. Lorenzo”, p. 228, anche per notizie
circa i servizi di corriere / poste organizzati dai Tasso).
76
È proprio così?
73
74
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
384
HAEC MAURI MART. OSSA ALOYSSI TASSI EPI PAR. INGENIO //
IANUE ?? RECEPTA HUCQ. ?? DELATA //
ET UT CERNIS ORNATA:
[J. CHRIST. ??] IN. MDVII HIC GRATIS LOCATA
XXIII APE?? EPAT ?? V
… ARCHIVIO DECLARANTI
ALO. TASSUS EPS. PARE. P. ?? GAME??
p. 11
Il medesimo Prelato volle pure restaurare l’arca marmorea squarciata da Paganino D’Oria, come si rileva dall’iscrizione: ALOY. TAS. EP.I ?? PAR. – PAT.
BERGO. CURA INSTAURATUM – IN. M. D . VII77
Per la storia merita riportare le iscrizioni originali del 1247 incise in caratteri
gotici, la prima su un lato e la seconda, in cui versi leonini, su una fronte dell’arca
che conservava i Corpi Santi fino al 1354.
1) ANNO DOMINI MCCXLVII IND. V. RESSIDENTE
DOMINO PAGANO EPISCOPO ET IOANNE ARCIPRESBYTERO NEC NON THOMA DIACONO ET OTONELLO
SUBDIACONO THESAURARIIS QUI AD HONOREM
DEI ET SANCTORUM MARTYRUM MAURI ET
ELEUCTERYI FECERUNT FIERI HOC OPUS
MAURE PARENTINOS CONSERVA INCOLUMES. AMEN78.
Questa la trascrizione con le mende di lettura: Aloy(isii) Tas(si) ep(iscop)i Par(entini)
pat(ricii) Bergo(mensis) // cura instauratum // in MDVIII; l’arca è lunga m. 2,25, alta
m. 0,94 e profonda m. 1; il coperchio a sezione triangolare è alto m. 0,41 e alla base
misura m. 0,85. Così, invece, legge il TOMMASINI (p. 385): Aloysius Tassius Episcopus
Parentinus patria Bergomensis … Instauratum Anno MDVIII. Infine NEALE: Alov. Tas.
Epi. Nat. Bergo. Cura. Instauratum. An. M. D. VIII (cit., p. 83).
78
Ecco la trascrizione dell’epigrafe con le mende di lettura, in CUSCITO, p. 49-53:
Ann(o) D(omi)ni mill(esim)o duc(en)t(esimo) XLVII indict(ione) V residente d(omi)no
Pagano ep(iscop)o et Joh(ann)e archip(res)b(ite)ro nec non // Toma diac(ono) et Otonello
sub(iacono) // tesaurariis qui ad hono // rem D(e)i et s(an)c(t)or(um) mart(yrum) Mauri
et Eleutherii fecer(unt) fieri hoc op(us). Maure Parentinos conserva incolomes. Amen.
Soltanto a titolo di informazione “storica”, cfr. anche la versione imprecisa in NEALE
(cit., 82): + Ann. Dni. Millo. duct. XLVII. Indict. V residente Dno. Pagano. // et Jone.
Archipro. necnon. Toma. Diac. et. Otone. subd. tesaurar. // qui. ad. honorem. Dei. et.
scor. Mart. Mauri et. Elevtherii fecer. // fieri. hoc. op. Maure. Parentinos. conserva.
incolumes. Amen.
77
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
385
2) SUM SEPULTURA SANCTORUM PROVIDA CURA
MARTYRUM ET = MAURI, ELEUCTERII. TITULUS AURI
ISTIS = ORNATA FACIE SUM CLARIFICATA:
CELICA = SINT LATA FACTORIBUS ATQUE PARATA79.
[= Sono la sepoltura dei SS. Martiri, allestita con sapiente premura. – Sono
l’aureo titolo di M. ed E.: di essi fregiata la mia fronte, ne vengo nobilitata. – Premi celesti siano resi e preparati a chi mi fece].
p. 12
3. PRATICHE DI MONS. MAZZOLENI PER OTTENERE ALMENO
DELLE RELIQUIE INSIGNI
Men fortunata di Capodistria, che nel 1422 aveva veduto restituiti i suoi Santi
Nazario, Elio e Alessandro asportati da Maruffo Doria il 26 giugno 138080, Parenzo sospirava sempre il giorno fortunato di poter riavere almeno in parte i Corpi
dei suoi Santi.
Sum sepultura s(an)c(t)orum p(ro)vida cura mart(yru)m et // Mauri Eleutheriii
titul(us) auri; isti(s) // ornata facie sum clarificata; celica // sint lata factorib(us) atque
parata (CUSCITO, p. 53). Vedi anche TOMMASINI, p. 385.
80
Eccone la rievocazione nella ricostruzione del vescovo NALDINI (p. 49-53).
“Intorno l’anno 1380 si disarginò a suoi danni la piena d’irreparabili miserie. E fù, quando
ritornati con poderosa Classe à danni dell’Istria i Liguri impadronironsi furtivamente di
Giustinopoli; e dove prima con barbara fierezza saccheggiate haveano le Case, allora
con esecranda empietà svaleggiarono le Chiese. Quindi incenerito l’Atrio del Duomo per
facilitarsene l’ingresso, indi rapirono il Sacro Corpo di Nazario, e tolto da altra Chiesa
anco quello del Santo Pontefice Alessandro, co’ spoglie sì preziose veleggiarono verso
Genova per aricchirla in un sol tempo di due Tesori. Questa fù la massima delle sventure
occorse à Giustinopoli, da che ritrovato havea il suo smarrito Pastore, e Padre. I voti
del Popolo, i sospiri del Clero, gl’uffici del Prelato s’impiegarono tutti nel corso di più
Anni per rihavere l’involate Reliquie. Alla fine stancato da tanti voti il Cielo, regendo la
Chiesa di Genova Pileo de’ Marini, e questa di Giustinopoli Geremia Pola, si stipulò la
sospirata restituzione. Onde l’Anno 1422, trasportati da Genova in Venetia i sacri Corpi,
e depositati con solenne pompa nella Chiesa di San Girolamo, dopo la Messa Pontificale,
cantata da Marco Lando Vescovo di Castello, coll’assistenza delli due Vescovi di Nona,
e di Giustinopoli, si ripigliò il viaggio marittimo verso l’Istria. (…) Con che approdata
felicemente al Porto la numerosa comitiva, co’ i più festosi contrasegni d’Archi trionfali,
di sonori bronzi, e de’ sacri Inni, portaronsi que’ pretiosi Corpi nel Duomo (…)”.
79
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
386
Per una fortunata coincidenza, nell’anno 1734 reggevano le due diocesi di Genova e di Parenzo due figli dell’Ordine dei Predicatori, Fr. Nicolò M.a de Franchi
e Fr. Vincenzo M.a Mazzoleni81. Il Presule parentino, cedendo alle insistenze dei
suoi figli spirituali, in data 16 novembre 1734 scriveva a Mons. Franchi. Dopo
avergli narrato che “essendo stato per tre anni a Corfù, arcivescovo, sazio di stare
tra terremoti, tra Greci, Turchi, Corsari, ho supplicato, ed ottenuto di esser trasferito a questo Vescovato di Parenzo” gli esponeva che “Il Corpo di esso S. Mauro
martire ora riposa in una chiesetta detta di S. Antonio82, situata fuori delle mure
di Genova, o poco distante. Così ha riferito un marinaio Parentino morto di fresco
il quale si offeriva a questi Cittadini, se gli avessero dati due o tre testimoni in
prova dell’identità di quelle sacre Reliquie, di andar con loro a levarle da quella …
p. 13
… Chiesa di S. Ant.o, e riportarle a Parenzo, confidando di poter fare a man salva
…” Inoltre, un altro documento assai antico ritrovasi in questa Cancelleria concepito così: Memoria de li corpi delli gloriosi Martiri Mauro, et Eleuterio furno robati dala giesia di Parenzo, e portati a Genova in la giesia de S.to Matthio in una
Capella che xe intra la casa del prete a man x ancha” e osservava: “Dove siano
veram.te questi Corpi Santi V. S. Ill.ma potrà agevolmente saperlo, almeno dagli
atti della Visita”. Richiamandosi poi alla restituzione dei corpi dei Santi Patroni
di Capodistria, come narrata nel volume Descrizione dell’Istria83 data alle stampe
da Nicolò Manzuoli, Mons. Mazzoleni concludeva: “Una simile grazia imploro
ancor io dalla pietà di V. S. Ill.ma, cioè che si sdegni per carità di far rendere a
questa città il Corpo di S. Mauro Martire, principale protettore di essa Città e di
tutta questa Diocesi… Sarà ancora cosa propizia della mutua carità cristiana il
consolare spiritual.te questo Popolo afflitto per la privazione del suo presidio, cui
sarà per dare ogni maggior culto, e onore. Lo stesso dico del Corpo del S. Vesc.o,
e Martire Eleuterio pur protettore di questa Città. Se non si potessero i Corpi,
come stanno, almeno si conceda qualche parte notabile di loro in forma autentica
da potersi esporre alla pubblica adorazione, come reliquie insigni.”
p. 14
“Vincenzo Maria Mazzoleni (1731-1741), arcivescovo di Corfù, lettore di filosofia e
Inquisitore generale del S. Ufficio”; trasportò a Parenzo nel 1732 il Seminario, ottenendo
dal Doge una casa attigua alla Basilica per ospitare i discepoli (BABUDRI, p. 138 e 141).
82
Evidentemente non era così, come infatti lo conferma questo medesimo testo nel
prosieguo.
83
Recte: Nova Descrittione della Provincia dell’Istria, Venezia 1611; cfr. p. 69.
81
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
387
Ed ecco che già l’8 gennaio dell’anno seguente Mons. Franchi rispondeva di
aver fatto ricerche e di aver “ritrovato essere ambedue ben custoditi in questa
Chiesa Abbaziale di S. Matheo, che è delle Principali della Città, entro di un’urna marmorea.” Che poi, “avuto cognizione che detta Chiesa è di gius Patronato
dell’Inclita Famiglia Doria ho fatto pregarla per il conseguimento della grazia
richiesta: e dopo qualche ripugnanza, ne ho avuto in risposta che consoleranno
V. S. Ill.ma e Cotesto suo Popolo ed acconsentirmi qualche parte sì dell’uno,
che dell’altro de S.ti Corpi, quando vi condiscenda uno de Signori Compatroni
dimorante in Napoli (omissis). Ma sì come vogliono che di quella parte che se ne
estrarrà per mandarla a V. S. Ill.ma ne costi a’ Posteri, sarà bene che in risposta
mi invij una Supplica in cui esponga il desiderio di Codesto suo Popolo di avere
tali S. Reliquie con pregarmi ad interporre presso questi Signori i miei più efficaci
ufficij per renderlo consolato”.
Senza perder tempo, il 17 marzo, tanto il Consiglio di città che Mons. Mazzoleni spediscono le loro istanze.
L’urna con le Reliquie, esposta nella Cappella dei Doria, prima di lasciare Genova
388
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
Supplica di Mons. Vescovo Mazzoleni:
“Ill.mo e Rev.mo Mons. Franchi, Arciv.o di Genova,
Fr. Vinc.o Ma. Arciv.o Mazzoleni, Vescovo di Parenzo …
p. 15
… rimette all’esimia benignità di V. S. Ill.ma la umil.ma supplica della sua Città
espressa nell’ingiunto Memoriale, e vi unisce la propria più fervorosa preghiera
all’effetto di ricevere le sacre Spoglie de’ SS. Mauro ed Eleuterio primi protettori
di essa Città, o almeno qualche parte dell’uno, e dell’altro Santo Corpo così notabili, che siano reliquie insigni corrispondenti alla generosità di chi le darà, e al
decoro de’ Santi, che in esse dovranno avere la pubblica venerazione.
È noto a V. S. Ill.ma, come questi pegni furono dalla divina misericordia dati
miracolosamente a Parenzo per suo presidio sin circa l’anno 284, per quanto si
ha dalla tradizione, e dall’Istoria. Come nel 1354 furono trasferiti a Genova, qual
spoglia dell’armi Genovesi vittoriose: Come sin’ora son custoditi costì nella Chiesa Abaziale di S. Matteo, onorati sì dalla pietà acclamata dell’inclita Famiglia
D’Oria, ma però fuori del sito, nel quale Iddio li destinò.
“Dalla Carità di V. S. Ill.ma, e dell’efficaci sue intercessioni s’implora la grazia
di renderli all’antica lor residenza, ov’erano adorati con fervido culto, e lo saran
sempre più. Ella e cotesti Signori, che or li possedono, daranno gloria a …
p. 16
… Dio e alli detti Santi, con ridonarli a Parenzo, ove si benedirà tal beneficio con
monumenti di eterna gratitudine. Grazie.
Dat. in Parenzo, 17 marzo 1735.
Fr. Vinc.o M.a Arciv.o Vescovo di Parenzo
D. Valent. Valentini Can.co Can.re Ep.le”
Supplica della Città di Parenzo:
“Ill.mo e Revi.mo Mons.r
Arciv.o Vesc.o N.ro Clementissimo.
“Hanno per tanti secoli gl’antichi Parenzani pianto amaramente, e lacrimarono li Viventi la perdita luttuosa delli due Sacri Corpi di Mauro, ed Eleuterio
Confaloni, e Patroni di questa Città di Parenzo, che nelle guerre di quei tempi
furono asportati, e si conservano nella Città di Genova, e la mancanza di mezzi
proporzionati per poter impetrarne la restituzione aggravò sempre ed aggrava più
presentemente il dolore in questo Universale, che nella redificazione e popolazione della Città si vede privo de’ suoi miracolosi Protettori.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
389
“Hora, che si è aperto l’incontro fortunato della Presidenza d’un nostro zelantiss.mo Prelato, che sotto l’abito glorioso di S. Dom.co veste spiriti di Carità, e
nutre un animo circondato dalla più esemplare pietà, prendiamo coraggio Zorzi
Salomon e Francesco Corner84…
p. 17
… Giudici di questa Sp.le Comunità di spiegare a nome della med.ma e di tutto il
popolo devoto i nostri aspiri e premure per procurarne l’effetto desiderato.
“La di Lei religiosa Carità, ed amore intensiss.mo non lascieranno abortire le
speranze de’ suoi devoti Diocesani, ed il riflesso delle massime generose, e Christiane altre volte in uso dalla Ser.ma Repub.ca di Genova colla restituzione fatta
alla Città di Capo d’Istria de’ Santi Corpi Allessandro, e Nazario suoi tutelari,
che nell’insorgenza d’una guerra coetanea furono di colà translati parimenti a
Genova: ma più di tutto il destro, ed affettuoso nostro maneggio, e l’intelligenza
con quel Mons.r Ill.mo e Rev.mo Arciv.o ci porgono gran confidenza di avere a
giubilare nel veder restituite quelle Sacre Reliquie nell’Urna (hora vedova) dove
per tanti secoli precedenti hanno riposato.
“La gloria sarà sacra del Sig.r Iddio, l’antica veneratione sussisterà verso i nostri
Protettori ed il merito, che lei si concilierà per opera così pia, e tanto sospirata,
formerà ne’ nostri cuori e de’ tardi Nepoti un perenne monumento d’eterna obbligatione, e potrà V. S. Ill.ma. e R.ma assicurare quel Ser.mo. Dominio, e il Venerabile Prelato, che s’interponerà per il felice esito, ch’in tal benefica deliberazione …
p. 18
… goderanno la dovuta gratitudine di Santi restituiti al loro nicchio, ed il loro
sublime Patrocinio per le più felicità di quel Principato, e per la conservat.ne ed
esaltat.ne de’ Prelati mediatori.
Grazie.
Zorzi Salamon85, Giudice
[L. S.]86 Francesco Corner, Giudice
Alvise Sincichi [!]87, Can.re della Sp.le Comunità di Parenzo”.
Ambedue appartenenti a cospicui casati veneziani; al tempo era comunque podestà
parentino un Francesco Balbi (1735-1736).
85
Cfr. la seguente testimonianza: “Adì 24 marzo 1683 fu consegnato il presente
Statuto a me Nicolò Chierico Coad. Ordinario e Custode dell’archivio Pubblico dal S.r
Zorzi Salamon V. Canc. di Comun”. (INCHIOSTRI, p. 218).
86
Sta per L(ocus) S(igilli) (?).
87
Casato autoctono di nobili parentini. Provenienti dalla Dalmazia all’epoca
dell’invasione turca, si stabilì nel castello di Visignano, venendo aggregata al Consiglio
84
390
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
Con lettera a parte a Mons. Franchi, il vescovo parentino pregava che dei due
Santi fossero concessi “due pezzi di tal fatta, che possan dirsi reliquie insigni
da esporsi a pubblica venerazione, e che siano presso a poco di simile mole, per
poterli porre in due reliquiari uniformi sull’altare nella lor festa: che siano riposti
in una Cassetta o scattola facile al trasporto, ogn’uno di lor distinto col suo nome,
e iscrizione sigillatavi: Che ancora la cassetta, o scattola sia munita con i sigilli
di V. S. Ill.ma, e tutto sia accompagnato con l’opportuno autentico Istromento”.
Il premuroso Pastore genovese in data 24 settembre 1735 comunicava alla Curia parentina che alcune Reliquie verranno concesse, aggiungendo testualmente:
“Da Mons.r di Parenzo ho ricevuto la lettera con i recapiti, …
p. 19
… e già gli diedi risposta. Sicuramente saranno a Lui trasmesse le consapute
Reliquie, ma siccome la spedizione delle medesime dipende dal Sig.r Duca di
Evoli Giancarlo Doria88, il quale è andato a Napoli, così bisogna aspettare il suo
ritorno”.
E il 4 agosto dell’anno successivo Mons. Franchi ancora una volta confermava
che “è certo certissimo che si averanno le Reliquie, ma dipendendo dal favore del
Sign.r Gio: Carlo Doria, che per particolari sue urgenze si trova a suoi Feudi nel
Regno di Napoli, prima del suo ritorno, che asseverantemente si dice per il prossimo mese di Novem.re, non è possibile il soddisfare alle premure di V. S. Ill.ma”.
4. LA FAMIGLIA D’ORIA CONCEDE DUE FEMORI.
La tanto attesa risposta finalmente venne in data 31 maggio 1737. Mons. Franchi comunicava a Mons. Mazzoleni che la sospirata grazia era stata concessa,
che cioè il giorno 2 da parte degli “Ecc.mi Sig.ri D.n Gio: Carlo Doria Principe
D’Angri, D.n Gio: Francesco Doria Marchese di Faccina e Massanova, …
p. 20
… e di D.n Paolo Mathia Doria” fossero restituite alcune Reliquie alla Città di Parenzo. Come pure che s’era già provveduto alla ricognizione delle stesse Reliquie
e che “la demolizione dell’altare (omissis) non era stata così facile, essendo tutto
dei Nobili nel 1657; furono giudici, prelati, studiosi. Cfr. per notizie storico-araldiche
RADOSSI, “Stemmi di Parenzo”, p. 409.
88
Il Castello d‘Evoli sorge nel comune di Castropignano, in Provincia di Campobasso;
la sua costruzione risale al periodo della dominazione longobarda.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
391
in marmo (omissis). Ho estratto dall’urna ove sud.e Sacre Reliquie si conservano
due ossa delle più intatte e più grandi che vi ho trovato, e ripostele in una cassetta ivi le ho sigillate, e ben custodite le trattengo appresso di me per inviarle a
V. S. Ill.ma munite della sua autentica, ogni qualvolta si compiaccia segnarmi a
chi debba consegnarle per il fedele ricapito”.
Ed ecco ora il rispettivo
Atto Notarile
“Viso mandato procurat. facto per Ill.mos et Ex.mos. DD. Ioannem Carolum de
Auria Principem de Angri, Ioannem Franciscum de Auria Marchionem Facinae
et Massae Novae, ac Paulum Mathiam similiter de Auria, Condominos Capellae,
in qua memoratorum SS.rum. Corpora adservantur in Ecc.mum D.num Ioannem Mariam Arduinum Abbatem hujus Abbatialis Ecclesiae S. Matthaei rogato
in Civitate Neapolis die cadentis Mensis Maji per Notarium Ioannem Nicolaum
de Mauro cum opportuna fide legalitatis sub eo, cujus tenor, sequitur, ut infra:…
p. 21
“In Nomine Domini Nostri Jesu Christi:
Nel di 2 del mese di Maggio millesettecentotrentasette in Napoli.
Si sono costituiti avanti a noi li Ill.mi et Ecc.mi Sig.ri D. Gio: Carlo Doria
Principe d’Agri, D. Gio: Francesco Doria Marchese di Faccina e Massanuova,
D. Paolo Mattia Doria, a me Notaro pienamente noti quali aggono89, et spontaneamente avanti a noi hanno asserito, come nel 1735, li 17 Marzo, Monsig.r Arcivescovo della Città di Parenzo, dell’Istria, Dominio veneziano hà fatto con una
lettera autentica premurosissima istanza a Monsigr. Ill.mo et Ecc.mo Arcivesc.o
di Genova, ad effetto d’ottener la Grazia di qualche Reliquia insigne d’ambidue i
corpi de SS. Mauro ed Eleuterio Martiri, che si conservavano nella Chiesa Abbaziale di S. Matteo nella Cappella destra di detta Chiesa, ivi collocati e trasportati
da Parenzo dall’ora q. S.r Pagano Doria l’anno 1353 [!?], e detta istanza fu data
dall’Ill.m Monsig.r di Parenzo mosso da pubbliche preci di detta Città, che con
lettere e sigillo de Sig.ri Giudici a nome di tutti gliela presentano che disse conservarsi in Genova. Fondando le loro istanze, e speranze di ottenere detti Santi li
principali Protettori di detta Città avuti sin dall’anno …
p. 22
Dal lat. antico agere (agire, operare), ma nel Diritto antico sta per Adire le vie legali
(BATTAGLIA).
89
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
392
… 283 e perciò riconosciuti per primi premi della loro Fede concessagli da Dio,
secondariamente sull’esempio della pia generosità della Repubblica Seren.ma di
Genova, che consolò la Città di Capo d’Istria con la restituzione de SS. Corpi
d’Allessandro, e Nazario suoi Tutelari trasportati in una guerra contemporanea.
E possedendosi la sudetta Capella, ove si conservano ambedue i Corpi de DD.
Mauro, ed Eleuterio Martiri da Suddetti Ill.mi ed Ecc.mi Sig.ri Principe, e Marchese, e D. Paolo Mattia Doria in detta Città di Genova, e volendo compiacersi
per la maggior Gloria di Dio e dei Suoi Servi Santi Mauro ed Eleuterio, e Fede devota della detta Città di Parenzo verso detti Santi Martiri, sono condescesi volerli
consolare con qualche Reliquia insigne de med.mi Santi Corpi; e non potendone
essere di persona in D.a Città per l’effetto predetto occupati da altri affari; Perciò
hanno fatto per loro vero e legittimo Procuratore, ed in loro luogo hanno posto, e
pongono, il R.mo Sig. Abbate di S. Matteo D.n Giovanni Maria Aldoino assente
come presente, ed in detta Città di Genova degente, a comparire nell’Arcivescovale Corte di Detta Città di Genova, e far istanza a detto Ill.mo Monsig.r Arciv.
di Genova a volersi compiacere portarsi in detta Cappella, e con l’intervento del
detto R.mo Abbate D.n …
p. 23
… Gio: Maria. ed altri, e procedere all’apertura dell’urna, ove sono i corpi di detti
Santi, e consignarne quelle parte di Reliquie, che stimerà detto Rev.mo Abbate
D.n Gio: Maria acciò si effettui in tutto in forma autentica; Dando e concedendo essi Ill.mi. ed Ecc.mi. Sig.ri Principe, e Marchese, e D.n Paolo Mattia a d.o
Rev:mo Abbate loro Procuratore come sopra costituito tutta la potestà, e la facoltà
necessaria circa le cose sudette, e che potrebbero fare essi Ill.mi, ed Ecc.mi Sig.
ri Principe e Marchese, e D.n Paolo Mattia, se fossero presenti e rogarne della
detta consegna di dette Reliquie publico atto autentico. Promettendo il tutto avere
sempre rato90 e sotto obbligo, et ippoteca. Et proinde iuraverunt.
“In cujus rei testimonium. Praesentibus jud.ce M.co Caietano Cannavale de
Neap. Reg. ad contractus, atque Notario D.no D. Nicolao Pedemonte, M.co Antonio Barone, et M.co Philippo de Mauro de Neap. Testibus ad hoc specialiter
rogatis, atque vocatis.
“Extracta est praesens copia ab actis meis, cum quibus facta [illegibile], meliori semper salva, et in fidem Ego Notarius Ioannes Nicolaus de Mauro de Neap.
requisitus signavi [L.S.]91.
“Carminus Cioffi U. J. D. Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopus Antinopolitanus Emi.mi et Ex.mi D.ni, D.ni …
90
91
Sta per stipulato, celebrato un atto giuridico (BATTAGLIA).
Sta per L.(ocus) S.(igilli).
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
393
p. 24
… Josephi tituli S. Pudentianae S. R. E. Presbyteri Cardinalis Pinelli, Archiepiscopi Napolitani in Spiritualibus, et Temporalibus Vicarius Locumtenens, et
Officialis Generalis. = Universis, et singulis hasce (?) inspecturis Literas notum facimus, atque testamur supradictum Mag. Ioannem Nicolaum de Mauro,
qui praesentem copiam extraxit, atque subscripsit, hocque solito Sigillo signavit,
fuisse, ac esse talem, qualem se asserit – nempe92 Regia auctorictate Notarium,
fidelem, et legalem scripturisque suis – et his consimilibus semper adhibita fuisse,
et fore93 adhibendam plenam, et indubiam fidem in Judicio, et extra ______
In quorum testimonium ________
Dat. Neapoli ex Palatio Archiepisc. hac die 13 Maji 1737.
C.a C. Episcopus Antinopolitanus V. P.94
C.a D. Joannes de Andreatta Canc. S. Act. mag.
Ricognizione Canonica
“Ad effectum annuendi voti dictae Civitatis et servandi eodem tempore conditiones de quibus in Dicto Mandato personaliter existentes in praememorata Abbatiali Ecclesia S. Matthaei in praesentia prefati R.mi D. Abbatis Ioannis Mariae
Alduini, Notarij et Cancellarii nostri ac Testium infra nominandorum – accessimus ad Capellam subtitulo S. Mauri, et …
p. 25
… Eleutherij existenti in eadem Ecclesia à cornu Evangelij, in qua adservantur
praefatorum SS. Corpora, ut etiam apparet ex inscriptione incisa in lapide marmorea incorporata in muro eiusdem Capellae tenoris sequentis:
PAGANUS AURIA
ANNO MCCCLIIII PRID. NONAS NOVEMBRIS
PROFLIGATIS VENETIS, CAPTA EORUM CLASSE
PARENTIOQUE ISTRIAE URBE EXPUGNATA
OVANS IN PATRIAM REDIIT.
PLURIMIS AUTEM NEGLECTIS OPIMIS SPOLIIS,
QUAE ILLINC SECUM ASPORTARE LICUISSET,
UNUM HOC ELEGIT, CORPORA SCILICET SS. MAURI,
Sta per “vale a dire”.
Sta per “futurum esse”.
94
Sta per “V(icarius) P(raefecti)”.
92
93
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
394
ET ELEUCTERII, QUAE HOC IN LOCO AB EO
CONSTRUCTO VENERANDA PIE CONSTITUIT:
QUOS VERO ILLI HONORES SENATUS DECREVERIT
NOTIORES SUNT, QUAM HIC REFERRE
SIT NECESSE.
GENTILE SACELLUM NICOLAS AURIA JACOBI
FILIUS INSTAURANDUM CURAVIT ANNO MDXXXVII
“Mandavimus deveniri ad aperitionem Arcae marmoreae existentis subtus
Altare eiusdem Capellae, qua aperta in ea reperimus Capsulam plumbeam bene
clausam, et debitis sigillis, munitam cum inscriptione in parte superiore ejusdem
dicenti: CORPORA SS. MAURI, ET ELEUTERII, quam similiter …
p. 26
… mandavimus aperiri, et in ea repertis sacris Reliquijis praefatorum SS. Mauri, et Eleuterij, ex eis extraximus duo crura, sive coscias, et quidem ambo,
sive ambas eiusdem partis corporis humani, pro iustificatione unum, sive unam
esse unius, et alterum, sive alteram alterius, ex praememoratis Sanctis Mauro,
et Eleuterio, illaque sive illas reposuimus, et collocavimus in Capsula lignea
longitudinalis palmorum unius cum dimidio circiter; intus cooperta vulgo di
taffettà rosso95, et ornata cum filo aureo, quam exinde bene colligatum funicolo
serico rubri coloris nostro munivimus Sigillo, cera rubra hyspanica impresso
quattuor in paratibus ipsius capsulae, ne de praedictarum Sacrarum Reliquiarum, cum pervenerint ad praefatam Civitatum Parentii – quo eas destinamus
–, identitate dubitari possit. Quibus peractis, restituta Capsula plumbea, de
qua supra ad suum locum, illaque munita Sigillo nostro similiter cera rubra
hyspanica impresso pro identitate earumdem Sacrarum Reliquiarum, ab eadem
Ecclesia recessimus.
Praesentibus omnibus praedictis praefato Rev.mo D. Ioanne Maria Aldino Abbate memoratae Ecclesiae Notario, et Cancellario nostro infrascripto ac
D.D …
p. 27
… Joanne Bap.ta Filippini, et Nicolao Varni familiaribus nostris testibus adhibitis.
“Tessuto compatto, di caratteristica lucentezza cangiante, lavorato in armatura
tela con filati di seta, ma normalmente è liscio e alquanto morbido ed è usato per abiti
femminili eleganti, o per fodere” (BATTAGLIA).
95
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
395
In quorum omnium testimonium has praesentes manu nostra subscriptas,
nostroque munitas Sigillo per infrascriptum nostrum Cancellarium expediri, et
similiter subscribi mandavimus.
Dat. Genuae hac die 29 Maji 1737.
F. V. M.a Archiep.us
[L. S.]96
Fran.cus M.a Axeretus not.rius
et Car. Ar.lis Genuae Can.rius”.
5. LE SACRE RELIQUIE LASCIANO GENOVA
Mons. Franchi scrivendo in data 13 luglio 1737 a Mons. Mazzoleni gli diceva:
“praticherò ogni maggior diligenza per indirizzarle le reliquie e per via di Milano
o per via di Brescia, o in altro modo ed avrò tutte l’attenzione di consegnarle a
persona, per mezzo di cui giungano senza intoppo a quella parte dove le indirizzerò”. In quanto a “le spese de demolizione abbastanza rilevanti” assicurava che
“trattandosi di Signori di qualità, e miei Parenti, e di servire V. S. Ill.ma …
p. 28
… e cotesti Signori in un desiderio sì pio non occorre ne meno per ombra parlarne”.
Mons. Mazzoleni senza perder tempo si rivolgeva a un Religioso Domenicano
di Brescia addetto al S. Uffizio perchè se ne incaricasse del trasporto “via Brescia”. E questi, di nome F. Tom.o M. de Angelis, già il 21 luglio l’informava che
le spedirà mediante uno dei tanti “mulattieri Bresciani a me noti, li quali sono
tanto sicuri e fedeli nei loro trasporti, che non saprei insinuare miglior incontro di
essi. Questi s’aspettano qui dentro l’entrante settimana … ed io m’intenderò con
essi indirizzandoli con mia lettera a Monsig.r Arciv.o di Genova, acciò liberam.te
consegni a medesimi la cassetta ben condizionata”.
Il giorno 27 luglio Mons. Franchi informava il Vescovo di Parenzo che “per via
di Brescia” aveva spedite le Reliquie. “Le hò pertanto fatte consegnare ben chiuse, e sigillate in decente scatola rinchiusa in altra di legno per maggior sicurezza
ad uno di questi mulattieri [Andrea Ventura della Città suddetta di Brescia]97 che
per l’occasione di Mercatura fanno da questa a quella Città frequenti viaggi98 ed
L(ocus) S(igilli).
Nota dell’autore di queste Memorie, il sacerdote Pietro Cleva di Parenzo.
98
Davvero incredibile l’aver affidato il trasporto e il recapito di sì insigne e prezioso
contenuto ad uno dei “mulattieri” che per loro giornaliera attività si occupavano di
“mercatura” sulla tratta Brescia-Parenzo, poiché frequentemente percorsa.
96
97
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
396
ordino di ricapitarle a quel R.mo Padre Inquisitore [de Angelis]99 per doverle poi
trasmettere a V. S. Ill.ma, cui ne darò l’avviso, e per sua consolazione, et ad effetto se la possa intendere col medesimo …
p. 29
… Padre Inquisitore per l’ulteriore trasporto. Tutto ciò che nella mentovata Cassetta le habbia incluso l’opportuno documento per l’autentica delle medesime,
stimo accertato includergliene con un duplicato per maggior sicurezza”. E l’11
agosto il Padre bresciano informava Mons. Mazzoleni di “aver ricevuta l’altro
ieri da Vent.a Mulat.e100 Bresciano la Cassetta con le consapute Reliquie ed autentica delle med.e ben condizionata con suo foglio da Monsig.r Ill.mo Arciv.o
di Genova”, ripromettendosi di poterla consegnare in breve ad “altro Corriere,
certo Franco Rovato101” per il tratto fino a Venezia. Successivamente detto Padre
comunicava al Vescovo di Parenzo la consegna fatta delle Reliquie al Sign Rovato
“di sperimentata fedeltà e puntualità”, aggiungendo che “sarà necessario che V. S.
Ill.ma e R.ma mandi a levarla, e le ritroverà nella solita abitaz.ne dei Corrieri di
Brescia: la riceverà a suo nome, e per contrassegno li mostrerà questa mia lettera,
con l’Autentica di d.e S. Reliquie…; al di fuori vi trovarà il sigillo dell’Arciv.o di
Genova”102.
Lo stesso Mons. Mazzoleni andò a riceverle a Venezia assieme al Podestà di
Parenzo103 e ai giudici: “fu aperta la Cassetta sigillata alla presenza di S.E. Alessandro Contarini Podestà, del R.mo Capitolo e del …
p. 30
… l’Ill.mi Sp.li Giudici ‘ivi portatisi’ ad effetto d’incontrare le Reliquie stesse ‘e
trovatele’ concordanti alla Autentica, che scoperte tali furono subito nuovam.te
chiuse, e sigillate coll’impronto del medesimo Prelato…”. Ma per intanto esse dovevano fermarsi a Venezia lasciate in custodia presso il Convento di S. Domenico
di Castello104, fino a tanto che non fosse pronto il nuovo altare dei Santi a Parenzo.
Altra nota d’autore.
Sta per Ventura, Mulattiere (Bresciano), il trasportatore delle reliquie.
101
I Rovato (-i) erano casato storico bresciano, estinto nel XVIII (?) sec.
102
Un’organizzazione “postale” dei corrieri che sembra davvero invidiabile nella sua
efficienza e puntualità.
103
Alessandro Contarini (1736-1737); cfr. anche RADOSSI, “Stemmi di Parenzo”, pp.
386-387.
104
Già antico ospizio con annessa chiesa (sec. XIII ?).
99
100
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
397
Intanto lo zelante Pastore aveva lanciato in Diocesi il seguente
Appello:
Fr. Vinc.o M.a Arciv.o Mazzoleni per la grazia di
Dio e della S. Sede ap:lica Vescovo di Parenzo
Co: e Sig.re d’Orsara105.
Alli M. RR. e RR. Sig.ri Arciprete, Prepositi, Piovani e Parrochi
di questa Diocesi: salute, e zelo del culto di Dio, e dei suoi Santi.
La divina misericordia diede già a questa Città, e a tutta la Diocesi per protettore primo e principale il glorioso S. Mauro sin dall’anno 283 facendo miracolosamente trasportar l’Arca, ov’era il suo Corpo, a gala del mare dalle spiaggie Romane, a depositarlo su questo Lido. Ci diede ancora per Comp.rettore106 il
glorioso Vesc.o, e Martire S. Eleuterio già consacrato Vescovo de’ schiavoni107,
confidandoci il Deposito del suo sacro Corpo. Questi due …
p. 31
Va ricordato che un punto spesso di contrapposizione che turbò in parte le relazioni
tra il vescovato parentino e la Serenissima era la contea di Orsera, su cui Venezia voleva
avere pieno potere. Così nel 1512 il Senato aveva fatto un primo tentativo in parola, ma
papa Paolo III – su istanza del vescovo G. Campegio – con bolla speciale dichiarò che
i castelli di Orsera e di Sanvincenti secolarmente dipendevano unicamente dal vescovo
di Parenzo e dalla Santa Sede; nel 1609 il vescovo L. Tritonio – che visse quasi sempre
ad Orsera – pubblicò un codice civile e penale per la sua contea orserese e nel 1613
contestava alla Repubblica il diritto di ingerirsi nelle cose del porto di Orsera. A queste
vicende seguì un periodo di quiete fino al 1778 quando la contea di Orsera fu tolta al
vescovo. Nel 1792 il Senato stabiliva di dare al castello uno Statuto (meglio determinato
nel 1793-94), basato sulle norme del Tritonio; al vescovo parentino veniva comunque
attribuita, ad ogni vacanza, l’elezione del parroco di Orsera. Cfr. BABUDRI, pp. 134,
143-144. Vedi anche la testimonianza del TOMMASINI, pp. 400-404 [“(…) li vescovi
con quelli abitatori del territorio hanno perpetue molestie”].
106
Sta per Conrettore, cioè comprotettore.
107
Infatti la tradizione racconta che Eleuterio figlio di Anzia, vedova del console
Eugenio, fu ordinato diacono e prete e consacrato poi vescovo da un certo Aniceto. Inviato
come vescovo nell’Illirico – donde l’appellativo qui usato di Vescovo de’ Schiavoni – fu
prelevato dal comes Felice per essere portato a Roma al giudizio dell’imperatore Adriano.
Il colloquio, cominciato con promesse, finì con la condanna a morte di Eleuterio e di sua
madre.
105
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
398
… Santi Corpi, dopo esser stati venerati in questa Cattedrale per più di mille anni,
ci furono rapiti da Genovesi nel saccheggio che fecero di questa Città l’anno 1353;
ciò forse Iddio permise in pena de’ peccati di quella gente, ch’allora abitava in
questo Paese. Dopo di che sono sopravenute continue lagrimevoli calamità.
Adesso pare mitigata l’ira divina verso questa Diocesi, poichè il Sig.re per la
sua infinita bontà ha così disposto le cose, che si siano riscattate, e ricuperate,
dopo quasi 400 anni di privazione, le adorabili Reliquie di quei due grandi Santi
nostri Confaloni108; Ma conviene, ch’ogn’uno corrisponda a sì grande beneficio
con la dovuta gratitudine e devozione, dando qualche parte di ciò, che Dio gli ha
dato, in elemosina, a fine di potersi fare un Altare e Urna di Marmo da riporsi in
sicurezza, e col dovuto decoro le dette sacre Reliquie de comuni gran Protettori,
che di continuo stanno al Trono di Dio ad intercedere per tutti noi.
Ordiniamo pertanto, e con la maggior premura raccomandiamo a cadauno
de S.ri Presidenti delle Parrocchie di questa Diocesi109 sudetti, che in gran Festa
nel maggiore concorso del popolo tra la Messa Parrocchiale raccomandino con
divoto fervore, e faccian …
p. 32
… fare una cerca per l’effetto sudetto, notando poi e tenendo presso di sè l’elemosine per consegnarle qui alli Depositarij in occasione, che qui verranno per la
Festa di S. Mauro: Che inoltre capitando nella loro parrocchia con le opportune
patenti li Deputati a questuare110 per lo stesso affare, diano loro ogni ricetto, aiuto,
e fervore, con esortare caldamente il Popolo ad essere il culto delle Reliquie de’
Santi Amici suoi, e che promette il cento per uno, e la vita eterna ai Limosinieri111.
Anticamente insegna per lo più rettangolare, appesa ad un’asta, costituita di stoffe
pregiate, in origine usata dalla chiesa come segnacolo per raccogliervi intorno i vassalli
e le truppe destinate alla difesa dei suoi beni; figurativamente indicò anche simbolo,
emblema. Attualmente designa l’insegna di comuni e province (BATTAGLIA).
109
Secondo il podestà-capitano P. Condulmer, risiedevano all’epoca (1741) a Parenzo
3216 abitanti [a Rovigno 8513, a Cittanova 220!], mentre nel suo contado complessivamente
1801 [Fratta 170, Abriga 160, Fuscolin 61, Giasenovizza 49, Dracevaz 204, Valcarin 294,
Monsalice 404, Villanova 164, Sbandati 675, Maggio 225, Monghebbo 109, Chinesella
26, Dolich, 36, Ligovich 28, Brobenich 52, S. Michiel di Leme 18 e Vabbenesi 204]
(BENUSSI, p. 200).
110
Attività svolta da religiosi, appartenenti di norma a ordini mendicanti che
effettuavano richiesta e raccolta di oblazioni (elemosine e offerte in natura), per scopi di
carità o di culto (DURO).
111
Dunque qualcosa che potrebbe richiamare alla mente – anche se in minima parte
– il contesto religioso delle “indulgenze” all’epoca della Riforma di M. Luttero (?).
Limosinieri sta per ‘coloro che fanno limosina’, che ‘fa molte elemosine, caritatevole’,
ovvero anche ‘mendicante’ (vedi BOERIO, DURO, BATTAGLIA).
108
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
399
Così confidiamo nella loro pietà, e loro preghiamo ogni bene con la n.ra benedizione.
Dat. in Parenzo dal n.ro Episcopio li 9 sett.re 1737
F. V. M. Arc. Vesc.o di Parenzo
112
[L.S.] D. Valentino Valentini
Can.co Can.re Vesc.le”.
Le elemosine però affluivano ben scarse. Nel frattempo, il 16 dicembre 1741
veniva a mancare fra i vivi il benemerito vescovo Mazzoleni e allora si decideva
di trasportare privatamente le sacre Reliquie da Venezia a Parenzo. Ecco come
avvenne il trapasso: “Il M.to Rev.o Pr. M.ro F. Dom.co Raimond’ Olivo, Procuratore del m.o R.do Convento di S. Dom.co di Castello …
p. 33
… di Venezia… volendo farne la consegna con le dovute formalità e cauzioni,
queste furono restituite al R.mo S.r D. Gio: Zuccato Can.co Scolast.o e Vicario
Generale Capitulare113, presenti a tal accettazione gli Ill.mi Sp.li SS.ri Giudici
Alvise Sincich, e Michel Zorzi Papadopoli114, ed inoltre per magg.r sicurezza, e
cautela fu sigillata anco la prima Cassetta coll’impronto Capitolare, e di questa
Sp.le Comunità, il che tutto servirà di cauzione al pred.o M.to Rev.o P.re Proc.r di
S. Dom.co firmando la p.nte le suscrizioni sì del R.mo S.r Can.co Scolast.o Vic.
G.nle Cap.re sud.o, che da Ill.mi Sig.ri Giudici. Che tanto…
Sta per L(ocus) S(igilli).
Tradizionale casato parentino, da epoca remota appartenne all’ordine dei segretari
del Senato veneto e dal 1294 decorato della nobiltà romana e nel 1722 di quella di Padova.
Zuccato Giorgio fu Ufficiale di cavalleria (1761-1800), al servizio dello Zar, divenuto
conte, partecipò alla guerra fra Russia e Turchia e a Pietroburgo fu insignito dell’Ordine
di San Giorgio e dell’Ordine di Sant’Anna. Fu in Moldavia e Valacchia. Cfr. CELLA e
RADOSSI, “Stemmi di Parenzo”, p. 414 per notizie storico-araldiche.
114
Una delle numerose famiglie greche immigrate in quest’area, come ad es. i
Gramaticopolo nel vicino castello di S. Lorenzo nel 1583. Il ‘casato dei Papadopoli (o
Papadopulli), avrà nei secoli buona diffusione sul territorio istriano, tanto che nel 1945
sono attesati a Pola ben 17 nuclei familiari. (CADASTRE). Michiel Zorzi P. è all’epoca
Procuratore della Basilica. Va qui segnalato che mezzo secolo più tardi risultano essere
Giudici della Comunità di Parenzo il conte Vincenzo Maria Papadopoli e il nobile Giorgio
Sincich, incaricati nel giugno 1797 di “raccomandare il Consiglio ai nuovi dominatori”;
nel 1801 vennero aggregate al Consiglio, con il conferimento della dignità nobiliare,
numerose nuove famiglie parentine; nel 1808 Nicolò P. fu membro del Consiglio del
Dipartimento dell’Istria (SALATA, pp. 254, 257, 264).
112
113
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
400
“Qual Cassetta chiusa e sigillata, come sopra fu ordinato sia riposta nell’Archivio Ep.ale ppresso il R.mo Sig.r Can.co Bonaluce Soardo115 economo nella p.nte
Sede vacante, la custodia delle quali viene raccomandata alla di lui vigilanza.
Gio: Zuccato Can.co Scolo. e Vic.o Cap.le
Michiel Zorzi Papadopoli: Giudice di q.ta Sp.le Com.à,
affermo quanto sopra.
Alvise Sinchic, Giudice di q.ta Sp.le Comunità, affermo
quanto sopra.
[L.D.S.]116
Adì 3 Febb. 1742 – Parenzo nel Palazzo Vesc.le
D.r D.n Vin.zo Renier117 Can.co e Canc.r Capitol. de mandato”.
p. 34
6. LE SOLENNI CERIMONIE A PARENZO PER LA TRASLAZIONE
DELLE RELIQUIE
Il 22 gennaio 1742 veniva eletto il nuovo Vescovo di Parenzo nella persona di
Gasparo Negri. Appena giunto in sede, prima sua preoccupazione fu di portar a
compimento l’intrapresa del predecessore, “ma furono sì scarse l’elemosine che
vennero offerite, che non s’avanzò che assai lentamente il lavoro”. Ma ecco venire
l’ultima spinta, quasi insperata al compimento dell’opera che venne a cadere nel
maggio del 1749, come si legge nelle “Memorie storiche delle Sacre Reliquie …
raccolte dal Dott. Don Antonio Vergotin” allora Can.co teologo e poi Arciprete
del Capitolo:
“Afflitto finalmente l’estate dell’anno decorso 1748 dalla solita nostra disgrazia
della siccità il Territorio, si risvegliò di bel nuovo la premura di veder instaurato
il culto de’nostri Santi, e ne portarono li Spettabili Signori Giudici al Prelato le
“Sede vacante” per la recente morte del vescovo V. M. Mazzoleni. I Soardo (-i)
sono oriundi dalla Francia e trovarono dimora principale a Torino. Quelli invece oriundi
da Bergamo – cittadini veneti originari – compaiono anche quali patrizi goriziani (1541),
Conti del S.R.I. dal 1774. La loro presenza a Valle d’Istria è comunque attestata sin dal
1502 e possedevano il castello prima dei Bembo. Cfr. RADOSSI, “Stemmi di Valle”, pp.
385-387.
116
Sta per L.(ocus) D.(omini) S.(igilli) (?).
117
Famiglia patrizia veneta (1381) e dogale; diede anche podestà-capitani istriani e
Cavalieri dell’Ordine di Malta (DE TOTTO, a. 1947, 359).
115
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
401
istanze. Corrispose egli con tutta prontezza a loro voti e con incessanti esortazioni dal Pulpito, e con frequenti lettere pastorali al Clero, e Popolo della Diocesi,
e molto più col suo esempio, e assistenza indefessa, tanto operò, che, acceso nel
cuore di ognuno lo spirito di vera divozione, in poco tempo fu non solo terminato
l’altare, ma …
p. 35
… eziandio di assai convenienti suppellettili provveduto, fra le quali ben merita
d’esser nominata la bella lampada d’argento fatta colle elemosine di tutto il Clero, non compreso il Capitolo della Cattedrale, quale fece separatamente la sua
oblazione; come pure separatamente la fecero il Prelato, la Spettabile Comunità,
e tutti gli altri ordini del Popolo, avendo ognuno la consolazione di vedere a parte
il frutto della propria carità.
“Compito l’altare [composto da marmi soprafini] e i di lui ornamenti, furono
stabiliti tre giorni delle prossime passate Feste della Pentecoste, per riporvi in
esso le sacre Reliquie e furono altresì concentrate tutte le Funzioni che render dovevano più celebre la solennità. Fatti perciò precorrere opportunamente gl’inviti
alla Diocesi tutta, e chiamati da Venezia periti artefici per addobbare la Chiesa,
la quale per questa congiuntura s’era assieme con le Cappelle, Atrio e Sagrestia
tutta ristorata, e imbiancata è incredibile con qual effetto di divozione sincera e
con qual santa premura non solo i Nobili” e le altre persone benestanti, ma persino
i più miserabili s’affaticassero per onorare colla più propria maniera le Strade per
le quali doveva passare la Processione che di fare s’aveva stabilito. Basti il dire
che, quantunque …
p. 36
… ciò non dovesse essere se non l’ultimo giorno, ch’era il Martedì, pure il Sabbato precedente si vide la Città tutta da varie tende coperta, e ornate tutte le pareti
delle migliori tappezzerie, e pitture, frammezzate di quando in quando da ben
interi altari, Archi, Statue, Colonne, ed altri simili addobbi, che la pia industria
dei Fedeli seppe inventare, arricchiti di varie dotte composizioni sì Latine, che
Italiane: e che nelle tre notti susseguenti furono le strade e le Piazze con torcie, e
con ogni sorta di lumi vagamente disposti, illuminate.118
“Instancabili fra gli altri li Spettabili Signori Alvise Sincichi119 [sic!], e Foscarin Filaretto attuali Giudici della Città, non perdonarono nè a fatica, nè a spesa,
affinchè ogni cosa con buon ordine, e col dovuto decorso riuscisse: nè mancò a
118
119
Cfr. qualche notizia su queste festività religiose in CUSCITO-GALLI, p. 167.
Oltre che Giudice, anche Cancelliere della Comunità parentina.
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
402
parte alcuna il noto zelo del Signor Michiel Zorzi Papadopoli benemerito Procurator della Chiesa, provedendo con indefessa attenzione e prontezza a quanto
faceva, secondo le occorrenze, bisogno. [Memorie Storiche]
Il nuovo altare fu collocato nell’absidetta della navata destra e vi rimase fino
al 1842 quando Mons. Peteani120 lo trasportò nella nuova cappella di S. Mauro,
sostituendovi l’attuale altare in marmo del SS. Sacramento. Finalmente nel 1927
quando la cappella in parola fu demolita, l’altare fu semplicemente eliminato.
p. 37
Ed ora ecco come sono descritte le cerimonie celebrative del grande avvenimento in parte nelle succitate “Memorie storiche delle Sacre Reliquie” e in parte
nella “Opera historica delle funzioni seguite per la Venerazione de li SS. Mauro
et Eleuterio“, manoscritti questi conservati nell’Archivio curiale121:
“La Vigilia [24 maggio], ne’ p.mi Vesperi Mons. Ill.mo e R.mo intervenne alla
Cattedrale e Pontificalmente furono con solennità cantati li Vesperi con musica, e
vari Instrumenti: Composiz.ne tutta del R.mo Sig.r D. Valentino Valentini Can.co
di questa Chiesa Catt. e gli altri soggetti tutti della Diocesi”. [Op. hist.]
“Venne finalmente la Domenica [25 maggio], ed avendo la Scola de’ Marinari122 per rendere più adornata la Chiesa, perfezionato il proprio altare
[’Quest’A(ltare) del Vescovo Peteani fu portato nel 1842 alla Mad. d. Angeli’]
eretto di nuovo con buoni marmi in onore di S. Nicolò loro Protettore, desiderarono i Confratelli, che si cominciassero le funzioni della Consacrazione di
esso; al che avendo il Prelato aderito, terminata la Cerimonia cantò sopra il medesimo la Messa Pontificale accompagnata da scelta musica, che continuò pure
negli altri giorni susseguenti, e dallo sparro pressochè incessante di mortaletti,
e moschetti”. [Memorie Storiche]…
p. 38
Antonio Peteani (1827-1857), dopo otto anni di sede vacanza, venne insediato
vescovo da Leone XII, nel 1828, quando la diocesi di Pola fu unita a quella di Parenzo.
Egli seppe “con prudenza e tatto rivendicare la libertà alla Chiesa e i diritti della Santa
Sede contro lo spirito del giuseppinismo. (…) Quando nel 1842 rinunziò all’arcivescovado
di Zara [e di Gorizia, n.d.a.], i cittadini gli donarono l’altare maggiore in pietra della
Madonna degli Angeli”. Nel 1854 aderì pienamente alla proclamazione dogmatica
dell’Immacolata concezione di Pio IX. Cfr. CUSCITO-GALLI, p. 182 e BABUDRI, pp.
144-145 e 147.
121
Non ci è stato possibile verificare dove si trovino oggi questi manoscritti, pur
presumendo siano custoditi nell’archivio episcopale parentino.
122
Specie di confraternita (?).
120
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
403
… “Terminata la Pontifical Messa, fu tosto fatto il discorso in lode del Glorioso S.
Nicolò, e fu questo esposto con la viva Voce da Don Giovanni Artusi123 Chierico
di questa Chiesa Catt.le, che riuscì d’applauso universale”. [Op. hist.]
“Il dopo pranzo all’ora del Vespero accompagnato da tutto il Clero sì Secolare,
che Regolare, coll’assistenza di S.E. Lorenzo Pizzamano124 nostro dignissimo Podestà, dalli Spettabili Signori Giudici, di tutto il corpo dei Cittadini, e seguito da
immensa moltitudine di Popolo, s’incamminò processionalmente Mons. Vescovo
verso il Porto, e giunto al Molo si fermò vicino ad un Altare a quest’effetto collà
preparato, per ivi attendere l’arrivo delle Reliquie, quali nello stato medesimo,
in cui da Genova ce l’avevano trasmesse, s’erano fatte passare custodite da due
Sacerdoti in una delle nostre migliori Barche [‘L’Op. hist. la chiama barca Tissona’] vagamente addobbata con statue, e puttini al naturale lumeggiati a oro, ed
argento, e con altri varj ben disposti ornamenti, allo Scoglio125 ch’è dirimpetto
alla Città.
“Questo piccolo Naviglio al primo apparire della Processione si partì dallo
Scoglio medesimo, e scortato da tutte le altre nostre Barche, e salutato con incessanti tiri di cannoni, mortaletti, e moschetti disposti …
p. 39
… sì nelle Barche medesime, che sopra i torrioni, e mura della Città, con uno
spettacolo affatto nuovo ai nostri occhi, arrivò al Molo dove dette Reliquie da
Sacerd.e con cotta e stolla à terra portate, et innanzi ad un Altar presentate; presentata la Cassetta al Prelato, riconosciuti i Sigilli, e le Reliquie furono successivamente coperte di ricco drappo”. [Mem. stor.]
“All’arrivo di queste s’udirono grandissime voci di viva, suoni di Campane
da ogni Chiesa, segni di giubilo, sbarri e da Mare e da terra, con il scarico di
Famiglia nobile di Parenzo e Pola; attestata anche a Pola e Rovigno nella seconda
metà del sec. XIX. Giuseppe A. fu nominato nel 1808 podestà di Parenzo; Ludovico A.
sarà prefetto di Pola nel corso della II guerra mondiale (SALATA, p. 265; RUSINOW, pp.
400-101).
124
Era entrato in carica il 22 gennaio 1749, per essere poi rimpiazzato da M. Antonio
Diedo nel maggio 1750.
125
Evidentemente lo Scoglio di S. Nicolò. Ecco come il vescovo G. F. Tommasini vide
quello scoglio il 3 marzo 1646, dunque un secolo prima di questo avvenimento: “E’ di
circuito un miglio circa, è tutto pieno di olivi, lauri, vaghi fiori ed erbe odorose; sopra vi è
un monastero di monaci Cassinesi con una bella chiesa dedicata a San Nicolò; al presente
vi sta un solo monaco; nell’alto dello scoglio è una torre rotonda antica sovra la quale già
si teneva un lume per far segno alli marini di questo ricovero” (TOMMASINI, p. 376).
123
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
404
Altergiaria (?)126 fatto dalla Nuova Atta127 Nave dell’Ill.mo Sig.r Gio: Batta Persico128 da Venezia, fabbricata in questo squero dal Protto Francesco Borri d’Odorico129.
“Seguì in questo punto l’horribil caso di due modesti giovani Fratelli, e Figli
del patron Mattio Guglielmo habitante di questa Città. Si portarono li sudetti due
giovani Fratelli nel trabaccolo del loro Padre, per dimostrare ancor essi segni di
giubilo, ed allegrezza, non men dell’altre Barche, che in questo porto approdavano. Havevan questi preparato sopra la Prova della Barcha otto mortari, ed altretanti Moschetti verso la Pupa; scaricati questi, corsero tosto alla Prova per dar il
scarico alli Mortari, e videro collà altro Moschetto, nel di cui scarico s’accesero
da Favilla le …
p. 40
… Micce de’ predetti otto Mortari, quali scocando colpirono sotto la spalla, e fra
le Coscie con tre cocconi130, uno di essi Fratelli, ch’in man tenea Scartozo con
libr. quatro di Polvere già accesasi e lo ellevarono per tre passi et Ridotto fu tosto
a Terra, e corse con viva Fede ad abbracciare le S. Reliquie, la di cui Comparsa
mosse a compassione ogn’uno de Spettatori nel miracolo con Drappi e Capelli
abruciati, tutto offeso dal Fuoco, e stupivano nel vederlo con quanta intreppidezza, e coraggio si moveva mentre solo si portò a casa.
“Fra le Fiamme di otto Mortari munite ancor quelle delle quatro lib. di Polve,
doveva l’infelice Giovane restar del tutto incenerito; ma li SS. Gloriosi Mauro ed
Eleuterio seppero ben presto impetrar dal Signore Iddio la salvezza di sua vita, e
diedero veridico segno d’esser realmente quelle le vere Reliquie de SS. Mauro, ed
Eleuterio Prott.ri della Città di Parenzo.“
Presumibilmente “artiglieria” (?).
Specie di formica (?), ovvero “soprannome di chi cammina strisciando a terra le
piante dei piedi” (?) (BATTAGLIA).
128
I Persico (ovvero Percico), furono anche famiglia di Portole, attestata pure a
Capodistria ed a Parenzo. Cfr. RADOSSI, “Stemmi di Portole”, pp. 306-307.
129
Era antica famiglia notabile parentina, attestata già nel secolo XVII; infatti, “nel
1746 era stata concessa al proto Bor(r)i l’investitura di un terreno ad uso di squero dietro
la chiesa di S. Giuseppe, a beneficio dei legni che vi approdavano” (BENUSSI, p. 201).
Vanno qui ricordati Ferruccio Borri, glottologo (1884-1930), studioso del dialetto e della
toponomastica della sua città natale e dell’onomastica istriana in genere, nonché il medico
Giusto Borri che curò nel 1968 la pubblicazione delle Memorie sacre e profane dell’Istria
di P. Petronio.
130
In effetti coccone è “disco adoperato per otturare la parte posteriore della canna di
una bocca da fuoco”, specie di turacciolo di legno con il quale si separava la carica della
polvere dalla palla (BATTAGLIA).
126
127
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
405
“L’altro Fratello poi nel’ sortir fuori del Portello restò ancor lui da simil Coccone offeso solamente nel sopraciglio”. [Op. hist.].
“Furono indi elevate le SS. Reliquie dal zellantissimo Prelato e da lui con
proprie mani presa la piccola Casseta, e portata Processionalmente alla Catt.le
sotto il Baldachino sostenuto da S.E. il Pod.à e …
p. 41
… Sp. Sp. SS.ri Giudici cantando gli Musici Canti, Hinni di Giubilo, di Consolazione” [Op. hist.]: “ed ivi trasferite in decente Reliquiario, esposte alla pubblica
venerazione sopra l’Altar maggiore nel mezzo alle divote Immagini di essi Santi,
cantandosi frattanto da Musici il solito Inno di rendimento di grazie. [Mem. stor.].
“Finito l’inno, Monsignor Vescovo col consueto fervore del suo zelo fece un
ben affettuoso discorso, in cui dimostrò che la maniera di meritarsi la protezione
dei Santi, non consisteva solamente nel culto esterno che loro si rendeva, ma bensì
nell’imitarli nelle loro sante Virtù: e cantati pontificalmente li Vesperi” [Mem.
stor.] – “con Canti e Suoni Musicali, poi esposte furno le particelle di d.e Reliquie
da ponersi nelle Conseg.ne per l’Altare delli Prott.ri fù in tal forma quell’giorno
terminata la S. Funz.ne”[Op.hist.].
“Il Lunedì 26 maggio seconda Festa, fu da S. Sig.ria Ill.ma e R.ma [‘esposte
ben di buona ora le Sacre Reliquie’: Mem. Stor.], fatta la Consegnaz.ne dell’Altare
da Santi Prott.ri, che tutta seguì in Canto di Falso Bordone131, che è stata intieramente assistita dalla Pubblica Rappresentazione e Sp: Communità con moltissimi
Sbarri di Mortaro, in segno di …
p. 42
… una somma allegrezza. Compiuta questa lunga e fattichosa Fun.ne fu celebrata
tosto dal degniss.mo Prelatto la santa Messa.
“Il dopopranzo fu dal Molto Rev.do Padre F. Gio: Batta Contarini dell’Ordine
dei Predicatori, Maestro di Sacr. Teologia e Vicario del Convento Domenicano di
questa Città fatto un eloquentissimo ed erudito Discorso in onore de predetti SS.
Mauro ed Eleuterio Tuttelari, rappresentando in quella la nascita, Vita, e lor Martirio, che servì non meno d’istruzione che di stimolo ad ogn’uno di commuoversi
alla Divozion de predetti SS. È stato poi cantato il Vespro da Mons. Ill.mo e Rev.
mo nel modo e forma ieridi (?), e compita in tal giorno fu la Sag.ra Funz.ne” [Op.
hist., col testo del Discorso].
“Canto polifonico in cui la parte inferiore è eseguita ad altezza superiore a quella
delle altre parti, ovvero salmodia in cui si alternano passi monodici con cadenze
polifoniche” (BATTAGLIA).
131
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
406
“Il martedì [27 maggio] Mattina, Terza Festa, Mons.r Ill.mo e R.mo cantò la
Pontifical Messa de SS. M.M. Prot.ri, cui intervenne maggior parte del Clero Diocesano, decorata tutta con Canto e Suono di Musica, da gran quantità di Sbarri e
fu assistita dalla Pubblica Rappresentanza e Sp: Communità con numerosissima
Gente Forastiera costà accorsa per ammirare una tanta Funz.ne.
“Il Vespro di quest’hoggi fu cantato da Mons. Ill.mo e Rev.mo Pontificalmente
coll’Ordine degl’altri giorni co’ …
p. 43
… Musici al quale assistì il Publico Rappresentante, la Sp: Communità e Popolo
innumerabile. Dindi s’incominciò la Processione.
“Inanzi però di descrivere la Processione, fa d’uopo in p.mis dimostrare la
Città tutta addobbata. Donde passar dovevan Processionalmente le Reliquie de
SS. Prott.ri. Eran le strade di Questa tutte coperte con Tende a scanzo del sole.
Notibilitata poi d’Archi trionfalli, quali da Collone, Piramidi e Statue sostenuti in
pari d’istanze gl’uni da gl’altri, mancavan l’occhio di ogn’uno ad invaghirsi.
“Le parti Latteralli poi stavan arichite da argenterie e preziose Suppellettili,
formate a disegno, regolate con varie sorte di Galloni, Fiochi, diversi e come
meglio suggeriva l’ingegno più delicato a ogn’uno. Rappresentavasi varie sorti di
Ramembranze Spirituali, qualli tutte movean gl’Inspettori non men all’allettazione ch’alla Divoz.ne.
“Ma si spiegherà ciascheduna delle strade con maggior chiarezza.
“Dunque si dovrà sapere che la strada prima detta la Can.ca132, sino alla Porta
Grande di T. F. [n.d.a.: ‘Ora Via Vergottini e Via V. Gillaco. F. T. = terra ferma’],
guarnita era questa parte di superbi Arazzi, Damaschi di varij Collori …
p. 44
… Merlate Biancherie disposto il tutto a dissegno con Archi, Sagre Pitture, ed
altro, ch’in vero rendea sì degno di ammirazione.
“A questa seguia il Lungo e Retto Stradone [n.d.a.: ’Ora Strada Grande Decumana’] che comincia dalla Porta Maggiore di T. F. sin all’ampia Piazza d.a il
Maraffor. Era Decorata tutta da Archi Trionfalli, Collone, e Piramidi con proporz.
ne di dissegno, guarnito da ricche Suppellettili, regolato da Fiocchi, e distinti
Galloni, da Sagre Pitture, e Frutta, con quello di più, che in simil seguito d’una
tanta estensione, e varietà de Colori sembrava veramente una formal Reggia, l’antica Piazza detta il Maraffor.
Sta per la Canonica, cioè la via ‘principale’, dove avevano sorgevano i più importanti
edifici della religiosità parentina.
132
Giovanni R adossi, Parenzo tra la «Serenissima» e la «Superba», Quaderni, volume XXIV, 2013, pp. 353-519
407
“Stava questa guarnita a Ricchi, Spogli, Damaschi, e Drappo di nastro d’or
fermato a’ Base di viridi Fogli. Erano anco due Fontane, l’una tramandava Vino,
e l’altra Acqua. Nel mezzo poi della d.a Piazza eretto stava certo Edifficio, che
formato da Archi nobilmente guarniti Pratto nel pian parea, Rena addintorno e di
dentro n’era bel Spiritual Rappresentaz.ne.
“Seguiva poi la Strada [n.d.a.: ‘Ora Via Carminia Prisca, Via G. de Zotti e
Piazza Vittorio Emanuele’], che conduce alla Piazza de SS.ri. Era ancor questa
non men dell’altre con decenza …
p. 45
… ornata, cioè d’Arcatti, Festoni, Addobbi d’ogni sorte, e ciò che più ammiravasi
cipressi diversi fatti al naturale, quali forma avean di Selva Reale.
“Comparia poi la Piazza de SS.ri il di cui Giro era tutto nobilitato da ricchi
Addobbi con diversità di Collori. L’occhio portava ogn’uno a quella Prospettiva,
in cui miravasi il gran Ritratto del Vigilantiss.mo Prelatto, degno bensì di merto
molto in questa Sant’Opera. Circondato stava in estensione con lavoro di vari stoccati, e soprafini Drappi, Archi Trionfalli, da Colonne e statue tenenti Chioche133
ed altri cristalli, 
Scarica

Scarica PDF - Centro di Ricerche Storiche Rovigno