# A.N.P.I.
COMUNE DI GARDONE V.T.
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
ASSESSORATO ALLA CULTURA
SEZIONE DI GARDONE V.T.
Testimonianze sulla Resistenza
alla Beretta e alla Bernardelli
di Gardone V.T.
(1943-1945)
In copertina: II monte Guglielmo, tempera di William Fantini
Disegni di Leonello Campanelli
C.E.LBLB.
Gardone V.T. - 25 Aprile 1988
Presentazione
L'A.N.P.I. dopo l'esperienza dello scorso anno con l'opuscolo
"Testimonianza sul/a resistenza alla O.M. di Gardone V.T.", prosegue nell'opera di ricostruzione storica con la presente raccolta di testimonianze sulla Resistenza in due fabbriche tipicamente gardonesi: la Beretta e la Bernarde/li.
È da rimarcare l'incredibile impegno profuso nel tentativo,
sicuramente ben riuscito, di riportare al/a memoria fatti ed episodi lontani nel tempo.
Le lotte ed i sacrifici anche estremi di una generazione che
ha restituito la libertà e la dignità al nostro Paese vengono così
riproposti alle nuove generazioni, dando vita ad un'operazione
culturale di grande impegno.
Il racconto prende le mosse dalla riunione del 25-7-1943 del
Gran Consiglio del fascismo.
La narrazione poi, senza mai perdere di vista gli eventi nazionali, si trasferisce in Valle Trompia per illustrare l'evolversi della
situazione nei giorni, nei mesi successivi. I soggetti, le azioni narrati con intensità e passione attanagliano il lettore.
Ora, mentre l'inesorabile corso del tempo cancella lentamente le voci dei protagonisti, questa testimonianza consegna al/a
nostra piccola storia locale un documento che contribuisce a
rinsaldare in tutta la comunità la coscenza delle sue radici.
Giorgio dr. Entrata
Assessore alla Cultura di Gardone V.T.
Introduzione
Ha ancora validità, a tanti anni di distanza, una nuova pubblicazione sulla resistenza specialmente se limitata ad un Comune
o, come in questo caso, a solo due fabbriche?
Una domanda che mi sono posto ripetutamele prima di cedere alle pressioni degli amici Mario Zoli ed Egidio Zubani per
una testimonianza sulla Beretta e sulla Bernardelli. Le perplessità erano motivate da un presupposto sbagliato: ritenevo che
oggi fosse tutto ormai storicamente provato e noto. Invece sono
rimasto sconcertato dalle dichiarazioni di ignoranza di alcuni
giovani, ed alcuni non più giovani, su episodi ormai consacrati
alla storia da pubblicazioni e pellicole come quello inerente la famiglia Cervi: sette fratelli tutti fucilati ed insieme dai fascisti.
Certo sono passati più di quarantanni da quel 25 aprile e
quaranta dalla nostra Costituzione nata proprio da quell'unità di
intenti che era stata alla base della lotta clandestina. Ho voluto
appositamente citare una circolare dell'agosto del 1945, del
CLN provinciale di Brescia ai Comitati periferici, in cui si sottolineava la certezza che "quel senso di unità e di reciproco rispetto
delle libertà civili e politiche che ha già costituito la caratteristica
dei comitati nel periodo della cospirazione e della lotta" ispirasse l'attività futura. E la nostra Costituzione fu l'esempio palmare
di quell'unità; per questo non ho trovato che scarsa applicazione nel nostro Paese (anche se qualcuno oggi la vorrebbe riformare) e la Resistenza, come momento unitario, negata come
materia di studio nelle scuole. Ed è per questo che ho cambiato
parere, anche perché su quel periodo, anche su fatti insignificanti, non venga a cadere l'oblio.
Il lettore non pensi di trovare in queste poche pagine novità
sconvolgenti; è la trasposizione filtrata —per necessità di spazio
—di piccole testimonianze su fatti locali che ai più, con il metro di
oggi, potranno apparire addirittura banali. Ma negli anni 79437
7945 essere in possesso di un volantino, o di una pane d'arma
rappresentava l'arresto, la deportazione ed anche la morte. Insieme però questi episodi—per il numero di coloro che ne hanno dato vita — sottolineano la larga partecipazione di uomini e
donne ad un movimento che non ha avuto uguale in Europa, in
quei Paesi ove regimi e governi avevano fatto, al momento delle
dichiarazioni di guerra, una scelta di campo completamente
opposta. E per capire la portata di questa "opposizione" consapevole basterà scorrere l'elenco delle testimonianze raccolte e
delle persone citate.
In chiusura voglio esprimere un ringraziamento innanzitutto
ai già citati Zoli e Zubani per il minuzioso lavoro di raccolta delle
testimonianze, a Piero Cotel/ì per avermi fornito documenti im-
portanti sulla Beretta, a Lino Bel/eri, Sergio Pedretti ed a tutti coloro che con i loro ricordi hanno permesso di dare vita a questo
opuscolo.
Ma non posso sottacere anche l'amarezza per l'indisponibilità ad aprire i loro archivi da pane delle ditte Beretta e Bernardelli
nonostante la sollecitazione ad un contributo richiesta dall'Amministrazione Comunale. Lasciandomi così nel vago anche (e
non poteva costituire un segreto da conservare) nel precisare
sia il numero dei dipendenti dei due stabilimenti, sia sui nominativi delle due commissioni interne. Una nota di disappunto nella
speranza che chi, nel prossimo futuro potrà, lo spero, affrontare
il tema della Resistenza in un'ottica più ampia con riferimento a
tutta la Valle possa trovare una maggiore disponibilità ad un esame storico di quel periodo luminoso. Ed anche scusarmi verso
coloro che, involontariamente, non sono stati citati in questa
ricerca.
Le testimonianze raccolte (di cui diamo di seguito i nominativi di coloro che le hanno fornite) non andranno perse: rimangono un patrimonio storico che verrà archiviato perché fornito
anche da compagni ed amici che ultimamente ci hanno lasciato.
Carlo Bianchi
Testimonianze fornite da:
Amadini Luigi
Ardesi Giuseppe (Pino)
Belleri Angelo (Lino)
Bernardelli Franco
Bianchi Gianfranco
Bontempi Giulio
Camplani Ippolito
Casari Giuseppina
Ci nel I i Franco
Conter Mario
Corbani Franco
Cotelli Piero
Damonti Santina (Berta)
in Belleri
Lazzari Vittorio
Massussi Franco
Migliorati Domenico
Moreni Primo
Orizio Francesco (Cichino)
Panelli Lina in Pacchetti
Pedretti Luigi (Sergio)
Peli Riccardo
Podestini Cesare
Rizzini Andreine
Rovetto Cesare
Ruggeri Silvio
Tanfoglio Giuseppe
Tanghetti Mario
Liberti Gianni
Zanelli Giovanni
Zanetti Chiarina ved. Ferraglie
Zoli Mario
Cittadini Gardonesi riconosciuti con brevetto di
Partigiano e di Patriota.
PARTIGIANI
(122a Brigata Garibaldi)
(Ermanno Margheriti
delle Fiamme Verdi)
Lino Belleri
Ippolito Camplani
Paolo Camossi
Carlo Buizza
Mario Zoli
Gianni Liberti
Adler Timpini
Andrea Perini
Giacomo Pedretti
Antonio Pedretti
Francesco Orizio
Alfredo Muffolini
Luigi (Sergio) Pedretti
Narciso Ardesi
Giulia Bentivoglio
Elena Casari
Giovanni Casari
Rinaldo Casari
Guglielmo Contrini
Francesco Cotelli
Pietro Daffini
Silvio Ruggeri
Aquilino Saleri
Battista Salvinelli
Ugo Tanghetti
Mario Tanghetti
Giulio Tanghetti
Bruna Tanghetti
Alfonso Rinaldini
Cesare Podestini
Giuseppe don Pintossi
Darlo Dilda
Battista Perdetti
Giuseppe Fada
Emilie Lombardi
Ottorino Tanghetti
PATRIOTI
(122a Brigata Garibaldi)
Angelo Camplani
Giovanni Villa
Teresa Tanghetti
Francesco Rinaldini
Gianfranco Bianchi
Franco Cinelli
Giulia Cinelli
Gaudenzio Cotelli
Pietro Sartori
(FF.VV. Ermanno Margheriti)
Ajmone dr. Luigi
Antonio Alberti
Giovanni Brignoli
Francesco Brearava
Luigi Zambonardi
Numida Zadra
Gelso Zadra
Pietro Timpini (Cico)
Felice Tiboni
Maria Tanghetti
Giuseppe Tanfoglio
Giuseppe Polotti
Natale Pedretti
Bedognè Angelo
Pierino Gitti
Annibale Fada
Giuseppe Sabatti
Luciano Franzini
(VII8 Brigata Matteotti)
Francesco Botti
Stefano Tononcelli
Guido Poli
Cesare Moretta
Francesco Goliardi
Angelo Sedoli
Non riconosciuti anche se hanno partecipato alla
Resistenza.
(122a Brigata Garibaldi)
Giuseppe Borghetti
Gelindo Telò
Marino Poli
Mari Anziati
Guido Poli
Emma Bentivoglio
Domenica Grassi
Bruno Pacchetti
Elena Franzini
G.Battista Sabatti
Stefano Sabatti
Elio Frascio
Luigi Casari
Pasquino Tanghetti
(FF.VV. E. Margheriti)
Guido Bresciani
Orsola Tonini
Ettore Torcoli
Alba Tanghetti
Giuseppe Panelli
Giacomo Novali
Guido Bolis
Giovanni Bianchini
Mario Gitti
Giacomo Cucchi
Battista Rovati
Francesco don Rossi
Paolo Tosi
(VII3 Brigata Matteotti)
Italo Belleri
(FF.VV. Brigata X Giornate)
Attilio Franzosi
(Giustizia e Libertà
Brigata Barnaba)
Secondo Tanghetti
Eugenio Beccagutti
Celestina Dorigo
Domenica Dorigo
(Isolati)
-
»*-•• e
'
* •* -'-'
Maggio 1945 — foto di gruppo dì partigìani ed "insurrezionali" gardonesi
sulla piazza antistante l'ex casa del fascio.
1943 - UN SEMESTRE DI SPERANZE
DISILLUSE
La fine del fascismo - L'otto settembre Le prime formazioni parmigiane - II colpo
alla Beretta - 1 primi arresti.
Alle ore 23,45 della domenica 25 luglio 1943 l'EIAR (ente
italiano audizioni radiofoniche) interrompeva all'improvviso i suoi programmi per comunicati importanti: un breve
commento poi la lettura di due
appelli, uno del Re e l'altro del
generale Pietro Badoglio nominato poche ore prima primo ministro al posto del dimissionario Benito Mussolini.
Così quarantacinque anni fa il
popolo italiano apprendeva
della caduta e della fine del fascismo dopo 21 anni di regime
e nel VII0 anno dell'impero.
Dell'arresto di Mussolini
non se parlava; lo si verrà ad
apprendere nei giorni successivi dai giornali. I due appelli,
volutamente reticenti, miravano infatti a presentare il cambio della guardia come una
semplice formalità resasi necessaria dopo i tracolli militari
che avevano portato le truppe
anglo-americane a sbarcare
in Sicilia. Parafrasando un termine calcistico un semplice
cambio d'allenatore per dare
uno scossone salutare ad una
squadra che non andava.
Infatti in buona sostanza
sia il Re che il nuovo Primo Ministro avevano sottolineato
che "la guerra continua" ed a
fianco degli alleati nazisti. La
popolazione aveva però compreso l'effettiva portata dell'avvenimento e, nonostante l'ora
tarda e l'alierà limitata diffusione di apparecchi radio, si registrarono subito nelle grandi
città le prime manifestazioni di
giubilo per la caduta del fascismo e con la segreta speranza che la successiva mossa
politico-militare portasse alla
tanto auspicata cessazione
del conflitto.
Ed infatti il tema della pace
fu al centro, il 26 luglio, delle
numerose manifestazioni che
si erano svolte in quasi tutto il
Paese con scioperi in tutte le
fabbriche e negli uffici. Il risultato di ventiquattro ore prima
era lo sbocco di una crescente ondata di malessere e di
proteste nella gente, fra i lavoratori, fra i soldati, per una
guerra ingiusta e chiaramente
perdente che le classi meno
abbienti avevano, e stavano
pagando duramente in termini di lutti e di sacrifici. E gli avvertimenti al regime ed alla
casa Savoia erano venuti in
primo luogo dalla classe operaia con gli scioperi che nel
marzo precedente avevano
praticamente bloccato l'attività nelle fabbriche più importanti del Nord Italia.
In quei luoghi di lavoro ove,
nonostante le repressioni, gli
arresti e le condanne, migliaia
di antifascisti avevano mantenuta viva per tanti anni la fiamma della libertà. La caduta del
fascismo venne festeggiata
anche a Gardone V.T. con
scioperi ed un corteo per le vie
della cittadina che si sciolse in
piazza Garibaldi dopo brevi
comizi dal poggiolo del "Frio",
tornato ad arengo popolare, di
Giovanni Casari e Cichino
Cinelli.
Vi avevano partecipato numerosi lavoratori della Beretta, Bernardelli, Redaelli e della
OM. Al seguito anche una mini
banda composta da Cico Gottardi, Bruno e Battista Pacchetti, Serto Lombardi, Antonio Palini, Battista Antonini
(Sangàl).
Varie testimonianze ricordano anche i temi di quegli
improvvisati comizi: la pace, la
libertà per i detenuti politici,
un miglioramento delle quote
di razionamento viveri e la riduzione dell'orario di lavoro
(all'epoca per motivi bellici era
di 10 ore giornaliere compreso
il sabato).
Un particolare abbastanza
curioso è venuto alla luce dalla testimonianza di Angelo (Lino) Belleri che sottolinea il
carattere assolutamente improvviso della defenestrazione del fascio. Belleri con un altro giovane di Marcheno V.T.,
Dino Baresi, quel lunedì matti-,
na doveva presentarsi al comando della Milizia a Brescia
per scontare tre giorni di prigione per non essersi presentati, 48 ore prima, ai corsi della
premilitare. Erano sul tram in
partenza per Brescia.
La manifestazione colse
completamente impreparati i
"Reali Carabinieri" perché
Gardone V.T. — nonostante il
suo glorioso passato socialista — non aveva mai creato,
negli ultimi anni, preoccupazioni di ordine pubblico e le
fabbriche non avevano mai
partecipato agli scioperi di fine '42 e inizio '43. Del resto
tranne la Redaelli anche nel
periodo prefascista la conflittualità sindacale alla Beretta e
alla Bernardelli era stata limitata vuoi per la filosofia liberalpaternalistica della Beretta (il
corri m. Pietro Beretta esponente dei liberali era stato per
anni alleato dei socialisti contro i clericali) ed aveva come
contraltare i Bernardelli esponenti di primo piano del "partito popolare" cattolico. Vi è
inoltre da tenere presente che
i due stabilimenti erano stati
dichiarati "stabilimenti ausiliari" dal Commissariato generale per la fabbricazione di guerra sulla scorta del R.D.L n.
1699 del 14 dicembre 1931.
La fabbrica Beretta era stata inclusa nell'elenco "Ausiliario" già in data 16 agosto 1935
quando aveva ottenuto "grossi ordini governativi per fucili e
moschetti dell'ormai obsoleto
mod.1891" prima per la guerra
d'Etiopia per l'impero romano
e, poi, per l'intervento italiano
in Spagna per schiacciare nel
sangue la giovane Repubblica democratica. "Rendendo
così preponderante-la produzione di armi militari anche
per cospique ordinazioni di
pistole mod. 34 e, dopo, il 1938
del nuovo moschetto automatico Beretta (MAS)".
La qualifica di stabilimento
ausiliario determinava per i dipendenti la condizione di
"mobilitati civili" che comportava — secondo l'art. 13 della
precitata legge — un aggravamento degli ordinar! provvedimenti disciplinari per le infrazioni ai regolamenti interni
"elevando di un grado, ed anche di più gradi in caso di speciale gravita, le punizioni stabilite dai regolamenti stessi".
Non solo ma "nel caso di abbandono del servizio per oltre
cinque giorni, o per 24 ore se
trattasi di dispensati, di ammessi a ritardo ed esonerati
dal richiamo alle armi per mobilitazione" il deferimento al
Tribunale Militare per il reato
di diserzione anche in tempo
di pace.
La misura determinava ov10
viamente anche l'immediata
revoca dell'esonero o dispensa e l'awio al corpo di appartenenza. Ogni dipendente era
a conoscenza di queste disposizioni perché aveva dovuto sottoscrivere un documento ricevendo una precisa
circolare — "segreta da conservare" — nella quale erano
riportati, stralciati dal resto, gli
obblighi e le eventuali punizioni a cui poteva essere sottoposto. Tutto questo non deve però portarci a conclusioni sbagliate su un possibile disimpegno politico dei lavoratori dei
due stabilimenti, oggetto di
questa sintetica ricerca, perché come si potrà ampiamente constatare saranno queste
due fabbriche a fornire il maggior numero di partigiani combattenti, di patrioti che si impegneranno sia nel periodo resistenziale a procurare armi,
munizioni e viveri alle formazioni combattenti, a distribuire
materiale di propaganda fra la
popolazione, sia a prendere,
al momento della liberazione,
in mano le armi per difendere
le fabbriche, le case e per riconquistare la libertà. Un impegno non estemporaneo
perché larga parte di costoro
saranno poi i protagonisti della vita politica, amministrativa
e sindacale gardonese e non
solo della nostra cittadina.
Dopo il 26 luglio il lavoro
era ripreso regolarmente all'insegna della "guerra continua": serviva infatti materiale
bellico ma anche uomini. La
Regia Prefettura di Brescia
(prefetto Meda) annunciava ai
sigg. Podestà e Commissari
prefettizi della Provincia, con
circolare n. 1670 del 2 agosto
1943, che "verrà, fra breve, disposto il richiamo per mobilitazione dei militari ancora in
congedo illimitato, idonei a
servizio incondizionato delle
classi da! 1907 al 1922 e di
quelli idonei a servizio condizionato (ex servizi sedentari)
delle classi dal 1914 al 1922. Il
richiamo avverrà per manifesto anziché per mezzo di precettazione personale il che
comporta che i richiamati dovranno essere awiati al centro
di presentazione (proprio distretto) a cura dei Capi delle
Amministrazioni Comunali".
Un manifesto-richiamo che
non riuscirà ad apparire sui
muri dei comuni bresciani per
l'armistizio dell'8 settembre.
Ma nel periodo badogliano, nonostante i divieti, aveva
ripreso anche la vita politica. I
rappresentanti dei partiti democratici (PSIUP, DC e PCI) si
erano riuniti in un comitato interpartitico e pure senza avere
loro sedi e loro giornali riuscivano ad ottenere udienza dal
Prefetto di Brescia.
La prima grossa vittoria, a
fine luglio, la nomina di due
Commissari dell'industria e
dell'agricoltura per coordinare l'attività (nella sede degli ex
sindacati fascisti) per quanto
concerne la mutua, l'assistenza in generale agli operai e
per la sostituzione dei fiduciari
fascisti nelle fabbriche. Contemporaneamente erano stati
nominati anche i Commissari
per gli imprenditori sciogliendo le Corporazioni di natura
fascista.
Il Prefetto aveva provveduto a nominare quali Commissari il comunista Casimiro Lonati (Spartaco) e Alberto Meneghini. Fra i primi obiettivi
"l'elezione, con voto segreto,
delle Commissioni interne in
tutte le fabbriche con compiti
ben precisi: a) di trattare ogni
questione sindacale che riguardasse i lavoratori; b) gestire con i lavoratori le mutue
interne ove, ovviamente, esistevano; e) esigere che in attesa della ricostituzione della
Confederazione del lavoro
non vengano effettuate trattenute sindacali di nessun genere (i beneficiari erano le
Corporazioni); d) esigere l'immediato allontanamento di
tutti gli squadristi e delle spie
al servizio del regime fascista".
Una carta programmatica
che fu alla base delle elezioni
delle nuove commissioni interne sia alla Beretta che alla
Bernardelli: elette con voto segreto su unica lista composta
da una serie di nominativi superiori a quelli da eleggere
(alla Beretta per nove commissari, la lista era composta
da venti candidati). La Confe-
derazione nazionale nacque
invece alcuni giorni più tardi e,
con decreto governativo, furono chiamati ad assumere gli
incarichi
Bruno
Buozzi
(PSIUP), Gianni Roveda (PCI)
e Gioachino Quarello (DC) per
il settore industria; Achille
Grandi ed Oreste Lizzadri per
l'agricoltura; Ezio Vanoni per il
commercio e Guido De Ruggeri e Piero Calamandrei per i
professionisti.
Il neo sindacato riusciva ad
ottenere anche l'autorizzazione stampa per un quotidiano
antifascista "il lavoro italiano"
alla cui direzione vennero
chiamati Olindo Vennocchi,
Alberto Canaletti Gaudenti e
Mario Alleata, ma per una serie di disguidi tecnici ed amministrativi riuscì ad essere in
edicola a Roma, con un solo
numero, il 9 settembre quando già alla periferia della capitale si combatteva contro i
tedeschi.
Anche sul piano politico i
partiti cominciarono ad intessere le file, a riallacciare rapporti con la base. Il primo a
farsi sentire fu il Partito Comunista che era riuscito a mantenere attiva una rete clandestina di collegamento, notevolmente rafforzata a partire dalla
fine del 1941: con Giuseppe
Sabatti (Moretto) alla Beretta
assieme ad IppolitoCamplani,
Pietro Sartori, Angelo Marchi e
Paolo Belleri.
Alla Bernardelli ove si ricorda l'opera di proselitismo
di Giuseppe Ferraglie (Pi), di
Cichino Orizio, di Beniamino
Gardone V.T. — Stabilimento della Beretta degli anni trenta (sullo sfondo la chiesa di S. Rocco).
11
Lazzari, di Sergio Pedretti e
Paolo Bentivoglio. Mentre più
• lungo e travagliato il recupero
del PSI e della DC, la nuova sigla che aveva sostituito il partito popolare di Stiirziana memoria.
I giorni intanto passavano
senza ulteriori novità tranne la
sempre più costante presenza
di truppe tedesche in Italia
mentre oltre mezzo milione di
uomini, soldati italiani, delle divisioni più efficienti ed armate
del nostro esercito rimanevano bloccate nei Balcani.
Alla vigilia dell'armistizio la
superiorità tedesca era ormai
un dato di fatto tanto che il nostro Paese poteva ormai considerarsi un paese occupato. Il
nostro governo aveva effettuato proteste ufficiali e passi diplomatici nei confronti degli
alleati tedeschi ma inutilmente. Un incontro fra Hitler e il Re
sollecitato dall'addetto militare italiano all'ambasciata di
Berlino, gen. Marras, era stato
respinto dai tedeschi.
Un rifiuto che aveva provocato terrore nel piccolo e pavido re d'Italia ed imperatore
d'Etiopia e di Libia tanto da ordinare, ancora in agosto, al
gen. Piantoni la messa a punto
di un piano di fuga. Ed un successivo incontro in agosto a
Tarvisio, aveva messo in luce
la volontà dei nazisti di non cedere un palmo dell'Italia, anche contro la volontà degli italiani, come aveva sottolineato
il feldmaresciallo Keitel ed il
ministro Ribbentropp ai delegati italiani genn. Ambrosio e
Gueriglia.
Era diventato ormai chiaro
a tutti che la cessazione unilaterale, da parte dell'Italia, delle
azioni di guerra avrebbe provocato una dura reazione tedesca. Lo stato maggiore dell'esercito, già a metà agosto,
12
aveva inviato ai comandi periferici una nota di servizio in codice per mettere a punto misure di difesa contro probabili
attacchi di unità militari non
nazionali; misure ripetute pochi giorni dopo in una memoria — la 440 O.P. — agli stessi
comandi: "disposizioni da leggere e da distruggere subito".
Anche il Comitato interpartitico aveva cognizione delle
difficoltà esistenti, della sempre più massiccia presenza di
truppe, anche corazzate, tedesche e della inferiorità numerica del nostro dispositivo
di difesa. In un appello al popolo italiano si denunciava
che le "responsabilità della situazione attuale grava tutta sul
governo", si invitava i comitati
locali alla mobilitazione, affinchè "il popolo e le forze armate siano pronte a rispondere in
salda concordia all'appello
per la salvezza dell'onore e
della idealità della patria".
L'otto settembre
Ed è in questo clima confuso che l'Italia giungeva all'armistizio il 3 settembre a Cassibile, alle ore 17,15 nella tenda
della mensa ufficiali dell'accampamento anglo-americano presente anche il gen.
Eisenhower comandante in
capo dello scacchiere del Mediterraneo. E reso noto al popolo, sempre via radio, alle
19,45 dell'8 settembre. A leggere il messaggio alla nazione
era stato lo stesso gen. Badoglio, con voce stanca, precisando che l'Italia aveva posto
fine alle ostilità contro gli anglo-americani e che l'esercito
era pronto a reagire ad "eventuali attacchi di qualsiasi altra
provenienza".
Quarantacinque giorni di
tergiversazioni, di tortuose
macchinazioni ispirate dalla
paura, si concludevano così
con la bancarotta di una politica tesa sì al compromesso,
ma aliena dalla ricerca di quel
consenso popolare che pure il
25 luglio si era manifestato
spontaneo ed imponente. Di
fronte ad un esercito disorientato, tradito in larga misura da
numerosi generali, la reazione
tedesca non si fece attendere
con il disarmo e l'arresto di numerose unità italiane.
La conferma alle disposizioni della "memoria 440 O.P."
non venne mai spedita e solamente il mattino del 9 settembre il "Superesercito", istituito
dopo la caduta di Mussolini
con compiti di coordinamento, invierà a tutti i comandi il
fonogramma n. 24.202 ancora
più contradditorio rispetto agli
ordini precedenti, invitando
tutte le unità a "non prendere,
in nessun caso, l'iniziativa di
atti ostili contro i germanici". In
pratica una politica attendista
mentre i battaglioni e le compagnie italiane si sfaldavano
sotto la parola d'ordine "la
guerra è finità: tutti a casa".
Il 9 settembre a Gardone
V.T. le fabbriche rimasero praticamente chiuse; si era provveduto a liberare i pochi prigionieri alleati dell'Oneto ai
quali si aggiungeranno quelli
del campo di concentramento
di Vestone. Il baraccamento
militare a sud del paese, zona
convento, veniva in poche ore
completamente distrutto; tutto
fu asportato: baracche, vestiario, viveri, armi e munizioni;
nella vasta campagna rimasero solo i basamenti in cemento. I soldati chiedevano
solo abiti civili per tornarsene,
chi poteva, a casa mentre alcuni avevano cercato ospitalità in famiglie amiche; per diversi Gardone rimase dopo la
guerra la sede stabile per costruirvi una famiglia e per continuare un lavoro.
La mattina del 10 settembre
l'allarme per l'improvvisa
comparsa di alcuni blindati tedeschi, con fuga di migliaia di
persone nelle valli di Gardone
e di Inzino. I tedeschi si limitarono a prendere visione della
situazione esistente, dello stallo nelle fabbriche, contattarono le forze dell'ordine, i carabinieri rimasti al loro posto, per
poi ripartire.
I giovani e meno, ancora
idonei al servizio militare, esonerati od ammessi al rinvio,
preferirono, per alcuni giorni,
rimanere lontani dalle fabbriche, su in montagna o presso
famiglie amiche in piccoli centri della Valle, Polaveno o
Ome. Per i tedeschi l'importante era la ripresa del lavoro e
già il 13 settembre apparivano
sui muri manifesti invitanti a ritornare nelle fabbriche, smentendo notizie allarmistiche
sparse in quelle giornate.
L'appello tedesco infatti precisava "nessuno deve temere
nulla se ritorna al proprio posto di lavoro e vi svolge la sua
attività abituale". Ed anche
l'Unione industriali rivolgeva
un appello ai suoi associati
perché "facciano opera di
persuasione presso le maestranze chiarendo che, da
parte tedesca è assicurata la
disponibilità del contante per
effettuare regolarmente le paghe; le autorità competenti assicurano il regolare vettovagliamento per l'alimentazione
e per l'approvvigionamento
delle materie prime; per l'organizzazione dei trasporti sono in corso accordi con le
competenti autorità per le singole categorie dell'industria".
Intanto i tedeschi avevano
assunto il comando di tutta la
provincia affidata sotto il profilo militare, assieme a quella di
Cremona, al col. Von Wuthenau; da parte fascista si era
provveduto alla nomina di un
triumvirato affidato ai "camerati" Becherini, Bastianon e
Sorlini.
Anche i partiti trasformavano il loro comitato interpartito
nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che si riunisce nella Villa Venturelli di
Gussago: i primi membri sono
Riccardo Testa (DC) Bigio Savoldi (PSIUP) Giuseppe Ghetti
e Casimiro Lonati (PCI), Antonio Vasa (Giustizia e Libertà),
Ermanno Leonardi (Partito
d'Azione), responsabile militare il col. Giovanni Pizzuto.
Il CLN a Gardone V.T. sorse
qualche mese più tardi, almeno ufficialmente, perché in
provincia la proiezione delle
costruzioni organizzative centrali giungeva in quei periodi
distorta o perlomeno molto
approssimativa. Ma non per
questo gli antifascisti rimasero
a guardare lo svolgimento degli avvenimenti; anzi all'indomani dell'8 settembre si mise
in moto una vasta attività per
accogliere ed awiare sui
monti i giovani militari sbandati o i gardonesi che avevano
abbandonato i loro reparti. Si
andarono costituendo così vari gruppi di sbandati e di ex
prigionieri: il più numeroso a
Croce di Marone, uno a Colma
di Zone, un terzo nelle località
Spiedo e Croce di Pozzuolo, al
comando di Francesco (Òichino) Cinelli dove si trovavano numerosi gardonesi ed
uno in località Fai.
La maggior parte però degli uomini era disarmata ed il
munizionamento, anche per
coloro che detenevano un fucile od un mitra era molto
scarso. Possibilità di riforni-
Cascina Zubani Oreste (Seracche - Rovedolo) — Importante base di rifornimento del gruppo autonomo russo.
13
mento potevano venire dalla
Beretta Armi, perché la Bernardelli in quel periodo produceva solo spolette d'artiglieria
mod. 1.0.40. Alcuni erano convinti che le armi -si potevano
ottenere tramite una negoziazione con Beretta, altri invece,
in modo particolare Cichino
Cinelli, Masetti Giuseppe (Pi),
il dr. Luigi Aimone, Sortolo Baglioni ed Angelo Marocchi, ritenevano che si doveva compiere un colpo di mano presso
la fabbrica ed al più presto approfittando del fatto che lo stabilimento non era ancora presidiato dai tedeschi.
Vinse, in un primo momento, la prima tesi e si imbastirono una serie di incontri con la
proprietà Beretta. Il primo impatto presso l'osteria Cinelli
ad Inzino. Rappresentava la
Beretta Gianni Cavagnis, nel
1944 diventava poi capo della
compagnia Brescia e successivamente del battaglione
Adamello della Brigata nera
E. Tognù.
Un secondo in casa Baglioni, spónda sinistra del Meila con il comm. Pietro Beretta;
all'incontro erano presenti Silvio Ruggeri, Giuseppe Masetti, Ardiccio Moretta, Francesco
Orizio, Gianni Pacchetti e Peppino Pelosi. Ma le trattative
vanno per le lunghe e si manifestano inconcludenti anzi, è
l'impressione dei più, che Beretta preferisca un'azione di
forza piuttosto di consegnare
le armi che produce, su sua
ammissione, non per i tedeschi né per i fascisti ma per
l'Ungheria e la Romania.
Si decideva allora di passare all'azione. Cichino Orizio
e Beppe Pelosi venivano inviati a Brescia per prendere
contatti con il CLN provinciale
ed ottenere l'autorizzazione al
colpo. All'inizio la proposta
14
veniva accolta con freddezza,
ma dopo una lunga ed accesa
discussione otteneva via libera ai gruppi per l'azione che
scattava la notte fra il 6 ed il 7
ottobre.
In mattinata vi fu una ulteriore riunione ed il piano venne perfezionato in casa di
Gianni Pacchetti. Ai "ribelli" un
importante appoggio logistico
venne fornito da un gruppo di
lavoratori della Beretta. Ricorda Lina Panelli-Pacchetti che
la sua abitazione, un appartamento in una casa popolare di
via Valle, fu scelta perché era
la più tranquilla e la coppia
senza figli. Poco prima del colpo ricorda che Pelosi gli fece
esaminare alcuni uomini travisati senza riuscire a conoscerli anche se fra questi vi era il
marito Gianni.
Non fu proprio così durante il colpo perché, forse con
un'inchiesta interna, si riuscì,
da parte della Beretta, a ricostruire "l'identikit" — come si
dice ora — di almeno cinque
dipendenti che parteciparono
al colpo: messi in condizione
di licenziarsi non saranno mai
più riassunti, tranne ovwiamente Vincenzo Zaina, consegnatosi dopo un periodo di
montagna e morto in tragiche
circostanze in provincia di Nòvara 111 maggio del 1945.
Quando fu fatto prigioniero
apparteneva alla Xa Mas. Fra
gli altri Battista Belleri, Giovanni Pintossi (Gianni Negher).
Il colpo alla Beretta
II colpo alla Beretta si svolse con perfetta sincronia, secondo le regole di una perfetta
azione militare. I partigiani, riuniti parte in Valle di Gardone
ed alla Chiesa di S. Rocco
bloccarono le strade.
A Villa Carcina, anche per
escludere Lumezzane, ove si
trovava un grosso presidio fascista, vennero tagliati i fili del
telefono da parte di Cecchino
Orizio, Spartaco Belleri ed Eugenio Beccagutti: mancavano
cinque minuti a mezzanotte e
subito dopo entravano in azione i partigiani. Un gruppo
prendeva d'assalto la fabbrica
dopo essersi fatti aprire con
uno stratagemma la porta in
via Siepi, mentre un altro formato da gardonesi della banda Cinelli prendeva posizione
davanti alla caserma dei carabinieri piazzando anche una
mitragliatrice. Ma i carabinieri
"o non si accorsero di nulla o
decisero di non muoversi" ricorda Andreine Rizzini, che
partecipò con Angelo Belleri,
Marino Poli ed un Bonsi detto
Paris.
Il bottino di armi e munizioni fu ingente anche se una
grossa partita di pallottole cai.
9L nascoste sotto una "pila" di
legna al Banco di Prova,
sfuggì alle ricerche. Si è sempre parlato di oltre 300 mitra,
di un migliaio di pistole, di alcune decine di fucili da guerra
oltre a munizioni di vario calibro. Armi che ancora in nottata dopo averle portate alla base (la Chiesa di S. Rocco), venivano divise fra le formazioni
che avevano partecipato all'impresa ed in parte nascoste
sia nella Chiesetta, sia nel
campanile della parrocchiale
di Gardone V.T.Una parte raggiunse le baite sopra Marchenò utilizzando una carretta del
Baglioni, riportata il giorno
dopo (Sabatti Paolo).
La reazione dei tedeschi,
sopraggiunti in forze e con
mezzi blindati, di primo mattino, non si faceva attendere. I
membri della Commissione
interna della Beretta ed i candidati in lista venivano convo-
cati presso la portineria degli
uffici. Al centralino a dettare i
vari nominativi Gianni Cavagnis, uno dei dirigenti della
fabbrica.
"Al mattino — ricorda Ippolito (Felice) Camplani—il lavoro era ripreso regolarmente,
presenti anche i ragazzi (ancora in fabbrica) che avevano
partecipato all'azione. Ero
preoccupato, perché prima di
riprendere il posto, erano venuti da me, tutti euforici, per
parlare del colpo eseguito.
Temevo che ne parlassero anche con gli altri ma invece fecero il loro dovere. Nel pò meriggio poco dopo le ore 14,
vengo chiamato dal capo reparto perché sono atteso in
portineria uffici e vi trovai, sotto gli occhi attenti dei carabinieri armati, tutti i candidati
per l'elezione della Commissione interna. Ne mancavano
solo tre: Sartori, che aveva fatto il turno di notte, Dino Gallizioli e Giovanni Ferraglio malati o finti malati".
Arrestati e tradotti a Canton
Mombello; Angelo Baglioni,
Ippolito Camplani, Giovanni
Casari, Ugo Cinelli, Domenico
e Marco Geminassi, Ugo Cotelii, Piero Daffini, Bruno Pacchetti, Angelo Marchi, Antonio
Rusconi, Silvio Ruggeri, Giuseppe Zaina, Piero Timpini e
Piero Guerini.
A questo elenco si aggiungevano il prevosto don
Francesco Rossi, il dr. Luigi
Ajmone, Leone Baglioni, Bibi
Bolognini, Pierino Combini e
Zaverio Consoli, ex sindaco
socialista di Lovere. Alcuni
verranno liberati dopo pochi
giorni, gli altri, specialmente i
politici — con Pietro Timpini —
saranno gli ultimi a lasciare il
carcere dopo 63 giorni di prigionia. Il momento peggiore
era venuto per loro il 31 otto-
Tessera 41 riconoscimento
rilasciata dalla Ditta
^£±A.
^^W
«tesero rerisoluzione
Tessera di riconoscimento rilasciata dalla ditta P. Beretta e vidimata con timbro
datato 24-11-1943 dal Comando tedesco.
bre, quando, in un attentato
contro il carcere di Spalto San
Marco, perdeva la vita il direttore Dr. Miraglia ed un milite.
Don Francesco Rossi fu il primo a lasciare il carcere anche
per le pressioni del Vescovo
mons. Tredici.
Armati i gruppi, rimaneva il
problema di rifocillare una
massa di gente che andava
aumentando ogni giorno, per
cui si decise di operare un al-
tro colpo di mano, questa volta
a Tavernole presso il Consorzio Agrario. All'operazione
parteciparono 75 uomini: 25
armati, gli altri disarmati serviranno per il recupero ed il trasporto dei latticini e dei formaggi. Fra i disarmati ex prigionieri di guerra iugoslavi e
senegalesi.
Per il trasporto il CLN provinciale prowedeva ad inviare
tre autocarri della OM con au-
15
tisti in divisa tedesca; a dirigere l'operazione, Gianni Longhi,
della banda Martini, passato
poi alla RSI e delatore nei confronti dei vecchi compagni di
lotta. I gruppi si portarono
all'appuntamento a Gimmo,
davanti alla Chiesa per le ore
18, da diverse località: erano
presenti fra gli altri, Gianni Negher, Vincenzo Zaina, Giovanni Casari, Andreine Belleri e
Cesare Ravagnani.
Veniva bloccata la strada
ed il telefono e si entrò nel
consorzio utilizzando la tecnica dell'ariete — un autocarro si
aprì la strada infrangendo la
vetrina principale — dopo aver
disarmato e fermato i carabinieri della locale stazione. Requisito il formaggio e recuperate lire 20.000 che furono
consegnate al gerente. Nessun incidente lungo' il ritorno;
solo in località Piazzette di
Gardone V.T., la minicolonna
si imbatteva nella ronda composta da tre carabinieri che furono disarmati e bloccati sino
al ritorno della camionetta che
era andata in VaHe di Gardone
(gli altri due automezzi avevano proseguito per Brescia).
Le azioni dei "ribelli" e la
impossibilità — in quel periodo
— a far loro fronte da parte dei
fascisti e dei tedeschi determinò entusiasmo specialmente
fra i giovani. Il fronte settentrionale era in movimento e la liberazione dell'Italia sembrava
solo questione di giorni. Ed
anche in montagna si pensava al futuro: si univa in matrimonio a Pezzoro, Cichino Cinelli e nel novembre del 1943
a Santa Maria del Giogo, don
Rossi sposava Francesco Rinaldini (Cenciolino) con Giuseppina Casari. A rendere
possibili questi matrimoni di
brigata, il cappellano militare
don Giuseppe (Oscar) Pintos-
16
si, che aveva raggiunto ancora a settembre le formazioni
partigiane accompagnato dal
suo attendente Michelino Botta.
Dopo il colpo alla Beretta,
continuava però il lavoro di recupero di ulteriori armi in maniera spontanea, prima, ed organizzata poi. In località Padile
nei pressi dell'osteria Facchini
una segnalazione dava per
certo la presenza di armi nascoste all'indomani dell'8 settembre. Il sopralluogo da buoni risultati, ma ben custoditi si
ritrovano solo fucili da caccia
di ottima fattura; le chiavi delle
casse furono mandate al proprietario: la ditta Beretta, con
la spiegazione che ai partigiani quelle non servivano.
Intanto all'interno della Beretta si prowedeva a fare uscire clandestinamente alcune
armi: sarà poi un canale obbligato per rifornire di mitra spe-
cialmente la 122a brigata Garibaldi dopo la sua costituzione.
La presenza e l'attivismo delle
formazioni partigiane preoccupava i tedeschi che a novembre decidevano il primo
grosso rastrellamento nel bresciano.
L'operazione partì dal la zona lacustre del Sebino con
obiettivo Croce di Marone. Si
combattè a lungo dalle sei del
mattino sino alle 14 del 9 novembre, ma—anche pertradimenti e defezioni — i partigiani
furono costretti a fuggire lasciando morti e feriti. Fra i prigionieri un giovane gardonese Umberto Bonsi, che verrà
fucilato in un terrapieno del
Castello di Brescia il 6 gennaio del 1944.
La sconfitta mise di fronte
ad una crudele realtà centinaia di uomini delle formazioni. Sulle montagne di casa rimaneva in azione soltanto il
gruppo Cinelli, che per il sopraggiungere delle prime nevi
e dell'inverno si era spostato
più a valle. Ma l'accerchiamento nemico si faceva più
stretto. Era frequente l'apparizione di spie e più difficile superare i posti di blocco con viveri e materiale.
Ai primi di dicembre, nei
pressi della cascina Calzoni,
veniva fermato un individuo
sospetto. Portato in località
Spiedo, veniva più volte interrogato dai commissari del
gruppo Arturo (L. Speziale) e
Antonio Faini. Addosso nascosto nella cintura un cifrario,
un blocchetto di assegni, salvacondotti tedeschi e del denaro. Inoltre nei pochi giorni
trascorsi al campo aveva
proweduto ad annotarsi i nomi di battaglia di numerosi
partigiani. L'8 dicembre condannato a morte veniva fucilato in località Spiedo.
Ciò dava forse l'awio ad un
secondo pesante rastrellamento iniziato alle prime luci
del 13 dicembre, che interessò
non solo Gardone V.T. ma anche Ponte Zanano.
I primi arresti
27 novembre 1943, S. Maria del Giogo — Un gruppo di partecipanti alle nozze
Rinaldini-Casari—Si riconoscono: Marino Poli, Alfonso Rinaldini, Paolo Camossi, Battista Pedretti (in alto), Santina Raccagni, Elena e Giuseppina Casari, Gianni Pacchetti, Giacomo Rinaldini, Emma Ambrosi, Vittorio Coccoli, (ed accosciati) Rino Coccoli, Francesco Rinaldini (Cenciolino), Amatore Milani e Giovanni
Casari.
Sorlini ed i suoi uomini potevano contare anche sull'appoggio di unaventinadi uomini della banda Martini che si
erano costituiti. Conoscevano
indirizzi di collaboratori e le locai ita ove Cinelli si era acquartierato (il suo comando era alle porte di Gardone V.T. all'inizio della Valle in casa Donati).
Gli arresti sono numerosi:
Gino Benetti, Attilio Zambonardi, Belleri (Bagolina) ed in
uno scontro a fuoco in località
Calzoni, fu ferito anche il
Cinelli che riusciva però a
sfuggire alla cattura. A Gardone intanto un gruppo di fasci-
sti faceva irruzione in casa di
Giulio Tanghetti, in via Diaz,
che da alcuni giorni ospitava
quattro prigionieri inglesi in attesa di mandarli in montagna.
I fascisti giunsero a colpo
sicuro e scoperto uno degli
ex-prigionieri (Sint Shaw) non
eseguirono alcuna perquisizione: bloccarono la signora
Tanghetti e la figlia Maria e lasciarono la casa permettendo
agli altri familiari di far uscire i
tre inglesi e di metterli in salvo.
Il capofamiglia veniva arrestato alla Beretta ove lavorava.
Anna Fumasini e la figlia Maria
verranno poi rilasciate, mentre
Guido Tanghetti rimarrà in
carcere per lunghi sette mesi.
Condannato a morte dal
Tribunale Speciale di Parma si
vedrà commutata la pena con
destinazione Germania. Fortunatamente interveniva il rag.
Vincenzo Bernardelli che riusciva ad ottenere, per lui,
l'esonero dal servizio coattivo
di lavoro in Germania e a farlo
rimettere in libertà, assumendolo come operaio specializzato nella sua fabbrica d'armi.
Il Tanghetti raggiungerà poi i
familiari in montagna fra le file
partigiane.
Fu l'ultimo gardonese che
vide, prima della fucilazione,
Francesco Cinelli e fu al fianco
del rag. Carlo Beretta nei momenti più duri di isolamento
dopo il suo arresto.
II 17 dicembre Riccardo
Peli, appena diciassettenne,
cercava di "rubare" assieme a
Giovanni Mondinelli, tutti e
due di Marcheno e dipendenti
della Beretta, un mitra per fornirlo ad un giovane in procinto
di salire in montagna. L'impresa, per una serie di circostanze awerse, non andò in porto
e i due furono arrestati. Peli rimarrà in stato di arresto per
quattro giorni, mentre il Mon-
dinelli potrà tornare a casa solo alcuni mesi più tardi. Ma
l'odissea di Riccardo Peli non
era finita: licenziato dalla Beretta, fu inviato in Germania al
campo di Dachau. Un'identica
azione era riuscita invece prima a Lino Belleri e Luigi Amadini: asportarono due mitra
che poi nascosero per utilizzarli.
L'ultimo atto del 1943: l'arresto a Carpenedolo, su delazione di Francesco Cinelli.
Si chiudeva così un periodo che era stato foriero, all'inizio, di tante speranze di libertà
e di pace e che coll'inverno
registrava nere prospettive
per il futuro: gli alleati sempre
più lontani, il movimento partigiano in Valle Trompia in quel
momento sconfitto ed annullato. Sui monti solo qualche
sbandato ed un gruppo di ex
prigionieri russi, che per mesi
furono gli unici protagonisti
della resistenza nella media
valle.
Attorno a loro però si fece
subito sentire la solidarietà e
l'appoggio delle popolazioni,
dei lavoratori e dei partiti antifascisti.
17
1944 - UN ANNO DI RESISTENZA
I tanti morti - 1 giovani del 1926 - L'estate
di lotta - L'attesa della liberazione.
Giuseppe Contessa
Domenico Contessa
Periti nei campi di sterminio
Francesco Gazzaroli
18
Onorino Moretti
Il 1944 iniziava con prospettive ancora più fosche. Alcuni sbandati che per un certo
periodo erano stati in montagna e poi avevano aderito alla
RSI (Repubblica Sociale Italiana fondata dai fascisti), finirono per diventare delatori al
servizio di tedeschi e fascisti.
Il CLN provinciale veniva
decimato da arresti nelle giornate fra il 4 ed il 6 gennaio. Incominciarono i processi e le
fucilazioni: il 31 dicembre ad
aprire le fila dei morti erano
stati il ten. col. Ferruccio Lorenzini e tre suoi uomini: Giuseppe Bonassoli, Rene Renault e Kostantinos Jougiu. Il
gruppo Lorenzini aveva iniziato la sua attività sui monti di
Polaveno.
Il 6 gennaio era stato il turno di Umberto Bonsi. Il movimento resistenziale sembrava
ormai allo sfascio dopo l'arresto di alcuni capi partigiani come
Ermanno
Margheriti,
Astolfo Lunardi, Giacomo Perlasca e Mario Bettinsoli. La
Valle Trompia era ancora teatro, nelle giornate del 12 e del
13 gennaio, di un vasto rastrellamento che investirà anche la
Valle Sabbia.
Il 27 veniva fucilato Francesco Cinelli; "Brescia Repubblicana", l'organo dei fascisti
bresciani, ne dava l'annuncio
sotto il titolo "fucilazione di un
capobanda", presentandolo
come uno che terrorizzava le
popolazioni, si dava, con altri a
furti, rapine ed omicidi, saccheggi ed atti di violenza contro militari germanici. "Uno dei
capi della banda, certo Cinelli
Francesco da Gardone V.T. fu
condannato a morte dal Tribunale di guerra del comando
militare germanico e giustiziato ieri all'alba". La notizia apparve nell'edizione del 28
gennaio sotto quella annunciante la convocazione a Brescia del "Tribunale Speciale
per la difesa dello Stato" per
giudicare la "banda Lunardi".
Astolfo Lunardi ed Ermanno Margheriti condannati a
morte furono fucilati al poligono di Mompiano l'alba del 6
febbraio due settimane prima
dell'esecuzione di Perlasca e
Bettinzoli. Ed il 29 febbraio
chiuderà la lunga serie Peppino Pelosi, uno dei protagonisti
del colpo alla Beretta, ammazzato a S. Michele di Verona.
Ma mentre era più aspra la
reazione nazi-fascista, il CLN,
dopo i primi sbandamenti, si
riorganizzava con nuovi uomini; riprendeva le azioni di disturbo e di sabotaggio, tanto
che il prefetto di Brescia, Gaspare Barbera, si vedeva costretto a emettere un decreto
che "vieta il transito in bicicletta dalle ore 18 alle 5 del mattino successivo".
Il 18 febbraio veniva emesso dalla RSI un duro bando di
reclutamento; molti giovani
aderiscono per poi lasciare, a
primavera, le caserme e rifugiarsi sui monti. Anche a Gardone V.T. in primavera sorgeva il CLN comunale composto
inizialmente da Ippolito Camplani (Felice) per il PCI; Renzo
Franzini (Franco) per il PSIUP
(sorto dalla fusione, ancora
nel 1943, fra il PSI ed il MUP:
Movimento di Unità Popolare)
e Battista Rovati per la DC.
Francesco Cinelli, fucilato il 27
gennaio 1944 a Brescia.
Renzo Franzini verrà sue
cessivamente sostituito con
Paolo Leali. Il CLN aveva il
compito di mantenere i collegamenti con il centro di Brescia e coordinare le attività dei
vari gruppi di patrioti che agivano nelle fabbriche e fuori.
Ripartiti praticamente in
due gruppi ideologicamente
distinti ma in continua ed attiva collaborazione fra loro. Uno
faceva capo a Giuseppe Masetti, Sortolo Baglioni e Pietro
Ferraglie, mentre l'altro gravitava attorno ai sacerdoti ed
aveva come esponenti di punta Gino Pintossi, Battista Rovati e Battista Pardetti (Roma).
Mentre all'interno dei due
stabilimenti gli elementi più attivi erano alla Bernardelli:
Francesco (Cichino) Orizio,
Giuseppe Ferraglie (Pi), Beniamino Lazzari, Libero Ferraglie, Ardicelo Moretta, i fratelli
Cico e Adler Timpini, Giovanni
Cartella, Franco Massussi,
Gianfranco Bianchi, Adele
Carlenzoli,
Lisi
Coccoli,
Francesco Cotelli, Angelo Gitti, Luigi (Sergio) Pedretti, Bruno Gabrieli, Franco Corbani,
Eugenio Beccagutti, Gettoni
19
(Barba), Silvio Bordiga, Ange
lo Zoli, Paolo Bentivoglio,
Angelo Scaroni, Giuseppe
Berna ed in parte potevano
contare sul rag. Vincenzo Bernardelli, pronto a concedere
qualche permesso in caso di
necessità.
A coordinare l'attività del
CLN aziendale prowedevano
Paolo Bentivoglio, Ardiccio
Moretta e Angelo Gitti. Un discreto numero di attivi patrioti,
ai quali bisognava aggiùngere altre decine di persone, in
prevalenza donne, indispensabili per azioni di propaganda e per portare fuori i chiodi a
tre punte che venivano poi
smistati a Brescia.
In fabbrica inoltre in quel
periodo, non ci si mobilitava
solo per la lotta armata o per
raccogliere aiuti ed armi ai
partigiani. Anzi questo fu forse
un aspetto che riusciva ad interessare solo una minoranza
degli oltre 600 dipendenti della Bernardelli; ciò che coinvolse invece la maggioranza delle maestranze, fu un'attività,
che si potrebbe chiamare presindacale, su molti aspetti della condizione operaia del periodo: dai salari, alle tessere
annonarie, a minute questioni
di reparto o addirittura che riguardavano singoli operai.
E alla Beretta: Ippolito
Camplani, Pierino Sartori, che
diventerà il Sindaco della Liberazione,
Carlo
Buizza
(Carli), Angelo Boniotti, Popi
Sabatti, Giovanni Casari, Numida Zadra, Cesare Podestini,
Remo Levi, Giovanni Bianchini, Silvio Buggeri, Franco e
Ugo Cinelli, Angelo Baglioni,
Domenico e Marco Geminassi, Ugo Cotelli, Piero Daffini,
Bruno
Pacchetti, Angelo
Marchi, Antonio Palini, Gino
Pintossi, Giovanni Resinelli —
Sindaco poi di Marcheno —,
20
Antonio Rusconi, Pietro Timpini, Battista Salvinelli (iniziò la
sua attività alla Bernardelli per
essere assunto poi al 18 aprile
'44 alla Beretta), Francesco
(Cenciolino) Rinaldini, Andreino Bondio, Cico Gottardi,
Francesco Pederzani, Paolo
Belleri, Giacomo Innocente
Belleri, Angelo Camplani e
Gianni Uberti. E diverse donne: Giulia Bentivoglio, Elena
Casari, Teresa Tanghetti, Bruna Bertarini e Lina Saiani.
Le due fabbriche daranno
un discreto numero di uomini
alle formazioni di montagna:
Lino Belleri, Mario Zoli, Francesco Moretti, Giovanni Casari, Silvio Ruggeri, Elio Frascio,
Sergio Pedretti, Giuseppe Ferraglio, Giuseppe Sabatti (il
Moretto), licenziato nel 1943,
Battista Belleri, Giovanni Pintossi e Vincenzo Zaina.
Alla Beretta l'azione "raccolta armi" interessò un notevole numero di dipendenti: dai
colpi individuali della fine '43
si passò ad un lavoro più sistematico puntando sulle parti
d'armi da far uscire, specialmente durante gli allarmi, allorché veniva meno la sorveglianza dei tedeschi, dei fascisti e delle guardie. Nascoste in
punti prestabiliti nell'Oneto venivano raccolte la sera e portate presso l'abitazione di Angelo Boniotti in Rovedolo, ove
si prowedeva ad assemblare i
pezzi e rendere agibili le armi.
I pezzi mancanti venivano
sostituiti il giorno dopo; con
Francesco (Cico) Gottardi e
Francesco Pederzani a punzonare i pezzi nuovi con le
matricole di quelli asportati
per evitare che i tedeschi si
accorgessero delle mancanze. Dopo il colpo alla Beretta si
era insediato un presidio di tedeschi: una ventina di uomini,
più i sottufficiali, alloggiati o in
fabbrica o in appartamenti
della Beretta in via Siepi. Vi rimasero — potenziati però nel
numero - sino al 26 aprile
1945.
Un lavoro pericoloso ma
continuo che vedeva impegnate decine e decine di persone: uomini, donne ed alcuni
impiegati, (in condizioni di privilegio rispetto agli altri perché
non soggetti a perquisizione
al momento dell'uscita dalla
fabbrica per fine turno). Era
solo un aspetto dell'impegno
politico: l'altro riguardava
azioni di sabotaggio sul materiale finito.
La Beretta in quel periodo
— siamo nel 1944 — produceva, secondo alcune testimonianze, circa 1.500 mitra al
giorno che venivano ritirati
una volta alla settimana, in
giorni sempre diversi, per evitare possibili sorprese partigiane sulla via del ritorno verso Brescia. Gli operai che venivano addetti al carico, venivano scelti all'ultimo minuto
ed erano obbligati a fermarsi
in fabbrica al termine del turno
di lavoro ordinario.
Nella squadra vi era sempre qualcuno collegato con la
Resistenza: cercavano di salire sugli autocarri o, stando a
terra, di essere gli ultimi della
catena di uomini. Col favore
del buio si riusciva quindi a sabotare diversi mitra sbattendoli contro le sponde dell'automezzo, obbligando poi, a
giorni di distanza, a riportare
le armi intaccate, per la riparazione nello stabilimento. Ed
anche in azioni di proselitismo
e di diffusione di materiale di
propaganda e di cartelle per il
"soccorso rosso".
Un compito anche questo
non facile ed estremamente
rischioso perché Gianni Cavagnis, uno dei dirigenti della
Beretta, arruolatosi nella brigata nera Tognù, manteneva
nella fabbrica rapporti con delatori "suoi fiduciari" come
scriveva al cap. Bonometti,
comandante della stazione
gardonese della GNR (Guardie Nazionali Repubblicane)
che aveva sostituito i carabinieri.
"Ti comunico che la distribuzione dei manifesti (ciclostile) nello stabilimento è stata
fatta da Sartori Pietro (reparto
canne) che con Camplani Ippolito e Marchi Angelo dirigono il movimento sovversivo".
O, altra missiva al Bonometti:
"mi risulta che il rag. Attilio Bosatta della ditta P. Beretta,
commentando il discorso del
DUCE, si esprimeva nel modo
seguente: è un discorso esaltato; per difendere la valle padana non bisogna stare alla
Stocchetta, ecc. ecc. Ti prego
di sentire tali persone e, se necessita, portarle alle prigioni
della Brigata in via Crispi. Fammi il piacere di comunicarmi
qualche cosa in merito e nel
tempo più sollecito".
O: "avrei un piacere da
chiedervi ed uno solo... desidero par/are con Zanardelli
Giovanni detto "Barbilù" di
Col/io, ex ribellista, al più presto possibile. Anche nella vostra caserma (a Gardone V.T.)
vi comunicherò dopo il perche". (Zanardelli Giovanni,
detto il "barbù" e non come erroneamente scriveva il Cavagnis, era in effetti un collaboratore delle Fiamme Verdi, come riporta Pietro Gerola nel
suo libro "Nella notte ci guidano le stelle"). Un capitano, il
Cavagnis, che ci teneva, almeno ufficiosamente, al buon nome, suo e dei brigatisti, tanto
da sollecitare il suo camerata
Bonometti ad interessarsi perché "presso l'orologiaio Bat-
taglia c'è un orologio in riparazione. Questo orologio è
stato rubato a Camplani durante un rastrellamento. Credo l'abbia consegnato un russo di guardia presso lo stabilimento Beretta. Interessati.
Questo signore (il russo) era
in rastrellamento con noi e
non vorrei che i proprietari
dessero la colpa a noi".
L'awento della bella stagione, il ritorno in montagna di
tanti giovani, la nascita di nuove formazioni partigiane unitamente alla sempre scarsa incidenza sulla popolazione degli
slogan
mussoliniani,
preoccupava la repubblica fascista.
Caduti nel vuoto i larghi appelli alla socializzazione — come previsti dalla carta di Verona — su un coinvolgimento
nella gestione delle aziende
dei lavoratori, vuoi per l'indifferenza degli imprenditori e per
una palese contrarietà dei loro
stessi padroni nazisti, i "repubblichini" erano ripiegati su
una socializzazione in scala ridotta, cercando di coinvolgere i datori di lavoro in una politica di apertura verso i lavoratori specialmente su quei temi
(scarsità di generi alimentari,
prezzi alle stelle per la borsa
nera) al centro di numerose rivendicazioni operaie. Ed anche la Beretta seguendo questo filone aveva aperto nel
1944 uno spaccio di alimentari, ove a prezzi calmierati, si
poteva trovare qualcosa in più
e fuori della tessera annonaria, oltre a distribuzioni periodiche di patate, sale, scarpe
militari e copertoni per bicicletta.
I tedeschi dal canto loro assicuravano, nelle zone strategiche per la produzione di
materiale bellico, il regolare
afflusso dei generi alimentari
tesserati contrariamente a
quanto avveniva nei comuni
vicini. Una disparità di trattamento che porterà, per esempio, il Commissario prefettizio
di Marcheno a lamentarsi con
il Prefetto di Brescia, Innocente Dugnani, che nel maggio
del 1944 era subentrato al
Barbera.
"A Gardone V.T. l'assegnazione è superiore per quanto
riguarda alcuni generi alimentari. Da notare che la massa di
popolazione operaia è occupata a Gardone V.T. per cui la
disparità di trattamento è a
portata di ogni famiglia. Ciò
nuoce alla tranquillità ed all'umore".
Nel gennaio del 1945 a
Marcheno non si avrà per
esempio alcuna assegnazione di sale contro "l'etto per
ogni persona distribuito a
Gardone V.T." ignorando un
supplemento fornito ai propri
dipendenti dalla ditta Bernardelli: sale da miniera ma accolto come manna dalle famiglie dei lavoratori. Le attività
"socializzanti" venivano affidate in gestione alle Commissioni interne finendo così a far
perdere loro la funzione iniziale, limitando la loro attività solo
a poteri marginali e non più
quello riconosciuto di agente
contrattuale fra le parti: "erano
solo di supporto alla politica
nazi-fascista" — testimonianza
di Sergio Pedretti. Per cui i
partiti ed il CLN chiesero a coloro che erano stati eletti, prima dell'otto settembre, di rassegnare le dimissioni da tale
incarico.
Non fu facile raggiungere
un'unità su tale decisione, ma
dopo ampia discussione con
gli interessati le C.l. — elette dai
lavoratori — venivano a cessare. Alla Beretta oltre allo spaccio, era sorta anche una men-
21
sa ove, a prezzi stracciati, an
che i familiari potevano ritirare, nel tardo pomeriggio, una
"gavetta" di minestra, ippolito
Camplani ricorda che, agli inizi della primavera, una sera
trovò a casa, al rientro dal lavoro, il compagno Spartaco
(Casimiro Lonati che nel 1943
quale commissario fu uno dei
propugnatori della nascita
delle C.l. nel bresciano) con
altri due sconosciuti.
Le argomentazioni da loro
portate per lo scioglimento
della C.l. finiscono per convincerlo: chiede solo un po' di
tempo per coinvolgere anche
gli altri a rassegnare le loro dimissioni. Si giunge presto ad
una totale adesione; l'abbandono degli incarichi viene motivato con lo scarso appoggio
ed alle lagnanze, nei loro confronti, da parte di numerosi lavoratori. Una decisione che
venne comunicata al sindacato fascista (risorto dopo l'8 settembre); furono convocati in
sede e spiegarono al fiduciario Carati le loro motivazioni.
Alla fine le dimissioni vennero accolte anche per la C.l.
della Bernardelli ed i commissari vennero sostituiti da fiduciari nominati dalle organizzazioni fasciste. Alla Beretta fu
chiamata la "Commissione
della mensa perché i nuovi
elementi vi trascorrevano le
giornate e di vero sindacalismo fino alla liberazione non
se ne vide l'ombra".
Alla "Bernardelli" la seconda C.l. risultò in pratica formata da un solo ed unico membro (anche se ufficialmente
erano due, Tullio Zamboni e
Falda), poiché nessun altro
accettò l'incarico. "Non ricor. do come si chiamasse (G.
Franco Bianchi); lo vedo ancora però in giacca e cravatta
aggirarsi negli "stabiotti" dei
22
capi reparto con l'aria indaffarata alla ricerca di qualcuno
che volesse affidargli il ruolo
di "difensore operaio". Quasi
nessuno lo filava poiché gli
operai i loro guai cercavano di
risolverli da soli o, nella maggioranza dei casi, di parlarne
in giro fino a dar vita, quasi per
germinazione spontanea, a
gruppi solidali e mettere insieme così la delegazione necessaria per portare il problema
di fronte alla direzione".
Ma non mancarono anche
in quei primi mesi misure repressive fasciste. In aprile vennero arrestati i fratelli Ferraglie: Giuseppe, Oliviero e Giglio; il primo era uno dei più
attivi comunisti alla Bernardelli; rimasero in carcere tre mesi
tranne l'Oliviero in libertà dopo pochi giorni. Sui monti intanto si andavano formando
nuove unità. A fianco dei "russi" operavano parecchi giovani che poi daranno vita alla
122a brigata Garibaldi.
Giovanni Casari, salito in
montagna nonostante la menomazione fisica lo avesse reso inidoneo al servizio militare,
rientrato in casa per una breve
visita era riuscito a sfuggire
agli uomini del cap. Bonometti
a metà marzo: per una notte
intera lo avevano cercato nella
casa Baglioni, sicuri della sua
presenza perché avvertiti da
una soffiata. Il capitano della
GNR minacciò di arrestare il
Mansueto Baglioni e Cesare
Podestini, presenti nella casa,
"ma non fece nulla, noi capimmo però che c'erano persone
che ci spiavano". Ma nonostante il pericolo fu proprio nel
cortile dei Baglioni, qualche
tempo più tardi, che furono
sotterrate pistole e mitra con
relativo munizionamento; saranno recuperate il mattino
del 26 aprile, giorno dell'insur-
Omodei Maffeo — operaio della Beretta —padre di2partigiani e noto antifascista di Bovegno, fu fucilato il 15
agosto 1944 (eccidio di Bovegno).
rezione, per armare i giovani
che erano saliti alla Chiesa di
San Rocco.
All'operazione
avevano
partecipato Numida Zadra, il
dr. Bianchini e due fratelli Levi.
I giovani del 1926
II problema armi era sempre più assillante per il CLN
anche in previsione di una
massiccia affluenza di giovani
in montagna per l'imminente
chiamata alle armi delle classi
1924,1925 e 1926.1 mezzi per
repertare armi erano diversi;
talvolta i mitra venivano calati
dalle finestre prospicenti il
Mella, ma generalmente le armi (pistole e mitra) uscivano
dalla fabbrica smontate per
essere poi riassemblate in
abitazioni trasformate in vere
e proprie officine clandestine.
O passando dalla fucina vecchia della Beretta che dava
sulla via Zanardelli.
Il primo maggio '44 venne
ricordato con numerosi volantini a firma il "soccorso rosso",
inegglanti sia alla festa del lavoro, sia invitando i cittadini a
sottoscrivere a favore delle vittime del fascismo (rapporto
GNR di Gardone V.T. del 5-51944). Alcuni giorni più tardi di
fronte al bando fascista, di notte, furono infilati nelle porte o
affissi ai muri numerosi volantini dal seguente tenore: "giovani delle classi 1924-1925 e
1926 non presentatevi. Chi si
presenta
tradisce l'Italia"
(rapp. GNR del 20-6-44). Ed
ancora altri — segnalati dalla
GNR in data 29 giugno — invitanti gli operai a non recarsi in
Germania a lavorare.
Volantini stampigliati da
parte di alcuni giovani con i
pezzi di una scatola "il piccolo
tipografo" sottratta da Carlo
Poli (della Beretta finito poi in
Germania) a Ferdinando Ricci, figlio della titolare di una
oreficeria
nell'attuale
via
Gramsci. Ironia del destino, il
Ricci, attuale proprietario della
Ricci e Pluda in piazza Loggia
a Brescia, e la madre vennero
fermati il 26 aprile quali collaboratori dei nazi-fascisti.
Ai primi di giugno il bando
di chiamata: riguardava con le
altre classi il 1° semestre del
Girto Belleri — arrestato il 24 giugno
1944 — deportato In Germania, moriva dopo il suo rientro a Gardone il
17-6-1946.
1926 ragazzini allora appena
diciottenni. Quelli al lavoro furono tutti licenziati. La loro destinazione era la Germania
per addestramento dando il
cambio ai reparti del nuovo
esercito repubblichino fascista che rientravano in Italia e
precisamente i battaglioni
Monte Rosa, S. Marco, Littorio
e Italia.
Alla Beretta il dr. Giuseppe
e Gianni Cavagnis prima di licenziare questi giovani, avevano tenuto, forse per giustificazione, un breve discorsetto
di commiato, rammaricandosi
di non averli potuti esonerare
ed augurando loro buona fortuna e di farsi, magari, una famiglia in Germania (Mario Zoli). La chiamata fu contrabbandata infatti come avvio coatto
al lavoro.
La chiamata alle armi diede scarsi risultati: decine e decine di giovani lasciarono sì le
loro case, ma per raggiungere
la montagna destinazione Guglielmo. I giovani vi affluirono
da diversi punti: dalla Valle di
Inzino, da Anveno ed un gruppo da Marcheno con altri giovani venuti dalla Valle Sabbia.
Era il 17 giugno; la presenza di
tanti giovani creava grossi
problemi: scarseggiavano i viveri (anche se nei primi giorni
ognuno vi fa fronte con quel
poco che si era portato da casa) ma in misura predominante mancavano le armi.
Il 24 giugno giugno si decideva il trasferimento di un
gruppo consistente verso la
Valle Camonica ove, grazie ai
ripetuti lanci di viveri ed armi
da parte degli alleati, le Fiamme Verdi vantavano una dotazione maggiore. Erano settanta giovani, solo cinque erano
armati. Superato il Colle di S.
Zeno, furono circondati ed attaccati dai fascisti: nella breve
sparatoria rimaneva ucciso un
giovane e 17 fatti prigionieri:
condotti a Brescia, spediti poi
in Germania.
Fra questi tre gardonesi,
Francesco Gazzaroli, Luigi
Belleri ed Alfredo Muffolini. il
primo morì nel campo di prigionia di Buchewald mentre il
Belleri tornerà a casa gravemente ammalato per morire a
Gardone V.T. il 17 giugno 1946
a soli vent'anni. Dei diciottenni
del 1926 persero la vita, inoltre,
Aldo Franceschetti, caduto nel
corso di un rastrellamento il
24 agosto a Precasaglio in
Valle Camonica (partigiano) e
per cause di guerra Annibale
Lancini, rimpatriato in gravi
condizioni il 31 ottobre da Altenburg/Thur (Germania) e
Aldo Franceschetti - Operaio della
ditta P. Beretta di Gardone V.T. - con
la chiamata alle armi del primo semestre del 1926, che avviene tra il 15 e il
20 giugno, si rifugia in montagna nell'alta Valle Camonica in località Precasaglio; da qui prende contatti con
elementi della resistenza operanti in
zona. Sorpreso da un rastrellamento
a Precasaglio viene gravemente ferito. Morirà a Sreno dopo poche ore
pronunciando queste parole: «Possa
l'offerta della mia giovane vita affrettare di un so/o istante la pace di Dio al
mondo sofferente».
La frase tra virgo/ette è tratta dal libro
di Piero Gerola —Nella notte ci guidano le stelle —
23
morto a casa il 26 febbraio del
1945 ed Antonio Campanelli.
Il mese di giugno segnò
un'intensa attività da parte
delle formazioni partigiane.
Dopo l'eliminazione del presidio GNR di Brezzo la sera del
28 giugno, la presenza attiva
di "ribelli" obbligava i fascisti a
togliere tutti i loro uomini presenti nelle varie caserme di
Tavernole, Bovegno e Collie.
"Dopo i noti fatti del 28 sera —
scriveva il cap. Carlo Bonometti al comando provinciale
della GNR — con l'aggressione alla caserma di Brozzo la
situazione è completamente
cambiata nell'alta Valle. Nuclei
separati di ribelli, rafforzati dagli elementi sottrattisi alla
chiamata alle armi delle classi
24-25 e 26 cominciarono a radunarsi nei paesi di Bovegno
e di Collio, per cui, fio disposto l'immediato trasferimento
del personale al distaccamento di Gardone V.T.
Dal ripiegamento dei presidi sono cominciate le interruzioni telefoniche con l'alta
valle; oggi (5 luglio) funziona
solo la linea con Bovegno.
Fonte fiduciaria segnala che i
ribelli sarebbero in fase di preparazione l'attacco a Gardone V.T. (recupero automezzi
alla OM — prelievo armi alla
Beretta — e caserma della
guardia per stabilirvi provvisoriamente il quartiere generale). Questo attacco sarebbe
fatto simultaneamente da diverse bande che trovansi in
zona con un complesso di
forze dio/tre un migliaio di uomini diretti dai capi scelti dal
Comitato Rosso che avrebbe
come unico esponente certo
Nicola che avrebbe diretto
l'aggressione di Brozzo con i
32 membri del Comitato oltre
agli aggregati.
Sempre dalla stessa fonte
24
viene segnalato che nell'alta
valle bresciana si troverebbero 10 mila uomini provenienti
da altre regioni sprovvisti in
parte di armamento ed equipaggiamento pronti ad intervenire appena gli anglo-americani raggiunsero Bologna.
Viene segnalato pure che negli allarmi notturni delle notti
scorse siano stati lanciati viveri in abbondanza et forte
quantità di valuta italiana.
Queste notizie sono giunte da
più fonti, non sempre concordi perché taluni asseriscono
siano stati lanciati anche dei
paracadutisti. Trova fondamento il lancio di valuta perché ipartigiani dispongono di
forte quantità di denaro, tanto
che le provviste viveri et vino
asportati da spacci del comune di Collio sono state regolarmente liquidate in contanti".
E si capisce come da informazioni, false ed ingigantite,
sia maturata la decisione di
porre all'altezza della caserma GNR di Gardone V.T.,
pressapoco all'altezza del
cancello d'ingresso della villa
Beretta, una sbarra che segnava un ipotetico confine fra
la repubblichetta fascista ed
una presunta zona libera ove
comandavano i "ribelli". Dall'inizio di luglio le forze nazi-fasciste opereranno solo qualche sporadica puntata impiegando mezzi e uomini.
Spedizioni che avevano
l'unico scopo di gettare il terrore, la morte e la distruzione
nei paesi dell'Alta valle come è
poi accaduto a ferragosto a
Bovegno (fra i caduti un dipendente
della
Beretta,
Maffeo Omodei).
La sbarra rimarrà in funzione sin dopo la Liberazione,
mentre l'altra strada di accesso per l'Alta Valle, in viaZanar-
delli, verrà parte ostruita all'inizio della "Levata" e riservata ai
soli pedoni. Alla sera l'accesso
veniva vietatto a tutti con chiusura di una porta riaperta solo
al mattino. Se da parte dei patrioti il lavoro di recupero e di
assemblamento di parti d'arma proseguiva ininterrottamente anche i nazifascisti si
preoccupavano delle armi
che, a loro parere, dovevano
esistere a Gardone V.T., recuperate e mai consegnate dopo l'8 settembre.
Il comando tedesco, riprendendo una lettera del novembre 1943, avente per oggetto: consegna delle armi e
munizioni nel comune di Gardone V.T., si rivolgeva al Capo
della Provincia per risottolineare che "è a conoscenza di
questo comando che, tanto le
armi quanto le munizioni nel
comune di Gardone V.T. non
sono mai state consegnate,
poiché il Podestà precedente
non si è curato per quanto riguardava la consegna, come
pure i carabinieri. In riferimento alle ordinanze del Comando Tedesco perle armi in possesso a/la popolazione nei
territori occupati, ordino nuovamente la totale consegna
delle armi e delle munizioni.
Prego perciò codesta Prefettura di voler provvedere affinchè tutte le armi e munizioni
vengano effettivamente consegnate. Tutte le armi ammassate sono da spedire al Comando Militare germanico
presso l'Arsenale (di Gardone
V.T.). Per le armi da caccia è
da unire un prospetto dei singoli proprietari, indicando la
condizione, nome e cognome
nonché abitazione del proprietario, come pure la specie
dell'arma".
Non si è potuto avere riscontro sul buon fine di questo
secondo invito. I tedeschi erano preoccupati anche della situazione esistente in Italia come si può evincere dal resoconto al Fuhrer dall'Oberstil di
gendarmeria Kuhn e dal maggiore di polizia per la sicurezza Degener, di ritorno da un
sopralluogo in Italia, in cui si
sottolinea che "secondo l'opinione di tutti i posti di servizio
tedeschi in Italia il popolo nella sua totalità è stanco di guerra e non partecipa in nessun
modo all'edificazione dello
stato di Mussolini. La popolazione prevalentemente in
maggioranza respinge la guida attua/e italiana e preferirebbe, in particolare nelle provincie del Nord, una autorità
tedesca. Un grande numero
di vecchi fascisti none entrato
nel partito fascista repubblicano. La popolazione — suggerivano i due ispettori — deve
essere influenzata dal comportamento subordinato e
corretto dell'esercito e della
polizia germanica, in contrapposizione favorevole al suo atteggiamento critico ed avverso nei confronti della nuova
direzione fascista. L'influenza
comunista è aumentata. Il
basso clero influenza il popolo nel senso che presenta il
comunismo come innocuo e
non pericoloso. Si ignora se
questa presa di posizione sia
originata dalle direttive delle
più alte gerarchle ecclesiastiche".
Ed il "basso clero" pagherà
duramente una scelta di campo: dal secondo semestre del
1944 a pochi giorni prima della liberazione saranno numerosi i sacerdoti bresciani a finire in galera. Dopo don Rossi finirà a Canton Mombello — sia
pure per pochi giorni —anche
don Giulio Pini ed il curato di
Sarezzo don Angelo Pozzi ar-
restati il 14 marzo del 1945. Sul
"comportamento subordinato
e corretto dell'esercito e della
polizia germanica" testimoniano le migliaia di vittime
massacrate dopo torture e sevizie.
Intanto Roma veniva liberata e successivamente le forze alleate aprivano un secondo fronte in Europa sbarcando in Normandia (Francia) ed
il Comando Supremo della SS
a Berlino, H. Himmler dichiarava l'Italia del Nord e l'Italia
Centrale come "territori di lotta
contro le bande" con tutte le
pesanti conseguenze, in termini di rappresaglia, per migliaia e migliaia di anziani,
donne e bambini.
Un altro giovane gardonese, dipendente della Beretta,
perderà la vita il 2 settembre
sopra Marcheno, Franco Moretti di solo 17 anni, non soggetto ad obblighi di leva. Aveva voluto raggiungere i gari-
Francesco Moretti — il più giovane
garibaldino della 722a — ucciso a
Cesovo il 2 settembre 1944.
baldini spontaneamente:
"Perdonami — aveva lasciato scritto al padre — se ti
lascio così inaspettatamente,
però potrai comprendermi,
sono giovane e giovane sarai
stato anche tu, e così tu potrai
capire che sono animato da
spirito patriottico e fra pochi
giorni anch'io sarò un garibaldino. Non dare la colpa a nessuno della mia partenza perché so/o io sono il solo responsabile".
Era in brigata da pochi
giorni e si era offerto volontario per recuperare del materiale a valle. Era sceso assieme a Giuseppe Sabatti (Moretto), salito alla formazione
per awisare dell'arresto, avvenuto il mattino, di un altro garibaldino della122a: Luigi Longo
(Medico).
Longo era uno dei militari
di stanza a Gardone V.T. P8
settembre che aveva scelto la
strada della montagna. Verrà
fucilato; dopo sevizie, a S.
Onofrio il 9 settembre del
1944. Invano cercheranno di
estorcergli notizie sulle formazioni partigiane, sulle loro dislocazioni. I nomi delle persone
che li aiutavano. Verrà sottoposto anche a confronto —
testimonianza di Salvinelli
Battista— "nella caserma della
GNH di Gardone V.T. con me,
Cotelli e Tolotti e qualche altro
prelevati dalla Beretta o dalla
Bernardelli. Tutti abbiamo risposto dì non aver/o mai visto,
anche se io ed altri lo conoscevamo molto bene. Il risultato del confronto fu negativo
e dopo qualche ora ci hanno
lasciati liberi".
Non così il "Medico", suo
nome di battaglia, che veniva
poi fucilato. Luigi Longo è un
gardonese ad honorem ed il
suo nome figura fra i caduti
per la libertà del nostro comu-
25
Luigi Longo (Medico) — arrestato il 2
settembre 1944 — fu fucilato il 9 dello
stesso mese a S. Onofrìo.
ne. La salma di Franco Moretti
veniva intanto recuperata il
giorno dopo, il 3 settembre,
dagli amici e dai familiari al
roccolo del Grillo (proprietario
Umberto Gitti) a Cesovo e riportato a casa. I suoi funerali
diventarono una manifestazione antifascista con la partecipazione di migliaiafra giovani e cittadini: gli operai delle
due fabbriche sfidando ogni
possibile provvedimento disciplinare parteciparono alle
esequie. Un lunghissimo corteo che si snodò dalla località
"Bresciana" sino al cimitero di
Gardone V.T. sorvegliato a distanza dai fascisti in armi; la
salma, portata a spalla da decine di giovani, superava con
alcune difficoltà la strettoia di
via Zanardelli. Al cimitero dopo il rito religioso prendeva la
parola un giovane di Marchenò, Angelo Moreni (operaio
della Beretta), ricordando gli
ideali di libertà a cui si era ispirato il giovane Franco Moretti.
Prima che la salma venisse tumulata decine di giovani ba-
26
ciavano il feretro quasi a sottolineare con quel gesto un giuramento di impegno antifascista, un volere prendere in mano il "testimone", nella gara alla libertà, che Franco Moretti
aveva dovuto lasciar cadere.
Per tanti lavoratori rappresentava anche la seconda disobbedienza ai regolamenti interni che imponevano, per la fabbrica d'armi, una continuità di
servizio.
La prima era scattata un
paio di mesi prima, precisamente il giovedì 13 luglio
quando la città di Brescia era
stata investita dal più pesante
bombardamento che il capoluogo aveva dovuto registrare.
Incursioni a riprese, compiute
da almeno 126 aerei da bombardamento che avevano colpito, assieme ad alcuni obiettivi cosidetti militari, centri popolari: 200 i morti a migliaia i
feriti.
Una serie di bombardamenti a tappeto che avevano
preso l'avvio durante la notte,
verso l'una e quaranta e che
avevano avuto il punto centrale attorno alle 11 con l'arrivo, in
rapida successione, di numerose formazioni di quadrimotori. Già verso mezzogiorno a
Gardone erano giunte le prime drammatiche notizie e
numerosi dipendenti della Beretta, residenti a Brescia
(l'azienda aveva allora oltre
2.600 addetti), si erano rivolti
alla Direzione per avere notizie. Erano in maggioranza
padri preoccupati per le loro
famiglie a chiedere in continuazione, presentandosi sotto
gli uffici, notizie e manifestando la volontà di abbandonare
la fabbrica per recarsi a casa.
Nel primo pomeriggio il
rag. Carlo Beretta — "sior Carlo" — decideva di far sospendere la lavorazione e di rimet-
tere tutti in libertà. L'autorità tedesca interpretò l'atto, ispirato
solo da motivi umanitari, come
un sabotaggio e fece arrestare il rag. Carlo Beretta responsabile della produzione. Rimarrà in carcere in perfetto
isolamento per circa 20 giorni
a disposizione dell'autorità
germanica.
Gli unici gardonesi a vederlo, sia pure di sfuggita, durante i successivi allarmi aerei
furono Vito Enriquez e Guido
Tanghetti che non solo dividerà con lui i pochi generi alimentari di cui è in possesso
ma darà, a mezzo delle figlie
Olga e Bruna, tempestive notizie alla famiglia Beretta delle
condizioni del rag. Carlo. Ad
affrettare la liberazione del
"sior Carlo" furono i lavoratori
della Beretta che ridussero la
produzione costringendo i tedeschi a lasciarlo andare. Solo col suo ritorno in fabbrica la
produzione di armi ritornò
quasi normale.
Il problema centrale e più
preoccupante per il CLN rimaneva sempre quello delle armi
ed i tre membri del comitato
gardonese decisero di chiedere, un'altra volta, alla Ditta
Beretta una fornitura di armi
per le formazioni partigiane.
Latore della missiva il parroco
di Gardone V.T. don Francesco Rossi: non riuscì a concludere praticamente nulla perché il comm. Pietro Beretta rispose che le armi le dava già
alle Fiamme Verdi.
Un secondo tentativo veniva operato da Giuseppe Vergineila prima di assumere il
comando della 122a brigata
Garibaldi: "Verginei/a mi chiese al/a fine di settembre o primi di ottobre —testimonianza
di Santina Damonti (Berta)
staffetta della 122a - di accompagnarlo alla fabbrica
d'armi Beretta per andare a
chiedere armi e soldi per ipartigiani. L'appuntamento era
stato preso tramite uno dei
nostri: Franco Cinelli, impiegato alla Beretta e fratello di
Francesco, comandante di
uno dei primi gruppipartigiani
in Valle di Gardone. Ci presentiamo in portineria ed il Cinelli
che ci stava aspettando, accompagnò Vergine/la al colloquio, lo attesi sotto, Vergine/la
mi disse che Beretta gli aveva
promesso solo soldi per la
Brigata".
La Damonti parla di un colloquio con il comm. Pietro Beretta mentre Cinelli, precisa
che i contatti li ebbe con il dr.
Giuseppe Beretta. Ma la promessa dopo diversi giorni non
si era ancora concretizzata,
tanto che Giuseppe Verginella, nella giornata in cui conduceva la sua brigata al colpo
della Giandoso, in tuta daoperaio lasciò gli uomini fermi in
Nanveno per scendere a valle
assieme a Elio Fascio: voleva
risentire i Beretta ed avere
spiegazioni sul ritardo, ma
non riuscì a parlare con loro.
Al rientro nella squadra che
nel frattempo si era spostata in
Domaro dichiarava — secondo le testimonianze di Mario
Zoli e Lino Bel I eri — "la prossima volta ai Beretta ci parlerò
con la pistola in pugno".
Il colpo alla "Giandoso" —
molto rischioso perché la fabbrica situata all'Arsenale —
dov'è poi sorto il "Supercinema" — si trovava proprio di
fronte al presidio tedesco alloggiato nella vecchia scuola
professionale. Il colpo avvenne il 5 ottobre con un gruppo
di 30 garibaldini: oltre a Belleri, Fascio e Zoli parteciparono
anche i fratelli Mario e Ugo
Tanghetti.
"Sotto la pioggia a dirotto
mentre un gruppo di uomini
era di protezione nei punti più
pericolosi, gli altri entrarono in
fabbrica e con gli operai prelevarono il bottino. Durante il
ritorno verso S. Maria, alcuni
operai, miei coetanei (addetti
al trasporto delle pistole mitragliatrici e relativo munizionamento) che ci aiutavano, riconobbero sia me che mio
fratello e ci scambiammo affettuose
congratulazioni".
(Marlo Tanghetti). Verginella
con un gruppo di altri armati
aveva invece proseguito per
Brescia, mettendo a segno altri due colpi alla SEB (Società
Elettrica Bresciana) per dei
soldi ed alla Brixia per una
partita di scarpe.
La Beretta mantenne il suo
impegno solo parecchi giorni
più tardi. "Tramite Franco Cinelli—Santina Damonti Belleri
— vengo a sapere che mi saranno consegnati dei soldi.
Pietro Beretta mi fa segno di
spostarmi verso la zona dell'Oneto e li lontano da occhi
indiscreti mi consegna, tremolante, una busta con dentro dei soldi: poi si allontanò
pregandomi di non seguirlo e
non fatevi più vedere perché
ho i tedeschi in casa. Non ricordo bene l'ammontare della somma, ma da un primo
sguardo ritenni non inferiore
alle trecentomila lire". Il "sior
Piero" consegnerà nei primi
mesi del 1945 altre 100.000 lire
al CLN gardonese tramite Ippolito Camplani.
Per le armi nessun impegno perché le forniva già alle
Fiamme Verdi di Gerola. Una
bugia perché la Beretta incominciò, dalle testimonianze
assunte, ad inviare armi a Colilo solo dopo il gennaio del
1945.
Frattanto si era costituito il
Fronte della Gioventù in sosti-
tuzione al CLN giovanile che
aveva curato e diffuso i volantini nel giugno del 1944. A dirigere la nuova organizzazione,
Annibale Fada, Guido Baglioni, Gianni Pintossi per la De,
Libero Ferraglio, Gianfranco
Bianchi, Roberto Lombardi,
Franco Masussi, Piero Cotelli
per le sinistre. "Ricordo che
siccome il partito (PCI) sollecitava la costruzione di un organismo, il più rappresentativo
possibile e ovviamente il più
unitario, cercammo a lungo
un giovane liberale".
Fra le prime azioni, la tentata rapina alia farmacia Malfassi, posta quasi di fronte alla
caserma della GNR. L'idea fu
di Libero Ferraglio che era responsabile della SAP (Squadra d'Azione Partigiana) costituita alla Bernardelli: oltre il
Ferraglio vi parteciparono
Gianfranco Bianchi, Franco
Massussi e Piero Coccoli.
"Fuori sotto i portici assistettero, non invitati, il Fada e il Pintossi, segno che della faccenda se ne era discusso nel famoso comitato giovanile".
Il piano era semplice e l'ultimo che entrava doveva abbassare la serranda. "Avvolti
nel mantello e con la sciarpa
sul viso entrammo e puntammo le pistole contro il Malfassi
e contro la commessa (Lina
Tanfoglio) che invece riuscì a
dare l'allarme. Sono sicuro
che mi riconobbe subito, nonostante il mascheramento,
ma non fiatò nemmeno dopo"
(Gianfranco Bianchi). I quattro
riuscirono a fuggire rialzando
ignominiosamente, la saracinesca appena abbassata.
L'attesa della liberazione
E siamo di nuovo alle soglie dell'inverno, il secondo
sotto la tirannia nazifascista.
27
Non si registra sui monti l'abbandono dell'inverno 1943. Le
organizzazioni
clandestine
avevano messo a punto un loro piano. Parte degli uomini rimarranno sui posti, alloggiati
in case di patrioti che rischiavano con questa loro disponibilità di finire al muro, perché
secondo i proclami teseschi,
venivano considerati traditori
della patria e passibili di immediata esecuzione.
Mentre il grosso fu accompagnato in basi sicure nella
bassa bresciana Le armi, oliate e opportunamente occultate nei pressi di Marcheno, saranno ricuperate qualche mese più tardi e rimesse in piena
efficienza. Il 1944 si chiuse con
uno sciopero alla Bernardelli
di fronte alla sospensione, con
minaccia di licenziamento, di
alcuni operai. Per riscaldare
l'enorme capannone che
ospitava alcuni reparti, la direzione aveva fatto installare alcune stufe cilindriche tranne
che nella meccanica. Quella
più vicina si trovava oltre il tramezzo in muratura che la divideva dal collaudo delle piccole parti di spolette.
I lavoratori protestarono
più volte in direzione perché
venisse tolto di mezzo il muro.
Ma invano, perché le ragioni
erano di indole morale: in
meccanica lavoravano solo
uomini, mentre in collaudo
erano tutte donne, e la famiglia Bernardelli, troppo buon
cattolica, non poteva permettere promiscui awicinamenti.
Allora si passò all'azione; i lavoratori si munirono di pesanti
morselli di ferro e cominciarono a scagliarli contro i forati,
approfittando di una assenza
delle guardie.
"Trovammo subito una solidarietà diffusa; le donne del
collaudo ci incitavano dall'al-
28
tra parte del muro, i compagni
dei torni, delle frese e degli altri banchi ci vennero ad aiutare. Sicché quando le guardie
attratte dal fracasso giunsero
nel reparto, il muro aveva cominciato a crollare in un nugolo di calcinacci fra gli ewiva e
gli applausi. Era chiaro però
che non era solo il muro che ci
dava fastidio, per cui la direzione capita l'antifona sospese cinque, ritenuti i caporioni
della rivolta". Lo stabilimento
si fermò di colpo ed il lavoro
venne ripreso solo dopo che
la Bernardelli ebbe ritirati i
prowedimenti. "Noi ottenemmo la nostra stufa, il muro fu
riedificato e così anche la morale fu salva".
Mentre alla Beretta, dopo
la segnalazione contro tre lavoratori fatta dal cap. Gianni
Cavagnis, venivano fermati
prima l'Angelo Marchi e poi
l'Ippolito Camplani costretto a
presentarsi in caserma dopo
una perquisizione a casa sua
(la famiglia era sfollata in quel
periodo a Marcheno). I militi
avevano sequestrato solo un
invito ad una riunione per la
costituzione di un centro culturale, firmato dal rag. Andreino Bondio in data però non
sospetta: era dell'anno precedente e nel periodo che intercorreva fra il 25 luglio e l'8 settembre.
Da questa prima innocente
contestazione l'interrogatorio
affrontò poi temi più scottanti,
per cui ad un certo punto il
Camplani si rese conto che
difficilmente avrebbe potuto
tornare a casa. Anzi il cap. Bonometti, dopo avergli precisato che in cella c'erano già il
Marchi ed il Sartori, lo avvisava che il giorno dopo la questione sarebbe passata nelle
mani delle SS tedesche. "Fu in
quel momento che il capitano
ricevette una telefonata che lo
fece scattare in piedi ordinando al piantone di preparare
una pattuglia armata perché
era in corso una sparatoria
davanti al cinema S. Filippo (si
trovava in via Zanetti, ove attualmente c'è il bar e Pauditorium Bernardelli)".
Lo stesso capo del distaccamento GNR prese il mitragliatore ed uscì dall'ufficio lasciando solo il Camplani che
approfittando della confusione riuscì a scappare. Si ripresenterà al lavoro alcuni giorni
dopo con l'assicurazione ottenuta dal sig. Carlino Beretta,
che non sarebbe stato molestato.
Cosa era successo quella
sera? Una squadra SAP — tre
giovani armati di pistola — si
trovava al bar dell'oratorio in
attesa di fare un colpo.
"L'obiettivo era un tedesco da
disarmare: un militare che
quasi tutte le sere scendeva
dal vicolo Guarda, dopo aver
trascorso la serata in compagnia di una donna, della quale
mi sfugge il nome, abbastanza chiacchierata in paese ancora prima della guerra; mi
pare lavorasse alla Beretta.
Quando uscimmo dal ritrovo, con noi (Gianfranco Bianchi, Piero Coccoli e Roberto
Lombardi) lasciarono il bar
anche altri giovani. Ci fermammo sulla strada chiacchierando del più e del meno,
mi ricordo che si rideva per
qualcosa. Improvvisamente si
accesero contro di noi diverse
torce elettriche e udimmo distintamente il comando "in alto le mani". Prima Roberto che
si trovava più vicino al porticine che dava sulla rampa che
immetteva sul piccolo terreno
di gioco, poi io e dietro il Coccoli, infilammo la scala e poi, a
rotta di collo, attraversammo il
campetto mentre la ronda fascista sparava raffiche di mitra
all'impazzata, colpendo la
rampa superiore delle scale.
Giunti in fondo prendemmo un'altra porta che dava
sempre su via Zanetti: il Lombardi svoltò a sinistra per piazza Garibaldi, io invece girai a
destra fino al Gallinari per risalire poi lo stradone fino ad Inzino. All'altezza della casa del
fascio sentivo ancora le raffiche dei mitra. Andai a Inzino
per awisare il Libero Ferraglie
e per chiedergli di avviarmi
subito in montagna, temevo di
essere ricercato; non sapevo
nulla del Coccoli che non avevo più sentito dietro di me e
perché gli altri giovani presenti al ritrovo mi conoscevano".
L'incontro con la ronda fascista fu ccasionale e non frut-
to di una spiata; i giovani non
parlarono ed il Coccoli era riuscito a fuggire saltando nel
Trento. Aveva perso la sciarpa
con le sue iniziali per cui, per
precauzione, attese la liberazione in Domaro.
29
a Brescia" e comprende una
serie di informazioni fornite da
I bombardamenti su Gardone V.T. - Gli ul- un giovane, nativo di Tavernotimi colpi - II 26 Aprile e la Ricostruzione le s/M. che era riuscito a superare la linea gotica e presentarsi ad un comando alleato,
Un altro anno si era chiuso
Una bomba aveva colpito
pochi giorni prima dell'11 nolasciando una profonda amaanche casa Taoldini a pochi
vembre, dopo aver abbandorezza. Da mesi il fronte era
metri dal fabbricato scolastinato una formazione partigiapraticamente fermo anche se
co; solo per puro caso non si
na operante nel bresciano il
la "parte" italiana liberata si
ebbero a registrare dei morti
26 ottobre. La nota è redatta
era andata allargando. Roma
fra i fanciulli che in preda al
dal Quartiere Generale, diera tornata ad essere la capipanico si accalcavano sulle
staccamento di terra del servitale d'Italia con un governo in
rampe di scale che portavano
zio segreto M.A.A.F. ed è larcui erano rappresentati tutti i
all'uscita a pianoterra. Unico
gamente documentata sulla
partiti, ma l'amarezza, ed anobiettivo militare un'ala vuota
posizione di fabbriche come
che lo scoramento, venivano
del vecchio Arsenale. Un'inla Beretta, sulla tinteggiatura,
dal fatto che altri 365 giorni
cursione improvvisa senza al"mascheramento", dei tre staerano trascorsi senza portare
cun allarme di preavviso per
bilimenti; la produzione, il perla pace e la libertà, e con magla popolazione e per i lavorasonale occupato (3.000 alla
giori lutti per gli eccidi nazifatori — erano diverse migliaia Beretta, 600 alla Bernardelli,
scisti, per la guerra che insanpresenti a quell'ora negli sta1.600 alla OM), sulle loro cenguinava tutte le contrade del
bilimenti.
trali elettriche e sul materiale
Paese ed anche per le vittime,
La mancanza di ogni misuusato per le diverse lavorasempre più numerose, dei
ra di prevenzione determinazioni.
bombardamenti alleati.
va una forte protesta in tutte le
Con un'annotazione per
fabbriche, per chiedere un poquanto riguarda la Beretta "...è
voce corrente che i tedeschi
I bombardamenti a Gardone sto di avvistamento in montagna che segnalasse l'arrivo di
vogliono spostare la fabbrica
Gardone V.T. era stata riapparecchi. L'idea partita dala Bolzano, con tutte le sue
sparmiata: solo una bomba
la ÒM si estendeva a tutti gli alprincipali insta/lature; in caso
l'11 novembre era stata lanciatri stabilimenti che con uno
di ritiro lo stabilimento verrebta durante la notte da un aereo
sciopero ottenevano che le
be fatto saltare". La precisione
solitario ma aveva provocato
aziende si assumano l'onere
della fonte, le sue indicazioni,
solo allarme. Il 1945 si apriva
per una "Vedetta interzonale
fanno pensare che non si sia
invece proprio all'insegna del
operaia" in località Navezze.
trattato di una testimonianza di
primo vero bombardamento:
Un awistamento che funzioun singolo personaggio, ma
alle ore 14 del 12 gennaio una
nerà sino al termine della
bensì di un rapporto redatto
formazione di quattro cacciaguerra, 24 ore su 24, mediante
dal SIMNI (Servizio informabombardieri depositava otto
l'impiego di 16 uomini con rezioni militari nord Italia) che
grosse bombe sull'abitato.
sponsabile Dante Cazzago: 4
operava nelle zone ancora ocColpiti quasi tutti obiettivi civili:
per ogni stabilimento, Beretta,
cupate, suddiviso in 26 "grupun'intera famiglia moriva seBernardelli, OM e Redaelli.
pi di cellule" di cui almeno sei
polta sotto il crollo della loro
Gli alleati erano particolardi stanza nel bresciano.
abitazione in via Cominazzo,
mente informati sull'ubicazioUn servizio di informazioni,
3. Dalle macerie venivano
ne delle aziende armiere garanche per le unità partigiane,
estratti i cadaveri di Giovandonesi. Un documento risermolto rischioso perché i suoi
battista Moretti di 67 anni, delvato, pubblicato nella seconmembri erano punibili, se scola moglie Maria Beretta di 66,
da edizione di "Incursioni
perti, con la morte. Infatti con
della nuora Maria Zanetti di 37
aeree su Brescia e provincia",
circolare-telegramma il Preanni e dei nipotini Mario di 9 di
parla diffusamente di Gardofetto di Brescia aveva invitato
Gaspare e Gianluigi di 8 e Mane V.T. La nota, datata 11 notutti i Sindaci bresciani a renrio di 4 anni di Francesco. I fevembre 1944, ha per oggetto
dere noto alle popolazioni che
riti ammontano a 20.
"obiettivo Gardone V.T. vicino
"chiunque, anche senza in-
1945 - IL VENTO DELLA LIBERAZIONE
30
31
tenzione criminosa, comunichi notizie riguardanti operazioni belliche, la consistenza e
l'ubicazione di apprestamenti
difensivi, i movimenti dei reparti, la natura del terreno equa/siasi altra indicazione
che, anche indirettamente,
possa riuscire utile al nemico,
è punito con la pena di morte
stante il codice penale per la
legge di guerra e secondo le
disposizioni del ministero degli interni del 9-10-1943".
L'avvistamento di Navezze
sarà particolarmente utile, come vedremo, nel caso del secondo bombardamento. Parte
del materiale in dotazione all'avvistamento — in viveri e coperte — verrà tacitamente lasciato prelevare agli uomini
della 122a brigata Garibaldi attestata sul Sondino. L'azione
fu concordata con alcuni operai presenti a Navezze la notte
del 4 aprile mentre era in corso l'ultimo bombardamento
notturno dulia città. Dall'avvistamento si vedevano in lontananza le fiamme provocate
dalle bombe sull'abitato di
B rescia.
Gli ultimi colpi
Era convinzione generale
ormai, che il fascio ed i tedeschi avevano i giorni contati,
per cui si intensificava, anche nei mesi invernali, l'opera di propaganda, di raccolta
e di assemblaggio di armi. Anche l'armamento della 122a
brigata Garibaldi veniva recuperato e rimesso a punto. Le
armi erano state sotterrate al
Dossolino tra Magno e Aleno.
Il CLN aveva potenziato il
suo esecutivo con nuovi
membri. I commissari diventarono nove: Pietro Timpini
(Cico), Battista Rovati e Giuseppe Panelli, con funzione di
32
Navezze — luogo ove sorgeva il posto di avvistamento
segretario, per la DC; Ippolito
Camplani, Giuseppe Masetti e
Piero Sartori per il PCI; Renzo
Franzini, Battista Leali ed Annibale Cabona per il PSIUP.
D'accordo con i responsabili
della formazione garibaldina,
decidevano il recupero delle
armi.
Il gruppo incaricato della
delicata operazione — il tragitto da compiere a piedi era abbastanza lungo, da Marcheno
a casa Pedretti in via Seradello
a Ponte Zanano— era composto da Adler Timpini, Aldo
Casari, Rino Rinaldini, Paolo
Camossi, Carlino Buizza,
Amatore Milani, Ferruccio
Mondinelli, Angelo Marocchi,
Gianni Pacchetti, Luigi Pedretti, Francesco Orizio, Giovanni
Brignoli e Pietro Daffini. Ad attenderli sul posto, Mario Zoli.
Con le armi nascoste sotto i
mantelli e divisi in piccole
squadre, il viaggio di ritorno
proseguiva senza intoppi sino
a destinazione. Solo l'ultima
quaterna si era imbattuta in
una pattuglia tedesca all'altezza del cimitero di Gardone. I
germanici spararono, ma i patrioti riuscirono a defilarsi: le
armi nascoste provvisoriamente nei campi, verranno recuperate il giorno dopo approfittando di uno dei tanti allarmi aerei. In casa Pedretti,
armieri volontari — operai della Beretta e Bernardelli —
provvederanno a riattarle ed a
renderle di nuovo funzionanti.
Il vento dell'imminente primavera sembrava annunciare
la disfatta nazifascista. Ed anche i più tiepidi si davano da
fare. La sconfitta nazifascista
era ormai certa ed anche la
famiglia Beretta, dopo tanti dinieghi, a metà febbraio rompeva gli indugi e metteva a disposizione armi, munizioni ed
anche viveri, ma, per scelta
politica, non alla Garibaldi ma
solo alle Fiamme Verdi operante in Alta Valle. Un grosso
quantitativo esce dalla fabbri-
ca a metà febbraio. Dalla Beretta usciranno armi sempre
con destinazione Collio, per
altri due viaggi con il camioncino della ditta, mentre un
altro carico, nascosto sotto i
rottami, raggiungerà una formazione partigiana operante
in Val Seriana (Bergamo).
Il 3 aprile Gardone V.T. subiva il secondo bombardamento e le otto bombe colpivano obiettivi militari. Veniva
centrato il reparto macchine
della Beretta ed alcuni capannoni della OM. Vainer Barbi,
30 anni, veniva fulminato da
un cavo dell'alta tensione
staccatosi per un colpo di mitraglia; al bombardamento
aveva fatto seguito un mitragliamento. Fu l'unica vittima
perché l'avvistamento di Navezze aveva dato l'allarme con
anticipo permettendo ai lavoratori di lasciare i loro reparti.
L'attività del CLN era tesa
anche a fornire materiale di
propaganda, per cui si prelevò il ciclostile del Comune;
l'azione era affidata a Sergio
Pedretti, Libero Ferraglie e Aldo Casari. Bisogna ricordare
che all'epoca il Pedretti ed il
Ferraglie erano disoccupati:
la ditta Vincenzo Bernardelli li
aveva licenziati assieme a
Giovanni Cartella, Bruno Gabrieli e Francesco Cotelli, il 23
gennaio. Motivo ufficiale del
provvedimento, la riduzione di
personale, ma in realtà si era
assecondata un'odiosa rappresaglia voluta dai fascisti
contro cinque lavoratori fra i
più attivi antifascisti nella fabbrica. La misura aveva provocato una dura reazione dei lavoratori scesi in sciopero ma i
licenziamenti erano rimasti:
nessuno dei cinque ritornerà
poi a lavorare alla Bernardelli.
Il colpo al Comune andava
felicemente in porto. Si era ap-
proffittato della solita puntatina alla "Sortola" del vigile
Monteverdi per entrare. Casari rimaneva a far palo, mentre
gli altri due prelevavano il ciclostile e lo portavano in Seradello a casa Pedretti. A metterlo in funzione dovevano pensarci due studenti, occupati
alla OM. Avevano allora in affitto una stanza in Valle d'Inzino, all'altezza del cimitero.
Uscendo dalla OM al termine del turno di lavoro, avevano
provveduto a prelevare il ciclostile, ma durante il trasferimento ad Inzino venivano sorpresi da una pattuglia di militi.
Si lasciavano tradire dall'emozione e tentavano una fuga;
uno veniva preso mentre l'altro riusciva a fuggire. Sottoposto a torture, finirà per confessare dove aveva ritirato il ciclostile.
Veniva arrestato Sergio
Pedretti che riuscì poi a sfuggire approfittando di occasioni propizie. Rimarrà nei dintorni per un certo periodo di tempo, noterà sua madre che i militi portavano via, riuscendo ad
awisare il responsabile di
zona del PCI, Cesare Belleri
(Rovi), da alcuni mesi alloggiato nella sua casa. A Gardone verrà invece arrestato Annibale Fada, che teneva i contatti con i due studenti, rimarrà
rinchiuso nel carcere di Brescia fino alla liberazione. Pedretti raggiungerà poi la 122a
brigata Garibaldi: ai momento
della liberazione era vice
commissario di brigata.
Il 26 aprile e la ricostruzione
Ormai ci si avvicinava
a grandi passi alla liberazione.
Il malcontento e la protesta
aumentavano nelle fabbriche.
Il 19 aprile — proprio nella giornata che vedeva impegnata in
un lungo combattimento contro i fascisti la 122a brigata Garibaldi — le due fabbriche gardonesi entravano in sciopero
assieme ali OM. L'agitazione
aveva preso l'avvio alle ore 10
ed era proseguita per tutta la
giornata. Uno sciopero che
assumerà in quell'occasione
"un carattere preinsurrezionale, dando un impulso concreto all'ultimo decisivo balzo
verso la liberazione".
Il 25 aprile era giorno festivo per la ricorrenza del Patrono; nel primo pomeriggio si
registrava l'ultimo bombardamento su Villa Carcina: una
formazione di caccia bombardieri tentava, a più riprese, di
centrare il ponte di Pregno,
gettando l'allarme anche a
Gardone, perché prima di picchiare sull'obiettivo, i quattro
aerei viravano, prendendo posizione, sopra il paese.
La radio fascista non dava
praticamente più alcun bollettino, mentre radio Londra annunciava la liberazione di numerose città ad opera dei partigiani. Anche le truppe alleate
ed i reparti del nuovo esercito
italiano erano giunti alla pianura padana, con i tedeschi in
fuga e l'esercito repubblichino
in totale sfacelo. Il CLN provinciale impartiva l'ordine di insurrezione il giorno 26.
Quando il
messaggio
giungerà a Gardone le fabbriche erano vuote e la Beretta
presidiata dai tedeschi. Nelle
sue disposizioni insurrezionali
il CLN invitava invece i lavoratori a presidiare gli stabilimenti
per evitare che i tedeschi facessero saltare gli impianti.
Alla chiesa di S. Rocco si
radunavano operai e patrioti;
si recuperano le armi nascoste e si prowedeva a distribuirle assieme a quelle che
dalla fabbrica Beretta veniva-
33
no fatte uscire dalle finestre
dei magazzini prospicenti il vicolo Gorgo. Il CLN secondo il
piano già prestabilito prendeva possesso del comune insediadovi il nuovo sindaco Piero
Sartori.
I combattimenti iniziarono
nel primo pomeriggio. Le uniche resistenze vennero dai tedeschi asseragliati alla Beretta, mentre il cap. Bonometti
del GNR aveva sottoscritto la
resa alla122a brigata Garibaldi
il 23 aprile alle ore 17 ad Irma.
Alle 16 la situazione era completamente sotto controllo:
purtroppo si doveva trarre un
bilancio di vittime.
Sotto il fuoco tedesco erano caduti Antonio Nodari, sposato con figli, Mario Piovanelli,
Giacomo Ghizzardi e Faustino
Raza. Il giorno dopo a Inzino,
un gruppo di tedeschi in fuga
su un autocarro, riusciti a superare la sbarra di Gardone
V.T. alle sette del mattino, uccidevano Ardito Zatti. Venivano
poi fermati nel comune di
Marchenq dalla 122a brigata
Garibaldi.
I primi partigiani a raggiungere il paese furono Giovanni
Casari e Lino Belleri. Già il 26
sera il CLN gardonese lanciava il suo appello alla popolazione per una fattiva collaborazione, sottolineando, che da
quel momento, il Comitato
aveva assunto il governo del
nostro paese.
"...Detto comitato risiede in
permanenza nel palazzo municipale. Tutti i cittadini che intendono partecipare al movimento del CLN sono invitati a
presentarsi nel più breve tempo possibile presso il palazzo
municipale per essere regolarmente inquadrati nelle
«Squadre di Servizio» e ricevere l'autorizzazione al porto
d'armi. Coloro che si trovano
34
in possesso di armi senza la
predetta autorizzazione, devono entro le ore 18 del giorno
27 corrente consegnarle".
Furono ancora giorni febbrili perché la guerra non era
ancora finita, la presenza di
gruppi di sbandati fascisti e tedeschi, obbligava ad attenta
vigilanza. La fine della guerra
in Italia verrà infatti sottoscritta
la domenica 29 aprile a Caserta; il protocollo prevedeva
la cessazione delle ostilità a
partire dalle ore 14 del 2 maggio: ventiquattr'ore dopo il primo maggio, il primo in libertà.
Non ci furono, quel giorno,
a Gardone V.T. particolari manifestazioni: unico minicorteo,
quello formato dalle ausiliarie
e collaboratrici dei tedeschi e
dei fascisti, costrette a sfilare
per le vie del paese con la testa completamente rapata.
Retaggio, questo, di una "moda" che il fascismo italiano
aveva messo in auge durante
la campagna di Spagna ed in
Jugoslavia e poi dopo l'otto
settembre contro le donne dei
partigiani.
Ai lavoratori su iniziativa
del Commissario politico Giovanni Casari e del comando
della 122a brigata Garibaldi,
veniva corrisposto un premio
straordinario di lire 3.000 dopo un incontro presso la ditta
Beretta, di tutti gli imprenditori
o direttori delle altre imprese,
presente il primo segretario
della Camera del Lavoro, quel
Cesare Belleri (Rovi), animatore nel periodo clandestino
della resistenza: sia unitaria,
sia come responsabile del PCI
nella nostra zona.
Si tornava alla realtà fatta
di tanti problemi, compresi
quelli della riconversione industriale e dell'eccedenza di
manodopera. Tornavano ad
essere elette le Commissioni
interne. Non si riuscì invece a
fare accettare alle aziende i
"consigli di gestione".
Alla Beretta, dopo una
serie di agitazioni, si riuscì a
formare una parvenza di consiglio denominato "Commissione tecnica consultiva" formata dai dirigenti dell'azienda, dai capo reparto, da un
impiegato tecnico e da un
operaio, eletti dalle maestranze. Il voto premiò Pino Ardesi
ed Ippolito Camplani.
Sotto il profilo amministrativo era il CLN che dirigeva il
Comune. Piero Sartori, ne era
il Sindaco, mentre come Assessori figuravano Annibale
Cabona e Battista Rovati, con
l'incarico anche di Vice Sindaco, Attilio Zanoletti, Renzo
Franzini, Pietro Gitti e Giuseppe Panelli. Aveva funzioni sovracomunali perché il Comitato Provinciale aveva suddiviso
la provincia in 12 zone e precisamente: Breno, Iseo, Gardone V.T., Vestane, Gavardo, Salò, Desenzano, Montichiari,
Bagnolo Mella, Orzinuovi,
Chiari e Brescia.
Le funzioni del CLN erano
molto più articolate rispetto
agli attuali consigli comunali.
Avevano in primo luogo funzioni politiche, di organizzazione e sviluppo della nuova
coscienza democratica e di
fiancheggiamento delle Autorità attraverso una mobilitazione di forze popolari per l'instaurazione di un nuovo clima
politico e civile. Queste funzioni si esercitavano soprattutto
nella preparazione morale e
tecnica delle elezioni, sia amministrative che politiche, sia
promuovendo congressi dei
CLN della loro zona.
"Per quanto riguarda l'attività politica dei Comitati in
rapporto alle elezioni, noi siamo sicuri —scrìveva il Comita-
to provinciale — che essi sapranno al momento opportuno imprimere nelle loro circoscrizioni territoriali quel senso
di unità e di reciproco rispetto
delle libertà civili e politiche
che ha già costituito la caratteristica dei Comitati nel periodo della cospirazione e
della lotta".
Unitamente a compiti di
controllo annonario, di epurazione e giustizia, dell'assistenza in generale ed anche in direzione della ripresa dell'attività in diverse aziende, e di co-
stituzione di cooperative di
trasporto. Numerosi partigiani
e patrioti avevano continuato
un'attività di natura militare, inglobati nella polizia che aveva
sostituito per alcuni mesi sia le
Questure che le locali stazioni
dei carabinieri. Lasciando poi
il "posto" ai normali effettivi di
poliziotti e di carabinieri.
Gli ultimi partigiani verranno estromessi nel 1947-48 dopo l'assunzione del dicastero
degli interni da parte del DC
Mario Sceiba.
All'inizio del 1946 entreran-
no alla Beretta come dipendenti i partigiani: per alcuni di
loro come Mario Zoli, Lino Belleri, Angelo Moreni, Giovanni
Casari e Silvio Ruggeri, sarà
un ritorno allo stabilimento abbandonato al momento della
scelta di battersi per la libertà,
per Sergio Pedretti, la ripresa del lavoro dopo il licenziamento alla Bernardelli; la
"prima attività" per i fratelli
Tanghetti Mario e Ugo.
Passaporto per i lavoratori costretti ad andare a lavorare in Germania.
35
Indice dei nomi di questo opuscolo
Alicata Mario
Ambrosio (gen.)
Ajmone dr. Luigi
Alberti Antonio
Amadini Luigi
Anziati Mari
Ardesi Alberto
Ardesi Giuseppe (Pino)
Ardesi Narciso
Antonini Battista (Sangàl)
Badoglio Piero
Baglioni Angelo
Bagiioni Sortolo
Baglioni Guido
Baglioni Leone
Baresi Dino
Barbera Gaspare
Bastianon
Battaglia (orologiaio)
Beccagutti Eugenio
Becherini
Bedognè Angelo
Belleri Andreine
Belleri Angelo
Belleri (Bagolina)
Belleri Battista
Belleri Innocente Giacomo
Belleri Italo
Belleri Luigi
Belleri Paolo (lustri)
Belleri Spartaco
Bentivoglio Emma
Bentivoglio Giulia
Bentivoglio Paolo
Benetti Gino
Beretta Carlo
Beretta Giuseppe
Beretta Maria
Beretta Pietro
Berna Giuseppe
Bernardelli Vincenzo
Bertarini Bruna
Bettinzoli Mario
Setto ni (Barba)
Bianchini Giovanni
Bolis Guido
Bolognini Bibi
Bondio Andreine
Boniotti Angelo
Bonometti cap. Carlo
Bordiga Silvio
36
Borghetti Giuseppe
Bosatta Attilio
Botta Michelino
Botti Francesco
Brearava Francesco
Bresciani Guido
Buizza Carlo (Carli)
Cabona Annibale
Calzoni (cascina)
Campanelli Antonio
Camplani Angelo
Camplani Ippolito
Camplani Marco
Camossi Paolo
Canaletti Gaudenti Alfredo
Casari Aldo
Casari Elena
Casari Giovanni
Casari Giuseppina
Casari Luigi
Carati
Carlenzoli Adele
Cavagnis Giovanni
Cazzago Dante
Cinelli Francesco (Cichino)
Cinelii Franco
Cinelli Giulia
Cinelli (osteria)
Cinelli Ugo
Coccoli Lisi
Coccoli Piero
Combini Pierino
Cominassi Domenico
Cominassi Marco
Consoli Zaverio
Contrini Guglielmo
Corbani Franco
Cotelli Francesco
Cotelli Gaudenzio
Cotelli Pietro
Cotelli Ugo
Cucchi Luigi
Daffini Pietro
Damonti Santina (Berta)
Dilda Darlo
Donati (casa)
Dorigo Celestina
Dorigo Domenica
Dugnani Innocente
Eisenhower (gen.)
Enriquez Vito
Facchetti Battista
Pacchetti Bruno
Facchetti Gianni
Fada Annibale
Fada Giuseppe
Paini Antonio
Ferraglie Giglio
Ferraglie Giovanni
Ferraglie Giuseppe
Ferraglie Libero
Ferraglie Oliviero
Franceschetti Aldo
Franzini Elena
Franzini Luciano
Franzini Renzo
Franzosi Attilio
Frascio Elio
Fumasini Anna in Tanghetti
Gabrieli Bruno
Gazzaroli Francesco
Gerola Piero
Ghetti Giuseppe
Gitti Angelo Salvatore
Gitti Pierino
Gitti Umberto
Goliardi Francesco (Cico)
Grassi Domenica
Gueriglia (gen.)
Guerini Pietro
Hitler Adolfo
Jogiù Kostantinos
Kaitel
Lancini Annibale
Lazzari Beniamino
Leali Paolo
Leonardi Ermanno
Levi Giorgio
Levi Remo
Lombardi Emilio
Lombardi Roberto
Lonati Casimiro (Spartaco)
Longhi Gianni
Longo Luigi (Medico)
Lorenzini col. Ferruccio
Lunardi Astolfo
Marchi Angelo
Margheriti Ermanno
Marocchi Angelo
Marras (gen.)
Masetti Giuseppe
Massussi Franco
Meda (Prefetto)
Milani Amatore
Mi raglia
Mondinelli Ferruccio
Mondinelli Giovanni
Moreni Angelo
Moretta Ardicelo
Moretta Cesare
Moretti Francesco
Moretti Franco
Moretti Giambattista
Moretti Gian Luigi
Moretti Mario
Muffolini Alfredo
Mussolini Benito
Negri Anita
Novali Graziano
Orizio Francesco
Pai in i Antonio
Panelli Giuseppe
Pardetti Battista (Roma)
Pederzani Francesco
Pedretti Antonio
Pedretti Giacomo
Pedretti Luigi (Sergio)
Pedretti Natale
Pelosi Peppino
Peli Riccardo
Perini Andrea
Piantoni (gen.)
Pini don Giulio
Pintossi Gino
Pintossi Giovanni (Negher)
Pintossi don Giuseppe
Pizzuto Giovanni (col.)
Podestini Cesare
Poli Carlo
Poli Guido
Poli Guido
Poli Marino
Polotti Giuseppe
Pozzi don Angelo
Ravagnani Cesare
Renault Rene
Resinelli Giovanni
Ribbentrop (gen.)
Ricci Fernando
Rinaldini Alfonso
Rinaldini Francesco
(Cenciolino)
Rossi don Francesco
Rovati Battista
Ruggeri Silvio
Rusconi Antonio
Sabatti Giovan battista (Popi)
Sabatti Giuseppe (Moretto)
Sabatti Giuseppe
Sabatti Paolo
Sabatti Stefano
Saiani Lina
Saleri Aquilino
Salvinelli Battista
Sanzogni Angelo
Sartori Pietro
Scaroni Angelo
Sedoli Angelo
Shaw Sint
Sorlini
Speziale Leonardo
Villa Giovanni
Vittorio Emanuele 111°
Von Wuthenau
Zadra Gelso
Zadra Numida
Zaina Giuseppe
Zaina Vincenzo
Zambonardi Attilio
Zambonardi Luigi
Zanetti Maria
Zoli Angelo
Zoli Mario
Tanfoglio Giuseppe
Tanghetti Alba
Tanghetti Bruna
Tanghetti Giulio
Tanghetti Maria
Tanghetti Mario
Tanghetti Olga
Tanghetti Ottorino
Tanghetti Pasquino
Tanghetti Secondo
Tanghetti Ugo
Telò Gelindo
Testa Riccardo
Tiboni Felice
Timpini Adler
Timpini Pietro
Timpini Pietro (Cico)
Tolotti
Tonini Orsola
Tononcelli Stefano
Torcoli Ettore
Tosi Paolo
Tredici mons. Giacinto
Vasa Antonio
Vennocchi Olindo
Venturelli (casa)
Verginella Giuseppe
37
Bibliografia
"Brescia cattolica contro il fase/so", Molinari
"Documenti inediti della RSI", Lodovico Galli
"Incursioni aeree su Brescia e provincia", Lodovico Galli (I2 e lla ed.)
"La Wehrmacht a Brescia", Lodovico Galli
"Uomini e fatti di Brescia partigiana", Leonida Tedoldi
"L'ultima primavera", Leonida Tedoldi
"La resistenza bresciana", Antonio Fappani (3 voi.)
"// movimento operaio bresciano nella resistenza", Marino Ruzzenenti
"La 122a Brigata Garibaldi", Marino Ruzzenenti
"La resistenza bresciana", Istituto storico della Resistenza (17 fascicoli)
"Gardone Valle Trompia", AA.VV.
Testimonianze sulla resistenza all'OM", AA.VV.
"Nella notte ci guidano le stelle", Piero Gerola (la e lla ed.)
"// contributo del clero bresciano alla resistenza", CEDOC
"Beretta Armi"
"Beretta una dinastia"
"Storia della resistenza italiana", Piero Secchia
"I giorni della resistenza bresciana", Giornale di Brescia, 1975
"La montagna non dorme", Darlo Monelli
"// ribelle", ristampa anastatica dei giornali prodotti
"// movimento operaio in Va/trompia", Bonetti e Pagani
"Riservato per il Duce", Arrigo Petacco
"La neve cade sui monti", Toni Bonettini
"Riservato a Mussolini", Natale Verdina
"La popolazione in guerra", Giulio Bedeschi
"Memorie di uno zo/fataro", Leonardo Speziale
"Storia del Fronte della Gioventù", Primo De Lazzari
"Gardone V.T. per la libertà e nella libertà: 1945-65", Comune di Gardone V.T.
"La contrada del ribelle", Carlo Bianchi
39
Scarica

Testimonianze sulla Resistenza alla Beretta e alla Bernardelli di