Identità cittadina e trasformazioni urbane nelle guide forlivesi fra Otto e Novecento
Federica Rizzoli
La storia delle guide cittadine può essere una preziosa fonte per la storia urbana poiché consente di conoscere
l’evoluzione da un lato delle aspettative dei viaggiatori relative a una data città, dall’altro del modo in cui
questa si è loro offerta secondo un modello corrispondente alla visione degli abitanti.
Ogni comunità sente il bisogno di rappresentarsi, riconoscendosi in una comune storia locale, inventando o
riscoprendo dal passato una sua propria tradizione, di cui la guida può diventare strumento di consacrazione,
come mezzo privilegiato per comprendere le attitudini di abitanti, funzionari e intellettuali, in base ai
mutamenti economici, sociali e politici1. In questi termini l’analisi delle varie edizioni di una stessa guida è
particolarmente funzionale all’indagine sull’evoluzione dell’immagine di una città.
In proposito appare costante nei compilatori di guide fra Otto e Novecento il bisogno di scrivere per
conservare le testimonianze di un passato civico che stava scomparendo insieme alla vecchia struttura urbana.
Del resto, l’identificazione, elencazione e collocazione precisa delle memorie patrie e delle opere artistiche
contribuì a creare una diffusa sensibilità verso la catalogazione e la difesa delle stratificazioni del paesaggio
urbano2, oltre che verso la sua descrizione.
Il processo di sensibilizzazione verso le testimonianze artistiche del passato come ‘bene’ della collettività del
nuovo Stato italiano, che ufficialmente iniziò a prendere la sua forma giuridica a partire dagli anni Settanta
dell’Ottocento, con i primi progetti di legge per la tutela dei beni artistici, era forse in parte il frutto della
sensibilità maturata durante il secolo del Lumi3: non è un caso se, come vedremo più avanti, i compilatori
delle guide forlivesi ottocentesche provenivano proprio dall’ambiente liberale e risorgimentale cittadino.
Sappiamo che i forti cambiamenti avvenuti nel XIX secolo coinvolsero anche il mondo del turismo interessato
da quella che è stata definita una ‘rivoluzione’ borghese che legittimò l’idea del viaggio per puro scopo
ricreativo. Il turismo si sviluppò come fenomeno di massa soprattutto dopo la Restaurazione, nel 1836 con il
Red Book di John Murray4 e poi nel 1839 con la prima guida Baedeker (sulla Renania). Questo è il massimo
esempio5 di un genere di guide nate non direttamente nei diversi luoghi descritti, ma nel punto di partenza del
viaggiatore, e fortemente sintetiche, spesso limitate a elenchi – e in questo senso spunto fondamentale per
riordinare e dare avvio alle successive opere di catalogazione - e concentrate solo su alcune parti del
patrimonio6.
Per le guide locali la situazione era diversa, essendo esse collegate all'eruditismo municipale, che tendeva a
non tralasciare nulla del patrimonio edilizio, storico-artistico e culturale.
Negli stessi anni del Baedeker usciva anche la prima guida locale forlivese (1838) dalla quale traspariva
l’intento didattico di far conoscere la città agli abitanti stessi, ponendosi come uno degli strumenti dell’attività
‘patriottica’ cittadina, di pari passo con la presa di coscienza delle istanze liberali che, dopo il periodo
napoleonico, avevano continuato a svilupparsi anche con il ritorno alla Legazione. Questo accadeva in linea
1
Su queste tematiche cfr. M.R. PELIZZARI, Consigli per i viaggiatori: storia, immagini, tipologie di guide turistiche
(secoli XVI-XIX), in Viaggio e letteratura, a cura di M.T. Chialant, Venezia, Marsilio 2006, p. 135 e 136; ma anche L.
NUTI, Le guide di Pisa fra ‘700 e ‘800: i rapporti fra descrizione letterario-figurativa e città, «Storia Urbana», Anno VI,
n. 18, gen-mar 1982, pp. 35-69, in particolare p. 37.
2
Per un discorso simile, seppur applicato a un diverso contesto, si veda a proposito: M.R. PELIZZARI, Dalle descrizioni
per i forestieri alle guide turistiche: cinque secoli di Napoli in vetrina, «Campania Sacra», XXXII, 1-2, 2001, pp. 429457, in particolare pp. 448-450.
3
Cfr. M.R. PELIZZARI, Consigli per i viaggiatori, cit., p. 142.
4
Cfr. C. DE SETA, L’Italia nello specchio del “Grand Tour”, in Storia d’Italia, annali 5, a cura di C. De Seta, Einaudi,
Torino 1982, pp. 127-263, in particolare p. 261.
5
Vedi ad es. G. RICCI, Gli Incunaboli del Baedeker. Siena e le prime guide del viaggio borghese, «Ricerche storiche»,
VII, luglio-dicembre 1977, n. 2, p.147.
6
L. DI MAURO, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, in Storia d’Italia, cit., pp. 367-428, in particolare pp.
377-378 e 381.
1
con la tendenza a trasformare le guide in uno strumento di propaganda e di esaltazione della città che si stava
costruendo e trasformando7. Su questo fronte a Forlì assistiamo a un fenomeno apparentemente singolare: le
parti ignorate del tessuto urbano sono proprio quelle che si sarebbero mantenute inalterate negli anni, mentre
ad ogni cambio di regime si sarebbe intervenuto su ciò che stava sotto gli occhi di tutti, sui punti focali del
patrimonio identitario urbano.
Tralasciando volutamente in questa sede un’analisi della visione ‘esterna’ che le guide d’Italia davano di Forlì,
vale la pena di presentare brevemente le principali guide locali analizzate, prima di concentrarsi su alcuni casi
che meglio si prestano a spiegare come le guide possono essere utili per la ricerca patrimoniale, al di là delle
macroscopiche elencazioni.
La Guida per la città di Forlì, pubblicata da Casali nel 18388, è la prima vera e propria guida monografica
cittadina.
Il 1838 - anno in cui viene istituita la Pinacoteca – seguiva a breve distanza la ‘rivoluzione liberale’ del 1831
che aveva visto temporaneamente interrompersi l’amministrazione pontificia per poi essere annullata
dall’intervento delle truppe austriache. La conseguente repressione che seguì nei confronti dei liberali non
impedì che a Forlì questi continuassero a godere dell’ampio favore dell’opinione pubblica: ciò rese
difficoltoso il pieno ripristino del potere pontificio9.
L’autore, Giovanni Casali (1803-1869), membro di una famiglia di noti tipografi forlivesi dalle forti tradizioni
liberali10, aveva partecipato ai moti del 1821, era stato membro delle milizie volontarie forlivesi nel 1831, ed
infine avrebbe ricoperto anche cariche istituzionali nel 1849. Durante il suo incarico come vicebibliotecario
della comunale di Forlì, raccolse molte informazioni sulla storia artistica e culturale cittadina, compilando vari
quaderni con studi di erudizione forlivese e appunti storici11.
L’attenzione alla documentazione è riscontrabile, del resto, nelle abbondanti note bibliografiche che
accompagnano il testo12, presentate come dimostrazione della propria attenzione alla veracità e al controllo in
prima persona delle notizie: Casali era molto attento anche alle critiche al suo lavoro13, tanto da dichiarare,
nella prefazione di quella che sarebbe stata la seconda edizione della Guida (1863), di aver arricchito le note a
piè di pagina usando le fonti primarie, anche in risposta alle critiche per la presunta inesattezza dei riferimenti
della prima edizione. In effetti numerosi sono gli autori qui elencati che non erano comparsi nelle note della
7
Spunti su questo argomento si trovano in ibidem., p. 384 e I. INSOLERA, Roma, Roma-Bari, Laterza 1980 (collana Le
città nella storia d’Italia), p. 411.
8
G- CASALI, Guida per la città di Forlì, Forlì, Tipografia Casali 1838.
9
Per una descrizione dell’ambiente cittadino in questi anni si veda F. DELLA PERUTA, R. BALZANI, Forlì nel
Risorgimento, in Storia di Forlì IV, l’età contemporanea, Forlì, 1992, pp. 115-143, in particolare pp. 124-128.
10
Il padre di Giovanni, Matteo Casali (1755-1838), fu arrestato nel 1821 perché sospettato di idee liberali e di aver
ospitato nel proprio negozio raduni di cospiratori forlivesi. Il fratello, Scipione Casali (1794-1868), membro della
‘Vendita’ carbonara forlivese e della setta della Speranza, fu anch’esso arrestato, come il padre, la notte del 3-4 luglio
1821 per ordine del Cardinale Sanseverino, Legato di Forlì. Esiliato in Toscana fu in seguito condannato nel 1824 al
bando perpetuo dagli Stati dell’Austria. Nel 1829 ritornò a Forlì dall’esilio a Corfù, per essere poi nuovamente arrestato
nel 1835. Nel 1848 fu membro del Direttorio del Circolo Popolare, presieduto da Aurelio Saffi. (Notizie tratte da A.
MAMBELLI, I forlivesi nel Risorgimento nazionale da Napoleone a Mussolini. Dizionario biografico, Forlì, 1936, pp. 6667).
11
Si vedano ad esempio i suoi manoscritti: Memorie per la Biografia degli artisti forlivesi raccolte da Giovanni Casali,
1858, Fondo Piancastelli, Carte Romagna (D’ora in avanti C.R.), 97.9; Testimonianze e memorie intorno agli artisti
forlivesi dal risorgimento delle Belle Arti fino a nostri giorni raccolte da me Giovanni Casali stampatore in Forlì, 1852,
C.R: 97.10; Iscrizioni nella città di Forlì dall'anno MCLXXX all'anno MDCCXCIX, C.R. 97. 53; Cenni storici
sull'origine e gli aumenti della Biblioteca Municipale di Forlì, C.R. 97. 69; Catalogo delle edizioni del secolo XV
esistenti nella Biblioteca Municipale di Forlì, luglio 1863. Manoscritto, C.R. 97. 75-76; Catalogo delle opere
bibliografiche esistenti nella biblioteca comunale di Forlì, C.R. 97.85; Libretto di storia ad uso di Giovanni Casali,
[1819], C.R. 97.174.
12
Tito Livio e Plinio fra gli autori latini; Sigismondo Marchesi, Fabio Oliva, Paolo Bonoli, Giuliano Bezzi, Giorgio
Viviano Marchesi fra i cronisti forlivesi; Lanzi, Nicolò Machiavelli, Flavio Biondo fra gli autori di rilevanza nazionale.
13
Alle quali risponde ad esempio nel manoscritto Alcune parole in risposta alle osservazioni critiche intorno alla Guida
di Forlì che si leggono sull’opuscolo intitolato pittori forlivesi, C.R. 97. 70-74.
2
prima edizione, da Carlo Sigonio a Muratori, da Leandro Alberti a Melchiorre Missirini e Carlo Malvasia.
Ecco quindi che la conoscenza della città del presente non può prescindere dai valori che autori del passato
rappresentano, legittimando, in un certo senso, l’identità locale e la forma della tradizione.
Come accennato in precedenza, le guide ottocentesche della città di Forlì, ma anche quelle pubblicate fino ai
primi vent’anni del Novecento, erano pensate più per un pubblico locale, che per turisti forestieri, mettendo in
evidenza un obiettivo dichiaratamente didascalico14. Lo si intuisce in questo caso soprattutto dall’assenza di
un’organizzazione a itinerari o a giornate: come anche nella successiva edizione della guida, le descrizioni di
edifici e monumenti, sono presentate in un ordine che rispetta la suddivisione in rioni della città (rioni San
Pietro, Schiavonia, Ravaldino, Cotogni), ma in un modo che lascia libero movimento al fruitore15,
presentandoli singolarmente e in modo indipendente l’uno dall’altro.
Le due guide di Casali escono la prima nel 1838, poco dopo i moti del 1831 e la seconda nel 1863, subito
dopo l’Unità,16, come a sancire l’avvenimento di tappe importanti – nell’ottica di un liberale - per la mentalità
e la cultura della città, pur in un contesto nazionale. Nel settembre 1859, in effetti, con le prime elezioni dopo
la caduta della Legazione17, erano saliti al potere proprio i liberal-democratici, ‘sconfitti’ dopo i moti del 1831
e a seguito della breve esperienza repubblicana del 184918.
Nell’introduzione alla seconda edizione, l’autore si prefigge lo scopo di descrivere i nuovi edifici e oggetti di
belle arti di cui Forlì si è arricchita rispetto al 1838, anche a costo di tralasciarne altri, ormai ritenuti superflui.
Nonostante le dichiarazioni dell’autore, i grandi cambiamenti urbanistici dovevano in realtà ancora avvenire:
per questo la carta cittadina è sostanzialmente simile a quella della prima edizione. Cambiamenti più
consistenti si avvertono invece nella guida di Calzini e Mazzatinti del 189319.
Giuseppe Mazzatinti (1855-1906), studioso di fama nazionale, fu direttore della Biblioteca di Forlì per molti
anni e attento studioso della sua storia antica e recente20, oltre che della storia del Risorgimento in generale21,
da lui considerato come «potente strumento di educazione civile»: a questo proposito si occupò del Museo del
Risorgimento cittadino22, dei moti del 1831 a Forlì23 (ai quali aveva partecipato anche Giovanni Casali) e di
grandi personaggi come Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi24.
Nell’introduzione l'autore afferma di aver pubblicato la Guida di Forlì considerata l'inesattezza di alcune
notizie storiche e artistiche presenti nell’opera di Casali e il cambiamento della distribuzione e delle
condizioni di alcuni monumenti dovuto alla soppressione degli enti ecclesiastici e all’implemento delle
gallerie private e della Pinacoteca:
14
Come del resto sottolinea Stefano Pivato nel suo L’istruzione popolare, in Storia di Forlì IV, cit.,, pp. 233-243, in
particolare a p. 239, il Municipio di Forlì aveva compiuto grandi sforzi di rinnovamento scolastico, incentrati più sul
problema educativo, che sull’alfabetizzazione e la scolarizzazione.
15
La stessa tipologia di descrizione si ritroverà anni dopo nella seconda edizione della guida di Ravenna di Corrado
Ricci.
16
G. CASALI, Guida per la città di Forlì, Seconda edizione, Forlì, Tipografia Casali, 1863.
17
Avvenuta nel giugno precedente.
18
Cfr. F. DELLA PERUTA, R. BALZANI, Forlì nel Risorgimento, cit., p. 142.
19
E. CALZINI, G. MAZZATINTI, Guida di Forlì, Forlì, Bordandini 1893.
20
Notizie tratte da A. MAMBELLI, I forlivesi nel Rinascimento, cit., p. 171. Su Mazzatinti si veda anche Giuseppe
Mazzatinti (1855-1906) tra storia e filologia, atti del convegno, a cura di Castelli, Menesto, Pellegrini, Perugia, 1990.
21
Si veda G. MAZZATINTI, Forlì nella storia del Risorgimento, lezione I (1796-1800), II (1800-1812), III (1812-1815),
IV (Sette e Settari), Forlì, Tip. Sociale (succ. Bordandini) 1904.
22
G. MAZZATINTI, Il Museo del Risorgimento in Forlì, «Rivista Storica del Risorgimento Italiano», III, 1899, fasc. 6, pp.
3-11 dell’estratto. Sul Museo del Risorgimento cfr. Anche A. MAMBELLI, Il Museo del Risorgimento e gli Archivi
contemporanei in Forlì, «Rassegna storica del Risorgimento», XXVII, 1940, pp. 1013-1014.
23
Si veda ad esempio G. MAZZATINTI, I moti del 1831 a Forlì, «Rivista Storica del Risorgimento Italiano», II, 1897, f. 34, p. 5.
24
Si veda ID., Lettere di Giuseppe Mazzini a Federico Campanella, «Rivista d’Italia», 1905, giugno, pp. 49 (estratto);
ID., La mente e il cuore di Aurelio Saffi, Forlì, Bordandini 1891; Ricordi e scritti di Aurelio Saffi, a cura del Municipio di
Forlì, Firenze, Barbera 1892-1905 (pubblicazione coordinata da Mazzatinti e dal Prof. Briani).
3
Per esempio, molte pitture già esistenti in varie chiese di Forlì furono, dopo la soppressione degli enti
ecclesiastici, trasportate nella Pinacoteca del Comune. E più d'una privata galleria, dal 63 in poi, si
formò o s'arricchì di monumenti degni d'attenzione e di nota storica25.
Questa è anche la prima delle guide qui esaminate che prevede un elenco dettagliato di pubblici servizi e
istituti di utilità sociale26, da questo momento in poi spesso presenti nelle guide forlivesi, come a sancire la
forte tendenza della comunità verso la costituzione di strutture di servizio e di assistenza in risposta alle
numerose calamità occorse alla città e al suo territorio fin dal XVII secolo27. Si può ipotizzare quindi che il
ritorno di elementi importanti per la città e caratterizzanti l’identità culturale locale sia il segno della
continuazione di una tradizione.
Per quanto attiene alla descrizione dei monumenti28, la suddivisione in quartieri è dichiarata fin dall'indice:
Piazza Vittorio Emanuele e i rioni Mazzini, Vittorio Emanuele, Aurelio Saffi, Garibaldi, in precedenza
rispettivamente: piazza Maggiore e rioni San Pietro, Cotogni, Ravaldino, Schiavonia. È evidente il drastico
cambiamento della toponomastica – in senso tutto risorgimentale –in seguito all'Unità, cambiamento che
ancora nel 1863, anno della seconda edizione di Casali, non era avvenuto.
Per quanto riguarda le guide novecentesche, possono esserne considerate in questa sede due, la Guida per la
città di Forlì di Padovano del 192329, e la Guida di Forlì e i suoi dintorni di Casadei, pubblicata nel 192830
Nella Prefazione della prima, l'autore dichiara di non voler gareggiare con le precedenti guide di Casali e
Calzini e Mazzatinti (che lui giudica la più attendibile, oltre che la più nota). Lo scopo di questa nuova guida
è:
Di illustrare, nel miglior modo possibile, la parte antica della città e specialmente la parte moderna, per
comprendere lo sviluppo di Forlì nell'industria e nel commercio: materia nuova questa e assai
importante per la nostra regione31.
Oltre a riferirsi ad alcune opere di Santarelli e all'opera di Pietro Zangheri per la parte dei cenni storici, infatti,
nella Prefazione l'autore ringrazia per i consigli alcune persone che hanno chiesto l’anonimato: ciò farebbe
pensare ad una documentazione prettamente contemporanea, ottenuta dalla diretta viva voce degli esperti e
degli ‘operatori’ attivi nello sviluppo della città.
I Monumenti32 qui non sono più divisi per rioni, ma per tipologia (chiese principali, edifici monumentali,
Biblioteca, Pinacoteca, Museo del Risorgimento, Museo Etnografico), denotando una scelta personale, che
tuttavia non pare influire in modo significativo sugli aspetti concettuali.
Edita nel 1928 con una tiratura di 2000 copie – notevole a quei tempi – e con un costo editoriale elevato per il
consistente numero di pagine (750) e l'abbondanza di illustrazioni che corredavano il testo (360), la guida di
Ettore Casadei ebbe un riscontro di vendite assai limitato, probabilmente perché descriveva luoghi, palazzi,
vie e opere d'arte della città a quell'epoca quotidianamente frequentati e, perciò, noti.
25
E. CALZINI, G. MAZZATINTI, Guida, cit., p. non numerata.
In precedenza si erano trovati elenchi simili soltanto nelle guide della Provincia a questo preposte, come quella di L.
SUCCI, Guida agli uffici, alle amministrazioni e ai principali stabilimenti industriali e commerciali della Provincia di
Forlì, Forlì, Stab. Tip. G.B. Croppi 1880 (Terza ed).
27
Cfr. G. OREFICE, Forlì: immagine e struttura della città tra Rivoluzione e Restaurazione, in Storia di Forlì IV, cit., pp.
57-81, in particolare p. 60.
28
E. CALZINI, G. MAZZATINTI, Guida, cit., pp. 1-99.
29
D. PADOVANO, Guida per la città di Forlì con storia e pianta, Forlì, Agenzia Romagnola di pubblicità 1923.
30
E. CASADEI, Guida di Forlì e i suoi dintorni: guida storico-artistica della città di Forlì, Forlimpopoli, Bertinoro,
Meldola, Predappio Nuova, Castrocaro e Terra del Sole, Forlì, Soc. Tip. Forlivese 1928 (rist. anast. 1999).
31
D. PADOVANO, Guida, cit., Prefazione, p. non numerata.
32
Ibidem, pp. 11-31.
26
4
La Prefazione è chiara sugli intenti:
Forlì, in seguito al suo rigoglioso sviluppo, dovuto in gran parte al celere ritmo del rinnovamento
fascista, non è più riconoscibile dietro la scorta delle sue due vecchie guide del Casali e del CalziniMazzatinti [...] entrambe allora pregevoli per indagini storiche e artistiche.
Il progredire dei civici studi, dovuto anche alle ricerche archeologiche storiche artistiche di benemeriti
studiosi; l'avvicendarsi di mutamenti inevitabili nella corsa del tempo, massime in quest'ultimo
ventennio, negli edifizi pubblici e privati; il moltiplicarsi delle attività agricole, industriali, commerciali
ed amministrative, che diedero vita a nuovi organismi, m'indussero a compilare questa Guida, da tempo
desiderata ed attesa dai concittadini e dai forestieri […]33.
L’autore prosegue specificando ulteriori obiettivi:
Qualcuno obietterà che la mole del lavoro supera le proporzioni di una Guida comune, ma io volli
soprattutto far conoscere ai Forlivesi quanto la propria Città presenta d'interessante e di utile nelle sue
memorie, nelle sue tradizioni, in tutto quello che i suoi monumenti, le sue vie, le sue piazze e i suoi
edifici possono indicare. Ed ebbi presente che in questi tempi a Forlì si accorre non solo da varie città
d'Italia, ma anche dall'Estero.
Questi pellegrini che vengono alla Patria del Duce senza dubbio vorranno conoscere le memorie più
notevoli di questa Città fortunata che ha avuto uomini illustri e periodi storici dei quali lieve traccia
rimane in ciò che colpisce superficialmente l'occhio del visitatore.
La mole della guida appare in effetti molto superiore rispetto alle precedenti già a partire dalla bibliografia,
che si estende fra le pagine XV e XXI, e dalla decisione di non descrivere solo la città, ma anche i dintorni e le
frazioni.
I monumenti e gli edifici vengono suddivisi per rione, e per strada all'interno di questi. Si descrivono sia
edifici privati che pubblici, monumenti, palazzi, chiese e anche Istituzioni. In generale, per quanto attiene ad
esempio ai palazzi, questi vengono citati quasi al completo, non comparendo quindi solo quelli che potrebbero
interessare un turista esterno. Ritorna ancora una volta e più chiaro l’intento di far conoscere la città ai
forlivesi stessi, cioè a coloro che possono rendersi coscienti della totalità del patrimonio esistente e fruire di
servizi segnalati nel capitolo Notizie turistiche e indicazioni generali (luoghi di riunione, istituti di istruzione,
ecc.).
L'autore non manca di segnalare tuttavia nelle Avvertenze i monumenti che non si possono perdere, nel caso si
abbia fretta: Abbazia di San Mercuriale, Palazzo Comunale, Palazzo del Podestà, Casa del Fascio, Duomo
(Cappella della Madonna del Fuoco), Chiesa di San Biagio, Chiesa della SS. Trinità, Pinacoteca e Musei,
Chiesa di S. Antonio Vecchio e Rocca di Ravaldino.
L’attenzione alla storia urbana non più evidente emerge a più riprese dalla guida di Casadei, nel ricordo
esplicito dei nomi antichi dei rioni, nell’identificazione dei monumenti non più esistenti di «Forlì scomparsa»
e nelle spiegazioni delle denominazioni stradali riferite unicamente alla storia locale.
Il topos dell’origine romana
Nelle ottocentesche Guide d’Italia34, Forlì è presentata più che altro come città di passaggio, nel viaggio fra
33
La carta presenta anche indicazioni di tramvia extraurbana e autobus, segni del moderno progresso.
Fra le guide consultate si citano: Itinerario italiano che contiene la descrizione dei viaggi per le strade più frequentate
alle principali città d'Italia con carte geografiche, Firenze, Presso Giovanni Tofani e Comp. 1805 (quarta ed. it.);
Itinerario italiano ossia descrizione dei viaggi per le strade più frequentate alle principali città d'Italia con carte
geografiche, Milano, dalla Stamperia di Pasquale Agnelli 1808 (seconda ed. milanese); M. PRUNETTI, Viaggio PittoricoAntiquario d'Italia e Sicilia, t. IV, Roma, presso Lino Contendini 1820; Nuovissima guida dei Viaggiatori in Italia, a cura
di A. P., Milano, presso Epimarco e Pasquale Artaria [1831]; G. VALLARDI, Itinéraire d'Italie ou description des voyages
par les routes les plus fréquentées aux principales villes d'Italie, Milano, Chez Pierre et Joseph Vallardi 1833 (XXIme
34
5
Bologna e Ancona o Fano. Le viene tuttavia sempre dedicata una descrizione, consistente in alcuni cenni
storici e in una breve descrizione o in una elencazione dei monumenti principali. L’origine romana, descritta
con più o meno enfasi retorica a seconda della guida, è l’elemento che non viene mai trascurato nelle
descrizioni della città.
Il punto più evidente in comune fra le guide d’Italia e quelle locali è senza dubbio l’importanza data alla
romanità, spesso condita con elementi di leggenda e, nel caso delle guide di Casali anche di retorica, sia nella
ricostruzione storica, sia nelle descrizioni di collezioni private e di scavi35.
La guida di Calzini e Mazzatinti del 1893 affronta la questione della romanità con un taglio più critico e meno
leggendario rispetto alle guide di Casali, le quali erano più che altro una sintesi della cronachistica cittadina al
riguardo. L’approccio critico su questa tematica è del resto maggiormente evidente man mano che ci si inoltra
nel XX secolo.
Nei Cenni storici36 della guida di Padovano infatti è chiaro che la lettura di Mazzatinti ha lasciato un segno37:
al contrario che in tutte le guide precedenti, comprese quelle d’Italia, sulle origini non viene citato Livio
Salinatore, bensì l’esistenza ancora radicata di incertezze e lacune. Si riporta inoltre l’ipotesi che, come per la
città di Imola, Faenza e Cesena, il fondatore di Forlì fosse stato un legato di Cesare.
Nel 1928, Casadei appare realmente più disilluso sulla gloria forlivese nel periodo romano:
Forum Livii non fu in nessun periodo della sua esistenza un centro notevole […] Perciò non fa
meraviglia se gli avanzi di Forlì romana si riducono a pochi resti di un ponte ora sepolto, sul ramo del
Montone, che passava per Piazza Melozzo, a qualche epigrafe e a tombe.
E ancora: «Negli antichi scrittori solo Plinio ricorda Forum Livii tra le città dell'VIII regione d'Italia».
L'autore non manca tuttavia di affermare come Forlì rimase fedele all'Impero fino alla fine.
La rilevanza data, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo all’aspetto della romanità ha un riscontro
nelle azioni effettive, dal forte valore simbolico, intraprese dall’Amministrazione in quel periodo: una fra tutte
la questione del tentato ripristino dell’acquedotto di Traiano negli anni Ottanta dell’Ottocento38, questione
predominante per la classe dirigente liberal-democratica forlivese39, in quanto caratterizzata da una doppia
édition); Nouveau guide du Voyageur en Italie, Milano, Chez Ferdinand Artaria et Fils Editeurs 1836 (IV édition), pp.
256-264; M. FABI, Viaggio in Italia, nuovissima guida descrittiva storico-statistica, Milano, Stabilimento Giuseppe
Civelli 1861 (X edizione); K. BAEDEKER, Mauel du voyageur, II partie, Italie centrale et Rome, Coblenz, Karl Baedeker
éditeur 1872 (III ed.); Manuale del Viaggiatore. Nuovissima guida d'Italia descrittiva storico-statistica illustrata da 60
incisioni dei principali monumenti, da dodici piante topografiche e dalla carta di tutte le strade ferrate del Regno,
Milano, Serafino Muggiani e Comp. 1879 (III edizione); K. BAEDEKER, Manuel du voyageur, Italie Centrale, Rome,
Leipzig, Karl baedeker éditeur 1904 (III ed.).
35
Nella prima edizione della Guida di Giovanni Casali (1838), ad esempio, si dedica buona parte dei Cenni storici (pp.
V-XXII) alle gloriose origini romane: «Vanta il nome di M. Livio pronominato Salinatore»; «il pretore Livio Clodio […]
raffrenato […] l’insolenza degli abitanti di certi piccoli castelli […] dalle fondamenta li distrusse, rifabbricando in quel
luogo un Foro a guisa di grandiosa città […] e perpetua memoria venne innalzata in mezzo del Foro istesso la di lui
statua». A proposito dell’importanza data alla romanità, l’autore ricorda anche che i marchesi Albicini possiedono, oltre
ai quadri di grande valore, anche una collezione di iscrizioni romane, conservate in Palazzo Albicini, al n. 1502 di
Borgho Schiavonia (rione San Pietro), l’attuale corso Garibaldi. Egli parla anche della scoperta del ponte dei Brughieri o
dei Moratini sempre in Borgo Schiavonia, ponte di epoca romana «Quei secoli della romana grandezza in che fiorivano le
scienze e le arti più nobili». Nella seconda edizione, quella del 1863, Casali diminuisce leggermente lo spazio nei Cenni
storici dedicato alle origini romane, tuttavia, come nella prima edizione, l’autore cita palazzo Albicini, soffermandosi
maggiormente sulla collezione di iscrizioni romane, citandone una in particolare dedicata a Giove Ossequente «Tenuta in
gran conto dagli archeologi».
36
D. PADOVANO, Guida, cit., Cenni storici, pp. 8-11.
37
L’influenza di Mazzatinti è evidente anche nell’affermazione di Padovano relativa alla mancanza di una storia critica
di Forlì, affermazione che cita quasi letteralmente la guida del 1893.
38
Questione già ampiamente trattata da Roberto Balzani nel suo Un Comune imprenditore. Pubblici servizi,
infrastrutture urbane e società a Forlì (1860-1945), Milano, Franco Angeli 1991.
39
Cfr. Ibidem, p. 30. Sull’influenza della rivoluzione giacobina su queste tematiche cfr. F. DELLA PERUTA, Democrazia
risorgimentale, Rivoluzione francese e giacobinismo, in Il modello politico giacobino e le rivoluzioni, Firenze, La Nuova
Italia 1984. Sulla questione igienica a Forlì: A. MENGHI, Le relazioni sulle condizioni abitative di Forlì nella seconda
6
valenza: il legame con la storia e la presa di coscienza progressiva da parte delle amministrazioni
democratiche della responsabilità del ‘Pubblico’ in termini di servizi, fra i quali il rifornimento di acqua
potabile era prioritario.
Nel 1881 iniziano le ricerche dell’acquedotto romano, accompagnate da relazioni ricche di esaltazioni
retoriche della grandezza romana e da celebrazioni dell’alta funzione sociale di un’opera simile40. Una parte
dell’acquedotto antico fu effettivamente ritrovata. Argomentazioni tecniche e citazioni storiche si
intrecciavano, ma senza poter garantire il successo di un suo eventuale restauro, se non con una cieca fiducia
nell’opera romana: una motivazione dunque prevalentemente ideologica, basata sul preconcetto che
Il più piccolo rudere di un Acquedotto romano […] riflesso di quel popolo che dominava il Mondo, non
può essere se non un’opera grande41.
Questa scelta del Consiglio Comunale di investire ingenti fondi, tempo e immagine nelle ricerche
dell’acquedotto42, è legata alla ricerca di una continuità fra la volontà dell’Impero di costruirlo e quella
dell’Amministrazione contemporanea di rimetterlo in funzione. Questo nesso costituiva quindi un ponte
simbolico fra la gloria del passato romano e quella del nuovo Stato italiano43.
Nel 1884, motivazioni di carattere tecnico ed economico portarono a una interruzione delle ricerche44. Quando
nel 1896 la questione tornò in auge45, la proposta di riprendere le ricerche fu respinta: le principali
motivazioni, oltre a quella economica, erano di carattere tecnico e di contestualizzazione dell’opera nel
presente:
L’acqua derivata è quella del Ronco, le cui acque non sono certo immuni da inquinamenti, poiché se ai
tempi di Trajano quelle località erano prive, si può dire, affatto di abitazioni, oggi sono popolatissime,
dal che ne deriva un facile e frequente inquinamento delle acque del fiume46.
Se nella guida di Casali del 1863 ci stavamo avvicinando al momento in cui sarebbe esplosa la questione
dell’acquedotto, riscontrando in effetti un’enfatizzazione dell’aspetto dell’origine romana, l’approccio
maggiormente critico di Mazzatinti nel 1893 influiva e allo stesso tempo era specchio della maturazione
dell’idea, dovuta in buona parte al fallimento dell’impresa, che il recupero di elementi come l’acquedotto
romano era più che altro una illusione retorica. Questa idea sarebbe stata poi affermata in modo ancora più
deciso dalle guide novecentesche che, pur in epoca di regime e di esaltazione della romanità, potevano tuttavia
puntare sull’immagine più immediatamente efficace di “città del Duce”, piuttosto che tentare di valorizzare
aspetti ormai difficili da recuperare per Forlì, come appunto quello delle origini romane.
meta dell'Ottocento, «Storia urbana», 9 (1985), n. 33, pp. 67-85 e lo stesso R. BALZANI, Questione igienica e tutela della
salute nella Forli pontificia e liberale: dalle commissioni sanitarie alla municipalizzazione: (1815-1919), Predappio,
Modulgrafica Forlivese 1990, ma anche relazioni contemporanee come quella di A. PASQUALINI, Le acque potabili di
Forlì. Memoria, Forlì, Tip. Lit. Democratica 1881 e C. BERTACCINI, Su le condizioni igienico-sanitarie del Comune di
Forlì con speciale riguardo alla statistica dell’anno 1893, Forlì, Tip. Lit. Democratica 1894.
40
ASCFo, b. 624, 1896, Titolo I, Rubrica 5, Acquedotto di Traiano, Scoperta dell’Acquedotto di Trajano ristaurato da
Teodorico, e prime indagini relative. Relazione dell’Ingegner Antonio Zannoni all’Onorevole Sindaco e Giunta
municipale di Forlì, Bologna, 15 gennaio 1882.
41
R. BALZANI, Un Comune imprenditore, cit., p. 34. Esemplificativa per l’inquadramento delle idee di Zannoni è la sua
relazione: A. ZANNONI, Scoperta dell’Acquedotto di Trajano e considerazioni relative. Estratto dal Giornale «Il Corriere
delle Romagne», Ravenna, Tip. Ravegnana 1886, citato anche in R. BALZANI, Un comune imprenditore, cit.
42
ASCFo, b. 624, 1896, verbale di seduta straordinaria del Consiglio comunale, Forlì 27 febbraio 1882.
43
Cfr. R. BALZANI, Un comune imprenditore, cit., p. 35.
44
Si veda ad esempio: ASCFo, b. 624, 1896, note spese dell’ufficio tecnico del comune, Forlì, 12 aprile 1883 e [1884].
45
Cfr. ad esempio: A. ZANNONI, Di nuovo dell’Acquedotto di Trajano. Lettera aperta al Signor Sindaco del Municipio di
Forlì, Bologna1896, citato in R. BALZANI, Un Comune imprenditore, cit.
46
ASCFo, b. 624, 1896, verbale di seduta del consiglio comunale, Forlì, 6 maggio 1896.
7
Continuità fra età napoleonica, Restaurazione e periodo postunitario: gestione degli immobili e
organizzazione degli spazi urbani
Da un’analisi delle guide locali forlivesi si avverte il segno lasciato nella mentalità dei liberali dall’era
napoleonica 47, che aveva reso impossibile, in seguito, un ritorno ai rapporti politici e civili dell’antico
regime48. Tanto più che per Forlì il periodo napoleonico aveva significato l’uscita da una grave staticità
economica, grazie, oltre che al trasferimento da Ravenna dell’amministrazione centrale dell’Emilia il 19 aprile
del 1797, anche alla vendita ai privati di beni ecclesiastici e alla variazione di destinazione dei numerosi
complessi conventuali del centro, diventati spesso sede di servizi di pubblica utilità49, per l’intervento della
Agenzia dei Beni Nazionali.
Durante la Restaurazione sarebbero avvenute importanti variazioni del tessuto edilizio, da considerarsi spesso
come sviluppi della pianificazione napoleonica, mirati a uniformarsi al nuovo gusto classicista e ad aggiornati
criteri di funzionalità e decoro50.
Le figure impegnate nella modernizzazione della città, erano spesso legate agli ambienti liberali51, come del
resto lo era Casali che, nella sua guida del 1863, privilegiò proprio gli aspetti della nuova edilizia.
Dopo l’Unità, quando alla classe dirigente liberale fu chiaro che Forlì non era destinata ad essere uno dei
grandi centri commerciali nazionali, si decise di concentrarsi soprattutto sull’insediamento di grandi
caserme52, nella speranza di ottenere finanziamenti statali, sfruttando la posizione strategica della città53.
Nonostante la mancata realizzazione di parte del progetto, la continuità ideale fra le scelte urbanistiche e
culturali del periodo napoleonico e le fasi successive dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento è evidente
e può essere letta attraverso alcuni casi studio, anche utilizzando le guide turistiche e valutandone l’aderenza o
meno ai fatti succedutisi attraverso gli anni.
Si considerino innanzitutto le scelte sulla gestione degli immobili cittadini, prendendo ad esempio il
settecentesco palazzo della Missione54 che nel 1798 era stato per sei mesi sede del Circolo Costituzionale,
luogo di istruzione popolare sui diritti e doveri del cittadino: restaurato il governo pontificio, nel 1815
l’edificio fu comprato dal Comune per porvi il ginnasio, mantenendo quindi la tendenza nata in epoca
napoleonica a sostituire le funzioni religiose degli edifici e a privilegiare l’istruzione della popolazione.
Nella prima edizione della guida di Casali55 (1838) si dice che nella soppressa casa dei signori della Missione
furono collocati il Ginnasio comunale e la Biblioteca con annessa una galleria di quadri di cui viene riportato
un elenco.
Nella seconda edizione (1863)56 si afferma che durante la Restaurazione il Comune aveva comprato l’edificio
per mettervi ciò che viene semplicemente definito «pubblico stabilimento»: il Ginnasio comunale e alcune
scuole tecniche. Si danno informazioni anche sull’origine dei libri della Biblioteca, in parte donati al Comune
da Clemente XIII, in parte derivati da soppressioni napoleoniche57.
47
Cambiamenti riscontrabili in vari ambiti e attività, come il risorgere, nei primi anni dell’Ottocento, dell’Accademia dei
Filergiti e la ‘fusione’ di varie Accademie nel 1818, nell’Ateneo Forlivese, in parte non agevolato dall’autorità pontificia
(si veda a questo proposito M. MONTANARI, L’Accademia, punto di riferimento culturale e sociale nella vita forlivese del
primo Ottocento, in Storia di Forlì IV, cit., pp. 83-97).
48
Cfr. A. VARNI, Forlì napoleonica, in Storia di Forlì IV, cit., pp. 39-55, in particolare pp. 43 e 48.
49
G. OREFICE, Forlì: immagine e struttura, cit. pp. 63 e 65.
50
Ibidem, p. 73.
51
F. DELLA PERUTA, R. BALZANI, Forlì nel Risorgimento, op. cit. p. 116.
52
In particolare ospitando un reggimento intero di artiglieria ippotrainata.
53
R. BALZANI, Notabili, personale politico e indirizzi amministrativi dall’Unità al fascismo, in Storia di Forlì IV, cit., pp.
161-197, in particolare p. 168.
54
Situato in piazza Gian Battista Morgagni, già Piazza S. Pellegrino, nel Rione Ravaldino.
55
G. CASALI, Guida, cit., 1838, pp. 48-51.
56
G. CASALI, Guida, cit., 1863, pp. 48-54.
57
Vi si trova anche dell’origine della collezione di «arti belle», che «vi sono conservate grazie all'interesse del Magistrato
e del gonfaloniere Pietro Guarini».
8
Nella guida del 1893 il palazzo della Missione viene chiamato esplicitamente «palazzo degli Studi» per la
prima volta e quelli che nella guida di trent’anni prima erano definiti genericamente «pubblici stabilimenti»
vengono indicati come «Istituti di pubblica istruzione»58. Si specifica inoltre che il Comune aveva acquistato
questo palazzo dopo la restaurazione del Governo pontificio nel 1815, proprio per consentirne una funzione
educativa.
Nella guida di Padovano del 192359 troviamo per la prima volta esplicitati alcuni dettagli, in particolare che il
palazzo era stato abitato in precedenza dai signori della Missione e che essendo stati rifiutati dal Seminario i
libri donati dal conte Marcantonio Albicini, questi erano stati donati da Clemente XIII al Comune che li aveva
sistemati al primo piano dell’edificio. Ingenti donazioni private e il diretto interessamento dell'illustre
naturalista Cesare Francesco Maioli avevano permesso di arricchire notevolmente la collezione. L’autore della
guida spiega anche che accanto alla Biblioteca erano stati collocati quadri e stampe di grande valore raccolti
nelle varie chiese soppresse, o depositati da alcune famiglie. L’autore specifica anche che al momento in cui
scrive il palazzo è sede soltanto delle Scuole ginnasiali, liceali e dell’Istituto tecnico, in quanto Biblioteca,
Pinacoteca e Musei (del Risorgimento ed Etnografico) sono stati traslocati nel vecchio Ospedale in corso
Vittorio Emanuele60.
La Guida di Casadei (1928) fornisce maggiori informazioni rispetto alle altre e in particolare è qui che
troviamo la notizia della presenza del Circolo Costituzionale durante il periodo francese61, che è un segno
importante letto in chiave di educazione popolare, considerata la funzione istruttiva e informativa di queste
istituzioni, che miravano a “formare lo spirito pubblico”, istruendo coloro che “erano cresciuti ne’ pregiudizi e
negli errori”62 in modo che potessero individuare i loro interessi e sulla base di questi iniziare così la loro
partecipazione alla vita politica.
Prendendo dunque il palazzo della Missione come esempio di edificio che rispecchia la continuità di scelte
culturali e di distribuzione dei servizi in città fra il periodo napoleonico, quello della Restaurazione e la fase
postunitaria, possiamo affermare che i vari passaggi sono resi esplicitamente nelle guide cittadine, che ne
colgono proprio il significato di continuum, definendoli prima “pubblici stabilimenti” e in seguito “istituti di
pubblica istruzione” e sottolineando la volontà del Comune di consolidare una funzione educativa inaugurata
nel periodo francese.
Parrebbe invece che nell’Ottocento questo tipo di ‘letteratura’ non sia particolarmente sensibile alla questione
della ‘rifunzionalizzazione’ dell’area dei conventi di San Domenico e Santa Canterina che da ‘distretto
religioso’, si trasforma in epoca postunitaria e liberale in ‘distretto militare’, cogliendo e sviluppando alcune
modifiche già avvenute nel periodo napoleonico e mai del tutto eliminate anche in epoca di Restaurazione, per
poi trasformarsi ulteriormente in ‘distretto produttivo’ alla fine dell’Ottocento.
In breve i destini dei due complessi:
Destinato nel 1797 a Ospedale militare francese63, il Convento dei Padri di San Domenico con annessa la
Chiesa di San Giacomo Apostolo64 fu soppresso nel 179865 e stabilmente adibito a caserma nel 180366. É del
58
In particolare il Liceo ginnasio Morgagni, la Scuola di belle arti Marco Melozzo, il Gabinetto di chimica e fisica
dell'Istituto tecnico e la Stazione agraria al piano terreno, la Biblioteca e la Pinacoteca (alle quali vengono poi destinate
descrizioni ad hoc), il Museo Archeologico e il Museo del Risorgimento al secondo piano, l’Istituto tecnico Carlo
Matteucci e l'Osservatorio meteorologico agli ultimi due piani.
59
D. PADOVANO, Guida, cit., p. 26.
60
Edificato nel 1722.
61
E. CASADEI, Guida, cit., pp. 341-343.
62
M. A. GALDI, Saggio di istruzione pubblica rivoluzionaria, Milano, 1797, citato in Il Monitore Napoletano 1799, a
cura di Mario Battaglini, Napoli, Guida, 1999, p. 175.
63
Si veda ASCFo, Appendice 1, Rapporti; Lettere Missive e Ricettive, n. 68, Coste Comandant la Place, 1797, lettera n.
16 del 27 pluvois, an V, citata anche in A. MENGHI, La città di Forlì (1797-1900). Dall'ancién regime all'età del
capitalismo, Tesi di Laurea aa. 1983-84, Istituto universitario di Architettura – Venezia, Corso di laurea in Architettura,
relatore Prof. Lando Bortolotti.
64
Detta San Jacopo dei predicatori, situata nel rione Schiavonia, piazza Guido da Montefeltro, già San Domenico.
65
F. CORTINI, Memorie Forlivesi, vol. II, 11 agosto 1798, trascritto in A. MENGHI, La città di Forlì, cit.: «Sono qui giunti
9
18 agosto 1817 il decreto che ripristina gli ordini regolari, ma nonostante il ritorno dei frati in seguito il
convento fu occasionalmente adibito a quartiere per le truppe67, fatto che distingue questo complesso da molti
altri conventi ed edifici religiosi che in fase napoleonica avevano subito un simile destino, ma che erano
tornati ‘a regime’ dopo la Restaurazione.
In fase post-unitaria, i frati rimasti abitavano in poche stanze del convento perché la porzione rimanente, in
seguito al decreto di soppressione delle corporazioni religiose, era stata nazionalizzata e riconvertita in «un
deposito di viveri per le truppe»68.
Nel 1867 il municipio, che era proprietario anche di metà del convento dei camaldolesi, preferì trattare,
cedendo al Demanio la propria metà del San Domenico (compresa la chiesa) in cambio del possesso
dell'intero convento camaldolese69, ottenuto definitivamente solo nel 1878:
Oggetto: approvazione del Contratto di permuta del locale di San Domenico con quello di San
Salvatore. Il segretario dà lettura del Contratto stipulato fra la Giunta e il Demanio, in seguito
dell’abilitazione avuta dal Consiglio con decreto delli 27 dicembre 1876, non porgendo osservazioni, il
Presidente mette a voti la sua approvazione. E’ adottata ad unanimità70.
La discussione della questione era avvenuta infatti nella seduta del Consiglio del 21 dicembre 187671.
Allo stato attuale delle ricerche non è dato comprendere a pieno le ragioni che spinsero l’Amministrazione
comunale a rinunciare al San Domenico in favore di San Salvatore: sussiste la possibilità che la scelta sia stata
dettata da ragioni di ordine pratico o logistico, più che da motivazioni culturali.
Per quanto attiene al Monastero di Santa Caterina, con annessa la Chiesa72, nel settembre 1798 il primo fu
adibito a caserma della fanteria francese73, in seguito alla soppressione delle monache camaldolesi che,
secolarizzate74, nel 1801 ottennero di poter restare nel convento pagando un affitto. L'Amministrazione usava
da Faenza il Commissario del Potere esecutivo Cittadino Gianasi, e Carlo Bianconcini, Agente Generale dè Beni
Nazionali. Si sono portati a sopprimere il Convento dè Padri Domenicani […] i detti Commissari vollero i libri del
Convento come di fatti gli furono dal Priore portati».
66
ASCFo, Atti Consigliari 1803, Seduta 1° maggio 1803, citato anche in A. MENGHI, La città di Forlì, cit.: «Li membri
del Consiglio degli Alloggi, e l’Ingegnere Comunale per trattare dell’acquartieramento della 13° (?) che deve arrivare
nella Comune nel giorno di domani per tenervi guarnigione e di provvedere eziandio all’alloggio di diversi capi di truppe
che domani stesso e nei giorni successivi devono essere di transito, si determina […] di devenire al seguente
temperamento. Di destinare cioè la Caserma delle Domenicane riservata fin ora per le truppe di passaggio
all’acquartieramento delle truppe di stazione, e di accasermare le truppe di transito parte nel Convento di San Domenico,
traslocando i Gendarmi ivi esistenti nel locale della Madonna di Fuori, e parte nel Magistero dell’Abbondanza».
67
Come ad esempio nel 1832: «Essendosi […] i papalini ritirati nelle caserme dell’Abbondanza, Missione e San
Domenico e nella Rocca fino alli 2 marzo […]», (P. BACCARINI, Storia di Forlì (1770-1850), vol. III, BCFo, ms. 1/50, p.
1597, citato anche in A. MENGHI, La città di Forlì, cit.).
68
T. ZAMPA, Notizie storiche della città di Forlì, vol. II, BCFo, ms. II/2, c. 781, trascritto anche in A. MENGHI, La città
di Forlì, cit.
69
«La domanda da voi avanzata per la cessione secondo legge dei locali, e degli oggetti d’arte dei soppressi conventi,
ebbe felice successo. Il Governo ci pose in possesso dei fabbricati dei Camaldolesi, dei MM. Osservanti, del Carmine, di
S. Pellegrino, e di parte di S. Domenico. Ci furono pur concessi i quadri più pregevoli che si trovavano in essi, e basterà
ricordare che ve ne sono del Palmeggiani, del Palma, del Vasari, del Menzocchi, del Cotignola e dell’Agresti, perché
comprendiate quale sia il loro valore, e la loro importanza per noi. Però la niuna guardia che i Monaci si prendevano di
quei dipinti, ingiurie vecchie, e nuove, fecero loro gravissimi danni. Occorrerà quindi una notevole spesa per rimetterli in
buono stato; ma voi non ne rifuggirete, perché delle arti belle sentite altamente, e sapete che la tutela di esse è principio e
professione della civiltà che più onora. Al quale sentimento se vorrete aggiungere il riflesso, che una raccolta di buoni
quadri, una ricca biblioteca, e tutto il contorno de’ locali e d’istituzioni letterarie, è oggimai quanto ci resta per attrarre
visitatori alla città nostra, avrete una ragione di più per allargare la suppellettile delle dotte curiosità, fosse anche a prezzo
di alcun poco di sagrificio», (Municipio di Forlì, Reso-conto della Giunta municipale di Forlì dell’anno amministrativo
1867, Forlì, presso LuigiBordandini 1868, pp. 11-12, in BCFo, FORL 1036).
70
ASCFo, Atti Consigliari 1878 , vol. 35, seduta 11 luglio 1878.
71
ASCFo, Atti Consigliari 1876, vol. 33, seduta 21 dicembre 1876: «Oggetto: progetto del cambio dell’ex convento di
San Salvatore con la porzione di San Giacomo compresa la chiesa».
72
Situati nel rione Schiavonia, via Romanello da Forlì (già Cappuccini).
73
Cfr. F. CORTINI, Memorie Forlivesi, cit., vol. II, 28 settembre 1798.
74
Cfr. ibidem, 3 agosto 1798.
10
ugualmente il monastero per l’alloggio di truppe in caso di bisogno.
Dopo l’Unità, nel 1862 le monache vennero espulse dal loro ritiro e trasferite a Faenza75 e il convento
stabilmente destinato a caserma che in seguito assunse il nome di Caterina Sforza, come a laicizzare
l’originario Santa Caterina.
In sostanza, negli anni successivi al 1860 quando le chiese di Santa Caterina e di San Domenico chiusero per
sempre i battenti, la vocazione di quartiere militare, già preannunciata dalle destinazioni d’uso dell’età
napoleonica, trovò nelle autorità comunali liberali (e in parte in quelle statali) un pieno riconoscimento, grazie
all’intenzione di adibire a grande sistema di caserme e di edifici militari l’intera area comprendente gli ex
complessi conventuali.
Il progetto in parte naufragò, ma la fisionomia del quartiere venne mantenuta: semplicemente, a partire dagli
anni Ottanta del XIX secolo, alla vocazione militare si sovrappose quella commerciale e industriale, in una
commistione mantenutasi fino al secondo dopoguerra76.
L’osservazione di come e se le guide traspongano questo passaggio è estremamente utile a capire fino a che
punto queste siano attente alle novità edilizie e urbanistiche cittadine.
Nonostante le dichiarazioni di Casali nella introduzione alla sua seconda edizione (1863), in generale le guide
forlivesi ottocentesche faticano a cogliere lo spazio urbano come complesso e si concentrano piuttosto sui
singoli edifici77. Nel Novecento, invece emerge, oltre a una riscoperta del destino di questi immobili, e quindi,
indirettamente, dell’area occupata, anche una nuova attenzione alle questioni più prettamente urbanistiche: lo
dimostrano, ad esempio i riferimenti al piano regolatore appena varato inseriti nella guida del 1928, nella
quale si ha cura di illustrare la pianificazione dei cambiamenti nella forma urbana anche con l’ausilio di tavole
e immagini.
La Guida Casali del 1838 descrive dettagliatamente entrambi i conventi, ma non fa alcun accenno alle loro
soppressioni del 179778.
Nella seconda edizione della medesima guida (1863), della Chiesa di Santa Caterina79 compare una
descrizione sostanzialmente identica a quella della prima edizione (1838), anche se arricchita di
apprezzamenti relativi ad alcune opere in essa conservate. Non si accenna alla soppressione napoleonica e
nemmeno all’espulsione delle monache dal convento, che era avvenuta l’anno prima, nel 1862.
Nella descrizione di San Domenico80 si aggiungono invece alcuni dettagli sulle spoliazioni napoleoniche,
tralasciate nella prima edizione81. In entrambe le edizioni la chiesa di San Domenico è descritta come una
delle più belle di Forlì. Anche nella guida Calzini-Mazzatinti del 189382 è espressa la medesima opinione,
messa a contrasto con la sua nuova funzione di cavallerizza, aggiungendo che «i monumenti che la rendevano
fra le chiese di Forlì ammiratissima» sono, in parte, nella Pinacoteca e in varie chiese, ma in parte anche
portati via nel 1796 dai francesi.
Interessante è notare da un lato che Calzini e Mazzatinti citano le spoliazioni napoleoniche, ma non
specificano la funzione di caserma durante il periodo francese, non evidenziando quindi l’idea di continuità,
dall’altro non citano il convento e la chiesa di Santa Caterina, divenuta nel frattempo Caserma. Sembra quindi
che, per il fatto di essere stato ‘rifunzionalizzato’, l’edificio sia uscito dal patrimonio degno di essere segnalato
75
Cfr. G. CALLETTI, Storia della città di Forlì dalle origini al 1862, vol. V, quinterno III, c. 1038, BCFo, ms., citato
anche in A. MENGHI, La città di Forlì, cit.
76
Con l’apertura dello stabilimento Bonavita proprio fra le antiche piazze San Domenico e Sant’Agostino (Cfr. M.
BALZANI, L’immagine della città e la trasformazione della scena urbana negli ultimi cento anni, in Storia di Forlì IV,
cit., pp. 333-356, in particolare pp. 355-356).
77
Anche se per alcuni spazi particolarmente significativi si riscontra un’eccezione: ad esempio piazza Maggiore viene
segnalata e presa in considerazione come spazio importante di per sé, soprattutto in considerazione delle sue dimensioni
ampie. Un’analoga tendenza a non riuscire a cogliere lo spazio urbano come entità è rilevata, per quanto attiene alle
guide di Pisa del XIX secolo, nel saggio di Lucia Nuti, Le guide di Pisa, cit.
78
G. CASALI, Guida, cit., 1838, pp. 22-24 e 28-36.
79
ID, Guida, cit., 1863, pp. 23-24.
80
Ibidem , pp. 29-34.
81
Non si accenna invece alla seconda soppressione per il semplice fatto che non era ancora avvenuta.
82
E. CALZINI, G. MAZZATINTI, Guida, cit., p. 97.
11
in una guida. Del resto anche alla chiesa e al convento di San Domenico non viene riservata più una
descrizione specifica, ma vengono solo citati in un discorso più ampio e generale di descrizione dell’area.
L’uscita dal patrimonio è tuttavia temporanea, se nella guida di Padovano del 1923 se ne torna a parlare
segnalandone l’uso di caserma83, mentre nella guida di Casadei del 1928 si ripercorrono anche le vicende
legate alla soppressione napoleonica del 1797, prima di passare alla trasformazione in caserma, sede del
«glorioso 11° Reggimento Fanteria, Brigata Casale, di cui va fiera la città di Forlì». La guida segnala la
«notevole» iscrizione presente nell’atrio della caserma, che ci dà ulteriori indizi sulle ragioni del cambiamento
del nome:
Caterina Sforza, Signora di Forlì – madre di Giovanni Dalle Bande Nere – assalita da Cesare Borgia – e
da un esercito di Francesi e di Svizzeri – che né il Re di Napoli né il Duca di Milano avevano osato di
combattere – impavida col ferro e col fuoco difese la sua Rocca – mirabile esempio di energia e di
valore – al tramonto del triste secolo XV che vide incominciate in Italia – le invasioni straniere.
Non si manca di ricordare, inoltre che «Il 3 Novembre 1926 la Caserma fu onorata da una visita del Duce»,
fatto che contribuì sicuramente a potenziare la valenza simbolica dell’edificio in epoca di regime, a sostegno
dell’ipotesi formulata precedentemente in questa stessa sede e relativa alla scelta di ‘investire’ nell’immagine
di Forlì come ‘città del Duce’.
In riferimento al San Domenico, invece, quell’idea di continuità mancante nella guida del 1893, si ricava dalla
guida del 1923, nella quale tuttavia si cita soltanto l’uso di caserma ripristinato nel periodo post-unitario, non
quello della fase francese:
Questa chiesa è ora soppressa per uso cavallerizza e nei fabbricati adiacenti, il Panificio e la fabbrica
della Società Bonavita.
Vediamo quindi che in questa guida si nota già il secondo passaggio, da area militare ad area industriale.
L’autore non manca di rammaricarsi delle quasi totali dispersioni dei beni in un edificio tanto apprezzato per il
suo valore artistico.
Il particolare atteggiamento dei compilatori di guide forlivesi ottocentesche nei confronti dei riusi, che porta
Mazzatinti ad eliminare la descrizione di Santa Caterina, è riscontrabile anche a proposito dell’oratorio di San
Sebastiano, esistente proprio nella stessa area di San Domenico.
Nonostante fosse stato soppresso in epoca francese, nella prima edizione della guida di Casali (1838), si
fornisce una breve descrizione dell’antico oratorio e delle opere ivi conservate84. Nella seconda edizione del
1863, l’oratorio non compare, uscito, agli occhi dell’autore, dal patrimonio degno di menzione a causa – e lo
scopriremo grazie alla guida del 1893 che lo cita – di un radicale cambio di destinazione, che l’aveva visto
trasformare in officina.
Ignorato nuovamente l’edificio nel 1923, in tutte le guide successive, fino almeno al 194885, ci si
rammaricherà invece di questo suo ‘declassamento’ di funzione.
Casadei nel 1928 segnala la demolizione della cupola «bella e slanciata» e la chiusura, una prima volta, al
tempo del Regno italico. Dopo essere stata ridonata al culto:
Da oltre 50 anni venne definitivamente soppressa e i Conti Dall'Aste, che ne divennero i proprietari, la
vendettero ad altro privato, che la ridusse ad officina.
L’autore cita Carlo Grigioni:
83
D. PADOVANO, Guida, cit., p. 14.
G. CASALI, Guida, cit., 1838, pp. 36-37.
85
Nuova guida di Forlì, con indicazioni e note storiche di Civis, Forlì, Unione pubblicità Emiliana 1948.
84
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Sarebbe doveroso ritornare quest'opera leggiadra, elegante, prodotto dell'arte paesana, alla pura
semplicità primitiva, redimendola dall'uso di officina e restaurandola convenientemente.
Questo auspicio era tuttavia destinato a rimanere a lungo disatteso, dal momento che vent’anni dopo, in una
guida del 1948, si segnala la destinazione dell’oratorio a magazzino privato, non mancando di definirlo,
ancora una volta «bellissimo per eleganza architettonica»86.
Il fatto che la stessa situazione permanga per così lunghi anni nonostante le istanze degli intellettuali locali,
farebbe pensare a una sostanziale indifferenza nei confronti delle sorti dell’oratorio da parte
dell’Amministrazione e probabilmente anche della cittadinanza, che in altri casi aveva, pare, saputo imporsi
sulle scelte della municipalità.
Ciò denota una non corrispondenza fra il sentire erudito degli intellettuali (in questo caso dei compilatori delle
guide) e quello di cittadinanza e Amministrazione87, rispetto a un edificio il cui valore avrà modo negli anni
seguenti di essere retoricamente esaltato in ogni modo e in svariate situazioni dall’opinione pubblica.
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Ibidem, pp. 91-92.
Sulla sintonia di gusto fra autori delle guide e massa cfr. L. NUTI, Le guide di Pisa, cit., p. 47. A proposito
dell’influenza della popolazione sulle scelte dell’Amministrazione, la cittadinanza forlivese dimostra di avere una certa
voce in capitolo, ad esempio, con la presa di posizione popolare a favore della chiesa di San Pellegrino, dedicata a
Pellegrino Laziosi, santo ‘ghibellino’, estrema sintesi della personalità ‘civica’ forlivese e della chiesa del Carmine, sede
di un culto molto sentito a livello locale. Queste due chiese non furono demanializzate dopo l’Unità grazie, pare, proprio
ad un intervento popolare, forse in virtù del loro ruolo ‘civico’ agli occhi della popolazione, o forse più semplicemente
per opportunità storica (Cfr. A. MENGHI, La città di Forlì, cit.).
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