DIARIO
VENERDÌ 30 MARZO 2007
LA REPUBBLICA 47
DI
DI
PERCHÉ IL PAPA NE RIAFFERMA L’ESISTENZA
La religione
l’arte e la
letteratura
ne hanno
spesso
descritto
significato
e funzione
senz’altro paradossale che il nostro tempo, che
forse come nessun altro ha sperimentato
abissi indicibili d’ingiustizia e malvagità
come quelli perpetrati
nei lager nazisti, sia
tentato di non meditare più sulla possibilità
reale dell’inferno. Certo, rappresentazioni ingenue e insistite del passato non aiutano a
collocare in una luce pertinente e convincente questo concetto che fa parte del bagaglio
irrinunciabile dell’esperienza
cristiana, ma anche e innanzi
tutto umana. Che il male vada
infine sceverato dal bene e che
vi debba essere un giudizio finale che ripari i torti subiti che
la storia non riesce a far quadrare, rivelando le vere intenzioni dei cuori e dicendo pane
al pane e vino al vino, è un postulato difficilmente contestabile della nostra esistenza.
La fede cristiana non contraddice questa percezione e
questa speranza. Ne dilata,
piuttosto, e ne rischiara in modo inatteso l’orizzonte di esperienza e comprensione. Il messaggio di Gesù è “vangelo”: la
“bella notizia”, cioè, secondo
cui Dio è sino in fondo e unicamente desiderio di bene nei
confronti dell’uomo. Tanto che
egli è venuto, appunto, «non
per condannare, ma per salvare» (cfr. Gv 12,47), offrendo
l’aiuto indispensabile per edificare la propria esistenza e quella della comunità umana secondo una misura pienamente
umana. Il che esige un’adeguata assunzione di responsabilità. In altre parole, il messaggio
di amore che viene da Dio all’uomo in Gesù, e in cui l’uomo
ritrova il meglio di se stesso,
non avrebbe significato se l’uomo stesso, come Dio che l’ha
creato e lo vuole compagno di
vita per sempre, non fosse libertà. «Se la libertà non è reale
— scriveva all’inizio del secolo
scorso Pavel Florenskij — ,
nemmeno l’amore di Dio per la
creatura è reale».
Di qui, dall’amore di Dio che
esige la libertà dell’uomo, lo
spalancarsi di quell’abisso che
è la possibilità reale di dire no al
destino che realizza ogni persona. Se la possibilità di dire
questo no non vi fosse o fosse
una semplice illusione, l’uomo
non sarebbe uomo e Dio non
sarebbe Dio. Ciò non significa
brandire in modo terroristico la
possibilità di questo no, nella
sua terribile definitività, per
imporre alcunché. Significa al
contrario richiamare alla serietà della nostra responsabilità e all’inesauribile efficacia
della misericordia di Dio che
col perdono sempre di nuovo
Ecco la
storia di un
“non luogo”
speciale
con il quale
l’umanità
si è dovuta
misurare
È
“I dannati all’Inferno” particolare dell’affresco di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto
INFERNO
I dannati dalla Chiesa
PIERO CODA
rende disponibile la chance di
ricominciare come fosse la prima volta.
È Gesù stesso, a ben vedere,
che offre non a parole ma col
dono di sé senza condizioni sul
legno della croce la misura ultima di questo dramma segnato
dal marchio della speranza.
«Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da
peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare
per mezzo di lui giustizia di
Dio» (2Cor 5,21): così l’apostolo Paolo. Al seguito di Gesù,
Paolo stesso potrà spingersi a
esprimere l’ardente desiderio
di farsi egli stesso “anatema”
per salvare i fratelli: attestando
la sua volontà — conforme a
quella di Dio stesso — di autoescludersi dal beneficio della
salvezza se ciò fosse necessario
per strappare qualcun altro alla pena eterna. Una volontà e
THOMAS MANN
“
INFERNO
L’INFERNO va definito come
un’orrenda fusione di dolori
che non si possono tollerare,
ma che pur si dovranno sopportare in eterno, e di improperi. Laggiù i dannati si mangiano la lingua dal dolore, ma non per questo formano una comunità; provano invece disprezzo reciproco e tra gli urli di dolore e i
sospiri si scambiano le più sconce villanie, e i più raffinati e orgogliosi, quelli che non hanno mai pronunciato una parola volgare, sono costretti a usare le più sudice. Una parte dei loro tormenti e del loro scandaloso
piacere consiste poi nell’escogitare gli insulti più lerci…
Per dirla in breve, la sua natura o, se preferisci, la sua
qualità più spiccata consiste nel concedere ai suoi inquilini soltanto la scelta tra il gelo estremo e un ardore
che potrebbe fondere il granito. Fra questi due estremi
essi si dibattono ululando, poiché nell’uno l’altro sembra continuamente un ristoro divino, ma diventa
subito, e nel più infernale significato della parola,
insopportabile. Trattandosi di estremi, la cosa dovrebbe piacerti.
una preghiera che, lungo i secoli, non di rado troveranno
eco nell’esperienza e nelle parole dei discepoli di Gesù. A
partire da ciò il teologo Hans
Urs von Balthasar ha espresso e
argomentato la speranza che
nessuno si perda per sempre:
l’inferno è una reale possibilità,
ma non è detto che essa si verifichi. Non a caso — egli chiosa
— «la Chiesa, che ha canonizzato tante persone, non si è mai
pronunciata sulla dannazione
di alcuno. Neppure su quella di
Giuda».
In fin dei conti, è proprio la
definitività dell’amore di Dio
per la sua creatura manifestato
senza ambiguità nel Crocifisso
a decretare, al negativo, la possibilità reale di potersi liberamente e definitivamente chiudere a questo amore. Non è un
caso che prima di Gesù, pur conoscendo la tradizione ebraica
il concetto del giudizio
finale di condanna dei
reprobi, la realtà degli
inferi permanga in una
quasi strutturale situazione d’indecisione:
come luogo delle ombre in cui convivono e i
giusti in attesa di salvezza (e di risurrezione) e i malvagi in attesa
di inappellabile giudizio. Solo
la discesa di Gesù agli inferi —
come recita il Simbolo della fede — dà definitività al luogo
(che è uno stato) del rifiuto opposto a Dio. Definitività che deriva dal fatto che solo di fronte a
lui, in cui Dio ha pronunciato il
“sì” escatologico della misericordia per gli uomini d’ogni
tempo e d’ogni luogo, la decisione finale — non di Dio, ma
dell’uomo stesso — può esser
presa come autogiudizio
senz’appello nei confronti della grazia della salvezza.
Ma, al tempo stesso, definitività escatologica che crea — se
così si può dire — una nuova situazione d’essere: quella anticipata, nel chiaroscuro del presentimento, dall’esistenza umbratile degli spiriti che esistono, ma in uno stato che è solo
l’impronta vuota d’una esistenza vera. Sì, per la fede cristiana è solo perché Cristo, col
suo esporsi nell’amore sino alla fine, scende nel baratro del
rifiuto di Dio, che tale rifiuto riceve il sigillo dell’irrevocabilità. Egli, ascendendo nell’evento della risurrezione al seno
di Dio che è Padre, donde è
uscito, accompagna con sé in
libertà coloro che gratuitamente ha strappato dagli inferi
del non amore. Ma il suo esser
disceso in quel fondo, ha al
tempo stesso eternizzato la
possibilità del non amore che è
non vita. «Padri e maestri —
esclama lo starec Sosima ne I
fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij — , io mi domando:
Che cosa è l’inferno? Io affermo
che è il tormento di non essere
capaci di amare».
Non si tratta di speculazioni
astratte o remote dalla vita.
Forse mai come nel nostro tempo — dicevo all’inizio — si sono
sperimentate a livello personale e sociale le torture dell’angoscia esistenziale e della malvagità collettiva: veri anticipi dell’inferno. Sapere che Gesù Cristo vi s’è calato dentro, sino all’abisso, e ha redento l’irredimibile, è speranza che si può
sempre ricominciare. E che l’amore di Dio ci prende terribilmente sul serio: perché il suo
amore, che è libertà, giunge al
punto da rendere definitivo —
se lo vogliamo — l’antirealtà
del non amore. Dunque, niente come la possibilità reale dell’inferno dice, in Gesù, l’amore
di Dio e la libertà dell’uomo.
Repubblica Nazionale
“
48 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
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DIARIO
L’ADE PAGANO
Gli inferi dell’antica Grecia sono all’origine
di tutte le ulteriori concezioni dell’inferno.
Nell’Odissea il regno di Ade è visitato da
Ulisse. Dimora definitiva è però solo il
Tartaro, prigione dei Titani
L’ANTICO TESTAMENTO
Lo She’ol ebraico è un luogo chiuso, in cui
l’anima resta a giacere nella polvere,
senza speranza di risorgere. Le prime
immagini dell’inferno come luogo di
punizione risalgono solo al III sec. a. C.
IL VANGELO
Nelle scritture degli apostoli, l’inferno è
quasi sempre la Geenna, la “Valle dei
gemiti”, luogo maledetto dove un tempo si
bruciavano rifiuti e immondizie, ma anche
vittime sacrificali
L’ADE E IL TARTARO NELL’ANTICHITÀ, L’”INFERNUS” DELLA BIBBIA
DALLA GEENNA AL VUOTO
STORIE DI OLTRETOMBA
FRANCO CARDINI
I LIBRI
DANTE
ALIGHIERI
La
Commedia,
Bur 2006
BENEDETTO
XVI
In principio
Dio creò il
cielo e la
terra, Lindau
2006
JEAN
DELUMEAU
Il peccato e la
paura, Il
Mulino 2006
JACQUES
LE GOFF
La nascita del
Purgatorio,
Einaudi 2006
GEORGES
MINOIS
Piccola storia
dell’inferno,
Il Mulino 2006
JOHANN
WOLFGANG
GOETHE
Faust, Bur
2005
JOHN
MILTON
Paradiso
perduto,
Mondadori
2004
PIERO
CAMPORESI
La casa
dell’eternità,
Garzanti
1998
JOHANN
WEYER
Pseudomona
rchia
daemonum.
Organigram
ma
dell’inferno,
Mondadori
1994
AGOSTINO
La città di
Dio, Einaudi
1992
HANS URS
VON
BALTHASAR
Breve
discorso
sull’inferno,
Queriniana
1988
a parola “Inferno” indica
evidentemente, in latino,
quello che sta in basso o
sottoterra; ciò già nell’antichità
romana indicava un’idea della
vita oltremondana come di una
prosecuzione in un luogo immaginato come nelle profonde viscere della Terra.
Con la parola infernusi traduttori latini della Bibbia ebraica intesero tradurre il concetto ebraico di she’ol; ma esso qualificava
nella tradizione
ebraica, più che un
luogo, la condizione del sonno in cui
l’anima umana veniva avvolta dopo
la morte in attesa
del giudizio universale.
Dal momento
che ebrei usavano
inumare i loro defunti, questa idea si
avvicinava abbastanza agevolmente e spontaneamente a quei concetti dell’Oltretomba come luogo sotterraneo, che erano
vivi nelle culture
egizia e, con qualche difficoltà in più
anche assiro-babilonese.
Il Nuovo Testamento, per la verità,
non insiste tanto
sul concetto ebraico di she’ol, luogo del sonno
mortale quanto di geenna, che si
potrebbe definire come un luogo di punizione e di sofferenza
caratterizzato dalla presenza di
un fuoco ardente e di un buio
profondo. La geenna, infatti,
corrispondeva ad una specie di
valle infossata, a sud-ovest delle
mura di Gerusalemme, dove si
bruciavano i rifiuti e dalla quale
emanava sempre un grasso fumo ed un acre odore.
Un luogo quindi, per definizione impuro e sgradevole. Gesù
condanna alla geenna, “dov’è
piano e stridore di denti”, i peccatori impenitenti.
Con queste premesse si comprende come i cristiani che si
convertirono alla nuova fede alcuni decenni dopo la morte di
Gesù, e che non provenivano dal
mondo ebraico bensì dalle varie
culture che componevano il mosaico ellenistico-romano, adattarono la loro idea di Inferno a
quelle credenze che li avevano
caratterizzati prima della conversione. In effetti i greci ed i latini immaginavano un “erebo”,
cioè un luogo sotterraneo triste e
tenebroso, nel quale le anime
dei defunti conducevano una vita quasi sospesa a metà tra l’evanescenza e l’inesistenza. Era
questo il tristo “Hades”, una cui
sezione specifica, il “Tartaro”
era preparata per chi in vita si era
reso responsabile di colpe particolarmente orribili come l’omicidio, il tradimento, l’empietà
nei confronti degli dei. Sappiamo d’altra parte che i defunti privilegiati o particolarmente meritevoli, gli Eroi, avevano una dimora eterna caratterizzata da
dolci venti, praterie fiorite e alberi da frutto: i Campi Elisi. Anche tale dimora era caratterizzata dalla tristezza che sempre avvolgeva chi, essendo defunto,
aveva in realtà perduto l’unica
vita pienamente degna di essere
L
‘‘
,,
Tra l’antichità e l’Alto Medioevo
si elaborò la teoria del damnum,
che in origine significava
“perdita”, “disgrazia”. Da lì
nacque il concetto di dannazione
DIAVOLI
A destra, i diavoli di Andrea di Buonaiuto negli affreschi
di Santa Maria Novella a Firenze.
Qui sopra, l’inferno dantesco visto da Botticelli
definita tale, cioè quella terrena.
Gli Elisi erano comunque, se non
altro, un luogo piacevole ed
esente dal dolore.
I cristiani elaborarono pertanto una dottrina dell’Oltretomba che in un certo senso univa in una sorta di acculturazione
l’idea ebraica del sonno dopo la
morte, quella vetero-testamentaria della punizione dei malvagi e quella pagana greco-romana
della sofferenza spettante a chi si
fosse reso responsabile di colpe
o di infrazioni rituali.
Tra antichità ed Alto Medioe-
vo si elaborò la teoria del damnum, che originariamente significa “perdita”, “disgrazia”. Da lì
nacque appunto il concetto di
dannazione, inteso soprattutto
come privazione eterna della visione di Dio. Le pene fisiche, in
realtà, venivano concepite come
un’immagine analogica destinata a dare una lontanissima
idea della sofferenza spirituale
provata dai dannati a causa della lontananza dal Signore. Ma,
per la dottrina che i cristiani avevano ereditato dagli ebrei, alla fine dei tempi tutti sarebbero re-
suscitati: ed i malvagi, i peccatori, avrebbero a quel punto rivestito la loro carne per proseguire
la loro residenza nell’Inferno,
eternamente. Dopo la resurrezione, naturalmente, le pene sarebbero veramente state anche
fisiche oltre che spirituali.
Questa dottrina non si creò dal
nulla: i suoi Padri principali sono
Sant’Agostino che approfondì il
concetto di pena eterna, San
Giovanni Crisostomo che procedette a un’analisi
del concetto di Inferno nel Nuovo Testamento, San Bernardo di Chiaravalle che sottolineò
l’orrore della morte
eterna come morte
autentica, contrapponendola a quella
puramente fisica
che era solo un normale ed inevitabile
incidente attraverso il quale si accedeva alla vita eterna
ed infine San Tommaso d’Aquino che
insisté sul carattere
irremissibile dell’Inferno, dove le
sofferenze non inducono i dannati al
pentimento ma,
anzi, li radicano
nell’odio e dunque
nella lontananza
da Dio.
Naturalmente vi
fu chi al contrario riteneva che il
concetto di eternità dell’Inferno
contrastasse con quello di infinita giustizia e di infinita misericordia divine. Alcuni padri della
Chiesa, come Gregorio di Nazianzo, Origene e Giovanni Scoto Eriugena fecero osservare che
l’uomo, data la sua stessa imperfezione e la sua strutturale finitezza, non poteva commettere
un peccato, per quanto orribile,
che meritasse una pena eterna;
mentre tale concetto contrastava per sua natura con il principio
cristiano di un Dio interpretato
principalmente come Amore.
L’idea, pertanto, che l’Inferno
non potesse essere eterno e che
alla fine gli stessi dannati sarebbero stati redenti, attraversò tutto il cristianesimo medievale e
moderno, pur considerata come
eresia, e giunse in Italia ad una
affascinante anche se teologicamente poco sicura conclusione,
che fu proposta da Giovanni Papini. Più di recente, il grande teologo Hans Urs von Balthasar
propose una soluzione originale, che salvava l’idea dell’eternità dell’Inferno ma faceva al
tempo stesso trionfare quella
dell’infinita misericordia divina: l’Inferno c’è, ma è vuoto.
La riaffermazione della dottrina tradizionale cattolica da parte di Benedetto XVI viene adesso
ad inserirsi in un processo di riconsiderazione di tutte le posizioni della Chiesa ispirate a fermezza dottrinale e volte, a quanto sembra, a combattere quelle
tendenze alla modernizzazione
che si erano negli ultimi decenni
fatte strada. La riaffermazione di
un Inferno eterno al quale chi si
allontana da Dio non può sfuggire, rappresenta una scelta di
campo coerente con il rigoroso
richiamo alla disciplina ecclesiale che sembra caratterizzare il
pensiero e l’opera dell’attuale
Pontefice.
SANT’AGOSTINO
E’ certo che sarà lo
stesso fuoco a colpire
uomini e demoni, come
Cristo ha detto: “Via,
lontano da me,
maledetti...”
La città di Dio
412-426
FËDOR DOSTOEVSKIJ
Padri e maestri, io
penso: “Che cos’è
l’inferno?”. Così lo
definisco: “La
sofferenza di non poter
più amare”
I fratelli Karamazov
1880
Repubblica Nazionale
VENERDÌ 30 MARZO 2007
LA REPUBBLICA 49
IL MEDIOEVO V-XIV SEC.
Per Sant’Agostino è un luogo reale ed
eterno, in cui finiscono i pagani, i bambini
non battezzati e i peccatori ostinati.
L’inferno di Dante è diviso in nove cerchi in
cui i dannati scontano pene eterne
GLI ILLUMINISTI 1700
I philosophes mettono in discussione
l’eternità delle pene, considerandola
incompatibile con la bontà divina. Nel
1711 Montesquieu scrive l’opuscolo
Contre la damnation éternelle des païens
OGGI
In linea con gli scenari delineati dal nuovo
Catechismo, Papa Ratzinger rilancia
l’inferno come luogo di eterna
dannazione: “L’inferno esiste ed è eterno,
anche se non ne parla più nessuno”
È TOLLERABILE L’INFERNO IN UNA VISIONE ETICA?
LA GIUSTIZIA DIVINA
E LA LOGICA DELLE PENE
FRANCO CORDERO
osa sia l’inferno. Vediamolo
nella Tabula aurea, indice ragionato dell’intero san Tommaso: «est horridus et tenebrosus
et poenalis locus daemonum»;
dev’essere un luogo, se contiene
diavoli e dannati, i cui corpi accoglierà alla fine del mondo; Doctor
Angelicus, fonte eminente della
mappa dantesca, lo suppone al
centro della terra («probabiliter»).
La voce Damnatio, scandita in 66
lemmi, spiega quali cose vi succedano, in eterno: gl’inquilini coatti
non vedono Dio e subiscono pene
corporali (fuoco, tenebra, ecc.), oltre ogni pensabile dolore terreno,
Passione inclusa. Che il fuoco non
sia metaforico, lo dicono definizioni dogmatiche ricorrenti, vedi Enchiridion Symbolorum. Sul tema
fioriscono una letteratura e sermonari classificabili nella clinica psicopatologica, tanto laide
sono le fantasie che vi scaricano gli autori: roba da
Cent Vingt Journées, ma
Sade scrive con distacco
scientifico mentre costoro
sbraitano; e quanto sadismo connoti l’immaginario
teologale, consta dall’insegnamento che gli spettacoli
d’inferno completino la beatitudine celeste; dottori pudibondi mascherano l’argomento; terroristi del pulpito lo
squassano con accenti da sabba stregonesco (anche Padre
Paolo Segneri S. J., famoso quaresimalista).
Il punto è se l’inferno sia tollerabile in una visione etica. Cominciamo da Pelagio, monaco
britanno tra quarto e quinto secolo: negando l’idea d’un peccato
d’origine trasmesso col seme, sminuisce il battesimo; forte d’uno
scomodo radicalismo evangelico,
rifiuta ogni compromesso col potere ecclesiastico e politico; nella sua
teologia elementare Dio è spettatore neutrale della partita dove ciascuno gioca le sue sorti. Ovvia la
condanna ecclesiastica, sollecitata
da sant’Agostino. Siamo al limite
del cristianesimo ridotto a pura
moralità, senza riti, misteri, gerarchie, effusioni mistiche, ma il giudice figura male anche lì, se lo postuliamo creatore onnisciente: cos’aveva in mente?; dispiega lo scenario
terreno, sapendo dove finiranno
innumerevoli animali umani, nelle
fauci diaboliche; l’equanime fair
play giudiziario non compensa l’obiettiva cattiveria del creare un
mondo così regolato. Ma almeno è
giusto, stricto sensu, se presupponiamo che venendo al mondo, uno
sia padrone dei suoi destini. Qui
stravince Agostino, molto superiore in acume analitico e talento speculativo: contro i manichei presupponeva una volontà sovrana; poi
scopre la causalità psichica ed elabora la teoria della grazia; impresa
d’altissimo segno scientifico; anticipa Freud, al quale mancano quattordici secoli. In lingua moderna
diremmo così: la cosiddetta volontà è nome astratto delle volizioni; ognuna ha delle cause; l’atto
scatta nel senso della pulsione prevalente; alcune risalgono all’Es (bacato dal peccato originale: Agostino le chiama concupiscentia), ma
esiste una libido spirituale, gratia o
caritas; la infonde Dio. Siamo degli
automi: suo l’atto buono, nostri i
peccati; formula ipocrita perché rimasto solo, l’animale umano pecca
come i pesci nuotano o i gravi cadono.
Favola orrenda: fa tutto Lui, concedendo o no la santa libido da cui
nascono gli atti virtuosi, delectatio
C
JAMES HILLMAN
L’immagine comune
dell’inferno è quella
di fuoco. Il daimon
stesso è sempre stato
tradizionalmente
associato al fuoco
Il codice dell’anima
1996
GIORGIO MANGANELLI
Non so che mai sia
l’inferno; io soggiorno
da sempre in questo
nonluogo; diciamo che
ne sono un socio
fondatore
Dall’inferno
1998
‘‘
,,
San Tommaso, fonte eminente
della mappa dantesca, suppone
che l’inferno sia al centro della
terra. Qui i dannati non vedono
Dio e subiscono pene corporali
MOSTRUOSITÀ
Qui sotto, a sinistra l’Inferno nella decorazione
della cupola del Battistero di Firenze.
A destra, il tarocco con il diavolo
GLI AUTORI
DIARI ONLINE
Il Sillabario di Thomas Mannè tratto da
Doctor Faustus
(Mondadori). Di
Franco Cardini è appena uscito il romanzo Il signore della
paura (Mondadori).
Piero Coda è presidente dell’Associazione teologica italiana. Franco Cordero ha pubblicato da
poco il romanzo L’armatura (Garzanti).
Tutti i numeri
del “Diario” di
Repubblica sono consultabili
in Rete al sito
www. repubblica. it direttamente dalla home page, menu
Supplementi.
Qui i lettori troveranno le pagine comprensive di tutte le
immagini
victrix; sta fuori del tempo ma vi
agisce continuamente, ad esempio
iniettando l’anima agli embrioni
(un poco tardive risultano le femmine, insegnavano i dottori d’una
philosophia perennis); l’intera
commedia cosmica, quindi, sviluppa i suoi piani; è autore, macchinista, scenografo, capocomico e
invisibilmente conduce gli attori.
Saltano agli occhi le differenze dal
quadro pelagiano: là era giudice
equo, coerente a una decisione crudele ante mundum; qui pratica nei
millenni un passatempo psicopatico, feroce, stupido. Ai lettori moralmente sensibili manca il fiato: fabbrica cavie umane; le muove; avendo stabilito che alcune mosse siano
peccaminose, decreta supplizi; li fa
eseguire dai diavoli,
suoi agenti (l’inferno preesiste all’uomo); e dopo tante
migliaia d’anni non
s’è ancora stancato.
Nella nomenclatura
medica gesta simili
configurano pericolose malattie. Agostino se ne rende conto,
infatti vela come può
la scoperta non predicabile dai pulpiti
(quando i monaci d’Adrumeto esigono una
risposta netta, la elude):
secondo lui, non abbiamo ragioni contra
Deum, perché i discendenti d’Adamo compongono una massa damnationis; salvandone alcuni,
gratis, l’Ingegnere cosmico esercita pura misericordia; tra le
righe ammette però che fosse eterodiretto anche il capostipite nel
paradiso terrestre; e l’ammissione
viene esplicita a proposito degli angeli; i rimasti in cielo erano amplius
adiuti ossia disponevano d’un soccorso particolare, automi anche loro. Non è questione nuova, come
siano valutabili moralmente gli atti
della persona che i teologanti chiamano Dio. L’aveva sollevata Giobbe nell’omonimo libro, soccombendo perché l’antagonista strapotente, abilissimo meccanico, ignora le misure etiche e ha poco discernimento intellettuale. Quando vi
torna san Paolo (Epistola ai Romani, capitolo nono), la risposta fa rizzare i capelli: un vaso chiede conto
al vasaio del come l’ha plasmato?;
l’artefice dispone ad libitum del
manufatto. Questa similitudine segna un punto infimo nella parabola etica del divino. «Sublime»,
esclamano i folgorati dallo spettacolo. Isidore Ducasse, nome d’arte
Lautréamont, racconta invece a
mano ferma una visione terrificante, ricalcata sul teorema biblico (Les
chants de Maldoror, canto secondo).
La dottrina agostiniana diventa
dogma, ma svuoterebbe le chiese
se fosse predicata, perciò fiorisce
un agostinismo spurio, fondato su
paralogismi e vaniloqui. Le formule tridentine sono plateale contraddizione: solo lo Spirito Santo innesca l’atto buono, senza concorso
umano; se però pecco, vado all’inferno perché peccavo volontariamente; come dire «piove e non piove». Inutile notare quanto sia tossica l’abitudine al discorso doppio.
Non sarebbe meglio una religione
coltivata come tensione etica, silenzio sull’ineffabile, compassione
operosa, perché gli uomini condividono uno stato nient’affatto lieto? Forse converrebbe riscoprire
l’umanesimo pelagiano, agli antipodi dell’ecclesiocrate Agostino.
I FILM
L’INFERNO
Un’illustrazione
molto fedele
della prima
cantica della
Divina
Commedia
Di A.Padovan e
F.Bertolini,
1911
IL CIELO
PUÒ
ATTENDERE
H. Van Cleve
muore e va
all’Inferno
come
adultero
impenitente,
sebbene ami
la moglie: il
Diavolo si
commuove e
non se la
sente di
condannarlo.
Di E.Lubitsch,
1943
47 MORTO
CHE PARLA
Il barone
Peletti (Totò) è
vittima di uno
scherzo: gli si
fa credere
prima di
essere morto
e poi di essere
finito
all’Inferno.
Di Carlo
L.Bragaglia,
1950
ANGEL
HEART
ASCENSORE
PER
L’INFERNO
Un detective
privato riceve
dal misterioso
e demoniaco
Louis Cypher
(R. De Niro)
l’incarico di
rintracciare un
uomo.
Di A. Parker,
con M.
Rourke, 1987
ERCOLE
AL CENTRO
DELLA
TERRA
Ercole deve
scendere
negli inferi per
salvare
Deianira
prigioniera di
un perfido
tiranno.
Di M.Bava,
con C. Lee,
1961
Repubblica Nazionale
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